Sorando le maglie ttamente intessute di secoli di letteratura alle volte si possono trovare sorprese e scorgere come opere lontanissime nello spazio e nel tempo si parlino e si tengano per mano sulle migliaia di pagine che le separano. Questa la sensazione che ho avuto leggendo l!Orlando Furioso, come se l!eco dei suoi versi fosse giunto no a noi, no in Inghilterra, no alla casa di Carroll, senza il peso dei secoli che li hanno separati. Cosa accomuna l! Orlando Furioso, il capolavoro di Ariosto che chiude il tempo delle saghe cavalleresche (prima che Cervantes decidesse di riderci su, accando il vigore gi sopito del genere, con le implacabili picconate dell!ironia) e Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie - Oltre lo specchio non-romanzo del non-senso, ambientato in una non-realt, con l!obiettivo di farci capire che forse proprio nell!accettazione del non senso il primo passo per un assaggio di comprensione del mondo che ci circonda? L!Orlando furioso viene pi volte denito (da Calvino in primis) come un romanzo in versi senza n inizio n ne, orientato lungo le direttrici intricate e plurime dei movimenti dei personaggi, che sono condotti da una parte all!altra del globo terraqueo dai loro vani, efmeri e proteiformi desideri, in balia di essi, incapaci di porre freno o contrasto alle loro instabili e schizofreniche passioni. Il desiderio il motore, il movimento uno dei modi per consumarlo e consumarsi, tenerlo sotto controllo, mai placarlo n saziarlo. Desiderio come forza vivicatrice, umana, terribilmente umana, che permea e agita il mondo di Ariosto. Movimento e/ follia. Chi pi desidera, pi sora la follia, chi pi desidera, pi vaga irrequieto, ansante, impaziente sulle superci scivolose del romanzo, correndo talmente velocemente da lasciare indietro il proprio senno. Il desiderio dipendenza, annulla i contorni del paesaggio, li sbiadisce e mette a fuoco solo l!obiettivo, l!oggetto, rovescia gerarchie di valori che parevano scolpite (valori cavallereschi, onore, gloria), minimizza ci che importante, ingigantisce ci che trascurabile, in una regressione fanciullesca che totalizza la visione del mondo dei personaggi. Il desiderio ci che fa sentire vivi, che pone l!uomo in cima alla piramide degli esseri viventi, ma anche ci che incatena l!uomo alla terra, alla materialit, ci che gli impedisce di muoversi liberamente nel ventre produttivo della possibilit, chiude gli occhi e non permette di vedere le alternative a quella che pare diventata l!unica, ostinata, direzione possibile. Come dice una sublime canzone: correre per restare fermi. Il desiderio nell!Orlando principalmente amoroso, un amore sensuale, ma anche coniugale, un amore eterosessuale, ma anche omosessuale, un amore scandagliato in tutte le sue sfaccettature. Ma anche desiderio di possesso, di oggetti, di spade, di cavalli, che a un certo punto sembrano diventare indispensabili per i personaggi di turno. E inne un afevolito desiderio di gloria, sempre posto in secondo piano, desiderio subalterno a quello amoroso, che il vero fulcro narrativo. In Alice il desiderio ha un!aura molto pi moderna, un desiderio di fuga dalla quotidianit, dalla monotonia e dall!immobilit, che a contrario del movimento, morte. E! la fuga la spinta per intraprendere il viaggio, il movimento, tra spesse coltri di sogno, in un universo troppo irreale per non essere, in fondo, vero. Un sogno che ribaltamento, cos estremo da risultare alla ne fedele al quadro di una societ vittoriana semiparalizzata dalla asssiante istericit sociale, di sale da th opprimenti, con pareti troppo strette, di norme sociali cos obsolete, inutili e derise che il loro contrario risulta essere pi condivisibile, di parole altisonanti che echeggiano in magnici saloni senza che nessuno colga davvero il senso di quella che stata una balbuzie sociale. Il viaggio, immaginario, metaforico, nel mondo alla rovescia, prende piede dalla curiosit, in un!ansia di superamento, di rinnovamento e perch no di trasgressione, la stessa ricerca di un!alternativa ad una vita biascicata, strascicatamente predeterminata che mosse Ulisse e tutti i grandi personaggi che decisero di trovare, lungo il cammino e non stando fermi, non risposte, ma nuove domande, da esseri eternamente pensanti, quindi viventi, quindi desideranti e in moto perpetuo. Ed fuga anche quella dei cavalieri ariosteschi, che antepongono le loro reserches alla guerra alle porte di Parigi, che solo uno sfondo lontano, che solo casualmente salta in primo piano, quando le stringhe che tirano il romanzo decidono di far addensare l a turno i vari personaggi, che vi capitano durante la loro corsa. Sfuggono dalle regole sociali nelle cui maglie ci saremmo aspettati di trovarli, se ne liberano mani e piedi e corrono, corrono alla ricerca di qualcosa che plachi quella fame di vita, senza la quale non sarebbero pi capaci di sopravvivere. Ed proprio sul tema della corsa che mi vorrei fermare, perch in entrambe le opere questo il nodo, questo il punto di congiunzione, in cui ci si trova a ridere dei personaggi e con loro, di noi stessi. In Ariosto la corsa vana viene rappresentata sia nella microtrama, nelle vicende dei singoli personaggi, sia nella macrotrama del poema, in cui ogni personaggio si affretta alla ricerca del suo desiderio (la donna amata, l!uomo amato, l!elmo) e si addentra nel mondo- labirinto-foresta, in cui nessun incontro prevedibile, ma tutto si innesca dallo sbattersi involontario dei personaggi ai crocevia dei loro binari, generando cos il rincorrersi delle vicende. Personaggi si trovano e si lasciano con la stessa facilit, come nei balli nella bella societ, che avvicinano, incrociano, allontanano, ricongiungono ancora. Ci sono dei luoghi del poema in cui la diaspora dei personaggi si risolve, in un loro coagularsi nei cosiddetti centri di gravit del romanzo, come avviene nel Castello di Atlante, labirinto, articio magico, campana di specchi in cui la realt si guarda, ma non prende coscienza di se stessa, che dilata la capacit del castello, rendendolo innitamente grande nell!innitamente piccolo, come nelle opere moltiplicative, frattali, di Escher. Tutti i personaggi vi rimangono intrappolati, perch tutti composti della stessa materia umana e ugualmente suscettibili, all!inseguimento degli eidola del proprio desiderio, salendo scale, entrando in stanze, uscendone, scendendo scale, sempre sul punto di chiudere il pugno e afferrare qualcosa che invece svanisce sempre. Moto tanto instancabile quanto vano. Pur nella compresenza di tutti i personaggi principali, mai accade che il soggetto desiderante trovi corrispondenza d!amorosi sensi nell!oggetto desiderato, che sempre, a sua volta, soggetto desiderante, ma di un oggetto terzo, in una catena interminabile di appuntamenti mancati. Questa la sentenza che Ariosto pronuncia sul destino umano. Ed attraverso il sommarsi di martellanti avverbi di luogo che costruiamo la nostra visione del mondo di Orlando, che un po! anche il nostro, se solo volessimo rassegnarci all!abdicazione della logica. Ed proprio fondato sull!assenza di logica, del concetto solo di logica, il mondo in cui Alice si butta a capotto, un mondo altrettanto vorticoso, in cui i personaggi non sono altro che pedine di una scacchiera-labirinto-foresta, mossi solo da psicotici istinti, la follia come denominatore comune. L!oltre lo specchio come mondo alla rovescia, il gioco degli scacchi come schiere di ambigui doppioni, perch niente ha una spiegazione univoca. Anche qui i temi del movimento e della corsa sono preponderanti: basti pensare al Coniglio Bianco, vittima dei ritmi frenetici della modernit, del tardi, tardi (per cosa poi?), precursore di un epoca, la nostra, in cui perno gli animali necessitano di uno psicoterapeuta. L!ossessione per il tempo Fai la riverenza mentre pensi a cosa rispondere. Cos guadagni tempo dice la Regina Rossa ad Alice. Che dire poi della Corsa Elettorale (pi famosa come Maratonda), una corsa per asciugarsi, ma sul bagnasciuga, in inglese caucus race (parola che nasce in America ad indicare i comizi elettorali: col tempo ha acquisito signicato dispregiativo - combriccola- a indicare i gruppi politici che si dibattono in animate, ma sterili discussioni, che si rincorrono senza mai portare da nessuna parte), emblema della vanit dell!umano affaccendarsi, quando i presupposti sono alla base privi di senso. signicativo anche che ad orchestrarlo sia il Dodo, animale estinto nel XVII secolo, a dimostrazione che la Caucus Race non procua per il perpetrarsi della specie. Anche le parole, i giochi di parole, gli indovinelli, non sono altro che vortici verbali senza scopo, movimento a vuoto, ni a se stessi e perfetta metafora della continua ricerca di risposte, di qualsiasi tipo a qualunque domanda, anche in un parallelo della realt che prova a replicare le nostre categorie mentali, ma che si rivelano vuote di concetto. Signicativo a questo proposito l!incontro tra Alice e la Red Queen, che corre a perdiato per arrivare al punto di partenza: Alice si guard intorno molto sorpresa. Ehi ma secondo me siamo state tutto il tempo sotto quest!albero! e! tutto esattamente come era prima! Certo disse la Regina Perch, come dovrebbe essere? Beh, al paese nostro disse Alice, sempre con un po! di atone in genere si arriva in un altro posto... se si corre per tanto tempo come abbiamo fatto noi Che paese lento! disse la Regina Qui, invece, vedi, devi correre pi che puoi, per restare nello stesso posto. Se vuoi andare da qualche altra parte devi correre almeno il doppio! Qui il passo ancora pi ampio che nell!Ariosto, ci si affanna e non pi cos chiaro neanche l!oggetto del desiderio, solo l!irrazionalit umana che si riconosce nell!insondabilit del reale, un moltiplicarsi intricato di conseguenze che ignorano le proprie cause. E le ragioni che nel nostro mondo sembrano cos valide, si mostrano nude, in tutta la loro fragilit. Anche qui la follia: essa permea i mondi visitati da Alice e diventa protagonista assoluta, essendo l, nel Paese delle Meraviglie e Oltre lo Specchio, nient!altro che la norma e l!unico modo possibile di essere. Carroll non si sforza neanche di capire il perch del caos, c!, ne prende atto, lo mette in risalto, rispetto al canto nascosto in cui lo celiamo, per sopportare la sua ormai chiara e soffocante presenza. E spesso nel romanzo ci troviamo a chiederci, da che parte dello specchio ci troviamo noi. qui la grande lettura comune che Ariosto e Carroll hanno saputo dare del destino umano, fatto di continua ricerca, continua spinta in avanti, dall!avvicendarsi di nuovi desideri, irragionevoli, infantili, opprimenti, a volte insostenibili, ma comunque stimoli, che s tengono prigioniero l!animo umano, ma che allo stesso tempo sono follia e cura, e permettono di distogliere lo sguardo dall!incomprensibile insensatezza e caoticit del nostro essere nel mondo.