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Il consumo come attivit produttiva e creativa Paola Parmiggiani - La dicotomia moderna tra consumo e produzione: la passivit del consumo

rispetto alla produzione nei classici delle scienze sociali e nella teoria critica della societ di massa. - Il consumo come pratica significativa: appropriazione simbolica, demercificazione, vita sociale delle cose (antropologia culturale: G. McCracken, D. Miller; Appadurai, Kopytoff). - Il consumo come pratica quotidiana di utilizzo creativo delle merci, come forma di resistenza culturale (M. de Certeau). - Il consumo come forma di creativit simbolica (Cultural Studies). - Il prosumerismo tra libert e nuove forme di sfruttamento (G. Ritzer). Il mio compito oggi quello di proporvi alcune riflessioni teoriche sulla natura produttiva del consumo e sulle sue potenzialit creative. Nellintervento successivo al mio, Roberta Bartoletti contestualizzer la riflessione alle pratiche di produzione e creativit dei consumatori in rete e in particolare nei social media e, infine, Piergiorgio Degli Esposi affronter il tema da un punto di vista pi squisitamente metodologico, analizzando i metodi e gli strumenti per la ricerca sul prosumerismo in rete e nei social media. Riflettere sulla natura produttiva e creativa del consumo ci rimanda in primo luogo al rapporto tra produzione e consumo. Come ha evidenziato Ritzer in un saggio del 2009, con lo sviluppo della societ industriale consumo e produzione hanno cominciato ad essere considerati funzioni separate, creando una frattura rispetto alle societ pre-moderne nelle quali non vi erano rigidi confini tra queste attivit. Toffler (1980: 266) parla di un cuneo invisibile che si insinuato nelle societ della seconda ondata, separando queste due funzioni e generando quelli che noi oggi chiamiamo produttori e consumatori, ma che nelle forme primordiali economiche si configuravano piuttosto come prosumer, in quanto coinvolti simultaneamente in attivit di produzione e consumo. Con lo sviluppo delleconoma monetaria e del sistema di produzione industriale, consumo e produzione diventano ambiti di azione specializzati e del consumo, identificato con lespressione domanda di beni, diventa rilevante nella riflessione delle scienze sociali il momento dellacquisto, vale a dire la dimensione pi visibile, misurabile e interessante per il sistema di produzione, centro valoriale e motore propulsore del nuovo assetto societario. Se in passato luomo nel suo rapporto con gli oggetti era visto essenzialmente come un utilizzatore di beni la cui attivit era orientata ai valori duso, con lo sviluppo della societ moderna si inizia a parlare di un consumatore che acquista merci sul mercato. Da un lato, la produzione, alla quale spetta lattivit di creazione fisica e simbolica, che imprime i significati nelle merci attraverso il processo che va dalla loro ideazione, alla loro fabbricazione, promozione e, infine, distribuzione, dallaltro lato, il consumo, descritto nelle principali teorie sociologiche come unattivit passiva, alienante, omologante, subordinata alle regole della produzione, una minaccia per lautenticit del soggetto.

La teoria marxiana del valore di scambio, quella del consumo ostentativo di Veblen, le teorie critiche della societ di massa della Scuola di Francoforte e del radicalismo statunitense (Galbraith, Packard, ), la teoria del valore-segno di Baudrillard e della distinzione di Bourdieu, fino alla pi recente figura dellhomo consumens teorizzata da Bauman, sono tutte accomunate, per quanto tra loro molto differenti (per presupposti teorici e modelli interpretativi), dal fatto che negano al consumo valenze produttive e creative, non riconoscono al consumo la capacit di produrre significati, di creare modi duso alternativi a quelli previsti dal mercato. Esaurendo il consumo al momento dellacquisto, dello scambio sul mercato e focalizzandosi sulla dimensione strutturale della cultura, finiscono inevitabilmente per considerare il significato inserito nelle merci dallapparato produttivo come definitivo, non modificabile. Ma il consumo non si esaurisce nel momento dellacquisto, anzi, lo scambio sul mercato non che linizio di un lavoro di produzione simbolica sulla merce, in alcuni casi, anche fisica, da parte del consumatore (si pensi alla preparazione dei pasti o alle diverse forme del fai da te, come il montaggio e la rifinitura di mobili e arredi acquistati allIkea) Un processo di appropriazione o ricontestualizzazione, che si esplica nelluso che egli fa delle merci e attraverso cui ha la possibilit di personalizzarle, di trasformarle in beni dal significato personale. Ci serviamo di merci che dobbiamo de-mercificare affinche esse abbiano un senso per noi, traducendo i significati e gli usi degli oggetti pensati dal sistema di produzione e proposti dal sistema di promozione e commercializzazione. La dimensione produttiva del consumo si inscrive, infatti, nel processo di significazione: attraverso luso delle merci il consumatore prende parte al processo di attribuzione dei significati, rielaborando i significati impressi fino a quel momento sulle merci. Lantropologia culturale stata senza dubbio un terreno particolarmente fertile per lo studio del consumo come pratica di significazione. Lantropologo canadese Grant McCracken individua due stadi nel processo di attribuzione dei significati: nel primo stadio, la pubblicit e la moda trasferiscono i significati dal mondo sociale (il mondo culturalmente costituito) ai beni di consumo; nel secondo stadio, i significati impressi nei beni vengono rielaborati dai consumatori attraverso una serie di rituali di consumo. Mc Cracken individua quattro tipologie principali di rituali di consumo, tramite cui lindividuo si appropria simbolicamente degli oggetti che acquista sul mercato: i rituali di scambio (exchange rituals), i rituali di possesso (possession rituals), i rituali di mantenimento (grooming rituals) e i rituali di svestizione (divesment rituals). I rituali di scambio sono quelli che compiamo tutte le volte che facciamo un regalo per far s che il ricevente condivida i significati sentimentali, affettivi, esclusivi che noi attribuiamo al bene che gli doniamo e dunque alla relazione che abbiamo con quella persona. I rituali di possesso sono quelli pi comuni, che compiamo per personalizzare le merci, per sentirle nostre, e la cui mancata realizzazione pu comportare un sentimento di estraneazione nei confronti degli oggetti che possediamo, che non riusciamo a sentire nostri.

Se si tratta di una merce fisica lappropriazione inizia solitamente con leliminazione del cartellino del prezzo, prosegue con la sistemazione del bene in uno dei contesti del mio quotidiano, la casa, lufficio, lauto, e cos via e, al loro interno, un armadio, una libreria, una dispensa. Magari se si tratta di un oggetto di arredamento il suo arrivo nella stanza pu avviare una nuova riorganizzazione dello spazio. Si tratta delle piccole e banali pratiche iniziali dense di significato per il soggetto che comincia in questo modo ad attribuire agli oggetti un valore diverso e nuovo. Un esempio pi estremo quello della protagonista del romanzo di William Gibson Laccademia dei sogni, la consulente di marketing (pi propriamente la cool hunter allergica ai marchi) Cayce Pollard, (una insofferenza morbosa e a volte violenta alla semiotica del mercato talmente forte) che fa raschiare i bottoni dei suoi jeans Levis per cancellarne il logo. I rituali di mantenimento sono quelli che compiamo per rinvigorire, mantenere vivi nel tempo i significati personali che attribuiamo agli oggetti (ad esempio il mantenimento di certe caratteristiche fisiche del bene, come lestetica e la funzionalit di unauto consente al consumatore di rianimare i significati che egli trae dai beni). Infine, i rituali di svestizione sono quelli che mettiamo in atto per svuotare un bene dei significati che hanno assunto per noi prima di separarcene (svuotamento auto o casa prima di venderla o donarla) o che hanno assunto per altri prima di impossessarcene (un esempio la pulizia e il riarredamento di una nuova casa). Se lanalisi di McCracken evidenzia lassoluta mobilit dei significati e la natura provvisoria del loro legame con gli oggetti, lantropologo inglese Daniel Miller va oltre, individuando nella capacit di riappropriazione simbolica degli oggetti da parte dellindividuo una possibile via di uscita dalla condizione di alienazione, di estraneazione che ha origine nel sistema di produzione industriale: le merci alienanti, in quanto frutto della produzione industriale, vengono trasformate nellatto di consumo in beni inalienabili, in qualcosa che non pu essere n comprato n ceduto. Diversamente da G. Simmel, che poneva limpersonalit della produzione industriale e la facilit di compravendita allorigine del sentimento di estraneit che il soggetto metropolitano vive nei confronti degli oggetti di cui fa esperienza, sempre piu numerosi e facilmente sostituibili, con i quali non puo che sviluppare un rapporto meramente superficiale, che gli consente di passare da un bene allaltro con grande disinvoltura; Miller sostiene che possiamo definire il consumo come un lavoro di appropriazione simbolica, che traduce loggetto da simbolo di estraniazione a bene investito di connotazioni particolari ed inseparabili. La riappropriazione delle merci viene descritta da Miller come un processo attraverso cui la cultura di massa viene rielaborata e si ridanno alloggetto valenze personali. in questaccezione che Miller parla di un consumo produttivo, capace di un uso creativo del prodotto industriale. Nel processo di appropriazione non necessariamente la forma fisica del prodotto a mutare, anche se a volte ci avviene (si pensi al fai da te, o alla trasformazione degli alimenti nella preparazione dei pasti), ma la sua natura sociale, il suo significato simbolico, in modo tale che la merce viene trasformata in oggetto di consumo. Al tradizionale concetto di autenticit fondato su un processo di produzione propria (si consuma solo ci che si produce personalmente, controllando lintero processo di produzione), Miller ne contrappone

uno fondato sulla capacit di appropriazione simbolica, sulla propensione delle merci a distaccarsi dalla cultura di massa e ad essere personalizzate. Si tratta naturalmente di un processo tuttaltro che libero o autonomo per il consumatore, che nel suo lavoro sulloggetto acquistato deve confrontarsi con la biografia delloggetto, vale a dire con i residui di significato in esso sedimentati durante le prime fasi del processo di significazione, le fasi a monte, dal momento dellideazione della merce a quella della sua produzione e commercializzazione, in particolare attraverso il sistema pubblicitario. Come hanno osservato Arjun Appadurai e Igor Kopytoff (1986) gli oggetti hanno una loro vita sociale, una biografia che include momenti di mercificazione e momenti di de-mercificazione, in quanto possono entrare e uscire dalla condizione di merci in base alluso che ne viene fatto. Quindi, se consideriamo le merci sulla base delle loro modalit e contesti duso, esse appaiono irriducibili alle logiche della produzione e dello scambio monetario, anche se, naturalmente, la natura trasformativa o creativa del lavoro di appropriazione del consumatore dipende dalle risorse materiali e culturali di cui egli dispone. Come ha affermato lo stesso McCracken non sempre i consumatori portano a termine con successo i propri rituali di possesso: il consumatore potr dire che un oggetto, unautomobile, una casa, un indumento non gli mai sembrato suo loggetto allora diventa un paradosso, nel senso che il consumatore ne proprietario, ma non lo possiede. Ecco allora che in questi casi ci ritroviamo con oggetti che sentiamo come inutili, superflui, in un certo senso estranei. Che ci pentiamo di aver acquistato. Vero e che quella che per Simmel era una malattia cronica della societ metropolitana, vale a dire il possesso sterile, la mancata personalizzazione o de-mercificazione, come ineluttabile conseguenza della straordinaria crescita della cultura materiale, della moltiplicazione degli oggetti e dellenorme accelerazione della loro velocit di sostituzione, nella tradizione di studio dellantropologia culturale viene descritta in un certo senso come leccezione e non la regola. Lidea che il consumo sia una forma di produzione, di appropriazione creativa, al limite sovversiva, di beni destinati ad altri usi era gia stata sviluppata dallo studiodo francese Michel de Certeau nella seconda met degli anni 701, quando defini il consumatore un produttore silenzioso, un produttore simbolico o di secondo livello, un viaggiatore nomade che percorre creativamente i terreni altrui, un cacciatore di frodo che imprime sui beni di consumo un sigillo personale, il sigillo della sua soggettivit [cfr. Borrelli D. 2001: p. 291]. Qualificando il consumatore attraverso lo statuto di dominato tuttaltro che passivo o docile, de Certeau ha focalizzato la sua analisi sulle pratiche quotidiane, sui modi di fare quotidiani, su quelle che lautore ha definito le mille astuzie, gli inganni, le simulazioni attraverso cui si manifesta la straordinaria creativit delluomo comune. Il consumatore descritto da de Certeau luomo ordinario, che, attraverso un uso imprevedibile dei prodotti che gli vengono imposti dal sistema economico dominante, gioca con lordine sociale che lo sovrasta.


La prima edizione de L'invenzione del quotidiano stata pubblicata nel 1980, ma stata preceduta da una serie di articoli pubblicati tra il '75 e il '79. Cfr. Giard L., Storia di una ricerca, in de Certeau M., L'invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, Roma, 2001.
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A una produzione di I livello razionalizzata, espansionistica e al tempo stesso centralizzata, chiassosa e spettacolare, de Certeau contrappone il consumo che definisce come unattivit astuta, dispersa, che ... si insinua ovunque, silenziosa e quasi invisibile, poich non si segnala con prodotti propri, ma attraverso i modi di usare quelli imposti da un ordine economico dominante [de Certeau 2001: p. 7]. La cultura viene percepita dallo studioso francese come un campo di battaglia, nel quale i forti non sono mai invulnerabili e i deboli non sono mai privi di speranza. Alla strategia, gioco dei potenti e, in quanto tale, modello di azione peculiare della razionalit economica, politica e scientifica (le lites produttrici del linguaggio), de Certeau contrappone la tattica, gioco dei deboli, processo compiuto nel terreno dellavversario, che identifica con le pratiche di consumo, le pratiche del fare quotidiano. Nellaffresco tratteggiato da de Certeau, i consumatori vengono descritti come una maggioranza silenziosa, che attraverso le proprie pratiche quotidiane inconsapevole artefice di una resistenza culturale: comperare, usare, leggere, cucinare, guardare, sono attivit che presuppongono un cambiamento, non solo del soggetto, ma anche delloggetto e del contesto di riferimento. Ecco allora che assimilare significati non vuol dire necessariamente diventare simili a cio che si assorbe, ma piuttosto rendere quel che si consuma simile a cio che si e, farlo proprio, appropriarsene o riappropriarsene (p. 166). Una resistenza culturale che si fonda su una straordinaria e insospettabile capacit creativa: la capacit di inventare il quotidiano, di produrre usi degli oggetti alternativi rispetto alle interpretazioni prefigurate dalla produzione economica. Descritti come inventori di sentieri nelle giungle della razionalit funzionalista [de Certeau 2001: p. 69], ai consumatori viene riconosciuta dallautore la possibilit di produrre discorsi personalizzati, utilizzando un vocabolario ed una sintassi a loro preesistenti. Il loro fare quotidiano diviene attivit poietica e compositiva, una molteplicit di pratiche attraverso le quali essi si riappropriavano dello spazio organizzato dalle tecniche della produzione, riarticolano ci che il sistema offre loro. Per certi aspetti vicina alla figura del consumatore bracconiere e bricoler di de Certeau, quella di consumatore artigiano formulata da Colin Campbel (The Craft Consumer), che definisce un manipolatore consapevole. Un individuo che utilizza con grande discrezionalit i prodotti che acquista: vale a dire li completa, li mixa, li elabora secondo percorsi molto personali, e lo fa con competenza, amore e passione, proprio come fanno gli artigiani. Un consumatore che acquista tanti articoli, prodotti in massa, e li utilizza come materie prime per crearne di nuovi, che li reinterpreta come fossero dei semilavorati da completare, modellare seguendo itinerari soggettivi e creativi che molto spesso hanno poco a che vedere con le ipotesi e il progetto di chi produce. Dalla rielaborazione creativa degli alimenti pronti industriali utilizzati come ingredienti, alla rielaborazione della meccanica di unauto o di una moto, fino ad arrivare alla personalizzazione degli zainetti dei ragazzi, dei giubbotti, dei jeans, trasformati con luso di altri oggetti che diventano di ornamento (pupazzi, bedge, pins, ) in un mix unico. Le potenzialit creative e al limite sovversive delle pratiche quotidiane hanno costituito oggetto di studio e ricerca anche nellambito dei Cultural Studies britannici che, in continuit con de Certeau, si sono focalizzati sul gioco complesso di codifiche, de-codifiche e ri-codifiche degli oggetti di consumo.

Partendo da un concetto di cultura popolare di derivazione gramsciana (ovvero considerata n una forma degradata della cultura alta, n un movimento autonomo, spontaneo, proveniente dal basso) gli studiosi della scuola di Birmingham considerano la cultura popolare un campo di battaglia, nel quale si scontrano egemonia culturale dominante e forme di resistenza allomologazione. La cultura popolare e il frutto di mediazioni, scambi, trasformazioni, ibridazioni di elementi della cultura dominante, della cultura commerciale e dei fenomeni di resistenza. Partendo da questi presupposti, gli studi e le ricerche culturali britannici si sono concentrati sulle pratiche quotidiane attraverso cui si resiste e si contestano i significati dominanti. R. Silverstone parla di una particolare tensione al cuore del consumo, quella per cui nei nostri atti quotidiani di consumo esprimiamo la nostra irrimediabile dipendenza dagli oggetti materiali e simbolici della produzione di massa, e allo stesso tempo e nelle stesse azioni esprimiamo la nostra libert di partecipanti creativi alla cultura di massa. La natura trasformativa o creativa del lavoro di appropriazione del consumatore dipende, naturalmente, dalle risorse materiali e culturali di cui egli dispone. In molti casi, ci avverte Silverstone, finiamo per accettare lintero peso del significato pubblico impresso nella merce, in altri la stessa merce viene addomesticata e trasformata nel suo significato simbolico . In un celebre saggio Stuart Hall (1980) ha sostenuto che il processo di significazione un processo interattivo, ovvero possono esserci tante possibili letture. A un ordine culturale dominante che tende a imporre la propria classificazione del mondo, si contrappongono tre differenti modalit di decodifica del messaggio: - dominante-egemonica (conformista), che avviene quando chi riceve il messaggio lo interpreta attraverso il codice con il quale stato codificato dallemittente; - negoziata, che elabora proprie definizioni, pur non ponendo in discussione la legittimit del sistema di valori a cui il codice dominante rimanda; - oppositiva, che ridefinisce il messaggio sovvertendone i significati in modo deliberato. E soprattutto il terzo tipo di decodifica, tipico di alcune sottoculture giovanili studiate dalla Scuola di Birmingham, ma anche dei movimenti ecologisti, femministi, altra globalizzazione, sino ad arrivare alle nuove forme aggregative piu fluide, le cosiddette moltitudini, connesse allo sviluppo dei nuovi media, che lattivit di consumo si configura come una vera produzione di significati, un consumo produttivo trasformativo o creativo, grazie al quale vengono veicolate nuove forme simboliche. Come ha sottolineato Hebdige (1979) e proprio attraverso i particolare rituali di consumo che una sottocultura allo stesso tempo rivela i suoi segreti e comunica i suoi significati proibiti, e il modo in cui usa le merci che la separa dalla cultura dominante. Si pensi al significato identitario e nel contempo sovversivo delluso della spilla da balia da parte dei punk o della Vespa da parte della sottocultura giovanile dei mod. Va da se che una volta stabilizzate le nuove forme simboliche prodotte da una decodifica oppositiva verranno probabilmente fagocitate dal sistema produttivo/commerciale, diluendone il loro potenziale destabilizzante, in un incessante gioco di contaminazione reciproca.

Un processo di contaminazione che, se ci pensate, ha prodotto negli ultimi anni un allargamento, su entrambi i fronti, del campo di battaglia di cui parlava de Certeau: da un lato, si e assistito ad un ampliamento e affinamento delle strategie del potere, vale a dire della capacit di penetrazione delle logiche di mercato nel mondo della vita quotidiana. Pensate agli sviluppi del marketing in una direzione antropologica o etnografica: ci si mescola tra la gente, si annusa, si osserva, ci si immerge nelle narrazioni del quotidiano alla ricerca di genuina creativit, di autenticit. Dai cool hunter ai trends potter aziendali, dal marketing tribale e comunitario al marketing virale o del passaparola, sino ad arrivare a veri e proprie strategie di coinvolgimento dei consumatori, penso ai programmi di user-led innovation nei qulai i consumatori contribuiscono attivamente alla creazione di innovazione. Quasi paradossalmente, la produzione simbolica che de Certeau riconosceva al consumatore viene posta al servizio del potere economico, viene mercificata. Una sorta di commercializzazione delle conversazioni, dei significati, delle idee, dei comportamenti, delle esperienze e delle aspettative elaborati nelle pratiche (tattiche) del quotidiano, da alcuni denunciata come una nuova forma di sfruttamento del soggetto, nella sua veste di consumatore. Dall'altro lato, si e registrata unestensione della capacit produttiva dei consumatori, che da una dimensione meramente simbolica si allarga ad un ambito strumentale e materiale, in alcuni casi politico, dischiudendo ai consumatori la possibilit di partecipare alla ridefinizione delle regole del gioco, e a non limitarsi a giocare con esse. Penso in particolare alla diffusione di forme di consumo responsabile e sostenibile, o di consumerismo politico, che hanno contribuito a produrre una diversa narrazione delleconomia e del mercato che, a conferma della reciproca contaminazione tra tattiche e strategie, ha finito per condizionare, direttamente e indirettamente, le strategie di produttori e distributori, che hanno iniziato la corsa verso ladozione di strategie e azioni orientate a questa nuova sensibilit e attenzione sociale, nella consapevolezza del crescente e sempre meno trascurabile ruolo di una buona reputazione sociale, un capitale simbolico sempre pi prezioso per le aziende. Ma altrettanto evidenti dellinnalzamento della capacita produttiva e creativa dei consumatori sono le nuove forme di consumo offerte dal Web 2.0, quelle legate allo sviluppo dei social media e alla creazione di contenuti in rete, di cui vi parlera Roberta. In un recente saggio di George Ritzer e Nathan Jurgenson si sostiene che, sebbene il prosumer non sia stato inventato dal Web 2.0, e proprio grazie alla massiccia popolarita di molti dei suoi sviluppi, in particolare dei social network, che il processo del prosumption si e diffuso in maniera esponenziale, finendo per diventarne il principale facilitatore: da wikipedia a facebook, da youtube a twitter. Ritzer parla di una nuova forma di prosumersimo, che definisce digitale, e che contrappone, per certi versi, a quello tradizionale. Pur respingendo quello che lui definisce il falso dualismo moderno tra produzione e consumo, in quanto anche nel culmine della rivoluzione industriale produzione e consumo non sono mai stati, secondo lui, completamente distinti (i produttori consumavano materie prime e i consumatori producevano i loro pasti), Ritzer associa la progressiva rilevanza del fenomeno del prosumption tradizionale al processo di coinvolgimento dei consumatori nei processi di produzione, la messa al lavoro dei consumatori, accelerata con lavvento dei ristoranti fast food, prima, e delle variegate forme di self service, poi: dai distributori di benzina ai lettori dei codici a barre nei supermercati, dagli sportelli bancomat alla

diffusione di strumenti di automedicazione (misurazioni di pressione, test di gravidanza, glucometri, ...), dalla ricerca e acquisto di libri su Amazon alla prenotazione di un viaggio ferroviario o areo su Internet. Da un lato, si tratta di una forma di produzione del consumo che comporta un aumento degli spazi di libert per il consumatore, che accettando il suo ruolo di prosumer tradizionale si pu svincolare da vincoli di tempo e di spazio (si pensi alleliminazione della fila agli sportelli e alle casse o allo svincolamento dagli orari di apertura al pubblico di alcuni servizi come le agenzie viaggio o le librerie) e pu controllare direttamente una parte del processo di produzione, anticipando, in un certo senso, il momento della de-mercificazione, della personalizzazione della merce, prodotto o servizio che sia. Daltro lato, queste forme di prosumerismo tradizionale si traducono in un processo di sovraccarico dei consumatori da molti associato ad un innalzamento dei profitti paragonabile allabbassamento dei salari degli operai durante il primo capitalismo. Una nuova forma di sfruttamento, che attesterebbe una volta di pi la capacit del sistema capitalistico di creare profitto attraverso la massimizzazione dellefficienza e della razionalit. Diverso il discorso per le forme di prosumption digitale, legato proprio alla produzione e condivisione di contenuti sul Web 2.0. E questo per almeno due variabili: la difficolt o incapacit dei capitalisti di controllare i prosumer digitali e il fatto che il prosumersimo digitale si basa sullabbondanza dei contenuti e sulla gratuit del lavoro di chi li crea. Proprio la diffusione nel web 2.0 di una cultura della gratuit, della generosit, della condivisione porta a mettere in secondo piano lefficienza e a concentrarsi sullefficacia, sulla qualit dei prodotti e servizi di qualit, un aspetto che metta in discussione o comunque rende pi difficoltosa lattivazione della logica del profitto tradizionale. Ma su questo punto mi fermo e lascio la parola a Roberta Bartoletti. Riferimenti bibliografici di approfondimento
Bartoletti R. 2009, Il lato B della Barbie. La rivincita dei consumatori nel social web, in Network Effect (a cura di Mazzoli L.), Codice, Genova. Campbbell C. 2005, The Craft Consumer: Culture, Craft and Consumption in a postmodern society, in Journal of Consumer Culture, n. 5, pp. 23-42. Codeluppi V., Paltrinieri P. (a cura di) 2009, Il ciclo della merce: cambiamenti della produzione e del consumo, numero monografico di Sociologia del Lavoro, n. 116. Codeluppi V., Paltrinieri P. (a cura di) 2007, Il ciclo consumo come produzione, numero monografico di Sociologia del Lavoro, n. 108. Di Nallo E., Paltrinieri R. (a cura di) 2006, Cumsumo. Prospettive di analisi del consumo nella societ globale, Angeli, Milano. Douglas M., Isherwood B. 1979, Il mondo delle cose. Oggetti, valori, consumo, il Mulino, Bologna, 1984. de Certeau M. 1980, Linvenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, Roma 2001. Jenkins H. 2006, Fan, Blogger e Videogamers. Lemergere delle culture partecipative nellera digitale, Franco Angeli, Milano, 2008. Mazzoli L. 2009 (a cura di), Network Effect. Quando la rete diventa pop, Codice, Genova. Paltrinieri R. 2004, Consumi e globalizzazione, Carocci, Roma. Parmiggiani P. 2001, Consumatori alla ricerca di s, Franco Angeli, Milano. Ritzer G, Jurgenson N., Production, Consumption, Prosumption: The Nature of Capitalism in the Age of the Digital Prosumer, Journal of Consumer Culture, forthcoming. Ritzer G., Focusing on the prosumer. On Correcting an Error in the History of Social Theory, Paper presented at a conference on the prosumer at Johann Wolfgang Goethe-Universitat Frankfurt am Main FB Gesellschaftswissenschaften Institut fur Gesellschafts- und Politikanalyse, March 2009. Sassatelli R. 2004, Consumo, cultura e societ, il Mulino. Toffler A. 1980, La terza ondata, 1987.

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