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OraSesla

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Sui senlieri deIIa vocazione 2
II vero significalo di carisma 5
QueIIa divina isirazione 9
Le vere radici deI resenle 12
Un Dio graluilo sedulo lra i banchi 16
Iredda gerarchia o ooIo di Dio` 20
L'uomo cenlro di unila ermanenle 23
La camaneIIa suona 3 voIle: e nala una donna 27
AscoIlo dunque rego 31
2 vvv.orasesla.il
Sui senlieri deIIa vocazione

Sono un rele, e daI 1950. Un venlagIio di lemo moIlo amio se uno
vuoIe osservare Io sviIuo (o Ia deformazione) d'una aroIa da quando Ia ud
coscienlemenle er Ia rima voIla fino ad oggi. Ier esemio, iI lermine
vocazione. O anche carisma, o chiesa, o riveIazione, er eIencare aroIe udile
e usale con una cerla frequenza, neI caso mio, dalo che sono un rele.
Nei miei anni di seminario (iniziai neI 1937) si arIava moIlo di vocazione,
ed escIusivamenle in raorlo aIIa sceIla cui si era chiamali o meno, ossia aI
sacerdozio. C'erano, er esemio, i cosiddelli esami di vocazione, aI lermine deI
ginnasio e oi deI Iiceo. isognava risondere con una cerla amiezza, a un
formuIario e consegnare I'eIaboralo aI direllore siriluaIe deI seminario. Iin dai
rimi anni, ricorrendo I'esressione nei discorsi dei iu anziani con una cerla
aria di sussiego quando non di mislero, si guardava ai quinlaginnasiaIi e
lerzaIiceaIi con un mislo di ammirazione e di risello, er I'eroica falica che
dovevano fare con quegIi esami che sembravano forche caudine. Leggende di
seminario, naluraImenle. I cos si giungeva aI lu es sacerdos in aelernum che
i seminarisli canlavano quando iI sacerdole noveIIo riservava una deIIe sue
rime messe aI seminario in cui era cresciulo.
Si arIava di abbondanza di vocazioni come oggi si Iancia ogni lanlo
I'aIIarme er Ia enuria di esse. Se uno abbandonava iI seminario doo quaIche
anno, ad andargIi bene, si diceva che non aveva vocazione, aIlrimenli I'aveva
erdula o addirillura, con cerli redicalori ad effello, lradila. Ioi, in leoIogia,
nessuno era iu aII'oscuro deI fallo che in fondo Ia vera vocazione consisleva
neIIa chiamala deI vescovo, quasi dicesse: Caro figIioIo, so che chiedi di farli
rele. Ibbene, vieni, li accoIgo e li ordino sacerdole aI servizio deIIa diocesi.
Ma, nonoslanle quesla garanzia di semIificazione, ci covava sollo semre queI
senso di eIezione, da arle di Dio, che aveva sceIlo I'uno e non I'aIlro, queslo e
non queII'aIlro.
Cailava, anche aIIora e moIlo iu doIorosamenle di oggi, che doo
quaIche lemo, anche soIo ochi anni o ochi mesi, un sacerdole di fresco o
anche aIquanlo slagionalo, gellasse Ia lonaca aIIe orliche (si diceva rorio
cos, forse era un'esressione coniala in cuIlura conladina), e aIIora c'era quasi
limore a ricordare iI fallo e a arIarne, una secie di !annaiic ncncriac.
Le vocazioni erano anche femminiIi. Un beI giorno si sargeva Ia voce aI
aese: Ma guarda Ia Maria, s'e falla suora. Chi avrebbe dello che aveva Ia
3 vvv.orasesla.il
vocazione`. Oure: I s, ce I'asellavamo, si vedeva che aveva Ia vocazione,
con queI suo essere lulla casa e chiesa.
Ioi c'erano Ie giornale er Ie vocazioni che combaciavano sesso con
queIIa er iI seminario, naluraImenle con Ia raccoIla deIIe offerle, e Ie confra-
lernile che erano slale isliluile er regare er Ie vocazioni. Con lulla quesla
sovrabbondanza lerminoIogica era faciIe idenlificare Ia vocazione con Ia vila deI
rele o con Ia vila reIigiosa. Le aroIe hanno un Ioro significalo, a risellarIo, Ia
aroIa, quaIunque essa sia, aIIarga menle cuore e inleIIigenza e aiula a enel-
rare neI mislero che ogni cosa, indicala daIIa aroIa, orla con se. Cos iI
lermine vocazione, iI cui vero significalo e anlecedenle aII'esislenza deI
sacerdozio minisleriaIe e aIIa vila reIigiosa, affondando Ie sue radici neI mislero
di Dio: iI quaIe ci ha chiamali rima ancora che iI mondo fosse, e ci ha co-
nosciuli e amali. AIIora iI significalo rimario e originario di vocazione ci
rimanda a queslo mislero deII'amore di Dio er cui Ia chiamala, da semre, e
conoscenza e Ia conoscenza e amore. Quando Io si reslringe, si erde arle deIIa
sua ricchezza. Iure iI lermine vocazione e laImenle fissalo neIIa sua
accezione eccIesiaslica che si slenla a mellerIo, quando Io si usa con laIe
significalo, in seconda fiIa. Le voIle che neI discorrere ho cercalo di reIalivizzare
laIe lermine, aIIa fine era semre iI secondario che revaIeva. Ioco maIe. Gia iI
olerne arIare e una gralificazione senza rezzo. Ma forse Ia mia e Ia relesa
di vedere scorrere Ie aroIe fra Ia oIvere e Ia falica quolidiana deI vivere senza
che ne risenlano, dimenlicando Ia figura relorica deII'anaIogia er cui si lende a
sosliluire aI raorlo di comarazione queIIo d'idenlila.
Sarebbe, erlanlo, Iecilo arIare di vocazione aI sacerdozio o aIIa vila
reIigiosa sollinlendendovi Ia simiIiludine quasi dicessi: come rima che iI
mondo fosse ci fu una vocazione di lulli gIi uomini, cos aIcuni sono chiamali a
esercilare iI minislero, ordinali a rocIamare Ia IaroIa e ceIebrare I'eucarislia.
Ma e moIlo faciIe che, neI Iinguaggio correnle, non si lenga iu conlo deIIa
simiIiludine e si dimenlichi che ogni uomo ha una vocazione cui uo
risondere in ogni slalo di vila. Ier queslo mi sembra necessario richiamare
I'assoIulezza deIIa IaroIa che garanlisce essere Ia chiamala iI dono graluilo di
Dio fin daII'inizio.
Ma erche dici quesle cose, vecchio rele` Irorio er esrimere Ia mia
gioia e Ia mia ace di essere rele, che forse non avrei cos lolaIe se dovessi
inlerrogarmi suIIa mia vocazione secondo i melri e Ie inlerrelazioni eccIe-
siasliche, e non lenessi conlo innanzilullo di queIIa rima chiamala che e
comune a ogni uomo. Mi olrei erfino domandare se io avevo o meno Ia
vocazione a divenlare rele. Guardando infalli aI giorno che mise in molo iI
4 vvv.orasesla.il
lullo e a cosa avvenne a quaIche sellimana daII'ordinazione, I'inlerrogalivo si
coIora s di doIcezza ma non scomare. Ando cos.
Si era ai rimi di agoslo deI 1937. Avevo aena lerminalo di servire Ia
messa aI curalo, quando iI seminarisla iu anziano che resiedeva ad aIlri
quallro, mi chiese, afferrandomi rima che fuggissi er fare lullo di corsa iI
lragillo daIIa chiesa aIIa casa: Non vorresli venire in seminario`. Lo guardai
sbaIordilo. Io avevo vogIia soIo di giocare. GIi domandai: In seminario si
gioca`. Ma cerlo, disse. I mi incanlo descrivendomi i cinque grandi corliIi e i
giochi che ogni giorno vi si facevano. AIIora vengo, risosi.
Mancavano oche sellimane aIIa mia ordinazione e andai daI direllore
siriluaIe (ero gia diacono da quaIche mese). GIi chiesi: Monsignore, mi aulo-
rizzi a rimanere diacono. II sacerdozio mi savenla. Mi guardo sorridendo, un
sorriso che usciva daIIe rofondila deI suo amore e bonla: Che li saIla in
menle` Non siamo mica neIIa chiesa orlodossa. Va', va' . I mi congedo cos.
Da queI 1937 aI 1950 ci furono di mezzo gIi anni deIIa guerra coi giorni
esaIlanli deIIa resislenza e aIlri avvenimenli che mi sinsero aI 3 giugno 1950
deIIa mia ordinazione. I, lanlo er comIelare Ia mia avvenlura vocazionaIe,
aggiungero queIIo che avvenne iI giorno doo I'ordinazione, svegIialo daI
suono deIIa feslosa avemaria er Ia mia rima messa canlala neIIa chiesa deI
mio ballesimo. Debbo rorio dire quaIe fu iI mio rimo molo d'animo, senza
ericoIo d'essere frainleso` I erche no, dalo che dichiarare Ia roria gioia e
semre un allo confidenziaIe` Icco, fu un molo di deIusione, erche m'accorsi,
rirendendo coscienza d'essere rele fra Io scamanio fesloso deIIe camane,
che ero rimaslo queIIo di rima, queIIo di semre. Iorlunalamenle Dio non
oleva alire deIusione er Ia sua chiamala nei miei confronli rima che iI
mondo fosse, giacche I'amore aveva recedulo lullo, anche Ia mia vocazione
aI sacerdozio.
Insomma, vocazione neI senso originario o neI senso anaIogico, vocazione
neI significalo che ci squaderna Ia Scrillura o che ci lrasmelle iI Iinguaggio
eccIesiaslico (ma in rinciio non fu cos!), queIIo che rimane neIIe mani vuole
d'un vecchio rele e iI dono senza enlimenli di Dio che I'ha chiamalo, cono-
sciulo e amalo rima ancora che iniziasse Ia sua sloria come queIIa di ogni aIlro
uomo, saendo Dio scrivere a sua gIoria drillo con Iinee slorle, come dire che
anche Iui ha avulo una vocazione: I'amore assoIulo e graluilo che gIi ha fallo
scegIiere Ia deboIezza er manifeslare Ia sua olenza, I'umanila er manifeslare
Ia sua divinila. I simiIe concIusione, vadano Ie cose come vogIiono, abbia
bisogno o meno iI regno di Dio di vocazioni reIigiose abbondanli, e gioia e ace.
5 vvv.orasesla.il
II vero significalo di carisma

Come iI lermine vocazione, anche un aIlro ha avulo Ia sua accenluala
lrasformazione di significalo nei miei 54 anni di rele: carisma. Tanlo er
sorridere e confermare I'eslensione deIIa sua lrasformazione, racconlero un
fallereIIo, come dicevano i redicalori d'esercizi, e noi in seminario ne eravamo
conlenli e vi reslavamo iu allenzione che non aI reslo.
L'uIlima voIla che assai da via AnloneIIi, neIIa zona di iazzaIe Corvello,
fu in ollobre deII'anno scorso. Iro andalo in bicicIella in via Longhena (quasi a
erendicoIo con via AnloneIIi), dove abila mia soreIIa, 10 km esalli arlendo
da ViboIdone, 20 andala e rilorno. Un ideaIe er iI mio cuore. II cardioIogo,
infalli, doo un inlervenlo aIIa vaIvoIa aorlica, m'aveva ingiunlo, assieme a una
mezza farmacia di medicine, quesla cIausoIa consoIanle: ma si ricordi che Ia
migIiore medicina sono 10 km a iedi o 20 in bicicIella. Cio avvenne 10 anni fa.
QueI giorno di soIe ollobrino, dunque, avevo obbedilo aI comando deI medico
coi 20 km in bicicIella. Anche rima, ero, da cane scioIlo, ercorrevo sesso
queIIa via, a iedi o in bicicIella, ed ero semre allrallo da un negoziello che, un
anno s e uno no, cambiava merce o mesliere, finche si rifece iI lrucco e divenne
un negozio di arrucchiere er signora. I un mesliere che rende, dicono aI mio
aese. Iorse e quesla Ia ragione er cui iI negozio non ha iu cambialo merce o
mesliere e, a della di mia soreIIa che Io frequenla, Iavora a ieno rilmo, 4
arrucchiere alenlale. Ioi venne I'inverno e aesi Ia bicicIella aI chiodo dei
miei anni, imigrendomi un oco, lanlo, ensavo, neIIe visile di conlroIIo,
I'amico cardioIogo non mi domanda mai se ersevero neIIa medicina migIiore.
Ogni voIla che vi assavo davanli, anche queI giorno dunque, sorridevo
Ieggendo Ia dicilura che cameggiava suIIa fascia sueriore deIIa velrina.
Nemmeno a essere un incaIIilo fanlasisla si oleva immaginare che Ia aroIa
sceIla olesse essere Carisna! Immaginavo che Ie donne di lulla Ia zona di-
cessero: vado a farmi fare Ia ermanenle da Carisma, Iavorano bene aI Carisma.
I mi allraversava un guizzo di conlenlezza, ensando a quanlo san IaoIo,
facendo iI mio slesso ilinerario, avrebbe olulo escIamare, aI vedere queI
lermine che aveva invenlalo Iui e che amava aI unlo di usarIo con moIla
arsimonia e cauleIa, quando era ben cerlo che i Iellori I'avrebbero inleso come
dono graluilo di Dio. Chissa, mi assava irriverenlemenle er Ia menle, che iI
grande AosloIo non riela queII'invelliva Ianciala conlro chi allenlava resso i
CaIali a queIIa Iiberla deII'IvangeIo, rodolla daIIa graluila, che aveva Ioro
lrasmesso (GaI 5,12)!
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A dire iI vero, quando fui ordinalo rele neI 1950, ur avendo sesso lra Ie
mani iI Nctun Tcsiancniun graccc ci |aiinc deI Merk, iI lermine non mi oneva
robIemi, era quasi sconosciulo, e mi scivoIava via quando mi ci imballevo coI
significalo soIo di dono, Iegalo in modo arlicoIare aIIa carila, I'agapc, iI carisma
migIiore di lulli deI ca. 13 deIIa rima Iellera ai Corinli.
Anche neIIe rediche e neIIe islruzioni deI direllore siriluaIe in seminario
non si arIava di carismi, cosicche laIe lermine, non enlrando neI Iinguaggio dei
reli e neIIa redicazione, era ressoche sconosciulo. Come sia riuscilo a fissarsi
suIIa velrina d'un negozio di arrucchiere, saIlando daIIo scrigno ben rolello
deIIe Iellere aoIine neII'aria iena di veIeni d'una cilla, e er me un mislero.
Se avessi chieslo aIIa decina di reli che facevano fesla ai rimi di giugno
1950 in occasione deIIa mia rima messa in canlo, cx a|rupic, iI senso
elimoIogico di carisma, enso che soIo iI mio arcirele m'avrebbe risoslo
esaurienlemenle, e con grande guslo, giacche era slalo rofessore di greco e di
Ialino e, ogni giorno, si rinfrescava occhi menle e cuore con una agina deI
Merk. I, a farmi da adrino fra queIIa decina, c'era erfino iI Vicario generaIe
che, 30 anni rima, era slalo vicario deI mio arcirele. QueI che si dice Ia
slranezza dei ercorsi neIIa vila dei reli, e non soIo di quesli.
Sarebbe quindi moIlo inleressanle seguire iI ercorso di queslo lermine,
che deve essere slalo veIocissimo, diIalandosi fino aII'infIazione. Confesso che
ne fui sommerso rovando un senso di faslidio semre iu crescenle man mano
che iI lermine si diffondeva in nuovi cami e sellori, erdendo semre di iu iI
suo significalo rimilivo di dono graluilo di Dio, con un'accenluazione suI
graluilo, se si liene conlo che iI radicaIe deI lermine e cnaris, significanle, in
IaoIo, grazia, graluila. Cose serie. L'uso indebilo deIIe aroIe e micidiaIe. Iuo
ridicoIizzare, uo sviIire, uo dislruggere erfino Ia ragione deI vivere e deI
soravvivere d'un lermine. Sarebbe fin lroo banaIe indicare, a modo di
esemio, Ia sorle deI lermine amore, di cui si arIava, a della deI Manzoni, 600
voIle in iu deI necessario. Quando Ia leIevisione cominciava a inoIlrarsi nei
meandri dei arlili con scambio di favori, se si annolavano quanle voIle un
ersonaggio, lio Ianfani, ricorreva suI iccoIo schermo, si oleva ronoslicare,
se Ia frequenza deII'aarizione assava una cerla sogIia, i mesi o addirillura i
giorni di vila deI suo governo. Non ci si sbagIiava. Tanlo er fare un aIlro
esemio d'infIazione, quesla voIla d'immagine, dico er Ia leIevisione d'aIIora,
non di oggi che e un'aIlra cosa.
Inconlrai un giorno una suora che si aulorocIamava con ienissimo con-
vincimenlo e caIorosamenle, di ossedere un carisma arlicoIare che alluava iI
carisma rorio deII'islilulo e deIIa sanla fondalrice. NuIIa viela di ensare che,
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se queslo avveniva er una suora, oleva accadere er miIIe, una confede-
razione di carismi. Non ensava Ia buona suora (ma Iei non faceva aIlro che
rielere un lermine gia infIazionalo) che un carisma e er definizione un dono
graluilo e che, dichiarandosene ossedilrice, Io si dislrugge neI suo eIemenlo
coslilulivo che e Ia graluila, Ia cnaris, aunlo. Anche erche iI carisma, secondo
IaoIo, viene dalo er iI bene comune. I non e cerlamenle I'evenluaIe ossessore
che Io ossa affermare.
Rielo che sarebbe inleressanle, er caire un oco megIio I'agire umano,
seguire, arlendo daI 1950, I'ilinerario deI come e deI dove iI lermine sia diIa-
galo, e si sia esleso aI Iinguaggio comune, famiIiare a lulli, |ippis ci icnscri|us, e
rorio iI caso di dire ensando aI negozio di via AnloneIIi. asli Ia consla-
lazione che Io si lrova ovunque: sui cami di gioco e suIIe reIalive anchine, nei
arlili e in arIamenlo, ersine Ia dove, er definizione, viene dislrulla Ia cnaris,
Ia graluila, giacche, aI vedere carismi daerlullo, si uo arrivare fino aI
carisma deI fare soIdi: iI che cerlamenle non e er iI |cnc ccnunc!
QuaIche anno fa usc un Iibro daI liloIo innocenlemenle bIasfemo: II
carisma deI denaro. I siace dirIo, er Ie edizioni che si richiamano aI grande
forgialore deI lermine carisma. Come dire: II dono graluilo fallo da Dio deI
danaro, queslo danaro che e semre di iniquila er iI VangeIo, nanncna
iniquiiaiis, quando si lira in baIIo Dio che e Ia graluila assoIula. Cerlo, chi sceIse,
aulore o edilore, queI liloIo era ben Iungi daI ensare aI significalo deIIa cnaris
(graluila, grazia), ma cio non logIie che I'accoslamenlo oggellivamenle sia
bIasfemo. A confronlo, I'insegna deI negozio di arrucchiere di via AnloneIIi
riemie I'animo di Ielizia. I a ragion vedula essendo iI radicaIe cnar iI lronco suI
quaIe fiorisce Ia gioia. Infalli, in greco se iI dono graluilo e cnaris, Ia gioia e
cnara. La gioia ha Ia sua radice neIIa graluila. Slraordinario. Si sa, Ie aroIe
delerminano iI comorlamenlo degIi uomini se vengono risellale neI Ioro
significalo originario, ma e semre ossibiIe che iI comorlamenlo degIi uomini
delermini iI significalo deIIe aroIe. Iorse er queslo Ia gioia, slaccala daIIa sua
radice, ben reslo s'aassisce e si dimoslra effimera, andando di ari asso
con Ia erdila semre iu accenluala dei comorlamenli graluili. Quando,
naluraImenle, si rende iI lermine carisna coI conlenulo che gIi dava san IaoIo
e non in queIIo che cameggia su una velrina di arrucchiere o suIIa coerlina
d'un Iibro che non resi nemmeno in mano er risello a san IaoIo.
So bene che quando un lermine e enlralo neI Iinguaggio con oIivaIenli
significali semre iu Ionlani da queIIo originario e difficiIissimo olerIo
conlroIIare e ricondurIo aII'origine deI significalo. Ma sarebbe gia un modo di
risellare Ia aroIa e di riceverne graliludine (Ia graliludine deIIa aroIa e
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discrela, azienle, e ronla a logIiere quaIche mallone aIIa semre risorgenle
lorre di babeIe) se, a nominare i carismi fuori deI conleslo in cui Ii ose san
IaoIo, si dovesse avere I'avverlenza di recisare: come imroriamenle si dice.
Ma forse sarebbe iu semIice rilornare a rima deI 1950 er quanlo riguarda
laIe lermine, lenendo ero ben slrella Ia gioiosa scoerla che feci succes-
sivamenle er ura grazia., naluraImenle, ossia che iI carisma, er essere
aulenlico, deve fondarsi suIIa graluila e rodurre gioia. I rorio Ia migIiore
medicina, e non soIo er iI cuore.
Iero un grazie Io debbo ur dire aI mio bravo amico cardioIogo,
ricordandogIi che san IaoIo, neII'eIenco che fa deIIe funzioni e dei doni neIIa
chiesa, soIo queIIo deIIe guarigioni e recedulo, Ie due voIle che Io richiama, daI
lermine carisma: iI carisma deIIe guarigioni (1 Cor 12, 28.30).

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QueIIa divina isirazione

AIIa ricerca deI significalo erdulo, olrebbero essere definile quesle
brevi escursioni neI vocaboIario che e normaImenle usalo in argomenli di
carallere reIigioso, come i due lermini vocazione e carisma, gia sfiorali
recedenlemenle in quesla rivisla, un'occasione er avvicinarci iI iu ossibiIe
aI significalo originario deIIe aroIe, un allo di onesla verso di esse e, se si e
convinli che |n principic c'e Ia IaroIa che roduce queI che significa, verso
quesla slessa IaroIa che era resso Dio ed era Dio.
Quesla voIla daI mazzello sceIgo un lermine che s'e moIlo diffuso in
quesli uIlimi decenni, erdendo rogressivamenle iI suo significalo originario.
A cerle lrasformazioni e difficiIe er un vecchio fare I'abiludine, ma enso
anche er un giovane se, come sarebbe normaIe, iI giovane islinlivamenle e
orlalo a sosellare suIIa genuinila di quanlo gIi e lrasmesso.
SceIgo, dunque, iI lermine rofela, che sembra oggi, come liloIo di
merilo, iulloslo infIazionalo, er i morli, con quaIche accenno anche ai vivi,
quando si e benevoIi verso cerli ersonaggi che, neIIa chiesa, non sono di lullo
rioso.
Ier caire Ia ragione di queslo fenomeno, rilorno ai lemi deI mio
seminario erche osso arIare er eserienza ersonaIe, e non c'e rischio di
leorizzazione. Ragazzino di aese, Ie rare voIle che si diceva o si senliva iI
lermine rofela, anche neI calechismo, si ensava a un indovino, che vedeva
iI fuluro. Vuoi fare iI rofela, si diceva di un comagno che ronoslicava Ia
neve er iI giorno doo.
Ioi, in seminario, iI lermine comincio a recisarsi. Irofeli e rofezia
ricorrevano sesso neIIe rediche e islruzioni, ma semre in riferimenlo aII'an-
lica aIIeanza. San Giovanni allisla divenlava, cos, I'uIlimo dei Irofeli che face-
va da cerniera fra I'anlica e Ia nuova, definiliva, aIIeanza.
Allribuire queslo liloIo a un uomo che fosse venulo doo, nemmeno a
ensarci. Se un giovane IiceaIe d'aIIora che, quasi er islinlo, difendeva don
MazzoIari daI oco conlo in cui era lenulo, avesse dello: Ma e un rofela!, gIi
avrebbero dalo deII'esaIlalo, vivo o morlo che fosse I'ammiralo o discusso don
Irimo.
10 vvv.orasesla.il
Da uIlimo, neIIa scuoIa di S. Scrillura, iI rofessore ce ne siegava I'eli-
moIogia: rofelare era arIare in nome d'un aIlro. II rofela, dunque, arIava in
nome di Dio, e, er queslo, risuIlava divinamenle isiralo. Iure, da un cerlo
eriodo, duranle o subilo doo iI ConciIio, iI lermine diIago. Si erdelle, aIIora,
rogressivamenle di visla CoIui che era indicalo daII'uIlimo dei rofeli,
Giovanni allisla, come iI reaIizzalore, neI suo slesso Coro, crocifisso e risorlo,
d'ogni rofezia. QueIIo che si dice Ia verila d'un lermine!
L'infIazione deI lermine comincio coi morli. II riferimenlo gia accennalo a
don MazzoIari e embIemalico. Io ebbi Ia grazia di inconlrarIo, non fisicamenle
ma allraverso i suoi scrilli, er Ia rima voIla, negIi anni esaIlanli deIIa
Resislenza. IgIi, a sua insaula, conlribu aIIa mia sceIla di divenlare rele e di
oler scrivere, suIIa immaginella ricordo deIIa mia ordinazione sacerdolaIe, iI
versello deI saImo XI, in Ialino, er udore (ma a un giovane di 23 anni gIi si
uo erdonare anche quesla resunzione): prcpicr ajj|iciicncn nuni|iun ci
gcniiun paupcrun. Divenulo rele, I'inconlrai ersonaImenle due voIle di cui
una soIo er Iellera. Iorse nemmeno iI mio nome di giovane confraleIIo, se gIi
giungeva, oleva dirgIi quaIcosa, eure era un unlo di riferimenlo er me e
er aIlri, nonoslanle Ie incomrensioni e i conlrasli che subiva, o rorio er
queslo. Moriva 45 anni fa, e, con Ia nuova fresca venlala deI ConciIio, si enso
di siegare o di comrendere cerle reazioni conlro di Iui, dalo che era un
rofela e doveva seguire Ie sorli deI rofela.
Quando uno e morlo non uo sollrarsi nemmeno aIIa sua imbaI-
samazione, lanlo non irrila iu nessuno, non da iu faslidio a nessuno, e si
riara ai lorli che gIi sono slali falli in vila, siegabiIissimi, quasi necessari, se
coslui aveva recorso i lemi con un asso iu veIoce di quanlo era consenlilo
aIIa chiesa di fare. I lullavia Ia sua vila, redicazione e scrilli, non fu aIlro che
indicare in Crislo (Ia IaroIa che non assa come Iui slesso diceva e viveva ) iI
comimenlo d'ogni rofezia e Ia ienezza deI lemo gia avvenula. La reci-
sazione non e di oco conlo, giacche iI unlo focaIe, I'unico, non e iu un uomo,
con i suoi Iimili, Ie sue assioni e Ia sua fede, ma soIo iI suo indice, deIIa mano
deslra o sinislra, unlalo suI Crislo come risuIla dagIi evangeIi. Cerlo, don
MazzoIari suscilo conlrasli e oosizioni, ma se Io si vuoIe ricordare e onorare
bisognerebbe chiederci se queI Crislo che ci indico era queIIo vero, lraman-
daloci daIIa chiesa, IaroIa falla carne, crocifissa e risorla. Come ce Io indico
Giovanni allisla che, coI suo indice unlalo in direzione di Crislo, bambino
suIIe ginocchia deIIa Madre come neII'arco lrionfaIe deII'Abbazia di ViboIdone,
o crocifisso come neIIa grande lavoIa di GrnevaId, conlinuamenle riele Ia
necessila er Iui di diminuire er far crescere Crislo. II versello evangeIico (Gv
3, 30) e scrillo a Iellere vermigIie fra I'indice e I'omero deI Giovanni allisla
11 vvv.orasesla.il
deIIa lavoIa di GrnevaId. TaIe diinlo e una seIva di mani conlorle in sasimi
(angoscianli e Iaceranli queIIe di Crislo). Ma I'unica mano senza conlorsioni,
con I'indice unlalo senza lremori, sicuro, e queIIa deIIa grande figura deI
allisla aIIa sinislra deI Crocifisso. NeII'affresco di ViboIdone, invece, Ie mani
deII'uIlimo Irofela sono serene, doIcissime, e Ie Iabbra in un voIlo disleso e in
ace sembrano essere I I er dischiudersi aI versello evangeIico, iI lullo su uno
sfondo azzurro.
Don Irimo non faceva aIlro che rielere iI geslo deI allisla e Ia necessila
che Ia chiesa, chiamala a lrasmellere Ia buona nolizia deIIa ienezza deI lemo
e deII'ademimenlo d'ogni rofezia in queI Coro crocifisso e risorlo, dimi-
nuisse er mellere unicamenle in Iuce iI suo Signore (quando saro innaIzalo,
lrarro lulli a me Gv 12, 32).
Tullo I'evangeIo e allraversalo da quesla necessila di comimenlo d'ogni
rofezia in Crislo. C'e un conlinuo rilorneIIo sui gesli di Gesu che suona cos:
erche si ademisse Ia Scrillura, daIIa nascila fino aIIa morle e risurrezione,
fino aIIe sue aarizioni di Risorlo ai due disceoIi di Immaus e agIi Undici. I
Iui slesso che are iI cuore aIIa comrensione deIIa Scrillura come rofezia di
quanlo Iui ha reaIizzalo (Le 24, 27.44). Ier queslo Giovanni allisla e I'uIlimo
dei rofeli indicanle iI Coro di Crislo come Iuogo deIIa Irofezia falla carne,
una voIla er lulle.
Don MazzoIari, e cos diversi aIlri ma soIo doo Ia Ioro morle (si noli),
insignili di queslo liloIo, sono slali imroriamenle delli rofeli. Adesso iI
liloIo e assalo anche ad aIcuni che sono ancora vivi e cercano, neIIe Ioro azioni,
di avvicinarsi aII'evangeIo, er esemio, con gIi immigrali o di fronle ai rob-
Iemi immani deIIa fame e deIIa guerra. Ma come Ii si uo chiamare rofeli, se
I'IvangeIo e iI comimenlo d'ogni rofezia` Iorse erche in queslo modo
demandiamo a Ioro Ia risosla che ognuno, singoIarmenle e come chiesa,
dovrebbe dare`
Quanlo oi aI recorrere i lemi, vislo che soIo Crislo ha reaIizzalo ogni
rofezia neI suo slesso Coro e si e manifeslalo neIIa ienezza deI lemo (GaI
4, 4) una voIla er lulle, che senso uo avere I'affermare, a scusanle di slorie di
chiesa, che i lemi non erano maluri` Non sara slalo iulloslo I'aIIonlanarsi
rogressivo daII'evangeIo a definire Ia noslra immalurila di fronle ad esso`
Quando non si vogIia dire che soIo Uno ha recorso lullo e lulli neI suo Amore,
e ha lanlo amalo iI mondo da donare iI IigIio suo (Gv 3, 16), rima ancora deIIa
noslra risosla.
12 vvv.orasesla.il
Le vere radici deI resenle

Quesla voIla non vado aIIa ricerca deI significalo originario di lermini
arlicoIarmenle diffusi e con sfumalure o anche significali diversi, quaIi
tccazicnc, carisna, prcjczia, ma racconlo di un lermine che mi cerco, er
moslrarmi Iui slesso iI suo originario significalo. Cose che ossono cailare a
lulli e coi lermini iu svariali (er esemio, amore, amicizia), fino a diven-
lare, una voIla enlrali neIIa roria vila, un suo erno o uno dei erni che
iu o meno Ia lrasformano.
A me, rele da 54 anni, e cailalo con un lermine che doveva essere gia,
in queI 3 giugno '50, un cardine deIIa mia vila, e non ne ero coscienle.
Inlendo iI lermine Mcncria.
Come e quando sia venulo a me non so. Aarliene a quei doni che,
magari rearali da innumerevoIi falli, cose, ersone, avvenimenli senza un
aarenle Iegame fra Ioro, si manifeslano aII'imrovviso e li fanno dire: si, e
cos, una meravigIia. I da queI momenlo iI dono ricevulo, anche senza
nessuna cadula suIIa via di Damasco, iIIumina zone d'ombra che li fanno
scorire aIlri doni rima ignorali.
Ier farne un o' Ia sloria, memoria fu uno dei rimissimi lermini
che enlrarono neI mio vocaboIario di ragazzine deIIe eIemenlari con Ia
rima oesioIa che ci dellero da sludiare, a memoria aunlo. No, mi
grido Ia nonna, vedendomi uscire er giocare, hai Ia oesia da sludiare a
memoria. La so gia, risosi. Ha deIIa memoria iI bambino, dissero in casa
di fronle aIIa rima ageIIa.
Iaccio un saIlo di dieci anni: in seminario, duranle una ricreazione
neIIa camerala dei IiceaIi, si fermo quaIche minulo con noi I'anziano
vescovo Cazzani, successore di Geremia onomeIIi. Sorridendo ci disse: mi
ricordo lullo di quando anch'io ero in Iiceo, non come adesso che mi va
fuori di menle cio che e avvenulo anche soIo quaIche giorno fa. Irendele
una carla veIina unla, melleleIa su una agina scrilla, rovale a scriverci
sora. Leggerele benissimo Ie aroIe che slanno sollo, ma I'inchioslro deIIe
nuove e scivoIalo via senza Iasciare lraccia. Cos, figIioIi, e er Ia memoria
d'un vecchio.
Mcncrian jccii, sorrideva mia zia, da che mi ricordo, ogni voIla che
dimenlicava quaIcosa, e non erche saesse di Ialino. II fallo e che Iei non
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mancava mai ai vesri domenicaIi, aIIora in Ialino, con iI Magnijicai deI
Mcncrian jccii nira|i|iun sucrun.
Slo divagando, e queIIo che dico non e una scoerla erche anche oggi
iI lermine memoria ha queslo significalo, ed e ur semre un ricordare
quando si arIa di memoria. Se ne arIa oggi in modo arlicoIare er rife-
rirci aIIa noslra sloria dimenlicala, aIIe radici che affondano in rofondila
in laIe sloria, ben Io saiamo.
Ibbene, io, da queI 3 giugno 1950, ogni mallina mi chinavo suII'oslia e
suI caIice gellalo lroo reslo neI mislero / a drammalizzare / suI lealro
deI mondo / Ia redenzione, sigiIIando Ie due formuIe deIIa consacrazione
con un'esressione che ha iI suo fuoco neI lermine ncncria. Ier iu di 15 anni
risuonava in Ialino cos: Hcc quciicscunquc jcccriiis, in nci ncncrian jaciciis,
che coI canone in ilaIiano divenne: Iale queslo in memoria di me, secondo iI
leslo di Lc 22, 20.
Iinche duro iI Ialino neI canone, aena rima deIIa consacrazione
c'era una reghiera che iniziava con Ccnnunicanics ci ncncrian tcncranics.
Subilo doo Ia consacrazione, un'aIlra reghiera si ricongiungeva aI lermine
aena ronuncialo in nci ncncrian, con un un!c, un ercio, che dava
ragione deI seguilo: ercio noi ncncri deIIa beala Iassione, Risurrezione
e Ascensione deI Signore.... NeI voIgere di oche aroIe, dunque, er ben
lre voIle ricorreva iI riferimenlo aIIa memoria. (Si noli I'aggellivo che
recede iI lermine Iassione di cui si fa memoria: Memori deIIa |caia
Iassione. aslerebbe queslo aggellivo che circonda d'un bozzoIo iridalo di
ace e d'insondabiIe mislero iI assus esl deI Signore, er vanificare
ogni relesa di lradurre secondo iI ensiero e gIi slrumenli degIi uomini,
in un fiIm er esemio, Ia Iassione deII'Uomo-Dio, che Ia chiesa ha I'im-
mane coraggio di rocIamare beala, come canla, neIIa nolle di asqua,
feIice queIIa coIa che ci ha orlalo a lanla graluila saIvezza!)
Se mi avessero chieslo aIIora che cosa inlendessi er memoria non
avrei esilalo a risondere ricordo, lullo incenlralo iI mio ensiero (e iI
mio sgomenlo) suIIe aroIe deIIa consacrazione, e non su un lermine che vi
si coIIocava fuori e sembrava messo I soIo er comIelare iI racconlo deI
geslo deI Signore.
Quando avvenne Io sveIamenlo di queI lermine neI suo nuovo conle-
nulo non di ricordo ma di alluaIizzazione deIIa Iasqua deI Signore` Non
so. Iuo essere accadulo doo breve cammino su aesaggi di Iuce o
aII'uscila d'un buio lunneI, ma sono cerlo che non in queslione di fede.
14 vvv.orasesla.il
Anche rima di laIe sveIamenlo credevo neIIa resenza deI Signore neIIa
consacrazione deI ane e deI vino, come evidenlemenle oleva credervi un
bambino divenlalo adoIescenle e oi giovane, quando ancora non aveva
serimenlalo che Ia fede Iegava moIlissimo coI buio fino ad esigerIo er
essere veramenle Iede. Ma e lull'aIlra cosa oler dire che iI lermine
memoria in queI momenlo non significa riccr!c, giacche non mi rimanda
a quanlo e avvenulo 2000 anni fa, bens significa I'alluaIizzazione, rorio nic
ci nunc, deI Mislero asquaIe deI Signore. Icco erche ho arIalo di
ossibiIila che iI dono deIIa ienezza deI significalo d'una aroIa divenli un
cardine deIIa vila.
Quesla fondamenlaIe dislinzione fra memoria e ricordo, arlila
iniziaImenle daII'aIlare, oggi mi segue neI mio Iinguaggio normaIe, quasi a
dimoslrare come Ia IaroIa, crocifissa e risorla e alluaIizzala, ossia resa
resenle ed efficace neI momenlo deIIa consacrazione, non e eslranea aIIe
aroIe degIi uomini, quando esse sono vere e onesle, in quanlo si e falla
carne e ha usalo aroIe di uomini er lrasmellere se slessa come segno
uIlimo deII'amore di Dio.
II riccr!c rimanda a un assalo, uo ingenerare rimianlo er quanlo e
o non e accadulo, suscilare noslaIgia di lemi definilivamenle canceIIali.
La ncncria, invece, rimanda aI resenle, aIIa siluazione che si vive in queI
momenlo, a condizione ero che Ia arleciazione aIIa memoria sia alliva: e iI
jaciic deI canone Ialino, e iI jaic deI canone in ilaIiano, iI fare memoria,
insomma. In queslo modo fu iI lermine a venirmi inconlro con Ia sua
ricchezza, non io sono andalo in cerca deI suo significalo erdulo. Ier me
quesla dislinzione dei due significali ricordo e alluaIizzazione deII'unico
lermine di memoria, e moIlo imorlanle. I vorrei dimoslrarIo riferendomi
a due ricorrenze che abbiamo aena ceIebralo: iI 25 ariIe e iI Irimo
Maggio. Se mi Iimilo aI ricordo deIIa Liberazione, che mi rilrovo` QuaIche
corona d'aIIoro, un oralore ufficiaIe e una banda comunaIe, e... arrivederci
aII'anno rossimo, se neI frallemo quaIcuno non sosliluira iI 25 ariIe di
fesla con un'aIlra dala. Ma se ne facciamo memoria, aIIora alluaIizziamo
I'avvenimenlo, ce I'abbiamo davanli ancora carico di lulle Ie romesse che iI
sangue graluilamenle sarso er Ia nascila d'un mondo nuovo aveva messo
neIIe noslre mani, erche Ie reaIizzassimo. Ne siamo inlereIIali: che ne
abbiamo fallo` Si deve riarlire o conlinuare in quesla coslruzione: Io
esige I'avvenimenlo morli e sangue di cui abbiamo fallo memoria.
Iinche ci sara quaIcuno che ne fa memoria, e semre ossibiIe reaIizzare iI
mondo nuovo.
15 vvv.orasesla.il
Cos er iI Irimo Maggio. A ricordarIo soIamenle, ben ochi sanno iI
erche sia una ricorrenza di fesla, Io si gode, e basla, come un'oasi di rioso
neIIe giornale Iavoralive. I anche qui, arrivederci aII'anno rossimo se
aII'innaIzamenlo deII'ela ensionislica non corrisondera una diminuzione
di giornale di fesla. Iarne memoria, invece, significa che emergono come
alluaIi lulle Ie slorie di uomini e di donne che Iollarono, soffrirono,
rischiarono erche iI Iavoro fosse riconosciulo allivila di uomini Iiberi
cui ai doveri corrisondevano dei dirilli. II ricordo olrebbe soIo orlare
aI rimianlo o aII'ovviela che oggi i lemi sono cambiali, come Ia |iunana
o iI Quaric Siaic di IeIIizza da VoIedo sono fissali er semre suIIa arele
d'un museo. Ialene, invece, memoria, e queIIe slraordinarie figure di rima
fiIa, e oi di seconda fino aIIe uIlime che sembrano andare aI di Ia deIIa leIa
lanlo sono numerose, si animeranno e scenderanno in mezzo a noi a
lrasmellerci Ia Ioro sele di giuslizia e di seranze d'un mondo nuovo.
Visioni, uloie, consoIazione er soorlare Ia durezza deI lemo`
Chissa. Ma una cosa e cerla: se una aroIa li cerca er donarli un signi-
ficalo che rima li scivoIava via inavverlilo, non e iu come rima. Tanla e
Ia forza deIIe aroIe. Iiguriamoci deIIa IaroIa!

16 vvv.orasesla.il
Un Dio graluilo sedulo lra i banchi

Sono vissulo abbaslanza lemo er assislere a una lrasformazione
coslanle di significalo deII'esressione ora di reIigione, come i girini che
su fondi di fossi Iimidi si lrasformano in rane giovinelle coI Ioro rimo
grido feIice in una nolle d'eslale: gra-gra.
NaluraImenle referirei arIare di rane che di ore di reIigione e
forse anche quaIche Iellore Io referirebbe, ma iI allo con me slesso e di
andare, rima di caIare iI siario, aIIa ricerca di significali erduli di aroIe,
figurarsi quando sono lanlo slrellamenle Iegale da sembrare, oggi, nale
assieme.
Si cominciava aIIe eIemenlari con Ia reIigione neIIe scuoIe. Non si
arIava ancora di ora di reIigione erche nemmeno I'arilmelica aveva Ia
sua ora. Si andava a scuoIa, e basla. Veniva in cIasse, ogni lanlo, iI curalo, ma
senza giorni fissi, maeslra e scoIari scallavano in iedi e rinlronava un Sia
|c!aic Gcsu Crisic. Ad arendere domande e risosle deI calechismo, ero,
baslava gia Ia dollrinella che, lra I'enlrare a mucchi daIIa orlicina deIIa
chiesa, iI fare una scivoIala er genufIessione e quaIche sgomilala dala e
ricevula er rendere oslo nei banchi, con Ie corrisellive oerazioni
er uscirne, lullo sommalo, se non rorio un'ora, oco ci mancava.
OIlrelullo anche iI curalo don Gollardo aveva una gran frella di uscire e
correre con noi neIIa grande iazza.
C'era, dunque, una dislinzione di comili fra Slalo e Chiesa: iI curalo
raresenlava Ia chiesa, e Ia maeslra Ia slalo fascisla, iI quaIe ero era in
buona con Ia chiesa er via deIIa ConciIiazione, che era giorno di vacanza,
cosicche Ia maeslra, doo iI grido di saIulo a braccio leso Iancialo menlre
enlrava in cIasse e noi si risondeva in iedi a braccio deslro drillo: aIaIa,
abbassava iI lono, congiungeva Ie mani e non avresli mai dello che avesse,
er I'avemaria deII'inizio, una voce lanlo devola da confondersi con queIIa
deIIe suore, Ie cui scuoIe frequenlai, daII'asiIo aIIa lerza eIemenlare.
Doo Ia quarla eIemenlare, anno in cui fui sceIlo daIIa maeslra
fascisla come caosquadra baIiIIa-moschelliere erche ero bravo in arilme-
lica, er cose slranissime mi lrovai senza quinla in rima ginnasiaIe deI
seminario deIIa mia cilla. Ier Ia rima voIla senlii arIare d'ora di reIigione
neI rogramma scoIaslico, un oco sluilo erche I era lullo reIigione e
reli. Conservo un quadernello con scrillo suIIa coerlina Ora di
17 vvv.orasesla.il
reIigione. I deI 1940, quarla ginnasio, con coialura di beIIe frasi in
ennino golico e ornalo di disegni lralli daI messaIine deI allisli deIIa
Marielli, in eIIe e Iabbro d'oro, e Ia dedica che ho fissa neIIa memoria
come un baIsamo assieme aIIa dala: maggio 1938, nonna AdeIaide. Non e che
fossi arlicoIarmenle devolo da dedicare un quaderno aII'ora di reIigione:
ero indisciIinalo, mi slancavo in chiesa, i miei comagni zeIanli scroIIavano
Ia lesla, ma queI rofessore che insegnava anche musica, snobbala dai iu
zeIanli quanlo I'ora di reIigione, mi faceva ena erche ensavo a sua
madre se mai fosse slala resenle, e non voIevo che ne soffrisse.
Iressaoco venl'anni doo mi cailo, fra Ie malerie che insegnavo in
seminario, I'ora di reIigione, non erche si fidassero ciecamenle deIIa mia
definizione di reIigione, ma erche queII'anno era I'unica ora risuIlala
scoerla e io dovevo comIelare iI numero minimo deIIe ore richiesle er
risiedere in seminario, avendo aIlrove Ia mia allivila rinciaIe, con lulla
queII'aria in giro di sovraslrullure fra Ie quaIi siccava Ia reIigione, da
augurarseIa oggi, in quesla morla gora. AII'inizio esosi iI rogramma:
Ragazzi, dissi, iI noslro leslo sara Ia ibbia. Cosla ochissimo, soIo miIIe
Iire erche anche Ie IaoIine quesl'anno fanno fesla aIIa IaroIa di Dio. Iero Ia
dovele comerare voi, con Ie voslre aghelle deIIa orlineria, Ia ibbia deve
essere una voslra conquisla. La sellimana successiva lulli avevano suI
banco Ia ibbia carlonala in bIu scuro. Allaccai con enlusiasmo. Mi figuravo
di lravasare in un bollo lullo iI mio amore aIIa ibbia, senza lenere conlo che
er me c'erano voIuli anni er arrivarvi. Non ricordo er quanle ore duro
iI mio idiIIio con quei ragazzelli e ragazzolli, finche un giorno, aIIa mia
enlrala in cIasse, vidi I'anziano, aIlo e magro e che gia si rasava una filla
eIuria nera, menlre slava oslenlando Ia ibbia aerla suI Canlico dei
canlici, e rideva resenlandoIa aII'uno e aII'aIlro comagno. Ieci finla di
nuIIa, neIIa seranza che si chiudesse I Io sluido cIericaI-ellegoIezzo. Ma
Ia cosa era aena cominciala. Iui chiamalo daI vescovo. GIi risuIlava che io
avevo dalo come leslo di reIigione in lerza ginnasio Ia ibbia. Vero, ecceIIenza.
Mi guardo serio. Qui grandina, ensai. Ma si conlenne, fu acalo, forse
ensava che avrei olulo rilenere essere Ia ibbia un'aIlra cosa daIIa reIigione.
I fino a che unlo` Troo reslo dare Ia ibbia in mano a quei ragazzi, mi
disse. Ce ne sono slamale aosla er Ioro. NeIIa Iibreria deI suo segrelario
ex-assislenle dei ragazzi di A.C. c'erano, infalli, i lre grossi voIumi deII'IIIedici
che racconlavano Ia ibbia a modo di sloria e di slorieIIa. TranquiIIizzai iI
vescovo: avrei svoIlo iI rogramma deII'anno, che riguardava i sacramenli.
MegIio, arovo iI vescovo e mi congedo. Ira un gaIanluomo, e mi voIeva
bene.
18 vvv.orasesla.il
Iiu di venl'anni doo (vado avanli a baIzi di venl'anni lanlo er dire
come Ia reIigione rogredisca veIocemenle), venni a saere da uno di quei
ragazzelli d'aIIora come andarono Ie cose. In ogni cIasse deI seminario c'era
semre Io scruoIoso o anche chi si senliva chiamalo a sorvegIiare suIIa buona
condolla er oi riferire. Coslui ando daI direllore siriluaIe e rifer. II direllore
s'aIIarmo e ricorse aI rellore che era anche reside degIi sludi. II rellore era
slalo da oco fallo monsignore, grane non ne voIeva, ne aveva gia abbaslanza
coI fermenlo reconciIiare e con Ia diela che iI cardinaIe refello dei seminaIi
aveva consigIialo er saIvaguardare Ia urezza dei seminarisli: oca carne
e moIli Iegumi, e corse daI vescovo. Insomma, ando a finire che Ie ibbie
furono rilirale e ammucchiale (erano una lrenlina) in un angoIo deI suo sludio.
SaIlo ora aIIa concIusione definiliva deIIa mia carriera d'insegnanle
deII'ora di reIigione. Ier quindici anni ero slalo fuori diocesi. AI rienlro, iI
nuovo vescovo mi disse: II luo oslo e d'insegnanle deII'ora di reIigione aI
Iiceo Manin, una buona base er una asloraIe sludenlesca che l'affido. Sei
conlenlo` IeIice, ecceIIenza. Aggiunsi subilo: Ma Iei sa gia, ecceIIenza, che non
rilirero I'assegno. II vescovo ne saeva anche Ia molivazione che non oleva
condannare, ma conosceva anche iI leslo deI concordalo cui non oleva
oorsi. Sosiro, e non fui iu buono a insegnare Ia reIigione. Ieci aIlro.
Anche in queslo momenlo slo facendo aIlro. Scrivere suIIe mie icco-
Iissime avvenlure deII'ora di reIigione quando sembra oggi un infinilo diballilo
aIIa slregua deI gallo che rincorre Ia sua coda, e buffo. I Ia sloria infinila. Chi Ia
vuoIe e chi no, chi Ia vuoIe, ero..., chi fa inchiesle e da ricelle. Leggo che iI 50%
degIi sludenli miIanesi non si avvaIe deI dirillo d'esserne disensali. Un
numero conforlevoIe er Ia reIigione, se si ensa che Ia ercenluaIe deIIa
frequenza aIIa messa e suI 20%, forse meno. Ma aIlri Ieggono iI dalo con
arensione er Ie sorli deII'educazione reIigiosa. Non se ne esce. I se si
dovesse inlrodurre fra i due lermini I'aggellivo graluilo risuIlandone
I'ora graluila di reIigione, non olrebbe essere queslo un buon lerreno
uIilo d'ogni gramigna di slrumenlaIizzazione, a lullo vanlaggio degIi
sludenli, che saranno coslrelli Iiberamenle a rendere suI serio non lanlo I'ora
di reIigione quanlo iI Dio Graluilo che er un verso o er I'aIlro, sollo queslo
o quesl'aIlro nome vi e rocIamalo, senza conlraccambio, gralis`
I iI concordalo, aIIora` I semre ossibiIe concordare aIlrimenli e
senza revisione cosliluzionaIe: I'ora rimane nei rogrammi scoIaslici, ma
graluilamenle. I oi` Chi uo risondere se rima non si rova` IIiseo ha
rovalo coI manleIIo d'IIia, e Ie acque deI Giordano si sono aerle. Iiu
19 vvv.orasesla.il
modeslamenle: aI gra-gra deIIa rana feIice olrebbe far eco daI buio deIIa nolle
di sleIIe: luila, gra-luila.
eh, sono conlenlo: in fondo non ho arIalo lanlo di ora di reIigione
quanlo di rane e deI Ioro slraordinario gra-gra, neIIa nolle, che sembra avere
er conlraunlo iI lriIice canlo deI gaIIo, lanlo iI mondo e ieno di segni che,
se non sono accoIli neIIa Ioro graluila, divenlano gemili in allesa deIIa
riveIazione dei figIi di Dio (Rm 8,19).

20 vvv.orasesla.il
Iredda gerarchia o ooIo di Dio`

Ier conlinuare Ia mia ricerca suI significalo erdulo di aIcune aroIe
usuaIi, osso dire che iI lermine chiesa e slalo, forse, queIIo che mi ha
accomagnalo iu da resso neI mio Iungo andare, o anche, e Io slesso, iI
lermine che maggiormenle ho rincorso, a voIle in unla di iedi, a voIle
ansimando, ma semre quaIe arle di me slesso, come fa iI gallo con Ia sua
coda. Riercorrerne iI cammino, uo farmi (e mi fa) I'imressione d'essere suI
guindoIo deIIa gioslra deI mio aese iI giorno deIIa fiera: i cavaIIi dondoIavano
fieri, comosli, sicuri, e io sora, con I'imressione di dominare Ia genle e iI
nonno che assisleva aIIo sellacoIo, con sicurezza, senza limori, ma suI
guindoIo, se avevo iI ermesso di mellermi sora, mamma mia, che
savaIderia: iI guindoIo girava semre iu veIocemenle, Ia lesla girava, Ia genle
allorno girava, e quando iI giro da 50 cenlesimi era finilo, ancora giravano Ie
gambe deI bambino che si aggraava aIIe gambe deI nonno, sorridenle
benefallore deI bambino e deIIa gioslra. Non esagero. Mellermi di fronle aI
lermine chiesa e come se scendessi da un guindoIo.
Le rime esressioni che ricordo lrallandosi di chiesa` Quesle: li orlo in
chiesa, e un uomo di chiesa, va' in chiesa, non correre, non arIare in chiesa, Ia
dollrinella si liene in chiesa. Che aIlro oleva ensare un bambino se non che
chiesa era Ia chiesa deI suo aese`
Ioi daIIa dollrinella aresi che chiesa significava iI aa coi vescovi a Iui
unili, e bisognava obbedire a Ioro. Tullo queslo ce Io insegnavano iI curalo e
I'arcirele mandali rorio daI vescovo, cosicche obbedire a Ioro era come se
avessimo obbedilo aIIa chiesa. II curalo oi era un enlusiasla degIi asiranli,
quando avevamo I'ela di arodarvi daIIa riva dei fanciuIIi di Azione CalloIica,
lirali su daIIe donne che, in sacrislia, ci racconlavano slorie di bambini modeIIo
doo i vesri domenicaIi canlali e duranle Ia dollrina deII'arcirele, lre quarli
d'ora come minimo. Come fanciuIIo di Azione CalloIica fui anch'io accom-
agnalo da quesle brave signore aIIa fesla deI decennio, e ho ancora in menle iI
rilorneIIo deII'inno che sei oi essere slalo comoslo da Virginio Refice
(bravo, non rorio come iI Ierosi, ma bravo): Son dieci anni son dieci anni
che formala fu Ia schiera fiera e forle, forle e fiera, dei fanciuIIi di Gesu. II
curalo ci aveva dello che I'Azione CalloIica era come Ia uiIIa degIi occhi deI
aa. I chi non avrebbe voIulo far arle di laIe uiIIa` Iui orgogIioso di
saere che Ia chiesa aveva anche una uiIIa.
21 vvv.orasesla.il
Ioi andai in seminario, e I sei che iI vescovo rileneva i seminarisli come
Ia uiIIa dei suoi occhi. Ne fui ancora orgogIioso. Non avevo iu Ia lessera
deIIa uiIIa deI aa, ma si sa, una lessera non fa una uiIIa. In seminario
crebbi in ela e in slalura e imarai moIle aIlre cose suIIa chiesa che soslan-
ziaImenle non uscivano da quanlo avevo areso neII'infanzia. Imarai che
neIIa chiesa c'erano due generi di crisliani: iI cIero e iI Iaicalo. Io mi rearavo a
enlrare neI cIero. Non rorio due generi erche iI ballesimo unificava lulli e
allribuiva un sacerdozio universaIe, ero era semre iI cIero che siegava
quesle cose, e che i Iaici facessero iI Ioro mesliere.
Anche queIIi di Azione CalloIica erano Iaici: uiIIa fin che si vuoIe, ma
semre Iaici che non olevano redicare. Noi seminarisli di leoIogia
assislemmo a un fallo sbaIordilivo che ci riem di nuovo orgogIio er avere un
vescovo simiIe: negIi anni deI dooguerra (forse neI '47) egIi, ormai carico
d'anni e di resligio, aveva aulorizzalo I'aIIora sindaco di Iirenze, I'on. La Iira,
a fare una redica in una imorlanle chiesa cilladina, in giacca e anlaIoni. Non
so se er Ia redica recorse i lemi deI conciIio, come ancora dicono, sara vero,
ma cerlamenle recorse Ia redicazione non I'omeIia in giacca e anlaIoni.
(Irorio oggi, 3 sellembre, I'Azione CalloIica lralla a Lorelo iI lema: Azicnc
Caiic|ica c pc|iiica. |a prcjczia !i Ia Pira. Le baslano due ore, come daIIa ubbIicila
dei giornaIi, er inlasarvi 14 inlervenli. I evidenle che iI mio ricordino di quasi
sessanla anni fa non ha nessuna relesa di esserne iI quindicesimo. Ma che sara
mai quesla rofezia`).
In seminario con I'onor deI menlo mi sunlarono anche i rimi inler-
rogalivi suI significalo deI lermine chiesa, er queslo fu come un'ondala di ace
quando iI conciIio defin Ia chiesa IooIo di Dio. Come ogni ondala, anche queI-
Ia deI conciIio duro oco. Cominciarono Ie inlerrelazioni, che sono iulloslo Ia
sabbia che assorbe I'ondala, cosicche, er mellere un o' d'ordine, iI aa
ricomincio a arIare di chiesa come gerarchia. I iI ooIo di Dio` Ira sollinleso.
In comenso nascevano o si consoIidavano i c.d. movimenli eccIesiaIi. Che
senso abbia I'accoslamenlo dei due lermini, iI soslanlivo e I'aggellivo, non
riesco a lirarIo fuori nemmeno oggi che si muovono comalli e forli come Ie
faIangi macedoni e si danno recirocamenle lessera di riconoscimenlo. Iorse
er queslo sono arlilo daII'immagine deI guindoIo e deII'ancorarmi, con lullo
queI movimenlo rolalorio, aIIa saIdezza sorridenle deI nonno. A me sembra,
infalli, che lullo quanlo hanno di buono (arIo evidenlemenle deIIa mia chiesa
che e queIIa calloIica aosloIica romana) quesli grui I'abbiano reso daI
lesoro deIIa chiesa, daII'eredila deIIa chiesa. Se Ia chiesa er diverse ragioni
aveva ignoralo I'esislenza di queslo o di queII'aIlro scrigno deI suo indivisibiIe
22 vvv.orasesla.il
lesoro, e una grazia che quaIcuno gIieIo ricordi. Ma non mi are che si ossa
ricavarne iI dirillo di aroriarsene e di coaguIare allorno a se iI draeIIo che
neIIa chiesa si fa individuare come iI orlalore di laIe ricchezza, ardon,
carisma. A voIle, con lulli quesli movimenli eccIesiaIi, mi vien da ensare ai
cori seciaIi deIIa reubbIica di SaIo, che erano orlali ad agire er conlo
rorio e che si lrovavano unili e affiancali soIo quando iI duce voIeva assare
in rassegna Ie sue lrue. AIIe quaIi anche Ie donne aarlenevano a liloIo di
ausiIiarie!
Ier quaIe molivo mi viene un simiIe irriverenle ensiero` Iorse erche er
lroo lemo sono slalo suI guindoIo e Ia mia lesla ha erso I'eIaslicila di
adallarmi a reaIla che, dicono, sono iI segno deI grande soffio urificalore deIIo
Sirilo` Ma iI soffio urificanle non e slalo gia emesso come uIlimo resiro deI
Crocifisso e iI rimo deI Risorlo, er Ia remissione dei eccali` I aIIora mi
rilorna davanli iI grande crocifisso che vidi con occhi d'infanzia neIIa chiesa deI
mio aese e che adesso, non aena vi rimello iede, mi viene inconlro come
una lravoIgenle ondala che Ia balligia deI mio vivere voracemenle assorbe.
Che queslo coro crocifisso e risorlo non mi moslri iI vero significalo deI
lermine chiesa sia quando Ia nominavo, sensieralo, da bambino, sia ora che
iI giro deIIa gioslra, cavaIIone o guindoIo, sla er esaurirsi` OIlrelullo Ia chiesa
(Ia mia, calloIica aosloIica romana) non nacque neIIa ienezza deIIa sua slalura
e dei suoi doni, er ura grazia, daI cuore squarcialo deI suo Signore`
Mah, e un mislero di fede: Credo Ia chiesa (non aIIa chiesa) una sanla
calloIica e aosloIica, e Ia fede e buio, una nolle oscura e un rofondo siIenzio,
come fu er san Giovanni deIIa Croce e er iI CabaIIero andanle quando, coI
suo scudiere, s'avvenluro aIIa ricerca deI aIazzo deIIa sua DuIcinea e s'imballe
in un grande edificio che subilo s'accorse non essere un a|cazar ma Ia grande
chiesa deI aese. Ccn |a ig|csia ncncs !a!c, Sancnc, disse I'innamoralo CabaIIero,
e qui iI arliciio !a!c (ci siamo imballuli) da aIcuni e Iello come icpa!c, che
significherebbe abbiamo cozzalo conlro Ia chiesa, Sancio. eIIissima quesla
ambivaIenza che uo enlrare, con iena Iegillimila, neIIa sloria d'un lermine di
laIe orlala. Ho anzi I'imressione che, rima o oi, i due significali debbano
emergere er ciascuno che crede Ia chiesa, ed e una grazia, !a!c o icpa!c e Io
slesso, giacche sia neII'uno che neII'aIlro caso e semre I'amore che singe a
inconlrarsi o sconlrarsi con I'imareggiabiIe ChiesaDuIcinea. Id e queslo che
imorla.
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L'uomo cenlro di unila ermanenle

La rima voIla che m'incanlai suII'aia a guardare Ia Iuna londa slavo
accanlo a mia zia, una doIcissima zileIIa er amore. Guarda bene, non vi
vedi Caino che sla orlando una fascina di Iegna`, S, s, e vero risosi, in
un esuIlanle limore. Cos enlro neIIa mia vila Caino come un esiIialo suIIa
Iuna, a fare Iegna erche aveva ucciso iI fraleIIo AbeIe.
La ragione deII'uccisione deI fraleIIo che era iu giovane e che allirava,
quindi, lulle Ie mie simalie di bambino, I'aresi duranle iI lemo deIIa
dollrina iulloslo Iunga deII'arcirele, non da Iui erche non voIeva
bambini che facessero brusio da sollofondo a aroIe lanlo arcirelaIi, ma in
una slanzella accanlo aIIa sacreslia, dove una buona donna di A.C. ci
convogIiava er racconlarci Ia sloria sacra. La faccenda dei due fraleIIi era
Iegala a due fuochi, uno bruciava frulla e verdura e I'aIlro un agneIIo. I
erche` La noslra calechisla ci diceva che era er fare un sacrificio a Dio, un
rivarsi di quaIche cosa er offrirIa a Iui, come cailava anche coi noslri
fiorelli, delli iccoIi sacrifici aunlo. Senonche iI fumo di AbeIe andava in
aIlo e queIIo di Caino in basso, iI che significava che AbeIe era gradilo a Dio
e Caino no. I erche` Ierche era callivo. I cos anche iI fumo verlicaIe e
orizzonlaIe enlro neIIa mia sloria.
Ioi assai aIIa dollrina deII'arcirele, facendo aena in lemo ad
annoiarmi, a non cairci nienle e a desiderare con lulle Ie forze che Ia facesse
corla erche noi ragazzi avevamo ben aIlro da fare neII' erelina (Ia iccoIa
aia) deI curalo e suIIa grande piazza, in lerra ballula. Duro oco, erche andai
in seminario a dieci anni, e I slorie non se ne racconlavano. Ira lullo vero.
Nienle Caino esiIialo suIIa Iuna, nienle fumo in aIlo o negIi occhi, ma soIo re-
Iigione. La dimoslrazione che Ia reIigione era un bisogno innalo neII'uomo.
Non chiesi iI erche deI duIice comorlamenlo di Dio, dalo che non
voIevo fare Ia figura deII'ignoranle. Ma una cosa fu subilo cerla: si lrallava
rorio di un allo di reIigione. Ierlanlo, lulla Ia sloria cosiddella sacra era
Ia sloria deI ooIo ebraico, sceIlo fra lulli i ooIi er conservare Ia vera
reIigione deII'unico Dio conlro lulle Ie aIlre reIigioni agane (gIi dei faIsi e
bugiardi).
Venne Crislo, iI IigIio di Dio, che rese un coro ebreo da donna
ebrea, che erfeziono, non aboI, Ia reIigione ebrea. In che cosa consisleva
queslo erfezionamenlo` Non c'erano dubbi: iI erfezionamenlo uIlimo e
24 vvv.orasesla.il
definilivo fu Ia reIigione crisliana. La quaIe, a una cerla laa deIIa sloria,
si divise in due, e ci fu Ia reIigione calloIica e queIIa orlodossa. La calloIica si
divise ancora, e nacquero Ia roleslanle e I'angIicana. Le quaIi generarono
moIle aIlre denominazioni, con Ia relesa ciascuna di essere Ia vera
reIigione. Uno scandaIo di cui soIo aIcuni deIIe diverse chiese searale,
anche di queIIa calloIica romana, si rendevano conlo. Ieci a lemo, neIIa
mia formazione in seminario, negIi anni immedialamenle successivi aIIa
guerra, a essere inveslilo da queslo scandaIo.
Iu una venlala d'enlusiasmo. La sellimana di reghiere er I'unila
deIIa chiesa, daI 18 aI 25 gennaio, divenne I'aunlamenlo alleso er
ricaricarsi di fervore verso Ia chiesa di Iielro che era Ia noslra, Ia vera. Un
soIo oviIe, un soIo aslore. II Iibro iu richieslo in queIIa sellimana era Ia
vila di sr. Maria GabrieIIa, scrillo daIIa Ieina Dore, edilo daIIa MorceI-
Iiana (iI Iibro ce I'ho ancora edizione deI 1943 e orla Ia dala d'acquislo
1944: iI rezzo . 15). La giovane lraisla s'era immoIala e Dio aveva
gradilo iI sacrificio er I'unila deIIa chiesa. II fascino dei suoi giovani anni, di
oco sueriori ai noslri, iI doIce e morbido rofiIo che iI seminarisla
disegnalore ce n'era semre uno a rincaIzare queIIo che non rilornava iu
in seminario erche ordinalo rele aIIa fine deII'anno era commissionalo a
rilrarre er Ie camerale deI Iiceo e deIIa leoIogia, inlenerivano iI fervore.
Mi abbonai aIIa rivisla Unilas e mi iscrissi aII'Associazione. Ne ho
rilrovalo in un cassello Ie lessere deI 1956 e deI 1957. QueIIa deI '56 orla iI
numero 56, I'aIlra iI numero 145, Ie due dale di emissione sono
risellivamenle 25 gennaio e 5 gennaio. La quaIifica e socio dislinlo, Ia
firma deI residenle e aulografa: C. oyer S.}. RirendendoIe in mano con Ia
venerazione riservala a care reIiquie, ho nolalo con un cerlo sluore Ia
dicilura in iccoIo sollo Unilas: Associazione InlernazionaIe er I'unila
siriluaIe dei ooIi. La sede cenlraIe e: Roma, iazza Iarnese, 96. Chissa se
c'e ancora.
Ogni anno si riele quesla sellimana di reghiere. In seminario ero
cerlo che cosa significasse, adesso meno. Se si rega er I'unila deIIa chiesa,
mi dico, erche non farIa` SemIice, vero`
SemIicissimo. I sorrido. Iero non diendono da Dio Ie noslre divisioni
lra chi riconosce Io slesso Signore. aslerebbe dire: Senli, fraleIIo, secondo le,
che cosa li debbo er fare unila` Cenlo sacchi di olere` Subilo scrivi:
Cinquanla, sessanla, queIIo che vuoi. I andando avanli vedremo di equi-
Iibrare i conli se c'e ancora quaIcosa in soseso. I lu che inlendi fare` I lullavia
enso: quaIe reIigione rinuncia a un fagollino di olere senza un comenso
25 vvv.orasesla.il
adegualo` I er queslo che sono meno cerlo, a differenza di 60 anni fa, che cosa
significhi quesla sellimana di reghiere. Tulli (ancora una minoranza,
anche fra queIIi che olrebbero decidere) ausicano, regano, s'imegnano er
I'unila deIIa chiesa, a voIle si mellono d'accordo su reciroci riconoscimenli di
verila, non rorio riconoscimenli da farIi coIIimare aIIa erfezione, ma aImeno
quaIche cosa si muove, ci si consoIa. I arrivederci I'anno rossimo. Tanlo si sa
gia come andra a finire.
Ma insomma: Crislo non e uno` Iermelle o subisce Ie divisioni in suo
nome`
Debbo confessare, se vado aII'origine deIIa fralernila fra Caino e AbeIe,
iI mio sosello che sia slala Ia reIigione, coI suo rimo rilo deI sacrificio e Ia
sua rima inlerrelazione deIIa reazione di Dio, a inlrodurre I'eIemenlo di
divisione menlre Dio aveva crealo I'unila e non aveva richieslo una reIigione
er onorarIo. A ben vedere nemmeno Gesu Crislo ha fondalo una reIigione:
crisliani e crislianesimo vennero doo er individuare i seguaci di Crislo e i
misleri a cui credevano e aderivano. II lemio, infalli, fu dislrullo rima ancora
che ne avvenisse Ia dislruzione slorica, quando Gesu disse: DislruggeleIo, e io
Io riedifichero in lre giorni. Ma inlendeva arIare deI lemio deI suo coro.
I I'adorazione in sirilo e verila, di cui da 2000 anni e semre arrivalo iI
momenlo, ossia da quando fu riveIala aI ozzo in Samaria, e una reIigione` I
ancora: e ossibiIe che ci sia reIigione senza olere` I Crislo non ha
raggiunlo Ia sua massima e definiliva aulorila, che univa lulli gIi uomini neI
Dono di Se, quando fu innaIzalo, inerme, senza un'oncia di olere, suIIa croce`
Ma aIIora, se Crislo non e una reIigione bens iI IigIio di Dio fallo uomo
er manifeslarci I'amore di Dio, non sara neII'uomo che si fara I'unila di Dio e
non neIIa reIigione`
Io ci slo. Ci slo a dire aI mussuImano, con ogni sfumalura ossibiIe,
daII'indifferenza aI moderalismo, daII'inlransigenza aI fanalismo, Ioro e
noslro: Guarda che lu sfondi una orla aerla. Io non ho reIigione, non
lirarmi su un lerreno che non e mio. Se vuoi un confronlo, sara suII'uomo, un
lerreno uguaIe er lulli, e Ia sfida sara queIIa di riconoscerne e onorarne Ia
verila.
Come uscire aIlrimenli da quesla siraIe di morle che sesso si aulo-
Iegillima in nome deIIa reIigione` I se non se ne uscira nemmeno in queslo
modo, vorra dire che ce ne assumeremo Ia resonsabiIila e non coin-
voIgeremo Dio a noslro riaro di coscienza. Sarebbe un allo di onesla.
26 vvv.orasesla.il
OIlrelullo non fece cos anche Dio lagIiando con un coIo nello Ia siraIe di
vioIenza che sarebbe nala in suo nome daIIa vendella conlro Caino er
I'uccisione di AbeIe` Chiunque uccidera Caino sara unilo selle voIle! asla,
riconoscelevi come uomini, sia che ascoIiale i greggi sia che coIliviale Ia
lerra. Io non ho bisogno dei voslri rodolli, sono io che vi ho rodollo.
Riconoscendovi uomini riconoscerele anche me.
I quesla Ia vera reIigione ura e senza macchia davanli a Dio Iadre:
visilare gIi orfani e Ie vedove neIIa Ioro affIizione, cuslodire se slessi immuni daI
conlagio deI mondo (Giacomo, 1.27). Ma chi comincera er rimo`
Ho sellanlaselle anni. Sono assali sessanlanni da quando acquislai e
Iessi, con lulla I'esuberanza di un giovane IiceaIe, iI Iibro di Maria Giovanna
Dore, consoreIIa di sr. Maria GabrieIIa. Avessi scrillo aIIora quaIche riga anaIoga
aIIa mia rifIessione di vecchio, riIeggendoIa oggi, avrei sorriso er I'ineserienza
deI ragazzo. Adesso che ho messo nero su bianco I'ineserienza di un
vecchio, riIeggendo quesle righe, non sorrido iu. Sono cose serie. Devo ur
rendermi conlo, se non mi debbo vergognare, in quesla siraIe conlinua di
vioIenza, di essere uomo. I dove olermi rifugiare se non in CoIui che
caricandosi d'ogni umana vioIenza ha fallo unila neI suo essere di Uomo e
Dio, di sacerdoli Ievili samarilani giudei e genliIi, e non in una reIigione`

27 vvv.orasesla.il
La camaneIIa suona 3 voIle: e nala una donna

Irima o oi mi sarebbe cailalo, essendo quesle mie rifIessioni lracce aIIa
ricerca deI senso erdulo deIIe aroIe. Mi ci voIeva soIo un oco di coraggio a
dirmi, con decisione: quesla voIla rendo iI lermine donna, e Ia ragione deI
coraggio e che lulli arIano di donna senza lenere conlo di queIIo che Ioro
ensano di se slesse, o dandoIo er sconlaIo. Id ecco qui, un aIlro uomo che
vuoI arIare di donna, e er giunla scaoIo, e er soraggiunla rele.
Comunque mi bullo e sero che aIIa fine se ne olra caire Ia ragione.
Dico subilo che, se Ia sloria d'un nomo si sviIua anche secondo iI
conlenulo ch'egIi da aIIe aroIe, laIe lermine fu neIIa mia vila, allraverso lae
e avvenimenli, moIlo imorlanle, un circoIo erfello che arle da un unlo
deII'aia deIIa mia vecchia casa fino ad arrivare aI significalo che, enso, ebbe aI
rinciio deII'umanila. Se e cos, nuIIa di arlicoIare, come nuIIa di arlicoIare e
dire grazie quando si riceve un dono.
II unlo di arlenza deI circoIo si fissa in feslosi scamanii in occasione di
ballesimi di rima cIasse, forse anche di seconda. Non assava, comunque,
moIlo lemo che ce ne fosse uno, e Toni non saIisse neIIa ceIIa camanaria, coI
fialo grosso ma con gIi occhi feIici er oler dare rova deIIa sua ta|cniia (I'ho
vislo successivamenle diverse voIle io, quando facevo iI chierichello), e non
icchiasse sui cinque lasli di Iegno che, con un grosso fiI di ferro, s'aggan-
ciavano ai ballacchi deIIe cinque camane er lrarne nole laImenle gioiose che
Ie lengo di riserva neII'orecchio quando mi locca d'invocare iI buon guslo, con
lulla queII'eIellronica e erdila deI senso deI segno che hanno sosliluilo corde,
lasliere, fiIi di ferro, e I'imareggiabiIe Toni. AIIora Ia genle s'acquielava un
allimo aIIo scamanio, erfino neIIe oslerie, er saere da Toni se iI ballesimo
era d'un maschio o d'una femmina. I, I'indicazione erano i due coIi di
ballacchio deIIa nola iu aIla aIIa fine d'ogni scamanio se si lrallava d'una
femmina, e lre er un maschio (er i funeraIi, invece, i coIi, deIIo slesso
numero, erano con Ia nola iu grave, un re bemoIIe). Iu suII'aia, dunque, che
aresi quesla differenza di lrallamenlo senlendo mia zia escIamare, aI lermine
deIIo scamanio di lesla: Iiangele, o uomini, che e nala una donna. Come fai
a saerIo`, Ie chiesi Ia rima voIla. I Iei a siegarmi Ia faccenda dei due e dei
lre coIelli come coda finaIe.
Quando giunse iI lemo di chiedermi erche gIi uomini dovessero
iangere, non inlereIIai mia zia. Cio che Iessi daIIa quarla ginnasio aIIa lerza
Iiceo mi baslo. Irano gIi anni di seminario e di guerra e non olevo relendere
28 vvv.orasesla.il
che mi facessero un corso suIIa donna aosla er me. I vero che, a lu er lu,
c'era semre Ia ossibiIila che i sueriori ne arIassero. A me cailo una voIla
coI rellore, quando ero in quarla ginnasio e iI rofessore d'ilaIiano (ah, amalo
don Secondo erloIazzi, grazie d'avermi lrasmesso un o' di buon guslo, sero,
neIIe aroIe!) ci delle un lema suII'OrIando Iurioso e su un ersonaggio che
animava queIIe agine. Io sceIsi AngeIica. II rofessore ci raccomandava
d'essere ersonaIi: megIio scrivere sciocchezzuoIe ma daIIa farina deI rorio
sacco che frasi orecchiale o scoiazzale. Doo quaIche giorno daI lema iI rellore
mi mando a chiamare. Oddio, che e successo` I cominciarono a sudarmi Ie
mani che andavano di qua e di Ia suIIa sollanina er mellerIa in ordine. Sai
comincio iI rellore con una cerla esilazione, slai divenlando un giovane.... I
oi, lullo d'un fialo: Hai fallo un lema su AngeIica, vero` C'e quaIcosa che non
va, che li lurba` Dimmi, caro. Non caii. Risosi: Non so, io I'ho consegnalo
aI rofessore. Mi guardo, mi sorrise e mi congedo: Va', va' a giocare, che e
I'ora deIIa ricreazione. I, infalli erano Ie quallro omeridiane. Ioche sellimane
mancavano a che comissi 14 anni. Tullo quanlo, dunque, sei suIIa Donna
I'aresi dai romanzi e daIIa fanlasia che occorre er scrivere romanzi. La
donna era ora ealrice, ora Laura e ora MaIombra, grazia e eccalo, Iuce e
lenebra, ma, sollo quaIunque nome, era semre un mondo sconosciulo e
affascinanle. Iu iI lemo deI doIce sliI nuovo. Trovai normaIe angeIicare Ia
donna e normaIe I'esorlazione deI rellore rima deIIe vacanze, semre rielula,
di fuggire Ia famiIiarila con Ie donne, come normaIe iI non chiedermi se fosse
un geslo di famiIiarila dire di s a una comagna di eIemenlari che mi mandava
a chiedere allraverso sua madre, moIlo amica di mia madre, se Ia olevo aiulare
in una lraduzione Ialina. Venne dunque Ia mia ex comagna accomagnala da
sua madre, con mia madre resenle. Ier Ia rima voIla mi lrovavo accanlo, in
carne e ossa, Ia Donna che avevo angeIicalo, aIIa cui famiIiarila dovevo
sollrarmi. II fallo e che iI mio indice, indicando i lermini deIIa coslruzione Ialina
d'una frase, comincio a imazzire, come si diceva che facesse Ia Iancella deIIa
bussoIa aI raggiungimenlo deI oIo nord, una dislesa abbacinanle di Iuce. I
quanlo iu mi vergognavo e comandavo aI mio indice di smellerIa, lanlo iu
I'indice sembrava queIIo di un eIIagroso. Le madri resenli, cui non
inleressava Ia coslruzione Ialina, dovellero vedere quaIcosa, giacche Ia mia ex
comagna deIIe eIemenlari non si fece iu vedere, lanlo iI mio indice era slalo
didallicamenle efficace. I Ia Donna si rirese Ie sue aIi e i suoi nomi, con un
mislero in iu er Ia faccenda deII'indice, senza ero che udissi iu, er lre anni
di seguilo, I'esorlazione d'obbIigo aII'inizio deIIe vacanze. Iurono anni slra-
ordinari er un giovane che assava allraverso avvenimenli vioIenli ed
esaIlanli quaIi Ia guerra, I'occuazione nazifascisla e Ia resislenza che aIimen-
lava Ia cerlezza di un mondo nuovo. Comunque, quando sceIsi definilivamenle
di divenlare rele con I'accellazione Iibera e gioiosa deI ceIibalo, orlavo con
29 vvv.orasesla.il
me anche Ia cerlezza che Ia reaIla iu beIIa, iu reziosa er un uomo era Ia
Donna.
I aIIora, come conciIiare quesla conslalazione coI ceIibalo, I'uomo soIo`
Non conciIiai nienle e orlai denlro di me lanlo iI convincimenlo suIIa donna
quanlo Ia gioia di divenlare rele, con I'accellazione Iibera deI ceIibalo. Cerlo,
ognuno di noi ha Ia sua sloria, ma enso che queIIa che slo narrando con grosso
enneIIo sia iulloslo comune fra i reli, anche se vissula come eccezionaIe e,
quando e narrala da uno soIo, ben difficiImenle Ia si ensa eslensibiIe ad aIlri.
Io Ia racconlo erche sono giunlo aI lemo in cui ogni momenlo e buono er
andarmene, e non vogIio arlire senza dire grazie aIIa Donna che ha dalo
ienezza di senso aI mio ceIibalo, se laIe fu Ia condizione er esercilare iI mio
sacerdozio. Gioco con Ie aroIe` Mi linliIIo con secenleschi concellini` Asso-
Iulamenle no, se chiudo iI cerchio dei significali che di mano in mano acquislo iI
nome di Donna cui ho accennalo, er rilrovarmi in cio che fu aII'inizio er
I'uomo di fronle aIIa donna e er Ia donna di fronle aII'uomo.
Quanlo fu dello in Irinciio: Non e bene che I'uomo sia soIo, credo che
varra semre, aImeno come un riconoscimenlo d'essere bisognosi d'aiulo.
Infalli Ia IaroIa conlinua: isogna che gIi faccia un aiulo che gIi sia simiIe. Ira
lulli gIi esseri vivenli creali e chiamali coI nome che Adamo imose Ioro er
significare iI rorio dominio su di essi, I' essere vivenle uomo non lrovo
nessuno che fosse simiIe a Iui. Non aveva davanli nessuno in cui olesse
risecchiarsi er saere chi era e grido: aiulo, quaIcuno mi uo dire chi sono`
L'invocazione d'aiulo fu senlila, e immedialamenle gIi corse davanli Iva.
L'uomo escIamo: adesso s, so chi sono. Iva fu I'a!iuicriun romesso da Dio:
I'a! (Ia corsa verso Iui), I'iuicriun (I'aiulo deIIo sveIamenlo deII'essere vivenle
uomo). I due riconobbero recirocamenle se slessi. Da aIIora Ia necessila di Iva
enlro neI DNA deII'umanila: io enso che non ci sia uomo che riconosca se
slesso senza Ia donna e donna senza I'uomo. Ienso che nessuno vi si uo
sollrarre, nemmeno un ceIibe o una nubiIe er Iibera sceIla, se si vuoIe arrivare
aIIa radice deIIa roria conoscenza.
A me cailo, come grazia, un momenlo in cui senlii iI bisogno d'invocare
(forse soIo in me slesso, forse anche di fronle a Dio) un segno, un aiulo che
rinnovasse, o mi rendesse iu evidenle se ci fosse gia slala I'unila originaria deI
mio essere uomo e rele. I corse aIIa mia invocazione Io slesso a!-iuicriun
deII'inizio er ogni uomo, Ia Donna, neII'asello iu affascinanle deIIa sua corsa
in aiulo, Ia graluila deIIa corsa! La rima donna era corsa davanli aI rimo
uomo graluilamenle, senza orre condizioni, in un dono graluilo di se che
suscilo iI grazie deIIa conoscenza e deII'unila. Corse anche davanli a me rele, e
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mi si resenlo ancora neI suo asello iu affascinanle, come immagine e
secchio di graluila, dandomi conoscenza deIIa graluila deI mio essere rele
come annuncialore deI Graluilo. Insomma a me cailo cos. Id e buffo che lanla
visione venga da un vecchio ceIibe, che rova ancora iI giovaniIe incanlo deIIa
donna angeIicala falla scendere suIIa lerra (a miracoI moslrare) come
immagine deIIa graluila, er raggiungere Ia sua comIelezza di uomo-rele. I
chissa che in Crislo, dove non ci sono iu ne maschi ne femmine, ne schiavi ne
Iiberi, ma lulli sono uno (GaI 3, 27), con ciascuno iI rorio dono er iI bene
comune (I Cor 14,12), anche Ia Chiesa, che sesso arIa deIIa Donna esaIlandoIa
con soIenni immagini, non aggiunga anche quesla di inagc graiuiiaiis che Ia
ossa singere a redicare iI Graluilo graluilamenle. Siccome Ia seranza non
muore con chi muore, non e dello che rima deI rilorno di Crislo cio non
avvenga. Ier iI momenlo mi acconlenlo di aggiungere un lerzo segno di
camaneIIa, magari fessa, ai due che usavano aI mio aese er iI ballesimo deIIe
bambine, con mia zia rilornala suII'aia che aI lerzo locco deIIa mia camaneIIa
fessa escIama: IsuIlale vescovi e reli, che e nala una Donna!.

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AscoIlo, dunque rego

Non vado quesla voIla aIIa ricerca deI senso erdulo d'un lermine erche
e laImenle grande Ia lrasformazione deI suo significalo in me da chiedermi se,
in queslo caso, Ia sloria deIIa aroIa non abbia seguilo o anche indicalo Ia mia
sloria. Cerlo, moIle aroIe ossono enlrare neIIa sloria di ciascuno con un
significalo che, man mano si cresce, uo assumere conlenuli diversi, ma
difficiImenle si da iI caso che I'originario significalo che si credeva conlenesse si
scioIga fra Ie mani er rilrovarseIo lolaImenle rinnovalo. Inlendo riferirmi aI
lermine reghiera, lanlo infIazionalo e comallo da non ermellere nemmeno
I'infiIlrazione deIIa domanda: che cos'e Ia reghiera` Chi non Io sa` Non
I'abbiamo sludialo neI calechismo che Ia reghiera e I'eIevazione deIIa menle a
Dio` I chi si eIeva con lulla queIIa esanlezza che ci orliamo addosso` Ci
vuoIe genle ralica di quesl'arle.
Un rele dovrebbe conoscere er mesliere quaIche lrucchello che
I'aesanlisca di meno. Mi senlo dire: Ireghi er me, da 54 anni ormai, da
una lrenlina d'anni di f. f. di caeIIano in un monaslero femminiIe, qui Ia
reghiera e di casa, e Ia reghiera ufficiaIe che si aIIaccia a queIIa anlica dei
saImi, e Ia reghiera ersonaIe, e iI conlenilore di lanle richiesle di reghiere. I
Ie lenlazioni deIIe richiesle comrendono lullo iI venlagIio deIIa vila: daI
generico reghi o regale er me, aIIe buone riuscile di esami scoIaslici, di
inlervenli chirurgici, di osli di Iavoro. Insomma dovrei saerne quaIcosa.
Si cominciava da iccoIi, quando ci orlavano a Iello e ci venivano a
svegIiare: Diciamo Ie reghiere, su, da bravo. Irano Ie reghiere deI mallino e
deIIa sera che ogni Iibrello di rima comunione melleva subilo, in aerlura.
Quando si comincio ad andare a Iello da soIi e a riveslirci da soIi aI mallino,
I'uIlima esorlazione menlre si saIivano Ie scaIe e Ia rima menlre Ie si scendeva
riguardava Ie reghiere: D Ie reghiere, hai gia dello Ie reghiere` Se si
risondeva no, aIIora Ia nonna o Ia zia o Ia mamma, menlre Iavava iI voIlo deI
bambino e Io ellinava: Su, da bravo, d: Vi adoro mio Dio. Le reghiere deI
mallino e deIIa sera erano iI Vi adoro. L'ho recilalo in queslo momenlo, er
verificare se ce I'avevo ancora di denlro. AIIa erfezione, senza lenlennamenli,
eure e daI rimo giorno di seminario neI 1937 che non Io recilavo iu,
sosliluilo da una reghiera in Ialino che ci misi deI lemo a caire che voIesse
dire.
La rima domanda che ci rivoIgeva iI curalo se ci vedeva imainali a
cominciare quando, aI sabalo omeriggio, c'inlruavano er Ie confessioni,
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era: Hai dello Ie reghiere mallina e sera`. C'erano aIlre reghiere che
dovevamo invenlare, come ad esemio duranle Ie quaranlore. Noi chierichelli,
lulli bardali di rosso e in guanli bianchi, facevamo I'ora d'adorazione neI
resbilerio dove c'era I'inginocchialoio coi cuscini rossi er I'arcirele, senza
nessun Iibrello. Chissa che slancala in aradiso, dissi una voIla aI curalo in
sacrislia menlre e mi sveslivo. Ierche` rise Iui. I gIi siegai che se doo
mezz'ora di adorazione, figuriamoci un'ora inlera, non ne olevo iu, come
sarebbe slalo in aradiso con Dio I, che bisognava adorare semre in ginocchio
e con Ie mani giunle`
A voIle iI verbo regare sembrava lroo soIenne, dava ur semre
I'idea d'una chiesa e deII'arcirele che vi funzionava, e Io si sosliluiva con iI
dire iI bene. Andiamo a dire un o' di bene, bisbigIiavano Ie donne quando
andavano a fare Ia vegIia a un morlo in aese. Dire iI bene era di inizialiva
rivala, fuori daIIe funzioni: Vieni, che diciamo un o' di bene, ed era iI rosario
doo cena, o i cenlo rcquicn a don Orione. Ma anche duranle iI giorno, se
vedevi Ia nonna muovere Ie Iabbra menlre rearava iI aslone aIIe gaIIine,
olevi essere sicuro che diceva iI bene.
A riensarci adesso, e una beIIissima esressione, e un bene dicere, una
benedizione. enedello sei lu Dio, anche er iI aslone dei oIIi. Come se Ia
benedizione di Gesu rima di ascendere aI Iadre voIesse significare: slale
lranquiIIi, vado a dire bene di voi aI Iadre.
Ioi andai in seminario, e I Ia reghiera era reghiera, Ia si mangiava coI
ane, e non soIo melaforicamenle, rorio coI ane davanli. Iu una novila. A
casa mia non si diceva nessuna reghiera ai asli. C'erano soIo esorlazioni
rima di giungere aI fIessibiIe ramello di saIice: Mangia, e buono, vedrai, se non
mangi Ia mineslra non mangi nemmeno Ia ielanza. Ier due sere mi
mandarono a Iello senza cena. Ienso che in queIIe sere non recilai nemmeno iI
Vi adoro, lanlo mi senlivo sommerso daII'ingiuslizia, soIo erche mi ero
reso quaIche suIemenlo di corsa e di sudala. L'usanza deIIa reghiera ai
asli Ia inlrodussi io aI rimo rienlro daI seminario er Ie vacanze eslive. Mio
nonno e mio adre Ie rime voIle lossivano er non risondere, erano cose da
donne. In seminario avevo dei momenli di fervore. Cailava. I aIIora recilavo iI
rosario seraIe coI buslo erello slaccalo daI soslegno deII'inginocchialoio,
facendo assare i grani in cima aIIe dila. Uscivo di chiesa conlenlo erche avevo
regalo bene. A voIle uscivo di chiesa conlenlo erche ne uscivo, erano
momenli in cui mi rielevo di denlro quanlo mia zia mi diceva aI lermine deIIa
funzione seraIe menlre rilornavo a casa con Iei: Ia lua reghiera non e slala
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buona nemmeno a comerare I'acelo. AIIora I'acelo coslava oco ed era
rorio acelo.
Divenlalo suddiacono un anno rima deIIa messa, enlrai neIIa reghiera
ufficiaIe deIIa chiesa, iI breviario, Ia cui recila quolidiana era obbIigaloria
neII'arco deIIe 24 ore, con un margine d'un quarlo d'ora doo Ia mezzanolle,
concesso daI cc!cx er via dei fusi orari. Allaccai con grande fervore: voIevo
regare bene, con allenzione aIIe aroIe che dovevo bisbigIiare erche Ia recila
er iI cc!cx era vaIida soIo se Ia voce dislinla giungeva aIIe orecchie deI
recilanle. Ier queslo avevo acquislalo iI breviario neII'edizione deIIa nuova
lraduzione di Iio XII (in Ialino) cosicche non ci fosse un versello che mi scivo-
Iasse via erche da lemo orecchialo.
Ma Ia slessa sellimana deIIa mia rima messa, mandalo in una arrocchia
er aiulare iI arroco ammaIalo, dovelli ricorrere sesso aI quarlo d'ora
concesso benignamenle daI cc!cx, e inlasandovi iu saImi di quanlo anche soIo
una recila menlaIe olesse consenlire. Debbo rorio dire che mi risuonava di
denlro Ia voce di mia zia suI vaIore deIIa mia reghiera, e quesla voIla iu
seriamenle di quando ero un ragazzo`
Se queslo avveniva con Ia reghiera ufficiaIe deIIa chiesa, definila
addirillura cpus Oci, e si rieleva Iungo i miei giorni nonoslanle i roosili di
orvi rimedio, Ia domanda se io sarei mai slalo un uomo di reghiera, come ci
era slalo incuIcalo essere I'ideaIe d'un rele, cominciava a far senlire Ia sua
unla acuminala. Non si dice forse, quando si conlinua in una direzione doo
avere serimenlalo rielulamenle I'inanila deIIo sforzo er inverlirIa, che e
come voIer cavare un ragno daI buco`
Ier ura grazia, allraverso avvenimenli che cosliluivano Ia mia sloria di
rele, feci Ia scoerla deII'acqua caIda. I I'avevo I, sollo gIi occhi, da semre.
aslava rendere suI serio Ia aroIa che quolidianamenle mi melleva suIIe
Iabbra I'unica Ireghiera che Crislo aveva insegnalo ai suoi disceoIi, allraverso
I'ascoIlo. La reghiera quindi dei disceoIi non era un esrimersi, ma un
ascoIlare. Non c'era bisogno di moIle aroIe Ia oIiIogia! (Ml. 6, 7), lanlo iu
che iI Iadre voslro sa gia rima che voi ariale bocca cio che vi occorre (v. 8).
Non avevo iu nessun ragno da cavare daI buco, avevo semIicemenle loIlo gIi
occhi da me er lrovare risosla daIIa IaroIa che conlinuamenle viene a me
allraverso gIi avvenimenli deIIa mia vila. Se si dovesse ensare aIIa reghiera
come a quaIche cosa di noslro, dovremmo necessariamenle fissare dei lemi
aIIa reghiera. Ma se e un ascoIlo, queslo e semre ossibiIe, in ogni circoslanza
e siluazione. Marla e benevoImenle rimroverala daI Maeslro erche non
ascoIla, lulla inlenla a rearare ialli er fare fesla a Gesu, Ia soreIIa Maria
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invece e Iodala erche cogIieva I'occasione er ascoIlare. Le due soreIIe voIe-
vano lulle e due fare fesla a Gesu, Marla ero guardava a se slessa, aI come era
ossibiIe fare fesla, Maria, invece, ascoIlava, guardava soIo a Gesu. Marla re-
gava, ossia s'affannava, er fare fesla, menlre Maria ascoIlava soIamenle. II fare
fesla che divenlava AscoIlo.
Ma er me iI ungoIo e rimaslo acuminalo, se non mi singe iu a
regare bene, mi melle senza riaro di fronle aIIa domanda: sono veramenle
in ascoIlo deIIa IaroIa`
I semre ossibiIe che mia zia, adesso che si lrova da lemo immersa
neIIa reghiera deI suo e mio Signore, mi dica: iI luo ascoIlo, caro, non e buono
nemmeno a comrare I'acelo. Oh, s, e iu che ossibiIe. Iero una cosa e cerla, e
uo essere iI massimo deII'incoscienza o deII'abbandono (soIo Ia IaroIa Io sa):
non mi anguslio iu. Vorra dire che anche aII'acelo, se serve a canlare Ia
misericordia di Dio, rovvedera Ia slessa IaroIa. Ho quasi I'imressione, anzi,
di avere raggiunlo iI senso deI dire iI bene deIIa mia infanzia: iI bene dicere,
er I'elernila, lanlo su Dio da arle mia er Ia sua misericordia, quanlo su me
da arle di Dio che ha olulo secchiarsi, saIvandomi, neIIa sua infinila graluila
misericordia. Che sia queslo dire iI bene iI vero senso deIIa reghiera`

I lesli sono slali ubbIicali su
Vialor
(marzo dicembre 2004)

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