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CAPITOLO 2
DALLA PREISTORIA ALLA ROMANIZZAZIONE
Poiché resti di ominidi datati circa mezzo milione di anni fa sono stati
scoperti sui colli Albani1 e a Torrimpietra, sul litorale tirrenico nei pressi di
Roma2, è probabile che anche il territorio falisco fosse sparsamente popolato
da tribù di cacciatori-raccoglitori negli intervalli tra le fasi parossistiche dei
vulcani dell’Alto Lazio, a quel tempo attivi. La presenza umana nel territorio
ha però lasciato numerose impronte dalla fine dell’ultima glaciazione, oltre
10.000 anni fa. Lo homo sapiens sapiens elesse come proprio il territorio
Vicano, geologicamente nuovissimo, in virtù del clima mite e salubre,
dell’abbondanza di acque sorgive, dei terreni ricchi di vegetazione e
selvaggina. Caverne naturali scavate dai torrenti nelle pareti tufacee delle
forre ospitarono comunità paleolitiche che lasciarono pietre e ossa lavorate.
Il concentrarsi degli studi sulle numerose grotte che si aprono lungo i
costoni a picco lambiti da corsi d’acqua o in prossimità di sorgenti hanno
permesso infatti di riconoscere una intensa frequentazione di questo tipo di
riparo, mentre solo rarissime tracce attestano l’esistenza di abitati all’aperto
(ad esempio nel territorio di Corchiano e di Sutri).
1
P.CHIARUCCI, Il Lazio Antico dalla protostoria all’età medio-repubblicana, in Collana
di studi sull’Italia Antica 3. Edizioni Paleani, Roma 1987.
2
T.W. POTTER, Storia del paesaggio dell’Etruria meridionale: archeologia e
trasformazioni del territorio. NIS, Roma 1985.
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U. RELLINI, Cavernette e Ripari preistorici nell’Agro Falisco, in Monumenti Antichi dei
Lincei XXVI, 1920, coll 5-172, riedito in M.A. Fugazzola Delpino in Testimonianze di
cultura appenninica nel Lazio. Firenze 1976.
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Il Paleolitico è suddiviso in tre fasi: Paleolitico inferiore (fino a 100.000 anni fa); medio
(fino a 40.000 anni fa); superiore (fino a circa 10.000 anni fa).
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Nell’ambito delle “cavernette falische” particolare spicco assumono le tre caverne
cosiddette dell’Acqua, della Stipe e Grotta del Vannaro nel territorio di Corchiano per il
carattere cultuale della frequentazione, perdurante, nelle caverne dell’Acqua e della Stipe,
ancora in età romana.
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M.P. BAGLIONE, Il Tevere e i Falisci, Quaderno del Centro di Studio per l’archeologia
etrusco-italica 12: Il Tevere e le altre vie d’acqua del Lazio antico- Settimo incontro del
Comitato per l’Archeologia Laziale, p.124 CNR (Roma) 1986.
F. DELFINO, Rapporti e scambi nell’Etruria Meridionale Villanoviana con particolare
riferimento al Mezzogiorno, Quaderni del Centro di Studio per l’archeologia etrusco-italica
13: Archeologia nella Tuscia II, CNR (Roma) 1876.
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L’età del Bronzo è suddivisa in quattro fasi: bronzo antico (prima metà del II millennio
a.C.); medio ( metà II millennio a.C.); recente (XIII-XII sec. a.C.); finale (fine del II-inizio
del I millennio a.C.).
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Pochissimi gli scavi sistematici che possono fornire dati utili ad una
ricostruzione dell’assetto socio-economico degli insediamenti di questa fase:
vanno ricordati a questo proposito, oltre lo scavo della Grotta del Vannaro
(Corchiano), quello dell’insediamento di Monte Venere a quota 600 m. s.l.m.,
sul lago di Vico (Caprarola), probabilmente di sponda e occupato fino alla
media età del Bronzo, e soprattutto gli scavi condotti a Narce (Calcata), sul
terrazzo fluviale lungo la riva sinistra del fiume Treja10.
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Scavi condotti dalla Soprintendenza alla Preistoria e all’Etnografia e dalla Scuola
Britannica.
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Gli scavi stratigrafici di Narce hanno messo in evidenza per questo sito
una continuità di insediamento anche nel periodo del Bronzo finale, ma
sembra trattarsi di un’eccezione rispetto ad un ben diverso comportamento
attestato nel territorio nel momento del passaggio dal Bronzo recente al
Bronzo finale.
In quest’ultima fase (culturalmente definita protovillanoviana e
convenzionalmente posta tra la metà del XII e la fine del X sec. a.C.), infatti,
la distribuzione degli insediamenti cambia radicalmente, passando dalle
posizioni aperte del periodo precedente all’occupazione di rilievi,
naturalmente fortificati, o difesi, nei lati più accessibili, da fortificazioni
artificiali.
Il fenomeno sembra allontanare l’agro falisco dai modelli di sviluppo
unitario dell’insediamento nell’età del Bronzo riconosciuti per l’Etruria, dove
è invece attestato un brusco abbandono delle sedi protovillanoviane all’inizio
dell’età del Ferro11 e dove gli abitati, esclusivamente agricoli, erano distribuiti
in modo radiocentrico verso il nucleo principale e non presentavano traccia
di fortificazioni; si presuppone quindi un sistema dove la popolazione viveva
in insediamenti unifamiliari sparsi sui propri campi, modello questo ripreso
dai romani.
Va invece osservato che nell’Agro falisco gli insediamenti del Bronzo
finale sembrano direttamente ricollegabili allo sviluppo dei principali centri
dell’età del Ferro.
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L’età del Ferro è posta tra l’inizio del IX secolo e la fine del III secolo a.C.
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A conferma di ciò la documentazione archeologica mostra, da un lato, l’arrivo precoce,
già nell’VIII sec. a.C., di oggetti di importazione provenienti dal mondo greco e orientale,
segni tangibili degli interessi commerciali gravitanti sulla bassa e media valle del Tevere,
dall’altro, l’interazione di influssi culturali di diversa provenienza, che si sovrappongono
ad una cultura che pure presenta fin dall’età più antica spiccati caratteri di originalità.
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Dapprima a figure nere e successivamente a figure rosse, anche di altissima qualità, e con
opere di maestri insigni della ceramografia greca.
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Non è improbabile tuttavia, ma l’ipotesi necessita di ampie verifiche, che questo centro
meridionale, così strettamente legato a Veio fin dalle più antiche manifestazioni della sua
cultura e che nel corso dell’età arcaica erige ben due santuari suburbani, segno di un certo
benessere economico, risenta in parte dei costumi funerari attestati a Veio, Capena e nel
Latium Vetus, dove essi risultano improntati ad una rigorosa severità.
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L. CALOI, M.R. PALOMBO, C. ROMEI, La fauna e l’allevamento. In Etruria
meridionale conoscenza, conservazione e fruizione. Atti del Convegno di Viterbo 28/29
novembre - 1 dicembre 1985. Roma: 1988.
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E.SERENI, Città e campagna nell’Italia preromana, in Studi sulla città antica. Atti del
convegno di studi sulla città Etrusca e Italica preromana. Bologna, 1970.
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però, per tutta la durata del bronzo, rimase ancora precario, e così i campi
venivano abbandonati o sfruttati a pascolo19.
Nel Bronzo medio e finale la pressione demografica accentuò lo
sfruttamento di tutte le risorse ambientali. Vi fu una diminuzione degli
ovicaprini, un incremento dell’allevamento di bovini e suini e la riduzione
della pratica della caccia. Un forte sviluppo lo ebbe anche l’agricoltura con un
incremento qualitativo e quantitativo di graminacee e leguminose.
Tra la metà del XII e la fine del X secolo a.C., la distribuzione degli
insediamenti passava da una localizzazione generalmente in luoghi aperti e in
prossimità dei fiumi, a delle posizioni naturalmente fortificate e meglio
difese: i tavolati tufacei, le alture collinari dei monti Cimini e Sabatini e le
aree pianeggianti in prossimità delle rive lacustri.
Ma è all’inizio del I millennio a.C. che si verificò un ulteriore
cambiamento nel sistema produttivo dell’Agro Falisco. La causa fu un
consistente aumento della popolazione con la conseguente diversa
utilizzazione del suolo: si iniziò ad applicare il sistema del maggese biennale
(o sistema dei ‘due campi’), il quale si estese su territori sempre più vasti,
consentendo una produzione controllata e stabile attraverso il riposo annuale
di una parte del terreno agricolo. Intorno ai maggiori insediamenti si
formavano nelle campagne numerose aziende rurali a stretto contatto con il
centro principale. Da un sistema insediativo polinucleare, dove i siti erano
distribuiti senza particolari gerarchie lungo le principali vie di comunicazione
naturali, si passava a una concentrazione degli insediamenti e a un modello
mononucleare verso il quale convergevano tutte le attività.
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E. SERENI, Città e campagna…, op. cit.
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G.CASORIA, La flora e le risorse agricole, in Etruria Meridionale, conoscenza,
conservazione, fruizione. Atti del convegno di Viterbo 29-30 novembre – 1 dicembre,
Roma 1985.
M. CASCIANELLI, Gli Etruschi e le acque. Ebe, Roma 1991.
21
E. SERENI, Storia del paesaggio agrario italiano. Laterza, Bari 1979.
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G. CASORIA, La flora e le risorse…, op. cit.
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Camillo riuscì ad avere ragione della città solo grazie al tradimento di un maestro di
scuola (Livio V, 27).
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della campagna; circa l’80% delle fattorie identificate nell’agro falisco risulta
abbandonato, con molta probabilità in conseguenza della conquista romana
del territorio.
Non è senza significato infatti che i pochi insediamenti rurali che
attestano una continuità di occupazione si trovino invece nel territorio di
Nepi, che mostra ancora una volta quindi la sua posizione privilegiata in
Il giallo storico di Falerii Novi
quanto colonia romana fin dal 383 a.C.
Eutropio, storico latino del IV sec. d.C., descrive così la distruzione di Falerii Veteres da
parte Lo
dei spopolamento
Romani: “ i nuovi della campagna
consoli viene d’altra
Quinto Lutazio e Aulo parte
Manlioadmossero
incidere su quel
guerra ai
Falisci, la cui città era un tempo assai potente. In sei giorni presero la città, causando
complesso di attività
ai nemici 15.000 morti agricole che costituiva
e accordando ai superstiti la base
una produttiva
pace, prendendosidelperò
territorio.
metà del
loro territorio”.
Per le gravi ripercussioni sul piano economico, dunque, Roma dovette
Secondo i testi storici, infatti, i potenti colonizzatori romani nell’ultima e decisiva
guerra contro
cercare di far ilfronte
fiero al
popolo Falisco,difurono
fenomeno particolarmente
abbandono spietati e sanguinari.
delle campagne, attraverso
Falerii Veteres, capitale falisca ornata con bellissimi templi urbani e suburbani è
una politica diincendiata
saccheggiata, occupazione e dirasa
ed infine intensa utilizzazione
al suolo. del suolo,privati
Gli abitanti superstiti, che dovette
d’armi,
cavalli, beni mobili e schiavi, furono trasferiti in una zona pianeggiante a circa 6 km di
avere i suoi
distanza, in unfrutti,
ampiosepianoro
in etàtufaceo
repubblicana assistiamo
ricco di acque sorgive, allo sviluppo
solcato dal fossodiRio
nuove
del
Purgatorio, dove nacque la nuova città, Falerii Novi.
ville rustiche e fattorie disseminate in ogni angolo del territorio25.
Recentemente alcuni archeologi hanno fatto un monitoraggio del sottosuolo, reso
possibile da una moderna strumentazione magnetica, il quale ha permesso d’individuare
con assoluta certezza l’ubicazione d’aree urbane con templi, portici e lastricati sinora
non interessati da scavi ed indagini archeologiche.
L’ipotesi storica di questa squadra di archeologi si può sintetizzare in una strategica
alleanza tra i due popoli: un patto, l’ultimo stipulato nella diatriba storica tra Falisci e
Romani. I Romani integrarono questo popolo lasciando loro libertà di culto e futura
sopravvivenza grazie alla costruzione della Via Amerina, tracciato viario realizzato
nell’espansionismo verso il centro-Italia, ed i Falisci, da par loro, si occuparono di
edificare Falerii Novi nello stesso territorio in cui era già insediato un piccolo villaggio
falisco.
Questa ricostruzione di eventi, totalmente diversa da ciò che abbiamo letto ed imparato
nei testi storici e nei libri di approfondimento locali, presenta in pratica un’integrazione
del popolo falisco nel processo di “romanizzazione” del centro Italia.
Indagini archeologiche e fortunosi ritrovamenti archeologici provenienti dall’area
extraurbana di Falerii Novi in loc. Pradoro, forniscono elementi di conferma a questa
nuova ricostruzione storica. In una tomba a camera composta da più di 70 loculi, una
campagna di scavi effettuata tra il 1990 e il 1995 dalla Soprintendenza Archeologica per
25 l’Etruria meridionale riporta alla luce, tra gli oggetti, diversi frammenti di grandi vasi di
Una colonia Iunonia, recentemente identificata con Falerii Veteres e che si pone
ceramica a superficie
tradizionalmente argentata:viene
in età graccana, crateri, vasi e lampade
ricordata a muro con decorazioni figurate
dalle fonti.
a rilievo prodotti negli ultimi decenni del III sec. a.C.; produzione destinata, secondo tali
studiosi, alle classi sociali ricche provenienti da Falerii Veteres. Se ai Falisci superstiti
tutto era sequestrato, come potevano permettersi quei ricchi corredi?
Come mai alcune famiglie provenienti da Falerii Veteres, nella nuova città aumentarono
il loro prestigio sociale e ricoprirono alte cariche pubbliche? È possibile che scendendo
a patto con i Romani si sia evitato, con astuzia,35 il pesante tributo di sangue storicamente
descritto? Di sicuro nel sottosuolo di Falerii Novi è nascosto qualche capitolo di storia
che ci appartiene…
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G. CERRI, P. ROSSI, La via Amerina e il suo paesaggio. Forme, colori e sensazioni di
un percorso storico e naturalistico tra Nepi, Civita Castellana e Orte. Ninfeo Rosa 5, Ed.
Biblioteca Comunale Civita Castellana 1999.
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Fonte: SEBASTI R., Storia degli insediamenti nella zona del Parco suburbano del
Treja. Regione Lazio, Comuni di Mazzano R. e Calcata 1999.
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E. SERENI, Storia del…, op. cit.
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Decumanus e cardo sono gli elementi costitutivi del paesaggio agrario romano; essi
determinano una limitatio regolare spesso in centurie, quadrati di 710 m. di lato equivalenti
a 2700 piedi per una superficie di 50 Ha; o in strigae o scama se il lotto risulta
rettangolare.
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Il sistema di allevamento a ‘palo vivo’, chiamato anche ramputinum, consisteva nel
sostenere i tralci di vite tramite sostegni, di solito alberi, a differenza del sistema greco
(alberello) dove la vita cresceva senza sostegno. Le piante utilizzate per il ‘palo vivo’ erano
diverse, ma quelle preferite erano dotate di fogliame poco denso così da non togliere sole
alla vita: salice, olmo, frassino, fico, olivo, tiglio, acero e anche la quercia.
Il sistema a ‘sostegno morto’ si basava sull’utilizzo di semplici pali o da gioghi: il primo
poteva essere costituito da palanche, pali, canne; il giogo da pertiche, canne e corde.
R. BONACELLI, La Natura e gli Etruschi, in “Studi Etruschi”, II. Firenze 1928.
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Falisco soprattutto per la fibra dalla quale si ricavavano abiti, vele, reti da
caccia e da pesca.
Gli arboreti si diffusero relativamente tardi in relazione alla modifica
del sistema proprietario. Questo, verso la fine dell’età repubblicana, passò
dalla piccola proprietà a una concentrazione di fondi con l’utilizzo sempre
maggiore di manodopera servile.
Questa tendenza ad accentuare la proprietà terriera (latifundia) avrebbe
ridotto il numero delle piccole proprietà di contadini-coloni. La fine del ceto
agricolo e l’inizio della decadenza della coltura granaria si sarebbero
accompagnati anche a una trasformazione dell’assetto socio-economico.
Diverse zone furono inglobate nei latifondi e lasciate a un’economia
soprattutto pastorale che si accentuò in età imperiale.
Assunse importanza il trifoglio e le colture prative in generale, le quali
consentivano di ottenere il massimo rendimento produttivo.
La villa rustica, oltre a essere una grande azienda agraria, fu anche il
luogo dove la cultura romana esibì il proprio senso estetico e paesaggistico.
Roma sviluppò il concetto di verde legato al gusto del bello e del diletto
personale, tanto da arrivare, nelle grandi ville suburbane, alla trasformazione
di parti di territorio con funzioni diverse e legate a quanto di nuovo, dal punto
di vista architettonico e filosofico, proveniva dall’Oriente ellenizzato.
Il paesaggio subì un nuovo cambiamento e un ritorno, si può dire, al
sistema del ‘campo aperto’. Questo perché l’antico frazionamento della
proprietà, quello a ‘campi chiusi’, e il suo disegno in lotti, si dissolse in forme
aperte e meno rigide, forme che, nel Basso Impero, con la crisi della
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“Non si tratta solo di un processo di degradazione del paesaggio agrario, ma anche di una
progressiva disgregazione delle sue forme più precise…..Da un regime e da un paesaggio
di ‘campi chiusi’ già si rileva la tendenza al passaggio ad un regime a ‘campi aperti, nel
quale tutte le terre del saltus, appunto sono aperte, dopo il raccolto, al pascolo promiscuo
delle greggi.” (E. SERENI, Storia del paesaggio…, op. cit.)
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“Nell’Agro Falisco il 40% dei siti fu abbandonato nel 300 d.C. e il 50% alla fine del IV
secolo.” (T.W. POTTER, Storia del paesaggio…, op. cit.)
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T.W. POTTER, Roman Italy, British Museum Press, 1992.
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L. QUILICI, Le strade. Viabilità tra Roma e Lazio. Quasar, Roma 1990.
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