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LE GRANDI OPERE DEL PENSIERO POLITICO- Jean Jacques Chevallier

PARTE PRIMA- Al servizio dell'assolutismo


CAPITOLO I- Il Principe di Machiavelli
Il Rinascimento un movimento intellettuale che mira a scrollarsi di dosso le discipline medievali
per tornare all'antichit classica, studiata dagli umanisti senza il filtro della tradizione cristiana.
Ma il rinascimento molto altro: crollo della costruzione medievale basata sui due pilastri di
Chiesa ed Imperatore, affermazione dei grandi Stati monarchici, scoperte geografiche che
rivoluzionano l'economia ed invenzione della stampa con conseguenze enormi sullo spirito
umano. L'uomo rinascimentale ha voglia di scoprire e cercare, critica liberamente, si batte contro
ogni dogma, rifiuta ogni scolastica ed pronto a sfidare Dio. L'era della tecnica al servizio
dell'uomo succede a quella medievale della contemplazione.
Ed in Italia che l'uomo nuovo esplode ed incurante del regno dei cieli pensa solo a godersi il
regno terreno. La situazione politica italiana, d'altronde, era ideale per questo scatenarsi degli
individui al di l del bene e del male: attorno ai quattro cardini di Venezia, Milano, Firenze e
Roma vi era, infatti, una moltitudine di piccoli Stati che si facevano e disfacevano, con il
contributo essenziale degli eserciti stranieri, in mezzo a dissensi e delitti.
E la Firenze di Machiavelli vive forse pi d'ogni altra citt lo sconvolgimento della lotta tra
fazioni.
All'et di ventinove Machiavelli entra nella vita politica della citt come segretario della
Cancelleria ma presto si ritrova a viaggiare come diplomatico. La sua vita, tuttavia, rimane
mediocre, rimane quella di un normale funzionario.
In un suo viaggio in Germania Machiavelli rimane impressionato dal fatto che tutti gli abitanti
siano armati ed esercitati. L'imperatore disponeva gratuitamente di soldati. Ed il problema
militare assilla cos tanto Niccol che, rientrato a Firenze, chiede ed ottiene l'incarico di
organizzare la milizia fiorentina.
Le sue truppe, tuttavia, non riescono, nel 1512, ad evitare il reinsediamento dei Medici:
Machiavelli cacciato e bandito da Firenze. Questa disgrazia, che lo lascia senza lavoro, gli
permette per di trovare il tempo per scrivere. L'opera che pi ci interessa, il De principatibus,
meglio nota come Il Principe, viene dedicata a Giuliano de' Medici prima ed a Lorenzo poi nella
speranza di poter tornare a Firenze e servire la sua citt.
In questo opuscolo Machiavelli si propone, come dice egli stesso in una sua missiva, di
ricercare che cosa principato, di quale spetie sono, come e' si acquistano, come e' si
mantengono, perch e' si perdono.
Innanzitutto dobbiamo distinguere tra principati ereditari e nuovi. I primi non ci sono di alcun
interesse in quanto troppo stabili: al principe sono sufficienti capacit nella media per
mantenersi al trono. Sono invece i principati nuovi che ci interessano, a prescindere dalla
legittimit dell'acquisizione.
L'uso della forza, il trionfo del pi forte, sono infatti per Machiavelli cose del tutto naturali. Tutto
ci che serve per acquisire e comandare avere forze sufficienti. In effetti, un principe non deve
avere altro obiettivo, pensiero o arte che non sia la guerra. I principi che trascurano l'apparato
militare e la battaglia perdono presto il loro status mentre chi lo conquista sempre un maestro
nell'arte della guerra. E sicuramente, prosegue Machiavelli, non avr buone armi chi assolda
mercenari, troppo avvezzi alla corruzione ed al tradimento e poco motivati.
Ci sono quattro modi di acquistare un principato: per virt propria e proprie armi; per fortuna ed
armi altrui; per scelleratezze; per favore dei cittadini. Machiavelli si interessa in particolar modo
ai primi due metodi, sottolineando che virt e fatum (sorte) non sono mai completamente
indipendenti.
Un intero capitolo dedicato a questi argomenti. Sempre ch'egli possa fare qualcosa, cosa pu
fare un uomo di fronte alla sorte? L'autore paragona quest'ultima ad un fiume in piena:
devastante ed inarrestabile. Tuttavia, quando il fiume si placa, l'uomo pu cercare di porre
rimedio, costruendo argini o canali, s da attenuare gli effetti devastanti della prossima
esondazione. Dunque l'uomo pu, e deve, tentare di resistere alla fortuna ponendo fra s ed

essa il maggior numero di ostacoli possibili.


Coloro che diventano principi per virt propria e proprie armi avranno maggiori difficolt
nell'installare e radicare il principato ma una volta fatto ci saranno facilitati nel mantenerlo. La
difficolt principale sta infatti nell'instaurare nuove istituzioni: i membri di quelle vecchie
opporranno certamente una resistenza assidua mentre nessuno o pochi saranno disposti a
difendere quella nuova. Inoltre, quando questi ultimi decideranno di schierarsi, lo faranno
certamente con minor vigoria dei primi.
Sar dunque necessario l'utilizzo della forza. Tutti i profeti armati vinsono e li disarmati
riunirono. D'altronde, facile persuadere la massa di qualcosa ma difficile tenerla ferma su
quella decisione. Una volta spenta qualsiasi opposizione, per, tutti iniziano ad adorare il
principe e ci rende agevole il controllo del principato.
I principati acquistati con fortuna e armi altrui sono retti dalla regola inversa: facilit
nell'acquisire, difficolt nel mantenere. Infatti, questi principi acquisteranno per condizioni
favorevoli ma non disporranno poi di forze fedeli, n tanto meno affezionate, in grado di
garantire il mantenimento del principato. Tale tipologia di principe, dunque, finir inevitabilmente
col perdere quanto ottenuto, a meno che sia dotato di grande spirito o valore e sappia ribaltare
le situazioni contrarie a proprio favore.
Vi sono poi i principi che acquistano mediante scelleratezze. Le crudelt saranno ben eseguite,
se del male licito dire bene, quando commesse tutte insieme all'inizio del regno per la
sicurezza del principe. Le crudelt provate meno a lungo, infatti, sembrano offendere meno. Al
contrario, le crudelt saranno mal eseguite quando si trascinano o rinnovano nel tempo, quando
crescono piuttosto che spegnersi. In tal modo, i sudditi perdono sicurezza e sono continuamente
tormentati dall'inquietudine. Inoltre, bene offendere gli impotenti e se proprio si deve offendere
un potente, che l'offesa sia radicale, s che non si tema vendetta.
Infine, si pu acquisire un principato per il favore dei cittadini, ma necessaria una buona dose
di fortuna ed una certa virt. In ogni citt, il popolo desidera non essere comandato n
oppresso dai grandi, e i grandi desiderano comandare ed opprimere il popolo. Cos, un uomo
viene reso principe dal popolo quando questo incapace di resistere ai grandi ed affida le
proprie speranze ad uno solo. Al contrario sar reso principe dai grandi quando questi non
riescono ad opprimere il popolo e cercano di sfogare i propri appetiti sotto l'ombra di un uomo
solo.
Il principe fatto dai grandi avr pi difficolt, rispetto a quello fatto dal popolo, a mantenere il
controllo del principato in quanto questi si sentiranno suoi pari e continueranno ad avanzare
nuove richieste. Il popolo, invece, si accontenta di non essere oppresso e riconosce la superiorit
del sovrano.
Vi poi da fare un ulteriore distinguo rispetto al tipo di governo che precede l'acquisizione da
parte del principe.
Un principato dispotico difficile da conquistare perch tutti i sudditi si stringono attorno al
sovrano ma facile da mantenere in quanto, eliminata la famiglia reale, i sudditi non hanno
alcuna forza.
Un principato aristocratico facile da acquistare, dato che ci sar sempre qualche influente
signore scontento della situazione e pronto ad aiutare il nuovo principe, ma difficile da
mantenere, dal momento che non facile accontentare o eliminare tutti i signori.
La repubblica, infine, di difficilissima conquista perch i sudditi si ricorderanno, e vorranno
sempre, la loro antica libert. Due metodi possono far dimenticare tale bisogno: che il principe si
trasferisca nel nuovo Stato per sedare sul nascere ogni disordine o che egli faccia governare il
Paese dai cittadini secondo le loro leggi, limitandosi alla riscossione di un tributo. L'unico modo
davvero sicuro di non essere nuovamente sopraffatti dalla repubblica, per, rimane quello di
annientarla, distruggerla.
Il sovrano vive assillato da due paure: quella per i sudditi e quella per le minacce esterne. Il
principe che vuole mantenersi deve imparare a non essere sempre buono: un sovrano che abbia
ogni qualit positiva, d'altronde, non esiste per le condizioni umane che non lo consentono. Vi
sono anzi vizi che permettono di comandare e qualit che portano al fallimento politico.

La parsimonia un vizio che fa regnare. Le liberalit, infatti, fanno guadagnare il consenso di


pochi, perdere quello di molti e riducono in miseria.
Inoltre, meglio essere ritenuti crudeli piuttosto che pietosi. La crudelt uccide sul nascere i
disordini che un'eccessiva piet lascia crescere. Senza contare che tali disordini offendono una
moltitudine di persone mentre le esecuzioni ordinate dal sovrano offendono soltanto soggetti
determinati.
Ne deriva il classico interrogativo: meglio essere amati o temuti? L'ideale, dice Machiavelli,
sarebbe essere entrambi ma, siccome difficile ottenere ci, meglio essere temuti. Gli uomini,
infatti, rompono il legame dello affetto secondo il loro interesse e senza pensarci troppo. Al
contrario, esiteranno maggiormente a tradire qualcuno che temono, in quanto la paura del
castigo non li abbandoner mai.
Essere temuto, inoltre, non significa essere odiato, cosa in cui non si dovrebbe incorrere mai.
Perch tutte le fortezze di un principe odiato non basteranno a salvarlo dalle congiure. E
Machiavelli ci propone anche una ricetta semplice per non incorrere nell'odio: astenersi dalla
roba de' cittadini e de' sudditi, e dalle donne loro.
E cosa vi sarebbe di pi lodevole di un principe fedele alla propria parola? Nella realt, per, chi
viola la propria parola finisce sempre per dominare. Qui l'autore, come accade di rado, prova a
mascherare il suo pensiero. Dice, ricorrendo al mito di Achille e del centauro Chirone, che il buon
principe deve agire sia da bestia che da uomo, bilanciando le due nature. Il principe deve avere
due modelli: la volpe ed il leone. Perch il leone non si difende dai lacci, la volpe non si difende
dai lupi. Bisogna essere volpe a conoscere i lacci e leone a sbigottire i lupi.
D'altronde si pu sempre cercare di mascherare, temperare l'inosservanza alla parola data: si
dev'essere bravi, in altre parole, a simulare e dissimulare, si deve avere la virt dell'apparire, del
far credere, dell'ipocrisia. Al principe non necessario avere tutte le qualit. Gli sufficiente
parere di averle. Anzi, come detto, possedere tutte le qualit dannoso mentre fingere di averle
assai utile. Ognuno vede quello che tu pari, pochi sentono quello che tu se'; e quelli pochi non
ardiscano opporsi all'opinione di molti, che abbiano la maest dello Stato che li difende.
Quanto ai consiglieri ed ai ministri, infine, il Principe deve prendere consiglio quando vuole lui e
non quando vuole altri e non deve lasciare mai che chi consiglia prenda il sopravvento. Un buon
ministro non pensa mai a s ma al principe e questo dovr colmare il primo di ricchezze, onori e
dignit, sicch tema ogni cambiamento.
Il principe nuovo che si conformi ai comportamenti descritti, pu essere pi sicuro del suo
avvenire di un principe ereditario. Le azioni di un regnante nuovo sono infatti osservate con
maggiore attenzione (li uomini sono molto pi presi dalle cose presenti che dalle passate) e
quando queste sono giudicate buone, gli uomini sono portati alla fedelt. Inoltre, colui che fonda
e mantiene il suo regno ha doppia gloria mentre doppia infamia ha chi, nato sul trono, perde il
suo Stato.
CAPITOLO II- I sei libri della Repubblica di Bodin
Il Principe di Machiavelli molto diverso dai Six livres de la Rpublique: il primo, di scarso
successo a suo tempo, breve, senza ampollosit; il secondo, di grande successo ai suoi tempi,
un monumento di scienza politica e diritto pubblico, ostico, carico di erudizione e spoglio di
ogni grazia.
Ci deriva dalla diversit degli autori: giurista rigoroso, mente ragionativa e rigido moralista
Bodin al cui confronto Machiavelli appare un gretto e critico adoratore del potere reale.
Francia, 1576: lotta tra protestanti e cattolici ed aspettative nei confronti del re.
Bodin e partito dei Politici: sovrano al di sopra di tali dispute in quanto arbitro e protettore di tutti
i culti.
La Rpublique: in mezzo a un mare di idee, troviamo l'isola centrale della sovranit. La
repubblica un governo di pi nuclei familiari e di ci che loro comune, con potere sovrano:
cos si apre l'opera. Cogliamo subito come Bodin, al contrario di Machiavelli, si ponga sul piano
della legittimazione e notiamo che alla famiglia riservato il posto d'onore: essa il punto di
partenza, la cellula madre.
Nessuno ha mai definito la sovranit o ne ha colto le vere caratteristiche.

La sovranit la forza coesiva ed unificatrice della comunit politica, senza la quale essa si
sfascerebbe, ed la cristallizzazione del dialogo comando-obbedienza che s'impone a qualsiasi
gruppo sociale che voglia sopravvivere.
La sovranit il potere assoluto e perpetuo di una repubblica. Perpetuo perch legato alla
coscienza direttiva della societ, perch continua a vivere nella sopravvivenza della forma
sociale. Assoluto perch chi comanda non dev'essere soggetto a nessun altro, deve poter
legiferare ed abrogare o annullare leggi inutili: il principe sciolto (absolutus) dall'autorit delle
leggi, quelle dei suoi predecessori ed anche le sue.
Qui sta il primo attributo del sovrano: dar leggi a tutti in generale e a ciascuno in particolare
senza il consenso di suoi superiori, pari o inferiori altrimenti diverrebbe egli stesso suddito. Tutti
gli altri attributi derivano dal primo.
La sovranit pu risiedere in una moltitudine (democrazia) come in una minoranza (aristocrazia)
o come in un uomo solo (monarchia). Importante, per, non avere un sistema politico misto: si
andrebbe a creare confusione, si frazionerebbero i poteri del sovrano mentre le prerogative della
sovranit sono indivisibili perch chi ha il potere deve poter decidere per tutti senza che alcuno
possa opporsi. Dunque, bisogner combattere con le armi finch tutto il potere non risieda in un
uomo solo, in pochi uomini o nella moltitudine.
Ma allora perch Bodin preferisce la monarchia? In primo luogo, perch il regime pi naturale:
la famiglia non ha che un capo, il cielo non ha che un sole ed il mondo non ha che un Dio. Inoltre,
la vera sovranit pu risiedere soltanto nella monarchia: se sovrano sono in due, in tre o pi,
nessuno sovrano, dal momento che nessuno pu dare e ricevere leggi da un suo pari. Infine,
nella scelta delle competenze il monarca sovrano pu scegliere uomini saggi e virtuosi mentre
nello Stato popolare ed in quello aristocratico si deve dar ascolto a saggi e folli insieme.
Ma la monarchia di Bodin non affatto una monarchia tirannica: al di sopra delle leggi del
sovrano stanno le leggi di natura, riflesso della ragione divina. Fra queste leggi stanno il rispetto
di libert e propriet dei sudditi.
Ma se la sovranit unica e non ammette forme miste, il governo di essa suscettibile di
diverse combinazioni. La monarchia governata popolarmente quando impieghi e benefici
vengono concessi senza riguardo alla nobilt, alla ricchezza o alla virt. Bodin preferisce la
monarchia governata aristocraticamente cio in cui si tiene conto della persona, della sua
ricchezza e del suo valore. Ad ogni modo, il vero governo regio dovrebbe essere armonico: il re
dovrebbe mescolare nobili e plebei, ricchi e poveri, accordando comunque un qualche vantaggio
ai nobili. Il ricco, uguale in ogni altra cosa al povero, gli sia preferito negli incarichi che offrono
pi onore che profitto; e che il povero ottenga invece quegli impieghi che offrono pi profitto che
onore: e tutti e due saranno contenti.
CAPITOLO III- Il Leviatano di Hobbes
Il Leviatano un mostro biblico: non c' potenza sulla terra che possa essergli paragonata.
Thomas Hobbes amante della tranquillit e della pace ma la sua Inghilterra non pu offrirgliele.
Fin da giovane non vede di buon occhio scolastica medievale, discussioni politico-religiose sulla
sovranit e interpretazione della Bibbia in quanto queste cose minano alla base l'autorit e
preparano la guerra civile.
Il Leviathan la sintesi del pensiero hobbesiano. Fin dall'introduzione l'autore chiarisce come
proceder: considerer, in primo luogo, la sua [del Leviatano] materia ed il suo artefice: l'uno e
l'altro sono l'uomo. In secondo luogo come e attraverso quali patti costituito; quali sono i diritti
ed il giusto potere di un sovrano; cosa lo tiene in vita e cosa lo annienta.
L'uomo si distingue dagli altri animali per la sua ragione, per la sua curiosit, cio il desiderio di
conoscere il perch delle cose, e per la religione, cio la ricerca della causa delle cause. Questa
la natura dell'uomo. Ma egli non vive solo: ha dei simili. Per ogni uomo un altro uomo
rappresenta un concorrente: entrambi sono avidi di potenza sotto ogni sua forma e questa
concorrenza porta alla guerra perpetua di tutti contro tutti (homo homini lupus).
L dove non c' potere comune, non c' legge; dove non c' legge non c' giustizia. La forza e
l'inganno sono le due virt cardinali. Ed in una guerra del genere non vi nemmeno produttivit
o propriet privata: ognuno padrone di ci che pu prendere e lo per tutto il tempo per cui
riesce a tenerlo.

Ecco descritto lo stato di natura. Per evitare la distruzione della specie, l'uomo deve uscire da
tale stato e pu farlo grazie alle sue passioni ed alla sua ragione. La paura per la morte, infatti,
spinge alla ricerca della pace e la ragione permette di trovarla alle condizioni pi vantaggiose.
L'accordo raggiunto, tuttavia, risulter inutile senza una potenza irresistibile, visibile e tangibile
che lo faccia rispettare con la minaccia di pene. La natura umana, infatti, senza tale autorit
spingerebbe alla rottura del patto. Questa potenza irresistibile, chiaramente, sar rappresentata
dallo Stato, il quale verr costituito dagli uomini per la propria salvaguardia, per uscire, senza pi
timori di ricadute, dallo spaventoso stato di natura.
Dunque, l'uomo non ricerca compagni che per interesse: la societ politica il frutto artificiale di
un patto volontario, di un calcolo interessato. Gli uomini stringono tra loro un contratto in base al
quale trasferiscono ad un terzo il diritto naturale assoluto che ognuno possiede su ogni cosa. La
volont unica di questo terzo, uomo o assemblea, si sostituir alla volont di tutti.
Hobbes non ha inventato la teoria del contratto nella sfera politica. Essa ha origini antiche ed i
teologi del medioevo gi erano soliti distinguere tra due tipi di contratto: con il primo, pactum
unionis o societatis, gli uomini isolati si riunivano in societ; con il secondo, pactum subjectionis,
la societ cede i propri diritti e si sottomette al sovrano.
Hobbes riesce, tramite il contratto, a fondare una sovranit ancora pi intransigente di quella di
Bodin senza indebolirla. Ci riesce facendo dei due contratti medievali uno solo: gli uomini si
costituiscono in societ e si sottomettono ad un padrone. Ma i patti rimangono tra sudditi, non
vengono fatti con il sovrano: i primi rinunciano, a vantaggio del secondo, ad ogni loro diritto o
libert che nuoccia alla pace. Essi sono vincolati, non il sovrano.
Teoricamente, come in Bodin, la forma di Stato non ha importanza: il contenuto della sovranit
non cambia. In realt, per, anche Hobbes preferisce la monarchia. Ogni uomo, infatti, pensa ai
propri interessi o a quelli dei suoi parenti o amici ma siccome i favoriti del re sono pochi mentre i
favoriti delle democrazie sono molti, la monarchia assicura un maggior grado di pace e
sicurezza. Inoltre, l'interesse personale del monarca coincide con l'interesse pubblico in quanto
ricchezza, forza e reputazione del sovrano derivano direttamente dalla ricchezza, dalla forza e
dalla reputazione dei suoi sudditi. Invece, in democrazia un governante corrotto pu ricavare
dalla perfidia o da una guerra pi di quanto ricaverebbe dalla prosperit pubblica.
Per quanto riguarda le caratteristiche della sovranit, anche qui essa assoluta ed indivisibile:
se frammentiamo il potere finiamo col distruggerlo. Prima manifestazione della sovranit ,
ancora una volta, il potere di fare e abrogare le leggi. Per quanto riguarda le consuetudini, dice
Hobbes che esse derivano la loro legittimazione dal silenzio del sovrano, espressione della sua
volont. Ancora, sempre come in Bodin, nemmeno per Hobbes il sovrano tenuto a sottostare
alle sue leggi: ogni potere legislativo legibus solutus.
Ma il sovrano deve procurare ai suoi sudditi la sicurezza. Da ci deriva la protezione della salute
del popolo, intesa non solo come conservazione della vita ma anche come godimento delle
soddisfazioni. Qualora tale protezione non possa pi essere assicurata, i sudditi sono sciolti da
qualsiasi obbligo verso il sovrano: potranno cercarne un altro. Questo il solo caso in cui i sudditi
possono venir meno all'obbedienza.
Il regnante deve poi assicurare ai suoi sudditi la libert, cio la mancanza di impedimenti esterni
ai loro desideri. Certo, anche le leggi in s sono degli impedimenti ma esse non sono fatte per
intralciare l'esistenza degli uomini. Anzi, sono fatte per guidarli e proteggerli da s stessi e dagli
altri.
Il sovrano deve, infine, garantire ai sudditi l'istruzione, l'educazione, la prosperit materiale e
l'eguaglianza formale di fronte alla legge e di fronte agli incarichi pubblici. Si esige che il sovrano
dia lavoro a tutti, assista quelli che non possono lavorare e protegga la propriet privata.
CAPITOLO IV- La politica tratta dalla Sacra Scrittura di Bossuet
Bossuet stato precettore del figlio di Luigi XIV, Delfino. Egli era portatore di una concezione
angusta e confortante, quella del governo della Provvidenza: non c' nulla di casuale nello
svolgimento delle cose. La fortuna non altro che una parola priva di senso. Nel tentativo di
istruire Delfino, Bossuet decide di scrivere egli stesso un'opera pedagogica: La politique. In
essa troviamo tutti i principali argomenti della letteratura politica.
I libri sono divisi in articoli, suddivisi a loro volta in proposizioni. In apparenza ogni proposizione

tratta dai Libri santi e questa l'originalit dell'opera. Ma se ci fermiamo ad analizzare


maggiormente, noteremo che l'autore attinge anche a fonti diverse (Aristotele ed Hobbes per
esempio).
L'opera si apre con questa prima proposizione: gli uomini non hanno che un unico e medesimo
fine, ed un unico e medesimo oggetto, Dio. Segue poi un estratto del Deuteronomio:
sembriamo in pieno Vecchio Testamento ma il titolo dell'articolo, L'uomo fatto per vivere in
societ, ci porta ad Aristotele.
Da questa introduzione sembrerebbe che Bossuet neghi lo stato di natura hobbesiano dell'homo
homini lupus. Invece il contrario in quanto vi stato il peccato originale: la societ umana
fondata su tanti sacri legami creati da Dio stata violata e distrutta dalle passioni. Da quel
momento, gli uomini non possono pi essere uniti a meno che non si sottomettano tutti ad uno
stesso governo. Soltanto l'autorit del governo pu far s che ogni individuo rinunci al primitivo
diritto naturale di appropriarsi con la forza di quanto gli conveniva.
Detto ci, per, Bossuet non prosegue sulla scia di Hobbes per quanto riguarda il contratto
sociale. Gli basta la spiegazione utilitaristica per cui gli uomini si uniscono in cerca della pace.
Aggiunge soltanto che la prima idea di comando viene dallautorit paterna. Per imitazione si
creano poi i re e cos via.
Chiuso il capitolo sullorigine della sovranit, si apre quello sulla migliore forma di governo. Basti
il titolo del secondo libro: Dellautorit: la reale ed ereditaria la pi appropriata al governo. La
migliore in assoluto quella in cui il trono si succede di primogenito maschio in primogenito
maschio.
Queste affermazioni non si giustificano con il solo fatto che lautore era precettore del figlio del
re di Francia: Bossuet era davvero convinto di ci che scriveva. Gli uomini nascono tutti sudditi:
lautorit paterna che li abitua ad obbedire, che li aiuta a non avere che un capo. Mai si pi
uniti che sotto un solo capo; mai si pi forti perch tutto concorre allo stesso scopo. Dunque,
niente divisioni, che sono il male pi grave di uno Stato, ma forza e stabilit. Daltronde, il
primogenito succede al padre: cosa vi di pi naturale?
A qualcuno sorger spontanea la domanda: Ma non deriva forse da Dio qualsiasi forma di
governo?. Ed infatti Bossuet non se ne dimentica: se Dio non ha prescritto nulla, ogni popolo
deve seguire la forma di governo stabilita nel suo Paese, perch Dio un Dio di pace, che vuole
la tranquillit delle cose umane.
Passiamo ora ad analizzare le caratteristiche della monarchia.
Essa prima di tutto sacra. I principi sono i ministri terreni di Dio ed attentare ad essi
sacrilegio. per questo che lobbedienza al sovrano un obbligo di coscienza. Certo, il re dovr
utilizzare la sua maest per il bene comune. Ad ogni modo, si deve obbedire anche agli ordini
non graditi ed ingiusti.
La monarchia poi assoluta, nello stesso senso inteso da Hobbes. Senza quest'autorit
assoluta, non pu n fare il bene, n reprimere il male; bisogna che il suo potere sia tale che
nessuno possa sperare di sfuggirvi: contro la sua autorit non pu esservi rimedio che nella sua
autorit. Infine, non esiste possibilit di coazione contro il principe: ci richiede forza ed
ammetterne un'altra oltre a quella statale ci fa ripiombare nella guerra di tutti contro tutti.
Di conseguenza, il principe sar sottoposto alla legge solo nel lato direttivo, non anche in quello
coattivo. In altre parole, egli sar obbligato a far rispettare quella legge fra i suoi sudditi ma non
sar obbligato egli stesso a seguirla. Ed a chi sostiene che un simile potere possa facilmente
sconfinare nell'arbitrio Bossuet risponde che ci non vero in quanto vi nel Principe il timore di
Dio.
L'autorit poi paterna perch i re tengono il posto di Dio, padre del genere umano. Ed il padre
buono, dolce, affidabile: cos anche la sua autorit, nonostante la fermezza.
Infine, la monarchia sottomessa alla ragione: il principe ragionevole conosce le leggi, gli affari,
le occasioni, gli uomini, sa parlare e sa tacere, sa informarsi ed ascoltare, sa scegliere il proprio
consigliere ma sta sempre attento.
Il sesto libro consacrato ai doveri dei sudditi. Possiamo riassumerli nell'obbedire senza
protestare in quanto la protesta disposizione alla sedizione. La sola eccezione a questa regola
rappresentata dall'ipotesi in cui il sovrano comandi contro Dio. In tal caso si dovr obbedire a

Dio piuttosto che agli uomini.


I quattro libri restanti sono di interesse notevolmente inferiore. Tuttavia, in essi sono contenuti i
doveri particolari del principe. Egli deve adoperare la sua autorit per distruggere le false
religioni, nonostante queste abbiano comunque il pregio di ammettere l'esistenza di qualche
divinit cui sono sottomesse le cose umane. Esse vanno eliminate perch soltanto la verit
conferisce allo Stato perfetta solidit. Infine, per quanto riguarda i mezzi del Potere, Bossuet
riprende Machiavelli riguardo la guerra: anche in tempi di pace, il sovrano non pu dimenticare
di curare l'esercito e l'apparato bellico. A disposizione della monarchia vi sono anche le imposte
ma esse non devono opprimere il popolo perch inviterebbero alla sedizione.
PARTE II- Assalto all'assolutismo
CAPITOLO I- I Due trattati sul governo di Locke
Locke nasce e vive in un'epoca tormentata da lotte intestine tra tories, fautori dell'ampliamento
delle prerogative reali, e whigs, oppositori di tale ampliamento di poteri. Tra il 1672 ed il 1680
l'atmosfera si fa carica di complotti veri o presunti. In uno di questi l'attivista whig Shaftsbury
viene accusato di cospirazione contro il re ed esiliato in Olanda. Locke, che gli era molto vicino,
decise per prudenza di trasferirsi anch'egli. Il paese olandese era la meta di molti rifugiati
religiosi, fuggiti per le persecuzioni derivanti dalla revoca dell'editto di Nantes.
Guglielmo d'Orange, appassionatamente olandese e protestante, era l'unica speranza contro il
cattolicesimo. Cos nel 1688 Guglielmo, invocato dalla maggioranza del popolo inglese, sbarca in
Inghilterra e vince la lotta contro gli Stuart. Il Parlamento pu ora dettare le sue condizioni
tramite il Bill of Rights.
Locke, invece, pu tornare nella sua terra d'origine e portare con s il Secondo trattato sul
governo civile: saggio concernente la vera origine, l'estensione ed il fine del governo civile. Ci
che il filosofo inglese cerca di fare in quest'opera demolire la teoria assolutista del diritto
divino.
Lo stato di natura di Locke regolato dalla ragione e i diritti di natura non lasciano il posto,
tramite il contratto, alla sovranit. Ad essi non si rinuncia, anzi essi costituiscono le basi della
libert.
Lo stato di natura uno stato di perfetta eguaglianza e libert proprio come diceva Hobbes, ma
non si ha una guerra di tutti contro tutti perch la ragione insegna agli uomini che, se tutti sono
indipendenti ed uguali, nessuno deve nuocere ad un altro. Inoltre, la natura autorizza, per
preservare e proteggere gli innocenti, a punire e combattere, proporzionalmente al torto, l'autore
dello stesso. Infine, tra i diritti naturali vi sicuramente la propriet privata. Perch vero che
Dio l'ha data in comune a tutti gli uomini ma ha dato loro anche la ragione, per capire che un
miglior utilizzo della terra stessa pu derivare da un'appropriazione individuale.
Ma se lo stato di natura cos idilliaco, a che serve la societ? Locke ci spiega che gli uomini
formano la societ per non incorrere in alcuni rischi, come quello di non osservare giustizia, di
essere parziale, di punire per passione o vendetta. per superare questi inconvenienti, colmare
la mancanza di leggi comuni, di giudici imparziali e di una forza coattiva capace di assicurare
l'esecuzione delle sentenze, che si decide di costituire la societ.
Il consenso la sola base legittima della formazione del potere politico: essendo gli uomini tutti
naturalmente liberi, uguali ed indipendenti, nessuno pu essere rimosso da tale stato senza il
suo consenso.
Il potere patriarcale non adatto in quanto serve solo a preparare il bambino ad esercitare
libert e intelligenza.
Ed anche il governo assoluto illegittimo in quanto inconcepibile il consenso degli uomini a
tale governo. Sarebbe come ammettere che tutti, ad eccezione di uno solo, saranno sottomessi
esattamente e rigorosamente alle leggi, e che questo solo privilegiato manterr sempre tutta la
libert dello stato di natura, aumentata ed accresciuta del potere, e divenuta licenziosa per
l'impunit.
Locke riesce poi anche ad affermare la distinzione dei poteri civili. Vediamo come.
L'uomo, allo stato di natura, ha due poteri: quello di decidere cosa giusto per s ed il potere di
punire i crimini contro le leggi naturali. La societ, erede dei poteri dei singoli, dovr avere

anch'essa un potere legislativo, che stabilisca cosa giusto per la societ, ed un potere
esecutivo, che assicuri il rispetto delle leggi positive.
Questi poteri dovranno sempre trovarsi in mani diverse. In primo luogo per motivazioni di
carattere pratico: il potere esecutivo dev'essere sempre in funzione mentre quello legislativo pu
prendersi delle pause. Infatti, non sempre necessario fare leggi, ma lo sempre far eseguire
quelle che siano state fatte. E poi la tentazione di abusare del potere sarebbe troppo forte in
coloro che detengono sia l'una che l'altra funzione.
Il legislativo il potere supremo, e lo aveva gi capito Bodin, in quanto la prima e fondamentale
legge di uno Stato quella che fonda il potere legislativo. Tuttavia, il potere esecutivo non un
semplice subalterno in quanto, per il bene della societ, molte cose vanno lasciate alla
discrezione di chi lo detiene.
Ma da una simile descrizione potrebbe sembrare che il potere sovrano, senza limiti umani,
frenato soltanto dal timore di Dio che gli assolutisti attribuivano al monarca abbia soltanto
cambiato padrone, finendo nelle mani del Parlamento. Non cos, spiega Locke, perch i diritti
naturali non si perdono in seguito al consenso ad entrare in societ. Essi sussistono, fondano la
libert e limitano il potere sociale. Il legislativo deve tendere sempre al bene pubblico e non pu
assolutamente essere arbitrario nei confronti del popolo. D'altronde, nessuno pu conferire pi di
quanto possieda: nessun uomo, e dunque nemmeno il Parlamento, pu avere diritto a
distruggere, rendere schiavo o impoverire un suddito. Stesso discorso vale per il potere
esecutivo e la sua discrezionalit.
Ma chi giudicher il rispetto dei limiti? Chi sanzioner un eventuale abuso? Tali prerogative
spettano al popolo, depositante del potere. Vi a favore dei sudditi un diritto di insurrezione: il
popolo, in virt di una legge che precede tutte le leggi positive, si riservato il diritto di
esaminare se esiste giusto motivo di appellarsi al cielo.
E, se si obietta a Locke che ci pu portare a perpetui disordini egli risponder che ci non
vero. Innanzitutto perch l'inerzia del popolo non lo porta che ad insorgere in casi estremi.
Inoltre, quando il peso dell'assolutismo diviene insopportabile, non si pu che cercare di liberarsi
dal giogo imposto: ci del tutto naturale. Ma, soprattutto, se le persone sagge e virtuose
concedessero tutto, per amore della pace, a coloro che volessero far loro violenza, questa pace
assomiglierebbe a quella che si pretenderebbe esistere tra lupi ed agnelli, quando gli agnelli si
lasciassero sbranare e divorare tranquillamente dai lupi. O prendiamo, come esempio, la
caverna di Polifemo, chi dubita che Ulisse non predicasse l'obbedienza passiva, illustrando ai
suoi compagni quanto la pace sia necessaria ed indicando loro gli inconvenienti a cui avrebbero
potuto andare incontro, se avessero cominciato a resistere a Polifemo?.
CAPITOLO II- Lo spirito delle leggi di Montesquieu
Perch in un dato Paese, in un dato momento storico, vi una legge e non un'altra? Perch, a
parit di altre condizioni, una certa legge efficace ed un'altra no? A tutto ci voleva rispondere
Montesquieu ma per farlo si deve ammettere che esista uno spirito delle leggi, che il
legislatore obbedisca a principi, motivi e tendenze.
L'autore, infatti, al contrario di Machiavelli, non crede che la fortuna comandi sul mondo: ho
esaminato gli uomini e mi parso che non fossero guidati esclusivamente dalle loro fantasie,
cos come nella storia non sono semplicemente oggetto di una successione di accidenti
particolari.
D'altronde, Montesquieu si accorger che, l dove l'apparenza rivela soltanto una
contrapposizione di istituti, la ragione scopre legami logici e quasi armonie concertate.
L'essenziale saper cercare l'ingranaggio principale da cui dipendono tutti gli altri. Per fare ci
necessario un metodo scientifico sperimentale fatto di infinite osservazioni e confronti, finch lo
spirito delle cose emerge fino ad elevarsi al di sopra dei fatti. Cos il caos sar sbrogliato
sperimentalmente e scientificamente, non attraverso una visione dello spirito.
Prosegue Montesquieu: ho enunciato i principi ed ho visto ad essi piegarsi i casi particolari ed
ogni legge collegarsi ad un'altra o dipendere da una pi generale. I principi di cui si parla sono
quelli per cui: ogni legge ha la sua ragione, perch ogni legge relativa ad un elemento della
realt fisica, morale o sociale; ogni legge suppone un rapporto. Una catena di rapporti, un
sistema di rapporti poi quello che abbiamo chiamato spirito delle leggi.

Ma se si cerca in Montesquieu un teorico politico, non si trover mai un sistema completo da


capo a piedi alla maniera di Bodin, Hobbes o Locke: non era questo il proposito del giurista.
D'altronde egli era chiuso alla teologia ed alla metafisica e si sarebbe trovato in difficolt su
terreni completamente astratti come quello della societ o del diritto. Ed infatti, nelle prime
pagine de L'esprit des lois, i problemi sono accennati pi che trattati: cos con la definizione di
legge o la descrizione dello stato di natura.
Con la teoria dei governi, l'autore abbandona la classificazione tradizionale delle forme di
governo (democrazia, aristocrazia, monarchia) sostituendovi quella repubblica (democrazia ed
aristocrazia), monarchia, dispotismo.
Ci che occorre fare in via preliminare distinguere tra natura del governo e suoi principi. La
natura ci che rende tale quel governo, la sua struttura; i principi, invece, sono ci che lo fanno
agire, le passioni umane.
La natura dei tre diversi governi intuibile. Il governo repubblicano sar quello in cui il popolo, o
parte di esso, detiene il potere; il governo monarchico quello in cui governa un uomo solo ma
attraverso leggi fisse e stabili; infine, il governo dispotico sar quello di un uomo solo il quale
regna senza leggi n regole.
Nella repubblica democratica il popolo sia suddito che sovrano. anche sovrano in quanto, e
nella misura in cui, fornisce il proprio suffragio, dichiara la propria volont. Pertanto, in questa
forma di governo, sono essenziali le leggi che stabiliscono il diritto di suffragio. Ed importante
anche che il popolo faccia da s ci che pu far bene da s e faccia il resto delegando a ministri
o magistrati da esso stesso scelto. Il popolo, d'altronde, migliore anche del monarca
nell'informarsi su determinati soggetti e sceglierli come propri ministri.
Rientra poi nella natura di una repubblica democratica, cos come in quella di un'aristocrazia,
che essa non possieda che un piccolo territorio, condizione senza la quale non pu quasi
sussistere. Nelle grandi repubbliche, infatti, il bene comune incessantemente sacrificato in
favore di grandi fortune e per la particolarizzazione degli interessi.
Al contrario, il principio della democrazia la virt, intesa come virt politica. Essa esige che si
faccia all'interesse pubblico, un costante sacrificio di s stessi e dei propri appetiti. Ma perch
tante esigenze estranee agli altri governi? Perch la democrazia il governo della maggioranza
e, se tale maggioranza viene corrotta, lo Stato gi perduto. Se viene meno la virt,
l'ambizione penetrer in alcuni cuori e l'avarizia in tutti: la repubblica finir per non essere altro
che il potere di qualche cittadino e la licenza di tutti. Per questo l'educazione importante:
bisogna educare i bambini alla virt ed all'amore per il governo perch questo come tutte le
cose del mondo: per conservarlo bisogna amarlo. Cos, mentre per una democrazia difficile
riparare agli errori, al monarca basta cambiare i cattivi consiglieri o correggere la propria
negligenza.
Come appena visto, la repubblica viene meno quando viene meno anche lo spirito di
eguaglianza, forma della virt. Ma la repubblica verr meno anche quando lo spirito di
eguaglianza sar troppo forte, quando, cio, ognuno vorr essere uguale a chi egli stesso ha
voluto a proprio comando, quando nessuno vorr pi padroni. Lo sbocco inevitabile di tale
situazione la tirannia: si formano tanti piccoli tiranni che hanno tutti i vizi di uno solo. Ben
presto si fa avanti un solo tiranno e il popolo perde tutto. A dir la verit nella tirannia il popolo
conserva l'uguaglianza. Ma prima esisteva uguaglianza in quanto i cittadini erano tutto, ora vi
uguaglianza perch i cittadini non sono nulla.
La natura dell'aristocrazia nota; il suo principio meno. Essi non sta nella virt in quanto raro
che l dove le fortune degli uomini sono cos diseguali, vi sia molta virt. Il principio si trover
piuttosto nello spirito di moderazione di coloro che comandano, nel loro tentativo di smorzare le
ineguaglianze.
Passiamo subito alla monarchia. La sua natura l'abbiamo gi vista: potere di uno solo assistito da
leggi fisse e stabilite. La fissit delle leggi argina la volont momentanea e capricciosa del
monarca. Ci presuppone poteri intermedi ed un deposito delle leggi. Senza poteri intermedi,
infatti, la potenza sovrana invaderebbe ogni cosa.
Ma quali sono questi poteri? Innanzitutto la nobilt; poi il clero e le citt con i loro privilegi. Il
deposito delle leggi, invece, fisse e stabilite, affidato al potere intermedio del Parlamento, che

non ne faccia dimenticare la presenza. E a chi sostiene che il Parlamento non faccia altro che
sollevare difficolt su tutto, rallentando il processo legislativo, Montesquieu risponde che
proprio questa la sua funzione: rallentare il passo veloce della monarchia, stabilire un momento
di riflessione.
Ma non vi il pericolo che questi poteri intermedi si scontrino tra loro? O che si oppongano al
popolo o al principe? Il pericolo esiste ma proprio questo gioco di pesi e contrappesi che regge
la monarchia.
Detto ci, qual il principio della monarchia? L'onore, inteso come pregiudizio di ogni persona o
condizione. Si tratta, in altre parole, dell'ambizione, cos dannosa in una repubblica ma cos
importante nel governo monarchico. Infatti, ognuno difendendo il proprio status, la propria
condizione, far del bene anche allo Stato che, come visto, ha bisogno di questi pesi e
contrappesi rappresentati dai poteri intermedi.
In effetti, le monarchie si corrompono allorch si tolgono le prerogative ai corpi o i privilegi alle
citt, allorch un principe crede di mostrare maggiormente la sua potenza cambiando l'ordine
delle cose piuttosto che seguendolo, allorch il principe trasferisce lo Stato nella sua capitale, la
capitale nella sua corte e la corte nella sua persona.
Questi errori trasformano la monarchia in dispotismo. La sua natura nota mentre il suo
principio qual ? Non pu essere la virt n la moderazione; l'onore pericoloso. Il vero principio
la paura, il fine la tranquillit. Tranquillit che Montesquieu definisce come il silenzio delle
citt che attendono di essere occupate dal nemico e che Locke chiamava la pace dei cimiteri.
In tale governo, il principe non pu mai rilassarsi: per dirla alla Machiavelli egli deve sempre
avere il coltello in mano. D'altro canto, l'obbedienza dev'essere assoluta: niente obiezioni, siano
esse basate sui sentimenti, sulla salute o sull'onore. Si ricevuto l'ordine e questo basta:
l'uomo una creatura che obbedisce ad una creatura che vuole.
L'unica educazione ammessa nel regime dispotico quella alla paura; il sapere troppo
pericoloso e l'obbedienza assoluta presuppone l'ignoranza in chi obbedisce ed anche in chi
comanda: non c' nulla da ragionare, da mettere in dubbio; non c' che volere.
Con il libro XI si apre un nuovo clima, una nuova atmosfera: dalla teoria dei governi si passa a
quella della libert politica. Ma che cos' questa libert? Dal momento che, nelle democrazie, il
popolo sembrava fare pi o meno quello che voleva, si posta la libert in questa forma di
governo e si confuso il potere del popolo con la libert.
Ma la libert politica non consiste nel fare quello che si vuole. E dunque? Cosa la libert?
poter fare ci che si deve volere, nel non essere mai costretti a fare ci che non si deve volere. A
stabilire cosa si debba o non debba volere ci penseranno poi le leggi. La libert, quindi, il
potere delle leggi. Detto altrimenti, la libert politica quella tranquillit di spirito che deriva
dalla consapevolezza della propria sicurezza; bisogna che il governo sia tale che un cittadino non
debba temere un altro cittadino.
Questa libert non si ha sempre in quanto chiunque detiene un potere portato ad abusarne.
L'abuso di potere impedito soltanto nel caso in cui il potere arresti il potere, il che
presuppone la frammentazione del potere stesso.
Da questa teoria si passa presto allo studio delle tre forze che compongono il governo inglese,
cio quello dell'unica nazione che ha posto ad oggetto della propria costituzione la libert
politica come descritta poco pi su. A ben guardare lo stesso tipo di governo misto tanto
condannato da Bodin in nome dell'indivisibilit della sovranit.
Il popolo non agisce direttamente ma lo fa tramite rappresentanti in quanto improponibile che
il popolo intero detenga un potere come quello legislativo: la produzione di una qualsiasi legge
diverrebbe impossibile.
Ma come si scelgono i rappresentanti? Il metodo migliore farlo su base locale, dividendo il
Paese in circoscrizioni: si conoscono meglio i bisogni della propria citt che quelli delle altre, e si
giudica meglio della capacit dei propri vicini. Chi ha diritto ad eleggere? Tutti i cittadini,
eccetto coloro che sono in cos bassa condizione da essere ritenuti privi di volont propria. Il
corpo di rappresentanti cos composto, che corrisponde alla Camera dei Comuni, dovr fare le
leggi e controllare che quelle fatte siano ben eseguite.
La Camera dei Lords, invece, il corrispettivo della nobilt. Il corpo dei nobili dev'essere

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ereditario. Lo , prima di tutto, per sua natura; e, d'altra parte, bisogna che esso abbia un
grandissimo interesse a conservare le sue prerogative, dal momento che rappresenta il
bersaglio di molti. Se [queste persone], distinte per nascita, ricchezze, onori, fossero confuse
tra il popolo, e non avessero che una voce pari a quella degli altri, la maggior parte delle
risoluzioni sarebbe contro di loro. La loro partecipazione alla legislazione deve dunque essere
proporzionata agli altri vantaggi di cui godono: essi dovranno formare un corpo che ha il diritto di
arrestare le imprese popolari, come il popolo ha diritto di arrestare la loro. Cos viene
giustificato il potere di veto della Camera dei Lords.
Al monarca, infine, va il potere esecutivo perch questa parte del governo ha bisogno di azioni
rapide e dunque meglio che dipenda da un solo soggetto.
Ma come impedire che il legislativo sconfini nell'esecutivo e viceversa? Tramite una monarchia
mista. Le prerogative del sovrano, dei grandi e del popolo sono talmente moderate le une dalle
altre, che si sostengono reciprocamente. Essendo il corpo legislativo composto di due parti,
l'una vincoler l'altra, tramite la reciproca facolt di impedimento. Tutte e due saranno vincolate
dal potere esecutivo, che lo sar, a sua volta, dal legislativo.
Ci che permetter al legislativo di opporsi al monarca saranno, in primo luogo, sessioni
periodiche: non dovranno pi esservi re che cercano di governare senza Parlamento. In assenza
di riunioni, infatti, o non ci sarebbero pi risoluzioni legislative, e lo Stato cadrebbe
nell'anarchia; oppure queste risoluzioni sarebbero prese dal potere esecutivo, che diverrebbe
cos assoluto. Il potere legislativo potr, inoltre, esaminare in quale maniera le leggi sono
eseguite. Il re, sacro ed inviolabile, rimane comunque al suo posto ma i suoi consiglieri possono
essere ricercati e puniti. Ci si riferisce qui al meccanismo dell'impeachment: la messa in stato
d'accusa di un ministro.
L'esecutivo, dal canto suo, avr il potere di convocare ed aggiornare (sciogliere) il legislativo. Se
questo potesse convocarsi ed aggiornarsi autonomamente, potrebbe darsi che non si
aggiornasse mai, il che sarebbe pericoloso, nel caso in cui volesse attentare contro il potere
esecutivo.
Inoltre, anche il re avr un diritto di veto. Se cos non fosse, si vedrebbe presto spogliato delle
sue prerogative.
Infine, come detto, il sovrano sacro ed inviolabile. Ci necessario alla libert in quanto, nel
momento in cui fosse posto in stato di accusa o giudicato, il potere legislativo potrebbe
approfittarne per divenire tirannico.
E se questi poteri si bilanciassero cos bene da annullarsi a vicenda? Essi sarebbero obbligati a
mettersi d'accordo per il movimento necessario delle cose, perch il mondo non si ferma. Questa
risposta indubbiamente ottimistica ma ancora non si era pensato alla figura del primo ministro:
egli capo della maggioranza ma gode anche della fiducia del re e dunque dovrebbe essere in
grado sempre di mettere d'accordo le parti.
La teoria della libert politica finisce qui, lasciando il posto a quella dei climi.
Cosa prevale tra cause fisiche e cause morali? E tra uomo-spirito e uomo-animale?
Tra le cause fisiche riscuoteva un gran successo il clima, gi preso in considerazione, tra gli altri,
da Aristotele e Bodin, il primo a rapportarlo alla scienza politica. Egli, tuttavia, sottolineava che il
Paese e la natura dei luoghi non determinano necessariamente i costumi degli uomini.
Montesquieu, in particolare, attribuisce grande rilevanza all'aria. Quella fredda restringe le
estremit delle fibre, ne diminuisce la grandezza e ne aumenta la forza; l'aria calda, al contrario,
rilassa le fibre, le allunga e ne diminuisce forza ed energie. Dunque, nei climi freddi vi sar pi
forza e quindi maggior fiducia in s, maggior coraggio e senso di sicurezza. Nei paesi freddi si ,
infine, meno sensibili ai piaceri, al dolore ed all'amore.
Ma il rapporto con i governi in cosa consiste? Montesquieu lo vede: per esempio, perch in Asia
domina lo spirito di servit ed in Europa quello della libert? Perch l'Asia non ha zone
temperate: i popoli guerrieri delle zone fredde sono ad immediato contatto con i popoli
effeminati delle zone calde. Gli uni saranno necessariamente conquistatori, e gli altri
conquistati. Al contrario, in Europa il clima muta gradevolmente: i popoli vicini hanno
pressapoco la stessa forza e dunque lottano alla pari, o quasi, per essere liberi. Inoltre, le grandi
pianure dell'Asia favoriscono il dispotismo mentre in Europa la divisione naturale forma pi Stati

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di mediocre estensione, favorevoli al governo moderato.


Tutto ci non che un mucchio di fantasie e Montesquieu cerca di riparare con la teoria dello
spirito generale.
Molte cose governano gli uomini: il clima, la religione, le leggi, le massime del governo, gli
esempi delle cose passate, i costumi, le maniere. Da ci si forma uno spirito generale che ne il
risultato. Questa dominante differisce secondo le nazioni: la natura ed il clima dominano quasi
soltanto sui selvaggi, le usanze governano i Cinesi, le massime del governo ed i costumi antichi
Roma.
A questo punto, per, sono pi forti le leggi o i costumi? Montesquieu non d una risposta netta
ma avverte il legislatore di stare attento a non voler cambiare lo spirito generale di una
nazione. In questo carattere di ogni nazione, virt e vizi si mescolano: le mescolanze felici
sono quelle da cui risultano grandi vantaggi. Cos, Montesquieu suggerisce di riformare
attraverso la legge ci che stato stabilito per legge; ma cambiare esclusivamente con altri
costumi e maniere ci che stato stabilito dai costumi e dalle maniere.
Dunque, a prima vista, dall'analisi appena fatta, sono le leggi a seguire le consuetudini, che
costituiscono la parte principale dello spirito generale. Ci vero nella maggior parte dei regimi.
Ma il discorso non vale nei Paesi in cui l'oggetto diretto delle leggi costituzionali la libert
politica: in questo caso la stessa forza della libert a trascinare tutto il resto. Il popolo cos
geloso del proprio status libero che sarebbe disposto a tutto pur di difendere la situazione.
CAPITOLO III- Il Contratto sociale di Rousseau
L'uomo nato libero, e dovunque in catene. Come potuto avvenire un cambiamento del
genere? Lo ignoro. Cosa pu renderlo legittimo? Credo di poter rispondere a questa domanda.
L'obbligo sociale non pu fondarsi legittimamente n sulla forza n sull'autorit di un padre o
qualsivoglia altro capo naturale: queste sono teorie assolutiste. Il solo fondamento legittimo pu
risiedere nella convenzione stabilita da tutti i membri della costituentesi societ, nel consenso
unanime. Precisamente, ognuno mette in comune la sua persona ed ogni suo potere sotto la
suprema direzione della volont generale. In questo modo si realizza l'uguaglianza: ci si
impegna verso tutti ma non si dipende da nessuno; ognuno acquista su chiunque altro lo stesso
diritto che cede. Soltanto in tal modo libert ed obbedienza sono salve.
Rousseau, in altre parole, al pari di Montesquieu ma meno chiaramente, dimostra che ognuno
sia cittadino che suddito. Cittadino in quanto partecipa all'attivit del corpo politico, suddito in
quanto obbedisce alle leggi votate dallo stesso corpo politico di cui fa parte.
Il tutto poi circondato dall'aura metafisica della volont generale. Essa non la semplice
somma di pi volont particolari, di tutti o della maggioranza. Essa implica anche un elemento di
moralit: l'interesse particolare si contrappone alla volont generale intesa come interesse
generale, bene di tutti.
Ora, se il popolo nel suo insieme, come sovrano, non potr che volere il bene comune, ognuno
dei suoi membri, in quanto cittadino ma anche suddito, potr avere due volont contrapposte:
l'una che lo invita a seguire l'interesse generale, l'altra che lo porta alla ricerca della
soddisfazione dei suoi interessi particolari.
La libert proprio qui: far prevalere la volont generale alla propria, preferire l'amore del
gruppo all'amore di s. Costringere all'obbedienza chi rifiuta di sottomettersi alla volont
generale semplicemente costringerlo ad essere libero, realizzare la libert, non violarla.
Rousseau tiene conto anche della distinzione tra dipendenza dagli uomini e dipendenza dalle
cose. Se afferma che la libert indipendenza dalle volont particolari, egli allo stesso tempo
sa bene che l'uomo duramente sottomesso anche alla natura fisica, alle cose. Queste, tuttavia,
non alterano la libert in quanto dipendere da esse non altro che sottostare alla necessit, a
leggi non umane e dunque non dipendenti da una volont particolare.
Tutto ci che altera la libert, allora, si riduce alla dipendenza dagli uomini. Come impedirla?
Attraverso la legge, espressione della volont generale, unica capace, proprio per la sua natura
impersonale, di restituire all'uomo libert, moralit e virt, cio l'equivalente, e pi, della libert
naturale.
Egli ottiene pi della libert naturale in quanto la clausola del patto sociale uguale per tutti. Di
conseguenza, il sovrano non pu fare maggiore pressione su un cittadino piuttosto che su un

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altro: si riottenuta l'eguaglianza naturale e si sono eliminate le disuguaglianze fisiche che la


natura poteva aver creato (intelligenza, forza, ecc.).
Per quanto riguarda, invece, la ricchezza le cose sono pi complesse.
Lo Stato padrone di tutti i beni, in virt del contratto sociale. Tuttavia non spoglia i cittadini dei
loro beni ma anzi ne assicura e protegge il possesso legittimo: la propriet-diritto si sostituisce
alla propriet-stato-di-fatto.
Tuttavia, se alcuni hanno troppo ed altri troppo poco vi il rischio di tirannia e dissolutezza.
Bisogna far s che nessun cittadino sia abbastanza ricco da poterne comperare un altro e
nessuno abbastanza povero da essere costretto a vendersi. In questo modo l'uguaglianza non
pi soltanto apparente ed illusoria come nello stato di natura, in cui il povero era lasciato nella
miseria ed il ricco nell'usurpazione.
La snaturazione dell'uomo completa: i suoi istinti sono trasformati e la sua natura stata
modificata per il bene comune; egli non si considera pi un'unit ma una parte del tutto. L'uomo
ha guadagnato l'equivalente di ci che aveva perso e qualcosa di pi, sostituendo la giustizia
all'istinto e dando alle sue azioni la moralit che mancava.
Ma analizziamo ora i caratteri della sovranit. Il sovrano, secondo il patto sociale, il popolo
come corpo nell'atto di emanare la volont generale attraverso la legge. La volont del sovrano
il sovrano stesso. Dunque, la sovranit ha le stesse caratteristiche della volont.
Essa innanzitutto inalienabile. Il potere pu essere ceduto, la volont no. Nessun patto di
sottomissione concepibile contemporaneamente o successivamente al contratto sociale.
L'insieme dei cittadini smetterebbe di essere tale nel momento stesso in cui cedesse la propria
volont. Per lo stesso motivo la volont non pu essere rappresentata da un deputato: il sovrano
pu dire di volere ora quello che vuole il rappresentante; ma non pu dire di volere quello che
vorr domani lo stesso deputato. I deputati del popolo dunque non sono che commissari: ogni
legge che il popolo in persona non ha ratificato, nulla; non affatto una legge.
La volont poi indivisibile: o generale o non lo ; quella del corpo popolare o
semplicemente di una sua parte, e la volont di una parte non che una volont particolare.
Dividere la sovranit significa ucciderla.
La volont, ancora, infallibile, non pu sbagliare: sempre giusta e mira sempre all'utilit
pubblica. D'altronde, se il sovrano formato dai suoi cittadini, ed essi soltanto, non potr certo
volere qualcosa di nocivo per s o per qualche suo cittadino particolare. Ci richiede, per, che
ogni cittadino dica ci che egli pensa personalmente, senza intermediazione alcuna di partiti,
associazioni o qualsivoglia altra societ parziale.
Infine, la volont assoluta, nel senso che vi dev'essere un potere assoluto che permetta allo
Stato di muovere e disporre ogni parte nella maniera pi conveniente al tutto. Come la natura
d ad ogni uomo un potere assoluto su tutte le sue membra, il patto sociale d al corpo politico
un potere assoluto su tutti i suoi membri.
Ci non vuol dire che il potere politico non abbia limiti: il cittadino ha diritti in quanto uomo tout
court. evidente che tutto ci che ciascuno aliena con il patto sociale soltanto quella parte
che utile per l'uso della comunit.
Rousseau, nonostante tutto, vuole affermare il dispotismo della volont generale. E ci riesce.
Infatti, soltanto il sovrano pu decidere cosa sia utile per la comunit e tutti i servizi che un
cittadino pu rendere allo Stato, deve prestarli non appena il sovrano li chiede. D'altronde,
conclude semplicisticamente l'autore, i sudditi, obbedendo al sovrano, non obbediscono che alla
loro libert.
Tutta questa costruzione si risolve, in ultima istanza, nella legge, espressione della volont
generale, di cui Rousseau ha un'idea sacra e verso cui nutre un religioso rispetto. In essa sta il
solo rimedio efficace contro i capricci e l'arbitrio degli uomini particolari, detentori di potere. Essa
soltanto garantisce giustizia e libert. Per questo, il gran problema [] trovare una forma di
governo che metta la legge al di sopra dello uomo. Essa non dev'essere espressione della
volont arbitraria del sovrano ma il riflesso di un'ordine trascendente, ispirazione celeste.
Che cos', dunque, la legge? Innanzitutto pu riguardare soltanto materie generali come la
volont stessa che decreta (ancora una volta torna l'ossessione contro gli interessi particolari):
ogni funzione che si riferisca ad un oggetto individuale non riguarda assolutamente il potere
legislativo.

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Se, per, proviamo ad approfondire il pensiero dell'autore ginevrino, pi le domande si fanno


specifiche e pi ci si sente in alto mare. Il popolo sar di comune accordo per un'improvvisa
ispirazione? Il corpo politico possiede un organo per dichiarare le proprie volont?. E,
soprattutto, come potr una moltitudine cieca, che spesso non sa quello che vuole perch
raramente sa ci che le conviene, eseguire con le sue proprie forze un'impresa tanto grande,
tanto difficile, come un sistema di legislazione?.
Risponde Rousseau: la volont generale sempre giusta, ma il giudizio che la guida non
sempre illuminato. Bisogna mostrarle la retta via che sta cercando, garantirla dalla seduzione
delle volont particolari, bilanciare le attrattive dei beni presenti e sensibili con i pericoli dei mali
nascosti e lontani. Allora, dai lumi pubblici risulta l'unione dell'intelletto e della volont nel corpo
sociale, e da ci l'esatto concorso delle parti, ed infine la maggior forza del tutto. Ecco donde
nasce la necessit di un Legislatore.
Incredibile! Rousseau fa appello ad un legislatore, un individuo unico. Egli, per, un essere
straordinario e quasi divinamente ispirato che dovr dare al popolo le sue leggi essenziali.
Vengono alla mente Mos, Solone, Licurgo, ma probabilmente l'autore, ginevrino, aveva in
mente Calvino che fece proprio di Ginevra la Citt-Chiesa.
Il legislatore dev'essere straordinario per il suo genio e per il suo ruolo.
Per il suo genio in quanto per scoprire le migliori regole di vita sociale sarebbe necessaria
un'intelligenza superiore che vedesse tutte le passioni degli uomini senza provarne alcuna, che
non avesse alcun rapporto con la nostra natura, pur conoscendola a fondo. Ci vorrebbero degli
dei per dar leggi agli uomini.
Per il suo ruolo in quanto il legislatore non sovrano, non comanda gli uomini ma le leggi
soltanto; egli costituisce lo Stato ma non fa parte della sua costituzione. Egli non pu dare forza
esecutiva alle sue leggi perch soltanto il popolo-sovrano pu fare ci. Si pu immaginare un
ruolo pi straordinario di questo?
Un legislatore simile appare impossibile da rintracciare. Rousseau ci smentisce con un
sotterfugio: la finzione dell'intervento divino. Tutti i grandi legislatori hanno fatto parlare gli dei,
hanno attribuito loro la propria saggezza, hanno messo sulla loro bocca le decisioni della sublime
ragione per trascinare con l'autorit divina quelli che la prudenza umana non avrebbe potuto
scuotere.
Il legislatore cos descritto, per, non sembra altro che un impostore. Rousseau, ancora una
volta, nega. Non da tutti far parlare gli dei, n essere creduti quando ci si proclama loro
interpreti.
Dunque, pi di qualsiasi altra legge o costituzione, ci che veramente importante sono
consuetudini, costumi, e soprattutto opinione pubblica, cosa sconosciuta ai nostri politici, ma da
cui dipende il successo di tutte le altre: cosa di cui il grande legislatore si occupa in segreto,
mentre sembra limitarsi a regolamenti particolari che non sono che la curvatura della volta, di
cui le consuetudini, pi lente a formarsi, costituiscono infine l'incrollabile chiave. Redigere
buone leggi non tutto; bisogna che il popolo a cui sono destinate sia in grado di sopportarle.
Anche nell'esecuzione delle leggi, sono necessari uomini particolari ed atti particolari. D'altronde,
cosa significa applicare una legge se non tradurla in atti particolari di uomini particolari?
Ora, per, chi far tutto ci? Quali uomini particolari comanderanno agli altri atti particolari?
Come faranno a non far crollare l'intero sistema del patto sociale? Si tratta, dice Rousseau, di
separare il sovrano dal governo: bisogna, infatti, trovare il modo di limitare quest'ultimo, sempre
portato, per sua natura, ad andare contro il sovrano.
Ma definiamo meglio il governo. Se il sovrano vuole, potremmo dire che il governo agisce,
esegue. Esso la forza al servizio della volont. Dev'essere costituito in modo che segua
sempre la legge, e che non esegua mai altro che la legge. Chi ha confuso il governo con il
sovrano non ha capito nulla: il governo un ministro del sovrano, un corpo intermedio tra questo
ed il popolo. I membri di questo corpo, detto Principe, sono chiamati magistrati, o re.
Da notare che, tra popolo e Principe non esiste, n potrebbe esistere, alcun patto: i depositari
del potere esecutivo non sono affatto i padroni del popolo, ma i suoi ufficiali; esso pu quindi
istituirli e destituirli quando gli piace.
Quando il deposito di cui abbiamo appena detto affidato a tutto o alla gran parte del popolo si
ha democrazia; quando affidato ad una cerchia ristretta si ha aristocrazia; quando affidato ad

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un uomo solo si ha la monarchia. Sembra non esserci nulla di nuovo ma in realt tutto
cambiato, perch Rousseau distingue sovrano e governo, subordinando a tale distinzione la
legittimit del potere. Le forme di governo legittime si classificano unicamente in base al numero
di membri che costituiscono l'esecutivo.
Cos, in democrazia il popolo non solo vota le leggi ma decide anche le misure per la loro
esecuzione: legislativo ed esecutivo sono strettamente connessi. Ne consegue che la democrazia
un cattivo governo perch le cose che devono essere distinte non lo sono: non va bene che
chi fa le leggi le esegua.
L'aristocrazia risulter essere la forma di governo in cui i depositari dell'esecutivo sono in
numero ristretto. Essa pu essere naturale (capi famiglia), elettiva o ereditaria. L'ereditaria la
peggiore, l'elettiva la migliore in quanto attraverso l'elezione si pu far si che siano i pi saggi a
governare.
Ad ogni modo, l'aristocrazia richiede moderazione nei ricchi e soddisfazione del proprio stato
nei poveri. chiaro che tali condizioni saranno difficili da ottenere e dunque neppure
l'aristocrazia la miglior forma di governo.
Nella monarchia, infine, si ha il maggior vigore: tutto risponde ad un unico centro motore, tutte
le energie della macchina sono nella stessa mano, tutto volto allo stesso fine; non ci sono
movimenti opposti, che si distruggono fra di loro. Dunque Rousseau monarchico? Non
esattamente: tutto diretto ad un unico scopo, vero, ma questo scopo non affatto quello
della felicit pubblica.
Allora qual la migliore forma di governo? La verit che, in questo campo, Rousseau non ha
nulla di definitivo da dire: si molto discusso sulla migliore forma di governo, senza considerare
che ognuna di esse la migliore in certi casi, e la peggiore in altri. Ed in ogni caso il governo
rimane contaminato da un vizio inerente la sua stessa essenza.
Come la volont particolare agisce incessantemente contro la volont generale, cos il governo
fa uno sforzo continuo contro la sovranit. Infatti, il governo un corpo intermedio tra sovrano
e sudditi: rappresenta una piccola societ nella grande. Essa avr i propri interessi, il suo spirito
di corpo, la sua forza, ecc. Insomma, si tratta di un corpo che, come ogni altro, avr una
tendenza ad accrescere la propria forza a spese della grande societ.
Bisogna allora tentare, per quanto possibile, di mantenere l'autorit sovrana, la volont generale
al riparo dalle volont particolari. Per fare ci si dispone di due tipi di strumenti: quelli normali e
quelli eccezionali.
I mezzi normali consistono in frequenti assemblee di tutti i cittadini: nel momento in cui si apre
l'assemblea, ogni potere del governo cessa, perch l dove si trova il rappresentato non esiste
pi il rappresentante.
Ai mezzi eccezionali, invece, si deve ricorrere soltanto in casi straordinari, in cui in gioco la
salvezza stessa dello Stato. In questi casi, dice Rousseau, si nomina un capo supremo che faccia
tacere tutte le leggi e sospenda, temporaneamente, l'autorit sovrana; in casi del genere, la
volont generale non ha dubbi, evidente che la prima intenzione del popolo che lo Stato non
vada in rovina.
CAPITOLO IV- Che cosa il Terzo Stato? di Sieys
Tra la fine del 1788 e l'inizio del 1789 in tutta la Francia era guerra aperta tra privilegiati e
borghesi per stabilire chi avrebbe avuto la meglio ai prossimi Stati Generali, promessi dal
governo intimidito dalla Fronda. I privilegiati attendevano la consacrazione delle loro prerogative
mentre il Terzo Stato chiedeva la cancellazione di queste distinzioni e sperava in una
Costituzione all'inglese. Ma per fare ci, occorreva prima che la composizione e l'organizzazione
degli Stati Generali lo permettessero: il numero dei deputati del Terzo Stato avrebbe dovuto
essere uguale a quello degli altri due ordini riuniti ed il voto non avrebbe dovuto avvenire per
Ordini ma per teste.
La guerra si combatteva anche sui libri. Tra le migliaia di scritti del periodo, vi un opuscolo di
127 pagine che spicca per le sensazioni che produce. Esso si intitola Qu'est-ce que le tiers
tat? e l'autore Sieys.
Le prime righe gi colpiscono e riassumono un po' l'opera. Abbiamo tre domande da porci: 1
Cos' il terzo stato? Tutto. 2 Cosa stato fino ad ora, nell'organizzazione politica? Niente. 3

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Cosa chiede? Di diventare qualcosa.


Il terzo stato tutto perch da solo compie quanto necessario per la sussistenza e la prosperit
della nazione: dall'agricoltura all'industria, dalle professioni scientifiche a quelle liberali. Il terzo
stato partecipa anche alle funzioni pubbliche ma escluso dai posti ben remunerati o onorifici,
affidati a privilegiati senza meriti.
Cos, che cos' il Terzo? Tutto, ma ostacolato ed oppresso. Cosa sarebbe senza l'ordine
privilegiato? Tutto, libero e fiorente. Niente pu andare avanti senza di lui, tutto andrebbe meglio
senza gli altri.
L'ordine privilegiato estraneo alla nazione: un corpo estraneo per la sua poltroneria, estraneo
per i suoi privilegi, estraneo per i suoi diritti politici. Conclusione: il Terzo comprende tutto ci che
appartiene alla Nazione; e ci che non fa parte del Terzo non pu considerarsi come
appartenente alla nazione.
Ma fino ad ora il Terzo non stato niente perch, per non essere schiacciato, ha dovuto legarsi ai
grandi: non si liberi in base a privilegi, ma in base a diritti che appartengono a tutti. E la
verit che, se questo Terzo, che dovrebbe essere tutto, niente, perch l'aristocrazia, che
dovrebbe essere niente, tutto. Grave errore pensare che la Francia sia un Paese monarchico.
Ora, il terzo stato non reclama il tutto che le spetta ma qualcosa. Esso non ha che tre pretese:
essere rappresentato da deputati appartenenti al loro ceto; che il numero di questi deputati sia
pari a quello di nobilt e clero uniti; e che si voti per testa e non per ordine.
Dunque, o la Francia non ha costituzione, ed allora bisogner farne una e soltanto la nazione lo
pu, oppure la Francia ha una costituzione che ammette la divisione degli ordini. In quest'ultimo
caso, il Terzo ha sollevato un reclamo su cui si deve decidere. E chi pu farlo se non la nazione,
delegata dal suo primo cittadino?
In alternativa, rimane una sola strada: la forza.
PARTE III- Dopo la rivoluzione
CAPITOLO I- Riflessioni sulla rivoluzione francese di Burke
Edward Burke, difensore della libert politica, lancia il primo grido di orrore ed allarme nei
confronti della rivoluzione (1790). Ma lo stesso autore, qualche anno prima, si era schierato dalla
parte delle colonie americane nella lotta al regno inglese. Perch questo cambio di rotta?
Burke aveva visitato la Francia ed aveva preso contatto coi suoi filosofi. Nulla gli procurava pi
disgusto di quegli enciclopedisti ed economisti, sofisti e distruttori, i quali usavano
razionalismo anche in materie religiose e politiche. Ma, ancora una volta, Burke sembra
contraddirsi: gli americani si ispiravano proprio alle idee francesi.
In realt, le contraddizioni non esistono perch l'autore inglese, nella sua difesa agli Stati Uniti
d'America, non era mai entrato in discorsi riguardanti i diritti naturali. Egli si era limitato a dire
che, ammesso il potere del Parlamento inglese di tassare i coloni, ci era indesiderabile dal
punto di vista pratico perch portava infelicit e disgrazia.
Burke segue diffidente i lavori dell'Assemblea nazionale costituente francese: in essa ritrova la
logica nuda dei sofisti che tanto lo disgustavano. Nascono le Riflessioni, originariamente
pensate come corrispondenza privata, poi continuamente riviste e modificate secondo le notizie
in arrivo dalla Francia ed infine adattate a libro.
L'opera, tuttavia, lascia trasparire ugualmente la sua origine, la sua stesura ardente e laboriosa,
la sua assenza di schemi: non vi sono titoli o capitoli; tutto come un solo e gigantesco getto di
risposta alla rivoluzione francese.
In questo libro sono presenti un pamphlet di attualit contro i costituenti francesi ed un processo
alla dottrina. Il primo non ci interessa in quanto dimostra anche una certa ignoranza riguardo la
reale situazione francese.
Ci che Burke vuole distruggere la concezione astratta e razionale della societ civile, derivata
dalla filosofia di Locke. Essa dogmatica, infatti, almeno quanto la concezione che combatteva. I
suoi dogmi fondamentali sono: il giogo dei pregiudizi, la tabula rasa dell'eredit del passato e la
razionalit della societ, retta da una morale laica.
Innanzitutto, e come gi detto, vi orrore per l'astratto. Secondo Burke, le circostanze, che per
qualcuno non significano niente, sono tuttavia nella realt ci che conferisce ad un principio

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politico il suo colore, il suo vero carattere; sono loro a rendere un programma civile e politico
utile o dannoso.
Conseguentemente, la nozione astratta ed assoluta dei diritti dell'uomo risulta erronea. Certo,
qualsiasi cosa un uomo possa intraprendere separatamente per il proprio vantaggio, senza
ledere il vantaggio altrui, ha il diritto di farlo. Ma i diritti reclamati dai francesi vanno oltre, non
sono come quelli descritti.
Essi rivendicano, in primo luogo, il diritto di prendere parte al potere politico. Ma questo non un
diritto fondamentale: il governo non costituito in virt dei diritti naturali che possono esistere,
e che esistono, indipendentemente da lui. Il governo un'invenzione della saggezza umana, per
provvedere ai bisogni degli uomini, contenere entro limiti ragionevoli le loro passioni. In tal senso
la costrizione fa parte, come la libert, dei diritti dell'uomo. Dunque, Burke non vede perch
debba congratularsi coi francesi per la libert che hanno ottenuto: sarebbe come stringere la
mano ad un evaso.
Inoltre, l'autore inglese attacca la spersonalizzazione delle istituzioni, perch impedisce di far
nascere, nei cittadini, l'amore, la venerazione, l'ammirazione e l'attaccamento ai regnanti: il re
sar un uomo come un altro e la regina non sar che una donna. Tutti gli affetti sono banditi e
non rimpiazzati. Una filosofia del genere, meccanica e barbara, non ha potuto nascere che in
cuori di gelo e in spiriti avviliti.
Infine, Burke attacca la pretesa semplicit delle istituzioni: quando sento vantare la semplicit
di invenzione a cui si pretende di arrivare nelle nuove costituzioni politiche, non posso impedirmi
di concludere che chi vi stia lavorando non conosce il proprio mestiere o sommamente
negligente verso il proprio dovere. I governi semplici sono fondamentalmente difettosi, per non
dire altro. La costituzione di uno stato e la distribuzione equa dei poteri necessitano di una
conoscenza profonda della natura umana e dei modi di raggiungere e facilitare il fine pubblico.
L'autore ritorce poi il concetto di natura. Per lui non naturale ci che si riferisce all'uomo
considerato anteriormente ad ogni legame sociale ma ci che appare come il risultato di un
lungo sviluppo storico; in altre parole, natura uguale a storia, abitudine. Dunque, le cose hanno
un modo naturale di procedere e, se gli uomini non lo ostacolassero, tutto andrebbe decisamente
meglio.
Questa una visione molto conservatrice, antirivoluzionaria. Essa ratifica eredit e pregiudizi ed
ha orrore per la tabula rasa. Infatti, l'ordine del mondo naturale in quanto non guastato dalla
logica astratta; i pregiudizi, in particolare quello di nascita a fondamento della nobilt, sono
naturali perch naturale il difendere il possesso di quanto ci trasmesso. Ci che non
naturale l'indignazione di fronte ai pregiudizi, l'uguaglianza dei rivoluzionari: in tutte le
societ, composte necessariamente di classi, dovr infatti sempre esservene una che domina.
Cos Burke invita il popolo ad occuparsi soltanto di ci che gli compete, non di politica.
In tale logica naturalista, non vi orrore peggiore che quello per la tabula rasa, cio della
distruzione di tutto per ricostruire da zero. Lo Stato non pu essere carta bianca su cui
scarabocchiare: la natura impone di trarre il miglioramento da ci che gi esiste. Certo, si tratta
di un processo lento ma tale il processo naturale. Un procedimento del genere non conviene
ad un'assemblea che ripone la sua gloria nel fare, in pochi mesi, l'opera di secoli: chiaro
l'attacco ai parlamenti rivoluzionari.
Per concludere, Burke oppone il concetto di ragione generale o ragione politica a quello di
ragione individuale della rivoluzione francese. L'autore inglese non rinnega quest'ultima, ma le
accorda scarso valore. Essa inefficace di fronte alle decisioni gravi mentre la ragione collettiva,
cristallizzata nei pregiudizi, assai pi sicura. Il pregiudizio come una ragione che si ignora, un
istinto attraverso cui si conosce e che ci spinge ad agire nel senso della virt.
CAPITOLO II- Discorsi alla nazione tedesca di Fichte
Fichte, allievo di Kant, vive la guerra tra Napoleone e la Prussia e vede da vicino la disfatta pi
totale che un popolo abbia mai vissuto. Fugge dall'occupazione ma poi torna in Germania per
amore della moglie.
A Berlino, terr quelle che definiva lezioni pubbliche sul miglioramento dell'educazione. Il titolo
era corretto: il mondo nuovo da cui sarebbe derivata la salvezza della nazione tedesca doveva
nascere proprio dalla trasformazione del sistema educativo. Abbiamo perduto tutto ma ci resta

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l'educazione. Da essa nascer l'Idea, la purezza della volont e verr cacciato l'egoismo,
fonte di tutte le disgrazie.
La vecchia educazione non riuscita a dipingere l'ordine morale del mondo con abbastanza
calore da risvegliare negli allievi l'amore, quell'emozione profonda davanti a cui l'egoismo
sparisce. Infine, l'educazione antica era rivolta a pochi. Al contrario, la nuova educazione sar
indirizzata al popolo tutto e dovr formare gli uomini, sviluppare nell'allievo lo spirito creativo e
le attitudini corporali, creer in lui uno spirito nuovo. Egli si compiacer del vero e del bene
considerati in s stessi e rispetter la propria vita e quella degli altri.
Ma per raggiungere tali risultati sono necessarie alcune condizioni. Innanzitutto, i bambini
devono formare una comunit autonoma, senza contatti con il mondo adulto, corrotto
dall'egoismo. Ed i due sessi devono essere allevati insieme. Ma ci pu essere fatto soltanto
dallo Stato in quanto i genitori opporranno resistenza e sar necessaria la forza della costrizione,
almeno per educare la prima generazione. Dopodich le resistenze cadranno e la forza non sar
pi indispensabile. Inoltre, soltanto lo Stato pu accollarsi spese cos grandi.
Attenzione, per! Solo il tedesco adatto a ricevere questa cultura, quest'educazione. Ci in
virt della lingua: i tedeschi soli, infatti, hanno mantenuto la lingua originale delle trib
barbariche. Tutte le altre popolazioni hanno volontariamente reciso le proprie radici in favore
delle lingue neo-latine. Cos facendo, per, si sono uccise.
Nel popolo la cui lingua viva, cio la sola Germania, la cultura penetra la vita; in tutti gli altri
Paesi, cultura e vita rimangono decisamente separati: il genio straniero sparpaglier fiori nei
sentieri battuti, che scambier facilmente per filosofia; lo spirito tedesco, al contrario, aprir
nuove miniere.
Per questo motivo Fichte ce l'ha con i suoi connazionali xenomani, che ammirano la letteratura
morta di fiori artificiali (cio quella francese), accessibile soltanto alle classi colte. Ed ecco
un'altra differenza tra Germania ed altre nazioni: che nel popolo tedesco il grosso della nazione,
e non solo una minima parte, suscettibile di cultura.
E vi sono altre conseguenze ancora derivanti dal carattere fondamentale: per esempio, la
Germania sola riesce a conciliare filosofia e religione e soltanto la Germania potr edificare lo
Stato perfetto, in quanto la sua edificazione passa forzatamente attraverso l'educazione
dell'uomo perfetto.
Ma pi d'ogni altra cosa, il popolo tedesco il solo che pu dire d'avere una patria, in quanto
l'unico che sia in grado di provare per la sua nazione un amore vero e conforme alla ragione.
Quest'amore si chiama patriottismo e tende alla realizzazione del principio eterno e divino. Per
fare ci avr bisogno di dominare anche lo Stato, il quale non ha un suo fine; un semplice
mezzo.
Vi poi il tredicesimo discorso, il quale diede parecchi grattacapi alla censura. Esso riguarda i
mezzi per conservarci fino alla realizzazione del nostro fine principale, ossia resistere alla
dominazione napoleonica fino a che non si sia educata la nuova generazione.
Ed anche la conclusione, quasi un appello alle armi, diede i suoi problemi. Fichte si rivolge
alternativamente a giovani, vecchi, uomini d'affari, pensatori e poi, infine, a tutti voi, Tedeschi,
qualsiasi sia il vostro rango sociale. Riflettete che la vostra salvezza dipende da voi soli. Tutta la
situazione del genere umano non dipende che dagli uomini.
CAPITOLO III- La democrazia in America di Tocqueville
Alexis de Tocqueville era conte da parte di padre. Con la rivoluzione del 1830, il giovane
magistrato non poteva certo sperare in un brillante futuro, cos chiede di poter andare a studiare
il sistema carcerario statunitense.
Nell'opera frutto del viaggio, tuttavia, presente qualcosa di pi di un semplice studio sugli Stati
Uniti d'America: Tocqueville ci propone prima di tutto uno studio sulla democrazia ed questo
che ci interessa.
Tutto nasce, in un sistema democratico, dall'eguaglianza delle condizioni. La storia stessa
dominata da una legge del livellamento: ogni cosa conduce verso l'uguaglianza, a detrimento dei
privilegi di nascita.
La societ aristocratica morta. Essa si basava sulla disuguaglianza e sulle gerarchie e faceva
apparire al popolo come naturale la sua inferiorit. Questo tipo di regime permetteva di ottenere

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stabilit, potere e gloria.


La societ democratica, invece, se ben guidata, porta ad uno splendore minore ma assicura
meno miseria, meno ignoranza ed un benessere pi generale. In relazione all'Europa, per, dove
la democrazia cresciuta senza padre n madre, abbandonata a s stessa ed ai suoi vizi, questo
discorso non regge. Infatti, qui regna la confusione: si vedono religiosi combattere la libert e
sostenitori della libert combattere la religione. Come se il cristianesimo, che ha reso tutti gli
uomini uguali davanti a Dio, non voglia vederli uguali davanti alla legge.
interessante anche notare come Tocqueville, comunque aristocratico, non difenda il suo strato
sociale ma ammiri la democrazia. Ce ne spiega egli stesso i motivi: facendo parte io stesso
dell'aristocrazia, non avevo n odio n gelosia verso di essa, ed essendo questa aristocrazia
distrutta, non avevo nemmeno pi amore. Nessun interesse mi spingeva verso la democrazia e
da essa non avevo ricevuto alcun torto. Insomma, l'autore non aveva motivo alcuno per amare
o odiare l'una o l'altra forma di governo: era imparziale ed oltre che i pregi della democrazia, ne
avverte anche i difetti.
La stessa passione per l'eguaglianza un arma a doppio taglio. Innanzitutto, c' da dire che essa
pi forte della passione per la libert: gli uomini sarebbero disposti anche ad accettare povert
e schiavit, a patto che tutti si trovino in tali condizioni, ma non sopporteranno l'aristocrazia.
Detto ci, tale passione un'arma a doppio taglio in quanto essa pu sia portare tutti gli uomini
a voler essere forti e stimati sia attirare i forti al livello dei deboli.
Ad ogni modo, per quanto riguarda l'eguaglianza politica, vi saranno due modi di ottenerla. Il
primo la sovranit di tutti, il secondo l'assoggettamento di tutti ad un solo individuo. Gli Stati
Uniti d'America sono stati bravi, fortunati e virtuosi abbastanza da evitare la seconda alternativa:
il popolo regna sul mondo politico americano, come dio nell'universo. la causa ed il fine di
tutto; tutto proviene da lui e tutto finisce in lui.
Il suo potere dunque un potere assoluto ma non esatto dire che appartenga a tutti: esso
appartiene soltanto alla maggioranza. Ed una volta raggiunta la maggioranza, nulla pu pi
fermarla o rallentarla. La minoranza, infatti, non pu fare appello ad autorit alcuna: l'opinione
pubblica formata dalla maggioranza; il corpo legislativo rappresenta la maggioranza;
l'esecutivo nominato dalla maggioranza; la forza pubblica la maggioranza in armi e gli stessi
giudici sono eletti dalla maggioranza. Ecco il primo pericolo democratico: la tirannia della
maggioranza.
Vi sono poi altri rischi. Per esempio, se vero che l'eguaglianza porta gli uomini a cercare le
proprie idee, le proprie credenze e dunque favorisce l'indipendenza intellettuale, d'altro canto,
una volta raggiunta la maggioranza, che come visto potrebbe non essere scalfita, la stessa
indipendenza intellettuale rischia di sparire.
Anche dal punto di vista dei sentimenti la democrazia presenta degli inconvenienti. Infatti, nelle
et egualitarie, ogni uomo non guarda che a s. Ma non egoismo: si tratta di individualismo. Il
primo nasce da un istinto cieco, il secondo da un inaridimento del cuore. L'aristocrazia univa i
sudditi in una lunga catena in cui ognuno proteggeva qualcuno ed era protetto da qualcun altro.
La democrazia spezza tale catena ed isola i vari anelli. Inoltre, l'aristocrazia manteneva
continuit nelle famiglie: ognuno conosceva i propri avi e gi vedeva, in qualche modo, i suoi
pronipoti. La democrazia spezza anche questa catena. Cos, l'uomo democratico ricondotto
incessantemente a lui solo e rischia di vedersi chiuso nella solitudine del proprio cuore.
E se l'individualismo un male sociale, in quanto conduce a desideri mediocri, ancor pi un
male politico: priva il cittadino del suo civismo e lo porta a disinteressarsi della politica. Finisce
per accettare qualsiasi decisione, privandosi della sua libert e tornando in stato di schiavit. In
fondo a questo percorso si stagliano due alternative: l'anarchia ed il dispotismo. Nella prima
Tocqueville crede poco in quanto convinto che il potere abbia sempre la tendenza a
ricostituirsi. Rimane allora il dispotismo. Ed in effetti tutto sembra condurre ad esso.
Le idee, innanzitutto: se l'aristocrazia era abituata a pensare a corpi intermedi, al contrario, in
democrazia, si crede in un potere unico e centrale, a diretto contatto con gli individui. Ma come
diventa piccolo l'individuo! Nasce l'idea di un diritto onnipotente, unico, di un'unit e
onnipotenza sociale.
A ci si aggiungono i sentimenti. Gli uomini sono sempre pi disposti a cedere ogni cosa al
potere dello Stato in quanto deboli. Ed il sentimento di questa debolezza li pone alla ricerca di

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protezione: il potere centrale il solo che si eleva in mezzo al livellamento generale.


A questi fattori se ne aggiungano altri particolari: le guerre, che necessitano dell'accentramento
dei poteri; l'abbattimento dei poteri intermedi; lo sviluppo industriale, che richiede allo Stato il
regolamento dei nuovi settori e delle nuove classi sociali.
A quale tipo di dispotismo andiamo incontro? Ad uno simile a quelli della tirannia romana,
caratterizzata da costumi corrotti, libert usurpata da leggi e imperatori autoritari? No
Tocqueville pensa piuttosto ad un dispotismo meno violento ma pi esteso, che degrader gli
uomini senza tormentarli. Assomiglierebbe al potere paterno se, come quello, avesse per fine di
preparare gli uomini all'et virile; al contrario, non cerca che di fissarli irrevocabilmente
all'infanzia; gli piace che i cittadini siano contenti, a condizione che pensino soltanto ad essere
contenti.
Ma vi sono degli antidoti alle inclinazioni naturali dell'uomo democratico. Vediamo quali sono.
Il primo la libert politica. Si deve rinunciare definitivamente all'idea del potere di uno solo e
far uscire la libert dal seno della societ democratica. Non ci si inganni, per: la societ sar
sempre pi forte del singolo. Ciononostante possibile stabilire un governo libero. Ma quale?
Sicuramente non un governo misto, in quanto il motore della democrazia sicuramente il popolo
e ci non si discute. Tuttavia, se questo potere non incontra ostacoli, la stessa libert a rischio.
Ci vogliono, dunque, delle istituzioni che scuotano gli individui dalla loro apatia,
dall'individualismo che li porta verso il dispotismo.
Importanti sono allora le istituzioni locali, provinciali e comunali. Esse mettono la libert a livello
del popolo e lo abituano a servirsene. Le occasioni di stare insieme si moltiplicano ed i cittadini
iniziano a sentire il loro dipendere l'uno dall'altro. Inoltre, le istituzioni locali ricreano, come
nell'aristocrazia, corpi intermedi che ostacolano l'esercizio senza freni del potere sovrano.
Altre importanti istituzioni sono le associazioni, presenti in un numero elevatissimo negli USA.
Esse sono necessarie in democrazia perch qui gli uomini vivono indipendenti ma deboli, e non
possono fare da s quasi nulla. Tutto ci che essi non faranno associandosi sar fatto dal
governo, la cui azione, per, spesso dannosa.
Infine, anche la religione aiuta a curare i mali della democrazia. Essa, infatti, garantisce i
costumi. E senza costumi, dice Tocqueville, non vi libert, cio l'antidoto all'individualismo. Se,
in effetti, la legge permette al popolo di fare tutto, la religione gli impedisce di concepire tutto e
gli proibisce di osare tutto. La religione, infine, serve la libert anche aiutandola a combattere le
inclinazioni democratiche che conosciamo: individualismo, indivia, ecc.
PARTE IV- Socialismo
Con la rivoluzione del 1848 un attacco di violenza sconosciuta si abbatte sulla tradizione in tutte
le sue forme.
Lo stesso Tocqueville avverte: guardate ci che avviene in seno alle classi operaie. Non vedete
che le loro passioni, da politiche, sono diventate sociali? Non vedete che si diffondono opinioni
che non tendono soltanto a rovesciare un certo governo, ma la societ, le basi su cui essa
poggia? Non sentite che vi si ripete che la divisione dei beni effettuata nel mondo fino ad oggi
ingiusta?. Possiamo riassumere con i termini di socialismo o comunismo.
Il socialismo affonda le sue radici nell'eterna lotta tra ricchi e poveri ma perch si possa parlare
di socialismo in senso moderno, occorre attendere determinate trasformazioni economiche e
sociali, legate allo sviluppo industriale. Doveva nascere il proletariato, le sue atroci condizioni di
vita dovevano attirare l'attenzione s da aprire la lotta all'individualismo economico, meglio noto
come capitalismo. Le sue basi, cio la propriet privata dei mezzi di produzione, il profitto
personale come motore della produzione ed il libero gioco del mercato, vengono messe in
discussione. I primi a fare ci sono i cosiddetti socialisti utopisti.
Saint-Simon sogna uno Stato, non pi politico, ma produttore, distributore di lavoro,
concessionario di prestiti. Il governo cosa secondaria: ci che conta la produzione dei beni
necessari alla felicit dell'uomo.
Fourier vorrebbe un ambiente diverso da quello capitalistico, malvagio in s. Critica l'industria, la
sovrapproduzione e l'anarchia economica: questo popolo, che muore di fame, sovrano per
scherzo.
Sulla medesima scia Owen desidera ritornare ad una produzione pi naturale, comunitaria e

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cooperativistica.
Louis Blanc, invece, propone un atelier social che raggruppi tutti gli operai. Sar poi lo Stato a
regolamentarlo ed a finanziarlo, s da sconfiggere, progressivamente, la concorrenza privata.
Proudhon, infine, sostiene che la propriet un furto ma non appoggia i socialisti che l'hanno
preceduto. Il socialismo non niente, non mai stato niente, non sar mai niente. Non si
devono ridurre o distruggere le forze economiche: basta bilanciarle. Ancor pi Proudhon se la
prende con i comunisti, desiderosi della comunione dei mezzi di produzione e della rivoluzione
proletaria.
CAPITOLO I- Il manifesto del partito comunista di Marx ed Engels
Nel 1847, a Londra, si tiene, clandestinamente, il primo congresso della Lega dei comunisti. Nel
settembre dello stesso anno esce poi il primo ed unico numero della Rivista comunista, con il
motto proletari di tutto il mondo, unitevi!. In quello stesso numero si legge anche: noi non
siamo comunisti che predicano la pace perpetua mentre, dovunque, i nostri avversari si armano
per il combattimento.
Poi, a novembre-dicembre, si riunisce il secondo congresso della Lega in cui si adotta un nuovo
statuto. Esso recita, all'articolo 1, che il fine della Lega il rovesciamento della borghesia, il
dominio del proletariato e la fondazione di una nuova societ, senza classi e senza propriet
privata.
Si decide anche, nello stesso consesso, di affidare la redazione di un Manifesto a Marx, con
l'aiuto di Engels.
L'idea fondamentale e direttrice del Manifesto , dice Engels, la seguente: la produzione
economica e l'organizzazione sociale che ne risulta necessariamente in ogni epoca della storia
costituiscono la base della storia politica ed intellettuale di quest'epoca; per conseguenza, tutta
la storia stata storia di lotte tra classi, di lotte fra classi sfruttate e classi sfruttatrici; ma questa
lotta ora arrivata ad una fase in cui la classe sfruttata ed oppressa (il proletariato) non pu pi
liberarsi della classe che la sfrutta e la opprime (la borghesia) senza liberare, al tempo stesso e
per sempre, la societ intera dallo sfruttamento, dall'oppressione e dalle lotte di classe.
Quando ci viene detto che produzione economica ed organizzazione sociale formano la base
della storia politica ed intellettuale dell'epoca considerata ci viene, in altre parole, definito il
materialismo storico, che non nient'altro che l'applicazione storica della filosofia del
materialismo dialettico.
Materialismo in quanto, secondo questa teoria, il mondo materiale, cio quello che percepiamo
attraverso i sensi, l'unica realt: fuori di esso non esiste nulla; anche coscienza e pensiero non
sono che prodotti della materia (cervello). Dialettico perch viene appunto recuperata la
dialettica hegeliana: le cose vanno studiate in quanto processo, realt in movimento, perpetuo
divenire. Ma mentre per Hegel il processo dialettico (tesi-antitesi-sintesi) faceva progredire il
mondo per riflesso dell'Idea assoluta, per Marx ed Engels l'esatto contrario: l'Idea ad essere il
riflesso degli oggetti reali.
Dunque, tornando al materialismo storico, il motore della storia non pu trovarsi nell'Idea. Esso
dovr necessariamente trovarsi nel mondo materiale. Ed a Marx appare chiaro che le forme
politiche dello Stato, le forme religiose, artistiche e filosofiche non possono n spiegarsi da s n
essere spiegate dal cosiddetto sviluppo generale dello spirito umano. Esse trovano le loro
radici nei rapporti materiali, nei rapporti di propriet, quegli stessi rapporti studiati dall'economia
politica. Questa struttura economica la vera base, l'infrastruttura su cui poggia la
sovrastruttura politica, giuridica, intellettuale ed ideologica.
Un determinato modo di produrre d necessariamente vita ad una certa struttura sociale (cio
una certa divisione in classi) da cui deriveranno necessariamente una data organizzazione
politica e giuridica e dati sentimenti e date idee. Se cambia il modo di produrre cambier anche
tutto il resto.
Ma come avvengono tali cambiamenti? Tramite la dialettica hegeliana, tramite la lotta di classi.
Queste sorgono ogni volta che i rapporti di produzione esistenti, tradotti nei rapporti di propriet,
cessano di corrispondere allo sviluppo delle forze produttive. Diventano ostacoli allo sviluppo,
catene da spezzare attraverso la lotta.
Da quando scompare l'antica propriet comune del suolo, legge delle comunit primitive, fa

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capolino lo sfruttamento dell'uomo, conseguenza della scissione in classi particolari dovuta


all'introduzione della propriet privata. La storia risulter, in un ultima analisi, fatta di una lotta
senza tregua che, ogni volta, fin con una trasformazione rivoluzionaria o con la comune
distruzione delle classi in lotta.
Ma l'epoca di Marx ed Engels, cio quella della borghesia, aveva una caratteristica particolare: la
lotta di classe era semplificata, maggiormente visibile in quanto andava sempre pi
concentrando l'intera societ in due fazioni contrapposte, la borghesia ed il proletariato.
Per borghesia s'intende l'insieme di coloro che detengono il capitale, i grandi industriali. Come
noto, questo il grande avversario del comunismo ma ha anch'esso dei pregi. Esso ha mostrato,
per primo, le capacit dell'uomo. Cosa sono gli acquedotti romani e le cattedrali gotiche
accanto alle forze naturali domate, il macchinismo, l'applicazione della chimica, la navigazione
a vapore, le ferrovie, il telegrafo elettrico?
La borghesia ha poi svolto un ruolo rivoluzionario anche dal punto di vista dei sentimenti e dei
costumi: ha tolto il velo al lato cattivo della natura umana. Dovunque arrivata al potere, la
borghesia ha distrutto i legami feudali, complessi e variati, che univano l'individuo al suo
superiore naturale, e non ha lasciato sussistere, tra uomo e uomo, altro legame che il puro
interesse.
Rivoluzionaria, inoltre, la borghesia in quanto ha sottomesso la campagna arretrata alla
dominazione delle citt: ha strappato una parte importante della popolazione alla stupidit della
vita rurale. Cos facendo ha poi anche portato ad una centralizzazione economica e politica. Allo
stesso tempo, per, ha dovuto spezzare i ristretti quadri nazionali dell'antica industria. Ha reso
cosmopoliti produzione e consumo: le nazioni pi barbare sono state trascinate nella corrente
della civilt, hanno dovuto adottare i modi borghesi di produzione, scambio e pensiero.
Questo, per, un elogio funebre: la rivolta delle forze produttive da cui nata la borghesia
porter a distruggere la borghesia (tesi) a vantaggio del proletariato (antitesi). Infatti, la societ
ha ora troppi mezzi di sussistenza, industria e commercio. Vi troppa ricchezza,
sovrapproduzione. Ed i rimedi borghesi (conquista di nuovi mercati, sfruttamento pi assiduo dei
vecchi) non fanno altro che preparare crisi pi generali e formidabili.
La borghesia, in altre parole, ha prodotto le armi che la distruggeranno. Ma ha fatto di pi: ha
prodotto anche gli uomini che si serviranno di queste armi: gli operai, i proletari. Il proletariato
la classe degli operai che vivono nella misura in cui trovano lavoro e che trovano lavoro nella
misura in cui il loro lavoro accresce il capitale. Essi non sono altro che una merce come un'altra,
sottoposta alle conseguenze della concorrenza e delle oscillazioni del mercato. L'operaio,
asservito e degradato dalla divisione del lavoro, un semplice accessorio della macchina.
Inoltre, il lavoro di donne e bambini merce meno costosa: gli uomini vengono rimpiazzati ed i
salari tendono sempre pi a decrescere. Cos, il lavoratore, invece di elevarsi insieme al
progresso dell'industria, diventa sempre pi povero. Senza contare che, la scomparsa di piccoli
industriali e commercianti fornisce altri lavoratori da reclutare, accentuando la concorrenza e gli
effetti negativi di cui abbiamo appena detto.
Poi finalmente, dal combattersi, i proletari si accorgono, agglomerati in masse sempre pi
grandi, che unendosi possono disporre di una forza enorme. La concorrenza cessa di dividere gli
operai, che si raggruppano per difendere il loro salario: si apre lotta di classe su base locale. Ma,
facilitata dai mezzi di comunicazione sempre pi evoluti, la lotta si diffonde [rapidamente] ed
assume [presto] carattere nazionale.
La caduta della borghesia e la vittoria del proletariato sono egualmente inevitabili.
La vittoria del proletariato porter anche alla fine delle lotte di classe perch tutti i movimenti,
fino ad oggi, sono stati compiuti da minoranze o nell'interesse di minoranze. Il movimento
proletario [invece] il movimento autonomo dell'immensa maggioranza nell'interesse
dell'immensa maggioranza. L'avvento proletario segner la fine di ogni differenziazione sociale:
non vi saranno pi classi opposte e dunque lotte.
Ma la rivoluzione non che il primo passo del dominio proletario. Dopo di ci bisogna
conquistare il potere politico, ossia, come lo definisce lo stesso Marx, il potere organizzato di
una classe in vista dell'oppressione di un'altra. Il proletariato deve riuscire a possedere il potere
per strappare alla borghesia tutto il capitale e concentrare nello Stato, cio in s stesso, tutti gli
strumenti di produzione. Fatto ci, non ci saranno definitivamente pi classi: verranno a mancare

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gli antagonismi e lo Stato stesso, che una traduzione degli antagonismi di classi.
Ma se quello descritto un processo inevitabile, qual la missione dei comunisti? Praticamente
i comunisti sono la frazione pi risoluta dei partiti operai, quella che spinge sempre in avanti;
teoricamente essi hanno sul resto della massa proletaria il vantaggio di comprendere le
condizioni, il cammino e i risultati generali del movimento.
CAPITOLO II - L'"INCHIESTA SULLA MONARCHIA" DI MAURRAS
La conversione intellettuale alla monarchia di Charles Maurras, causata dal suo nazionalismo,
datata 1896, a seguito di un suo viaggio in Grecia. Dir: "Uscito dal mio paese lo vidi finalmente
per quello che , e fui spaventato di vederlo cos piccolo".
Perch la Francia vivesse bisognava che tornasse il Re. Attraverso la Gazzetta di Francia, in cui
scriveva, Maurras invit l'lite dei buoni cittadini ad esporgli il loro parere circa la seguente
questione: "S o No? L'istituzione di una monarchia tradizionale, ereditaria, antiparlamentare e
decentralizzata, di pubblica utilit?". E' questo il primo libro dell'opera di Maurras; il secondo
presenta le risposte commentate dallo stesso Maurras. Vediamo qual il senso esatto dei
caratteri imperiosamente assegnati alla monarchia futura:
tradizionale, ereditaria: tradizione significa sottomissione alla realt, alla natura delle
cose; tradizione ed eredit sono nozioni gemelle. La trasmissione ereditaria nella famiglia,
per la famiglia, la trasmissione per eccellenza (cos' la tradizione se non ci che si
trasmette?). Lo stesso ragionamento deve essere applicato alla monarchia, che per
Maurras il regime migliore perch l'interesse personale dei governanti e l'interesse
pubblico coincidono in essa necessariamente (vecchio argomento, ringiovanito da
Maurras). L'eredit del potere costituisce dunque la sua forza, la sua durata e la sua
continuit, parallelamente alla forza, durata e continuit della nazione. In conseguenza
deve essere ricostituita una nobilt ereditaria, il privilegio della nascita: l'aristocrazia
eredit, si trasmette con il sangue;
antiparlamentare: la monarchia deve essere antiparlamentare, contro il parlamentarismo,
in favore di un governo nominativo, personale e responsabile, contro l'anonimato,
impersonalit e irresponsabilit del parlamentarismo stesso. In questo stato riconosciuto
il tema autoritario. Il regime elettivo, e soprattutto il parlamentarismo, indebolisce lo
stato, il quale abbandona ai partiti: qualcosa di basso e equivoco. Niente pi elezioni
politiche, niente pi assemblee parlamentari, niente pi partiti, niente pi democrazia;
decentralizzata: il tema della decentralizzazione affrontato in quattro punti:
1)
la Francia soffoca sotto il busto napoleonico;
2)
la repubblica, anche se lo volesse, non pu decentralizzare;
3)
la decentralizzazione in regime repubblicano presenterebbe pericoli mortali;
4)
solo la monarchia pu senza pericolo decentralizzare largamente.
Il parlamentarismo impedisce allo stato di assolvere alle sole vere funzioni che ha: diplomazia,
esercito, finanze. Maurras conclude il secondo libro scrivendo: "La Francia obbligata alla
monarchia". Se i primi due libri rispondevano alla domanda "Che fare?" e la risposta era "La
monarchia", nel 1903 arriva un terzo libro che da la risposta alla domanda "Come farla?".
Risposta: "Con la forza".
CAPITOLO III- Le riflessioni sulla violenza di Sorel
Sorel fu inizialmente socialista democratico, poi sindacalista rivoluzionario, poi sostenitore del
nazionalismo integrale ed infine, con l'ascesa di Lenin, sostenitore del bolscevismo.
Egli stato a lungo un ingegnere dei ponti ed portato a vedere nella materia le basi del
progresso. Dice di lui Pirou: ritrova sotto le costruzioni ideologiche la base tecnologica. Manca
giusto un passaggio logico per arrivare al materialismo di Marx.
Ma Sorel convinto che, al di sopra della tecnica, stia la morale. Il mondo non diverr pi
giusto, che nella misura in cui diverr pi casto. Leggendo queste parole tornano alla mente le
preoccupazioni tipiche di Proudhon.
Ben conscio della debolezza dell'uomo, dunque, Sorel sa che la felicit non si produce da sola.

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soggetto alle stesse preoccupazioni che Tocqueville provava di fronte alla massa egualitaria e
che lo stesso Nietzsche ha trattato.
Deluso dalla borghesia (intesa in senso classico, non marxista), riversa questo problema della
felicit sulla classe proletaria, cui era legato per la sua professione (produttiva) e per la moglie,
che aveva perso.
Se Sorel abbandona il socialismo solo perch deluso dal cinismo dei parlamentari, cio del loro
vivere, materialmente parlando, di politica. Il nostro autore crede che i parlamentari non lottino
pi come prima per le idee del partito. Egli continuava, invece, a credere nel ruolo fondamentale
della rivoluzione. E dove pu trovarla, in quel periodo, se non nel sindacalismo rivoluzionario?
Abbandona poi tale inclinazione politica perch convinto dell'importanza essenziale
dell'educazione del proletariato. Diviene capo della Nouvelle cole, marxista, sindacalista e
rivoluzionaria ma attenta alle tematiche morali.
Les rflexions sur la violance sono un insieme di articoli comparsi in Le mouvement socialiste
nel 1906 e rielaborati in volume nel 1908. Esso, si pu dire, il manifesto della nuova scuola:
manifesto aggressivo, mal composto, confuso e pieno di ripetizioni. Ad ammetterlo lo stesso
autore che dice di aver riversato in questa opera tutte le riflessioni (scrtte in dei quaderni) che
ci che leggeva gli procurava.
L'opera sembra costituita, principalmente, di due idee: una negativa ed una positiva. Quella
negativa per il compromesso democratico ed il socialismo parlamentare; quella positiva per la
violenza proletaria.
Del compromesso democratico e parlamentare Sorel critica ogni cosa senza mezzi termini, dalla
filosofia che ne sta alla base fino ai meccanismi e procedimenti pratici.
La filosofia quella ottimista ed idealista fondata sui diritti naturali. Bisogna lasciar andare le
cose, non affrettarsi troppo e sapersi accontentare. Gli uomini che versarono pi sangue, furono
quelli che avevano il desiderio pi vivo di far godere ai loro simili l'et dell'oro che avevano
sognato.
Gli stessi diritti naturali non sono altro che sofismi. In realt si tratta di una questione di forza:
un sistema sociale ben coordinato distrutto da una rivoluzione e fa posto ad un altro sistema
che la gente trova egualmente e perfettamente razionale; e quello che era in altri tempi giusto,
ora divenuto ingiusto.
Ed i meccanismi democratici non sono meno bugiardi. Basti pensare alle elezioni: da quando
esistono sono sempre state condizionate da giochi ineluttabili. Si sempre cercato l'appoggio
della stampa e delle persone influenti, si sono sempre sfruttate le ingenuit della massa e si
sono sempre fatte promesse poi mai mantenute.
Anche le campagne elettorali, fondate sulla lotta di classe, non sono migliori: il socialismo
parlamentare parla tante lingue quante sono le specie di clientele che ha. Si indirizza agli operai,
ai piccoli padroni, ai contadini... talvolta patriota, talaltra declama contro l'esercito. Nessuna
contraddizione lo arresta perch l'esperienza ha dimostrato che si pu, nel corso di una
campagna elettorale, raggruppare forze che dovrebbero essere normalmente antagoniste. Non
certo cos che Marx intendeva le lotte di classe.
Ma, soprattutto, quel che c' di peggio sono i politici, che non fanno niente per niente e
sviluppano astuzie d'ogni sorta per raggiungere i posti migliori: non c' nulla di strano se
interviene quasi necessariamente, un abbassamento della moralit.
A tutti questi mali risponde l'apologia della violenza. Innanzitutto bisogna distinguere la violenza
dalla forza intesa come brutalit. Secondo Sorel il termine forza indica atti di autorit, mentre il
termine violenza riguarda atti di rivolta, cui la brutalit pu benissimo essere completamente
estranea. L'avvenire che Sorel si augura pu essere realizzato anche senza versare sangue a
fiotti.
Il pericolo che minaccia l'avvenire del mondo pu essere evitato se il proletario si dedica con
ostinazione alle idee rivoluzionarie. Tutto pu essere salvato se, con la violenza, esso riesce a
riconsolidare la divisione in classi ed a restituire alla borghesia qualcosa della sua energia.
Questa violenza tende a rendere al capitalismo le qualit bellicose che possedeva un tempo. Una
classe operaia in aumento e solidalmente organizzata pu costringere la classe capitalista a
mantenersi ardente nella lotta industriale; di fronte ad una borghesia affamata di conquiste, e
ricca, se si leva un proletariato unito e rivoluzionario, la societ capitalistica raggiunger la sua

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perfezione storica.
Sorel deciso a combattere i pregiudizi contro la violenza e ne afferma la moralit. Il nostro
autore pensa sia sciocca l'ammirazione moderna per la dolcezza ed il ripudio incondizionato
della violenza, la quale stata rimpiazzata dall'astuzia. forse questo un progresso?
Assolutamente no. Al contrario, nei paesi in cui esiste la nozione di sciopero generale, i colpi
scambiati tra operai e rappresentanti della borghesia hanno tutt'altra portata: le loro
conseguenze sono a lungo raggio e possono dar vita a qualcosa di sublime.
D'altronde, il sindacalismo rivoluzionario necessita di un mito e lo sciopero generale proprio
questo mito. Qui per mito s'intende un insieme legato non da idee ma da immagini motrici,
capaci di evocare attraverso la sola intuizione, cio prima di qualsiasi riflessione, tutti i
sentimenti necessari ad un'azione.
Allo stesso modo, lo sciopero generale evoca una vita intensa, che il linguaggio non pu
rendere chiaramente.
Soltanto la violenza, illuminata dall'idea-mito dello sciopero generale, capace di suscitare la
nuova morale necessaria: quella dei produttori. Ma Sorel riconosce la difficolt del costruire una
nuova morale: avevano ragione a sostenere che non si crea una morale con tenere predicazioni,
ingegnose fabbricazioni ideologiche, o bei gesti.
Tuttavia, necessario perfezionare i costumi. Il progresso morale del proletario necessario
quanto il progresso materiale delle attrezzature per l'industria moderna. Fortunatamente le
radici del progresso morale esistono gi: le troviamo nel sindacalismo rivoluzionario, in cui si
combinano morale del buon lavoro ed entusiasmo per il mito dello sciopero generale.
In conclusione, una sola forza pu produrre l'entusiasmo necessario affinch vi sia una nuova
morale: la propaganda dello sciopero generale.
CAPITOLO VI - "STATO E RIVOLUZIONE" DI LENIN
Il compito che Lenin si assegn fu quello di creare nella Russia un partito marxista, avanguardia
della classe operaia, assegnargli un programma ed una tattica ed eliminare ogni deviazione
rispetto al marxismo autentico. Lenin era uomo d'azione e di intransigenza dottrinaria totale: era
sicuro di avere ragione e di esser l'unico ad avercela. Per lui teoria ed azione erano unite.
Lenin faceva parte della frazione bolscevica (cio di maggioranza) del partito social democratico
russo. La guerra del 1914 per Lenin era una guerra imperialista, perch il capitalismo dell'epoca
di Marx si era trasformato in imperialismo, per la sostituzione del monopolio alla libera
concorrenza. La missione dei partiti d'avanguardia della classe operaia e della rivoluzione
proletaria, quali il partito bolscevico, era di trasformare questa guerra imperialista di nazioni in
guerra civile.
Dopo il suo lungo esilio in Svizzera, Lenin rientra in Russia nell'aprile 1917 e con le sue "tesi di
aprile" detta il cammino da seguire: Lenin ritiene che la rivoluzione democratico-parlamentare o
borghese sia ormai compiuta e debba essere trasformata in rivoluzione socialista, proletaria.
L'argomentazione di base che il potere dei Soviet (cio dei comitati rivoluzionari di deputati
operai e soldati) dello stesso tipo della Comune di Parigi del 1871.
Lenin nell'opera "Lo Stato e la Rivoluzione", composta nell'agosto-settembre 1917, si predispone
a raccontare quello che era la Comune di Parigi, come avevano ragionato su di essa Marx ed
Engels (citando molte delle loro opere successive al Manifesto) e qual era il tipo di stato
necessario al proletariato.
Lo stato non esistito in tutti i tempi, bens nato dalla societ: necessario per moderare la
lotta delle classi tra loro (evitare che non si divorino). L'ordine che esso crea consiste da una
parte nel togliere a queste classi i mezzi che permetterebbero loro di rovesciare i loro oppressori,
dall'altra nell'accumulo da parte degli oppressori dei mezzi per imporre e mantenere la loro
volont di classe.
Questa accumulazione costituisce l'apparato del potere di Stato (strumento di dominazione di
classe) e consiste in due ingranaggi centrali: l'esercito permanente e la burocrazia. La macchina
statale macchina di oppressione di una classe da parte di un'altra, sia in una repubblica
democratica che in una monarchia. Di fronte a questa situazione, il proletariato deve cominciare
con l'impadronirsi della macchina statale per mezzo della rivoluzione violenta. E' necessaria una
educazione sistematica per formare prima di tutto un partito operaio avanguardia del

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proletariato capace di prendere il potere e di condurre tutto il popolo al socialismo, di dirigere ed


organizzare un nuovo regime. Dopo essersi impadronito della macchina dello stato, il
proletariato si trasforma in classe dominante e stabilisce la sua dittatura, che porter allo
schiacciamento senza remissione dei ricchi. Ma la dittatura del proletariato pu essere creata
senza aver prima annientato la macchina statale che la borghesia aveva costruito per se? No,
risponde Lenin. Con cosa rimpiazzarla allora? L'esempio della Comune di Parigi del 1871, quando
il proletariato ebbe in mano il potere politico per due mesi, ha mostrato che la macchina dello
stato inservibile. Con cosa rimpiazzarla? Nella comune ci fu:
soppressione dell'esercito permanente, rimpiazzato dal popolo in armi;
soppressione della burocrazia, attraverso l'elezione a suffragio universale e la revocabilit
in ogni momento di tutti i funzionari;
riduzione di tutte le retribuzioni al normale salario di un operaio;
scomparsa di privilegi e spese di rappresentanza dei dignitari statali (e loro eliminazione);
soppressione del parlamentarismo ma non delle istituzioni rappresentative.
Da tutti questi punti di vista la comune costituiva gi un inizio di deperimento dello Stato. Infatti
mentre il rimpiazzo dello stato borghese con quello proletario impossibile senza rivoluzione
violenta, la soppressione dello stato proletario possibile solo per via di deperimento. Lenin
correla lo sviluppo economico del comunismo ed il progressivo decadimento dello Stato.
Nella prima fase (o fase inferiore) della societ comunista, questa porta ancora le stigmate della
vecchia societ. L'ingiustizia borghese dell'appropriazione privata dei mezzi di produzione
finita, ma ne sussiste un'altra: gli oggetti di consumo sono ripartiti secondo il lavoro effettuato e
non secondo i bisogni. E' un'ingiustizia perch gli uomini non sono uguali (forte/debole,
sposato/non sposato, ecc.) per cui il diritto al prodotto dovrebbe essere anch'esso diseguale. Ma
questo risultato non raggiungibile nella prima fase del comunismo; dunque sar necessario un
rigoroso controllo su produzione e ripartizione. Quando sottrarsi al controllo esercitato dal popolo
intero sar divenuto incredibilmente difficile, i tentativi in questo senso si faranno rari e puniti in
modo tempistico e grave: osservare le regole diverr rapidamente un'abitudine. Sar dunque
l'obbedienza spontanea a rendere inutile lo Stato ed a portarlo alla distruzione completa. Ecco la
seconda fase, quella superiore, della societ comunista. Quale sar la rapidit di questo
sviluppo? Lenin dice: non possiamo saperlo.
CAPITOLO V - "LA MIA BATTAGLIA" DI HITLER
Hitler, capo del partito operaio-tedesco-nazional-socialista, si dedica alla sua opera "Mein Kampf"
durante i 5 anni di detenzione a cui fu condannato dopo il fallito colpo di stato di Monaco del 9
novembre 1923. L'opera in due volumi: il primo (intitolato "Bilancio") autobiografico, il
secondo (intitolato "Il Movimento") essenzialmente teorico.
Autobiografia: Hitler nasce nel 1889 a Braunau sull'Inn (cittadina di frontiera), fa mediocri studi
tecnici, perde entrambi i genitori tra i 13 ed i 15 anni ed scartato dalla Scuola di Belle Arti di
Vienna.
Comincia a lavorare come manovale a Vienna (un feudo della social-democrazia marxista) ma
sar costretto a cambiare cantiere perch non accetta di aderire al sindacato e si isola sempre
pi. Rispetto al marxismo, lo disgustano i termini e ne ritiene false le conclusioni economiche.
Scopre che il capo della social-democrazia l'ebreo; tutti gli opuscoli social-democratici sono di
autori ebrei, proprio come Marx. Entra in lui la convinzione che difendendosi dall'ebreo, combatte
anche per difendere l'opera del Signore.
Al termine di questa fase della sua vita ritiene che i pericoli che minacciano il popolo tedesco
sono tre: marxismo, giudaismo e parlamentarismo (perch una nazione produce un vero uomo di
stato solo in via eccezionale, e non pu produrne pi di cento tutti in un colpo).
Il partito cristiano-sociale si rendeva conto dell'importanza della questione operaia ma
disconosceva la potenza dell'idea nazionalista; il partito pangermanico era nazionalista ma non
abbastanza sociale da strappare le masse al marxismo. La soluzione giusta per Hitler era il
nazional-socialismo.
Nella primavera del 1912 Hitler si istalla a Monaco e si guadagna la vita dipingendo e vendendo
acquarelli (ha 23 anni). Nel 1914 scoppia la guerra ed Hitler esulta per il risveglio del
patriottismo nella classe operaia tedesca: entra volontario nella fanteria bavarese. Nell'ottobre

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del 1918 la Germania si arrende e non esiste pi l'impero. Per Hitler sono giornate terribili.
Decide di diventare uomo politico.
Entra in contatto con il Partito Operaio Tedesco di Monaco, ne diviene membro, lo riorganizza e
ne cambia il nome in Partito Operaio Tedesco Nazional-Socialista; gli assegna un programma in
25 punti. Il colpo di stato del 9 novembre 1923 fallisce miseramente: muoiono 16 membri del
partito e Hitler ferito e arrestato. Il partito disciolto e messo fuori legge, ma il suo capo aveva
ormai un'aureola di eroe sfortunato e tradito. Durante la sua detenzione pu scrivere un libro per
esporre la sua dottrina ed illustrarne il processo di formazione.
Il programma in 25 punti del Partito Nazional-Socialista era il primo manifesto del razzismo:
rigenerazione razziale (distinzione tra uomini di sangue tedesco e non tedeschi, tra cui gli
ebrei);
riforma del sistema di insegnamento, che doveva inculcare l'idea dello stato;
denuncia della corruzione parlamentare;
libert di ogni confessione religiosa purch non mettano in pericolo l'esistenza dello stato;
riunione dei tedeschi in una grande Germania.
Si tratta di un programma assurdo, contraddittorio e di una accozzaglia demagogica.
Ma Hitler vuole apportare una nuova concezione del mondo, che si basa su un postulato
indimostrato e indimostrabile: la superiorit della razza ariana. La grandezza dell'ariano risiede
in particolare nel suo idealismo, nella sua capacit di sacrificarsi per i suoi simili. Il peccato
supremo contro la volont del Creatore l'incrocio razziale. Lo stato, secondo Hitler, non lo
stato liberale: uno stato antiliberale, antiparlamentare, antipartitico, fondato sul principio del
Capo, della Guida (Fuhrer) ed il cui motore il Partito Unico. Stato anti-marxista, anti-egualitario,
gerarchico e corporativo. Lo stato non dotato di alcun prestigio speciale: il prestigio riservato
al popolo (Volk).
Disgraziatamente - sostiene Hitler - il popolo tedesco non ha per base una razza omogenea, a
causa di contaminazioni successive che hanno decomposto il suo sangue e la sua anima e che
costata al popolo il dominio del mondo. Lo scopo dello Stato riunire, conservare e proteggere i
residui uomini di pura razza nord-ariana (o nordica); lo stato deve vegliare affinch cessi
assolutamente ogni nuovo incrocio razziale. Lo stato razzista far in modo che solo l'individuo
sano possa procreare, gli altri saranno sterilizzati per impedirne la riproduzione. I mezzi per
raggiungere lo scopo sono due:
la propaganda indirizzata alle masse: caratterizzata da fanatismo che sferza l'anima della
folla, non da conoscenza oggettiva delle verit scientifiche. Sar di basso livello
intellettuale perch rivolta alle masse, unilaterale e senza alcuna differenziazione;
l'educazione rivolta agli individui: corpi perfettamente sani attraverso allevamento
appropriato; poi formazione del carattere (forza di volont, capacit di decisione, gusto
della responsabilit e del rischio); infine cultura delle facolt intellettuali. Il Reich avr
bisogno di combattenti, non di intellettuali. L'idea da inculcare quella della Razza. Al
termine del servizio militare al giovane tedesco consegnato il diploma di cittadino del
Reich.
Sul fronte della politica estera la Francia e rimane il nemico da temere e isolare, mentre deve
essere ricercata l'alleanza con Inghilterra e Italia. La politica espansionistica orientata a Est,
verso la Russia dalle immense pianure, ormai matura per il crollo: il tema del popolo senza
spazio, della conquista dello spazio vitale per la razza dei padroni.

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