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LOREDANA POLEZZI

Universit di Warwick

La mobilit come modello: ripensando i margini della scrittura italiana

In un articolo almeno in parte ironico uscito di recente su la Repubblica e dedicato alla difesa del punto e virgola, Pietro Citati lamentava la nefasta influenza di un sempre pi diffuso sottoinglese per menti povere, prodotto dalla proliferazione delle molteplici forme di world-English e capace di alterare, semplificandola indebitamente, la ricchezza e leleganza della lingua inglese 1. Sul caso parallelo dellitaliano, Citati commentava:
Lo scrittore italiano del 1825 o del 1900 o del 1935 combatteva con una lingua rigida, quasi cadaverica. Oppure, la vera lingua italiana stava nascosta nel suo corpo apparente, e il romanziere e il poeta dovevano riscoprirla e reinventarla, ogni volta che componevano un libro. Cos fecero Manzoni, Leopardi e Gadda. Negli ultimi cinquantanni, litaliano scritto diventato una lingua moderna. Nessuno prova impaccio a raccontare un aneddoto: ci che gli italiani non erano pi capaci di fare. Un dialogo elegante e quotidiano lo scoglio contro cui ha urtato per due secoli la nostra narrativa riesce anche a scrittori di mediocre talento. Possiamo tradurre da qualsiasi stile. La lingua italiana agile, flessibile, ondulata, melodica, colorita: ma appena lo vogliamo pu diventare un grandioso strumento intellettuale, con una dignit, unautorit e una solennit che ci ricordano il suo vecchio sangue latino. (p. 24)

Pur con tutte le credenziali internazionali di Citati e della sua personale esperienza di scrittura, si avverte in questa descrizione la visione di un italiano che, per quanto ricco e ondulato, resta dominato da unidea accentratrice e

1 P. Citati, Non uccidete leleganza del punto e virgola, in La Repubblica, 7 aprile 2008 (pp. 1 e 24).

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singolare (nel senso grammaticale della parola) di lingua nazionale, cui la scrittura di natura letteraria legata a doppio filo: da un lato come aspirazione di chi scrive (e magari anche di chi parla in un italiano a un tempo elegante e quotidiano), dallaltro come modello canonico capace di informare la lettura, specie quella professionale e critica. Questa concettualizzazione del rapporto diretto tra lingua e letteratura nazionale resta a tuttoggi la pi diffusa e sostiene la riproduzione, sia pur con varianti temporanee e localizzate, di gerarchie di valore tendenti a escludere certi tipi di scrittura e privilegiarne altri: la letterariet di unopera si ritrova frequentemente associata alla sua centralit, e, mentre lo sperimentalismo pu trovare spazio e ascolto in una prospettiva che rimane prevalentemente canonica, vaste aree di produzione testuale ne risultano marginalizzate o escluse prime fra tutte quelle che accentuano i tratti dellibridit linguistica e culturale. Linsistenza su prospettive critiche di questo stampo appare oggi fortemente riduttiva, se non paradossale, alla luce della crescente mobilit geografica e culturale che caratterizza il panorama italiano in genere e le forme di produzione testuale al suo interno. In questo articolo si intende esaminare il binomio letteratura/lingua nazionale nel contesto italiano contemporaneo, aprendo un dialogo con alcune delle proposte critiche che hanno caratterizzato il panorama internazionale negli ultimi anni, tra cui il rinnovato dibattito sulla nozione di world literature e quello su nuovi e vecchi modelli di cosmopolitismo, come pure le recenti riconcettualizzazioni delle nozioni di traduzione (linguistica e culturale) 2 e di autotraduzione. Lintento quello di provare a ri-immaginare la mappa della scrittura italiana in termini che non accentuino il contrasto tra omogeneit ed estraneit, ma sottolineino piuttosto linfuenza fondamentale della variazione e della differenza, della complessit e della flessibilit, di un italiano (e di un panorama letterario italiano) che non sia pi esclusivo e centralizzante, ma inclusivo e sfumato ai margini. In altre parole, la domanda : come si pu ripensare la scrittura italiana prendendo la mobilit come modello? Orizzonti teorici Il recente dibattito sul concetto di world literature specie nelle sue due incarnazioni pi note: la repubblica mondiale delle lettere di Pascale Casanova (1999/2004)3 e i modelli sistemici della circolazione dei generi letterari, primo fra tutti il romanzo, proposti da Franco Moretti (2004) appare dominato

2 Sulla nozione di traduzione culturale si veda ASAD, 1986 e 1995; per una discussione del rapporto tra mobilit e traduzione si rimanda anche a POLEZZI (2006). 3 Tutti i riferimenti sono alla versione inglese del testo.

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da una visione fortemente gerarchica delleconomia letteraria come sottosistema del mercato globale. In questottica, la circolazione di singoli testi e il valore loro attribuito sono da leggere in funzione della rispettiva posizione in rapporto alle grandi capitali della cultura mondiale. Per Casanova, in particolare, solo attraverso la loro assunzione allinterno di questi centri culturali che scrittori appartenenti a culture periferiche possono acquisire effettivo status letterario (un processo definito come litterisation; 2004, p. 135)4. Per Moretti, daltro canto, il sistema di circolazione internazionale caratterizzato da ineguaglianze che costringono le letterature situate ai suoi margini a trovare compromessi strutturali con i modelli dominanti (2004, pp. 156-57). Per entrambi gli autori, i processi di traduzione svolgono ovviamente un ruolo cruciale nelleconomia letteraria globale. Casanova, in particolare, assegna ai traduttori (almeno a quelli che operano nelle lingue delle grandi capitali letterarie) il ruolo centrale di mecenati e patroni nei confronti di autori provenienti da culture marginali (2004, pp. 20-21, 133), mentre descrive la condizione dellessere tradotti (ovviamente per chi proviene dalle periferie) come una situazione a un tempo inevitabile e tragica (ibid., 254-58). Moretti, per parte sua, sottolinea come proprio attraverso la traduzione i modelli prodotti da culture dominanti riescano a creare interferenze in quelli espressi da lingue e societ periferiche (2004, p. 150 e p. 159). In ultima analisi, e pur con i dovuti distinguo, il processo che i due critici descrivono resta inevitabilmente unidirezionale: innovazione e consacrazione letteraria sono entrambe emanazioni del centro (geografico, culturale, economico) in una cartografia che sembra in fondo riprodurre in prospettiva mondiale gerarchie di valore e potere gi ben familiari sia nel contesto delle letterature nazionali (in questo caso su scala ridotta) che in quello delle economie coloniali (specie quelle di stampo imperiale). Formulato in questi termini, il dibattito sulle nuove prospettive globali della produzione letteria rischia quindi di risultare tuttaltro che innovativo e di continuare a imporre visioni centralizzanti (oltrech, per definizione, macroscopiche) su un panorama in realt ben pi complesso e differenziato, che sarebbe meglio descritto non da binarismi quali centro/periferia, maggioritario/minoritario, ma da una nozione flessibile e variegata di mobilit intesa come rete di spostamenti, relazioni, appartenenze e riferimenti (rimandanti anche, ma non solo, a canoni e modelli letterari). Allo scrittore tragicamente incatenato alla propria identit linguistica (e con questa alla posizione occupata da una ipotetica cultura nazionale fissa e monolitica, anchessa ancorata alla lingua) si sostituisce allora limmagine di una creativit individuale non certo pacificata e facile, ma comunque capace di attingere da esperienze e contesti multipli, in cui, come ha recente-

4 Per una critica puntuale del modello proposto da CASANOVA (ed in particolare del suo etnocentrismo), si veda ad esempio PRENDERGAST (2004).

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mente scritto Roberto Derobertis in relazione alle scritture migranti, [s]i scolla letteralmente ladesione tra la lingua dellespressione letteraria e la tradizione letteraria. La memoria, la fantasia e il desiderio, sofisticati dai procedimenti letterari, mediano il difficile rapporto tra passato e presente tracciando le linee incerte di nuove configurazioni esisitenziali. Laltrove disegna nuovi spazi e nuovi tempi dellessere al mondo (2008, p. 32). Si riguadagna in questo modo, tra laltro, una dimesione microtestuale dello studio della letteratura su scala transnazionale, accentuando la natura poliglotta e multicentrica di quella che James Clifford ha chiamato travelling literature (1997) e lindividualit complessa, a un tempo diffusa e irripetibile, di chi la produce. a questo tipo di individualit poliforme e multilingue che fa riferimento, ad esempio, la famosa descrizione data da Salman Rushdie della propria condizione di perenne e ineludibile traduzione intesa come condizione incombente sulla propria esistenza, ma anche come condizione necessaria della scrittura che ne emerge:
The British Indian writer simply does not have the option of rejecting English, anyway. His children, her children, will grow up speaking it, probably as a first language; and in the forging of a British Indian identity the English language is of central importance. It must, in spite of everything, be embraced. (The word translation comes, etymologically, from the Latin for bearing across. Having been borne across the world, we are translated men. It is normally supposed that something always gets lost in translation; I cling, obstinately, to the notion that something can also be gained.) Indian writers in these islands, like others who have migrated into the north from the south, are capable of writing from a kind of double perspective: because they, we, are at one and the same time insiders and outsiders in this society. This stereoscopic vision is perhaps what we can offer instead of whole sight. (1992, pp. 17-19)

Viene anche fatto di pensare al monolinguismo dellaltro (vale a dire allimpossibilit di ogni utopia monolingue) descritto da Derrida (1996). O alla celebrazione del traduttore (e dellautotraduttore) come apostata e agente doppio proposta da Paolo Fabbri, per il quale il traduttore appunto lunico ad aver compreso che la non riducibilit dei sistemi in realt una favola legata ai loro meccanismi interni di autoriproduzione e sopravvivenza, che in pratica i sistemi sono sufficientemente aperti per essere tradotti, e che i traduttori, muovendosi da un sistema allaltro, divengono di fatto commisuratori dellincommensurabile: traditori, come vuole il detto, ma traditori encomiabili, perch soltanto il traditore, la spia, lagente doppio, linfiltrato nellaltra cultura, sono i personaggi eroici, anzi il Messia stesso (2000, p. 86 e p. 95). Lincitamento a pensare in termini di mobilit, multivocalit e traduzione arriva quindi da molteplici ambiti teorici. Altri riferimenti dobbligo vanno da un lato a Bakhtin e al suo concetto di eteroglossia (1982), dallaltro alla definizione di letteratura minore sviluppata da Deleuze e Guattari in connessione con la figura e lopera di Franz Kafka (1986). Connesssioni forse almeno in parte meno ovvie, ma altrettanto nette, portano in direzione delle riletture contempo-

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ranee del concetto di cosmopolitismo e, come da aspettarsi, della teoria della traduzione, specie cos come questa si andata configurando negli ultimi decenni in ambito anglosassone. La storia dellidea di cosmopolitismo complessa e tuttaltro che limitata a una dimensione squisitamente eurocentrica. In una prospettiva di lungo periodo, Sheldon Pollock ha sottolineato come tale storia non solo abbia carattere mondiale, ma evidenzi anche la possibilit di costruire modelli di diffusione linguistica e produzione letteraria in cui risulta assente, o comunque non dominante, lassociazione affettiva e quasi biologica tra lingua e identit nazionale, evitando cos lesclusivit possessiva del rapporto tra individuo e lingua madre, come pure le relative metafore di abbandono e tradimento (2002). In un contesto pi direttamente legato a prospettive e realt contemporanee, Steven Vertovec e Robin Cohen, hanno parlato di individui che sono oggi more than ever, prone to articulate complex affiliations, meaningful attachments and multiple allegiances to issues, people, places and traditions that lie beyond the boundaries of their resident nation-state (2002, p. 2). Altrettanto pertinente, nel contesto di una critica di modelli di circolazione letteraria (ma non solo) basati sul binomio centro/periferia, lidea di cosmopolitismo critico formulata da Walter Mignolo e caratterizzata da una complessa rete di intersezioni tra culture e realt (quasi) mai formulate come interamente distinte e separate:
If you can imagine Western civilization as a large circle with a series of satellite circles intersecting the larger one but disconnected from each other, diversality will be the project that connects the diverse subaltern satellites appropriating and transforming Western global designs. A cosmopolitanism that only connects from the center of the large circle outward, and leaves the outer places disconnected from each other, would be a cosmopolitanism from above. (2002, pp. 183-84)

Limmagine di cerchi variamente interconnessi e non sempre concentrici evocata da Mignolo, pur mantenendo asimmetrie di potere e aree di influenza, costituisce un antidoto vitale contro la rigidit dei modelli basati su opposizioni binarie e, nel contempo, serve anche a sottolineare come la storia del cosmopolitismo (come idea e come progetto) aiuti a smantellare quei miti di autenticit e incommensurabilit che, come gi sottolineato, tendono ad associarsi alle nozioni di cultura e di lingua, specie quando queste sono accompagnate dallaggettivo nazionale5.

5 Su questi temi si veda anche il gi citato James Clifford, secondo il quale necessario smascherare the fallacy culture (singular) equals language (singular) (1997, p. 22), ma sempre tenendo presente che, nel far ci, lintento non to make the margin a new center (we are all travelers) but that specific dynamics of dwelling/traveling be understood comparatively (ibid., p. 24).

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Una parallela rivalutazione della molteplicit e della complessit associate al concetto e alle pratiche che vanno sotto letichetta di mobilit (tra cui si contano anche dislocamenti pi o meno forzati, quali esilio, diaspora, e migrazione per motivi economici) ha avuto luogo allinterno degli studi sulla traduzione, soprattutto laddove questi si incrociano con la teoria postcoloniale. Prendendo spunto dallimmagine dellesilio di Erich Auerbach in Turchia descritta da Edward Said (1983), Emily Apter ha recentemente tratteggiato un ritratto parallelo di Leo Spitzer anche lui rifugiatosi a Istambul negli anni trenta , sottolineando la connessione tra dislocazione geografica, multilinguismo e quello che la studiosa definisce come transnational humanism (2004, p. 104) 6. Nella prospettiva della Apter, come in quella di studiosi di teoria e storia della traduzione quali Michael Cronin, Laurence Venuti, Maria Timoczko, Edwin Gentzler e Paul Bandia, i compiti della scrittura transnazionale e, paradossalmente, della traduzione, includono quello di combattere lomogeneizzazione (linguistica come pure culturale) favorita da processi di globalizzazione indiscriminata; quello di contrastare il monolinguismo compiaciuto di un pubblico spesso assuefatto a prodotti di facile consumo; e quello di ristabilire un equilibrio tra legemonia dei grandi centri culturali ed economici (le capitali letterarie di Casanova) e la rivalutazione della differenza attraverso processi creativi e ricettivi che sono a un tempo ancorati a realt locali e connessi a reti di comunicazione di ben pi ampia portata. In questa prospettiva ad esempio possibile per Cronin affermare che there is no world literature without translation (2006: 132)7. Di particolare interesse, in relazione alla scrittura segnata dalla mobilit e ai fenomeni traduttivi a essa collegati, sono i casi di traduzione parziale, volutamente fuorviante, o mancata, cos come le sovrapposizioni tra queste strategie e le pratiche di autotraduzione. Queste ultime vanno intese qui in senso ampio, vale a dire includendo al loro interno non solo casi in cui sia facile distinguere un testo originale e uno da esso successivamente derivato, entrambi firmati dallo stesso autore, ma anche fenomeni come quello che Steven Kellman (2000) ha definito translingualismo (latto di scrivere in una lingua che non quella materna), oppure le variegate incarnazioni di una scrittura intrinsecamente poliglotta, intenta a sottolineare la presenza di lingue diverse allinterno di un singolo testo (Grutman, 2006). Questi tipi di scrittura stabiliscono rapporti complessi non solo con nozioni astratte di originale e traduzione, lingua di partenza e lingua di arrivo, e cos via, ma anche con un pubblico differenziato e molteplice,

Si veda anche una seconda versione dellarticolo ora inclusa in APTER (2006). Cronin descrive processi linguistici e traduttivi che sono a un tempo locali e globali (2006, p. 19) e che rimandano alle pratiche culturali di quelle che il sociologo Arjun Appadurai ha descritto come diasporic public spheres (1996, p. 4); su temi simili si veda anche PAPASTERGIADIS (2000).
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fatto di lettori che potranno di volta in volta essere iscritti in una sola delle culture di riferimento dellautore (e in questo caso sperimenteranno probabilmente fenomeni di disorientamento linguistico e culturale) o anche avere familiarit con un quadro molteplice e complesso di richiami (essendo quindi capaci di interpretare il testo, se non per intero, almeno in gran parte). La polifonia di questo genere di scrittura prende forme diverse, a volte rendendo immediatamente evidente la presenza di molteplici idiomi, a volte mascherando il polilinguismo sotto una superficie solo apparentemente omogenea. Il risultato di queste pratiche , come notava Samia Mehrez in un articolo dedicato alla scrittura francofona di autori di origine africana, quello di creare un linguaggio nuovo, capace di rimettere in discussione la relazione tra originale e traduzione, tra lingua straniera e lingua ospite (1992, p. 121). Mehrez come poi anche Maria Tymoczko (1999a; 1999b; 2002) e Edwin Gentzler (2006; 2008) sottolinea cos il potenziale rivoluzionario di una scrittura multilingue che per sua stessa natura, ma anche per la formazione culturale di chi la produce, mette in dubbio la tradizionale associazione tra lingua e nazione. Vale tra laltro la pena di sottolineare che la connessione tra queste tipologie di scrittura transnazionali e multilingui e i fenomeni storici, linguistici e letterari tipici delle realt postcoloniali s forte, ma non univoca, n esclusiva. Allinterno del panorama contemporaneo, le caratteristiche appena descritte si adattano non solo allopera di Rushdie o di Said, in quanto autori le cui origini si ricollegano direttamente allesperienza coloniale, ma anche a scrittori come W.G. Sebald o Andre Makine, vale a dire artisti che rappresentano intenzionalmente la propria coscienza di vivere in un mondo che pu definirsi come post(o neo-)coloniale e globale 8. In questo senso, adottare la mobilit come modello aiuta anche a refutare unulteriore antinomia: quella rappresentata dallopposizione colonizzatore/colonizzato. Si tratta di un binomio che sta alla base, tra laltro, del predominio di prospettive anglofone (o tuttal pi francofone, con laggiunta di qualche strascico ispanofono) negli studi postcoloniali cos come in quelli dedicati alla world literature. Le scritture transnazionali, con la loro ibridit linguistica e culturale, mettono infatti in evidenza i numerosi casi in cui lalternativa lingua madre/ex-lingua coloniale non basta a descrivere la complessit dei percorsi della scrittura, poich questultima (di solito intenzionalmente) mescola ulteriori esperienze e prospettive, o addirittura salta a pi pari lovviet del binarismo per scegliere una terza lingua di arrivo, altra rispetto alleredit coloniale e quindi almeno potenzialmente liberatoria. proprio questa la posizione occupata dallitaliano nel caso di una parte sostanziale della recente scrittura italofona della migrazione; ma anche il caso di molta scrittura

8 Per una lettura di Sebald e Makine affine alla presente si vedano ad esempio WALKOWITZ (2006) e ALLEN (2006).

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prodotta da italiani fuori dItalia, dove spesso occupavano (e occupano) posizioni interstiziali tra popolazioni autoctone ed lite coloniali (o neocoloniali). Porre la questione della mobilit nel contesto culturale italiano ha quindi, almeno potenzialmente, un doppio effetto: rimette in discussione la definizione di scrittura italiana dallinterno, per cos dire, ma interrompe anche legemonia delle ex-lingue imperiali, creando un reale terzo spazio9 rappresentato da luoghi a un tempo defilati rispetto alle capitali globali ma pur sempre identificabili come parte integrante (o zona di frontiera storica) della tradizione occidentale. LItalia della migrazione, per quanto marginale nelleconomia culturale globale, potrebbe allora aprire la porta (e aprirsi) a fenomeni culturali non trascurabili, come gi accadde alla Turchia che accolse Spitzer e Auerbach. Mobilit, traduzione e scrittura nel contesto italiano contemporaneo Ripensare la scrittura italiana privilegiando la sua intrinseca mobilit significa quindi adottare un modello che pi flessibile e inclusivo rispetto alla norma imposta dallassociazione con la lingua nazionale (intesa come standard tendente allomogeneit) e che dunque anche in grado di comprendere le ondulazioni, o persino gli strappi, che la realt della produzione testuale presenta. Si tratta di una rilettura etica e culturalista, piuttosto che bellettrista, e certo ben poco interessata a qualsiasi purismo che comunque carattere in gran parte estraneo alla realt della cultura italiana. In questo senso, prendere la mobilit come modello significa anche adottare una visione meno compartimentalizzata di varie tipologie testuali, quali la scrittura dellemigrazione (in tutta la sua multiformit), quella della migrazione interna (spesso sommersa, almeno in ambito letterario), o quella dellimmigrazione (che stenta ancora a trovare riconoscimento come parte integrante del panorama italiano). Ci che si accentua invece il policentrismo della scrittura e la sua capacit di rappresentare esperienze diverse attraverso la manipolazione di strumenti linguistici duttili e inclusivi, le cui ondulazioni spesso sconfinano al di l delle frontiere nazionali, tracciando traiettorie molteplici: a volte centripete, a volte centrifughe, ma molto pi spesso caratterizzate da un ripetuto andare e venire tra i vari punti della mappa. Una logica culturale basata sullidea di molteplicit e trasformazione sottolinea dunque le interconnessioni e gli scambi tra comunit e gruppi che si scoprono cos occupare spazi solo in parte distinti, e rivela il ruolo vitale di coloro che hanno scelto di legare la propria voce a quelle interconnessioni: gli agenti doppi, gli apostati, gli (auto)traduttori.

Sulla nozione di terzo spazio si veda BHABHA (1994).

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La storia di queste intersezioni non si limita agli ultimi decenni, n al solo Novecento, come ha recentemente dimostrato Maria Cristina Mauceri (2006) in un articolo dedicato alla natura diasporica della tradizione letteraria italiana ma pur sempre vero che proprio negli ultimi decenni la tendenza alla mobilit e alla plurivocalit si andata accentuando, con buona pace della crescente standardizzazione dellitaliano notata dai linguisti e da autori come Citati, o quantomeno in parallelo con essa. Allincrocio tra mobilit geografica e ibridizzazione linguistica troviamo autori di stampo e di origine estremamente vari, ma la cui scrittura comunque caratterizzata dalla presenza di fenomeni di eterolinguismo e autotraduzione. La molteplicit delle affiliazioni linguistiche e culturali tipica di questi scrittori si materializza a volte in testi bifronti, in cui due lingue rifiutano di cedersi reciprocamente il passo, invocando lattenzione di pubblici multipli e almeno apparentemente separati. questo il caso, ad esempio, del primo romanzo di Amara Lakhous, Le cimici e il pirata (1999), pubblicato in italiano ed arabo nello stesso volume, in un formato che rifiuta chiaramente di dare la precedenza a un presunto originale. E fenomeni simili si ritrovano anche in testi a fronte come quelli inclusi dalla casa editrice Sinnos nella collana bilingue I Mappamondi10. In questi casi, la traduzione diviene un paradosso costitutivo della scrittura: il suo ruolo ad un tempo evidenziato e negato, in quanto il testo di partenza e quello di arrivo si confondono, e luno non pu mai interamente sostituire laltro n distaccarsene, ma solo vivere al suo fianco, in un equilibrio instabile e almeno potenzialmente dinamico. legittimo chiedersi in questi casi fino a che punto la scrittura si sia organizzata attorno alla stesura consecutiva di due versioni, o se il processo non sia stato pi intricato, fatto di commistioni in cui ogni riscrittura comporta un ripensamento delle versioni precedenti, quale che sia la lingua in cui si configurano. E ci si pu anche domandare a chi si rivolgano testi di questo tipo, nella loro unit e molteplicit: a gruppi distinti di lettori monolingui, o ad un ideale lettore bilingue, capace ad esempio di apprezzare le sfumature introdotte da varianti anche minime nella tessitura linguistica dellopera? Ancor pi fortemente polivocali sono quegli scritti in cui i fenomeni (auto)traduttivi si inscrivono direttamente nella struttura del testo e nel suo idioletto, sia a livello linguistico che culturale. In questo caso la scrittura inseparabile dalla commistione linguistica e una versione monolingue e/o originale dellopera non neppure immaginabile, perch la traduzione non si presenta, appunto, come unazione a posteriori che lascia residui indesiderati in unopera la cui aspirazione monoglossica e trasparente, ma come una condizione necessaria della scrittura e, a seguire, della lettura.

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Si vedano ad esempio SIBHATU (1993) e AMMENDOLA (2005).

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Si rimette cos in discussione, ad esempio, il rapporto tra letteratura nazionale e letteratura dialettale, favorendo un modello che non sia antinomico e gerarchico, ma che accentui piuttosto la mescolanza e la miscigenazione tra forme linguistiche dello standard e dei vari vernacoli. Il polilinguismo eccentrico di un autore come Luigi Meneghello, con i suoi infiniti distinguo tra forme e gradazioni della parola e della realt, diventa ad esempio un gioco di varianti associate a luoghi e circostanze di sfera sempre pi ristretta (od allargata, a seconda della prospettiva), ma pur sempre compartecipi di una scrittura unica ed incontenibile, ad un tempo locale, eloquentemente nazionale, e transnazionale. Si tratta di un polilinguismo autocosciente ed ironico, che modula le distanze e centellina le opportunit di identificazione da parte del lettore (specie di quello monolingue) giocando tra la tradizione e linnovazione, come pure tra la trasparenza dellautotraduzione e lopacit della traduzione parziale o volutamente fuorviante 11. Altrettanto o forse ancor pi drammatico leffetto di una lettura attenta alla mobilit e al polilinguismo applicata a testi chiave della diaspora italiana o a quelli della emergente scrittura italofona dellimmigrazione12. Uno degli esempi pi significativi di scrittura autotraduttiva e polilingue ad esempio anche uno dei capolavori dellemigrazione italiana: il romanzo Christ in Concrete (1939) dellitaloamericano Pietro di Donato13 Si tratta di unopera ingiustamente marginalizzata (forse proprio per la sua natura ibrida) sia in nel contesto italiano che in quello statunitense, ma che specie nella sua prima parte, dedicata alla morte della figura paterna, il muratore immigrante Geremio mantiene ancor oggi unenergia e unoriginalit difficili da eguagliare. Gran parte di quellenergia deriva dal linguaggio utilizzato da di Donato, un idioma descritto da Fred Gardaph come neither Italian nor English, but an amalgam of the two (1993, p. ix) e forgiato attraverso la traduzione, spesso letterale, in inglese dei ritmi e delle espressioni tipici delle molteplici varianti di italiano in cui si esprimevano gli emigranti della prima met del Novecento. Una volta riconosciuta la presenza di simili fenomeni di polilinguismo nellinglese di uno scrittore italoamericano di seconda generazione come di Donato, non sorprende incontrare casi di scrittura altrettanto complessa nella scrittura

11 Si vedano in particolare le opere di Meneghello contenute nel volume dei Meridiani a lui dedicato (2006) e, per una valutazione critica, LEPSCHY (1983), PELLEGRINI (2002), BARBIERI e CAPUTO (2005). 12 Si noti qui che lespressione scrittura italofona preferita ad altre possibili per mettere laccento sulle scelte linguistiche degli autori, ma anche per sottolineare lambiguit di etichette quali scrittori migranti (o anche immigrati) se applicata indiscriminatamente ad autori che appartengono a generazioni diverse o che magari hanno alle spalle famiglie miste e situazioni di biculturalismo; in proposito si veda anche GNISCI (2006b). 13 Per unedizione recente si veda di DONATO (1993).

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italofona degli ultimi anni. Si tratta di autori il cui italiano ad un tempo fluido e spontaneo (e quindi non facilmente riducibile a categorie quali le cosidette varianti di apprendimento) e intessuto di riferimenti ad altre lingue, altre culture, altre tradizioni narrative. Due romanzi pubblicati recentemente da scrittrici la cui biografia fortemente legata allesperienza della mobilit offrono esempi eloquenti di questo tipo di multivocalit: Madre piccola (2007) di Cristina Ali Farah e Regina di fiori e di perle (2007) di Gabriella Ghermandi. Il background linguistico e culturale di Ali Farah italo-somalo, mentre quello di Ghermandi italo-etiope. Entrambe hanno vissuto esperienze di migrazione e risiedono ora in Italia; ed entrambe hanno scritto opere che nonostante la marcata differenza di stile e contenuto presentano tratti comuni, quali laffermazione di una vera e propria necessit di raccontare storie che attraversano barriere linguistiche e culturali; lintento di dar voce ad esperienze, storie e memorie solitamente marginalizzate; ed il bisogno di tradurre, non solo e non tanto se stesse ma soprattutto i ritmi e i racconti delle proprie comunit. In Madre piccola questi temi si materializzano in una molteplicit di voci, ognuna delle quali racconta, con i toni della conversazione quotidiana frammisti ai ritmi della tradizione orale, la propria versione di una stessa storia (che poi quella della diaspora somala)14. Nel libro di Ghermandi, daltro canto, la narrazione diviene sia un percorso individuale verso la comprensione ed il riconoscimento di una vicenda collettiva, sia lespressione di quella storia attraverso la voce di molteplici narratori/testimoni, i quali trasmettono i propri racconti alla protagonista. Questultima si trasforma gradualmente da riluttante ascoltatrice a pubblica cantora, figura chiave dellespressivita amhara, come nota Cristina Lombardi Diop nella sua postfazione al libro (2007, p. 259). attraverso gli atti di traduzione (e di autotraduzione) della cantora che quelle storie e quella Storia possono poi attraversare il Mediterraneo e instaurare un dialogo con la memoria collettiva italiana e le sue rappresentazioni dellesperienza coloniale. Anche in questo caso, lelemento chiave del libro nella lingua, descritta da Lombardi Diop come un italiano essenziale e asciutto, ma arricchito dalle metafore, dagli stilemi, dalle forme e dai termini dellimmaginario espressivo dellamharico e della sua cultura quotidiana, [il che] fa dellitaliano una lingua nuova, e di questa lettura unesperienza avventurosa e straniante (ibid., 261). Proprio questa esperienza avventurosa e straniante sembra essere il tratto comune delle molteplici forme di scrittura polilingue e transnazionale che caratterizzano, in varie forme, il panorama italiano contemporaneo almeno se riletto nel segno della mobilit. E la straniazione (linguistica come pure culturale) diviene in questo contesto veicolo di una crescente coscienza della complessit

14 Su oralit e autotraduzione, discussi specificamente nel contesto della scrittura anglofona di origine Africana, si veda BANDIA (2008).

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del nostro quotidiano, di una rivalutazione della differenza che, mentre aborre lomogeneizzazione, non mira alla separazione, alla categorizzazione gerarchica, o allesclusivismo della letterariet (nazionale o internazionale), ma piuttosto denota uno spazio aperto alle intersezioni, vicino a quello descritto da Stuart Hall (2002, p. 30) nellinvocare un nuovo cosmopolitismo intessuto di inflessioni locali:
We are in that open space that requires a kind of vernacular cosmopolitanism, that is to say a cosmopolitanism that is aware of the limitations of any one culture or any one identity and that is radically aware of its insufficiency in governing a wider society, but which nevertheless is not prepared to rescind its claim to the traces of difference, which make its life important.

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