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Il letto del costruttore di yacht (South & Sexy Vol. 1)
Il letto del costruttore di yacht (South & Sexy Vol. 1)
Il letto del costruttore di yacht (South & Sexy Vol. 1)
Ebook271 pages5 hours

Il letto del costruttore di yacht (South & Sexy Vol. 1)

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About this ebook

Una mamma single e un miliardario. Una bellissima casa che ha bisogno del suo tocco professionale e un uomo bellissimo che ha ancora più bisogno del suo amore.

Una giornata ventosa… Un cartello pubblicitario che vola via… un tremendo schianto. Sophie Calhoun non sapeva come avrebbe potuto ripagare il danno a quella auto costosa. Sta lottando per riuscire ad aprire il suo studio di design e dare una casa a sua figlia.
Dalla Jaguar nera scende il furibondo magnate Rafe Severino, il costruttore di yacht di lusso. Furioso. Assolutamente splendido, e ha un disperato bisogno di una bravissima arredatrice di interni per la sua imponente villa sul mare.

Una storia commovente di famiglia, amore, perdita e correnti pericolose.

ATTENZIONE: Troverete un uomo determinato dalla pelle dorata che sa come muoversi sulle barche, con le persone e tra le lenzuola.    

LanguageItaliano
PublisherBadPress
Release dateOct 6, 2020
ISBN9781071556214
Il letto del costruttore di yacht (South & Sexy Vol. 1)

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    Il letto del costruttore di yacht (South & Sexy Vol. 1) - Kris Pearson

    IL LETTO DEL COSTRUTTORE DI YACHT

    (SOUTH & SEXY VOL. 1)

    Kris Pearson

    Una giornata ventosa... Un cartello pubblicitario che vola via... un tremendo schianto. Sophie Calhoun non sapeva come avrebbe potuto ripagare il danno a quella auto costosa. Sta lottando per riuscire ad aprire il suo studio di design e dare una casa a sua figlia.

    Dalla Jaguar nera scende il furibondo magnate Rafe Severino, il costruttore di yacht di lusso. Furioso. Assolutamente splendido, e ha un disperato bisogno di una bravissima arredatrice di interni per la sua imponente villa sul mare.

    Grazie a Philip per l’incessante incoraggiamento e per avermi aiutato a cavarmela con il computer. E grazie al mio vicino, Joseph, che mi ha raccontato la vita dei bambini dati in affido secondo il sistema Maori, dando così vita a un libro completamente nuovo.

    ––––––––

    Questa è un’opera di finzione. Nomi, personaggi, luoghi, ed eventi sono il frutto della fantasia dell’autrice e sono usati in maniera fittizia. Qualunque somiglianza con eventi reali, luoghi o persone, vive o defunte, è da ritenersi puramente casuale.

    Copyright © 2016 by Kris Pearson

    Tutti i diritti riservati. In base all’U.S. Copyright Act del 1976, nessuna parte di questo testo può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, memorizzata in archivi digitali o sistemi di recupero, senza il permesso scritto dell’autrice.

    SOMMARIO

    SOMMARIO

    Capitolo 1 - Bang!

    Capitolo 2 – Proposta a sorpresa

    Capitolo 3 – Viaggio in montacarichi

    Capitolo 4 – Sedere impolverato

    Capitolo 5 – Il rossetto della ex-moglie

    Capitolo 6 – Festeggiamento a champagne

    Capitolo 7 - Aumento della frequenza cardiaca

    Capitolo 8 – Intrappolata e tremante

    Capitolo 9 - Famiglie infelici

    Capitolo 10 – Il bacio della buonanotte

    Capitolo 11 - San Diego

    Capitolo 12 – Amore a distanza

    Capitolo 13 – Bugiarda, bugiarda, ti si allunga il naso

    Capitolo 14 – Cena dalla rosticceria

    Capitolo 15 – Vincere entrambi?

    Capitolo 16 – Pomeriggio di piacere

    Capitolo 17 – Non si torna indietro

    Capitolo 18 - Sospetto

    Capitolo 19 – Perle e diamanti

    Capitolo 20 - La notizia esplosiva di Faye

    Capitolo 21 – La fata fa le capriole

    Epilogo

    Capitolo 1 - Bang!

    Rafe Severino batteva le mani sul volante a tempo con una vecchia hit dei Rolling Stones. Gli Stones non ottenevano ‘satisfaction’ e nemmeno lui. La sua società, la Severino Superyachts New Zealand, sembrava inarrestabile. Ma a livello personale Rafe era perso in un vuoto cosmico.

    E lo sapeva.

    Non sopportava l’idea che il suo matrimonio fosse stato un disastro. Detestava essere l’ultimo dei figli a crearsi una famiglia. Detestava il modo in cui i suoi genitori riempivano di attenzioni i suoi fratelli minori e i loro figli, accorgendosi a malapena dell’esistenza del loro primogenito.

    Odiava ancora di più il fatto di risentirsene.

    Davanti a lui un pick-up occupò tutta la carreggiata prima di fare retromarcia in un vicolo. Rafe rallentò e poi si fermò per lasciare al guidatore spazio per manovrare.

    La brezza marina si era alzata. Una bandiera sventolava e sbatacchiava vicino all’asta. Una lattina di Coca Cola vuota rotolava nel canale di scolo. Dentro la Jaguar con il volume a palla, Rafe vide le due cose senza sentire nessuna delle due. La soddisfazione era molto lontana.

    Fece un respiro profondo e cercò di concentrarsi su qualcos’altro.

    Il suo sguardo vagò sulle gambe di una bionda, con i tacchi alti e un cartello a cavalletto in mano, che si stava avvicinando a una porta. Il vento le scompigliava le lunghe ciocche, nascondendole parte del viso come un velo dorato e sexy, ma c’era qualcosa in lei che gli sembrava familiare.

    Poi il vento le sollevò l’orlo della leggera gonna blu, catturando completamente la sua attenzione.

    Con evidente disappunto della donna il cartello cominciò a scivolare, e lui riuscì a leggerle sulle labbra una breve e secca imprecazione. Sorrise davanti alla sua evidente frustrazione e continuò a osservarla mentre con una mano cercava di afferrare i capelli svolazzanti, tenendo stretto il cartello pubblicitario con l’altra.

    E poi la riconobbe, era un’assistente di Faye. Josie o Susie o qualcosa del genere. Forse la sua ambiziosa ex moglie aveva dei nuovi uffici di cui non era a conoscenza? Si stava espandendo o fallendo?

    Preso da un misto di curiosità e dal ricordo delle buone maniere che gli aveva insegnato sua nonna parcheggiò la sua enorme auto e spense musica e motore. A quel punto una raffica di vento più forte strappò il cartello dalle mani della donna facendolo finire sul marciapiede. I due pezzi del cartello si staccarono e lei saltò su uno dei pezzi per tenerlo fermo a terra come una bambina che giocasse a Campana. L’altra metà volò via e colpì la parte anteriore della sua auto.

    Si sentì un bang. Uno schianto. Un suono che non prometteva nulla di buono. Rafe si unì alle imprecazioni della donna e scese dall’auto. Chiuse la portiera con un forte tonfo e si avvicinò per constatare il danno.

    La ragazza era rimasta come paralizzata, tutta gambe, gonna e capelli svolazzanti, come fosse appollaiata sulla sua piccola tavola da surf.

    Una volta raccolte le ciocche di capelli lucenti, sul suo viso apparve un’espressione di orrore e le pupille si dilatarono.

    La rapida ispezione di Rafe confermò che il fanalino posteriore doveva essere riparato al più presto. Le lanciò un’occhiataccia glaciale. «Bel lavoro.»

    «Mi dispiace tanto» rispose lei con una vocina spenta.

    Non fidandosi di quello che avrebbe potuto dire, Rafe estrasse il cellulare e iniziò a scorrere la rubrica per trovare il numero di telefono del concessionario della Jaguar.

    «Sono così dispiaciuta» ripeté lei. «La ripagherò in qualche modo.»

    «Ovvio.»

    «È stato un incidente» aggiunse lei un po’ sulla difensiva.

    Rafe alzò una mano per zittirla mentre il concessionario rispondeva. Si girò per continuare la conversazione e la concluse con «Verso le due? Grazie amico, ti devo un favore.»

    Riportò lo sguardo sulla donna. Adesso aveva le spalle dritte mentre stringeva forte metà dell’insegna e dall’espressione sembrava che stesse per salire sul patibolo.

    Cristo, dacci un taglio! Non è stata colpa sua e possono riparare l’auto per questo pomeriggio.

    «Sì, ha ragione» disse lui, addolcendo il tono di voce, rendendosi conto dell’evidente panico della donna. «Non è colpa di nessuno. Ero solo preoccupato di non poter usare l’auto stasera.»

    «Le cose brutte arrivano sempre tutte insieme» disse lei. «Almeno ce le siamo levate di torno. Prima il fanalino. Poi l’impossibilità di usare l’auto. E terzo, il mio cartello pubblicitario rotto. Ne avevo davvero bisogno.»

    Rafe si voltò e raccolse l’altro pezzo, integro ma sganciato dal cardine. «Non staranno mai insieme con queste viti così piccole. Josie, giusto?»

    Lei scosse la testa. «Sophie. E lei è il signor Severino. Ho lavorato...»

    «... per Faye. Sì, lo so. Le riparerò io il cartello.»

    «Perché dovrebbe farlo? Dopo averle danneggiato l’auto?»

    Rafe ignorò il tono tagliente della domanda. Aveva reagito in maniera eccessiva. Non c’era da stupirsi che lei fosse così permalosa.

    «Perché sono una persona disponibile. Mi stava dicendo di Faye?»

    «Faye? Faye e io... abbiamo preso strade diverse» borbottò lei, evitando il suo sguardo.

    «A quanto pare sembra una cosa ricorrente. Anche io e Faye abbiamo preso strade diverse.»

    «No! Quando?» disse d’impulso lei, guardandolo di nuovo con quei suoi enormi occhi grigi. Poi recuperò le buone maniere. «Mi scusi. Sono sorpresa. Non lo sapevo. Pensavo foste la coppia perfetta.»

    Sul viso dell’uomo apparve un cupo sorriso.

    «Ne ero convinto anch’io, fino a pochi mesi fa.»

    Quindi Faye aveva nascosto che si erano separati? Interessante.

    Rafe diede un’occhiata più da vicino al cartello. «Com’è questo posto? Sono bravi?»

    «Davvero molto bravi.»

    Rafe sentì un tono di sfida o di difensiva in quelle tre parole brusche. Aspettò che dicesse altro. Ma lei non lo fece.

    Pensò alla sua casa quasi finita e agli interni trascurati. «Ho bisogno di un arredatore d’interni. Qualcuno bravo come Faye.»

    Lei sbuffò. «Sono più brava di Faye. Io do veramente retta a ciò che vogliono i clienti.»

    «Lavora in questo posto?»

    «Questo posto è mio.» Sophie si voltò e aprì la porta, facendogli segno di seguirla. «Ci lavoro da sola. Ho aperto oggi, o l’avrei fatto se quel maledetto cartello non si fosse rotto.»

    «Lo riparerò io» ripeté lui mentre la seguiva all’interno. Il cartello pubblicitario era stato realizzato in maniera professionale ma il montaggio era una catastrofe. Offrirle la sua esperienza poteva compensare il suo scatto d’ira iniziale? Lo sperava. «Suppongo che abbia usato le viti vendute con le cerniere?» chiese, e poi si sorprese aggiungendo «Ha delle scarpe adatte?»

    «Come?» chiese lei, apparentemente stupita dal suo cambio repentino di argomento.

    «Come stavo dicendo, avrei bisogno di un arredatore d’interni adesso che non ho più Faye. Ho lasciato perdere tutto per un po’. Vorrebbe vedere la mia casa e fare un’offerta? È ancora un cantiere in costruzione. Non sarà possibile andarci se indossa quelle.» Le guardò i sandali col tacco alto e le caviglie sottili per poi salire ai polpacci dorati, contento di avere una scusa per osservarla meglio.

    «È serio? Un’offerta per occuparmi degli interni della sua casa? La casa di Faye? Dopo averle danneggiato l’auto?»

    «Dimentichi l’auto. Si può riparare. Sì, la casa sull’acqua. Ma non è più di Faye.»

    La guardò mentre Sophie chiudeva gli occhi e si mordeva il labbro inferiore mostrando i denti bianchi.

    «Non posso andarmene, abbandonando tutto» obiettò pochi secondi dopo. «Ho delle cose da organizzare.»

    «Faccia finta di non aver ancora aperto il suo studio. Sono solo le nove e un quarto.»

    «Ma avevo organizzato una festa di inaugurazione con bevande e stuzzichini per consentire ai clienti di vedere il mio nuovo studio. Ho mandato tutti gli inviti dicendo lunedì alle cinque.»

    «Allora ha un sacco di tempo.» Le porse l’altra metà del cartello. «Prenderò i miei attrezzi.»

    Mentre si dirigeva verso l’auto, pensò che Sophie non era rimasta affatto sorpresa quando si era offerto di fare quel lavoro manuale. Forse Faye si era preso gioco del suo passato? Dopo una breve riflessione, decise che non era nello stile di Faye. Era contenta di essere conosciuta come la moglie del fondatore di una società di successo, la Severino Superyachts, certo, ma lui avrebbe scommesso le palle che non aveva detto a nessuno di aver sposato un falegname di origini in parte Maori, proveniente da un piccolo insediamento nella foresta.

    Lo divertiva l’ironia di far arredare la casa dei sogni della sua ex moglie alla sua assistente più giovane. L’avrebbe ingaggiata, se fosse stata almeno un po’ brava. Dio solo sapeva che era arrivato il momento di fare qualcosa con quel posto.

    ***

    Sophie era quasi caduta dai sandali per lo shock. Rafe Severino? Qui? E le aveva offerto la possibilità di lavorare per lui?

    Perché mai era stata così scortese? Gli aveva detto che non poteva mollare il suo studio? Fare un’offerta per arredare la sua casa sarebbe stata l’occasione di una vita, il modo ideale per avviare alla grande la sua nuova attività. Se anche non ne fosse seguito un ordine, una volta che si fosse sparsa la voce che le avevano chiesto un’offerta i risultati sarebbero stati stupefacenti.

    Ma era rimasta assolutamente stupita dalla sua apparizione improvvisa. Si era così innervosita davanti alle ondate di puro potere maschile che si sprigionavano da lui, che le era sembrato di essere braccata da un grosso felino in cerca di prede.

    Lo guardò, come un passerotto ipnotizzato inchiodato sul posto, mentre lui si avvicinava alla lussuosa auto, apriva il bagagliaio e sollevava una vecchia cassetta degli attrezzi di metallo. E lo vide alzare lo sguardo mentre la portava dentro. Sopra le vetrine c’era un’insegna nuova lucida con la scritta SUBTLE a grandi caratteri eleganti e la scritta Studio di arredamenti d’interni in caratteri più piccoli.

    «Nome interessante» disse lui, chiudendo la porta mentre il vento cercava di aprirla.

    «Riassume il mio stile» disse lei. «Pacato, senza tempo, moderno senza essere stravagante. È quello che cerca per casa sua?»

    Lui scosse la testa. «Finora sono solo certo di quello che non voglio.» Le lanciò una rapida occhiata per valutarla. «Ho incontrato un tipo con un papillon e un cappello di tweed che voleva arredare il posto come un vecchio castello inglese. C’era un tizio che insisteva che un tocco di rosa shocking fosse l’ultima moda di Parigi...»

    «Craig Kennedy?» chiese lei, con un sorrisetto.

    «Lo conosce?»

    «Bene o male ci conosciamo un po’ tutti.» Cercò di nascondere il sorriso e sperò di sembrare professionale.

    «Okay, ho visto anche Hilda Bergermeyer con quei denti terrificanti e Willa Rushworth...»

    «È difficile da accontentare. Dicono che Willa sia brava.»

    «Non eravamo sulla stessa lunghezza d’onda.» Chiuse gli occhi per un attimo. «Voglio una casa con un’aria di famiglia. Qualcosa di semplice e informale. Un posto dove i miei figli possano crescere sentendosi amati e al sicuro.»

    Sophie restò sorpresa e provò una violenta fitta di dolore. Il suo ex capo aveva una famiglia di cui non aveva mai detto niente? Sophie aveva dovuto rinunciare alla sua amata figlia. Perché alcune persone avevano tutte le fortune?

    Fece un sospiro per calmarsi. «Faye non ha mai menzionato dei bambini.»

    «Non ci sono bambini» disse lui infastidito. «Faye non ne voleva, ma ci ha messo un po’ prima di farmelo sapere.»

    «Ah.» Le mancò la terra sotto i piedi e Sophie cercò qualcos’altro da dire mentre rifletteva su quella rivelazione personale del tutto inaspettata. Gli estranei a volte si scambiavano confidenze incredibili. Ricordava di aver aperto il cuore a una fiorista comprensiva quando era diventato ovvio che non poteva più tenere la piccola Camille con sé a Wellington. Parlare con la donna che conosceva a malapena, in quel negozio di fiori, le aveva dato più conforto che parlare dell’enorme problema con il suo medico o con la padrona di casa o con la sua migliore amica, Fran. E conosceva tutti loro molto meglio.

    «A volte quelli che vorrebbero non possono, e viceversa» azzardò lei, scorgendo il suo riflesso nella vetrina d’angolo e tentando di sistemarsi con le dita i capelli arruffati per avere un aspetto un po’ più ordinato. Oddio, era un disastro!

    Ma perché una donna non avrebbe voluto avere dei figli da lui? Sarebbero stati bellissimi, capelli scuri, occhi scuri e per quanto riguarda fare l’amore con lui per concepirli... Il pensiero le mandò letteralmente in pappa il cervello.

    Diede un’occhiata a quel volto spigoloso.

    Lui la fissò a sua volta per un attimo, poi lui si sollevò i pantaloni impeccabili sulle ginocchia e si chinò per occuparsi del cartello rotto.

    Il tessuto costoso rischiava di entrare in contatto con il pavimento di legno appena oliato. Si sentì attraversare da un’ondata di panico. E se si fosse rovinato i pantaloni? Corse alla toilette e prese un vecchio asciugamano blu scuro.

    «Si inginocchi su questo» lo implorò. «Ho finito di oliarlo solo ieri.»

    «Ha oliato lei il pavimento?» Si guardò attorno con più attenzione.

    «Ho fatto tutto io. È un po’ più piccolo di quanto desiderassi, ma la posizione è buona, proprio nel cuore del quartiere degli arredatori di interni.»

    «Ha anche dipinto le pareti?»

    «Mmm. Ho affittato un trabattello mobile, comprato la vernice e l’olio e mi sono buttata.»

    «È venuto bene.» Passò un dito sopra le assi lucide del pavimento e poi si alzò in piedi agilmente. Sophie attese nervosa la sua opinione.

    Lo sguardo dell’uomo vagava per il locale arioso.

    «Pericoloso farlo da soli, per una persona minuta come lei.»

    Lo vide calcolare l’altezza del soffitto e decise di ignorare il commento sulla sua altezza. Era un metro e sessantacinque quindi perfettamente nella norma. Lui doveva essere un bel po’ più di un metro e ottanta.

    «Non potevo permettermi di pagare nessuno» ammise lei. «All’inizio è stato pauroso, ma ho cercato di fare attenzione. Avevo bisogno di avere dei fondi per la scritta professionale dell’insegna e cose del genere...» Si interruppe quando lo sguardo di lui si posò di nuovo sul suo viso.

    «E un lampadario?» Il suo sguardo rimase fisso sul suo per alcuni secondi che parvero infiniti, e lei distolse lo sguardo e deglutì prima di poter parlare di nuovo.

    «No, pura fortuna. L’ho trovato qui, in una vecchia scatola. Ho pensato che fosse troppo bello per sprecarlo, quindi gli ho dato una pulita e ho comprato altre perle di vetro dal negozio di fai da te e... le ho aggiunte e l’ho appeso.»

    Si chiese perché glielo stesse dicendo. Lui sicuramente si poteva permettere qualsiasi cosa, e di certo non avrebbe voluto sapere quanto aveva dovuto star attenta ai soldi.

    «È un bel tocco» concordò, guardando le chiazze di luce bianca e gli arcobaleni verde mela chiaro e verde acqua che danzavano sulla vernice fresca illuminata dal sole. «Piuttosto grandioso per una donna con un budget limitato.»

    La stava prendendo in giro? Sophie lo guardò con la coda dell’occhio mentre lui occupava il suo spazio privato, alto, pelle scura, con un’aria snervante di assoluta autorità. Chiunque altro con una camicia immacolata e un completo Armani nero sarebbe sembrato ridicolo con in mano un grosso attrezzo elettrico. Nella mano enorme di quell’uomo sembrava assolutamente normale.

    «Bel giocattolo per un ‘ragazzo’» ribatté lei, indicando il trapano e chiedendosi da dove le fosse venuto quel coraggio.

    «Le dimostrerò di cosa è capace.» Un sorriso improvviso gli ammorbidì l’espressione austera. «Perché ha installato il tavolo da lavoro così lontano? Sembra professionale. Le persone vorrebbero vederla a lavoro.»

    Scosse la testa e cercò di sembrare pragmatica. Pragmatica? Si sentiva per lo più nervosa e non aveva per niente le idee chiare.

    «No, lì dietro posso collegare la lampada e il computer. E non volevo sentirmi come un pesce rosso in una boccia. E comunque ho pensato che fosse più importante avere i tessuti e le foto dove le persone potevano vederli.»

    Lui annuì e cominciò a camminare verso i pannelli attaccati alle pareti dove erano fissate le lucide foto e i piccoli campioni di colori di vernice, moquette, piastrelle e tessuti.

    «Quello lo riconosco. È uno dei lavori di Faye.» Indicò con un dito la foto di una sala da pranzo bianca e argento.

    Sophie sollevò il mento e lo fissò. «Circa la metà di queste sono di Faye. I clienti sono suoi, ma sono le mie idee e ne ho curato io la realizzazione.»

    Rafe le lanciò un altro devastante sorriso. «Non sia così permalosa.»

    «Ho lavorato sodo a quei progetti.» Sophie fece un respiro profondo

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