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Charles Simic

DIECI POESIE

Traduzione di Andrea Molesini

Adelphiana
www.adelphiana.it
21 giugno 2001
Charles Simic è nato a Belgrado nel 1938, appena in
tempo per vivere un'infanzia di guerra sotto l'occupa-
zione nazista. Nel 1954, a sedici anni, si è trasferito in
quell'America di cui oggi è uno dei poeti più celebrati.
Ironico, sferzante, giocoso, Simic è un maestro della liri-
ca breve e della sprezzatura. La sua malattia è l'inson-
nia, la sua patria il territorio incerto fra sonno e veglia,
incubo e contemplazione. È da quel paesaggio lievemente
allucinato che Simic invia i suoi reportage poetici, fatti
di inquadrature scentrate dove i dettagli più familiari si
rivelano d'un tratto alieni e orri$ci. Autore di numerose
raccolte di versi e prose saggistiche, Simic insegna Lette-
ratura inglese all'Università del New Hampshire. Nel
1990 ha vinto il premio Pulitzer.

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MACELLERIA

Qualche volta cammino tardi la notte e


mi fermo davanti a una macelleria chiusa.
C'è una luce sola nel negozio
come la luce in cui il forzato scava il suo tunnel.

Un grembiule pende dall'uncino:


il sangue lo macchia con la mappa
dei grandi continenti di sangue,
i grandi $umi e oceani del sangue.

Ci sono coltelli che luccicano come altari


in una chiesa buia
dove portano lo storpio e l'imbecille
ad essere curati.

C'è un ceppo di legno dove vengono rotte ossa


tirato a lucido _ un $ume disseccato $no
al suo letto
dove vengo nutrito,
dove profonda nella notte sento una voce.

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RAGAZZO PRODIGIO

Sono cresciuto ricurvo


su una scacchiera.

Mi piaceva la parola scaccomatto.

I miei cugini avevano un'aria preoccupata.

Era una piccola casa


vicino a un cimitero romano.
Caccia e carri
scuotevano i suoi vetri.

Un professore di astronomia in pensione


mi insegnò a giocare.

Doveva essere il 1944.

Quasi tutto lo smalto era saltato via


dai pezzi neri.

Mancava il Re bianco
e dovette essere sostituito.

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Mi hanno detto ma non ci credo
che quell'estate ho visto
uomini impiccati ai pali del telefono.

Ricordo mia madre


che mi bendava spesso.

Aveva un modo spiccio d'in$larmi


la testa sotto il suo soprabito.

Anche negli scacchi, mi disse il professore,


i maestri giocano bendati,
i grandi su diverse scacchiere
contemporaneamente.

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MOLTI ZERO

Senza voce l'insegnante si alza davanti a una classe


di pallidi bambini dalle labbra serrate.
La lavagna alle sue spalle tanto nera quanto il cielo
che dista anni luce dalla terra.

È il silenzio che l'insegnante ama,


il gusto dell'in$nito che trattiene.
Le stelle come le impronte di denti sulle matite
dei bambini.
Ascoltatelo, dice felice.

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DAVANTI ALLE POMPE FUNEBRI DI BIAGGI

Tre vecchie sedevano a sferruzzare


sul marciapiede
ogni volta che passavo.
Buona sera signore,
dicevo,
buon giorno, pure,
bello questo periodo dell'anno
per essere vivi.

E mi $ssavano
come i sordi ti $ssano
in una scuola delle loro,
i sordi e i muti.
Due di loro riprendevano a sferruzzare,
la terza mi guardava
passare
a bocca aperta.

E questo è quanto.
Lasciai la città e quelle restarono
lì a sferruzzare.
In questi giorni potrebbero ancora essere lì

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perché oggi è quel genere di giorno
dolce e tiepido,
ho pensato di nuovo a loro
dopo molto, molto tempo.

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HOTEL INSONNIA

Mi piaceva quel mio piccolo buco


con la $nestra che dà su un muro di mattoni.
La stanza accanto aveva un piano.
Due tre sere al mese
un vecchio storpio veniva a suonare
Il mio azzurro paradiso.

Perlopiù, però, era tranquillo.


Ogni camera col suo ragno in soprabito pesante
che prende la sua mosca con una rete
di fumo di sigaretta e cerimonie.
Era tanto buio
che non riuscivo a vedermi nello specchio
sul lavabo.

Alle 5 del mattino il suono di piedi nudi al piano


di sopra.
Lo "Zingaro» che dice la fortuna,
ha il negozio all'angolo,
va a pisciare dopo una notte d'amore.
Una volta, pure il suono di un bambino
che singhiozza.

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Era così vicino che pensai
per un momento che singhiozzavo anch'io.

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SUL PRATO

Con raf$che di vento così pazze,


imprevedibili,
ci scommetto che una o due formiche
saranno capitombolate sulla schiena
mentre qui sediamo sotto il portico.

I loro piedi ora pedalano


biciclette immaginarie.
È una battaglia di scaltrezza contro
diverse leggi della $sica,
per non parlare del Fato, del...
e allora che c'è di nuovo|

Si chiedono se qualcuno verrà loro in aiuto


con briciole di torta,
edizioni della Bibbia in miniatura,
uno o due $li perduti
un capo annodato all'altro capo.

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MADRE LINGUA

È quella che il macellaio


avvolge in un giornale
e getta sulla bilancia arrugginita
prima che tu la porti a casa

dove una gatta nera salterà


giù dalla stufa fredda
leccandosi i baf$
al suono del suo nome.

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TRE FOTOGRAFIE

Avrei potuto essere quel ragazzo


in quella vecchia foto del liceo
che ho trovato da un rigattiere,
la faccia schietta cerchiata di nero.

In un'altra c'era una veduta del Brooklyn Bridge


e il tetto di un casermone con piccioni in volo
e ragazzi con lunghi pali
che li inseguono nel cielo di temporale.

Nella terza vidi un vecchio in ginocchio


con la bocca piena di spilli
davanti a un'alta donna in bianco senza testa.

Non avevo soldi ed era l'ora di chiusura.


Nell'incertezza $utai la strada
verso l'uscita nel buio della sera.

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POESIA D'AMORE

Spolverino di piume.
Gabbia d'uccelli fatta di bisbigli.
Coda di un gatto nero.

Sono un bambino che corre


con le forbici aperte.
Ho gli occhi bendati.

Tu sei un cuore che batte


nella tenebra di una foresta.
L'urlo sulla ruota panoramica.

Proprio così, bruja


che batti il piede
con le mani ai $anchi.

Notte sulla $era.


Orchestra di legni.
Due tagliaborse ciechi nella folla.

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GUARDIE STAGLIATE CONTRO IL CIELO

Non ci avevo mai pensato. Gli anni erano passati.


Molti anni. Avevo tante altre cose
di cui preoccuparmi. Oggi stavo sulla sedia del
dentista
quando entrò la sua nuova assistente
che $nse di non riconoscermi per niente
mentre diligentemente aprivo la bocca.

La stringevo tra i cespugli dell'argine


e volevo che sciogliesse il reggiseno.
Il cielo si oscurava, e tuonava
quando alla $ne lo fece, tanto che il primo
gocciolone bagnò uno dei suoi capezzoli bruni.

Era più bello di quel che faceva ora alla mia bocca.
Mentre mi contorcevo, e aspettavo una strizzatina
d'occhio,
mi colse uno scoppio di risa al ricordo di noi due
che ci abbottoniamo, che corriamo fradici
sotto la prigione con le guardie armate
che nelle torri si stagliano contro il cielo.

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© charles simic
© 2001 adelphi edizioni s.p.a. milano

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