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La sovranit la forza coesiva ed unificatrice della comunit politica, senza la quale essa si
sfascerebbe, ed la cristallizzazione del dialogo comando-obbedienza che s'impone a qualsiasi
gruppo sociale che voglia sopravvivere.
La sovranit il potere assoluto e perpetuo di una repubblica. Perpetuo perch legato alla
coscienza direttiva della societ, perch continua a vivere nella sopravvivenza della forma
sociale. Assoluto perch chi comanda non dev'essere soggetto a nessun altro, deve poter
legiferare ed abrogare o annullare leggi inutili: il principe sciolto (absolutus) dall'autorit delle
leggi, quelle dei suoi predecessori ed anche le sue.
Qui sta il primo attributo del sovrano: dar leggi a tutti in generale e a ciascuno in particolare
senza il consenso di suoi superiori, pari o inferiori altrimenti diverrebbe egli stesso suddito. Tutti
gli altri attributi derivano dal primo.
La sovranit pu risiedere in una moltitudine (democrazia) come in una minoranza (aristocrazia)
o come in un uomo solo (monarchia). Importante, per, non avere un sistema politico misto: si
andrebbe a creare confusione, si frazionerebbero i poteri del sovrano mentre le prerogative della
sovranit sono indivisibili perch chi ha il potere deve poter decidere per tutti senza che alcuno
possa opporsi. Dunque, bisogner combattere con le armi finch tutto il potere non risieda in un
uomo solo, in pochi uomini o nella moltitudine.
Ma allora perch Bodin preferisce la monarchia? In primo luogo, perch il regime pi naturale:
la famiglia non ha che un capo, il cielo non ha che un sole ed il mondo non ha che un Dio. Inoltre,
la vera sovranit pu risiedere soltanto nella monarchia: se sovrano sono in due, in tre o pi,
nessuno sovrano, dal momento che nessuno pu dare e ricevere leggi da un suo pari. Infine,
nella scelta delle competenze il monarca sovrano pu scegliere uomini saggi e virtuosi mentre
nello Stato popolare ed in quello aristocratico si deve dar ascolto a saggi e folli insieme.
Ma la monarchia di Bodin non affatto una monarchia tirannica: al di sopra delle leggi del
sovrano stanno le leggi di natura, riflesso della ragione divina. Fra queste leggi stanno il rispetto
di libert e propriet dei sudditi.
Ma se la sovranit unica e non ammette forme miste, il governo di essa suscettibile di
diverse combinazioni. La monarchia governata popolarmente quando impieghi e benefici
vengono concessi senza riguardo alla nobilt, alla ricchezza o alla virt. Bodin preferisce la
monarchia governata aristocraticamente cio in cui si tiene conto della persona, della sua
ricchezza e del suo valore. Ad ogni modo, il vero governo regio dovrebbe essere armonico: il re
dovrebbe mescolare nobili e plebei, ricchi e poveri, accordando comunque un qualche vantaggio
ai nobili. Il ricco, uguale in ogni altra cosa al povero, gli sia preferito negli incarichi che offrono
pi onore che profitto; e che il povero ottenga invece quegli impieghi che offrono pi profitto che
onore: e tutti e due saranno contenti.
CAPITOLO III- Il Leviatano di Hobbes
Il Leviatano un mostro biblico: non c' potenza sulla terra che possa essergli paragonata.
Thomas Hobbes amante della tranquillit e della pace ma la sua Inghilterra non pu offrirgliele.
Fin da giovane non vede di buon occhio scolastica medievale, discussioni politico-religiose sulla
sovranit e interpretazione della Bibbia in quanto queste cose minano alla base l'autorit e
preparano la guerra civile.
Il Leviathan la sintesi del pensiero hobbesiano. Fin dall'introduzione l'autore chiarisce come
proceder: considerer, in primo luogo, la sua [del Leviatano] materia ed il suo artefice: l'uno e
l'altro sono l'uomo. In secondo luogo come e attraverso quali patti costituito; quali sono i diritti
ed il giusto potere di un sovrano; cosa lo tiene in vita e cosa lo annienta.
L'uomo si distingue dagli altri animali per la sua ragione, per la sua curiosit, cio il desiderio di
conoscere il perch delle cose, e per la religione, cio la ricerca della causa delle cause. Questa
la natura dell'uomo. Ma egli non vive solo: ha dei simili. Per ogni uomo un altro uomo
rappresenta un concorrente: entrambi sono avidi di potenza sotto ogni sua forma e questa
concorrenza porta alla guerra perpetua di tutti contro tutti (homo homini lupus).
L dove non c' potere comune, non c' legge; dove non c' legge non c' giustizia. La forza e
l'inganno sono le due virt cardinali. Ed in una guerra del genere non vi nemmeno produttivit
o propriet privata: ognuno padrone di ci che pu prendere e lo per tutto il tempo per cui
riesce a tenerlo.
Ecco descritto lo stato di natura. Per evitare la distruzione della specie, l'uomo deve uscire da
tale stato e pu farlo grazie alle sue passioni ed alla sua ragione. La paura per la morte, infatti,
spinge alla ricerca della pace e la ragione permette di trovarla alle condizioni pi vantaggiose.
L'accordo raggiunto, tuttavia, risulter inutile senza una potenza irresistibile, visibile e tangibile
che lo faccia rispettare con la minaccia di pene. La natura umana, infatti, senza tale autorit
spingerebbe alla rottura del patto. Questa potenza irresistibile, chiaramente, sar rappresentata
dallo Stato, il quale verr costituito dagli uomini per la propria salvaguardia, per uscire, senza pi
timori di ricadute, dallo spaventoso stato di natura.
Dunque, l'uomo non ricerca compagni che per interesse: la societ politica il frutto artificiale di
un patto volontario, di un calcolo interessato. Gli uomini stringono tra loro un contratto in base al
quale trasferiscono ad un terzo il diritto naturale assoluto che ognuno possiede su ogni cosa. La
volont unica di questo terzo, uomo o assemblea, si sostituir alla volont di tutti.
Hobbes non ha inventato la teoria del contratto nella sfera politica. Essa ha origini antiche ed i
teologi del medioevo gi erano soliti distinguere tra due tipi di contratto: con il primo, pactum
unionis o societatis, gli uomini isolati si riunivano in societ; con il secondo, pactum subjectionis,
la societ cede i propri diritti e si sottomette al sovrano.
Hobbes riesce, tramite il contratto, a fondare una sovranit ancora pi intransigente di quella di
Bodin senza indebolirla. Ci riesce facendo dei due contratti medievali uno solo: gli uomini si
costituiscono in societ e si sottomettono ad un padrone. Ma i patti rimangono tra sudditi, non
vengono fatti con il sovrano: i primi rinunciano, a vantaggio del secondo, ad ogni loro diritto o
libert che nuoccia alla pace. Essi sono vincolati, non il sovrano.
Teoricamente, come in Bodin, la forma di Stato non ha importanza: il contenuto della sovranit
non cambia. In realt, per, anche Hobbes preferisce la monarchia. Ogni uomo, infatti, pensa ai
propri interessi o a quelli dei suoi parenti o amici ma siccome i favoriti del re sono pochi mentre i
favoriti delle democrazie sono molti, la monarchia assicura un maggior grado di pace e
sicurezza. Inoltre, l'interesse personale del monarca coincide con l'interesse pubblico in quanto
ricchezza, forza e reputazione del sovrano derivano direttamente dalla ricchezza, dalla forza e
dalla reputazione dei suoi sudditi. Invece, in democrazia un governante corrotto pu ricavare
dalla perfidia o da una guerra pi di quanto ricaverebbe dalla prosperit pubblica.
Per quanto riguarda le caratteristiche della sovranit, anche qui essa assoluta ed indivisibile:
se frammentiamo il potere finiamo col distruggerlo. Prima manifestazione della sovranit ,
ancora una volta, il potere di fare e abrogare le leggi. Per quanto riguarda le consuetudini, dice
Hobbes che esse derivano la loro legittimazione dal silenzio del sovrano, espressione della sua
volont. Ancora, sempre come in Bodin, nemmeno per Hobbes il sovrano tenuto a sottostare
alle sue leggi: ogni potere legislativo legibus solutus.
Ma il sovrano deve procurare ai suoi sudditi la sicurezza. Da ci deriva la protezione della salute
del popolo, intesa non solo come conservazione della vita ma anche come godimento delle
soddisfazioni. Qualora tale protezione non possa pi essere assicurata, i sudditi sono sciolti da
qualsiasi obbligo verso il sovrano: potranno cercarne un altro. Questo il solo caso in cui i sudditi
possono venir meno all'obbedienza.
Il regnante deve poi assicurare ai suoi sudditi la libert, cio la mancanza di impedimenti esterni
ai loro desideri. Certo, anche le leggi in s sono degli impedimenti ma esse non sono fatte per
intralciare l'esistenza degli uomini. Anzi, sono fatte per guidarli e proteggerli da s stessi e dagli
altri.
Il sovrano deve, infine, garantire ai sudditi l'istruzione, l'educazione, la prosperit materiale e
l'eguaglianza formale di fronte alla legge e di fronte agli incarichi pubblici. Si esige che il sovrano
dia lavoro a tutti, assista quelli che non possono lavorare e protegga la propriet privata.
CAPITOLO IV- La politica tratta dalla Sacra Scrittura di Bossuet
Bossuet stato precettore del figlio di Luigi XIV, Delfino. Egli era portatore di una concezione
angusta e confortante, quella del governo della Provvidenza: non c' nulla di casuale nello
svolgimento delle cose. La fortuna non altro che una parola priva di senso. Nel tentativo di
istruire Delfino, Bossuet decide di scrivere egli stesso un'opera pedagogica: La politique. In
essa troviamo tutti i principali argomenti della letteratura politica.
I libri sono divisi in articoli, suddivisi a loro volta in proposizioni. In apparenza ogni proposizione
anch'essa un potere legislativo, che stabilisca cosa giusto per la societ, ed un potere
esecutivo, che assicuri il rispetto delle leggi positive.
Questi poteri dovranno sempre trovarsi in mani diverse. In primo luogo per motivazioni di
carattere pratico: il potere esecutivo dev'essere sempre in funzione mentre quello legislativo pu
prendersi delle pause. Infatti, non sempre necessario fare leggi, ma lo sempre far eseguire
quelle che siano state fatte. E poi la tentazione di abusare del potere sarebbe troppo forte in
coloro che detengono sia l'una che l'altra funzione.
Il legislativo il potere supremo, e lo aveva gi capito Bodin, in quanto la prima e fondamentale
legge di uno Stato quella che fonda il potere legislativo. Tuttavia, il potere esecutivo non un
semplice subalterno in quanto, per il bene della societ, molte cose vanno lasciate alla
discrezione di chi lo detiene.
Ma da una simile descrizione potrebbe sembrare che il potere sovrano, senza limiti umani,
frenato soltanto dal timore di Dio che gli assolutisti attribuivano al monarca abbia soltanto
cambiato padrone, finendo nelle mani del Parlamento. Non cos, spiega Locke, perch i diritti
naturali non si perdono in seguito al consenso ad entrare in societ. Essi sussistono, fondano la
libert e limitano il potere sociale. Il legislativo deve tendere sempre al bene pubblico e non pu
assolutamente essere arbitrario nei confronti del popolo. D'altronde, nessuno pu conferire pi di
quanto possieda: nessun uomo, e dunque nemmeno il Parlamento, pu avere diritto a
distruggere, rendere schiavo o impoverire un suddito. Stesso discorso vale per il potere
esecutivo e la sua discrezionalit.
Ma chi giudicher il rispetto dei limiti? Chi sanzioner un eventuale abuso? Tali prerogative
spettano al popolo, depositante del potere. Vi a favore dei sudditi un diritto di insurrezione: il
popolo, in virt di una legge che precede tutte le leggi positive, si riservato il diritto di
esaminare se esiste giusto motivo di appellarsi al cielo.
E, se si obietta a Locke che ci pu portare a perpetui disordini egli risponder che ci non
vero. Innanzitutto perch l'inerzia del popolo non lo porta che ad insorgere in casi estremi.
Inoltre, quando il peso dell'assolutismo diviene insopportabile, non si pu che cercare di liberarsi
dal giogo imposto: ci del tutto naturale. Ma, soprattutto, se le persone sagge e virtuose
concedessero tutto, per amore della pace, a coloro che volessero far loro violenza, questa pace
assomiglierebbe a quella che si pretenderebbe esistere tra lupi ed agnelli, quando gli agnelli si
lasciassero sbranare e divorare tranquillamente dai lupi. O prendiamo, come esempio, la
caverna di Polifemo, chi dubita che Ulisse non predicasse l'obbedienza passiva, illustrando ai
suoi compagni quanto la pace sia necessaria ed indicando loro gli inconvenienti a cui avrebbero
potuto andare incontro, se avessero cominciato a resistere a Polifemo?.
CAPITOLO II- Lo spirito delle leggi di Montesquieu
Perch in un dato Paese, in un dato momento storico, vi una legge e non un'altra? Perch, a
parit di altre condizioni, una certa legge efficace ed un'altra no? A tutto ci voleva rispondere
Montesquieu ma per farlo si deve ammettere che esista uno spirito delle leggi, che il
legislatore obbedisca a principi, motivi e tendenze.
L'autore, infatti, al contrario di Machiavelli, non crede che la fortuna comandi sul mondo: ho
esaminato gli uomini e mi parso che non fossero guidati esclusivamente dalle loro fantasie,
cos come nella storia non sono semplicemente oggetto di una successione di accidenti
particolari.
D'altronde, Montesquieu si accorger che, l dove l'apparenza rivela soltanto una
contrapposizione di istituti, la ragione scopre legami logici e quasi armonie concertate.
L'essenziale saper cercare l'ingranaggio principale da cui dipendono tutti gli altri. Per fare ci
necessario un metodo scientifico sperimentale fatto di infinite osservazioni e confronti, finch lo
spirito delle cose emerge fino ad elevarsi al di sopra dei fatti. Cos il caos sar sbrogliato
sperimentalmente e scientificamente, non attraverso una visione dello spirito.
Prosegue Montesquieu: ho enunciato i principi ed ho visto ad essi piegarsi i casi particolari ed
ogni legge collegarsi ad un'altra o dipendere da una pi generale. I principi di cui si parla sono
quelli per cui: ogni legge ha la sua ragione, perch ogni legge relativa ad un elemento della
realt fisica, morale o sociale; ogni legge suppone un rapporto. Una catena di rapporti, un
sistema di rapporti poi quello che abbiamo chiamato spirito delle leggi.
non ne faccia dimenticare la presenza. E a chi sostiene che il Parlamento non faccia altro che
sollevare difficolt su tutto, rallentando il processo legislativo, Montesquieu risponde che
proprio questa la sua funzione: rallentare il passo veloce della monarchia, stabilire un momento
di riflessione.
Ma non vi il pericolo che questi poteri intermedi si scontrino tra loro? O che si oppongano al
popolo o al principe? Il pericolo esiste ma proprio questo gioco di pesi e contrappesi che regge
la monarchia.
Detto ci, qual il principio della monarchia? L'onore, inteso come pregiudizio di ogni persona o
condizione. Si tratta, in altre parole, dell'ambizione, cos dannosa in una repubblica ma cos
importante nel governo monarchico. Infatti, ognuno difendendo il proprio status, la propria
condizione, far del bene anche allo Stato che, come visto, ha bisogno di questi pesi e
contrappesi rappresentati dai poteri intermedi.
In effetti, le monarchie si corrompono allorch si tolgono le prerogative ai corpi o i privilegi alle
citt, allorch un principe crede di mostrare maggiormente la sua potenza cambiando l'ordine
delle cose piuttosto che seguendolo, allorch il principe trasferisce lo Stato nella sua capitale, la
capitale nella sua corte e la corte nella sua persona.
Questi errori trasformano la monarchia in dispotismo. La sua natura nota mentre il suo
principio qual ? Non pu essere la virt n la moderazione; l'onore pericoloso. Il vero principio
la paura, il fine la tranquillit. Tranquillit che Montesquieu definisce come il silenzio delle
citt che attendono di essere occupate dal nemico e che Locke chiamava la pace dei cimiteri.
In tale governo, il principe non pu mai rilassarsi: per dirla alla Machiavelli egli deve sempre
avere il coltello in mano. D'altro canto, l'obbedienza dev'essere assoluta: niente obiezioni, siano
esse basate sui sentimenti, sulla salute o sull'onore. Si ricevuto l'ordine e questo basta:
l'uomo una creatura che obbedisce ad una creatura che vuole.
L'unica educazione ammessa nel regime dispotico quella alla paura; il sapere troppo
pericoloso e l'obbedienza assoluta presuppone l'ignoranza in chi obbedisce ed anche in chi
comanda: non c' nulla da ragionare, da mettere in dubbio; non c' che volere.
Con il libro XI si apre un nuovo clima, una nuova atmosfera: dalla teoria dei governi si passa a
quella della libert politica. Ma che cos' questa libert? Dal momento che, nelle democrazie, il
popolo sembrava fare pi o meno quello che voleva, si posta la libert in questa forma di
governo e si confuso il potere del popolo con la libert.
Ma la libert politica non consiste nel fare quello che si vuole. E dunque? Cosa la libert?
poter fare ci che si deve volere, nel non essere mai costretti a fare ci che non si deve volere. A
stabilire cosa si debba o non debba volere ci penseranno poi le leggi. La libert, quindi, il
potere delle leggi. Detto altrimenti, la libert politica quella tranquillit di spirito che deriva
dalla consapevolezza della propria sicurezza; bisogna che il governo sia tale che un cittadino non
debba temere un altro cittadino.
Questa libert non si ha sempre in quanto chiunque detiene un potere portato ad abusarne.
L'abuso di potere impedito soltanto nel caso in cui il potere arresti il potere, il che
presuppone la frammentazione del potere stesso.
Da questa teoria si passa presto allo studio delle tre forze che compongono il governo inglese,
cio quello dell'unica nazione che ha posto ad oggetto della propria costituzione la libert
politica come descritta poco pi su. A ben guardare lo stesso tipo di governo misto tanto
condannato da Bodin in nome dell'indivisibilit della sovranit.
Il popolo non agisce direttamente ma lo fa tramite rappresentanti in quanto improponibile che
il popolo intero detenga un potere come quello legislativo: la produzione di una qualsiasi legge
diverrebbe impossibile.
Ma come si scelgono i rappresentanti? Il metodo migliore farlo su base locale, dividendo il
Paese in circoscrizioni: si conoscono meglio i bisogni della propria citt che quelli delle altre, e si
giudica meglio della capacit dei propri vicini. Chi ha diritto ad eleggere? Tutti i cittadini,
eccetto coloro che sono in cos bassa condizione da essere ritenuti privi di volont propria. Il
corpo di rappresentanti cos composto, che corrisponde alla Camera dei Comuni, dovr fare le
leggi e controllare che quelle fatte siano ben eseguite.
La Camera dei Lords, invece, il corrispettivo della nobilt. Il corpo dei nobili dev'essere
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ereditario. Lo , prima di tutto, per sua natura; e, d'altra parte, bisogna che esso abbia un
grandissimo interesse a conservare le sue prerogative, dal momento che rappresenta il
bersaglio di molti. Se [queste persone], distinte per nascita, ricchezze, onori, fossero confuse
tra il popolo, e non avessero che una voce pari a quella degli altri, la maggior parte delle
risoluzioni sarebbe contro di loro. La loro partecipazione alla legislazione deve dunque essere
proporzionata agli altri vantaggi di cui godono: essi dovranno formare un corpo che ha il diritto di
arrestare le imprese popolari, come il popolo ha diritto di arrestare la loro. Cos viene
giustificato il potere di veto della Camera dei Lords.
Al monarca, infine, va il potere esecutivo perch questa parte del governo ha bisogno di azioni
rapide e dunque meglio che dipenda da un solo soggetto.
Ma come impedire che il legislativo sconfini nell'esecutivo e viceversa? Tramite una monarchia
mista. Le prerogative del sovrano, dei grandi e del popolo sono talmente moderate le une dalle
altre, che si sostengono reciprocamente. Essendo il corpo legislativo composto di due parti,
l'una vincoler l'altra, tramite la reciproca facolt di impedimento. Tutte e due saranno vincolate
dal potere esecutivo, che lo sar, a sua volta, dal legislativo.
Ci che permetter al legislativo di opporsi al monarca saranno, in primo luogo, sessioni
periodiche: non dovranno pi esservi re che cercano di governare senza Parlamento. In assenza
di riunioni, infatti, o non ci sarebbero pi risoluzioni legislative, e lo Stato cadrebbe
nell'anarchia; oppure queste risoluzioni sarebbero prese dal potere esecutivo, che diverrebbe
cos assoluto. Il potere legislativo potr, inoltre, esaminare in quale maniera le leggi sono
eseguite. Il re, sacro ed inviolabile, rimane comunque al suo posto ma i suoi consiglieri possono
essere ricercati e puniti. Ci si riferisce qui al meccanismo dell'impeachment: la messa in stato
d'accusa di un ministro.
L'esecutivo, dal canto suo, avr il potere di convocare ed aggiornare (sciogliere) il legislativo. Se
questo potesse convocarsi ed aggiornarsi autonomamente, potrebbe darsi che non si
aggiornasse mai, il che sarebbe pericoloso, nel caso in cui volesse attentare contro il potere
esecutivo.
Inoltre, anche il re avr un diritto di veto. Se cos non fosse, si vedrebbe presto spogliato delle
sue prerogative.
Infine, come detto, il sovrano sacro ed inviolabile. Ci necessario alla libert in quanto, nel
momento in cui fosse posto in stato di accusa o giudicato, il potere legislativo potrebbe
approfittarne per divenire tirannico.
E se questi poteri si bilanciassero cos bene da annullarsi a vicenda? Essi sarebbero obbligati a
mettersi d'accordo per il movimento necessario delle cose, perch il mondo non si ferma. Questa
risposta indubbiamente ottimistica ma ancora non si era pensato alla figura del primo ministro:
egli capo della maggioranza ma gode anche della fiducia del re e dunque dovrebbe essere in
grado sempre di mettere d'accordo le parti.
La teoria della libert politica finisce qui, lasciando il posto a quella dei climi.
Cosa prevale tra cause fisiche e cause morali? E tra uomo-spirito e uomo-animale?
Tra le cause fisiche riscuoteva un gran successo il clima, gi preso in considerazione, tra gli altri,
da Aristotele e Bodin, il primo a rapportarlo alla scienza politica. Egli, tuttavia, sottolineava che il
Paese e la natura dei luoghi non determinano necessariamente i costumi degli uomini.
Montesquieu, in particolare, attribuisce grande rilevanza all'aria. Quella fredda restringe le
estremit delle fibre, ne diminuisce la grandezza e ne aumenta la forza; l'aria calda, al contrario,
rilassa le fibre, le allunga e ne diminuisce forza ed energie. Dunque, nei climi freddi vi sar pi
forza e quindi maggior fiducia in s, maggior coraggio e senso di sicurezza. Nei paesi freddi si ,
infine, meno sensibili ai piaceri, al dolore ed all'amore.
Ma il rapporto con i governi in cosa consiste? Montesquieu lo vede: per esempio, perch in Asia
domina lo spirito di servit ed in Europa quello della libert? Perch l'Asia non ha zone
temperate: i popoli guerrieri delle zone fredde sono ad immediato contatto con i popoli
effeminati delle zone calde. Gli uni saranno necessariamente conquistatori, e gli altri
conquistati. Al contrario, in Europa il clima muta gradevolmente: i popoli vicini hanno
pressapoco la stessa forza e dunque lottano alla pari, o quasi, per essere liberi. Inoltre, le grandi
pianure dell'Asia favoriscono il dispotismo mentre in Europa la divisione naturale forma pi Stati
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un uomo solo si ha la monarchia. Sembra non esserci nulla di nuovo ma in realt tutto
cambiato, perch Rousseau distingue sovrano e governo, subordinando a tale distinzione la
legittimit del potere. Le forme di governo legittime si classificano unicamente in base al numero
di membri che costituiscono l'esecutivo.
Cos, in democrazia il popolo non solo vota le leggi ma decide anche le misure per la loro
esecuzione: legislativo ed esecutivo sono strettamente connessi. Ne consegue che la democrazia
un cattivo governo perch le cose che devono essere distinte non lo sono: non va bene che
chi fa le leggi le esegua.
L'aristocrazia risulter essere la forma di governo in cui i depositari dell'esecutivo sono in
numero ristretto. Essa pu essere naturale (capi famiglia), elettiva o ereditaria. L'ereditaria la
peggiore, l'elettiva la migliore in quanto attraverso l'elezione si pu far si che siano i pi saggi a
governare.
Ad ogni modo, l'aristocrazia richiede moderazione nei ricchi e soddisfazione del proprio stato
nei poveri. chiaro che tali condizioni saranno difficili da ottenere e dunque neppure
l'aristocrazia la miglior forma di governo.
Nella monarchia, infine, si ha il maggior vigore: tutto risponde ad un unico centro motore, tutte
le energie della macchina sono nella stessa mano, tutto volto allo stesso fine; non ci sono
movimenti opposti, che si distruggono fra di loro. Dunque Rousseau monarchico? Non
esattamente: tutto diretto ad un unico scopo, vero, ma questo scopo non affatto quello
della felicit pubblica.
Allora qual la migliore forma di governo? La verit che, in questo campo, Rousseau non ha
nulla di definitivo da dire: si molto discusso sulla migliore forma di governo, senza considerare
che ognuna di esse la migliore in certi casi, e la peggiore in altri. Ed in ogni caso il governo
rimane contaminato da un vizio inerente la sua stessa essenza.
Come la volont particolare agisce incessantemente contro la volont generale, cos il governo
fa uno sforzo continuo contro la sovranit. Infatti, il governo un corpo intermedio tra sovrano
e sudditi: rappresenta una piccola societ nella grande. Essa avr i propri interessi, il suo spirito
di corpo, la sua forza, ecc. Insomma, si tratta di un corpo che, come ogni altro, avr una
tendenza ad accrescere la propria forza a spese della grande societ.
Bisogna allora tentare, per quanto possibile, di mantenere l'autorit sovrana, la volont generale
al riparo dalle volont particolari. Per fare ci si dispone di due tipi di strumenti: quelli normali e
quelli eccezionali.
I mezzi normali consistono in frequenti assemblee di tutti i cittadini: nel momento in cui si apre
l'assemblea, ogni potere del governo cessa, perch l dove si trova il rappresentato non esiste
pi il rappresentante.
Ai mezzi eccezionali, invece, si deve ricorrere soltanto in casi straordinari, in cui in gioco la
salvezza stessa dello Stato. In questi casi, dice Rousseau, si nomina un capo supremo che faccia
tacere tutte le leggi e sospenda, temporaneamente, l'autorit sovrana; in casi del genere, la
volont generale non ha dubbi, evidente che la prima intenzione del popolo che lo Stato non
vada in rovina.
CAPITOLO IV- Che cosa il Terzo Stato? di Sieys
Tra la fine del 1788 e l'inizio del 1789 in tutta la Francia era guerra aperta tra privilegiati e
borghesi per stabilire chi avrebbe avuto la meglio ai prossimi Stati Generali, promessi dal
governo intimidito dalla Fronda. I privilegiati attendevano la consacrazione delle loro prerogative
mentre il Terzo Stato chiedeva la cancellazione di queste distinzioni e sperava in una
Costituzione all'inglese. Ma per fare ci, occorreva prima che la composizione e l'organizzazione
degli Stati Generali lo permettessero: il numero dei deputati del Terzo Stato avrebbe dovuto
essere uguale a quello degli altri due ordini riuniti ed il voto non avrebbe dovuto avvenire per
Ordini ma per teste.
La guerra si combatteva anche sui libri. Tra le migliaia di scritti del periodo, vi un opuscolo di
127 pagine che spicca per le sensazioni che produce. Esso si intitola Qu'est-ce que le tiers
tat? e l'autore Sieys.
Le prime righe gi colpiscono e riassumono un po' l'opera. Abbiamo tre domande da porci: 1
Cos' il terzo stato? Tutto. 2 Cosa stato fino ad ora, nell'organizzazione politica? Niente. 3
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politico il suo colore, il suo vero carattere; sono loro a rendere un programma civile e politico
utile o dannoso.
Conseguentemente, la nozione astratta ed assoluta dei diritti dell'uomo risulta erronea. Certo,
qualsiasi cosa un uomo possa intraprendere separatamente per il proprio vantaggio, senza
ledere il vantaggio altrui, ha il diritto di farlo. Ma i diritti reclamati dai francesi vanno oltre, non
sono come quelli descritti.
Essi rivendicano, in primo luogo, il diritto di prendere parte al potere politico. Ma questo non un
diritto fondamentale: il governo non costituito in virt dei diritti naturali che possono esistere,
e che esistono, indipendentemente da lui. Il governo un'invenzione della saggezza umana, per
provvedere ai bisogni degli uomini, contenere entro limiti ragionevoli le loro passioni. In tal senso
la costrizione fa parte, come la libert, dei diritti dell'uomo. Dunque, Burke non vede perch
debba congratularsi coi francesi per la libert che hanno ottenuto: sarebbe come stringere la
mano ad un evaso.
Inoltre, l'autore inglese attacca la spersonalizzazione delle istituzioni, perch impedisce di far
nascere, nei cittadini, l'amore, la venerazione, l'ammirazione e l'attaccamento ai regnanti: il re
sar un uomo come un altro e la regina non sar che una donna. Tutti gli affetti sono banditi e
non rimpiazzati. Una filosofia del genere, meccanica e barbara, non ha potuto nascere che in
cuori di gelo e in spiriti avviliti.
Infine, Burke attacca la pretesa semplicit delle istituzioni: quando sento vantare la semplicit
di invenzione a cui si pretende di arrivare nelle nuove costituzioni politiche, non posso impedirmi
di concludere che chi vi stia lavorando non conosce il proprio mestiere o sommamente
negligente verso il proprio dovere. I governi semplici sono fondamentalmente difettosi, per non
dire altro. La costituzione di uno stato e la distribuzione equa dei poteri necessitano di una
conoscenza profonda della natura umana e dei modi di raggiungere e facilitare il fine pubblico.
L'autore ritorce poi il concetto di natura. Per lui non naturale ci che si riferisce all'uomo
considerato anteriormente ad ogni legame sociale ma ci che appare come il risultato di un
lungo sviluppo storico; in altre parole, natura uguale a storia, abitudine. Dunque, le cose hanno
un modo naturale di procedere e, se gli uomini non lo ostacolassero, tutto andrebbe decisamente
meglio.
Questa una visione molto conservatrice, antirivoluzionaria. Essa ratifica eredit e pregiudizi ed
ha orrore per la tabula rasa. Infatti, l'ordine del mondo naturale in quanto non guastato dalla
logica astratta; i pregiudizi, in particolare quello di nascita a fondamento della nobilt, sono
naturali perch naturale il difendere il possesso di quanto ci trasmesso. Ci che non
naturale l'indignazione di fronte ai pregiudizi, l'uguaglianza dei rivoluzionari: in tutte le
societ, composte necessariamente di classi, dovr infatti sempre esservene una che domina.
Cos Burke invita il popolo ad occuparsi soltanto di ci che gli compete, non di politica.
In tale logica naturalista, non vi orrore peggiore che quello per la tabula rasa, cio della
distruzione di tutto per ricostruire da zero. Lo Stato non pu essere carta bianca su cui
scarabocchiare: la natura impone di trarre il miglioramento da ci che gi esiste. Certo, si tratta
di un processo lento ma tale il processo naturale. Un procedimento del genere non conviene
ad un'assemblea che ripone la sua gloria nel fare, in pochi mesi, l'opera di secoli: chiaro
l'attacco ai parlamenti rivoluzionari.
Per concludere, Burke oppone il concetto di ragione generale o ragione politica a quello di
ragione individuale della rivoluzione francese. L'autore inglese non rinnega quest'ultima, ma le
accorda scarso valore. Essa inefficace di fronte alle decisioni gravi mentre la ragione collettiva,
cristallizzata nei pregiudizi, assai pi sicura. Il pregiudizio come una ragione che si ignora, un
istinto attraverso cui si conosce e che ci spinge ad agire nel senso della virt.
CAPITOLO II- Discorsi alla nazione tedesca di Fichte
Fichte, allievo di Kant, vive la guerra tra Napoleone e la Prussia e vede da vicino la disfatta pi
totale che un popolo abbia mai vissuto. Fugge dall'occupazione ma poi torna in Germania per
amore della moglie.
A Berlino, terr quelle che definiva lezioni pubbliche sul miglioramento dell'educazione. Il titolo
era corretto: il mondo nuovo da cui sarebbe derivata la salvezza della nazione tedesca doveva
nascere proprio dalla trasformazione del sistema educativo. Abbiamo perduto tutto ma ci resta
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l'educazione. Da essa nascer l'Idea, la purezza della volont e verr cacciato l'egoismo,
fonte di tutte le disgrazie.
La vecchia educazione non riuscita a dipingere l'ordine morale del mondo con abbastanza
calore da risvegliare negli allievi l'amore, quell'emozione profonda davanti a cui l'egoismo
sparisce. Infine, l'educazione antica era rivolta a pochi. Al contrario, la nuova educazione sar
indirizzata al popolo tutto e dovr formare gli uomini, sviluppare nell'allievo lo spirito creativo e
le attitudini corporali, creer in lui uno spirito nuovo. Egli si compiacer del vero e del bene
considerati in s stessi e rispetter la propria vita e quella degli altri.
Ma per raggiungere tali risultati sono necessarie alcune condizioni. Innanzitutto, i bambini
devono formare una comunit autonoma, senza contatti con il mondo adulto, corrotto
dall'egoismo. Ed i due sessi devono essere allevati insieme. Ma ci pu essere fatto soltanto
dallo Stato in quanto i genitori opporranno resistenza e sar necessaria la forza della costrizione,
almeno per educare la prima generazione. Dopodich le resistenze cadranno e la forza non sar
pi indispensabile. Inoltre, soltanto lo Stato pu accollarsi spese cos grandi.
Attenzione, per! Solo il tedesco adatto a ricevere questa cultura, quest'educazione. Ci in
virt della lingua: i tedeschi soli, infatti, hanno mantenuto la lingua originale delle trib
barbariche. Tutte le altre popolazioni hanno volontariamente reciso le proprie radici in favore
delle lingue neo-latine. Cos facendo, per, si sono uccise.
Nel popolo la cui lingua viva, cio la sola Germania, la cultura penetra la vita; in tutti gli altri
Paesi, cultura e vita rimangono decisamente separati: il genio straniero sparpaglier fiori nei
sentieri battuti, che scambier facilmente per filosofia; lo spirito tedesco, al contrario, aprir
nuove miniere.
Per questo motivo Fichte ce l'ha con i suoi connazionali xenomani, che ammirano la letteratura
morta di fiori artificiali (cio quella francese), accessibile soltanto alle classi colte. Ed ecco
un'altra differenza tra Germania ed altre nazioni: che nel popolo tedesco il grosso della nazione,
e non solo una minima parte, suscettibile di cultura.
E vi sono altre conseguenze ancora derivanti dal carattere fondamentale: per esempio, la
Germania sola riesce a conciliare filosofia e religione e soltanto la Germania potr edificare lo
Stato perfetto, in quanto la sua edificazione passa forzatamente attraverso l'educazione
dell'uomo perfetto.
Ma pi d'ogni altra cosa, il popolo tedesco il solo che pu dire d'avere una patria, in quanto
l'unico che sia in grado di provare per la sua nazione un amore vero e conforme alla ragione.
Quest'amore si chiama patriottismo e tende alla realizzazione del principio eterno e divino. Per
fare ci avr bisogno di dominare anche lo Stato, il quale non ha un suo fine; un semplice
mezzo.
Vi poi il tredicesimo discorso, il quale diede parecchi grattacapi alla censura. Esso riguarda i
mezzi per conservarci fino alla realizzazione del nostro fine principale, ossia resistere alla
dominazione napoleonica fino a che non si sia educata la nuova generazione.
Ed anche la conclusione, quasi un appello alle armi, diede i suoi problemi. Fichte si rivolge
alternativamente a giovani, vecchi, uomini d'affari, pensatori e poi, infine, a tutti voi, Tedeschi,
qualsiasi sia il vostro rango sociale. Riflettete che la vostra salvezza dipende da voi soli. Tutta la
situazione del genere umano non dipende che dagli uomini.
CAPITOLO III- La democrazia in America di Tocqueville
Alexis de Tocqueville era conte da parte di padre. Con la rivoluzione del 1830, il giovane
magistrato non poteva certo sperare in un brillante futuro, cos chiede di poter andare a studiare
il sistema carcerario statunitense.
Nell'opera frutto del viaggio, tuttavia, presente qualcosa di pi di un semplice studio sugli Stati
Uniti d'America: Tocqueville ci propone prima di tutto uno studio sulla democrazia ed questo
che ci interessa.
Tutto nasce, in un sistema democratico, dall'eguaglianza delle condizioni. La storia stessa
dominata da una legge del livellamento: ogni cosa conduce verso l'uguaglianza, a detrimento dei
privilegi di nascita.
La societ aristocratica morta. Essa si basava sulla disuguaglianza e sulle gerarchie e faceva
apparire al popolo come naturale la sua inferiorit. Questo tipo di regime permetteva di ottenere
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cooperativistica.
Louis Blanc, invece, propone un atelier social che raggruppi tutti gli operai. Sar poi lo Stato a
regolamentarlo ed a finanziarlo, s da sconfiggere, progressivamente, la concorrenza privata.
Proudhon, infine, sostiene che la propriet un furto ma non appoggia i socialisti che l'hanno
preceduto. Il socialismo non niente, non mai stato niente, non sar mai niente. Non si
devono ridurre o distruggere le forze economiche: basta bilanciarle. Ancor pi Proudhon se la
prende con i comunisti, desiderosi della comunione dei mezzi di produzione e della rivoluzione
proletaria.
CAPITOLO I- Il manifesto del partito comunista di Marx ed Engels
Nel 1847, a Londra, si tiene, clandestinamente, il primo congresso della Lega dei comunisti. Nel
settembre dello stesso anno esce poi il primo ed unico numero della Rivista comunista, con il
motto proletari di tutto il mondo, unitevi!. In quello stesso numero si legge anche: noi non
siamo comunisti che predicano la pace perpetua mentre, dovunque, i nostri avversari si armano
per il combattimento.
Poi, a novembre-dicembre, si riunisce il secondo congresso della Lega in cui si adotta un nuovo
statuto. Esso recita, all'articolo 1, che il fine della Lega il rovesciamento della borghesia, il
dominio del proletariato e la fondazione di una nuova societ, senza classi e senza propriet
privata.
Si decide anche, nello stesso consesso, di affidare la redazione di un Manifesto a Marx, con
l'aiuto di Engels.
L'idea fondamentale e direttrice del Manifesto , dice Engels, la seguente: la produzione
economica e l'organizzazione sociale che ne risulta necessariamente in ogni epoca della storia
costituiscono la base della storia politica ed intellettuale di quest'epoca; per conseguenza, tutta
la storia stata storia di lotte tra classi, di lotte fra classi sfruttate e classi sfruttatrici; ma questa
lotta ora arrivata ad una fase in cui la classe sfruttata ed oppressa (il proletariato) non pu pi
liberarsi della classe che la sfrutta e la opprime (la borghesia) senza liberare, al tempo stesso e
per sempre, la societ intera dallo sfruttamento, dall'oppressione e dalle lotte di classe.
Quando ci viene detto che produzione economica ed organizzazione sociale formano la base
della storia politica ed intellettuale dell'epoca considerata ci viene, in altre parole, definito il
materialismo storico, che non nient'altro che l'applicazione storica della filosofia del
materialismo dialettico.
Materialismo in quanto, secondo questa teoria, il mondo materiale, cio quello che percepiamo
attraverso i sensi, l'unica realt: fuori di esso non esiste nulla; anche coscienza e pensiero non
sono che prodotti della materia (cervello). Dialettico perch viene appunto recuperata la
dialettica hegeliana: le cose vanno studiate in quanto processo, realt in movimento, perpetuo
divenire. Ma mentre per Hegel il processo dialettico (tesi-antitesi-sintesi) faceva progredire il
mondo per riflesso dell'Idea assoluta, per Marx ed Engels l'esatto contrario: l'Idea ad essere il
riflesso degli oggetti reali.
Dunque, tornando al materialismo storico, il motore della storia non pu trovarsi nell'Idea. Esso
dovr necessariamente trovarsi nel mondo materiale. Ed a Marx appare chiaro che le forme
politiche dello Stato, le forme religiose, artistiche e filosofiche non possono n spiegarsi da s n
essere spiegate dal cosiddetto sviluppo generale dello spirito umano. Esse trovano le loro
radici nei rapporti materiali, nei rapporti di propriet, quegli stessi rapporti studiati dall'economia
politica. Questa struttura economica la vera base, l'infrastruttura su cui poggia la
sovrastruttura politica, giuridica, intellettuale ed ideologica.
Un determinato modo di produrre d necessariamente vita ad una certa struttura sociale (cio
una certa divisione in classi) da cui deriveranno necessariamente una data organizzazione
politica e giuridica e dati sentimenti e date idee. Se cambia il modo di produrre cambier anche
tutto il resto.
Ma come avvengono tali cambiamenti? Tramite la dialettica hegeliana, tramite la lotta di classi.
Queste sorgono ogni volta che i rapporti di produzione esistenti, tradotti nei rapporti di propriet,
cessano di corrispondere allo sviluppo delle forze produttive. Diventano ostacoli allo sviluppo,
catene da spezzare attraverso la lotta.
Da quando scompare l'antica propriet comune del suolo, legge delle comunit primitive, fa
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gli antagonismi e lo Stato stesso, che una traduzione degli antagonismi di classi.
Ma se quello descritto un processo inevitabile, qual la missione dei comunisti? Praticamente
i comunisti sono la frazione pi risoluta dei partiti operai, quella che spinge sempre in avanti;
teoricamente essi hanno sul resto della massa proletaria il vantaggio di comprendere le
condizioni, il cammino e i risultati generali del movimento.
CAPITOLO II - L'"INCHIESTA SULLA MONARCHIA" DI MAURRAS
La conversione intellettuale alla monarchia di Charles Maurras, causata dal suo nazionalismo,
datata 1896, a seguito di un suo viaggio in Grecia. Dir: "Uscito dal mio paese lo vidi finalmente
per quello che , e fui spaventato di vederlo cos piccolo".
Perch la Francia vivesse bisognava che tornasse il Re. Attraverso la Gazzetta di Francia, in cui
scriveva, Maurras invit l'lite dei buoni cittadini ad esporgli il loro parere circa la seguente
questione: "S o No? L'istituzione di una monarchia tradizionale, ereditaria, antiparlamentare e
decentralizzata, di pubblica utilit?". E' questo il primo libro dell'opera di Maurras; il secondo
presenta le risposte commentate dallo stesso Maurras. Vediamo qual il senso esatto dei
caratteri imperiosamente assegnati alla monarchia futura:
tradizionale, ereditaria: tradizione significa sottomissione alla realt, alla natura delle
cose; tradizione ed eredit sono nozioni gemelle. La trasmissione ereditaria nella famiglia,
per la famiglia, la trasmissione per eccellenza (cos' la tradizione se non ci che si
trasmette?). Lo stesso ragionamento deve essere applicato alla monarchia, che per
Maurras il regime migliore perch l'interesse personale dei governanti e l'interesse
pubblico coincidono in essa necessariamente (vecchio argomento, ringiovanito da
Maurras). L'eredit del potere costituisce dunque la sua forza, la sua durata e la sua
continuit, parallelamente alla forza, durata e continuit della nazione. In conseguenza
deve essere ricostituita una nobilt ereditaria, il privilegio della nascita: l'aristocrazia
eredit, si trasmette con il sangue;
antiparlamentare: la monarchia deve essere antiparlamentare, contro il parlamentarismo,
in favore di un governo nominativo, personale e responsabile, contro l'anonimato,
impersonalit e irresponsabilit del parlamentarismo stesso. In questo stato riconosciuto
il tema autoritario. Il regime elettivo, e soprattutto il parlamentarismo, indebolisce lo
stato, il quale abbandona ai partiti: qualcosa di basso e equivoco. Niente pi elezioni
politiche, niente pi assemblee parlamentari, niente pi partiti, niente pi democrazia;
decentralizzata: il tema della decentralizzazione affrontato in quattro punti:
1)
la Francia soffoca sotto il busto napoleonico;
2)
la repubblica, anche se lo volesse, non pu decentralizzare;
3)
la decentralizzazione in regime repubblicano presenterebbe pericoli mortali;
4)
solo la monarchia pu senza pericolo decentralizzare largamente.
Il parlamentarismo impedisce allo stato di assolvere alle sole vere funzioni che ha: diplomazia,
esercito, finanze. Maurras conclude il secondo libro scrivendo: "La Francia obbligata alla
monarchia". Se i primi due libri rispondevano alla domanda "Che fare?" e la risposta era "La
monarchia", nel 1903 arriva un terzo libro che da la risposta alla domanda "Come farla?".
Risposta: "Con la forza".
CAPITOLO III- Le riflessioni sulla violenza di Sorel
Sorel fu inizialmente socialista democratico, poi sindacalista rivoluzionario, poi sostenitore del
nazionalismo integrale ed infine, con l'ascesa di Lenin, sostenitore del bolscevismo.
Egli stato a lungo un ingegnere dei ponti ed portato a vedere nella materia le basi del
progresso. Dice di lui Pirou: ritrova sotto le costruzioni ideologiche la base tecnologica. Manca
giusto un passaggio logico per arrivare al materialismo di Marx.
Ma Sorel convinto che, al di sopra della tecnica, stia la morale. Il mondo non diverr pi
giusto, che nella misura in cui diverr pi casto. Leggendo queste parole tornano alla mente le
preoccupazioni tipiche di Proudhon.
Ben conscio della debolezza dell'uomo, dunque, Sorel sa che la felicit non si produce da sola.
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soggetto alle stesse preoccupazioni che Tocqueville provava di fronte alla massa egualitaria e
che lo stesso Nietzsche ha trattato.
Deluso dalla borghesia (intesa in senso classico, non marxista), riversa questo problema della
felicit sulla classe proletaria, cui era legato per la sua professione (produttiva) e per la moglie,
che aveva perso.
Se Sorel abbandona il socialismo solo perch deluso dal cinismo dei parlamentari, cio del loro
vivere, materialmente parlando, di politica. Il nostro autore crede che i parlamentari non lottino
pi come prima per le idee del partito. Egli continuava, invece, a credere nel ruolo fondamentale
della rivoluzione. E dove pu trovarla, in quel periodo, se non nel sindacalismo rivoluzionario?
Abbandona poi tale inclinazione politica perch convinto dell'importanza essenziale
dell'educazione del proletariato. Diviene capo della Nouvelle cole, marxista, sindacalista e
rivoluzionaria ma attenta alle tematiche morali.
Les rflexions sur la violance sono un insieme di articoli comparsi in Le mouvement socialiste
nel 1906 e rielaborati in volume nel 1908. Esso, si pu dire, il manifesto della nuova scuola:
manifesto aggressivo, mal composto, confuso e pieno di ripetizioni. Ad ammetterlo lo stesso
autore che dice di aver riversato in questa opera tutte le riflessioni (scrtte in dei quaderni) che
ci che leggeva gli procurava.
L'opera sembra costituita, principalmente, di due idee: una negativa ed una positiva. Quella
negativa per il compromesso democratico ed il socialismo parlamentare; quella positiva per la
violenza proletaria.
Del compromesso democratico e parlamentare Sorel critica ogni cosa senza mezzi termini, dalla
filosofia che ne sta alla base fino ai meccanismi e procedimenti pratici.
La filosofia quella ottimista ed idealista fondata sui diritti naturali. Bisogna lasciar andare le
cose, non affrettarsi troppo e sapersi accontentare. Gli uomini che versarono pi sangue, furono
quelli che avevano il desiderio pi vivo di far godere ai loro simili l'et dell'oro che avevano
sognato.
Gli stessi diritti naturali non sono altro che sofismi. In realt si tratta di una questione di forza:
un sistema sociale ben coordinato distrutto da una rivoluzione e fa posto ad un altro sistema
che la gente trova egualmente e perfettamente razionale; e quello che era in altri tempi giusto,
ora divenuto ingiusto.
Ed i meccanismi democratici non sono meno bugiardi. Basti pensare alle elezioni: da quando
esistono sono sempre state condizionate da giochi ineluttabili. Si sempre cercato l'appoggio
della stampa e delle persone influenti, si sono sempre sfruttate le ingenuit della massa e si
sono sempre fatte promesse poi mai mantenute.
Anche le campagne elettorali, fondate sulla lotta di classe, non sono migliori: il socialismo
parlamentare parla tante lingue quante sono le specie di clientele che ha. Si indirizza agli operai,
ai piccoli padroni, ai contadini... talvolta patriota, talaltra declama contro l'esercito. Nessuna
contraddizione lo arresta perch l'esperienza ha dimostrato che si pu, nel corso di una
campagna elettorale, raggruppare forze che dovrebbero essere normalmente antagoniste. Non
certo cos che Marx intendeva le lotte di classe.
Ma, soprattutto, quel che c' di peggio sono i politici, che non fanno niente per niente e
sviluppano astuzie d'ogni sorta per raggiungere i posti migliori: non c' nulla di strano se
interviene quasi necessariamente, un abbassamento della moralit.
A tutti questi mali risponde l'apologia della violenza. Innanzitutto bisogna distinguere la violenza
dalla forza intesa come brutalit. Secondo Sorel il termine forza indica atti di autorit, mentre il
termine violenza riguarda atti di rivolta, cui la brutalit pu benissimo essere completamente
estranea. L'avvenire che Sorel si augura pu essere realizzato anche senza versare sangue a
fiotti.
Il pericolo che minaccia l'avvenire del mondo pu essere evitato se il proletario si dedica con
ostinazione alle idee rivoluzionarie. Tutto pu essere salvato se, con la violenza, esso riesce a
riconsolidare la divisione in classi ed a restituire alla borghesia qualcosa della sua energia.
Questa violenza tende a rendere al capitalismo le qualit bellicose che possedeva un tempo. Una
classe operaia in aumento e solidalmente organizzata pu costringere la classe capitalista a
mantenersi ardente nella lotta industriale; di fronte ad una borghesia affamata di conquiste, e
ricca, se si leva un proletariato unito e rivoluzionario, la societ capitalistica raggiunger la sua
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perfezione storica.
Sorel deciso a combattere i pregiudizi contro la violenza e ne afferma la moralit. Il nostro
autore pensa sia sciocca l'ammirazione moderna per la dolcezza ed il ripudio incondizionato
della violenza, la quale stata rimpiazzata dall'astuzia. forse questo un progresso?
Assolutamente no. Al contrario, nei paesi in cui esiste la nozione di sciopero generale, i colpi
scambiati tra operai e rappresentanti della borghesia hanno tutt'altra portata: le loro
conseguenze sono a lungo raggio e possono dar vita a qualcosa di sublime.
D'altronde, il sindacalismo rivoluzionario necessita di un mito e lo sciopero generale proprio
questo mito. Qui per mito s'intende un insieme legato non da idee ma da immagini motrici,
capaci di evocare attraverso la sola intuizione, cio prima di qualsiasi riflessione, tutti i
sentimenti necessari ad un'azione.
Allo stesso modo, lo sciopero generale evoca una vita intensa, che il linguaggio non pu
rendere chiaramente.
Soltanto la violenza, illuminata dall'idea-mito dello sciopero generale, capace di suscitare la
nuova morale necessaria: quella dei produttori. Ma Sorel riconosce la difficolt del costruire una
nuova morale: avevano ragione a sostenere che non si crea una morale con tenere predicazioni,
ingegnose fabbricazioni ideologiche, o bei gesti.
Tuttavia, necessario perfezionare i costumi. Il progresso morale del proletario necessario
quanto il progresso materiale delle attrezzature per l'industria moderna. Fortunatamente le
radici del progresso morale esistono gi: le troviamo nel sindacalismo rivoluzionario, in cui si
combinano morale del buon lavoro ed entusiasmo per il mito dello sciopero generale.
In conclusione, una sola forza pu produrre l'entusiasmo necessario affinch vi sia una nuova
morale: la propaganda dello sciopero generale.
CAPITOLO VI - "STATO E RIVOLUZIONE" DI LENIN
Il compito che Lenin si assegn fu quello di creare nella Russia un partito marxista, avanguardia
della classe operaia, assegnargli un programma ed una tattica ed eliminare ogni deviazione
rispetto al marxismo autentico. Lenin era uomo d'azione e di intransigenza dottrinaria totale: era
sicuro di avere ragione e di esser l'unico ad avercela. Per lui teoria ed azione erano unite.
Lenin faceva parte della frazione bolscevica (cio di maggioranza) del partito social democratico
russo. La guerra del 1914 per Lenin era una guerra imperialista, perch il capitalismo dell'epoca
di Marx si era trasformato in imperialismo, per la sostituzione del monopolio alla libera
concorrenza. La missione dei partiti d'avanguardia della classe operaia e della rivoluzione
proletaria, quali il partito bolscevico, era di trasformare questa guerra imperialista di nazioni in
guerra civile.
Dopo il suo lungo esilio in Svizzera, Lenin rientra in Russia nell'aprile 1917 e con le sue "tesi di
aprile" detta il cammino da seguire: Lenin ritiene che la rivoluzione democratico-parlamentare o
borghese sia ormai compiuta e debba essere trasformata in rivoluzione socialista, proletaria.
L'argomentazione di base che il potere dei Soviet (cio dei comitati rivoluzionari di deputati
operai e soldati) dello stesso tipo della Comune di Parigi del 1871.
Lenin nell'opera "Lo Stato e la Rivoluzione", composta nell'agosto-settembre 1917, si predispone
a raccontare quello che era la Comune di Parigi, come avevano ragionato su di essa Marx ed
Engels (citando molte delle loro opere successive al Manifesto) e qual era il tipo di stato
necessario al proletariato.
Lo stato non esistito in tutti i tempi, bens nato dalla societ: necessario per moderare la
lotta delle classi tra loro (evitare che non si divorino). L'ordine che esso crea consiste da una
parte nel togliere a queste classi i mezzi che permetterebbero loro di rovesciare i loro oppressori,
dall'altra nell'accumulo da parte degli oppressori dei mezzi per imporre e mantenere la loro
volont di classe.
Questa accumulazione costituisce l'apparato del potere di Stato (strumento di dominazione di
classe) e consiste in due ingranaggi centrali: l'esercito permanente e la burocrazia. La macchina
statale macchina di oppressione di una classe da parte di un'altra, sia in una repubblica
democratica che in una monarchia. Di fronte a questa situazione, il proletariato deve cominciare
con l'impadronirsi della macchina statale per mezzo della rivoluzione violenta. E' necessaria una
educazione sistematica per formare prima di tutto un partito operaio avanguardia del
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del 1918 la Germania si arrende e non esiste pi l'impero. Per Hitler sono giornate terribili.
Decide di diventare uomo politico.
Entra in contatto con il Partito Operaio Tedesco di Monaco, ne diviene membro, lo riorganizza e
ne cambia il nome in Partito Operaio Tedesco Nazional-Socialista; gli assegna un programma in
25 punti. Il colpo di stato del 9 novembre 1923 fallisce miseramente: muoiono 16 membri del
partito e Hitler ferito e arrestato. Il partito disciolto e messo fuori legge, ma il suo capo aveva
ormai un'aureola di eroe sfortunato e tradito. Durante la sua detenzione pu scrivere un libro per
esporre la sua dottrina ed illustrarne il processo di formazione.
Il programma in 25 punti del Partito Nazional-Socialista era il primo manifesto del razzismo:
rigenerazione razziale (distinzione tra uomini di sangue tedesco e non tedeschi, tra cui gli
ebrei);
riforma del sistema di insegnamento, che doveva inculcare l'idea dello stato;
denuncia della corruzione parlamentare;
libert di ogni confessione religiosa purch non mettano in pericolo l'esistenza dello stato;
riunione dei tedeschi in una grande Germania.
Si tratta di un programma assurdo, contraddittorio e di una accozzaglia demagogica.
Ma Hitler vuole apportare una nuova concezione del mondo, che si basa su un postulato
indimostrato e indimostrabile: la superiorit della razza ariana. La grandezza dell'ariano risiede
in particolare nel suo idealismo, nella sua capacit di sacrificarsi per i suoi simili. Il peccato
supremo contro la volont del Creatore l'incrocio razziale. Lo stato, secondo Hitler, non lo
stato liberale: uno stato antiliberale, antiparlamentare, antipartitico, fondato sul principio del
Capo, della Guida (Fuhrer) ed il cui motore il Partito Unico. Stato anti-marxista, anti-egualitario,
gerarchico e corporativo. Lo stato non dotato di alcun prestigio speciale: il prestigio riservato
al popolo (Volk).
Disgraziatamente - sostiene Hitler - il popolo tedesco non ha per base una razza omogenea, a
causa di contaminazioni successive che hanno decomposto il suo sangue e la sua anima e che
costata al popolo il dominio del mondo. Lo scopo dello Stato riunire, conservare e proteggere i
residui uomini di pura razza nord-ariana (o nordica); lo stato deve vegliare affinch cessi
assolutamente ogni nuovo incrocio razziale. Lo stato razzista far in modo che solo l'individuo
sano possa procreare, gli altri saranno sterilizzati per impedirne la riproduzione. I mezzi per
raggiungere lo scopo sono due:
la propaganda indirizzata alle masse: caratterizzata da fanatismo che sferza l'anima della
folla, non da conoscenza oggettiva delle verit scientifiche. Sar di basso livello
intellettuale perch rivolta alle masse, unilaterale e senza alcuna differenziazione;
l'educazione rivolta agli individui: corpi perfettamente sani attraverso allevamento
appropriato; poi formazione del carattere (forza di volont, capacit di decisione, gusto
della responsabilit e del rischio); infine cultura delle facolt intellettuali. Il Reich avr
bisogno di combattenti, non di intellettuali. L'idea da inculcare quella della Razza. Al
termine del servizio militare al giovane tedesco consegnato il diploma di cittadino del
Reich.
Sul fronte della politica estera la Francia e rimane il nemico da temere e isolare, mentre deve
essere ricercata l'alleanza con Inghilterra e Italia. La politica espansionistica orientata a Est,
verso la Russia dalle immense pianure, ormai matura per il crollo: il tema del popolo senza
spazio, della conquista dello spazio vitale per la razza dei padroni.
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