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Tesi: Politiche di pari opportunità e pratiche di segregazione
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Tesi: Politiche di pari opportunità e pratiche di segregazione

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Quando la bella addormentata si sveglia
ha quasi cinquant'anni.

Maxine Kumin.

Nello studio effettuato al tempo in cui conseguii la laurea in sociologia, al solo scopo di apprendere, essendo la mia prima quella che mi dava lavoro, come studentessa del corso di laurea in sociologia, furono molte e di differenti specie le nozioni che mi attirarono e coinvolsero, ma, per una partecipazione che potrei definire connaturata con la mia natura femminile, ho sempre lanciato uno sguardo più attento a quelle teorie sociologiche che, in positivo o in negativo rispetto agli interessi del “mondo donna”, si sono comunque occupate delle questioni inerenti genere e sessualità.
Parlando di donne e di segregazione il mio pensiero corse spesso in quegli anni di studio a un paragrafo del testo di sociologia di Anthony Giddens, dedicato a genere e sessualità. In esso si ricorda che i primi movimenti femminili in Francia risalgono immediatamente dopo la rivoluzione del millesettecentottantanove. Nel milleottocentonovanta, difatti, a Parigi, sulla scia delle varie organizzazioni rivoluzionarie, si formarono molti club di donne che si appoggiavano, per gli intendimenti libertari, agli ideali di libertà e soprattutto di uguaglianza, resi vivi appunto dalla rivoluzione francese. Per la prima volta forse in assoluto la donna respirava un’aria di indipendenza (in nuova Zelanda la libertà di voto giungerà, prima di tutte, nel 1893), per cui Maria Gouze, leader di uno dei principali club, decise di stilare un documento ispirato alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, ossia una “Dichiarazione dei diritti delle donne e delle cittadine”.
In conseguenza di ciò fu giustiziata nel 1793 per decisione dei leader rivoluzionari maschi.
La mia tesi, grazie anche alla disponibilità del Prof. Enrico Rebeggiani, che funse da relatore, ha potuto e voluto seguire, nel modo più attento possibile, tutte le variabili relative alla vita dell'essere umano al femminile, non dimenticando neanche le streghe, le sante, le artiste e le filosofe. Attuale per molti versi e per altri (la tesi è datata 2003), forse meno. La offro in lettura per quanti desiderino leggerla, seppure con l'intento di approfondire successivamente qualche argomento. Se ci si chiede cosa sia veramente mutato nel contesto del "GENERE", la prima risposta la si trova nell'osservare i giocattoli in vendita per i bambini, laddove è certamente chiarissima la distinzione maschi/femmin": spade e automobiline ai bimbi e aspirapolvere, cucine e lavatrici, per le bambine. Se i piccoli dimostrassero strani desideri, preoccuperebbero, certamente, gli adulti.


 
LanguageItaliano
Release dateMar 4, 2015
ISBN9786050361926
Tesi: Politiche di pari opportunità e pratiche di segregazione

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    Tesi - Bianca Fasano

    CONSULTATI

    Politiche di pari opportunità e pratiche di segregazione.

    Tesi di laurea in sociologia economica

    Poesia

    Donna.

    Donna dalle mani morbide,

    inanellate,

    dalle unghie rosso sangue

    e il volto liscio come porcellana;

    donna che costruisce immagini di vita,

    che spezza le unghie chiare

    e mescola colori col pennello;

    donna che porta un velo nero in testa

    e alla sinistra un anello,

    ma non dorme con l’uomo della sua vita;

    donna dalla variante infinita,

    intrisa di pace e di passione,

    nata da donna,

    destinata a fiorire

    e pungersi con spine non sue.

    Donna che volge lo sguardo al passato

    e non sa costruire l’avvenire;

    donna libera di tentare altre vie,

    dagli occhi vividi nell’ovale pallido e fremente;

    donna che usa la mente

    e produce pensieri eterni,

    che cercheranno nel tempo

    orecchi e occhi d’ogni sesso ed età;

    donna che non conosce la viltà della rinuncia;

    donna che pronuncia la parola amore

    come fosse un verso sacro della bibbia;

    donna dalle carni scure e le labbra rosse;

    donne percosse,

    battute,

    violentate;

    donne dimenticate

    nelle stanze buie della memoria

    a ricamare pensieri irrealizzati

    su frammenti di sogni.

    Donna dell’otto marzo,

    color della mimosa,

    gialla di gelosia,

    che ha il coraggio di fuggire via

    dalle proprie viltà;

    donna che andrà lontano,

    sia da sola

    sia stringendo di un uomo la mano.

    Donne tutte,

    dall’immensa capacità d’amare,

    cui il destino ha offerto il dono del creare,

    nel grembo porterete con voi la specie

    e la speranza

    della continuità di un mondo nuovo

    che avanza.

    Bianca Fasano

    INTRODUZIONE

    Un interesse di parte

    Quando la bella addormentata si sveglia

    ha quasi cinquant'anni.

    Maxine Kumin [1]

    Nello studio effettuato in questi anni, come studentessa del corso di laurea in sociologia, sono state molte e di differenti specie le nozioni che mi hanno attirato e coinvolta, ma, per una partecipazione che potrei definire connaturata con la mia natura femminile, ho sempre lanciato uno sguardo più attento a quelle teorie sociologiche che, in positivo o in negativo rispetto agli interessi del mondo donna, si sono comunque occupate delle questioni inerenti genere e sessualità.

    Donne.

    Parlando di donne e di segregazione il mio pensiero è corso spesso in questi anni di studio ad un paragrafo del testo di sociologia di Anthony Giddens, dedicato a genere e sessualità. In esso si ricordache i primi movimenti femminili in Francia risalgono immediatamente dopo la rivoluzione del millesettecentottantanove. Nel milleottocentonovanta, difatti, a Parigi, sulla scia delle varie organizzazioni rivoluzionarie, si formarono molti club di donne che si appoggiavano, per gli intendimenti libertari, agli ideali di libertà e soprattutto di uguaglianza, resi vivi appunto dalla rivoluzione francese. Per la prima volta forse in assoluto la donna respirava un aria di indipendenza (in nuova Zelanda la libertà di voto giungerà, prima di tutte, nel 1893), per cui Maria Gouze, leader di uno dei principali club, decise di stilare un documento ispirato alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, ossia una Dichiarazione dei diritti delle donne e delle cittadine.

    In conseguenza di ciò fu giustiziata nel 1793 per decisione dei leader rivoluzionari maschi.

    Non sorprende: anche gli operai nelle loro rivendicazioni sindacali non hanno accettato di affiancarsi alle problematiche femministe e, benché donna e negro abbiano proceduto spesso assieme nel cammino della violenza (subita), dell’ingiustizia (fisica e morale) e della segregazione, neanche i neri hanno voluto mai apertamente collegare le loro battaglie di indipendenza e uguaglianza con quelle sociali delle donne.

    Cosa poteva dunque esistere nel 1850 di più osteggiato che una femminista di colore? A causa di ciò ricordiamo con ammirazione Sojourner Truth, donna e negra che, in occasione di un raduno antischiavistico tenutosi nell’Indiana, formulò un fervente discorso femminista.

    -Non credo tu sia una donna!-

    Le urlò dal pubblico un uomo bianco invelenito. E la nostra eroina si denudò il petto a prova della sua femminilità.

    Coraggiosa, intelligente, piena di pathos, divenne, anche tra le donne bianche, una figura di spicco nelle lotte femministe di quel tempo.

    Da napoletana e giornalista non posso inoltre non menzionare Eleonora Pimentèl Fonseca (Roma 1752 – Napoli 1799), scrittrice e patriota italiana. Nata da una nobile famiglia portoghese Eleonora, come accadrà alle donne per tutto il XX secolo, dovrà porsi in contrasto acerrimo con il marito che le impediva, avvalendosi dell’autorità maritale, di proseguire gli studi e solo dopo la separazione, a cui giunse in modo drammatico, potrà affermarsi come direttrice del Monitore Napoletano. A causa delle proprie esperienze si attivò per elaborare un progetto per l’istruzione femminile nel tentativo di aprire le strade all’istruzione alle nuove generazioni di donne.In Napoli si dedicò all’attività letteraria di carattere giornalistico, conseguendo un gran successo, nonostante il suo essere donna, presso i più illustri circoli culturali della città. Nel 1798 fu incarcerata per le sue posizioni politiche di matrice giacobina, ma l’anno successivo fu liberata, con l’ingresso a Napoli delle truppe francesi. Il meridione stava per vivere la splendida e tragica pagina di storia della Repubblica partenopea ed appunto in quel periodo di particolare tensione sociale Eleonora fondò il periodico Il Monitore Napoletano, impegnandosi nella diffusione degli ideali rivoluzionari. Dopo la rivoluzione napoletana, nel 1799, caduta la Repubblica, fu giustiziata assieme a più di cento patrioti e assieme a loro perì il fiore dell’illuminismo napoletano.

    Se, dunque, noi, donne di questo variegato mondo globalizzato, osiamo porre l’accento sulle difficoltà incontrate giorno per giorno sul cammino della nostra individualità, possiamo ben dire che il nostro primo e più deciso ringraziamento deve essere rivolto alle lotte femminili effettuate da donne come Marie, Sojourner e la stessa Eleonora.

    Parlando di donne, molti nomi potrebbero giungere a noi dall’abisso ovattato del passato, ma tra queste vogliamo ricordarne in quest’ambito due in particolare: Frine, (IV sec.), cortigiana greca amata dallo scultore Prassitele, che fu salvata dall’accusa di empietà non per il fulgore della sua intelligenza, quanto per lo splendore della sua femminilità e Saffo (VII-VI sec.), poetessa greca di Lesbo, creatrice di una scuola femminile decisamente emancipata dati i tempi. Entrambe hanno lasciato in aria l’ombra del loro respiro umano, ma il nome è giunto a noi per motivi differenti, l’una per la bellezza, l’altra per la creatività. Quante donne sono invece passate silenziose nei secoli, schiacciate sotto il regime totalitario dei maschi?

    Lo stesso Messia non ha avuto altro che Maddalene e Marie al suo seguito e naturalmente nessun Apostolo al femminile. La storia religiosa giunge a noi con possente voce di maschio ed è lo stesso per la storia civile.

    Santa Chiara rompe il silenzio indicando al mondo femminile la strada della sofferenza, dell’anoressia e della sopportazione, coi suoi biondi capelli recisi ad offesa della bellezza ed in omaggio ad una religione molto vicina all’autolesionismo. Questa lezione l’hanno ben compresa soprattutto le donne inserite in una società povera del passato, dove il loro volenteroso ed umile combattere giornaliero equivaleva al perpetuarsi della specie. Eroiche dunque queste formiche, passate inosservate sotto la sferza del destino, accomunate ai loro uomini nella volontà di esistere, malgrado ed in una società del malessere, che spesso rappresentava la negazione stessa dell’esistere. Per contrasto, proprio in quella perenne lotta con e per la vita, passava in secondo piano la differenza di genere: perché di fronte alla necessità pura della sopravvivenza ogni altra verità appare vana. Ma la donna, anche di fronte ad un ménage familiare a dir poco difficile, per secoli ha sopportato ogni sofferenza, anche quella fisica. C’è da chiedersi perché. In parte la risposta ci viene da Chiara Saraceno, sociologa della famiglia, che, a proposito della capacità delle donne di sopportare anche la violenza fisica dai loro uomini afferma: le donne sono cresciute da un mondo che le vuole pazienti, amorose, educatrici dell'uomo e attente ai suoi bisogni. Si sposano con l'idea di redimere il marito e quando non riescono in quest'impresa non si sentono abbastanza brave e all'altezza: la violenza maschile, quindi, è anche un po’ colpa loro.

    Ma le cose cambiano.

    Osservare la vita dall’esterno e viverla dall’interno vuol dire osservare e partecipare ad un processo evolutivo che sia o non sia apportatore di benefici ma comunque modificato e modificantesi secondo regole e principi che sono interni ed esterni ad esso.

    La donna in quanto realtà culturale, o soggetto di diritto, ricchezza del sistema o anche soltanto essere umano pensante singolo, si va affermando, appunto secondo un processo che taglia diagonalmente le varie realtà sociali ed attraverso un lungo percorso ad ostacoli fatto di studi e sperimentazioni, di sconfitte e vittorie, di proteste, realizzazioni positive ed errori e vuole giungere infine, non tanto ad una dimostrazione di parità con l’essere umano pensante di genere maschile, quanto piuttosto alla pretesa che le sia riconosciuta la propria differenza di genere, integrativa e non sostitutiva di quella dell’uomo.

    Non tanto, o almeno non sempre, dunque, una pretesa di parità, quanto quella più complessa di " conciliazione" del proprio universo donna, fatto di maternità, femminilità, e doti intrinseche, all’universo sociale della cultura, del lavoro, della legalità, della personalità, della certezza di un chiaro diritto ad essere, appunto, donna, senza uscire dalle logiche del mercato del lavoro o rientrare, di forza, in quello dell’estromissione professionale totale o parziale.

    Non essere più, donna, per essere individuo?

    Non paga. La società ne ha ricevuto i malefici effetti nella frattura delle famiglie, nella dispersione dei figli tra asili nido, asili infantili, parenti disponibili o estranei, nel prevalere di una logica della rinuncia all’essere, appunto, donna, laddove questo esserlo comportava altre ed apparentemente più gravi rinunce all’essere individuo.

    Pari opportunità è un termine in uso oggi, che tenta di divenire anche una realtà operativa, solcando i mari burrascosi di molte realtà difficili da modificarsi.

    Sono nate, tentano di crescere e di esistere, politiche a favore delle donne. Sono state pensate allo scopo di colmare il gap presente tra i due sessi nell'ambito di una rappresentanza forte e vera nel mondo del lavoro, della politica, della cultura, ma tutto ciò senza la rinuncia, appunto, ad essere donna.

    Le pari opportunità sono in realtà politiche giovani sia per l’Italia sia per l’Europa e politiche inesistenti per una parte sommersa, ma non nascosta del mondo che vorremmo dimenticare, per salvaguardare forse la nostra tranquillità psicologica, ma che non possiamo per nulla fingere non esista. In molte parti del mondo, difatti, la donna ha ben altri problemi che quello di un tetto di cristallo sopra la metaforica testa delle sue possibilità di carriera.

    In Italia ed in Europa le politiche di pari opportunità sono divenute operanti nei vari sistemi e sottosistemi e nella programmazione dei Fondi strutturali.

    Donne.

    Sono state primariamente le donne a riflettere su se stesse ed operare dei tentativi, più o meno brillanti a seconda della realtà storico-culturale, di modificare in meglio il loro inserimento sociale.

    Le due parole più significative sempre in relazione a tali riflessioni sono state differenza e genere ed hanno condotto a una controversia teorica fautrice di un bipolarismo sulle scelte da effettuarsi nel cammino delle politiche di pari opportunità. Il passaggio da un tempo dedicato alle lotte per l’uguaglianza a quello attuale, partito con gli anni novanta, dove si promuove piuttosto una logica dell’integrazione, è stato necessario, dati i mutamenti profondi che sono stati operati per tentare di realizzare nel mondo donna, uguali forme e misure sociali, culturali, politiche e religiose, del mondo uomo. Ma non ci siamo ancora. Non nel mondo intero, almeno.

    La lotta, alle basi è sempre stata per l’uguaglianza, nella convinzione che questa fosse la strada verso e per la conquista della soggettività. Essere. Inevitabilmente ci tocca ora chiedersi qualcosa di più preciso sulla natura di questo Soggetto, che la donna appunto vuole essere. Essere per essere uguale all’uomo? Con il femminismo dell’uguaglianza le donne hanno dimostrato appunto la volontà di essere uguali: ma uguali a chi, uguali in che modo ed a che scopo?

    E’ giunto dunque il momento in cui la donna rivolga la sua attenzione al mondo in cui si trova a vivere, creato maggiormente dall’uomo che, appunto, dalla donna. Che civiltà è questa in cui ci troviamo a vivere? Cosa significano i riti, i simboli, i fini, le aspettative nascoste e perché dovremmo farle nostre? Cosa sono queste professioni? Ci assomigliano? Le riconosciamo in quanto nostre e vogliamo davvero diventare ricche esercitandole?

    Dove, in breve ci conduce il corteo degli uomini colti? [2]

    La donna si sente spesso costretta in un mondo di simboli che non le appartengono. E’ pur vero che il paradigma del gender conduce ad interpretare le cause della disuguaglianza come insite in istituzioni sociali sessiste e in conseguenza vede nella loro abolizione o nella loro innovazione la strada più rapida e praticabile per la liberazione. Ma usando questa chiave di lettura evidentemente si dà grande valore agli aspetti materiali e sociali, trascurando in modo contestabile la dimensione simbolica della costruzione dell’identità sessuale, così come hanno denunciato le femministe della differenza e postmoderne. Occorre dunque agire alla base del problema, ossia sui meccanismi attraverso cui si rappresentano e sono rappresentate, si identificano o sono identificate appunto, le donne, prima ancora di combattere le istituzioni del patriarcato. In un sistema che si regge appunto, anche se spesso in modo subdolo, su un ordine simbolico, identificando il ruolo femminile coi vecchi stereotipi domestici, nessuna parità sancita costituzionalmente potrà essere di qualche garanzia. Adriana Cavarero [3],sostiene che il paradosso dell’uguaglianza si riveli nella doppia legge che regolamenta la donna: una giuridica, che le impone il paradigma dell’uguaglianza, omologandola al paradigma maschile, continuamente contraddetta da un’altra, simbolica, che insiste nel rinchiuderla in stereotipi domestici. La strada dell’emancipazione, che ogni donna oggi può percorrere, dunque non deve passare soltanto per la volontà politica, realizzarsi solamente attraverso una sia pur necessaria scelta razionale, ma tenere ben presente le complesse dinamiche dell’inconscio, dell’immaginario, dell’identificazione, che si profilano in molti canali del vivere quotidiano, compresi quelli radiotelevisivi. Non tenendo conto di questa doppia legge si corre il rischio che ogni donna si trovi al crocevia di dolorose scelte e conflitti.

    L’ideale sarebbe di potere contare sulla neutralità del soggetto. Mediante questo tipo di approccio femminista dovremmo illuderci di lavorare su di un soggetto neutro. Teoricamente il modello razionale umano a cui tendere nella strada dell’emancipazione e nella lotta per l’uguaglianza dovrebbe collocarsi insomma nettamente al di fuori della questione sessuale. Si dovrebbe essere in grado di dimenticare che storicamente lo statuto di soggetto sia stato destinato dagli uomini agli uomini e sostenere che tale eredità sia in ogni caso correggibile.

    Il pensiero contemporaneo e il femminismo della differenza non sono per niente convinti che possa davvero esistere un soggetto universale e neutro, capace di identificarsi e rappresentare un’umanità indifferenziata e di collocarsi al di fuori di qualsiasi specificazione sessuata. Molte femministe affermano, al contrario, che l’utopia del neutro rappresenti la trappola più insidiosa, non solo per il femminismo, ma in relazione ad ogni discorso di minoranza che accampi diritti di soggettività. Proclamando la possibilità di un soggetto universale, si correrebbe dunque il rischio di trasformare il maschile da discorso particolare, specificamente sessuato, a norma istitutiva di un’uguaglianza formale, per cui passino come normali, neutri e neutrali, le realtà che sono, di fatto, il frutto di secoli di esclusione delle donne dagli ambiti del potere e del sapere, e quindi strettamente connessi e compromessi con il patriarcato.

    Il Soggetto e la razionalità a cui si orienta il modello emancipazionista appare quindi tanto compromesso con il maschile e tanto costruito ed attinente all’esclusione strutturale del femminile, da sembrare non emendabile. Osservandola in questa ottica, la lotta per l’uguaglianza diventa, di fatto, un suicidio, un canale attraverso cui le donne si condannano da se ad omologarsi alle strutture medesime della loro oppressione. Purché non riescano a modificarle dal di dentro a proprio vantaggio.

    Risulta quindi, in linea di massima, illusoria qualsiasi prospettiva di individualità pura, spirituale, non inquinata dagli aspetti fisici e dall’autorità che è stata al comando per secoli e l’idea che la differenza sessuale, ossia l’essere donna o l’essere uomo, corporeamente parlando, possa divenire semplicemente un ornamento di facciata di nessun conto.

    Sine ira et studio.


    [1] Cfr.HEILBRUN G. Carolyn, (1988), Scrivere la vita di una donna,, Milano, 1990, p.69).

    [2] Woolf, Virginia, Milano, 1980

    [3] Esponente di spicco del Pensiero della differenza sociale. Scrittrice, filosofa, insegnante di filosofia presso l’Università di Verona.

    CAPITOLO PRIMO. La questione della segregazione femminile nell’analisi sociologica e nella filosofia

    1. - Stratificazione in base al sesso e al genere nelle tradizioni Sociologiche

    Il termine genere, che proviene dall’anglosassone gender, da circa venti anni ricorre nella terminologia relativa allo studio delle questioni riguardanti le stratificazioni sociali collegate al sesso e non rappresenta tanto la constatazione imparziale della presenza di una realtà sessuata, quanto il riscontro di una sperequazione presente appunto all’interno di questa realtà. In sociologia, è comunemente usato per definire quel tipo di studio sociologico teso ad analizzare la posizione femminile, non tanto e non solo come riferimento al suo essere sotto il profilo sessuale ma soprattutto alla base di carattere culturale e sociale che conduce l’individuo donna ad occupare il ruolo in cui, da sempre, sembra destinato.

    E’ nel genere che si esplicita il potere nella sua forma più pura, laddove, preso atto della naturale differenza insita nei sessi, questa stessa differenza è stata usata per costruire una disuguaglianza storica attraverso cui sono nati la divisione del lavoro, dei compiti quotidiani, l’ingresso alla sfera intellettuale nonché quella dell’immagine e dei simboli, tanto da realizzare nel tempo un divario discriminatorio sicuramente a svantaggio del genere femminile.

    Appare chiaro che le prospettive tese allo studio del genere siano essenzialmente interessate ad evidenziare quali sono i comportamenti che permettano la diversificazione dei ruoli maschili e femminili, partendo spesso dal presupposto che dipenda in gran parte proprio dalla socializzazione, la differenza di ruolo attribuita ai due sessi.

    Il femminismo, specie quello degli anni sessanta, ha rappresentato la personalità politica, sotto forma di gruppo d’interesse, che ha inteso porre in luce questa sproporzione, allo scopo di confutare il diritto stesso di questo svantaggio storico, ossia dell’egemonia che gli uomini erano stati in grado, fino a quel momento, di destinare a favore del proprio sesso in questa squilibrata e disuguale collocazione delle risorse.

    Il primo femminismo dunque non poteva altro che prendere visione del divario di potere e in conseguenza, preso atto della disuguaglianza, combatterlo politicamente, creando evidentemente una ripercussione nella società civile che ha modificato in conseguenza il suo primitivo andamento. Le politiche femministe hanno trovato successivamente strade differenti, soprattutto attraverso la creazione di nuove categorie per l’osservazione e l’esame storico. Da questa fase è nato un nuovo tipo di femminismo in cui il vocabolo genere ha assunto significati ben precisi, ossia quelli tesi a d evidenziare quanto vi sia di dato biologico e quanto di costruito socialmente nel rapporto di difformità presente ancora oggi tra uomini e donne. Usando una dichiarazione di Simone De Beauvoir potremmo sostenere quindi che " Donna non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell’uomo; è l’insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna." [1] Simone, libera pensatrice ed indipendente essere umano, non poteva credere nella realtà di un dato biologico producente, di base, differenze incolmabili, poiché ella stessa, donna, aveva la convinzione di avere superato di un balzo proprio quelle differenze.

    Il femminismo più attuale adotta quindi Il paradigma sesso/genere, poiché la differenza sessuale è intesa come costruzione sociale e aggiunta, ad un soggetto che le preesiste e che è originariamente neutro. Il sesso è considerato soltanto uno dei tanti dati biologici ed in conseguenza di ciò di per sé insignificante socialmente, su cui, in modo del tutto finalizzato alla parte maschile, la società ha costruito un potente sistema di ruoli e di rappresentazione della differenza che è appunto simboleggiato dal gender. Gli aspetti sociali e materiali che presiedono alla costituzione del gender, in conseguenza di questo paradigma, rappresentano dunque gli obiettivi della critica e della lotta femminista, in un sistema di affrancamento razionalistico e volontaristico. La donna, in quanto essere razionale, deve essere in grado di prendere coscienza di quali siano i legami, le catene e gli assoggettamenti che fanno di lei un Altro inessenziale e in conseguenza di ciò combatterli e, infine, liberarsi, affermandosi come soggetto, ossia come essere umano pensante.

    Dato per scontata la possibilità di modificare lo stato dei fatti, si giunge anche alla convinzione che gli stessi uomini, dapprima fautori della disuguaglianza, si debbano fare carico dell’eliminazione dei meccanismi perversi mediante i quali questa si è perpetrata nel tempo, divenendo quindi nello stesso tempo elementi di conflitto ma anche di complicità e di recupero della piena individualità femminile, in un’uguaglianza che possa anche significare rispetto e coesistenza delle diversità.

    E’ stato il pensiero femminile contemporaneo a riconoscere che la differenza sessuale è un significante che organizza la sfera sociale e quella simbolica che fornisce ad entrambe il loro centro di orientamento, a partire dal quale sia il sociale sia il simbolico si strutturano a livello profondo, si organizzano e articolano tutte le altre differenze al loro interno, a partire da quella più originaria, la differenza di essere donna/uomo. [2]

    Per il femminismo della differenza è dunque sostanziale l’asserzione di un soggetto sessualmente differenziato. La differenza sessuale, dapprima combattuta, in nome dell’uguaglianza sostanziale nei confronti di ogni sfaccettatura del sociale, costituisce, successivamente alla prima fase femminista, uno degli assi più importanti della soggettività ed è spesso indicata come differenza primaria sulla quale sono poi istituite e organizzate le altre differenze e opposizioni dicotomiche capaci di strutturare le culture.

    Cosa vuole dire la rivendicazione della la differenza sessuale? Senza dubbio una differenza decisiva e fondamentale su cui concentrare la riflessione. Il problema della differenza sessuale, della sua elusione da parte del pensiero occidentale e la soppressione simbolica del femminile, non risulta possibile perché la differenza sessuale, che la prima fase femminista, con la teoria dell’uguaglianza, intendeva in qualche modo porre in secondo piano, non è una differenza fra tante, ma " è" la differenza, quella che conduce la fase attuale dello studio di genere a considerare la necessità dell’utilizzo di un altro vocabolo, ricco di sfaccettature, possibilità e difficoltà su cui occorre tornare con insistenza: quello di conciliazione.

    Ma, restando nell’ambito della differenza sessuale occorre precisare che, nelle sue diverse espressioni, il femminismo postmoderno approda a modi di vedere l’essere donna come fatto puramente fisico e biologico che sconvolgono l’economia delle opposizioni binarie. In pratica sembra quasi che se ne vogliano liberare come della pelle scomoda di un serpente che cambia pelle per rinnovarsi, per cui ne sconvolgono i confini e ne mettono in discussione i dualismi: uomo/macchina, maschile/femminile, eterosessuale/omosessuale/ occidentale/esotico.

    Essere donna vuol dire dunque soltanto alterità, rispetto ad altre forme di

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