Escolar Documentos
Profissional Documentos
Cultura Documentos
settembre 2006
POTENZIALITÀ DI RECUPERO DEGLI EDIFICI INDUSTRIALI DISMESSI
MANUELA MUSTO
Dottoranda in Tecnologie dell’Architettura e dell’Ambiente presso il Dipartimento di
Restauro e Costruzione dell’Architettura e dell’Ambiente (coordinatore prof. arch. M. I.
Amirante), Seconda Università degli Studi di Napoli, Facoltà di Architettura “Luigi
Vanvitelli”.
Il tema del recupero di un edificio industriale e delle aree annesse, per i significati che si
attribuiscono ad esso (culturali, economici, architettonici), affronta una problematica non
nuova e ampiamente discussa: la questione dell’inserimento nella città e nell’ambiente
circostante di un corpo ad essi tradizionalmente estraneo. Sorge, pertanto, il dibattito legato
al cambio di destinazione d’uso di edifici con caratteristiche tipologiche peculiari e
all’integrazione di tecnologie per edifici caratterizzati da durezza, coerenza e semplicità
tecnologiche.
Sembra opportuno, quindi, per la nostra ricerca proporre un’analisi diversa ma organica al
fine di “leggere” le fabbriche avvalendosi delle “parole” la letteratura e delle “cose”
recuperi portati a termine; per attribuire un valore nuovo agli edifici industriali dismessi
osservandoli dal punto di vista ambientale, architettonico e tecnologico. Inoltre si
cercheranno matrici comuni che possono essere utili alla comprensione delle metamorfosi
che l’edificio subisce a causa del tempo e delle diverse produzioni, individuando eventuali
elementi permanenti 1 che possano essere il filo conduttore per un intervento di recupero.
Il necessario intervento di conservazione potrebbe diventare un’occasione per dare nuova
vita all’edificio. Bisogna, infatti, pensare al recupero non come ad un restauro fine a se stesso
ma come ad un progetto che offra una forte carica dinamica, per promuovere l’architettura a
“nostra seconda natura” 2 , non contrapposta al mondo circostante ma in continua osmosi con
esso.
Il problema del recupero degli edifici industriali consisterà nell’adattare materiali, processi ed
impianti nuovi ad un organismo architettonico che non deve perdere il suo carattere
originario, senza negarsi una nuova vita. Bisogna considerare che una caratteristica degli
edifici industriali è quella di attenersi alle innovazioni strutturali o impiantistiche: il che
deriva dalla sua natura di organismo vivente. Raramente, questo peculiarità viene concessa
all’edilizia residenziale e agli edifici pubblici o storici, mentre l’innovazione per l’edificio
industriale, durante l’uso, costituisce la norma ed è sintomo di vitalità 3 . Questo modo di
“evolversi” dell’edificio deve e può essere portato avanti anche nell’intervento di recupero,
per ampliare nuovi campi di discussione nella disciplina.
Nella prassi corrente di un progetto di recupero, oltre all’analisi storica, un ulteriore
approccio conoscitivo è l’osservazione dei caratteri tipologici dell’edificio da recuperare.
Particolarmente valido è questo modo di procedere nel caso degli edifici industriali per i
quali sia l’analisi storica che quella tipologica appaiono complesse a causa dell’oblio dovuto
all’obsolescenza, all’evoluzione delle tecniche produttive ed alla difficoltà di una
categorizzazione tipologica delle diverse strutture. Appare, pertanto, necessaria una lettura
approfondita dei caratteri tipologici mediante l’osservazione dello stato attuale dell’edificio e
1
Cfr.: I. Amirante (a cura di), Recupero delle preesistenze e forme dell’abitare, Volume primo, 1991, pp. 102,
106.
2
M. Bottero, Della sostenibilità , in “Recupero edilizio e bioclimatica” (a cura di) M. Sala.
3
Cfr.: R. Raja, Architettura industriale, storia, significato e progetto, Bari, 1983, pp. 5, 9.
1
TICCIH 2006 XIII International Congress – Industrial heritage and urban transformation, Terni /Roma 1418
settembre 2006
dei relativi documenti storiografici, per individuare regole di conformazione specifiche e per
stabilire correlazioni tra le diverse varianti tipologiche.
In questa breve nota si intende utilizzare una seconda via interpretativa che contrappone alla
nozione di “ tipo” come “ forma base” una valutazione tesa a farlo coincidere con il “ codice
genetico” di un processo evolutivo e vitale che integri i sistemi del costruire con le forme 4 di
fruizione.
Si ritiene, pertanto, opportuno considerare il codice genetico di questi edifici in quanto luoghi
creati per una specifica attività che, a seconda dei casi e delle produzioni, presentano una
dinamica ed una peculiarità nell’utilizzo degli spazi da leggere, con attenzione, al fine di non
riproporre un recupero “statico” degli ambienti, che mal si addice alla natura stessa
dell’edificio industriale. Infatti, gli studi tipologici 5 svolti nei secoli e tesi alla scoperta di una
sostanza profonda che sostenga la variabilità dell’aspetto, definiscono il legame del “tipo”
con una dinamica evolutiva che si oppone ad un idea di fissità assoluta della struttura
architettonica e che si apre al possibile futuro di variabili incognite.
Una tale interpretazione del tipo, definibile organicistica, consente di ragionare sull’edificio
industriale definendone la sua unicità. La diversità dagli altri edifici, assimilabili per
categoria, diventano non casuali ma parti della complessità del tipo che coinvolgono la
sostanza tipologica 6 .
Un approccio di questo genere nel recupero di edifici industriali appare quanto mai
congruente dato che un edificio adibito alla produzione può essere certamente considerato
parte di un sistema complesso, caratterizzato da relazioni complesse tra gli elementi 7 .
Indagare la tipologia di relazioni permette una risposta alle esigenze future non riproponendo
lo stesso tipo di articolazione funzionale degli spazi della situazione storica dell’industria da
recuperare, ma confermando la stessa modalità di organizzazione biunivoca tra “luoghi” ed
“esigenze” caratterizzanti l’organismo architettonico.
L’ipotesi che si vuole perseguire è che il progetto di recupero degli edifici industriali metta in
moto un processo macroevolutivo 8 che operativamente significa:
‐ Non ammettere una conservazione fissa della tipologia dell’industria ma lasciare
spazio ad una sua possibile rigenerazione nel futuro.
‐ Non dare indicazioni funzionali che vadano nella direzione di una estrema
specializzazione 9 .
La relazione tra i due punti risiede nella natura dell’edificio industriale, cioè una struttura con
modifiche continue, relative all’evoluzione degli impianti. Infatti, un progetto di recupero,
pensato come rigidamente definito nella sua struttura tipologica, unitamente ad una
4
Cfr.: F. Muzzillo, B. Zagarese, “Caratteri tipologici e forme abitative”, in Recupero delle preesistenze e forme
dell’abitare, vol. II, Napoli, 1991, p. 84.
5
Quatremère de Quincy intese il “tipo” come “l’idea di un elemento che deve […] servire di regola al modello.
Saverio Muratori parla del rapporto tra l’individuabilità del tipo con un nuovo aspetto individuale insorgente
come sviluppo e differenziazione nell’ambito del primo.
6
Ibidem, p. 83, 89.
7
Un esempio può essere la struttura architettonica delle prime fabbriche con impianti azionati dagli alberi di
trasmissione. La relazione tra la forza motrice, la relativa trasmissione agli impianti di produzione, con la
struttura architettonica modifica l’edificio sia in piano che in alzato, e la perdita della relazione tra questi
elementi impedisce la comprensione dell’impianto originario dell’edificio e della produzione.
8
La macroevoluzione è detta anche tipogenesi, questo modo di studiare l’evoluzione come processo di
generazione e modificazione tipologica legittima l’ipotesi per la quale al “tipo” venga riconosciuta la capacità di
trasformarsi esso stesso. Cfr.: F. Muzzillo, B. Zagarese, “Caratteri tipologici e forme abitative”, in Recupero
delle preesistenze e forme dell’abitare, vol. II, Napoli, 1991, p. 85.
9
Cfr.: F. Muzzillo, B. Zagarese, ibidem, p. 85.
2
TICCIH 2006 XIII International Congress – Industrial heritage and urban transformation, Terni /Roma 1418
settembre 2006
10
Cfr.: F. Muzzillo, B. Zagarese, ibidem, p. 85.
11
Ibidem, pag. 86. Questa affermazione per un edificio industriale appare tanto più veritiera dato che spesso
l’edificio sorge attorno alla produzione ed in funzione di essa.
12
Trattando di manufatti industriali da riconvertire il livello architettonico diviene, secondo Augusto Vitale, un
progetto “generatore di conservazione” rappresentato all’esterno da una definita e nota tipologia, ed un “luogo
dell’invenzione”, rappresentato all’interno dalla necessità di riconfigurare gli spazi e rivitalizzarli. Dal punto di
vista tecnologico, invece, vi è una stretta correlazione tra la precedente funzione ed il recupero dell’edificio:
sono infatti proprio gli aspetti tecnologici che creano un ideale filone di continuità con le tracce della
produttività delle fabbriche.
13
Valeria Pezza, “la questione delle aree dismesse”, in Bollettino del Dipartimento di Progettazione Urbana
Università degli Studi di Napoli “Federico II” , n°2, 1996, pag. 113.
3
TICCIH 2006 XIII International Congress – Industrial heritage and urban transformation, Terni /Roma 1418
settembre 2006
tra il luogo e la sua costruzione 14 può essere quindi il nocciolo centrale che il processo di
evoluzione del tipo tenderà a riproporre al suo interno 15 .
Come scrive W. Benjamin:“ L’Hic et Nunc” dell’originale costituisce il concetto della sua
autenticità […]. L’intero ambito dell’autenticità di una cosa è la quintessenza di tutto ciò
che, fin dall’origine di essa può venir tramandato, dalla sua durata materiale alla sua virtù
di testimonianza storica. 16
Il nocciolo centrale rappresenta l’autenticità che deve essere tramandata, e nel ritrovare la
riproposizione nel processo di evoluzione conserviamo l’autenticità dell’edificio pur nella sua
trasformazione.
Appare invece chiaro che se si vuole cambiare la destinazione d’uso di questi manufatti, se ne
deve comprendere la vocazione analizzandone i rapporti prossemici più profondi rispetto alla
semplice visione dell’edificio industriale quale utensile che contiene altri utensili.
La lettura di alcuni casi studio chiarisce la fruizione della struttura, i rapporti prossemici tra
gli individui, i legami di vicinanza e lontananza con le strutture mobili, le alternanze tra gli
spazi destinati al pubblico ed al privato, le forme di percorribilità.
Naturalmente, bisogna essere a conoscenza dei dati della struttura fisica dell’edifico e
confrontarli con i dati relativi al comportamento lavorativo della comunità che operavano in
esso, considerando anche il tipo di produzione.
Gli elementi che occorre valutare della struttura fisica sono:
· La struttura geometrica
· L’articolazione dei vani in piano ed in alzato
· La localizzazione degli accessi esterni
Questi dati vanno correlati con la struttura delle attività che si effettuavano negli edifici:
· La suddivisione in attività collettive e private, e nelle ore lavorative.
· Il carattere delle attività: di tipo attivo, di tipo mentale, effettuate dalle macchine,
dall’uomo o in sinergia.
Incrociando queste due letture si possono ottenere delle informazioni utili alla comprensione
dei tratti tipologici e le vocazioni genetiche dell’esempio analizzato 17 :
o Le relazioni tra gli spazi interni e degli spazi esterni integrati all’organismo
architettonico ed in relazione alle attività che si conducono negli uni e negli altri.
o La relazione tra l’accessibilità dall’esterno e le modalità di penetrazione
nell’organismo.
o La relazione tra la permeabilità dall’esterno e dall’interno, e la percezione della stessa.
o La suddivisione degli spazi per la produzione e la successione crescente di grado fino
alla rifinitura del prodotto.
o Le forme di percorribilità interne ed il rapporto tra percorso e meta.
o Le relazioni tra la scansione spaziale e distribuzione di affluenza, e di modi in cui la
variazione della seconda alterano la prima.
o Le funzioni differenziate in base alla conformazione ed alla forma degli ambienti.
o La suddivisione in sottoinsiemi spaziali in cui siano costanti determinati rapporti:
dimensioni/produzioni; illuminazione/produzioni.
o La suddivisione tra luoghi dello stoccaggio e luoghi dell’attività.
14
Ibidem.
15
F. Muzzillo, B. Zagarese, “Caratteri tipologici e forme abitative”, in Recupero delle preesistenze e forme
dell’abitare, vol. II, Napoli, 1991, pp. 83, 89.
16
W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica , Torino 1966, pag. 24
17
Non bisogna però pensare che decifrare il codice genetico porta a stabilire univocamente quale sia il ruolo
idoneo all’organismo architettonico.
4
TICCIH 2006 XIII International Congress – Industrial heritage and urban transformation, Terni /Roma 1418
settembre 2006
18
Massarente Alessandro “ da archeologia a patrimonio industriale” in costruire in laterizio n° 105.
19
A. Negri, M. Negri, L’archeologia industriale, Firenze 1978, p. 68.
20
Massarente Alessandro, op.cit.
21
M. Stratton, definisce non buildings queste strutture industriali. È sembrato opportuno rifarsi a questo termine
inglese in quanto riesce a dare un’idea, seppur a grandi linee, di questi elementi. La traduzione del termine in
italiano è stata suggerita dal prof. A. Vitale. Cfr. AA.VV., Industrial buildings. Conservation and Regeneration,
(a cura di Stratton M.), New York, 2000, pag. 37.
22
Massarente Alessandro, op.cit.
5
TICCIH 2006 XIII International Congress – Industrial heritage and urban transformation, Terni /Roma 1418
settembre 2006
6
TICCIH 2006 XIII International Congress – Industrial heritage and urban transformation, Terni /Roma 1418
settembre 2006
Analisi dell’edificio industriale della Tate Modern di Londra prima e dopo l’intervento di recupero firmato
dagli architetti Herzog e De Meuron.
7
TICCIH 2006 XIII International Congress – Industrial heritage and urban transformation, Terni /Roma 1418
settembre 2006
Analisi dell’edificio industriale dello zuccherificio Eridania a Parma prima e dopo l’intervento di recupero
firmato dallo studio di Renzo Piano.
8
TICCIH 2006 XIII International Congress – Industrial heritage and urban transformation, Terni /Roma 1418
settembre 2006
Bibliografia
‐ Amirante, M. I. ,(a cura di), Recupero delle preesistenze e forme dell’abitare, Volume
primo, Napoli, 1991.
‐ Benjamin, W., L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica , Torino, 7 a
ed. 1994.
‐ AA.VV., “La trasformazione delle aree dismesse nell’esperienza europea”, in
Progettazione urbanaBollettino del Dipartimento di Progettazione Urbana
Università degli Studi di Napoli Federico II, n°2, gennaio 1996,
‐ Fontana C., Recuperare, le parole e le cose, Bologna, 1991.
‐ Foti, Giuseppina, “Integrabilità e innovazione costruttiva nel progetto dell’esistente”,
in I linguaggi della riabilitazione, Giuffrè, R., Foti, G., Trombetta, C., Quaderni di
Cultura Tecnologica della Progettazione, Catanzaro, 2003.
‐ Massarente, A., “ Da archeologia a patrimonio industriale” in Costruire in laterizio,
numero monogrfiaco sull’archeologia industriale n° 105, 2005, 2 – 4.
‐ Muzzillo, F., Zagarese B., “Caratteri tipologici e forme abitative”, in Recupero delle
preesistenze e forme dell’abitare, vol. II, Napoli, 1991, pp. 83, 89.
‐ Raja, R., Architettura industriale, storia, significato e progetto, Bari, 1983.
‐ Negri A, Negri, M., L’archeologia industriale, Firenze – Messina, 1978.
‐ Fontana, G. L., introduzione, in “Archeologia industriale in Italia Temi progetti
esperienze”, I quaderni di Patrimonio industriale, Roma 2005.
‐ Secchi, Bernardo, “un ampliamento dello sguardo” ”, in Rassegna , n°42, giugno 1990.
‐ Stratton M. (a cura di), Industrial buildings. Conservation and Regeneration, New
York, 2000.
‐ Vitale, Augusto, “La riconversione dell’edificio industriale” in Costruire, n° 252,
maggio 2004, p.7178.
Sul progetto di recupero della ex Manifattura tabacchi Centola:
‐ «Concorso internazionale per la riqualificazione del complesso ex tabacchificio
Centola Pontecagnano Faiano », in d’Architettura , allegato al n°22, 2002, pp. 8 – 23.
‐ AA.VV.“Concorso internazionale per la riqualificazione del complesso ex
tabacchificio Centola Pontecagnano Faiano”, in d’Architettura , allegato al n°22,
2002, pp. 8 – 23.
‐ Gamba, Roberto, “Sala per concerti nel vecchio zuccherificio Eridania a PArma”, in
Industria delle costruzioni, n° 368, 2002.
‐ www.newitalianblood.com
Sul progetto di recupero della Tate modern:
‐ AA.VV., “Tate Modern in London”, in Detail, ottobre novembre, 2000, pp. 1251 –
1267.
‐ Costanzo, Michele, “The tate modern a different way of communicating art in the
Contemporary Museum”, in Controspazio, n°4, 2002, p. 719.
‐ Herzog & de Meuron, Tate Modern, in “Domus”, n. 828/2000.
‐ Hirst John, Marriott Tony, Wainwright Faith, “Tate Modern”, in The ARUP Journal,
n° 3, 2000, pp. 3 – 10.
Sul progetto di recupero del ex zuccherificio:
‐ Antoniacci, Raffaella e Schincaglia, Mirna, “Ando per Armani, Piano per Paganini,
dalle fabbriche nuovi spazi per la moda e la musica”, in Paesaggio Urbano, n°2,
marzoaprile 2002, p. 5556
‐ Pedrazzini, Alberto, “Dall’ex zuccherificio nasce a Parma l’Auditorium ‘Paganini’”,
in Paesaggio Urbano, n°5, settembreottobre 2002, p. 5460.
9