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Il metodo di ricerca.
La storia.
Oggi l’antropologia è quella scienza che assume come oggetto di studio 4 elementi
fondamentali:
In questa definizione di antropologia abbiamo nominato due concetti chiave che sono
alla base di qualsiasi studio antropologico, e cioè, il concetto di cultura e quello di
codice culturale.
Una prima definizione antropologica del termine cultura ci viene data nel 1871 da un
celebre studioso e antropologo di nome E.Tylor , dove in un testo da lui scritto
intitolato “cultura primitiva” definisce cultura:
E poi ci sono posizioni di studiosi come Clifford Geertz, dove in un testo da lui scritto
intitolato i frutti puri impazziscono sostiene l’idea che una cultura pura non esiste,
nessuna cultura nasce dal nulla, la cultura è inevitabilmente frutto di intrecci e ibridi.
Inutile dire che l’antropologia culturale non ha avuto sempre lo stesso volto che
conosciamo oggi e soprattutto non ha avuto sempre le stesse caratteristiche, ma nel
corso della storia è stata una disciplina abbastanza discussa e che ha visto variazioni e
mutamenti di non poco conto, quegli stessi mutamenti che l’hanno plasmata e
modellata fino a dargli il volto che noi tutti oggi conosciamo. E Ugo Fabietti nel libro
storia dell’antropologia ci racconta proprio questa evoluzione, di questa disciplina
,in tutti e 3 i suoi componenti fondamentali, cioè come si sono evoluti l’oggetto di
studio e il metodo di ricerca nei vari contesti sociali delle varie epoche storiche.
C1 Nascita dell’antropologia
Il contesto storico-politico-ideologico:
Ci troviamo alla fine del 700 e gli inizi dell’800 , in Francia durante la prima repubblica.
Il fattore sociale principale che innescò la scintilla che portò ad una prima visione
dell’antropologia come scienza ,fu l’idea da parte di scienziati e intellettuali francesi,
eredi diretti del patrimonio filosofico-scientifico dell’illuminismo, di perpetuare il
concetto di scienza come un servizio sociale allo scopo di raccogliere le scoperte e di
perfezionare le arti e le scienze, a tal proposito proprio in quel periodo il comitato di
istruzione pubblica organizzò un istituto nazionale che avrebbe dovuto promuovere
ricerche nel campo della vita sociale dell’uomo, della legislazione, dell’economia
politica e della geografia. Emersero dunque, tutti quegli elementi che permettevano di
cominciare a concepire una scienza avente per oggetto di studio l’uomo, come essere
naturale e sociale dotato di ragione.
L’Oggetto di studio:
Diversità spaziale: fa riferimento a culture esotiche cioè lontane nello spazio. Sotto
questo aspetto l’antropologia è vista come scienza dell’esotico.
Diversità temporale: svolgere questo viaggio verso società esotiche, significa per
gli antropologi fare anche un viaggio nel tempo e non solo nello spazio, aiutando a
capire come la società occidentale era stata in passato. L’oggetto di studio erano le
società arcaiche anacronistiche. Sotto questo aspetto l’antropologia si propone come
scienza del tradizionale o scienza del pre-moderno , cioè ciò che sta alle spalle della
modernità.
Il metodo di ricerca:
Il metodo di ricerca era quello dello studio comparato delle società e delle culture i cui
elementi principali erano quelli che troviamo anche nell’opera di L.F.Jouffret,
“letteratura sui selvaggi” e cioè:
Moralismo
Pregiudizio
Esotismo
Meraviglioso
Uno degli scritti che testimonia le novità del progetto della società degli osservatori,
porta la firma di De Gerando: quest’ultimo poneva in evidenzia l’importanza dello
studio dei selvaggi per una maggiore comprensione dell’umanità. Secondo De
Gerando il filosofo doveva farsi viaggiatore, percorrere spazi alla ricerca di quei
selvaggi che avrebbero potuto costituire l’esempio vivente della condizione originaria
dei popoli civilizzati. La figura del viaggiatore, precorre in un certo senso quella
dell’antropologo moderno poiché egli non viaggia soltanto ma pensa, cerca cioè di
correlare i dati dell’osservazione e di coordinarli in una teoria.
In seguito poi si svilupparono altri 2 approcci teorici volti a studiare le società primitive
per poi arrivare a spiegare l’origine della civiltà umana. Stiamo parlando della teoria
degenerazionista che a sua volta affonda le sue radici in quella creazionista, e poi
di quella evoluzionista (che regnerà per tutta l’età vittoriana-1837/1901) in
Inghilterra lanciata dagli studi e dalle scoperte di Charles Darwin.
Il degenerazionismo:
Nessuno aveva fornito una qualche prova del passaggio dallo stato
selvaggio alla civiltà
Ciò che veniva negata era l’idea che l’umanità fosse avanzata sul piano
materiale e spirituale, unicamente in virtù delle proprie forze.
L’Oggetto di studio:
L’oggetto di studio era la storia e l’evoluzione della società umana nel suo complesso,
che appariva, grazie all’approccio evoluzionista come il risultato dell’azione di leggi
sempre identiche i cui effetti cumulativi avevano generato stadi di sviluppo
contrassegnati da una crescente complessità. Per esempio i primitivi rappresentavano
lo stadio più remoto dello sviluppo culturale e quindi considerati inferiori.
Metodo di ricerca:
Il metodo degli evoluzionisti era un metodo di tipo comparativo, facevano cioè una
comparazione fra le varie culture, al fine di ricostruire gli stadi dell’evoluzione
culturale.
Autori e opere:
Una delle opere più influenti del suo repertorio etnografico e di particolare rilevanza è
senza dubbio “ Il Ramo d’oro” nella quale avanza l’ipotesi che la magia, la religione
e la scienza avrebbero costituito altrettante tappe dello sviluppo intellettivo umano.
Per Frazer la pratica della magia corrispondeva a una fase dello sviluppo dell’intelletto
umano caratterizzato da confusione in un primo momento e ignoranza in un secondo
momento. Alcuni uomini avrebbero pensato di accattivarsi il favore delle potenze
della natura proprio attraverso la religione, e la nascita della figura del sacerdote
come mediatore tra l’uomo e il divino; successivamente ancora l’uomo si accorse
dell’impotenza degli dei, così si passò all’osservazione dei fenomeni naturali e alla
ricerca delle leggi che regolano i rapporti con la scienza. Frazer può essere considerato
l’ultimo esponente dell’evoluzionismo vittoriano e per certi versi il più celebre.
Contesto storico:
L’oggetto di studio:
L’oggetto di studio dunque era la cultura degli irochesi, dei quali all’epoca, esistevano
e regnavano due concezioni; una positiva e un’altra negativa. Secondo quella
negativa: l’indiano era il nemico che impediva all’uomo bianco di espandersi.
Secondo quella positiva era chiamato a sostenere, con le sue virtù, la giovane
nazione americana. Vi era poi per gli americani un altro problema; essi si ponevano la
questione: “Gli indiani, possessori del suolo nazionale, erano una nazione?”.
A questo quesito “Thomas Jefferson” (secondo presidente USA), stabilì che se gli
indiani avessero abbandonato la loro economia di caccia per convertirsi all’agricoltura,
avrebbero potuto entrare a far parte della nazione americana. Rispose alla questione il
celebre studioso Morgan: ribattendo giustamente, che se gli irochesi si convertissero
all’agricoltura smetterebbero di essere indiani a verrebbero meno a un’usanza e a un
principio importante della loro cultura.
Metodo di ricerca:
Siamo ancora nella prima metà dell’ottocento, dunque regna ancora il cosiddetto
metodo comparativo e un approccio di stampo evoluzionista.
Nella sua opera – “la lega degli irochesi”, Morgan studiò i sistemi di parentela
indiani: Ogni nazione era divisa in tribù, ognuna designata da un nome di un animale
e gli appartenenti alla tribù, con lo stesso nome. Anche se appartenevano a nazioni
diverse, si consideravano fratelli. Ed è qui che Morgan individua un primo elemento
interessante e cioè: lo spirito egualitario e democratico dei nativi americani.
Per studiare i sistemi di parentela Morgan, anzitutto stabilì due gruppi di sistemi,
corrispondenti a loro volta a due modi differenti di designare i parenti consanguinei e
quelli affini, cioè acquisiti grazie a relazioni di tipo matrimoniale. Morgan definì i
sistemi di parentela del modello irochese, “classificatori”, poiché i parenti
consanguinei in linea collaterale non vengono distinti da quelli in linea diretta (il
fratello del padre viene chiamato padre), i sistemi europei sono invece “descrittivi”,
poiché operano distinzioni tra i collaterali e i diretti, creando dei termini specifici di
riferimento (padre, zio, figlio). Per Morgan I SISTEMI CLASSIFICATORI sono caratteristici
di quelle organizzazioni sociali basate sui rapporti di parentela, mentre quelli
descrittivi fondano la società sui rapporti di tipo politico – “la società politica”.
Quindi dal sistema classificatorio che non permetteva di distinguere i figli di uno dai
figli dell’altro; si passò alla famiglia “monogamica”, con la quale diveniva possibile
descrivere i rapporti esistenti tra i membri. Morgan sostiene che nella società politica i
rapporti di parentela tendono a perdere la loro funzione dominante a vantaggio dei
rapporti fondati sul consenso e la territorialità, tutto questo secondo Morgan per via
dei diritti della proprietà privata cioè: la protezione della legge sarebbe venuta a
sostituire la protezione fornita dal gruppo di parenti. La nascita della proprietà privata
diverrebbe l’unico fattore che spiega la sostituzione del sistema classificatorio con
quello descrittivo.
Nella sue opera – la società antica, Morgan distingue la storia dell’umanità in periodo
etnici, che sono: selvaggio, barbaro,civilizzato, con l’aggiunta di tre sottoperiodi:
inferiore;intermedio;superiore. Tale periodizzazione trovava espressione nelle
invenzioni e nelle scoperte, caratteristiche di ciascuna fase storica es:
Nella critica al metodo comparativo adoperato dagli evoluzionisti. Boas, (1896) aveva
sostenuto che l’uso che ne era stato fatto portava a commettere numerosi errori. In
contrapposizione agli evoluzionisti che sostenevano che esiste un sistema superiore
che ha portato l’umanità a svilupparsi ovunque secondo le stesse cause, Boas rispose
che non è sempre vero che fenomeni simili o uguali derivano dalle stesse cause ma
possono tranquillamente esistere fenomeni simili che si sono sviluppati
indipendentemente a partire da situazioni del tutto diverse. Inoltre in sostituzione e in
opposizione al metodo comparativo. Boas propone un metodo che per certi versi
ritiene più sicuro basato proprio sul concetto di particolarismo storico e cioè: Ogni
antropologo doveva concentrarsi su una specifica area culturale e ricostruire al suo
interno i processi storici, di invenzione e di diffusione, che hanno portato all’attuale
stratificazione di tratti culturali.
Boas condusse un importante ricerca sul sistema potlach degli indiani Kwkiutl. Si
trattava di rituali di ostentazione che prevedevano la distruzione di grandi quantità di
beni considerati di prestigio. Attraverso i ptlach individui dello stesso status si
sfidavano in una gara distruttiva allo scopo di affermare il proprio rango
pubblicamente, e di abbassare quello dei rivali. Oggi si intende a considerare il
potlach, almeno per quanto riguarda il suo aspetto distruttivo, come un meccanismo
attraverso il quale venivano sottratti al processo riproduttivo della società quei beni
che, se al contrario vi fossero stati immessi nuovamente, avrebbero provocato
un’alterazione del sistema e di conseguenza introdotto un elemento perturbatore nella
struttura dei rapporti di potere. Per i Kwakiutl , presso i quali Boas lavorò come
etnografo il Potlach costituiva una paratica rituale per mezzo della quale diveniva
possibile impedire un alterazione del sistema. Boas in sostanza interpretò il potlach
come una pratica connessa all’acquisto del prestigio che poteva derivare ad un
individuo dal fatto di aver distribuito o distrutto più beni dei suoi rivali e dall’averli
perciò superati in generosità. Il potlatch è un esempio di economia del dono, in cui gli
ospitanti mostrano la loro ricchezza e la loro importanza attraverso la distribuzione dei
loro possessi, spingendo così i partecipanti a contraccambiare quando terranno il loro
potlatch. Benché questo tipo di scambio sia ampiamente praticato in tutto il pianeta
(basta considerare, per esempio, la pratica occidentale di pagare da bere agli amici), il
potlatch è l'esempio maggiormente conosciuto di questo fenomeno.
Allievo di Boas fu Kroeber che affermò che i fenomeni culturali possono essere colti
nella loro complessa individualità soltanto nella misura in cui se ne conoscono le
relazioni con il resto di quella grande unità che si chiama vita. Le sue critiche si
rivolsero anche a Morgan, di cui riteneva che la distinzione tra sistema classificatorio e
descrittivo fosse arbitraria. I sistemi di parentela esistenti rivelano infatti, di
possedere entrambe le caratteristiche. Comunque sia, il modo di concepire la natura
dei sistemi di parentela era nettamente diversa: Per Morgan essi esprimevano la
natura dei rapporti e delle istituzioni sociali, per Krober riflettevano la psicologia
veicolata del linguaggio, dei soggetti culturali: i termini di parentela rispecchiano la
psicologia non la sociologia. Essi sono determinati in primo luogo dal linguaggio,
quindi i termini di parentela venivano considerati da krober come sempli espressioni
di ciò che al pari dell’economia, dell’arte o della lettarura poteva essere considerato
un particolare aspetto della cultura stessa, in questo caso il linguaggio. K, lasciò
intendere che i termini di parentela possono essere associati anche a domini semantici
diversi da quello parentale, come quando usiamo, per esempio, i termini padre,zio,
nonno in riferimento a individui che non ci sono parenti in senso stretto. Egli evidenziò
otto principi che regolano la costituzione di un sistema terminologico:
3. Differenza d’età
8. Condizioni di vita.
Comte, aveva compreso la funzione socialmente normativa, cioè regolativa sul piano
sociale, di tali credenze. All’interno della cosiddetta legge dei tre stadi, è solo nella
fase teologica e in quella metafisica che per Comte le credenze comuni sarebbero in
grado di svolgere fino in fondo il ruolo di elementi stabilizzatori del sistema sociale.
Nello stadio positivo della società invece il carattere razionale del sapere elimina ogni
residuo teologico e metafisico dai processi di comprensione della realtà.
Allontanandosi da Comte per il quale i sentimenti comuni erano attivi solo in società
dominate da un pensiero pre-positivo, Durkheim individuò il principale di questi
elementi nella coscienza collettiva che nell’opera la divisione del lavoro sociale
venne da lui definita come “l’insieme delle credenze e dei sentimenti comuni
alla media dei membri di una stessa società”. Per Durkheim tutte le società
possedevano una coscienza collettiva ed erano quindi comparabili. La stessa
sociologia era secondo il sociologo un sapere comparativo che doveva prendere in
considerazione il numero più alto possibile di una società per giungere alla conoscenza
delle leggi della vita sociale.
Nella sua opera la divisione del lavoro sociale. Durkheim descrive come la maggiore o
minore intensità con cui la coscienza collettiva si manifesta nelle diverse società sia in
relazione con il tipo di solidarietà vigente tra i membri di esse:
S.Organica – si sta insieme perché diversi e quindi si ha bisogno gli uni degli altri.
Il lavoro di Durkheim che più d’ogni altro risentì delle suggestioni etnologiche di allora
è “le forme elementari della vita religiosa”. Quest’opera rispondeva al tentativo di
elaborare una teoria generale della religione e della società attraverso l’individuazione
di quegli elementi – che entrano a far parte di tutti i sistemi religiosi e sociali.
Fu uno degli studiosi che più sviluppò in maniera originale le idee di Durkheim. Nel
suo primo lavoro “la morale e la scienza dei costumi” Bruhl cerca di dare una risposta
alla domanda: esiste una morale oggettiva? Cercò dunque di comprendere il diverso
significato che l’esperienza morale può assumere in contesti sociali differenti. Questo
pensiero lo fece avvicinare presto all’etnologia e alle società primitive. Infatti in
un’altra sua opera intitolata psiche e società primitive cerca di delineare una teoria
generale della mentalità primitiva: secondo Bruhl le rappresentazioni collettive non
erano sbagli di valutazione compiuti dalla mente rozza del primitivo (come pensavano
gli evoluzionisti) ma erano rappresentazioni comuni ad un dato gruppo sociale e
trasmissibili di generazione in generazione, che si imponevano agli individui attraverso
la pratica sociale, e per tali ragioni erano veri e propri fatti sociali. Egli portò in un
certo senso l’idea di Durkheim secondo cui la forza del pensiero sociale si impone agli
individui. L’individuo non sviluppa un suo proprio giudizio sulla realtà ma è influenzato
da ciò che la società gli impone. Questo spiega come alcuni individui di società
primitive continuino a praticare la magia nonostante gli effetti negativi o nulli.
Bruhl sostiene poi che la mentalità dei primitivi sarebbe caratterizzata da un tipo di
logica che tende a coordinare tra loro quelle che sono le rappresentazioni di natura
mistica, una logica che viene definita dallo studioso pre-logica: cioè la mentalità dei
primitivi interpreta in modo diverso dal nostro quel che noi chiamiamo la natura e
l’esperienza. Si preoccupa delle cause di ciò che accade. Ma non le cerca nella stessa
direzione. Vive in un mondo in cui innumerevoli potenze occulte da per tutto presenti
sono sempre attive o pronte ad agire. È importante precisare che il concetto di pre-
logico, non sta a designare una forma meno evoluta rispetto al logico, ma indica
piuttosto una differenza di tipo qualitativo tra l’attività mentale del civilizzato e quella
del primitivo.
C6 L’antropologia in Italia:
Nei primi anni del 900 la cultura antropologica italiana mostrava un certo ritardo
rispetto agli altri paesi europei, un ritardo dovuto soprattutto a sua volta, al ritardo con
cui si era avuta l’unità d’Italia. In particolare gli studi , riguardarono principalmente le
tradizioni popolari, in particolare quelle regionali portando alla nascita della cosiddetta
demologia. L’effettivo iniziatore degli studi demologici nel nostro paese fu Giuseppe
Pitrè. Egli compì una lunga opera di raccolta e di registrazione etnografica delle
tradizioni popolari della sicilia e pubblicò “la biblioteca delle tradizioni popolari
siciliane” composta da 25 volumi che raccoglievano proverbi favole credenze,
pratiche magico-mediche, giochi popolari chiamando demopsicologia l’ambito di
questo genere di studi.
Tra gli altri esponenti ricordiamo Alberto la Mormora, che raccolse notizie sulla vita
delle popolazioni sarde tentando una comparazione con i popoli dell’antichità classica.
Dopo qualche anno si ha una raccolta di canti popolari di Niccolò Tommaseo.
Nella seconda metà dell’ottocento, assunse consistenza un indirizzo che mirava alla
ricostruzione storica di diffusione e di distribuzione delle forme liriche. I maggiori
rappresentanti di questo indirizzo furono Alessandro d’Ancona e Costantino Nigra.
Ma la figura più rilevante dell’etnografia di fine 800 e inizio 900 è senza dubbio
Lamberto Loria: nel 1911 Loria organizzò la mostra di etnografia italiana. Si cercò di
offrire ai visitatori un’immagine il più possibile autentica della vita dei nostri ceti
popolari. La mostra risultava basata su due concetti: Finzione ed autenticità. I
costumi veri non esistevano più quindi bisognava produrre dei nuovi secondo un
vecchio modello. È proprio attraverso questa finzione che Loria e i suoi collaboratori
perseguirono un ideale di autenticità mettendo così in funzione un meccanismo
interessante di costruzione identitaria.
C7 l’etno-sociologia francese:
I concetti di fatto sociale , coscienza collettiva ecc. introdotti da Durkheim ebbero una
notevole influenza sull’antropologia francese. In particolare lo studio delle
rappresentazioni collettive, costituì l’ambito entro il quale si collocò il lavoro di Robert
Hertz. Due dei suoi studi più importanti e particolarmente rilevanti furono: “la
rappresentazione collettiva della morte” e “la preminenza della mano
destra. studio sulla polarità religiosa”.
Il metodo di studio di Hertz era quello di isolare il fatto sociale in quanto tale dalla sua
forma culturale, partendo da una prima analisi di fenomeni particolari per poi cercare
attraverso una comparazione più ampia, di conferire ad essi una validità generale. È
così, che nel saggio sulla rappresentazione collettiva della morte, egli si concentrò sul
costume della seconda sepoltura, conducendo la propria analisi su materiali
provenienti dall’area del Borneo (Indonesia). Per Hertz al contrario di quello che
sostenevano gli evoluzionisti ( tylor e frazer) le credenze dei primitivi relative al
fenomeno della morte, non costituivano delle spiegazioni e quindi l’origine del
pensiero religioso, ma piuttosto per Hertz non erano altro che delle rappresentazioni
collettive: cioè processi mentali che come Durkheim aveva sostenuto, erano condivisi
da tutti i membri di una società. L’Attenzione di Hertz fu attratta come si è già detto,
da alcuni rituali messi in pratica dalle popolazioni del Borneo. Questi consistevano in
due riti distinti intervallati da un periodo di lutto. Alle prime esequie, le quali seguivano
immediatamente la morte dell’individuo seguiva, dopo un certo tempo, un altro rito,
più solenne del primo, durante il quale veniva data una sistemazione definitiva ai resti
del defunto. Era questo il rito della seconda sepoltura che Hertz prese come punto di
partenza per la sua riflessione sul significato sociologico della morte in quanto oggetto
di rappresentazioni collettive.
Studiando la morte Hertz, mise in rilievo il fatto, che al di là della sua natura di
fenomeno biologico. La morte si riveste presso tutte le società, di emozioni e di
rappresentazioni diverse, non solo, nel loro aspetto culturale, ma anche nel loro
significato sociologico, facendoci capire come il fenomeno della morte non si limita a
mettere fine all’esistenza corporea, visibile, di un vivo, ma essa distrugge
contemporaneamente l’essere sociale che si sovrappone all’individualità fisica.
Esempio:
In questo saggio Hertz sostiene che l’asimmetria organica per cui la destra risulta
prevalere sulla sinistra non spiega anche la sua prevalenza sul piano simbolico, per lui
dunque la destra rappresentava una vera e propria istituzione sociale e andava
analizzata in termini di rappresentazioni collettive. Per spiegare dunque questo
fenomeno Hertz riprese l’opposizione dei concetti di sacro e profano già spiegati da
Durkheim e R.Smith. Sostenendo dunque che queste due dimensioni spingono gli
esseri umani a strutturare l’intero universo secondo un principio bipolare. Tutte le
cose esistenti sono concettualmente distribuite tra questi due opposti, la destra e la
sinistra così come il sacro e il profano ( per es. è visto in modo sinistro tutto ciò che è
male).
1. Separazione(riti preliminari)
Marcel Mauss: L’omologia strutturale,i fatti sociali totali e la teoria del dono:
L’omologia strutturale:
Uno dei primi lavori originali e importanti di Mauss fu quello dedicato allo studio delle
forme primitive di classificazione, scritto in collaborazione con Durkheim, questo
saggio si proponeva di mostrare come gli esseri umani non raggruppano
istintivamente in categorie oggetti ed esseri animati i quali fanno parte del repertorio
della loro esperienza; essi invece li raggruppano avendo in mente la ripartizione degli
stessi esseri umani in gruppi sociali. Per sviluppare questa idea di un omologia tra
l’ordine della società e l’ordine attribuito dagli esseri umani al mondo, i due autori
considerano la società degli aborigeni australiani, come punto di partenza della loro
analisi. Le società australiane si presentavano come divise in classi matrimoniali, cioè
gruppi esogamici non fondati sulla discendenza, ma su altri criteri di appartenenza.
Durkheim e Mauss considerarono la divisione in classi matrimoniali caratteristica delle
popolazioni australiane come il sistema più semplice di organizzazione sociale
esistente e cercarono di stabilire come la classificazione delle persone, degli animali e
delle cose avvenisse secondo criteri omologhi corrispondenti alla divisione della
società in classi matrimoniali. Ad ogni classe fornita di un nome di animale,era
associata una serie di fenomeni naturali, di animali e di oggetti. Il mondo era in tal
modo ordinato, classificato, dagli aborigeni australiani, in categorie direttamente
legate alle suddivisioni della loro società.
Meno preoccupato di sviluppare un sistema teorico come Émile Durkheim, Marcel Mauss si inscrive però nella continuità della
sociologia durkheimiana. Illustrando l'idea di "fatto sociale totale”: con studi concreti, si preoccupa di mostrare come uno solo
fenomeno significativo consente di vedere le strutture sociali sottostanti nella loro totalità.
Lo studio sugli eschimesi fu un primo tentativo di applicare il suo oggetto teorico, l'ormai famoso fatto sociale
totale, ad un fenomeno empirico, ossia al modo in cui le popolazioni eschimesi si strutturavano fisicamente
all'interno del proprio territorio a seconda dei periodi dell'anno. Per fatto sociale totale, Mauss intendeva
specifici fatti in grado, da soli, di convogliare una gran quantità di altri fenomeni di natura analoga. In tal
modo diventava possibile porre l'attenzione non ad una serie di rappresentazioni collettive, quanto ad un
singolo fenomeno, in grado, però, di dar conto del modo in cui veniva strutturata la società da parte dei suoi
membri. Il fatto sociale totale doveva configurarsi come un punto di partenza da cui fosse possibile spiegare i
differenti aspetti sociali di un gruppo. Scoperto il nocciolo centrale di una struttura, era possibile, per
estensione, avvicinarsi alla conoscenza di tutto ciò che esisteva proprio in funzione di esso, compresi i
relativi livelli simbolici. Nel saggio, dunque, Mauss studierà il diverso modo che hanno le società eschimesi di
strutturarsi sul territorio a seconda delle differenti stagioni dell'anno, viste in stretta dipendenza con
l'organizzazione delle attività economiche.
Il periodo compreso tra l’ultimo decennio del XIX secolo e lo scoppio della prima
guerra mondiale rappresentò una fase di transizione per l’antropologia e in particolare
per l’antropologia britannica. Fu un periodo in cui prese sempre più consistenza
l’attività di ricerca sul campo. Alla base di questo cambiamento c’era innanzitutto il
fatto che la Gran Bretagna aveva dei vasti possedimenti coloniali rispetto alle altre
potenze europee , questo consentì a cittadini e soprattutto a funzionari
dell’amministrazione coloniale, di entrare in contatto con queste popolazioni
extraeuropee, questa fu dunque la ragione principale che portò ad un più rapido
sviluppo sia dell’antropologia accademica che dell’attività di ricerca empirica. Furono
negli stessi anni promossi alcuni importanti progetti e spedizioni come “etnographic
survey of the united Kingdom”, the imperial Gazzetter of India , lo stretto di
torres ecc….
Questo nuovo metodo della ricerca sul campo trovò tra i suoi primi sostenitori e
fondatori lo studioso William H.R.Rivers. Per quest’ultimo il ricercatore sul campo
era quello che viveva un anno o più in una comunità studiando tutti i dettagli della loro
vita e della loro cultura, in cui egli giunge a conoscere personalmente tutti i membri
della comunità, e non si limita a informazioni di carattere generale, ma studia ogni
aspetto della vita e delle usanze nei dettagli pratici e mediante l’uso della lingua
locale.
I suoi interessi si rivolsero allo studio dei popoli primitivi ed in particolare alle
terminologie di parentela. Si avvicinò alla tesi di Morgan, secondo la quale le
terminologie di parentela erano la conseguenza linguistica delle relazioni sociali. Lui
voleva ribadire il carattere sociologicamente significativo dei sistemi terminologici di
parentela e connetterli alla vita sociale presso cui il termine era in uso. Il metodo
consisteva nel chiedere ad un individuo i nomi dei suoi parenti più prossimi e come li
designava, lo stesso veniva fatto con i parenti più lontani, sia in linea diretta che
collaterale, fino a raggiungere un quadro esaustivo delle terminologie impiegate. Si
potevano stabilire così, differenze e somiglianze terminologiche tra i parenti . Il
metodo era molto semplice e poteva essere capito sia dal ricercatore che dal nativo e
permetteva di superare le distanze tra i due ponendoli sullo stesso livello.
Rivers, profetizzò anche l’avvento del ricercatore professionale, che sarebbe prevalso
in futuro, un ricercatore cioè che dedica tutte le attenzioni al lavoro etnologico, senza
preoccuparsi dei compiti di carattere amministrativo. Inoltre Rivers pone una
riflessione su un nuovo stile di ricerca, una ricerca che non si limita allo studio
sociologico alla religione o alla tecnologia di un popolo, ma entra nel profondo della
vita sociale cercando di cogliere il perché le culture si manifestano in una certa
maniera, ponendo dunque le prime basi per quello che in seguito verrà chiamato
funzionalismo.
Negli anni precedenti al primo conflitto mondiale, gli studi antropologici in Gran
Bretagna avevano subito importanti trasformazioni, sia a livello delle iniziative di
ricerca sia a livello metodologico. Questo periodo fu testimone di un grande sviluppo
dell’attività etnografica condotta dai primi antropologi professionali provenienti dalle
università del regno unito.
Malinowski diventò presto una sorta di mito per l’antropologia, era l’antropologo sul
campo per eccellenza, dotato di particolari capacità e qualità che lo meterebbero in
grado di penetrare, e quindi di cogliere dall’interno la vita delle popolazioni che egli
studia. Malinowski fu infatti colui che diede il via alla pratica della cosiddetta
“osservazione partecipante”: una nuova tecnica di inchiesta che consentiva ai
ricercatori di entrare in un rapporto empatico con i nativi (ossia con l’oggetto di
studio).
Osservare partecipando voleva dire cercare di prendere parte il più possibile alla vita
degli indigeni allo scopo di cogliere il loro punto di vista, la loro visione del loro stesso
mondo. Nacque così il mito Malinowski, fu il simbolo dell’uomo avventuroso che rotti i
legami con il proprio gruppo e lasciatosi dietro le spalle le convenzioni sociali, si
immergeva nelle altre culture, fu una figura rassicurante e di cui andarne orgogliosi
per tutta la comunità antropologica. Quando però i diari segreti dell’antropologo
vennero pubblicati a 25 anni dalla morte, questo mito subì un durissimo colpo.
Diciamo pure che scoppiò una sorta di poccolo scandalo nell’antropologia. In effetti
Malinowski risultava attraverso le pagine dei suoi diari un tipo tutt’altro che mite e
controllato e da quanto emerge sempre da questi famosi diari sembra che lo studioso
passasse gran parte del suo tempo desiderando di essere altrove.
Gli argonauti del pacifico occidentale, fu una delle opere più importanti di Malinowski:
Argonauti non era una descrizione delle componenti della cultura delle isole trobriand
ma, come tutti gli altri libri di Malinowski su questa popolazione, partiva da un aspetto
particolare della vita di essa, per poi aprirsi sugli altri. L’oggetto di studio di argonauti,
era infatti costituito da una forma di attività di scambio praticata da un certo numero
di comunità stanziate su isole anche molto lontane tra loro ma comunque comprese
entro un area geografica circoscritta (cerimoniale Kula).
Nella sua opera “gli argonauti del pacifico occidentale”, Malinowski si focalizzò su una
particolare forma di attività di scambio che avveniva nelle isole Trobriand. Questa
forma di scambio veniva chiamata Kula (nella lingua locale). Lo scambio Kula è uno
scambio di tipo cerimoniale di cui Malinowski comprese la portata sociologica in senso
generale, e cioè la funzione che esso assolveva nel mantenere e nel rafforzare i
rapporti tra gli individui e i gruppi.
Tra le isole abitate dai gruppi partecipanti allo scambio, circolavano due tipi di oggetti
1) collane di conchiglie rosse (soulava) 2) braccialetti di conchiglie bianche
(mwali). Le prime circolavano solo in senso orario i secondi solo in senso contrario. Ciò
dipendeva dal fatto che gli oggetti appartenenti ad una categoria potevano essere
scambiati solo con oggetti dell’altra categoria: collane contro braccialetti e braccialetti
contro collane. Gli oggetti circolavano in continuazione restando nelle mani del loro
possessore solo per un periodo limitato di tempo, essi non uscivano mai dal circuito di
scambio e venivano barattati nel corso di visite che gli abitanti delle diverse isole si
scambiavano periodicamente. Tanto i preparativi per la partenza, quanto gli scambi,
avvenivano secondo rituali precisi accompagnati da pratiche magiche. Durante le
visite gli scambi Kula erano accompagnati da un commercio di tipo profano mediante il
quale venivano scambiati oggetti in possesso di un valore d’uso (gimwali). Un altro
aspetto interessante della vita locale, messo in luce da Malinowski fu l’esistenza di ciò
che gli antropologi chiamarono poi sfere di cambio: cioè ambiti non comunitari fra loro
entro cui circolavano oggetti di natura differente. Conchiglie e bracciali potevano
essere scambiato solo tra loro e non contro un qualsiasi altro oggetto.
Quest’opera inaugura innanzitutto una nuova epoca nella pratica della ricerca sul
campo dando vita al metodo dell’osservazione partecipante che fu senza dubbio un
elemnto di innovazione anche sul piano teorico oltre che pratico:
Malinowski studiò anche la famiglia tra gli aborigeni australiani, con questo libro,
malinowski sfatò il luogo comune della promiscuità primitiva secondo la quale i
rapporti sessuali tra individui non erano regolati da nessuna norma. Malinowski
sostiene che non è mai esistita questa pratica , e afferma contrariamente a quanto si
pensa, che gli aspetti sessuali della vita sociale degli aborigeni australiani, lungi dal
possedere i caratteri della promiscuità indiscriminata, sono al contrario soggetti a
strette norme, a restrizioni e a regole precise.
Nel testo una teoria scientifica della cultura, Malinowski da un immagine della società
e della cultura come un insieme di pratiche e comportamenti tra loro integrati tendenti
al mantenimento dell’equilibrio interno alla società e del funzionamento di essa.
Questo approccio fu denominato funzionalismo ristretto. In parallelo a questa
concezione coesisteva l’idea di cultura come un complesso apparato spirituale,
materiale e comunicativo, con il quale gli esseri umani risolvono problemi specifici e
soddisfano, bisogni fondamentali. UN apparato strumentale pensato, come una serie
di risposte da parte dell’uomo alle necessità imposte dall’adattamento all’ambiente
esterno. È questo ciò che potrebbe essere definito funzionalismo allargato. In
sostanza Malinowski ci dice che gli esseri umani risolvono i problemi
materiali con risposte culturali. Esempi:
Dalle risposte ai bisogni primari nascono a loro volta bisogni secondari o derivati,
che coincidono con l’esigenza di organizzare e di mantenere la coesione sociale, a
cui si risponde con le istituzioni politiche ed economiche. Nascono poi ulteriori bisogni
chiamati integrativi, che accedono al livello del simbolico e che soddisfano altre
necessità, come ad esempio il linguaggio, la tradizione orale e scritta, l’arte , la
religione, la magia.
La magia per Malinowski, non è anteriore alla religione e alla scienza (come diceva
frazer), ma è un processo primordiale che afferma il potere autonomo
dell’uomo di cercare dei fini desiderati. Essa mette in grado l’uomo di compiere
con fiducia i suoi compiti importanti. La funzione della magia è quella di
ritualizzare l’ottimismo dell’uomo, quindi anche la magia come qualsiasi altra
istituzione culturale, anche la più esotica e bizzarra assolve A UNA FUNZIONE
SPECIFICA.
Gli anni successivi alla seconda guerra mondiale furono, per gli studi etno-
antropologici italiani, anni difficili. Gravava su questi studi l’ombra della
compromissione con il regime fascista, nelle sue varianti coloniale e razzista. Un
momento importante di rilancio per gli studi di carattere etno-antropologico venne
dall’antropologo napoletano Ernesto De Martino.
Nel 1948 De Martino pubblicò “il mondo magico”, secondo alcuni il libro più importante
dello studioso napoletano. In questo libro, in sintesi , E.De Martino costruisce la sua
interpretazione del magismo come epoca storica nella quale la labilità di una
presenza non ancora decisa viene padroneggiata attraverso la magia, in una
dinamica di crisi e riscatto. Due sono i punti di riflessione principali, che Ernesto De
Martino svolge ne “il mondo magico” :
Con questo libro (il mondo magico) De Martino dà una ricostruzione dell’età magica
come momento di sviluppo della storia dello spirito. Essa è un epoca in cui i confini tra
uomo e natura, tra soggetto e oggetto sono ancora incerti. Ma anziché risolversi in una
partecipazione mistica, come riteneva l’etnologia di ispirazione irrazionalista, questa
incertezza crea un dramma: quello della crisi della presenza, del rischio per l’uomo
di essere annullato, il rischio appunto di non esserci, di non esistere. Di fronte a questa
crisi, è la magia a salvare l’uomo che appare come un insieme di tecniche per
riscattarlo da questa crisi e rassicurarlo del proprio esserci. Il magismo per De Martino
è dunque un tentativo coerente, da parte dell’uomo di affermare la propria presenza
nel mondo.
Quindi la magia per De Martino non è né una forma imperfetta di razionalità come
credevano gli evoluzionisti né una semplice risposta allo stress emotivo
procurato da situazioni dall’esito incerto, come credeva Malinowski. Ma è una
lotta ingaggiata dagli esseri umani per poter esistere.
IN un’altra sua opera importante intitolata “Morte e pianto rituale” del 1958 De
Martino introduce il concetto di perdita della presenza: In questa opera è
particolarmente strana l’assenza di qualsiasi riferimento o richiamo all’opera di Hertz
(rappresentazione collettiva della morte) e all’opera di Van Gennep (riri di passaggio)
sebbene l’opera di De Martino presenti delle notevoli analogie con queste opere. A
cominciare da Hertz. De Martino infatti impiega lo stesso termine utilizzato da Hertz ,
scandalo, per designare l’atteggiamento della società di fronte alla perdita di un
proprio componente. Richiama invece Van Gennep, quando parla della necessità degli
esseri umani di far passare il defunto nel valore, ovvero in una dimensione culturale
che lo recuperi come pura eticità dopo che lo scandalo della morte ha messo in dubbio
la continuità della presenza.
Il concetto di destorificazione:
L’etnocentrismo critico:
In De Martino non c’è alcun accenno a quella problematica che può essere definita
come la “costruzione del dato etnografico” in quanto risultante del processo tra
antropologo e oggetto di studio. Gli “osservati” stanno in un rapporto di pura passività
e non concorrono a determinare – con le proprie interpretazioni della realtà vissuta – le
interpretazioni dell’osservatore. Per De Martino insomma l’incontro etnografico non
suscita il problema del punto di vista del nativo, ma si limita a suscitare una doverosa
autocritica concettuale da parte dell’etnologo nel segno di un umanesimo etnografico.
Il pericolo dell’umanesimo etnografico –scrive –De Martino – è il relativismo
culturale (Gli assertori di tale teoria combattevano l’etnocentrismo, negando l'esistenza di un'unità di
misura universale per la comprensione dei valori culturali, poiché ogni cultura era portatrice di istituzioni ed
ideologie che non avevano validità al di fuori della cultura stessa. Emerse un nuovo punto di vista che facilitò
una profonda comprensione e un più sottile apprezzamento delle culture molto diverse dalla propria. Si
comprese, così, che i bisogni umani universali potevano essere soddisfatti con mezzi culturalmente diversi e
che ciò che era considerato morale in una cultura poteva essere amorale o eticamente indifferente in
un’altra). Solo l’occidente per De Martino ha prodotto un vero e proprio interesse etnologico, nel senso largo
di confrontare sistematicamente la propria cultura con le altre… ma questo confronto non può essere
condotto che nella prospettiva per cui l’etnologo occidentalizzato assume la storia della propria cultura come
unità di misura delle storie culturali aliene.
Giuseppe Cocchiara: