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Falado e Escrito
UNIVERSIDADE DE SÃO PAULO
Reitor: Prof. Dr. Jacques Marcovitch
Vice-Reitor: Prof. Dr. Adolpho José Melfi
ABPI
Associação Brasileira de Professores de Italiano
O Italiano
Falado e Escrito
Organizadoras
Loredana de Stauber Caprara
Letizia Zini Antunes
1998
I85 O Italiano falado e escrito / organizado por Loredana de
Stauber Caprara, Letizia Zini Antunes. – São Paulo:
Humanitas/FFLCH/USP, 1998.
392p.
ISBN: 85-86087-48-3
CDD 450.7
850.7
Catalogação: Márcia Elisa Garcia de Grandi – CRB 3608 – SBD FFLCH USP
SUMÁRIO
Apresentação ............................................................................................ 9
La parola orale negli scritti giornalistici di Pier Paolo Pasolini .......... 113
Elena Tardonato Faliere
6
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 5-8, 1998.
7
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 5-8, 1998.
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 5-8, 1998.
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ABPI
Associação Brasileira dos Professores de Italiano
Diretoria 1994-1997
ABPI
Associação Brasileira dos Professores de Italiano
Diretoria 1997-1999
Presidente: Gina Magnavita Galeffi (Bahia)
1o Vice- Presidente: Heloisa Cheib (Minas Gerais)
2o Vice- Presidente: Flora de Paoli (Rio de Janeiro)
1 o Secretária: Patrizia Collina Bastianetto (Minas Gerais)
2 o Secretária: Maria Teresa Albiero (Rio Grande do Sul)
APRESENTAÇÃO
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LO SPECCHIO E LA CONTEMPLAZIONE
(PARADISO XXI)*
Gabriele Muresu**
* È il testo, ampliato e annotato, di una conferenza facente parte di un ciclo di letture dantesche da
me tenute nel marzo 1995 presso l’Istituto italiano di cultura di Tokyo.
Le citazioni dantesche sono tratte dalle seguenti edizioni: La Commedia secondo l’antica vulgata,
a c. di G. Petrocchi, Milano, Mondadori, 1966-67; Convivio, a c. di C. Vasoli e D. De Robertis, in
D. ALIGHIERI, Opere minori, t. I – p. II, Milano-Napoli, Ricciardi, 1988. Le citazioni dai com-
menti alla Commedia sono tratte dalle seguenti edizioni, non specificamente indicate nelle singo-
le note: IACOPO DELLA LANA, Commento..., a c. di L. Scarabelli, Bologna, Tip. Regia, 1866-
67 (relativamente al codice Riccard. 1005, La Divina Commedia nella figurazione artistica... –
Paradiso, Torino, UTET, 1939); PIETRO ALIGHIERI, Commentarium..., a c. di V. Nannuci,
Firenze, Piatti, 1845 (relativamente al codice Laur. Ashb. 841, La Divina Commedia nella
figurazione..., cit.); BENVENUTO DA IMOLA, Comentum..., a c. di G. F. Lacaita, Firenze,
Barbera, 1887; FRANCESCO DA BUTI, Commento..., a c. di C. Giannini, Pisa, Nistri, 1858-62;
GIOVANNI DA SERRAVALLE, Translatio et comentum..., Prato, Giachetti, 1891; P. VENTU-
RI, Livorno, Masi, 1817; N. TOMMASEO, Milano, Pagnoni, 1865; R. ANDREOLI, Firenze,
Barbera, 1884; F. TORRACA, Roma-Milano, Dante Alighieri, 1905; M. PORENA, Bologna,
Zanichelli, 1974; N. SAPEGNO, Firenze, La Nuova Italia, 1985; S. A. CHIMENZ, Torino,
UTET, 1978; U.BOSCO - G. REGGIO, Firenze, Le Monnier, 1979.
** Ordinario di Letteratura Italiana, La Sapienza – Roma.
1
Alla sua permanenza su Saturno Dante riserva l’intero canto XXI e i vv. 1-99 del canto XXII del
11 narrativa altrettanto limitata.
Paradiso: nessun altro cielo occupa un’estensione
MURESU, G. Lo specchio e la contemplazione...
12
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 11-52, 1998.
2
Sembra superfluo, riguardo a questa chiosa, precisare che il poeta, nell’occasione specifica, non fa
alcun cenno agli angeli e che gli spiriti beati non risiedono stabilmente nelle singole sfere celesti;
ritengo comunque condivisibile, nel suo senso complessivo, l’osservazione del commentatore quat-
trocentesco, e tale da ovviare a un rilievo mosso da M. PORENA: “come mai [le anime contemplative]
sono così numerose se i contemplanti in questa vita terrena sono assai pochi?”
13
MURESU, G. Lo specchio e la contemplazione...
dino della scala, non credo possa esser messo in discussione: l’analogia tra
i rispettivi movimenti, rappresentati peraltro con una precisione talmente
dettagliata da non poter esser certo considerata fine a se stessa, è infatti
esplicitamente stabilita dallo scrittore (tal modo parve a me)3.
Tutt’altro che facile è riuscire a comprendere nel suo autentico si-
gnificato la valenza simbolica delle diverse direzioni prese dai beati; men-
tre del tutto chiari, per lo meno a livello letterale, risultano invece i movi-
menti che essi compiono dopo essersi divisi in tre schiere. E appaiono
francamente inspiegabili, o se non altro curiosi, gli equivoci in cui i com-
mentatori, specie moderni, sono per la maggior parte caduti nel tentativo
di definirli. È del tutto evidente, mi sembra, che un gruppo di anime,
dopo la separazione, rientra subito nell’Empireo risalendo lungo la stessa
scala che era servita per la discesa, mentre altre si allontanano, senza
farvi ritorno, dal punto in cui la separazione ha avuto inizio (e appare
scontato che anch’esse, ma evidentemente seguendo un percorso non ret-
tilineo, dopo un certo tempo rientrino in quella che è la loro stabile dimo-
ra). Un terzo gruppo, infine, si ferma roteando in segno di giubilo sullo
scalino da cui gli altri spiriti si sono allontanati; e poichè di quest’ultimo
fanno parte – né potrebbe essere diversamente – anche le due anime con
cui il pellegrino ha modo di dialogare a lungo, tutto lascia presumere che
la separazione avvenga nelle immediate vicinanze del luogo in cui egli si
trova.
Ritengo perciò del tutto improprio (anzi, per meglio dire, decisa-
mente sbagliato) sostenere, secondo quella che è la spiegazione più accre-
ditata, che tra i beati che non fanno immediato ritorno nell’Empireo – cito
per tutti il commento di Manfredi Porena – alcuni “scendano verso Dante
[...], e altri restino lì dov’è avvenuta la separazione dei gruppi”; non è infat-
ti sostenibile che coloro che si accostano al pellegrino corrispondano, sem-
pre per stare allo stesso commentatore, “alle pole sanza ritorno, cioè che
3
Di differente avviso si dichiara invece U. BOSCO, secondo cui “non sempre in Dante tutti gli elementi
d’un termine della comparazione hanno riscontro nell’altro termine” (così nel commento al poema
curato insieme a G. REGGIO); ma a rendere ancor più stringente la correlazione tra i due membri
della similitudine contribuisce, tra le altre cose, la presenza in entrambi dell’avverbio insieme.
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 11-52, 1998.
non tornano donde son venute”, dal momento che il poeta esplicitamente
afferma che esse vanno via, vale a dire si dipartono dal luogo in cui si sono
divise dalle compagne4.
Che gli spiriti contemplanti debbano, al contrario, esser fatti corri-
spondere agli uccelli che roteando fan soggiorno lo si ricava, tra l’altro,
anche dal fatto che Pier Damiano, a un certo punto del suo colloquio con
Dante, comincia a girare su se stesso come veloce mola (v. 81); e si noti che
la stessa movenza rotatoria è assunta anche dagli altri beati fermatisi sulla
scala, dopo che il loro eminente collega ha severamente censurato la dege-
nerazione dei moderni prelati:
4
Altrettanto arbitraria risulta la seguente spiegazione, proposta da S.A. CHIMENZ e da qualche
altro commentatore: alcune delle anime “risalirono senza tornare, altre si fermarono a quello
scalino, altre si aggirarono intorno ad esso”.
5
Su questa linea sono, in particolare, F. P. LUISO (Il canto XXI del Paradiso, Firenze, Sansoni,
1912, p. 25-27) e M. PECORARO (Canto XXI , in AA. VV., Paradiso, Firenze, Le Monnier,
1968, p. 751 – “Lectura Dantis Scaligera”). Non si vede, tuttavia, per quale motivo il poeta
avrebbe dovuto considerare la contemplazione una prerogativa dei soli monaci; senza contare
che niente affatto corrispondente alla tripartizione dantesca è la suddivisione in quattro gruppi
(cenobiti, anacoreti, sarabaiti e girovaghi: i quali ultimi, è cosa nota, conducevano una vita estre-
mamente censurabile e comunque tutt’altro che contemplativa) proposta da Pecoraro.
15
MURESU, G. Lo specchio e la contemplazione...
6
Il passo del Benjamin maior (I 5) era certamente noto a Dante, dal momento che ad esso aveva
fatto esplicito riferimento san Tommaso nella quaestio della Summa theologica dedicata alla vita
contemplativa (II-II CLXXX 6). Non ritengo, tuttavia, che esso possa essere considerato – così
come sostiene E. G. GARDNER in Dante and the Mystics, London, J. M. Dent & Sons, 1913, p.
173-174 – una fonte diretta della similitudine dantesca; si tenga conto, tra l’altro, che sull’analo-
gia tra la contemplazione e il volo degli uccelli RICCARDO DI SAN VITTORE aveva posto
l’accento anche in altri luoghi dello stesso trattato; sia sufficiente, in proposito, citare il passo
seguente: “Contemplatio libero volatu, quocumque eam fert impetus, mira agilitate circumfertur.
Cogitatio serpit, meditatio incedit et ut multum currit. Contemplatio autem omnia circumvolat, et
cum voluerit se in summis librat” (I 3; P. L. CXCVI 66).
7
Il brano in questione è dettagliatamente analizzato nell’art. 6 della quaestio citata nella nota
precedente; ma ancor più puntuale ed estesa è la discussione da san Tommaso al riguardo svilup-
pata in uno dei suoi opuscoli teologici: In librum Beati Dionysii de divinis nominibus Commentaria,
cap. IV, lect. VII.
16
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8
A questa stessa distinzione fanno riferimento, ma senza che l’indicazione venga in alcun modo
sviluppata, i commenti di F. Torraca e C. Steiner; va anzi detto che entrambi gli esegeti, pur
interpretando correttamente le movenze delle pole, attribuiscono ai beati dei movimenti in larga
parte arbitrari.
9
A beneficio del lettore, credo sia opportuno riportare nella sua integralità il passo dionisiano così
come lo leggeva san Tommaso (la citazione, relativa all’opuscolo menzionato nella nota 7, è
tratta da Opera omnia, Parma, Fiaccadori, 1864, t. XV, p. 309): “Motus angelorum et animarum
quales sint. Et moveri quidem dicuntur divinae mentes circulariter quidem unite sine principiis,
et interminabilibus illuminationibus pulchri, et boni; in directum autem quando procedunt ad
subiectorum providentiam, recte omnia transeuntes; oblique autem quando et providentes minus
habentibus ingressibiliter manent in identitate circa identitatis causam, pulchrum et bonum,
indesinenter circum chorum agentes. Animae autem motus circularis quidem est ad se ipsam
introitus ab exterioribus et intellectualium ipsius virtutum uniformis convolutio, sicut in quodam
17
MURESU, G. Lo specchio e la contemplazione...
dalla necessità di adeguare lo spunto di cui qui si tratta alle esigenze del
proprio racconto (che, come tutto lascia intendere, ha nella circostanza per
protagonisti non certo degli angeli o degli esseri viventi, bensì esclusiva-
mente delle anime beate), ben maggiore rilievo sembrano invece avere al-
tre differenziazioni.
1.4. Dal complesso, e per tanti versi criptico, discorso che l’Aquinate
sviluppa commentando il passo di Dionigi si ricava che la vera contempla-
zione è raffigurata soltanto dal movimento circolare, mentre il percorso
retto (e in fondo anche quello obliquo, che risulta essere una combinazione
degli altri due)10 è piuttosto da considerare come lo strumento di cui le
intelligenze angeliche si servono per venire in soccorso degli esseri – gli
uomini in primo luogo – che ad esse sono soggetti11. Parzialmente diversa,
a livello di rappresentazione poetica, mi sembra invece la posizione di Dante,
se è vero che in molti cieli del Paradiso, ivi compreso Saturno, proprio
ruotando vorticosamente i beati discesi ad incontrarlo (e corrispondenti,
mutatis mutandis, agli angeli della disquisizione tomistica e dionisiana)
manifestano la propria allegrezza per essere stati messi in grado di aiutarlo
a raggiungere il suo scopo provvidenziale: il che naturalmente non esclude
circulo, non errare ipsi largiens, et a multis exterioribus ipsam convertens et congregans, primum
ad seipsam, deinde sicut uniformem factam uniens unitive unitis virtutibus, et ita ad pulchrum
et bonum manuducens, quod est super omnia existentia, et unum et idem, et sine principio, et
interminabile. Oblique autem anima movetur, inquantum secundum proprietatem suam divinis
illuminatur cognitionibus, non intellectualiter et singulariter, sed rationabiliter et diffuse, et
sicut commixtis et transitivis operationibus. In directum autem, quando non ad seipsam ingressa
et singulari intellectualitate mota (hoc enim est, sicut dixi, secundum circulum) sed ad ea quae
sunt circa seipsam progreditur, et ab exterioribus, sicut a quibusdam signis variatis et
multiplicatis, ad simplices et unitas sursum agitur contemplationes.” Per le varie redazioni del
testo si rinvia a Dionysiaca, recueil donnant l’ensemble des traductions latines des ouvrages
attribués au Denys de l’Aréopage..., s. l. [Bruges], Desclée de Brouwer & C.ie, s. d. [1937-
1950].
10
Si tenga conto che il termine greco in proposito impiegato è ‘elikoeide’ che significa propriamen-
te ‘a spirale, elicoidale’.
11
“ ‘In directum’ moventur angeli ‘quando procedunt ad subiectorum providentiam, recta omnia
transeuntes’, idest secundum ea quae secundum rectum ordinem disponuntur” (Summa theol. II-
II CLXXX 6; la prima parte di questo passo è, come si vede, una citazione di Dionigi).
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In linea retta procedono ovviamente i beati che scendono lungo la scala apparsa su Saturno; ed è
da presumere che altrettanto abbiano in precedenza fatto le anime che hanno di volta lasciato
l’Empireo per incontrare Dante. E, solo per limitarci a un solo altro esempio, è con un duplice
movimento rettilineo – prima orizzontale e poi verticale – che Cacciaguida, nel cielo di Marte,
raggiunge il suo discendente ai piedi della Croce (Par. XV 19-24); ma è muovendosi principal-
mente in senso circolare che i beati mostrano la loro gioia per poter soccorrere il pellegrino.
13
Ciò, sul fondamento di un passo scritturale, anch’esso citato nell’art. 6 della quaestio dedicata
alla vita contemplativa: “Intrans in domum meam conquiescam cum illa” (Sap. VIII 16).
14
Nel medesimo art. 6 l’Aquinate rinvia a quanto in precedenza da lui stesso affermato, con espli-
cito riferimento al De anima di l’Aristotele, nella quaestio CLXXIX 1: “contemplatio habet quietem
ab exterioribus motibus; nihilominus tamen ipsum contemplari est quidam motus intellectus,
prout quaelibet operatio dicitur motus”.
15
Summa theol. II-II CLXXX 6.
16
Per l’esame dell’intera questione, si veda il commento al Convivio di C. VASOLI, in D.
ALIGHIERI, Opere minori, Milano-Napoli, Ricciardi, 1988, t. I, parte II, p. 150-154.
19
MURESU, G. Lo specchio e la contemplazione...
una risposta, a ben vedere, tutta finalizzata a sottolineare come la vera con-
templazione sia attuabile soltanto nella stasi assoluta, garantita ab aeterno,
dell’Empireo, unico luogo (più corretto sarebbe anzi definirlo “non-luogo”)
privo di qualsiasi dimensione spaziale e temporale. Ed è comunque signifi-
cativo che per ben due volte, nei primi cinque versi del passo ora citato, san
Benedetto ribadisca come ogni essere che vi risiede sia immune da qualsiasi
desiderio, viva cioè una condizione non distratta da alcun moto appetitivo.
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2. Il tirocinio
2.1. Per tornare, ora, alle anomalie che la sosta su Saturno presenta,
non penso che il mancato sorriso di Beatrice e l’inaspettato tacersi della
consueta sinfonia di paradiso (v. 59) dipendano, secondo un luogo comune
ripetuto da molti esegeti, dall’intenzione di Dante di conformare la temperie
del settimo cielo all’austerità e al silenzio che la vita contemplativa com-
porterebbe17. Va detto, al contrario, che egli ha di quest’ultima un’idea niente
17
Così, tra gli altri, F.P. LUISO, che ricorda l’imposizione al silenzio prevista dalle Costituzioni
camaldolesi (op. cit., p. 37), e M. PECORARO, che si rifà invece alla Regola benedettina (op. cit.,
p. 749). Sulla stessa linea – per certi aspetti risalente a FRANCESCO DA BUTI, secondo cui i beati
di Saturno sono dal poeta rappresentanti “non [...] ridenti, ma sobri, modesti nelli atti” – è anche F.
MESINI, Il canto XXI del Paradiso, “Letture classensi”, 3, Ravenna, Longo, 1970, p. 329, 333.
21
MURESU, G. Lo specchio e la contemplazione...
18
A proposito di quest’ultimo verso, si noti come la forte assillabazione sia finalizzata a rendere ancor
più esplicita la coincidenza tra contentezza e contemplazione (ritengo sia perciò da respingere la
proposta esegetica di S. A. CHIMENZ, che attribuisce a contento il valore di ‘contenuto, racchiuso,
raccolto’). Occorre, tra l’altro, considerare che nel seguito del passo scritturale citato da san Tommaso
al fine di precisare le peculiarità della contemplazione (vedi la nota 13) si fa esplicito riferimento
alla letizia e alla gioia: “non enim habet amaritudinem conversatio illius, nec taedium convictus
illius, sed laetitiam et gaudium” (Sap. VIII 16); ed è appunto questa la caratteristica messa in risalto
da alcuni scrittori cristiani come ISIDORO DI SIVIGLIA (“vita [...] contemplativa, quae vacans ab
omni negotio, in sola Dei dilectatione defigitur”; Different. II 34, P. L. LXXXIII 90) e RICCARDO
DI SAN VITTORE, secondo cui “proprium itaque est contemplationi iucunditatis suae spectaculo
cum admiratione inhaerere” (Benjamin maior I 4; P. L. CXCVI 68).
19
In nessuna delle precedenti tappe del percorso paradisiaco Dante era stato privato del sorriso di Beatri-
ce; e lo stesso può dirsi delle melodie celestiali, anche se è giusto ricordare che talvolta (si veda, per
esempio, Par. XIV 124-126) egli era riuscito a comprendere soltanto qualche parola dei canti intonati.
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non era ancora preparato a sostenerli lesioni non sanabili, deve necessaria-
mente essere messa in rapporto con la peculiare caratteristica di Saturno, i
cui influssi stimolano appunto a una pratica di vita che più di ogni altra si
avvicina al grado della beatitudine eterna. Si comprende perciò come mai a
Dante vengano evitati traumi irreparabili; né tanto meno deve sorprendere
che proprio nel cielo dei contemplanti egli venga messo nelle condizioni
più idonee affinché possa adeguatamente predisporsi, nei limiti ovviamen-
te consentiti alla sua natura ancora mortale, al momento della contempla-
zione suprema.
2.2. Si può anzi dire, a tale riguardo, che la stessa sua permanenza su
Saturno si svolga secondo le modalità di un tirocinio vero e proprio. Si
consideri, per cominciare, che nella tradizione cristiana (e in specie nella
letteratura mistica) la scala, con i suoi gradini, è l’emblema più ineccepibi-
le, oltre che della contemplazione, dell’addestramento necessario per giun-
gere ad essa20. Né certo è casuale che tanta parte del viaggio ultraterreno di
cui il poema dà conto, in particolare nella fase ascendente, sia costellata di
scalini (basti pensare alla conformazione dei passaggi rocciosi che collega-
no le diverse cornici del Purgatorio); come pure sintomatico è che Beatri-
ce, appena giunta sul pianeta, si sia metaforicamente riferita ai cieli già
visitati come alla scale / dell’etterno palazzo (vv. 7-8)21.
20
È davvero impossibile (oltre che superfluo, per lo meno in questa circostanza) elencare gli scrit-
tori, soprattutto mistici, che si sono serviti di quest’immagine, a tutti suggerita dal racconto biblico
– cui fa esplicito riferimento anche il san Benedetto di Dante (Par.XXII 70-72) – della scala
apparsa in sogno a Giacobbe (Gen. XXVIII 10-15). Basterà solo ricordare che in età medievale
numerosi monasteri certosini e cistercensi erano chiamati “Scalae Dei”; e dato il particolare con-
testo in cui la similitudine delle pole è inserita, può forse risultare di qualche interesse citare due
passi del De Trinitate di RICCARDO DI SAN VITTORE in cui si parla delle comparazioni come
di una scala che può consentire di innalzarsi a coloro che non hanno le ali per volare: “ubi ad alta
quidem ascendere volumus, scala quidem uti solemus, nos qui homines sumus et volare non
possumus. Rerum ergo visibilium similitudine pro scala utamur [...]. Quando ad sublimium et
invisibilium investigationem et demonstrationem nitimur, similitudinum scala libenter utimur, ut
habeant qua ascendere possint, qui contemplationis pennas nondum acceperint” ( V 6, VI 23; P.L.
CXCVI 952, 988).
21
La stessa metafora, sempre in riferimento al terzo regno dell’oltretomba, era già stata impiegata da san
Tommaso nel cielo del Sole: “quella scala / u’ sanza risalir nessun discende” (Par. X 86-87).
23
MURESU, G. Lo specchio e la contemplazione...
22
L’uso del futuro (ti sarà parvente) induce a ritenere che la scala, nel momento in cui Beatrice
parla, non si sia ancora formata; ciò, a parte ogni altra considerazione, rende del tutto improbabi-
le l’ipotesi, avanzata da F. FLAMINI (Il canto di Pier Damiano. Saggio d’esegesi dantesca, “La
rassegna”, s. III, I, 1916, 6, p. 412) e da E. H. WILKINS (Dante’s Celestial “Scaleo”: Stairway
or Ladder?, “Romance Phililigy”, IX, 1955, p. 216-222; ora in The Invention of the Sonnet and
Other Studies in Italian Literature, Roma, Ed. di Storia e Letteratura, 1959, p. 119-128), secondo
cui la scala, a differenza della croce e dell’aquila che si erano rispettivamente formate su Marte e
su Giove, rappresenterebbe una realtà permanente del cielo di Saturno. E non mi sembra avere
alcun fondamento testuale neppure la tesi di G. RABUSE secondo cui “l’échelle s’élève de la
terre; au ciel de Saturne elle en est donc à son septième étage” (Saturne et l’échelle de Jacob,
“Archives d’Histoire Doctrinale et Littéraire du Moyen Âge”, XLV, 1978, p. 25). Difficilmente
risolvibile appare anche il problema, posto da Wilkins nel saggio appena menzionato, relativo
alla conformazione (scala a pioli o scalinata?) che l’emblema in questione avrebbe assunto nella
fantasia del poeta; si può solo ricordare, ma senza che la cosa abbia un valore dirimente, che nei
codici medievali essa appare per lo più raffigurata come una scala a pioli (e così pure la rappre-
senta Sandro Botticelli in un disegno conservato nel Kupferstichkabinett di Berlino).
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 11-52, 1998.
del settimo cielo: “sù sono specchi, voi dicete Troni” (Par.IX 61)23; né si
può fare a meno di ricordare che Rachele, tradizionale personificazione
della vita contemplativa, secondo quanto il pellegrino ha avuto modo di
apprendere durante l’ultimo sogno da lui fatto in Purgatorio, “mai non si
smaga / dal suo miraglio” (Purg. XXVII 104-105)24.
È dunque evidente che Beatrice considera Dante finalmente pronto a
iniziare in prima persona il tirocinio indispensabile per approdare alla con-
templazione suprema; e si noti, per converso, come nell’Eden la prima
degustazione di una realtà paradisiaca (la percezione della doppia natura di
Cristo) egli l’avesse invece avuta solo indirettamente, riflessa cioè non nei
propri, bensì negli occhi della sua donna, anche in quel caso significativa-
mente paragonati a uno “specchio”(Purg. XXXI 121-126)25.
Se così stanno le cose, appare chiaro che anche l’occasione che il
pellegrino ha di ammirare – sia pur per pochi istanti e senza comunque
riuscire a vederle nella loro autentica fisionomia – tutte le anime del Para-
diso, deve essere valutata come parte integrante del suo noviziato. Lo stes-
so, ovviamente, può dirsi delle parole, su cui mi sono già soffermato, che
san Benedetto pronuncia riguardo a ciò che soltanto la perfetta immobilità
dell’Empireo può garantire: il che, lo si vedrà più oltre, vale anche per
quanto Pier Damiano dice circa la natura della contemplazione e i limiti cui
persino gli angeli e i beati debbono sottostare.
In tale ottica si capisce dunque perché il pellegrino, fatto tesoro del-
l’addestramento e perciò autorizzato a mettersi al seguito degli spiriti con-
templanti, abbanoni il planeta non in elevazione aerea, bensì salendo, spin-
tovi da Beatrice “con un sol cenno” (Par. XXII 101), i gradini della scala
23
E si ricordi anche quando Dante, sempre alludendo ai Troni, dichiara all’Aquila del cielo di
Giove: “Ben so io che, se ‘n cielo altro reame / la divina giustizia fa suo specchio, / che ‘l vostro
non l’apprende con velame” (Par. XIX 28-30).
24
Diverso, nell’ambito dello stesso sogno, è l’atteggiamento di Lia, sorella di Rachele e simbolo
della vita attiva: anch’essa è sorpresa davanti allo specchio, ma con uno scopo pratico ben preci-
so, quello di “addornarsi” (ivi 103).
25
Tra le due situazioni, pur tra loro profondamente differenti, c’è dunque una qualche analogia; e
forse non è una coincidenza fortuita che il XXXII canto del Purgatorio, che segue immediata-
mente la visione di cui si è appena detto, e il XXI del Paradiso abbiano due incipit molto simili:
“Tant’eran li occhi miei fissi e attenti”; “Già eran li occhi miei rifissi al volto”.
25
MURESU, G. Lo specchio e la contemplazione...
3. Saturno e il calore
3.1. Dopo la permanenza su Saturno Dante si ritrova dunque abilita-
to a cogliere, a un grado di elevazione mai prima sperimentato, alcuni tra i
più sublimi effetti luminosi e sonori che il Paradiso irradia; e come anche
dimostra la trionfale visione che gli viene elargita nell’ottavo cielo, ciò
implica che egli, pur con tutti i limiti che il suo stato di vivente comporta,
sia stato messo in grado di partecipare alla contemplazione beatifica.
A bene intendere nelle sue varie implicazioni l’autentico significato
di questo particolare momento, è tuttavia indispensabile cercare di definire
quale sia la concezione che lo scrittore ha maturato riguardo alla vita con-
templativa praticabile sulla terra e alla stessa beatitudine celeste; ed è ine-
vitabile, a tale proposito, tentare in primo luogo di decifrare il senso della
precisazione di ordine astronomico che Beatrice sente il bisogno di fornire
al suo discepolo nell’aggiornarlo sul cammino compiuto:
26
“Apri li occhi e riguarda qual son io: / tu hai vedute cose, che possente / se’fatto a sostener lo riso
mio” (Par. XXIII 46-48): è evidente che Beatrice si riferisce qui, in primo luogo, allo straordina-
rio spettacolo, cui il pellegrino ha appena assistito, del trionfo di Cristo; ma è altrettanto chiaro
che tale visione è stata resa possibile solo perché egli ha superato il tirocinio di cui si è detto.
26
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 11-52, 1998.
27
Sia sufficiente ricordare quanto, in proposito, scrive F. P. LUISO: “sotto questa virtù mista di
opposte influenze [...] vi sono uomini che sanno le due vie della vita, che alternano l’estasi serena
della contemplazione con l’ardore e con l’impeto dell’azione [...]; anime contemplative che so-
spinte da ardente zelo del prossino abbandonano la solitudine e si fanno apostoli tra le genti
affrontando le battaglie della vita attiva” (op. cit, p. 16). Quest’impostazione critica è condivisa
da molti esegeti, trai quali G. RABUSE, che la rilancia appoggiandola a un passo della Mathesis
di Firmico Materno, a suo avviso sicuramente noto a Dante: “Saturnus enim in Leone positus
animas eorum qui sic se habuerint in terra, innumeris angustiis liberatas ad caelum et ad originis
suae primordia revocat” (V 3 22); non vedo, tuttavia, in che modo queste parole possano essere
lette “comme une illustration anticipée des vies de Pier Damien et de saint Benoît, les contemplatifs
choisis semble-t-il par Dante pour concrétiser son idéal d’une vie contemplative qui, en des
exercices de vie active et apostolique, tire sa force spirituelle de la confrontation avec les mystères
christologiques et trinitaire à la fois” (op. cit, p. 21).
28
Si ricordi che con il termine “speculazione” s’intendeva originariamente l’osservazione dei mo-
vimenti stellari mediante l’aiuto di uno specchio (in latino speculum); ed è forse questo il motivo
per cui Dante, nel Convivio, dove i termini “speculazione” e “contemplazione” sono talvolta
ancora impiegati come sinonimi, paragona il settimo cielo all’Astrologia (II XIII 28). Si conside-
ri inoltre che Saturno, per il pensiero ermetico, è simbolo del piombo che, come il poeta ben
sapeva, era impiegato nella costruzione degli specchi (ivi III IX 8; Inf. XXIII 25; Par. II 89-90);
e chissà che non dipenda anche da ciò il fatto che il pianeta sia chiamato specchio al v. 18 di
questo canto.
27
MURESU, G. Lo specchio e la contemplazione...
Sta di fatto che nel caso specifico nessun esplicito riferimento è dato
reperire alla complessione fredda di Saturno, di cui, al contrario, è solo
evidenziato il congiungimento con la più calda delle costellazioni; e una
funzione chiaramente metaforica per mettere in rilievo la straordinaria tra-
sparenza del cielo in questione – equivalente alla limpidezza mentale indi-
spensabile per raggiungere il grado contemplativo – ha, a mio avviso, an-
che un termine come cristallo (v. 25), che non credo sia stato impiegato
perché derivante dal sostantivo che in greco designa il ghiaccio (senza con-
tare che quello di “cristallino” è un epiteto riferibile a ogni sfera celeste e
ascrivibile per antonomasia al Primo Mobile)29.
Non mi sembra quindi che ci sia, da parte del poeta, alcuna volontà
di coniugare, al fine di renderli complementari, due elementi tra loro contrap-
posti come il freddo e il caldo; vero è piuttosto che predominante – in
questo e nel canto successivo, anch’esso per larga parte dedicato alla sosta
su Saturno – è l’insistenza sul motivo poetico del calore e la parallela espan-
sione del campo semantico corrispondente, cui risultano attinenti verbi come
accendersi (v. 8), scaldare (v. 36), sfavillare (v. 41), fervere (v. 68), fiam-
meggiare (vv. 69, 88), sostantivi quali fiamma (v. 90) e fiammelle (v. 136),
e gli aggettivi ardente (v.14) e caldo (v. 51; impiegato, con valore di so-
stantivo, anche al v. 116).
Tutt’altro che isolata o puramente convenzionale risulta dunque la
sottolineatura della più tipica peculiarità del Leone, per l’appunto definito
ardente, specie se si considera che tale è anche il valore semantico da attri-
buire al sostantivo serafino, ricorrente al v. 9230; si ricordi, inoltre, che
persino le pole sono rappresentate nell’atto di riscaldare, con i loro movi-
menti, le penne intirizzite dal gelo notturno.
29
Non è da escludere che Dante, nella scelta di questa metafora, abbia tenuto conto del fatto che il
cristallo, per la sua capacità di attirare lo sguardo di chi osserva e spingerlo alla meditazione, è
simbolo tradizionale di limpidezza della mente.
30
Il termine “seraphin”, appartenente al latino ecclesiastico, risale al plurale ebraico “seraphim”,
che significa appunto “gli ardenti” (da “saraph”, “ardere”). Tale etimologia è accolta anche da
SAN TOMMASO: “Cherubim interpretur plenitudo scientiae; Seraphim autem interpretatur
ardentes sive incendentes” (Summa theol. I LXIII 7); ed è anche da notare che nella Hierarchia
Alani la più alta gerarchia angelica è fatta corrispondere ai “contemplativi” (cfr. ALAIN DE
LILLE, Textes inédits, a c. di M. Th. d’Alverny, Paris, Vrin, 1965, p. 230).
28
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 11-52, 1998.
Motivo poetico, questo del calore rovente, su cui pone l’accento an-
che san Benedetto quando, dopo aver rimarcato la “carità che [...] arde” nel
petto di tutti i beati (Par. XXII 32), accenna agli spiriti che gli sono accanto
in termini che appaiono in proposito quanto mai rivelatori:
31
Homil. in Ezech. II 2 (P. L. LXXVI 954); e si legga, sempre dallo stesso testo, anche il seguente
passo: “Contemplativa vero vita est [...] ab exteriori actione quiescere, soli desiderio conditoris
inhaerere, ut nihil iam agere libeat, sed, calcatis curis omnibus, ad videndam faciem sui Creatoris
animus inardescat” (ivi 953).
29
MURESU, G. Lo specchio e la contemplazione...
32
Il concetto è poi ribadito in un altro luogo dello stesso trattato (IV XXII 13).
33
Nell’affermare che la vita contemplativa, in quanto assimilabile alla beatitudine eterna, è miglio-
re della vita attiva, l’Aquinate aveva tuttavia sentito la necessità di precisare che quest’ultima,
“quantum ad hanc partem quae saluti proximorum studet, est utilior quam contemplativa”
(Comentum in III Sent., dist. XXXV, q. 1, a. 4, quaestiunc. 3; in Opera omnia, t. VII, Parma,
Fiaccadori, 1857, p. 406); e si legga anche ciò che il teologo afferma nelle Quaestiones de quolibet
III, q. VI, a. 3: “bonum publicum praeferendum est bono privato, et vita activa est magis fructuosa
quam contemplativa” (in Opera omnia, t. XXV, vol. II, Roma-Paris, Commissione Leonina – Les
éditions du cerf, 1996, p. 268). È comunque opportuno ricordare che lo stesso teologo aveva in
precedenza trattato il caso – per tanti aspetti analogo a quello di Pier Damiano – di coloro i quali
“abstrahuntur a statu vitae contemplativae et occupantur circa vitam activam: ut patet de illis qui
transferuntur ad statum praelationis”; e non c’è alcun dubbio che nell’occasione specifica Dante
condivida in pieno la conclusione cui san Tommaso era pervenuto: “ad opera vitae activae interdum
aliquis a contemplatione avocatur propter aliquam necessitatem praesentis vitae: non tamen hoc
modo quod cogatur aliquis totaliter contemplationem deserere” (ivi II-II CLXXXII 1).
30
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 11-52, 1998.
34
Sulle negative influenze che il pianeta invia sulla terra si sofferma, tra gli altri, PIETRO
ALIGHIERI: “Saturnus dat hominem esse fuscum, turpem, pigrum, gravem, et turpia vestimenta
non abhorrere, capillos asperos et incultos, et facit melancholicum hominem” (e si veda anche la
lunga chiosa che a questo aspetto dedica Buti). Sta di fatto che Dante, che pur ne era di sicuro a
conoscenza, ha ignorato tale componente; non trovo perciò condivisibile l’osservazione di E.
AUERBACH secondo cui le limitazioni imposte al pellegrino nel settimo cielo dipenderebbero
dal “carattere oscuro e problematico dell’astro” (Studi su Dante, Milano, Feltrinelli, 1963, p.
107); né, a proposito di tali limitazioni, ritengo sia lecito parlare di “frustrazione” del protagoni-
sta (così C. PERRUS, Il cantoXXI del Paradiso di Dante, “Revue des études italiennes”, XXXIX,
1996, p. 28 ss.), dal momento che nessun senso di delusione egli manifesta nell’accettare le
privazioni che gli sono state imposte come parte integrante del suo tirocinio.
31
MURESU, G. Lo specchio e la contemplazione...
35
Ep. ad Cor.1 XIII 12; percepita “per speculum in aenigmate” era stata la visione della doppia
natura di Cristo che il pellegrino, osservando alternativamente riflesse negli occhi di Beatrice le
due figure animali che compongono il grifone, aveva avuto nell’Eden, quando appunto si trovava
ancora sulla terra.
36
Già Salomone, nel cielo del Sole, aveva espresso lo stesso concetto: in Paradiso “l’ardor [seguita]
la visione” (Par. XIV 41). Quanto all’esperienza quotidiana, sia sufficiente ricordare che per
Andrea Cappellano e per i lirici del Dueceno la passione d’amore sorge spesso come conseguen-
za di ciò che lo sguardo ha percepito: e qualcosa di simile era occorso al pellegrino nel secondo
dei sogni che egli aveva avuto in Purgatorio (rinvio, in proposito, al mio saggio Il richiamo
dell’antica strega, “La rassegna della letteratura italiana” C, 1996, 1, p. 5-38).
32
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 11-52, 1998.
37
Che la beatitudine eterna consista nella capacità di sentire l’amore divino era stato da Beatrice
esplicitamente affermato nel cielo della Luna: gli ospiti dell’Empireo “differentemente han dolce
vita / per sentir più e men l’etterno spiro” (Par. IV 35-36); né ritengo che ciò sia in contradizione
– così come sostenuto da M. Porena - con quanto la donna avrebbe poi dichiarato in Par. XXVIII
109-111, dove l’ “atto che ama” è posto appunto come meta ultima della contemplazione beatifica.
38
Summa theol. II-II CLXXX 7. Mi sembra che la relativa autonomia di Dante rispetto a questa tesi
emerga anche dopo aver ricordato che per l’Aquinate la carità, oltre che principio causale, è
anche termine (e infatti il passo così prosegue: “et quia finis respondet principio, inde est quod
etiam terminus et finus contemplativae vitae habetur in affectu”). D’altronde, che la beatitudine
consista in un atto intellettivo e non volontaristico era stato affermato in una precedente quaestio
dello stesso trattato (I-II III 4-5), comunemente – e a mio avviso alquanto discutibilmente –
considerata la fonte di Par. XXVIII 109-111.
39
Summa theol. II-II CLXXX 2. Altrettanto autonomo da san Tommaso Dante si dimostra per ciò
che concerne i problema, affrontato da Pier Damiano nella parte centrale del suo intervento, della
predestinazione divina; per la trattazione di questo argomento, rinvio al mio saggio Il tema della
predestinazione in “Par.” XXI, che uscirà negli Scritti bibliologici e danteschi in onore di Enzo
Esposito per il settantesimo compleanno, in corso di stampa.
40
Né è concepibile, all’altezza del poema, un impiego del concetto di contemplazione come medi-
tazione intorno alle verità filosofiche, qual è quello che si ricava da due passi del medesimo
trattato (III XI 14, IV II 18).
33
MURESU, G. Lo specchio e la contemplazione...
speculativo sta il fatto che la contemplazione mira non alla conquista di mol-
te certezze, bensì all’approdo, cui pervenire intuitivamente e non per via
analitica e discorsiva, nell’unica essenziale verità che è Dio41.
41
Anche in ciò Dante sembra distinguersi da san Tommaso, se è vero che quest’ultimo, nel com-
mento all’Ethica Nichomachea (X 7-8), aveva precisato che l’attività speculativa coincide so-
stanzialmente con la contemplazione (cfr. la ‘voce’ redazionale speculazione, in Enciclopedia
dantesca, V, p. 371). Riguardo a tale aspetto mi sento perciò di dissentire da M. AURIGEMMA,
che in un saggio per tanti versi davvero pregevole (Il canto XXI del “Paradiso”, in AA. VV.,
Paradiso, Roma, Bonacci, 1989, p. 553-572), impiegando talvolta come sinonimi i termini “me-
ditazione” e “contemplazione”, non sembra tenere nel dovuto conto il valore mistico-amoroso e
non intellettualistico che la seconda ha per Dante. Decisamente difforme da quello qui proposto
è poi l’approccio critico di R. RAMAT, che nel suo intervento utilizza ad ogni piè sospinto il
termine “logico”, spesso accoppiandolo, con effetti ossimorici, ad appellativi quali “lirico, misti-
co, religioso, ecc.” (“Paradiso”, XXI, in Il mito di Firenze e altri saggi danteschi, Messina-
Firenze, D’Anna, 1976, p. 169-189).
42
E nel passo immediatamente successivo è anche detto che la teologia è “sanza macula di lite” e
“perfettamente ne fa il vero vedere nel quale si cheta l’anima nostra” (ivi 20).
34
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 11-52, 1998.
43
Alcuni commentatori, nel tentativo di mitigare il senso complessivo delle gravi accuse nella cir-
costanza mosse da Beatrice, hanno sostenuto che il verbo “mentire”, ricorrente al v. 100 del canto
in questione, aveva ai tempi di Dante “un valore meno forte di quello che ha ora” (così, per
esempio, U. BOSCO - G. REGGIO); ma lo stesso concetto viene ampiamente ribadito nei versi
successivi mediante l’impiego che la donna fa di termini come “favole” e “ciance” (ivi 104, 110);
mentre i fedeli che tali ciance sono costretti ad ascoltare sono da lei paragonati a “pecorelle [...]
pasciute di vento” (ivi 106-107). Vero è, d’altra parte, che già nel corso dell’esame sulla carità
san Giovanni, pur se in tono meno violento, aveva polemizzato con chi sosteneva che egli era
stato assunto in cielo con tutto il corpo (Par. XXV 122-129); e a non considerare impossibile tale
eventualità c’era stato, tra gli altri, anche l’Aquinate (cfr. Summa theol., Suppl. III LXXVII 1).
35
MURESU, G. Lo specchio e la contemplazione...
4.3. Ciò, naturalmente, non comporta che Dante debba esser consi-
derato un mistico a tutti gli effetti; e questo non tanto perché egli respinga
l’eventualità del rapimento estatico, dell’annullamento della propria per-
sona, dell’abbandono di tutto se stesso in Dio (che anzi, non lo si dimenti-
chi, è il fine ultimo del suo viaggio). Vero è, tuttavia, che la missione affi-
datagli dalla divina provvidenza, imponendogli di farsi messagero nel mondo
della parola di Dio e quindi di rimanere sempre vigile e in pieno possesso
di tutte le proprie facoltà intellettuali, gli vieta, per ciò che riguarda l’im-
mediato, di mirare a quel traguardo.
Né, tanto meno, se si considera che il poeta è stato investito del com-
pito di rigenerare l’umanità corrotta, si può pensare che egli, al pari dei
44
Tale, a mio parere, è il senso delle parole pronunciate da Beatrice prima di dare avvio alla sua
dissertazione: “a questo segno / molto si mira e poco si discerne” (Par. VII 61-62); che Beatrice,
pur senza fare ad essa esplicito riferimento, intenda correggere la tesi anselmiana ho cercato di
dimostrare nel saggio Le “vie”della redenzione (“Paradiso”VII), “La rassegna della letteratura
italiana”, XCVIII (1994), 1-2, p. 5-19.
36
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 11-52, 1998.
45
A dimostrazione dell’intreccio esistente tra i campi semantici della luce e del calore, è da notare
che tale sostantivo è qui riferito alla fiamma; e anche due verbi come accendersi e sfavillare
possono, con ogni evidenza, essere considerati inerenti ad entrambe le aree.
46
Non è da escludere l’eventualità che tale aggettivo sia stato impiegato anche al v. 26 come appel-
lativo del duce Saturno: una lezione accolta da M. Casella oltre che dalla maggior parte delle
edizioni critiche precedenti la 21, e giudicata dalla stesso G. PETROCCHI (che pur mostra di
prediligere la variante caro) “ammissibilissima”.
37
MURESU, G. Lo specchio e la contemplazione...
volto di Beatrice47. Evidentemente connessi con l’idea della luce sono poi
anche due termini, sui quali mi sono già soffermato, come specchio e cri-
stallo; né mi sento di respingere l’ipotesi, avanzata da Francesco Torraca,
che la scala apparsa sul pianeta, per il modo in cui viene descritta (di color
d’oro in che raggio traluce – v. 28), abbia non la concretezza del metallo
più prezioso, bensì la consistenza diafana della luce48.
Quanto al secondo dei campi semantici qui presi in esame, anch’es-
so risulta adeguatamente sviluppato in ragione, oltre che delle undici
attestazioni del verbo vedere (vv. 9, 29, 31, 45, 49, 50 – due volte –, 73, 85,
86, 136)49, della presenza di termini, alcuni dei quali anch’essi ricorrenti
più volte, come occhio (vv. 1, 16, 92), viso (vv. 20, 61; usato, come spesso,
nel senso di ‘capacità visiva’), vista (vv. 89, 96), riguardare (v. 101). Ap-
partenenti alla stessa area, in quanto sempre qui esplicitamente riferiti alla
vista, sono poi l’imperativo ficca (v. 16) e i participi rifissi (v. 1) e fisso (v.
92); si consideri, infine, che il verbo parere è in tre casi utilizzato nell’ac-
cezione di ‘apparice visibile’ (vv. 18, 33, 40), e che l’infinito cernere (v.
76), qui impiegato nel senso di ‘comprendere”, ha in latino anche il valore
semantico di ‘vedere distintamente’.
47
Nella stessa accezione sono nel canto utilizzati anche il sostantivo bellezza (v. 7) e l’aggettivo
belle (v. 138).
48
“Non dice: ‘d’oro percosso da raggio di sole’ (Par. XVII 123); ma di color d’oro, e credo traluce
abbia il senso suo proprio; che lo scaleo sia dal poeta imaginato diafano ‘sì che per ogni lato lo
passi lo raggio’ (Conv.III X 4), perché rappresenta la contemplazione; la quale ‘è più piena di
luce spirituale, che altra cosa, che quaggiù sia’ (ivi IV XXII 17), e solo in cielo è perfetta perchè
non turbata, non offuscata dalle cure e da’ bisogni della terra, ‘senza mistura alcuna’. I corpi ‘del
tutto diafani non solamente ricevono la luce, ma quella non impediscono, anzi rendono lei del
loro colore’ (ivi III VII 4); dunque lo scaleo non era altro che luce dorata”. Trovo scarsamente
persuasivi gli argomenti addotti da F. BRAMBILLA A. per contestare tale interpretazione, dalla
studiosa considerata troppo complicata (Il verbo ‘tralucere’ nella “Divina Commedia”, “Studi
danteschi”, XLVII, 1970, p. 5-14).
49
Tale verbo potrebbe essere stato impiegato, con valore di sostantivo, anche al v. 11; A. LANZA,
nella sua recente edizione critica della Commedìa (Anzio, De Rubeis, 1995, p. 685), lo preferisce
alla lezione podere.
38
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 11-52, 1998.
50
Con le sue cinque occorrenze (vv. 45, 67, 68, 74, 82), amore deve essere considerato uno dei
termini-chiave del canto; né forse è casuale che le intelligenze preposte a Saturno siano le uniche,
tra le gerarchie angeliche, ad essere definite “amori” quando Beatrice ne descrive l’ordinamento
(Par. XXVIII 103-104). Non credo si possa neppure escludere che la precisazione relativa al
congiungimento del pianeta col petto (v. 14), vale a dire con la sede degli affetti, del Leone sia da
leggere nella stessa chiave interpretativa.
39
MURESU, G. Lo specchio e la contemplazione...
51
Si è rimproverato a Dante l’impiego di verbi come inventrarsi (considerato da N. TOMMASEO
“non bello” e da R. ANDREOLI “così poco conveniente ad un celeste spirito che parla della sua
luce divina”) e mungere, che ancora Tommaseo trova “non gentile, e non proprio, essendo imagine
d’emanazione”, mentre M. PORENA, imputandone l’uso ad esigenze di rima, lo valuta come
modo di dire “un po’ strano, perchè non c’è nessuna idea di sforzo”; mostra invece di aver
pienamente inteso il senso di quest’ultima metafora P. VENTURI, quando osserva che è “come
se la divina essenza fosse una mammella inesausta di luce dolcissima comunicabile agli spiriti
beati”. Ciò considerato, trovo del tutto improponibile, riguardo al primo dei due termini qui
esaminati, la variante m’innentro, in confronto tanto più povera e banale.
40
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 11-52, 1998.
5. Umiltà e ubbidienza
5.1. La preminenza dell’ “atto che ama” sull’ “atto che vede” è pe-
raltro dovuta a una ragione che le sucessive parole del beato, nel ribadire
quanto il pellegrino aveva già appreso nel cielo sottostante, provvedono a
chiarire:
41
MURESU, G. Lo specchio e la contemplazione...
52
Pertinenti a quest’area semantica, per limitarci alla seconda parte del sermo di Pier Damiano,
sono veder (v. 85), veggio (v. 86), vista (vv. 89, 96), occhio (v. 92), riguarda (v. 101).
53
E il pellegrino mostra di avere ben compreso il senso di queste ultime parole (che venivano
peraltro a confermare quanto già in precedenza molti beati avevano affermato), se è vero che egli
dichiara a Pier Damiano di sapere perfettamente che libero amore in questa corte / basta a seguir
la provedenza etterna (vv. 74-75).
42
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 11-52, 1998.
54
Mentre gli antichi interpreti hanno per lo più frainteso il significato del verbo prescrivere, i com-
menti più recenti lo intendono prevalentemente nel senso di ‘limitare, porre un freno’; ma dal
momento che il beato ha appena conferito a Dante il mandato di rapportare al mondo le sue
parole, credo sia lecito attribuire al termine anche l’accezione di ‘ingiungere, intimare’.
55
Sono ben quattro, nel canto, le occorrenze dell’aggettivo mortale (vv.11, 61, 97, 124), che in
almeno tre casi è impiegato per far risaltare le inevitabili limitazioni di chi vive nel mondo ter-
reno.
43
MURESU, G. Lo specchio e la contemplazione...
56
Alcuni commenti intendono tale verbo nel senso di ‘internarsi’ (un termine, quest’ultimo, che
era stato impiegato, in un contesto analogo, dall’Aquila del cielo di Giove – Par. XIX 60); ma mi
sembra che in tal modo venga troppo attenuata la condanna dell’ “oltraggiosa” presunzione uma-
na che il beato sta per pronunciare.
57
“Pier cominciò sanz’oro e sanz’argento, / e io con orazione e con digiuno, / e Francesco umil-
mente il suo convento” (Par. XXII 88-90).
58
Rinvio, in proposito, al saggio menzionato nella nota 44; si vedano, in particolare, le p. 17-19.
44
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 11-52, 1998.
59
Quest’ultimo aspetto è stato messo in rilievo anche da M. AURIGEMMA, che tuttavia lo riconduce
non al motivo dell’umiltà, bensì al topos “dell’obbedienza alla donna, di tradizione trobadorica”
(op. cit., p. 555); né, a proposito dei rapporti che s’instaurano tra Dante e Pier Damiano, parlerei
di “schermaglia intellettuale” (ivi, p. 557), dal momento che il primo mostra nei confronti dell’al-
tro una forma di assoluta subordinazione.
60
Lo stesso ritegno il pellegrino mostrerà anche nei riguardi di san Benedetto: “Io stava come quei
che ‘n sé repreme / la punta del disio, e non s’attenta / di domandar, sì del troppo si teme” (Par.
XXII 25-27).
45
MURESU, G. Lo specchio e la contemplazione...
quella ond’io aspetto il come e ‘l quando / del dire e del tacer (vv. 46-47);
colei che ‘l chieder mi concede (v. 54); né si può escludere che il ritardo da
costei mostrato nell’accordare al suo fedele il proprio beneplacito (si sta, v.
47) sia forse dovuto all’intenzione di metterne alla prova l’ubbidienza.
Si consideri, inoltre, che l’elogio della sottomissione come valore
sommamente positivo torna anche nelle parole che Pier Damiano pronun-
cia; non solo egli si riferisce alle anime beate come a serve che si dimostra-
no sempre pronte (vv. 70-71) a ubbidire alla divina volontà; ma è soprattut-
to sintomatico che nella breve ricostruzione che egli fa della propria esi-
stenza lo spazio maggiore venga dedicato al tempo trascorso al servigio di
Dio (v. 114) nell’eremo di Fonte Avellana; né è un caso che, parlando di
tale monastero come di un luogo ai suoi tempi ancora disposto a quel culto
che solo a Dio è dovuto, egli impieghi un termine derivante dal greco (latria,
v. 111) che gli autori cristiani erano stati concordi nell’interpretare come
“servitus”61.
Un’implicita celebrazione del valore dell’ubbidienza è poi da vede-
re in ciò che il santo afferma riguardo al conferimento, arrivatogli nell’ul-
tima parte della vita, della dignità cardinalizia: una carica niente affatto
ambìta e anzi, come lascia intendere l’espressione da lui in proposito im-
piegata (fui chiesto e tratto a quel cappello – v. 125), accettata quasi con-
trovoglia e per puro spirito di servizio. Come pure paradigmatico, in tale
prospettiva, risulta l’accenno al nome (Pietro Peccator – v. 122) assunto
durante la permanenza presso la chiesa ravennate di Santa Maria ‘in Portu’:
una scelta che Benvenuto, con il consueto acume, ritiene essere stata ap-
punto fatta “gratia summae humilitatis”; e non è da escludere che nel rife-
rirsi alla titolare della basilica in questione come a Nostra Donna (v. 123;
dove il sostantivo, come quasi sempre, equivale a ‘signora, regina’) il bea-
to abbia inteso ulteriormente sottolineare la propria bene accetta condizio-
ne di umile sudditanza nei confronti della Vergine62.
61
Cfr. SANT’AGOSTINO, De civ. Dei X 1; ISIDORO DI SIVIGLIA, Etym. VIII XI 11; SAN
BONAVENTURA, Sent. III IX 2; SAN TOMMASO, Summa tehol. II-II LXXXI 1.
62
Riguardo alla controversa interpretazione dei vv. 121-123, mi sembra del tutto impensabile che
attraverso le parole del beato Dante abbia inteso – come semplice parentesi erudita e al fine di
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 11-52, 1998.
correggere un presunto errore storico – riferirsi a due personaggi tra loro distinti: la cosa, dato
che l’eventuale accenno non viene minimamente sviluppato, non avrebbe alcuna giustificazio-
ne contestuale e romperebbe l’unità del discorso, rafforzata, tra l’altro, dall’articolazione
chiastica della terzina (ragione in più, questa, per interpretare entrambi i fu’ come prima perso-
na singolare). E sarebbe davvero un’ironia della sorte che lo scrittore, intenzionato a chiarire
un equivoco, abbia esattamente ottenuto l’effetto opposto: né si vede perché mai egli avrebbe
dovuto complicare irrimediabilmente le cose, adottando la decisione davvero sconsiderata di
identificare il secondo personaggio proprio mediante il nome col quale, com’è noto, Pier
Damiano era solito firmarsi. Quanto alla straripante letteratura critica che la questione ha ge-
nerato, basterà in questa sede discutere due tra gl’interventi di maggior interesse: l’esemplare
saggio di M. BARBI (Pier Damiano e Pietro Peccatore, “Studi danteschi”, XXIV, 1939, p. 39-
78; poi in Con Dante e coi suoi interpreti, Firenze, Le Monnier, 1941, p. 255-296), dal quale
dissento soltanto per ciò che concerne la rinunzia del personaggio al cardinalato: un fatto che
lo studioso ritiene essere stato ben noto a Dante, mentre io penso che il poeta, se ne fosse stato
a conoscenza, avrebbe senz’altro approfittato dell’occasione in cui contro i prelati vengono
lanciate delle terribili accuse per metterlo in risalto (senza contare che tanto più efficace risulta
la denuncia, se a pronunciarla è qualcuno che – come nei casi di san Tommaso, san Bonaventura
e san Benedetto – fa parte a pieno titolo della categoria contro cui le accuse sono mosse). Più
di recente P. PALMIERI, con il conforto di un’opinione già espressa da Buti, ha proposto di
invertire i due momenti della biografia del beato cui nella terzina si fa cenno, attribuendo
inoltre all’aggettivo peccatore il significato suo proprio: “Lì, a Fonte Avellana, io, Pietro
Damiano, vissi la mia vita da asceta, io che in una casa per chierici annessa alla basilica di
Santa Maria in Fossella, poi detta in Porto fuori, ero stato peccatore. Nel ravennate una vita di
lusso e di distrazione mondana, alle pendici del Catria una vita di silenzio e di contemplazione
ascetica” (Pietro Damiano già peccatore in “Pd.” XXI. 122, “Studi e problemi di critica te-
stuale”, XV, 1977, p. 82-83); ma, a parte l’arbitrarietà dell’inversione cronologica, sarebbe
questo l’unico caso in cui un beato allude alla propria vita peccaminosa; ed è proprio perché la
loro perpetua felicità non venga turbata dal ricordo del male commeso e già espiato che le
anime, prima di salire in cielo, vengono immerse nel Lete; altra cosa, naturalmente, è che Pier
Damiano, con l’intento di esaltare il valore supremo dell’umiltà, rievochi il nome da lui volon-
tariamente adottato.
47
MURESU, G. Lo specchio e la contemplazione...
E infatti l’obesità degli attuali prelati – che egli, con fulminante strin-
gatezza, mediante l’impiego di un solo aggettivo (gravi, v. 132), fa coinci-
dere col loro altezzoso sussiego – non solo contrasta con l’emaciata indi-
genza dei primi apostoli (magri e scalzi – v. 128), ma si rivela del tutto
incompatibile con un tipo di vita mirato allo sviluppo dei pensier contem-
plativi (v. 117). Così, dopo aver posto l’accento sulla ragguardevole altez-
za di quei monti che furono sede del suo eremitaggio (ciò che, sul piano
simbolico, rappresenta il corrispettivo dell’ansia di elevazione spirituale
da cui in vita era stato animato), il beato sente il bisogno di accennare
all’alimentazione vegetariana da lui adottata e alla facilità con cui aveva
sopportato ogni disagio climatico:
Niente affatto accidentale, inoltre, è che egli parli del monte Catria
come di un gibbo (v. 109), vale a dire di un’altura configurata a forma di
gobba, e degli Appennini come di semplici sassi (v. 106; e si noti che anche
il monte della Verna, nella quale il Santo della povertà si era ritirato, era stato
in precedenza definito “crudo sasso” – Par. XI 106)64: la sgraziata deformità
e la spoglia asciuttezza del luogo prescelto per il suo insediamento eremitico,
oltre a rappresentare la più radicale antitesi rispetto al fastoso apparato e
all’ostentata ricercatezza che contrassegnano il comportamento quotidiano
dei moderni prelati, sono evidentemente sentite come il contesto ambientale
più idoneo all’immersione nell’esclusivo pensiero di Dio.
63
I commenti solitamente interpretano il v. 115 nel senso che Pier Damiano avrebbe consumato
soltanto cibi di magro; ma anche l’olio d’oliva, come peraltro già sapeva IACOPO DELLA LANA
(il quale parla di alimenti “quaresemai, condidi con olio, e non cun altro grasso”) è un grasso, sia
pur vegetale; che la dieta del futuro beato, più che magra, fosse stata vegetariana lo avevano ben
capito, tra gli altri, Benvenuto e Serravalle.
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64
Rispondente allo stesso scopo è forse anche la scelta di indicare l’apostolo Pietro col nome di
Cefàs (v. 127), che in aramaico significa appunto “sasso”: in tal modo, la tenace frugalità che il
nome evoca e alla quale il primo pontefice aveva ispirato la propria condotta meglio si contrap-
pone agli smodati eccessi degli attuali dignitari ecclesiastici (un intento di contrapposizione che,
come si dirà più oltre, emerge anche dalla perifrasi con cui è indicato l’apostolo Paolo).
65
Anche Beatrice, col medesimo intendimento, era ricorsa a un inciso analogo: com’hai veduto (v. 9).
66
In tal senso ritengo siano da interpretare i vv. 106-111, dove è detto che il vertice del monte
Catria, di sotto al quale è situato il monastero di Fonte Avellana, supera di molto la regione dei
49
MURESU, G. Lo specchio e la contemplazione...
nella tradizione classica, è segno inconfondibile della collera che Dio ma-
nifesta verso le colpe degli uomini; e non è certo un dato fortuito che di
esso si parli, oltre che nella circostanza testé ricordata, anche in apertura e
in chiusura di canto (vv. 6, 12, 142), come della giusta punizione riservata
a coloro che troppo osano (Semele e lo stesso viator, se non gli fosse ri-
sparmiata la luminosità del sorriso della sua donna), o che, come i moderni
prelati, delinquono67.
Che Dante si sia posto in totale sintonia col suo interlocutore,
interiorizzando in pieno il senso della lezione da questi impartitagli, emer-
ge da alcuni non equivoci segnali: del tutto appropriato, per cominciare, è
che il movimento rotatorio impresso alla luce nella quale Pier Damiano è
racchiuso (e che, lo si è già detto, è espressione di giubilo e insieme di
soccorso caritatevole) venga paragonato a quello di una veloce mola (v.
81); né certo può dirsi che la similitudine risulti, come è sembrato a taluni,
alquanto sconveniente, se è vero che l’immagine evoca il processo di
macinazione del grano ed è perciò allusiva al nutrimento spirituale che il
beato, abbandonando per un momento lo stato contemplativo e mostrando-
si ancora una volta disponibile all’intervento attivo, ha apportato al pelle-
grino68.
tuoni; il riferimento meteorico, che non può certo essere fine a se stesso o avere un valore pura-
mente esornativo, è a mio modo di vedere finalizzato a evidenziare la coincidenza di cui si è
detto. Di diverso avviso è invece G. STABILE, secondo cui Pier Damiano intenderebbe contrap-
porre “la regione dei ‘conflitti’ naturali [...], ma anche dei conflitti umani” alla zona atmosferica
superiore, che simboleggia l’ “elevazione dell’estasi, in totale servitù a Dio” (‘voce’ tuono, in
Enciclopedia dantesca, V, p. 755-756).
67
Non escluderei del tutto che la utilizzazione, all’interno di uno stesso canto, di un termine che nel
poema ricorre appena otto volte possa essere in qualche modo legata al fatto che il cielo di Saturno,
come si è più volte ricordato, è posto sotto la giurisdizione dei Troni. Si potrebbe quasi pensare che
lo scrittore, attraverso questo segnale, abbia voluto dare maggiore evidenza alla correzione da lui
effettuata rispetto a quanto egli aveva sostenuto nel Convivio, dove tale gerarchia risultava assegna-
ta al cielo di Venere (II V 13). Si tratta, naturalmente, di un’ipotesi che è tutta da dimostrare, ma che
appare suffragata dall’essere il XXI del Paradiso l’unico canto in cui il termine, stando almeno
all’edizione Petrocchi, è impiegato – e per ben due volte – proprio nella forma trono (vv. 12, 108).
Si consideri, d’altronde, che l’accostamento paronomastico di “trono” e “tuono” è presente anche
nell’Apocalisse: “et de throno procedebant fulgura et voces et tonitura” (Apoc. IV 5).
68
Secondo L. VENTURI, “una macina col suo girare vertiginoso non sembra convenevole imma-
gine di letizia celeste” (Le similitudini dantesche ordinate illustrate e confrontate, Firenze, Sansoni,
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1874, p. 306); e anche per M. AURIGEMMA la “levità incorporea” del beato risulta “contraddet-
ta da quel che di greve l’immagine della mola evoca” (op. cit., p. 558).
69
L’aggettivo magro ricorre nel poema sette volte, mentre appena quattro sono le occorrenze del
sostantivo cappello.
51
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como un hombre que en el fondo del mar alzara los ojos a la región
del trueno, así la venera y la implora. Le rinde gracias por su
bienhechora piedad y le encomienda su alma. El texto dice entonces:
Così orai; e quella, sì lontana
come parea, sorrise e riguardommi:
poi si tornò all’etterna fontana”
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su pasado, no sintió alguna vez que se había perdido una cosa infi-
nita?
Los hombres han perdido una cara irrecuperable, y todos
querían ser aquel peregrino (soñado en el empireo, bajo la Rosa)
que en Roma ve el sudario de la Verónica y murmura con fe:
Jesucristo, Dios mío. Dios verdadero ¿así era, pues, tu cara?
Una cara de piedra hay en un camino y una inscripción que
dice El verdadero Retrato de la Santa Cara del Dios de Jaén; si
realmente supieramos cómo fue, sería nuestra la clave de la
parábolas y sabríamos si el hijo del carpintero fue también el Hijo
de Dios.
Pablo la vio como una luz que lo derribó: Juan, como el sol
cuando resplandece en su fuerza; Teresa de Jesús, muchas veces,
bañada en luz tranquila, y no pudo jamás precisar el color de los
ojos.
Perdimos esos rasgos, como puede perderse un número mágico,
hecho de cifras habituales; como se pierde para siempre una imagen
en el calidoscopio. Podemos verlos e ignorarlos. El perfil de un
judío en el subterráneo es tal vez el de Cristo: las manos que nos
dan unas monedas en una ventanilla tal vez repiten las que unos
soldados, un día, clavaron en la cruz.
Tal vez un rasgo de la cara crucificada acecha en cada espejo:
tal vez la cara se murió, se borró, para que Dios sea todos.
Quién sabe si esta noche no la veremos en los laberintos del
sueño y no lo sabremos mañana.
59
CANZONIERI, M. B. de. La Divina Commedia ...
I lettori di Jorge Luis Borges, e così anche di molti degli scrittori che
formano il “corpus” del sistema letterario ispanoamericano, hanno impara-
to a eseguire rinnovate letture dei classici della letteratura mondiale attra-
verso le loro opere. In questa breve relazione ci proponiamo di scoprire il
Dante che Borges lesse che ci permetterà ri-scrivere un frammento elabo-
rando un breve racconto di fantascienza:
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 53-62, 1998.
61
CANZONIERI, M. B. de. La Divina Commedia ...
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62
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 63-78, 1998.
BOCCACCIO E LA CREAZIONE DI UN
LETTORE INGEGNOSO:
UNA LETTURA DELLA NOVELLA VI,1 DEL DECAMERON
Andrea G. Lombardi*
* 63 de São Paulo.
Professor de Literatura Italiana da Universidade
LOMBARDI, A. G. Boccaccio e la creazione di un lettore ...
1 Appunti di didattica letteraria, in: Insegnare la letteratura a c. di C. Acutis. Parma: Pratiche Ed.,
1979.
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lezza, di stile, di brio) che, in sé, costituiscono già esempio di prosa lettera-
ria. Difficile stabilire i motivi di questa enorme influenza dello storicismo,
forse legato a un vero e proprio complesso d’inferiorità della cultura italia-
na, rispetto a un preteso ritardo dell’unificazione italiana (la visione del
ritardo, però, deriva da una matrice idealistica, che attribuisce alla storia
tempi “regolamentari”). Un altro elemento di questa influenza può essere
certamente ricondotto alla radice cristiana della società italiana (sia nella
sua versione cattolica, sia in quella fortemente anticlericale e eretica). Il
problema morale (che in De Sanctis ha una radice hegeliana idealista) di-
viene un impegno nei confronti delle difformità della società italiana,
diametralmente opponentesi alla concezione di un’alta cultura, di un peso
sentito come schiacciante della tradizione classica. Qualcosa come un
superego della tradizione italiana (se è lecito usare questo termine).
Nel citato Insegnare la letteratura molti degli elementi analizzati
(oltre al testo di E. Sanguineti, sono interessanti i contributi di Jacqueline
Risset, Cesare Cases e altri) possono costituire una base per una riflessione
sulla nostra situazione, pur riferendosi il testo ai ritardi e alle resistenze
nell’insegnamento della letteratura nella scuola secondaria superiore in Ita-
lia.
Nel testo introduttivo di C. Acutis si condanna il sistema d’insegna-
mento tradizionale individuato in tre momenti molto rigidi:
65
LOMBARDI, A. G. Boccaccio e la creazione di un lettore ...
nel suo genere e nella sua specie (funzione della parola magistrale
e del manuale di storia letteraria), dopo che gliene si è mostrata
un’unghia (funzione dell’antologia), si arriva a sollecitare dal pa-
ziente scolaro un giudizio sulla bellezza della bestia. Ed è chiaro
che non si tratterà di un giudizio (su che base potrebbe essere mai
formulato?), ma della ripetizione di un giudizio. (p. 8-9)
Jacqueline Risset afferma che “la storia della letteratura in Italia vie-
ne concepita come una parte non separata – semplicemente secondaria –
della storia generale, che ha solo il compito di <riflettere> il più fedelmen-
te, il più umilmente possibile” (p. 17).
In sostanza, cerco di riassumere i limiti individuati, che possono es-
sere sintetizzati così:
1. Allontanamento dal testo (sia attraverso l’enfatizzazione del ruo-
lo subordinato della letteratura rispetto alla storia, che attraverso la pratica
della parafrasi). Il testo viene considerato un’espressione del suo tempo
che, evidentemente, merita una trattazione privilegiata.
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La rottura delloralità
Sul tema dell’introduzione della scrittura nelle varie culture, princi-
palmente in quella greca (Havelock) e, in parte, in quella ebraica, esistono
già molti studi ricchi di enormi conseguenze. La tradizione letteraria italia-
na dà meno enfasi a questa problematica, poiché l’introduzione del volgare
avviene in un momento in cui la sedimentazione di un passato poderoso
come quello latino è talmente consolidata che è l’opposizione fra codici (il
latino-il volgare) ad acquistare la preminenza e non la sensazione di co-
struire un mondo concettualmente nuovo. Eppure proprio Dante accenna a
questo tema (la lingua della madre o balia nel De vulgari eloquentia, una
specie di metafora della nuova vita). Consideriamo appunto Dante-
Boccaccio (e Petrarca) come all’origine di questa rottura. Una delle possi-
bili “chiavi” di lettura del rapporto reciproco è l’accenno al Principe Gale-
otto nel Decameron. Si tratta di a) un riferimento intertestuale che già di
per sé è ludico, poiché avviene su un altro riferimento intertestuale: una
specie di storia del libro alla seconda potenza (si veda quanto affermato da
I.Calvino in proposito in Perché leggere i classici); b) è una evidente paro-
dia: niente poteva opporsi meglio alla Divina Commedia della commedia
umana di Boccaccio (termine di De Sanctis). È l’immanenza proclamata
rispetto alla trascendenza: si tratta di un’immanenza del testo; il testo si
avvolge vertiginosamente su se stesso, poiché non racconta la storia (del
resto tutto il Decameron è presentato come una scrittura di una lettura, cioè
il rifacimento di storie già presenti nel patrimonio culturale – si suppone
orale – della tradizione italiana di allora), ma mette in luce il procedimento,
cioè il come la storia viene raccontata e, sopratutto, i suoi limiti. Tutto ciò
ha l’effetto di richiamare l’attenzione sulla funzione dell’artefice (o, per
usare un termine caro a De Sanctis, l’artigiano) del testo, l’autore. Se Dan-
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te scrive il suo testo come una specie di autobiografia (questo secondo una
interessante lettura di J. Freccero, che richiama Sant’Agostino), l’effetto è
una mimetizzazione del personaggio Dante (l’autore) nel testo (secondo
una logica di tre piani della narrazione, già individuata da G. Contini: Dan-
te autore, narratore, personaggio). Si tratta dell’innovazione più straordi-
naria. L’autobiografia, la confessione diviene testo narrativo. Boccaccio
realizza una doppia operazione mimetica. 1. L’autore dà vita ai narratori
che raccontano le storie già raccontate da altri e pone l’accento su come
raccontano. 2. L’autore come narratore si introduce nel testo surrettizia-
mente, attraverso un’operazione di rimandi, e richiama l’attenzione su quella
che potrebbe essere definita la macchina narrativa) dando vita alla conce-
zione moderna del narratore che, con la sua nascita e tematizzazione, a sua
volta, crea il suo pubblico (il pubblico composto dai narratori, dagli uditori
e, sopratutto, dai lettori potenziali). È significativo che Boccaccio appaia
nel Decameron solo come narratore, mentre Dante appare almeno raddop-
piato come narratore e personaggio, se non triplicato, includendo, appunto,
il ruolo dell’autore.
Il problema non è stabilire se la lettura contemporanea debba essere
potenzialmente (e teoricamente) infinita, quanto accettare che ci possa es-
sere un cambiamento dell’accento, del punto di vista critico. Questo ap-
proccio critico – è evidente – ha una conseguenza diretta sul nostro ruolo
come docenti. Una buona analogia potrebbe essere quella della lettura di
un testo e di una partitura (che, in fondo, anch’essa è un testo: del resto con
un esempio analogo comincia Opera aperta). Qualunque buon ascoltatore
sa che un’esecuzione dipende tanto dall’orchestra e dal direttore quanto
dal compositore: una pessima esecuzione di Beethoven o di Mahler stra-
volge il senso completamente. Se si chiede a uno specialista che cosa ne
pensa della possibilità di una ricostruzione dell’esecuzione originale, dirà
che si tratta di un’ingenuità, di una pura illusione (la stessa cosa rispetto al
concetto di Otto Ranke sulla storia): non è possibile documentare il gusto
di un’epoca (e neanche, a volte, gli strumenti usati). Concorrono nell’ese-
cuzione (e nella lettura) tanti fattori quali, ad esempio: funzione (della mu-
sica/lettura), genere (ad es. in un genere musicale religioso l’acustica, in
genere, è differente se presuppone ambienti chiusi, risonanza, ecc., e l’at-
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La novella VI, I
A metà esatta dell’originale (la cinquantunesima novella) si trova
una metanovella dove si narra l’incapacità di un cavaliere di raccontare
una novella. Si tratta, in sostanza di una falsa novella, inesistente. La IV
giornata dell’originale si apre, viceversa, con un racconto del narratore (a
circa 1/3 della raccolta originale), che racconta una sua novella (“una no-
vella del narratore”) che, essendo posta a metà dell’insieme, scardina il
conteggio. Il narratore dichiara questa sua novella soprendentemente in-
completa, difettosa: “acciò che non paia che io voglia le mie novelle con
quelle di così laudevole compagnia... mescolare”.
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Nova Stella/ Istituto Cultural Ílalo-Brasileiro/Edusp, 1989, 186
7
BIZZARRI, E. Introdução à leitura do Decamerom. In: BOCCACCIO, G . O Decameron. Rio de
Janeiro: Tecnoprint, s/d., p. 8.
84
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 85-93, 1998.
Lucia Wataghin*
2
BANDELLO, M., Novelle, con un saggio di Luigi Russo e note di Ettore Mazzali. Milano: Bi-
blioteca Universale Rizzoli, 1991.
3
Cf. BOCCACCIO, G., Decameron, a cura di Natalino Sapegno. Milano: “I classici italiani TEA”, 1989,
II, 9, 6: “E io fo il simigliante, perciò che se io credo che la mia donna alcuna sua ventura procacci, ella
il fa, e se io nol credo, sì ‘l fa; e per ciò a fare a far sia; quale asino dà in parete, tal riceve” e anche: V, 10,
64: “Per che così vi vo’ dire, donne mie care, che chi te la fa, fagliele; e se tu non puoi, tienloti a mente
fin che tu possa, acciò che quale asin dà in parete tal riceva”.
86
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 85-93, 1998.
4
ROTUNDA, D. P., Motif-Index of the Italian Novella in Prose. Bloomington: Indiana University
Press, 1942.
5
BANDELLO, M., Beffa di una donna a un gentiluomo ed il cambio che egli le ne rende in
doppio. In Novelle, cit., p. 100.
87
WATAGHIN, L. Bandello fra il Decameron e il Rinascimento.
altro tema, anche questo ben presente nella tradizione novellistica, quello
della soddisfazione sessuale come medicina per le malattie (del corpo e
dello spirito) femminili. Il risultato della controbeffa è descritto nella con-
clusione: Eleonora, dopo essersi fatta passare la collera, “lasciando di bef-
fare più nessuno divenne piacevole e gentilissima” 6. Le indicazioni della
dedica e della rubrica su quelli che dovrebbero essere gli elementi centrali
del racconto si rivelano parziali; saranno corrette nella conclusione, ma
anche così appaiono interamente dedicate ad inserire la novella nella tradi-
zione e rinunciano a mettere a fuoco le novità nella composizione e nella
visione del mondo. La strategia più esplicita di orientamento della lettura
rimanda a Boccaccio: ciò che è nuovo in Bandello si dovrà ricavare da una
strategia più nascosta, la strategia delle variazioni compiute sul modello.
Nella novella di Boccaccio, la vedova Elena si fa gioco dei sentimenti
dello scolare Rinieri, e lo fa aspettare una notte in pieno inverno fuori dalla
propria casa, dalla quale lo osserva e lo deride in compagnia di un amante.
Mesi dopo, è la stessa Elena ad offrire l’occasione alla vendetta di Rinieri. Si
rivolge infatti allo scolare, che è indotta a credere dotato di poteri magici, per-
ché l’aiuti a riconquistare l’amante da cui è stata abbandonata. Rinieri le ordina
di bagnarsi nuda sette volte in un fiume alla luce della luna, e poi di salire,
ancora nuda, su un albero o in qualche casa disabitata e lì aspettare il seguito
del rito. Il contrappasso7 è puntuale: se Rinieri aveva passato una notte sulla
neve, Elena passerà la giornata seguente al caldo, sulla torre su cui ingenua-
mente era salita, e da cui non può scendere perché lo scolare ha provveduto a
togliere la scala. La pelle della vedova, esposta al caldo atroce e alle mosche e
ai tafani, si copre di piaghe. L’abbandono di Elena sulla torre è preceduto da
una lunga trattativa, che serve ad esporre i motivi dei due e e a sottolineare
l’inflessibilità di Rinieri, che non è disposto a perdonare a nessun costo.
Nella seconda parte della novella di Bandello si sovrappongono pre-
stiti e riferimenti a due novelle del Decameron, quella già citata di Elena e
Rinieri, e quella di Salabaetto e Jancofiore (VIII, 10).
6
Ibidem, p. 109.
7
L’analogia dello schema beffa-controbeffa con il contrappasso nell’Inferno dantesco è stata os-
servata e commentata, a proposito di questa novella di Boccaccio, da Guido Almansi, op. cit., p.
95 e segg.
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 85-93, 1998.
egli veggendo lei con la bianchezza del suo corpo vincere le tene-
bre della notte, e appresso riguardandole il petto e l’altre parti del
corpo, e vedendole belle e seco pensando quali infra piccol termine
dovean divernire, sentì di lei alcuna compassione; e d’altra parte
lo stimolo della carne l’assalì subitamente e fece tale in piè levare
che si giaceva...9
8
Si tratta della Venere con Filippo II in veste di organista, conservata nel museo di Dresda. Il
paragone è di Nino Borsellino, in BORSELLINO, N. La tradizione del comico: letteratura e
teatro da Dante a Belli. Milano: Garzanti, 1989, p. 167.
9
BOCCACCIO, G., “Uno scolare ama una donna vedova, la quale, innamorata d’altrui, una notte
di verno il fa stare sopra la neve ad aspettarsi; la quale egli poi, con un suo consiglio, di mezzo
luglio ignuda tutto un dì la fa stare in su la torre alle mosche e a’tafani e al sole”, Decameron,
VIII, 7, cit., p. 744.
89
WATAGHIN, L. Bandello fra il Decameron e il Rinascimento.
petto e delle altre parti del corpo è riferita, e non descritta. La dinamicità
dell’immagine è accentuata dal pensiero che attraversa la mente dello sco-
lare sulla precarietà della bellezza di Elena, destinata ad essere in breve
distrutta dal trattamento che sta per infliggerle. Quest’immagine in movi-
mento rimanda a due possibilità: l’amore o, in ultima analisi, la morte.
Al contrario, la staticità del nudo di Eleonora lo isola di fatto sia
dall’amore che dalla morte. L’immagine congelata, sottratta al movimento
e isolata dal contesto, diventa un oggetto feticcio, davanti a cui, infatti, un
gruppo di gentiluomini rappresenta il piacere del vedere fine a se stesso.
Davanti ad un feticcio, lo sguardo è pervertito, secondo la definizione di
Freud secondo cui “il piacere di guardare (scopofilia) diventa una perver-
sione a)(...), b) (...), c) se, invece di costituire una funzione preparatoria
del normale scopo sessuale, lo sostituisce”.10
Mentre nel caso della novella di Boccaccio non c’è indugio sulla vi-
sione, e il senso della vista è addirittura offuscato dalle tenebre notturne, le
immagini visive sono fondamentali nella novella di Bandello. Nelle due sce-
ne simmetriche (Pompeio sul cassone, Eleonora sul letto), il lettore è solleci-
tato a immaginare visivamente e progressivamente i particolari via via evo-
cati. Gli oggetti sono disposti nello spazio come in un quadro e l’attenzione
si concentra sui due corpi immobili, che sono presentati per parti. E di fatto
l’immobilità del corpo di Eleonora equivale alla possibilità di scomporlo con
la vista, di farlo a pezzi per esaminarlo. Del resto, solo così è possibile la
descrizione del corpo; come scrive Barthes, “la lingua, essendo analitica, si
lega al corpo in un solo modo: facendolo a pezzi; il corpo totale è fuori dalla
lingua; alla scrittura giungono solamente pezzi di corpo”.11
La scomposizione in parti rimanda, oltre che all’impossibilità di de-
scrivere il tutto, al carattere feticista12 dell’erotismo del nudo di Eleonora,
concentrato essenzialmente sul piacere del vedere.
10
FREUD, S., Tre saggi sulla sessualità. Roma: Newton, 1989, p. 32.
11
BARTHES, R., Sade, Loyola e Fourier. (Trad. spagnola). Caracas, Venezuela: Monte Avila
Editores, 1977.
12
Barthes descrive la qualità di “feticcio” degli oggetti frutto di scomposizioni, a proposito di rap-
presentazioni a cui ebbe occasione di assistere, denominate “quadri vivi”, in cui personaggi vivi
90
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 85-93, 1998.
componevano quadri statici: “El cuadro vivo, apesar del carácter aparentemente total de la
figuración, es un objeto fetiche (inmovilizar, alumbrar, enmarcar, viene a ser despedazar)”.
BARTHES, R. Sade,Loyola e Fourier, cit.
13
BOCCACCIO, G., op. cit., p. 789-90.
91
WATAGHIN, L. Bandello fra il Decameron e il Rinascimento.
tanto era bello il luogo, e tanto soave odor spargeva” 14. Sono privilegiati
soprattutto il tatto e l’odorato, e poi la vista, il gusto e l’udito (quest’ultimo
è confortato solo dalla musica degli uccelletti meccanici). L’ordine di im-
portanza dei sensi sollecitati è ribaltato in Bandello: anzitutto la vista, e poi
l’odorato, il gusto e l’udito. L’udito è il senso più lontano e trascurato; il
tatto è escluso dalla prevalenza della vista. L’ambiente di Jancofiore è pre-
parato per l’atto sessuale; la stanza di Pompeio è preparata per il piacere
della vista, l’atto sessuale è già stato consumato in un altro ambiente (di cui
si dice solo che era “una camera molto oscura” 15). Gli oggetti del bagno di
Jancofiore nella novella di Bandello sono arricchiti di particolari e soprat-
tutto di colori:
14
BANDELLO, M., op. cit., p. 107.
15
Ibidem, p. 105.
16
Ibidem, p. 107.
92
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 85-93, 1998.
giato, perché l’autorità della chiesa è fondata sulla parola, e la vista il senso
più pericoloso17, forse perché, come ha osservato Freud18, le impressioni
visive sono il sentiero più frequente della libido.
Le analogie fra gli ambienti della novella di Eleonora e di quella di
Salabaetto, così come il confronto dei due nudi, permettono di isolare con
particolare chiarezza le differenze: siamo di fronte ad una radicale diversi-
tà di rappresentazione, che ci dà la misura dell’appartenenza di Bandello
ad una visione del mondo ben distinta da quella boccacciana, e tipicamente
rinascimentale, dal punto di vista culturale e delle tecniche narrative.
17
Sul ribaltamento dell’ordine d’importanza degli organi sensoriali dal Medioevo cristiano al Rina-
scimento, cfr. BARTHES, R., op. cit.
18
FREUD, S., op. cit., p. 32.
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tanto che con le sue arti magiche trasporta Angelica addormentata in un’isola
deserta e spera di farla sua.
Sopraggiungono a salvarla i pirati d’Ebuda che però non le riserva-
no miglior sorte. La imprigionano per offrirla in olocausto all’Orca, terri-
96
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 95-112, 1998.
bile mostro marino. La bellezza serve solo a differire quella morte atroce.
Condotta al luogo del supplizio è legata ad uno scoglio “come natura pri-
ma la compose”. Ma anche questa volta viene liberata dal valoroso Ruggiero
che la vede dal suo meraviglioso cavallo alato, l’Ippogrifo, e se ne innamo-
ra perdutamente dimenticando l’immagine dell’amata e fedele Bradamante.
Il nudo splendore di Angelica lo rapisce. Dopo averla salvata, pur guidan-
do il suo alato destriero,
97
GALEFFI, G. M. Lamore nei personaggi femminili ...
98
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 95-112, 1998.
mente libera di unirsi al suo amato che però deve lottare ancora, proprio nel
giorno del matrimonio, contro l’ultimo campione dei saraceni che lo sfida,
Rodomonte, vincendolo.
Bradamante si rivela sempre donna amante ed innamorata. È perciò
gelosa di chi possa sostituirla nel cuore di Ruggiero. Avendo saputo di
un’altra guerriera valorosissima, Marfisa, sofre tutti i tormenti del dubbio e
della gelosia, credendo d’essere tradita. Più volte l’Ariosto si riferisce alla
“gelosa Bradamante” e sembra quasi compiangerla quando ci dice:
Ed ancora:
e le va contro.
99
GALEFFI, G. M. Lamore nei personaggi femminili ...
la battaglia fanno
a pugni e a calci poi ch’altro non hanno (XXXVI, 50)
Combatte con gran valore e non perde mai il suo equilibrio. Passa
serena nei campi di battaglia senza lasciarsi neppure sfiorare dall’idea del-
l’amore.
100
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 95-112, 1998.
101
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102
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Tutto ciò non la salva dai pirati che l’espongono, come già Angelica,
legata ad uno scoglio per essere divorata dall’Orca. È salvata da Orlando e
in quest’occasione la vede Oberto che se ne innamora e poi la sposa dopo
averle reso le sue terre conquistate dal re di Frisa.
Passiamo ora a Doralice, figlia del re di Granata, volubile nell’amo-
re e pronta a cedere al desiderio di chi ammira la sua bellezza.
Promessa sposa a Rodomonte è inviata dal padre al campione del-
l’esercito pagano, perchè si realizzi il matrimonio.
Ma durante il cammino la vede Mandricardo, figlio di Aricane e se
ne innamora. Lei corrisponde a quest’amore dimenticando il fidanzato:
103
GALEFFI, G. M. Lamore nei personaggi femminili ...
E non solo:
104
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GALEFFI, G. M. Lamore nei personaggi femminili ...
Nel sogno
106
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 95-112, 1998.
fortuna ha un lieto fine. Il suo è l’amore della donna che, accecata dalla
passione amorosa, non riflette sulle conseguenze dei suoi atti, e ubbidisce
senza ragionare agli ordini ricevuti dal suo perfido amante.
Ginevra ama con tutte le forze della sua anima il giovane Ariodante,
che le corrisponde. Ma il duca di Albania, Polinesso, poichè desidera di-
ventare potente, la vuole come sposa. La principessa tuttavia non l’accetta,
avendo già dato il suo cuore ad Ariodante. Inutilmente il duca le invia
messaggi e proteste d’amore, soprattutto tramite Dalinda che con l’ingan-
no è diventata sua amante e che pur senza volerlo tradisce la sua signora. E
come giustamente Dalinda dice:
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GALEFFI, G. M. Lamore nei personaggi femminili ...
Una sepolta viva che ha perduto tutto perdendo l’amato e per la qua-
le nulla di terreno poteva interessare. Amore sublime ma assai difficile da
essere imitato.
108
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 95-112, 1998.
e gli dice parole di rammarico e di dolore per la sua lunga assenza, facen-
dogli credere che si voleva addirittura uccidere, e gli rivela che la fortuna le
aveva mandato un fratello “col quale”, essa dice, “io sono qui venuta del
mio onor sicura” (XVI, 12).
109
GALEFFI, G. M. Lamore nei personaggi femminili ...
e lo fa con l’aiuto della sua amante. Ma le cose non vanno bene per i due.
Dopo alcune peripezie capitano nelle mani di Aquilante, fratello di
Grifone, che li fa prigionieri e li porta a Damasco dove sono vilipesi dal
popolo che esclama:
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 95-112, 1998.
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GALEFFI, G. M. Lamore nei personaggi femminili ...
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 113-120, 1998.
Nel 1945 dopo la guerra, l’Italia emerse dalla miseria con l’aiuto
economico degli Stati Uniti ed entrò in un periodo riconosciuto come del
benessere. Lo sviluppo delle autostrade permise lo scambio tra regioni e
paesi e spinse il movimento migratorio, mentre la diffusione della TV offriva
l’immagine di un mondo ideale di felicità e di conforto. Si inaugurò così una
nuova civiltà con l’avvento della tecnologia in tutti i settori sociali che pla-
smò una società industriale con caratteristiche comuni: consumismo, omo-
geneizzazione del gusto di massa, mercantilizzazione dei valori e unificazio-
ne della lingua.
In questo panorama appare la voce di Pier Paolo Pasolini che, negli
ultimi anni della sua multiforme attività, acquista uno spazio maggiore con
gli interventi giornalistici, occupando nella memoria collettiva la figura dello
strenuo interventista, del giornalista combattivo.
In Friuli, tra il 46 e il 47 aveva pubblicato sul settimanale di Udine, e sin
da questo periodo è attestabile l’osmosi tra lavoro poetico e lavoro saggistico-
pedagogico che durerà tutta la vita, nel senso di adibire all’intervento polemico
procedimenti e immagini elaborati in sede poetica. Trasferitosi a Roma, cono-
sce per la prima volta la celebrità e in questi anni riunisce i suoi saggi critici e
partecipa all’esperienza di Officina.
* 113
Titular de Literatura Contemporânea da Universidade Nacional de Rosario.
FALIERE, E. T. La parola orale negli scritti giornalistici...
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 113-120, 1998.
tico: “Se io dovessi descrivere in modo sintetico e vivace l’italiano direi che
si tratta di una lingua non, o imperfettamente nazionale, che copre un corpo
storico-sociale frammentario, sia in senso verticale, sia in senso estensivo;
su tale copertura linguistica di una realtà frammentaria e quindi non nazio-
nale, si proietta la normatività della lingua scritta-usata a scuola e nei rap-
porti culturali – nata come lingua letteraria e dunque artificiale, e dunque
pseudo nazionale.”
Pasolini vive il suo dialogo con il pubblico con un ansia di contatto, di
risposte dirette dove sceglie di discorrere sull’attualità più vicina. Il giorna-
lismo diventa con lui una confessione, un monologo, un dialogo, un diario.
Come scrittore utilizza uno pseudo linguaggio poichè nessuno dei registri
rappresenta una possibilità di appartenenza; ma, nonostante ciò, questa pseudo
lingua gli permette di sviluppare la sua attività. Pasolini utilizza questa lin-
gua, la fa sua, la fa dubitare, la fa balbettare non così nella sua poesia
giacchè come poeta non rispecchia ma crea il contesto sul quale operano i
significati. Il rapporto giornalistico allora si stabilisce attraverso una serie di
valori che sono proprio quelli che permettono più tardi di pensare una posi-
zione più o meno non polemica con la lingua. Pasolini gestisce, fissa, centra-
lizza gli schemi linguistici in uso e in questo senso la sua responsabilità non
è ingenua.
Bajtin annuncia che è il soggetto parlante sociale colui che produce un
testo o una frase, ed è proprio questo lo spazio dell’incrocio dei sistemi
ideologici e del sistema linguistico. L’apparizione della lingua tecnologica,
che è per definizione puramente comunicativa, si produce nei luoghi del
culto del pragmatismo: i produttori e gli utenti di questa lingua cercano un
rapporto chiaro e questo grado massimo di chiarezza è rappresentato se-
condo Pasolini dallo slogan pubblicitario che deve compiere la doppia fun-
zione d’impressionare e convincere. Al riguardo spiega: “Il suo fondo, infat-
ti, è espressivo ma attraverso la ripetizione la sua espressività perde ogni
carattere proprio, si fossilizza, e diventa totalmente comunicativa fino al più
brutale finalismo. Tanto che il modo di pronunciarla possiede un’allusività di
tipo nuovo: che si potrebbe definire monstrum: espressività di massa.”
Questa civiltà in crisi linguistica spinge Pasolini a tornare al dialetto,
alla ricerca della sua essenza antiaccademica e anticonvenzionale. Il lin-
115
FALIERE, E. T. La parola orale negli scritti giornalistici...
guaggio diventa così non una soluzione stilistica ma il risultato di una visione
del mondo; è la manipulazione dei significati dell’esistenza attraverso la
lingua, è cercare nella parola il bisogno del vero empirismo eretico.
Sulla linea delle conclusioni Deleuze riconosce la lingua come
vernacolare, veicolare, referenziale e mitica, attraverso la categorizzazione
dei rapporti spazio-temporali dove si evidenzia la differenza tra Lingua Par-
lata e Lingua Scritta. Ed è proprio in questa ultima distinzione che Pasolini
basa la sua polemica contro la mancanza d’identità e di possibilità comuni-
cativa del parlante. D’altronde Derrida riconosce nella lingua un sistema
che offre campi semantici, semiotici e linguistici sui quali influisce il conte-
sto, e riconosce che in questo contesto si avvera l’esistenza della Lingua
Scritta e della Lingua Orale come potenti canali. Considera la Lingua Scritta
come subalterna a quella orale nella tradizione che va da Platone a Hegel, e
da questi a Saussure e alla linguistica strutturale, come copia di un modello:
il linguaggio parlato. Questo è inteso come materiale avvolto fonicamente
che racchiude un nucleo immateriale (idea, concetto, significato).
La scrittura ha una funzione strumentale, traduttrice di un parlare
pieno e interprete di un parlato pienamente originario. Il segno orale possie-
de la prossimità assoluta della voce e dell’essere, del senso dell’essere,
dell’identità del senso. Il nominare conferisce esistenza alle cose. Ed è pro-
prio questa esteriorità del significato che fa che l’esteriorità della scrittura
diventi significante. L’oralità accentua i segni, li ritiene, li libera a seconda
dell’occasione della quale fanno parte il luogo, il giuoco. La parola scritta è
come una pittura, è la supplenza sensibile, visibile della mineme; rimane,
non si piega a tutti i sensi, alle necessità variabili. La Lingua Scritta suppli-
sce il gesto, elabora nell’assenza dell’interlocutore il suo discorso organiz-
zando un atto che ricorda la rappresentatività della pittura nel tracciato e
ritracciato. La scrittura, secondo Derrida, veicola una rappresentazione come
contenuto ideale che si autoconcede per il suo carattere di leggilibilità e
iterabilità che esclude l’ambiguità della polisemia. Non è una presenza at-
tuale ed effimera ma permanente, legata al concetto di testimonianza. Il
momento di produzione scritta è anche un momento di perdita perchè i
componenti dell’atto linguistico – mittente, ricevente, referente e messag-
gio – non sono mai chiaramente presenti, ma devono venir interpretati o letti
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 113-120, 1998.
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FALIERE, E. T. La parola orale negli scritti giornalistici...
ne, in modo che la lingua dei loro personaggi implica un’incursione verso le
lingue basse. Ricordiamo ad hoc il neorealismo. Inoltre uno sguardo socio-
linguistico al panorama italiano evidenzia la strumentalizzazione della lingua
in una omologazione, in una osmosi del linguaggio critico, scientifico, gior-
nalistico, televisivo, politico che dimostra la conclusione della possibilità espres-
siva superata dalla realta comunicativa. È la denuncia del vuoto culturale
strumentalizzato e organizzato dal linguaggio.
Pasolini lotta contro la lingua istituzionalizzata per mantenere vivi gli
elementi individuali caratteristici, per aprire una breccia affinchè i soggetti
iscrivano la loro marca, per creare un’illusione di appartenenza. Indica, ap-
punto, il fenomeno dell’indiano che ha perso la spontaneità della lingua, che
ha il pudore di parlare, che si è dimenticato di se stesso, che ha perso la
capacità della sinonimia. La Lingua Scritta diventa allora nel mestiere di
Pasolini non la rottura della presenza ma una modifica della presenza per la
distanza; la situazione è considerata a rischio quando la scrittura perde con-
tatto con la realtà, però in questo caso viene rafforzata e mantenuta in vita
dall’intenzione e dall’opinione dello scrittore.
Nutrito dell’idea di Gramsci, la cui ideologia era critica del marxismo
ortodosso, della cultura come fenomeno sovrastrutturale dipendente da una
economia deificata mentre le idee e le forze economiche dovevano agire in
iterazione, considera che il lavoro dell’intellettuale è l’educazione e l’inter-
pretazione dei processi di cambiamento sociolinguistico: assicurava che le
novità linguistiche si diffondono da un nucleo. La lingua è perciò una com-
plessa attività sociale, e risultato di una espressione creativa.
Alcuni versi di Pasolini in La reazione stilistica di La Religione del
mio tempo dicono: “Sono infiniti i dialetti, i gerghi, /le pronunce, perché è
infinita/ la forma della vita:/ non bisogna tacerli, bisogna possederli....../E la
lingua, s’è frutto dei secoli contraddittori, / contraddittoria – s’è frutto dei
primordi/tenebrosi – s’integra, nessuno lo scordi, / con quello che sarà, e
che ancora non è. /E questo suo essere libero mistero, ricchezza/ infinita, ne
spezza, /ora, ogni raggiunto limite, ogni forma lecita.”
Nello scenario della politica e dell’arte s’iscrive la parola, l’opinione,
la risposta di Pasolini di fronte a una cultura di massmedia con perdita di
identità culturale. Egli si trasforma, diventa contestatore permanente della
118
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 113-120, 1998.
119
FALIERE, E. T. La parola orale negli scritti giornalistici...
che la scienza del linguaggio annuncierà anni dopo, vale a dire che questo
movimento linguistico coincide con la perdita di libertà dell’uomo rispetto
alla sua meccanizzazione, movimento che profeticamente denunciò con la
scrittura della sua voce, con il tracciato del suo tono.
Bibliografia
BREVINI, F. Pasolini. Milano: Mondadori, 1981.
FISH, S. Práctica sin teoría: retórica y cambio en la vida institucional: ensayos, 1989.
DERRIDA, J. La Desiminación. Madrid: Ed. Fundamentos, 1975.
_________. El fin del libro y el comienzo de la escritura.
HEIDEGGER, M. Del camino al habla. Odós: Ediciones del Serbal; Barcelona: Guitard,
1979.
120
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 121-127, 1998.
122
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 121-127, 1998.
123
RUFFO, L. P. Voci del Sud.
124
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 121-127, 1998.
125
RUFFO, L. P. Voci del Sud.
Nel 1896, scrive il romanzo La via del male che è elogiato dalla
critica e fatto conoscere fuori dall’isola da Luigi Capuana.
In questa fase, è forte l’influenza dannunziana, esuberante e sensua-
le, tuttavia frammista all’inquietudine spirituale di Fogazzarro. La scrittri-
ce subisce anche l’influenza della prosa straniera di natura realista del
naturalismo francese (Flaubert, Zola, Maupassant). Anche la lettura degli
scrittori russi, per esempio, Tolstoy e Dostoievsky, allarga la scrittura
deleddiana a un livello di vita collettiva e a dimensioni di coscienza inedite
fino allora negli scrittori italiani (Efix è un personaggio che prova questo
stato di cose).
È un periodo d’interrogativi sociali sofferto da tutta l’Europa. Nella
lontana Sardegna, attraverso letture asistematiche, Deledda è impressiona-
ta da questo cambiamento di visione e, come alcuni altri autori, sposta il
suo interesse storico-sociale dagli avvenimenti all’aspetto psicologico-in-
dividuale. Può sembrare una chiusura d’orizzonti, ma forse è la forma più
effettiva di protesta. Le sue opere, però, non hanno ormai più l’aspetto
collettivo-strutturale iniziale, come in Anime oneste, Colombi e sparvieri e
La via del male. Quando Grazia Deledda si sposò e andò a risiedere a Ca-
gliari, prese forma un altro cambiamento in seguito alla distanza spaziale
dai problemi della sua regione originale ed alla conoscenza, a portata di
mano, di movimenti che erano passibili di trasformazione. La sua azione
letteraria si dilatò. Nel 1900, la pubblicazione di Elias Portulu traduce una
nuova visione dell’autrice, seguita da Cenere, L’edera, Canne al vento,
Marianna Sirca, L’incendio nell’uliveto e La madre (1920).
Una nuova trasformazione è subita da Grazia Deledda, che lascia un
poco da parte il peso economico delle classi lavoratrici, le lotte utilitaristiche
tanto in moda tra i veristi e ancora secondo una visione veristica, e si pre-
occupa per l’istituzione familiare in rovina. La rottura dei vincoli affettivi
nel seno della famiglia causa lo squilibrio individuale dell’uomo privo del-
l’appoggio familiare. Il taglio è verticale, se pensiamo che il paesaggio
sardo – il grande personaggio – era impregnato degli insegnamenti degli
antenati e che la lotta nel focolare assumeva il peso della lotta contro il
peccato. Questa introspezione conferisce alla narrativa deleddiana un sa-
pore amaro, tragico. Si istituisce la metafora dell’isola. Isola è il paesag-
126
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 121-127, 1998.
Bibliografia
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127
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* 129
Professora de Língua e Literatura Italiana da Universidade Federal da Bahia.
GALEFFI, E. M. Sergio Campailla e la postmodernità...
1
Intervista concessa per la tesi di Eugenia Galeffi nel marzo ‘94.
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 129-136, 1998.
Villa Ibla era stata una villa principesca nel Settecento, della fa-
miglia Mirabella, luogo di ritrovo estivo dell’aristocrazia siciliana.
(P.T., 27)
Temi come quello della mafia dell’acqua, della siccità e della specu-
lazione edilizia, povertà e degradazione ambientale sono mostrati con mol-
ta chiarezza lungo lo svolgersi della storia. Una delle motivazioni fonda-
mentali del romanzo è – secondo il proprio Campailla – “la volontà di
creare la coscienza di una condizione sociale, e opporsi al sopruso, di con-
tribuire in qualche modo ad un miglioramento della qualità della vita”
(Campailla, 1990, p. 89).
I costumi siciliani sono ritrattati da un’ottica realista, visti da tutti gli
strati sociali, sin dagli abitanti della casbah (quartiere arabo), con la loro
degradante condizione sociale, fino al perbenismo dei gattopardi degli anni
ottanta e velati da un mitico simbolismo inconscio che anela al riscatto
della vera e propria essenza.
Villa Ibla è rappresentata come una trasgressione manipolativa del
sistema, dato che riflette il problema del rifornimento dell’acqua che è una
delle piaghe di Agrigento:
...un edificio che se non era principesco era perché non c’erano più
principi, con appartamento reale e terrazza superpanoramica in faccia
ai templi ... Per non parlare, poi, del parco, che era un vero giardino
delle meraviglie. Mentre a Agrigento si crepava di sete ... il parco della
villa era come un’oasi verdeggiante ... che proseguiva in linea d’aria
senza che a occhio fosse riconoscibile il confine tra privato di don Gaetano
e pubblico della Valle dei Templi, sino all’alto zoccolo della collina di
fronte ... dove sorgevano, nel cielo, le dimore degli dèi. (P.T., 28)
131
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* 137
Professora de Língua e Literatura Italiana da Universidade Federal do Rio de Janeiro.
FARIA, F. D. P. O roteiro: texto limítrofe na...
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 145-150, 1998.
Romano Galeffi*
146
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GALEFFI, R. Letteratura poetica, letteratura prosastica,...
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nella quasi esclusiva attenzione che questo o quel governo rivolge alla que-
stione finanziaria.
Sembra, però, che alcuni politici comincino a rendersi conto del-
l’esigenza di un concetto globale o più vasto, del problema economico.
Nel corso della mia investigazione filosofica ho espresso da molti
anni la formulazione della dimensione economica come risultante da ogni
atto capace di garantire la conservazione della vita e il suo sviluppo, nel-
l’individuo e nell’intera Umanità. E affinchè questo concetto non sia con-
siderato come un astratto giuoco di parole, mi accingerò ad enumerare i
principali atti che concorrono alla realizzazione della dimensione econo-
mica, i quali non possono ridursi a meri temi di Letteratura prosastica, ma
costituiscono inoltre un’occasione propizia per dar consistenza a questa
che è una delle principali categorie della vita dello Spirito.
Così, è già un atto economico la funzione respiratoria, che ha inizio
col primo vagito del neonato, come il fondamentale alimento della vita,
seguito dal mangiare (tema della dietetica), dal bere, dal riposo, dal movi-
mento che favorisce lo sviluppo dell’organismo, dal lavoro, dalla produ-
zione industriale e dal commercio, dal risparmio, dall’amministrazione delle
finanze, dall’attività ludica che (alternandosi alla fatica del lavoro quoti-
diano) dà luogo a una sostanziale forma d’igiene mentale. Anche l’atto
sessuale è una risorsa dello statuto della natura a garanzia della conserva-
zione della specie come lo è la difesa dell’ambiente, meta dall’ecologia,
contro ogni specie di inquinamento, e finalmente, la liberazione dall’equi-
voco di quanti considerano economico o profittevole ogni giuoco di inte-
ressi egoistici o partitari.
Fra le tre dimensioni che si distinguono da quella che è oggetto della
letteratura poetica, dobbiamo dire qualche parola ancora sul già accennato
ambito della categoria logica che – in base all’etimologia greca (logos) –
concerne la ricerca della metafisica (giacchè non c’è scienza che non oltre-
passi gli stretti limiti della sensibilità).
Eccoci giunti al momento di prendere in esame la Letteratura critica
che intendiamo qui ridurre alla critica letteraria o artistica.
Non si tratterà più di abbordare la questione della distinzione fra
pura esteticità (parola assoluta) ed espressione semantica. Il critico d’arte –
149
GALEFFI, R. Letteratura poetica, letteratura prosastica,...
e nel caso in questione, il critico letterario – non si limita alla ricerca stori-
co-letteraria né a quella, fondamentale, della teoria generale dell’Arte (Este-
tica), ma, oltre al rigore logico-teoretico, dovrà dar prova di autentico sen-
timento estetico che gli permetta di rivivere le più intime motivazioni del-
l’autore in esame, a tal punto da poterle transmettere al lettore. Dovrà dun-
que esser dotato di effettiva capacità ricreativa poetica e non limitarsi a
meri panegirici od a severe stroncature senza riserve.
In altre parole, il critico letterario (o il critico d’arte) dovrà guidarsi
non solo su quella rigorosa coerenza logica che rivela ogni buon estetologo,
ma dovrà rivelare una effettiva capacità di sintonizzazione poetica con l’ar-
tista, sotto pena di ridurre il suo giudizio a mero atto arbitrario. È a tali
risultati che conduce la mancanza di distanziamento estetico nel comporta-
mento di non pochi pseudo-critici.
A guisa di conclusione, non dobbiamo ignorare un fatto che troppo
spesso viene ignorato: che l’autentico giudizio critico non può fondarsi
unicamente sulla notorietà del critico d’arte, giacchè in tutti i casi il buon
critico dovrà controllare il suo animo onde non lasciarsi guidare da senti-
menti che non collimano con quelli dell’autore in esame. L’artista è impre-
vedibile in ogni sua creazione e non può essergli negata a priori la possibi-
lità di inoltrarsi per sentieri giammai prima sperimentati. Per questo, la
critica deve aver come meta l’opera – ogni opera d’arte – indipendente-
mente dallo stile attribuito di solito all’artista. Ecco perchè non raramente
un autentico artista rimane ignorato o disprezzato durante la propria esi-
stenza, ma è poi riscoperto qualche secolo dopo.
È per questo che si afferma sempre più impellente la necessità, da
parte del buon critico, di non perder di vista la cosidetta «distanza esteti-
ca», ossia un effettivo svincolamento da interessi o preoccupazioni di natu-
ra estra-estetica, o da gusti o preferenze strettamente personali, ogni volta
che egli si disponga a giudicare l’opera di un artista.
150
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 151-163, 1998.
Adriana Iozzi*
* 151
Professora de Língua e Literatura Italiana da FCL/UNESP/Assis.
IOZZI, A. A cidade como linguagem: a poética topográfica...
1
CALVINO, I. Por que ler os clássicos? Trad. N. Moulin. São Paulo: Companhia das Letras, 1993, p.
149.
152
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 151-163, 1998.
2
CALVINO, I. Presentazione. In: Le città invisibili. 4. ed. Milano: Mondadori, 1995, p. 9-10. (Oscar
Mondadori).
3
CALVINO, I., op. cit., 1995, p. 6.
4
“La sfida al labirinto” foi publicada em Il menabò, n. 5, Torino: Einaudi, 1962. Para Calvino um
“labirinto gnoseologico-culturale” caracteriza a literatura pós-industrial, e é nela que se fundem
a pesquisa da complexidade e o fascínio pelo labirinto, definido como “assenze di vie d’uscita”:
Quel che la letteratura può fare è definire l’atteggiamento migliore per trovare la via d’uscita,
anche se questa via d’uscita non sarà altro che il passaggio da un labirinto all’altro. È la sfida al
labirinto che vogliamo salvare.
153
IOZZI, A. A cidade como linguagem: a poética topográfica...
5
Ver a respeito da composição do livro os comentários de M. BARENGHI, Note e notizie sui testi.
In: _____. Romanzi e racconti, II. Milano: Mondadori, 1992.
6
RAVAZZOLI, F. Le città invisibili di Calvino: utopia linguistica e letteraria. Strumenti critici, 54,
maggio, 1987.
154
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 151-163, 1998.
Após caminhar durante sete dias por entre as matas, quem vai a Bauci
não consegue vê-la, apesar de ter chegado:
7
Os trechos aqui citados foram extraídos de As cidades invisíveis. Trad. D. Mainardi. São Paulo:
Companhia das Letras, 1990.
155
IOZZI, A. A cidade como linguagem: a poética topográfica...
8
CALVINO, I. op. cit., 1990, p.67.
156
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 151-163, 1998.
Aquele que caminha pelas ruas das cidades deve decifrar signos plu-
rais das coisas. Isto ocorre também na cidade invisível de Tamara, onde os
olhos não vêem coisas, mas figuras de coisas que significam outras coisas: o
torquês indica a casa do dentista; o jarro a taberna, a balança a quitanda, e
assim por diante. A cidade é cercada por um invólucro de símbolos:
9
CANEVACCI. M. A cidade polifônica: ensaio sobre a antropologia da comunicação urbana. Trad.
C. Prada. São Paulo: Nobel, 1993, p.35.
10
CALVINO I., op. cit, 1990, p. 18.
157
IOZZI, A. A cidade como linguagem: a poética topográfica...
11
CANEVACCI, M., op. cit., 1993, p. 124.
12
CALVINO, I. op. cit., 1990, p.13.
158
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 151-163, 1998.
13
CALVINO, I. idem, p.13.
14
Ver a respeito os artigos de Robert Pechman, publicados em Olhares sobre a cidade. Rio de
Janeiro: Ed. UFRJ, 1994.
15
Em Seis propostas para o próximo milênio, Calvino afirma ser o símbolo da cidade aquele que
lhe permitiu maiores possibilidades de exprimir a tensão entre racionalidade geométrica e
emaranhado das existências humanas (p. 85).
159
IOZZI, A. A cidade como linguagem: a poética topográfica...
símbolo por meio do qual ele medita sobre a forma da literatura no mundo
contemporâneo.
O livro de Calvino é, na verdade, uma metaficção que parodia a história,
a trama de viagem e a caracterização da obra Il Milione (ou, O livro das
maravilhas, como é mais conhecido) do mercador veneziano Marco Polo, es-
crita por Rustichello da Pisa em 1298.16 Le città invisibili apresenta-se como
um relatório de viagem que Marco Polo faz a Kublai Kan, imperador dos tárta-
ros. A esse imperador melancólico, que entendeu que o seu decrescente poder
conta bem pouco já que o mundo está se convertendo em ruínas, um viajante
visionário descreve cidades impossíveis. Segundo Calvino, muitos foram os
poetas e escritores que se inspiraram em Il milione, visto como uma cenografia
fantástica e exótica, como por exemplo Coleridge, Kafka, Buzzatti. Juntamente
com Mil e uma noites, Il milione, estaria entre os poucos livros que se tornaram
continentes imaginários nos quais outras obras literárias encontrarão o seu
espaço; continentes do ‘algures’, hoje que o ‘algures’ pode-se dizer que não
mais exista, e todo o mundo tende a uniformizar-se.17
Ao longo de Il milione, Marco Polo apresenta qualidades de observação,
de documentação, de precisão, dificilmente atribuídas a um homem de sua
época, habituada a uma geografia maravilhosa e estandardizada. A visão do
mundo apresentada por Marco Polo é uma visão, antes de tudo, geográfica. O
autor age como um geógrafo e não é sem motivo que seu livro tem como
subtítulo A descrição do mundo. Neste livro ele pretende contar o conjunto da
Terra, localizar e descrever a totalidade dos elementos que a visão do mundo de
sua época contém, inclusive os elementos legendários, os quais não se distin-
guem dos elementos reais, pois fazem parte do mundo desconhecido, inexplorado.
Contrariamente ao Marco Polo, personalidade histórica, o Marco Polo
de Calvino será um Marco Polo alterado, atualizado, geométrico e labiríntico.
A grande dificuldade da personagem de Italo Calvino é descrever a realida-
de, porém, essa impossibilidade é substituída pela sua extraordinária capaci-
16
Marco Polo ditou suas memórias a Rustichello da Pisa quando ambos se encontravam no cárcere.
O texto original, em francês, é de 1298 e a versão toscana é de 1309.
17
CALVINO, I. op. cit., 1995, p. 8.
160
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 151-163, 1998.
18
SQUAROTTI, G. B. Dal Castello a Palomar: il destino della letteratura. In: FALASCHI, G. Italo
Calvino. Atti del Convegno Internazionale. Milano: Garzanti, 1987, p. 339.
161
IOZZI, A. A cidade como linguagem: a poética topográfica...
19
SQUAROTTI, G. B. op. cit., p. 337.
20
VARESE, C. Dialogo su Le città invisibili. Studi novecenteschi, 4, marzo, 1973, p.123-27.
162
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 151-163, 1998.
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171
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 173-182, 1998.
Vera Horn*
2
O enredo do conto, universalmente célebre, pode ser assim resumido: num dia de outono, o
narrador, que não recebe nome, chega à Casa de Usher, uma aristocrática e lúgubre mansão
situada defronte a um lago, a convite de seu proprietário, Roderick Usher, um estranho e bizarro
personagem. Roderick, dominado por uma enfermidade física e por um tormento mental (são
essas suas palavras na carta ao narrador), mora na casa com a irmã gêmea, a igualmente enferma
Madeline. Durante sua permanência na casa, o narrador testemunha certos fatos estranhos, participa
das atividades musicais, pictóricas e literárias de Roderick, sempre marcadas por uma atmosfera
de terror e perturbação, e se vê envolvido em suas fantasias particulares. Por dias seguidos o
narrador não vê e não ouve Roderick mencionar Lady Madeline, até que uma noite ele o informa
sobre a morte da irmã e lhe pede para auxiliar no seu sepultamento temporário, em uma das
criptas da casa, situada justamente embaixo dos aposentos do narrador. Após alguns dias, Roderick
apresenta um comportamento mudado e na sétima ou oitava noite após o sepultamento, o narrador
ouve certos ruídos indefinidos em seus aposentos. Roderick entra no quarto e lhe mostra a terrível
tempestade que estava ocorrendo, escancarando uma das janelas. Durante a tempestade, o narrador
passa a ler o imaginário Mad Trist para Roderick e os sons descritos na narrativa passam a ser
ouvidos na mansão, como um eco. Em certo momento da leitura, Roderick atribui os rumores
ouvidos à tentativa de Madeline de escapar da cripta. E de fato, Lady Madeline aparece e permanece
por um momento no umbral da porta, para em seguida cair sobre o irmão e arrastá-lo já morta
para o chão. O narrador foge e presencia a mansão tombar sobre o lago, que se fecha.
3
Eis o resumo do longo conto de Landolfi: o conto é narrado em 1ª pessoa; o protagonista é um
soldado partigiano, mas essa referência histórica é apenas um índice. O protagonista, que não é
designado por nenhum nome, penetra, em um dia de outono, num denso bosque. Ocorre-lhe ter
que fugir de uma patrulha, o que o leva a se embrenhar cada vez mais no bosque. A fuga o
conduzira a regiões altas, das quais ele terá que descer para encontrar abrigo. Impelido a buscar
um refúgio onde pudesse estar a salvo das patrulhas e se alimentar, acaba por encontrar uma
antiga casa, de aspecto abandonado, mas na qual certa disposição da mesa posta denuncia presença
humana. Delineia-se uma ambiente funesto e decadente. Daí por diante ele se embrenha cada vez
mais na casa (tal como no bosque), buscando, em seus recônditos, os segredos do velho que o
hospeda e o rastro de uma presença que lhe foge e que ele acredita feminina; uma busca pelos
meandros, pelos caminhos tortuosos, subterrâneos, corredores, passagens secretas e inúmeras
salas, que acaba levando-o a um ritual de magia negra que o velho empreendia para evocar a
amada morta. Uma violenta tempestade ocorre durante o ritual, onde aparece um espectro mali-
gno com as feições da esposa morta. A própria busca que ele empreende possui algo de ritualístico
e se efetua na direção das profundezas. Ao descobrir as estranhas práticas do velho, ser descoberto
por ele e vê-lo tombar ao chão sem poder salvá-lo, o narrador foge. Algum tempo depois retorna
174
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 173-182, 1998.
à casa e a presença feminina que ele intuíra lhe aparece dessa vez e lhe conta sobre a morte do
velho, seu pai, e sobre o relacionamento sadomasoquista que seus pais mantinham no passado e
no qual também a envolviam. Após a morte da esposa por uma doença misteriosa, o velho manteve
a filha enclausurada na casa e passou a votar a ela o amor violento que tinha pela esposa. O
protagonista se dá conta da semelhança entre a moça e um retrato da casa que o intrigara, que
representava sua mãe. Por fim, delineia-se um romance entre o protagonista e essa moça, que
manifesta sinais de desequilíbrio mental e acaba morta por soldados africanos.
4
Cf. DÄLLENBACH, L. Intertexto e autotexto. Intertextualidades. Número especial de Poétique.
Trad. C. Crabbé Rocha. Coimbra, Almedina, 1979. p.51.
5
Cf. SARGE, V. (1992), p. 9.
175
HORN, V. Landolfi leitor de Poe.
6
Todas as citações do conto terão como referência a seguinte edição: POE, E. A. A queda da casa
de Usher. In: _____. Histórias extraordinárias. Trad. B. Silveira e outros. São Paulo: Abril,
1981, p. 7.
7
Op. cit., p. 8.
176
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 173-182, 1998.
8
POE, E. A., op. cit., p. 20.
9
WILBUR, R. The House of Poe. Cf. Regan (1967), p. 104.
10
LANDOLFI, T., op. cit., p. 113-14.
11
POE, E. A. The short story. In: The Portable Poe. Selected and Edited, with an Introduction and
Notes by Philip Van Doren Stern. London, Penguin Books. p. 565-67.
177
HORN, V. Landolfi leitor de Poe.
12
POULET, G. The metamorphoses of the circle. Cf. WOODSON (1969). p. 105-10.
13
A queda da casa de Usher. In: op. cit., p. 16.
178
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 173-182, 1998.
14
As referências foram retiradas da edição: LANDOLFI, T. Racconto d’autunno. Milano: Adelphi,
1995, p. 128.
15
COX, J. M. Edgar Poe: Style as Pose. Cf. WOODSON (1969), p. 115.
16
PUNTER, D. (1980), p. 211.
17
Termo cunhado por RINALDI Rinaldo. Cf. BÁRBERI SQUAROTTI, G. (1989), p. 517.
18
FALQUI, E. (1970), p. 821.
179
HORN, V. Landolfi leitor de Poe.
19
Racconto d’autunno recria a seqüenciação de “A queda da casa de Usher”, seu movimento;
podemos resumir os principais elementos, já tratados anteriormente: em ambos o narrador se
depara com uma casa nos moldes descritos em um dia de outono e se prepara para adentrá-la;
esse conhecimento se fará na direção do interior, das profundezas. Durante sua permanência na
casa, presencia ou participa de acontecimentos estranhos, bizarros e é envolvido por uma atmo-
sfera tétrica. Esse movimento tem um ponto culminante em ambos os contos, durante uma vio-
lenta tempestade, quando o narrador assiste, em um conto, ao retorno de Madeline da cripta onde
estava sepultada e, no outro, ao ritual de magia negra do velho, que provoca o aparecimento de
um espectro supostamente representando a esposa morta; nesse momento, o narrador foge, após
presenciar a cena e a posterior queda de Roderick, levado para a morte pela irmã, e do velho, que
porém não morrera naquela exata ocasião.
20
Cf. ARROJO (1993), p. 71-89.
180
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 173-182, 1998.
il valore e nello stesso tempo il limite della poesia e dell’arte, per quella
percentuale di artificio che vi è in qualche modo conessa...”21 Questiona-
mento que tem importante relação com a crise da literatura expressa na
obra landolfiana.
Bibliografia
AA.VV., Intertextualidades. Número especial de Poétique. Trad. C. C. Rocha. Coimbra:
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PUNTER, D. The Literature of Terror. London e New York: Longman, 1980.
21
BERNABÒ SECCHI, G. (1978). p. 102
181
HORN, V. Landolfi leitor de Poe.
182
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 183-186, 1998.
A SENSUALIDADE DA LINGUAGEM
EM IL PIACERE
*
Doutoranda em Língua e Literatura Italiana183
da Universidade Federal do Rio de Janeiro.
MARTINS, C. F. M. A sensualidade da linguagem....
1
BINNI, W. La poetica del decadentismo. Firenze: Santoni Editore, 1988, p. 66.
184
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 183-186, 1998.
185
MARTINS, C. F. M. A sensualidade da linguagem....
faz parte da máxima decadentista da arte pela arte, ou seja, a palavra passa
por um processo semelhante ao trabalho realizado pelo artesão. Assim
D’Annunzio se serve de palavras raras que, depois, se tornam de uso co-
mum, utilizando a técnica de nobilitação das mesmas. Ouso dizer que, tan-
to para ele quanto para o prototagonista de Il piacere, a sedução é a fideli-
dade à palavra que percorre toda a sua narrativa, palavra trabalhada de
modo a ser capaz de transmitir a idéia de arte.
Bibliografia
BAUDELAIRE, C. Poesia e prosa: volume único (Org. Ivo Barroso). Rio de Janeiro: Nova
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LEMAIRE, M. Le dandysme de Baudelaire a Mallarmé. Paris: Klinckieck, 1978.
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PRAZ, M. La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica. Firenze: Sansoni,
1986.
186
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 187-191, 1998.
OS VISIONÁRIOS PROTAGONISTAS DE
ÉPOCAS DIFERENTES
1
MALERBA, L. Il serpente. Milano: Mondadori, 1989, p. 135.
188
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 187-191, 1998.
Observe ainda:
2
D’ANNUNZIO, G. Il piacere. Milano: Mondadori, 1984, p. 34.
3
MALERBA, L. Il serpente. Milano: Mondadori, 1989, p. 104.
189
REIS, S. C. Os visionários protagonistas de ...
Bibliografia
BATAILLE, G. A literatura e o mal. Trad. S. Bastos. Porto Alegre: L & PM, 1989.
BAUDELAIRE, C. Poesia e prosa: volume único (Org. Ivo Barroso). Rio de Janeiro: Nova
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ensaios. Terceira Margem: Revista da Pós-Graduação em Letras. Rio de Janeiro: UFRJ,
ano 3, n. 3, 1995.
4
PRAZ, M. Il patto col serpente. Milano: Mondadori, 1972, p. 545.
190
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 187-191, 1998.
191
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 193-198, 1998.
* 193
Titular de Língua e Literatura Italiana da Universidade Federal do Paraná.
VICENTINI, M. T. Linsegnamento della letteratura italiana...
194
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 193-198, 1998.
195
VICENTINI, M. T. Linsegnamento della letteratura italiana...
196
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 193-198, 1998.
Oltre alle difficoltà già menzionate, che sono oggettive e che persi-
stono (scarso dominio dell’italiano degli studenti quando affrontano i corsi
di letteratura con la conseguente difficoltà di lettura di testi antichi o, tra i
moderni, dei più densi linguisticamente; povertà delle biblioteche univer-
sitarie e, dati gli stipendi, di quelle personali dei professori; difficoltà di
preparazione di questi ultimi per l’eccessiva dispersione di tempo – anche
se, attualmente, si vedono agevolate le licenze per frequentare i corsi di
“Pós”; indubbia difficoltà di “composizione” dell’esigenza di offrire una
visione storica e di assicurare la lettura di un testo integrale...) si devono
aggiungere quelle derivanti dall’attuale approfondimento della crisi eco-
nomica, politica e strutturale dell’Università, per cui si sta mettendo in
discussione l’efficienza dell’insegnamento universitario nella sua totalità.
Gli argomenti sono noti: l’Università non sta dando agli studenti una
preparazione adeguata alle esigenze attuali della nostra società, anzi spes-
so tale preparazione non corrisponde alle esigenze minime di un insegna-
mento universitario; la mancanza progressiva di prospettive di impiego sta
causando il crescente disinteresse degli alunni allo studio; i docenti, per
l’inerzia di un certo corporativismo, resistono alla prospettiva di cambia-
menti radicali; ecc. ecc.
Così, un ripensamento del ruolo e della qualità dell’insegnamento di
una letteratura straniera nell’Università non può prescindere dall’esame
della crisi più ampia che investe questa istituzione e l’intera società, e di un
presa di posizione nei suoi confronti.
Certamente oggi non ci sorregge più l’ottimismo dei nostri antichi
padri che potevano dire fiduciosi, magari a mo’ di filosofica consolazione,
Sed medicinae tempus est, quam querelae; ma non credo che l’atteggia-
mento nostro debba essere di passività o di rinuncia di fronte a compiti che
sembrano tanto superiori alle nostre forze. Per quel che riguarda il nostro
campo specifico di attuazione esistono persino degli indicatori positivi.
Prima di tutto, la voglia di cambiare, che i tentativi di cambiamenti
sopraddetti rivelano. Poi, non si può negare che, in questi ultimi anni, sia
nato un nuovo interesse per l’apprendimento dell’italiano, che ha fatto au-
mentare l’offerta dei corsi di lingua italiana fuori della cerchia universita-
197
VICENTINI, M. T. Linsegnamento della letteratura italiana...
ria, e, nel campo della letteratura, ha fatto apparire un numero sempre più
crescente di traduzioni, spesso ad altissimo livello, anche delle opere dei
grandi classici. E tale movimento, lo si deve tenere presente, non può non
ripercuotersi favorevolmente anche sull’Università.
In quest’ambito, senz’altro, ci si sta richiedendo un atteggiamento
più combattivo. La difesa della specificità dell’insegnamento universita-
rio, che non può rinunciare, in nome di una mal definita efficienza, allo
spessore culturale che gli è proprio, dovrà venire accompagnata dalla pro-
posta di un nuovo tipo di efficienza, da essere definita in base a una messa
in discussione coraggiosa e critica del valore di tale insegnamento.
Gli interrogativi sono molti: qual è il destino dei corsi di Lettere e la
loro funzione in un contesto in cui voler essere professori è quasi un atto di
autopunizione? Come riuscire a migliorare la qualità dell’insegnamento, e,
nel caso della letteratura, a fare in modo che le si dedichino le molte ore
necessarie di studio, quando la disponibilità di tempo e l’interesse degli
alunni sono normalmente molto scarsi? Ecc. ecc. ecc.
Da parte mia (e non pensiate che voglia eludere tutte le difficoltà e
che pronostichi un inevitabile lieto fine), credo che, nonostante tutto, e
proprio in vista di un possibile ridimensionamento della specificità dell’in-
segnamento universitario, si debba puntare esattamente sul rinvigorimento
della qualità di questo insegnamento, che renda gli addetti al lavoro lettera-
rio, che forse in questo contesto non potranno essere molto numerosi, vera-
mente addetti.
Sarà possibile che questo avvenga? Spero che non siano i posteri a
dover dare l’ardua sentenza!
Sono convinta inoltre, e così concludo il mio intervento, che chi sen-
te lo studio della letteratura come un valore insostituibile per approfondire
la nostra qualità di uomini pensanti e dotati di sensibilità, e impegnati nella
costruzione di un mondo meno ostile, sappia poi anche trovare il modo di
insegnarla. Come senz’altro è accaduto sempre nel passato, nelle varie cir-
costanze, più o meno avverse.
198
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 199-214, 1998.
O IMIGRANTE ITALIANO NA
LITERATURA PAULISTA
Benedito Antunes*
* 199
Professor de Literatura Brasileira da FCL/UNESP/Assis.
ANTUNES, B. O imigrante italiano na literatura paulista.
tém o seu interesse ainda hoje porque logrou ir além dessa imitação mais
preconceituosa do que simpática que se fazia da língua forasteira, atingindo um
nível de criação textual próprio do universo literário.
Diversos fatores contribuíram para a caracterização de Juó Bananére.
Inicialmente, há a caricatura de Voltolino, com sua cabeleira desgrenhada,
os bigodões em ponta, as pernas arqueadas, a casaca, o chapéu, a impagável
bengala e o cachimbo fumarento, que já existia antes de Alexandre Macha-
do adotá-la como expressão de sua personagem. De acordo com Ana Maria
Belluzzo, das personagens criadas por Voltolino, Bananére foi a “mais aceita
e retomada por outros artistas”, que lhe davam “novos tratamentos” (1992,
p.161). Alexandre Machado teria, então, encontrado já prontos o pseudô-
nimo e a caricatura da figura que se sobreporia à sua própria personalidade,
funcionando como uma espécie de heterônimo. Mas assim como o
Macunaíma do lendário taulipangue está longe do herói sem nenhum cará-
ter criado por Mário de Andrade, Juó Bananére tomará vida essencialmen-
te pela linguagem desenvolvida por Alexandre Machado. A prova cabal
disto ocorre nas ocasiões em que Bananére deixa de colaborar no Pirralho
e a direção do semanário tenta achar-lhe um substituto. Em todos os casos,
o macarrônico revela seu lado preconceituoso, de pura imitação justamen-
te por não atingir o nível estilístico do criador de Bananére.
Juó Bananére morava na Baixada do Piques, que correspondia à atu-
al Praça da Bandeira, e escrevia cartas ao Pirralho, o semanário da moda,
cuja redação ficava na Rua 15 de Novembro, no chamado Triângulo, ponto
de encontro da elite paulistana. Em suas cartas, basicamente Bananére
estrilava contra tudo e contra todos, ao mesmo tempo em que ia, graças ao
comparecimento semanal na seção As Cartas d’Abax’o Pigues, dando for-
ma a um universo ficcional, de que participavam, além dele próprio e da
família inventada, uma multidão de figuras reais que acabaram tornando-
se também ficcionais, como é o caso do Capitó (baseada no político paulis-
ta Rodolfo Nogueira da Rocha Miranda), do Garonello (coronel do Exérci-
to José Brasil Paulista Piedade), do Lacarato (delegado de polícia Antônio
Nacarato) e do próprio Hermes da Fonseca, presidente brasileiro na época.
Enquanto personagem, pode ser definido como um ser volúvel, múl-
tiplo e contraditório, com origem, idade e outras qualidades variando se-
200
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 199-214, 1998.
201
ANTUNES, B. O imigrante italiano na literatura paulista.
O NAZIONALIZIMO
202
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 199-214, 1998.
“Signori!1
Io stó intirigno impegnorato con ista magninifica recepiçó chi
vuceis acaba di afazê inzima di mim. É molta onra p’run pobri
marqueiz! (Tuttos munno grita: nó apuiado! nó apuiado!)
Io ê di si ricordá internamente, i con molta ingratidó distu die
di oggi! I aóra mi permittano che io parli un pocco da golonia
intaliana in Zan Baolo, istu pidaço du goraçó da Intalia, atirado porca
sorte inzima distas pragana2 merigana. É una golonia ingollossale!
maise di mezzo millió de intaliano stó ajugado aqui, du Braiz ô Bó
Ritiro, i du Billezigno ô Bixigue! I chi faiz istu mundo di intaliano
chi non toma gonta du cumerçu, das fabbrica, da pulittica, du
guvernimo, i non botta u Duche dus Abruzzo3 come prisidenti du
Stá nu lugáro du Rodrigo Alveros?
1
O que se segue é uma paródia do discurso pronunciado por Olavo Bilac em 9/10/1915 na
Faculdade de Direito e transcrito em O Pirralho de 16/10/1915. Nesse discurso, o poeta fala
sobre o “lamentável estado atual da nossa nacionalidade” (p.3), defendendo, entre outras coisas,
o serviço militar obrigatório.
2
Provavelmente, plagas.
3
Luigi Amedeo duca degli Abruzzi (1873-1933), oficial da marinha italiana que, dentre várias
missões especiais, comandou a vitoriosa ação de Prévesa, durante a guerra ítalo-turca, tendo
também atuado durante a guerra mundial (IL NOVISSIMO MELZI; dizionario enciclopedico
italiano. 35.ed. riveduta e aggiornata. Milano: Antonio Vallardi, 1959, p.1172).
203
ANTUNES, B. O imigrante italiano na literatura paulista.
Juó Bananére5
Olavo Bilac, que tem alguns de seus mais famosos sonetos glosados
em La Divina Increnca, sofre aqui uma contundente e divertida paródia do
discurso pronunciado no dia 9 de outubro de 1915 na Faculdade de Direito
de São Paulo. Este texto faz par com as paródias poéticas, e sua análise
4
Pronúncia: frágora. It. fragola: morango.
5
Após esta carta, o Autor republica, na edição seguinte, de 13/11/1915, a paródia “Os meus otto
anno” e deixa o periódico, a ele retornando somente em 27/3/1917. A partir de 9/12/1915, ele
edita a página Sempr’Avanti!!..., na revista quinzenal O Queixoso, criada com a finalidade de
fazer oposição à candidatura de Altino Arantes ao governo de São Paulo (O Pirralho, 18 abr.
1916, p.3).
204
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 199-214, 1998.
205
ANTUNES, B. O imigrante italiano na literatura paulista.
206
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 199-214, 1998.
apoteoses. ... A fase atual de Bilac é uma gloriosa fase que faria a reputação
de qualquer literatura. / Salve, cantor estupendo!”
Essas rápidas pinceladas são suficientes para que se perceba o tom
exato da paródia de Bananére, que certamente esteve presente a todos os
festejos em honra ao príncipe dos poetas brasileiros. É preciso lembrar que
a imprensa, Pirralho incluído, encampou a campanha da nacionalidade. E
Bananére parte para outra via. Como já lembrei, o forte de sua paródia não
se deve tanto ao tema em si, ao desmonte das frases de efeito e do argu-
mento principal em prol da nacionalidade ameaçada, entre outras coisas,
pela grande imigração. Tudo isto vem consolidado de forma cômica e alta-
mente convincente pela linguagem macarrônica, cujos principais aspectos
tento apresentar a seguir.
A criação lingüística de Bananére desenvolve-se inicialmente em
quatro níveis: morfológico, fonético, ortográfico e sintático. No nível
morfológico, observam-se aqui quatro ocorrências principais: 1) palavras
comuns ao italiano e ao português; 2) palavras italianas; 3) palavras portu-
guesas e 4) nomes próprios. Os dois primeiros casos comportam três vari-
ações cada um: a) as palavras aparecem grafadas corretamente; b) apare-
cem deformadas ou alteradas; c) aparecem com significados diferentes. No
terceiro caso, as palavras podem aparecer grafadas corretamente ou ainda
deformadas ou alteradas. São ao todo nove ocorrências no nível morfológico,
que podem ficar melhor entendidas com alguns exemplos.
a) Morfologia
207
ANTUNES, B. O imigrante italiano na literatura paulista.
2) Palavras italianas
a) grafadas corretamente: amabile, che, come, con, di, direttore, dissi
(io), ecc., forza, giovani, gustoso, io, mezzo, mi, migliore, molto(a), no,
non, Normale, nostro(a), oggi, parli, porcheria, quale, scrivo, scuola,
settimana, signori, speciali, studenti, un, una, uomo, vacca. As palavras
exclusivamente italianas ocorrem com mais freqüência do que as comuns
208
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 199-214, 1998.
3) Palavras portuguesas
a) grafadas corretamente: a (art.), acaba, anda, aqui, até, como, da
(de + a), das, de, dois, é, fui, grita, lá, livro, mim, mundo, na, o, os, que,
relaxamento, rua, só, toma, tudo, vai. Este caso, depois do seguinte, repre-
senta provavelmente a maior ocorrência nos textos de Bananére como um
todo, principalmente por causa da repetição.
b) deformadas ou alteradas: acarregado, acunvidá, afazé, afazê,
afazéno, ajugado, ajugava, apuiado, argodó, assubio, atirado, bandeiranti,
baratiá, begiáro, begigno, bidicaçó, bondi, botta, Braiz, bunito, catá,
cumpette, cunvito, die, disposa, distas, disto, distu, du, dus, ê (hei), faiz,
fizéro, fumos, furo, gara, gatáno, giugáro, gonta, goraçó, grianza, í, illo,
intirigno, intó, ista, istu, la, livá, livaro, liváro, lugáro, máia, maise,
marqueiz, migna, nu, onra, onti, páio, palavria, paper, pegnorato, pidaço,
pigô, piguê, pissoalo, pobri, podi, povaré, pur, purçó, recepiçó, rojó, sabi,
sertó, sgugliambaçó, sigarro, sorbeta, sugio, també, tambê, tocco, vê, vô,
voiz (vós), vuceis, xamáno, xiguê. É no âmbito das palavras portuguesas
que ocorre o maior número de alterações ou deformações. De um lado,
essas deformações aproximam a língua portuguesa da italiana, geralmente
por meio de uma pronúncia típica do imigrado, como em argodó, begiáro,
giugáro, goraçó, grianza, illo; de outro lado, refletem a influência do por-
tuguês popular praticado em São Paulo, sobretudo em sua variante oral,
como acunvidá, assubio, baratiá, Braiz, faiz, fizéro, fumos.
209
ANTUNES, B. O imigrante italiano na literatura paulista.
b) Fonética
210
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 199-214, 1998.
c) Ortografia
211
ANTUNES, B. O imigrante italiano na literatura paulista.
d) Sintaxe
212
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 199-214, 1998.
3) Expressões próprias:Uh!
Uh! gustoso!
Porca sorte!
213
ANTUNES, B. O imigrante italiano na literatura paulista.
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214
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 215-220, 1998.
Márcia Rorato*
216
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 215-220, 1998.
217
RORATO, M. A produção literária dos imigrantes italianos ...
218
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 215-220, 1998.
219
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220
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 221-228, 1998.
2
Come è noto, nella Roma antica la basilica era il luogo ove si amministrava la giustizia e dove si
concludevano gli affari.
3
La zona ove oggi sorge il Castello venne fortificata sin dalle epoche piu antiche.
222
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 221-228, 1998.
divenendo ben presto meta di innumerevoli affaristi che qui aprono reddi-
tizie attività economiche. Parimenti, ha inizio il grande sviluppo urbanisti-
co della città. Nel 1740, per volere dell’imperatrice Maria Teresa, vengono
abbattute le antiche mura medioevali e viene costruita la “città Teresiana”
detta anche Borgo Teresiano, che a tuttoggi costituisce uno dei centri eco-
nomici più vivaci della città. Subito dopo Giuseppe II fa costruire la “città
Giuseppina” o Borgo Giuseppino, mentre Francesco I edifica la “città Fran-
ceschina”. Tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, Trieste co-
nosce anche l’occupazione napoleonica, svoltasi in tre riprese, nel 1797,
nel 1805-6 e nel 1809-13. Dal 1813 la città ritorna definitivamente sotto il
dominio austriaco.
All’epoca compresa tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento
risale la maggior parte degli edifici storici che oggi decorano la città, tanto è
vero che spesso si usa indicare Trieste come una città dal carattere prevalen-
temente neoclassico. Numerosi gli edifici di grande pregio, a partire dal Pa-
lazzo Pitteri, costruito tra il 1780 e il 1790 da Ulderico Moro nella centralissima
Piazza Grande, oggi Piazza dell’Unità d’Italia; il Teatro Giuseppe Verdi,
edificato tra il 1798 e il 1801 dall’architetto triestino Matteo Pertsch, da due
secoli cuore dell’attività musicale di Trieste; il Palazzo della Borsa, costruito
nel 1800 da Antonio Molari; la chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo opera
dell’architetto triestino Pietro Nobile; e si potrebbe proseguire a lungo. In
una carrellata architettonica è però importante ricordare che Trieste offre
oggi agli occhi del visitatore anche numerosi palazzi di epoca e stile differen-
ti, come gli edifici liberty d’inizio secolo (valga per tutti l’esempio di casa
Bartoli, edificata nel 1905 dall’architetto Max Fabiani) o le opere dei fratelli
Arduino e Ruggero Beriam, che edificarono, tra le altre cose, la Sinagoga
ebraica (1910) a tuttoggi la più grande d’Europa, e il faro della Vittoria
(1927) per lungo tempo dotato del fascio di luce più potente del mondo. È
chiaro che oggi la città si è notevolmente estesa al di là dei suoi confini
ottocenteschi e numerosi palazzi, anche di recentissima costruzione, ne ab-
belliscono l’aspetto, senza tradirne quel volto di armoniosa classicità che la
caratterizza.
Trieste, città dal carattere e dall’atmosfera particolari, ha saputo atti-
rare più volte a sé personaggi illustri. Basti pensare che il ramo dei
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QUAZZOLO, P. Per un ritratto di Trieste.
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 221-228, 1998.
225
QUAZZOLO, P. Per un ritratto di Trieste.
pronta a recepire i più nuovi fermenti culturali provenienti dal centro Euro-
pa, seppe farsi splendido interprete della psicoanalisi letteraria aprendo, con
il suo romanzo La coscienza di Zeno, una nuova via alla letteratura italiana
ed europea. Ma se la prima metà del secolo annovera numerosi scrittori di
gran pregio – tra di loro è doveroso ricordare almeno i nomi di Scipio Slataper,
Carlo e Giani Stuparich, Silvio Benco e Virgilio Giotti – anche negli ultimi
decenni di storia letteraria triestina non sono mancati nomi illustri, come
quelli di Renzo Rosso, Claudio Magris, Fulvio Tomizza e, “caso” letterario
più recente e discusso, Susanna Tamaro, autrice di alcuni best-sellers molto
letti anche all’estero.
La Trieste di oggi, al pari di numerose altre città, ha conosciuto quella
grave crisi economica che sta in questi anni colpendo l’Italia e gran parte
d’Europa. Nonostante tutto, a differenza di altri centri che non riescono a
trovare vie alternative di sbocco, Trieste è sembrata capace, soprattutto
negli anni più vicini a noi, di trovare alcune risorse alternative. Senza nega-
re il fatto che la città ha conosciuto una regressione economica rispetto ai
fasti del passato, che sta vivendo il problema della disoccupazione, così
come ha visto un sensibile calo demografico, tuttavia Trieste oggi conosce
una seppur lenta ripresa economica grazie agli investimenti che si sono
voluti fare su due settori distinti e per molti versi contrapposti: quello della
cultura e quello della scienza.
Se è vero che, dal punto di vista economico, le compagnie di assicura-
zione e le banche – assieme a qualche settore dell’attività industriale come
quello del caffé – costituiscono il fiore all’occhiello, è altrettanto vero che
Trieste, forte di una tradizione culturale estremamente solida e articolata, sta
puntando moltissimo sulla nascita di una vera e propria “industria della cul-
tura”, capace di avvicinare alla città una grossa fetta di turismo così come di
appassionati e di studiosi. In questo senso molto si è puntato sul richiamo
esercitato dall’organizzazione di grandi mostre d’arte, così come sull’attività
teatrale che a Trieste conosce uno dei vertici piu alti di tutta Italia. Basti
pensare, a questo proposito, che la città può vantare nel corso di una stagione
teatrale un numero di spettacoli e di spettatori che è di poco inferiore a quello
di città come Roma o Milano, notoriamente molto più grandi di Trieste. In
città hanno sede numerosi teatri, attivi sia nel campo della prosa, sia in quello
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 221-228, 1998.
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QUAZZOLO, P. Per un ritratto di Trieste.
228
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 229-233, 1998.
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 229-233, 1998.
231
SATTA, A. M. e MELLO, L. Italiano e spagnolo, lingue ...
invece in un dizionario che parte dallo spagnolo (v. Secundí Sañé e Gio-
vanna Schepisi, Falsos amigos al acecho, Zanichelli, Bologna, 1992) il
termine “bomba” deve essere incluso, perché, avendo in questa lingua il
doppio significato di “pompa” e “bomba”, può provocare confusione nel
lettore italiano. Riteniamo necessario fare questo chiarimento sia per giu-
stificare la selezione dei termini presi in considerazione, sia per dimostrare
che due dizionari con le suddette caratteristiche non si escludono l’un l’al-
tro, ma si complementano.
Il corpus del dizionario Falsi amici... comprende termini sia della
lingua letteraria sia di quella colloquiale e persino della popolare e gergale.
Ciò giustifica l’eterogeneità della scelta, come pure la diversa frequenza
d’uso dei termini selezionati.
Come ultima precisazione, vogliamo aggiungere che la maggior parte
delle coppie di “falsi amici” contenute nel dizionario appartiene a una stes-
sa categoria grammaticale; ciononostante in alcuni casi abbiamo deciso,
con un criterio forse non troppo ortodosso, di correre il rischio di includere
“coppie” di categorie grammaticali diverse tra loro, dato che spesso avven-
gono false interpretazioni proprio in classe con gli alunni, come abbiamo
potuto constatare per esperienza personale. Un esempio per tutti: nella fra-
se “siete in classe” gli alunni sono caduti nell’inganno della falsa traspa-
renza di “siete”, voce verbale di essere, con il numero “sette” (“siete” in
spagnolo). Così pure in una comprensione di lettura gli alunni hanno
maltradotto la frase “il Ministro è giunto a Parigi con la moglie”, confon-
dendo il participio passato giunto con l’avverbio junto (insieme).
Infine: questo lavoro si è basato sullo spagnolo parlato in Messico
che come è noto, ha, al pari di altri paesi di lingua spagnola, le sue peculia-
rità e i suoi usi particolari, e a volte termini derivati da lingue locali indige-
ne. Esempio: la parola torta, che in Messico è un panino molto imbottito,
con cipolla, avocado, carne, uovo, chile e altri ingredienti, è stata inclusa
per la falsa trasparenza con l’omonimo termine italiano.
Il dizionario ha ovviamente un fine didattico e utilitario; nonostante
ciò, si è pensato, per renderlo più gradevole agli studenti di italiano che si
prevede ne siano i principali utenti, di dotarlo di un’appendice che vuol
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 229-233, 1998.
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 235-244, 1998.
O FENÔMENO DA TRANSFERÊNCIA NA
APRENDIZAGEM DE EXPRESSÕES
IDIOMÁTICAS
A década dos 80-90 abriu uma nova era para a integração da Améri-
ca Latina que visa o estímulo à divulgação das culturas nacionais dos paí-
ses envolvidos. O ensino do português e do espanhol na América Latina
nos últimos anos tem crescido sobremaneira devido às relações e ao inter-
câmbio econômico e cultural entre os nossos países.
O fato dessas línguas serem da mesma família neolatina e inclusive
as de maior afinidade por apresentarem semelhanças no campo lexical,
morfológico e sintático nos faz pensar, e supor erroneamente, na facilidade
de aquisição de qualquer uma delas sem ter em conta que justamente essa
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 235-244, 1998.
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ALVAREZ, M. L. O. O fenômeno da transferência na aprendizagem...
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 235-244, 1998.
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ALVAREZ, M. L. O. O fenômeno da transferência na aprendizagem...
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 235-244, 1998.
241
ALVAREZ, M. L. O. O fenômeno da transferência na aprendizagem...
Considerações finais
Para garantir-se um bom desenvolvimento das relações econômicas
e culturais entre nossos países é realmente necessário entender que falar
Portunhol não é suficiente. É preciso encarar a realidade estudando e apren-
dendo a língua-alvo (português ou espanhol) com seriedade, incluindo o
léxico do dia-a-dia que é mais distante para o aprendiz do que o léxico
formal (Almeida Filho, 1995). Devem-se explorar mais os componentes
culturais do Brasil e dos outros países de fala hispânica, bem como os con-
trastes interculturais.
Apesar de não serem motivo de preocupação no estágio inicial do
aprendizado, as interferências deverão ser gradativamente reduzidas e ex-
tintas. Segundo Lombello (1983)
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 235-244, 1998.
sino que o professor será capaz de elaborar a partir dos erros cometidos
pelos aprendizes e que, afinal de contas, são os indicadores e fonte de in-
formação para o material de instrução que o professor deverá preparar.
O exame da interlíngua de um grupo de alunos é, como afirma Moita
Lopes ( 1996), de grande ajuda para os professores, pois pode apontar os
processos de aprendizagem dos alunos, os níveis lingüísticos que apresen-
tam áreas mais problemáticas e aspectos que ainda devem ser estudados.
Toda língua tem o que Bally chamou virtualidades, isto é, um sem-
número de possibilidades vocabulares. Algumas já se encontravam na cons-
ciência língüística da comunidade e podem “pegar”, passando de fato de
expressão a fato de língua.
Os estudantes não nativos para interpretar corretamente uma expres-
são idiomática não só precisam de conhecimentos extralingüísticos e esta-
belecimento de analogías entre as duas culturas, mas também precisam
conhecer as associações culturais sobre as quais se estabelece a originali-
dade dessas expressões, questões indispensáveis para a sua compreensão.
Finalmente, lembremos, pois, as palavras de Gross (1988) quando afir-
mou que se fosse feito um estudo sistemático das construções e dos elemen-
tos lexicais constituintes das expressões idiomáticas ter-se-ia uma imagem
mais completa e coerente da gramática e do léxico de uma língua.
Referências bibliográficas
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GADOTTI, M. Diversidade cultural e educação para todos. Rio de Janeiro: Graal, 1992.
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ALVAREZ, M. L. O. O fenômeno da transferência na aprendizagem...
244
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 245-261, 1998.
Franca Bizzoni
Anna de Fina*
246
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 245-261, 1998.
(1) CS4AA
I le schede ipedagojike¿
(invece di: pedagogiche)
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BIZZONI, F. e FINA, A. de. Mutamenti morfosintattici e...
(2) CS17FA
LU son continuamente tramposi
(invece di: imbroglioni)
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 245-261, 1998.
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BIZZONI, F. e FINA, A. de. Mutamenti morfosintattici e...
(3) CS4AB
LA ha già finito la carriera andrà in
Italia (invece di: l’università, il corso di laurea)
Qui i significati dell’it. carriera e dello sp. carrera sono molto simi-
li, ma i significati coincidono solo in parte: in spagnolo infatti una delle
250
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 245-261, 1998.
(4) CS17FA
LU con tanti passanti
(invece di: laureandi)
Da notare qui che il termine sp. pasantes non ha in comune con l’it.
passanti che una certa trasparenza fonologica. Ciò, se da una parte facilita
l’assunzione delle regole morfo-fonetiche dell’italiano (uso del doppio
fonema /ss/ e del morfema plurale – i), dall’altra favorisce l’interferenza a
livello di significato.
(5) CS7FA
M.P. in una classe universitaria...
(invece di: lezione)
(6) CS15FB
NI però dato che quelli di sesto cioè quelli che escono
quest’anno
(invece di: finiscono)
251
BIZZONI, F. e FINA, A. de. Mutamenti morfosintattici e...
(7) CS6FA
(si sta parlando del pagamento degli stipendi)
A.S. non pagano stanotte perché qualche volta pagano
la notte prima
(invece di: stasera, la sera prima)
(8) CS14FA
NI è un po’ difettoso per questo io accelero tanto
quando (o.o) come che si tappa ((...)) non l’ho
potuta portare dal meccanico
(invece di: sembra che si ingolfa)
252
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 245-261, 1998.
(10) CS4AA
LI queste stesse battute le ripetono in camera lenta
(invece di: al rallentatore)
(11) CS5AA
LI e quando mi trovo l’attività alla sinistra
(invece di: a sinistra)
(12) CS4AB
LI tanto parziale come finale
(invece di: tanto ... quanto)
253
BIZZONI, F. e FINA, A. de. Mutamenti morfosintattici e...
(13) CS3FA
CL far degli esercizi con situazione comunicativa
reale, enfasi nel contenido
(invece di: sul contenuto)
(14) CS3AA
LA io pensavo in trovarmi
(invece di: di trovarmi)
(15) CS3AA
LA che pensavo cambiare con l’autunno
(invece di: pensavo di cambiare)
(16) CS5FA
NI pensavo fare (.) un brano
(invece di: pensavo di fare)
Negli esempi (14), (15) e (16) la costruzione del verbo sp. pensar
viene generalizzata all’it. pensare. In (14) è stranamente la costruzione
pensar en SN che influisce sulla forma italiana, mentre nelle altre occor-
renze è la regola relativa a pensar infinito ad essere presa come modello. In
254
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 245-261, 1998.
(17) CS3FA
GI questo metodo propizia de que allo studente (.)
questo metodo propizia che si usi questo tipo di
materiali
(invece di: favorisce l’uso)
(18) CS4AA
LI so che voi lavorate anche in questo
(invece di: su questo)
255
BIZZONI, F. e FINA, A. de. Mutamenti morfosintattici e...
N. occorenze Percentuale
Estensione del significato 66 72.52%
Traduzione letterale 12 13.18%
Generalizzazione di regole 9 9.89%
Calco 4 4.39%
91
256
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 245-261, 1998.
257
BIZZONI, F. e FINA, A. de. Mutamenti morfosintattici e...
258
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 245-261, 1998.
a quella dei nativo-parlanti. È per esempio il caso di NO, che come già
detto, pur vivendo in Messico da 12 anni presenta solamente un miscuglio.
Per quanto riguarda invece i risultati più propriamente linguistici di
questo studio, c’è da notare, come abbiamo visto, che l’area di maggior
attrito è quella lessicale, mentre l’area sintattica è toccata quasi esclusiva-
mente nel campo dei relatori. Queste conclusioni sono sorprendentemente
simili a quelle raggiunte, per quanto riguarda l’attrito, da Araujo Carrera
(1991) in uno studio su adolescenti portoghesi nati e cresciuti in Francia,
condotto su composizioni scritte e non su un corpus orale. Anche in quel
caso l’interferenza maggiore era sul terreno lessicale e nell’ambito dei
relatori (ver Araujo Carrera, 1991:168). Ciò sembra indicare che, almeno
tra lingue tipologicamente simili, ci sono aree maggiormente soggette al-
l’attrito di altre. D’altronde questa ipotesi è stata avanzata anche in termini
generali da Sharwood & Van Buren, i quali sostengono che “certain type of
knowledge may be more liable to attrition than another” (1991:19). È inte-
ressante notare che nel nostro corpus è praticamente assente l’attrito indot-
to internamente, se si esclude il caso possibile del livellamento dell’oppo-
sizione tra dire di + infinito e dire che + congiuntivo. Tale livellamento è
suggerito nel nostro corpus dal fatto che tutte le costruzioni con il verbo
dire sono seguite da che + congiuntivo.
L’assenza quasi totale dell’attrito indotto internamente nel nostro corpus
non sorprende dato che questo sembra essere un fenomeno legato ad un gra-
do di perdita della L1 molto serio. Che cosa possono dirci questi fenomeni di
attrito sull’acquisizione/apprendimento dell’italiano come lingua straniera?
È possibile fare delle analogie fra italiani che perdono la L1 e studenti ispano-
parlanti che apprendono l’italiano come lingua straniera? Non è facile stabi-
lire dei parallelismi fra i due processi, perché mentre il bilingue incipiente si
basa fortemente sul sistema della L1 per costruire la sua interlingua, il bilin-
gue in fase di attrito si basa al contrario sulla L2 per indurre modifiche alla
L1. L’attrito è insomma un fenomeno tipico delle fasi avanzate di acquisizione
di una lingua seconda. Tuttavia non si può escludere l’ipotesi che le aree
della L1 che subiscono maggior attrito per il bilingue siano anche aree di
maggior resistenza da parte di chi apprende quella stessa lingua. Nel nostro
caso, quindi, si tratterebbe di dedicare particolare attenzione, nei corsi di
259
BIZZONI, F. e FINA, A. de. Mutamenti morfosintattici e...
Bibliografia
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260
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 245-261, 1998.
261
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 263-268, 1998.
264
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 263-268, 1998.
265
MORDENTE, O. A. Litaliano a San Paolo.
266
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 263-268, 1998.
267
MORDENTE, O. A. Litaliano a San Paolo.
zione. Senza dubbio l’italiano si trova in questa categoria: è una lingua che
si propaga o si è propagata principalmente perché è stata esportata dagli
emigranti, ma si propaga anche per la proiezione economica e socioculturale
del paese.
Conclusioni
Dal punto di vista demografico, l’italiano è una lingua relativamente
debole, destinata, per sua natura, a riprodursi dentro le comunità che già lo
parlano e che sono legate all’emigrazione.
Dal punto di vista dell’immagine, sappiamo l’importanza che l’ita-
liano ha ottenuto attraverso i secoli. E dal lato strutturale, ha, in rapporto
alle altre lingue, una serie di caratteri conservatori che lo fanno più com-
plesso nel suo apprendimento.Tra le lingue neolatine è quella che ha con-
servato fino ad oggi il sistema di particelle pronominali più complicato.
L’America del Sud, in particolare, è il continente a cui l’Italia può
offrire un dialogo sereno e fruttuoso per entrambe le parti, proprio per la
similarità delle lingue che vi si parlano, per la vicinanza di caratteri, per i
grandi legami etnici e culturali. È appunto in onore agli emigrati che l’ita-
liano non dovrebbe languire ma rinascere con più forza e permettere che
vengano preparate nuove leve di italianisti di alto livello che diano presti-
gio all’italiano.
268
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 269-277, 1998.
* 269
Professora de Língua Italiana da Universidade de São Paulo.
CAPRARA, L. de S. Litaliano a San Paolo: ...
linguisticamente non è rimasto nulla, o quasi nulla se non si vuol tener conto
di alcune espressioni che potremmo definire folcloriche: “italiani brava gente
– buona gente”, “mangia che ti passa”, o alcuni nomi di piatti tipici italiani:
pizza, spaghetti, ravioli, lasagne, gnocchi, focacce ecc., spesso detti e scritti
in modo scorretto o, per lo meno, brasilianizzato (espagueti, lasanhas,
nhoque). È rimasta la “mamma” (o mama), come nome della figura tipica
della famiglia italiana, o anche la “nonna”. Ma ben poche altre parole sono
rimaste nell’uso, prima che l’interesse per la nostra lingua si rinnovasse, e
non solo per effetto dell’ultima ondata migratoria, ben differente dalla prima
sul piano culturale e sociale e, di conseguenza, anche linguistico, ma soprat-
tutto per l’immagine di progresso e di benessere che, negli ultimi decenni,
l’Italia proietta nel mondo.
Ora, camminando per le strade del centro bene di San Paolo, ci si
imbatte continuamente in insegne in italiano che non sono più soltanto
insegne di ristoranti e pizzerie, ma anche di molti negozi di moda e abbi-
gliamento, arredamento, mobili, antiquariato, gallerie d’arte, auto. Ne cito
solo alcuni che dimostrano una vasta gamma di attuazione e, a volte, una
certa elaborazione linguistica propria di chi parla abitualmente italiano. In
altre, invece, si nota scarsa dimestichezza con l’ortografia e quindi una
conoscenza limitata della lingua, che presumibilmente è solo orecchiata,
ma tuttavia è sinonimo di prestigio, eleganza, cultura, benessere. Tra le più
elaborate ricordiamo: Cose di legno, Proposta d’arredo, La novità, Di Ve-
tro, Tradizione: Tappeti antichi, Ragazza, moda intima; altre sono soltanto
corrette: Arredamento, Innovazione, Stravaganza, Antica; mentre: Forbicci,
Automercatto, Mezannino, Tropo buona, mostrano l’incertezza ortografi-
ca di chi non usa molto la lingua scritta. Comunque è un tipo di visibilità
significativa del prestigio della lingua e della presenza italiana.
Inutile esaminare ora le ragioni della scomparsa dell’italiano parlato
dalla prima ondata di immigrati. L’italiano, all’inizio del secolo, aveva avuto
a San Paolo i suoi momenti di gloria, con un grande numero di giornali,
specie anarchici e socialisti, con parecchie scuole di primo e secondo gra-
do, con spettacoli a volte importanti.
Ciò, fra l’altro, dimostra che non tutti gli italiani che arrivarono a San
Paolo erano contadini analfabeti. Tuttavia la facilità con cui si integrarono
270
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 269-277, 1998.
271
CAPRARA, L. de S. Litaliano a San Paolo: ...
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 269-277, 1998.
cialmente tecniche, proprie delle lingue settoriali e poi passate alla lingua
comune, di modo che si ha l’impressione di un notevole impoverimento
lessicale, in rapporto all’italiano parlato in Italia da persone dello stesso am-
biente socioculturale.
Una prima analisi delle interviste fatte finora, circa 25 ore di registrazio-
ne, sembrerebbe confermare tale impressione. Però qui si pone una domanda
per la quale non abbiamo ancora una risposta soddisfacente. Le persone inter-
vistate sono tutte persone di una certa età. È possibile, ci chiediamo, che l’età,
già di per sé, influisca sulla memoria linguistica e lessicale? Potrebbe essere
interessante confrontare il numero di parole usate da un italo-brasiliano con
quelle usate da un italiano della stessa età e classe socioculturale. A questo
lavoro si dedica un membro della nostra equipe, processando elettronicamente
alcune delle interviste e confrontandole con equivalenti italiane.
Altre caratteristiche dell’italiano parlato a San Paolo dal gruppo di
persone intervistate sono: 1. tratti conservativi, cioè il mantenimento di pa-
role e locuzioni ormai poco usate in Italia; 2. una certa confusione nell’uso
di prefissi e suffissi; 3. scelta lessicale tendente a privilegiare le parole del
tronco comune presenti nelle due lingue, italiano e portoghese brasiliano, a
volte con slittamenti di significato in favore del portoghese (collegio nel si-
gnificato di liceo, salario invece di stipendio ecc.); 4. parole del portoghese
brasiliano che indicano realtà caratteristiche del luogo e che non possiedono
una traduzione italiana soddisfacente.
Il primo punto è intuitivo: i parlanti si mantengono attaccati alla lingua
che hanno portato con sé dalla madrepatria, dato che le parole, o per lo
meno alcune parole, hanno un valore affettivo da non sottovalutare. Anche
la non conoscenza o il rifiuto dei neologismi, anche tecnici, a cui normal-
mente si preferisce il nome brasiliano o un suo adattamento, rientra spesso
in quest’ottica. È il caso del computer, che spesso diventa computatore,
della stampante che o rimane impressora o a volte diventa stampatrice ecc.
Ma ciò avviene anche in altri campi della tecnologia o anche del lessico
domestico (vedi: geladeira, fogão, liquificador), della medicina (i nomi dei
medici: oftalmologista ecc.).
Il secondo punto, la confusione cioè di prefissi e suffissi, sembra più
interessante. Succede infatti che i prefissi e i suffissi spesso sono gli stessi in
273
CAPRARA, L. de S. Litaliano a San Paolo: ...
274
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 269-277, 1998.
275
CAPRARA, L. de S. Litaliano a San Paolo: ...
Bibliografia
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 269-277, 1998.
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BERRUTO, G. Aspetti sociolinguistici dell’Italia contemporanea. Roma: Bulzoni, 1977.
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DE MAURO, T. Storia linguistica dell’Italia unita. Bari: Laterza, 1991.
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TASSELLO, G. Lessico migratorio. Roma: Centro Studi Emigrazione, 1987.
277
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 279-286, 1998.
Paola Riva
Horacio Biondi*
280
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 279-286, 1998.
281
Livelli Oggetto di analisi
Pre testuale Presupposizioni a) Orientamento: Grammatica = segni
1) Lettura b) Analisi comprensione
2) Lettura Riduzione strutturale e esplicazione
Ulteriore
Riduzione
Contenuti denotati Strut-
Armatura
turazione Macrosintat-
tica
Contenuti connotati Testura
RIVA P. e BIONDI, H..Corsi di lettocomprensione ...
282
Rapporti extratestuali Contesto
culturale esterno
Schema o
Usi, funzioni struttura di base
Dinamica
sociocomunicativa
Sintesi-Riscrittura interpretativa e valutiva (Metatesto)
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 279-286, 1998.
283
RIVA P. e BIONDI, H..Corsi di lettocomprensione ...
nel testo (personaggi e fatti nei racconti; idee nei testi argomentativi; qui
potremmo applicare lo schema di Propp o le funzioni di Barthes, a scelta) e
le informazioni contenute nelle sequenze.
L’organizzazione delle sequenze corrisponde alla macrosintassi del
testo.
Si potrá proporre agli alunni di apporre un titolo ad ogni sequenza e
organizzare quindi uno schema del contenuto.
Il terzo aspetto è la connotazione; esso mira a rilevare la testura del
brano: categoria modale (comico, tragico, argomentativo ecc.), registri lin-
guistici, interpretazione dei sensi allusivi, indiretti (traslati, metafore, sim-
boli, allegorie ecc.), figure quantitative e spaziali (dimensioni assegnate
alle diverse parti e loro importanza).
Nei rapporti extratestuali vanno tenute presenti le relazioni fra testi,
codici o retoriche ricorrenti, storicità, cultura (intesa in senso antropologi-
co e quindi come globalità di atteggiamenti, credenze, comportamenti, tec-
niche ecc.).
Lo studio degli usi e funzioni si riferisce alle dinamiche socio-comu-
nicative del testo:
– Situazione comunicativa (emittente, ricevente, rapporti di status,
canale, cultura, contesto).
– Scopi che si propone l’emittente (informativo, regolativo, espres-
sivo, conativo).
Come ultima tappa di questo processo l’alunno dovrà poter giungere
a una sintesi del testo, quindi a una concettualizzazione, ed infine, se fosse
necessario, ad una riscrittura interpretativa e valutativa di esso (metatesto).
Questo tipo di lettura è una vera e propria ricerca.
Come applicazione pratica di questo modello teorico proponiamo
una serie di esercizi che possono servire da guida al discente.
TIPI DI ESERCIZI
284
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 279-286, 1998.
285
RIVA P. e BIONDI, H..Corsi di lettocomprensione ...
286
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 287-298, 1998.
LA CONVERSAZIONE NELLINSEGNAMENTO
DELLITALIANO
Simonetta Magnani*
* 287
Leitora de Língua e Literatura Italiana da Universidade Federal do Paraná.
MAGNANI, S. La conversazione nellinsegnamento dellitaliano.
288
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 287-298, 1998.
– Motivazione
– Globalità
– Analisi
– Sintesi
– Riflessione
– Controllo
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MAGNANI, S. La conversazione nellinsegnamento dellitaliano.
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 287-298, 1998.
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MAGNANI, S. La conversazione nellinsegnamento dellitaliano.
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 287-298, 1998.
Analisi – ascolto con il testo presentato con utilizzo di ludici e lav. luminosa
attività di completamento per il lavoro di analisi sul testo
– riascolto con il testo completato
(comprensione) analisi ling.: lavoro in piccoli gruppi
espress. metaf. strutture gramm.:
pron+rel. verbo: pres ind. 2ap.
Analisi stil. testo poetico
Sintesi – individuare
le tematiche del viaggio lavori in piccoli gruppi
– fare un viaggio immaginando
quali luoghi dell’Europa si tocca- lavoro con il gruppo classe
no (anche altri diversi da quelli del-
la canzone)
293
MAGNANI, S. La conversazione nellinsegnamento dellitaliano.
294
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 287-298, 1998.
1. Testo motivante, che utilizza uno degli stereotipi intesi come aspetti co-
muni di un paese: la scuola e l’educazione musicale; percorso induttivo,
percezione globale del tema.
2. Attività di pre-contatto con il testo: fasi di esplicitazione degli elementi
del contesto e del paratesto (ovvero scopo, registro, destinatari, analisi del-
le immagini, del titolo, dei disegni).
Indizi linguistici
La scelta da me operata, rispetto a lessico ed espressioni fraseologiche,
è stata fatta secondo i criteri di vicinanza/distanza tra le due lingue intensa
sia nell’aspetto lessicale, sia grammaticale, sia culturale (es. violão, chitar-
ra in portoghese e non violino come si potrebbe pensare in italiano e pen-
sar em, pensare a), tenendo presente che lo scopo dell’attività è lo sviluppo
e la pratica della lingua orale-conversazionale, con funzioni linguistiche
narrativa, espositiva, argomentativa ed emotiva.
Elenco di parole chiave (da spiegare inserite nel contesto, nell’ordi-
ne in cui appaiono nel testo, scelta linguistico-comunicativa, per la com-
prensione del testo).
295
MAGNANI, S. La conversazione nellinsegnamento dellitaliano.
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 287-298, 1998.
Espressioni metaforiche
folto pubblico / il mondo delle note / educare l’orecchio / (le due
ore) volano via / percorso scolastico
Elicitazione
Serie di domande per la conversazione/discussione:
1. Quale posto secondo voi deve avere la musica nell’istruzione? Siete
d’accordo che debba rientrare nella scuola dell’obbligo?
2. È giusto secondo voi ampliare gli spazi per l’educazione musicale?
3. “La musica è un linguaggio immediato che piace ai bambini”: l’avete
notato anche voi? E dagli adolescenti e dagli adulti come viene recepito
questo linguaggio?
4. Quale spazio ha l’educazione musicale in Brasile? È inserita nel
curriculum, ci sono corsi sperimentali? Ci sono Conservatori, scuole di
musica?
5. Se vostro figlio manifestasse inclinazione verso la musica, che cosa fareste?
Bibliografia
AA.VV. Università per Stranieri di Siena. Curricolo di Italiano per Stranieri.(a cura di
Balboni P.E). Roma: Bonacci, 1995.
AA.VV. Educazione linguistica e curricolo. Farigliano (CN): Mondadori, 1981.
AA.VV. Introduzione all’italiano contemporaneo. (a cura di A. Sobrero). Bari: Laterza,
1991.
BALBONI P.E. Didattica dell’italiano a stranieri. Roma: Bonacci,1994.
_________. Tecniche didattiche e processi di apprendimento linguistico. Torino: Liviana-
Petrini, 1991.
LEND. Insegnare la lingua: parlare e scrivere. (a cura di Edoardo Lugarini). Atti del
Convegno CIDI, GISCEL, LEND, Ivrea 5-7 marzo. Rescaldina (MI): Mondadori, 1982.
297
MAGNANI, S. La conversazione nellinsegnamento dellitaliano.
OLLER J.W. Language Tests at School: A pragmatic approach. US: Longman, 1979.
SIMONE R. Fondamenti di teoria linguistica. Bari: Laterza, 1990.
WALACE M.J. Training Forein Language Teachers, A reflective approach. Cambridge:
Cambridge University Press, 1991.
Manuali
ISTRUZIONI per l’uso dell’italiano in classe, 88 suggerimenti didattici. Traduzione dal
tedesco di Elisabetta Bonvino. Roma: Bonacci, 1994.
GRUPPO Navile. Dire, fare, capire: l’italiano come seconda lingua. Roma: Bonacci, 1994.
ISTRUZIONI per l’uso, 111 suggerimenti didattici. Traduzione italiana di Elisabetta Bonvino.
Roma: Bonacci, 1995.
VICENTINI G. e ZANARDI N. Tanto per parlare: materiale per la conversazione. Roma:
Bonacci, 1987.
FALCINELLI M., SERVADIO B. Leggere & oltre. Perugia: Guerra, 1987.
298
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 299-305, 1998.
Lina Biasetti
Luisa Biasetti*
300
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 299-305, 1998.
301
BIASETTI, L. e BIASETTI, L. Laccertamento della...
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 299-305, 1998.
303
BIASETTI, L. e BIASETTI, L. Laccertamento della...
I problemi di valutazione
Dato che l’interazione comunicativa è un fenomeno complesso e
integrato dovrebbe essere valutata in termini qualitativi e non quantitativi:
ciò non esclude la quantificazione finale in termini di giudizio o di voto.
304
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 299-305, 1998.
Bibliografia
AA.VV. Progetto di valorizzazione linguistica e culturale in America Latina. Roma: CIID,
1993.
AMBROSO, S. Glottodidattica e italiano: riflessione per una metodologia dell’insegnamento
della lingua italiana. Roma: IEI, 1990.
CILIBERTI, A. Manuale di glottodidattica. Firenze: La Nuova Italia, 1996.
D’ADDIO, W. C. Usi e forme dell’italiano L2. Roma: IEI, 1992.
LANCIA, M. Il testing in lingua italiana. Firenze: La Nuova Italia, 1990.
NENCIONI, G. Di scritto e di parlato: discorsi linguistici. Bologna: Zanichelli, 1983.
305
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 307-313, 1998.
* 307
Professora de Língua e Literatura Italiana da Universidade Federal de Minas Gerais.
BASTIANETTO, P. C. Liter tra la genesi e la ...
308
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 307-313, 1998.
che con una puntuale indicazione dei limiti d’uso, da considerarsi quindi
monosemiche e pertanto soggette a due entrate distinte. Qui risiede una
disparità di trattamento conferita dai dizionari e dai glossari alle parole
polisemiche. Su questa base, la parola italiana attività avrà due entrate di-
verse ed ognuna registrerà un unico significato, talora di “atividade” e talo-
ra di “patrimonio” o di “ativo”. Così pure avverrà per le parole liquidazio-
ne, obbligazione ed altre.
Per quanto concerne l’unità di traduzione, questo glossario comprende
sia i sostantivi semplici che la fraseologia. Anche se i termini scientifici e
tecnici debbono essere precisi, ritengo che un termine sia qualcosa di più di
una denominazione, si tratta infatti di un gruppo di parole legate in un
modo specifico da un contesto. Gli autori Rondeau e Felber (1981:4) stabi-
liscono una differenza tra la terminologia “tout court” e quella scientifica,
affermando che:
Ciò significa che non si deve isolare una parola per studiarla perché
una parola isolata non risponde all’esigenza di precisione che possiede
quando è inserita in un contesto, ecco perché il glossario comprende anche
la fraseologia.
Per quanto concerne le marche di uso come le indicazioni di caratte-
re morfosintattico, esse non verrebbero normalmente incluse in un glossa-
rio, considerando che il suo obiettivo è innanzitutto quello di dare l’equi-
valenza lessicale. I sostantivi e gli aggettivi sono dunque presentati al ma-
schile singolare. Ciò nonostante il genere è indicato quando è diverso dal
genere in portoghese. È il caso di ordine in italiano, che è maschile e equi-
vale a “ordem” di genere femminile in portoghese. Il numero viene segna-
lato quando questa categoria grammaticale differisce da quella portoghese
come nel caso di autorità monetarie, plurale in italiano, equivalente a
“autoridade monetária”, numero singolare in portoghese. La categoria
309
BASTIANETTO, P. C. Liter tra la genesi e la ...
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 307-313, 1998.
LO e la LT, il termine era già stato definito nel manuale italiano. Ne sono
esempi i tipi di operazioni effettuate in borsa chiamate in italiano contratto
a premio semplice “noch”, “stellage”, “strap” e “strip” per le quali la
traduzione adottata in portoghese è stata neutra cioè: “tipo de contrato do
mercado de opções”.
Molte spesso sono proposte due traduzioni per un solo lemma nella
LO, ciò si spiega perché in quel contesto le due opzioni possono essere
sinonimiche come nel caso di “fiscalização” e “controle” per la voce italia-
na vigilanza. La prima opzione costituisce generalmente il termine tecnico
più adequato, seguito da un’alternativa, pure equivaltente e dizionarizzata,
ma di un linguaggio non specialistico come nel caso di “avaria” e “estrago”,
per il lemma italiano avaria. Questo comportamento è stato intenzionale in
modo che il glossario fosse accessibile anche a quei lettori non familiarizzati
con i linguaggi speciali.
La terza e la quarta tappa del lavoro sono state l’organizzazione in
ordine alfabetico delle entrate per un confronto e valutazione dei lemmi
apparentemente identici. In seguito sono state eseguite aggiunte e tagli.
La quinta tappa è consistita nella presentazione della ricerca agli
autori del manuale nella LO per la conferma delle entrate. È stato un mo-
mento critico dato che gli stessi hanno effettuato aggiunte di lemmi che
secondo me non appartenevano al linguaggio specialistico, e temevo che la
loro inclusione avrebbe fatto perdere il carattere scientifico al glossario.
In seguito si è proceduto alle aggiunte suggerite, alla revisione della
ricerca lessicografia in collaborazione con il consultente-revisore e alla
rilettura critica.
Questa settima tappa è stata di vitale importanza a garanzia della
precisione delle definizioni, dato che solo uno specialista avrebbe potuto
effettuare le scelte linguistiche appropriate, soprattutto in quei casi di non
corrispondenza concettuale.
L’ottava tappa, quella della revisione delle bozze, è stata svolta due
volte data la complessità dell’insieme e con l’intuito di ridurre al minimo
eventuali errori di stampa.
311
BASTIANETTO, P. C. Liter tra la genesi e la ...
Bibliografia
ARCAINI, E. Analisi liguistica e traduzione. V.1. 2.ed. Bologna: Patron Editore, 1991.
BLAIS, J., DION, L., DUGAS, A. et al. Problèmes et méthodes de la lexicographie
terminologique. Actes du Colloque. Université de Québec. Montreal: 1983.
BASTIANETTO, P., COLLINA, G. Glossário de térmos técnicos Italiano/Português.
Perugia: Guerra, 1996.
CARVALHO, N. A terminologia técnico-científica: aspectos lingüísticos e metodológicos.
Recife: Ed.Universidade UFPE, 1991.
CHIUCHIÙ, A., BERNACCHI, M. Manuale di tecnica e corrispondenza commerciale.
2.ed. Perugia: Guerra, 1994.
312
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 307-313, 1998.
313
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 315-320, 1998.
Luigi Barindelli*
Premessa
Il mercato dell’informatica offre oggi diversi materiali didattici rea-
lizzati in CD-Rom il cui accesso è agevole. Presentando ITALFOR, un
metodo innovativo indirizzato all’ apprendimento della lingua italiana, si
rendono opportune alcune considerazioni. In primo luogo vediamo ogni
giorno una evoluzione tecnologica sempre più rapida.
Negli ultimi anni abbiamo assistito al passaggio da quella che era
definita la società industriale e post-industriale ad una società nuova in cui
il grande investimento diventano l’informazione e la comunicazione. Co-
municazione e informazione sono diventate potere. Questa convinzione,
sempre più radicata nella nuova società, ha giustificato gli investimenti che
si sono fatti per l’informatica e la telematica, mezzi eccezionali per gestire
e veicolizzare in modo rapido la comunicazione.
316
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 315-320, 1998.
317
BARINDELLI, L. Luso delle nuove tecnologie multimediali ...
318
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 315-320, 1998.
5. Applicazioni
Il sistema, progettato per l’insegnamento della lingua italiana, è
dimensionato per una rete estesa a tutto il paese, una volta che siano dispo-
nibili i laboratori presso le università, le scuole, gli enti richiedenti. Può
essere esteso ad altre discipline didattiche, colla evidente necessità di cam-
bio del testo informatizzato del corso. Il tema della teleconferenza può esten-
dersi a collegamenti colle principali università italiane ricevendono istru-
zioni didattiche e intercambi di esperienze.
Considerazioni
La scuola fin dall’antichità ha due soggetti di base, l’alunno ed il
docente, che accompagnano storicamente il processo di formazione uma-
na, essendo i metodi di insegnamento in costante evoluzione in funzione di
mezzi diversi sviluppati dall’uomo. Attori essenziali del sistema ITALFOR
sono i Responsabili Didattici Locali e quelli Centrali, accompagnati da
altri che hanno solo funzione organizzativa, l’Amministrazione e il
Manutentore del sistema.
Il progetto sfugge alla tentazione del mito di Prometeo, rispettando
le premesse che, al di là di tecniche sempre più sofisticate, prevedono il
contributo basilare del cittadino inserito in una comunità, di cui sta aumen-
319
BARINDELLI, L. Luso delle nuove tecnologie multimediali ...
320
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 321-327, 1998.
A UTILIZAÇÃO DE RECURSOS
INFORMATIZADOS NA PRÁTICA
DO ENSINO DE LÍNGUAS ESTRANGEIRAS
Cristiana Tramonte*
1
A este respeito ver reportagem “Onde estão os empregos”, publicada na revista VEJA de 19/02/
1997, que demonstra como se movimenta o mapa do emprego no Brasil a partir das rápidas
transformações tecnológicas.
322
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 321-327, 1998.
323
TRAMONTE, C. A utilização de recursos informatizados...
324
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 321-327, 1998.
325
TRAMONTE, C. A utilização de recursos informatizados...
Bibliografia
BALLALAI, R. A abordagem didática do ensino de línguas estrangeiras e os mecanismos
de dependência e de reprodução da divisão de classes. Fórum Educacional, v. 13, n. 3,
p. 47-64, Rio de Janeiro, jun/ago. 1989.
BOHN, H. I. Avaliação de materiais. In: BOHN, H., VANDRESEN, P. (org.). Tópicos de
Lingüistica Aplicada: o ensino de línguas estrangeiras. Florianópolis: Ed. da UFSC,
1988.
2
BOHN, H., 1988: 294. Cf. ALLWRIGHT, 1984:8.
326
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 321-327, 1998.
GOMES, L. TRAUMANN, Th. Onde são os empregos. Veja. São Paulo: Abril, ed. 1483,
ano 30, nr. 7.fev.97
LEIS, H. Globalização e Democracia. Necessidade e oportunidade de um espaço público
transnacional. Revista Brasileira de Ciências Sociais, n. 28, p. 55-69, jun.1995.
PORTO, M. B. Th. V. O ensino de francês e de literaturas francófonas na UFF: a descoberta
do outro. Fragmentos, vol. 4, n. 2, p. 115-120. Florianópolis, 1994.
SOARES, I. “A era da informação”: tecnologias da comunicação criam novas relações cul-
turais e desafiam antigos e modernos educadores. Tecnologia Educacional, v. 22 (113/
114) jul./out. 1993.
TRAMONTE, C. Globalização à nossa maneira. Boletim da ABVP, ano 9, n. 17, p. 2-4, São
Paulo, jan/fev. 1993.
TRAUER, E. Aprender língua estrangeira por imitação ou por estímulo? Algumas reflexões
sobre a qualidade do ensino de Língua Estrangeira na escola fundamental. Perspectiva,
ano 9, n. 16, p. 24-31, Florianópolis, jan/dez. 1991.
327
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 329-330, 1998.
METODOLOGIA DELLINSEGNAMENTO
PER ADOLESCENTI
330
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 331-339, 1998.
* 331
Professora de Língua Italiana da FCL/UNESP/Assis.
CALDAS, R. R. Aspectos da cultura italiana em ...
Cultura
Em um primeiro momento do curso a classe foi dividida em grupos
aos quais solicitei e leitura e discussão do texto do pesquisador Douglas
Brown (1980), reproduzido abaixo.
332
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 331-339, 1998.
1
Tradução do inglês de Raquel Rodrigues Caldas.
333
CALDAS, R. R. Aspectos da cultura italiana em ...
elite e a segunda à cultura popular. Esta última é quase sempre excluída dos
programas de ensino nos cursos de Letras; 3) os programas dos cursos de
Letras normalmente consideram como cultura a Literatura do país; 4) é
importante que a escola trabalhe mais com o “aceitar o outro”. A aula de
língua estrangeira se prestaria a esse propósito; 5) é fundamental que os
docentes de língua italiana tenham mais possibilidades de vivenciar a cul-
tura italiana in loco.
334
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 331-339, 1998.
que um dos seus objetivos era o de melhorar o ensino das Línguas Estrangeiras
Modernas e, para tal, deveria-se estudar a língua falada, propiciar um treino
fonético para estabelecer bons hábitos de pronúncia, usar textos com diálogos
e ensinar novos conteúdos a partir de associações com a língua alvo, ao invés
de estabelecê-los com a língua mãe. Com o surgimento do Método Audio-
Lingual (anos 40) cristaliza-se o hábito da utilização de diálogos, mas supondo
a existência de uma língua standard, neutra. Os modelos propostos era “falsos”
do ponto de vista lingüístico e cultural. Nos anos 60 verifica-se um desejo dos
professores e dos alunos de conhecer e compreender a realidade, os aspectos
culturais, o cotidiano do povo cuja língua está sendo estudada. Surge a era dos
materiais autênticos e cria-se a base para a futura Abordagem Comunicativa a
qual parte da necessidade dos alunos, sendo o ensino portanto centrado no
aluno. A língua é vista como algo que deve ser estudado em um contexto,
incluindo os habitantes de um determinado país, seus comportamentos, suas
crenças, etc. Nos anos 80 e início dos 90 a tônica do ensino de L.E. ficará em
três pontos: língua usada para a comunicação, percepção da natureza da lingua-
gem e estudo das culturas. O termo usado atualmente para ensino de L.E. é
ensino-aprendizagem de língua e cultura, mas acredito que uma das questões a
serem debatidas nos próximos anos será a de separar ou não o ensino-aprendi-
zagem de um idioma do ensino-aprendizagem da cultura relativa a esse idio-
ma. E se esse processo de ensino-aprendizagem de cultura estrangeira pode ser
feito de maneira consciente.
Estereótipos
Um outro ponto discutido no minicurso foram os estereótipos, algo
que muitas vezes passa desapercebido na aula de L.E. Nosso meio cultural
modela nossa visão de mundo de tal maneira que algo diferente de nossa
realidade é visto como falso ou estranho, sendo portanto hipersimplificado.
O estereótipo é, portanto, uma hiper simplificação das características de
uma pessoa, de um povo, ou de um grupo social. O estereótipo não deveria
servir para descrever um indivíduo, porque todas as características
comportamentais de uma pessoa não podem ser previstas com base nas
335
CALDAS, R. R. Aspectos da cultura italiana em ...
ricos Durante a Idade Média, uma das poucas profissões permitidas aos
avarentos Judeus era a de emprestar dinheiro (definitivamente uma profissão
não muito popular!)
cultos
Há muitos artistas e intelectuais judeus
336
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 331-339, 1998.
O livro didático
Segundo Jahn Juergen (Becchetti:1986), ao desenvolvermos um
material para o ensino de uma língua estrangeira devemos considerar a
cultura como parte integrante deste processo, sendo que todas as estratégi-
as e atividades utilizadas no curso deveriam ser baseadas no conceito de
competência lingüística. Para este autor seria necessario reavaliar o conhe-
cimento e atitudes com relação à cultura ensinada. Juergen fornece alguns
exemplos de temas culturais a serem incluídos no programa do curso e nos
livros adotados:
337
CALDAS, R. R. Aspectos da cultura italiana em ...
2
Em 27 de julho de 1997, o jornal a Folha de S. Paulo publicou um artigo do historiador inglês
Peter Burke, no qual ele discute os empréstimos culturais entre as nações. Segundo Burke o
século XIV foi a época em que a cultura italiana foi mais imitada ou rechaçada na Europa.
338
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 331-339, 1998.
339
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 341-342, 1998.
* 341
Mestre em Língua e Literatura Italiana da Universidade de São Paulo.
PENTEADO, A. P. Ensino de línguas estrangeiras: ...
Bibliografia
BAKHTIN, M. Marxismo e filosofia da linguagem. São Paulo: Hucitec, 1995.
HUIZINGA, J. Homo Ludens. São Paulo: Perspectiva, 1990.
342
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 343-347, 1998.
O ENSINO DE ITALIANO NA
PÓS-GRADUAÇÃO DA FACULDADE DE
LETRAS DA UFRJ
*
Professora de Língua e Literatura Italiana da Universidade Federal do Rio de Janeiro.
**
Doutorandas de Língua e Literatura Italiana343
da Universidade Federal do Rio de Janeiro.
FARIA, F. de F., et alii. O ensino de italiano na pós-graduação...
344
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 343-347, 1998.
Anexo 1
17%
17%
17%
17%
Italiano
Francês
Lingüística
32% Vernáculas
Vernáculas
C. da Literatura
Literatura
Anexo 2
Italiano
Italiano Especialização 1996
OrientaiseeEslavas
Orientais Eslavas
Espanhol
Espanhol
Vernáculas
Vernáculas 17% 17%
Inglês
Inglês
17%
32%
17%
345
FARIA, F. de F., et alii. O ensino de italiano na pós-graduação...
Anexo 3
25%
25%
Anexo 4
Italiano
Italiano Defesas de Dissertações em 96
Filologia
Filologia
Inglês
Inglês
Vernáculas
Vernáculas
25%
25%
25%
25%
346
O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 343-347, 1998.
Anexo 5
Em
Em créditos
Em dissertação
Em dissertação
Em fase final
Em fase final
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38%
31%
Anexo 6
Em créditos
créditos
Em dissertação
dissertação
33%
67%
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 349-359, 1998.
Roberto Conti*
Questo lavoro vuole essere una breve analisi della realtà didattica
dei corsi di italiano offerti dalla Casa di Cultura Italiana, estensione della
UFCE, e dal relativo corso di laurea in lettere, comparandoli ai corsi di
lingua straniera offerti dalla struttura universitaria italiana, in particolare
dalla Università di Bologna, attraverso il corso di laurea in lingue stranie-
re, presso il quale mi sono laureato.
La realizzazione di tale pubblicazione mi è stata possibile in quanto
sto lavorando da tre anni presso la UFCE come professore visitante stra-
niero, insegnando la lingua e la letteratura italiana sia nella Casa di Cultura
che nel corso di laurea in lettere.
Si tratta quindi di una esperienza vissuta personalmente, attraverso
la quale ho potuto constatare e analizzare vari aspetti didattico-sociali inte-
ressanti.
Voglio perció ringraziare la UFCE, ed in particolare la Casa di Cul-
tura Italiana, coordinata dalla professoressa Ana Cristina Frota, ed il dipar-
timento di lingue straniere, diretto dal professor Carlos Alberto de Sousa,
che contrattandomi mi hanno permesso di svolgere questa attività di inse-
gnamento in Brasile, arricchendo notevolmente il mio bagaglio professio-
nale ed umano.
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CONTI, R. Esperienze didattiche di un italiano professore ...
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vedono anche l’analisi di testi, una parte grammatiche orale, basata sulla
conversazione, con prova annuale; una parte di letteratura pura, fondamen-
tata sullo studio di manuali, saggi, testi di critica ed opere in lingua origina-
le con relativa esposizione orale, nella stessa lingua madre, sempre con
prova annuale; una ultima parte, basata sul corso monografico tenuto dal
docente cattedratico durante ogni anno di corso, di solito relativo ad un
argomento specifico di letteratura o ad un aspetto linguistico-lessicale-
stilistico di qualche autore presentato, con prova orale annuale.
Quindi, tutti gli esami consistono sempre in quattro parti ben distin-
te, di cui l’ultima, la monografia, è didatticamente e accademicamente in-
teressantissima, perché obbliga il docente a pubblicare ogni anno una ri-
cerca monografica, approfondendo sempre nuovi argomenti, aumentando
costantemente la propria professionalità e stimolando l’allievo ad uno stu-
dio dettagliato e analitico dei vari aspetti letterari o linguistici della propria
area, sempre integrato dalla lettura di opere saggistiche, storiche e critiche,
vivendo cosí la materia in un modo estremamente formativo e dinamico.
È interessante notare come gli esami, in Italia, siano quindi basati
perlopiú sulla esposizione orale, abituando ed obbligando lo studente ad
esprimersi nel modo più corretto possibile, davanti ad un piccolo pubblico
costituito dalla commissione dei docenti e da altri esaminandi.
In tale modo si curano e si perfezionano la retorica e la dizione per-
sonale, rispettando quella tradizione culturale greco-latina di cui l’Italia è
ancora la prima portavoce.
Differentemente, il sistema universitario brasiliano, di stampo anglo-
sassone-americano, predilige e valorizza maggiormente la parte scritta del-
l’insegnamento e delle prove, usando schemi più rigidi che lasciano meno
spazio alla creatività, alla speculazione razionale e alla retorica dello stu-
dente, contraddicendo, a mio parere, la realtà socioculturale del proprio
paese.
Un aspetto assai interessante del programma del Corso di Laurea in
Lettere della UFCE è l’insegnamento della didattica delle lingue straniere
e del portoghese con relativa pratica di insegnamento nella stessa universi-
tà, che invece, inspiegabilmente, manca nelle facoltà italiane.
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CONTI, R. Esperienze didattiche di un italiano professore ...
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 349-359, 1998.
Conclusione
Terminando questo lavoro, vorrei specificare che esso non ha finali-
tà di giudizio né di valutazione tecnica, ma vuole solo analizzare e compa-
rare alcuni aspetti di due istituizioni simili appartenenti a paesi differenti,
Ritengo, inoltre, che possa essere interessante per chiarire dubbi e
togliere curiosità legate all’ambiente universitario e alla cultura dell’Italia
e del Brasile, due paesi affascinanti e attraenti per molta gente, che solo
vivendoli personalmente ed intensamente come il sottoscritto, si riescono a
capire in tutte le loro diverse sfaccettature.
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ITALIANO: IL PARLATO E LO SCRITTO, p. 361-366, 1998.
UNANALISI FENOMENOLOGICA
SULLINSEGNAMENTO DELLA LINGUA
ITALIANA A PORTO ALEGRE:
LA FORMAZIONE DEI DOCENTI E LA
STRUTTURAZIONE DEI CORSI
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ITALIANO: IL PARLATO E LO SCRITTO, p. 361-366, 1998.
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ROCHA, C. F. Unanalisi fenomenologica sullinsegnamento ...
deva anche, per lo meno in parte, alla strutturazione stessa dei corsi e alla
loro qualità.
Detto questo e stabilito che tale qualità non è legata alla formazione
universitaria specifica degli insegnanti, perchè, come abbiamo visto, la
maggior parte degli insegnanti non è laureata in italiano, bisogna vedere in
che cosa essa consiste e come è stata acquisita.
Concretamente, esistono oggi a Porto Alegre molti insegnanti che
parlano la lingua italiana o conoscono le sue regole, senza aver la laurea in
Lettere con abilitazione in Lingua Italiana. Ma sarà veramente necessario
avere questa laurea per insegnare per lo meno nei primi livelli? Non basta
saper parlare e sviluppare una certa creatività didattico-pedagogica per poter
insegnare i primi rudimenti di una lingua?
A queste domande se ne aggiunge un’altra posta in questo Congres-
so dalla Prof.ssa Fernanda Ortale che ritrae a Campinas (SP) una realtà
simile a quella da noi descritta: “Come si preparano gli insegnanti d’Italia-
no senza formazione specifica?”
La formazione degli insegnanti a Porto Alegre e la strutturazione dei
corsi liberi sicuramente non sarà molto diversa da quelle degli altri centri.
E neanche la formazione degli insegnanti di altre lingue straniere
diverge molto da quella che è la nostra realtà. La Prof.ssa Maria Amalia
Tozoni Reis, dell’UNESP di Assis, in un articolo pubblicato dalla Rivista
INSIEME della APIESP, n° 1, del 1990, scriveva già, per esempio, che non
tutti gli insegnanti di francese erano laureati presso l’università. Alcuni -
diceva - si “formano” presso l’Aliance Française ed altri vanno in Francia
a completare la loro preparazione.
Davanti a tale quadro, non esclusivo di quelli che insegnano la lin-
gua italiana, ci si domanda se e fino a che punto questa realtà produce dei
risultati positivi e in che cosa potrebbero essere migliori insegnanti con
una formazione specifica che, al di là della lingua, comprende la cultura e
la letteratura.
Dal 1992 fino ad oggi, quello che si sa e si vede è che il numero degli
allievi è sempre aumentato. Allo stesso tempo, in base ai dati UFRGS, il
numero di laureati non è aumentato proprozionalmente. Questo vuol dire
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ITALIANO: IL PARLATO E LO SCRITTO, p. 361-366, 1998.
che stanno entrando sul mercato di lavoro nuovi insegnanti che non pos-
seggono il titolo universitario specifico. Chi sono? Qual è la loro formazio-
ne? Come sono reclutati e valutati? Quali sono i criteri per decidere se un
parlante anche nativo può esser un insegnante? Può essere valido di per sé
l’indice di evasione degli allievi per giudicare il lavoro di un insegnante?
Attualmente, presso le facoltà di educazione in Brasile si sta discu-
tendo molto sulla nuova legge che definirà le basi della nostra realtà
educativa: la “LDB”. Una delle proposte è giustamente quella di dare l’op-
portunità ai laureati di insegnare senza avere la formazione specifica, che
verrebbe acquisita in corsi di laurea ¨breve¨. Quindi questa legge, teorica-
mente, verrebbe incontro, per lo meno in parte, alla nostra situazione; ciò
potrebbe significare che siamo all’avanguardia di un progetto ancora in
discussione a livello nazionale e che insegnare senza aver la laurea specifi-
ca non significa assolutamente non esser in grado di svolgere bene tale
lavoro.
Non tutti, certo, saranno d’accordo con questa teorica perversità, che
potrebbe produrre vari affetti negativi. Primo fra tutti quello di concorrere
all’estinzione di alcuni corsi universitari, con la conseguenza di diminuire
l’autonomia dell’insegnamento delle lingue straniere in Brasile.
Considerando la cosa da un altro punto di vista, possiamo dire che a
Porto Alegre i corsi liberi funzionano bene anche se non tutti gli insegnanti
sono laureati in Lettere e ancor meno in italiano, e che basterebbe, se si
parla la lingua, fare qualche corso di formazione o aggiornamento in Italia,
avere creatività, entusiasmo, saper venire incontro alle aspettative e ai de-
sideri degli studenti ecc.
Senz’altro potremmo migliorare ancora di più questa realtà unendo
le forze necessarie e lavorando insieme per una maggiore armonia tra i vari
attori. Per lo meno bisognerebbe usufruire meglio dell’infrastruttura che
l’università offre (creare, per esempio, dei corsi di “extensão”, “difusão
cultural”, offrire dei seminari, conferenze, ecc.) puntare sulla cultura e
canalizzare gli sforzi di coloro che lavorano con questa cultura, anche se
con pochi mezzi, per raggiungere, infine, l’ottimizzazione dell´insegnamento
della nostra lingua.
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ROCHA, C. F. Unanalisi fenomenologica sullinsegnamento ...
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 367-372, 1998.
Francesco Lazzari*
* Direttore Didattico del Dipartimento di Lingua e Cultura Italiana del Consolato Generale d’Ita-
lia di San Paolo. 367
LAZZARI, F. Linsegnamento della lingua italiana ...
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LAZZARI, F. Linsegnamento della lingua italiana ...
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 367-372, 1998.
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LAZZARI, F. Linsegnamento della lingua italiana ...
2
LAZZARI, F. Cultura e scuola italiana all’estero: riflessioni e proposte a margine di un conve-
gno. Studi Emigrazione, n. 121, 1996, p. 110-29.
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 373-374, 1998.
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 375-377, 1998.
Adriano Bonaspetti*
.
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 375-377, 1998.
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 379-381, 1998.
Milvia Tarquini*
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 379-381, 1998.
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 383-390, 1998.
Carlo Molina*
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Presidente del “Liceo E. Montale”– San Paolo.
MOLINA, C. Le proposte di riforma della scuola italiana ...
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O ITALIANO FALADO E ESCRITO, p. 383-390, 1998.
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MOLINA, C. Le proposte di riforma della scuola italiana ...
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nel mondo del lavoro. Permangono però perplessità sul fatto che il nuovo
sistema risulterebbe sbilanciato più sul versante dell’educazione primaria
(7 anni) che non di quella secondaria dell’obbligo (3 soli anni), smembrando
la Scuola Media Inferiore dell’obbligo e in pratica lasciando invariata quella
Superiore, quando ci sarebbe più bisogno, per competere in Europa, di
irrobustire e qualificare l’offerta educativa proprio a livello di scuola se-
condaria.
Consideriamo ora in prospettiva le ripercussioni di un siffatto pro-
getto di riforma sulla Scuola Italiana all’estero, nel caso che la discussione
del progetto, che avrà luogo nel corso di quest’anno, non ne stravolga la
natura originaria.
In primo luogo vanno sottolineati due elementi. Da un lato il corso
di studi secondario superiore presso le scuole italiane all’estero legal-
mente riconosciute è caratterizzato da una scansione quadriennale, per
cui gli allievi già concludono gli studi superiori a 18 anni, come nell’in-
tento del progetto Berlinguer; dall’altro, in tutte le scuole d’infanzia me-
todologicamente più avanzate c’è una pre-scuola dove già si impara a
leggere e scrivere senza per questo accantonare la ludicità dell’apprendi-
mento.
Di conseguenza il ciclo dell’istruzione primaria risulterebbe note-
volmente rafforzato con l’aggiunta in concreto di un altro biennio utile,
quello tra i 10 e i 12 anni. I sei anni di istruzione primaria coinciderebbero
con la scansione sessennale prevista dagli ordinamenti di molti altri paesi
europei ed extraeuropei; quanto al Brasile, il governo ha deciso di prolun-
gare di un anno la durata degli studi superiori protraendoli al 18° anno
d’età.
Nel corso quadriennale superiore per le scuole italiane all’estero si
distingue un monoennio di base dal triennio successivo, il quale ultimo
presumibilmente manterrebbe anche in sede di riforma i caratteri che at-
tualmente lo contraddistinguono. Il grande vantaggio sarebbe quello di poter
diluire i programmi del monoennio delle superiori nei due anni di orienta-
mento mirato, rafforzando o anticipando lo studio di materie culturalmente
cruciali quali italiano, matematica e latino: ciò favorirebbe l’eliminazione
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MOLINA, C. Le proposte di riforma della scuola italiana ...
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MOLINA, C. Le proposte di riforma della scuola italiana ...
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Título O italiano falado e escrito
Coordenação editorial e
Mancha 11,5 x 19 cm
Formato 16 x 22 cm