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Bollati Boringhieri
Indice
2000
2000 Bollati Boringhieri editore s.r.l., Torino, corso Vittorio Emanuele II, 86
I diritti di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o
parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati
Stampato in Italia dalla Stampatre di Torino
ISBN 88-339-1254-X
Prima giornata
Klet6s
Seconda giornata
Terza giornata
Quarta giornata
Klesis e classe, 33
L'indimenticabile, 43
Aphorismnos
60
Esigenza, 42
Taglio di Apelle, 52
Resto, 55
Il
Ap6stolos
Quinta giornata
Il poema e la rima, 77
Sesta giornata
r 28
INDICE
Soglia o tornada
Citazione,
128
Immagine,
131
Jetztzeit,
r37
Appendice
r69
Bibliografia
r75
.,,,,~-;;~ i~IZt
ii~;''T N~
ii~~,Q-ii~ 'i~IZt
Isaia,
21, 11
Prima giornata
AVVERTENZA
Le idee discusse in questo libro sono state elaborate nel corso di pi seminari:
una prima volta, in forma breve, presso il Collge international de Philosophie
di Parigi nell'ottobre 1998, poi nel semestre invernale 1998-99 presso l'Universit di Verona e, infine, presso la Northwestern University (Evanston)
nell'aprile 1999 e l'Universit di California (Berkeley) nell'ottobre dello stesso anno. Il libro che viene qui pubblicato il frutto di questa crescita progressiva e deve necessariamente molto alle conversazioni con gli studenti e i
docenti che hanno assistito ai seminari. Costante rimasta ogni volta la scelta della forma: il commento, ad litteram e in tutti i sensi, delle dieci parole del
primo versetto della Lettera ai Romani.
Nella trascrizione dei termini greci in caratteri latini, l'accento - semplificato
sempre in accento acuto - segnato solo sui polisillabi (sui bisillabi solo quando cade sull'ultima sillaba). Il lettore potr comunque trovare in appendice il
testo greco con traduzione interlineare dei passi analizzati nel seminario e di
quelli con essi immediatamente connessi. Il testo greco quello dell'edizione
critica procurata da Eberhard Nestle (Novum Testamentum graece et latine, a
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cura di Erwin Nestle e Kurt Aland, Uniteci Bible Societies, London 1963 ).
Per la traduzione interlineare ho utilizzato, con numerose modifiche, quella di
A. Bigarelli (Nuovo Testamento, greco, latino, italiano, San Paolo, Cinisello Balsamo 1998) e quella, in francese, di M. Carrez (Nouveau Testament interlinaire Grec/Franais, Alliance Biblique universelle, Paris 1993).
IO
II
memoriam.
Le Lettere di Paolo sono scritte in greco. Ma di che greco si tratta? Di quel greco neotestamentario, di cui
Nietzsche scrisse una volta che Dio aveva La lingua di Paolo
dato prova di delicatezza, scegliendo di
servirsi di una lingua cosi scadente? Non solo i lessici cpncettuali,
ma anche i dizionari e le grammatiche del greco i!eotes1:amentario
trattano i testi che compongono il corpus canonico come se fossero
perfettamente omogenei. Naturalmente ci non vero n sul piano
del pensiero n su quello della lingua. Il greco di Paolo non assolutamente, come quello di Matteo o di Marco, una lingua di traduzione, dietro la quale un orecchio attento come quello di Marcel
Jousse potrebbe percepire il ritmo e il respiro dell'aramaico. L'antinietzschianesimo di Wilamowitz per una volta ha ragione rivendicando il carattere di lingua d'autore del greco paolino: il fatto
che questo suo greco non abbia nulla a che fare con la scuola o con
alcun modello, bensl sgorghi direttamente dal suo cuore maldestramente e in un getto precipitoso, e che, per, sia greco e non aramaico tradotto (come i detti di Ges), tutto ci fa di lui un classico
dell'ellenismo (Wilamowitz, 159).
Classico dell'ellenismo , tuttavia, una definizione particolarmente infelice. Un aneddoto riferito da Taubes , a questo proposito, illuminante. Un giorno durante la guerra, a Zurigo, egli passeggiava con Emil Staiger, l'illustre germanista che era anche un
ottimo grecista (lo stesso che ha avuto un interessante scambio epistolare con Heidegger a proposito dell'interpretazione di un verso
di Morike). Camminavamo insieme lungo la Ramistrasse, dall'Universit al lago, fino al Belvedere, dove egli avrebbe svoltato,
mentre io avrei proseguito verso il quartiere ebraico nella Enge; mi
disse: "Sa, Taubes, ieri ho letto le lettere dell'apostolo Paolo". Poi
aggiunse con profondo rammarico: "Ma non greco, jiddish!".
Al che io dissi: "Certo, professore, proprio per questo le capi-
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tutto il testo della lettera, per cui comprenderne l'incipit significher comprendere tutto il testo.
PAULOS DOULOS CHRISTOU IESOU, KLETOS APOSTOLOS
APHORISMENOS EIS EUAGGELION THEOU.
Le dieci parole La traduzione latina di Girolamo, che la Chiesa cattolica ha usato per secoli, recita: Paulus
servus ]esu Christi, vocatus apostolus, segregatus in evangelium Dei.
Una traduzione letterale italiana del tipo corrente: Paolo servo
di Ges messia, chiamato apostolo, separato per il vangelo di Dio.
Un'osservazione filologica preliminare. Noi leggiamo il testo
paolino in edizione moderne (nel nostro caso, l'edizione critica di
Nestle-Aland: si tratta di una revisione, ultimata nel 1962, dell'edizione pubblicata da Eberhard Nestle nel 1898, che, abbandonando il Textus receptus erasmiano, si basava su una comparazione
delle edizioni di Tischendorf, 1869, e Westcott-Hort, 1881). Rispetto alla tradizione manoscritta, queste edizioni introducono necessariamente convenzioni grafiche moderne, per esempio di punteggiatura, che presuppongono a volte delle scelte semantiche. Cosi, nel nostro versetto, la virgola dopo Iesou implica una scansione
sintattica che, separando doulos da klet6s, riferisce quest'ultimo a
ap6stolos (servo di Cristo Ges, apostolo per vocazione). Nulla
impedisce, tuttavia, di optare per una scansione diversa, e leggere
Paulos doulos christou Iesou klet6s, ap6stolos aphorismnos eis euagglion theou (Paolo, chiamato come schiavo di Ges messia, separato come apostolo per l'annuncio di Dio), lettura che si accorderebbe, tra l'altro, meglio con l'esplicita affermazione di Paolo
(r Cor. 15, 9): ouk eimi hikan6s kalefsthai ap6stolos (non sono degno di essere chiamato apostolo). Pur senza prendere per ora partito per una delle due scansioni, sar bene non dimenticare che il
versetto, dal punto di vista sintattico, si presenta come un unico
sintagma nominale, assolutamente paratattico, proferito in un unico respiro secondo il crescendo servit, vocazione, invio, separazione.
I5
Vi risparmio le interminabili discussioni sul nome Paulos, se, come nome romano, sia da considerare come praenomen o
cognomen o, magari, come un signum o un supernomen Paulos
(cio un nomignolo), e sulle ragioni per cui il giovane
giudeo che portava il superbo nome biblico-palestinese di Sha'ul,
che sottolineava l'origine della famiglia dalla trib di Beniamino,
abbia ricevuto questo soprannome latino tanto inconsueto (Hengel, 47). E perch Paolo non d mai il suo nome intero che, secondo una congettura senza alcun fondamento, sarebbe stato Caius
Julius Paulus? E che relazioni vi sono tra il suo nome romano e
quello ebraico, Sha'ul (che, nella Settanta, si scrive Saoul o Saoulos, e non Saulos)? Questi e altri problemi derivano da un passo degli Atti (13, 9), in cui si legge: Saulos ho kai Paulos (ho kai l'equivalente greco del latino qui et, che vale che si chiama anche e introduce in genere un soprannome).
La mia scelta metodologica (che anche una precauzione filologica minima) in questo caso come, pi in generale, per tutta l'interpretazione del testo paolino, di non tener conto delle fonti a esso
successive, compresi gli altri testi neotestamentari, Paolo, nelle sue
lettere, chiama se stesso sempre e soltanto Paulos. E tutto, e non c'
altro da aggiungere. Se volete saperne di pi, vi rimando al vecchio
studio di Hermann Dessau (1910) o a quello pi recente - ma per
nulla pi scaltrito - di Gustave Adolphus Harrer (1940); ma molte
delle cose che vi troverete, come anche tutte le speculazioni sul mestiere di Paolo, sui suoi studi presso Gamaliele ecc., sono semplicemente pettegolezzo. Non che il pettegolezzo non possa essere interessante; anzi, per la relazione non-triviale che esso intrattiene con
la verit, che elude il problema della verificazione e della falsificazione e pretende di essere pi intimo a essa dell'adequazione fattuale, il pettegolezzo certamente una forma d'arte. La particolarit
del suo statuto epistemologico che esso prevede la possibilit di un
errore, che non pregiudica per del tutto la definizione della verit,
per cui un pettegolezzo intelligente ci interessa indipendentemente
dalla sua verificabilit. Ma trattare il pettegolezzo come una informazione veramente un'imperdonabile apaideusfa.
"Q
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nel commento di Origene che in quello di Erasmo) un buon esempio di quella che Giorgio Pasquali soleva chiamare coniunctivitis
pro/essoria (theologico-pro/essoria, nel nostro caso). Anche Saulos,
cambiando una sola lettera del suo nome, sostituendo cio pi a sigma, poteva avere in mente, secondo l'autore degli Atti, buon conoscitore del giudaismo ellenizzante - un'analoga nuova armonia.
Saulos , infatti, un nome regale, e l'uomo che lo portava superava
ogni altro israelita non solo per la sua bellezza, ma anche per la sua
grandezza (z Sam. 9, 2; nel Corano, Saul detto per questo Talut,
il grande). La sostituzione del sigma col pi significa allora nulla di
meno che il passaggio dal regale all'infimo, dalla grandezza alla piccolezza - paulus in latino vuol dire piccolo, di poco conto e in
I Cor. 15, 9 Paolo definisce se stesso il pi piccolo [eldchistos] degli apostoli.
Paolo dunque il soprannome, il signum messianico (signum vale
lo stesso che supernomen) che l'apostolo si d nel momento in cui assume pienamente la vocazione messianica. La formula ho kai non lascia dubbi sul fatto che si tratti di un soprannome e non di un cognomen - ed incredibile che dopo gli studi di Lambertz sui soprannomi
nell'Impero romano si possa ancora sostenere il contrario. Secondo
un uso che dall'Egitto si diffonde in tutta lAsia minore, ho kai introduce di norma un soprannome. Fra gli esempi registrati da Lambertz
figura anche un ho kai Paulos, che lo studioso considera esemplato
sul nome dell'apostolo, ma che probabilmente non fa che ripeterne
l'implicito gesto di umilt (Lambertz 1914, 152). Gli studiosi di onomastica hanno notato da tempo che, quando il sistema trinominale
romano comincia a poco a poco a cedere il passo al sistema uninominale moderno, molti dei nuovi nomi non sono altro che nomignoli spesso dei diminutivi o dei dispregiativi che, per effetto della rivendicazione cristiana dell'umilt creaturale, vengono ora assunti come
nomi propri. Possediamo elenchi di tali soprannomi, in cui il passaggio dall'onomastica gentilizia latina al nuovo quasi-nome cristiano
documentato in flagranti:
Januarius qui et Asellus
Lucius qui et Porcellus
Ildebrandus qui et Pecora
Manlius qui et Longus
Aemilia Maura qui et Minima ...
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(V La precauzione metodologica che consiste nell'ignorare tutto ci che segue a un determinato testo non veramente osservabile. Si pu paragonare la
mente di un lettore colto a un dizionario storico che contiene tutte le accezioni di un termine, dalla sua prima apparizione fino al presente. Un essere storico (com', per definizione, il linguaggio) racchiude sempre in se stesso monadicamente l'intera sua storia (come dice Benjamin, la sua pre- e poststoria).
Si pu cercare, pertanto - come faremo qui col massimo scrupolo possibile di non tener conto delle accezioni di un termine successive a una certa data;
ma mantenere perfettamente distinti i momenti successivi della storia semantica di una parola non sempre agevole, soprattutto quando, come avviene nel testo paolino, questa storia coincide con quella della cultura occidentale nel suo complesso, con le sue cesure decisive e con le sue continuit. Ma se
l'interpretazione del Nuovo Testamento inseparabile dalla storia della sua
tradizione e delle sue traduzioni, la precauzione , per questo, tanto pi necessaria. Molto spesso, infatti, un significato posteriore, risultato di secolari
discussioni teologiche, viene acquisito nei lessici e proiettato acriticamente
sul testo. Un lessico tecnico paolino (e non del Nuovo Testamento nel suo
complesso) resta un compito necessario; il nostro seminario vorrebbe essere
considerato come un primo, parziale contributo in questa direzione.
La precauzione non implica alcun giudizio quanto al valore storico di un testo
come gli Atti, che stato oggetto di molti contrasti. Essa vale nel senso che si
visto, come cautela generale di ordine filologico e concettuale. Sceverare quanto nel testo di Luca abbia valore storico e quanto sia costruzione agiografica
(se, ad esempio, le lingue divise come di fuoco di cui si parla in 2, 2 siano o
meno un evento storico) senz'altro un compito superiore alle nostre forze.
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de iure personarum divisio haec est, quod omnes aut liberi sunt aut servi, la partizione suprema del diritto delle persone che tutti sono
"
o liberi o schiavi.
Doulos acquista in Paolo un significato tecnico (come in schiavo del messia, o nel quasi gergale hyprdoulon, superschiavo, oltreschiavo di Fil. 16), perch egli se ne serve per esprimere la neutralizzazione che le partizioni nomistiche - e, pi in generale, tutte
le condizioni giuridiche e sociali - subiscono per effetto dell'evento messianico. Il passo decisivo per comprendere quest'uso del termine r Cor. 7, 20-23: Ciascuno rimanga nella chiamata in cui fu
chiamato. Sei stato chiamato schiavo? Non preoccupartene. Ma se
anche puoi diventare libero, piuttosto fa uso. Chi stato chiamato
da schiavo nel signore, un liberto del signore. Allo stesso modo,
chi stato chiamato libero, schiavo del messia. Poich dovremo
commentare a lungo questo passo per l'interpretazione dei termini
klet6s e klesis, rimandiamo a quel momento ogni analisi ulteriore.
Possiamo solo anticipare che il sintagma schiavo del messia defi- .
nisce per Paolo la nuova condizione messianica, principio di una
particolare trasformazione di tutte le condizioni giuridiche (che
non sono, per questo, semplicemente abolite). Osserviamo, inoltre, che la comparazione con r Cor. 7, 22 - con la forte relazione
che il passo stabilisce tra il gruppo del verbo kalo, chiamo, e il
termine doulos - suggerisce una differente scansione del nostro incipit: Paolo, chiamato (come) servo del messia Ges, apostolo separato per la buona novella di Dio. Klet6s, chiamato, che sta
esattamente al centro delle dieci parole che compongono il versetto, ne costituisce una sorta di cardine concettuale, che pu essere
2I
rivolto tanto verso la prima met (colui che era libero diventa ora
schiavo del messia) che verso la seconda (colui che non era degno
di essere chiamato apostolo viene separato come tale). In ogni caso, la chiamata messianica evento centrale nella storia individuale di Paolo, come in quella dell'umanit.
T Gli studi sul rapporto tra diritto romano e legge ebraica e sulla posizione
di Paolo rispetto a entrambi, ancora largamente
insufficienti, si annunciano particolarmente pro- Talmud e Corpus iuris
mettenti (sul rapporto di Ges con la legge
ebraica e romana, vi sono spunti interessanti nei libri di Alan W atson, in particolare Jesus and the Law, e Ancient Law and Modem Understanding, poco utile invece il libro di Boaz Cohen Jewish and Roman Law; sul rapporto fra
Paolo e la legge ebraica, il libro di Peter Tomson Paul and the Jewish Law mostra bene l'attuale inversione di tendenza fra gli studiosi, impegnati ora aritrovare a ogni costo - naturalmente non senza buone ragioni - la Halacha nel
testo paolino). Proprio qui, comunque, la contrapposizione secca fra mondo
classico e giudaismo rivela la sua inadeguatezza. Mishnah e Talmud sembrano a prima vista, nella loro struttura formale, non assomigliare assolutamente
a nulla in tutta la cultura occidentale; ma il lettore non digiuno di storia del
diritto si accorge ben presto che vi , invece, in questa, un'opera fondamentale, che somiglia a tal punto a quelle compilazioni ebraiche, da esserne formalmente quasi indiscernibile. Si tratta del Digesto, il libro del Codex iuris in
cui Giustiniano fece raccogliere i pareri dei grandi giureconsulti romani. Qui
le opinioni dei giuristi di et diverse sulle varie questioni sono riferite una
dopo l'altra, spesso in vivace contrasto, esattamente allo stesso modo in cui
Mishnah e Talmud elencano i pareri dei rabbi della casa di Shammai e di
quelli della casa di Hillel. Nel passo che segue, baster sostituire i nomi romani con nomi ebraici per verificare al di l di ogni dubbio questa analogia formale: Ulpiano, nel libro XX a Sabino: Se uno lascia in legato delle provviste
alimentari, vediamo che cosa compreso nel legato. Quinto Mucio nel libro
II della Legge civile dice che tutto ci che si pu bere o mangiare contenuto
nel legato. Sabino scrive la stessa cosa nei suoi libri a Vitellio: tutto ci che si
trova nella casa per l'uso del capofamiglia o della moglie o dei figli e tutto ci
che sta nelle vicinanze, per esempio le giumente per l'uso del padrone. Ma
Aristone osserva che sono incluse nel legato anche le cose che non sono da
bere o da mangiare, per esempio le cose con cui siamo soliti mangiare i cibi,
come l'olio, la salsa di pesce, il miele e cose del genere. Labeone, per, afferma nel libro IX delle sue opere postume, che se vengono legate delle cose da
mangiare, nessuna di queste cose compresa nel legato, perch noi non mangiamo queste cose, ma le altre cose per mezzo di queste. Nel caso del miele,
Trebazio sostiene il contrario, perch siamo soliti mangiare il miele. Ma Proculo a ragione scrive che tutte queste cose sono contenute nel legato, a meno
che l'intenzione del testatore non risulti escluderle. Ha egli legato come cose
da mangiare solo le cose che siamo soliti mangiare, o anche quelle con cui siamo soliti mangiarle? Queste dovrebbero essere considerate incluse, a meno
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suo significato veterotestamentario , pertanto, dall'inizio alla fine uno pseudoproblema: non soltanto Paolo non poteva ovviamente opporre un Vecchio e un Nuovo testamento come facciamo noi,
cio come due insiemi testuali, ma la kain diathke di cui egli parla
essa stessa una citazione veterotestamentaria (Ger. 31, 31), che
significa appunto il compimento messianico della Torah (la palaid
diathke viene resa inoperosa nel messia: 2 Cor. 3, 14).
Quando troviamo scritto, in un commento moderno della Lettera ai Romani: Qui leggiamo prima Cristo Ges, poi Ges Cristo.
Le due formule costituiscono un unico nome proprio, in cui il senso appellativo di Messia tende a svanire (Huby, 38-39), noi possiamo pertanto non tener alcun conto di questa affermazione. Essa
non fa che proiettare sul testo paolino il nostro oblio del significato
originale del termine christ6s - che non , ovviamente, un incidente, ma uno dei risultati secondari del mirabile lavoro di costruzione
di quella sezione della teologia cristiana che i moderni chiamano
cristologia. Il nostro seminario non si propone di misurarsi col problema cristologico, ma, pi modestamente e pi filosoficamente,
di comprendere il significato della parola christ6s, cio messia.
Che cosa significa vivere nel messia, che cos' la vita messianica? E
qual la struttura del tempo messianico? Queste domande, che sono le domande di Paolo, devono essere anche le nostre.
Seconda giornata
Klet6s
Il termine klet6s, dal verbo kalo, chiamare, significa chiamato (vocatus, traduce Girolamo). Esso figura anche nel prescritto
della prima Lettera ai Corinzi; nelle altre lettere si trova spesso la
formula: apostolo per volont di Dio. Occorre soffermarsi su
questo termine, perch in Paolo la famiglia di kalo acquista un significato tecnico essenziale per la definizione della vita messianica,
in particolare nella forma del deverbale klesis, vocazione, chiamata. Il passo decisivo r Cor. 7, l 7-22:
Per il resto, a ciascuno come il signore ha dato in sorte, ciascuno come Dio ha
chiamato, cosl cammini. Cosl dispongo in tutte le comunit [ekklesiais, ancora una parola della famiglia di kalo]. Uno stato chiamato circonciso? Che
non si tiri il prepuzio. Uno stato chiamato col prepuzio? Che non si faccia
circoncidere! La circoncisione nulla e il prepuzio nulla ... Ciascuno rimanga nella chiamata in cui fu chiamato. Sei stato chiamato schiavo? Non preoccupartene. Ma se anche puoi diventare libero, piuttosto fa uso. Chi stato
chiamato schiavo nel signore, un liberto del signore. Allo stesso modo, chi
stato chiamato libero, schiavo del messia.
Che significa qui klesis? Che cosa significa la frase Ciascuno rimanga nella chiamata in cui fu chiamato (ente klesei he
eklthe)? Prima di rispondere a queste domande, sar ne- Beruf
cessado confrontarci con la funzione strategica che il
termine klesis - o, meglio, la sua traduzione tedesca Beru/- svolge
in un'opera decisiva nelle scienze sociali del nostro secolo: L'etica
protestante e lo spirito del capitalismo di Max Weber (1904). Conoscete la tesi di Weber: ci che egli chiama spirito del capitalismo
- cio la mentalit che fa del profitto stesso un bene, indipendente-
KLTOS
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Che cosa significa che il termine klesis avrebbe e non avrebbe qui
il significato odierno di Beruj? corretto interpretare, come fa Weber, la concezione paolina della chiamata come espressione di una
indifferenza escatologica rispetto alle condizioni mondane? E in
che modo si compie, nel passo in questione, il passaggio dal significato di vocazione religiosa a quello di professione? Il punto decisivo
evidentemente nel v. 20, in quell'ente klese he eklthe che Weber,
raccogliendo un suggerimento di Merx, interpreta come un ebraismo. In verit l'ipotesi non ha alcuna necessit filologica e riflette
piuttosto una difficolt di comprensione puramente semantica.
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D~l punto _di vista sintattico-grammaticale, la frase , infatti, perspicua e Girolamo la rende senza difficolt con in qua vocatione voc_atus est.. In modo ancora pi letterale, egli avrebbe potuto scrivere:
tn _vocatione qua vocatus est, nella vocazione come quale stato
chiamato_. Il pronome anaforico greco he (lat. qua) esprime perfett~mente il ~enso della formula, il suo peculiare movimento tautegonco, che viene dalla chiamata e fa ritorno.a essa. Secondo il senso proprio di ogni anafora, he indica infatti una ripresa del termine - klesis - che stato appena menzionato. questo movimento
anaforico che costituisce il senso della klesis paolina e ne fa un termine tecnico del suo vocabolario messianico. Klesis indica la particolare trasformazione che ogni stato giuridico e ogni condizione
mondana subiscono per il fatto di essere posti in relazione con l'evento messianico. Non di indifferenza escatologica si tratta quindi,
ma d~~a mutazione, quasi dell'intimo spostamento di ogni singola
condizione mondana in virt del suo essere chiamata. L' ekklesia
la comunit messianica, , per Paolo, letteralmente l'insieme dell~
kleseis, delle vocazioni messianiche. La vocazione messianica non
ha, tuttavia, alcun contenuto specifico: essa non che una ripresa
~e~e s~esse ~ondizioni fattizie o giuridiche nelle quali o come quali
si e i:hiamati. In quanto descrive quest'immobile dialettica, questo
movimento surplace, la klesis pu confondersi con la condizione
fattizia e con lo stato e significare tanto vocazione che Beruf
Quest_o_ mo~imento '. per, innanzi tutto, secondo l'apostolo,
u~~ nullificaz10ne: la circoncisione m,tlla e il prepuzio nulla.
Cio che, secondo la legge, faceva dell'uno un ebreo e dell'altro un
goj, dell'uno uno schiavo e dell'altro un uomo libero, ora annullato dalla vocazione. Ma allora perch rimanere in questo nulla? Ancora una volta, il mento (rimanga) non esprime indifferenza ma
l'immobile gesto anaforico della chiamata messianica il suo es~ere
essenzialmente e innanzi tutto, una chiamata della ~hiamata. Pe;
qu~sto essa pu aderire a qualunque condizione; ma, per la stessa
ragione, essa la revoca e mette radicalmente in questione nell'atto
stesso in cui vi aderisce.
KLETOS
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42-46:
KLETOS
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siaste (3,10, 4-8) in cui Qolet separa chiaramente i tempi che Paolo congiunge: Vi un tempo [kair6s nella Settanta] per piangere e uno per ridere, un
tempo per gemere e uno per ballare ... un tempo per cercare e un tempo per
perdere, un tempo per serbare e un tempo per buttar via ... un tempo per la
pace e un tempo per la guerra. Paolo definisce la condizione messianica semplicemente sovrapponendo, attraverso l' hOs me, i tempi che Qolet divide.
32
T Non sar inutile, a questo punto, comparare il come non paolino con un
istituto giuridico, che sembra presentare con esso qualche analogia: la/ictio legis, che stata giustamente definita una creazione senza precedenti del diritto
civile romano (Thomas, 20). La finzione - che non deve essere confusa con
la presunzione; che riguarda un fatto incerto - consiste nel sostituire a una verit certa una assunzione contraria, da cui si fanno derivare conseguenze giuridiche (/ictio est in re certa contrariae veritatis pro veritate assumptio). A seconda
che l'assunzione sia negativa o positiva, essa si esprime nelle formule ac sinon/ac si, perinde ac si non/perinde si. Un esempio di/ictio legis la Lex camelia
(81 a.C.) sulla validit dei testamenti di cittadini romani morti in cattivit.
Secondo il diritto romano, la cattivit implica la perdita dello statuto di libero
cittadino, e, quindi, la perdita della capacit di fare testamento. Per rimediare
KLETOS
33
Nella sua nota sul significato del termine klesis in Paolo Weber
deve confrontarsi con un passo di Dionigi di
'
Alicarna~so .che costituirebbe, a suo modo di Klesis e classe
vedere, 1 unico testo della letteratura greca in
cui klesis ha un significato che per lo meno ricorda quello qui discusso (Weber, 65). Nel passo in questione, Dionigi fa derivare
dal .g~eco .klesis. il termine latino classis, che indica la parte dei cittadini chiamati alle armi (kldseis katd tas Hellenikds kleseis paran?mdsantos). ~ench. i filologi moderni respingano come improbabile que.sta etlmo~ogia, e~sa non pu non interessarci, perch permette di mettere m relaztone con la klesis messianica uno dei concetti-chiave del pensiero marxiano. stato spesso osservato che
Marx il primo a sostituire senza riserve il francesismo Klasse al pi
usuale Stand (che il termine che ancora Hegel usa correntemente
nella sua.filosofia po~tic~). Che questa sostituzione abbia per Marx
una funzione strategica, e provato dal fatto che la dottrina hegeliana
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degli Stande gi nel mirino della sua Criti~a al/,a filosofia. hegelian~
dello Stato (1841-42). Anche se l'uso marxiano del termine non e
sempre consistente, per certo che egli investe il co!1cett? class~
di un significato che va ben al di l~ della cri~ica de~~ filosofia hegeli~
na e designa la grande trasformazione che ~ domtruo della ~orgh~sia
ha segnato nel tessuto politico. La borghesia rappresenta, mfattt, ~~
dissoluzione di tutti gli Stiinde; essa radicalmente K1asse e no~ pm
Stand: la rivoluzione borghese ha disfatto gli Stiinde insieme ai loro
privilegi. La societ borghese conosce solo classi (M~r~, IV, 181);
la borghesia, poich una classe e non un? Sta_nd_. .. (tktd:, III, 62).
Finch il sistema degli Stande era ancora m piedi, la ~ci~sione, .Pr~
dotta dalla divisione del lavoro, fra la vita personale di ciascun individuo e quella dello stesso individuo in quanto sussunt? in una certa condizione lavorativa e professionale non poteva ventre alla luce:
Nello Stand (e pi ancora nel clan famili~re) ci rima?e ancora nascosto; per
esempio, un nobile resta sempre un nobil~, un rot~rtef semp~e, u:i roturter'. a
prescindere da ogni altro suo rapporto: s1,~ra~t~ di una qualita m,~ep~r~bile
dalla sua individualit. La differenza tra 1md1v1duo perso~a~e e 1m~~v1~u?
come membro di una classe la casualit della condizione di vita per 1md1v1duo si ha soltanto con la ca'mparsa della classe che essa stessa un prodotto
della borghesia. (ibid., 76)
KLTOS
35
senza emancipare quindi tutte le altre sfere della societ - che, in una parola,
la perdita totale dell'uomo [der vollige Verlust des Menschen] e che potr raggiungere se stessa solo riscattando integralmente l'uomo. Questa dissoluzione
della societ come Stand particolare il proletariato (ibid., I, 390).
ll'M'
fattizie permangono come tali (Ciascuno rimanga ... ) - esse sono, per, nullificate e svuotate del loro senso (La c.irconcisi~ne
nulla e il prepuzio nulla, chi stato chiamato schiavo nel signore un liberto del signore). Varie risposte sono, naturalmente,
p~ssibili. Due di esse sono, del resto, gi prefigurate nell'opposizione stirneriana tra rivolta (Emporung) e rivoluzione (Revolution)
e nell'ampia critica che Marx ne fa nell'Ideologia tedesca. Secondo
Stirner (almeno nell'esposizione che Marx fa del suo pensiero), la
rivoluzione consiste in un rovesciamento dello stato di cose esistente, o status, dello Stato o della societ, ed quindi un atto politico e sociale, che ha di mira la creazione di nuove istituzioni. La
rivolta, invece, un sollevamento degli individui ... che non ha
riguardo alle istituzioni che ne scaturiscono ... Essa non una lotta
contro ci che esiste, poich, se riesce, ci che esiste crolla da s;
lo sforzo di trarre me stesso da ci che esiste (Marx, III, 361). A
commento di queste affermazioni, Marx cita un passo da un libro
di Georg Kuhlmann, dal titolo inconfondibilmente messianico, Il
regno dello spirito: voi non dovete abbattere e distruggere ci che
vi attraversa la strada, ma scansarlo e lasciarlo stare. E quando lo
avrete scansato e lasciato stare, esso cesser da s, perch non trova pi nutrimento (ibid.). Bench Marx riesca in questo modo a
mettere in ridicolo le tesi stirneriane, esse rappresentano certamente una possibile interpretazione - che possiamo chiamare etico-anarchica - del come non paolino. L'altra - quella marxiana che non separa rivolta e rivoluzione, l'atto politico dal bisogno
egoistico individuale, va incontro a una difficolt,_ eh.e si espr~ssa
nell'aporia del partito come identico alla classe e, msieme, distmto
da essa (il partito comunista, cio, non differisce dalla classe operaia se non perch esso coglie nella sua totalit il cammino storico
di questa). Se l'azione politica (la rivoluzione) coincide perfettamente con l'atto egoistico del singolo (la rivolta), perch qualcosa
come un partito necessario? La risposta che Lukacs ha dato a questo problema in Storia e coscienza di classe. nota; il proble~a d~;1' organizzazione il problema della coscienza di classe, di cm il
partito, , insieme, il portatore e il catalizzator~ univ~rsa~e 1:1-~ ci
equivale, in ultima analisi, ad affermare che il partito e .di~tmt?
dalla classe come la coscienza dall'uomo, con tutte le aporie implicite in questa tesi (aporia averroista: il partito diventa qualcosa co-
KLETOS
37
me l'intelletto agente dei filosofi medievali, che deve portare all'atto l'intelletto in potenza degli uomini; aporia hegeliana: che cos' la coscienza, se a essa compete il potere magico di trasformare
la realt ... in se stessa?) Che Lukacs abbia finito, su questa base,
col fare della giusta teoria il criterio decisivo per la definizione
del partito, mostra ancora una volta la prossimit fra questo nodo
problematico e la klesis messianica. Anche quando I' ekklesia, come
comunit delle vocazioni messianiche, volle darsi un'organizzazione distinta dalla comunit stessa - pretendendo, insieme, di coincidere con essa-, il problema della retta dottrina e dell'infallibilit
(cio, il problema del dogma) divenne allo stesso modo cruciale.
Vi anche una terza interpretazione possibile, quella anarchiconichilistica, che Taubes affaccia sulla scorta di Benjamin e che si
muove nell'assoluta indiscernibilit di rivolta e rivoluzione, di klesis mondana e klesis messianica, con la conseguente impossibilit di
articolare qualcosa come una coscienza della vocazione distinta dal
movimento della sua tensione e revocazione nel come non. Questa
interpretazione ha dalla sua parte l'esplicita affermazione di Paolo,
secondo cui egli non riteneva di aver afferrato se stesso bens solo
di essere stato afferrato - e, a partire da questo essere afferrato, di
esser teso in avanti verso la klesis (Fil. 3, 12-13). La vocazione
coincide qui col movimento della chiamata verso se stessa. Come
vedete, varie interpretazioni sono possibili e, forse, nessuna di
queste quella giusta. L'unica interpretazione che non invece
in alcun modo possibile, quella proposta dalla Chiesa sulla' base di'
Rm. 13.1: ogni potere viene da Dio, quindi lavorate, obbedite e
non mettete in questione la posizione che vi stata assegnata nella
societ. Dov' il come non in tutto questo? Non si riduce, in questo
modo, la vocazione messianica a una sorta di riserva mentale o nel
'
migliore dei casi, a una specie di marranismo ante litteram?
T All'inizio degli anni venti, nel corso che porta il titolo Introduzione alla
fenomenologia della religione, Heidegger si occupa di Paolo e commenta brevemente _il p~sso di r Cor. 7, 20-3 ~ sulla klesis e sull' hos me. Secondo Heidegger,
essenziali m Paolo non sono n il dogma n la teoria, ma l'esperienza fattizia il
modo in cui le relazioni mondane sono vissute (der Votlzug, l'esecuzione, il ~o
do di vivere). Questo modo di vivere determinato per Paolo dall' hOs me: Si
tratta di raggiungere una nuova relazione fondamentale. Questa dev'essere
ora prodotta secondo la struttura dell'esecuzione. I significati esistenti della
vita effettiva sono vissuti hos me, come se non [als ob nicht] ... Importante
38
~~~~~:1:.:~~e:Tlt"Es;~=~
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d~ts~hfa~~:~~~ ~~;~~::de~ ~h: ~~a ~berazione ~plic~Yz?o~~a:;~da~~ ~
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suo essere. Lo schiavo deve restare schiavo. ~n qi.: ~ co cl
1 ame il litrovi indifferen~e .. In qd~nto cris~~no, i7~avo~eli~l~~io:it~:e~~o al :Uonbero in quanfto ~nst1ano __ivehnta nsc e~a:on dete;~inano in alcun modo la fattici alla pro ess1one e a c10 e e u o ,
l
l
ci~ del cristiano. Tuttavia esse ci sono, ven.gono conservate e so tanto cos per
la prima volta appropriate [zugeeignet] (He1de~ger 19951, 117d-~9):, di un sem' .
t
ch esso contiene qua cosa 1 pm
Questo pass~ e impor.tan e, ph cl veva i tardi diventare in Essere e tempo
plic: pres~ntdlnto di i~u{]Jf ~ndichkeit) ~ dell'improprio (Uneigentlichkeit).
la d1al~tt1ca. e propdialetti~a che il proprio e l'autentico no!1 son~ qualEssenzh1alfel, m quel~
dea quotidianit decaduta; ma es1stenz1alme~
cosa e e uttua a 1 s~p~~dificato di questa (ibid(, p. 179) - che rautentlte solo un af~e~raien~ontenuto che l'inautentico. E attraverso un l~terpreche Heidegger sembra elaborare
z1?:1
soltanto - appropriate nella loro stessa 1mpropr1e.ta.
- l tq he per Paolo non di appropriazione si tratta, ma di ~so e il soggett~
R
es a e '
'
' cl f . cl ro riet ma non puo nemmeno pos
messianico non solo non e e m~to a p 11a fo;ma della decisione autentica
sedere se stesso come un tutto, sia pure ne
e dell'essere-per-la-morte.
KLETOS
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raggiunto nell'eternit. Ci nonostante nel cuore di ogni uomo pensante esigere in eterno la verit un interesse incancellabile, come lo scalzare l'errore con tutte le proprie forze e ovunque diffondere la verit, vale a dire procedere come se l'errore dovesse una buona volta perire e ci si potesse attendere
il regno universale della verit. E precisa~ente questo il c~_rat.te:e di una
natura che, come quella umana, determmata a tendere ali mf1ruto al suo
ideale ... vero che tu non puoi mostrare scientificamente che debba essere
cosl ma tuttavia sufficiente - te lo-dice il tuo cuore! - che tu agisca come se
foss~ vero. (ibid.)
KLETOS
ya (ibid., 122).
Tutta la filosofia di Adorno scritta all'impotenziale e il come se
non , in questo senso, che la spia di questa intima modalit del suo
pensiero. La filosofia si stava realizzando, ma il momento della sua
.realizzazione stato mancato. Questa omissione , insieme, assolutamente contingente e assolutamente irreparabile: impotenziale. La
redenzione , per conseguenza, soltanto un punto di vista -Adorno non potrebbe nemmeno immaginare che sia possibile restituire
possibilit all'accaduto, che, come in Paolo, la potenza si compie
nella debolezza (2 Cor. r 2, 9). Malgrado le apparenze, la dialettica
negativa un pensiero assolutamente non messianico - pi vicino alla tonalit emotiva diJean Amry che a quella di Benjamin.
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Conoscete la feroce battuta che Scoto prende in prestito da Avicenna per provare la contingenza: coloro che negano la contingenza, dovrebbero essere torturati, finch ammettano che avrebbero anche potuto non essere torturati. Jean Amry ha subito
questa terribile prova, stato costretto ad ammettere l'insensata
crudelt della contingenza. Da quel momento, l'accaduto diventa
per lui assolutamente irreparabile e il risentimento l'unica legittima tonalit emotiva rispetto a esso. Nella sua straordinaria testimonianza Al di l della colpa e dell'espiazione - il titolo una giustificazione etica del risentimento; ma anche il sottotitolo dei Minima
moralia, Riflessioni sulla vita offesa [beschiidigten Leben], tradisce
qualcosa come un risentimento - Amry racconta come la poesia di
Holderlin che era solito ripetere a memoria perda ad Auschwitz la
capacit di salvare e trascendere il mondo. Anche per la poesia vale
qui l'incantesimo dell'incantesimo - per Amry, come per Adorno, il gesto che potrebbe smagare l'incanto assente.
Vi qualcosa come una modalit messianica, che permetta di definirne la specificit rispetto all'impotenziale adorniaEsigenza no e al risentimento di Amry - senza, per questo,
negare semplicemente la contingenza? Questa modalit - di rado tematizzata come tale nella storia della filosofia, eppure a questa cosl essenziale che si pu dire che il suo darsi coincida con la possibilit stessa della filosofia - l'esigenza. Proviamo a
iscriverne il concetto nella tavola delle categorie modali, accanto a
possibilit, impossibilit, necessit, contingenza. Nel saggio giovanile sull'Idiota di Dostoevskij, Benjamin scrive che la vita del principe Myskin deve restare indimenticabile, anche se nessuno laricorda. Questa un'esigenza. L'esigenza non ignora n cerca di
esorcizzare la contingenza. Essa dice, al contrario: questa vita, bench sia stata di fatto totalmente dimenticata, esige di restare indimenticabile.
Nel De veritatibus primis Leibniz definisce la relazione tra possibilit e realt in questo modo: omne possibile exigit existere, ogni
possibile esige di esistere, di diventare reale. Malgrado la mia incondizionata ammirazione per Leibniz, credo che questa formulazione non sia corretta e che, per definire che cosa sia veramente
KLETOS
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44
menticabile non una tradizione - essa , piuttosto, ci che contrassegna ogni tradizione con un marchio d'infamia o di gloria e, a
volte, le due cose insieme. Ci che rende storica ogni storia e traw mandabile ogni tradizione appunto il nucleo indimenticabile che
essa porta dentro di s. L'alternativa qui non fra dimenticare ericordare, essere inconsapevole e prendere coscienza: decisiva soltanto la capacit di rimanere fedeli a ci che - pur incessantemente
dimenticato - deve restare indimenticabile, esige di rimanere in
qualche modo con noi, di essere ancora - per noi - in qualche modo possibile. Rispondere a questa esigenza la sola responsabilit
storica che mi sentirei di assumere incondizionatamente. Se, invece, rifiutiamo questa esigenza, se - tanto sul piano collettivo che su
quello individuale - perdiamo ogni relazione con la massa del dimenticato che ci accompagna come un golem silenzioso, allora essa
si manifester in noi in modo distruttivo e perverso, nella forma di
ci che Freud chiamava il ritorno del rimosso, cio il ritorno dell'impossibile come tale.
Che cosa ha a che fare Paolo con tutto questo? Il messianico
per lui il luogo di un'esigenza, che concerne precisamente la redenzione di ci che stato. Esso non un punto di vista, dal quale si
possa guardare al mondo come se la redenzione fosse compiuta.
L'avvento del messia significa che tutte le cose - e con esse il soggetto che le guarda - sono prese nel come non, chiamate e revocate
nello stesso gesto. Non vi pi alcun soggetto che guarda e che potrebbe, a un certo punto, decidere di fare come se. La vocazione
messianica disloca e nullifica innanzi tutto il soggetto: questo il
senso di Gal. 2, 20: <<non sono pi io che vivo [zo oukti ego], il messia vive in me. Ed egli vive in lui precisamente come quel non
pi io, come il corpo morto del peccato che portiamo ancora in
noi e che, attraverso lo spirito, vivificato nel messia (Rm. 8, 11).
L'intera creazione stata assoggettata alla caducit (matai6tes, la
futilit di ci che si perde e corrompe) - ma precisamente per questo essa geme in attesa della redenzione (ibid. 8, 20-22). E a questo
lamento della creatura che incessantemente si perde, corrisponde
nello spirito non un discorso ben formato, che pu calcolarne e registrarne la perdita, ma solo gemiti indicibili (stenagmois alaltois) (ibid. 8, 26). Per questo, chi si mantiene fedele a ci che si
perde, non pu credere ad alcuna identit o klesis mondana. Il co-
KLETOS
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scorso del regno (logos tes basileias) ci che rende necessario il parlare in
parabole. La parabola del seminatore, che si tratta in questo passo di spiegare, concerne questo stesso logos, in quanto il seme rappresenta appunto il
linguaggio stesso (nell'esegesi di Mr. 4, 13: il seminatore semina il logoS).
Nella sfilza di parabole che seguono, il regno messianico paragonato a un
campo in cui crescono insieme grano e zizzania, a un chicco di senape, al lievito, a un tesoro nascosto in un campo, a un mercante che va in cerca di una
perla, a una rete gettata in mare. Jungel ha osservato a questo proposito che
il regno di Dio si esprime nella parabola in quanto parabola Gungel, 385),
in modo tale che vengono esposte insieme la differenza e la prossimit fra il
regno di Dio e questo mondo. Nella parabola, la differenza tra signum eressignificata tende, cio, ad annullarsi, senza per scomparire del tutto. In questo
senso si pu dire che - come nella parabola del seminatore in Matteo - le parabole messianiche sono sempre parabole sul linguaggio, cio sulla rappresentazione del regno, in cui a essere posti l'uno accanto all'altro (para-ballo) non
sono soltanto il regno e il suo termine di paragone, ma anche il discorso sul
regno e il regno stesso, in modo che la comprensione della parabola coincide
con la comprensione del logos tes basileias. Signum e res significata si avvicinano nella parabola messianica, perch in essa la cosa significata il linguaggio
stesso. E questo certamente il senso - ma anche l'inevitabile ambiguit della parabola kafkiana, di ogni parabola. Se ci che nella parabola deve avvenire il passaggio al di l del linguaggio e se questo possibile, secondo
Kafka, solo diventando linguaggio (se voi seguiste le parabole, diverreste
voi stessi parabole), tutto dipende dal momento e dal modo in cui il come
viene abolito.
Decisivo, in questa prospettiva, che Paolo non soltanto si serve di rado di
parabole in senso tecnico, ma il come non - che definisce per lui la klesis messianica - non paragona, come abbiamo visto, due termini distinti, ma mette
in tensione ogni essere e ogni termine con se stesso. L'evento messianico - che
per Paolo si gi prodotto con la resurrezione - non si esprime come parabola nella parabola, ma presente en to nyn kairo come la revocazione di ogni
condizione mondana, che la scioglie da se stessa per permetterne l'uso.
Terza giornata
Aphorismnos
Aphorismnos il participio passato di aphorizo, e significa separato, segregatus, come traduce Girolamo. Deve trattarsi di un
termine importante per Paolo, se gi nella Lettera ai Galati con
una forma dello stesso verbo che egli definisce la sua vocazione:
Colui che avendomi separato [aphorisas] nel seno di mia madre e
avendomi chiamato per la sua grazia ... (Gal. l, 15). Questo termine pone tuttavia un problema non trascurabile: com' possibile
che Paolo, che predica l'universalismo e annuncia la fine messianica di ogni separazione fra Ebrei e pagani, si riferisca a se stesso come a un separato? In E/ 2, 14-15 Paolo dice testualmente che il
messia ha fatto di due uno e ha distrutto il muro della separazione
[to mes6toichon tau phragmou1. L'espressione forte, perch mette in questione un punto fondamentale del giudaismo (l'autore della lettera di Aristea, che non certo un fanatico, definisce gli
Ebrei in questi termini: il nostro legislatore ... ci ha cinti di palizzate ininterrotte e di mura di ferro per evitare che ci mescolassimo
in alcunch agli altri popoli [ethne] (Aristea, 105). Il senso dell'annuncio messianico che queste mura sono crollate, che non vi pi
divisione fra gli uomini e fra gli uomini e Dio. Perch Paolo continua allora a definire se stesso un separato? Non aveva egli, al
momento dell'incontro di Antiochia, biasimato con durezza Pietro
proprio perch si era separato (aphorizen heaut6n) dai non-Ebrei
(Gal. 2, 12)? Separarsi significava mettere a tal punto in questione
la verit dell'annuncio messianico (ten altheian tou euaggeliou),
che Paolo non pu non intervenire: Se tu che sei ebreo vivi come i
non-Ebrei e non come gli Ebrei [ethnikos kai ouchi Ioudaikos], come
APHORISMNOS
49
legge, per essi, non era soltanto la Torah in senso stretto, la legge
scritta, ma anche la Torah orale, la tradizione concepita come una
parete divisoria o una siepe intorno alla Torah, che deve proteggerla da ogni contatto impuro.
Definendosi aphorismnos, un separato, Paolo riprende dunque ironicamente - ma si tratta di un'ironia crudele - la sua separazione di un tempo, la sua segregazione di fariseo. La riprende e la
nega in nome di un'altra separazione, che non pi, questa volta,
secondo il nomos, ma per l'annuncio messianico (eis euagglion theou').
in questo senso che si deve leggere, nel passo che abbiamo citato
della Lettera agli Efesini (2, 14), l'espressione to mesoitochon tou
phragmou, che abbiamo tradotto il muro della separazione, ma
che letteralmente vale: il muro divisorio della siepe: si tratta di
una chiara allusione alla parete divisoria e alla siepe intorno
alla Torah che costituiva l'ideale dei farisei. Il muro che l'annuncio
messianico proferito dall'aphorismnos fa cadere quello che il fariseo di un tempo manteneva intorno alla Torah, per proteggerla
dallo am-hares e dai gojim, i non-Ebrei.
Se questo vero, se la separazione dell'aforisma messianico riprende e divide la separazione del parus, allora aphorismnos implica per cos dire una separazione alla seconda potenza, una separazione della stessa separatezza, che divide e traversa le divisioni nomistiche della legge farisaica. Ma ci significa, anche, che l'aforisma messianico ha una struttura complessa che si tratta appunto
per noi di afferrare, se vogliamo intendere correttamente il senso
delle separazioni che Paolo traccia nelle sue lettere. Tutto il corpo
a corpo di Paolo con la legge, non soltanto nella Lettera ai Romani,
, infatti, scandito da una serie di divisioni, fra le quali quella sane/
pneuma, carne/soffio, occupa una posizione decisiva. Qual il
senso e la funzione strategica di questa divisione, che Paolo fa agire contro le partizioni nomistiche?
Paolo comincia infatti col costatare che la legge opera innanzi
tutto istituendo divisioni e separazioni. Egli sembra in questo modo prendere sul serio il significato etimologico del termine greco
nomos - di cui si serve per designare la Torah, ma anche la legge in
generale - che deriva da nemo, dividere, attribuire delle parti.
Ricorderete che all'inizio del passo sulla vocazione in I Cor. 7, 17
Paolo aveva detto, riferendosi alle diverse condizioni in cui gli uo-
"IDI
Il principio della legge dunque la divisione. E la partizione fondamentale della legge ebraica quella tra Ebrei
Il popolo diviso e non-Ebrei - nelle parole di Paolo: Ioudaioi e
ethne. Nella Bibbia, infatti, il concetto popolo sempre gi diviso: am e goj (pi. gojim). Am Israele, il popolo
eletto, col qualeJahv ha concluso una berit, un patto; gojim sono gli
altri popoli. La Settanta traduce am con !aos e gojim con ethne. (Comincia qui un capitolo fondamentale nella storia semantica del termine popolo, che sarebbe pertinente seguire sino all'uso odierno
dell'aggettivo etnico nel sintagma conflitti etnici; altrettanto
interessante sarebbe indagare le ragioni che hanno indotto la Settanta a non ricorrere ali' altro termine greco per popolo, cosl prestigioso
nella nostra tradizione filosofico-politica: demos. In ogni caso, si vede qui con chiarezza come il termine popolo sia sempre gi diviso,
traversato da una faglia teologico-politica originaria).
Se il tutto dello am si chiama Israele, tuttavia anche qui diverse
denominazioni sono possibili. Poich il termine jehudi (gr. Ioudaios), che indica in origine gli abitanti del regno di Giuda, si estende progressivamente a tutti i membri dello am (soprattutto quando
a parlare sono dei non-Ebrei). Vi , poi, il termine ibri (gr. Hebraios),
che ha all'inizio una colorazione giuridica, ma che nella letteratura
rabbinica designer in particolare !afon hakodes, l'ebraico in quanto
lingua santa, per estendersi poi a tutto Israele. Quanto a Paolo, egli
si serve di tutti e tre i termini: Israel, Hebraios, Ioudaios. Si direbbe
che il nome stesso si divida, che la legge, che costituisce Israele come am, sia principio di una divisione incessante.
La divisione nomistica fondamentale , comunque, quella fra
Ebrei e non-Ebrei, che Paolo esprime crudamente nell'antitesi circoncisione/prepuzio. Certo i profeti possono rivolgere il loro messaggio a tutti i popoli; ma, anche in Is. 49, 6, lo schiavo del signore che il profeta annuncia definito berit am, un' alleanza per
APHRISMNOS
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APHORISMNOS
NON-EBREI
non-Ebrei
:
non-Ebrei
secondo il soffio : secondo la carne
NON NON-EBREI
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(ibid., 105-06).
Quale che possa essere la legittimit di concetti come tolleranza o benevolenza, che concernono in ultima analisi l'atteggiamento dello Stato rispetto ai conflitti religiosi (qui si vede come coloro che dichiarano di voler abolire lo Stato, spesso non riescano a
liberarsi di un punto di vista statuale), certamente essi non sono
concetti messianici. Per Paolo non si tratta di tollerare o di attraversare le differenze per trovare al di l di esse lo stesso e l'universale. L'universale non per lui un principio trascendente dal
quale guardare alle differenze - egli non dispone di un tale punto
di vista-, ma un'operazione che divide le stesse divisioni nomistiche e le rende inoperanti, senza per mai raggiungere un suolo ulti-
APHORISMNOS
55
mo. In fondo all'ebreo e al greco, non c' l'uomo universale o il cristiano, n come principio n come fine: vi soltanto un resto, vi
soltanto l'impossibilit dell'ebreo e del greco di coincidere con se
stessi. La vocazione messianica separa ogni klesis da se stessa, la
mette in tensione con se stessa, senza fornirle un'identit ulteriore: ebreo come non ebreo, greco come non greco.
A proposito del libro di Antelme, Blanchot ha scritto una volta
che l'uomo l'indistruttibile che pu essere infinitamente distrutto. Riflettete alla struttura paradossale implicita in questa formulazione. Se l'uomo l'indistruttibile che pu essere infinitamente distrutto, ci significa che non c' un'essenza umana da distruggere
o da ritrovare, che l'uomo un essere che manca infinitamente a se
stesso, che sempre gi diviso da se stesso. Ma se l'uomo ci che
pu essere infinitamente distrutto, ci significa anche che resta
sempre qualcosa oltre questa distruzione e in questa distruzione,
che l'uomo questo resto.
Vedete perch non ha molto senso parlare di universalismo a
proposito di Paolo - almeno finch l'universale pensato com~ u?principio superiore ai tagli e alle divisioni e l'individuale come il limite infimo di ogni divisione. In Paolo non vi sono, in questo senso, n principio n fine: vi soltanto il taglio di Apelle, la divisione
della divisione - e, poi, un resto.
APHORISMNOS
57
1&'
munit messianica: Voi siete corpo del messia e membra per parte
[ek merous]. E, tuttavia, il resto precisamente ci che impedisce
alle divisioni di essere esaustive ed esclude che le parti e il tutto
possano coincidere con se stesse. Esso non tanto l'oggetto della
salvezza, quanto piuttosto il suo strumento, ci che, propriamente,
la rende possibile. In Rm. II, II-26, Paolo esprime con chiarezza
questa dialettica soteriologica del resto: la diminuzione (httema),
che configura Israele come parte e come resto, si prodotta per
la salvezza degli ethne, dei non-Ebrei, e prelude al suo plroma, alla sua
pienezza come tutto, poich alla fine, quando il plroma dei popoli sar
entrato, tutto Israele sar salvato. Il resto , dunque, insieme
un'eccedenza del tutto verso la parte e della parte verso il tutto,
che funziona come una molto speciale macchina soteriologica. Come tale, esso concerne soltanto il tempo messianico ed esiste soltanto in esso. Nel telos, quando Dio sar tutto in tutti, il resto
messianico non avr alcun privilegio particolare e avr esaurito il
suo senso per perdersi nelplroma (z Tes. 4, I5: noi, i viventi restanti, nella venuta del Signore non sorpasseremo coloro che si sono addormentati). Ma, nel tempo di ora, che il solo tempo reale,
non vi che il resto. Esso non appartiene propriamente n all'escatologia della rovina n a quella della salvezza, ma piuttosto, secondo le parole di Benjamin, quell'insalvabile nella cui percezione
soltanto la salvezza si lascia raggiungere. L'aforisma kafkiano,
secondo cui c' salvezza, ma non per noi, trova qui il suo unico
senso. Come resto, noi, i viventi che restano en to nyn kairo, rendiamo possibile la salvezza, siamo la sua primizia (aparch: Rm.
I I, I6), siamo, per cos dire, gi salvi; ma, proprio per questo, non
in quanto resto che saremo salvati. Il resto messianico eccede irremediabilmente il tutto escatologico, esso l'insalvabile che rende possibile la salvezza.
Se dovessi indicare, nelle lettere di Paolo, un lascito politico immediatamente attuale, credo che il concetto di resto non potrebbe
non farne parte. Esso permette, in particolare, di dislocare in una
prospettiva nuova le nostre antiquate e, tuttavia, forse non rinunciabili nozioni di popolo e di democrazia. Il popolo non n il tutto n la parte, n maggioranza n minoranza. Esso , piuttosto, ci
che non pu mai coincidere con se stesso, n come tutto n come
parte, ci che infinitamente resta o resiste in ogni divisione, e - con
APHORISMNOS
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T Il concetto messianico di resto presenta indubbiamente pi di un'analogia col proletariato marxiano, che non pu coincidere con se stesso in quanto
classe ed eccede necessariamente tanto la dialettica statuale che quella sociale
degli Stiinde, perch esso ha subito non un'ingiustizia particolare, ma l'ingiustizia assoluta [das Unrecht schlechtin]. Esso permette inoltre di comprendere
meglio quel che Deleuze chiama popolo minore, che costitutivamente in
posizione di minoranza (nozione che ha certamente origini pi antiche, perch ricordo che Jos Bergamin, che aveva vissuto la guerra civile spagnola,
soleva ripetere quasi come un adagio che el pueblo es siempre minoria). In un
senso probabilmente analogo, Foucault, in un'intervista del 1977 con Jacques Rancire, parla della plebe come elemento inassegnabile.e assolutamente irriducibile alle relazioni di potere, che non , per, semplicemente esterno rispetto a esse, ma ne segna in qualche modo il limite: La plebe probabilmente non esiste ma si d [il y a de la plbe]. Si d plebe nei corpi, nelle anime, negli individ~i, nel proletariato, ma con estensione, forme, energia e irriducibilit ogni volta diverse. Questa parte di plebe non rappresenta tanto
un'esteriorit rispetto alle relazioni di potere, quanto piuttosto il loro limite,
il loro rovescio, il loro contraccolpo (Foucault, 421).
Molti anni dopo, lo stesso Rancire ha ripreso questo concetto foucaultiano
per svolgerlo in quello di un popolo, inteso come parte dei senza parte, o in
soprannumero, portatrice di un torto che istituisce la democrazia come Comunit di litigio. Tutto dipende, qui, da che cosa si intende per torto e
litigio. Se il litigio democratico inteso per quello che veramente, cio
come possibilit della stasis o della guerra civile, allora la definizione pertinente. Se invece, come sembra ritenere Rancire, il torto di cui il popolo la
cifra non - com'era ancora in Marx - assoluto, ma , per definizione,
trattabile (Rancire, 64), allora la linea che separa la democrazia dalla sua
contraffazione consensualistica o postdemocratica - che pure Rancire critica esplicitamente - tende a cancellarsi.
APOSTOLOS
Quarta giornata
Ap6stolos
Il termine ap6stolos - che nella nostra lettura dipende da aphorismnos ed , pertanto, ora tempo di commentare - ha, in Paolo,
un'importanza particolare, perch definisce, e non soltanto nei prescritti di quasi tutte le Lettere, la sua funzione propria. Il significato, che rimanda al verbo greco apostllo, chiaro: l'apostolo un inviato, in questo caso un inviato non da uomini, ma dal messia Ges
e dalla volont di Dio per l'annuncio messianico (cosl nelle due lettere ai Corinzi e in quelle ai Galati, agli Efesini e ai Colossesi). Il precedente ebraico evocato nei lessici, lo saliah, una nozione essenzialmente giuridica: un mandatario, un uomo inviato per un incarico determinato. Qualunque sia la natura di questo incarico (contratto, matrimonio ecc.), allo saliah si applica la massima rabbinica
(familiare anche al diritto romano): l'inviato di un uomo come
l'uomo stesso (gli effetti dell'atto del mandatario ricadono sul
mandante). Questa figura originariamente giuridica ha acquisito
nel giudaismo un significato religioso (ammesso che abbia senso distinguere nel giudaismo tra religione e diritto): le comunit della
Palestina inviavano cosl degli seluhim alle comunit della diaspora.
Ma si trattava sempre, anche quando l'incarico aveva carattere religioso, di un compito determinato e di una figura senza troppe pretese: di qui lo humour della battuta che circoler secoli dopo su Sabbatai Zevi: partito saliah ed tornato masiah.
Perch Paolo si definisce apostolo e non, ad esempio, profeta?
Qual la differenza fra l'apostolo e il profeta? Paolo stesso agiocare su questa differenza, modificando appena una citazione di
Geremia in Gal. 1, 15-16. Dove Geremia diceva: ti ho costituito
61
profeta nel seno di tua madre, Paolo, che si appena definito inviato [ap6stolos] non da uomini e per un uomo, ma per Ges messia
e Dio padre, cancella profeta e scrive semplicemente colui
che mi aveva separato nel seno di mia madre. Nel tempo messianico, l'apostolo occupa il posto del profeta, in suo luogo.
Conoscete certamente l'importanza del profeta, del nabi, nel
giudaismo e, in generale, nel mondo antico. Meno nota
la tenace discendenza di questa figura nella cultura oc- Nabi
cidentale, fino alle soglie della modernit, dove non
detto che sia definitivamente sparita. Aby Warburg classificava
Nietzsche e Jacob Burckhardt come due tipi opposti di nabi, il primo rivolto verso il futuro e il secondo verso il passato; e ricordo
che Michel Foucault, nella lezione del 1 febbraio 1984 al Collge
de France, distingueva quattro figure della veridizione nel mondo
antico: il profeta, il saggio, il tecnico e il parresiaste e, nella lezione
successiva, ne rintracciava la discendenza nella storia della filosofia moderna. ( un esercizio interessante, in cui vi suggerisco di cimentarvi).
Che cos' un profeta? innanzi tutto un uomo che in relazione
immediata colla ruah Jahw, col soffio diJahv e riceve da Dio una
parola che non gli appartiene in proprio. Cosl parla - o ha parlato Jahv la formula che apre il discorso profetico. Come portavoce
estatico di Dio, il nabi si distingue nettamente dall'apostolo, che,
in quanto mandatario per uno scopo determinato, deve invece eseguire il suo incarico con lucidit e trovare da solo le parole dell' annuncio, che pu pertanto definire il mio evangelo (Rm. 2, 16;
16, 25). Nel giudaismo, tuttavia, il profetismo non un'istituzione
di cui sia possibile definire le funzioni e determinare le figure: ,
piuttosto, qualcosa come una forza o una tensione perennemente
in lotta con altre forze che cercano di limitarla nelle modalit e, soprattutto, nel tempo. La tradizione rabbinica tende cosl a chiudere
il profetismo legittimo nei limiti di un passato ideale, che si conclude con la prima distruzione del Tempio, nel 587 a.C. In questo
senso vanno lette affermazioni del tipo: Il secondo tempo ha cinque cose in meno rispetto al primo: il fuoco, l'arca, l'olio dell'unzione, gli urim e i tummim e il soffio santo [cio lo spirito profetico]; ovvero: Dopo la morte degli ultimi profeti Ageo, Zaccaria e
Malachia, il soffio santo si allontanato da Israele; tuttavia i mes-
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APOSTOLOS
64
11&'
Blumenberg che Lowith confondono il messianismo con l' escatologia, il tempo della fine con la fine del tempo e si lasciano cosi sfuggire proprio ci che per Paolo essenziale: il tempo messianico in
quanto mette in questione la stessa possibilit di una chiara divisione fra i due olamim.
Come rappresentarci questo tempo? In apparenza, le cose sono
semplici: vi , innanzi tutto, il tempo profano - a cui Paolo si riferisce di solito col termine chronos - che va dalla creazione all' evento messianico (che, per Paolo, non la nascita di Ges, ma la
sua resurrezione). Qui il tempo si contrae e comincia a finire: ma
questo tempo contratto - cui Paolo si riferisce con l'espressione ho
nyn kair6s, il tempo di ora - dura fino alla parousia, la piena presenza del messia, che coincide col giorno della collera e la fine del
tempo (che resta indeterminata, anche se imminente). Qui il tempo esplode - o, piuttosto, implode, nell'altro eone, nell'eternit.
Se proviamo a rappresentare questo schema su una linea, avremo qualcosa del genere:
- - - - - - - - --------A
e l'schaton, dove il tempo trapassa nell'eternit. Questa rappresentazione ha il merito di mostrare chiaramente che il tempo messianico - ho nyn kair6s - non coincide n con la fine del tempo e
con l'eone futuro, n col tempo cronologico profano, senza per
essere esterno rispetto a quest'ultimo. Esso una porzione del
tempo profano, che subisce una contrazione che lo trasforma integralmente (questa eterogeneit rappresentata in modo insufficiente, nel nostro schema, attraverso i tratti discontinui). Per questo sarebbe probabilmente pi esatto far ricorso all'idea del taglio
di Apelle, e rappresentare il tempo messianico come una cesura
che, dividendo la stessa divisione fra i due tempi, introduce in essa
un resto, che eccede la divisione:
___________,_!--~---------------------A
APOSTOLOS
66
passato
presente
futuro
Questa rappresentazione - che Guillaume chiama anche immagine-tempo - insufficiente, perch troppo perfetta. Essa ci presenta un tempo sempre gi costruito, ma non ci mostra il tempo in
atto di costruirsi nel pensiero. Per comprendere veramente qualcosa, dice Guillaume, non basta considerarlo nello stato costruito o
compiuto: bisogna poter rappresentare le fasi che il pensiero ha
percorso per costruirlo. Ogni operazione mentale, per quanto rapida, necessita per compiersi di un certo tempo, che pu essere brevissimo, ma non per questo meno reale. Guillaume definisce
tempo operativo il tempo che la mente impiega per realizzare una
immagine-tempo. Ora un esame attento dei fenomeni del linguaggio mostra che le lingue organizzano i loro sistemi verbali non secondo lo schema lineare precedente - povero, perch troppo perfetto - ma attraverso il riferimento dell'immagine costruita al tempo
operativo della sua costruzione. Guillaume pu cos complicare la
rappresentazione cronologica del tempo proiettando su di essa
quella del processo di formazione dell'immagine-tempo, ottenendo
una nuova rappresentazione - non pi lineare, ma tridimensionale che quella del tempo cronogenetico. Lo schema della cronogenesi
permette cos di cogliere l'immagine-tempo nel suo stato puramente potenziale (tempo in posse), nel processo della sua formazione
(tempo in fieri) e, infine, nello stato costruito (tempo in esse), rendendo conto secondo un modello unitario di tutte le forme verbali
della lingua (aspetti, modi e tempi in senso stretto).
~ L'interesse dell'introduzione del concetto di tempo operativo nella scienza del linguaggio evidente. Non soltanto esso permette a Guillaume di restituire tempo a una rappresentazione spaziale che - come ogni immagine ne in se stessa del tutto priva; ma l'idea che la lingua possa riferirsi al tempo
operativo del suo stesso divenire contiene gi le basi - e, insieme, il principio
di una complicazione ulteriore - della pi geniale creazione della linguistica
APOSTOLOS
del Novecento: la teoria benvenistiana dell'enunciazione. Attraverso gli indicatc;iri dell'enun~iazione,. la lingua si riferisce al suo stesso aver luogo, alla
pura 1stan,za del ~ts.corso 1~ a!to, e questa capacit di riferirsi alla pura presenza dell enunciaz10ne comc1de, secondo Benveniste con la cronotesi con
l'?r~gin.e della no~tra rappresent~zione del tempo, di ~ui costituisce il punto
di riferimento assiale. Ma se ogru operazione mentale, ogni pensiero in azione di linguaggio, come dice Guillaume, implica un tempo operativo allora
anche il rifer~mento a~'istanz~ di discorso in atto implicher un certo ~empo,
e la cronotes1 conterra al suo mterno un tempo ulteriore che introduce una
sconnes~ione e un,ritardc;i n~lla pura presenza dell'enu~ciazione. E poich
Benveruste fa dell enunciazione d fondamento stesso della soggettivit e della coscienza, questo scarto e questo ritardo apparterranno costitutivamente
alla struttura del soggetto. In quanto il pensiero sempre in azione di linguaggio e implica perci i:ecessariamente in se stesso un tempo operativo,
allora - per quanto grande sta la sua velocit e la sua capacit di sorvolo - esso
non potr mai coincidere perfettamente con se stesso e la presenza della cos~ienza a se st,essa ayr gi sempre la forma del tempo. Il che spiega anche, fra
1 al~ro,.pe~che pensiero del tempo e rappresentazione del tempo non possono
ma1 comc1dere: per formare le parole in cui si esprime - e in cui si realizza
una certa i:11magine-tempo - il pensiero ha bisogno di un tempo operativo,
che non puo essere rappresentato a sua volta nella rappresentazione che pure
in qualche modo lo implica.
"ID1
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presentabile ma impensabile - del tempo cronologico n l'istante altrettanto impensabile - della sua fine; ma non nemmeno semplicemente un segmento prelevato sul tempo cronologico, che va
dalla resurrezione alla fine del tempo: , piuttosto, il tempo operativo che urge nel tempo cronologico e lo lavora e trasforma dall'interno, tempo di cui abbiamo bisogno per far finire il tempo - in
questo senso: tempo che ci resta. Mentre la nostra rappresentazione
del tempo cronologico, come tempo in cui siamo, ci separa da noi
stessi, trasformandoci, per cosl dire, in spettatori impotenti di
noi stessi, che guardano senza tempo il tempo che sfugge, il loro incessante mancare a se stessi, il tempo messianico, come tempo operativo, in cui afferriamo e compiamo la nostra rappresentazione
del tempo, il tempo che noi stessi siamo - e, per questo, il solo
tempo reale, il solo tempo che abbiamo.
Proprio perch tesa in questo tempo operativo, la klesis messianica pu avere la forma del come non, dell'incessante revocazione
di ogni vocazione. Questo poi dico, fratelli, cosl inizia il passo di
I Cor. 7 sull'os me che abbiamo a lungo commentato, il tempo si
contratto [ho kair6s synestalmnos estin: systllo indica tanto l'azione
di imbrogliare le vele che la contrazione di un animale prima di spiccare un salto]; il resto [to loip6n, com' stato giustamente osservato, non vale qui semplicemente del resto, ma indica il tempo messianico come tempo restante] affinch gli aventi donna come non
aventi siano e i piangenti come non piangenti ... Ma, per la stessa
ragione, il tempo messianico per eccellenza il tempo che abbiamo
(finch abbiamo il tempo [hos kair6n chomen] operiamo il bene:
Gal. 6, ro). Per due volte Paolo si serve dell'espressione ton kair6n
exagoraz6menoi, riscattando il tempo (E/. 5, 16 e Col. 4, 5), per
esprimere la condizione temporale della comunit messianica.
In genere kair6s e chronos vengono opposti come qualitativamente
eterogenei, il che senz'altro corretto. Ma
Kair6s e chronos decisiva qui non tanto o non solo l'opposizione, quanto la relazione fra i due. Che cosa
abbiamo, quando abbiamo il kair6s? La pi bella definizione del
kair6s che io conosca si trova nel Corpus Hippocraticum e lo caratterizza appunto in relazione al chronos. Essa dice: chronos esti en ho
kair6s kai kair6s esti en ho ou pollos chronos, il chronos ci in cui vi
kair6s e il kair6s ci in cui vi poco chronos. Osservate la
APOSTOLOS
straordinaria implicazione dei due concetti, che stanno letteralmente l'uno dentro l'altro. Il kair6s (tradurre semplicemente occasione sarebbe qui banalizzante) non dispone di un altro tempo, ci
che afferriamo quando afferriamo un kair6s non un altro tempo,
ma solo un chronos contratto e abbreviato. Il testo ippocratico continua con queste parole; la guarigione avviene a volte attraverso il
chronos, altre volte attraverso il kair6s . evidente che la guarigione messianica ha luogo nel kair6s; ma questo non altro che un
chronos afferrato. La perla incastonata nell'anello dell'occasione
solo una parcella di chronos, un tempo restante. (Di qui la pertinenza dell'apologo rabbinico secondo cui il mondo messianico non un
altro mondo, ma questo stesso mondo profano con un piccolo spostamento, un'infima differenza. Ma questa piccola differenza - che
risulta dal fatto che io ho afferrato la mia sconnessione rispetto al
tempo cronologico - in ogni senso decisiva).
APOSTOLOS
so, tuttavia lo afferra e porta dall'interno a compimento. La scomposizione paolina della presenza messianica assomiglia a quella contenuta nello straordinario theologumenon kafkiano, secondo cui il
messia non arriva il giorno della sua venuta, ma soltanto il giorno
dopo, non l'ultimo giorno, ma l'ultimissimo (er - il messia - wird erst
einen Tag nach seiner Ankunft kommen, er wird nicht am letzten Tag
kommen, sondem am allerletzten: Kafka, 67). Il messia gi arrivato, l'evento messianico gi compiuto, ma la sua presenza contiene
al suo interno un altro tempo, che ne distende la parousfa, non per
differirla, ma, al contrario, per renderla afferrabile. Per questo
ogni istante pu essere, nelle parole di Benjamin, la piccola porta
da cui entra il messia. Il messia fa gi sempre il suo tempo - cio,
insieme, fa suo il tempo e lo compie.
Sull'errore - oggi cosl diffuso - che consiste nello scambiare il
tempo operativo - il tempo che il tempo impiega per finire - per
un tempo supplementare, che si aggiunge indefinitamente al tempo, il commentario rabbinico noto come Genesis Rabbah contiene
delle riflessioni istruttive. Esse si riferiscono al sabato, che - nel
giudaismo, ma anche nei Padri della Chiesa - costituiva una sorta
di modello del tempo messianico e riguardano, in particolare, l'interpretazione di Gen. 2, 2: Dio ha compiuto nel settimo giorno il
lavoro che aveva fatto e nel settimo giorno ha cessato dal lavoro
che aveva fatto. La Settanta, per evitare questa paradossale coincidenza di compimento e interruzione, emenda la prima proposizione, scrivendo sesto giorno (ente hemra te ekte) invece di settimo, in modo che la cessazione dall'opera della creazione diventa un altro giorno (te hemra te hebd6me). Ma l'autore del Genesis
Rabbah commenta invece: L'uomo, che non conosce i tempi e i
momenti e le ore, prende qualcosa dal tempo profano e lo aggiunge
al tempo sacro; ma il Santo, benedetto sia il suo nome, che conosce i tempi e i momenti e le ore, entr nel sabato solo per un pelo
(Gen. Rabbah ro, 9). Il sabato - il tempo messianico - non un altro giorno, omogeneo agli altri: , piuttosto, nel tempo, l'intima
sconnessione attraverso cui si pu - per un pelo - afferrare il tempo, portarlo a compimento.
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~ questo il momento di evocare il tema del regno millenario - o dello Zwischenreich messianico - in Paolo. Secondo una conceRegno millenario zione che ha certamente origine giudaica, ma solide
radici anche nella tradizione cristiana, vi sar sulla
terra dopo la parousia e prima della fine del tempo un regno. messiai;ico eh.e
durer mille anni (di qui il termine chiliasmo). Anche se Eusebio - e, pi tardi,
Girolamo - accusavano Papia di aver messo in giro questa storiella ebraica,
l'idea presente, oltre che nell'Apocalissi e nello pseudo-Barnaba, anche in
Giustino in Tertulliano in Ireneo e, almeno fino a un certo punto, anche
' prima di riemergere
'
in Agostino,
con forza alla luce nel xrr seco1o con G'10acchino da Fiore.
Per quel che concerne Paolo, la questione si riduce essenzialmente a'.int~r
pretazione dir Cor. 15, 23-27 e I Tess. 4, 13-1~. ontr? l~ lettura chil_iastica
di questi passi Wilcke ha osservato che la baszleta Chrzstz doveva eqmvalere
per Paolo al n~ovo eone - dunque a una grandezza presente, distinta dal regno divino escatologico (Wilcke, 99) e che nell'escatologia paolina: non
c' posto per un interregno messianico sulla terra, ma questo sbocca ~ire~ta
mente senza stadi intermedi alla fine dei tempi nel regno eterno di Dio
(ibid., 156). Bultmann, da parte sua, ha scritto che la comunit cristiana primitiva cosciente di essere posta "tra i tempi", ossia di trovarsi alla fine del1' antico eone e all'inizio o almeno immediatamente prima dell'inizio del nuovo eone. Essa quindi comprende il suo presente come un singolarissimo
"tra". In r Cor. 15, 23-2 7 ci trova un'espressione particolarmente chiara.
La teoria rabbinica ritiene che tra il vecchio e il nuovo eone si pone il regno
messianico. Per Paolo questo regno il presente che si trova tra la resurrezio.
ne e la parusia (Bultmann, 691).
La giusta comprensione del problema del regno (c01i:e anc~e. del suo eq~iva
lente secolarizzato, il problema marxiano della fase di transiz10ne fra preis~o
ria e storia) dipende dal senso che si d a questo tra. Ci significa che le mterpretazioni millenaristiche hanno, insieme, t.ort? e ragione. Torto, s~ inten:
dono identificare letteralmente il regno messianico con un certo periodo di
tempo cronologico situato fra la parousia e la fine del tempo; ~agione, in quanto il tempo messianico in Paolo implica - come tempo operativo - una trasformazione attuale dell'esperienza del tempo, capace di interrompere qui e ora il
tempo profano. Il regno non coincide con nessuno degli istanti cron~logici,
ma sta fra di essi, distendendoli nella para-ousia. Questa la sua particolare
vicinanza, che corrisponde, in Paolo, come vedremo, alla .vicinan~a della
parola della fede. In questo senso importante che nel passo di Luca il regno
di Dio ent6s hymon (17, 21) entos hymon non significhi, secondo la traduzione comune, dentro di voi, ma a portata di mano, nell'ambito dell'azione possibile - cio, vicino (Riistow, 214-17).
APOSTOLOS
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Paolo definisce l'intima relazione del tempo messianico col tempo cronologico, cio col tempo che va dalla creazione alla resurrezione, attraverso due nozioni fondamentali. Typos
La prima quella di typos, figura, prefigurazione. Il passo decisivo r Cor. IO, 1-1 I. Paolo evoca qui corsivamente una serie di episodi della storia di Israele: Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube e tutti attraversarono il mare e tutti in Mos furono immersi nella nube e
nel mare e tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale e tutti bevvero
la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che ... era il messia. Ma nella maggioranza di loro Dio non si
compiacque, ed essi furono prostrati nel deserto. A questo punto
egli aggiunge: Queste cose avvennero come figure [typoi] di noi
perch non desiderassimo cose cattive, come anch'essi le desiderarono. E poche righe dopo egli riprende la stessa immagine: Queste cose avvennero a essi figuralmente [typicos] e furono scritte per
nostra istruzione, per noi, nei quali le estremit dei tempi stanno
l'una di fronte all'altra [ta tele ton aionon katnteken; antdo - da
anti - significa "stare faccia a faccia, fronteggiarsi"].
Auerbach ha mostrato l'importanza che questa concezione figurale (Girolamo traduce ty,poi in r Cor. IO, 6 con in figura) del
mondo assume nel Medioevo cristiano, in cui diventa il fondamento di una teoria generale dell'interpretazione allegorica. Attraverso
il concetto di typos, Paolo stabilisce una relazione - che possiamo
d'ora in poi chiamare tipologica - fra ogni evento del tempo passato e ho nyn kair6s, il tempo messianico. Cosl, in Rm. 5, 14 Adamo,
attraverso il quale il peccato entrato nel mondo, definito typos
tou mllontos, figura del futuro - cio del messia, attraverso il
quale la grazia abbonder per gli uomini. (In Eb. 9, 24, il tempio
costruito dagli uomini definito antitypos di quello celeste, il che
potrebbe implicare una relazione simmetrica rispetto al typos). Dal
punto di vista che qui c'interessa, decisivo non tanto il fatto che
ogni evento del passato - divenuto figura - annunci un evento futuro e trovi in esso il suo compimento, quanto la trasformazione
del tempo che la relazione tipologica implica. Non si tratta soltanto - secondo il paradigma che ha finito per prevalere nella cultura
medievale - di una corrispondenza biunivoca che lega ora typos e
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APOSTOLOS
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ton kairon, anakephalaiosasthai ta panta en to christo, ta epi tois ouranois kai ta epi tes ges en auto]. Questo versetto davvero carico di
significato fino a scoppiare, cosl carico che si pu dire che alcuni
testi fondamentali della cultura occidentale - la dottrina dell' apocatastasi in Origene e Leibniz, quella della ripresa in Kierkegaard,
l'eterno ritorno in Nietzsche e la ripetizione in Heidegger - non
siano che frammenti risultanti dalla sua esplosione.
Che cosa dice qui Paolo? Che il tempo messianico - in quanto in
esso ne va del compimento dei tempi (plroma ton kairon - dei kairoi e non dei chronoi! cfr. Gal. 4, 4: plroma tou chronou) - opera
una ricapitolazione, una sorta di abbreviazione per sommi capi, di
tutte le cose, tanto celesti che mondane - cio, di tutto quanto
avvenuto dalla creazione fino all' ora messianico, dell'integralit
del passato. Il tempo messianico , cio, una ricapitolazione sommaria - anche nel senso che l'aggettivo ha nell'espressione giuridica giudizio sommario - del passato.
Questa ricapitolazione del passato produce un plroma, un riempimento e un compimento dei kairoi (i kairoi messianici sono dunque letteralmente pieni di chronos, ma di un chronos sommario, abbreviato) che anticipa il plroma escatologico, quando Dio sar
tutto in tutti. Il plroma messianico , dunque, un'abbreviazione
e un'anticipazione del compimento escatologico. Non un caso
che ricapitolazione e plroma si trovino l'uno accanto all'altro:
lo stesso accostamento si ritrova in Rom. 13, 9-ro, dove Paolo dice
che, nel messianico, ogni comandamento (entol) si ricapitola
[anakephalaioutai] in questa frase: amerai il tuo prossimo come te
stesso, e aggiunge subito dopo: L'amore ... ilplroma della legge. Se la ricapitolazione paolina della legge contiene qualcosa in
pi del motto di Hillel a cui viene di solito ricondotta (al goj che gli
chiede di insegnargli tutta la Torah, Hillel dice: Ci che non ti
piace, non farlo nemmeno al tuo prossimo), perch essa non
semplicemente una massima pratica, ma indisgiungibile dal compimento messianico dei tempi, una ricapitolazione messianica.
Decisivo qui che il plroma dei kairoi sia inteso come la relazione di ogni istante col messia - ogni kair6s unmittelbar zu Gott - e
non - secondo il modello che Hegel lascer in eredit al marxismo come risultato finale di un processo. Come Ticonio aveva intuito
nel capitolo de recapitulatione delle sue Regulae, ogni tempo l'ora
messianico (totum illud tempus diem ve! horam esse) e il messianico
non la fine cronologica del tempo, ma il presente come esigenza
di compimento, come ci che si pone a titolo di fine (licet non in
eo tempo re finis, in eo tamen titulo futurum est) (Ticonio, l lo).
In questo senso, la ricapitolazione non che l'altra faccia della
relazione tipologica che il kair6s messianico istaura tra presente e
passato. Che non si tratti soltanto di una prefigurazione, ma di una
costellazione e quasi di un'unit tra i due tempi, implicito nell'idea che tutto il passato per cos dire contenuto sommariamente
nel presente, cos che la pretesa di un resto di porsi come tutto trova
qui un fondamento ulteriore. I tre che restano in r Cor. 13, 13
(ora restano queste tre cose: fede, speranza, amore) non sono
stati d'animo, ma i tre archi che tendono e compiono l'esperienza
messianica del tempo. Certamente in questione soltanto una ricapitolazione sommaria: Dio non ancora tutto in tutti come lo
sar nell' schaton (quando non vi sar pi ripetizione); ma essa
tanto pi decisiva, poich proprio attraverso la loro ricapitolazione messianica che gli eventi del passato acquistano il loro vero significato e diventano, per cos dire, atti a essere salvati (E/. l, 3-14,
di cui il versetto fa parte, interamente dedicato all'esposizione
dell' annuncio della salvezza, euagglion tes soterias).
Avviene qui come nella visione panoramica che si dice i morenti
abbiano della propria vita, in cui in un
Memoria e salvezza istante vedono sfilare davanti ai propri
occhi in una vertiginosa abbreviazione la
loro intera esistenza. Come in questo caso, anche nella ricapitolazione messianica in questione qualcosa come una memoria - ma
si tratta di una memoria particolare, che ha a che fare unicamente
con l'economia della salvezza (ma non si pu dire questo di ogni
memoria?) La memoria appare qui come una propedeutica e un' anticipazione della salvezza. E come soltanto nel ricordo il passato,
liberandosi dalla remota estraneit del vissuto, diventa per la prima volta il mio passato, cos, nell' economia della pienezza dei
APOSTOLOS
77
tempi, gli uomini si appropriano della loro storia e ci che un tempo era avvenuto agli Ebrei viene riconosciuto come figura e realt
della comunit messianica. E come, nel ricordo, il passato ridiventa in qualche modo possibile - ci che era compiuto si fa incompiuto e l'incompiuto compiuto-, cos, nella ricapitolazione messianica, gli uomini si preparano a prendere per sempre congedo da esso
nell'eternit, che non conosce passato n ripetizione.
Per questo la rappresentazione comune che vede il tempo messianico come orientato unicamente verso il futuro falsa. Siamo abituati a sentirci ripetere che nel momento della salvezza al futuro e
all'eterno che bisogna guardare. Ricapitolazione, anakephalaiosis, significa per Paolo, al contrario, che ho nyn kair6s una contrazione di
passato e presente, che, nell'istanza decisiva, innanzi tutto col passato che dobbiamo regolare i conti. Ci non significa, ovviamente,
attaccamento o nostalgia: al contrario, la ricapitolazione del passato
anche un giudizio sommario pronunciato su di esso.
Questo duplice orientamento del tempo messianico permette anche di comprendere la singolare formula attraverso la quale Paolo esprime la sua tensione
messianica: epektein6menos. Dopo aver evocato il suo passato di fariseo e di
ebreo secondo la carne, egli scrive: Fratelli, io non ritengo di aver afferrato me
stesso; una cosa per: da una parte le cose di dietro dimenticando, dall'altra verso le cose davanti epektein6menos (Fil. 3, 13). Le due preposizioni contrarie epi
(su) ed ek (da) premesse a un verbo che significa essere teso, esprimono
il doppio movimento del gesto paolino: la tensione verso ci che sta davanti pu
prodursi solo su e a partire da ci che sta dietro: dimenticando il passato, su di
esso e solo a partire da esso tendendo al futuro. Per questo, preso in questa
doppia tensione, Paolo non pu n afferrarsi n essere compiuto - pu soltanto
afferrare il proprio essere afferrato: Non che io abbia afferrato o sia compiuto,
ma cerco di afferrare, in quanto sono stato afferrato dal messia. (ibid., 3, 12)
La rima - che nella lirica classica compare solo in modo occasionale - si sviluppa nella poesia latina cristiana a partire dal IV secolo
fino a diventare poi nella lirica romanza un principio costruttivo
essenziale. Nella variet delle forme metriche romanze, sceglier
una forma particolare, la sestina, che esemplificheremo nel suo archetipo prestigioso, la sestina Lo ferm volerqu'el cor m'intra di Arnaut Daniel. Prima di cominciarne la lettura, un'osservazione che
concerne la struttura temporale della poesia lirica in generale, soprattutto quando si incarna in una forma metrica data: il sonetto,
la canzone, la sestina ecc. Una poesia , in questo senso, qualcosa
di cui si sa fin dall'inizio che finir, che si concluder necessariamente a un certo punto - 14 versi se si tratta di un sonetto - con
qualche possibile ritardo, tre versi, nel caso che il sonetto abbia,
come si dice, una coda.
Il poema , dunque, un organismo o un congegno temporale teso, fin dall'inizio, verso la propria fine - vi , per cosl dire, un'escatologia interna al poema. Ma, per il tempo pi o meno breve che
esso dura, il poema ha una temporalit specifica e inconfondibile,
ha il suo proprio tempo. Ed qui che la rima - nel caso della sestina
la parola-rima - entra in gioco.
La sestina ha, infatti, questo di particolare, che, in essa, l'istituto
della rima si modifica nel senso che, al ritorno regolare delle omofonie nelle sillabe finali, si sostituisce la ricomparsa - secondo un ordine complicato, ma altrettanto regolare - delle sei parole-rima che
concludono ciascun verso delle sei strofe. E, alla fine, una tornada
ricapitola le parole-rima combinandole all'interno di tre versi.
Leggiamone l'esemplare:
Lo /erm voler qu 'el cor m 'in tra
nom pot ges becs escoissendre ni ongla
de lauzengier qui pert per mal dir s'arma;
e pus no l'aus batr'ab ramni ab verja,
sivals a frau, lai on non aurai oncle,
jauzirai joi, en vergier o dins cambra.
Quan mi sove de la cambra
on a mon dan sai que nulhs om non intra
- ans me son tug plus que fra ire ni oncle non ai membre nom fremisca, neis l'ongla,
aissi cum fai l'enfas devant la verja:
tal paor ai no! sia prop de l'arma.
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APOSTOLOS
L'ordine che governa la ripetizione delle rime , come potete vedere, la cosiddetta retrogradatio cruciata, un'alternanza d'inversione e progressione, per cui l'ultima parola-rima di una strofe diventa la prima della successiva, la prima slitta a seconda, la penultima
al terzo posto e la seconda al quarto ecc., in modo che se il movimento continuasse oltre le sei strofe, la settima ripeterebbe lo stesso ordine della prima. Non , per, tanto l'intrigo numerologico
che - almeno per ora - c'interessa, quanto la struttura temporale che,
in questo modo, la sestina mette in opera. Poich la sequenza dei
trentanove versi (36 + 3), che potrebbe idealmente disporsi secondo una successione perfettamente omologa al tempo cronologico lineare, viene, invece, scandita e animata attraverso l'alterno gioco
delle parole-rima, in modo che ognuna di esse riprende e ricorda
un'altra parola-rima (o, meglio, se stessa come altra) nelle strofe precedenti e, insieme, annuncia la sua propria ripetizione nelle succes-
So
APOSTOLOS
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82
APOSTOLOS
kai oi klaiontes
hOs me klaiontes,
kai oi chairontes
hos me chairontes,
kai oi agordzontes
hOs me katchontes,
kai oi chromenoi ton kosmon
hOs me katachromenoi
Ma c' di pi. Gli studiosi della poesia latina cristiana hanno notato che essa organizza il suo rapporto con la Sacra Scrittura secondo
una struttura tipologica. A volte, come nel caso del distico epanalettico in Sedulio e in Rabano Mauro, questa struttura tipologica si
traduce in una struttura metrica, in cui typos e antftypos si corrispondono attraverso il parallelismo fra due emistichi (la prima
met del verso A corrisponde alla seconda met del verso B).
A questo punto avrete compreso l'ipotesi che intendo suggerire,
anche se essa dovrebbe essere intesa piuttosto come un paradigma
epistemologico che come un'ipotesi storico-genetica: la rima nasce
nella poesia cristiana come transcodificazione metrico-linguistica
del tempo messianico, strutturato secondo il gioco paolino delle relazioni tipologiche e della ricapitolazione. Ma il testo stesso di Paolo - soprattutto se disposto, come certe edizioni fanno, per stichoi,
cio per unit sintagmatiche non troppo diverse dai cola e dai commata della retorica classica - si rivela integralmente animato da un
gioco inaudito di rime interne, di allitterazioni e di parole-rima.
Norden nota che Paolo si serve tanto del parallelismo formale della
prosa d'arte greca che di quello semantico della prosa e della poesia
semitica; e gi Agostino, che pure leggeva Paolo in latino, si era accorto del suo uso della figura che i greci chiamano klimax e i latini
gradatio ... che si ha quando si connettono in modo alterno parole e
senso (Agostino, 266). Girolamo - che, come esegeta di Paolo
scadente e persino malevolo - come traduttore intende invece benissimo il valore di rima degli omoteleuti, che si sforza di mantene-
E nella Seconda lettera a Timoteo (4, 7-8), dove la vita stessa dell'apostolo, giunta alla sua fine, sembra rimare con se stessa (Girolamo
sembra avvertirlo, poich nella sua traduzione, moltiplica le rime:
Quinta giornata
s!
"
Nella terminologia di un autore, le gerarchie di carattere grammaticale non hanno rilevanza e una particella, un avverbio e
perfino un segno di interpunzione possono assumere il rango Eis
di terminus technicus non meno di un sostantivo. M. Puder
ha notato l'importanza strategica dell'avverbio gleichwohl, <<nondimeno, in Kant; con altrettanta ragione si potrebbe segnalare la funzione decisiva che in Heidegger hanno tanto l'avverbio schon, gi,
che il trattino in espressioni come In-der- Welt-sein o Da-sein: il trattino il pi dialettico dei segni di interpunzione, perch unisce solo
nella misura in cui separa.
Non sorprende quindi, che, in Paolo, la preposizione eis, che in
greco indica in generale il movimento verso qualcosa, possa acquisire un carattere terminologico. Egli se ne serve, infatti, per esprimere la natura della fede, in formule come pisteuein eis - o pistis eis christ6n Iesoun (che, attraverso la traduzione di Girolamo, diventeranno il nostro credere in, fede in). Ma poich analizzeremo
questo specifico uso paolino a proposito del successivo termine
euagglion, rimandiamo ad allora ogni ulteriore considerazione.
Euagglion (come l'ebraico besora - ma nella Bibbia e nella Settanta compaiono soprattutto le forme verbali bsr
ed euaggeltzesthai) significa la buona notizia, il Euagglion
lieto messaggio annunciato dallo eudggelos, il messaggero di gioia. Il termine indica tanto l'atto dell'annuncio, che il
suo contenuto. Per questo, in perfetta indistinzione tra i due sensi,
Paolo si serve per due volte nella Lettera ai Romani (2, r6; r6, 25)
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rabbinico e paragona il testo a una reggia piena di magnifiche stanze, in ognuna delle quali vi sono pi porte nascoste. Poich l' apostolo, componendo il suo scritto, entra da una porta ed esce, senza ~ar
si vedere, da un'altra (per unum aditum ingressus per alium egredt recita la cattiva traduzione di Rufino - purtroppo l'originale perduto: Origene 1993, 42), noi non riusciamo a intendere il testo e abbiamo l'impressione che, parlando della legge, egli cada in contraddizione. Un secolo dopo Ticonio - un personaggio estremamente
interessante, il cui Liber regularum molto di pi che il primo trattato sull'interpretazione delle Scritture-, proponendosi di apprestare
delle chiavi e lampade (Ticonio, 3) per aprire e illuminare i segreti della tradizione, dedicava la pi lunga delle sue regulae proprio alle aporie della trattazione paolina e ali' apparente contraddizione fra
promessa e legge che essa contiene.
.
.
I termini del problema sono noti. Tanto nella Lettera ai Romani
che nella Lettera ai Galati, Paolo contrappone epaggelfa e pistis da
una parte e nomos dall'altra. Si tratta per lui di situare fede, promessa e legge rispetto al problema decisivo del criterio della salvezza, secondo l'affermazione perentoria di Rm. 3, 20: dalle opere
della legge nessuna carne verr giustificata di fronte a Dio e 3,
28: riteniamo infatti che l'uomo giustificato dalla fede senza le
opere della legge. Paolo si spinge qui a formulazioni che suonano
fortemente antinomistiche, fino ad affermare che quanto la legge
dice ... lo dice affinch ogni bocca sia sigillata e tutto il mondo sia
colpevole davanti a Dio, e che la legge stata data non per la salvezza, ma per la conoscenza [epfgnosis, "conoscenza a posteriori"]
del peccato (Rm. 3, 19-20).
in questo senso che, subito dopo, la promessa viene contrapposta alla legge e - ancora pi chiaramente
nella Lettera ai Galati - Abramo viene gioca- Abramo e Mos
to per cos dire contro Mos. Non attrav~rso la legge tu' fatta ad Abramo e al suo seme la promessa di diventare eredi del mondo, ma attraverso la giustizia della fede
(Rm. 4, 13). La promessa fatta ad Abramo genealogi~ament~ anteriore alla legge mosaica, che - secondo la cronologia ebraica -
viene soltanto quattrocentotrenta anni dopo, e non pu pertanto revocarla. La legge, venuta quattrocentotrenta anni dopo, non invalida ~n pa~t? con~luso da Dio, rendendo cosi inoperante la promessa.
Se 1 e7edi!a veruss~ dalla legge, essa non sarebbe pi dalla promessa;
ma Dio diede grazia ad Abramo mediante la promessa. Perch allora
~ legge? Fu aggiunta a motivo delle trasgressioni, fino a che venisse
il seme a cui era stata fatta la promessa (Gal. 3, 17-18).
L' a~tago?~smo ~ra epaggelia-pistis e nomos sembra qui opporre
due prmdpi m ogru senso eterogenei. La questione non per cosi
semplice. Innanzi tutto Paolo - non certo soltanto per u~' acc~rtez
za strategica - tiene continuamente a ribadire la santit e la bont
della legge (la legge santa e il comandamento santo e giusto e
buono: Rm_. 7,, 12). In?ltre egli sembra neutralizzare in pi punti
la stessa antitesi per articolare un rapporto pi complicato fra promessa-fede e legge. Cosi, in Rm. 3, 31, egli smussa - anche se nella
forma di un'interrogazione retorica - il suo gesto antinomistico:
Rendiamo dunque inoperante la legge attraverso la fede? Non sia!
Anzi, teniamo ferma la legge. E in Gal. 3, 11-12, l'apostolo sem~ra escludere aporeticamente una soggezione gerarchica della legge
rispetto alla fede: Che nessuno attraverso la legge sia giustificato
presso D~o manif~sto, poich "il giusto vivr per fede". La legge
non pr~viene, per, dalla fede, ma "chi avr messo in pratica queste
ca.se, .vivr ~tt~averso di esse". La citazione incrociata di Ab. 2, 4
(il gi~~to v~;ra perfede) e Lev. 18, 5 (Dio dice a Mos: parla agli
Isra~ht~ e di l?ro ... Metterete in pratica la mia legge e i miei precetti eh eseguirete, e chi li avr messi in pratica, vivr attraverso di
essi~ su~gerisce qui ~on tanto un'opposizione o un rapporto di su?o~dmazion~ gerarchica t7a le~ge e fede, quanto una relazione pi
intima, quasi che, come Ticoruo aveva osservato, esse si implicassero e confermassero a vicenda (invicem firmant).
Cerchiamo di stringere pi da vicino nel testo paolino i termini di
questa aporia, su cui tanto si discusso. noto che nomos nel giudeo-greco della Settanta e di Paolo un termine generico che ha
molti significati. Paolo ha perci cura di precisare pi volte' il senso
in cui il nomos contrapposto ali' epaggelia e alla pistis: si tratta della
legge ~el suo ~spetto prescrittivo e normativo, che egli chiama nomos ton entolon, legge dei comandamenti (E/ 2, 15) - entol ,
nella Settanta, la. traduzione dell'ebraico miswa, precetto legale; ricordate le 613 mzswoth che ogni ebreo deve osservare! - o anche no-
mos ton ergon, legge delle opere (Rm. 3, 27-28), cio degli atti compiuti in esecuzione dei precetti. L'antitesi riguarda dunque epaggelia e
pistis da una parte, e, dall'altra, non semplicemente la Torah, ma il suo
aspetto normativo. Per questo Paolo, in un passo importante (ibid. 3, 27)
pu contrapporre al nomos ton ergon un nomos pfsteos, una legge della
fede: l'antinomia non concerne due principi irrelati e affatto eterogenei, ma un'opposizione interna allo stesso nomos -1' opposizione fra
un elemento normativo e un elemento promissivo. Vi , nella legge,
qualcosa che eccede costitutivamente la norma ed irriducibile a essa
- ed a questo eccesso e a questa dialettica interna alla legge che
Paolo si riferisce attraverso il binomio epaggelia (il cui correlato la
fede)/nomos (il cui correlato sono le opere). Nello stesso senso, in
I Cor. 9, 21, dopo aver detto di essersi fatto hos dnomos, come senza
legge, con coloro che sono senza legge (cio, i gojim), egli corregge
immediatamente questa affermazione precisando di non essere dnomos theou, fuori della legge di Dio, ma nnomos christou, nella legge del messia. La legge messianica la legge della fede, e non semplicemente la negazione della legge: ma ci non significa che si tratti
di sostituire nuovi precetti alle vecchie miswoth - si tratta piuttosto
di opporre una figura non normativa della legge a quella normativa.
Se questo vero, come dobbiamo intendere quest'aspetto non normativo della legge? E qual la relazione fra queste
due figure del nomos? Cominciamo col rispondere al- Katargefn
la seconda domanda. Innanzi tutto un'osservazione
di carattere lessicale. Per esprimere la relazione fra epaggelia-pistis e
nomos - e, pi in generale, fra il messianico e la legge - Paolo si serve
costantemente di un verbo, sul quale dovremo soffermarci per un
po', perch mi capitato di fare in proposito una scoperta per un filosofo quanto meno sorprendente. Si tratta del verbo katargo, un vero
termine-chiave del vocabolario messianico paolino (delle 27 occorrenze nel Nuovo Testamento, 26 sono nelle Lettere!) Katargo un composto di arg6s, che deriva a sua volta dall'aggettivo arg6s, che significa
inoperante, non-in-opera (a-ergos), inattivo. Il composto vale quindi rendo inoperante, disattivo, sospendo dall'efficacia (o, come
suggerisce il Thesaurus di Stefano, reddo aergon et ine/ficacem, facio
cessare ab opere suo, tallo, aboleo). Come gi osservato da Stefano, il
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di questo, l'incompiuto diventa compiuto e il compiuto incompiuto, cosl qui la potenza passa all'atto e raggiunge il suo telos non nella forma della forza e dell' ergon, ma in quella della asthneia, della
debolezza. Paolo formula questo principio di inversione messianica del rapporto potenza-atto nel celebre passo in cui, mentre chiede al Signore di liberarlo dalla spina confitta nella sua carne, si sente rispondere: la potenza si compie nella debolezza (dynamis en
astheneia teleitai) (2 Cor. r 2, 9) - ribadito nel versetto successivo:
quando sono debole, allora sono potente.
Come dobbiamo intendere il telos di una potenza che si realizza
nella debolezza? La filosofia greca conosceva il principio secondo cui privazione (stresis) e impotenza (ady- Asthneia
namia) sono comunque una specie di potenza (ogni
cosa potente o attraverso l'avere qualcosa oppure attraverso la privazione di questa stessa cosa: Met. ror9b 9-ro; ogni potenza impotenza rispetto allo stesso e secondo lo stesso, ibid., ro46a 32). Per
Paolo, la potenza messianica non si esaurisce nel suo ergon, ma resta
in esso potente nella forma della debolezza. La djnamis messianica ,
in questo senso, costitutivamente debole - ma proprio attraverso
la sua debolezza che pu esercitare i suoi effetti: Dio ha scelto le cose deboli del mondo per confondere le forti (I Cor. r, 27).
L'inversione messianica del rapporto potenza-atto ha anche un
altro aspetto. Come la potenza messianica si realizza e agisce nella
forma della debolezza, cosl essa ha effetto sulla sfera della legge e
delle sue opere non semplicemente negandole o annientandole, ma
dis-attivandole, rendendole inoperanti, non-pi-in-opera. Questo
il senso del verbo katargi5: come, nel nomos, la potenza della promessa stata trasposta in opere e in precetti obbligatori, cosl ora il
messianico rende queste opere in-operanti, le restituisce alla potenza nella forma dell'inoperosit e dell'ineffettivit. Il messianico
non la distruzione, ma la disattivazione e l'ineseguibilit della legge.
Solo in questa prospettiva sono comprensibili le affermazioni
paoline secondo cui il messia da una parte render inoperante
[katargse] ogni principato e ogni potest e potenza (I Cor. r 5, 24)
e, dall'altra, costituisce il telos della legge (Rm. ro, 4). Ci si
chiesti - in verit con poca intelligenza - se telos valga qui fine o
compimento. Solo in quanto il messia rende inoperoso il nomos,
lo fa uscire dall'opera e lo restituisce cosl alla potenza, egli pu ra p-
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presentarne il telos, insieme fine e compimento. possibile portare a compimento la legge, solo se essa stata prima restituita all'inoperosit della potenza. Com' detto nell'originalissima pericope
di 2 Cor. 3, 12-13, il messia telos tou katargoumnou, compimento di ci che stato dis-attivato, fatto uscire dall'atto - cio, insieme, disattivazione e compimento.
Di qui l'ambiguit del gesto di Rm. 3, 31, che costituisce la pietra d'inciampo di ogni lettura della critica paolina della legge:
Rendiamo dunque inoperante [katargoumen] la legge attraverso la
fede? Non sia! Anzi, teniamo ferma [histdnomen] la legge. Gi i
primi commentatori avevano notato che l'apostolo sembra qui contraddirsi (contraria sibi scribere: Origene 1993, 150): dopo aver dichiarato pi volte che il messianico rende inoperosa la legge, qui
sembra affermare il contrario. In verit proprio il significato del
s~o terminus technicus che si tratta qui per l'apostolo di precisare,
riportandolo al suo etimo. Ci che disattivato, fatto uscire dall' enrgeia, non , per questo, annullato, ma conservato e tenuto fermo per il suo compimento.
Vi un passo straordinario di Giovanni Crisostomo in cui egli
analizza questo doppio significato del katargein paolino. Quando
l' apost9lo usa questo verbo (per esempio nell'espressione gnosis katargethesetai: I Cor. l 3, 8), egli chiama in realt katdrgesis non la distruzione dell'essere (aphdnisis tes ousias), ma il progresso verso uno
stato migliore.
Questo significa il termine katargeitai, come egli ci spiega pi avanti. Affinch,
udendo questa parola, non si creda che si tratti di una distruzione totale, ma in
qualche modo di un accrescimento e di un dono verso il meglio, dopo aver detto
katargeitai egli aggiunge: in parte conosciamo e in parte profetiamo; ma quando
verr il compimento, allora ci che per parte katargethsai, cio non sar pi
parziale, ma compiuto ... Il rendere inoperante [katdrgesis] un compimento
[plrosis] e un'aggiunta verso il meglio [pros to meizon epidosis]. (Crisostomo, 104)
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(heben wir das Gesetz auff I durch den g!auben? Das sey /erne I sondern
wir richten das Gesetz auf/) che il verbo tedesco ha assunto quel doppio
significato, di cui il pensatore speculativo non pu che rallegrarsi (Hegel, 113). Un termine genuinamente messianico, che esprime
la trasformazione della legge per effetto della potenza della fede e del1' annuncio, diventa cos il termine chiave della dialettica. Che questa
sia - in questo senso - una secolarizzazione della teologia cristiana,
non una novit; ma che Hegel - non senza qualche ironia - abbia
applicato alla teologia un'arma che essa stessa conteneva - e che quest'arma fosse autenticamente messianica - non certo irrilevante.
(V Se la genealogia della Aufhebung qui proposta corretta, allora non soltanto il pensiero hegeliano, ma tutta la modernit - intendendo con questo
termine l'epoca che sta sotto il segno della Aufhebung dialettica - impegnata in un corpo a corpo ermeneutico col messianico, nel senso che tutti i suoi
concetti decisivi sono interpretazioni e secolarizzazioni pi o meno consapevoli di un tema messianico.
Nella Fenomenologia dello spirito, l'Aufhebung fa la sua comparsa a proposito
della dialettica della certezza sensibile e della sua espressione nel linguaggio attraverso il questo (diese) e l' ora (jetzt). Attraverso l' Aufhebung, Hegel non
fa che descrivere il movimento stesso del linguaggio, che ha la divina natura
di trasformare la certezza sensibile in un negativo e in un nulla, e poi di conservare questo nulla, trasformando il negativo in essere. Nel questo e
nell'ora, l'immediato , cio, sempre gi aufgehoben, tolto e conservato. In
quanto l' ora ha gi cessato di essere mentre viene proferito (o scritto), il tentativo di afferrare l'ora produce gi sempre un passato - un gewesen, che, come
tale, kein Wesen, un non-essere - ed questo non-essere che conservato nel
linguaggio e posto cos solo alla fine come ci che veramente . Il mistero eleusino della certezza sensibile, la cui esposizione apre la Fenomenologia dello spirito, non altro che l'esposizione della struttura della significazione linguistica
in generale. Nei termini della linguistica moderna, riferendosi al suo stesso
aver luogo attraverso gli indicatori dell'enunciazione questo e ora, il linguaggio produce come un passato e, insieme, differisce verso il futuro il sensibile che in esso si esprime e, in questo modo, sempre gi preso in una storia e
in un tempo. In ogni caso, presupposto della Aufhebung che ci che tolto
non sia completamente annullato, ma in qualche modo persista e, possa, cos,
essere conservato (Was sich aufhebt, wird dadurch nicht zu Nichts: ibid.).
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renziale, ha come funzione propria quella di opporsi alla semplice assenza di fonema. Il fondamento filosofico di questi concetti nell'ontologia aristotelica
della privazione. Aristotele (Met. 1004a 16) distingue infatti la privazione
(stresis) dalla semplice assenza (apousia), in quanto la privazione implica ancora
un rimando all'essere o alla forma di cui vi privazione, che si manifesta in
qualche modo attraverso la sua mancanza. Per questo Aristotele pu scrivere
che la privazione una specie di eidos, di forma).
Nel 1957 Lvy-Strauss ha svolto questi concetti nella sua teoria dell'eccedenza cos:itutiva del significante rispetto al significato. Secondo questa teoria,
la significazione originariamente in eccesso rispetto ai significati che possono riempirla, e questo scarto si traduce nell'esistenza di significanti liberi o
fluttuanti, in se stessi vuoti di senso, la cui unica funzione di esprimere lo
scarto ~ra significante e significato. Si tratta, cio, di non-segni, o di segni in
stato di dsceuvrement e di Aufhebung, con valore simbolico zero, che esprimono semplicemente la necessit di un contenuto simbolico supplementare(Lvy-Strauss, L) e che si oppongono all'assenza di significazione, senza
comportare per questo alcun significato particolare.
A partire dalla Voce e il fenomeno e dalla Grammatologia (1967), Derrida ha
restituito cittadinanza filosofica a questi concetti, mettendoli in connessione
con l' Au/hebung hegeliana e svolgendoli in una vera e propria ontologia della
traccia e del supplemento originario. Attraverso un'attenta decostruzione
della fenomenologia husserliana, Derrida critica il primato della presenza
nella tradizione metafisica e mostra che in essa si insinuano gi sempre la
non-presenza e la significazione. In questo orizzonte, egli introduce il concetto di un supplemento originario, che non si aggiunge a qualcosa, ma viene a supplire a una mancanza e a una non-presenza originarie, a loro volta
sempre gi prese in un significare. Ci che vorremmo dare a pensare, che il
per-s della presenza a s ifiir sich), tradizionalmente determinata nella sua dimensione dativa, come autodonazione fenomenologica, riflessiva o preriflessiva, sorge nel movimento della supplementarit come sostituzione originaria, nella forma di un "al posto di" ifiir etwas), cio, come abbiamo visto, nell'operazione stessa della significazione in generale (Derrida 1972, 98). Il
concetto di traccia nomina questa impossibilit per un segno di estinguersi
nella pienezza di un presente e di una presenza assoluta. La traccia dev'essere
pensata, in questo senso, come prima dell'ente, la cosa stessa gi sempre
come segno e repraesentamen, il significato gi sempre in posizione di significante. Non vi nostalgia dell'origine, perch l'origine non c', prodotta come effetto retroattivo da una non-origine e da una traccia, che diviene cosi
l'origine dell'origine. Questi concetti (anzi, questi non-concetti, o, come
Derrida preferisce dire, questi indecidibili) mettono in questione il primato della presenza e del significato nella tradizione filosofica, ma, in verit,
non quello della significazione in generale. Radicalizzando la nozione di
stresis e di grado zero, essi presuppongono non soltanto l'esclusione della
presenza, ma anche l'impossibilit di un'estinzione del segno. Essi presuppongono, cio, che vi sia ancora significazione al di l della presenza e dell'assenza, che la non-presenza in qualche modo ancora significhi, sia, in questo
senso, un' architraccia, un sorta di arcifonema tra presenza e assenza. Se
tt?F
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Il caso d'eccezione rende palese nel modo pi chiaro l'essenza dell'autorit statale. Qui la decisione si distingue dalla norma giuridica e (per formulare un paradosso) l'autorit dimostra di non aver bisogno del diritto per creare diritto ...
~' ecce~ione pi interessante del caso normale. Quest'ultimo non prova nulla,
1 eccezione prova tutto; non solo esso conferma la regola: la regola stessa vive
solo dell'eccezione. (Schmitt 1921, 41)
IOO
zione, la legge, in quanto coincide puramente e semplicemente colla realt, assolutamente ineseguibile, che l'ineseguibilit la figura originaria della norma.
3) Corollario di questa ineseguibilit d~lla norma . che, nello st~,
to di eccezione, la legge assolutamente mformulabtle, non ha pm
- o non ha ancora - la forma di una prescrizione o di un divieto.
L'informulabilit va qui intesa alla lettera. Si consideri lo stato di
eccezione nella sua forma pi estrema: quello istaurato in Germania
dal Decreto per la protezione del popolo e dello Stato del 28 febbraio
1933, cio all'indomani della conquista del potere da parte del Partito nazista. Esso recita semplicemente: Gli articoli l 14, l 15, u7,
l l 8, l 2 3, l 24 e l 5 3 della Costituzione del Reich sono sospesi fino a
nuovo ordine (di fatto, il decreto rimase in vigore per tutta la durata del regime nazista). Questo laconico enunciato non ordina n
vieta nulla - ma, attraverso la semplice sospensione degli articoli
della Costituzione concernenti le libert personali, rende impossibile sapere e dire che cosa sia lecito e che cosa illecito. I campi dico~
centramento, in cui tutto diventa possibile, nascono nello spazio
aperto da questa informulabilit della legge. Ci significa che, nello
stato di eccezione, la legge non si configura come una nuova normazione, che enuncia nuovi divieti e nuovi obblighi: essa agisce,
piuttosto, unicamente attraverso la sua informulabilit.
Confrontiamo ora questa triplice declinazione della legge nello
stato di eccezione con lo stato della legge nell'orizzonte della
katdrgesis messianica.
.
Quanto al primo punto (indistinguibilit di un dentro e di un
fuori della legge): nel messianico - lo abbiamo visto - la distinzione fra Ebrei e non-Ebrei, coloro che sono nella legge e coloro che ne
sono fuori, non pu pi funzionare. Questo non significa che Paolo estenda semplicemente ai non-Ebrei l'applicazione della legge:
piuttosto egli rende indiscernibili Ebrei e non-Ebrei, il fuori e il
dentro della legge attraverso l'introduzione di un resto. Questo resto - i non non-Ebrei - non propriamente n dentro n fuori legge, n nnomos n dnomos (secondo la definizione che Paolo applica a se stesso in I Cor. 9, 2 l): esso la cifra della disattivazione
messianica della legge, della sua katdrgesis. Il resto un'eccezione
spinta all'estremo, portata alla sua formulazion~ p~radossale. ~e~a
condizione messianica del credente, Paolo radicalizza la condiz10-
IOI
ne dello stato di eccezione, in cui la legge si applica disapplicandosi, non conosce pi n un dentro n un fuori. Alla legge che si applica disapplicandosi, corrisponde ora un gesto - la fede - che la
ren,_de inoperosa e la porta al suo compimento.
E questa paradossale figura della legge nello stato di eccezione
messianico, che Paolo chiama nomos pisteos, legge della fede
(Rm. 3, 27), perch essa non si definisce pi attraverso le opere, l'esecuzione delle miswoth, ma come manifestazione di una giustizia
senza legge (dikaiosyne choris nomou: ibid. 3, 21), il che equivale
press'a poco - se si considera che nel giudaismo giusto per eccellenza colui che osserva la legge - a osservanza della legge senza legge. Per questo Paolo pu dire che la legge della fede l' esclusione - la sospensione! - (exekleisthe: ibid. 3, 27) della legge delle
opere. L'aporia dialettica che Paolo formula in questo contesto, affermando che la fede , insieme, disattivazione (katargein) e conservazione (histdnein) della legge, non che l'espressione coerente di
questo paradosso. Una giustizia senza legge non la negazione, ma
la realizzazione e il compimento - ilplroma - della legge.
Quanto alle due declinazioni ulteriori dello stato di eccezione
- l'ineseguibilit e l'informulabilit della legge - esse compaiono in
Paolo come conseguenze necessarie dell'esclusione delle opere attuata dalla legge della fede. Tutta la critica del nomos in Rm. 3, 9-20
non che la ferma enunciazione di un vero e proprio principio
messianico di ineseguibilit della legge: Non vi un giusto, nemmeno uno . . . Sappiamo che quanto la legge dice a coloro che sono
sotto la legge, lo dice affinch ogni bocca sia sigillata e tutto il
mondo sia colpevole di fronte a Dio; perci dalle opere della legge
nessuna carne sar giustificata di fronte a Dio. La singolare
espressione che Paolo usa nel v. 12: tutti echreothesan - che Girolamo traduce inutiles /acti sunt - significa alla lettera (a-chrei6o)
sono stati resi incapaci di usare ed esprime perfettamente l'impossibilit di uso, cio l'ineseguibilit che caratterizza la legge nel
tempo messianico e che solo la fede pu sciogliere nuovamente in
chresis, in uso. E la celebre descrizione della divisione del soggetto
in Rm. 7, 15-19 (io non so quello che faccio ... poich non faccio
quello che voglio ... ma quello che non voglio faccio) presenta con
altrettanta chiarezza la condizione angosciosa dell'uomo di fronte
a una legge che diventata per lui assolutamente ineseguibile e, co-
102
Dobbiamo confrontarci a questo punto con il celebre quanto enigmatico passo sul katchOn in 2 Tess. 2,
Il mistero dell'anomia 3-9. Paolo - che sta parlando della parousfa del messia - mette qui in guardia
i Tessalonicesi contro il turbamento che pu causare l'annuncio
della sua imminenza:
Nessuno vi inganni in alcun modo: se prima non venga l'apostasia e sia rivelato
l'uomo dell'anomia, il figlio della distruzione, colui che sta co.ntro e s'innalza ~u
tutto ci che si dice Dio od oggetto di culto, fino a sedere egli stesso nel tempio
di Dio mostrando se stesso come Dio. Non ricordate che, quand'ero ancora
tra di ~oi, vi dicevo queste cose? E ora conoscete ci che trattiene [to katchon],
affinch sia rivelato nel suo tempo. Infatti il mistero dell'anomia gi in atto,
103
solo colui che trattiene [ho katchon], finch ora sia tolto di mezzo. E allora sar
svelato l' dnomos, che il signore abolir col soffio della sua bocca e render inoperante con l'apparizione della sua presenza l"parousia]. La presenza l"parousia] di
quello secondo l'essere in atto di Satana in ogni potenza.
pretazione di 2 Tess. 2. Il fatto , per, che il passo paolino, malgrado la sua oscurit, non contiene alcuna valutazione positiva del
katchon. Esso , anzi, ci che deve essere tolto di mezzo perch il
mistero dell'anomia sia pienamente rivelato. Decisiva , dunque, l'interpretazione dei vv. 7-9:
Infatti il mistero dell'anomia gi in atto [energeitai], solo colui che trattiene,
finch ora sia tolto di mezzo. E allora sar rivelato il senza legge [dnomos],
che il signore abolir col soffio della sua bocca e render inoperante [katargsei] con l'apparizione della sua presenza fparousia]. La presenza fparousia]
di quello secondo lessere in atto di Satana in ogni potenza [kat' enrgeian
tau satana en pase dyndmez].
105
non pu servire a
T Pu essere utile interrogare, in questa prospettiva, il rapporto di Nietzsche con questo passo paolino. Ci si chiesti di rado come
mai egli abbia intitolato L'anticristo la sua dichiarazione di Anticristo
guerra al cristianesimo e a Paolo. Eppure, nella tradizione
cristiana, lanticristo precisamente la figura che segna la fine dei tempi e il
trionfo del Cristo su ogni potere - compreso su quella del tutto ammirabile
opera d'arte in grande stile che, , per Nietzsche, l'Impero romano. Non si
pu certo credere seriamente che egli ignorasse che I' uomo dell'anomia
- con cui egli in ultima analisi s'identificherebbe come anticristo - fosse
un'invenzione paolina. Il gesto - con cui egli sigla la sua dichiarazione di
guerra contro il cristianesimo col nome di una figura che appartiene interamente a quella tradizione e ha in essa una precisa funzione - non pu quindi
non contenere qualcosa come un'intenzione parodica. L'anticristo , cio,
una parodia messianica, in cui Nietzsche, vestendo i panni dell'antimessia,
non fa che recitare fino in fondo un copione scritto da Paolo. Si capisce, allora, perch il libro si presenti gi nel sottotitolo come una maledizione e si
concluda con l'emanazione di una legge con pretese messianiche (data nel
giorno della salvezza), che essa stessa soltanto una maledizione della storia sacra. Non solo l'idea di un'equiparazione fra legge e maledizione genuinamente paolina (Gal. 3, 13: il messia ci riscatt dalla maledizione della
legge [ek tes katdras tau nomou]), ma che l'uomo dell'anomia non possa
far altro che promulgare una tale legge-maledizione una lettura lucidamente
ironica del katchon di 2 Tess. 2, 6-7.
Sesta giornata
sthai, prestare un giuramento, o pistd dounai kai kzmbdnein, scambiarsi un giuramento. In Omero, pistd, fidati, per eccellenza sono gli horkia, i giuramenti. Nella Grecia arcaica, horkos designa insieme il giuramento e l'oggetto che si teneva in mano pronunciandolo; questo oggetto aveva il potere di far morire lo spergiuro (detto
epiorkos) e costituiva, in questo modo, la miglior garanzia dell'adempimento. Anche gli dei, che giuravano sull'acqua dello Stige, non
sfuggivano a questo terribile potere dell' horkos: l'immortale che pronunciava uno spergiuro, giaceva al suolo come morto per un anno ed
era poi escluso per altri nove anni dalla presenza degli altri dei. Il
giuramento appartiene, cio, a quella sfera pi arcaica del diritto,
che gli studiosi francesi chiamano pr-droit, prediritto, in cui magia,
religione e diritto sono assolutamente indiscernibili (si potrebbe, anzi, definire magia precisamente l'indistinzione di religione e diritto). Ma questo significa, allora, che la pistis - che fin dall'origine
strettamente legata al giuramento e che solo pi tardi comincia ad assumere il significato pi tecnico-giuridico di garanzia e credito
- proviene da questo stesso oscuro fondo preistorico e che Paolo,
contrapponendo la pistis alla legge, non introduce, contro la vetust
del nomos, un elemento nuovo e pi luminoso, ma fa giocare piuttosto un elemento del prediritto contro l'altro - o, quanto meno, cerca
di districare l'uno dall'altro due elementi che si presentano in origine strettamente intrecciati.
merito di un grande linguista sefardita - forse il pi grande linguista del nostro secolo, mile Benveniste - aver ricostruito, a partire da dati puramente linguistici, i lineamenti originari di quell'antichissima istituzione indoeuropea che i Greci chiamavano pistis e i
Latinifides, e che egli definiscefidlit personnelle, fedelt personale. La fede il credito di cui si gode presso qualcuno, in conseguenza del fatto che abbiamo messo in lui la nostra fiducia, gli abbiamo consegnato qualcosa come un pegno con cui ci leghiamo a lui in
un rapporto di fedelt. Per questo la fede tanto la fiducia che accordiamo a qualcuno - la fede che diamo - che la fiducia di cui godiamo presso qualcuno - la fede, il credito che abbiamo. Il vecchio problema dei due significati simmetrici del termine fede, attivo e passivo, oggettivo e soggettivo, garanzia (data) e fiducia ispirata,
su cui aveva gi richiamato l'attenzione Eduard Frankel in un celebre articolo, si spiega, in questa prospettiva, senza difficolt:
ro8
Colui che detiene lafides messa in lui da un uomo tiene quest'uomo in suo potere. Per questo fides diventa quasi sinonimo di dicio e potestas. Nella loro
forma primitiva, queste relazioni implicano una qualche reciprocit: mettere
la propria/ides in qualcuno procurava, in cambio, la sua garanzia e il suo aiuto. Ma proprio questo fatto sottolinea la disuguaglianza delle condizioni. Si
tratta di un'autorit che viene esercitata insieme a una protezione su colui
che si sottomette, in contraccambio della sua sottomissione e nella stessa misura di questa. (Benveniste 1969, 118-19)
Nello stesso senso, diventa facilmente comprensibile il forte legame tra i due termini latinifides e credere, che sar cosl importante
in ambito cristiano: credo significa letteralmente, secondo Benveniste, dare il *kred, cio porre la potenza magica in un essere da
cui ci si aspetta protezione, e, quindi, credere in lui. E poich il
vecchio nome-radice *kred era scomparso in latino,fides, che esprimeva una nozione molto simile, ne ha preso il posto come sostantivo corrispondente a credo.
Nella sua ricostruzione della fedelt personale, Benveniste menziona appena l'aspetto per cosl dire politico
Deditio in fidem di quest'istituto - su cui ha richiamato l'attenzione Salvatore Calderone-, che non concerne tanto i singoli, quanto le citt e i popoli. In una guerra, la
citt nemica poteva essere vinta e distrutta con la forza (katd kratos) e i suoi abitanti uccisi o ridotti in schiavit. Ma poteva anche
avvenire, invece, che la citt pi debole ricorresse all'istituto della
deditio in /idem, cio capitolasse, consegnandosi incondizionatamente nelle mani del nemico, ma impegnando cosl in qualche modo il vincitore a un contegno pi benevolo (Calderone, 38-41). La
citt poteva in tal caso essere risparmiata e ai suoi abitanti concessa la libert personale, anche se non piena: essi formavano un gruppo speciale, quello, appunto, dei dediticii, di coloro che si sono
dati, una sorta di apolidi - e occorrer, forse, ricordarsi di questo
gruppo particolare di non-schiavi, ma non pienamente liberi, quando si pensa allo statuto dei messianici secondo Paolo. Questo istituto era chiamato pistis dai Greci (dounai eis pistin, peithesthai) e/ides dai Romani (in fidem populi Romani venire o se tradere). Due osservazioni importanti a questo proposito. Innanzi tutto ritroviamo
qui la stretta connessione e quasi la sinonimia tra fede e giuramen-
IIO
(Gn. 3 l, 44 sgg.). In entrambi i casi, la berit designa una sorta di alleanza giurata, in cui due parti si legano in un rapporto di reciproca
fedelt, e sembra quindi appartenere a quella stessa sfera del prediritto, che ali' origine del rapporto di fedelt personale ricostruito da Benveniste. Il sangue dell'alleanza (Ex. 24, 8 - ripreso in
Mt. 26, 28) che Mos sparge per met sull'altare (che rappresenta
Jahv) e per met sul popolo, non tanto un sacrificio, quanto la
sanzione dell'intima unione che il patto stabilisce tra i due contraenti. Per questo in ebraico si dice tagliare una berit esattamente come il greco dice horkia tmnein e il latino foedus ferire. Il
problema se la berit fra J ahv e Israele sia un patto teologico o giuridico perde ogni interesse, una volta che essa sia stata restituita alla sfera della fedelt personale e del prediritto, in cui, come abbiamo visto, queste distinzioni non sono possibili. (E non sarebbe,
credo, una cattiva definizione del giudaismo quella che lo definisse
come un'accanita riflessione sulla situazione paradossale che risulta dal voler stabilire rapporti giuridici con Dio).
Ora il termine ebraico emun significa appunto il contegno che
deve risultare dalla berit, e corrisponde in questo senso perfettamente al greco pistis. E, secondo la struttura simmetrica che definisce il rapporto di fedelt, emun tanto la fede degli uomini, che
quella diJahv - come in Deut. 7, 9, in cui (nel greco della Settanta) pist6s per eccellenza l'attributo di Dio: Riconoscete dunque
che il signore vostro Dio un Dio fedele fpist6s=ne eman], che
mantiene il suo patto [diathke=berit] e il suo favore [leos=hesed]
per mille generazioni con coloro che lo amano e osservano i suoi comandamenti. In questo passo, non solo il rapporto tra fede e patto, tra la pistis e il patto di fedelt personale concluso fra J ahv e
Israele evidente, ma anche l'altro concetto che Paolo oppone alla
legge e alle sue opere, charis, grazia, ha in qualche modo un suo
precursore nello hesed, la bont e il favore che Dio riserva ai suoi
fedeli (anche se la Settanta traduce di solito hesed con leos e riserva charis a hen).
Penso che sia chiaro, a questo punto, in che senso si possa dire
che, contrapponendo pistis e nomos, Paolo non pone semplicemente in contrasto due elementi eterogenei, ma fa giocare, per cos dire,
tra loro due figure o due piani o due elementi all'interno del diritto
- o, piuttosto, del prediritto. Quali sono questi due piani? Lo abbia-
III
II2
nella sfera del prediritto. Non si tratta di contrapporre due princlpi eterogenei e di escludere le opere in favore della fede, ma di affrontare l'aporia che risulta da quella rottura. Ci che viene ora
meno, insieme a quello fra religione e diritto, il nesso fra prestazione e controprestazione, esecuzione e comando, per cui da una
parte sta una legge santa e giusta e buona - divenuta, per, ineseguibile e incapace di produrre salvezza: la sfera del diritto in senso stretto - e, dall'altra, una fede che, pur dipendendo originariamente dal patto, capace di operare la salvezza senza legge. Fede e legge, unite nel prediritto in magica indifferenza, ora si scindono e lasciano emergere fra di esse lo spazio della gratuit. La fede - nella sfera della fedelt personale in cui ha la sua origine - implicava ovviamente il compimento degli atti di fedelt sanciti nel
giuramento. Ma ora appare un elemento del patto che eccede costitutivamente qualunque prestazione con cui si cerchi di soddisfarne
l'esigenza e introduce cos nella sfera della legge una dissimmetria
e una sconnessione. La promessa sopravanza qualunque pretesa
che su di essa si fonda, cos come la fede sorpassa qualunque obbliw go di controprestazione. La grazia questo eccesso, che - mentre
divide ogni volta i due elementi del prediritto e impedisce loro di
coincidere - nello stesso tempo non permette loro nemmeno di dividersi completamente. La charis - che risulta dalla frattura tra fede e obbligazione, tra religione e diritto - non identifica per a sua
volta una sfera sostanziale separata, ma pu mantenersi soltanto
attraverso una relazione antagonistica con essi - cio, come istanza, in essi, di un'esigenza messianica, senza la quale diritto e religione sono condannati alla lunga ad atrofizzarsi.
Di qui, in Paolo, il rapporto complesso fra la sfera della grazia e
quella della legge, che non giunge mai a una completa rottura, ma
vede, al contrario, la grazia presentarsi come compimento dell'istanza di giustizia della legge (Rm. 8, 4) e la legge come pedagogo verso il messianico (Gal. 3, 24), che ha il compito di mostrare
in modo iperbolico (kath'hyperboln) l'impossibilit della sua propria esecuzione, facendo apparire il peccato come tale (Rm. 7, l 3).
Resta che, in Paolo, il rapporto fra grazia e peccato, fra gratuit e
prestazione si definisce attraverso un eccesso costitutivo (perisseia): Il dono della grazia non come il peccato. Se, infatti, attraverso il peccato di uno solo, i molti morirono, molto di pi la grazia
rr3
di Dio e il dono nella grazia di un solo uomo, Ges messia, sovrabbond per i molti ... La legge sopraggiunse affinch abbondasse il
peccato. Ma dove il peccato ha abbondato, la grazia ha ecceduto
[hyperperisseusen] (ibid. 5, 15-21). In un passo la cui importanza
non stata, forse, sufficientemente osservata, la grazia sembra anzi definire una vera e propria sovranit (autdrkeia) del messianico rispetto alle opere della legge: Dio ama chi dona con gioia. Dio
pu far eccedere in voi ogni grazia, affinch, avendo in ogni cosa
assoluta sovranit [en panti pdntote pasan autdrkeian], eccediate rispetto a ogni opera buona (2 Cor. 9, 7-8). Autdrkeia, come dovrebbe essere ovvio, non significa qui una sufficiente disposizione
di beni, ma la capacit sovrana di compiere gratuitamente le buone
opere indipendentemente dalla legge. Non vi , in Paolo, propriamente qualcosa come un conflitto fra poteri, ma solo la loro
sconnessione, da cui emerge, sovrana, la charis.
L'origine giuridica - o pregiuridica - della nozione di fede e la
situazione della grazia nella frattura fra fede e
obbligazione permettono anche di compren- Le due alleanze
dere correttamente la dottrina paolina della
<<nuova alleanza e delle due diathkai. La legge mosaica - la
diathke normativa - preceduta dalla promessa fatta ad Abramo,
che le gerarchicamente superiore, in quanto la legge mosaica non
ha il potere di renderla inoperante - katargein (Gal. 3, q: la legge, venuta quattrocentotrenta anni dopo, non invalida un patto
concluso da Dio, rendendo cos inoperante la promessa). La legge
mosaica delle obbligazioni e delle opere - che in 2 Cor. 3, 14 definita la vecchia alleanza, palaia diathke - invece resa inoperante dal messia. La kain diathke (kain, nuova in ogni senso, non
semplicemente nea, pi recente) di cui Paolo parla ai Corinzi
(r Cor. l l, 25: questo calice la nuova alleanza nel mio sangue,
e 2 Cor. 3, 6: egli ci ha resi ministri di una nuova alleanza, non
della lettera, ma dello spirito) rappresenta il compimento della
profezia di Ger. 3 l, 3 l (Ecco verranno i giorni - dice il Signore in cui io concluder una nuova alleanza con la casa di Israele e con
la casa di Giuda) e, insieme, risale alla promessa fatta ad Abramo,
da cui trae la sua legittimit.
rr4
~ara ,
(kaine diatheke)
legge della fede
katargein
Agar
(palaid diathke)
Questa situazione aporetica della grazia nella frattura tra fede e legge
rende comprensibile come, nella storia della Chiesa, essa abbia potuto dar
luogo a quei conflitti, che emergono per la prima volta con forza nelle dispute
intorno al pelagianesimo, di cui documento il De natura et gratia di Agostino. Secondo Pelagio, attraverso la redenzione la grazia stata data una volta
per tutte alla natura umana, che la possiede come un bene inamissibile, imperdibile, in modo che essa supera gi sempre nel cristiano la possibilit e
l'attualit del peccato. La Chiesa sosterr invece il carattere amissibile della
II 5
grazia e la necessit di un intervento ulterio:e. per far fro~te alla sua p~rdita
attraverso il peccato. Ci equivale - se. b~n .s1 riflette - a re~ntrodurre di fronte alla grazia un tema schiettamente ?mrid1co, una s~rta di compr.?messo fra
charis e nomos: attraverso la trasgressione e la colpa, l_uomo perde inc:ssantemente quella grazia che era soltanto la controprestazione della fe?elt~ al. patto. Pi in generale, con la reintroduzione del nomos nea te_?logia cristiana,
la grazia finir col diventare un luogo altrettanto aporeti~o di ~u~nto la legg~
era stata nel giudaismo. Vi propriamente, nella dogmatica c~1stiana, un .universo kafkiano della grazia come vi , nel giudaismo, un universo kafkiano
della legge.
rr6
L'antitesi di Buber fra emun ebraica e pistis paolina non ha dunque alcun fondamento linguistico: come espresLa fede divisa sione dell'atteggiamento che nasce dal tagliare
un patto, esse sono sostanzialmente equivalenti, e non possibile distinguerle come l'aver fiducia e il ritenere per vero. Nella postfazione aggiunta alla nuova edizione di
Due tipi di fede, Flusser ha, per, individuato un altro senso della
distinzione proposta da Buber, che la considera come una scissione
della fede all'interno del cristianesimo. Nel cristianesimo conviverebbero, cio, secondo Flusser, due tipi di fede cos difficilmente
conciliabili da costituire qualcosa come un problema tragico, di
cui forse i cristiani cominciano a rendersi conto soltanto oggi (Buber, 241). La prima la fede di Ges, la religione del Ges storico,
professata da lui con le parole e con gli atti, e la seconda la fede in
Ges Cristo, maturata nella comunit cristiana dopo la crocifissione, che coincide con la costruzione della cristologia e con l'assumere come vero che Ges il figlio unigenito di Dio, fatto uomo e
morto per la redenzione dei nostri peccati.
Il primo a cogliere con chiarezza questa distinzione stato Lessing, in un frammento del 1780 intitolato La religione di Cristo:
La religione di Cristo e la religione cristiana sono due cose completamente diverse. Quella, la religione di Cristo, la religione che egli stesso riconobbe e
pratic come uomo ... Questa, la religione cristiana, la religione che assume
come vero l'essere egli stato pi che uomo, e in quanto tale lo eleva ad oggetto della propria venerazione. Come ambedue queste religioni, la religione di
Cristo e la religione cristiana, possano incentrarsi in Cristo come in un'unica
e medesima J?ersona,. ~ incomprensibile ... Quella, la religione di Cristo,
contenuta nei Vangeli m modo completamente diverso dalla religione cristiana. La religione di Cristo vi contenuta con le parole pi chiare e nette la religione cristiana invece in modo cosl incerto ed equivoco, che difficie trovare un solo passo al quale due uomini, da quando esiste il mondo, abbiano
collegato la medesima idea. (ibid., 246-47)
L'esattezza dell'osservazione di Lessing diventa ancora pi evidente se, come suggerisce Flusser, si osservano in questa prospettiva i testi che compongono il Nuovo Testamento, i Vangeli e gli Atti da una parte, e, dall'altra, le Lettere di Paolo, di Giovanni, di
Giacomo ecc. Se fossero state conservate solo queste ultime, le nostre informazioni sulla persona e sulla vita di Ges sarebbero estre-
rq
mamente frammentarie (Paolo non dice quasi nulla del Ges storico); se si fossero, invece, conservati soltanto i primi, sapremmo
ben poco di teologia cristiana e del dramma cristologico. Ci significa che solo dai Vangeli conosciamo la fede di Ges, mentre la fede in Cristo - cio qualcosa come una pistis nel senso di Buber - ci
nota solo dagli altri testi.
Coniugando le considerazioni di Lessing con la teoria di Buber,
Flusser coglie un'antinomia che certamente istruttiva per la comprensione del problema messianico e, soprattutto, della storia della
teologia cristiana. Tutto lo pseudoproblema della coscienza messianica di Ges nasce proprio per coprire lo iato che si apre fra
queste due fedi. In che cosa credeva Ges? La domanda ha qualcosa di grottesco, se la formuliamo in questo modo: che cosa poteva
significare per Ges credere in Ges Cristo? Nei Vangeli non troviamo risposte e il passo di Mr. 8, 29 - anche se non interpolato,
come affermano alcuni non senza buone ragioni - dice ben poco.
Ges chiede ai discepoli: Chi dite che io sia? Pietro rispose: tu sei
il messia [su ei ho christ6s]. Ed egli intim loro di non dire nulla di
quello. Lo stesso pu dirsi delle controversie cristologiche che
agitano la Chiesa nel III secolo e culminano a Nicea con l'intervento di Costantino, consigliato da quello che Overbeck definisce il
suo friseur, il suo parrucchiere personale, Eusebio di Cesarea. La
mediazione che viene qui elaborata e che porta alla formulazione
di quel simbolo niceno che ancora vi capiter talvolta di ripetere
(pisteuomen eis hena the6n .. ., crediamo in un solo Dio, padre onnipotente ... e in un solo signore Ges Cristo, generato unigenito
dal Padre ... ) un tentativo - pi o meno riuscito - di tenere insieme le due fedi di Buber e le due religioni di Lessing.
Ma come stanno le cose in Paolo? Si pu parlare anche per lui di
una scissione della fede nel senso che abbiamo visto? Non lo credo.
La fede di Paolo comincia con la resurrezione e Paolo non conosce
Ges secondo la carne, ma solo Ges messia. La separazione chiara
gi nel prescritto della lettera che stiamo commentando: riguardo
al suo figlio, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito figlio di Dio in potenza secondo lo spirito di santit a partire dalla resurrezione dei morti ... (Rm. l, 3-4). E in 2 Cor. 5, 16 si legge: se
anche avessimo (o: abbiamo) conosciuto il messia secondo la carne,
tuttavia ora non lo conosciamo pi. In modo del tutto coerente con
II8
la tradizione ebraica, in cui qualcosa come una vita del messia non
pu esistere (il messia - o, almeno, il suo nome - stato creato prima
della creazione del mondo), il contenuto essenziale della fede paolina
non la vita di Ges, ma Ges messia, crocifisso e risorto. Ma che
cosa significa: fede in Ges messia? In che modo la scissione tra la fede di Ges e la fede in Ges qui gi sempre superata?
119
I20
perch bella, bruna e tenera, in quanto ha questo o quell'attributo. Ogni dire decade dall'amore. Nel punto in cui mi rendo conto
che l'amata ha questa o quella qualit, questo o quel difetto - allora io sono irrevocabilmente uscito dall'amore, anche se, come purtroppo succede spesso, continuo a credere di amarla, avendo anzi
ora dei buoni motivi per farlo. L'amore non ha motivi - per questo, in _Paolo, ess~. stre~tamente connesso alla fede, per questo,
come si legge nell mno dir Cor. 13, 4-7: L'amore magnanimo
l'a~ore sa usare, non invidia, non si vanta, non si gonfia, non rom:
pe il suo contegno, non cerca le cose proprie, non si adira non calco!~ ~I male, non si rallegra per l'ingiustizia, congioisce invece la
ver1ta; tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
Qual , dunque, il mondo della fede? Un mondo che non fatto
di sostanza pi qualit, non un mondo in cui l'erba verde e il sole
caldo e I~ neve bianca. No, non un mondo di predicati, di esistenze e di essenze, ma un mondo di eventi indivisibili in cui io
non giudico e credo che la neve bianca e che il sole caldo ma sono trasportato e dislocato nell'esser-la-neve-bianca e nell'e~sere-il
sole-caldo. Un mondo, infine, in cui io non credo che Ges quel
certo uomo, il messia, figlio unigenito di Dio, generato ~ non
creato, consustanziale al padre - ma credo soltanto in Ges messia
sono .trascinato
. . e deportato in lui, in modo che non io vivo ' ma ii
messia vive m me.
Certo questa fede , in Paolo, innanzi tutto un'esperienza della parola, ed da questo fatto che occorre partila parola della fede re. La fede dall'ascolto, l'ascolto attraverso la parola del messia affermano catego.
.
ncan:ente i due densi sintagmi nominali di Rm. 10, 17. Nella prospettiva della fede, ascoltare una parola non significa costatare la verit di un certo contenuto semantico, ma nemmeno rinunciare semplice.m~nte a capire - com' implicito nella critica paolina della glossolalia m r Cor. 14. Ma qual allora il giusto rapporto colla parola
della fede, come parla la fede e che significa ascoltare la sua parola?
Paolo definisce lesperienza della parola della fede (to rema tes
pfsteos) in un passo importante, che converr leggere con attenzione (Rm. 10, 6-10):
I2I
La giustizia della fede parla cosi: non dire nel tuo cuore: chi salir al cielo?
Cio, per farne discendere il messia. Oppure: chi scender nell'abisso? Cio,
per far risalire il messia dai morti. Ma che cosa dice? Vicina a te la parola,
nella tua bocca e nel tuo cuore, questa la parola della fede [to rema tes pisteos] che annunciamo. Poich se professi [homologein, lett. dire la stessa cosa] nella tua bocca il signore Ges e credi nel tuo cuore che Dio lo resuscit
dai morti, sarai salvo. Col cuore infatti si crede per la giustizia, con la bocca
si professa per la salvezza.
I22
Da quando Austin, nel suo libro Come fare cose con le parole (1962),
ha definito la categoria del performativo essa
Performativo ha incontrato un favore crescente non soanto
tra i linguisti, ma anche tra i filosofi e i giuristi.
Il performativo un enunciato linguistico che non descrive uno
stato di cose, ma produce immediatamente un fatto reale. Il paradosso ~che la filosofia analitica compendia nella formula speech act,
atto linguistico) qui che il significato di un enunciato (per esempio, i sintagmi io giuro, io dichiaro, io prometto) coincide con una
realt che esso stesso a produrre attraverso il suo proferimento
(per questo il performativo non pu essere n vero n falso). Commentando le tesi di Austin, Benveniste distingueva il performativo
in senso proprio da altre categorie linguistiche con le quali il filosofo l'aveva confuso (l'imperativo apri la porta! o il segnale cane su un cancello) e osservava che l'enunciato performativo non
ha valore se non nelle circostanze che, autorizzandolo come atto,
ne garantiscono l'efficacia: Chiunque pu gridare sulla pubblica
r23
r24
IL TEMPO CHE RESTA
r25
tra, che Foucault lascia ininterrogata, e che precisamente la confessione di fede documentata dal passo di Paolo che stiamo commentando. Tra il performativo del giuramento e quello penitenziale, ilper/ormativum/idei definisce l'originale esperienza messianica
- cio cristiana - della parola.
Che relazione c' fra il per/ormativum /idei e il performativo sacramentale e penitenziale? Come in ogni
atto linguistico, anche per Paolo la parola Performativum fidei
della fede risale al di l della relazione denota tiva fra linguaggio e mondo verso un diverso e pi originale
statuto della parola; anche per Paolo I' homologia non fra le parole
e le cose, ma all'interno stesso del linguaggio, nella vicinanza della
bocca e del cuore. Ogni rivelazione sempre innanzi tutto rivelazione del linguaggio stesso, esperienza di un puro evento di parola
che eccede ogni significazione ed , tuttavia, animato da due opposte tensioni: la prima - che Paolo chiama nomos - cerca di colmarne l'eccedenza articolandola in precetti e contenuti semantici, la
seconda - che coincide con la pistis - volta, invece, a mantenerla
aperta al di l di ogni significato determinato. Corrispondentemente vi sono due modi di risalire al di l della relazione denotativa ver~o l'esperienza dell'evento di linguaggio: il primo, seguendo
il paradigma del giuramento, cerca di fondare in questa soltanto il
vincolo e l'obbligazione; per l'altro, invece, l'esperienza della pura
parola apre lo spazio della gratuit e dell'uso; questo esprime la libert del soggetto (la nostra libert che abbiamo nel messia:
Gal. 2, 4), il primo il suo assoggettamento a un sistema codificato
di norme e di articoli di fede. (Gi a partire dal rv secolo, nei simboli conciliari l'accento si sposta dal!' atto del!' homologein e dall' esperienza della vicinanza della parola, al contenuto dogmatico-assertorio della confessione). Come la storia della Chiesa - e non soltanto di questa, ma della societas humana nel suo complesso - mostra con chiarezza, la dialettica fra queste due esperienze della parola essenziale. Se, come fatalmente avviene e come sembra oggi
nuovamente avvenire, la seconda cade nell'ombra e solo la parola
del nomos vige assolutamente, se il performativum /idei interamente ricoperto dal per/ormativum sacramenti, allora la legge stessa
si irrigidisce e atrofizza e le relazioni fra gli uomini perdono ogni
grazia e ogni vitalit. La giuridicizzazione integrale dei rapporti
I26
L'interpretazione della parola della fede di Rm. 10, 9-10 nei termini di
una potenza che esiste in quanto potenza compare gi
La parola vicina nel commento di Origene. Nel De anima (417a, 21
sgg.) Aristotele distingueva due figure della potenza:
quella generica, secondo cui diciamo che un bambino pu diventare grammatico, fabbro o pilota, e quella effettiva (o secondo la exis), che compete a colui
che gi in atto tali cose. Nella prima, il passaggio all'atto implica esaurimento e distruzione della potenza, nella seconda, invece, si ha piuttosto conservazione (soteria) della potenza nell'atto e qualcosa come un darsi della potenza a se stessa (epidosis eis heauto). Applicando la distinzione aristotelica al testo paolino, Origene oppone la vicinanza meramente virtuale del verbo di
Dio a ciascun uomo a quella che esiste invece effettivamente (efficacia vel efficentia) in colui che confessa nella sua bocca la parola della fede: Cos anche
Cristo, che il verbo di Dio, secondo la semplice possibilit vicino a noi,
cio a ogni uomo, come il linguaggio vicino al bambino; ma secondo l'efficacia si dice essere in me ogni volta che io avr confessato nella mia bocca
Ges Cristo e avr creduto nel mio cuore che Dio lo ha resuscitato dai morti (Origene 1993, 204).
La parola della fede si presenta qui come esperienza effettiva di una pura potenza di dire che, come tale, non coincide con una proposizione denotativa
n col valore performativo di un enunciato, ma si d come assoluta vicinanza
della parola. Si comprende, allora, perch, in Paolo, la potenza messianica
abbia il suo telos nella debolezza. L'atto di una pura potenza di dire cometale, una parola che si mantiene sempre vicina a se stessa, non pu essere n
una parola significante, che enuncia opinioni vere sugli stati di cose, n un
performativo giuridico, che pone se stesso come un fatto. Non esiste un con-
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tenuto della fede, professare la parola della fede non vuol dire formulare proposizioni vere su Dio e sul mondo. Credere in Ges messia non significa credere qualcosa di lui, lgein ti katd tinos - e il tentativo dei concili di articolare
nei symbola un contenuto della fede pu soltanto valere, in questo senso, come una sublime ironia. Messianica e debole quella potenza di dire che,
mantenendosi vicina alla parola, eccede non soltanto ogni detto, ma anche
l'atto stesso di dire, lo stesso potere performativo del linguaggio. Essa quel
resto di potenza che non si esaurisce nell'atto, ma si conserva ogni volta e
permane in esso. Se questo resto di potenza , in tal senso, debole, se non
pu essere accumulato in un sapere o in un dogma n imporsi come diritto,
esso non , per, n passivo n inerte: al contrario, esso agisce precisamente
attraverso la sua debolezza rendendo inoperosa la parola della legge, decreando e deponendo gli stati di fatto o di diritto - diventando, cio, capace di
usarne liberamente. Il katargein e il chrsthai sono l'atto di una potenza che si
compie nella debolezza. Che questa potenza trovi, per, nella debolezza il
suo telos, significa che essa non resta semplicemente sospesa in un differimento infinito - piuttosto, rivolgendosi a se stessa, essa compie e disattiva lo
stesso eccesso del significare su ogni significato, spegne le lingue (r Cor. 13,
8) e, in questo modo, testimonia di ci che, inespresso e insignificante, resta
nell'uso per sempre vicino alla parola.
SOGLIA O TORNADA
Soglia o tornada
Ricorderete certamente, nella prima tesi sulla filosofia della storia di Benjamin, l'immagine del nano gobbo che se ne sta nascosto
sotto la scacchiera e, con le sue contromosse, assicura la vittoria al
pupazzo meccanico vestito da turco. Benjamin trae quest'immagine da un racconto di Poe; ma, trasponendola sul terreno della filosofia della storia, egli aggiunge che quel nano , in realt, la teologia, che oggi piccola e brutta e non deve in nessun caso lasciarsi
vedere e se il materialismo storico sapr prenderla al suo servizio,
allora esso vincer la partita storica coi suoi temibili avversari.
In questo modo, Benjamin ci invita a considerare il testo stesso
delle tesi come una scacchiera su cui si svolge una battaglia teorica
decisiva, che dobbiamo supporre, anche in questo caso, condotta
con l'aiuto di un teologo nascosto tra le righe. Chi questo teologo
gobbo, che l'autore ha saputo celare cosl bene nel testo delle tesi,
che nessuno riuscito finora a identificarlo? Ed possibile trovare
nelle tesi indizi e tracce che permettano di assegnare un nome a
quel che non deve in nessun caso lasciarsi vedere?
In uno degli appunti della sezione N del suo schedario (che contiene
note di teoria della conoscenza), Benjamin scrive:
Citazione questo lavoro deve sviluppare al massimo l'arte di
citare senza virgolette (Benjamin 1974-89, V, 572).
Come sapete, la citazione ha in Benjamin una funzione strategica.
Cosl come tra le generazioni passate e la nostra c' un appuntamento segreto, anche tra le scritture del passato e il presente vi un appuntamento del genere, e le citazioni sono, per cos dire, le mezzane
del loro incontro. Non sorprende, quindi, che esse debbano essere
129
discrete e sapere talvolta compiere in incognito il loro lavoro. Questo lavoro non tanto di conservazione, quanto di demolizione: la
citazione, si legge nel saggio su Kraus, chiama la parola per nome, la strappa dal contesto che distrugge; essa salva e punisce
nello stesso tempo (ibid., II, 363). Nel saggio Che cos' il teatro epico, Benjamin scrive: citare un testo significa interrompere il contesto a cui esso appartiene. Il teatro epico brechtiano, cui Benjamin si riferisce nel saggio, si propone di rendere citabili i gesti.
L'attore, egli aggiunge, dev'essere in grado di spazieggiare i
suoi gesti, come il tipografo fa con le lettere (ibid., 5 3 6).
Il verbo tedesco qui tradotto con spazieggiare sperren. Esso
designa la convenzione tipografica - non soltanto tedesca - di sostituire il corsivo con una spazieggiatura fra le lettere della parola
che per qualche ragione si vuole segnalare. Benjamin stesso - ogni
volta che usa la macchina da scrivere - si serve di questa convenzione. Da un punto di vista paleografico, si tratta del contrario delle abbreviazioni che i copisti usavano per certe parole ricorrenti
nel manoscritto, che per cosl dire non c'era bisogno di (o, se pensiamo ai nomina sacra di Traube, non si doveva) leggere: i termini
spazieggiati sono, per cosl dire, iperletti, letti due volte - e questa
doppia lettura poteva essere, come suggerisce Benjamin, quella palinsestica della citazione.
Se date ora un'occhiata allo Handexemplardelle tesi, vedrete che
gi nella seconda tesi Benjamin ricorre a questa convenzione. Nella
quarta riga dalla fine si legge: Dann ist uns wie jedem Geschlecht,
das vor uns war, eine s c h w a che messianische Kraft mitgegeben, A
noi, come a ogni generazione che ci ha preceduto, stata data una
de bo 1 e forza messianica. Perch debole spazieggiato? Che tipo di citabilit qui in questione? E perch la forza messianica, cui
Benjamin affida la redenzione del passato, debole?
Ebbene, io conosco un solo testo in cui si teorizza in modo esplicito la debolezza della forza messianica. Si tratta, come avrete capito, del passo di 2 Cor. 12, 9-10, che abbiamo commentato pi
volte, l dove Paolo, che ha chiesto al messia di liberarlo dalla sua
spina nella carne, si sente rispondere he gardjnamis en asthenefa teleftai, la potenza si compie nella debolezza. Perci, aggiunge
l'apostolo, mi compiaccio nelle debolezze, negli oltraggi, nelle necessit, nelle persecuzioni e nelle angustie per il messia; quando in-
130
Walter Benjamin, Handexemplar delle tesi Sul concetto della storia, tesi 2.
SOGLIA O TORNAVA
131
132
SOGLIA O TORNAVA
133
notare la corrispondenza letterale fra i due termini (il-di-ora-tempo). Tanto pi che, in tedesco, la storia recente del termine mostra
che esso ha, di solito, connotazione negativa e antimessianica: tanto
in Schopenhauer (Esso - il nostro tempo - chiama se stesso con un
nome che si dato da s, caratteristico quanto eufemistico: Jetztieit:
s, appunto, Jetztzeit, cio: si pensa solo all'ora e non si guarda al
tempo che viene e giudica: Schopenhauer, 213-14) che in Heidegger (chiamiamo Jetzt-Zeit il tempo mondano come appare nell'uso
dell'orologio che conta gli "ora" ... [nella Jetzt-Zeit] la temporalit
estatico-orizzontale coperta e livellata: Heidegger 1972, 421-22).
Benjamin rovescia questa connotazione negativa per restituire al
termine quello stesso carattere di paradigma del tempo messianico
che ho nyn kair6s ha in Paolo.
Ma torniamo al problema della ricapitolazione. L'ultima frase
della tesi - il tempo messianico come un'immane abbreviazione
dell'intera storia - sembra indubbiamente riprendere E/. 1, IO
(tutte le cose si ricapitolano nel messia). Ma anche questa volta
- se guardiamo alla traduzione luterana - ci accorgiamo che laripresa , in verit, una citazione senza virgolette: alle ding zusamen
verfasset wurde in Christo. Lo stesso verbo (zusammenfassen) corrisponde nei due casi allo anakefalaiosasthai paolino.
Come prove interne di una corrispondenza testuale e non soltanto concettuale fra le tesi e le lettere questi indizi possono bastare. In questa prospettiva, tutto il vocabolario delle tesi appare di
conio genuinamente paolino. E non stupir certo che il termine
redenzione (Erlosung) - un concetto assolutamente centrale nella concezione benjaminiana della conoscenza storica - sia - ovviamente - quello con cui Lutero rende il paolino apolytrosis, altrettanto centrale nelle Lettere. Che questo concetto paolino sia di origine ellenistica (l'affrancamento degli schiavi da parte della divinit, secondo il suggerimento di Deissmann), o schiettamente giudaico - o, pi probabilmente, le due cose insieme-, in ogni caso
l'orientamento sul passato che caratterizza il messianismo benjaminiano ha il suo canone in Paolo.
Ma vi anche un altro indizio, esterno questa volta, che lascia
inferire che Scholem stesso fosse al corrente di questa vicinanza
del pensiero di Benjamin a quello di Paolo. L'atteggiamento di
Scholem rispetto a Paolo - un autore che conosce molto bene e che
134
una volta definisce come l'esempio pi notevole di misticismo rivoluzionario ebraico (Scholem 1980, 20) - non certo privo di
ambiguit. Comunque la scoperta dell'ispirazione paolina di alcuni
aspetti delle speculazioni messianiche dell'amico non poteva riuscirgli rassicurante ed era certamente fra le cose di cui non gli
avrebbe fatto piacere parlare. Eppure vi , in un suo libro, un passo in cui - con la stessa cautela con cui, nel libro su Sabbatai Zevi,
stabilisce una relazione fra Paolo e Nathan di Gaza - egli sembra
addirittura suggerire, anche se in modo criptico, che Benjamin potesse identificarsi con Paolo. nella sua interpretazione di Agesilaus Santander, l'enigmatico frammento composto da Benjamin a
Ibiza nell'agosto 1933 L'interpretazione di Scholem si fonda sull'ipotesi che il nome Agesilaus Santander, che Benjamin sembra nel
testo riferire a se stesso, sia in verit un anagramma di der Angelus
Satanas. Se, come penso, non avrete dimenticato l'apparizione di
questo dggelos satana come spina nella carne in 2 Cor. 12, 7, non
sarete stupiti che Scholem rimandi proprio a questo passo di Paolo
come possibile fonte di Benjamin. L'allusione corsiva e mai pi
ripetuta: ma, se si tiene conto del fatto che tanto il frammento di
Benjamin che il passo paolino sono fortemente autobiografici, essa
implica che Scholem stia suggerendo che l'amico, evocando il suo
rapporto segreto coll'angelo, potesse in qualche modo identificarsi
con Paolo.
Comunque sia, credo che non si possa dubitare che - separate
fra loro da quasi duemila anni ed entrambe composte in una situazione di crisi radicale, le Lettere e le Tesi - questi due sommi testi
messianici della nostra tradizione - formano una costellazione che,
per qualche ragione su cui vi invito a riflettere, conosce proprio oggi l'ora della sua leggibilit. Das Jetzt der Leserbarkeit, l'ora della
leggibilit (o della conoscibilit, Erkennbarkeit) definisce un principio ermeneutico genuinamente benjaminiano, che l'esatto contrario del principio corrente, secondo cui ogni opera pu essere in
ogni istante oggetto di una interpretazione infinita (infinita nel duplice senso che non si esaurisce mai ed possibile indipendentemente dalla sua situazione storico-temporale). Il principio benjaminiano suppone invece che ogni opera, ogni testo contengano un
indice storico che non indica soltanto la loro appartenenza a una
determinata epoca, ma dice anche che essi pervengono alla leggibi-
SOGLIA O TORNADA
135
Appendice
Paolo
di;
per
E.cxyy.wv 0E.Ou,
[la]
buona notizia
1tpOCj)Tj'tW\I <X'tOU .v
profeti
di lui
')'E.\lo.vou .x
nato
in
di Dio,
1tpOE.1t'Tj')'')'Ef<X'tO
che
.&~oEv
il
messia
&1tOO''tO~\I
x&pLV XCXL
e
signore
[il] mandato
'tOi3
v6a.'toc; tX'toi3,
le
il
nome
&vcxcr't&crEw
da [la] resurrezione
di noi,
oL'
attraverso
il quale
di lui,
a tutti
gli
Urv
di Dio, chiamati
santi;
a voi e
xat xup(ou
'l11aoU Xpta'toi3.
costituito
il
di lui
4 'tOU opLcr0.V'to
di santit
cr&px<X,
1t\IEUcx &yLWO'U\l'Tj .
attraverso
riguardo al figlio
genti
3 1tE.pL
sacre
separato
yp<Xq><XL &y(m
[le] scritture
da [il] seme
vE.xpwv,
chiamato inviato
grazia
messia.
essenti in Roma
amati
da
Dio
padre
di noi
I,
I-7
APPENDICE
E.t(.
sono;
cos
il
da parte
di me desiderio
I
6 o
yi:Xp
infatti di Dio
a [il] giudeo
[siete] in
l1t1Xtcrxuvocxt 't
prima
per
della
crW'tTJp(cxv 1t1XV'tL
[la] salvezza
lv
urv 'tOL
't<i;>
per ogni -
17
txcxtocrUVTJ
a [il] greco.
[La] giustizia
yi:Xp
infatti di Dio in
da fede
fede,
come
2,
Il
giusto
9 9t~t
9-16
Oppressione
di fede
di loro,
rendendo testimonianza
la
1t1Xp1X~cX't7J v6ou
trasgressore
pertanto il prepuzio
diventata.
prescrizioni
della legge
~ &xpo~ucr'tLIX
il prepuzio
di lui
osserva,
27
non
xcxL xpwE.t
E
giudicher il
1tficrcxv
~uxfiv
&v9pw1tou
lx cpucrE.w
anima
di uomo
&xpo~ucr't(cx
ogni
per natura
prepuzio
la
il
male,
giudeo
prima
pace
prima
a ognuno
xpt9~croncxt
yi:Xp
Dio,
r r o
y&p
peccarono,
y&p o[ &xpocx'tcxL
facitori
tt
per mezzo
v6ou
txcxtw9~croncxt.
aventi
per natura
le
[cose]
'tOU
dcrtv v6o
della
legge
sono
fanno,
questi
oi.''ttvE. lvE.(xvuncxt
mostrano
legge
non avendo
a se stessi
opera
della legge
legge:
ypcx1t"tV lv 'tcxt
[] scritta
in
la in il
il in il
l9v7J 'tt Ti
cr'ttv
v6~ ~cxp"tOv,
c'
Non infatti il in
giudeo
mettente in opera
segreto
giudeo
visibile
xcxL
[], e
1tE.pt"tOTj
6 l1tcxwo ox l
o yp&cx"tt, o
9 T( ov;
cruvL.>v,
Greci
Non c'
lv
1tVE.Ucx'tt
ma
da il
Dio.
&cxp'tLIXV E.LVIXt,
(xcxw o
[un] giusto,
il cercante
il
neppure
12
Dio:
ox fo"ttv
y&p
3, 9-12
tutti
~w v6.
fino a uno.
ma
~XPE.W97Jcrixv
29 &).)..'
visibile
circoncisione;
xcxp(cx
il
crcxpxL 1tE.pt"tO~
in [la] carne
[la] circoncisione
28 o
di [la] legge.
il
v6ou.
't
r 3 o
1tcxpcx~cX'tTJV
adempiente te il
il
greco:
Non infatti
Quanti
legge
't<i;> lpycx~o&v~
greco.
Dio.
costoro
la circoncisione di te prepuzio
~ &xpo~ucr'tLIX
l1tL
preferenza di faccia
r5
2, 25-29
invece
su
1tE.OcrW1tOTj~(cx
Quando
se
crnvoxwp(cx
giudeo
4 O'tlXV
1tpcXcrcrui;- l&v
[tu] pratichi;
angoscia
v6ov
[la] legge
xcxt
gloria invece e
giusti
se
v6ou
secondo
Xptcr'tOU 'l7JcroG.
25
1tE.pt'toTj
&v6w
mettente in opera
bene,
il
Mcx
coscienza
o anche scusanti,
accusanti
Se
vivr.
pensieri
r 6 lv fl ~&p~
in il giorno
la
26 li:Xv ov
E.'tlX~ &~wv
1tp69uov XIXL
'P w TI E.1Xj'")'E.(crcxcr9cxt.
Roma
139
APPENDICE
o 1tOLwv
IO
di essere,
E.!,
r r ox fo'ttv
uno,
non
1tcXV'tE.i; lootVIXv,
tutti
xcx9w
come
c'
6
il
&cx
non c'
APPENDICE
140
3 , 1 9 -2 4
Sappiamo
oce.t, tvoc
parla,
't~ 0e.~
20
Dio;
sia chiusa e
colpevole
LO'tL
perci
da [le] opere
y&p
't~
v6cp
ox6cro
o LxocLw0~cre.'tm
v6ou
legge
tutto il mondo
sia
apywv v6ou
lv
[davanti] al
dice
APPENDICE
7tp
0e.6v.
presso
Dio.
Ora
per senza
[la] legge
[la] giustizia
da
la
legge
'tWV
[da]
7tpO'fl'Tj'tWV,
2.3
differenza;
OC'tOU xci:pm Lt
grazia
27
Lxocwcruv'T}
22
profeti,
non
3 , 2 7-31
di Dio si manifestata,
giust!Zla
& 0e.ou Lt
di lui
del
per tutti
T)ocp'tov
xoct
tutti
hanno peccato
infatti
24 Lxocwue.vm wpe.tv
giustificati
attraverso la
credenti;
7t&vn y&p
Dio,
redenzione
'tTI
gratuitamente per la
lv
XpLO''t~
Ti xocux'T}crL; le.xe.Ccr0'Tj. Lt
Ilou ov
legge?
'tWV
Delle
28 oyL~6e.0oc
opere?
[la] legge
di [la] fede.
Pensiamo
attraverso
yp 8LX<XLOUa0at
tiv9pW1tOV xwpt~
?t(O''tE.L
'Iouoc(wv
O [] dei Giudei
.30 E.L7tE.p d
o0e. 6vov;
il Dio
senza
o OLXOCLWO'E.L
7tE.pL'to'jv lx
xoct &xpo~ucr't(ocv Lt
'tTj 7tLcr'te.w.
della
per mezzo
fede.
.3 l
7tLO''tE.C
v6ov ov
ma
y&p
infatti
la scrittura dice?
Credette
oc't~ d Lxocwcruv'Tjv.
a
giustizia.
ov
loy(cr0'Tj;
lv
7tE.pL'toTj
" tL
OV'
lv
fu computata?
In [la]
circoncisione
essendo
in [il]
&xpo~ucr't(~,
ox lv
7tE.pLwTj
&U' lv
prepuzio,
la
Non sia!
Anzi,
[la] legge
[il]
segno
ricevette
di [la] circoncisione
sigillo
della
giustizia
della
7tCcrnw 'tTj
lv 'tTI
&xpo~ucr't(~,
fede
in il
prepuzio,
per I'
'tWV
quella
credenti
['t'jV] OLXOCLOO'UV'TjV'
la
essere lui
&xpo~ucr't(oc,
mcr'tE.UOV'tWV L'
l 2
giustizia,
padre
di tutti
d 't oyLcr0TjvocL
oc'tot
per I'
a loro
essere computata
wt
'
oux
per quelli
non
padre
di [la] circoncisione
le
orme
lv
&xpo~ucr't(~
in [il]
prepuzio
fede
y&p
Lt
infatti attraverso
del
padre
di noi
Ti l7tocyye.(oc
cr7t.poc'tL
[la] legge
la promessa
ad
seme
Abramo
al
't
x'Tjpov6ov
oc'tv
e.tvocL
x6crou,
erede
lui
essere
di [il] mondo, ma
14 d y&p o! lx
Lxocwcruv'Tj 7tLcrnw.
di [la] fede.
xe.x.vw'tocL
Ti
stata svuotata
la fede
Se infatti
e
trasgressione.
Ti
Lt
attraverso
v6ou X'Tjpov6m,
eredi
l7tocyye.(oc
[sono],
l
mette in opera;
16 dLt
iit
da [la] legge
py'jv xoc'te.pyci:~E.'tOCL o
[!']ira
.3 O
v6ou
I'
v6o
Non
ocwu,
[la] giustizia
della
Abramo.
di lui
7tOCpci:~occrL.
attraverso
7tE.pL'toTj
v6ov
rendiamo inoperante
xoct
l l
in [il] prepuzio!
.?.oc~e.v
legge
&xpo~ucr't(~
4,
cr'Tje.fov
dunque
Lt
fede?
vanto;
dunque
ro 7tw
[La] legge
xoc'tocpyoue.v
teniamo ferma.
di [la] legge.
[il] prepuzio
tpywv v6ou.
[le] opere
o 0e.6
stato giustificato, ha
fu computato a lui
lx
7tLcrnw.
tcr'tci:voe.v.
Dio,
v6ou
ma
Cosa
'l'TjO'OU'
.3 't(
Ges.
7to(ou v6ou;
29 ~
al
Come
v6ou
apywv lLXOCLW0'Tj,
N UVL xwpt
sono privi
da [le] opere
l7tCyvwcrL
di [il] peccato.
'A~poct
Abramo
non
&ocp't(oc.
2l
e.1 y&p
Se infatti
lx
y&p
la
infatti
ox Ecr'tLV v6o, o
'tOU'tO
c'
7tfo'te.w, tvoc
legge,
neppure
XOC'tt xci:pw,
affinch per
grazia,
valida
la
promessa
per tutto il
seme,
non a quello
I0-22
APPENDICE
la
legge
soltanto ma
padre
di tutti
lx
r7
noi,
genti
ho posto te,
di fronte
fede
da
morti
8 o
l1t(8(X ln'
1t(Xp'
padre
0'1tp(X
di molte
genti
discendenza di te,
e,
Padre
corpo
grembo
al
.7t~yyt):t<XL
&mcr't(t
OV't(X.
"
0\l't(X w
ci che ha promesso
loy(cr0ri
per il
diventare
sar
la
't'fj
nella
fede,
il
consider
circa avendo,
lo
promessa
del
fu potenziato
nCcrnL,
con la
fede,
r X(XL nriporpopri0d
Dio
ed
'tij 1t(Xp(Xxoij
'tOU
&v
obbedienza
di
uno
[La] legge
.a'tLV
xat
capace
anche di fare.
7tOLTJaat.
poi
[solo]
Per
questo come
attraverso un
22
8L
8tX(XLOL
X(X't(XO''t(X0ficrov't(XL
saranno costituiti
sopraggiunse
entr,
in il
a causa del
peccato
la morte,
cosl
na\l't(X
tutti
[gli] uomini
r 3 &xpL
y&p
la morte
v6ou
ox loy&hm ~ O\l'to
pass,
perch
&(Xp'tL(X ~v lv
[il] peccato
v6ou
tutti
x6cr~,
peccarono;
&(Xp'tL(X 8&
[il] peccato
per
regn
Ot
affinch abbondasse
ha sovrabbondato
il peccato
regn
in la
~(XO'L&UO't) 8L&
8LX(XLOO'UVTj d
regni
giustizia
attraverso
1tOoL
molti.
il
peccato;
dove
2 I rva
la grazia,
affinch
morte,
cosl
~ xapL
anche la grazia
eterna
'I TjO'OU
attraverso Ges
7 TC
[x(Xt)
[solo] uomo
attraverso !'
anche
giusti
il peccato,
ma ha abbondato
signore
di noi.
ov
lpou&v;
la morte
&(Xp'tt(X; ~
v6o
La legge
[] peccato?
yvoL'to &&
Non
sia!
Ma
ox t18&w
&v
[solo] uomo
messia
giustizia.
&v0pwnou
un
cosl
molti,
20
'tou &v
disobbedienza di
U1t(XXoij
uva't6c;
aventi peccato
O'tL
fu computato a lui
8L&
di Adamo,
infatti attraverso la
&(Xp'twot X(X't&O"'ta0ricr(Xv
per -
non dubit
8o
20
di Sara;
Come
peccatori
cento anni
stato di morte
della trasgressione
r 9 wcrn&p y&p
a Dio il
vxpwcrw
somiglianza
secondo -
morto,
&(Xp'tficr(XV't(X lnt
~
non
lnt 'to
anche su
r 9 X(XL ~ &cr0&vfjcr(X
O'OU,
Mos
che
fino a
lnL8L
Adamo
la
scritto
a'tV
che
chiamante
di Abramo,
come
r43
1tLO''t&W 'A~p(X&, o
APPENDICE
diceva:
desiderio;
senza
Io
vivevo senza
~ &(Xp'tL(X &v~ricr&v,
il peccato
riprese vita,
~ lV'to~
&l
v6ou
Impulso
X(X't&LpjaO'(X'tO lv
'tij l\l'toij
l0oucrri
&(Xp'tt(X
[il] peccato
8&
ro lyw 8&
io
~wfiv, (XU'tTJ
esso
comandamento
0&v(X'tov
v&xp&.
[] morto.
invece morii,
in
'tij l\l'toij
legge
8 &rpop~v
Non desiderare!
r r ~ y&p
il infatti
APPENDICE
44
't'j lno ij
l717tcX't7Jcr.v
peccato
attraverso
il
ingann
impulso
avendo preso
e. xcxt L'
me e
cxthij
&7tx'tE.LVE.V.
comandamento
wcrn .v
I 2
il comandamento santo e
v6o
3 T ov
buono.
Il
bene
per me divenne
cpcxvtj
&cxp't(cx, L
morte?
Non sia!
bene
il peccato,
Ma
a me [] operante
0<Xvcx't0v,
affinch divenisse
in
lv'toij.
il peccato
peccaminoso
I4 ol'ocxe.v yp
comandamento.
eccesso
invece carnale
sotto il
sono, venduto
xcxnpy&~ocxL
o ywwcrxw o yp
non conosco;
ma
ci che odio
faccio,
convengo
xcx6.
OX.'tL lyw
invece non pi io
metto in atto
ci,
I' abitante
in me
18
peccato.
in me,
ci
in
infatti volere
9 o y&p
sta vicino
a me, l'
carne
0.w 7tOLW
20
questo faccio.
il
&ycx06v, &&
bene
no;
o 0.w
ma
d .
Se -
2I
opero
e.p(crxw &pcx
Trovo
questo
male
I' abitante
in me
pertanto la
legge
sta vicino;
volendo
22
io
fare
il
peccato.
bene,
del
onL lv 'tori;
quella che in
peccato
le
Infelice
io
Chi me liberer
uomo!
da
di
yp
morte
questo?
t7toxcxpcxox(cx
ulWv
'tOU
9e.oU &7te.x8lx.e:taL.
figli
del
Dio
'
'
U7tE.'tOtj7j,
2o
aperta a ricevere.
'
'
- Ot, CXAACX
'"I "I ' LCX
'
OUX
E.XOUO'
ma
rivelazione
dei
'ttj yp cx'tCXLO't7j'tL
X't(crL
la creazione
'
'tOV
la
' tOtr,CXV'
'!: tCX,
U7tO'
1 ro'
t;T
da
la
schiavit
della
cp0opci
corruzione
per
22
la
libert
della gloria
figli
ali'
23
dei
del
Dio.
ora:
non solo
per, ma
anche noi
la
primizia
dello spirito
aventi,
noi
anche stessi
~wv.
adozione
di noi.
24 'ttj
aperti a ricevere,
la
redenzione
del
corpo
~e.7to.v71 ox
l7tt .
"o
y&p
vista
~.7tE.L
't(,
vede
l7t(~e.L;
't( XOtt
non
25
d
Se
"o
invece ci che non vediamo
speriamo,
con pazienza
che
del
di me.
corpo
questo faccio,
ma
legge
xcxt
di me
la
in le
ou
operare
la
&ycx06v
't y&p
membra
orcx
So
pensiero
del
o 0.w 'tOU'tO
Ora
legge
me in
2I
faccio,
la
cxlxcxw't(~ov'tci
legge
fa prigioniero
voglio
7 vuvt .
che [] buona.
di me
Xat'te.py&~ocxL
ma
io
yp
v6cp O'tL
con la legge
che-combatte contro
'tij
Ci che infatti
6 d .
questo faccio.
peccato.
metto in atto
&n'
membra
attraverso il
spirituale
~.7tw
vedo
23
.e.cr(v ou
il
[la] morte,
tvcx
.e.cr(v ou.
affinch
xcxnpycx~o.v71
'tOU &ycx0ou m
attraverso il
apparisse peccato,
dunque
&ycx0v lot
il
[]
145
APPENDICE
Dio
3 71x671v y&p
&v&Oe.cx
io
da
il
messia
APPENDICE
U1ttp
a favore dei
fratelli
'tWV cruyye.vwv
di me dei
sono
Israeliti,
XOt'tC
cr&pxoc.,
~ u(o9e.cr(oc.
.ou
consanguinei
APPENDICE
147
'tij 9oc.Mcrcrri,
't U1t6e.L..oc.
crw9~cre.'tOtL
del
il
sar salvato;
mare,
resto
xoc.t ~ 86oc.
compiendo
la gloria
abbreviando
28
parola
infatti
far
6yov yp
[la]
la
terra.
xoc.t oc.( 8Loc.9Tjxoc.L xoc.t ~ vo.o9e.cr(oc. xoc.t ~ 0t'tpd0t xoc.t oc.( .7t0tyye.L0tL,
e
le
alleanze
5 wv
la legislazione
padri,
a&pxoc. wv
6 Ox
[] tale
&
1t&vn o(
tutti
che
Dio
Israele,
seme
tutti
IO, 212
XOt'tC
quello
secondo [la]
&.~v.
per i
amen.
secoli,
'fopoc.~
Dio.
yp
Non infatti
7 o8' O'tL
7t&V'te.
di Abramo,
promesse,
la parola
'fopoc.'}, O'tOL
quelli da
O'OL
benedetto
sia caduta
0'1ttp.oc. 'A~poc.&.,
le
XpLcr't 't
Non
wv
da essi [] il messia
carne
&
o( 1t0t'ttpe., xoc.t
di loro [sono]
il culto
perch sono
ma:
in Isacco
sar chiamato
0'1ttp.0t.
per te seme.
Questo :
non i
figli
della carne
questi
[sono]
e.l
figli
come
del
Dio,
ma
figli
della promessa
9 .1t0tjjE.L0t yp
0'1ttp.0t.
seme.
oyo o'tO'
verr
24 ou
sar
Sara
&
.9vwv;
questa:
25
il
tempo
[un] figlio.
non solo
&
da [i] Giudei
ma
anche
Osea
Chiamer il
dice:
non popolo
' 'YjjOt1t'Y}.e.vriv
'
'
'
'
.ou oc.6v .ou xoc.L' 't'Y}V oux
'YjjOt7t'Yj.e.vriv
.V 't~
in
il
la
't01tcp o
luogo
non amata
amata;
.ppt9'Yj [0t'tOL]'
dove fu detto
a loro:
~wno.
'fopoc.~ .v
Israele:
Se
'
27
oc.6 .ou
dei
figli
di Israele
~ <i..o
e.l
messia
a ogni
che la
giustizia
quella da [la]
1tOL~croc.
<iv9pw7to
~~O'E.'tOtL
.v
oc.'t'{i.
L'
avente fatto
uomo
vivr
in
esse.
1tLO''tE.C 8LXOtLOO'UV'Yj
da [la] fede
giustizia
dice:
Chi salir
in
cielo?
'tL XOt'tOt~~O'E.'tOtL
e.l 't'}V
Chi discender
in
abisso?
&voc.yoc.ye.'Lv.
morti
far risalire.
Ma
cosa
far discendere;
XpLO''tV .X
[il] messia
Cio
8 & 'tL
di te:
XpLcr'tv X0t't0tyoc.ye.'Lv
o:
l'
xoc.p8(~ O'OU'
cuore
[il] messia
Questo
1\.
ve.xpwv
La invece
in il
Non dire
'tL &voc.~~cre.'toc.L
il
6 ~ 8&
da [i]
tjE.L;
'ErrU~
crou 't
Pfi&
dice?
Vicino
a te
parola
la
a'tLV, lv
'tci> a't6cx't(
aou xcxL lv
'tfi
" V 'tO'
E.O''tL
la
di te e
il
cuore
in
bocca
in
parola
che annunciamo.
della fede
risuscit
e.l
si crede
crw'trip(oc.v.
II
Ges,
Poich
e
se
professi
sarai salvo;
8LXOtLOO'UV'YjV, O''t0.0t'tL
tjE.L jCp
Dice
in il
credi
ve.xpwv, crw9~cr'{l'
da [i] morti,
1tLO''tE.UE.'tOtL
salvezza.
la
in
di te [il] signore
lui
di te, questa
9 O'tL
xripucrcro.e.v
come la sabbia
non si sottomisero.
che il Dio
I'
del Dio
v6.ou
O'tL
per
giustizia,
legge:
u.e.'L, .xe.L
l
del Dio
XpLO''t
infatti scrive
voi,
poi grida
Mos
bocca
sar
v6.ou
credente.
non
1tLO''tE.UOV'tL.
.X
ma
Fine
infatti la
la
Non popolo di me
4 'tto yp
di me popolo di me e
ignorando
propria cercando
u(6.
sono contati
.1tLjVCO'LV'
secondo conoscenza;
e.lcrtv
X0t't'
che zelo
8&
cuore
ro xoc.p8(~
~ ypoc.cp~. 1tcX
Ogni
yp
.oOjE.L'tOtL
infatti la scrittura:
di te
mcr'te.uwv .1t'
credente
e.l
per [la]
in
oc.'t~
lui
APPENDICE
I49
APPENDICE
'tpa1te.cx cx'twv e.l 7tcxy(cx xcxt e.l 01}pcxv xcxt e.l ax&vocxov xcxt e.l
o xcx'tcxtaxuv01}ae.'tcxt.
non sar confuso.
distinzione
tavola
di giudeo
di loro
laccio
cXV'tCX1t6ocx cx'toT,
e
Lo infatti stesso
di greco.
signore
di tutti,
retribuzione
rete
inciampo
per loro,
siano ottenebrati
gli occhi
di loro
~.1te.LV,
gli
vedere,
invocanti
lui.
A.yw ov,
infatti io
israelita
Be.vtcx(v.
di Beniamino.
sapete
'H).C~
in Elia
xcx't.axcx~cxv,
4 &UcX 'tL
di me.
Ma
cosa
profeti
Cosi
di te hanno ucciso,
gli
sono rimasto
solo
cercano
o XP'TJCX'tta6;
XCX't.mov
dice
l' oracolo?
Ho lasciato
a lui
xcxt
di grazia
che
non
v 'tci> vi:iv
il
piegarono
xcxtpc"i>
di ora
tempo
se poi
per
7 T( ov;
ha ottenuto; i
1twpw0'T}acxv,
sono stati induriti,
come
scritto:
Diede
a essi
occhi
per
a~e.pov
~.pcx.
oggi
giorno.
non vedere
Davide
diminuzione di loro
CX'tWV.
gentili,
1toii'to
x6aou
1tou""to levwv,
dei gentili,
ai
quanto pi
la
gentili.
In
quanto -
levwv
o&w,
inviato,
onoro,
ministero
di me
di me la
carne
' tWV
~ cX1tO~O'j CXU'
abbandono
di loro
se
XCX'tCX.CXj'j x6aou,
e.l 'j
reintegrazione
w'j lx ve.xpwv;
Se infatti
'tL
cosa [sar] la
[loro]
16 e.l ~ &7tcxpx''1
Se poi la primizia
da [i] morti?
del mondo,
15 e.l jcXp
[ stata] riconciliazione
7tp6a'T}~t
e.lt jW
14 e.r 7tw
l'
pienezza
dunque sono io
di gentili
il
xcxt
[la] ricchezza
col
di loro.
Non
&ylcx,
[] santa,
se la radice [] santa,
restanti
spirito
jcXp
0.w
infatti
'tOU'to, tvcx
o0e. 1tve.i:icx
il Dio
orecchi per
dice:
cx'twv
la
25 O
't 11n'T}cx
Ma
lm'T}'tE.L
anche i
rami.
tpjWV,
la salvezza
per non
si incurvi.
12
grazia.
cx'tou.
e.Tcx xcx't'
si prodotto;
't'fj
ginocchio al
[un] resto
loro.
render gelosa
.ye.t cx'tci>
dunque anche in
Dio
uomini,
5 oihw ov
Baal.
elezione
il
cxu'tci>
B&cx.
che ha preconosciuto.
di te hanno distrutto, e io
vita
di [la] trib
Signore, i
0uatcxa't1}pt& aou
popolo di lui
per sempre
't(
cosa dice
Israele?
altari
di Abramo,
di loro
Non sia!
Dico
cx""tou; ii y.vm'to
popolo di lui?
la
il
Ti ox ol'cx'te. lv
O non
yw 'lapcx'T}L't'T} e.l(, lx
xcxt jcXp
E
ii &7twacx'to
Dico
dorso
A.yw ov,
11
II, II6
il
la
questo,
'j fin
fratelli,
il
avveduti
mistero
7t>pwat
&7t
[un] indurimento
per
l0vwv
parte
fino a che la
genti
ali'
e.la.0ti.
Israele
avvenuto
pienezza
delle
sia entrata,
cosi
tutto Israele
71e.t x :I:twv
o pu6e.vo,
&7toa'tp.~e.t
Verr da Sion
il salvatore,
espeller
sar salvato,
&ae.~e.Lcx
[le] empiet
come
scritto:
&7t 'Icxxw~.
da
Giacobbe.
APPENDICE
APPENDICE
d ~ 't &~ou
&yom&v
confondere
se non di
amare;
13, 8-IO
'Yjv
A nessuno
cp&t&'t&,
yp
lo
amante
'
infatti
I'
altro
e1
[la] legge
9 't
Il
ha portato a compimento.
yp
OL)C&Ucr&L,
cpov&Ucr&L,
x~&L,
ox
infatti:
Non
commettere adulterio,
non
uccidere,
non
rubare,
non
.'tpcx .no~,
'tL
comandamento, in la
parola
si ricapitola
L' amore
a quello
Ti
v6ou
il
Amerai
prossimo
male
prossimo
per confondere
le
le
disprezzate
compimento dunque
xcx'tcxpy~cr'Q,
crocp(cxv
Poich
[i] Giudei
~'YJ'tOUcrw,
segni
23 Tj&t
sapienza cercano,
noi
chiedono
inciampo,
chiamati,
Giudei
wp(cxv,
25
di Dio sapienza.
anche
O'tL
uomini
&v0pw7twv
Guardate
messia
't~v
27
le
pi sapiente
lcrxupo't&pov 'tWv
[] pi forte
degli
fratelli,
&U 't wp
ma
Dio
Dio
potenti
poich non
7tooL
mondo
ha scelto
mondo
essenti
carne davanti a il
Dio.
da
Myou ~ crocp(cx
il Dio
voi,
fratelli,
per
venni
qualcosa
di sapere fra
voi
se non
tremore
molto
fui
annuncio
ox
di me
&xacr't~
con timore
la parola
parole,
Ti
5 rvcx
della potenza,
di me
6ym, &U'
persuasive di sapienza
messia
.v 7t&L0ot crocp(cx
non [fu] in
7 EL
Non
4 xcxt 6yo ou
presso voi,
Ges
ti
.v
.v &7to&(&L
crocifisso.
I'
elevatezza
con
e
non con
&xpw<i 'tL
di Dio
debolezza del
infatti la
&j&V&L"
bennati;
la
26 Bfo&n yp
uomini.
molti
per stessi
del
le
ogni
Perch la follia
'tOU x6crou
venendo
24 cx'tot
Greci,
crocifisso,
invece
[la]
[i] Greci
il messia
invece annunciamo
le
K&yw .0wv
"EU11v&
il Dio,
infatti ritenni
il
ha scelto
Anch'io
questi
XCXL
mondo
distruggere,
yp
&y<l7t1J.
.1t&L~
forti,
ha scelto
'tOU'tOV .cr'tcxupwvov.
22
le
cr&OtU'tOV.
I, 22-29
questa
di te come te stesso.
non opera;
Dio
sapienti,
ma
1ttCJ'tL wv
affinch la fede
di voi
uv<i&L 0wu.
in [la] potenza
&pLX&V
di Dio.
xupw,
lXOtO''tOV
Wt;
il Signore,
ciascuno
come
cosl
cammini.
.mcr7tacr0w
Con [il]
7t&pLnvfo0w.
si faccia circoncidere!
ov .cr'tw, &U
niente ,
ma
in le
assemblee
.x~011;
[Da] circonciso
dispongo.
si tiri il prepuzio!
cosl
7t&pL-c&'t'Yjvo 'tL
7tacrm Lcx't<icrcrocxL.
tutte
&xpo~Ucr'tt~
XX'Yj'tOtt
'tL;
prepuzio
stato chiamato
qualcuno?
Non
9 Ti 7t&pL'to~
La circoncisione
~p1JcrL
.nowv
il prepuzio
0wu.
20
&xcxcr'to .v 't'{j
Ciascuno in [la]
APPENDICE
xTjcrEL
fl
lxfi9ri,
lv 'tOCU't'Q Evt't<..
chiamata
come quale
fu chiamato,
in
preoccupare!
piuttosto
23
&v9pw7twv.
oi3oc;
Wv
uvoccrocL l&u9&poc;
&v6ou
senza legge;
anche
libero
o jtp lv
4>
Ciascuno
in
chiamato schiavo
in
questo
il tempo
fratelli,
contratto
piangenti
moglie
compranti
x6crov wc;
mondo
xocCpovnc;,
il
gli usanti
Voglio
questo.
siano,
infatti la
figura
del
senza cure
i.'voc
pi
'IouocToc;, i.'voc
giudeo,
v6ov,
'tO 1t
wv
guadagni;
2l
7tanoc, i.'voc
'toc;
affinch
7tanwc;
fratelli,
che
sotto
la
nube
tutti
il
in
mare
mare
il
Mos
furono immersi in la
nube
tutti
lo
stesso
spirituale
cibo
, tE 'tO' OCU'
' tO' 1tVEUOC'tLXOV
' "E1tLOV 7tooc.
,
4 XOCL' 1tOCV'
"E1tLVOV
&cpocrov,
mangiarono,
rtp
'trj 9oc&crcrric;
attraverso il
tutti
me stesso
resi schiavo,
1,6
IO,
di noi
passarono,
e
furono
padri
lx
infatti da [una]
tutti
la stessa spirituale
7tvwoc'tLX1j &xoou9oucrric;
spirituale
roccia,
~v o XpLa'to.
la roccia
invero
era il messia.
Ma
non in i
pi
6 'tOCU'tOC
infatti in il
deserto.
&
'tU1tOL Tjwv
per il
desiderosi
xoc9wc;
di cose cattive,
come
' XOCXELVOL
anche quelli [le] desiderarono.
divenni
guadagni;
v6ov XEpTjcrw
debole,
per i Giudei
come
l l
'Iouoc(ouc; x&pficrw
v6ov wc; 1t
20
guadagnassi;
deboli
siate.
a tutti
tutti
O 9&w rtp
furono prostrati
affinch i
legge
"
WV
Libero
con
avvennero,
19 'E&u9&poc; rtp
con i
mondo
0C .
32
30 XOCL
XOC'tt)(OV'tE,
'tOU'tOU.
il
L1j9ov,
resto
guadagni;
tutti
poi dico,
'
awaw.
&o&cpo(, lv 'tOU't~
davanti a Dio.
Questo
xe.pcivw 'to
qualcuno salvi.
schiavi
22
tvcx
rlv&cr9e. oum
non diventate
lxfi9ri,
0e.oU
~rop&cr9rin
'tLrjc;
&voo
puoi
se
153
schiavo
&U' d XOCL
24 lxoccr'tO lv
di uomini.
[Da]
Ma
cr't(v oo(w
di [il] messia.
21
rimanga.
di [il] signore ;
cr'tw XpLcr'toti.
22
fa' uso.
cX1tEEU9tpo XUpLOU
liberto
questa
APPENDICE
'tOCU'tOC
Ot 1tp
OC't 1t
v6ov, i.'voc
stesso
legge,
sotto [la]
accadevano
a quelli,
di noi,
nei quali le
estremit dei
tempi
si fronteggiano.
affinch
iivoo,
'Etv
degli uomini
parlo
degli
angeli,
IO, I I
APPENDICE
154
[!']
amore
per
&(XcX~OV.
strepitante.
non ho,
sono
lxw
X(XL ltv
E
se anche ho
tutta
la
~ XU.~(XOV
bronzo
faccia;
in parte,
risuonante
cembalo
'tt .ucrtjpL(X
misteri
conosco
scienza
e se anche ho
tutta
la
fede
[!']amore
nulla
sono.
X(XL
ora
l7ttyvwcr971v.
tanto da
le
Ora
't(XU't(X. .t(~wv
'tt 'tp((X
1tfo'tL,
resta
8&
lmyvwcro.(XL x.(X9wi;
Ti
'tOU'tWV
come
l1t(,
&ycX1t7j,
&ycX1t7j.
3 x&v
montagne spostare,
~w.(crw
.ou LV(X
le sostanze
X(Xu91jcro.(XL,
di me e
fi
L'
amore
magnanimo,
1ttp1ttptUt't(XL,
<f>UO'LOU't(XL,
non
si vanta,
non
si gonfia,
~71nt 'tt
cerca
fi
:')'cX1t7J, o ~71ot,
5 ox &crx71.ovtt,
non
le cose di s,
j((X(ptL
non si adira,
si rallegra per
la
non calcola
O'U')'j((X(ptL 8t
ingiustizia, congioisce
il
'ttl
o lcX)(LO''tO
tt.L
:')'cX1t7J
sono il pi piccolo
6 o
20
7 1tcXV't(X
tutto
1tcXV't(X
mcruutL,
1tcXV't(X
l1t(~tL,
1tcXV't(X
U1to.&vtL.
tutto
crede,
tutto
spera,
tutto
sopporta.
morte
8 'H
:')'cX1t7j
o81tOU
1t(1tUL
d'u
8t
1tpO<f17j'ttt(XL,
amore
mai
cade;
sia
invece [le]
profezie,
X(X't(Xpy7191jcron(XL e.L'te.
X(X't(Xpy719Tjcrt't(XL.
sia
profetizziamo;
X(X"t(Xpy719Tjcrt"t(XL.
In
parte
O't(XV
10
infatti
8&
I I
O'tt
lrpp6vouv
pensavo
vfimo, loyL~6.71v
cXp'tL 8L'
lx .&pou
in
perfezione, quella
parte
'tOU V7j1ttoU.
bambino.
in enigma,
I2
Dio.
22
risorto
da [i] morti,
6 l1ttL8'j ytp
Poich
[venne], anche
primizia
8L'
infatti
di quelli
&v9pw1tOU
~.'
o.
]. {).
,
cxvupW1tOU
attraverso
un uomo
' ,
(XV(XO''t(XO'L
[la]
vtxpwv.
[la] risurrezione
di [i] morti.
Adamo tutti
muoiono,
messia
tutti
'tcX')'.(X'tL
saranno vivificati.
cosl
:7t(XPX'l
ordine:
[la] primizia
Ciascuno
XpLcr'to, t1ttL't(X of
[ il] messia,
poi
anche in il
1t(Xpoucr(qc (X'tou,
parte
venuta
vfimo,
y&yov(X
al
Dio
24
di lui,
e
padre,
quindi la fine,
messia
25
7t&cr(Xv &px'}v
8tt
~foo.tv ytp
oli 9tj
nemici
lx9pi; X(X't(Xpytt't(XL
o9<Xv(X'to
nemico
la
sotto i
piedi
27
regno
X(XL 1t&cr(Xv
ogni
ytp
Vediamo
1tpOO'W1tOV 1tp
in
principato e
potenza.
il
quando consegner
potest
infatti
proprio
quelli del
per in il
lx .&pou
in
vfimo O'tt
del
yvwcrL,
[la] scienza,
ywwcrxo.tv X(XL
bambino, parlavo
assemblea
XpLcr't lyfiytp't(XL
)(.(XL\
Come
conosciamo
Quando ero
"tt
sia
&vfip' X(X't1jpy71x(X
cesseranno;
9 lx .&pou ytp
1tporp71uuo.tv
')'Waaett,
[le] lingue,
di essere chiamato
XtXOL.71.&vwv.
copre,
saranno abolite;
cr'ti')'tL,
,
,,
1t(XUO'OV't(XL tLU
infatti
Nuvt 8&
{).'
U(XV(X'tO,
L'
Io
degli apostoli,
Ora
non
:719t(qt
9 'Eyw y<Xp
'tWV :1tOO''tOwv,
da ultimo
non
male,
al!' aborto
come
8 !crx(X'tOV
tutti;
!' amore,
sa usare
7 t1ttL't(X
E se anche
ml Mv
ora
conosco
op71
uomo,
155
)((Xx ~)(WV
APPENDICE
1tcXV't(X
regni
di lui.
fino a
26 tcr)((X'to
Ultimo
sotto
APPENDICE
156
O'tL
di lui.
&x't 'tou
u1to'tiX1;otno
u1tO'totyfi
a lui
le
le
8 O'totV
Quando
cose tutte.
'tO'tE xott
u1to'ti'totX'totL, oijov
otth
dell' antica
UL
lv
figlio
in [il] messia
il o
LVot
'tij
infatti a
cr~Epov ~ipot
oggi
lo
giorno
alleanza
XpLcr'ti> Xot'totpjEL'tOCL"
5 &' tw
reso inoperante;
&votyLvwcrX7J'totL Mwucrij
si legge
Mos
ma
Quando per -
fino a
Il
si volger
signore lo spirito
lEU9EpLot.
1i
11 X?iioEv
'tLVE O"UO"'tot'tLXWV
per
voi
fi ii; uwv;
~ imcr'toYi
o da voi?
La lettera
siete,
inscritta
in
cuori
letta
da
O'tL fo't
tutti
&mcr'toTi XpLO"'tOU
&v9pw1twv,
[gli]
su tavole
l 2
3, 12-18
cuori
"Exov'tE ov
Aventi
da
vivente,
su
il
Mos
cosl
speranza molta
di
di pietra
su
il
volto
di Israele verso la
4 &c l1twpw911
Ma
fine
'tC vo~ot'tot
furono induriti i
pensieri
ora tutti
a scoperto
viso
la
la
di [il] signore
stessa
di
gloria
in
gloria,
da
come
immagine
xup(ou
[lo] di [il] signore
1tvEuotw.
spirito
[ dato].
Perci
noi
I'
da
xcxt lyvWxextv
l
1totpij9Ev,
Kx&cr9otL E"L,
Gloriarsi
di [il] signore.
quattordici,
per, verr
otOot
crWot'to ox otOot,
o 9ro
corpo
il Dio
non so,
otOEv,
[lo] sa,
motcrCot
a [le] visioni
&v9pw1tov &v
creatura;
XotLviX.
or sono anni
rivelazioni
lo yiyovEv
mt &7toxotU~EL xup(ou.
1tp
[il] messia,
Perci se qualcuno [] in
5 , 16-1 7
se
7 wcrn EL 'tL
[cosl].
criXpxot d
xcx't
ywwcrxoEv.
conosciamo
dove -
il velo.
sar tolto
xpwE9ot,
giace.
Xot't01t'tpL6EvoL
'tou xot'totpyouivou.
Noi
'tC &pxottot
di loro
le
non su tavole
&v
-
cuore
[il] signore,
di carne.
dunque tale
non come
scritta
~v(xot
quando
61;otv xup(ou
essendo manifesti
noi,
cr~Epov
oggi,
gloria
3 cpotvEpouEVOL
uomini,
conosciuta
ma
di noi,
poich
libert.
Cominciamo
la
su
stesso velo
in tutti.
tutto
Fino
9E 1tiiV'tot lv 1t&O"LV.
Dio
157
il
le
APPENDICE
XpLO"'ti>
in [il] messia
[che]
in [il] corpo
non so,
se
fuori
del
il
tale
fino a [il]
12, I-IO
APPENDICE
3 xal o!Oa
't'phou opocvou.
terzo
cielo.
tale
uomo
se
il
senza
corpo
non so,
- se
o!Oe.v, -
in [il]
4 O't'L
in
il
paradiso
&v
&v0pwmp aijcraL.
lecito
a uomo
udl
ineffabili
5 1tp wu 't'owuwu
dire.
Per
il
tale
parole,
xaux~croaL,
[uomo] mi vanter,
me stesso
non mi vanter
se non in le
che non
debolezze.
yvwp(~w
rr
159
so
APPENDICE
ytp
me
che non
e.ayye.Lcr0v
<iv0pw?tov
r 2 oo yp .yw ?tap
infatti io
6 .tV
Se
uomo
ho ricevuto
'l'Y)O'OU XpLO"t'OU.
essa, n
fui istruito,
ma
Avete udito
da
[un]
&7toxau~e.w
di Ges messia.
l, ll-17
&vacr't'pocp~v
1tO't'E
rivolgimento
un tempo in
.v
't'~ 'Iouooi:cr~, O't'L xa0' 1te.p~o'jv .lwxov 't"}v .xx1Jcrlav 't'ou 0e.ou xat
il giudaismo,
che secondo eccesso
perseguitavo l'
assemblea del Dio e
.1t6p0ouv a't'~v,
devastavo
essa,
in il
progredivo
giudaismo
pi
di molti
in la
1ta't'pLxwv
ou
1tapa6cre.wv.
padri
di me
delle tradizioni.
&cpop(aexi;
c. lx
1tOO''t''{j
(X1t
' ' .ou.
allontanasse
da
Ti yp
me.
OUvaL .V
la infatti potenza
grazia
Quando
di lui
e.ayye.(~waL
essente
dei
e.6x'Y)cre.v
poi
piacque
I'
ou xcxL xcx&acxi;
di [la] madre di me e
r6
r 5 'on
XOL(cxi; 71'tp6i;
zelatore
8LCX
&1toxau~aL
rivelare
il
figlio di lui
in
me,
per
in [la]
in le
genti
subito
r 7 o &vij0ov e.L
' 'le.pocr6ua 1tp 't'O
a carne e
a sangue,
salii
Gerusalemme
'Apa~(av,
ma
partii
da
coloro
\
XOCL 1ttXLV
e
di nuovo
,,,
ritornai
'
Damasco.
anni
di nuovo
Barnaba,
&v&~'Y)V
d 'Ie.pocr6ua
salii
&7tox&u~w
rivelazione:
ed
esposi
a loro
la
Gerusalemme
&v&~'Y)v
xa't't
salii
secondo [una]
X'Y)pUcrcrw .v wt
2, l-14
APPENDICE
in
~ lpatov.
o
stimati,
Ma
neppure
~vatyx&cr0'Y}
1te.pL't'Y}0fjvatL
fu costretto
a essere circonciso;
affinch non
vuoto
corra
4 LC
a causa
essente,
greco
me,
il con
Tito
'tO
7t0tpe.Lcr&x't0u
per
degli
intrusi
che
s'introdussero
iiwv ~v l:x;oe.v .v
di noi
ai quali
la
o.
1tp
neppure
per
Ges,
wpatv
per . noi
e.l'ate.v tjj
[un] momento
far schiavi;
U1tO't0ty-Q, LVOt
&fi0e.LOt 'tOU
verit
buona notizia
della
permanga
presso
o1toto( 1tO't&
stimati
quali
essere qualcosa, -
il
Dio
non
niente
1t&pL'tOfjc;,
8 o
circoncisione,
niente
.ot ycp o!
a me
ma
al contrario
O'tL
'tij
come
&7toa"toTjv 'tfj
anche in me per i
9 xatt
'tTjv
:x;&pw
'tTjv
la
grazia
quella
pagani,
con
le
genti
separava
se stesso,
temendo
finsero con
lui
anche
gli altri
B0tpv0t~&c;
Barnaba
fu fuorviato
di loro
Giudei,
e.tov O'tL
alla finzione.
Ma
1tp
non
secondo la
verit
Cefa
davanti
a tutti:
Se tu, giudeo
essendo,
ox 'louat"Lxw
~-Q,
7tw
non
vivi,
come
le
giudaicamente
genti
costringi
a vivere giudaicamente?
lpywv v6ou
ocrOL ycp .
IO
yyp0t1t'tOtL yCp
scritto
0'tL
infatti
cose scritte
r r O'tL .
della
Che poi
in
1tLXCX't&pa'toc; 1tiic;
OX .VE.L 1tficrtv
Maledetto
che
non
ognuno
X0t't&p0tv da(v
dcrtv, U1t
il
libro
dimora in tutte
della
legge
per
fare
.v
fjov,
O'tL
o o(xatLo .x
avendo conosciuto
manifesto,
poich
Il giusto
nessuno giustificato
1tLcr'te.wc; ~ficre.'tatL
da [la] fede
il
presso
la -
Giacomo
Cefa
non
da [la] fede,
at'tOt.
e.Lc
XOL\IWVLOt,
"L\IOt
e.le;
di comunione,
perch
per
1tE.pL'tO fjv.
circoncisione;
a me
'tOt'
esse.
ma:
riscatt
da la
maledizione
della legge
O'tL
yyp0tm0tL .mx0t't&p0t'to
divenuto
poich
scritto:
per
mw:xwv
"LVOt
7tii
dei
poveri
affinch
noi
maledizione,
o xpe.&e.voc; .7tt
su
uou,
[il] legno,
14 'Cvat
xatt
1tOLfjcr0tL.
ci che
anche
mi preoccupai
di fare.
di
Ges
questa cosa
"O'te.
xat'tC 7tp6crw7tov
Quando
per
venne
in
faccia
Abramo
avvenisse
in
messia,
'tij 1tLcr'te.w.
dello spirito
ricevessimo tramite la
fede.
Maledetto
affinch a
v'Y}ove.uwe.v,
Antiochia,
'tou v6ou
loro
'tWV
ad
attraverso
OtU'
' tOL'
ci ricordassimo,
Cefa
legge
.v
pagani,
6vov
stessa
~ficre.'tatL
at'tc
[]
l0v'Y},
soltanto
IO
Dio
r 2 o . v6o
vivr;
a me,
lwxatv .ot
esse.
attraverso [la]
data
a Barnaba
XOtL
paganamente e
ox Ecr'tLV .x
B0tpv0t~~
dissi
XOtL'
colonne
che
quando vidi
ox p0o1tooucrtv
camminavano rettamente
1t&pL'tofj
K'Y}cp&
xatt
I I
. ~.0ov,
o'te.
yv6vn
la
Giacomo
xatl
stimati
per
'I&xw~o
'tTjv
era.
m,
'Iw&w'Y}c;, o!
perch biasimevole
o0e.ta&v
Giovanni,
gli
alcuni da
invece gli
mi opposi,
a me interessa:
tiene in conto -
invece
gli
imposero,
la
at~&ve.L
Da
1tE.1tLcr'tE.U0tL
circoncisione
affinch
oUv oL L0tcppe.L
un tempo fossero
di [un] uomo
ii
6 &1t . 'tWV
voi.
~cratv
libert
5 o!c;
per spiare
X0t'te.yvwcrvo ~v.
3 &' o.
abbia corso.
'tot oxoucrw, fi
APPENDICE
le
genti la benedizione
'tTjv .7t0tyye..(0tv
affinch la
promessa
3,
10-14
APPENDICE
21
4, 2 r-26
A:ye:r. .m, o[
Dite
1t'
&xoue.i:e.;
volenti
scritto
uno da la
'tij .?tcxyye.(cx.
la
[!'] una -
da
crucr'totx.e.t
.x 'tij
da la
quello
vuv
Ti
26
di lei.
libera
grazie a
cx'tcxt y&p
dette allegoricamente:
esse
infatti
oue.lcxv ye.wwcrcx,
generante,
in la Arabia;
'le.poucrcxfj, oue.ue.t
yp
Gerusalemme,
infatti con
in schiavit
La invece di su Gerusalemme
libera
e.'t
XCX'tcX
't~V e.ox(cxv
secondo il
il
mistero
della
che
volont
di lui,
.v CX'tci>
IO
della pienezza
.V CX'tci> ...
in lui ...
il
messia,
dei
tempi,
e.l
per
ricapitolare
quelle su
cieli
le
quelle su
la
.v
non rapina
se stesso svuot
terra;
6 o
Ges,
CX~WV,
.V oot>CX'tt
opqi~V
OOUOU
' cxv
"0 pw1t'o
w
t
0'
crx.TJCX'tt e.upe.
e.t
[in] figura
se stesso divenuto
cr'tcxupou.
il
lui
sovresalt
10
x&~TI
morte
Lva
don
lv
affinch in
't~
v6et'tL
il
nome
sotterranee,
lingua
confessi
che signore
XPl~TO~
messia
gloria
3 Tje.t y&p
Noi
Ti ?te.pt'tofi, ol
.cre.v
vantanti
io
Ges
avente fiducia
1t'e.1t'ot0.vcxt .v
d'Israele,
crcxpxt 1t'e.1t'ot06i:e.,
crcxpxL Et 'tt
oxe.t o
5 1t'e.pt'tO'{i
Be.vtcx(v,
~o
tXCXtOcrUVT}V 't~V .v
aventi fiducia,
x'tcxfie.po,
6 XCX'tcX
fariseo,
di Dio serventi
'E~pcxfo
v6ov <l>cxptcrcxfo,
XCX'tcX
di pi:
di [la] stirpe
XCX'tcX
io
.x
in [il] messia
IH~OY~
[] Ges
di Dio Padre.
xcxt xcxux.we.vot .v
e
0cxv&'tou, 0cxv&'t0u
9 t
0e.c'i>,
I'
reput
2, 5-I I
che,
forma
9e.~a'tO~ CX'toG,
di Dio esistente,
9 yvwp(crcx
xcxt
11
di noi.
in voi
Questo pensate
ma di croce.
5 'tOU'tO qipove.ti:e. .v tv o
uno da
Ma
Ora Agar
't'{i
la quale
non
&' o [v]
25 't 'Ayp
Agar.
i)'tt
ebbe,
.cr'ttv &T}yopoue.vcx
(cx v &1t'
figli
23
l'altro da la
nato,
due figli
libera.
24 htv&
promessa.
che
legge
1t'CXt0tC1XT} XCX'tcX
schiava
essere, la
22
ascoltate?
la
APPENDICE
twxwv
'E~pcx(wv,
da
Ebrei,
~v
perseguitante I'
divenuto
irreprensibile.
.xx7Jcrlcxv,
assemblea,
7 &
Ma
3, 3-r4
APPENDICE
a-rwat
Tjv
oL
~y'T}atL
xp8TJ, -r0tG-r0t
8L<X
-rv XpLcr-rv
le cose che erano per me guadagni, queste cose ho reputato a motivo del
~'T}tatV.
Ma
anzi
anche reputo
della
superiorit
8L' ov
per il quale le
9 XOtL &pt0w
guadagni
8Lx0tLOcrUVTJV -ri}v ix
lui,
da
Dio
giustizia
su
signore
lxwv
ii}v
di [il] messia,
o 'tOU j'VWVOtL
fede,
per
conoscere
potenza
della
resurrezione
di lui
comunione
12
Ti
Non
o gi
che gi
afferrai
x0t-r0t&:~w,
afferri
poich
la
resurrezione
d xatL
'tOt'
.v
io
me stesso non
ritengo
Ges.
dimenticando,
&7tpoa0e.v 7tE.X'tE.tv6e.voc;,
[sono] davanti
14 xoc't
del
8.
8,
inseguo verso
XpLcr-rcT> 'l7JcroG.
in [il] messia
Dio,
di noi.
padre
la
Sapendo, fratelli
5 o-rL
di voi,
elezione
amati
-r &atyy&wv fiwv
poich la
di noi
buona notizia
santo
in parola soltanto, ma
ed
essere trasportati
anche in potenza
in
quali
fra voi
per voi.
Ges.
3 O 0otv 8.
&c; &yvoti:'v,
Non vogliamo
[che] voi
xOLw&vwv,
[il] messia
da
Dio
ox iytvfi0TJ
morti.
xatnfirp07Jv 1t
al
il
da
vtxpwv.
il
ix
avanti
messia
se
quella da [i]
sia compiuto,
&t
11
di lui,
in qualche modo
in pienezza, come
xowwv(atv
1tw
della pazienza
1tOTj,
XOtL
spmto
at-roG
dell'
&y<i1t'T} xatL -rTjc; 1toovTjc; -rTjc; .1t(8oc; -roG xupfou fiwv 'l7JcroG XpLcr-roG
&vatcr-r&crtwc;
di lui,
della fatica
lui
-rTjc;
di [le] sofferenze
Mvatw
della fede
Ot'tV
XOtL -ri}v
la
Ricordando[ci]
1ttcr-rtwc; XpLcr-roG,
I
amore
affinch
di me,
escrementi
non
il
reputo
xup(ou ou,
iv atth<T>, i}
sia trovato in
giustizia,
't'O
XpLcr-rv xtp8ficrw
[il] messia
'ITjaoU
i~'T}LW0'T}V,
'tcX 1tcX\l'tOt
't
della conoscenza
messia
perdita.
APPENDICE
tvat
i} u1tijcr0t
i} lxovnc; i1tt80t.
risuscit,
&tL
crv at-rcT>.
che Ges
anche il Dio
cosi
dormienti
morl
8LcX
'tOU 'l7JcrOG
condurr con s.
4 d y<Xp
Se infatti crediamo
speranza.
coloro
circa
Ges
6ycp xupfou,
o-rL fiti:'c; o[
~wntc;
che noi
viventi
i}
rp0&crwtv
segnale,
&1t'
la
di arcangelo
morti
del
at-rc;
poich stesso
e
venuta
16 O'tL
dormienti;
a [la] voce
da [il] cielo,
I
-roc; XOL'T}0nat
x&t6cr0t-rL, iv
restanti
noi
viventi
non
oxupwc; iv
il signore a [il]
a [la] tromba
di Dio, discender
in [il] messia
risusciteranno
signore
rimanenti
insieme
prima,
O'V
CX't'OLe;
con
loro
APPENDICE
ap1t0t"('Yj0"6e.9oc v
saremo rapiti
su [le] nuvole
xup(~
cosl
incontro
al
167
&7tOXOCucp9~0'E.'t'OCL
O <ivoo,
sar rivelato
&cr6e.9oc.
soffio
di lui
della bocca
utv ypcicpe.cr9ocL.
xup(ou
momenti, fratelli,
[voi] stessi
3 O'tOC\I
in [la] notte
~poc
ol'8ocn O'tL
x1t't'Yj v
cosl
viene.
Quando
Pace
sicurezza,
allora
come
avente,
[la]
xcpuywcrw.
nessun
in
Infatti se
modo!
o u[
'tTj
prima
&7twe.(oc,
sia rivelato
distruzione,
di
cj>e.u8ou
ro xoct v
di menzogna
cr~occroc,
wcr'te.
oc'tv
e.l 'tv vocv 'tOU 9e.ou xoc9CcrocL &7to8e.Lxvunoc .ocu'tv O'tL Ecr'tLV 9e.6.
Dio
sedere,
mostrando
W\I
se stesso che
Dio.
.'e.yov utv;
a voi?
in
ogni
potenza
segni
sapete,
per !'
essere rivelato
in il
egli
gi
in atto
6vov
XOC't)(W\I
solo
colui
che trattiene
ora
prodigi
con
ogni
inganno
di iniquit agli
andanti in rovina,
&v9' wv -div &yci7t'Yj\I 'tTj &'Yj9e.Coc ox &8~ocno e.l 't crw9TjvocL oc'tOu.
I I
l'
amore
della verit
non accolsero
o 9e.
il Dio
per
questo
manda
a loro
per I'
vpye.LOC\I 1tcXV'Yj
di smarrimento
[una] forza
credere
loro
alla
menzogna .. .
1tp
riabbia,
wpocv, L\IOC
[un]
tempo, affinch
ma
superschiavo,
su
tempio del
Satana
fratello
innalzantesi
e.y6e.vov 9e.v Ti
di lui
chiamate
vpye.Locv
od
della
~ 7t0tpoucr(oc xoc't'
la presenza
secondo [!')
o &nLxe.Cevo
il
O"tLV
il giacente contro
Dio
con il
luomo
7tcX\l'tOC
in
abolir
essere in atto
non
il figlio della
di lui,
inganni
Ges
3 ~ 'tL
2, 3-11
venuta
perch
il signore
9 o
7t0tpoucr(oc oc'tou,
tempi
0\1
o XUpLO
xupfou e.L
signore in [!'] aria;
sempre
APPENDICE
8 xaL 't6'tE
[tolto].
allora
amato,
xup(~.
che in [il] signore.
crocpxt xoct v
carne
[un]
xoct v
Bibliografia
La bibliografia comprende soltanto autori e opere espressamente citate nel testo. La
traduzione italiana di opere straniere, che talora viene citata, stata, se necessario,
modificata in aderenza al testo originale.
Agostino
1994 De doctrina christiana, a cura di M. Simonetti, Fondazione Valla-Mondadori, Milano.
Aristea
1994 Lettera di Aristea a Filocrate, Rizzoli, Milano.
Badiou, Alain
1997 Saint Paul. Lafondation de l'universalisme, Presses universitaires de France,
Paris.
Barth, Karl
1954 Der Romerbrief, Evangelischer Verlag, Zollikon-Zlirich (9" ed).
Bartolo da Sassoferrato
1555 Tractatus Minoricarum, in Opera, Blasius, Lugduni.
Benjamin, Walter
1966 Briefe, a cura di Gershom Scholem e Theodor W. Adorno, Suhrkamp, Frankfurt a. M.
1974-89 Gesammelte Werke, a cura di Rolf Tiedemann e Herbert Schweppenhiiuser,
I-VII, Suhrkamp, Frankfurt a. M.
Benveniste, inile
1966 Problmes de linguistique gnrale, Gallimard, Paris. ,
1969 Le Voabulaire des institutions indo-europennes, I: Economie, parent, socit, Editions de Minuit, Paris.
Bernays, J acob
1996 ]acob Bemays, un philologuejuif, a cura dJohn Glucker e Andr Lask, Presses unversitaires du Septentrion, Villeneuve.
Buber, Martin
1994 Zwei Glaubensweisen, con una postfazione di David Flusser, Schneider,
Gerlingen (trad. it. Due tipi di fede. La fede ebraica e la fede cristiana, a cura
di Giorgio Sorrentino, San Paolo, Cinisello Balsamo 1995).
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BIBLIOGRAFIA
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Bultmann, Rudolf
1960 <;Jlauben und Verstehen. Gesammelte Aufsiitze, III, Mohr, Tubingen (trad.
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Guillaume, Gustave, 65-67
Hadot, Pierre, 88
Harrer, Gustave Adolphus, I5
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Hobbes, Thomas, I03
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Hort, FentonJohn Anthony, I4
Huby,Joseph, 24
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Jakobson, Roman, 96
Jean de Meun, I6
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Lukacs, Gyorgy, 36-37
Lutero, Martin, 26-27, 3I, 45, 94-95, I30, I32-33
Malachia, 6I
Manganelli, Giorgio, 70
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Marx, Karl, 33-36, 59
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Mauss, Marce!, I I 5
Meillet, Antoine, 65, II9
Meir, 86
Merx, Adalbert, 27
Meyer, Wilhelm, 8I
Michea, 56
Michelstaedter, Carlo, 87
Morike, Eduard, rr
Mosheh ibn Ezra, I 2
Nathan di Gaza, I34
Nestle, Eberhard, 8, I4
Nestle, Erwin, 8, I4, 23
Nietzsche, Friedrich, II, 40, 6I, 75, I05
Norden, Eduard, I3, 8I-82
Olivi, Pietro di Giovanni, 32
Omero, Io7
Onorio di Autun, 80
Origene, I7, 23, 75, 86, 88-89, 94, 126
Osea, 53, 146
Overbeck,Johann Friedrich, rr7
Papia, 72
Pasquali, Giorgio, I 7
Pelagio, I I4
Pietro, 47, 5I, II7, I59
Pindaro, I I9
Platone, I2, I8
Plinio, il Vecchio, 52
Poe, Edgar Allan, I28
Polibio, 92
Proculo, 2I
Pseudo-Barnaba, 72
Puder, Martin, 85
Quinto Mucio, 2 I
Rabano Mauro, 82
Rancire, Jacques, 59
Rosenzweig, Franz, I 2
Rufino,89
Riistow, Alexander, 72
Sabbatai Zevi, 60, I 34
Sabino Masurio, 2 I
Schmitt, Carl, 98-99, I03
Scholem, Gershom, IO, I2, 69, 74, 92, I33-34
Schopenhauer,Arthur, I33
Scoto Eriugena, Giovanni, 42
Sedulio,82
Sestov, Lev Isakovic, I2
I77
Shammai, 2I
Solmi, Renato, I32
Staiger, Emi!, I I, I3
Stefano, 9I
Stirner, Max, 36
Strobel, August, I03
Suda,92
Trifonio, 23
Trubeckoj, Nikolaj Sergeevic, 96
Warburg, Aby, 6I
Watson, Alan, 2I
Webcr, Max, 25-27, 33, 35
Westcott, Brooke Foss, I4
Whorf, Benjamin, 4I
Wilamowitz-Mollendorf, Ulrich von, I I
Wilcke, Hans-Alwin, 72
Wolbert, Werner, 30
Ulpiano, Donizio, 2I
Vaihinger, Hans, 39-40, 45
Vitellio, Aulo, 2 I
Vittorino, Mario, 88
Yehudahha-Levi, I2
Zaccaria, 6 I