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Piccola
storia della logica
I. Dallantichit a Leibniz
Roma 1999
Presentazione ................................................................................................ 3
1. Lanalitica di Aristotele .............................................................................. 5
1.1. Il tema dellanalitica ............................................................................... 5
1.2. I termini e la proposizione...................................................................... 7
1.3. Le categorie ............................................................................................ 8
1.4. La quantificazione .................................................................................. 9
1.5. Figure e modi del sillogismo................................................................. 10
1.6. La dimostrazione dei sillogismi ............................................................ 12
1.7. Il procedimento scientifico................................................................... 13
1.8. Il procedimento dialettico .................................................................... 16
2. La logica megarico-stoica......................................................................... 19
2.1. Il concetto di logica .............................................................................. 19
2.2. La logica proposizionale ....................................................................... 20
2.3. I discorsi conclusivi ............................................................................... 22
2.4. Gli indimostrabili .................................................................................. 23
2.5. Lantinomia del mentitore.................................................................... 23
Presentazione
mente formativo: la soddisfazione di fare cose difficili! Per lesame, oltre a tutto
ci che avevamo studiato di teoria (per verificare la quale noi due sopravvissuti
dovemmo sostenere un esame scritto dimostrando una ventina di teoremi), il
programma prevedeva i due volumi de La logica formale di Jzef Maria Bocheski, in cui imparai a collegare ci che avevo studiato con una storia della filosofia che conoscevo s, ma della quale non avevo mai seriamente esaminato il versante logico.
Subito dopo la laurea tornai al mio liceo per insegnare filosofia e mi portai dietro tutto questo: per esempio lidea che anche per le scienze esatte la
storia (con nomi e volti) fosse importante e potesse anche servire a collegare
meglio le materie tra di loro; o la consapevolezza che filosofia, matematica, logica, informatica fossero cose diverse, ma con molti intrecci; o la convinzione che
la chiarezza nel linguaggio e nel ragionamento sempre una buona qualit.
Non sempre soddisfatto del libro di testo iniziai a riscrivere alcuni capitoli di storia della filosofia: mi preoccupavo soprattutto di essere preciso, evitando il pi
possibile le affermazioni generiche e cercando invece di esporre le argomentazioni, senza le quali la filosofia non esiste. Fu cos che mi venne lidea di scrivere
anche un capitolo di storia della filosofia sulla logica del Novecento. Il mio scopo
era scegliere alcuni temi pi importanti, semplificare il discorso in maniera che
fosse accessibile ad uno studente liceale, contemporaneamente dando unidea
chiara dei concetti centrali e del procedimento effettivo del ragionamento logico.
Ci che segue la bozza di quel progetto (composta negli anni 90), preceduto dalle parti dedicate alla logica di Aristotele, degli stoici e di Leibiniz, estratte dai relativi capitoli pi o meno completi che scrissi (e che poi pubblicai nel sito
http://mondodomani.org/mneme/). Dico bozza, perch il testo sicuramente
avrebbe bisogno di essere riveduto e corretto. Inoltre, considerando linsieme,
sicuramente sottostimata la logica medievale, qui ridotta solo a qualche complemento dellanalitica di Aristotele. Ma dopo poco lasciai linsegnamento al liceo e cominciai a lavorare ad altre cose: una revisione non dunque mai avvenuta, n sarei in grado di farla ora. Salvo piccole modifiche, ho preferito dunque
lasciare il testo comera. Daltra parte non so neppure se gli attuali programmi
liceali prevedano quegli agganci che ai miei occhi rendevano sensato il progetto: per esempio ora linformatica nominata solo sotto forma di strumento, e
nelle indicazioni sulla filosofia contemporanea non si cita mai espressamente la
logica. Chiss per se, anche cos come sono, queste pagine possano servire a
qualcosa o a qualcuno.
1. Lanalitica di Aristotele
Il fine che questo trattato si propone di trovare un metodo con cui poter costruire,
per ogni problema proposto, dei sillogismi. [...] Sillogismo propriamente un discorso
() in cui, posti alcuni elementi, risulta per necessit, a causa degli elementi stabiliti,
qualcosa di differente da essi. Si ha cos anzitutto dimostrazione, quando il sillogismo costituito e deriva da elementi veri e primi. [...] Dialettico poi il sillogismo che conclude da elementi plausibili (). [...] Eristico infine il sillogismo costituito da elementi che sembrano plausibili, pur non essendolo, e anche quello che allapparenza deriva da elementi plausibili o presentatisi come tali (Top. I 100 a18-b25).
Insomma, scopo ultimo della logica individuare le leggi del ragionamento (). Una legge logica quella che mi assicura che una certa connessione di proposizioni sempre corretta, in virt della sua semplice forma, a
prescindere dalla verit delle proposizioni che la compongono (per questo oggi
si usa parlare di logica formale). Per esempio, il ragionamento se luomo
un anfibio, allora pu vivere nellacqua corretto, anche se la conclusione in
s falsa, essendo falsa la premessa. Viceversa, il ragionamento che dalla stessa premessa concludesse che luomo non pu vivere nellacqua, sarebbe
scorretto, bench la conclusione sia vera. Il sillogismo corretto non assicura
quindi che ci siano conclusioni vere, ma assicura che, quando siano poste premesse vere, anche la conclusione sia vera.
Tale nuova impostazione puramente formale, sganciata dai contenuti di
qualsivoglia scienza, spalanca in effetti ad Aristotele un campo di problemi molto grande, studiati con completezza e raffinatezza incomparabilmente superiori
a quelle usate da Platone. Questo il motivo per cui leffettiva esecuzione del
compito va molto oltre le originarie intenzioni, mentre viene in parte perso di
vista lintento di chiarire il procedimento effettivo delle scienze. Ci tanto vero
che Aristotele stesso dovr annotare che non si pu imporre in ogni campo del
sapere (per esempio nelletica) quellesattezza dimostrativa messa in opera nella teoria del sillogismo.
da notare che, anche se la definizione dellanalitica sembra richiamare alcuni aspetti della matematica (in particolare della geometria, della quale gi allepoca di Platone era
chiara quella struttura deduttiva che pi tardi Euclide formalizzer), Aristotele non stabilisce
nessun legame tra le due. Ci si inquadra bene nella sua diffidenza nei confronti della matematica, che nellAccademia platonica a lui contemporanea aveva preso un posto preponderante, a suo avviso abusivo e ingiustificato: la matematica per Aristotele al massimo una
delle scienze teoretiche, che esamina la realt astraendo dalla sua materia e mantenendone
solo gli aspetti quantitativi. Lanalitica invece lo studio preliminare di tutte le leggi del ragionamento, che si applicano a qualsiasi scienza.
Come nei termini ci che conta il loro significato, cos nelle proposizioni
la loro verit o falsit. Anzitutto per Aristotele evidente che il vero e il falso
non si trovano nelle cose, ma soltanto nel pensiero delluomo: non questa
mela vera o falsa, ma solo ci che io penso di essa. Inoltre:
Come nellanima talvolta sussiste una nozione che prescinde dal vero e dal falso, e talvolta sussiste invece qualcosa cui spetta necessariamente o di essere vero o di essere falso,
cos avviene pure per quanto si trova nel suono della voce. In effetti, il falso e il vero consistono nella congiunzione e nella separazione. In s, i nomi e verbi assomigliano dunque alle nozioni, quando queste non siano congiunte a nulla n separate da nulla. [...] Dichiarativi sono,
per, non tutti i discorsi, ma quelli in cui sussiste unenunciazione vera oppure falsa. Tale
enunciazione non sussiste certo in tutti: la preghiera, ad esempio, un discorso, ma non risulta n vera n falsa (De int. 16 a9 - 17 a7).
Se vero dire che una cosa bianca (oppure che non bianca), essa sar necessariamente bianca (oppure non sar bianca), e daltra parte, se una cosa bianca (oppure
non bianca), era vero affermare oppure negare la cosa (De int. 18 a40-b1).
Malgrado lapparente banalit, questa definizione della verit come corrispondenza tra la proposizione e la realt eserciter condivisa o contestata
uninfluenza decisiva sulla storia della filosofia.
1.3. Le categorie
Unattenzione particolare dedicata da Aristotele al verbo essere che
realizza la connessione grazie alla quale la proposizione pu essere vera o falsa.
Come si visto, per Aristotele ogni proposizione pu infatti assumere fondamentalmente solo le due forme x y oppure x non y. Ci in effetti vero
almeno per la lingua greca, in cui anche i predicati verbali possono essere sempre riespressi sotto forma di copula e participio (osserva Aristotele: Infatti non
c nessuna differenza tra luomo vivente e luomo vive, n tra luomo
camminante o tagliante e luomo cammina o taglia, e ugualmente anche
per gli altri casi, Metaph., V.7 1017 a 27-30). Questa era la scoperta che gi
aveva fatto Parmenide.
Ci che per viene continuamente contestato a Parmenide la pretesa
che ente abbia un unico significato. Bisogna invece dire che lente si dice in
molti significati diversi ( , Metaph. IV 1003 a33 e altrove). Quando si considera, come stiamo appunto facendo, il verbo essere usato nelle proposizioni, bisogna dire che esso non ha un significato autonomo e
unico, ma assume tutti i possibili significati dei termini che connette. Tali significati vengono classificati in alcuni gruppi principali (otto o dieci secondo i testi),
chiamati generi delle predicazioni o in breve predicazioni (). Ecco il testo pi schematico al riguardo:
Delle cose dette secondo nessun collegamento [= termini] ciascuna significa o esistenza o di una quantit o di una qualit o in relazione a qualcosa o in un luogo o in un tempo o
giacere o avere o fare o subire. Ed esistenza (per fare un caso) ad esempio uomo, cavallo; di una quantit per esempio di due cbiti, di tre cbiti; di una qualit per esempio
bianco, grammatico; in relazione a qualcosa per esempio doppio, maggiore; in un
luogo ad esempio nel liceo, in piazza; in un tempo ad esempio ieri, un anno fa; giacere per esempio disteso, siede; avere per esempio calzato, armato; fare per
esempio tagliare, bruciare; subire per esempio venir tagliato, venir bruciato (Categorie, 1.4 1 b 25 2 a 4).
Allinterno dellanalitica, la teoria delle predicazioni adempie invece ad una funzione solo preliminare: mostrare come la riduzione di tutte le proposizioni alla
forma soggetto-predicato nominale non pregiudica le possibilit espressive ed
perci perfettamente accettabile.
Se le categorie abbiano un valore anche ontologico, se indichino cio non solo i
generi dei predicati ma anche i generi della realt stessa, un problema che stato
molto dibattuto. In linea generale si pu notare che lanalisi linguistica per Aristotele
un punto di partenza costante, ma in numerose occasioni egli mette in guardia da una
meccanica trasposizione dal piano del linguaggio a quello della realt. Ecco uno dei
passi pi significativi:
Dato che non possibile discutere presentando gli oggetti come tali, e che ci serviamo invece
dei nomi come di simboli che sostituiscono gli oggetti, noi riteniamo allora che i risultati osservabili a
proposito dei nomi si verifichino anche nel campo degli oggetti, come avviene a coloro che fanno calcoli usando dei ciottoli. Eppure le cose non stanno allo stesso modo nei due casi: in effetti, il numero
dei nomi limitato, mentre gli oggetti sono numericamente infiniti (Confutazioni sofistiche I, 1652 a510).
1.4. La quantificazione
La classificazione delle proposizioni pi importante per lanalitica riguarda invece quella che modernamente chiamata quantificazione dei predicati:
La proposizione dunque un discorso che afferma o nega qualcosa rispetto a qualcosa. Tale discorso, poi, universale o particolare. [...] Con discorso universale intendo quello
che esprime lappartenenza ad ogni cosa o a nessuna cosa; con discorso particolare, intendo
quello che esprime lappartenenza a qualche cosa o la non appartenenza a qualche cosa
(Anal. pr. I 24 a16-20).
o: qualche x non y
Tra i quattro modelli di proposizioni Aristotele individua dei rapporti che nel
Medioevo vennero rappresentati nel quadrato logico:
Le proposizioni contrarie non possono essere contemporaneamente vere; quelle subcontrarie non possono essere contemporaneamente false; delle contraddittorie
la verit dell'una equivale alla falsit dellaltra; le subalterne (i, o) sono sempre vere
quando la subalternante (a, e) vera.
ma fondamentale dellanalitica. Per riassumere la risposta di Aristotele, useremo la simbologia elaborata nel Medioevo soprattutto da Pietro Ispano (1219
ca.-1277) e ancor oggi celebre. In essa ogni sillogismo indicato da una parola
mnemonica, in cui le tre vocali indicano nellordine la quantit delle premesse e
della conclusione. Ecco dunque la tavola completa dei sillogismi (o modi) validi:
1 figura
barbara
darii
celarent
ferio
[barbari]
[celaront]
2 figura
cesare
camestres
baroco
festino
[cesaro]
[camestrop]
3 figura
darapti
datisi
disamis
felapton
ferison
bocardo
4 figura
[bamalip]
[camenes]
[fesapo]
[fresison]
[dimaris]
[camelop]
Tra parentesi quadre sono indicati i sillogismi che Aristotele analizza con
minore dettaglio degli altri. I sillogismi validi sono comunque, dei 256 possibili,
solo ventiquattro. Un esempio per ciascuna delle quattro figure:
1. barbara
2. camestres
3. felapton
4. fresison
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In una parte successiva della sua opera Aristotele compie unimportante estensione della sillogistica, cui accenniamo soltanto. Si tratta della sillogistica modale, in
cui, oltre alle semplici affermazioni considerate finora (assertorie) vengono considerate anche quelle che contengono le espressioni devessere e pu essere. Ai sillogismi prima considerati, in cui entrambe le premesse sono assertorie, se ne aggiungono quindi altre otto classi, secondo le varie combinazioni dei tre tipi di proposizioni.
Dei possibili sillogismi risultanti, Aristotele ne studia esplicitamente non meno di 137,
in pagine che sono tra le pi complesse della sua opera e che saranno molto spesso incomprese o fraintese.
Nel caso dei sillogismi, gli sembra che quelli della prima figura possano
svolgere tale compito. Essi costituiscono quindi, nella terminologia odierna, gli
assiomi del sistema sillogistico. Agli assiomi bisogna tuttavia aggiungere delle
regole di derivazione. Aristotele individua come sufficienti le seguenti leggi di
sostituzione:
s: nessun x y = nessun y x
s: qualche x y = qualche y x
p: ogni x y = qualche y x
m: se p e q allora r = se q e p allora r
c: se p e q allora r = se non-r e q allora non-p
plicemente riempitive.) In questo modo si giunger alla forma della prima figura
che inizia con la stessa consonante. Per esempio, per dimostrare disamis bisogna: convertire la prima premessa (disamis); convertire la conclusione (disamis); invertire le premesse (disamis); cos si ottiene un sillogismo darii (disamis).
Basteranno i successivi sviluppi della logica megarico-stoica per mettere in luce
come nellanalitica di Aristotele sia contenuto solo un piccolo sottoinsieme di leggi logiche (in termini moderni, lintera sillogistica solo una porzione del calcolo dei predicati monadici del primo ordine). Ci nonostante, i meriti di Aristotele sono enormi:
con lui non soltanto viene fondata partendo quasi dal nulla la logica formale,
della quale vengono riconosciuti e delimitati chiaramente i compiti, ma viene anche
costruito in maniera pressoch impeccabile un sistema in s completo, che costituir
per secoli la base di innumerevoli speculazioni (talvolta acute, talaltra di nessun valore). Questo risultato tanto pi degno di ammirazione quanto pi si veda il naufragio
che la logica dovr subire lungo diversi secoli, soprattutto a partire dal Rinascimento:
affinch in epoca moderna gli scritti di Aristotele possano essere di nuovo correttamente interpretati e discussi, bisogner aspettare lopera del polacco Jan ukasiewicz
(1878-1956).
Le premesse prime di cui si serve la scienza hanno un legame molto stretto con la teoria metafisica della definizione. Detto in breve, i princpi devono
esprimere ci che in ciascun mbito della realt pi generale e causa di ci
che particolare: ma questi sono proprio i caratteri che a diverso livello vengono espressi nella definizione di ciascuna cosa. Ci coerente con la ripetuta affermazione (di palese origine platonica) che la scienza si occupa solo delluniversale e necessario e non del singolare e accidentale:
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Dellaccidente non c scienza. Ogni scienza, infatti, riguarda ci che sempre o [almeno] per lo pi: come sarebbe possibile, altrimenti, imparare o insegnare ad altri? Infatti
ci che oggetto di scienza deve potersi determinare come esistente sempre o per lo pi: come, per esempio, che lacqua e miele ai febbricitanti per lo pi giova. Altrimenti nemmeno
sar possibile enumerare i casi in cui ci non avviene: per esempio nel novilunio, perch anche questo accade o sempre o per lo pi, mentre laccidente non fa cos (Metaph. VI 1027
a19-26).
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Risulta evidente che, se viene a mancare qualche senso, necessariamente viene pure
a mancare qualche scienza, che sar impossibile acquisire, dal momento che noi impariamo
o per induzione o mediante dimostrazione. Orbene, la dimostrazione parte da proposizioni
universali, mentre linduzione si fonda su proposizioni particolari; non tuttavia possibile cogliere le proposizioni universali se non attraverso linduzione, poich anche le nozioni ottenute per astrazione saranno rese note mediante linduzione, quando cio si provi che alcune
determinazioni appartengono ad un singolo genere in quanto tale, sebbene non risultino separabili dagli oggetti della sensazione (An. post. I.18 81 a38-b5).
Non possibile condurre la dimostrazione passando da un genere allaltro: per esempio, non si pu dimostrare una proposizione geometrica mediante laritmetica. Tre sono infatti gli elementi costitutivi delle dimostrazioni: in primo luogo ci che si dimostra, ossia la
conclusione (la quale esprime lappartenenza di una determinazione per s ad un qualche genere); in secondo luogo gli assiomi (gli assiomi sono le proposizioni da dove prende le mosse
la dimostrazione); in terzo luogo, il genere sottoposto, le cui affezioni e determinazioni per s
sono rivelate dalla dimostrazione (An. post. I.7 75 a38-b2).
Il primo di essi viene qualificato da Aristotele il pi forte di tutti i princpi e il punto di partenza per qualsiasi dimostrazione (cio pi esattamente:
confutazione). Proprio per questo, ne impossibile come sappiamo una
dimostrazione vera e propria. possibile per una sorta di dimostrazione indiretta, realizzata confutando lavversario che lo neghi:
Il punto di partenza consiste nellesigere che lavversario [...] dica qualcosa che abbia
un significato per s e per gli altri; e questo pur necessario, se egli intende dire qualcosa. Se
non facesse questo, costui non potrebbe in alcun modo discorrere, n con s stesso n con
altri; se lavversario concede questo, allora sar possibile una dimostrazione. [...] Se relativamente ad un medesimo soggetto fossero vere, ad un tempo, tutte le affermazioni contraddittorie, evidente che tutte quante le cose si ridurrebbero ad una sola. Infatti, saranno la medesima cosa e una nave e una parete e un uomo, se di tutte le cose un determinato predicato si pu tanto affermare tanto negare. [...] Infatti, se a qualcuno sembra che un uomo non
sia una nave, evidente che non una nave; tuttavia sar anche una nave, dal momento che
il contraddittorio vero. Allora tutte le cose saranno confuse insieme (Metaph. IV 1006 a18 1007 b26).
In sostanza: soltanto per il fatto di discutere, usando quindi parole cui attribuisce un significato determinato, lavversario fa uso del principio di non-contraddizione e quindi ne ammette implicitamente la validit. Questa discussione
molto importante soprattutto dal punto di vista della semantica (cio della
teoria del significato).
Tuttavia Aristotele pu affermare che il principio necessario e che ad esso si
riducono tutte le altre leggi logiche solo perch sta pensando alle dimostrazioni per
assurdo; nella sillogistica invece egli ne fa un uso molto limitato, e mostra che possibile costruire sillogismi validi che tuttavia lo volano. Bench Aristotele pi tardi not
la cosa e precis le sue affermazioni (nessuna dimostrazione assume espressamente
lassioma secondo cui non possibile affermare e al tempo stesso negare qualcosa di
un oggetto, Anal. post. I 77 a10-12), il passo della Metafisica trarr spesso in ingan17
In modo simile stanno le cose con il principio del terzo escluso, che afferma che non c una terza possibilit tra il vero e il falso (tertium non datur), e
che dunque la negazione della negazione eguale allaffermazione. Anchesso
non necessario in senso assoluto: lo stesso Aristotele si rese conto di ci, e limit la portata di questo principio nel caso delle proposizioni future contingenti (per esempio domani ci sar una battaglia navale), che non sono n
vere n false:
Dal momento che i discorsi sono veri analogamente a come lo sono gli oggetti, chiaro che a proposito di tutti gli oggetti, costituiti cos da accadere indifferentemente in due modi secondo delle possibilit contrarie, anche la contraddizione si comporter necessariamente in maniera simile. appunto ci che avviene riguardo agli oggetti che non sono sempre,
oppure a quelli che non sempre non sono. In tali casi infatti necessario che una delle due
parti della contraddizione sia vera e laltra falsa, ma non tuttavia necessario che una determinata parte sia vera oppure falsa; sussiste piuttosto unindifferenza tra le due possibilit, e
quandanche uno dei due casi risulti pi vero, la verit e la falsit non saranno tuttavia gi decise sin da principio (De int. 9 19a33-39).
Applicare il principio del terzo escluso in questi casi equivarrebbe insomma ad ammettere che tutte le cose avvengono per necessit: In tal modo, non
occorrerebbe pi che noi prendessimo delle decisioni, n che ci sforzassimo laboriosamente (De int. 9 18b30-31).
Il fatto che tali due princpi sono indispensabili solo nellambito dialettico non
toglie nulla alla loro enorme importanza storica e teorica. Ancora oggi sono utilizzati
come criterio per distinguere i possibili generi di logica proposizionale. Cos, le logiche
che assumono tanto il principio di non contraddizione quanto quello del terzo escluso
vengono chiamate classiche, quelle che assumono solo il primo intuizionistiche,
quelle che non assumono n il primo n il secondo minimalistiche.
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2. La logica megarico-stoica
Con molta chiarezza viene anche introdotta una distinzione che ad Aristotele era in parte ignota:
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Gli Stoici dicono che questi tre elementi sono connessi fra di loro: il significato
(), il significante () e levento (). Il significante il suono stesso, ad esempio Dione; il significato lentit manifestata e che apprendiamo in quanto
coesiste con il nostro pensiero, e che gli stranieri non capiscono, sebbene odano il suono;
levento ci che esiste allesterno, ad esempio Dione stesso. Di questi, due sono corporei, e
cio il suono e levento, e una incorporea, e cio lentit significata, il senso (), che
[solo] vero o falso (SVF II, 166 = FL 19.04).
Loggetto proprio della logica costituito per gli Stoici solo dai sensi
(). La distinzione stabilita tra eventi e sensi corrisponde sostanzialmente a quella moderna tra estensione e intensione (chiarita soprattutto
da Gottlob Frege [1848-1925]). Per mostrarne la differenza, prendiamo come
esempio la proposizione Gli uomini sono mortali. Da un punto di vista estensionale, essa viene interpretata cos: Linsieme degli uomini incluso nellinsieme dei mortali. Da un punto di vista intensionale viene invece spiegata cos: Il
concetto di uomo comprende il concetto di mortale. Gli Stoici, ritenendo che
la proposizione in s non abbia alcun corrispondente reale (al contrario dei
suoi termini), ma sia solo un , scelsero senza incertezze per la loro logica
uninterpretazione intensionale. (Oggi si ritiene che entrambe le alternative siano lecite, e che in particolare quella che intensionalmente una logica dei predicati diventi estensionalmente una logica delle classi.)
2.2. La logica proposizionale
Dove la logica stoica supera nettamente lanalitica aristotelica, creando
praticamente un campo nuovo, nello studio della proposizione (chiamata
). Una prima distinzione fondamentale tra proposizioni semplici e complesse. Semplice la proposizione che contiene solo un predicato (per esempio
giorno), complessa quella costituita dal collegamento di pi proposizioni
tramite connettivi logici (per esempio giorno e piove). Ovviamente, i connettivi possono unire proposizioni a loro volta complesse. Si osservi che la negazione di una proposizione semplice (per esempio non giorno), che oggi viene classificata tra le proposizioni complesse, era invece considerata semplice
dagli Stoici.
Ora, la loro intuizione fondamentale che i connettivi logici (non, e, o, se
... allora, ecc.) vanno considerati operatori, simili, per esempio, ai comuni operatori aritmetici (+, , , /). Mentre per questi ultimi operano su valori numerici, i
connettivi logici operano sui valori di verit che le proposizioni possiedono in
quanto . Il caso pi semplice quello della negazione logica: quando essa
applicata ad una proposizione vera genera una proposizione falsa, e viceversa.
Riguardo ai connettivi che collegano due proposizioni bisogner considerare
quattro casi: due proposizioni entrambe vere, due entrambe false, la prima vera
e la seconda falsa, e viceversa. Definire una connessione logica equivale cos a
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scrivere la sua tavola di verit, cio precisare quale sia il valore di verit della
proposizione complessa in corrispondenza dei quattro casi ora detti. Per esempio, una proposizione congiuntiva ( giorno e piove) sar complessivamente
vera solo quando entrambe le proposizioni congiunte sono vere. In questo modo gli Stoici vennero definite diverse connessioni. Eccone le pi importanti, delle quali diamo a sinistra il nome e a destra, sulla stessa riga, la tavola di verit:
proposizione 1
proposizione 2
congiuntiva (... e ...)
disgiuntiva inclusiva (... o ...)
alternativa (o solo ... o solo ...)
condizionale (se ... allora ...)
condizionale doppia (solo se ... allora ...)
vera
vera
vera
vera
falsa
vera
vera
vera
falsa
falsa
vera
vera
falsa
falsa
falsa
vera
falsa
vera
vera
vera
falsa
falsa
falsa
falsa
falsa
falsa
vera
vera
Un paio di osservazioni importanti. La prima riguarda le due differenti disgiunzioni, che n in greco n in italiano sono chiaramente distinte nel linguaggio naturale.
Quella esclusiva (o alternativa) esclude, appunto, la verit di entrambe le proposizioni disgiunte (per esempio: partir luned o marted, ma non i due giorni contemporaneamente); quella inclusiva invece no (per esempio: se c pioggia o neve bisogna guidare con prudenza, e anche se ci sono le due cose contemporaneamente). La
distinzione tra le due facile in latino, dove lesclusiva sindica con aut e linclusiva
con vel. Come si vedr, gli Stoici, contrariamente alluso moderno, usavano per lo pi
la disgiunzione esclusiva.
Una seconda osservazione riguarda la proposizione condizionale (o implicazione). La tavola definisce la cosiddetta implicazione materiale o filoniana, dal nome
del logico megarico Filone. Essa risulta falsa solo nel caso che ad un antecedente vero
segua un conseguente falso, e ci indipendentemente dal senso delle proposizioni
connesse. Per esempio, tutte e tre queste proposizioni risultano vere: se 2 pari, allora un numero primo, se la luna verde, allora il cielo azzurro, se Aristotele
cinese, allora Platone turco. Tale uso molto pi ampio di quello del linguaggio
naturale, in cui invece una proposizione condizionale viene considerata vera solo
quando in pi c un nesso reale tra le due proposizioni (come per esempio nei sillogismi aristotelici). Questa detta implicazione formale, e di essa due varianti furono
definite da Diodoro Crono e da Crisippo. Il problema era molto dibattuto, al punto che
un bibliotecario di Alessandria del II sec. riferisce: Anche i corvi gracchiano sui tetti
su quali implicazioni siano corrette (FL 20.06). La discussione continuer nel Medioevo, quando Paolo Veneto (1368-1429) elencher ben dieci significati differenti
dellimplicazione, e arriver fino ai giorni nostri.
Con la definizione dei connettivi logici viene cos iniziata quella che oggi
chiamata logica proposizionale e che in et moderna venne rifondata da diversi
logici, tra i quali spicca Gottlob Frege. In essa, al contrario della logica dei predicati (di cui la sillogistica aristotelica costituisce una parte), non viene considerata la struttura interna delle proposizioni, ma solo il loro valore di verit. Tramite
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le tavole possibile calcolare una proposizione comunque complessa, ovviamente una volta che sia noto il valore di verit delle proposizioni semplici.
2.3. I discorsi conclusivi
Questa chiara nozione permise di formulare una distinzione che ad Aristotele era sfuggita: quella tra discorsi conclusivi e proposizioni vere (in linguaggio moderno: tra deduzioni corrette e leggi logiche):
Un discorso () un sistema costituito da premesse e da una conclusione. Le premesse sono le proposizioni accettate per la dimostrazione della conclusione, la conclusione
la proposizione dimostrata a partire dalle premesse. Prendiamo ad esempio il seguente discorso:
Se giorno allora c luce;
ma giorno;
dunque c luce.
In esso c luce la conclusione, le altre proposizioni sono le premesse (FL 21.01 =
Pyrrh. Hyp. B 135).
Alcuni discorsi sono conclusivi, altri non conclusivi. Sono conclusivi quando la proposizione condizionale che inizia con la congiunzione delle premesse del discorso e finisce con la
conclusione vera. Ad esempio, il discorso citato conclusivo, perch vera la connessione
della congiunzione delle sue premesse con c luce, in questa proposizione condizionale: se
giorno e se giorno allora c luce, allora c luce. Non conclusivi sono i discorsi non costruiti
in questo modo (FL 21.02 = Pyrrh. Hyp. B 137).
Pi esplicitamente, un discorso conclusivo corrisponde ad una proposizione condizionale sempre vera, qualunque sia il valore di verit delle proposizioni
semplici che la compongono. In generale, oggi viene chiamata legge logica una
proposizione complessa (anche non condizionale) che vera indipendentemente dai valori di verit delle proposizioni semplici. Per esempio, p o non p
una legge logica. Pi chiara che in Aristotele anche la distinzione tra discorsi
conclusivi e conclusioni vere:
Fra i discorsi conclusivi alcuni sono veri [nella conclusione], altri falsi. Sono veri quando, oltre alla proposizione condizionale costituita dalla congiunzione delle premesse e dalla
conclusione, anche la congiunzione delle premesse, cio lantecedente della proposizione
condizionale, vera (FL 21.07 = Pyrrh. Hyp. B 138).
22
Non sapendo quali regole venissero ammesse per dedurre nuovi discorsi (a causa della frammentariet delle fonti), non possiamo giudicare se venne
effettivamente costruita una logica proposizionale completa, in cui cio tutte le
proposizioni vere siano dimostrabili. Pare certo per che venne almeno chiaramente intuto il concetto di completezza di un sistema logico. Esso svolger un
ruolo fondamentale nella logica contemporanea, quando Kurt Gdel (19061978) riuscir sorprendentemente a dimostrare che nessun sistema logico che
raggiunga una certa potenza espressiva pu essere completo.
Ci si potrebbe domandare quale sia lutilit di stabilire indimostrabili e regole di
deduzione se come gi detto luso delle tavole sufficiente per accertare la verit o falsit di qualsiasi proposizione. In realt, le tavole di verit diventano inutilizzabili appena si esce dal dominio della logica proposizionale e si entra in quello della logica dei termini. Per esempio, i sillogismi di Aristotele non potrebbero essere dimostrati cos. Ci significa che a partire da un certo livello di complessit non esiste pi
nessun modo puramente meccanico per dimostrare teoremi.
Il cretese che afferma che i cretesi mentono sempre, mente o dice la verit?
Lo spunto per questo paradosso sembra essere stato offerto da un esametro del sapiente cretese Epimenide (VI sec. a.C.), testimoniato nel Nuovo Testamento: I Cretesi sono sempre mentitori, cattive bestie, pigri ghiottoni
( , , [Tit. 1,12]). evidente che si
giunge in ogni caso ad una contraddizione: se il Cretese dicesse la verit, ci significherebbe che sta mentendo; se stesse mentendo, ci significherebbe che
dice la verit. Crisippo scrisse sullargomento ventotto libri, ma qualcuno fece di
peggio; ecco la lapide di Filita di Cos (340 ca.-285 a.C.): Viandante, io sono Filita; largomento chiamato il mentitore e le profonde meditazioni notturne mi
condussero alla morte (FL 23.08). Sfortunatamente non conosciamo bene le
soluzioni elaborate. Pare che Crisippo sostenesse che lantinomia del mentitore
non neanche una proposizione, essendo impossibile stabilire se vera o falsa.
Questo problema accompagner comunque lintera storia della logica. Paolo Veneto nel Medioevo discuter ben quindici soluzioni differenti dellantinomia,
che rimasta al centro dellattenzione fino ai tempi moderni.
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Leibniz non intende per semplicemente riprendere la logica antica e medioevale, ma concepisce lidea di una sua radicale rifondazione, che viene da lui
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posta sotto il nome di arte combinatoria e che eserciter una certa influenza
anche sui posteri. In tale denominazione implicito un netto progresso rispetto
alle idee precedenti in materia:
Chiamo arte combinatoria quella scienza (che si pu dire anche in generale caratteristica, o speciosa), in cui si tratta di tutte le forme o formule delle cose, cio della qualit in
genere, o del simile e dissimile, a, b, c, ecc. (che possono rappresentare quantit o altro), in
quanto dalla loro combinazione nascono via via altre formule; essa si distingue dallalgebra
che concerne le formule applicate alla quantit, ovvero leguale e lineguale. Lalgebra, pertanto, si subordina alla combinatoria, e si serve continuamente delle sue regole, che peraltro
sono di gran lunga pi generali, e valgono non solo per lalgebra soltanto, ma anche per larte
decifratoria, per vari generi di giochi, per la stessa geometria trattata linearmente al modo
degli antichi, insomma, dovunque entri in gioco la similitudine (SAU, fine).
fondamento e la ragione di tutti i predicati che si possono dire di lui con verit, come per
esempio che egli vincer Dario e Poro, fino a conoscere a priori (e non per esperienza) se
morto di una morte naturale o avvelenato, il che noi possiamo sapere solo grazie alla storia
(DM 8).
tutti i mondi possibili. Esse sono dunque necessarie solo sulla base di una premessa (ex hypothesi): dato che questo il mondo esistente, allora necessariamente Alessandro vince Dario. Ci si pu esprimere anche dicendo che le verit
necessarie sono fondate sullintelletto di Dio, che pensa tutti i mondi possibili,
mentre quelle contingenti sono fondate sulla volont di Dio, che ha deciso quale di questi mondi possibili creare, cio rendere reale.
Da ci si ricava anche che ci sono in realt proposizioni contingenti che, contro
la regola generale, non hanno una prova a priori, o perlomeno non nel senso in cui la
posseggono le altre: le proposizioni esistenziali, che affermano se qualcosa esiste o
no. Nel concetto di Alessandro Magno non compresa la sua esistenza. Ci avviene
eccezione delleccezione solo nel caso di Dio, come si vedr.
ficiente in grado secondo Leibniz di condurre alla metafisica, che sinterroga sullesistenza delle cose e sulla sua causa.
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