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nel 1607 Non inverosimile, che questo principe Gustavo Adolfo, visitando i varii
paesi sotto il velo dell inco^ito necessrio troppo alle sue circostaose, capitHsae
anche a Padova. E siccome i viene dagli storici descritto- qual conoscitore di pi
lingue, amante della ChBiica e delle sciense naturali; tutto ci cospira a render
non improbabile, che intorno al 1S97, in et di 09 anni fosse egli quel principe di
Svezia, il quale in Padova ud i primi concetti usciti di bocca al Galileo intorno al
movimento della terra^ e tutt insieme apprese da lui le teorie della inilitare architettufa.
Il P. D. Benedetto Castelli in una lettera del i 638
(Nelli Vita del Galileo).
..... Mi sovvenne un esperienza fattami vedere gi pi di 35 anni
sono dal nostro signor Gdileo, la quale fu che presa una caraffella
di vtro di grandezza di un piccolo ovo di gallina, col collo lungo
due palmi circa e sottile quanto un gambo di pianta di grano, e r>
scaldata bene colle palme delle mani detta caraffella, e poi rivoltando
la bocca d essa in un vaso sottoposto, nel quale era un poco d acqua,
lasciando libera dal calor delle mani la caraffella, subito acqua co
minci a salire nel collo, e sormont sopra il livello dell acqua del
Taso pi d un palmo. Del qual effetto il medesimo signor Galileo si
era servito per fabbricare un istronento da esaminare i gradi del
caldo e del freddo.....
Gianfrancesoo Sagredo al Galileo (Libreria Nelli).
Venezia nel Staggio i 6i3.
L* istromento per misurare il caldo inventato da V. S. Ecc. *
stato da me ridotto in diverse forme assai comode et esquisite, in
tanto che la differenza dalla temperie di una stanza all altra si vede
fin cento gradi.. Ho con questi istromenti speculate diveree cose ma-
ravigliosej come per es. che nell inverno sia pi fredda l aria che
i l ghiaccio e la neve, che ora appare, pi fredda l acqua che l aria^
che pochissima acqua sia pi fredda cne molta.
Lo stesso Sagredo al Galileo ( Libreria N e lli) .
Fenea 7 Fehhrajo i 6i 5.
La pratica dell istnimento per misurare il caldo e il freddo stata
moltipu'cata' ed assottigliata da me per quanto mi pare a termine tale
che vi sarebbe assai da speculare; ma senza 1 ajuto suo malamente
posso soddisfare al . bisogno ed a me stesso. Con questi strementi ho
chiaramente veduto esser molto pi fredda l acqua de nostri pozzi il
verno che l estate; e per me credo l istesso avvenga delle fontane vive
e luoghi sotterranei, ancorch il senso nostro gidichi diversamente.
Due giorni che nevic, mostrava il mio strumento i 3o parti di caldo
ai
^ in camera pia di quello che gi due anni in tempo di freddo
rigorosiseim e etraordinario. U quale strumento immerso e sepolto
nella neve ne a mostrati 3o meno^ cio soli ico; ma poi immerso in
nere- mescolata con sale mostr ^tri loo meno e meno; sicch sendo
stato nel colmo del caldo d*. estate fino gr. 36o, si vede clie sale
congiunto con la.neve accresce il freddo per quanto importa un terzo
della differenza tra eccessivo caldo dell estate e eccessivo freddo
del verno; cosa tanto maravigliosa ch io non ne so apportare imma
ginabile cagione.
Del termometro vogliono aldini che foge ritrovatore Drebellio: nia stando ancbe
alle favolose narrative che t i fanno delle invenzioni di costai) noa ^etto cb* ei
le moetrMe se non quando nel i6ao fu'passato in Inghilterra, cio 17 anni dopo
che, come abbam veduto sopra, il Galileo ne faceva gi uso. Posteriori di tempo
altres ne scrissero pure, Fludd dopo il 1617, Santorio nel 1626, Questi tre
autori, e Galileo altres, formavano il loro ietromento con nna boccetta piena daria
di lungo collo sottile, la bocca del quale eaieado immersa nel liquore d .un vaso,
esso liquore ascendeva nel collo al' raffreddarsi della boccetta, e discendeva al ri
caidarsi della medesima (a); un tale istromento era tutt insieme termoscopio
baroscopio, n si sarebbe potuto sempre decidere, se ascesa del liquore nel tubo ibsse
dovuta al diminuito calore, od ia parte almeno all aumentato peso dell atmosfera.
Fludd confessa averne trovato la figura in un codice assai antico, e Santorio dico
averlo dedotto da Erone, il ^al e pi volte ne suoi spiritali fa col calore movere
l aria dentro i tabi. verosimile che Galileo pure, bens prima di loro, traeu
da rone l'idea del suo termoscopio.
A R T I C O L O I V .
Alcune lettere. Discesa dei gravi per un arco di cerchio.
I l Galileo a sua Madre (Originale presso me).
Padova 7 Jgosto .
Carissima et onoranda Madre.
D a nna vostra lettera e da una di mese. Piero Sali intendo del par
tito che ci vien proposto per la Livia nostra; in proposito di che non
Veggo di poteWi dar certa resoluzione, perch ancora che Al partito
mi venga lodato da detto mese. Fiero e che tale io. lo stimi, niente
di meno ora come ora non lo posso accettare; la causa cfie quel
signor Polacco, appresso di chi stato Michelangelo, ultimamente
tcritto ch*ei deva quanto prima andar l da lui, offerendoli partito
onoratissimo, cio la sua tavola, vestito al pari che i primi galantuo
mini di sua cortC) due servitori che lo servano, et una carrozza da
(e) SuNMhM hi primaa Fen. ee. Quaeit. VI. p. .
f h M philesopU vPHuc Cap. a.
A R T I C O L O I I I .
Del Cannocchi ale
Scr i ttur a di Gal i l eo Gal i l ei a lla Si gnor i a di Venezi a
( Morelli Monumen Veneziani fol. 1796 )
Sereniesimo Prihcipe
G"alileo Galilei, umiliseimo eerfro della Serenit Vostra, invigilando
assiduamente e con ogni spirito per .potere non solamente satisfare
al carico, che tiene della lettura di matematica nello Studio di Pa
dova; ma in qualche'utile e segnalato trovato apportare straordinario
benefizio alla Serenit Vostraj compare al presente avanti di quella
con un nuovo artifizio di un occhiale cavato *dalle pi recondite spe
culazioni di prospettiva : il quale conduce gli oggetti visibili cos
vicini all occhio, e cosi ^andi e distinti gli rappresenta, che quello
che e distante, verbigrazi, nove miglia ci apparisce come s fosse'
lontano un miglio solo; cosa- che per ogni negozio o impresa maritti
ma o teiTestre pu essere di giovamento inestimabile , potendosi in
mare ad assai maggior lontp.nanza dal consueto scoprire legni e vele
dell inimico, sicch per due ore e pi di tempo possiamo piima scoprire '
lui, ch egli scnopra noi, ^ distinraendo il numero e la qualit dei
vascelli, giudicare le sue forze ed allestirsi alla caccia, al combatti
mento,. o aHa fug; parimenti potendosi in t>erra coprire,, dentro alle
, allogg^menti, e ripari dell -
i l
f
iiazze, allogg^menti, e ripari dell inimfco da qualche eminenza bench
ontana; e pure anco nella campagna allerta vedere e particolarmente,
distinguere, con nostro vantaggio^ ogni suo moto e preparamento;
oltre a molte utilit chiaramente note ad ogni persona giudiziosa. E
pertanto giudicandolo degno di< essere dalla Serenit Vostra ricevuto
e come utilissimo stimato; ha determinatp di presentarglielo, e sotto
Parbitri su rimettere il determinare circa questo ritrovamento, or-
dMHtndo e provvedesdo^ che secondo che apparer opportuno alla sua
prudenza, ne staoD.,. < siane fabbricati.
Jet questo presenta con orai affetto il detto Galilei alla Serenit
Vostra come uno dei frutti della scienza, ehe esso gi 17 anni com
piti professa nello Studio di Padova, con speranza di essere alla gior
nata per presentargliene dei maggiori; se piacer al Signor Dio e alla
Serenit vostra, che egli secondo il suo desiderio passi il resto della
vita sua al servizio di Vostra Serenit, alla quale umilmente s inchi-
na, e da'Sua Divina Maest gli prega il colmo di tutte le felicit.
P. 1. 11
Decr eto del Senato.
(Mortili come sopra)
1609. a5 Agosto. In Pregadu
L egge Domino Galileo Galilei n anni diecisette le -Matematiche
con quella eoddisfazione uniTersale e utilit dello Studio nostro .d
Padoa, che noto ad ognuno, avendo in queste professioni pubblicate
al mondo diverse invenzioni con grande sua lode e comune benefizio;
ma in particolare ultimamente inventato un istrumento cavato dalli
secreti della prospettiva, con il quale le cose visibili lontanissime si
&nno vicine alla vista, e pu servire in molte occasioni; come dalla
sua Scrittura, con la quale lo ha presentato alla Signoria Nostra , si
inteso. E convenendo alla gratitudine e munificenza di questo Con
siglio il riconoscer le fatiche di quelli che s'impiegano in pubblico
benefizio; ofa. massime che s avvicina il fine della sua condotta.
L ander parte, che il sopradetto Domino Galileo Galilei sia con
dotto per il rimanente della vita sua a leggere le Matematiche nel
f
tubblico Studib nostro di Pada, con stipendio di fiorini mille al-
anno; la qual condotta gli abbi a principiar dal fine della prec&
djpnte^ non potendo ess?. condotta ricever mai aumento alcuno.
horen/so Pigrtoria A Paol o Gualdo a Vicenza.
{Lettere d uomini illustri 8. Fenexia 1744)
Padova 3i Agosto 1609.
n Signor Galileo k buscato mille fiorini in vita, ? s dice col be
nefizio d un occhiale simile a Quello, che di F iandra fii mandato al
Cardinal Borghese. Se ne sono veduti di qua, e fanno veramente
buona riuscita.
L o stesso al medesimo i l 19 setternbre 1609.
... E VS. non mi- d alcuna nuova del suo occhiale portato cesti ?
D nazia non invdii la gloria sua al signor Galileo, che io on posso
credere, che non abbia dato a lei cosa se non'perfetta.
Giambati sta Por ta al Pr i nci pe Feder . Cesi.
(Odescalcki Memorie de'Lncei. Roma 1806. 4O
Napoli a8 Agosto 1609.
Del secreto dell occhiale l ho visto, ed una minchioneria, d
preka dal mio libro iz de refractione: e le scriver, che volendola
8
ss
fare VS. ne avr pur piacere ( Tav. i. Pig. 7. ). E un cannello di
stagno o d argento Inngo un palmo, e grosso di tre diti di diame
tro , che k nel capo a un occhiale convesso. Vi un altro canale
del medesimo di quattro diti lungo, che entra nel primo, ed ha un
concavo nella cima saldato b cpme il primo. Mirattdo coq quel solo
primo, si vedranno le cose lontane vicine, ma perch la vista non si
fa nel cateto, pajoiio oscure ed indistinte. Ponendovi altro come con
cavo che fa il contrario effetto si Vedranno le cose chiare e diritte;
e si entra e cava fuori come un trombone, finch si aggiunga alla
vista del riguardante, che tutte sono varie.....
In Settembre del 160^ {Librera Nelli ) Giambatista Strozzi ed Enea Piccolomini
li con^atulano col Galileo per l'occbiale, del quale egli avea mandato notizia al
Gran Duca, aTendone questi provato piacere..
Il Galileo non prete mai d ester egli il primo inventore del cannocchiale,
ma eolamente d essere irne degli inventori. Nel principio del suo Nunzio Sideree,'
non meno che nel Saggiatore espone candidamente: che nell estate del 1609 essendo
In Vanesia, gli giunse notizia essersi in f'iandra U)bricato un occhiale con cui
gli oggetti lontani comparivano vicini e distinti; e .che pochi ^omi dopo fu di
questa nuova -assicurato da Parigi per lettera del signor Badoverce gentiluomo fran
cete: ch egli allora tornato a. Padova si pose a meditarvi sopra, e colla dottrina
delle rifrazioni il primo giorno dopo il suo ritorno suddetto riusc a comporne uno, il
quale amplificava tre volte il diametro degli oggetti, e ne diede subito coqto a
suoi amici in Venezia. Poco dopo, ne compose un altro di maggior perfezione, che
ingrandiva il diametro pi di otto vuUe, il quale sei giorni dopo port a Venezia, lo
fece col vedere per pi di un mese, e poi Io present al Senato. Finalmente
(insci a costruirne uno, che rendeva trentadue volte maggiore il diametro soprad
detto, e di questo si giov pochi mesi dopo a scoprire le celesti novit.
Come vedremo nell Articolo 3. della Sexioue seguente, il Galileo scrive al Ke
plero, che il Gran Duca * per se il cannocchiale col quale fironp scoperti i
naneti Medicei, e lo fece riporre nella sua Galleria. Esso probabilmente quello
che vi si riscontra oggid circa tre piedi lungo colla seguente iscrzioDe.
Tubnm opticum vides, Galilaei inventum et opus, quo Slis maculas et extitno
,, Lunae montes, et Jovis satellites, et novam quasi universitatm primiis dispexit.,,
L'obbiettivo ne rrep, e conservasi a- parte in un fregio, sostituitovene. un altro
nel tubo; sotto al fregio sta scritto: Sapiens deminabitar astri.
11 solo Galileo conobbe allora qual fosse, la combinazione delle lenti la pi fi-
vorevole ad ua sempre maggiore ingrandimento delle immagini, e p^ci due o tre
anni di seguito i preucipi e gli astronomi non tritvavano cannocchiale di vaglia,
se non veniva dalle mani del Galileo. Dentro anno 1610 egli ne present al
Gran Duca,ed al Principe D. Antonio de Medici, e n ebbe duecento scudi di re
galo. Altri diede richiestone ai Cardinali Borghese, Moiitlto, e del Monte; al Lan.*
gravio d Assia Cassel, all Elettore di Colonia, a Giuliano de Medici Ambasciatore
presso -S. M. Cesarea, ai Duchi d Acerenza, e d Acquaviva. (Libreria Nelli, *
Lettere di Keplero ) .
rosi vero che il Galileo non intese mai arrogani la priorit dell invenzione,
che nella prima edizione del suo Saggiatore ammise una latina composizioqe fatti^
da Gio. Fabro uo collega fra i Lincei, in sua lode, la quale incomincia coi quattro
guanti versL
Porta tenet prmas, h^eae Cermaue .eecnndas,
Sunt, Gallaee, tuus tertia rejgna labor.
Sidera eed quantum terrie coelestia distant, '
nte atios tantum tu, Calilaee> nites.
Il Fabio eteseo nella etoria dlie piante d America d Hernande* (pg 47^) c -
conta, che il principe Cesi, sentito avendo parlare del cannocchiale Batavictt., ne
compose uno prima che il Galileo recasse a Roma il suo. Ci dovette essergli fa
cile dopo la lettera precedente de^ Porta, che lo descrive di veduta. -Fu allora che,
mila proposizione di Demisiano Greco, e socio de Lincei, l accademia e il Prin*
ripe imposero al cannocchiale il nome di teliscopio; e questo nome fa poi anche
adottato .dal Galileo andato a Roma.
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Divenuto sempre pi celebre questo istromento per l uso che ne fece il Galileo,
molti *a gara vollero appropriarsene iaveuzione. Lascio d banda coloro, ^ quali
male a proposito ne fecero possessori gli antichi. Venepdo a contemporanei d<*I
N. A., il Keplero Stesso credette di trovarne un idea nel Libro XFII. della Ma
gia di Gio. Batista Porta stampata prima del 1590, e nellArticolo a.** della sezio
ne qui seguente ne vedremp il passo da lui riferito. Ma il Porta' in quel passo
altro non dice, se che la lente convessa mostra ingranditi e chiari gli oggetti
vicini, la concava-rende piccoli ma distinti gli oggetti lontani, e che per congiun-
eendole insieme, si potranno vedere ingranditi e distinti gli obbietti s vicini che
lontani. Questo aiitore avanz a caso uoa tale proposizione come quegli che cer
cava sempre ne suoi discorsi il meraviglioso; ed era cos porq in grado di cem-
prendere l effetto delle due lenti combinate fra loro, che nella sua opera de .Re-
fractione 4 Neapoli venendo nel libro V i l i a parlare degli occhiai^ non fa
che avanzare le. due seguenti proposizioni;,) I vooht reggono pi chiaro cogli occliiali
,, convessi: i d'-boli di vista veggono pi acuto coi concavi ma poi non ne reca
veruna tollerabile dimostrazione, e non avanza pi nulla della loro combin-izione.
Contuttoci, veduto poi il cannocchiale ed i suoi effetti, se ne fece bello, e tent
poi,'ma indarno, di recarne la spiegazione. Al che i riferigoono i sottouotati documenti.
d o . Bati sta Manso a Paol o Beni , (L i br er i a N el l i .)
Napoli 18 Marzo 1610.
Il cannoccliiale del Galileo ha recato non piccola gelosia al nostro
signor Porta, il quale ha pensato un tempo fa che s potesse fare
ziandio in infinito (dico per quanto si potesse estendere la linea
visuale, remoti gli impedimenti) con proporzionare i punti del con
cavo e del convesso dei vtri.
Giambati sta Por ta gd un suo amico (Bi tUfon. Voi . i r . )
Napoli 39 Dicembre 1611.
Io Sto Componendo il libro , del telescopio, e ne dir quanto e n
pu dire, e lo dedico a VS. Ma la vecchiezza m impedisce che non
posso faticate.
ato stesso Porta al Principe Cesi. (Odescalchi Mem. d&*Linoet p, lo^.J
ffapoli I Giugno i6ia.
..... Tutti i libri, che mi mandati VS. del telescopio, non sanno
ie eieno vivi, e parlano all sproposito, perch non sanno di prospet
tiva. S'io lever le mani da una tragedia d'Ulisse, che compongo
per un signore, porr le mani a questo, e lo stamper con molte
bellissime esperienze, e le mander col libro, che se fosse visto dal
mondo, non avrebbero scritti tanti spropositi.....
Gi awhati sta Por ta ad -tm suo OmicOf i l qittth gl i chi edea,
per ch si tacesse intorno al l a invenzione del Cannocchi ale,
Vanno i i 3 (Odescal chi Mern. de Li ncei p. .
Meae negligentiae et supinitatis rationes aiFeram. Primo quod insi-
gnis S. C. Majest. M athematicns Kepleroe sua qua pollet animi in-
genuitate, e Germania, me tacente, reapondet; ostenditque xvi i na-
turalis meae magiae lilsro fabricam, mathematicas autem demonstra-
tiones libro de refractione vi i i , quos ante ab bine annis typis
excusos publicavi, clarissime contineri. Praeterea juemodi inventum
perfeci, taediosae sane et fastidioaae operationis, cum per arctum
foramen ^jiectro petenda via sit, nec dare et aperte contueri possis:
cum paulo post specillum invenissem, q[uod oculis appositum per
decem milliaria passuum hominem discemere possit., quod cannone
conditum longe mirabiliorA .apera visuntur et majora quam ' sci'ibi
poa^nt, quae T hawnatolo^e nostrae libro .coaduntur.
Telescopium multis oetendi ( lubet hoc uti nomine a meo principe
reperto ), qui in suas te^ones ' reversi inventionem sibi adscribunt;
fateor ingenue non iam aiTtfbre expolitumi
Valde tamen gratulor tam rude ,et exile meum inventum ad tam
ngentee utilitates exaltatuhi, cum nnper ope et ingenio doctissimi
Mathematici Galilaei Calilaei (non enim simplici, ed duplicibus et
doctissimis Galilaeis ad tam ardnum et exoellens facinus reperiendum
opus erat) tot Planetae coelo oberrent, tot nova sidera firmamento
renideant, quae tot aeculis delituerant, ut <ipera maximi et divini
conditori^ locupletiora conepiciantur.
Perspexeram an-te ie Lunae orbita, cavitate et eminentias... pleja-
dum et aliarum imaginum minora sidera; eed earantium circa Jovis
stellam instrum^nti imperfectio et morbosa enectus vetuit. Retulit
tamen P. Paulus Lembud Jesuita de Mathematica ( cum quo mihi cara
introe8Mt necessitudo) et mechanica benemeritus, orum motus obser-
vaese non a Galilaeo absonos, quae mihi fadle persuadet.
Niccol Stelliola Linceo ecrive al Principe Cesi, il l o Appile r6i 5, phe il Porta
poitoti ili letto a morire (la *ua morte cadde nell anno 1614) agoavasi, che l opera
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del teleecopio era quella che l nccidera, siccome la pi difficile e U pi aMraga
Terainente. di quante mai ne avewe intraprese, (a) E ci altres una prova che
il Porta nulla intendeva della teoria del cannocchiale.
Dopo la morte del Porta, il suo Collega si accinse all impresa medesima, e ne
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mento delle immagini per mezzo del cannocchiale. Ma egli mor nel i 63 lasciando
qne goli quattro primi libri: e se lecito argomentare. dal contenuto di ci che
esiste, rimane dubbio assai se lo Stelliola fosse in caso, non pi che il Porta, di pro
durre una chiara e geometrica spiegazione del telescopio Galileano.
Giover ricordare adesso alcuni autori che scrissero in qne tempi della eottra-
zione del cannocchiale.
Marci Antonii de Domins, De radiis visus et Incis. 4 Venet. 1611.
L approvazione del libro del 7 (rennajo 1610. Nella dedica Gio. Bartolo di
Lncignano dice d aver rhiesto all autore il suo sentimento intorno al nuovo istro-
mento, che dicevasi allora pubblicato dal Galileo per vedere^gli oggetti lontani,
n de ominis cav fuori i suoi commentarii scritti gi venti anni prima, e mostr
che in essi erano i fondamenti teorici del nuovo celebratissimo istromento; ma
nel pubblicarli vi aggiunse uno o due capitoli, per adattare la teoria al nuovo
istromento. Sono questi il Gap'. VII e IX ai queir operetta.
Hieronymi S i r t i i r Med olanensi s, TeleflCOpium, sive ars perfi ci end
novum i l l u d G a l i l a e i vi sori um i ns trumentam ad sidera. 4 Franco/. 1618.
'Nella Prefazione'si scusa d aver tardato a pubblicare questo libro, ch egli avea
gi fatto annunziare nei cataloghi sino del i 6i a. Nell opera loda il Galileo; dice
che questi non volle insegnare ad alcuno l arte di costruire il pannocchiale, e che
non pot pili riuscire a formarne uno eguale in bont al suo primo. Indi fattosi
a raccontare la storia dell invenzione prima del cannocchiale, cos ragiona.
Prodiit anno 1609, eeu genius eeu alter, vir adhuc ignotus Hollan-
d specie, qui Midd^elburgi in Selandia convenit Joannem Lippeneim;
is vir est solo aspectu insigne aliquid prae se ferens, et perspicilio-
rum artifex nemo alter est in ea. urbe: et jussit perspicilia plura tam
cava, quam convexa confici: condicto die, rediit ahsolutum opus cu-
piens, atque ut statim habuit prae manibus, bina suscipiens, cavum
scilicet et convexum, unum et alterum oculo admovebat, et sensim
dimovebat, sive ut punctum concursus, sive ut artificis opus . pro-
baret : postea soluto artifice abiit : artifex ingenii minime expers
et no-vitatis curiosus coepit idem facere ac imitari, nec tarde natura
euggessit tubo baee perspicilia condenda: ubi unum absolvit, advo-
lavit in aulaih principis Mauritii et hoc inveatum obtulit. Prin-
ceps babuerit p:|;ius nec ne, suspicandum erat rem militiae utilem et
pernecessariam nter arcana'custodiri: verum ut casu senserit vulgatam,
dissimulaverit industriam, et benevolentiam artificis atificans; inde
tantae rei novitas per totum effunditur orbem, et plura alia confi-
ciuntur specilla, sed nullum ei contigit melius aut aptius priori (ego
(a) Odcicslclii Memorie deLincei p. ia8.
idi et tractavi) adeo ut dicas non artes solum, sed ipeam naturam
omnia conferre ut magni principLbue inserviant. F erebatur etiam
nil praeterea eeee hoc'adinventiim, quam duo specilla tubo apposita,
et cum Porta in sua magia de hac re^ licet obscure, verba fecisset,
et oretenua etiam cum multis me praesente, videbatur pluribus ines
se hanc conceptidnem, adeo ut re audita, ipiilibet ingeniosus coejperit
sine esemplo pertentare opus. lii lucri cupiditate, Belgae, Galli,
Itali quoque proeurrebant, nemo erat qui authorem se non fa-
ceret. Mediolanum mense Majo advolavit Gallus, qui ejusmodi tele-
scopium obtulit comiti de Fuentes, is se socium Hollandi autboris
ajebat; cornee, cum dedisset argentario, ut tubo argenteo includeret,
incidit in mantts meas, tractavi, esaminavi, et similia confeci, etc.
Sirtur and a Venezia, iadi a Barcellona, empre corcando Tetri opportuni ,
finalmente capit a Roma.
Aderat Galilaeus cum suo num/jnam interiturae memoriae telescor
I
lio. Forte quadam die F ed.ericue princeps Caesius..... invitaverat il-
um ad caenam in vinea qnae dicitur ijnalvaeiae, ac praeterea non-
nullos alios literatos. Ante occasum Solis cum eo penrenissent, cae-
perunt telescopio prospectare inscrptionem Sixti V. in supercilio
januae Lateranensis, quae distat uno fere miliari. Successi ego et
vidi et ad satietatem le^ inscrptionem. Noctu deinde et post cae>
nam Jovem, et comitantium steUarum motus obserraTimus... Galilaeus
ut curositati satisfaceret eduxit lentem et cavum spcillum et palam
ostendit. Ego interim tubum scrutatus atque dimeneus lentem quo^
que deinde tractayi et consideravi, adeo ut possim ex fide ex arte
atque experientia refeire quatte sit. Id unum mibi deerat, exacta
proportio lentie^ej: cavi ut integram possiderem artem....
PaMato poi nel 1611 in Germania trov pretao l Elettor di Colonia delineato
esatUmente il cannocchiale del Galileo. Cos itraito descrive or l arte di formare
le lenti, di polirle di combinarla.
De vero telescopi! inventore, cum brevi omnium conspiciliorum
historia etc. uctore Petro Borello Regie Cristianissimi Consiliario,
et Medico ordinario. 4** Sagae Comitum ex Typogr aphi a Adr i ani
Ul acq i 655.
Riferiace egli le risposte date da Tarlo persone alle domande fatte loro dai Gpn-
oli di Middelburgo; ed ecco il compendio di tali risposte.
Gio. Zarharide nato nel i 6o3 ed occhialaio a Middelbnrgo depone d aTer
dire, che Zaccaria Joannide suo padre avea trovato i cannocchiali nel 1590, che
da principio non eccedevano in lunghezza sedici pollici, che due tali furono of
ferti al Principe Maurizio ed all Arciduca Alberto; e che nel i6iB egli e suo
padre impararono a farli pi lunghi.
Sara sorella del suddetto Zaccaria aiTerma, che dall anno 1608 o 1609 circa
(non sapendo dire il preciso) avea veduto suo fratello fabbricar telescopi!.
Tre altri testimonii asseriscono che il costruttore primo dei telescopi! a Mid
delburgo fu sino dell'anno 1610 un certo Gio. Laprey occhialaio.
Guglielmo Sorelli poi nato esso pure a Middelburgo in sua lettera sostiene eh
jSaccaria Joannid fu rinvebtore prima del microtcopioj poi nel4610 del telescopio:
che quindi Gio. Laprey altro occhialajo della >teea citt, per lo cato ' raccontnfo
dal Sirturo, impar egli pure la coatmzione dell ietromeiito. Questo io. Laprey
{giudica Pietro Borelli autore dell opera, che.sia i l lAppefseim xicotato a\ Sirtuio.
Combinando le testimonianze eudde'tte: si pu a tutta ragione concludere, che
non prima del 1609 ii trovata per caso la costituzione del cannocchiale in Zelan
da. Frattanto nissuno dei costruiti allora giugneva alla perfeeipne di quello, che
teppe formare pochi mesi dopo il Galileo.
Fra tutti gli scrittori di quei tempi, Keplero i i i il primo che spiegasse con prin
cipi! teorici l ingrandimento delle immagini per mezzo del.cannocchiale Galileano:
ci fece nella sua opera se^uente.^
D i o p t r i c e , seu demonetratio eoram quae v i s ui e t vi s ib i li bus propter
c o ns pi c i ll a non i t a p r i d e n i i n v e n t a a c c i d u n t e t c . 4 Augustae Vin-
delicorum 1611.
In questo libro, (dalla prefazione del quale trattala Continuazione del Nunzio
Sidereo inserita poi fra le opere del Galileo) il Keplero descrive inoltre ( Prop. 86)
il cannocchiale composto di due lenti conveie, che del nome del suo inventore
fii poi detto i] Kepleriano. Onde fuor dogni ragione il vanto che volle darei Fran
cesco Fontana, quando nella sua opera stampati lungo tempo dopo (a) pretese aver
trovato sino del i6o8 il cannocchiale del KepletO: di ci non pot poi produrre
altra testimonianza che d aver egli mostrato in Napoli un simile ordigno anno
1614, vale a dire tre anni dopo il Keplero, ai due Gesuiti Staserio e Lupo.
Guglielmi Camdeni Epistolae ( Londi ni 1691. EpisU 55. p . 69.^
. Hienrico W o t t o n o L e g a t o S. f t . Bri ta nn i ae apud Veuetos 6 . Cam-
denus. 10 F e b r u ar i i 1606. Causam metuendi,. mi Domine honoradesi
nie l i t e r i s tuie mi hi suggers, ne speculo i l i o Patavi no e x hac Epi st la
i n mores meos int r os pi ci as : f antum t m v i abest u t hoc
met uam, u t veUm me cl a t h r a t o esse pec.tore, <juo i n omaes mei late-'
bras e t recessus p e n e t re s . . .
P r o d i i t anno superiori L ug d . Batav . Geog rapbi a univerealie Pauli
M e r u l a e , i n cuj us pag. 4^2 codi cem Membranaceum laud at cl .
W e l s e r i , i it quo n o t i t i a utriuscpie i m pe ri i , i t i u e r a r i u m A n t o n i n i , et
ali a co nt i ne n t ur , . .
Questo prova che la data del 1606 giusta, peroh di fatti la geograda.del Me-
rula usc alla luce nell anno i 6o5.
Hanno preteso alcuni che sino del 1606 i l Cambdeno'nella sua lettera suddetta
alludesse al cannocchiale. Ma Io specchio catottrico Padovano, del qnale il Wotton
scrive al Cambdeno, era quello specchio concavo, che i l Magini fece, dopo vari!
altri, fabbricare allora a fine di presentarlo all imperatore; col quale specchio Et
tore Ausonio in un opuscolo stampato .dal Magini stesso pretendeva di poter di
#tinguere a molta distanza j lettere 4 una scrittura.
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(e) Noraecoelettiuni ttirntrumqne reriun obfervatione. 4 NeapoU
A R T I C O L O I V.
Corrispondenza di L etter e dal 1604 al 1610.
n Gali leo M adama Cr i sti na di Lor ena mogli e del Gr an Duca
Fer di nando . (Fabhr oni Letter e Voi.
Pcidwa 11 Novembre i 6o5.
%
A v r e i , per mia naturale dspoBizione, e per amicizia che ho antiquata
col signor Cammillo Giueti,procurato sempre che l opera mia dovessa
essere al signor Matteo Giusti di ajuto negli studii delle matematiche.
Ora che si aggiagne il comandamento di V. A. S. , avr per mia
impresa principale, siccome son per antepor sempre i suoi cenni ad
ogni altro mio affare, reputandomi allora aver segno di partecipare
^ella grazia di V. A. S . , della qual vivo sommamente avido, quando
mi dar occasione di ubbidire a suoi comandi. Io sto aspettando che
mi siane mandati i due strumenti di argento per poterli s e c a
re (a) e rimandare perfetti. In Venezia ho fatto dar tpncipio ad in
tagliare le figure che vanno nel discorso circa l uso di esso mio stru>
mento, e intanate che-siano far subito stampar l opera, oonsecran-
dola al nome del mio Serenissimo ed umanissimo Principe, al quale
intanto con ogni maggiore umilt m inchino, dopo avere al Serenisi
eimo Gran Duca ed all A. V. con infinita riverenza baciata k veste,
on pregar loro da S. D. M. il colmo della felicit.
Cosimo Pr nci pe di Toscana al Gal i l eo. (L i br er i a Ne U .)
Firenze 9 Gennaro 1606.
Ho ricoDOscinto nella lettera di V. S. del 29 del passato la molta mo
destia che conobbi in lei continuamente, mentre 1 estate passata si la
sci vedere in queste bande, ma non vi avrei voluto vedere quel timido
lispetto e dubbio .di esser notato di temerit, se senza altri internunzi
mi avesse scritto} perch in questo modo V. S. dissimula di conoscere i
propri meriti, o crede che non sieno ben conosciuti da me. Dell eccel*
lenti viii sue ho veduto saggio tale in me stesso, che deve credere eh
ne conservi e continua e viva memoria. E sebbene quel virtuoso seme
che V. S. s ingegn di spargere nell intelletto mio per varii accidenti
non ha fruttificato come forse poteva e doveva, tuttavia spero in Dio
che se occorrer ch ella tomi a rivederlo, on lo trover forse tanto
(a) Si deve intendere de} compasso geometrico e militare da lui inTentato.
P. I. la
soffogato, cbe per la buona cultura sua non possa germogliare. E
quando ritorneranno qua gli istroment d argento segnati ed acco
modati da lei, mi saranno facilmente e di ricordo e di stimolo a ripi
gliargli ed esercitarli un poco. N deve dubitare V. S. che appresso
il Gran Duca e-Madama miei Signori si perda la memoria di lei; ed
io gliene bo rinfrescata con l occasione della sua lettera. Con che ec.
Essendo (tati in qpiest' anno banditi i Gesuiti dallo Stato Veneto, il Galileo &e
scrive l avviso a tuo fratello Michelangelo. (Libreria Nelli.)
n Gali leo a Madama Cr i sti na mogli e del Gr an Duca Fer dinando I .
(Fabbr oni Letter e Voi. pr i mo)
Padova 8 Dicemhre i6o6.
Il male, che mi cominci la notte avanti la partita di Pratolino,
che mi ritenne poi otto eiomi appresso indisposto in-Firenze, dopo
avermi concedute tante forze che mi potessi condurre a Padova, due
giorni dopo il mio arrivo qua, rompendo ogni tregua, mi assal e fer
m in letto con una terzana, la quale poco dopo convertitasi in una
continua mi ha ritenuto e mi ritiene tuttava aggravato, bench da.
sei giorni in qua non sia cos. severamente oppresso. Intanto ho con.
mio grandissimo dispiacere sentita la morte dell eccellentBsmo si-
S
ior Mercuriale (a) che sia in cielo, e appresso quella d altri me^
ci principali di Pisa; jper il che stimando io che siano per provve>
dere la Corte e lo studio di soggetti simili ai mancanti, 'mosso da
un purissimo affetto di servir sempre . V. S. ho voluto, bench
malissimo atto a potere scrivere, conferire con l A. V. un mio pen
siero, del quale far qul capitale, che il suo perfettissimo giudizio
le detter.
Qua come benissimo s 1*A. V. S. ai trova il signor AcquajMnden
te, il quale molto mio confidente ed amico di molti anni; egli
vve estremamente affezionato servitore delle Loro AA. SS. s per le
singolari cat-ezze che da loro ricevette quando fu cost, s per i pre
senti e donativi veramente regi che lie port in qua; in oltre som
mamente innamorato delle citt e del paese attorno di F irenze, n
si vede mai sazio di celebrare ci che cost vedde, e ^st. All in
contro avendo qua^ acquistato quanto poteva sperare di facult e di
reputazione,.e trovandosi per l et male atto a tollerare le fatiche
continue, che per giovare a tanti suoi amici e padroni gli cnviene
op ^omo pigliare, e perci essendo molto desideroso di un pooo
di quiete s per mantenimento della sua vita, 6ome per conduiT e a
fine alcune sue opere, ne gli mancando altro per adempire la sua vir
tuosa ambizione, che d pervenire a quei titou e gradi, ai quali altri
(a) Girolamo Mercuriale moti in Forl sua patria.
9
della saa professione aniTato, che non gli possono se non da qual
che gran prncipe assolato esser donati; pertanto io stimo che egli
molto volentieri senrirebbe A. V. S. Aggiungesi che ritrovandosi
egli una grossissima facolt, e non avendo altri che una figliuola di
un suo nipote fanciuUetta di dieci anni in circa, e che dovr esser,
dotata di meglio che 5ooo ducati, non dubbio alcuno, che esso
vede che quei costumi e virt, ohe a donna ben allevata si conven
gono, molto meglio in cotesti Monasteri nobilissimi, che ^ in ca*
sa sua potrebbe ella apprendere, ed essere poi al tempo ael suo ma
ritaggio favorito dal sapientissimo consiglio di V. A. S . , per le quali
tutte cose io congetturo qua disposizioni di cangiare stato (e). La
qual cosa ho voluto io di proprio moto, e senz. conferirne una mi
nima parola n ad esso signor Acquapendente, n ad altra persona
vivnte. Comunicare a V. A. S. ; il che la supplico a ricevere in buon
p-ado, e come effetto nato da uno svisceratissimo desiderio di servir
la. Ne far dunque V. A. quel capitale che alla sua prudenza parr,
e quando anche le paresse che iisse cosa da non ci applicar l animo,'
almeno certa, che con altri che con i miei pensieri ncm stato
ragionato. Degnisi dunque A. V. ricevere in buon grado la purit
del mio affetto, e mi scusi della presente cos male scritta, poich
ietuo avremo alla sua benignit. Quanto alle mie nuove osservazioni,
e mando bene come per avviso a tutti i filosofi e matematici; ma
non senza gli auspicii del nostro Serenissimo Signore; perch avendo-
mi Dio fatto grazia di poter con segno tanto singolare scprire al
mo Signore la devozion mia, ed il desiderio che ho, che il suo glo
rioso nome viva al pari delle stelle; e toccando a me primo scopri
tore il porre i nomi a questi nuovi pianeti, voglio all imitazione de
gli antichi scienti, i quali tra le stelle riponevano gli eroi pi eccel
lenti di quella et, inscriver questi dal nome della Serenissima S.A .
SoJo mi resta un poco di ambiguit, se io debba consecrargli tutti e
quattro al Gran Duca solo, denominandogli Cosmici dal nome suo,
p pure, nacch sono appunto quattro in numero, dedicargli alla fra
terna col nome di M edi cea Syder a. Io qua non posso, ne debbo pi
gliar consiglio da alcuno per molti rispetti, per ricorro a VS. illn-
9triss^ma, pregandola, che in questo voglia dirmi il suo parere^ e
porgermi il suo consiglio, essendo io certo, che ella come prudentis
sima, e intelligentissima dei termini delle gran corti, sapr propormi
quellp, che di maggior decoro. Due cose desidero circa questo fatto,
C di quelle ne supplico VS. illustrissima: una mella segretezza,
che assiste sempre agli altri suoi negozii pi gravi, r altra una su
bita risposta, perch per tal rispetto solo fo trattener le stampe; re
standomi da determinar questo punto nel titolo, e nella dedicatoria.
Io tQmo domani a Venezia, dove attender la sua risposta, la quale
potr cos piacendole raccomandarla al maestro delle poste, acci
capitando in altra mano non fosse inviata a Padova. Quanto al desi
derio, che mi accenna VS. illustrissima di ^vere, di veder queste os
servazioni, io non mancher di far si che resti servita tra breve
tempo, e se incontrer qualche poco ^ difficolt per non aver altra
volta praticato lo strumento, alla pi lunga questo Giugno le levere
mo tutte, dovendo io per replicato comandamento di S, A. S. ritro
varmi coat.
95
A R f l C O L O I .
Bdi zi one del Nunzi o Sidereo. Di ssertazione del Kepler
r elati va al medesirro.
Sydertus Nunius fil tfempato da Tommaso Baglioni a Venrtaia In 4 * t*!
medeiimo, cbe i legge in tutte le edizioni del Galileo. La dedica al gran Duca
drl IO Marzo 1610. Ed probabile, che ud esemplare ne fosse gi pervenuto a
Firenze prima del Marco, perch in tal giorno il Vinta (LU>rfria VW/i) d or
dine del Gran Duca scrive al Galileo, che in ogni modo il lunedi di Passione ( 6
Aprile ) venga a Bologna, dove trover la lettiga preparata per trasportarlo a Fi
renze, e mostrare ivi al tSran Duca i nuovi pianetij com egli diFatti eseral.
Un altro emplare del suo Nunzio fece il Galileo pungere, per mezzo di D. Oiu-
liano Medici Ambasciatore del Gran Duca presso l imperatore, in mano del Ke
plero a Praga; il quale ne procur tosto una seconda edizione, e la dedic, il 3
Maggio seguente all Ambasciatore suddetto; con aggiungervi una sua Lettera 9
Disset-tazione al Galileo. Questi facendo l anno stesso una terza edizione del suo
Nunzio, a Firenze presso Antonio Ganeo in 4*) la sopraccitata Dissertazione
del Keplero, cotne quella che servir a rendere pi verosimili le sae' nuove scoperto
sul cielo; ond essa non deve qui venire ommessa. Il titolo della ristampa del
zio a Praga, e la unitavi lettera del Keplero, sono come segue.
Jo. Kepleri Mathematici Caesarei Dissertatio cum Nimcio Sidereo
nuper ad mortales idsso a Galilaeo Galilaeo Mathematico Patavino.
Pr agae Typi s Dani el i s Sedesani 1610 i n 4*
Nobili et excellentiesimo Domino Galilaeo Galilaeo Patricio F io
rentino professori Matheseos in Gymoasio Patavino Jo. Keplerus S.
G. M. Mathematicus . P. D.
Jampridem domi n\eae consedefam ociosus, nihil niei te cogitane,
Gdilaee praestantissime^ tuasque literas. Emisso enim superioribiu
nundinis in publicum libro meo Commentarla de motibus M ar i i s in-
scfipto multorum annwcum. labore: exque eo tempore, quasi quid
difficilima expeditione bellica gloriae satis peperesem, Vacatione non-
nulla studiis. mia interposita fore putabam, ut inter baeteros et Ga-
lilaeus, maxime omnium idoueus, mecum, de novo astronomiae seu
physica coelestis genere promulgato, per literas conferret, intermie-
sumque ab annis duodecim institutum resumeret.
Ecce vero tibi ex in^inato circa Idus Martias celerum ope nun-
ciatum in Germaniam, Galilae mei, pr lectione alieni libri, occu-
pationem propriam insolentissimi argumenti, de quatttor Plantis antea
incognitis ( ut caetera libelli capita praeteream ) usu perspicilli du
plicati inventis: quod cum illustriss. Dom. Ces. Majest, Consiliarius,
et Sacri Imperialis Coneistorii Referendarius ( D. Joan. Matthaeu*
Wackberius a Wakbenfelsz) de curru mihi ante habitationem meam
nonciasset; tanta me incessit admiratio absurdissimi acroamatis con-
sideratione, tanti orti animorum motus (quippe eJt inopinato decida
39
antiqua inter noe liticula ) , ut ille gaudio, ego rubore, rieu nterque
ob novitatem confusi, ille narrando ego aumendo vix' sufficeremus.
Augebat gtuporem meum Wackherii adseveratio; viroe esse clariseimoe,
doctrina, gravitate, constanta upra popularem vanitatem longissime
evectos, qui baec de Galiiaeo perscribant, adeoque jam librum ub
praelo yersari, proximisque cursibus afiuturum.
Me, ut primum ab ore Wackherii diecesei, Galilaei potiesimum
movit anthoritae, judicii rectitudine ingeaiiq^e soler parta. Itaque
vieditatus mecum sum, qui posiit aliqua fieri accessio ad Planetanim
numerum, salvo meo mysterio cosmographico, quod ante annoe tre-
d'cim in lueem dedi: in quo quinque illae Euclidis figurae, quae Pro-
clug ex Pythagora et Platone Cosmicas appellat, Planetas circa Solem
non pluree eex admittunt.
Apparet autem ex praefation illine libri, et me timo quaetiviese
pluree circa Solem Planetae, eed frustra.
Qilod igitur baec perpendenti incidebat, currculo ad Wackberum
deti^: nimirum uti terra ( unue ex Pianetis Copernico ) Lunam suam
habeat extra ordinem eeee circumcorutantem; sic fieri sane posse, ut
Galiiaeo quatnor aliae Lunae minntiseimae angustissimi meatilms circa
Saturni, Jovis, Martis, et Veneris corpuscnla circumvolvi videantur:
Mercurium vero, circumeotarium ultimum, tam esse immersum in
Solis radios, ut in eo nihil adbuc simile potuerit a Galiiaeo deprebendi.
.Wackberio contra visum, baud dubie circa fixarum aliquas circum-
ire novos bos planetas (quale quid jam a multo tempore mibi ex
Cardinali^ Gusani et Jordani Bruni speculationibus objecerat ) ; ac, si
qnatuor ibi latuerint hactenus Planetae, quid igitur impedire, quia
credamus innumerabiles porro alios ibidem, hoc initio facto detectum
iri: adeoque vel mundum bunc ipsum infinitum, ut Melisso et Phi
losopbiae magneticae authori Gulielmo Gilberto Anglo placuit; vel
ut Democrito et Leucippo, et ex recentioribus Bruno et Brutio, t.uo
Galilaee et meo amico, visum, infinitos alios mundos, ( vel, ut Brunus^
terras) bujus nostri similes esse. Sic mibi sic illi visum, interim dum
librum Galilaei, ut erat spes facta, cupidine mira legendi expectamus.
Primum exemplar concessu Caesaris mibi contigit inspicere, cur-
simque pervolitare. Video magna longeque admi r ^i l i ssi ma spectacu
l a, pr oposita phi losophi s et astronomis, ni fallor et mibi; video ad
magnarum contempiationum exor di a omnes verae pfUlosophiae cupidos
coTwocari.
Jam tum gestiebat mibi animus me rebus inferre, quippe provo-
catum, et qui eadem de materia ante annos sex scripsissem; tecum-
que Galilaee solertissime, de tam inexbaustis Jovae conditoris tbesauris,
quorum alios post alios nobis aperit, jucundissimo scriptionie genere
conferre, quem enim tacere sinunt tantarum rerum Nuncii ? Qaem non
implet divini amoris abundantia, per linguam et calamum sese pr-
fundens ubertissimeP
10
Addebant animum angustissimi Gaeears Rodulphi imperia, qai
meum de hac materia judicium expetebat. >e Wackherio vero quid
dicam? Ad quem ut yeni sine libro, lectionem tamen ejus profes>
ras, in Tieum mihi rixatum etiam fiit; deniqne piane conclusum ut
in hac materia non differrem fieri qnam disertissimns.
Dum aliquid meditor: supenreniunt literae tuae ad. illustriss. Magai
Hetmriae Dcis L egatum, plenae tui in me amoris, ut qui hoc mihi
honoris impertitus sis, ut per tantum vinim potissimum me, et trans-
misso esemplari et addita commonefiiotone, provocandum ad acri-
bendum ceiieueris: quod et praestitit in tui gratiam per quam huma-
niter, et me in clientelam auam suscepit beneTolentiseime.
Quod igitur mihi propria animi propensione, quod amicis placet,
quod diligenter ipse roga, id &<am: nonnulla epe induotus, me hao
epistola id tibi profiiturum, si em censuerie ostendendam, ut contra
morosoe novitatnm ceneores, quibus incredibile quicquid incognitum,
profanum et nefandum quicquid ultra coneuetas aristotelicae angustiae
metae, uno proaspiste eie processurus instructior.
T emerarius forte videri ^ssim qui tuie aesertionibus, nulla propria
experientia sufiultus, tam facile credam. At qui non credam M a t e
matico doctissimo, cujus vel ausus judicii rectitudinem arguit, qui
tantum abest ut sese vanitati dedat, seseque Tidisse dictitet quae
non vidert, populM*em auram captans: ut Tei reoeptissimis opinioni-
bus veritatis amore non dubitet repugnare, vnlgique yituperia
deque ferreP Quid quod publice scribit, probrumque, si quod .com
mitteretur, clam habere nequaquam possetP Ego ne ut patricio Fio
rentino fidem derogem de iis quae vidit? perspicaci lusciosus? in-
stromentis ocularibus instructo, ipse nudus et ab su]^ellectili inops?
Ego non oredam omnes ad eadem epectacula iuvitanti, et quod caput
est. Tei ipsum suum instrumentum, ad faciendam fidem oculis offerenti.
An parum hoc fuerit magnorum Hetmriae Ducimi familiam ludifi
cari, Mediceumque nomen figmentis suis praefigere, planetas interim
veros poUicentem?
Quia quod propriis expeiimentis, quod et aliorum asseTerationibug
in parte libri deprehendo veraoiseimum ? Quid causae sit, cur solum
de quatuor planetis deludendum sibi putaverit orbem ?
Tres sunt menses cnm augustissimus Imperator super Lunae ma-
culis varia ex me quaesirit, in ea constitntus opinione^ terrarum et
continentium simulacra in Luna ceu in speculo resplendescere. Al-
legabat hoc potissimum, sibi videri expressam Italiae cum duabue
ac^acentibus insulis effigiem. Specillum etiam suum ad eadem con-
templanda offerebat in dies sequentea, quod omusum tamen est. Adeo
eodem tmpore, Galilaee Christi Domini patriam vocabulo praeferens,
bhristiani orbis monarcham {ejusdem irrec^eti spintus instinctu, qm
naturam detectum ibat) deliciis tui aemmatus es.
tOA
Sed et antiquiasima est haec de maculis Lunae narratio, ralta ati^
thoritate Pythagorae et Plutarch 6ummi philosophi, et qui, si hoc
ad rem iacit, proconsulari imperio Epinim tenuit sub Gaeearibtts. tTt
Maestlnum adeoque et mea optiqa ante annos sex edita praeteream,
inque suum looom inferius dineram.
Haec igitur cum coneentieutibue testimoniis etiam alii de Lunae
corpore aegevereut, consentanea iis, quae tu de eodem longe diluci-
dissima afifers experimenta: tantum abest, ut fidem tibi in reliquo
libro et de quatuor circumjoTalibus planetis derogem, ut potius optem
mibi in parato jam esse perspicillum, quo te in deprehendendis cir-
cum-Martialbus (ut mibi proportio videtur requirere) duobus, et cir-
cum>Satumiie sex vl octo praevertam, uno forsan et altero circum-
Venerio et circum-Mercuriali accessuro.
Quam ad venaturam^ quod Martem attinet, tempus erit maxime
idoneum October venturus, qui Martem in opposito Solis exbibet,
terris ( praeterquam anno 1608.) omnium proximum, errore calculi
trium ampliue graduum.
Age igitur, ut de rebus certissimie, meisque oculis, ut omnino spero,
vidends, tecum Galilaee sermonem conferam ; tui quidem libri me>
tbodum secutums, omnes vero pbilosophiae partes, quae vel ex hoc
tuo Nuncio ruinam minantur y e l connrmantur Tel explicantur, -
xta perragaturus; ut nihil supersit, raod lectorem Philosophiae 4e
ditum suspensum teneat, et vel a fid^ tibi periiibenda prohibeat, vel
ad coutemnendam quae bactenus erat in precio, philosopniam impellat.
Primum libelli tui caput in fabrica perspicilU versatur, tantae qm-
dem efficaciae, ut rem spectanti millies exhibeat majori planitie,^
quod tum fit, si diameter tricies bi* repraesentetur longior. Quod si
racultas aestimatoria manet in sententia consuetae magnitudinis, ne>
cesse est ei tunc rem videri tricies bis propiorem. Distantiam enini
oculus non videt sed conjicit, ut docent Optici. Da enim hominem
aliquem abesse tribus millibus et ducentis passibus, videri vero sub
angulo tricies bis majorem, ut videtur alius sine perspicillo centum
passibus absens: cum certum babeat oculus hominem illum remotum
habere consuetani magnitudinem, censebit non pluribus centum abes^
se passibus, adjuvante et clarificatone visionis perspicillo procurata.
Incredibile muhis videtur epichirema tam efficacie perspicilU; at
impossibile aut noTum nequaquam est; nec nuper Belgio pro^t,
sed tot jam annis antea proditum a Jo< Baptista Porta, Maae natura^
lis libro XVII cajp. x de cryetallinae lentie aiFectibus. Inque appa-
reat ne compositionem quidem cavae et convexae lentie esse novamj
age Verba Portae producamus. Sic ille:
Posito ocido in centro, retro lentem, quae remota fuerint adeo
propinqua videbie, ut quasi manu ea tangere videaris, ut valde
rerootos cognoscas amicos; Uteras e^stolae in debita distantia col-
locatae adeo magnas videbis, ut perspicue legas. Si lentem iucUnabi,
,, ut per oblqnum epistolam inspiciae, Uteras satis majusculaB Tide>
,, his, ut etam per viginti passue remotas legas. E t si lentes multi -
pl i car t noveris, non vereor quin per Centurn passus imnimam li ter am
it conspicers; ut ex una in alteram majoree reddantur caractere.
it Del>ili8 visus ex visus qualitate specillis utatur. Qui id recte sci-
,, verit accomodare a non parvum nanciscetur secretum. Goncavae
M lentes, quae longe sunt, clariesime cernere faciuut convexae pro-
tt pinqua; unde ex visus comoditate bis fru poteris. Concavo longe
,, parva videe sed perspicua, convexo propinqua majora sed turbiaa.
Si utrumque recte componere noveris, et longinqua et proxima majora
et elara videbia. Non parum multis amicis auxilii praestitimus, qui
,3 longinqua obsoleta, proxima turbida conspiciebant, ut omnia per<
fectssime contuerentur Haec capite x.
Capite XI novum titulum facit de speci lli s, quibus supra omnem
contatnm longissime quis conspicere queat: sed demonstrationem de
industria (quod et profitetur) sic involvit, ut nescias quid dicat, an
de lentibus perlucidis ^ a t ut bactenus, an vero speoulam adjungat
opacmn laevigatum, cujusmodi unum et ipse in animo babeo, quod
res remotas, nullo discrimine absentiae, in maxima quantitate ideo*
que ut propinquas, et praeterea proportionaliter auctas exbibet: tanta
claritate, quanta ex speculo (quod necessario coloris fusci est) sp&
rari pptest.
Huic loco libri Portae, cum viderem praefixam qnaerelam initio
oapitis X. Cavarum et convexarum lenti um et specillorum, tantoper
humanis usibtu necessariorum, neque effectum neque rationes adhuo
nemine allatti s: eam operam sumpsi ante annos sex in astronomia
par te opti ca; ut quid in simplicibus perspicillis acQideret, luculents
demonstratione geometrica redderem expeditum.
Videre est ibi capite v , ubi demonstro illa quae pertinent ad
modum videndi, fol. aoa conjunctas in scbemate effigie cavi et '
vexi perspicilli, piane ad eum modum, quo solent bodie in vulgatia
tubis inter se jungi. Quod si non lectio Magiae Portae, occasionem
dedit huic macbinamento ; aut si non aliquis Belgarum ex ipsius
Portae instructione fabrefactum instrumentum solutis silentii legibus
morte Portae {a) multiplicavit in plura exempla, ut mercem venalem
faceret; baec certe effigies ipsa fol 2oa. Libri mei potuit curiosum
lectorem admonere de structura, praesertim si lectionem demonstra-
tionum mearum cum textu Portae conjunxit.
Non est tamen incredbile, solertes sculptores ingente industria, qui
perspicillis ad sculpturae minutias videndas utuntur, casu etiam in
fabricam banc incidiese, dum lentes convexas cavis varie associant,
ut quae combinatio melius serviat oculis, eam eligant.
Non ista dico ad deprimendam inventoris meebamci laudem, quisquis
^ t . . Scio quantum intersit inter rationales conjecturae et ocularen).
(a) Porta ingr nel
io3
lO^
experenliami inter Ptolemei disputationem de ntipodibus, et Co
lombi deteetionem novi orbie: adorne et inter i ^ e vulgo circnm-
latoe tubos bilente, et inter tuam Galilaee macninam, qua ooelum
ipsnui terebrasti: eed nitor bic fidem increduli facere instmmenti tui.
Fatendum est me ex eo tempore, quo optica sum cre-
berrime a Caesare rosatum de Portae eupraecriptis artinciia, fidem ut
pluliinum derogaste. Nec mimm, miscet eoim manifeste inoredibilia
probabilibus: et titulus capitis xi verbis (Su/7ra omn*m cogi tatum
quam longissime prospic&fe.) videbatur absur^tatem opticam involvere:
quasi vitio fiat emittendo, et perroicilla acuant oculi jaculos, ut ad
remotiora peoetrent, quam si nulla perspicilla adhiberentur: aut si,
ut agnoscit Porta, visio fit recipiendo, quasi tunc specilla rebus vi-
denois lucem eoncilient vel augeant: cum boc potius verum sit, quae
non ultro ad nostros oculos ejaculantur aliquam luculam, qua me
diante eospiciantur, numqnam illa ullo perspicillo detegi posse.
Praeterea credebam non tantum aerem ess crassum et colore cae^
ruleo, quo visibilium partes minutae eminus obtegerentur et confuo*
derentur; quod cum per se oertum sit, frustra videbam expeetari a
perspicillo, ut banc aeris interfiisi substantiam a visibilibus detergati
sed'deipsa etiam coelesti eesentia tale alicpiid suspicatus som, quod
noe, id maxime Lunae corpus in immensum augeamus, impedire poe-
sit, quo minus exiguas ejus particulas in sua puritate seorsim a ooe
lesti materia proiundisnma agnoscere poseimtis.
Has igitur ob eaussas abstinui a tentanda mecbanica, concurronti
bus insuper aliis etiam impedimentis.
At nunc merito tuo, Galilaee solertissime, commendo indefeasaoi
tuam industriam, qui diffidentia omni posthabita, recta te ad ooulo-
rum experimenta contulisti, jamque orto per tua inventa veritats
sole, omnes istas titubationum larvas cum nocte matre di^ulitti, quid
quid fieri posset facto demonstrasti.
Te monstrante agnosco substantae coelcstis incredibilem tenuit
t e m, quae quidem et ex opticis meis fol. 127 patet si proportionem
densitatis aeris ad araam conferas cum proportione densitatis etberis
ad aerem, procul dubio multo majori: quae efficit, ut ne minutissima
quidem stellati orbis (nedum lunarie corpors stellamm bumillimae)
particula nostros oculos eiRigiat tuo instrumento instructos, multoque
plus materiae (vel opacitatis) in uno specilli corpusculo interponator,
inter oculum et rem visam, quam in toto ilio immenso aetheris tractu:
quia ex ilio aliquantula resultat obscurtas, ex hoc nulla; ut pene
concedendum viaeatur, totum illud immensum spatium vacuum esse.
Etti igitur avide tuum Galilaee instrumentum expecto: tamen si ^ a
mihi 6ors a0ulgebit, ut mechanica remotis obstaculis tentare possim;
strenue me in iis exercebo, idque gemina via. Nam vel multipUcabo
lentes perfectarum spbaercarum bine inde superficierum levissime
assargentium, easque certis ntervalHs in arundine disponam, exteriores
loS
latiores, ut tamen oculas intra, terminum intenectonie parai
lomm onmium lentiuin constitnatur: de quibus terminie vide optca
mea foL 190 et fol. 440 -yvel at in unica superficie errorem ( si qui
esset) &C1U8 corrigere possim, unam solam lentem seu umbonem
effigiabo, altera superficie proxime plana, quippe in conyexitatem
phaerioam soline dimidii mdus seu 34 minutorum assurgente; reli
oua non sphaerica ^ a e ad oculum vergit, ne milii contingat, qupd
tol. 194 ostendit Scnema, fiatque partium rei visae distorsio et con*
iusio, de qua est prop. xviu fol. 193, sed in umbonem assurgente, ut
f*t fol. 198 in Schemate demonstratum, ut sit humori crystallmo ocu-
U similis; linea qmppe hyperbolica tornata deseriptum, quam fol. 106
in Schemate quaenvi propter machinamenta oplica, ut est fol. 96 et
fol 109; soilicet ut non distorta fiat t s o , sed partiutai rei visae ima-
gines augeantnr proportionaliter ut prposui fol. i d 5.
Haec ia<^am in constituenda lente convexa observabo, ut majora
praestem visibilia: oculumque non longe ab boc pnncto collocabo in
quod omnium rei visae punctorum rai (quae proprietas est buju*
nmbonis byperbolici) umce confluunt: byperbola eousque continuata
erit, ut ra^us ex puncto seu centro hoc in contingentem extremum
hyperboles faciat angnlum 27.* ideoque refiitictionem ciroiter 9.* ut ad
t r i s t a semisses graduum habeam in utriusque laterie refiractionb^
extima, in intermediis proportionaliter minus. >
Quia vero unus puncli de re lucente tam remota radiatines pr*
xime parallelae descendunt ad umbonem, post quem conTer^entes in
humorem oculi orystallinum inoi^unt, a4oo ut pst crystallinum fa-
cta refiraotione concurrant in puncto proxime crystallinum, et ab co
se mrsum dilatent donec in retiibrmem veniant jm dilatati instar
penicilU, atque ita pr punctie L unae singulis, smgnlae retiformis
illustrantur superficies, aaeo ut coniusissima fiat visio; ideo ad oculum
cujuslbet spectantis peculiarem' pr diversitate oculorum adbibel>o
lentem cavam, ut convergentes unius puncti radii, contraria refractio-
ne in cavo facta, prohibeantur convergere, sed petius divergentes, et
sic velut ab aliquo propinquo puncto venientes in crystallinum in-
cidant*, perque eum reuucti in retiformi ipsa sortiantur sua colle
ctonum puncta; quae definitio est visionis distinctae. Quae omnia
demonstravi fol. aoa meae optices. ^ -
Atque haec de instrumento ipso. Jam quod usum ejue attinet, ar-
gutum sane est inventum tuum, quomodo cognoscatur, quanta fiat
rerum per instrumentum anroliatio, et quomodo singula in coelo mi
nuta minutorumque partes dignosci possint. Qua in re cum in certo'
men veniat industria tua. onm Tychonis Brahei in obserrando cei^
indine accuratissima: non abs re fuerit aliquid interloqu.
Memini eum Polyhistor ille scientiarum omnijm Jo. Pistorius ex
me quaereret non una vice; num adeo limatae sint firaheanae obser-
vationes, ut piane pbil in iis desiderari posse putem? Valde me
P. I. 4
oontendisee, ventum esae ad enmmHm, nec relictum eeae <piicqiuiii btt-
manae induetriae, cam nec culi majorem ferant evAtUitatem, nec
refractionum negooum syderum loca reepectu horizontie stata moTens:
atqne hic iUam contra conetantiseime amrmasee venturam olim, qui
perepicillorum ope eubtiliorem aperiat methodnm: cui ego refnctio-
Hee perspicillorum ut ineptas ad obeervationum certitudinem oppoeui.
At nunc demum video, verum in parte vatem fueee Pietorium. Ipsae
^lidem Brabei observatones per se stant, babentque sam laudem.
Nam quid sit in coelo areus 6c graduum quid 34 minuta ; hoc
Brabei instmmentis innotesct. tqui Braheus boc pacto gradus coe-
lestes ( Tel etiam ego meo artificio optico L unae diametrum) in coelo
fiierimus dimensi: jam superveniens tuum Galilaee perspicillnm, et
quantitatem illain a Brabeo et a me proditam compfectens, sub^ie-
sime illam in minuta et minutorum parte eubdivitt, seseque Brabei
metbodo observandi, elegantissimo conjugio, associai: ut et Brabens
S
se babeat, qno tu observationis meUiodo gaudeat, et tu toam ex
rabeana necessario instruas.
Vis dicam quod sentio? Opto mibi tuum istrumentum in eclijpseo
lunarie contemplatione: sperarem ex eo praestantissima praesidia ad
expoliendum, est ubi et reformandum, totum Hipparcbum meum, seu
demonstrationem interrallorum et magnitudinis trium coimomm, ^ lis,
Lunae, et T errae. Diarnetrorum enim Solis et Lunae difierentiam va
liabilem digitosque in L una deficientes nemo exactius numerabit, nisi
qui tuo instructus oculari diligentiam in obserrando adbibtteiit.
Stet igitur Galilaeus juxta Keplervm, ille Lunam obserrans cnvei^
so in coelum vultu, bic Solem aversus in tabellam ( ne ocolum urat
specilluin), suo uterque artificio: et ex bac societate prodeat ota
nitidissima interyallorum doctrina.
Quin etiam (praeter Lunam) Mercnrum ipsom in disco Solis hoc
meo artificio vidi: vide libellum bac de re editam.
Nec minas etiam, si Cometa quispiam afiulserit, parallaxes ejiM
(ut et L unae) ad stellulas illas minutissimas et crel^rrimas, solo tuo
instrumento conspicuas, coUatae observari rectissime potemnt; ex qui-
bus de altitudine corporum illorum certius, quam bactenus unquam,
licebit argufnentari.
Atque baec tecum Galilaee, ad primum libelli tui caput, oonferre Ubuit.
Transis secundo ad pbaenomena L unaria praestantissima, qua men-
tione refricas mibi memoriam eorum quae in astronomiae parte optica
cap. VI de luce Syderum, numero 9 super maculis Lunae, ex Plutar
co, Maestlino, meisque experimentis, adduxi.
Ac initio perquam jucundum est, et meipsum in ejuedem Lunae.
maculis, non ut tu converso,'sed averso vultu observandis, esse ver-
satuni. Schema bujus rei babes fol *4? libri: ex quo illud patet,
mibi quoque limbum Lunae apparuisse lucidiseimum nndiquej solum
corpus intarios maculis fuisse distinctum.
\ o6
E x ubt animum certare tecom in peiridendis illis minulis ma
calia a te prmum in parte lucidiore animadversis. Id autem hoc pa-
cto me spero perfectnrum mea obeerrand ratione, vultu a L una
averso; si Lunae lumen pe^ foramen in tabellam pertica ciroumlatam
intromisero, sic tamen, ut foramen obvallet lens crystallina, sphaerico
mjuumi circuii ^ b b o , et tabella ad locum collectionis radiorum ac*
cemodetur. Sic in pertica pedes longa, Lunae corpus perfectissime
depingetur quantitate monetae argentaee majore. Artificium demon-
stravi prop, 348 fol. 196 et a i i L ibri mei ; simplicins tamen ftdt pro-
positttiB a Porta primo titulo cap. Vi de lente, cum egO de integro
globo demonstraferim.
Perganute6 alilaee, taa exoutere phaenomena; nam c u n aetate Lunae
a.ugpicaris observata tua, primumqne os te nt a , quid corniculatae de-
sit ad ovalis lineae perfectionem. Ovalem esse epeciem circuii illu-
minatoris demonstravi numero 8 fol. 2 4 4 L ibri mei: terse igitur et
piane mathematice loqueris.
In consideratione macularum a te primrnn animadyersarum in parte '
L unae lucida, omnino optice demonetras ex illuminationis ratione,
illas esse cavitates aliquas sen depressas lacunae in lunari corpore;
Sed exctae disputationem, quidnam sint illae tam crebrae Lunae ma-
culae partis antiquitus lucidae putatae. T u eas cum Tallibus compa^
ras noetrae Telluris, et fateor esse nonnullas bujusmodi vallee prae-
eertim in Styria provincia, specie quasi rotundas, faucibus angustie^
simis fluvium Muram recipientes snpra, emittentes infra, ut sunt
campi dicti Graecensis, Libnicensis, et ad Dravum Marpurgensis,
aliique per alias regiones, quos eampos altissima consnrgnatr
montium juga,. speoiem aheni exprmentia: qnippe non minima pars
latitudinis camporum est altitudo circunneotanim crepidinum. Equi-
dem f a t ^ et talee in Luna vallee esse posse, sinnosis montium re
cessibus propter fluvios escavatas. At quia addis tam crebra esse
has maculae, ut assimilent lucidam partem oorporis lunarie caudae
pavonie in varia epecula, velut oculoe, distinctae: subit igitur ani-
mum, num in Luna hae maculae quid aliud notent. Apud noe enim
in T ellure eunt sinuosae nonnullae vallee, at sunt etiam in longum
protensae secundnm fluviorum decursus, profunditatis non contemnen-
aae, cujusmodi veluti perpetua vallis est Austria fere tota propter
Danubium, inter Moraviae et Stiriae montee dejnressa, et quasi re>
condita. Cur igitur nullas tales longas in Luna maoulas prodisP cur
plerasque crculo oircumductas? Anne licet conjectoiis indulgete,
Lunam veluti pumicem quendam esse, creberrimis et maximie pori
undique debiscentem P Patierie enim aequo animo, ut bic per oca
tionem aliqmd indulgeam speculationibus meis, Contmentar o de Mar t
cap. xxxiv fol. 167 propositis: ubi* ex eo quod Lana a T ellure duplo
celerius incitatur, quam partes ipsae Telluris extimae in ciroulo
^equatore; collegi, lunare corpus eeie rarum admodnm, quodqu
107
exgua matenae pancae eontinnaicui praeditom, raptui Tolhuif nn
multum resistat.
Venmtamen haeo ( de abeolatit cavitatibas non per monte formats)
tanti non suntj ut juxta tnas teqttentes narrationes stare omnino
neqneant, pertnaciter defendenda ptttem. Nam clarMimie experment
lege piane optca Teddidisd oonfirmatiseimum, in lanari corpore tnul-
t08 per lucidam pi^em, praeaertim inferioe, coneivgere a]picM instar
altigeimorum nKmtittm nostpie Telluris, qui primi orentie in Luna
Solie luce frunntur, eaqne tiBi pertpicillo tuo utenti detenntur.
Quid jam dicam^ de tua super antiquis maculis Luna dispotatoiie
exactiseima? Cosa fol. aSi Libri mei sententiam I^utarchi adduxis
sem, Lunae Macula illa antiqnae pr lacnbue seu maribm habentis,
lucidas partee pr continentibna: non dubitavi me ^ponere, et con
traria ratione in maculis continente, in lucida pnritate bumoris vim
ponere: in re mibi Wackheriu* valde applaudere est soli tua. Adeo-
qne bis oisputationibne superiori aestate indulsimus ( credo quod na
tura per noe eadem moliebstnr, qiiae ]>er Galikemn obtinnit paulo post)
ut in ipsius Waekberi gratiam, eliam astronomiam noYam, quat
pr iis qui in Luna babitant, planeque Geograpbiam quandam luna-
rem conderem, cujus inter fondamenta et boo erat, maculas esse con
tinentes, lucidas partee maria. Quid me movert, ut bic Plutarco
contradicerem, 'ridere est fol. nSi Libri mei , experimentum soilcet
ibi allecatum qu<^ coepi in monte Stiriae Scbeckel, ex quo miU sub-
jectus nuvius videbatur lucidas, terrae tenebrosiores. At infirmitatem
^pplicationis folio verso margo ipse in^cat. Silicet non luce comma
mcata ex Sole, ut terrae, lucebat flurius, sed luce re^rcussa ex aere
illuminato. Propterea et causas experimenti tentavi nfeliciter. Nam
contra doctrinam Aristotelis libro de coloribus, boo affirmavi: aquai
min^ de tro participare, quam terras. Qui enim hoc vehim esse
possit, cum terrae a ^ e tinctae nigriores evadant? Et quid multis?
da Lunam ex alba gleba constare, ut Cretam insttlam (quomodo Lu-
cianus Lunam <tixit casei similem terram esse), concedendum erit,
clarius resplendescere illam ex illuminatione SoUs, quam maria, quan*
tumvie iion atramente imbuta.
Itaque nibil me Liber meus impedit, quo minus- te audiam contra
me pr Plutarco matbematicis argumentis dsserente, illatione argu-
tiseima et invicta. Lucidae qmppe partes multis ecritatibas debiscnnt,
lucidae partes tortuosa linea iliuminantur, lucice partes eminentias
babent magnas, quibus vicinas partes praeyertint in illuminatione:
aedem et contra Solem snnt lucidae, parte a Sole aversa tenebrosae;
qiue omnia in aicco et solido et eminenti locum babent, in liqmdo
minime. Contra tenebrosae partes, notae antiquitus, sunt aeqi^iles)
tenebrosae partes tarde iliuminantur, quod earum i^rmit humUitatem,
cum circumstantes eminentes jam longe lateque colluceant et a te-
nebresis iUominatis nigrore^ quodam velut umbra ^tinguantur; linea
io8
iUamittationis in parte tenebroe reota Qst in quadris; Ia yicissim
i n hamorem competimt ima petentem e t pondero suo fiuom ad ae
.
His incjaam argumentb piane eatie&ciati: do macnlae esse maria
do Incidas parte esse terram.
Neqoe haec tua expermenta perspicacissima, vel meo ipsius testi
monio carent. Nam fol. optices meae habes Lunae biseetae li-
neam tortnoeam, ex quo elicni eminentias et dejvessiones in Lunae
corpore. Fol. aSo exhibeo Lnnam in edipei, figura laniatae carnis aut
asseris confiracti, striis Incidis sese in partem umbrosam insinuantibus:
qua observatione idem tecum sed alio argumenti genere evinco, Lu-
nae partes inaequales esse, bas eminentes, illaa profindas; non jam
ex umbrae projectione^ sed ex eo qood debiltatum Solis radium in
confinio eclipsis aliae Lunae partes lortiue, aliae debilius excipiunt
et revibrant. At haec confuse tantum et superficiarie a me annotata
sunt, nulla distinctone maculosa'rum partium a lucidis. Tua vero
diligentia, quam ordinatim omnia perse^iturP Qui etiam macula
ipsas yeteres albicantibus areolis aequabiubus, cen maria planis . in-
sulis, interstinctas exbibes.
N e ^ e satie mirari possum quid sbi velit ingens illa circuloque
rotundata cavitas in sinistro, ut ego loqui soleo, oris anguloi aaturae
ne opus sit, an manus artificis. Nam profecto conaentaneum est, s
ennt in Luna viventes creaturae (qua in materia mibi post Pytbago-
ram et Plntarcbum jam ohm anno 1593 Tubingae scripta disputatione,
nnde in opticis meis fol. a$o et nupernme in supracta Geographia
Lunari ludere placuit), illas ingenium sua^ provinciae imitari, quae
multo majores habet montes et vaUes quam nostra tellus ; ideoque
mole corporum maxima praeditas, immania etiam opera patrare: oum-
que diem babeant quindecim nostros dies lo n g ^ , aestusque sentiant
intolerabilesj et fortasse careant lapidibus ad munitiones contra Solem
erigendas, at contra glebam forsan babeant in modum argillae tena-
cem; banc igitur illis aedificandi rtionem usitatam esse; ut campo
ingentes deprimant, terra circulo egesta et circumfusa, forte et hu-
moris in profundo eliciendi causa;, ut ita in-proiindo, post tumulos
egestos in umbra lateant, intusque ad motum Solis et ipsi circum-
ambulent umbram consectantes; atque baec sit illis veluti qUaedam
speoies urbis snbterraneae; domus, speluncae creberrimae, in crepidinem
iflam circularem incisae; ager et pascua in medio, ut Solem fugien-
tes praediis tamen non cogantur recedere,
Sed sequamur porro etiam filum tuae scriptionis. Qaaeris cur non
inaequaUs etiam appareat extremus Lunae circulus ? Nescio quam id
diligenter fueiis contemplatus, anne potius bic ex opinione vul^ quae*
ras? Nam libro meo fol. et fol. aSo in pleniluniis aliquid sane in
bac extima circuii perfectione desiderare me professus sum. Perpende
et qnid tiH yideatur iterato enuncia; tuis enim ocularibus fidam.
*9
t i o
Ad quaestionem tu quidem, ut de re certa rspondes getnino modo.
Primus mei8 experimentie non repugnat. Nam si irequentia et con-
stipatio verticum aliorum post alice in extremo aspectabilis hemie-
phaerii limbo, epeciem exhibet perfecti circuii, fieri non potest, nisi
vertices ad tornum aeqnati et abrasi sint, ut non minutnlae non-
nullae limulae aut tuberculi compareant, quod mei obsenratis eeset
consentaneum.
In altero modo Lunae circumfundie sphaeram aeriam, quae in de-
vexa globi reducta, profunditatem aliquam radiis solaribus et terre-
stribue, adeoque et nostris oculis objiciat; unde ille limbi merus et
emacnlatus splendor, tota interiori facie, qua non ita profunde nostris
obtutibus obstat bic aer, crebris maculis ecatente.
. Potuit te hujuB aerie lunarie admonere Liber meus fbl. aSa et 3oa,
quae libri mei loca tuie bic experimentis egregie confirmas.' Sane non
video, qui Selenitae illi in plenilunio quod nos videmus (caeterique
inTeibils bemispheri^ in novilunio), quibus temporibus ipsis est me-
ridies, immanes Solis aestus tolerare posnt, si non aer turbidus So-
lem illis, ut fit apud Peruanos, crebro tegat, aestumque bumore tem-
peret; qui aer in plenilunio et maculas magis occultai, et splendorem
ex Sole ingentem combibit atque ad nos revibrat.
Quid tu de aere dicis circa L unam, cum Maestlinus libello Tubin-
gae edito anno 1606 etiam pluvias in ea conspexerit ? Sic enim ille
Th. i 5a.
In eclipsi Lunari vespere Dominicae Palmarum anni i 6o5, in
corpore Lunae versus Boream, nericane quaedam macula conspe-
et fuit, obscuribr caetero tot corpore, quod candentis ferri figu-
ram representabat. Dixisses nubila in multam regionem extensa,
pluviis et tempestuosis imbribue gravida; cujusmodi ab exoelsorom
montium jugis in bumiliora convalliuih loca videre non raro con-
tingit . Haec ille.
Ne vero putes antiquaruiti macularuih unam fuisse, monstravit ipse
mibi Maestlis anno superiori diagramma. Macula erat et situ et
magnitudine differens: quippe quae quartam circiter aut quintam par-
tem planiciei Lunarie occupabat; et praeterea adeo atra, ut etiam in
obtenebrata L una eluceret.
T radlt eo libello T h. 88 Lunae affinitatem cum terra, in densitat,
umbra, caligine, luce a Sole mutuatitia: quae globum utrumque cir-
cumambulet, quae aequales et terricolis Lunae phases exhibet, et luni-
colie T errae; ut utrumque corpus ab altero aequaliter illuminetur, quo
loco magnam ]partem complectitur meae astronomiae Lunarie. Alterum
gradum cognationis horum corporum Th. ga collocat in asperitate
superficierum: qnodque notatu dignum est, ex tribus locis Averroie
citat dictum Aristotelis ex libro de animalibus, quod Luna terre-
nae naturae admodum sit affinis .
In s^cie de aere circa unare corpus circumfaso T h. r45 ex profess
I l i
ait, cja ita snt verta Th. 149 tns Calilaee yerbs adeo Bmilia,
ut ex tao libello dsumpta videantur: Si L nnae corpus, inquit,
cunque phasQ, probe intuearis, extremam oram , multo limpidiori
,j purorique luce claram, nec ullis maculis conspersam videbie: cum
tamen ab interiori corpore plurimae nigricantes notae passim emioent.
Quis ilio dicet, uniformie illius lucis non esse aliud quam huja
obscurioris turbidi et maculati splendoris subjectum?,, Coneludit
bine corpus limbi esse perlucidum, quasi vitreum, aerium, denique
aeris nostri circumterrestris piane simile.
Multue quidem est in eo, ut tecum Galilaee, bunc aerem ex eo
etiam signo probet, quod pars lumine Solis perfusa amplioris cir-
,, cumferntiae apparet, quam reliquum orbis tenebrosi quod Mae-
stlinus multis probat experimentis, non nocturnis tantum, quorum
causa in visqm r^ici possetj sed et diunus, quando stella Veneris,
se jwst Lunae bifidae partem umbroeam recipit. Verum pace vestra
mibi liceat, ego etsi aerem Lunae concedo, tamen super hoc experi-
mento maneo in sententia: Lumen bine Lunae inde stellae. de die
etiam^ sese in oculo ampliare, locumque partis tenebrosae carpere, ut
ei minuta, lucida magna putetur. Vide optica mea foL a 17.
Sequitur in tuo libello fol. i 3 ingeniosa et legitima demnstratiq
ejus quod a me quoque fol. aSc passim dictum est, demonstratum
vero minime; montes lunares multo majores esse terrenis, idque i^on
tantum in proportione suorum globorum, quod ego dixeram: sed in
comparatione simplici. Seilioet desiderabatur, ad boc demonstrandum,
tuum perspiciUum, tua in observando diligentia.
Nec minus ingeoiose te fol. 14 comparas ad observationes disci Lu-
aaris, cum ei prmum enascuntur cornua, docesqne comua objectu
tecti tegere; ut reliquus discus emineat. Est bic mibi modus obser^
vandi usitatissimus.
Quod vero demonstrationem attinet, quae ostendit hoc lumen ex
nostra Tellure eiFuodi, ea jam a vipnti annis eoque ampline fuit pe^
nes Meastlinum, ex cujus doctrina ilUm transtuli in meam Astronomiao
partem opticam cap. vi num. 10 fol. a5a pienissimo tractatu: ubi
easdem etiam opinienes {quod lumen boc sit Sole, vel a Venere)
tecum eodem modo refuto, nisi quod hanc ultimam merito suo, paulo
quam -tu, moUius excipio.
Putas fol. i 5 ruborem illum L unae ahenenm, quem circa extremi
tatee umbrae terrenae . L una eclipsata retinet, reliquo corpore iuea
et evanida, esse ex illuminatione vicinae substantiae aetberiae. dju-
vas meam de eodem rubore disputationem fol. 271 optioorum, ubi
eam ex refractis in nostro aere SoUs radiis deduco: et accomodas ea
quae fol. 3oi adduxi, ad rationem dicendam, our in totali Solis edi
pei non semper nox fiat mera; quae in libro de stella nova fol. 117
Tepetii. Dubito Galilaee, an podsit haec a te dieta causa buie suf-
ficer^i rubori: haec enim, uti vi? aurora, lunare corpus circumstat
multo aequabilitie, mam ut rabor iste sic inaeqaabilitr in Lu^m
derTetur, ut ostendunt noea foL aliata experimenta, quae ubi u
tuo systemate mundi in considerationem adduxera, pero te hac in
parte tanto feliciue de rerum oansis dieputaturum.^
Ad pallorem tamen Lnnae in mediam umbnun immenae efficien
dum, ubi cessant fadii Slie rfracti facile patior, ut juxta tid^ra
Solem circometantia, qbus ego fol. *77 pallorie oausam trana<ipai^
haec tua aurora, ut potor causa adducatur.
Absolri altemm libelli tni caput de Luna: transeo ad t#rtimn de
Sideribo caeteris.
Prima tua obserratio est magnitudini* sidemm, quorum orposcnla
perepicillo inspeeta, in proportone ad Lunae diametrum aia minai. Ad
ducis et alia similia quilms tellae minuuntur; verissima et .mihi lengo
U8U comperta, orepusculwn, diem, nubem, relum, vitrum coloratom.
Hic tuas excutio locutiones, aagnlum visorium non a {mnMrio
,, Btellae corpusculoy a late cirenmfuso splendore terminar; item,
perepicillo adsoititios aocidentalesque fulgores stellis adimi,.
Quaerere lubet ex te Galilaee, num acqniescas in causis me al
latis hujus rei, ubi de modo visionis disputo fol. 217 ac praesertim
ibi. aai opt. Nam si nibil desideras, licebit tibi porro proprie loqui,
luminosa puncta conos iundere suos in crystallinum, et post eum
refractione facta eos mrsum in punctum contrabere: quia vero id
punctum non attin^t retinam, diiautione nova superficiecnlam retinae
occupat, cum debuerit occupare punctum; itaque pernieillomm open
fieri ut alia refractione intercedente punctum illud in retiformem
competat. Non igitur aliqni descendunt radii in oculum a sfdendors
stellis extenus eircttmfueo; sed contra qui descendunt ab ipso lucido
corpore radii, ii vitio refractionum, et per noctem amplifioatione fo-
ramims uveae, difiunduntur in splendorem in retiformi circa punctum,
quod stellam debuit representare, circumjectum. Neque perspicillum in
terra adimit aliquid stellis in coelo, sed adimit aliquid lucis retifor
mi mantum ejns redundat.
Altera jacundiseima tua obseryati est figurae fixamm radioiae, dif
ferentis a planetarum figuris circularibus. Quid aliud inde Galilaee cql-
ligemus, quam fxas lumina sua ab intus emittere; planetae opaco*
extrinsecus pingi: boc est, ut Bruni verbis utar, illas esse Soles, hoe
Lunas seu Tellures.
Ne tamen is nos in suam pertrabat sententiam de mundis infini-
tie, totidem nempe quot sunt fixae, omnibus hujus nostri einUbue y
subsi^o nobis venit tertia tua obserratio innumerabilis fixamm mul-
titudinis supra eam quae antiquitus est cognita; qui non dubitaa pro
nunciare vider stellamm supra decem millia. enim piaree e t
confertiores, tanto verior est mea rgumentatio contra innnitatem
mundi, libro de stella nova cap. xxi tol. 104 proposita, qaM prebat
'
liqnc in venamur homines, nostro cum Sole et Pla^eti^, e99
praecipuum mundi einum, neque fieri posse, ut ex ulla fixarum ta)9
1
>ateat in mundum prospectue^ qualis ex nostra T llure vel etiam So*
e patet. L ocum brevitatis causa sup6redeo describere; prpderit a4
fidem, totum perle^,
Accedat auctnarii loco et haec Argumentatio. Mihi, qui debili suny
visu, eiduB aliquod majusculum, ut canis, parum cedere videtur ma
gnitudine' diametro Lunae, si r^dios ^gidps accenseam; at <|ai sunt
visu correctissimo, qui^e instrumentis iftuntur astronomicis, quibuy
non imponunt hi cinoiuni ut oculo nudo, ii quantit^tes diametris
etellarum suas describunt per minuta et minutorum partes. Quod si
ex mille solum fixis nulla major eeeet uno minuto, ( sunt autem ple-
raeque ex numeratis majores ) eae cpactae omnes in imam rotundam
Buperiiciem aequarent, (adeorae et 9Upera|nt) diametrum Solis, Quan
to-magie stellarum decies millium 'disculi in unnin conflati superunt
magnitudine aspectabili, epeciem disci'ftoli^? Si hoc ferum, et si sunt
illi Soles ex eodem genere cum. hoc nostro Sole, cur non etiam illi
Soles universi superant splendore hunc nostrum Solem ? Cur adeo ob-
Bourum universi lumen fundunt .in patentissima Ipca, ut Sol per fo-
ramen puncto aciculae minimo apertum irradians in cameram co^clu-
eam, )am statim ipsam iixarim claritatem quanta esset tota camera
ablat, infinito pene intervallo superetP Dices mihi, nimium illas a
nobis Ostare? Nihil hoc juvat hanc causam. Quanto enim distante
magie, tanto ^am Sol madori diametro sunt vel singnlae. At inter-
fusus aether iortasse pbscurat illas? fiequaquam: cernimus enim ilias^
eie cum scintillationibus, suo cum discrinune figurarum et colornm;
^ o d non esset,' si dciisitas aetheris alieni obstaculo es^etf
Satis igitur bine clamm est, corpus hujus nostri Solis inaestimabiU
lAeqsnra esse lucidine, quam universas fixas, ac proinde hunc nostrani
mundum non efse e .promscuo ^ege infinitorom aliomm <^ua de re
infra plura s c r i b a ,
Habee innumerabilitati? ^tellarnm pculatos tester plurimos. lUbi)
nos ajunt numerare supra duodecim millia; novi reUgiosum, ^ i no-i
cte quadam illuni plures qwdraginta numeravit in clypeo Orionis,
Maestlinns majuecnias in Plejadibus ordinrie numerat, nisi fallor,
qaatnprdecm non infra tna^tudinum terminps,
De Galaxia nubecuKs nebulpsis cpnvolutipn|bas beasti Astrono^
mos et Phisicos detect earum essenti, et confinnatis iis, qui piidem
hoc idem tecum assevend)ant, nihil esse msi cpngeriem stellaruin
eonl(isie Inminibus pb oculorum hebetudinem,
Itaque desinent porro cpmetas et nova sidera oum Brahe effor*
mare ex via lactea, ne TOrfectprom et perennium mun^ corporun)
interitcun absarde inttoaucant.
P. I.
Tandem ad planetae tecum traneeo; rem pmcipuae admira-
tionis in libello tuo; paucula teciim super eo negooio, praeter ea quae
initii) dieta, collecturuB.
Primtim exulto, me tuia laboribus nonnhil recrear. Si circa onam
fxarum diecureitantes invenisses planeUe, jam erant mihi apud Brani
innumerabilitatee parata vincula et caroer, imo potius exilium in itlo
infinito. Itaque magno in praesens me liberasti nieto, quem ad pri
inam libri tui famam ex opf^nentis mei triumpbo ooncepenun; <mod
quatuor istos planetas non circa unam Qxarum,'sed circa eidos Jovit
aie discurrere.
Ingens sane Wackherinm pblosophiae illius borridae de novo coepe
rat admiratio, quae, quod nuperrime Galilaeus oculis suis perspexiseet,
tot annig antea non tantum opinationibus introduxerat, 'sd piane
argumentationibus stabiliverat. Nec immerito sane magni funt, qui
in consiniilibus philosopbiae partibus, seneum ratione prevertant. Quii
enim non majons faciat nobilitatem doctnnae astronomicae, quae cum
pedem extra Craeciam numquam extulisset, tamen zonae fngid&e
proprietatee prodidit: q o ^ vel Gaesaris experimentationem, qui cle-
psydris ad littus Britannictun noctes deprenendit, Romani* noctibus
paulo breviores; Tel Belgarum in septentrione byemationem, stuporis
^uidem plenam, sed quae citra cognitionem doctiinae illius fusset
impoesibilis ? Quis non celebrat Platonis fabulam de Atbitica, Plu-
tarcbi de insulis auricolpribus T rans-T bulanis, Senecae de futura ori
novi <letectione yersiculos fatidicos; postquam tale md ab rgonaata
ilio Fiorentino tandem iiit praestitum ? Ipse Columbus dubium tenet
lectorem suum; plus is ingenium admiretur novum orbem ex vento-
rum flatu conjicientis, an fortitudinem tentante ignoto* finctos, nt
meneumque Oceanum; et felicitatem optatis potiti.
Scilicet in mea .etiam materia erunt miraculo Pythagoras, Plato,
Euclides, quod rationie praestantia subvecti concluserunt, aliter fa
ctum esse non posse, quam ut Deus mundum ad exemplar quinque
regularium corpomm exomaret; licet in modo erraverint; vulgaris
con tra laus erit Copernici, qui ingenio quidem usus non vulgari, de-
scriptionem tamen mundi quasi ocularem fecit, solum x vt in lucem
efferens; cedet long veteribus Keplerus, ^ ex oculari intmtu sy*
stematis Copernicani, quasi t* ascendit ad causas easdem adque
t titii quod Plato a priori desuper tot ante saeculis prodiderat;
oetei^ditque in systemate'mundi C<memioano expressam esse rationem
quinqne corporum Platoncortim. Neo abtordum aut invidiosum hoc
est, illos bis praeferri; postulat id ipsa rei natura. Nam si major est
gloria arcbitecti bujus muncQ, .quam contemplatoris mundi, quantum
vis iugeniosi, ^ a ille rationes fabricae ex seipso deprompsit, bic
expressas in fabrica rationes vix magno labore agnoscit: certe qm
rerum causas, antequam ree patent sensibus, concipiunt in^nio, i i
arcbitecti nobilores sunt caeteris, qui post rem yisam cogitant
pausie.
114
i i S
Ita<}tie non invidebis Galiltee noetrie antecessorbus snam hic lau*
dem, qui quod nuperrime tuie oculis deprehendisse aie, sic esse opoiv
tere tibi tanto ante praedixerant. Taa nihilominas gloiia haec erit,
quod ut Coprnicue, et ex eo ego, veteribue errorem in modo demon*
Btravmug, qu putabuit espressa esse in' piando <pin^e cordoni;
snbstituto modo genuino et verssimo} sic tu hanc Brntii nstri ex
firno mutuatam doctrinam emendas, partim et dubiam reddis. Pu-
tabant illi, circumiri etiam alia corpora suis Lunis, ut Tellus nostra
sii: verum illos in genere dixisse demonstras: at putabant fixas stel
las esse <^e sic circtihiirentar; causam etiam dixit Brunus cur esset
neceese: nxas qnippe solaris et igneae esse'naturae, planetas aqueae;
et fieri le^e naturae inToUbili, ut diversa ieta combinentur, neque
Sol planetis, i ^ is aqu sui, neque vicissim baec ilio carere possit.
igitur illius rationem infirmam:es8e tua detegunt experimenta.
Primum esto ut fixa quaelibet Sl sit, nullae illas Lunae hucusque
circumsitare visae sunt. Hoc igtur in incerto manebit, quoad aliqois
ai^tilitate obserrandi imra instructus et hoc detexerit; quod quidem
hic succeasus tuus, judicio quorundam nbis minatur. Jupiter contra
planetanim est unus, quos Brunus T elluree esse dicit; et eoce quatuor
alios circa illum planetas: at hoc T ellurbus non Aadicabat Bruni
ratio, sed Solibua.
^Interim temperare non possum, quih Par&doxos illos ex tuie
tis etiam hac m parte juvem, moneamque veri non absimile, noa
tantum in L una,-sed etiam in J ove ipso incolae esse; aut (quod nn-
perrimo congressu quorundam philosopbantum jucunde motiim) de-
tgi nunc primum regiones illas; Golonos vero, primum atque quis
artem volandi docuerit, ex nostra hominum gente non deftfturos. Quis
credidisset olim tranquilliorem et tutiorem esse navigationem rastis-
simi oceani, qfuam angustissimi Sinus Adriatici, mari Balthici, freti
Anglicani? Da naves, aut vela coelesti aurae accomoda, erunt qui ne
ab illa quidem vastitate sibi metuaAt: Adeoque quasi propediem af-
fiitnris, qui hoc iter tententj ego L unarem, tu, Galilaee^ Jovialem,
condamus stronomiam.
HaCc jucunde sint interposita miraculo audaciae humanae, quae
in huius potissimum saeculi hominibus sese effert. Non sunt enim
mibi deridiculo Yeneranda sacfae bistoriae mysteria. ^
. Neque tamen etiam vile operae pretinm duxi, obiter aurem -vel
licare altieri philosophiae, cogitet an quicquam fnistra permittat gen-
tis humanae supremus et providus ille custos, et q^nam ille consifio
veluti priidens promus hoc potissimum tempore nobis isthaec operum
uprum penetralia pandat, (Juod congerro noster Thomas Segethus,
multiplici vir erucutione, movit ; aut s i , qiiod -ego respondi, Deu
conditor, universitatem hoitiinum, veluti ^endam auccrescentem et
paulatim maturescentem puerulum, successive ab aliis ad alia cog^o-
scenda ducit (uti ^dem tempus erat, cum ignoraretur planetarum
k xb diecrimen, et sero. admodnm a Pythagpra exve Parmemde ani-
inadrerBum, etmdem esse Veeperoin et L ucifenun ; nec in Mose, Jobe,
aut Peaimie alla mentio flanetarum) ; perpendat igitur, et quodamtnodo
respiciat ; qnimeque progreesdm sit in co^iton liaturae j qtiantam
restet: et quid prro xjfctaiidiim sit hmi ibe.
Sed ad faumilioi^s cogtationes redieainuB, et quod coepttun abeoiVa
mu8. Si enim quaidor pknetae Jovem circumcureitent diaparibas inter-
vallis et teinpriLtis: qtiaiitur cui bono, ei nnlli wnt in Jo t s g^lobo,
qui adtniraudln hanc varietatem notent oculis ? Nam qmd noe
in hac tei^a attitet, nescio quiboe ratiotiibne 'quia mihi persmdeat,
ut illoe HobB ptissimni'eenrire credam, qdi illoe nuncpiam nspi-
^inus; et expectandunii ut tuie Gliae otfuldHbu^ toaterBi
instructi illoe poito vulgo bserraturi eimue.
Qti loco opportune occmtendnm dco etam alii cuidam eoept-
cioni. runt enim^ qiibns vana videtuf^ astrologa nostra terrstrie,
eeii ut pbilsophice dicam, doctrma d aspctibus; cum numerum
^laiietarum aspectu* facientium ad hanc usque diem iraoraverinus.
Verum ii frstr sunt, astra emm in riod aguut iis moduHsj quibus eo->
rum mptus sese bis telti insiniiaiit. Per^spectus enim agunt; at aspe-
ctus afiectus e>: anguli in centro terrae vel oculi. Scilicet non ipsa
in tos gunt, sed aspectus eoruin fiunt objectum et stmulus facul-
iatum trrestrium ratione partcpantuiri citi' disciirsum^soloinstinctu.
Jam vero quatuor hi'^ ut ex tuie Galiiaee observatitiibue patet
et minimi sunt, et n^quam a Jove ultra 14 minuta digrediuntur,
ut tots estimi planetae orbis minor sit disco Sois vel L unae. Quare
ut dein ipeoy Hn impediente minuta quanti tate, concurrere per asp-
Ctus ad mVidas iacultates sublunares, non tamen aniplius c[tiid po-
tenintj) ^am ut t ipsi quatiior, et Jupiter centmm cuHicttidriax
eonim^ junctim aequent (nec id crebro) Solem, in diuturnitate non
nulla aspectus, ob diametri latitudiem.
Atque boc pacto manet astrologia suo loco, patetque simul qua-
ttir bos novoS non primario nobis in Tllare versantibus^ sed {ircul
diibi o Jovialibus creaturis, globuin Jovii circam bbit-nTtlpiB cona^
partos;
Id videntius patet ili, qui tecum Cailaee mecumqde topemicuni
squitur in Systemate mundano; videmus enim ih eo Lunairi, irum-
teristrm piahetam, sic comparatam, ut non pOssit videri aliis globis^
qam soli T elluri, quam cursibus suis ciririt, destinata. Ejus curti-
diametr babetur.pro vigesima pat diamtri orbis m a ^ Tel
lune circa Solem. Ego vix trigesimam existimo. Subftidit igitilt iti-
ns tribus, velj ut e^o^ minue duobus gradibus, ex Sole inspctus.
At cum S^uiTii altitudo sit decupla j Jovi quintupla circitr: e*
Saturno in'specta nostra Lttia ultra 16 vel ia minuta
poterit a Tellui discedere, Cx jov ad 56 vel Minuta, quo pacta
est eju ratio piane eadm Sattii^ t joTia incolis, quae plaaetaruni
il6
oircam-JoTaliam nobis terrestribas creaturs. Ne abludit ittagnitu
dinis ratio. Esto enim, u t parallaxia Solie sit 3 minuta^ etei multo
minorem esse putem. T erra i gitu r x Sole inspecta habebit 6 mi
n a t a , Luna sesqui. Imo Terra, multo minor, etiam L uae rlicpiet
minus, nerope non unum minutum. A t ij u e hoc ex Saturno inspectom
6 forte secunda videbitur, e x Jove l a seconda. Piane ij^tili* sic. est,
quod nobis est in T ellure nostra Luna, hoc non est globis caeteris,
e t ^ o d J o t snnt i ll ae quatuor Lnnulae, id non sunt nobis, e t v i -
cissim sing;ul8 planetarum globis eorumque incolis j sui senriunt oir*
cnlatores. E x qua consideratione de incolis Jovialibus summa proba-
H l i t a t e concludimus, qud quidem et Tychoni Brabo ex sola con-
sidei^tione Tastitatis illomm globorum aequ visum fuit.
deoque et hoc argutissime Wackherius jam menuit, etiam Jovem
circa suum volvi axem, ut nostram Tellurem, ut ad illam convolo-
tionem ^yratio illa quatuor Lunarum sequatUr, uti ad nostrae T ellu-
ris gyrationem nostrae Lunae conversio in eandem plagam sequitur;
adeoque nuilc demum se credere rationibus magneticis, quibus.ia
nupero meo phisicae. coelestis Commentario, volutione Bolis circa axem
et polos corporis', causas motuum planetariomm expedivi.
Nimirum ( ut tu Oalilaee pttlbre infere ) si Jovem cuniculo duode-
tiiia aniiotnm occupatum quatuor citculatored ante pone cingunt j
quid absurtji dixit Gopernicus, Telluri^ dum annuo motii redit, unam
Lunam eadem ratone adhaerescere ?
Quid igitur, inquies; si sunt in coelo globi eimiles nostrae Telluris;
nne igitur cum iliis in certajnen yenimus, utri mlioiem mundi pia
gam teneant ? Natn si nobilires illorum globij non sumus nos creatu-
rarum rationaiiim nobilissintae. Qiiomdo i^tof omnia propter homi*
nem? Quomodo nos domini operum DeiP
Diificil est nodum hnc expedif, eo qiiod nondttnl omnia, quae
iiic pertinent, explorata habmuSj ut temeritatis notam vix ePugituri
bimus, multa de ha quaestione disserenddi
Non retcebo tamen, quae mih philosophica videantnr argomenta
adduci posse; quibus obtineatur non tantra in' genere, ut supra, hoc
System planetariim ( in quorum uno nos honlines verSamur ) in prae
cipuo mundi sinu, circa cor. mundi, Solem nmpe, rei^ari, sed etiam
in specie nos homines in eo globo versar, qui creaturae-rationli
primaria, et ilbiUssimae (ex corporeis) piane debetur.
Priri iHrmati de intimo sinu mundi vide argumenta supra a mul-
titudine fitnim, qiiae pro' muro hunc sinum certo vallant; et a da'*
ritat iiostr Soi prae fixis. Qilibils adde hoc tertium, <^uod mihi
bisce diebus xprssit Wackberusj 'ilentioqtte consentire visus est.
Geometria una et aeterna est) in mente Dei refulgens; cujus con-
Sortium hominibus tributuni intr causas ' est cur homo sit imago
Dei. In geometria vero figurafum a gl(^0 perfectissimum est genus,
corpora quinque Euclidea. Ad horum vero nonnam et archetypum
117
distributus est hic tioeter mundus planetanns. Da igitur, infinita
esse mundos alios ; i aat diesimiles erunt hujas nostri aut ei-
railes, Similee non dixere.' Nam cui bone infiniti si unns qnis>
que in se perfectionem habet? liud enim est d creatniis gene-
rationis euccessione perennibus. Et Brunus ipse defensor infinitatis
ceneet differre oportere singulos a reliquie totidem motum geheribus.
Si motibus; ergo et interrallis, qnae pariunt motuum periodos. Si
intervallis, ergo et figurarum ordine, genere, perfectione, ex quibus
intervalla desumpta. Adeoque si mundos inricem similes statueres per
omnia, creaturas- etiam fecers similes, et totidem Galilaeos, nova ei-
dera in novis mundis observantes, quot mundos. Id antem cui bone?
Quin potine cavemu uno verbo, ne progressus fiat in infinitom, qnod
recijpiunt philosopbi; cum assentiatur progressus versus minora fini
tile, cur non et versus majora? Esto enim spbaera fixarum; hujus pars
forte ter millesima Saturai sphera, hujus item decima pars Telluris
sphera, Telluris porro tercenties millesima diametri homo, hominis
tantula pars cuniculus subcutaneue. Hic sistimus, nec progreditur natura
ad minora. -Pergamus igitur ad alterum membrum dilemmatu: sint
illi infiniti mundi dissimiles nostri; aliis igitur quam perfeotis quinque
figuris erunt exomati, ignobiliores igitur noe nostro; unde conficitur,
ut noster hic mundus sit illorum omniiun, si plures essent, praestan-
tissimus.
Dicamus jam etiam hoc, cur Tellus globo Jovio praestet: dignior-
que it dominantis creaturae sedes.
Sol quidem in centro mundi est, coir mundi est, fons lucis est,
ione calorie, origo vitae motusqne mundani est. At videtur honM> ae
quo animo ilio trono regio abetinere debere. Goelum coeli Domino
SoU juetitiae, terram autem ddit filiis hominum. Nam etsi Dea*
corpus non hdbet nec habitaculo indiget, in Sole tamen ( ut passim
per scripturam in coelp ) plus exerit virtutie, qua mundus gubema-
tur, quam in globis caeterie. Agnoscat igitur homo ipsius etiam ha-
bitacnli sui distinctione suam indigentiam, Dei abundantiam. ^ n o -
scat se non esse fontem et originem ornatus mundanr, eed a fonte
et ab origine vera dependere. Adde et hoc, qnod in opticis dixi:
contemplationie causa, ad quam homo factus, oculisque omatus et
instructue est, non potuisse* hominem in centro quiescere; sed roortere,
ut navigio hoc Telluris, annuo motu, circumspacetur, luetran cauea;
non secus atque meneores rerum inacceseamm, stationem statione per-
mutant ut triangulo meneorio justam basim ex gtationum intervallie
concilient.
Poet Solem autem, non eet nobilior globue, aptiorque homini quam
T eline. Nam is primnm numero medius est ex globie primariis (circu*
latoribus hic , et Lunae globo circumterrestri seposito, ut par est)
habet enim eupra, Martem, Jovem, Satumum, infra complexum sui
circuitus, currentes Venerem,.Mercurinm, et tornatum in medio So*
i i 8
lem, cursuum omnium in?tatrem, vere Apollinem, qua voce Brunas
crebro utitur.
Deinde cum (piinque. corpora abeant in duas clases, trium pri-
marimm, Cubi, T etraedri, Dodecaedri, duorum secundariorum Ico
saedri et Octaedri, Tellntie circitue eie inter utrtlmque ordinem-,
veliiti maceries, intrcedit, ut superius Dodecaedri centra planorum
duodecim, inferius respondentis Icosaedri an^los duodcim stringata
quo vel solo situ inter figuras, prae caeteris orbibue, jiotabilis est
orbis T lluris.
T ertio no* in Tellure Mercurium, planetarum primariomm ultimnm,
t x visu apprebendimus, propter propinquam et nimiam Solis clari-
tatem. Quanto minus in Jove vel Saturno, Mercurius conepicuue erit?
Summo itaque consilio bic globus homini videtur attributus, ut omnes
{
>lanetae contemplari posset. Adeoque quis negabit, in compensationem
atentium apud Joviales planetarum eorum, qaos noe Terricolae ,vi-
demus, attnbutos esse Jori qnatuor alios, ad numerum quatuor in-
feriorum, Martis, Tellurie^ Veneris, Mercurii Solem ambientium intra
Jovie ambitvrn ?
Habeant i^tur creaturae Joviae quo se oblectent; eipt illie etiam,
placet, quatuor sui planetae dispositi ad normam classis trium
rhomboicomm coiyorum, quorum unum (quasi rbombicam) Gubus ipse
est, secundam Cubooctaedricam , tertium Icosidodecaedricum, sex,
duodcim, triginta planorum quadrilaterorum ; babeant inquam illi
sua; noe' homines Terricolae non utique frustra (me doctore) de prae-
tantistima nostromm corporum habitatione gloriari possumus, Deo-
que conditori grates debemus.
Haec super novis dubitationibus, quas tids Galilaee e;cprimentie
extasti, philosopbice teciun dieserere mihi placuit.
Sed cum eaepius jam structuram mundi, per qunquc regularia cor
pora, ex meo mysterio cosmograpbico adduxerim, tnbus verbi obje-
ctionem initio epistolae tactam penitus eliminabo.
Cum quatuor ni planetae angustissimis meatibus Jovem ipsum cir-
cumambulent; nejno metuat, turbatum iis iii rationem meam inter>
poeitionis figuraruin Pytbagorae nter planetae. Quin potius spero bos
cwculatores Jovios, et -si quoe babent alii etiam planetae, tandem
omnem qua restat discrepantiam sublaturos. Rationem enim a Deo
etiam borum circulatonrm babitam in figurarum interpositione, cir-
cnlator Trrae^ L una scilice^ arguit, cujus cirenitm circa T erram
n e g l ^ r e non potui, cum illud negocium serio tractarem.
Atleoque etiamnum in restitutio'ne orbium et motuum Martie, Ve-
ne.ris, ex observationbus Brabei, deprebendo biare plusculum nter
etitia, ut Dodecaedri angulis a Peribelio Martis extensie, non aese-
quantur centra planorum, Lunam in Apogaeo suo et Apkelio T ellu-
lifl consttutam; ncque centra Icosaedri Aphelio Venerie accomodata
119
lao ^ .
porrigant angulos Icosaedri ueque ad Lunam in Apogeo suo et Peribelio
T elluris constitutam, quod argumento est, speresse aliquid loci inter
Perihelium Martis e f angulos Dodecaedri; sic inter centra Icosaedri
et Aphelium Venerie; et quod miraculo esse possit, paulo plue illic,
quam hic: quibm ego spacioiis spero me Lunas ciccum-Martiales et
oircum-Venerias, si quas Galilaee olim depreheneurus es, fucillme
locaturum.
Tecum Galilaee incepi, tecum finem faciam. Mirane non frustra,
cur tanto discrimine magnitudinis Medicea Sidera soas mutent facies.
Causae, quas cmminisci quis posset, tres rejicis argute t mathema-
tice. Ponis unam Physicam ut possibilem, de qua tempus docebt.
Occurrit vero mihi ista; i quatnor hi planetae disci forma plano ad
Jovem converso circumeant, ut ad excursus maximos nobis et $oIi
objiciantur ut lineae, supra et ' infra irradientur perpendiculariter,
vidanturque magni, et forte diversicolores sint, pr diversitate pla-
nitierum. Sufficiat monuisse.
Quod superest, vehementer abs te peto, Galilaee celeberrime, ut
in observando strenue pergas, quaeque osservando fiieris aseecutus,
nobis primo quoque tempore, communices; denique prolixitatem hanc
meam, dicenmque de natura libertatein boni coneuas. Vale. Pragae
19 Aprilis 1610.
A R T I C O L O I I I .
Estrntto delV opere pubblicate, dal l Hor ky e dal Sixio
contro i l Nunzio Sidereo.
JV^Ientre lo scopritore delle celesti novit era faTorito premiato da Cosimo n, men
tre il Keplero ne accoglieva con approvazione gii avvici: due presuntuosi Scrittori,
Horky e Sisio si avanzarono a combatterlo, ed il presente articolo conterr nna bre
ve idea delle loro opposizioni.
Martino Hor ky a Gio. Keplero. (K epl er , Epist. fol . Lips. 8.^
Bologna 7 Aprile 1610.
Concredam tibi furtum quod feci: Galileus Galileus MMhematicue
Pataviensis venit ad noe Bo'noniam, et perspicillum llud, per quod
quatuor fictos Planetas vidit, attulit. Ego a4et aS Aprilis die et
nocte numquam dormivi, sed instrumentum hoc Galilei millies mille
modis probavi, tam in bis inferioribus quam in superioribus. In infe-
rioribus facit mirabilia, in coelo fallit, quia aliae stellae fixae dupli*
catae videntur. Sic bservavi nocte equente cum Galilei perspicillo
. .
etllulam, quae super medam tiium in oauda Ursae majorle vUitur}
et aeque (juatuor minutMimae stellulas vicina vidi, uti Galleus in
Jove observaTit, Habeo teste excellentissinio viroa, AQ,toiiium Roffeni
in Bononienai Aoademia Mathematicnm eruditiseimam, aliosc^e pi,
rimos, (jui una mecum Praeeepe in coelo eadem nocte aS ^riUe prae*.
sente ipso Galileo observarant; sed omnes instrumentum iallere sunt
confessi. At Qalileus obmutuit, et die a6 tristis ab illustriss. Ma-
gino discessit summo mane, et pr beneficiis, comtationibus infinitis
quia fabulun vendidit repletus, ^ t i a s non et. Maginus honqr
ratnm convivium et lautum et delicatum Galileo paravit. Sic miser
Galileus Bononia cum suo perepicillo die disces^t. ^ , quamdiu
Bononiae fuerat, numquam dormivi, sed instrumentum hoc semp^
infinitis^ modis probavi.... Perspicillum illud in cera exculpsi, nemi-
ne conscio, reversusq^e domum Dei {avente ^atia, praestantns per^
picillum construam ipso Galilei perepicillq.
H o r k y , v o l e n d o pr ova r e c h e il c a n o o c c h i a f e inganqa, riiri|icto l OBsenri^EQne delle
minori t el l e, c h e tnedeuino ai veggoao in Tcinanza dello maggiori, e che aen-
ca eiM rim<ingono invisibili ad occhio nndo. Ma questa oseervasioae lungi dall' es
tere una illusione ottica, A qna verit, ed qna delle tooperte del GaUleo sul cielo.
Martino Horky a. Gio. Keplero. (Kepleri Epist fai. Idps. 1718.^
Bologna Maggio i8to.
Sorpii durissime contra Nuncium Syderenm, illa omnia Nunci)
buius Pater, me inscio, Bononia abstulit. Quia autem multos amico
bio babet, muto animum, et secundnm diseertationem tuam doctissi-
mm. formam aliam sequar, et quamprimum illa, quae contra Nunciun)
typis dare voluero, descripsero, primo tibi ad revidendum mittam.
Scio deceptio nude veniat, banc tu vir doctissime in dissertatione
in ultimo arj^mento p. 34 invenisti. Ej^Q contra, cum ejusdem Ga
lilei perspicillo in coelo errorem invem et probavi. Haec tibi cou-
<do, extra limen nibil. Video omnes Italos Galileo faverei video
illa quae contra scribo, Maginum ut typis prodeant impedire; lupus
lupum non mordet, neqne canis canem allatrat. At Italo iUi Patavino
quatnor uvos Pianeta# in Nuncio suo, vel cum capitis mei pericnlo,
non cedam. Illud enim perspicillum quod fabricavit, et in superiori:
bus et in inferioribus ult. Hic lunien quadruplicatum nocte mon-
etrre ^ssnin. go cum Galileo ipso, in domo nobilis viri Massimiani
Caurarae, spicam V i r ^ i s mediante bpc perspicillo dupUcatam die
s 5 Aprilis nocte sequente Bononiae coiupezi.
n So Giugno seguente Horky mand al Kepleio la sua contro il
O^lileo, come segue . ( / i i i . )
P. I. 16
I l
Mar ti ni Hor ky a liochwnc, brenssima peregrinano contra Nuncium
Sidereum nUper ad omnes Philosophos et Mathemati cos emissum a
Gali laeo Gali laeo Patr i ti o Fiorentino, Academiae Pataviensis Mathe-
matico puhlico.
Ohseqmum amicos, mritas odium parit.
[ Excusum Jdutnat 1610. ( L approvazione per la tampa del 18 Giugno (610.)
Excellentiseimie, humaniesimsque doctoribus philosophiae ac Me-
dcinae in celeberrima Academia Bononiensi S. P. D. = Germaniam
incolui. Gallorum urbes vidi> Italiam philosopfaiae ac medicinae amo
re exul adii: terrstri peregrinationi sat factum. Coelestem circa Jovie
stellam caeterarum nobilissimam Nunoiue Sidereue magna miraque
epectacula omnibus mortalibus pandene me aggredi jussit; etc.
Christophorus Horky L ochovicenus peregrinatori propempticon fra*
temitatis ergo cecinit.
Ito cito, et quam fere, placide impertire salutem;
Mellea verba -feras, ferrea verba feras.
I tamen et parvi facias baec garrula flagra,
Palladi si placeas, quid tibi plura petas? etc.
Nel preambolo dice, che Keplero rivendicato a Porta il Cannoccliiale , a se le
macchie della Luna, agli antichi le stelle della via lattea: restano dunque a Galileo
i soli quattro nuovi Pianeti, e Horky i propone di levarglieli.....
"Ego, fremat Orbi et Orcus, quatuor problemata brevissima contra
Nuncium Sydereum propono dijudicauda omnibus mortalibus. i. utnim
x{uatuor novi planetae circa Jovem sint. a. quid sint. 3. qaales sint.
Ultimum CUT ipt,
Primum Problema.
..... Te Galihtee Deus ipse cum tuo perspicillo mibi dedit.... omnia
illa arcana coelestia te ipso monstrante dioici. Quaerit ne Nuncius
quid didici? eloquar an sileamP Veritati suus locus tribuatur necee-
se est: didici novos quatuor planetas'circa Jovem non esse... Quod. i n
coelo non eint cum ipsius autboris proprio perspicillo vidi, probavi
expertus Bum.... Audiat Galilaeus juvenem doctissimum Franciaonna
Sitium, audiat ^mice omnes alios viro doctos.....
Nessuno veduto i nuovi Pianeti. Ticone, che veduto tante minute stelle,
non dovea essere senza cannocchiale, non gli veduti.... Se tali pianeti vi /bsaero
cadrebbono tutte le teorie astrologiche....Se v* chi sappia quadrare il circolo
far la pietra filosofale, duplicare il cubo, anche il Nuncio Sidereo potrA difendere
j suoi nuovi pianeti intorno a Giove.
Alterum Problema.
..... Quomodo tota ballucinatio in hoc toto tuo novo invento, Ga-
lilaee, veniat, inveni, Illam scio ver et cert; quemadmodum scio
l a l
Deum eese trinum et unum, in coelo, animam meam esser in meo
corpore, ita etiam scio quod tota illa deceptio veniat per reflexionem.
Eatenus enim quatenus reot perspicillum ad corpus Jovis dirigisi
projectio illa radiorum, quae venit a Jore concentrata peipendictlla-
riter et per lineam parallelam apparens, supra et infra irradiatur, et
sic necessario necessitate fattjus perspicilli omnes hatce ({uatuor ma-
culas minutissimas conspiciendas exmbet. Sed cum Jupiter radios auos
perfect non potest egerere, tunc nil novi, Galilaee, nobis adfert; o-
litariam tum demum yitam agit. Sin -radiorum projectio confortari
incipit , incipiunt et ipsi crescere: unde aut duo^ aut tres, aut
oranes quatuor apparent. Sed cum prspicillum lent a corpore Jovis
amovens, centrum hoc, ubi novos planetas videbam, quaesivi, tum
etatim mihi surrexit Jupiter, et non erat hic novus pianeta: Unicus
eniih Jupiter reetabat, reliqui autem quatuor famuli Joviales ultra
polos avolanint. Hanc meam opinionem et veram contra novos hoe
planetas ocularem demonstrationem, quam per quatuor annos lunares
didici et cum proprio Galilaei perepicillo vidi, confirmat diseertato
cum Nuncio Sidereo Joannis Kepleri Sacrae Gesareae Majestatis Ma-
th ematici praestantissimi pag, 34 ubi sic ait: Occurrit ver mi hi ista;
si quatuor hi planetae disci for ma plano ad J ovem converso circum-
eant ut ad excursus maximos nobis et Soli objiciantur, supra et infra,
irradientur, videanturque Tnagm^et fr te diversicolores sint pr diversita-
te planitierum. Hic Galilaeus obiectionem et ipsum .Jovem intueatur,
examinet ad unguem Lunam videbit in fine quod cantio t hujue
toni, pr ut D. Keplerus dixit.
Fit eodem modo in Sole cum pareli! apparent: sic simili ter acciilit
in Luna cum Paraselenae conspiciuntur. Unde-historici nobis Uteri
proditum rejiquere saepe visos fuisse sex aut plures interdum Soles;
quatuor aut mures apparuisse Lunas. Cum tamen certum s it, quod
unicus sit eolummodo Sol, unica Luna, unicus tantum Jupiter, qui
per concursum radiorum visus sensum fallit. Sed Nuncius Sidereus
mcat contra: Si istae maculae essent ex concursione radiorum a Jove
projectorum, idem faceret perspicillum in aliis: at consequens est. fal-
sum: ergo et antecedens. Hic discat Nuncius Sidereus, et anteceden
et consequens esse verissimum. Quia scio hoc quomodo fallat, et pos-
sum hoc lAonstrare, quod in suo hoc perspicilli crystallo superiori una
candela accensa possit similiter multiplex conspici, quemadmodum
nperius videntur novi circa Jovem planetae. F acit haec magna ini-
raque spectacula tuum perspicillum in bis inferioribus ? Quid circa
coelestia sydra efficit? Anne herbam mihi.porriges si steUas dupli-
catas tibi ostendam? Vidimiis eadem nocte in domo illustrissimi do
mini Maximiliani Caurarae, in praesentia multorum noblissimorum. rum
tuo proprio perspicillo, spicam Virginis duplicatam : duplicatio hujue
Btellae tibi Galilaee D. Doctore Antonio Roffeni est primo nionstrata:
Tu viceversa te videre duplicatam negabas, quia errata confiteri est
ree Adamante duror. itane dapicatioiiem T d i et era. Sed non Plato
hio quiesct et Tnanum de perspicillo amovendam jnbet; aitine coelom
quam tu Galilae, volasti, ascendi. Observavi illa nocte inter caetera
etellulam qnae super mediam trinm i cauda Drsde majoris- visitur,
( Equitatorem eeu urinm dicnnt amoolae ) qaasi qui super medio
equo semper sedeat ^ Videbatur mini iWa haec stellula illa nocto
similes stellulas erraticas vicinas repraesentare quales fecit Jupiter.
Hic (si placet) Mathematici habebunt novos nrsales planetas. Cui
illos Tolnmus vendere? Ego illos omneSj cum auriga et equitatore,
Calilaeo in novum annum instantem dono, quia milii ansam illos
quaerendi cum suo perspicillo praebuit. Sed spero brevi venturam
aquilam (si artem volndi didicerit) quae Tbeolo^cis, PhiloMphiciSf
Mathematicis, Opticisque ratinibus et demonstrationibus meam banc
ooularem demonetrationem confirmabit^ et si iosa noi! veniet> faciet
d pulcbrrime mene Secretarius de madonna Luna; Capitaneus Viae
Lactaee; Dapifer Orionis; Oculatus testis quatnor novorum planetarum.
Ubi o i ^ a quae bic a me sunt dieta et per quatqor annos lanaree
in eol obsrvata i^tionibns certissimis (andita prius Nnncii contra
peregrinationem meam responsione) omnium bominnm censurae mu
nita subjiciam,- exemplis et testimoniis vivis Calilaeo ostendam. Pe-
regrinatus enim sum cum boc Nuncio Sidereo non tantum per Bo
noniam, sed etiam foris pemoctavimus, Galilaee, Ferrariae, ubi Mer
curio eramus amiciores miam Minervae. Ubique male audiebat Nonclne
Sidereus. Rect ergo Nnneium nominasti, quia Nnnou plenunque,
fabulas vendunt. Et sio conveniunt rebus nomina saepe soie... etct
Tutto n rimanente dcjlo etesso calibro. Nel terso problema dice che i nnon
Pianeti tono come una mosca minutiteima contro un groiM elefante; e e ride, che
il Galileo voglia miiurarne le distanze da Giove in gr<id e minutf. E finalmente
in risposta al quarto problema conchinde che i quattro finti Pianeti ninn uso aver
possono nelle matematiche discipline^ ma servono al Galileo ad auri f a n m , ed e
s per U discassione.
Di amoi Astronofnic, Opti ca, Physica^ qUa Syderei T^untii rumor
de quatnor Planet s a Gali ldeo GalUaeo Mathematico celeberrimo re-
cens perspicilU cujusdam ope conspectis vanus redditur. iiCtore ran^
cisco Sitio Fiorentino. ^4* Venet. 1611; di p. 76.y
IMica il libro a D. Giovanni de*Medici ( nemico del Galileo ) li 7 d* Agosto 1610.
Nella prefazione parla dell arrivo del Galileo a Finente per mostrarvi i nuovi fe
cielo, che l Autote pur vide, e della dissertuione del Keplero oscita
eoi Nnnso Sidereo^ indi prosiegne.
De bis novis paradoxis cum Martloii Horky a Locbovic doctisaimi
et exoellentisfimi Mathematici lAa^pni draestioo por Utert agre
iiS
Cepi, et dabitations circa iaiio pinioneitl exeurgentem aiiiiov
conferre et Beiltentias nostras circa hanc opimonem mutuo aperire.
Hinc ille peregrinationem contra Sydereum Nuntium scripturae ety-
lum haud reserans commemoravit, ego uti illi par referrem hanc
tneam Stavout* manifestaTi; ille ut in lucem ad communem literatorum
ntilitatem emitterem, negane se euam peregrinationem in lucem ernie
euram, quia Maginus inhibuerat, adhortabatur. Ego vero multas et
praecipuae causae etiam meam lucem spectare cohibeqtes af-
lerens typie me illam conceseurum negavi..Cium de bac re literia inter
noe ageretur, ille caueae inanes reddere insudabat^ suadendo ut libel-
lum bone typie committere vellem^ ego ilUe exploeie majoree diMcuU
tatee excitabam, ut-ex.bie ibrum praelo consignare me non posse
pateret: attamen quaedam ralionee noetri partus bie literi insereba-
irtue. Martinus, ut reor, epe depoeita Matinam proficiecititr, opuscu-
lum euurti' plenum (Hcteriie et calumniis me inscio eKcndit', inque suum
librum nomen meum testimonii canea, ut et plurtlm doctiseimorum
virorum refert. Aegro d ferene animo ad eum rescribo, ut meum no
men e libro abradat, quasi iuturomm praeeagus. At ille a Magino
hanc ob caueam domo sua expaleus, Bononia migrane buie negotio
remedinm aliquod non attulitj mumqne nomen ut et cateiOrum
doctissimomm virorum excusum remansit. Qui liber ctim ad Qalilaei
.manus pervenisset, isque plurimae literas iritr me et ipsum Marti-
num conscriptas fuisse reeciviwt, animo male aiTectue, me illum dict-
riie et calumniie .proscidisse, literie ad. coneanguineum ecriptis, hoc
indicio levi adductus, quod liber laudati Martini dieteriia equallebat,
quasi ego bujue rei coneciue extitieeemy meoque inetinctu, meque
anctore talia cenecripeieeet, conqueetue est. Hae literae um mihi oeten-
sae fiiseent, justo dolore percitne fii, et me falsis caueie ineimolar
et redargui aeg^re tuli; unde omnee tam meas q^ain Martini literas
exhibui, ex quibue coasanguineue meus agnovit Galilaeum, causa in-
dicta, eie ialeo me bujue crimini ineimulasse; qua de causa animum
tane ad publici juris hunc libellum^ rudem informemque partum, fa-
cieudum appuli, nt Galilaeo apertine cnjus toni.metbodique sint mea
cripta innotescret, et quibus de Causis ad ecribendum contra euum
Sideteum Nuncium permotus fuerim, et quaM a caluiAniis et dicte-
rie conscribendis, cum de rebus eeriis agitar animue meus alienua
exletat.
Esttatto del Libro di Sizio.
Par te Prinia.
I . Tutti ^li Astronomi hanno eempre rconotciuto Pianeti e non pi.
a. Oio. Pico nelI Heptaplo prova che la S. Scrittura riconosce esser v i i i Pianeti.
1 Rabbini sostengono lo stesso, e ne recane in prova il Candeliere con se(te lampa
de nell Esodo.
3. Il nnmer o perfetto) oi ide i p^t o umano i n eatte mesi ri esca compl eto, t
U' eetti ai ana 4 sette gi orni .
4. Le qualit fiaich de Corpi eon 4 =Fredda d Satarne, Seaoa da Marte, Ceda
da Giove, Umida da Venere; gli altri tre temperano econdo gli petti. Onde
undici Pianeti sarebbero inutili.
5. Si rovegcerebbono tutte le teorie astrologiche delle Gaie de Pianeti, del loro
colore ec.
6. Tairti eono i Pianeti, quanti metalli. Dunque non pi di v i i .
Par te Seconda.
Gli Tvrsarii oi>pongono. ^ Si vede or un atellite solo, or due, or tra.
Risposta. Si, ma con vieione rifratta, che talvolta moltiplica gli oggetti, come fa
anche il dito premendo un occhio. Quindi i molti Parelii ec.
. Si veggono i satelliti or da una banda di Giove, or dall altra.
Risposta. Gos) Iride apparisce or mattutina, or vespertina; cos gli Aloni, i
Pareli! or sono da una banda, or dall altra del Sole; eppure ivi la rifracione ai fa
nell aria eempLic: molto pi dunque ci avverr nella rifraxione in pi vetri. Coti
un globo vitreo pieno d acqua ed altri pezzi di vetro fanno comparire Aloni, Iridi,
Verghe intorno alle stelle.
3. Perch i satelliti appaiono intorno a Giove solo?
Risposta. Perch il cannocchiale proporzionato a produrre tali apparenze nella
distanza di Giove, e non in altra distanza
4- La nostra scienza nasce dai sensi, onde se i satelliti si vedono, vi M>no.
Risposta. 11 senso c inganna speaso, nella grandezza dei corpi celesti, nella loro
distanza, nel loro moto ec. Il cannocchiale neppure in terra mostra le cose vicina
troppo. Anche in terra gli istramenti ottici spesso ci mostrano .duplicati gli oggetti,
la nostra immagine pendala in aria.
Par i e Perz.
t Dal Nunzio tesso risultano Bioti affatto irregolari ni satelliti.
a. I satelliti non avrebbero inflnsM in terra, nan vedendosi ad occhio nnde On
de sarebbero inutili, e non esistono; ipperciocch influsao non ai fa che
per mezzo della luce visibile.
3 . 8e fossero i satelliti reali, bisognerebbe per le varie viste aver vani cannoc
chiali; lo che non accadde.
4 Se i satelliti vi fossero, qualcuno degli antichi n avrebbe parlato. Tanto pi
che al riferire di Porta, nel Faro d AIesaandria Tolommeo area costrutto un ean
nocchiale da vedere a 5oo stadii lontano le navi. E Leon x dicono che da Firenxe
con un OMhiale distingueva gli uccelli volanti a Fiesole. Gli antichi no sapevaa
pi di noi; e nit dictum quod non dietim prius.
5. Ponendo l occhio ora nel centro del cannocchiale, ora ai lati, debbono le
apparenze variare, e noi non ci accorgiamo del cambiamento di luogo nell occhio.*
' Recordare Calilaee, illa nocte, in qua cum plurimis alii te
cum Jovem contemplatus sum , ut ipsemet priori obeervtione unam
8olam Jots imaginem conepexisti, cum vere aliquie illustrinm yiromm
adetantium, qui post tuam prmam obserTationem Jovem inep^t, duw
videro fassus est; tu iteratis bservationibs duas etiam Jovie imap-
f
'jies conepexisti, quod pluribus adstantibus viris illa noct contigit.
go vero nunquam Jovis imaginem nisi simplicem intuitus sum; eed
non semper eodem ai tu et forma: v^ quia specillum meie oculis non
erat idoneum; vel forte, ne deciperer, prope concentneam qaoad ejo
ia6
fieri potot aculum applicare euravi ; eed, ut ingenue fktear, oum
imaginem illam nepiciebam, Jovem non Tdebam- nsi oculum conveiv
tiesem, quae rea ansam dubitandi nuhi praebuit.
La vieione diretta erra nella luce, nel colore, nell anticipata nozione ec. La ri-
fleua aggiunge altri errori. E la rifratta molti pi ancora. Maseime in tanta distanza
in cui Giove; in notte umida con pochissima luce; in tanta variet di superficie
refringenti. Dunque non vi si pu sopra far fondamento.
Ex 'tjuibus cum omnes qualitates in faac visione deficiant <pias ad
periectam visionem cncurrere oportet, et ampline aliae hallucina-
tionum causae in refractione accidentes i hoc pefspicillum concur-
rant; visas stellas seu erronee vere erroneoe esse meras et certa hal-
lucinationes, et solummodo Jovis ipsiusmet imagines duplatas triplatae
et qadruplata8, prout media dispoeita reperiuntur ad eas repraesen-
taiulas, asseverare non dubito.
147
A R T I C 0 L O I V.
Risposte al l Horky. I l Keplero conferma le scoperte del Galileo,
e tr atta V Horhy secondo i l suo merito.
I l Galileo, seguendo anche il consiglio del Keplero, dal ^ a l e fii disapprovata 1-
tamente la condotu dell Horky, noa si cur di rispondere a simili scioccherie;
nu t itt hi rispose.
Epistola apologetica cantra caecam peregrinationem cujusdam fuf-
riosi Marti ni cognomine Hrkii editam adversus Nuntium Sidereum
etc. fBononiae apud Haer. J o. Rossi. i 6 i i di pag. 5i.y
L Horky avea citato, nel suo libro contro il Galileo, Gian Antonio Roffeni
Astrologo Bologniese, discepolo del Magini. Egli, aflne di purgarsi col Galileo stesso,
gli diresse nell Agosto i 6io la lettera sopracitata, parte della quale come segue.
Perillustri atque excellentissimo Galilaeo Galilaeo nunc Magni Ducis
Matbematico.
Quam antea videram oppugnationem. Nuncii Siderei manuscriptam^
eam mihi quarto KaL Augusti ostendit excellentiss. Papazonius noster
a Martino Horkio impressam: Martinum autem non ita consilii exper-
tem arbitrabar, ut am ederet censuram; quam quemadmodum propter
puerilem doctrinam quilibet mediocriter rerum mathemticarum peri-
tus nullo refutaret negocioj ita ipse propter maledicta, si excellenr
tissimo Magino et mihi paruieset, perpetuis tenebrie damnare debebat:
et Maginue quidem non solum disertie verbis dissnasit ne ederet, sed
etiam aegre tulit homines euspicari poese, cum invido hoc partu nato
domi soae obetetricie munere se se esse perfunctum; et furioso tan
dem critico edixit se illum vel sub praelo perempturuwi: verum qua*
ftipgiiLi. alios ab incepto reTocassent, M siinul onncta ne mutatimi
quidem Martini impetnm retardare potnenuit. Mutinam igitur, ubi
impressionem meditabatat, ee animi gratia ittirum simulati Magnoe
etatim ut factus eet a quodam Mutinenei patricio hac de re certiorf
hominem ab ee dimittit, tamquam ejue craem paulo ante Florentia
rdeuntem hospicio exceperat, amici promtorem: et satius profectQ
iiieset Martino apud hominem humaniesimum in studia medicinae
incumbere^ donec ei laurea decreta fuisset, quam ^in ejue, qui tot
annos Patavinae cademiae dignitatem etiam curo incremento susti-
nuit, tam acerbe invehi existiniationem.
Prosegue indi a rilevare la temerli, l ignoranza, la mald fede dell Horky,
conchiude.
Satius igitur fuisset hu|c homini, aut tacere, aut ad diluendam
hanc novam sententiam non fictitia, sed vera et solida afferre fun>
damenta. Verum mi Galilaee, ne tibi longiori epstola taedium afferam,
pluribus supersedebo. Reliquum est, ut quando nobiles ^ t n t u do-
c t i ^ e vili saepe me conveniunt, ut de hoc noVo astrologiae invento
coUoquantur, in lucem cpiam primum edas reperti a te organi theo*
ricam, ut te ab adversanorum calumniis vindicare posslm,
Quatuor problematum} quete Martinus Hor ky contra Nuntium Sjr~
dereum de quatuor planetis novis proposmt; confutatio per J o. Vod-
derhomium Scotfibritannum. (Patavi i ex Typogr. Petr i MarmeUi 1610
in 4di carte 16.)
La dedica al Weiton Ministro Britannico a Yenesia del 6 Ottdre 1610.
rigendo il diecorto all Horky, dimoatra che questi mutilato, traarisato, mal com
preso i pani della lettera del Keplero da lui riportati. Nega che Ticono avetie
cannocchiale. Gonfeua che da principio e^li pure mosfe difficolti al signor Donate
Morosini intorno al Nunzio Sidereo^ nifi pochi giorni dopo, considerata meglio la
cosa, diresse lo scioglimento di tali difficolt al signor Wotton, aggiungendov i uoa
sua disputa contro coloro che d una maniera afiTittO inetta insoi^gerano contro le
osservazioni del Galileo, soprattutto intorno alla Luna.....
Scit gymnasium Patavinum, sciunt Bibliopolarum officinae, quam
acnter inter nos condiscipulos dissertatum fuit; ubi non solum con-
centrationes, reflexiones, et alia plura in mediuni adduximus, verum.
etiam expermenta plurima et rationes varias ex refi^ctionibus.........
adeo ut nihil tibi relictum iiierit, praeterquam calumniari et diserte
loqui. , '
Nella risposta al primo Problema dell Horky riferisce ( Wodderbomio scrveva
nel 1610) che il Galileo sin da quel tempo faceva uso del suo istnunento p e r
osservare da vicino le cose minutissime
Audiveram paucb ante diebus authorem ipsum excellentiseimo D .
Gr^oninp Purpurato philosefho varia narrantem ecitu dignisaima,
et inter caetera quomodo ille rainiinorum animuitiam organa nMtas
et.fensus ex perspioillo ad unguem distinguati in particolari autem
de quodam inseoto qaed-ntramqne habet cultun membraan *
cula ve9ttum, quae tamen septem foraminUjae^ ad instar larvae fer-
reae militis cataphract, terebrata viam praeb^t speciebus visibiliam
En tibi noTum argumentum, quod perspicillmn per concentraiionem
radiomm multiplicet obiectum (a) : sed aud prus quid tibi dicturus
sum: in caeteris anmalbue ejuddem magnitudinis vel minoiie, quo
rum etiam aliqua splenddiores babent oculos, gemini tantum apparent
cum 8U8 superciliis, aliisque partibus annexis.
Al quarto Problema doll Hon(y, nel quale questi domanda a che 'tervano nel-
rastrologia i Pianeti? 11 Wodderborpio risponde, che erropo a tormentare
confondere Horky, e tutti gli astrologi auperetiziosi.
1^9
Hasdalie al Galileo (Tar gi oni Scienze Fisiche Voi, a./
Praga la Ltiglio |6i ,
..... Che <piello, che }e ho scritto del Magino e suoi segnaci, eia
vero, lo tomo a confermare, n occorre dubitarne un pelo, e m ob
bligo sempre di verificarlo con le loro medesime lettere, Et aveano
fatto una fi lon e si gagliarda, prima che partisse il Zugmesser per
Vienna con il suo padrone, cbe avevano iniettata tutta la corte; ma
per grazia del Signore Iddio, e merc della verit sono restati chia
riti, almeno si Tanno chiarendo poco a poco. povero Keplero non
e
>teva pi resistere a queste opposizioni che le Tenivano fatte con
ttere di Bologna, con le quali pretendevano che V. S. fosse partita
di Bologna confusa e scontenta, cantando il trionfo costoro, co
me se appoggiati in una sentenza del^nitTa dell'Universit di Bolo
gna. S. M. Cesarea stato cagione, che il progresso fatto d^li Av-
yersarii sia andato calando, perch S. M. si chiatna contentissima e
soddisfattissima, Cpine torna il Zugmesser da Vienna, non inancher
d'ingegparmi d farlo capace, con mello eh*ella mi scritto, della
contesa con il Capra. Tomo a 3 M. Due o tre settimane fa il signor
Ammorale T as ricev da Venezia dal signor Ferdinando suo Parente
nn paro d occhiali, de*quali S. M. disse che restava soddisfattissima,
come ho detto di sopra. Ora jeri il medesimo Taxis n*eU>e un.altro-
per ordinario, insieme con lo strumento fatto dall stesso Maestro
che serve a V. S. Questo fu portato jeri a S. M. a) tardi... noi
Bo ancora come sia riuscito..,
(e) Borky pretendeva che il rannoechiale noltpUoaMe gli per una certa
da lai sognata concentrazione di raggi.
P. I. *7
Oioifanni Keplero al Gali leo (K epler i Epi st. fol . Lips,
Praga ai primi d Agosto 1610.
ccep sb illustriseimo Hetruriae Ducis Oratore continuationem
luarum observatonum circa Medicaea Sydera, Magno me desiderio
incendist -videndi tuum instrumentum, ut tandem et iisdem tecum
potiar coelestihus spectaculis. Nam quae hic habemus ocularia, quae
optima, decnplant diametrum, caetera vix triplicant. Ad vigecuplum
meum unum pervenit, sed debili et maligna luce. Causa me non
latet, et video ut clarificari poflsunt, sed sumptus subteriunmus. Nul
lo ex i8, quae hactenus videre potui, stellae minutae deteguntur,
uno excepto quod ipse construxi} id non majorem tripla diametrum
facit, aut snmmum quadrupla. Stellae tamen viae lacteae plurimas
distintissime exhibet; mirum, cum in buno usnm formatum sit ut'il-
luderet spectatori: causa est claritatis, quia copiosissimam admittit
lucem, nec enim, ut caeteris, limbus lentie convexae tegitur, tota
lene patet: itaque et in latam regionem visus excurrit, et facile quae
quaero assequor. Proximo interlunio Martem matutinum aum con-
templatus. liqnot stellaa minutae vidi, sed non in longitudinem Zo
diaci dispositas; puto accensendas lino Piscium. Jovem nondum per
d aspexi. Caetera ut quodque melius, et praesertira quod vigecuplat,
panlatim mibi detegunt Lunae faciem; satis enim illa luminie habet
etiam cum per tenuiseimas limas inspicitur. Video igitur dispositio-
nem macularum accurate; video in media sectione primae quadrae
E
romontoria duo lucida; video paulatim et vitr glacialis speciem.
>ie sancti Jacobi, ut et duobus ante mensibus, notavi in imo coma
noduih lucidum divieum et a comu supra et ^ extremo lucis acu-
mine ad ortum. Quos dicimus oculos, soleo comparare quadrupedi in
pastum menti, rictu et pedibus primoribus, idque est sinister oculus
e regione nostri dextri. Ha>ec effigies cum gena dextra, latissima
macula, oonnectitur flexuoso ductu maculae, qui quam proxime Grae-
corum I repraesentat in typis Henrici Stepbani. In gena ipsa sex.
distinctae numero lucidas insulas in recta transversa versus os.
Dum baec scribo, in manus meas venit importuna cbarta bominis
Boben^ Mutinae excusa (a). Miram adolescentie temeritatem, qui
muBsitantibus omnibus indigenis solus obloquitur, ipse peregrinus re
nondum comperta: credo ut bistrionibus persona, sic ei novitas et
nominis obscuritas audaciam addidit. An. babes tu fortassis aemulos
Italos, qui conduxerunt operam peregrini ; ut meam Germani in-
vidiosam dissertationem petulatia Bohemi ulciscerentur ? Indignae
paginae in .quibus tempus teras; sed tamen quia mea epistola abuti-
tur, statui rationem tibi quodammodo reddere facti alieni. Noscere
me cepit Pragae anni eunt aliquot: cum opera me indigeret. Uteri
(n) Martini Horkii peregrioatio.
i3o
Bononia missis fores amcitiae meae pulsare coepit, vix tandem agno-
vi quis esset ; cepi de novo favere homini, quod studiostie eeset
et literariim et mai. Ut primum ntellexi ex ejus literis, esse ti-
bi obtrectatores , ipsam vero seqai studia vulgi ; gnarus quam ea
novis obstent inventi, properavi ad te scribere, si forte praeriperem
occasiones. Ad ipaum esemplar epistolae impressae misi, ut ex eo
disceret vel sapere vel certe - Quid vero is eo fecerit, videe:
amicitiam hanc inquam vix dum obscurissime spirare visam morte
famosissima jupilavit. Arcanum hoc effertj scilioet revocatum te a
me ad principia tuarum observationum: scilicet non ipse hoc in prae-
fatione dixeram ? Hoc conjectore aut proditore opus fuit? At non ideo
recensui ^ o d simile antea fuerit observatum, ut ipse' obtrectaret, sed
ut caeteri cederent plurium testimonio; et ut epistola mea fuco ca-
reret, ingenuitate sua lucrefaciens aemulos et pertinaces. Saepe irati
satiantur exigua exosi muleta ; at non ille; quin exprobrat, jactat,
insultat,, auget. Si quod te habere dixi meorum simile circa maculas
L nnae, at et plura habere te dixi, nec mutuatum dixi hoc in illa pu
lii ioa epistola; temeritatis profeeto esset id affirmare, saepe diversia
ad eundem scopum converiitur viis. Si me credit aliqua obiter innuere
Toluiss, ne quaeso me oscitasse putet, qui neglexerim id aperte di
cere: me mihi relinquat. Ego non existimo cuiquam licere in quo-
quam aliena recognoscere; nisi qui etiam peculiaria nova rara pulchra,
quae invenit, agnoscere capere et discemere aptus est. Sed nihil ma
gie me pungit, ^am quod laudibua me effert, sputum hominis. Con-
tumeliam mihi infert, quicumque laudem criminis quaerit ex mea
qualicumque fama, Dubitationem mihi impingit ex eo quod salvum
volui cujusque judicium... Oh vanum argumentum! Quod ego per-
pendo, tu non perpendis, poasum et ego credere et tibi non credenti
imoscere. Sd dogmata propria subjicio examini: quid vero -haeo ad
fidem habitam alieno affirmato? Exaggeravi scelas si pr veris ficta
tradidisses, hoc ille vult impugnar! fidem Nnncio? At haec quidem
vis est, ego fidem Nuncio astruo. Certamen hoc virtutis est cum
vitio. Ego ut bonus vir de Calilaei affirmatis judico, ncm cadere in
illum tantam nequitiam: ille nullo adhuc gustu honestatisj eoque eam
, sus(^e deque habens cadere affirmat; ex suo forte ingenio caeteros
aestimans. Esto ut deceptus sim ( quod absit ) , ego _mea credulitate
bonus, facto miser habebor, ipso eventu felix, calliditate pessimus.
Quia haec via juris est ut quilibet praesumatur bonus, dum contra-
rium non probetur, quanto magie si circumstantiae fidem fecerint?
Et vero non problema pliilosophicum, sed quaestio juris est, an -ttu^
dio Galilaeus orbem deluserit? Hanc mihi quaestionem placuit initio
tractare, tum quia vestibulum obsideba.t, tum quia tam multi erant
qui malebant credere te fallere, quam rem novam detegi. Rationes
ero me et argumentationes invictissimas contra hunc Nuncium protu-
Usse ? Hoccine bonae indolie indicium, amici et benefactoris intentum
3
peivertere P Et uW artee invemonum ? cur nori probat jjtiod dixit ?
cur non receneet illa argumenta? ut omnes vidant pessima fide di-
cttm. Extat plstola mea^ i l k loquatur. Passim per epistolam lusue
inteMpersi hot consilo, ut inisores risa praevetim in traditione
rei fivae^ et in vulgus absurdae. Si quis forte pamm attentas ex bis
lusibud alisam sumit dubitand de mea sententia^ hic certe scurra ex
eOtlinI numero non est, qui ex privatis meis literis satis quid t ^
nerem, fuit edoctus. Haec sunt, Galilaee, quae me mordente reliqua
rideo. Nam punctus ejus jiOmiscos quibus me iiilpetit, ut muscae
alicnjus, aeque contenino. Nec sum adeo stupidus, ut movear auctori
tate vul^i negativa, aut ab ejus oscitantia et ine^itudie, contra
astronotni experientiam et dexteritatem ratiociner. Quid m n m *-
fessoree academiarum promiscuos opponere se se inventioni rei novae
in illa provincia, in qua rei tritissimae et apud omnes astronomos
contestatissimae, parallaxium ecilicet, extent oppu^atores loco emi
nentissimi, eniditionis fama celeberrimi. Neque enim celare te volo,
complurium Italorum literas Pragam ferri, qui tuo perspicillo piane-
tai illos yideri pemegant. Ego quidem mecum ipse causas dispicio,
our tam multi negent, etiam qui perspcillum tractant: et ^si com-
parem ea quae mini interdum eveniunt, video non esse impossibile,
ut unus videat quod non vident mille alii. Sic Vams ille ex Drepa-
no prospexit classem e portu Gartaginie solventem, numeravitq&e
naves; quod nemo tota Sicilia potuit. Saepe usuvenit, ut quae mihi
proeunt perspicilla, ea non prosint aliis, et quae caeteri laudant, ea
ego'de nebulis acousem. Ipse unus et idem cum incipio contemplari
E
fruor aepectn, ubi aliquantiUA immoror, colores iridis oriuntur.
t etsi mecum nondura quioquam dubito; ' dolet tamen, me tamdia
tui testimoniis aliorum ad fidem caeteris faciendam. Te Galilaee
rogo, ut testes ali^os primo quoque tempore producas, ex literis enim
tuis ad diversos didici tibi non deesse testes; sed neminem, praeter
te, hoc jactabtem producere possum, quo famam epistolae meae de
fendm^ Nisi forte placet tibi testimonium ab hoete: fatetur se tuo
nstrumento, die a4 Aprilis vidisse duos planetas circa Jovem, >die
a5 quatuor. Raptim produxi cbartam tuam ad illustrissimum Orato-
rem transmissom; et ecce tu quoque ad 24 Aprilis exbibes duos ad
a5 qtiatuor platietas^ Invenit tamen ista Sycopbantia naeniam impu-
dentissmam de reflexionibus, qua populum abduceret. Vulgus enim
opticaram rationum imperitum aures libenter accomodat obtrectatori
ex opticis loqueiiti, quia inter caecum et videntem nescit distinguere,
gaudetque qualibuscumque imperitiae suae Tribunis. Quos si jobeas,
adire scrptores opticos, in rem praesentem venire, li^Ilum stultie-
simnm ex se ipso refellere: experiers malie hoc doctore curnun di
cre rectum, ut lascivire contra philosopUam possint, quam t i d
laboris sibi sumant. Et imperabit sibi doctus aliquis bujus scientiae
gnarus, ut papyrum perdat in refutandie bis nu^s? 0 sapientem
l^tha^oram, <rai ntilla re alia majeetatem philosopfaiae oontiner edeat
mam silentio r Nunc quia jeoisti aleam Galilaee val^qae proplasti
haec coelorum adyta, quid aliud rstat, quam ut coutemua concitato
8t08 trepitud) gratumque stultis meifcimomnin inscitiam , aticept
contumelia, loco pretii vendas; quipp vulgiis contm^tum philosophiae
in 88 ipso ulciscitur iperpetua ignorantia. Licebit tibi tamed hanc epi
stolam publici jurie tecere, 8i tua intereese putaverist mea nihil iiH
terest, nec dignor hominem si nemo doctos centra scribit.
Gio. Keplero a Martino Horky (Kepleri Epist fo l. Lips. 1718.^
. Praga 9 AgiU i 6 i < .
Tuam Peregrlnatinem ex concesdil Marci Veleeri legi. tsi igitur
candoris mei famm juxta tuam amicitiam tueri non pdseum, eoque
nuncium tihi remitto; patrie tamen tui causa, et quia n hosti qiiidem
alicujus mali causa esse velim, duo tibi signieco> teitium admoneo.
Frlmum est, quod epistolanl ad Galilaenni ecrpsii qualem te meniisso
aestimare potcs, eique potestatem feci, si velit; piibUce iniprimendi.
lterum quod conditio tm parenti? nota sit Secretano BL^s Hispa-
nianim Oratorie, et ex. ejus relatn caeteris Italie, qui hic sunt, adfiii
enim cum recenseret illis: viderie igitur t u , aii in ile partibiu tibi
liaec notitia sit incommdatura ; niei forte omnee sancti Consilium
tibi sujipeditaverint percula ista praeveniendi^ T ertiiim; |>ater tuua
non bunus quam eco, imo multo maxime, pr te est soliicitus^ quan
to magie ei sciret de tua Peregrinatione et de mea invectiva? Ejus
patemum consilium si vis seqtti, primo quoque die te ex illis looia
proripies utcumque poteris.
HasdaUe al Galileo (Targioni Scierae iti Toscana Fol. .J
Prqga 17 i6io.
n 2<tlgme86r ara m i questa settimana; far con lui, se non ba^
etera, con l istesso Elettore, il quale che avr caro, di leggere le
lettere di V. S* piene di modestia e d* umanit, da confondere Sciti
e Tartari^ non che barbari Germanici. Ho fatto venire il sapore alla
jbocca non men che collera al fiele a G... (e) con <Mel capitolo, ohe
i l Cardinale Borghese le vea levato dalle mani queir occhiale fatto
di mani sue. Sua Maest ha prorotto in queste parole;,, in somma
, , questi Preti vogliono ogni Cosa . Mi dato ordine di scrivere a
V . S. a nome suo; ma mi sono scusato con dire eh* ella aveva scritto
al signor Ambasciatore di Toscana^ che al sioara avrebbe mandato
la) Forte Cesare.
t33
al doppio pi perfetto di quello che avuto Borgheee. Vedendo
che S. M. non s acquietava, l ho fermata finalmente con dire, che
ella apposta ra stata chiamata a Fiorenza dal Gran Duca, per fame
qualche numero da mandare a varii Principi. Ho fatto vedere al
signor Keplero quello, che V. S. scrive et al signor Ambasciatore et
a me. In parte supplito coll*ordinario passato, in parte mi ha pro
messo di supplire questa sera con un altra lettera, se per il vino
che abbiamo bevuto insieme a pranzo, non gli fa metter la testa sul
capezzale. L a avuto ad impazzire ed intendere quella cifra: caro
Signore, non ci tenga cos a bada, avendo cos segnalati mallevadori
contro chi volesse arrogarsi lo scoprimento di quella grande maravi
glia maggiore della prima, cio de. Pianeti.....
n Gali leo a Gio. Keplero (K epler i Epist. Lips. fot.)
f
Padova 19 Agosto 1 6 1 0 .
Knas tuas epistolas, eruditissime Keplere, accepi; priori jam abs te
jurs pubUc factae in altera mearum observationum editione respon-
debo; interea gratias ago, quod tu primus ac fere solus, re minime
inspecta, quae tua est ingenuitas atque ingenii Sublimitas, meis as-
sertionibus integram fideni praebueris: secundae ac mox a me receptae
responeum dabo breviesimum; paucissimae enim supersant ad scriben-
dum horae. Primo autem signincas perspiclla nonnulla apud te esse;
verum non ejus praestantiae, ut objecta remotissima maxima atque
clarissima repraesentent, ob idque meum te expectare: verum excel-
lentissimum quod apud me est, quodque s^ctra plusquam millies mal-
tiplicat, meum amplius non est; ipsum enim a me petiit Serenissimus
Hetruriae Magnus Dux, ut in tribuna sua condat, ibique, inter inn-
gniora ac preciosiora, in perennem facti memoriam custodiat. Paris
excellentiae nullum aliud construxi: praxis enim est valde laboriosa;
verum machinas nonnullas ad illa configuranda atque expolienda ex-
cogitovi; quae hic constmere nolui; cum exportari non possent F lo-
rentiam, ubi in posterum mea futura est sedes. Ibi quam primum
conficiam et amicis mittam. Ex tuis adnotatis in Lunam conjicio>
tuum prspicillum mediocris tantum esse efficaciae, ob idque ad pla-
netas conspiciendos forte minime idoneum ; quos quidem planetas a
V Julii jam cum Jove matutino orientales pluries conspexi, atque
adnotavi. Ex coelo deniqne descendis ad orcum: ad Bohemum sclicet
illum, cujus tanta, uti vidisti, est audacia stultitia et ignorantia, u t
absque nominis illius gloria, de eo verba proferre vel etiam in)urio-
sa minime possimus. Lateat igitur apud orcum: totiusque pariter vul^i
contumeliam sns^e deque faciamus; namqiie contra Jovem nec gi-
gantes, nedum pigmei. Stet Jupiter in coelo, et oblatrent sycophajti-
tes, quantum volunt. Petis, carissime Keplere, alios testes: Magnum
i34
Hetruriae Ducem produco, qui cum enperoribug mensibus Planetas Me
diceos mecum saepiue obeervaeeet Pisis, in meo diacessu munus pretii
plusquam aureorum mille dedita modoque in patram me convpcat,
cum stipendio pariter aureoram mille in siiigulie annis, cumque titulo
Philosophi ac Mathematici Gelsitudinie euae, nullo insuper onere im-
K
osito, sed tranquillissimo ocio largito, quo meos libros conficiam
lechanicorum, Constitutionis universi, nec non Motua localis tum
naturalis tum violenti, cujus symptomata complurima inaudita et
amiranda geometrice demonstro. Me ipsum produco, qui in hoc
gymnasio stipendio insigni florenorum M. decoratus, et quale mathe-
maticarum scientiarum professor nullus habuit unquam, et quo tuto,
dum viverem, frui possem, etiam illudentibus planetis et efTugientibus:
discedo tamen, et eo me confeio, ubi illusionis meae poenas inopiae
atque dedecoris luerem. Julium fratrem Juliani illustrissimi oratorie
Magni Ducis exibeo, qui Pisis cum multis aliis aulicis pluries planetas
observavit: verum, si errai adversarius meus, quid amplius egemus
testibus ? Pisis, mi Keplere, Florentiae, Bononiae, Venetiie, Paduae
complurimi viderunt, silent omnes et haesitant: maxima enim pars, neo
Jovem aut Martem, vix saltem Lunam, ut planetam dignoscunt. Qui
dam Venetiis contra me obloquebatur jactitans se certo scire, stellas
ineas circa Jovem a se pluries observatas, planetas non esse, ex eo
quod illas semper cum Jove spectabat, iptumque aut omnes aut rars
modo eequebantur, praeibant modo. Quid igitur agendum? cum De
mocrito aut cum Heraclito etandum ? volo mi Keplere ut rideamus
insignem vulgi stultitiam. Quid dices de primariis hujus gymnasii
philosophis, qui aspidis pertinacia replet nunquam, licet me ultro
dedita opera millies offerente, nec Planetas, neo Lunam nec perspi
cillum videre voluerunt? verum ut ille auree, sic isti oculos contra
veritatis lucem obturarunt. Magna sunt haec, nullam tamen mibi in-
ferunt admirationem. Patat emm hoc hominum geaus, philosophiam
esse librum quemdam velut eneida et Odyseea: vera autem non in
mundo, aut in natura; sed. m confrontatione textunm (utor illorum
verbis) esse quaerenda. Gur tecum diu ridere non possum ? quos
ederes eachinnos, Keplere humanissiiue, si audires, quae contra me
coram Magno Duce Pisis a philospho illius gymnasii primario prolata
fuerunt, dum argumentis logicalibus, tamquam magicis praecantatio-
ziibus novos pianeta e coelo divellere et avocare oontende'ret ? Ve-
rum instat nox, tecum esse ampline mihi non lieet. Vale, vir erudi
tLBsme, et me ut soles, ama.
i35
Galileo a Giuliano de* Medici Jmhaseatore del Gran Duca
41 Praga ( Kepleri Epist. foh lps.
firemu primo Ottobre 1 6 10 ,
Io ho sentito gran contento che il signor K^lero e altri insieme ab
bi finalmente potuto vedere et osservare i Pianeti Medicei col mezzo
dell occhiale che mandai ai Serenissimo Elettore di Colonia, e molto mi
S
iace ohe ei voglia di nuovo scrivere in questa materia, a con&sione
i una gran moltitudine di maligni ed ostinati. Io non ho ancora data
alle stampe ultima sua lettera scrittami^ in biasimo di quel Martino
Orchi, e per le occupazioni del trasportar casa da Padova a Firenze,
si ancora perch volevo accompagnarla coA' un* altra scrittami nel
medemo proposito dal signor Gian Antonio Roffeni, il quale pur
eitato dal med. Martino a suo &voi, nella qual lettera esso signor
Roffeni gli lava la testa nom men che il sigpor Keplero, e solo
sto aspettando che ei me la mandi fatta latina, avendomela mostrata
io Bologna scritta vulgarmente. Il signor Keplero per avere scritta
kt detta lettera neiristesso tempo che leggeva la Peregrinazione di
Martino, cio in grandissima fretta, ha tralasciato alcune estreme ba
lordaggini di colui, le quali son sicuro che aver vedute dopo; come
S
nella quando cita la mia scrittara tronca; e quando, non inteiKeii
o egli niente la ragione immaginata dal siraor Keplero, e posta nel
fine della sua dissertazione in proposito delraraarire i Pianeti Me
dicei or maggiori, e or minori; dice fshe mella principalmente mi
estermina, io son sicuro che se i} signor l^eplero avesse vedutOt e
avuto tempo di avvertire questi e altri luoghi, non gli avrebbe la
sciati sotto silenjo; e per se ^ volesse aggiugnere, e Inserir qualche
altro concetto in questo proposito, io tratter il pubblicarlo sino alla
risposta di V. S. ilhistrissinia. Non ho in tanto mancato di scrvere a
Venezia dove mi parso opportuno, come non aria impossibile l avere
suggetto cos eminente in quello studio, quando loro procurassero
di averlo; e tajito bastato, non avendo il suo valore bisogno di
attestazione d altri l dove benissimo conosciuto, per io tengo per
fermo ch ei sar ricercato, e condotto onoratissimamente; il che saria
a me di contento infinito, per la comodit del poterlo godere da
S
reseo, e anco talvolta presenzialmente. Io non sono ancora accomo-
ato di casa, n sar sino a Ognissanti conforme alla consuetudine
di Firenze, per oon ho potuto fare accomodare miei artificii' da la
vorar gli occhiali, delli quali artificii parte vapno murati, n si pos
sono trasportare, per non si meravigli V, 3 illustrissima se tarder
ancora a mandargli il suo, ma procyer bene che la dimora sia
compensata con } eccellenza dello trumento ; mi necessita ancora
indugiare il lavpro il mancaqieQtP del vetro, del quale i n quattro
i3$
pomi M. NicCoI Sisti ne deve di commissione del G. S. mettere
una padella in e mi promette di fare cosa purissima e ec
cellente per tali artificii. Io prego V. S. illustrissima a favorirmi di
mandarmi l (^tica del signor Keplero, e U Trattato sopra la stella
nuova, perch n in Venezia n qua gli ho potuti trovare. Deside-
rerei insieme un libro che lessi due anni sono sul catalogo di Frane-
fort, il quale per diligenza fatta con librari di Venezia che mi pr-
meMero farlo venire, non ho mai potuto avere: io non mi ricor
do del nome dell autore, ma la materia de mota Terr ae; e il
signor Keplero ne ^ver notizia, mi far insieme favore avvisarmi della
spesa, ^ quale rimborser qua in casa sua, o dove mi ordiner. In
{uesto punto ho ricevute lettere dal signor Magini, il quale mi avvisa,
Pianeti Medicei essere stati osservati pi sere a Venezia dal signor
Antonio Santini amico suo, e dal signor Keplero: io per ora non ho
comodit d osservargli per non aver luogo in casa che scuopra l o
riente; ma nella casa one ho presa, e dove tomo a Ognissanti, ho
un terraglie eminente, e che scuopre il cielo da tutte le parti, e vi
avr gran comodit di continuare le osservazioni....
Ci. KeplerH al Galileo ( Kepleri Epist foL lps. 1718.^
Praga a 5 Ottobre 1 6 1 0 .
Ex literis tuis, celeberrime vir, quas ad illustrissimum Oratorem
F lorentinum Kalendis Octobris Florentia misisti, salutem qua me im-
pertiri voloisti percepi, proque ea gratias ago teque mutua mea im-
pertior. Ad caetera, quae desiderasti, dominus Segethus quid nobis
in commune visum meo loco respondebit, nam in Italica tyro sum.
Narrationis etiam meae exemplum ex ipsius literis accipies. Querelam
tamen super ipsius facto reticere non possum: qui nimis tui, nonnullo
etiam mei stumo, sed praepostero et pertinaci, epigrammata sua meae
narrationi per vim subnexuit: nobilissima illa quidem et in te honp-
rificentissima, sed quibus ego semper existimavi narrationem meam
adulationis in te suspectam redditum iri : pracsertim si quo pacto in-
Botescat, quid ad me promovendum ex instiactu illustrissimi Orato-
ris moliaris. Tunc enim invidi detrectatores, quorum pieni sunt ho-
diemi Uteratorum cactus, aperte prorumpent, et causabuntur mulos
mutuum scabere. Saepe monui sua seorsim ederet. Gaeterum is ita
se comparaverat, ut citra oiTensionem repelli non posset, quod tanto
concessi libentius, quod perpenderem temperie diutiirnitate omnes fu-
lioeorum locutiones facile expiraturas, Jove interim cum suo famuli-
cio perpetuam semitam pergente. Gertiorem te reddo, venisse ad me
hesterna die Martinum Hrky reducem ex Italia, quamvis passim in
Italia moras nexuerit; miram et spectabilem occursationem: cum ille
exaitante vultu, et veluti triomphato Galileo me ut coasentieatem
P. I. 18
i 3 j
aHoqueretur, ego vero responderem ex formula epstoli, quo ipei a-
mictiam renunciaveram. Id tanto ntmmque magie perturbavit, quod
nec ille de mea renunciatone eciebat ( quippe literae meae Bononiam
delatae sunt post ejue discessum ), neque ego alitar qnam lectum ilU
epistolium in animum induxeram. Poet multam altercationem demum
patuit error utrueque persnaeionum; a t^ e ille mhi enarum rationum
momenta sui certiseimus sincerissimo afiectu recensuit; ergo illi ar-
gumenta sua solvi, seu potine oppressi, nihil nisi meis ipsius obser-
vationibus propriis ingestis. Non erat, opinor, constantiae, non ex
autoritate pvd)iici scripti, ad primam meam instantiam sententiam
mutare. Mansit bac vice in sententia: caeterum doluit pessime quum
illi recenserem, quid ad te scripsissem. T une enim quasi hoc unico
labore proposito, summa persuasionis vi me oppugnare cepit, ut de
concepta opinione me dejiceret, nihil ipsum vkoa7^ko contra me
egisse: omnino persuasum fiisse, hanc, quam ipse in scriptum suum
transtulisset, esse genuinam meam sententiam, Faciebant fidem bis
attestationibus etiam argumenta, quibus etiamnum contra Joviales
Satellites, adeoque et contra meas ipsius observationes, meamque nar>
rationem (^am coram exhibui ) pugnat acerrime. De iis vero, quae
contra te durius scripsisset, sic respondebat ; obsecundatum se hic
publicae famae doctissime in Academia Bononiensi Professoribus non
S
aucis, aliisque per Italiam: de quorum consensu fidem mihi fecit
ocumentis manifestissimis. Quamvis iis mihi non erat opus. Anne
igitur hoc non esset viri honi justissimo dolori Academiarum acco
modare calamum, oppugnare ngmenta portentosa, in fraudem ve-
ritatis, in contumeliam naturae comparata? Denique eo rediit snm
ma orationis, ut appareret, plures per Italiam viros doctos, in pro-
cinctu stetisse publicae contradictionis; quos non mutatio sententiae,
sed tui domicilii translatio (id est metus ofFensionis tui Principie)
hactenus retinnerit. Certamen igitur hoc fuisse, qninam caeteros in
hac palaestra publicae scrptionis praeverteret. Caetera, quae plus
apud me ponderis habebant, prudens praetereo. Quid multis ? expu-
gnavit me, agnovi temeritatis illecebras, ignovi: rediimus in gratiam;
sic tamen, ut ille piimum atque me monstrante visurus et agniturus
sit Joviales satellites, sententia sua cessurum profiteretur. Erat autem
in transitu ad parentes suos, revertetur brevi Pragam. Nunc te, Oa-
' lilaee, rogo, quando videe mihi satisfactum: ut quia te lisque ad prae-
eentium illustrissimi Oratorie literamm adventum difFerre velie dixisti
publicam literamm mearum deecriptionem: illa igitur in meam gra
tiam supersedeae in totum. Maior erit gloria triumphi, si tibi, uti
spero, bostis tui confessionem ultroneam transmisero. Nam etei careo
S
riori instrumento, snccessit tamen aliud, propinquo perfectionis gra-
u: plus enim quam decuplat. Eo jam bis vi(u binos planetae Medi-
ceos: eodem spero me et illi monstraturum. Interim hac excusa
narratione mea, autpritatem meam perperam contra te adductam
i38
rectissime dilues. Si adolescentiam ipeiue respcs: nihil eat in hac aeta-
te famliarus, quam in placiti praceptorum fervide transircj exque
iie, veluti ex aliquo propugnaculo, temerario ausa procurrere, et ma-
num cnm hoate conserere. Sin oculoe in te ipsuin convertie: equidem
non adeo decorum, nec ex gravitate tua est, projectam hanc laces-
sendi et impetendi libidinem in curae parte ponere, aut sumptue in
refatandas ejus refutationes impendere. Si doctus vir esset, si alicujus
nominis, aliud dicerem. Piane xistimo, tum demum pravum vulgo*
hominum aliquid tribntumm buie futili ecripto, cum tu contra id,
eu pse, eeu per' alios, ineurrexerie. Nam imperitia euspiciones etiam
de innocentissimie euppedit&t. Omnino magni animi est mediocria,
etiam parvi aeetimare et contemnere: contra, si eaeperis altercari cura
uno, excibis et caeteros, passim occasiones praebebis obloquendi etiam
levibue, si de scopo ipso nullam spem hweant. Praeterea, si dissi-
mulaveris, principum morem sequeris: sin autem responeabis, ad Scbo-
lasticorum eubsellia rursum descendes. Atqui non habes jam, a quo
expectes insanos clamoree: responde, responde, de suggestu descende.
Relinque igitur scholae, qua de exiisti, moree suos. Atque baed in
S
enere, de quibns tu viders. Meam in ejcie epistolam unico conten
o omitti, quod si non pesuasero, saltem summas facias rogo argumen-
torum seu responsionum fnearum. Denique si ne qaidem hoc obti-
neo, saltem titulos personales et probra verborara justissima. quidem,
sed jam remissa, expungas. Cujusmodi sunt, quod ajo, ipsum nullam
famae suae curam habere ( contra quod ipse totam vitam suam ad
examinandum proposnit), ^ o d petulantiam ilU tribuo, quod sputum
hominis vocilo, quod promtionie inciiso , quod sycopbantam, qnod
curram impello, imperitiam, temeritatem, stupiditatem, infelicl$simum
meorum verborum intellectum, et quae alia Imjus classis tolerabiliora
xistimo: quia non animi mor, non vitae probra, sed vel aetatis
vitia. Satie de bis, ne nostrae amicitiae aut tuae virtuti videar diffi-
dere. Desino igitur, si boc adbuc subjunxero, audio enim Florentiae
recueam esse Dissertationem meam: cupio ejus exemplum videre. Jam
vale, et noe primo quoque tempore desiderio tuae novae inventionis
leva: neminem habes, quem metuae aemulum.
Gi ino del a6 Settembre 1610, Lorenzo PignQria tcrivea a Paolo Gualdo ( Let
tere d uomiol iUiutri del >ec. xvii Vea. 1744) i> Le do aaoira, coma in Germa-
nia il Keplero ha otaervato aacb etso i quattro Pianeti nuovi, e che vedendoli
y, etclam, come a suoi d Giuliano Apoitata, Galilaee vcisti, Quetto l'avrio
del (ignor Veliero.,,
1^9
Gio. Keplero al Galileo. (Kepleri Epist. fai . Lips. ni B .J
Praga, dopo la precedente nell autunno medesime del i6io.
Ego, Gallaee clarssime, neque Italus sum, neque ex politiggima
Gennanorum natone orundus, neque lautie domug patriae coadtio>
nibue inter speciosa sermonis gestuumque exercitia eaucatus, ut teoum
insigni artifice urbanitate oontendam, qui cum quidris aliud scriptu-
ru8 videreris deprecationem potissimum arripuisti. Leto Bohemi scur*
tili libello excandui, ad te scribendum censui, ne silentio yiderer
approbare simulatioiiem pessimam mbi imputatam. Eam e^stolam
ita scripsi, ut si forte tui defendendi causa-eam velles edere, id intel-
ligeres tibi per me licere. Cam postea ro|;are meam sententiara super
loco quodam dissertationa me praetento: hoc jam certum argu-
mentum mihi erat destinataje abs te editionis, eo<|ae eie attemperavi
responsum, ut quod esset edendum. Si edidisses tui defendendi causa,
nihil eram-habituTUB, quo de.quererer: quippe quod jam bis conce-
seram: sin autem mei nominis studio id lecisses, insuper etiam gratiae
tibi a me debebautur. Siipervenit reconciliatio Bohemi, hominis con-
temnendi potius . ob nominis obscuritatem , ingeniique tenuitatem ,
adeoqup commiserandi ob tementatem infelicem, quam persequendi
publice b scurrilitatem. Itaque revocavi quod concesseram, non jure
nisue sed precibus. Si jam erat edita .mea responsio, mhil in me pec-
catum, terapors cuiypa est: sin res est integra, tnque intennitte, mei-
que amore tibi ipsi dees, rursum ego gratias debeo. Sin autem, quod
scribis, multo minoris faci Bobem vituperari, quam ego laudari:
gratolemur invicem uterque; ego, quod errore sum liberatus ciie*
tuum editionis a^tatae consilium; tu, quod editionis mihique gratfi-
candi onere, conmncto cum aliqua tua molestia. Nullum ullibi repe
llo deprecationi locum, nisi tua civilitate meique cultu, quem vicis-
sim deprecor. Quare mittamus ista. Unum rogo; transmittas ad illu-
strissimum Oratorem si quid est editum. Vidi Wedderbomii confu-
tationem: placet. A ludicris ad ^ulo seria magis, quamvis tenuiat
ignosce; difficultates aulicae docent aestimare etiam tenuia. Disser-
tatonem edidi meis sumptibus, misique Francoiurtnin aliquem justum
numerum: Florentinus itaque typographus ad damnum me redegit sua
editione; id per se inhumanum, an etiam injustum, viderit F lorentia.
Nam si non recognoscit Qaesareni superorem, nihil queror. Sin autem;
equidem privilegio munitus erat libellus. Propter hanc ambiguitatem
in suepenso eiit, quo nomine illustrissimo Oratori sim obligatus. A t
nisi fallor, non sedet is Pr^ae typographi causa, sed magni Dacie;
suamque munificentiam sibi vindicat. Quod si mihi juris aliquid esset
in typographum, condemnarem illum ad multane hanc, ut tuie operis
solveret pr uno bono et lato vitro cojivexo, quod esset fragmentum
i4o
iotevano per ltra scienza n per altro mezzo farsi credibili, che per
a bocca dello stesso Spirito Santo. Ma che quel medesimo Dio, che ci
dotati di sensi di discorso e d intelletto, abbia voluto^ posponendo
l uso di questi, darci con altro mezzore notizie che-per quelli pos
siamo conse^re, non penso che sia necessario il crederlo, e massime
in quelle scienze delle quali-una minima particella, e in conclusioni
diverse, se ne legge nella Scrittura, quale appunto l astronomia, di
cui ve n cos pccola parte, che non si trovano pur numerati tutti
i Pianeti. Per se i primi scrittori sacri avessino avuto pensiero di per
suadere al popolo le disposizioni dei movimenti de corpi celesti, non ne
avrebbono trattato cos poco, che come un niente in comparazione
deirinfinte conclusioni altissime et ammirande che in tale scienza
s contengono.
dunque la V. quauto, Se io non erro, dieordinaUmente
procedano quelli clie nelle dispute naturali e che direttamente non
tono di fede, nella prima froate coetituiecono luog)ii della Scrittu
ra, e bene spesso malamente da loro intesi. Ma se questi tali vera
mente credono d avere il vero senso a quel luogo particolare della
Scrittura, e in conseguenza si tengono sicuri d aver in mano l^asso^
luta verit della questione che intendono disputare, dicano appresso
ingenuamente, se loro stimano gran vantaggio aver colm, che in una
disputk naturale s incontra a sostenere il vero, vantaggio dico sopra
air altro, a chi tocca a sostenere il falso. So che mi risponderanno
di s, e che quello che sostiene la parte vra, potr, aver mille espe
rienze e mille dimostrazioni necessarie per la parte sua, e che l altro
non puole avere se non sofismi paralogismi e fallacie. 'Ma se ^lino
contenendosi dentro a termini naturali, i> producendo altre armi
che le filosofiche, sanno d essere superiori all avversario, perch nel
venire poi al congresso por subito mano ad un arme inevitabile e
tremenda, che con la vista sola atterrisce ogni pi destro ed esperto
campione? Ma se io devo dire il vro, credo che essi' sieno i primi
atterriti, e che sentendosi inabili a poter star forti contro gli assalti
dell avversario, tentino di trovar modo di non se lo lasciare accosta
re: ma perch, .come ho detto pur ora, quello che la parte vera
dalla sua gran vantagno anzi grandissimo sopra avversario, e per
ch impossibile che ^due verit si contrarino, per non doviamo
temere d assalti che ci vengano fatti da chi si voglia, porche a noi
ancora sia dato campo di parlare e d essere ascoltati da persone in
tendenti, e non foverchiamente ulcerate da prepostere passioni ed
interessi.
*In confirmazione di che vengo ora a cdnsiderare il luogo particolare
di Giosu, pei^ il quale ella apport alle loro Sernissime Altezze tre
dichiarazioni, e piglio la terza ch ella produsse come mia, siccome
veramente ; ma v aggiungo alcuna considerazione .di pi, la quale
non credo averle detto altra volta.
Posto dunque e conceduto all avversario per ora, che le parole del
Testo sacro s abbiano a prendere nel senso appunto ch elle sono,
cio , che Dio a preghi di Giosu facesse fermare il Sole e prolungas
se il giorno, onde esso ne conseguisse la vittoria; ma richiedendo io
ancora, che la medesima deteituinazione vaglia per me s, che lavverea-
rio non'presumer d legare ma di lasciar libero, quanto al potere
alterare o mutare i significati delle parole: io dir che qbesto luogo
ci piostra manifestamente la falsit e l impossibilit del mondaiio si
stema Aristotelico e Tolemaico, e all incontro benissimo s accomoda
al Copernicano.
I.Io dimando all avversario se egli sa di quanti movimenti si
muove il Sole ? S egli lo sa, forza eh ei risponda quello muoversi
di due movimenti, jcio annuo da ponente in levante, e diurno da
levante a ponente. Ond io
ao6
a. Gli, dimando se questi due movimenti, cos diveni e (piasi con-
trari tta. di lor, competono al Sole o sono suoi proprii. egualmente ?
Et forza risnondere di no, ma che uno solo vero proprio e par
ticolare, cio annuo, e altro di primo mobile in ore e c . ,
quasi ontrario a moti dei Pianeti che rapisce.
3.Li domando con qnal moto produrr il giorno e la notte ? E
ibrza che risponda, del primQ mobilej e dal Sole dipendere le stagioni
diverse e anno istesso.
Or se il forilo dipende non dal moto del Sole ma da quel primo,
mobile, chi non vede ehe allungare il giorno bisogna fermare il
primo mobile e non i l Sole ? Anzi chi ^sar che intendendo questi
puri elementi d astronomia, non conosca che s Iddio avesse fermato
i l moto del Sole, in cambio di allungare il giorno,. 1*avrebbe scepato e
fatto pi breve ? Perch essendo il moto del Sole al contrario della
conversione diurna, quanto pi il Sole si movesse verso oriente, tanto
pi si verrebbe a ritardare il mpto con il suo corso all occidente ?
e diminuendosi o annullandosi il moto del Sole, in tanto pi breve
tempo giungerebbe all occaso: il quale accidente certamente si vede
nella Luna, la quale tanto fa. le sue conversioni dlume pi tarde di
quelle del Sole, quanto il suo movimenta proprio pi veloce di
quello del Sole. Essendo adunque assolutamente impossibile, nella co
stituzione d* Aristotile e T olomeo,'fermare il moto del Sie ed allun
gare il ^omo, s come afiem la Scrittura essere avvenuto; adunque
Bisogna che movimenti non siano ordinati come vuoi Tolomeo, o
bisogna alterare il senso delle parole, e dire che quando la Scrittura
disse che Iddio ferm il Sole, volesse dire che ferm il primo mobile,
ma che,'accomodandosi alla cap&cit di quei che sono a fatica idonei
9. intendere il nascere o il tramontare del Sole, ella dicesse al ea
trario di quello che avrebbe detto parlando ad umini sensati.
Ag^ungesi a questo che non credibile che Iddio fermasse il Sole
solamente, lasciando scorrere altre sfere j perch senza necessit al
cuna avrebbe alterato e perturbato l ordine tutto, gli aspetti, e le
disposizioni delle altre stelle rispetto al Sole, e grandemente pertur
bato tutto il corso della natura: ma credibile ch ei fermasse tutto
il sistema delle celesti sfere, le quali dopo quel tempo della quiete
'wterposta, ritornassero concordemente alte loro opere, senza confu-
9one o alterazione alcuna.
Ma perch gi siamo convenuti non doversi alterare il senso delle
parole del Testo, necessario ricorrere ad altra costitiizione delle
S
arti del mondo, e vedere se conforme a quella il entineato nudo
elle parole saria rettamente e senza intoppo, si come veramente i
^corge avvenire.
Avendo io dun^e scoperto e necessariamente dimostrato, il globo
4 el Sole rivolgersi in se. stesso, facendo una intera Conversione ia un
mese lunare incirca, per quel verso appunto che si fanno tutte le altre
ao7
converaiom celesti; et essendo di pi molto probahle e r^onevole
che il Sole, come strumento massimo della natura, quasi uore del
mondo, dia non solamente, com'egli chiaramente d, la luce, ma il
moto ancora a tutti i Pianeti che iniomo se gli raggirano, se con
forme alla posizione del Copernico noi costituissimo la terra muoTersi
almeno di moto diurno, chi non vede che, per fermare tutto il siste
ma senta punto alterare il restante delle scambievoli rivoluzioni dei
Pianeti, solo si prolungasse lo spazio e il tempo della diurna illumi
nazione, basta perch fusse fermato il Sole, come appunto tuonano
le parole del sacro Testo ?
Ecco dunque i l modo, secondo il quale, senza introdurre confusio
ne alcuna delle parti del mo'ndo e senz alterazione delle parole della
Scrittura, si puoi con il fermare il Sole allungare il giorno intero.
Ho scritto pi assai che non comportano, le mie indisposizioni, e
S
er finisco con offerirmele servitore, e le bacio le mni, pregandole
a N. S. le buone Feste e ogni felicit.
I l Galileo g, Monsignor Dini. ( Moretti Codifii Naniani Voi J
Firenze i6 Febhrajo 1614.
Perch so cbe V. S- molto illustre e reverendissima fu subito av
visata delle replicate invettive che furono alcune settimane fa. dal
pulpito fatte, e contro la dottrina del Copernico'e suoi seguaci, e
pi contro i matematici e la matematica stessa, per non le repliche
r nulla sopra questi particolari, che da altri intese; ma desidero
bene ch ella sappia come non avendo n io n altri fatto un minimo
moto o risentimento sopra gli insulti, di ch fimmo non con molta
carit aggravati, non per si sono acchetate le eccessive ire di quel
li; anzi essendo ritornato/da Pisa il M. del Padre, che si era mto
mano
una
passato al Padre Matematico di Pisa {Co-
s t e lli) ,.i n proposito dell apportare l autorit sacre in dispute natu
rali, ed in esplicazione del luogo di Ciosu; vi vanno esclamando so
pra, e ritrovandovi, per quanto dicono, molte eresie, si sono in somma
aperti un nuovo campo di lacerarmi. Ma percb da ogni altro che
ha veduto detta lettera, non mi st^o fatto pur minimo segno di
scrupolo, vo' dubitando che forse la trascritta pqssa inavvertentemente
aver niutata qualche parola-, la.qual mutazione congiunta con un po
di disposizione alle censure possa far apparir le cose molto diverse
dalla mia intenzione. E perch alcuno di questi Padri, ed in parti-,
colare queir istesso. che parlato, se ne son venuti cost per fare,
come intendo, qualche altro tentativo con la sua copia di detta mia
lettera, mi parsp non fuor di proposito mandare una copia a V. S.'
jto8
reverendissima nel modo giusto che l ho scritta, pregandola che mi
faTorieca leggerla insieme col Padre Grembergiero Oesuita Matema
tico insigne e mio grandissimo amico e padrone, e forse lasciargliela,
se parr opportuno a S. R. di farla per qualche occasione pervenire
in mano dell'illustrissimo Cardinale Bellarmino. E questi Padri Do-
mnicani si son lasciati intendere- di voler far capo, con speranza di
far per lo meno dannare il libro di Copernico, e la sua opinione e
dottrina.
L a lettera fu da me scritta currenti calamo; ma queste ultime con
citazioni, e i motivi che questi Padri adducono per mpstrare i de
meriti d questa dottrina, ond ella meriti d essere abolita, m hanno
fatto vedere qualcosa d pi scritta in simil materia; e veramente
non solo ritrovo tutto quello che ho scritto essere detto da loro, ma
molto pi ancoraj .mostrando con quanta circospezione bisogni andare
intorno a quelle cogniziom naturali, che non eono de fide^ alle quali
possona arrivar l esperienze e le dimostrazioni necessarie, e quanto
^'miciosa cosa sarebbe l asserire come dottrina risolata nelle sacre
Scritture alcuna proposizione, della quale una volta si-potesse avere
dimostrazione in contrario. Sopra questi casi ho io distesa una Scrit
tura molto copiosa, ma non l ho ancora al netto in maniera che ne
possa mandar copia a V. S., ma lo far quanto prima: nella quale, quel
che si sa dell efficacia delle ime ragioni e discorsi, di questo bene
son sicuro, che ci trover molto pi zelo verso salita Chiesa e la di
gnit delle sacre lettere, che in questi miei persecutorL Poich essi
procurano di proibire un libro ammesso tanti anni da santa Chiesa,
enza averlo pur mai essi veduto, non che letto o inteso; ed io non
fo altro che esclamare, che si esamini la sua dottrina, e si ponderi
no le sue ragioni da persone cattolicissime, che si riscontrino le sue
proposizioni con l esperenee sensate, ed in somma che non si danni
se prima non s trova falso, se Vero che una proposizione non possa
esser vera ed erronea. Non mancano nella Cristianit uomini inten-
dentissmi della professione, il parer dei quali circa la verit o fal
sit della Dottrina non dovr esser proposto all arbitrio d chi non
punto informatoci e che p,ur troppo si conosce esser da qualche a&
fetto alterato, siccome benissimo conoscon molti, che si trovan qua
in fatto, che veggono tutti gli andamenti, e sono informati almeno
in parte delle macchine e trattato.
Niccol Copernico fu uomo non pur cattol^, ma religioso Canonico,
fi chiamato a Roma sotto Leone x, quando nel Concilio Lateranense si
trattava l emendazione del Calendario ecclesiastico, facendosi capo a
lui come grandissimo astronomo. Rest nondimeno indecisa tal rifor
ma, per questa sola cagione, perch la quantit degli anni e dei mesi
dei moti del Sole e della Luna non ergao abbastanza stabiliti: ond e-
gli d ordine del Vescovo Semproniense, che allora era sopracapo di
questo negozio, si messe con nuove osservazioni ed aacuratiesimi studi!
P. 1. ^ a7
309
aie ^
all investigazione di tali periodi; et ne conaegni in somma tal cogni
Qone, che non solo regol tatti i moti dei corpi celesti, ma si acqui
Bt il titolo di eonuno astronomo, la cui dottrina fu poi seguitata da
tutti, e conforme ad essa regolato ultimamente il Calendario. Ridusse
le sue fatiche intorno ai corsi e costruzione dei corpi celesti in tre
dici libri, i quali a richiesta -di Niccol Scobergio Cardinale Capuano
mand in luce, e gli dedic a Papa Paolo lu; e da quel tempo in
qua si son veduti pubblicamente senza scrupolo alcuno. Ora questi
buoni Frati, solo per un sinistro affetto contro d me, sapendo ch io
stimo quest autore, si vantano di dargli il premio delle sue fatiche
con farlo dichiarare eretico.
Ma qydlo eh pi degno di considerazione, la prima lor mossa
contro d questa opinione fa il lasciarsi metter su da certi miei ma
lgni, che gliela dipinsero per opera mia propria, senza dir loro che
ella fasse gi settant anni fa stampata; e qttesto medesimo stile vanno
tenendo con altre persone, neUe quali cercano d* imprimere sinistro
concetto di me: e questo loro va succedendo in modo tale che, es
sendo pochi giorni sono arrivato qua Monsignor Gherardni Vescovo
di Fiesole, nelle prime visite a pien popolo, dove si abbatterono al
cuni amici miei, proruppe Con grandissima veemenza contro di me,
mostrandosi gravemente alterato, e dicendo che n era per far gran
passata con le L L. AA. Serenissime, poich tal ma stravagante opi
nione ed erronea dava he dire assai in Roma, e forse avr a que
st ora fatto il debito suo: se gi non l* ritenuto essere destramen^
te fatto avvertito, che autore di questa dottrina non altrimenti
un Fiorentino vivente, ma un Tedesco morto, che la stamp gi 70
anni sono, dedicando il libro al sommo Pontefice.
Io vo scrivendo, n me ne accorgo, che parlo a persona informa
tissima di questi trattamenti, e forse pi d me, quanto che ella si
trova nel luogo dove s fanno gli strepiti maggiori. Scusimi della prO'
lssit; e se scorge equit nessuna nella causa mia, presentimi il sut
favore che gliene vver perpetuamente obbligato. Con che le bacio
riverentemente le mani, e me le ricordo servitor devotissimo, e dal
Signore Iddio le prego il colmo delle felicit.
P. S. Ancorch io dfi&clmente possa credere, cne si fosse per pre
cipitare in prendere una tal risoluzione d annull^e quest autore;
tuttavia sapendo per altre prove quanto sia la potenza della mia di
sgrazia, quand congiui^ta con la malignit ed ignoranza de miei av-
vereari, mi pare d aver c^one d non m assicurare del tutto sopra
la somma prudenza e santta di quelli da chi a da dipendere l ultima
risoluzione, sicch quella ancora non possa essere affascinata da questa
fraude che va involta sotto il manto di zelo e carit. Per per non
mancare per quanto posso a me stesso ed a qelo della Scrittura,
vedr in Ireye V. S. reverendissima, che vero e purissimo zelo,
Al l
desiderando che almanco ella poesa esser veduta; e poi prendasi traella
risoluzione, che piacer a Dio; ch io per me son tanto bene edineato
e disposto, che pnma che contravvenire a miei superiori, quando non
potessi far altro, e che quello che ora mi par di credere e toccar con
mano, m*avesse ad esser di pregiudizio all* anima, ruerem oculum na
me scandalizaret.
10 credo che il pi presentaneo rimedio sia il battere a P. Gesui
ti, come quelli che sanno assai sopra le comuni lettere de Frati, per
potr dar loro copia della lettera, et anco legger loro, se le piacer,
mesta eh*io scrivo a lei: e poi per la sua solita cortesia si degner
larmi avvisato di quanto i.vr potuto ritirarne. Non so e fosse op
portuno essere col signor L uca Valerio, e dargli copia d detta let
tera, come uomo che di casa del Cardinale Aldobrandino, e potreb
be fare con S. S. qualche offizio. Di questo e d ogni altra cosa mi
rimetto ec.
11 Veecovo Sempronieote, ricordato dal Galileo nella lettera precedente, Paolo
di Middelburgo Vetcovo di Fo*(ombrone, autore del celebre raro libro recta
Paschae celebratione etc. fol. Forosempronii i5i3.
I l Principe Cesi al Galileo. (Librera Netti,)
Roma 1 Marzo i 6i4
..... n signor Colonna mi significato che in Napoli nn certo Frate
in una sua opera di cose teologiche e miste s era posto con molta
collera e risoluzione a riprovare gli scuopriment di V. S . , e parti
colarmente i nuovi Pianeti, come pregudiciali al Settenario, e non
figurati nel Candelabro.....
Monsignor Pietro Dini al Galileo. (Lihrerid N elli. J
Roma 14 Marzo i6i4>
Non ho potuto abboccarmi col signor Ciampol; ho ben di poi trat
tato con illustrissimo Barberino, il quale mi disse ristesse cose che
si ricordava aver detto a V. S . , cio del parlar cauto, e come Pro
fessore di Matematica, e la* assicur che non avea sentito parlare mai
di questi interessi di V. S . , eppure nella sua Congregazione, o i n .
iquelle di Bellarmino, capitano i primi discorsi d s fatte cose; onde
andava dubitando, che <malche poco amorevole le andasse accrescen
do; ma non per questo da non oi pensar pi.
I l Galileo a Momigiior Pietro Dini. (Cav. Morelli
Codici Naniani Tom. . )
Firenzi a3 Marta i 6i 4
Risponder saccintamente alla cortesissima lettera di V. S. molto
illustre e reverendissima, non mi permettendo il poter far altrimenti
il mio cattivo stato di sanit. Quanto al primo particolare cb'ella
mi. tocca, che al pi che potesse esser deliberato circa il libro del
C opernico, sarebbe il mettervi qualche postilla, che la sua dottri
na fosse introdotta per salvare le apparenze nel modo eh* altri in
trodussero gli Eccentrici e gli Epicicli, senza poi credere ohe re
ramente sieno in natura; gli dico ( rimettendomi sempre a chi pi di
me intende, e solo per zelo che ci che si per fare sia latto con
ogni maggior cautela) che quanto il salvar l apparenza, il medesimo
Copernico aveva g\ per avanti fatta la fatica, e satisfatto alla parte
degli astrologi secondo la consueta e ricevuta maniera di Tolomeo;
ma che poi vestendosi abito di filosofo, e considerando, se tal co
stituzione delle parti dell* universo poteva realmente sussistere in
rerum natura^ e veduto che no, e parendogli pure che il problema
della vera costituzione fosse degno d*esser ricercato, si messe all in
vestigazione d tal costituzione, conoscendo che se una disposizione
di parti finta e non vera poteva satisfar alle apparenze, molto 'gi
ci si avrebbe ottenuto della vera e reale ; e nell istesso tempo si
sarebbe in filosofia guadagnato una cognizione tanto eccellente, qaal
il sapere la vera disposizione delle parti del mondo. E trovandosi
egli per le osservazioni e studii di molti anni copiosissimo di tutti i
particolari accidenti osservati nelle stelle, senza i quali tutti diligea*
tssimamente appresi, e prontissimamente afiissi nella mente impos
sibile il venir in notizia di tal mondana costituzione ; con replicati
studii e lunghissime fatiche consegu quello che reso poi am
mirando 9^tutti quelli che con diligenza lo studiano, s che restino
capaci de suoi progressi; talch il voler persuadere che il Coperni
co non stimasse vera la mobilit della terra, per mio credere non
potrebbe trovar assenso, se non forse appresso chi non l avesse letto,
essendo tutti sei i suoi libri pieni di dottrina dipendente dalla mo
bilit della terra, e quella esplicante e conservante. E se egli nel
la sua dedicatoria molto ben intende e confessa, che la posiziorie
della mobilit della terra era per farlo reputare stolto appresso l uni
versale, il giudizio del quale egli dice di non curare; molto pi. stol
to sarebbe egli stato a voler farsi reputar tale per un opinione da se
introdotta, ma non interamente e veramente creduta.
Quanto poi al dire che gli autori principali, che hanno introdotto
gli Eccentrici e gli Epicicli, non gli abbiano poi reputati veri, questo
non creder io mai; e tanto meno quanto con necessit assoluta biso
gna ammettergli nell et nostra, mostrandocegli il senso stesso. Per
che non essendo Epiciclo altro che un cerchio descritto dal moto
d una stella, la quale non abbracci con tal suo rirolgimento il globo
terrestre, non reggiamo -noi di tali oerchii esserne da. quattro stelle
descritti quattro intorno a Giove? E non egli pi chiaro che il.
Sole, che Venere descrve il suo cerchio intorno ad esso Sole, senza
comprender la terra, e per conseguenza forma un Epiciclo ? E l i-
steseo accade intorno a Mercurio. Inoltre essendo 1 Eccentrico un
cerchio che ben circonda la sterra, ma non la contiene nel suo cen
tro, ma da una banda; non s a da dubitare, se il corso di Marte sia
^centrico alla terra, vedendosi egli ora pi vicino ora pi. remoto,
intantoch ora lo veggiamo pccoiissimo, ed altra volta ai superficie
sessanta volte maggiore; adunque, qualunque siasi il suo rivolgimento,
.di circonda la terra, egli una volta circa otto volte pi ppeeso
che un altra, talch il voler ammettere la mobilit della terra, solo
con quella concessione e probabilit che si ricevono gli Eccentrici e
gli Epicicli, un ammetterla per sicurissima verissima ed irrefr^abile.
Ben vero, che di quelli che hanno negato gli Eccentrici e gli
Epieicli io ne trovo due classi: una di quelli che, essendo del tutto
ignudi delle osservazioni -de movimenti d^lle stelle e di quello che
bisogna salvare, negano senza fondamento nessuno quello eh e* non
intendono, ma questi sono degni che di loro non si faccia alcuna
considerazione. Altri molto pi ragionevoli non negheranno i movi
menti circolari descritti dai corpi delle stelle intorno ad altri centri
che quello.della terra, cosa tanto manifesta ohe all incontro chiaro,
nessun de Pianeti far il suo rivolgimento concentrico ad essa terra;
ma solo negheranno ritrovarsi nel corpo celeste una struttura di orbi
solidi e tra se divisi e separati, che arrotandosi e fregandosi iisieoi
portino'i oorpi dei Pianeti, o questi creder io che benissimo discor
rano, ma questo non un levar i movimenti fatti dalle stelle in cer
chi eccentrici della terra, e in epicicli, che sono i meri e semplici
assunti d T olomeo e degli astronomi grandi, ma un repudiar gli
orbi solidi materiali e distinti introdotti dai fabbricatori di tcoriciic
per agevolar l intelligenza dei principianti e i computi de calcolatori,
e questa sola parte fittizia e non reale, non mancando a Iddio niti
do di &r camminare le stelle per gli immensi spnzii del cielo, ben
dentro a limitati e certi sentieri, ma non incatenate e -forzate.
Per quanto al Copernico, egli per mio avviso non capace di
mod.erazione, essendo il principalissimo punto di tutta la sua dottrina
e l universal fondamento la mobilit della terra e stabilit del Sole:
S
er o bisogna dannarlo del tutto o lasciarlo nel suo essere ; parlan-
o sempre per quanto comporta la mia capacit. Ma se sopra tal re-
soluzione e sia bene attentissimamente considerare, ponderare, esa
minare ci eh egli scrve, io mi sono ingegnato di mostrarlo in una
ai3
mia scrittura, per quaato da Dio benedetto mi stato cnceduto;
non avendo mai altra mira che alla dignit di santa Chiesa, e non
indirizzando ad altro fine le mie deboli fatiche: il qnal purissimo e
zelantissimo affetto io son ben sicuro che in essa scrittura si scorge
r chiaro, quando per altro ella fosse piena d errori o di cose di
poco momento. E gi averei inviata a V. S. Reverendissima, se alle
mie tante e navi indisposizioni non si fiese ultimamente aggiunto un,
assalto di dolori colici, che m travagliato assai, ma la mander
quanto prima. Anzi per il medesimo zelo mettendo insieme tutte le
ragioni del Copernico, riducendole a chiarezza intelligibile da molti,
dove ora sono assai difficili, e pi aggiungendovi molte^ e molt' altre
considerzioni, fondate sempre scrara osservazioni celesti, sopra esjse^
rienze sensate, e sopra incontri di effetti naturali; per offerirle poi ai
piedi del sommo Pastore, et all infallibile determinazione d santa
Chiesa,, che ne faccia quel capitale, che parr alla sua somma prudenza.
Quanto al parere del M. R. P. Grembergero, io veramente lo laudo
e volentieri lascio la fatica delle interpretazioni a ^elU che inten-.
dono infinitamente pi di me. Ma quella breve scrittura che mandai
a V. S. reverendissima, come vede una lettera privata scritta pi
d un anno fa all amico mio, per esser letta da lui solo; ma avendosi
egli.pur senza mia saputa lasciato prender copia, e sentendo io che
era venuta nelle mani di quel medesimo (a) che tanto acerbamente
m avea sin dal pulpito lacerato, e sapendo eh ei l aveva portata ce
sta, giudicai ben fatto che ve ne Ause un altra oopia per poterlm in
ogni occasione incontrare; e massime avendo quello ed altri suoi ade>
renti teologi sparso qua voce> come detta mia lettera era piena d e
resie. Non dunque mio pensiero di metter mano a impresa tante
superiore alle mie forze, sebbep non si deve anco diffidare, che la
benignit divina talvolta si degni d ispirare qualche raggio della sua
immensa sapienza in intelletti umili, e massime quando sono alm^ao
adomati d sincero e santo zelo: Oltre che quando si abbino a con
cordar luoghi sacri con dottrine naturali nuove e non comuni, ne
cessario aver intera notizia di tali dottrine, non si potendo accordar
due corde insieme col sentirne una sola. E se io conoscessi di pmber
promettermi alcuna cosa della debolezza del. mio in^gno, mi pig^e
rei ardire di dire, d ritrovar tra alcuni luoghi deltt sacre lettere e
di questa mondana constituzione molte convenienze, cbe nella vul*
gata filosofia non cos ben mi pare che consuonino.
P. S. L avermi V. S. reverendissima accennato, coie il luogo del
Salmo i8 dei reputati pi repugnanti a q u e s t a opimone, m ia fatto
farvi sopra nuova riflessione, la ^ a le mando a V. S. con tanto meno
renitenza, ^anto ella mi dice, cne illustrissimo e rererendiseimo
signor Gardiuale Bellarmino volentieri vedr, se ho alcuno altro di
(a) Il P. Caccini OomenicaiK.
!tl4
tali luoghi, per avendo io satisfatto al semplice cenno di S. S. illma
e reverendissima, veduta che abbia S. S. illustrissima questa ma
qualunque ella si sia contemplazione, ne faccia quel tanto che la sua
somma prudenza ordiner; che io intendo solamente di riverire et
ammirare le cognizioni tanto sublimi, et obbedire i cenni de miei
superiri, et alr arbitrio loro sottopor ogni mia fatica; per non mi
arrogando, che, qualunque si sia la verit della supposizione ex parte
juiturae, altri non possine apportar molto pi congruenti sens} alle
parole del Profeta, anzi stimandomi io inferiore a tutti, e per a tutti
1 sapienti sottoponepdomi, (a) direi parermi, che nella natura si ri
trovi una sustanza spiritosissima tenuissima e velocissima, la quale
difibndendosr per 1* universo penetra per tutto senza contrasto, riscalda
vivifica e renne feconde tutte le persone viventi, e di questo spirito
par che il senso stesso ci dimostri il corpo del Spie esserne ricetto
principalissimo, dal quale espandendosi un immensa luce per l uni
verso, accompagnata da tale spirito calorifico e penetrante per tutti
i corpi vegetabili, gli rende vividi e fecondi: questo ragionevolmente
stiipar si pu esser qualche cosa di pi del lume, poi che ei penetra
e si difibnde per tutte le sustanze corporee, bench densissime, per
molte delle quali non cos penetra essa luce. Talch si come dal no
stro fuoco veggiamo e sentiamo uscir luce e calore, e questo passar
per tutti i coi^i, bench oj^achi e solidissimi, e quella trovar contra
sto dalla solidit et opacit, cos 1 emanazione del Sole lucida e
calorifica, e la parte calorifica la pi penetrante. Che poi di
questo spirito, e di q^uesta luce, il corpo solare sia (come ho detto)
un ricetto, e per cosi dire una conserva, che ab extra gli riceva, pi
tosto che un principio e fiinte primario, dal quale originariamente si
derivino, parmi che se n abbia evidente certezza pelle sacre lettere,
nelle quali veggiamo avanti la creazione del Sole, lo spirito con la
sua calorifica e feconda virt foveritem aquas, sm Ticuhantem super
aquaSf per le fiiture generazioni; e parimente aviamo la creazione
della luce.nel primo giorno, dove che il corpo solare vien creato
il giorno quaito. nde molto verisimilmepte possiamo affermare que
sto spirito fecondante, e questa luce difiusa per tutto il mondo con
correre ad unirsi e fortificarsi in esso corpo solare, perci nel centro
dell universo collocato, e quindi poi fatta pi splendida e vigorosa
di nuovo diffondersi. Di questa Juce primogenia, n molto splendida
avanti la sua unione e concorso nel corpo solare, ne aviamo attesta-
';zione dal Profeta nel almo 78 v. 17, tuus est dies, et tua est nox: tu
fabricatus es auroram et Solem, il qual luogo vieue interpretato: Iddo
aver fatta avanti il Sole una luce simile a quella dell aurora; e per
nel testo ebreo in luogo di aurora, si legge lume, per iusinuarci
(e) Questo pezzo sino all'autorit d) S. Dionigi (tampato nel Tomo it dell e-
dizione di Padova'p &63.
i5
luce, che fu creata molto avanti al Sole, assai pi debole della medesima
ricevuta fortificata e di nuovo suiFusa da esso corpo solare. A questa
sentenza mostra d* alluder opinione d alcuni antichi filosofi, che
hanno creduto lo splendor del Sole esser un concorso nel centro de!
mondo degli splendori delle stelle, che standogli intorno sferi^amen
te disposte vihran i raggi loro, i quali concorrendo ed intersecandosi
in esso centro, accrescono ivi e per mille volte raddoppiano la luce
loro: onde ella poi fortificata si riflette e si sparge assai pi vigorosa
e ripiena (dir cosi) di maschio e vivace valore, e si diffonde a vi
vificare tutti i corpi, che ad esso centro si ag^rano intorno. Sicch
con certa similitudine, come nel cuore dell* animale si fa una conti-
mia regenerazione di spiriti vitali, che sostengono e vivificano tutte
le membra, mentre per viene altresi ad esso cuore altronde sommi
nistrato il pabulo, e nutrimento, senza il quale ei perirebbe; cos nel
Sole, mentre a extra concorre il suo pabulo, si conserva quel fonte,
onde continuamente deriva e si difinde questo lume e calore proli
fico, che d la vita a tutti i membri, che attorno gli riseggono.
Ma come che dalla mirabil forza^ et energia di questo spirito e
lume del Sole difiso per l universo io potessi produrre molte atte
stazioni di filosofi e gravi scrittori, voglio che mi basti un luogo solo
del Beato Dionisio reopagita nel libro de divinis nominibus: il quale
tale. Lux etiam coUigit, coiwertitque ad se omnia, quae videntur,
quae mwenfur, quae illustrantur, quae calescunt, et uno nomine ea,
quae ah ejus splendore continentur. Itaque Sol lUos dicitur, quod
omnia congregete colligatque dispersa. E poco pi abbasso scrive del-
Tistesso: Sol He, quem videmus, eorum quae sub sensum cadunt, es-
sentias et qualitates, quamquam multae sint oc dissimiles, tamen ipse
qui unus est, aequahiUterque lumen fu n d it, renovat, a lit, tuetur, perfi-
cit, dividit, conjungit, fovet, foecurida reddit, auget, mutai, firmat,
edit, movet, vitaliaque fa c it omnia; et unaquaeque res hujus urver'
sitatis pr capto suo unius atque ejusdem Solis est particeps, causas'
que multorum quae participant in se aequahiliter ax:cepts habet: cer
te majore ratiore etc. Ora stante questa filosofica posizione, la quale
forse una delle principali porte per cui si entri nella contempla
zione della natura, io crederei parlando sempre con quella umilt e
reverenza, che devo a santa Chiesa, et a tutti i suoi dottissimi Padri
da me riveriti et osservati, et al giudizio de quali sottopongo me et
ogni mio pensiero, crederei dico, che il luogo del Salmo potesse aver
questo senso, cio, che Deus in Sole posuit tahernaculum suum, come
in sede nobilissima di tutto il mondo sensibile. Dove poi-si dice, che
Jpse, tamquam sponsus procedens de thalamo suo, exuliat ut gigas a d
currendam viam: intenderei ci esser detto del Sole irradiante, cio
del lume e del gi detto spirito calorifico, e fecondante tutte le cor
poree sustanze, il quale partendo dal corpo solare, velocissimamente
si dififonde per tutto il mondo: al qual senso si adattaho puntualmente
i6
tutte le parole: e prima nella parola sponsus avlamo la virt fecon
dante e prolifica; V exultare ci addita quell emanazione di essi raggi
solari fatta in certo modo a salti ^ come il senso chiaramente ci
mostra: ut gigas, evvero ut fortis, ci denota efficacissima attivit
e virt di penetrar per tatti i corpi, et insieme la somma velocit
del moversi per immensi spazii, essendo l emanazione della luce co
me istantanea. Confermasi dalle parole ^rofedens de thalamo suo, che
tale eianazione e movimento s\ deve riferire ad esso lume solare, e
non air istesso corpo del Sole, poi che il corpo e globo del Sole
ricetto e tamquam halamus d esso lume: ne tornabene a dire che
thalamus procedat de thalamo. Da C[uello c ^ segue, summo coeli
egressio eius, aviamo la prima derivazione, e partita di questo spirito .
e lame dall* altissime parti del cielo, cio^ sin dalle Stelle del firma
mento, o ance dalle sedi pi sublimi; E t occursus ejus usque ad sum^
mum eius: ecco la reflessione, e per cos dire la riemanazione dell i-
stesso lume sitio alla medesima sommit del mondo. Segue; Nec -est qui
se abscondat a calore ejus: eccoci additato il calore vivificante e
fecondante distinto dalla luce, e molto pi di quella penetrante per
tutte le corporali sustanz, bench densissime: poich dalla penetra
zione della luce molte cose ci difndono, e ricuoprono; ma da qae-
et altra virt non est qui se abscondat a calore ejus. N devo tacere
cert altra mia considerazione non aliena da questo proposito. Io gi
ho scoperto il concorso continuo di alcune materie tenebrose sopra*
il corpo solare, dove elleno si mostrano al senso sotto aspetto di mac
chie oscnrissime, et ivi poi si vanno consumando e risolvendo, et
accennai come ^este per avventura si potrebbono stimar parte di
quel pM>ulo, o forse gli escrementi di esso, del quale il Sole da al
cuni antichi filosofi fu stimato bisognoso per suo* sostentamento. Ho
anco dimostrato per le osservazioni continuate di tali ihaterie tene*
brose, come il corpo solare per necessit si rivolge in se stesso, e di
pi accennato quanto sia ragionevole il credere, che d tal rivolgi-,
mento dipendino i movimenti de Pianeti intorno al medesimo Sole ec.
Di pi noi sappiamo, che l intenzione di questo Salmo di laudare
la legge divina, paragonandola il Profeta col corpo celeste, del quale
tra le cose ' corporali nessuna pi bella pi utile e pi potente;
per dopo aver egli cantati gli eQcomii del Sole, e non gli easendo
occulto eh egli fa raggirar^ intorno tutti i corpi del mondo, pas
sando alle maggiori prerogative della legge divina, e volendola ante
porre al Sole, soggiu^e lex Domini immaculata, comfertens animas etc:
quasi volendo dire, che essa tanto pi eccellente del Sole stesso,
quanto* esser iinmaculato, et aver i^ult di convertire intorno a
se anime, pi eccellente condizione, che l essere sparso di mac
chie com i l Sole, et il farsi raggirar attorno i globi corporei e mon- -
dani. So, e confesso il mio soverchio ardire nel voler por bocca,
essendo imperito nelle sacre lettere, in esplicar sensi di i alta
P. I . . a 8
*7
contemplazione; ma come che il sottomettenni io totalmente al giu
d ic o de mei superiori pu rendermi kcusato, cos qel che segue
del versetto p esplicato : Testimomum Domini fid e U , sapientam
pritestans parvulis mi ha dato speranza poter esser che la infinita
benignit di Dio possa indirizzar verso la purit^ della ma mnte un '
minimo raggio della sua grazia, Mr la quale mi si^ allumni alcuno
de reconditi sensi delle sue parole. Quanto ho scrtto un piccol
parto bisognoso d* esser ridotto a miglior forma, lambendolo e ripu
lendolo con affezione e pazienza, essendo solamente abbozzato e di
membra apaci si di figura assai proporzionata, jna per -ora incom^
eie e rozze: se avr possibilit, l andr riducendo a miglior simetria:
intanto la prego a non lasciar venire in mano d persona, che ado-
prando invece ideila delicatezza della lingua materna, l asprezza et
acutezza del dente novercale, in luogo di ripulirlo non la lacerasse,
e dilaniasse del tutto. Con che le bacio reverentmente le mani
insieme con li signori Buonarroti, Gnidueci, Soldani, Qirald <p
presenti al serrar della lettera.
ai8
Intorno alla fine d Agoato ilei 1614 il P SclieineT pubblic io lagolttad alenile
te&i col titolo: Oisquiiticoe Mthematicae de controverniia et novitatibn utrono-
,, micie,, in , nella qual opera combatte il sistema di Copernico. Ricorda altreai
i'^Omen d^le macchie folari ; quae aTiquot nunr annis pTodieroiit ab ApeUe
in tabuli* duplicibus, deinde etiam a Galilaeo... An etellite aint certatut adhuc;
,, dies multa pandet. Goncule tabulas Apellia, liittoriam Gulilaei ad, plura nio
., tempore expecta , , . Confetea ( p. 88 )^on estere ben sicwa la tua opinione, che
le macchie del Sole aieno altrettante stelle o Lune iatorno al Sole, qmd nomud&t
videt^r, ted adhuc certatur et strenue inquirtur.
Alla p. 5o della tte^ opera Scheiner cita.il seguent patto del Clavio, da qaetti
p6co prima di morire inserito nel tuo commentario sopra il cap. primo della tfera
del Sacrobotco, deve cosi parl del cannocchiale.
Hoc instmpento cemuntur plurimae stellae in firmamento, quae
sine eo nullo modo videri possunt..... Luna uole, quaado est cor*
niculata aut semipiena, mirtim in modum ren-acta -et aspera apparet,
u t ffUrari satis non passim^ in carpare lunari tantas esse inaeqtiaUteii-
tes. Verum hac de re conenle libellum Galilaei Galilaei <piem Side-
rium Nuncium inscripst, Venetiis impressum anno' 16io. Inter alia
quae hoc instrumento visuntur, hoc non postremum lociim obtinet,
niniimm Venerem recipere lumen a Sole instar Luntie y ita ut comicu-
lata nunc magie nunc minus pr distanta ejus a Sole appareat; I d
quod non semel cum aliis hic Romae bservavi. Saturnus ^oque ha-
bet conjunctas duas stellae ipso minores, unam versus orientem, e t
versus occidentem alteram. Juppiter. denique habet quatuor stellae
erraticas, .quae mirum in modum situm et inter se et cum Jove va-
riant, ut diligenter et accurate Galilaeus Galilaei describit.
Quae cum ita sint, videant astronomi, qua pacto orbes coelestes
cohsliiuendi sint^ ut haec phenomena possint saivari.
lio stesso Stlieiner rtel suo Sol Uipticus da Ini dedicato nel Dicembre 1614
airArciduca Massimiliano d Austria racconta (p i ) d'aver veduto nel Settembre
l6ie ad occhio nudo una grande macchia nel Sole poto all orizzonte.
A R T I C O L O I I .
Proseguono nel 1615 le accuse contro i l sistema Copernicano,
specialmente a Roma.
A.vendo il P. Gaccini Domenicano inveito contro il sistema di Copernico, con una
ua Predica detta in Firenze, alla quale avea premesso il testo! Viri OalUaei qttid
tatmaspicimtes in coelum? il Galileo ne port lagnansa al P. Lnin Maraffi Ge
nerale de Diamenicani, il quale gli rispose nei termini seguenti (JUlreria Nelli.)
Roma dalla Minerva 10 Gtnnajo i 6i 5.
..... Dello scandalo seguito ne ho sentito infinito disgusto, e tanto
pi che l autore ne stato un Frate della mia religione^ perch per
mia disgrazia sto a parte di tutte le bestialit che possono fare e che
fanno trenta o quaranta mila Frati (<x)..... ncora che io sapessi la
<^lit dell ftomo attissimo a essere smosso, e le condizioni di chi
1 forse persuaso, ad ogni modo non avrei creduto tanta pazzia; tan
to pi che il P. Antifatti mi diede certa speranza ohe non avrebbe
parlato..... Piglino informazione dal Cardinal Giustiniano che essendo
Legato a Bologna, ed il medesimo predicando-in S. Domenico, lo fece
ricantare a forza di sbirri, per una simile scappata fatta in Pergamo....
n P. Caccin Fiorentino, stamp nel 1637 la storia del Concilio Nioeno; nel 1639
e 1648 due volumi d*annali ecclesiastici, e mor l anno 1648.
Roma i 5 Gennaro i 6i 5. {Librera Ifelli.J.
n Principe Cesi avvisa Galileo, essere opinione del Bellarmino che la Sentenza
Copernicana fosse eretioa.
MoTuignoT Gio, Ciampoli al atilo {Librera N ellL)
Roma a8 Febhfajo l 6i 5.
OU 8 Novembre 1614 scritto al Galileo da lloma d essr doVnfo partir da
Firenze senza salutarlo, e gli chiese una lettera per farla conoscenza del Principe
Cesi {Targioni Scienze fisiche Voi. 11). Ora gli d notizia, non essersi sentita-mossa
intorno all affare del Copernico} che egli e Monsignor Dini staranno attenti, se mai
ec. Indi prosiegae.
n Cardinal Barberino ( poscia Urbano rm ) il quale, com* ella a per
(a) La proposizione , dir vero, ben forte, nella penna del Generale, che si
presume ssere il padre, alni che 1^accsatore di tutti in corpo i suoi dipendenti.
219
ao
esperienza, & sempre ammirato il suo valore, mi liceva par jerserft)
che stimerebbe in queste opinioni maggior cautela il non uscire dalle
ra^oni di Tolommeo o del Copernico, o finalmente che non eccedes
sero i limiti fisici o matematici, perch il dichiarar le Scritture pre
tendono i teologi, che tocchi a loro....
IJ P . Castelli a l Galileo. (Libreria N e lli.)
Pisa Marzo i 6i 5.
Fui da Mons. illustriss. Arciv. ( di Pisa ) , il quale^ cominci can
tatevolmente ad esitarmi, che io lasciassi certe opinioni gtrava^giilij
ed in particolare del moto della terra, sognungendo che questo sa>
rebbe stato il mio bene, e non l facendo la mia rovina, perch que
ste opinioni oltre Tesser sciocche erano pericolose scandalose e te
merarie, essendo dirette contro la sacr Scrittura... Con una ragione
sola, tralasciandone altre, ^asi mi, tir dalla sua; la somma della
^ a l e fii questa, che essendo ogni creatura stata fatta in servizio del-
Puomo, per necessaria conseguenza restava ili chiaro che la terra
non si poteva movere come le stelle.
Monsignor CiampeU a l Galileo ( Libreria N flli. /
Roma at Marzo i 6i5.
Sono stato questa mattina con Monsignor Dini dal signor Cardinale
dal Monte, il male la stima singolamente e le mostra affetto straor*
dinario. S. S. illustrissima diceva di averne tenuto lunco ragionamento
col si^or Cardinale Bellarmino j e ci concludeva che, quando ella
tratter di sistema Copernicano e delle sue dimostrazioni, senza en
trare nelle Scritture^ la interpretazione delle quali vogliono che sia
riservata ai professori di teologia approvati con pubblica autorit, non
ci dovr essere conttariet veruna; ma ohe altrimenti difficilmente
si ammetterebbero dichiarazioni di Scrittura, bench ingegnose, quan
do dissentissero tanto dalla comune opinione dei Padri.... Non ho fin
qui parlato con alcuno che-non giudichi grande impertinenza il volere
che 1 predicatori entrino su pe pulpiti a trattare fra le donne e il
popolo, dove s poco numero d intelligenti materie di catte^a
tanto elevate.
Lo stesso a l Galileo. ( I v i.)
Roma a8 Marzn i 6i5.
Andai a far riverenza al signor Principe Cesi.... non si pu parlare
con magare venerazione ed affetto di quel eh ei faccia di V. S.
eccellentiesima mi diss^e avere mandato il libro al P. Fosoarino, ed
io ho letto con molta soddisfazione.
Jeri mattina con Monsignor Dini lessi la sua modestissima ed inge
gnosissima lettera sopra il passo del Salmo Coeli enarrant etc. Quan
to a me non so conoscere che possano apporvi. Siamo affatto chiari,
che della opinione, non s . trattato qua tra pi che quattro o cin
que non nolto affecionati suoi; e niuno di loro parlato col Maestro
ael S. Palazzo, ma con un Padre amico di detto maestro; il che mi
iu confermato dal Grazia istesso; e per forse bene non ne trattare
molto, che cos pareva al signor Princ. Cesi, per non parere d incol
parsi col voler tentare le difese dove non chi mova guerra.
Monsigmr Pietro Dini oZ Galileo (Ubreria N elli. J
Roma i 5 Aprile i 6i 5.
..... la vedendomi il signor Cardinale Bellarmino mi disse aponta-
neamente queste parole: delle cose del signor Galileo non sento che
se ne parli pi; e s egli segtdter di farlo come matematico, spero
non gli sar data fastidio....
Lo stesso al Galileo. (.Ivi.)
Roma a Maggio i 6i 5<
..... Parve al signor Principe Cesi, che io noti presentassi quella
lettera a quel personaggio; poich essendo esso e molti altri d auto-
rit pretti Peripatetici, si dubita di non gli irritare in un punto gi
raadagnato, cio che si possa scrivere come matematico, e per ragio'n
d*ipotesi, come vogliono che abbia fatto il Copernico; il che sebbene
non si concede da suoi seguaci, basta agli altri* che l effetto mede
simo ne risulta, cio del lasciare liberamente, purch non s? entri,
come si detto altre volte, in sagrestia....
\
Monsignor Pietro Dir ai Galileot ( I v i.)
Roma i6 Maggio l i t i .
..... Per adesso non tempo di volei pon dimostrazioni disingan
nare i giudici, ma sibbene tempo di tacere e di fortificarsi con
buone e fondate ragioni s per la Scrittura che per le matematiche
ed a suo tempo darle fuori... (Parla indi sull*opera del P . Contarini. )
..... Intendo <^e molti Gesuiti in segreto sono della medesima opi
nione, ancorch tacciano; e con questi e con ogn altro non manche
r mai di fare quanto sapr.
A R T I C O L O I I I .
Lettera del Galileo a Madama Cristina Gran Duchessa.
Opuscolo del Keplero.
un eoa lettera iicrtta nel Giugno del i 635 a Fr. Fulgentio (Editione di Pa-<
dova Tom. a. p. 545) il Galileo riferiace, che la icrittara a Madama Cristina di
Lorena Gran Ducheua era stata da lui composta vent anni prima, lo cbe viene a
cadere nel i 6i 5. Parimenti nel principio di essa scrittura dice, i suoi awersaril an
dare mormorando fra il po^lo, che la dottrina CoMmicana sar in breve dall au
torit. suprema dichiarata dannanda ed eretica: egli adunque scrireva ci prima
del 1616. Abbiamo yedoto nell articolo i di questa sesione, ohe alla carola del
Gran Duca si era parlato sino del i 6i 3 intorno al sistema Copernicano, preteso da
alcuni contrario alla religione, e che Madama si mostr allora &TOKTole al Galileo:
cresciuta per la penecusione, il Galileo avr stimato di dover difendere la sua
causa presso la Gran Duchessa medesima. Ma la detta scrittura fu solo pubblicata
per la prima volta dal Bernegger a Strasburgo l anno i 636, colla traduzione la
tina a fronte. L originale it^ an o fu ristampato unitamente al Dialo^ dei aiatuni
nel 1710 a Napoli colla falsa data di Tirense; dove per errore s nomina tal lettere
come non pi stampata. Essa 'stata nltimamente riprodotta nel Voi. x u i del
Galileo di Milano. Ma perch manca a tutte le tre ediuoni anteriori delle sue
opere in 4 * ; per si inserita qui per supplemento alle medsime, ommettendone
la traduzione latina. Il Galileo ha raccolti in (mesta lettera diversi pensieri da lui
^gi sparsi entro ad altre sue riportate sopra nell articolo primo: ed verosimil-
mente quella Scrittura, la quale nelle sue lettere suddette a |tfoiisignor Dim del
16 FeUirajo e 04 Mano 1614 dice che stava componendo.
Nov-anti.qua Sanctissimorum Patrum et probatorum Theologorum
Doctrina dcsacrae Scripturae tesHmoriSf in conchisiorubus mere natu-
ralihus, quae sensata experientia et necessariis demonstrationibus'evin
ci possunt, temere non usurpandis. ~ In gratiam Serenissimae Lotha
ringae Magnae-Ducis Hetturiae, prwatim ante complures annos ita
lico idiorrtate conscripta a Galilaeo Galilaeo nobili Fiorentino, Pri~
maria Serenitatis ejus Philosopho et Mathematica. Nunc vero Jur-
rii publici facta, cum latina versione Italico textui simul adjuncta.
( Augustae TrAoc. Impensis ElzeviriQrum. Typis Dmidis Havtti. i636
in 4" di pag. 6 0. J
Bemeggemt Rchertino suo S. P. D4
Remitto tibi, virornm t amicormn eximie, quamquam expectati^
ne pujblioa, meaqae deetinatione, el^ias lquanto, Galilaei pr S amia
Philosopliiai centra nostri aevi Cleanthni objectiones, Apofogeticam,
quem S ystemati Cosmico incomparabilis illius stronomiae restauratoris
annectendum, pridem ad me misiet. Pro mea et bono publico erviendi
t tibi gratficandi cupiditete, feci libenter, ut e^tionem . egrepi
Aaa
ecrpt, quantum in me esset, promoverem: idqne statini cum ipso
eistemate, anno snperiore promisset in lucem ; si, quod vehemen-
ter optaveram, aut a te ipso latine oonyersum, aut saltem tempo-
riue, ut adhuc ante Sistematis editionem ab alio verti posset, no-
biscuin communicasses. Nunc dam et quaero interpretem, et Biblio-
polae longius absentis exqniro voluntatem, annue abiit. Oravi autem
atque adeo exoravi vrum, aviti generis splendore juxta ac virtutum
et eruditionis exquisitae, multiplici junctae cuna experientia, deco
ribue illustrem, Aelium Deodatura Jurisconsultum Parisnum, ut hanc
nobis interpretandi commodaret operam, qua ille benevole praestita,
non minuS) ac tu facta prompte scripti copia, remp. litterar. ipsam-
que posteritatem dememistis insigniter. Nam de autore ip8o,et quo-
modo is institutum hoc nostrum accepturus alt, non habeo dicere.
Cum enim ille (qpiod nunc primum ex epistola tua recte didici, et
ex uno alteroque loco Sistematis antea subobscure conjeci ) suis ab
aemulis, ad quoe refellendos bic comparatus Apologeticu* -est, indi
goissime tractetur; fieri sane queat, ut libnim tot per annos domi
nabitum, nunc demum in lucem aliena curiositate protractum nolit; ne
scilicet adversando responsandoque publice, istos ex insanie insaniores
efficiat. Est enim .baec natura taliuiQ hominum, qui persuasionis perti
nacia jam occaluemnt, nt implacabili diversa sequentibus indicto odio,
etiamsi commoostrato etrore oamss ceciderint, non tantum non ce
dant, sed de genu etiam pngnent adversus manifestam veritatem: ad
haec hominum vulgus, hoc est mperitissimum judicem etiam eorum
quae ante -pedes sunt, in parte vocent: ad extremum oalumniis cep
tent; adversus quas, cum omnia feceris, arma silentio tutiora nulla
reperies. Ut proinde credibile sit, sapientissimum virum inimicorum
impotentiam furorem atque vecordiam, generoso contemptu, magnani
moque silentip debinc ulcisci, hoc est contumeliae ipsi contumeliam
iacere malie. Sufficit nimirum illi in. hoc tempore judicium saniorum
paucorum; apuH postetos cum obtrectationis invidia decesserit, lu
eulentiaeimum industriae testimonium consecuturo. Quod enim De
mosthenes de rebus gestis veterum Atheniensium dicere solebat, lau
datorem iis dlgnum esse solummodo tempus, id de magno quoque
Galilaeo non absurde pronunciaveris. Hostium eju* degeneres obtr-
ctationes oblivio mox obruet: per ingenii divini monumenta posteri-
tati monstratus (nec me fallit augurium) superstes erit. Utut sit^