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Restauro di una Cornice Dorata

Data: 10 marzo 2001 - Località: Villa la Petraia,

Proprietà: Soprintendenza dei beni Ambientali ed Architettonici di Firenze

Materia: Legno: tiglio, intagliato e dorato a guazzo.

Autore: Sconosciuto

Descrizione dell'opera: Cornice 1

Cornice intagliata e dorata, decorata con motivi floreali e vegetali, racemi e putti risalente alla
prima metà del diciannovesimo secolo, tipico esempio dello stile neo barocco, gusto che si
identifica con la consueta tendenza ottocentesca al "revival " cioè all' utilizzo delle antiche
istanze formali rivisitate e reinterpretate.
Il retaggio estetico ottocentesco si identifica nel recupero di molte tradizioni artistiche ma negli
arredi la preferenza si è senz'altro orientata decisamente sul neobarocco soprattutto negli anni
che vanno dal 1870 al 1890.

Preziosità dell' intaglio, finezza decorativa, complessità formale fanno di questa cornice

esempio mirabile di abilità artistica ed estrema padronanza del


mestiere dell' intaglio essendo la decorazione esterna costituita da un unico pezzo di essenza
di tiglio lavorato secondo le difficoltà del progetto iniziale (realizzazione dei sottosquadra,
complessa esecuzione delle foglie che si accavallano), che però riesce a conferire al ritmo del
decoro quella fluida armonia che elementi singoli riportati non avrebbero saputo realizzare
(vedi foto 2). La simmetria delle forme è solo apparente, in realtà ogni foglia, ogni fiore, ogni
singolo elemento è diverso dagli altri nel continuo tentativo dello spirito barocco di sacrificare il
certo, lo scontato, il geometrico allo stupore, alla fantasia, allo sbalorditivo. E infatti il
perimetro strutturale così caro al classicismo in quest' opera scompare avvolto nel turbinio
insistente della decorazione.

Descrizione dell'opera: Cornice 2

Cornice intagliata e dorata con mascheroni e volute elementi tipici del repertorio decorativo

fiorentino (vedi foto 3).


L' epoca di esecuzione è ascrivibile intorno alla prima metà del diciannovesimo secolo nell'
ottica di quella tendenza al "revival" di cui riferivamo per la cornice precedente.
A differenza della prima opera, entrambe sono conservate all' interno della collezione del
museo di villa La Petraia, questa tenta di riprodurre fedelmente i canoni decorativi dello stile
barocco e in effetti risultano subito chiare le differenze stilistiche che intercorrono tra una
cornice e l' altra.

La decorazione è ricca, energica, essenziale ma non leziosa, la voluta è libera da schemi

geometrici classici ma non si è ancora evoluta in una foglia d' acanto che
riproduce fedelmente la natura (vedi foto 4); inoltre il barocco e quindi il neo barocco pur
elevando a protagonista dell' opera la decorazione non rinuncia mai a mantenere un rapporto
equilibrato fra forma e motivo ornamentale.
Molto interessante è l' impiego delle tecniche per la lucidatura della doratura; qui infatti
l'artista ha sfruttato a pieno la resa data dall'accostamento tra brunitura (lucidatura con pietra
d' agata) e velatura.
Il risultato è un assemblaggio di sfumature e di riflessi che conferiscono ai volumi una
suggestione straordinaria.

Stato di conservazione dell'opera

Le due cornici mostravano, al momento della presa in visione, un analogo stato di


conservazione e ciò ci ha permesso di procedere in parallelo durante le varie fasi del lavoro di
restauro.
Entrambe infatti presentavano rotture multiple, più serie quelle della cornice "con puttino"

perché coinvolgevano anche la struttura e i punti di giunzione tra


questa e l'ensemble decorativo.
Analizzando i vari elementi della decorazione ci si è resi conto immediatamente che molti di
questi erano completamente staccati (vedi foto 5 e 6), altri in equilibrio precario, altri seppur
ancora integrati risultavano fessurati alla base e quindi soggetti a possibili rotture future.

In alcuni punti poi porzioni sono andate completamente perdute (vedi foto 8)
(parti di alcune foglie, visino del putto).

La cornice "a mascheroni" invece manifestava rotture solo nelle parti aggettanti
(vedi foto 7) ma purtroppo, molte di queste lacune erano andate, a loro volta, perdute
costringendoci in questi casi, all'inevitabile scelta di procedere alla ricostruzione e
reintegrazione.
Fortunatamente la doratura si è conservata in ottime condizioni in entrambe le opere tanto da
richiedere una pulitura leggera; ovviamente si è comunque dovuto procedere all'applicazione
della foglia d'oro in quei punti, non originali, reintegrati da noi.

Procedimenti tecnici e fasi di restauro


Gli interventi sono stati sostanzialmente di consolidamento, reincollaggio e

reintegrazione.
Il consolidamento della struttura della cornice "con puttino" ci ha imposto l'applicazione di
una sverza in legno tenero che ricongiungesse l'intelaiatura alla parte decorata che, nella
porzione sottostante (quella del puttino), era completamente distaccata e oscillava
vistosamente (vedi foto 9).
Abbiamo poi proceduto a un paziente consolidamento delle parti fessurate tramite iniezioni di

colla a caldo (vedi foto 10).


I reincollaggi sono stati il lavoro che ha richiesto più tempo perché, durante la lavorazione,
sono incorse numerose difficoltà a causa delle superfici di rottura che risultavano o molto
sconnesse per mancanza di materia o sporche di colla reticolata (in questa fase ci siamo
accorte che restauri precedenti erano stati eseguiti ricongiungendo le parti con colla
termoindurente che abbiamo rimosso dove possibile).
Successivamente sono stati reintegrati, in essenza di tiglio, i decori andati perduti (vedi foto
13,14).
Infine abbiamo eseguito la reintegrazione della doratura sia nelle parti reintegrate che in quelle
la cui integrità risultava compromessa (vedi foto 18 e 20).

Disinfestazione

Applicazione: a pennello ed iniezione

Materiale usato: permetrina in essenza di petrolio.

Approfondimenti:

- Colla a caldo animale


- Alcool 99° ( per pulire la doratura da eventuali colate di colla)
- Permetrina in essenza di petrolio
- Araldite SV427
- Gesso Bologna
- Bolo rosso
- Colla di coniglio
- Colla di pesce
- Acqua
- Foglie di oro zecchino
- La Doratura
- La Cornice
Noce Descrizione
Ha colore bruno con venature scure, qualche volta nere. Venne ed è
considerato uno dei migliori legni, sia a livello estetico sia per la sua duttilità.
Sostituì la quercia nella composizione di mobili pregiati rimanendo in auge,
soprattutto in Italia per tutto il Rinascimento, mentre nel Seicento, venne
preferito dai francesi e dagli inglesi che, in seguito lo sostituirono col mogano.

Caratteristiche
Provenienza: Essenza indigene
Aspetto: colore variabile in tutta la gamma del bruno, tessitura media, fibre
spesso ondulate
Durezza: media
Resistenza all'urto:medio - alta
Segagione:senza alcun problema
Stagionatura:agevole
Unione con chiodi e viti: agevole e di buona tenuta
Unione a colla: agevole e tenace
Piallatura:agevole e di buoni risultati
Finiture: eccellenti

Considerazioni
è stato l' assoluto protagonista della nostra ebanisteria nei secoli XV XVI; il
Noce italiano è considerato il più pregiato fra quelli europei.

Olmo Descrizione

L'olmo è assai usato per vari tipi di mobili rustici. E' di colore marrone chiaro
però si scurisce col tempo. La caratteristica più importante dell'olmo è la sua
vena fibrosa e concatenata che lo rendono ideale per i sedili delle sedie. Infatti
le gambe possono essere incastrate senza alcun pericolo di spaccare il legno.
La resistenza all'usura di questo legno, lo rende ideale per ripiani meccanici e
per giunti meccanici nei mobili. Purtroppo è soggetto a deformazioni ed è
facilmente attaccabile dai tarli.Viene lucidato sia a gommalacca che a cera.

Palissandro Descrizione

Esistono due qualità di questo legno duro esotico. La più pregiata è quella
brasiliana che ha una natura compatta e una grana grossa e aperta. E' di colore
marrone con striature nere. Il Palissandro è un legno ostinato e difficile da
lavorare Si scheggia facilmente e a causa della sua natura oleosa è difficile
preparare le superfici all'incollatura. Nella impiallacciatura , il palissandro tende
a formare piccole crepe e a rompersi nelle sezioni dentellate. Per la
lucidatura,dopo aver chiuso bene i pori, si usano vernici a spirito come la
gommalacca.

Pero Descrizione
Legno di rado usato per la costruzione di mobili in massello era ottimo per le
torniture, usato ma di rado per fare impiallacciature e piccole decorazioni.
Questo legno dipinto in nero viene molto usato per sostituzioni o imitazioni del
legno Ebano. Nella foto un esempio con legno non in patina.
Pino Descrizione
Legno molto resinoso usato per la costruzione di mobili popolari praticamente
in tutta Italia data la sua diffusione. Ne esistono moltissime varietà con
caratteristiche diverse.

Quercia Descrizione
Legno di colore giallo bruno ravvivato da striature dorate. E' forte duro pur
essendo a grana rada e a poro aperto e, non è certo fra i più semplici da
lavorare. Utilizzato inizialmente per le strutture complete di mobili finì col
essere sostituito dal noce , quindi impiegato come legno di base o di fondo dei
mobili placcati, ma anche in questo caso, superato dal noce che facilitò
notevolmente l'operazione esecutiva. E' un legno che se non stagionato, tende
a deformarsi e a spaccarsi, ma resiste all'aggressione degli insetti.

Rovere Descrizione
Molto meno resistente della quercia (è sempre della famiglia della quercia) ma
ha le stesse caratteristiche. Questo legno, giallo con picchiettature scure ,
viene utilizzato per la costruzione dei mobili di pregio per un lunghissimo
periodo: dal Duecento al Quattrocento, mentre in Inghilterra resistette fino al
Settecento. Viene poi prevalentemente usato per la costruzione delle strutture
interne. Un altro uso, poco attinente con l'ebanisteria, che si è fatto di questa
essenza e la costruzione delle toghe delle botti, che garantiscono un grande
invecchiamaento ai vini rossi e ai distillati

Tek Descrizione

Il Tek è un legno duro e pesante, di colore marrone striato. E' straordinario da


lavorare. Appena tagliato ha uno strano tessuto ceroso ed un odore che ricorda
il cuoio. Si taglia bene, e come la quercia, si scurisce con l'esposizione alla
luce.E' uno dei legni più forti, durevoli e resistenti all'usura che esistano, ma a
causa dell'aspetto opaco e del peso è stato preso in considerazione in
occidente solo di recente. Nel restauro il Tek non è di facile uso, perchè, come
il palissandro è difficile da incollare e impossibile da sbiancare.

Ulivo Descrizione

Proviene dall'Asia ed è largo e tozzo, raggiunge i 15 metri; verdognolo o


giallastro con ricche venature nere o brune, legno durissimo è compatto ed
omogeneo, resiste al tarlo. Se mal stagionato si torce e si spacca, è adatto per
fini lavori d'intarsio e per la tornitura. Più che all'ebanisteria, l'uso di questo
legno è legato alla scultura. Non è infatti facile da trattare a causa della sua
durezza.

la Cornice
Perché mi piacciono le cornici antiche ...

Se entriamo in un museo o in una chiesa e ci fermiamo ad osservare con particolare attenzione i


dipinti, sicuramente veniamo colpiti dai colori o dalle stupende immagini.

Ma se guardassimo con più attenzione, vedremmo che ogni opera è impreziosita da una cornice e
se la cornice è originale, probabilmente assomiglierà almeno per qualche aspetto ad un'altra che
circonda un altro quadro coevo. La cornice come il dipinto, deve essere considerata un'opera di
tutto rispetto, sarebbe uno sbaglio non soffermarsi ad osservarla meglio.

Molte cornici rappresentano come il dipinto, l'espressione artistico - culturale dell'epoca a cui
appartengono. Il loro concepimento è spesso opera dello stesso pittore o di artisti e architetti al
quale con consuetudine egli si affidava. Lo scopo della cornice è di impreziosire il dipinto senza
che questo possa esserne soffocato, in altre parole dovrà essere in armonia con esso. Affinché la
visione dell'insieme avesse il giusto equilibrio, la cornice doveva essere studiata nelle dimensioni,
nella larghezza dei volumi e negli spessori, ma non era ancora sufficiente, si dovevano anche
studiare le cromie e i contrasti dei metalli.

A questo punto diventa importante conoscere le tecniche che permettevano di raggiungere gli
effetti più disparati. I materiali che venivano usati erano gli stessi che ancora oggi vengono
utilizzati.

Esistono ancora gli artigiani in grado di utilizzare correttamente il gesso di Bologna, i boli, i
metalli preziosi e di creare con essi oggetti in tutto e per tutto simili a quelli antichi, naturalmente
utilizzando le tecniche tipiche delle varie epoche.

E' facilmente intuibile, quanto fossero importanti le sinergie fra il lavoro degli artisti e quello
degli artigiani, e quanto fossero determinanti le conoscenze tecnico-pratiche dell'artigiano che
doveva realizzare l'opera cercando di incontrare il gusto dell'artista.

Per coloro che si dovessero appassionare agli oggetti di antiquariato in legno dorato, sarà
sicuramente affascinante entrare in un laboratorio di un restauratore dove ancora oggi è
possibile respirare una aria romantica, fatta di piccole soddisfazioni. Il restauratore
rappresenta una figura professionale che si pone, per chi lo osserva, a metà fra il tecnico e
l'alchimista, non è raro infatti vederlo mescolare sostanze curiose non meglio identificate.

In realtà molte delle sostanze che si vedono sui palchetti sono di origine antica e molte
addirittura introvabili in diverse parti del mondo.

Le sostanze sono quasi sempre di natura vegetale o minerale e il restauratore mescolandole


con parsimonia e spesso di nascosto, contribuisce ancora di più a creare un'aura di mistero
intorno a questo mestiere.
Quando riuscirete a strappargli qualche informazione rimarrete assolutamente allibiti dal suo
modo di parlare con estrema naturalezza del Sangue di Drago, dell'Aloe, della Gomma Gutta,
oppure di quella Arabica, della Sandracca e Gomma Lacca e di un'infinità di altre sostanze,
tanto da farvi pensare di essere piombati in un'altra epoca, magari alla presenza di Mago
Merlino.

il restauro della Ceramica

Premessa

La presente dispensa, che per forza di cose non può esaurire il vastissimo argomento del
restauro della ceramica, ha il compito di introdurre alle problematiche e l'ambizione di fornire
gli strumenti concreti per affrontare gran parte degli inconvenienti che possono verificarsi.
La conoscenza delle tecniche, degli strumenti e dei materiali da utilizzare, costituisce la base
necessaria di partenza per chi intende intraprendere l'attività di restauro delle ceramiche.
E' ovvio che trattandosi di operazioni manuali la quantità di ore spese nell'esercitazione, nella
pratica quotidiana, sono di fondamentale importanza per migliorare, perfezionare, correggere e
velocizzare il lavoro.
Quest'ultimo aspetto è di grande importanza per i restauratori di professione, perché incide in
modo determinante sui tempi di produzione - che comunque non devono mai inficiare la
qualità del restauro - sulla quantità di lavoro occorrente e quindi sui preventivi di spesa per il
cliente committente.
Prendere "cantonate", commettere errori anche macroscopici, in sede di effettuazione di
preventivi, sulla prevedibile durata del lavoro e sui costi dei materiali sono inconvenienti nei
quali possono incorrere anche restauratori con una certa esperienza. E' solo la pratica che dà la
possibilità di quantificare con una bassa dose di approssimazione la quantità di lavoro
occorrente nei singoli specifici casi.

La presente dispensa (...), è il frutto di oltre venti anni di esperienza che ha consentito la
messa a punto di un sistema per l'apprendimento della materia, senza fronzoli, nozioni inutili o
metodiche superate.
Se, per quanto riguarda il restauro specifico delle porcellane, esistono testi ed una scuola,
quella inglese, che in una certa misura "esaurisce" l'argomento e dà risposte ai problemi, non
altrettanto si può dire per tutti gli altri tipi di ceramica.
Di scritto esiste molto poco oppure è molto specifico.
Ciò rafforza di molto l'utilità e l'originalità della presente lavoro.

1. Introduzione al restauro.

L'attività di restauro delle ceramiche di solito viene considerata un'operazione facile che può
essere svolta con buoni risultati senza una specifica preparazione. E' infatti diffusa l'idea che si
tratti di una materia di serie B nell'ambito del restauro. Secondo questa idea, occorrerebbero
soltanto una buona colla e un po' di buona volontà e precisione.
La realtà è ben diversa. Le operazioni di restauro degli oggetti ceramici, a qualsiasi periodo
essi appartengano, necessitano della stessa cura, cautela e preparazione di qualsiasi altro
materiale. Anzi, per certi aspetti si può dire che l'infinita produzione di ceramiche che ovunque
nel mondo ha accompagnato la storia dell'uomo amplifica la specificità dell'intervento del
restauratore. A infinite qualità di ceramica corrispondono infinite forme e dimensioni degli
oggetti ed a infinite possibilità di deterioramento dovuto a fattori chimici corrispondono infinite
possibilità di mancanze, fratture, lesioni o rotture di tipo meccanico o fisico.
Per questo, nel settore in questione più che in altri, non si finisce mai di imparare, di
sperimentare.
Inoltre l'approccio al restauro, anche per le ceramiche, non può prescindere dalla conoscenza
di alcuni concetti che ne stanno alla base.
Questi riguardano, ed il restauratore deve sempre tenerli presente, tutti i campi della
conservazione perché tutti i materiali costituiscono testimonianza di livelli artistici, storici e
culturali che fanno parte della storia e della civiltà umana.
Per questo tale patrimonio deve poter essere conservato al meglio per le generazioni future.

I principi ispiratori e universali sono descritti nella famosa "Carta del restauro", varata ad
Atene oltre 60 anni fa, che è stata fatta propria da tutto il mondo civile ed è ancora attuale.
Essa esprime i seguenti concetti:

• il restauro ha fini conservativi;


• il ripristino deve basarsi solo su elementi esistenti e non su ipotesi ricostruttive;
l'anastilosi, cioè la ricomposizione di parti esistenti smembrate, deve essere svolta con
l'aggiunta eventuale di elementi neutri che rappresentino il minimo necessario per
integrare la linea e assicurare le condizioni di conservazione;
• gli elementi aventi un carattere artistico o storico, a qualunque epoca appartengano,
devono essere conservati senza che il desiderio dell'unità stilistica e del ritorno alla
primitiva forma intervengano ad escluderne alcuni a detrimento di altri;
• nel caso di aggiunte che si dimostrassero necessarie per ottenere un consolidamento, o
per raggiungere lo scopo di una reintegrazione parziale o totale, il criterio essenziale da
seguirsi è, oltre a quello di limitare tali elementi nuovi al minimo possibile, anche quello
di dare ad essi un carattere di nuda semplicità e di rispondenza allo schema costruttivo,
in modo tale che mai nessun restauro eseguito possa trarre in inganno gli studiosi e
rappresentare una falsificazione del documento storico;
• per rinforzare ciò che è autentico di un monumento o di un reperto, possono essere
utilizzati mezzi costruttivi moderni, purchè rigidamente scientifici, e per il possibile
analoghi agli antichi;
• negli scavi che rimettano in luce opere antiche, il lavoro deve essere eseguito con criteri
scientifici e con interventi che evitino i rischi di danneggiamenti (il restauro preventivo
in luogo);
• come nello scavo, così nel restauro, condizione essenziale e tassativa è di realizzare una
documentazione precisa che accompagni i lavori, mediante relazioni analitiche raccolte
in un giornale di restauro e illustrate da disegni o fotografie, sicchè tutti gli elementi
della struttura e della forma dell'oggetto, tutte le fasi di pulizia, di ricomposizione, di
completamento risultino acquisite in modo permanente e sicuro.

Fatta questa premessa teorica, che spesso sarà ripresa nella presente dispensa, è opportuno
soffermarsi sulle motivazioni che spingono diverse persone a dedicarsi all'attività di restauro di
qualsiasi manufatto - di legno, di ceramica, di materiale lapideo, di metallo.
Di solito si presentano tre casi:

• la ricerca di una attività professionale e interessante cui dedicarsi;


• lo stato di necessità a seguito dell'usura o della rottura di propri oggetti di pregio;
• un passatempo, un hobby che consenta di trascorrere il tempo libero in piena
soddisfazione di spirito o di mente.

Di fronte a qualsiasi materiale, l'attività di restauro è costituita da una pluralità di operazioni


successive, finalizzate al recupero e alla conservazione di manufatti, creati in tempi più o meno
lontani e caratterizzati da un determinato valore storico, artistico o anche affettivo.
La pratica del restauro deve essere perciò svolta nel miglior modo possibile, con tecniche
aggiornate, utilizzando materiali idonei già "testati". E' anche opportuno essere in possesso di
conoscenze, dati, nozioni e riferimenti relativi all'epoca, ai luoghi ed agli stili in cui quegli
oggetti sono stati realizzati.
Un'attività, dunque, complessa, suscettibile di continui arricchimenti culturali e nozionistici;
un'attività, in definitiva, tanto interessante quanto preziosa.
L'opera di restauro di oggetti di ceramica si è molto evoluta nel corso dei secoli ed in
particolare negli ultimi decenni, grazie al perfezionamento degli strumenti e dei composti
chimici utilizzati.
In aggiunta ai concetti guida della "Carta del restauro" è opportuno fare riferimento, ad altre
questioni basilari che sono venuti affermandosi:

La prima è quella riguardante la cosiddetta "riversibilità" del restauro.


Non di rado gli oggetti di ceramica si presentano con evidenti segni di incollaggi, stuccature,
applicazione di colori, ecc. effettuati in modo grossolano e non appropriato da precedenti
restauratori.
C'è da dire in proposito che, se attualmente la figura del restauratore è quella di uno
specialista, non altrettanto si può dire per le epoche passate. Molto spesso era lo stesso
artigiano dotato di grande manualità che creava l'oggetto al quale capitava di riparare lo
stesso.
I materiali che però venivano utilizzati non erano evoluti come gli attuali.
Capita molto spesso, pertanto, che la prima operazione del restauro consista nella rimozione
degli interventi praticati in passato che risultano non idonei e che deturpano, non garantiscono
stabilità, alterano la forma e rendono impresentabile l'oggetto.
Bisogna così eliminare sostanze improprie, talvolta assai poco solubili.
Il che richiede grande attenzione, ma soprattutto cognizioni specifiche sui materiali da
rimuovere, senza che la nuova opera di restauro possa in alcun modo danneggiare l'oggetto in
quanto a composizione, dimensione ed estetica.
Bisogna anche tener presente che tutti i materiali ceramici, anche se conservati nelle migliori
condizioni di luce, umidità e temperatura, come pure ogni operazione di restauro, sono
soggetti a deterioramento ed usura, con processi più o meno lenti o a seguito di azioni
chimiche o di eventi traumatici.
Si rende anche necessario che il restauratore abbia la possibilità di rimuovere facilmente il suo
stesso lavoro, se questo risulta insoddisfacente.
In tutti questi casi e per tantissimi altri motivi deve poter essere consentita la reversibilità del
restauro, che ovviamente riguarda i materiali adoperati.

Altra regola da tener presente, già illustrata dalla "Carta", e che riguarda principalmente la
ceramica archeologica e di scavo, ma anche quella di epoca medievale e rinascimentale,
consiste nella cosiddetta individuabilità delle parti non originali e ricostruite.
Queste parti devono presentarsi integrate in modo armonico ed esteticamente pregevole con
quelle autentiche che, in ogni caso, dal punto di vista quantitativo, del volume o della
superficie, dovrebbero essere prevalenti.
Del resto, un oggetto, anche se presenta parti rotte o mancanti, testimonia pur sempre e
"arricchisce" in qualche modo la conoscenza delle vicende che lo hanno caratterizzato ed
accompagnato nel corso dei secoli.
Un oggetto fratturato e ricostruito ha quindi un suo pregio storico ed artistico; l'opera del
restauratore sarà perciò tanto più apprezzabile, quanto più l'oggetto, pur frammentato ma
ricomposto a regola d'arte, manterrà intatta la testimonianza storica, le sue vicende specifiche
ed il suo valore artistico.

Ogni problema che si incontra nel restauro deve poter suggerire il metodo per risolverlo e
quindi, se una ulteriore regola si può dare, è quella del regolarsi attraverso un'analisi del "caso
per caso". Buon lavoro.

2. Cos'è la ceramica

Sotto il nome "ceramica" devono essere compresi tutti i materiali cosiddetti "fittili", cioè
composti di argilla - prima manipolata e poi cotta - che l'uomo ha utilizzato sin dalla preistoria,
per costruire gli oggetti che oggi necessitano di restauro.

Come si sa, l'argilla o creta è una roccia di due tipi:


n sedimentaria formatasi con il consolidamento del fango alluvionale (la più frequentemente
utilizzata);
n residuale o caolino da cui si ottiene la porcellana.

Dell'argilla si hanno infiniti tipi, a seconda della combinazione del componente base che è il
silicio con altre materie.
Quando l'uomo l'ha imparata ad usare, impastare e cuocere per ottenere gli oggetti artistici o
d'uso quotidiano di cui aveva bisogno, si è servito di tecniche diverse, ma anche della sua
fantasia, del suo estro creativo, tramandandoci così gli oggetti che sono ora tra le nostre mani.
Se lo storico dell'arte ha il compito di collocare storicamente i manufatti e di capirne
l'espressione artistica e culturale, il restauratore ha quello di riconoscere i vari tipi di ceramica,
l'impasto utilizzato, gli elementi specifici che determinano l'usura ed il peggioramento delle
condizioni e di essere aggiornato sulle tecniche e i materiali da utilizzare per il restauro e la
conservazione nel tempo.

A prescindere dal valore storico artistico di ciascun pezzo da restaurare, è necessario per il
restauratore conoscere di che tipo di ceramica si tratti e le sue principali caratteristiche.
In tutti i campi del sapere si applicano semplificazioni, schematizzazioni, vengono introdotte
categorie, che a volte appaiono arbitrarie.
Ma ciò si rende necessario per meglio affrontare i problemi da un'ottica specifica.
Per quanto riguarda il punto di vista del restauratore, la semplificazione operata è in relazione
alla composizione e alle qualità specifiche dell'impasto ceramico.
Da questo punto di vista i tipi di ceramica più noti e diffusi, ridotti in categorie sono:

Ceramica detta di "Impasto": E' un tipo di C. usata da sempre, dall'età preistorica ad oggi,
per realizzare oggetti e vasellame soprattutto d'uso comune.
L'argilla adoperata non è depurata; è impastata spesso con pietra tritata, sabbia, paglia,
polvere di carbone ed altri materiali per evitare il verificarsi di screpolature o fratture durante
la cottura, che, come si sa, produce sempre una più o meno piccola percentuale di ritiro.
Si tratta di C. cotta a fuoco libero e, successivamente, in forni molto poco controllabili in
quanto a gradazione di calore e spesso presenta delle vere e proprie "sfiammate"
caratterizzate da diversità di colori, da toni e sfumature non omogenee.
Il colore prevalente può variare: si va dal bruno al nero, dal grigio al rosso all'ocra, più o meno
scuri.
Non presenta quasi mai decorazioni pittoriche, anche se da un certo periodo in poi (circa XII -
XI sec a.C.) vengono introdotti sistemi di graffitura e poi (IX - VIII sec a.C.) si perfezionano
forme di ingobbio, steccatura e verniciatura.
C'è da aggiungere che ancora oggi viene utilizzato questo tipo di impasto un po' grossolano;

Terracotta: E' il frutto, più evoluto e perfezionato dell'"impasto", prodotto dalla cottura di
argille più o meno ricche di ossido di ferro (che determina la colorazione prevalentemente
rossastra) e di carbonato di calcio (che produce la colorazione tendente al giallo ocra).
La T. è stata ed è utilizzata in tutte le epoche e da tutte le culture.
La T. si presenta più o meno depurata e porosa e può essere realizzata al tornio o a mano
libera, a colaggio o a stampo, per realizzare recipienti o oggetti plastici;

Ceramica della Grecia classica: E' quella che viene prodotta nella Grecia del massimo
splendore artistico.
E' caratterizzata da una grande varietà di forme e dalla raffinatezza delle decorazioni
pittoriche.
Si può dire che la massima espressione dell'arte ceramica nella intera storia dell'uomo è stata
raggiunta nella C. attica, corinzia, ecc, e in quella prodotta nella Magna Grecia.
Il periodo d'oro è quello compreso tra il VII e il III sec a.C..
Gli stili principali di produzione (che riguardano soprattutto la decorazione) si possono
riassumere in quattro: geometrico, orientalizzante, a figure nere e a figure rosse.
L'impasto ceramico è moderatamente poroso ed i colori utilizzati sono ottenuti con argille
molto depurate che subiscono processi laboriosi di lavorazione, decantazione e purificazione; i
colori variano dal rosso, al nero, al rosa, al giallo, al violaceo, al bianco;
Bucchero etrusco: Si tratta di diverse tipologie di vasi con impasto moderatamente poroso di
colore dal grigio scuro al nero.
Si distinguono due tipi di Bucchero: quello cosiddetto leggero con spessori molto sottili (VII -
VI sec a.C.) decorato col bulino, graffito a motivi geometrici o stampigliato con bassorilievi e
quello pesante (V sec a.C.) più grossolanamente lavorato.
Non ha decorazioni pittoriche;

Maiolica o Faience: Si chiama maiolica una terracotta smaltata e decorata - e per questo non
mostra il colore naturale della ceramica - in uso dall'VIII-X sec. in poi.
L'apice artistico si ebbe nel periodo rinascimentale.
E' costituita da una terracotta più o meno porosa, rivestita di smalto ed invetriata che la rende
impermeabile. Tale metodo di realizzazione di C. fu importato dall'oriente islamico, che a sua
volta lo ereditò dagli antichi fenici.
In Italia le "Faience" sono di tre tipi: M. ricoperte di vernice cristallina, M. ingobbiate, M.
rivestite di smalto stannifero.
Nel periodo più antico la gamma dei colori era limitata alle terre naturali ed agli ossidi metallici
e questi erano: il verde ottenuto dall'ossido di rame, il bruno viola dall'ossido di manganese, il
giallo dall'antimonio, l'azzurro dal cobalto, il bianco dallo zinco, il rosso dall'ossido di ferro, il
nero dall'ossido ferroso, ecc;

Terraglia: La T. (tenera e dura) è un tipo di ceramica leggera, utilizzata soprattutto per la


produzione di stoviglie d'uso comune, resistente e porosa a impasto bianco, ricoperta con
vernice piombifera che ebbe sviluppo soprattutto nell'Inghilterra del XVIII secolo.
Le decorazioni sono ottenute attraverso lo stampaggio con decalcomanie di paesaggi, scenette,
motivi floreali e cineserie;

Gres: Il G. è un prodotto ceramico cotto ad alte temperature. Presenta corpo compatto, molto
resistente e non poroso.
Il colore varia dal grigio al bruno scuro, raramente al biancastro. E' ottenuto cuocendo fino alla
vetrificazione un impasto di argilla di roccia sedimentaria con sabbia quarzifera;

Porcellana: E' un tipo di C., diffusa in Cina sin da epoche remote, contenente feldspati e
caolino ed è ottenuta a grandi temperature.
Si presenta compatta, resistente all'usura, lucente, impermeabile e assolutamente non porosa.
Il colore dell'impasto semi-trasparente è prevalentemente bianco, bianco crema, bianco
azzurrognolo.
La decorazione, realizzata in Europa in seconda e terza cottura, è la più varia. Sono frequenti
le decorazioni con oro zecchino;

Creta "autoindurente" o Das: E' un tipo di creta mescolata a sostanze gommose. Una volta
essiccata viene dipinta a freddo.
Non può essere definita ceramica, mancando la fase della cottura.
Ciò nonostante rientra tra i materiali che il restauratore di ceramiche deve provvedere a
restaurare.

Allo scopo di avere le idee ancor più chiare sui procedimenti di realizzazione degli oggetti in
ceramica, si illustra di seguito, sia pure in maniera schematica, il ciclo della ceramica:

Dalla creta o argilla (colore grigio, verde,


bianco, rosso)
dopo avere o no applicato l'ingobbio
attraverso la fase di essiccamento
si ottiene il crudo secco
1) si passa quindi alla prima cottura a grande fuoco
detta anche biscottatura.
2) Sul biscotto si può fare la smaltatura (maiolica).
Sullo smalto o sul biscotto si può applicare una decorazione pittorica.
3) Quindi si passa alla invetriatura
E si sottopone la ceramica alla seconda cottura a grande fuoco.
decorazione sopravernice (con colori, oro,
4) Eventualmente si può applicare
decalcomanie, ecc.)
5) per cuocere quindi ad una terza cottura a piccolo fuoco.

Per quanto riguarda la definizione delle forme tipologiche di contenitori e vasi in ceramica, va
detto che queste, per la maggior parte, si rifanno ai canoni di produzione e alle definizioni della
Grecia classica.
Esse sono: l'Anfora (tirrenica, ovoidale, a pannelli, panatenaica, a collo separato, nicostenica,
nolana, ecc.), il Pelike, il Deinos, il Psikter, il Lebes, il Cratere (a colonnette, a calice, a volute,
a campana), lo Stamnos, l'Hydria, il Kalpis, lo Oinochoe, l'Olpe, il Lekitos, la Pixis, il Kantharos,
il Kiathos, lo Skyphos, la Kylix, l'Ariballos.

3. Il laboratorio

Per restaurare al meglio oggetti ceramici sono richiesti alcuni requisiti minimi.
In questo, come in tutti gli altri settori del restauro, la pura manualità e l'arte di improvvisare
soluzioni con fantasia, creatività ed inventiva hanno uno spazio molto rilevante, per risolvere,
come si vedrà, problemi particolari.
Il restauro delle C. consiste in una sequenza di operazioni, ognuna delle quali è caratterizzata
dall'utilizzo di materiali diversi e dall'applicazione di tecniche appropriate.
Per poter restaurare oggetti ceramici è necessario disporre di strumenti adatti e appropriate
condizioni di lavoro.

Per raggiungere gli obiettivi prefissati, il lavoro deve essere svolto innanzitutto in un ambiente
idoneo e nelle migliori condizioni possibili.
Il laboratorio o l'angolo di casa dove il restauratore di C. opera deve essere comodo, ben
illuminato e con le attrezzature necessarie a portata di mano.
Per questo l'ordine deve essere curato particolarmente.
Ogni volta che si finisce di lavorare, bisogna dedicare del tempo alla pulizia del banco di lavoro,
degli attrezzi e a sistemare ogni cosa al suo posto.

Sembrano cose banali, ma è opportuno in apertura del programma, sottolineare l'importanza e


l'attenzione da dedicare all'argomento "ordine" prima, durante e dopo il lavoro. Dall'ordine che
si ha intorno dipendono spesso i risultati che si devono raggiungere.
In quanto a ordine, pulizia e modo di lavorare, il riferimento "ideale" cui indirizzarsi potrebbe
essere lo studio dei "restauratori di denti", i dentisti, anche perché con questa professione
esistono sicuramente molti aspetti in comune.
Il tempo dedicato al riordino è dunque da considerare parte integrante delle fasi del restauro.

Molta cura deve essere prestata alla eliminazione ed alla protezione dalla polvere.
A questo proposito va detto che due fasi particolari del restauro, quella della levigatura nella
quale si produce polvere, e quella della decorazione o ritocco pittorico, andrebbero svolte in
locali distinti.
Se però si dispone di un solo locale, particolare cura deve essere dedicata per eliminare la
polvere via via formatasi.
Per stipare i vari attrezzi, oggetti e materiali sono da preferirsi armadi o contenitori dalla
chiusura ermetica a prova di polvere.

Il restauro di C. è un lavoro di assoluta precisione. Per questo va svolto con calma, tranquillità
e pazienza.
Se si va di fretta, è preferibile rimandare ad altro momento e non cominciare affatto.
Il rischio, come si vedrà più avanti, è quello di sprecare tempo ed energie in operazioni non
eseguite a regola d'arte. Ciò spesso implica di dover riprendere il lavoro dall'inizio.
L'illuminazione deve essere adeguata.
La luce migliore in assoluto è quella del sole.
Se questa purtroppo per vari motivi non la si ha o non la si può quasi mai utilizzare per via
degli orari a disposizione, si deve ricorrere alla luce artificiale.
La condizione ottimale di illuminazione artificiale è quella di posizionare la lampada (meglio
ancora se due) a circa 40 - 50 cm dall'oggetto da restaurare, alle spalle di chi lavora.
Le lampadine da preferirsi sono quelle "a luce solare", di colore azzurro, da 100 watt, perché
non alterano i colori reali come invece accade se si utilizza il neon o le normali lampadine
bianche o opache a resistenza che tendono ad ingiallire ed alterare i colori.

Vale la pena a questo punto spendere due parole sulla nocività specifica del lavoro del
restauratore per richiamare l'attenzione su alcune precauzioni da osservare.
L'attività di restauro è svolta completamente a livello manuale, con scarsissimo utilizzo di
utensili elettrici. Il lavoro presenta perciò rischi specifici da non sottovalutare per la tutela della
propria salute.
I problemi sono soprattutto per l'apparato respiratorio per via delle polveri che si respirano e
dei vapori derivanti dall'uso di sostanze volatili contenute in solventi, diluenti, resine chimiche
e sintetiche di cui molto spesso non si conoscono neppure i componenti ed il loro grado di
nocività per via del segreto industriale.
E' quindi opportuno sin dall'inizio abituarsi all'uso di maschere protettive.
Queste sono di due tipi: ad azione fisica per quanto riguarda il filtraggio delle polveri
(difficilmente si può disporre di un'efficace aspiratore elettrico) e ad azione anche chimica, in
grado con gli appositi filtri di neutralizzare le sostanze volatili e i vapori nocivi.
In certi casi poi, quando si manipolano determinati materiali, è importante l'uso di guanti sottili
per prevenire forme di dermatite allergica ed eczemi.

Infine, il locale o l'angolo della casa destinato ad ospitare il lavoro di restauro, deve essere
dotato di una buona ventilazione con possibilità di veloce ricambio dell'aria; non deve essere
umido, né particolarmente freddo per non compromettere incollaggi, impasti, ecc.

4. L'attrezzatura.

Il restauro della C. è svolto - si è detto - in maniera prevalentemente manuale e non necessita


di grandi e costosissime attrezzature.
Oltre ad un piano di lavoro ben stabile e piuttosto alto per consentire un'osservazione
orizzontale dell'oggetto da restaurare e ad una sedia che deve essere comoda, l'attrezzatura di
base, il minimo indispensabile per operare consiste in:

• fornellino a spirito;
• torniello in ferro (più pesante è, meglio è);
• 2 - 3 cassette di sabbia asciutta di fiume;
• uno o più bisturi a lame intercambiabili;
• varie spatole, spatoline, mirette, stecche in metallo e legno;
• vasetti a chiusura ermetica di varia misura preferibilmente in vetro;
• bacinelle di varia misura in polurietano;
• pennelli di varie misure e qualità;
• fornellino elettrico;
• asciugacapelli elettrico (meglio la pistola termica);
• lente d'ingrandimento;
• calibro;
• compasso;
• trapano con relative punte.

Ogni oggetto da restaurare è diverso dall'altro.


Tenuto conto che ciascun intervento presenta dei problemi particolari da risolvere, molto
spesso a questa attrezzatura base è necessario aggiungere altri strumenti (dal trapanino
flessibile all'aerografo), che pur non essendo indispensabili sono comunque utili e consentono
maggiore precisione e un certo risparmio di tempo.

Nel lavoro si ha di solito bisogno di molta ferramenteria (pinze, pinzette, viti, spine metalliche,
seghetti, tenaglie, ecc) e persino di utensileria casalinga (bacinelle, passini, colini, imbuti,
cucchiai, cinghie, elastici, ecc).

Bisogna anche naturalmente disporre di vari materiali da utilizzare (colle, stucchi, resine,
solventi, diluenti, smacchiatori, carte abrasive, rotoli di carta adesiva, ecc).
Di questi materiali è comunque inutile farne elencazione a questo punto: saranno descritti
momento per momento, fase per fase, secondo le necessità specifiche, che variano molto per il
tipo di ceramica su cui si deve operare e per il tipo di intervento che si deve effettuare.

5. La pulitura

L' oggetto per il quale si richiede l'intervento del restauratore si può presentare nelle condizioni
più diverse: da quello bisognoso solo di piccoli ritocchi pittorici a quello corroso e ridotto
completamente in frantumi.
In tutti i casi la prima operazione da compiere è quella della pulizia.
Per pulizia s'intende l'eliminazione della sporcizia e di tutto ciò (depositi, incrostazioni, ecc) che
non ha a che fare con le superfici originarie.
La pulizia è di due tipi: ad azione chimica (ad esempio i vari solventi) e meccanica (ad esempio
il bisturi).

Una regola generale da tenere sempre presente per la pulizia degli oggetti d'arte è quella
secondo la quale si inizierà sempre con il mezzo più dolce, per terminare, se necessario, con il
più brutale.
Ci si dichiarerà vinti solo quando l'ultimo metodo finirà per intaccare lo smalto, il decoro e la
stessa struttura originale di un pezzo.

I vecchi restauri
Un argomento molto rognoso per tutti i restauratori riguarda la pulizia di oggetti che hanno già
subito restauri precedenti.
In questi casi, se gli interventi precedenti non risultano soddisfacenti, è necessario il loro
smontaggio e la rimozione totale delle tracce del vecchio restauro.
Si tratta di rimuovere cavicchi, spine e rivette, vecchie colle, riempitivi, stucchi, smalti e
vernici.
A questo proposito bisogna dire che l'esperienza dimostra che una ceramica rotta tornerà
difficilmente alla sua forma o stato originale se sono state già eseguite operazioni o tentativi di
restauro maldestri e con sostanze non idonee.

Le rivette o graffette
Di frequente ci si imbatte in ceramiche nelle quali in epoche passate, per sopperire alla
mancanza di colle di forte tenuta, venivano applicati dei fili metallici attraverso dei piccoli fori
paralleli alla fessura per tenere assieme le parti rotte o separate.
Questi venivano poi ribattuti o legati assieme; successivamente venivano stuccati i due fori.
L'eliminazione di queste rivette è un'operazione che deve essere eseguita con molta
delicatezza.
In primo luogo si immerge l'oggetto in acqua calda (non bollente). Ciò ammorbidirà il solfato di
calcio o lo stucco con il quale sono riempiti i fori e ne permetterà la rimozione con l'aiuto di un
bisturi. Successivamente si utilizzeranno delle pinzette per sollevare, "aprire", tagliare e
rimuovere il filo metallico.
Qualora questa operazione non fosse possibile sarà necessario tagliare il filo metallico con una
seghetta a ferro, badando a non intaccare gli strati superficiali di ceramica.
Si procederà poi alla pulitura ed eliminazione dello stucco che spesso è costituito da solfato di
calcio o gesso.
Inoltre in molti casi il filo metallico, ossidando, ha macchiato la ceramica intorno ai piccoli fori.
Per l'eliminazione di tale macchie si veda l'apposito ricettario al successivo cap 5.3.7.
Una volta eliminate le rivette, lo stucco e le eventuali macchie si detergerà accuratamente il
pezzo con acqua tiepida o con un batuffolo di ovatta imbevuto di Acetone puro.

Le vecchie colle.
Per togliere ogni vecchia colla (con l'aiuto del bisturi) è necessario bagnare o effettuare
impacchi o spennellare ripetutamente con le seguenti sostanze:

• Acetone puro per colle alla cellulosa e cianoacrilatiche (tipo Attak);


• Acqua calda (non bollente) per colle viniliche, di pesce e di origine animale (vecchia
colla Cervione);
• Alcool etilico a 94° (o, preferibilmente, con alcool da cucina a 95°) ed un po' di
ammoniaca per colle alla gomma lacca;
• Tricloroetilene oppure il comune "sverniciatore" per resine epossidiche.

Scollare vecchie incollature.


Non di rado nel restauro della ceramica è necessario dover staccare parti incollate da
precedenti restauratori. Queste magari sono ancora robuste, hanno resistito agli urti, ma
presentano un allineamento non preciso, con denti e gradini.
In questo caso bisogna procedere alla loro scollatura in quanto la presenza di una parte non
perfettamente al suo posto nuoce senz'altro al nostro stesso intervento.
Per la scollatura si possono utilizzare le stesse sostanze di cui al paragrafo precedente.
Se queste resistono, allora è necessario adoperare la pistola termica (purchè la qualità della
ceramica lo consenta). Il grande calore sviluppato sulle fratture da scollare nel 70% dei casi
ammorbidisce il vecchio adesivo e consente la scollatura delle parti.

L'intervento successivo consiste nell'eliminazione di ogni traccia di vecchio adesivo. In questo


si potrà ricorrere anche all'ausilio meccanico, il bisturi, di cui al successivo paragrafo 5.4.
Effettuata accuratamente la pulizia dei bordi è sempre opportuno risciacquare l'oggetto con
acqua leggermente tiepida, oppure con Acetone puro, utilizzando spazzole di nylon più o meno
dure e che non graffino.

La sporcizia e le macchie del tempo.


La sporcizia e le macchie possono avere diversissima natura e diversissimo grado di resistenza.
Per questo è praticamente impossibile fornire una risposta generale al problema. In questa
operazione moltissimo conterà l'esperienza.
E' bene comunque dire che non è possibile rimuovere tutte le macchie e tutti i tipi di sporcizia,
incrostazioni etc.: in molti casi, dopo l'intervento del restauratore, lo sporco e le macchie
potranno risultare solo attenuate; in molti altri (soprattutto per le ceramiche molto porose) ci
si dovrà rassegnare alla loro presenza, dato che sono pur sempre testimonianza del tempo
trascorso e di autenticità del pezzo.

I detergenti principali.
I detergenti da preferirsi sono, nell'ordine:

• Acqua calda o tiepida (addizionata eventualmente con Sapone neutro (Marsiglia)), da


usarsi con un batuffolo di ovatta o di stoffa (di cotone) bianca;
• Acetone puro (da non confondersi con il diluente alla Nitro), da usarsi con un batuffolo
di ovatta o di stoffa bianca, oppure, nei casi più resistenti, lasciandoci il pezzo a bagno
in immersione per qualche ora;
• Alcool etilico denaturato a 94 gradi (ancora meglio l'alcool da cucina a 95 gradi), da
usarsi con un batuffolo di ovatta, oppure, nei casi più resistenti, lasciandoci il pezzo a
bagno per qualche ora.

Altri detergenti.
Qualora le macchie persistano e lo sporco resista, si può passare a detergenti più duri e
specifici:

• una parte di Candeggina e quattro parti di Acqua, fino ad arrivare ad una proporzione di
1 a 1 , da usarsi con un batuffolo di ovatta, oppure, nei casi più resistenti, lasciandoci il
pezzo a bagno per qualche ora;
• una parte di Soda e cinque di Acqua, da usarsi con un batuffolo di ovatta;
• Acqua Ossigenata a 130 volumi con qualche goccia di Ammoniaca, da usarsi con un
batuffolo di ovatta;
• un cucchiaio di Acido Ossalico in mezzo bicchiere d'acqua, da usarsi con un batuffolo di
ovatta.

Avvertenze

Quando si adoperano tali sostanze è bene avere sempre a mente due avvertenze:

• è sempre necessario osservare e tenere sotto controllo il loro comportamento sulla


ceramica da restaurare. Molto spesso infatti, in presenza di ceramiche molto rovinate,
di smalti logori, di vernici e decorazioni "a freddo", di dorature, ecc., l'intervento
chimico con i prodotti precedentemente descritti può produrre danni ulteriori;
• dopo il loro uso è sempre bene lavare e tamponare (con Acqua tiepida o Acetone) la
parte interessata per neutralizzare l'azione di dette sostanze.

Ricettario.
Qualora (ciò accade molto raramente) si conosca la natura delle macchie si tenga presente il
seguente ricettario chimico:

Tipo di macchia o incrostazione Procedimento di pulizia


Ammoniaca o Bicarbonato di sodio quindi
Acidi
risciacquare a lungo
Soluzione concentrata di Sale da cucina quindi
Caffè
risciacquare a lungo
Ammorbidire con Olio caldo pulire con Benzolo,
Catrame e derivati
Xilolo quindi lavare con Acqua e Sapone
Ammorbidire con Acido Cloridrico, finchè non
Depositi calcarei cessa il bollimento quindi lavare con Acqua ed
Ammoniaca (rapporto 20 a 1)
Alcool intiepidito con fornellino elettrico
Erba
Quindi risciacquare
Fuliggine soluzione al 20% di Acido Tartarico
Impiastro adesivo Benzina rettificata,Benzolo, Sverniciatore
Inchiostro Glicerina, Acido Acetico o Citrico
Olii Benzina rettificata o Benzolo
Resine Alcool a 94 gradi
soluzione di Cloruro di Zinco al 10%
oppure Acido Citrico al 10%
Ruggine oppure Acido Cloridrico
oppure soluzione al 5% di Acido Ossalico
quindi sciacquare con Acqua
ammorbidire con Ammoniaca diluita
Sangue poi trattare con soluz.di Ac.Ossalico 2%
quindi sciacquare con Acqua.

La pulizia meccanica.
Per quanto riguarda la pulizia meccanica (quella che utilizza il bisturi) bisogna dire che in linea
generale questa metodologia si integra con quella ad azione chimica.
Molto spesso, è il caso di incrostazioni, vecchie stuccature, vecchie incollature, parti ricostruite
malamente, queste dapprima vanno ammorbidite (per esempio con qualche goccia d'Olio
Paglierino o di Vasellina nel caso di gesso) con le sostanze descritte precedentemente e poi si
rimuovono con molta delicatezza e cautela con il bisturi.

Il bisturi da preferire è quello a lama intercambiabile, di cui esistono le più diverse forme in
grado di rimuovere le incrostazioni, le precedenti stuccature e incollature, ecc, nel miglior
modo possibile.
Tale strumento va adoperato lentamente, con assoluta precisione (utilizzando se necessario la
lente d'ingrandimento) e con cautela per non rovinare la superficie e le decorazioni dell'oggetto
da restaurare.
E' soprattutto l'esperienza a determinare l'ottimizzazione e la scioltezza nell'uso del bisturi.

Altri strumenti di pulizia.


Anche se non sono indispensabili, esistono altri strumenti utili per la pulizia. Essi sono:

• il trapanino con flessibile da orefice (utile anche per molte altre operazioni),
microtrapani Dremmler, Black & Deker ai quale si possono applicare vari accessori
abrasivi;
• la microsabbiatrice adatta soprattutto per la pulizia della terracotta e delle componenti
architettoniche fittili (mattoni, "cotto", ecc).

La pulizia delle fratture


E' la fase della pulizia che precede quella dell'incollaggio. Per questo, se una definitiva e
dettagliata pulizia delle superfici esterne può essere rinviata alle successive fasi di lavorazione,
non altrettanto si può dire per la pulizia delle fratture.
Questa deve essere particolarmente accurata.
Come ben presto ogni restauratore verificherà a sue spese, ogni anche piccolissimo frammento
di materia, d'incrostazione, di vecchia colla, presente nei lati di frattura da incollare costituisce
un grave impedimento alla buona riuscita del lavoro.

Tutto ciò che si è depositato impedisce infatti di ridurre la frattura "alla minima possibile".
Per verificare la qualità di pulizia di una frattura si effettuano delle prove "a secco", di
congiungimento dei due o più pezzi fratturati che bisogna assemblare.
La linea di frattura deve essere la minima possibile e per far questo deve essere eliminato tutto
ciò che si è depositato nelle fratture.
Tale deposito può avere le cause più disparate. Dipende dall'epoca in cui si è verificata la
frattura dell'oggetto.
In generale si può dire che tanto più le rotture sono di vecchia data, tanto più tempo sarà
necessario per rimuovere accuratamente le incrostazioni.

Altrettanto laborioso sarà ripulire completamente rotture malamente incollate da restauratori


maldestri o improvvisati.
Spesso sono le stesse persone colpevoli delle rotture che si cimentano da soli nell'incollaggio
dei cocci.
Costoro generalmente fanno uso di materiali non idonei che hanno acquistato dal ferramenta e
solo dopo aver incollato qualche parte si rendono conto della necessità di rivolgersi a persone
del mestiere.

Parecchie grane procurerà al restauratore e notevole perdita di tempo può essere necessaria
per rimuovere i depositi di sudiciume e di sostanze grasse. Questo accade quando le
fessurazioni o incrinature sono state progressive nel tempo ed hanno preceduto la rottura vera
e propria della ceramica.

Il materiale archeologico
Per quanto riguarda le delicate ceramiche archeologiche, o per meglio dire quelle di scavo, c'è
da dire che il trattamento di pulizia deve essere, valutando il grado di conservazione delle
decorazioni, il più dolce possibile.
In linea generale devono perciò essere utilizzate l'Acqua (preferibilmente Demineralizzata) o
l'Acetone puro, unitamente all'uso del bisturi, attraverso il quale è possibile rimuovere buona
parte delle incrostazioni di origine calcarea.

Per entrare più nello specifico la pulizia delle ceramiche archeologiche, che riguarda soprattutto
l'eliminazione delle incrostazioni, si presuppone la possibilità di distinguere tra carbonati,
calcari, sali da solubilizzare. Per esempio una goccia di Acido Cloridrico divenendo
effervescente rivela la presenza di carbonato di calcio.
In conseguenza di questo semplice test è possibile sottoporre anche solo la zona interessata
del reperto al trattamento più adatto.
In generale risultati apprezzabili si ottengono attraverso l'immersione in Acqua Demineralizzata
addizionata nella misura del 5% di Acido Acetico e del 10% di Acido Citrico.
Si consiglia però sempre estrema cautela nell'uso di acidi, perché un trattamento forte con tale
tipo di ingredienti può produrre danni anche gravi in reperti che non abbiano avuto un'elevata
temperatura di cottura o in vasi, come ad esempio quelli figurati, in cui la trasformazione degli
ossidi di ferro non è stata completata, oppure in quelli che hanno subito la verniciatura senza
che la fase di essiccazione fosse compiuta del tutto.

Altro metodo per la rimozione delle incrostazioni tipiche della ceramica archeologica che ha
dato ottimi risultati è quello dell'immersione del reperto in un bagno contenente il 10% di
Esametafosfato di Sodio disciolto lentamente in Acqua Demineralizzata, oppure in una
soluzione, a 30 gradi, di Acqua Demineralizzata addizionata di Acido Solforico in ragione del
10%.

E' opportuno ripetere ancora che tali metodologie vanno tenute sotto controllo, osservando
costantemente il comportamento della ceramica.
Una volta ottenuto il risultato è obbligatorio sottoporre immediatamente il reperto ad
abbondante lavaggio con Acqua o Acetone puro che tamponi e neutralizzi gli acidi.

Il consolidamento della ceramica archeologica.


A volte, quando il materiale archeologico ha stazionato per molti secoli sotto terra in particolari
condizioni di umidità e acidità, può essere necessario, contestualmente ad una veloce pulizia
meccanica, un consolidamento della intera ceramica perché molto fragile. Ciò deve avvenire
solo quando la ceramica è perfettamente asciutta.
A tal fine si deve usare il Paraloid, diluito con diluente alla Nitro dal 3 al 5%, che dovrà essere
applicato una o più volte con un pennello piatto di ottima qualità.

6. L'Assemblaggio e l'incollaggio

Sono assai rari i casi di oggetti di ceramica da restaurare che non si presentino fratturati in due
o più parti. La corretta incollatura dei "cocci" costituisce la fase centrale e più delicata
dell'intero restauro. Dalla buona, mediocre o ottima qualità dell'assemblaggio dipende l'esito
stesso del restauro che di conseguenza sarà buono, mediocre oppure ottimo.

Le rotture, per numero e qualità dei frammenti, derivano generalmente da un urto, da un


impatto violento, e sono in relazione:

a) alla qualità dell'impasto ceramico.


Nella scala di "resistenza in sé" e della durezza, le porcellane e il gres risultano notevolmente
più resistenti delle terracotte e delle maioliche. Queste ultime, costituite da uno strato
superficiale di smalto molto duro e, all'interno, da una ceramica più tenera, nel momento della
fratturazione producono generalmente molte scheggiature in più;

b) alla forma e allo spessore dell'oggetto.


I piatti sono generalmente più resistenti dei vasi a forma sferica a collo stretto.
Da questo punto di vista è naturale che a un maggiore spessore della ceramica corrisponde
una maggiore resistenza;
c) alla forza e alla violenza dell'impatto.
Tanto è più violento un urto, tanto maggiori sono le fratture che si determinano.
Si tenga presente inoltre che ogni oggetto ceramico ha punti particolarmente deboli e delicati
(colli, manici, bordi).

Da tutto questo deriva che è impossibile fare una casistica generale o individuare leggi generali
in grado di standardizzare le tipologie delle rotture.
Anzi, al contrario, si può dire che ogni ceramica fratturata costituisce storia a sé, con i propri
problemi specifici da risolvere.

In ogni caso, la prima regola che il restauratore deve suggerire di praticare non appena si sia
verificata la rottura, è quella di raccogliere tutti i frammenti, anche quelli più piccoli o
apparentemente insignificanti.
In proposito è importante osservare una regola per la buona conservazione dei frammenti:
tutti i "cocci", non appena raccolti, devono essere avvolti separatamente in pezzi di stoffa (va
bene anche la carta di giornale), per evitare che, sfregando gli uni con gli altri, abbiano a
produrre ulteriori schegge e fratture che peggiorano la situazione.

Nel caso di ceramiche di scavo è assai frequente che queste si presentino frammentate,
scheggiate, usurate non in conseguenza ad urti traumatici, ma a seguito dell'azione dell'acqua,
dell'acidità e corrosività del terreno, delle radici degli alberi, del lavoro in profondità di ruspe e
trattori. Tali fattori e più in generale le rotture "vecchie" e usurate costituiscono una
complicazione per la ricostruzione.
La conservazione ottimale di questo tipo di frammenti deve seguire un'accurata pulizia (vedi
capitolo precedente) ed un eventuale consolidamento.

Le fasi precedenti all'incollaggio.


Quando si decide di procedere al restauro di una ceramica fratturata, per prima cosa è
opportuno stendere sul banco di lavoro tutti i frammenti ben puliti per osservare attentamente
la situazione.
Se il numero dei pezzi da incollare è limitato (da 2 a 10) non è difficile individuare subito la
loro collocazione.

Diverso è il discorso quando l'oggetto è interamente ridotto in frantumi.


In tal caso (anche se è ancora opportuno ricordare che si possono presentare i casi più
disparati), ci si trova di fronte a veri e propri puzzle e trovare la giusta collocazione può
costituire un autentico rompicapo che porta via parecchio tempo.
Ci si potrà però aiutare con una serie di informazioni inerenti:
- la decorazione, quando esista, che costituisce senz'altro la guida migliore per accoppiare i
pezzi;
- le bordature, i margini, le basi, i colli;
- le eventuali diversità di tono di colore della ceramica e dello smalto;
- la direzione, quando esiste, delle tracce e delle ditate di tornitura dell'oggetto;
- lo spessore, non sempre omogeneo, dei cocci (alla base sono più pesanti, al collo meno);
A questo punto si ottiene una classificazione ed una prima collocazione "di massima" dei vari
frammenti.

Successivamente si ragiona in base alla forma e alle dimensioni dei frammenti e, partendo dal
centro dell'oggetto da restaurare (piede di un vaso, base di una statua, centro di un piatto) o
dal frammento più grande, si individua quale debba essere la cronologia nell'assemblaggio.
In questa operazione fondamentale bisogna fare molta attenzione a che l'eventuale attaccatura
di due o più pezzi non lasci sottosquadri che siano di ostacolo ed impediscano l'inserimento
successivo degli altri pezzi. Per semplificare si può dire che in linea generale ogni incollatura
non dovrebbe lasciare "aperti" angoli inferiori ai 90°.

Effettuate queste prove preliminari e verificato che non sussistano nei lati di frattura
impedimenti dovuti a vecchie colle, sporcizia, polvere, granelli di ceramica (vedi capitolo
precedente), si deve procedere alla numerazione dei frammenti. A tal fine si possono numerare
piccole strisce di carta adesiva con i numeri progressivi della sequenza di incollaggio.
A volte si può verificare il caso di dover incollare simultaneamente 3 o più pezzi. In tal caso la
numerazione sarà per esempio 1, 2, 2, 2, 2, 2, 3, 4, ecc.

Le caratteristiche delle colle.


La colla da utilizzare dipende dal tipo di impasto ceramico da restaurare e deve rispondere ad
alcune esigenze:
- deve avere un ottimo rapporto adesivo;
- deve resistere nel tempo agli effetti dinamici derivanti dagli sbalzi di temperatura,
dall'assorbimento di umidità, dalla luce;
- deve creare il minore spessore possibile;
- particolarmente nel caso di oggetti di scavo o di un certo pregio, deve poter essere
facilmente reversibile;
- deve essere incolore e non deve macchiare.

La prima "rivoluzione" in questo senso, che consentì l'eliminazione delle orribili grappe
metalliche, fu l'utilizzo di colle animali (di coniglio, di tendini e soprattutto di vesciche natatorie
di storione) che però difettavano per via della solubilità in acqua, nell'assorbimento di umidità,
nell'ingiallimento e nello spessore notevole che inevitabilmente creavano.
La continua ricerca scientifica, da 20 anni a questa parte (ed ancora in corso), ha consentito di
realizzare collanti sempre più rispondenti a tali caratteristiche.

In commercio si trova una grandissima gamma di adesivi.


Di ciascuna "famiglia" o genere di adesivi, la presente dispensa ne consiglierà uno soltanto di
cui è ampiamente e direttamente verificata l'efficacia, la funzionalità e la reperibilità.

Le colle utilizzate sono sostanzialmente 5:


- k60 (oppure k50 o k70)
Si tratta di un acetato di polivinile che la sperimentazione in campo archeologico (Gabinetto di
restauro del Museo Naz Archeologico di Firenze) ha dimostrato essere in linea con le
caratteristiche precedentemente descritte.
In commercio si trova sotto forma di polvere bianca da sciogliersi preferibilmente a caldo
(utilizzando nel caso solo il fornellino elettrico) in Alcool etilico denaturato a 94 gradi fino ad
ottenere una fluidità tipo-miele.
Per l'incollatura di ceramiche porose di colore bianco (le terraglie), si consiglia di sciogliere la
colla in Alcool etilico bianco da Cucina a 95 gradi. Ciò è necessario perché il normale alcool
etilico denaturato in commercio è colorato di rosa (per via del denaturante di Stato imposto
dalla legge) e può macchiare l'impasto ceramico.
K60 è una colla facilmente reversibile da utilizzarsi "a caldo".
Con un pennellino piatto che non perda setole si spalma la colla su entrambi i lati di frattura da
incollare non oltre i 4-5 mm dalle due estremità di ciascun bordo e si brucia la stessa
utilizzando un fornellino a spirito.
Quando la colla ha finito di friggere (circa 5/10 secondi) si avvicinano i pezzi e, solo quando
sono ben allineati, si premono tra loro per consentire all'eccesso eventuale di colla di
fuoriuscire. L'eccesso va subito rimosso con un batuffolo di cotone imbevuto e strizzato di
acetone o alcool.
L'operazione di assemblaggio va svolta molto velocemente, quando la colla è ancora ben calda.
Il suo raffreddamento ne pregiudica infatti la tenuta.
Si mantiene la medesima pressione per circa 20 secondi.
Da questo punto di vista, l'esperienza ha dimostrato l'utilità di riscaldare i frammenti prima
della loro adesione, per esempio ponendoli per un po' di tempo su un termosifone.
Contemporaneamente si stendono in tensione perpendicolarmente alle fratture le strisce più o
meno lunghe di carta adesiva, precedentemente predisposte.
Si sistemano con delicatezza i pezzi incollati nella cassetta di sabbia di fiume ben asciutta e si
lasciano riposare per qualche tempo.
Se, dopo aver effettuato l'incollatura, ci si accorge che la stessa non è soddisfacente, si può
cercare di sistemare meglio l'incollatura dopo averla riscaldata con una pistola termica o un
comune asciugacapelli.
Nel caso invece di incollature non soddisfacenti che obblighino allo smontaggio delle parti,
prima si ammorbidisce l'incollatura con l'Alcool, poi si riscalda con aria calda. Quindi, molto
delicatamente, si opera una moderata pressione e si distaccano i pezzi che dovranno essere
ripuliti dalle tracce di colla.

Resina Epossidica (Uhu Plus)


Uhu Plus è una resina particolarmente indicata per l'incollaggio di ceramica non porosa
(porcellana e gres) e può essere utilizzata anche per tutte le ceramiche porose che necessitano
di un incollaggio molto forte. La casa produttrice indica in alcune centinaia di chili per Cm2 il
suo grado di resistenza.
Uhu Plus deve essere mescolata con l'apposito catalizzatore nella proporzione del 50%.
Per evitare l'ingiallimento inevitabile di tutte le resine epossidiche (tra cui le famose Aralditi
della Ciba), si aggiunge una piccola quantità di Biossido di Titanio o di bianco di Zinco.
Dopo aver ben mescolato il composto lo si lascia riposare per un minuto.
Quindi con l'aiuto di una spatolina si applica un sottilissimo strato dello stesso lungo un solo
bordo della rottura fino a 4-5 mm dalle due estremità.
A questo punto si allineano le due parti da attaccare in modo che queste si incontrino
orizzontalmente. Non premere i pezzi insieme con forza fino a che non siano perfettamente
allineati.
Un modo per accertarsi della accuratezza della unione consiste nel far scorrere un'unghia su e
giù attraverso l'unione. Se l'unghia incontra contemporaneamente tutte e due gli orli, l'unione
è da ritenersi accurata; se incontra solo la superficie di un bordo si deve premere leggermente
indietro quest'ultima. Dopo aver eseguito questa verifica, e solamente dopo, si devono
premere con decisione i due pezzi in modo che l'eccesso di adesivo fuoriesca.
L'eccesso di adesivo fuoriuscito dalle fratture ricomposte va tolto con un batuffolo di ovatta
(meglio uno straccetto di cotone) imbevuto e ben strizzato di alcool. L'operazione di pulizia
dell'eccesso è importante anche per consentire la "presa" sulla ceramica delle strisce di carta
adesiva che altrimenti, se imbrattata di resina, non potrebbe avvenire.
Infatti, dato che la colla è semifluida e tende a fare slittare i pezzi, è indispensabile l'ottima
fissazione, internamente ed esternamente, della la carta adesiva che è posta ben in tiro
trasversalmente alla frattura.
A questo punto riporre le parti incollate nella solita cassetta di sabbia di fiume asciutta o
comunque in qualsiasi posizione di equilibrio stabile per 24 ore.
Per velocizzare il lavoro (e se l'oggetto da restaurare lo permette), si può ridurre a pochi
minuti (ciascuno deve sperimentare precisamente il tempo occorrente e la distanza)
l'essiccazione della resina, ponendo ad una certa distanza una lampada a 1000 Watt, che
sviluppi un grande calore.
In questo modo si raddoppia anche la tenuta di Uhu Plus.
Successivamente si puliscono accuratamente spatoline e dita con alcool.
Un metodo che si è dimostrato efficace per sopperire al problema dell'immobilizzazione dei
pezzi quando si usano le resine epossidiche è quello di utilizzare dei cianoacrilati (vedi
successivo 5.3.5.) che consentono una immobilizzazione istantanea. Nei lati di frattura da
incollare con l'epossidico, si lasciano piccoli spazi privi di colla (in genere 2 o 3) dove si applica
una puntina di cianoacrilato.
Quando le parti sono bene allineate; si esercita pressione. In tal modo l'adesione ottenuta
istantaneamente dal cianoacrilato garantisce l'immobilizzazione dell'incollaggio alla resina
epossidica che avverrà nel giro delle 24 ore.

Resina Epossidica Rapida (Uhu Plus rapido)


Si tratta di una resina epossidica bicomponente dall'uso del tutto simile all'Uhu Plus (meno che
il prezzo) anche se meno potente di quest'ultima e quindi particolarmente adatta per
ceramiche non porose e per tutte le porcellane.
Tale resina tira in 1/4 d'ora.

Vinavil
Si tratta di una colla molto nota, da non disdegnare nell'assemblaggio delle ceramiche porose.
Stendere un leggero velo di colla in entrambi i lati da incollare, attendere un paio di minuti,
quindi allineare e avvicinare le parti. Togliere subito con una garza di cotone imbevuta di acqua
tiepida e strizzata l'eccesso di colla, quindi applicare le solite strisce di carta adesiva ben in
tiro.

I Cianoacrilati (Attak)
Tali prodotti chimici, di ritenuta alta tossicità, oggi di diffusissimo uso anche in versione Gel
(che ha la qualità di non colorare, ma che si conserva peggio), in generale non sono adatti per
il restauro conservativo delle ceramiche. Tuttavia il crescente uso "di fatto" consiglia un
qualche utilizzo come nel caso precedente.
Nel caso di utilizzo dei cianoacrilati, va detto che i margini da saldare devono essere
perfettamente puliti, spazzolettati e preferibilmente non essere mai stati attaccati in
precedenza.
Questa colla aderisce istantaneamente per cui l'attaccatura deve essere eseguita con assoluta
precisione e molto velocemente. Ciò implica una abilità e sicurezza che solo con l'esperienza e
la pratica si possono acquisire.
Tenere in ogni caso a portata di mano dell'Acetone puro, che è in grado di sciogliere i
cianoacrilati.
Tale tipo di adesivi però, al di là dell'apparenza miracolosa, ha il grave inconveniente di
irrigidirsi e cristallizzarsi con il tempo in conseguenza dei mutamenti di temperatura e di
umidità. Ha pertanto una tenuta "provvisoria", elemento questo in contraddizione alla
concezione del restauro non solo estetico, ma conservativo e duraturo.
Il suo uso più frequente è dunque legato alla necessità "di appuntare", fermare e immobilizzare
i pezzi (vedi 6.5.2.) in modo da consentire l'attaccatura forte della resina epossidica.
Un ottimo sistema di utilizzo dei cianoacrilati, dato dalla altissima capacità di penetrazione,
consiste nel dosare piccole gocce di adesivo dopo aver assemblato a secco le rotture.

7. La stuccatura e la ricostruzione

La stuccatura semplice delle fratture o fessure.


In pratica la quasi totalità delle ceramiche sottoposte a incollaggio necessitano di successivi
interventi di stuccatura.
Ciò in relazione al fatto che per la maggior parte delle ceramiche l'urto accidentale produce
fratture o rotture (in due o più pezzi) che presentano inevitabili scalfitture o microscalfitture ai
bordi, soprattutto in prossimità del punto di urto.
In ultima analisi i casi di ricostruzione perfetta delle fratture che non necessiti di alcuna
stuccatura sono rari e riguardano sopratutto porcellane di ottima qualità.
In conseguenza di queste - sia pure minime - mancanze di materia si presenta la necessità di
dovere "riempire" o chiudere le lacune, per procedere, successivamente, alla ripresa pittorica
dei colori e delle decorazioni.

In linea generale si può dire che ogni stucco è composto da un legante (colle o semplicemente
acqua), da polveri riempitive (Gesso, Talco, Polvere di porcellana, ecc), da eventuali pigmenti
coloranti (Terre o Ossidi) e da eventuali pigmenti anti-ingiallenti (bianco di Titanio, di Zinco,
ecc.).
Moltissimi sono gli stucchi, i riempitivi e le sostanze che si possono utilizzare, ma per
esemplificare ne indicheremo sostanzialmente due:

Lo stucco più semplice e diffuso per le ceramiche porose è costituito dal gesso alabastrino, dal
gesso scagliola fine o, meglio ancora, dal gesso bianco del dentista.
Si tratta di un riempitivo a scarso ritiro e costo, di facile uso e reperibilità.

L'utilizzo elementare della scagliola.


In un bicchierino di plastica contenente acqua in quantità proporzionale alla lacuna da
stuccare, si "affoga" il gesso aggiungendolo in piccole quantità alla volta, in modo da evitare
grumi, fino a che il gesso abbia assorbito completamente l'acqua. A questo punto mescolare la
mistura con un bastoncino, in modo che la mistura stessa abbia grosso modo la consistenza
della panna.
Lasciare riposare per qualche attimo ed il gesso è pronto all'uso.
In proposito si rammenta che il suo utilizzo deve essere veloce (entro i 5/7 minuti) in quanto il
gesso stesso si indurisce rapidamente e a quel punto non può più essere usato.
Per questo motivo si consiglia di preparare piccole quantità di gesso per volta.
Attenzione: i tempi di indurimento del gesso non devono essere confusi con quelli della sua
completa essiccazione che avviene in ambiente non umido nel giro di 24 ore e dipende dalla
stagione, dal grado di umidità dell'ambiente, dalla dimensione delle stuccature, ecc.

Quando è necessario (molto spesso si presenta questa necessità) che la stuccatura a gesso, di
colore bianco (esclusi ovviamente i casi di terraglia dura o tenera che sono anch'essi di colore
bianco), sia conforme al colore dell'impasto della terracotta, della maiolica, (anche nel caso si
preveda una successiva fase di colorazione o decorazione superficiale), è necessario preparare
uno stucco di colore in tono, del tutto o in parte, in sintonia al colore dell'originale.
La colorazione del gesso si ottiene con l'utilizzo di pigmenti. Si tratta delle terre o argille
polverizzate: terra ocra, chiara e scura, della terra di Siena bruciata o naturale, della terra
ombra di Cipro bruciata, del cocciopesto più o meno rosso, della terra nera (da utilizzare nel
caso di ceramiche di impasto o di bucchero etrusco), della terra bruna, ecc.
La coloritura del gesso non può essere improvvisata, non può essere effettuata "a gesso
sciolto" (perchè le terre coloranti bagnate scuriscono il colore), bensì deve avvenire a secco,
precedentemente all'affogatura del gesso nell'acqua.
In un sacchettino di cellophane trasparente o in un vaso di vetro si versa con un cucchiaio la
quantità che ad occhio e croce occorre di polvere di gesso e a questa si aggiungono piccole
quantità di pigmenti colorati cercando di trovare il tono giusto di colore. E' bene in proposito
effettuare preliminarmente delle prove di colore, dapprima bagnando un pizzico del gesso
colorato (che diventerà molto più scuro) su un foglio di carta, poi favorendo con una fonte di
calore, l'immediata asciugatura, che lo schiarirà.
Le terre (da preferirsi per la facilità di ottenimento dei colori giusti) possono essere sostutuite
dagli ossidi metallici che, a differenza delle terre, assorbono molta meno acqua e quindi non
indeboliscono la consistenza del gesso, ma che sfavoriscono il controllo dei colori.
Chiudere quindi ermeticamente il sacchetto, agitarlo bene finchè il colore non si sia
omogeneizzato, e metterlo a confronto avvicinando il sacchetto all'oggetto da restaurare.
Per sopperire al problema dell'indebolimento del gesso addizionato delle terre colorate, è
buona norma aggiungere (a secco) una quantità di gesso odontoiatrico (molto duro e
resistente) pari alla quantità delle terre colorate utilizzate.

Nel caso si desideri dare al gesso una maggiore consistenza si può sciogliere molto bene
nell'acqua una piccola quantità di Vinavil, prima di aggiungere il gesso.
In questo caso si tenga presente però che la presenza di Vinavil avrà l'effetto di scurire la
miscela ed è quindi quantomai opportuno effettuare preliminarmente le prove di colore.

Per favorire una maggiore aderenza del gesso alle pareti delle fessure da riempire, si consiglia
di inumidirle con un pennello imbevuto di acqua qualche minuto prima dell'applicazione del
gesso.

La stuccatura (di piccole o grandi dimensioni) a gesso deve essere profonda e deve impedire la
formazione di bolle d'aria la cui presenza potrebbe minare la tenuta stessa della stuccatura.
Per evitare ciò è necessario premere a fondo il gesso nelle fratture utilizzando spatole e
spatoline delle giuste misure affinchè il gesso stesso si espanda nella frattura.

Badare che la stuccatura sia abbondante (ma senza esagerare), nel senso che è da preferirsi
togliere un eventuale eccesso di gesso che doverne aggiungere successivamente.

Lo stucco da preferirsi per la porcellana o le ceramiche non porose in genere è quello che si
ottiene utilizzando come legante la resina epossidica (Uhu Plus). Questa, come si è detto nel
precedente capitolo, è un prodotto semifluido e vischioso soggetto a scivolare per la forza di
gravità. Per addensare il composto è pertanto necessario aggiungere (oltre al biossido di
titanio che ne impedisca l'ingiallimento) la polvere di talco o altri pigmenti bianchi come la
polvere di porcellana, di caolino, il bianco argento, il bianco di zinco, la polvere finissima di
marmo, ecc.
E' ovvio che più si aggiungono polveri, più la consistenza dell'impasto a base di resina
epossidica aumenta. La consistenza giusta dello stucco così ottenuto è quello della mollica di
pane. La stuccatura va eseguita utilizzando spatole o stecche di legno da modellismo. Per
impedire l'attaccatura di questo stucco alle spatole è necessario inumidirle continuamente con
alcool alcool etilico a 94 gradi, che serve da antiadesivo (va bene anche l'acqua o qualsiasi
altro liquido).
I tempi di essiccazione dello stucco epossidico sono leggermente inferiori a quelli della colla
epossidica.

Attendere l'essiccatura parziale della superficie stuccata che avviene nel giro di due/quattro ore
e, quando lo stesso è a "durezza cuoio", rasarne l'eccesso utilizzando bisturi o lame affilate.

Successivamente attendere la sua essiccatura totale (circa 12/16 ore) e carteggiare


accuratamente, utilizzando carte abrasive sempre più fini. Tra le tante carte vetrate, smeriglio
e abrasive, quest'ultime sono da preferirsi, soprattutto quelle "water resistant" che usano i
carrozzieri, di colore generalmente nero. In commercio esistono di varie misure. Per il restauro
della ceramica si utilizzano per la sgrossatura quelle n° 120, 180, 220, 240 per procedere con
la rifinitura delle stuccature a quelle più fini n° 400, 600, 800, 1000 e 1200, finchè le superfici
stuccate siano ben livellate alle originali. Le carte abrasive, che è opportuno tagliare con le
forbici in tanti piccoli pezzetti (per es. 3 x 5 cm), vanno usate delicatamente con movimento
circolare e talvolta con l'utilizzo di supporti che ne guidino e determinino la levigatura. Per una
superficie piana si può utilizzare una tavoletta di legno.
E' chiaro che il rischio da evitare con molta attenzione è quello di intaccare con la carta
abrasiva le superfici originali e i decori della ceramica.
La carteggiatura è ben effettuata quando con il tatto del polpastrello della mano non si sentono
i minimi gradini, dislivelli e tutta la superficie interessata risulta ben levigata ed omogenea.
L'osservazione con una lampada "a luce radente", che è una prova da eseguire sempre, è in
grado di evidenziare la sussistenza di eventuali piccole imperfezioni rimaste che necessitano di
ulteriori piccole stuccature.
Va infine detto che qualsiasi tipo di stucco si sia utilizzato, le eventuali ma frequenti seconde o
terze stuccature vanno applicate con lo stesso tipo di stucco.
Nel caso del gesso bisogna bagnare in precedenza con acqua la parte precedentemente già
stuccata, prima di applicare il nuovo gesso.

Altro stucco, utilizzabile sia per le ceramiche porose che per le porcellane è quello a base di
Colla animale e Gesso di Bologna, il tradizionale stucco utilizzato nel restauro ligneo.
Si tratta di uno stucco dall'ottima tenuta, molto adatto alla chiusura di fessure, scalfitture e
piccole lacune, ed è facilmente carteggiabile. Non risulta utile in caso di riempitura di parti
grandi.
Lo stucco base è ottenuto dalla miscela del Gesso di Bologna, acqua tiepida e Colla animale
calda. Quest'ultima (in commercio sotto forma di perline o tavolette) va sciolta in acqua
ponendo un recipiente (preferibilmente metallico) a cuocere a bagnomaria almeno per un'ora.

Dalla quantità di Colla animale dipende la durezza dello stucco che si vuole ottenere. A
maggiore quantità di colla corrisponde maggiore durezza e resistenza dello stucco.
Elemento negativo di questo stucco è il notevole suo ritiro in essiccazione che determina la
necessità di procedere a nuove stuccature.

Se è necessario dare una colorazione allo stucco per ottenere le tonalità della terracotta, è
necessario aggiungere i pigmenti, terre o ossidi, all'impasto.

Altri stucchi utilizzabili nel restauro della ceramica sono:


- la Polifilla, di non facile reperibilità il cui uso è molto diffuso in Inghilterra. Polvere bianca che
va sciolta in acqua;
- il Vic (tipo fine). Riempitivo normalmente utilizzato come riempitivo e per la rasatura delle
pareti;
- o Stucco Odontoiatrico (Zinco-cemento). Riempitivo provvisorio per carie dentali;
- il DAS (bianco o color terracotta). Materiale adatto per ricostruzioni plastiche, ma dotato di
scarsa aderenza e compattezza.

La stuccatura con supporti.


Molto spesso la stuccatura riguarda non solo le piccole fessure precedentemente incollate, ma
superfici più ampie. E' il caso che si verifica quando vengono smarrite parti più o meno grandi
di ceramica o quando la frantumazione conseguente ad urti produce una polverizzazione di
piccolissimi frammenti impossibili da ricostruire.
In questo caso è necessaria una vera e propria ricostruzione semplice della parte mancante,
sia essa del bordo, del collo, della pancia o della base della ceramica.
La ricostruzione semplice consiste nella creazione di un supporto in grado di allineare a livello
delle parti originali per accogliere lo stucco (preferibilmente a base di gesso alabastrino oppure
odontoiatrico).
Come supporto ci si può industriare con diverse soluzioni, utilizzando la carta adesiva "da
carrozziere" più o meno larga, la plastilina, le tavolette di cera per odontotecnici, ecc. Da
questo punto di vista il fine giustifica l'uso di ogni mezzo, purchè quest'ultimo sia facilmente
rimuovibile una volta che l'intervento di ricostruzione sia stata effettuato.

Stesso discorso quando c'è la necessità di ricostruire parti attraverso la realizzazione di


"impronte". E' il caso derivante dalla presenza di parti lacunose, che bisogna ricostruire ex
novo, del tutto identiche a parti esistenti.. L'impronta deve essere ottenuta dalla parte
corrispondente ed integra della ceramica adattando (copiando) con molta attenzione le
tavolette di cera da odontotecnico oppure di plastilina, oppure di argilla alle superfici integre.
Dopo aver scaldato la lastra di cera con il calore delle mani, ed aver spolverato una piccola
quantità di talco sulla superficie, che ha funzione anti-adesiva, si prende l'impronta della parte
"sana" corrispondente a quella da ricostruire. Una volta raffreddata la cera si trasferisce
l'impronta realizzata nel punto da stuccare. Si utilizza la carta adesiva per fissare bene questo
stampo al posto preciso, quindi si procede alla stuccatura con gesso seguendo le istruzioni di
cui ai precedenti punti.

Quando si devono ricostruire parti di cui non è possibile avere l'impronta, la ricostruzione si
dice complessa: al lavoro tipicamente tecnico si aggiunge una parte creativa, la necessità di
"inventarlo" ex novo, di immaginarlo e studiarlo. In questo caso può essere utile sfogliare libri,
pubblicazioni, enciclopedie.
Si potranno presentare i casi più disparati, i più difficili o fuori dalla norma, che in questa sede
è impossibile prendere in esame, considerando le infinite situazioni diverse possibili.
L'importante è prendere dimestichezza con i diversi materiali, e dare spazio alla propria
inventiva e creatività.
Bisogna ricordare infine che ogni errore di ricostruzione compiuto è una lezione acquisita...

Necessità particolari.
Nei casi in cui le parti da ricostruire completamente dovranno essere sottoposte a diverse e
forti sollecitazioni, ad esempio il manico di una pesante brocca, è opportuno e doveroso
rafforzare le incollature, le stuccature e le ricostruzioni con supporti metallici e perni,
preferibilmente di acciaio o ottone (perché non arrugginiscono) che dovranno risultare invisibili
una volta ultimato il lavoro.
Per far questo si deve utilizzare il trapano elettrico con punte diamantate da 1, 2, 3 mm. Si
devono praticare dei piccoli fori perfettamente simmetrici di profondità 5 - 7 mm.
E' questo un intervento di assoluta precisione. Una tecnica per individuare il punto preciso
dove fare i fori consiste nell'applicare su un lato della rottura da assemblare una piccolissima
quantità di rossetto per labbra che, una volta unite a secco le due parti, lascia l'impronta di
colore anche nell'altra parte. I due punti così realizzati indicano dove operare i fori.
A questo punto si incastrano nei fori le barrette, i rinforzi metallici con un adesivo a forte presa
(si consiglia l'Uhu Plus) e si immobilizza l'oggetto che successivamente andrà stuccato.

Ancora sul gesso e gli altri stucchi


A differenza delle resine epossidiche, il gesso e gli altri tipi di stucco indicati, è fortemente
poroso. Di conseguenza dopo aver applicato la stuccatura o eseguita la ricostruzione ed averla
ben levigata, in previsione della successiva fase di ritocco pittorico o decorazione, è necessario
procedere ad un suo consolidamento ed impermeabilizzazione che consenta l'adesività ottimale
a vernici e smalti.
A tale scopo le parti in gesso dovranno essere impregnate a pennello con diverse e successive
mani di una soluzione al 20/25% di colla K60 e 75/80% di alcool etilico a 94 gradi (o alcool da
cucina a 95°). Si tratta di un buon consolidante che al contempo impermeabilizza il gesso e
consente l'aggrappaggio di colori e vernici alla superficie stuccata.
L'eccesso di K60 diluito deve essere successivamente tolto strofinando uno straccetto di cotone
imbevuto di alcool e strizzato.

Ricostruzioni particolari
E' sempre più diffuso, nel restauro delle ceramiche archeologiche o delle maioliche medievali o
rinascimentali, l'uso di effettuare ricostruzioni e stuccature "sottolivello", cioè di 0,5/1 mm più
basse del livello originale della superficie della ceramica.
Si tratta dei casi in cui, al contrario del restauro effettuato "per mimetizzare" o nascondere
completamente le rotture, è importante valorizzarne la storia, il "vissuto" dell'oggetto,
ricostruendone però l'insieme.
Inoltre la stuccatura o ricostruzione "sottolivello" con tonalità di colore in sintonia all'originale
consente una indubbia valorizzazione estetica.

Le Resine Epossidiche nel restauro Architettonico e del Mobile

CERATOFABIOALDOArchitetto
E M A IL : f a b i o c e r a t o @ v i r g i l i o . i t

Genericamente una resina può essere definita come prodotto organico d’origine naturale o
sintetica, generalmente d’alto peso molecolare. Molte resine sono polimeri, le resine
epossidiche argomento di questo intervento, sono dei polimeri.

Le resine trovano molte applicazioni in numerosi settori industriali. Anche nel campo edile si
sta rilevando un aumento dell’interesse verso questi tipi di prodotti. L’attenzione è qui rivolta
alle applicazioni nel restauro architettonico, in particolare nel restauro del legno nella sua
specifica funzione strutturale, e del mobile.

Molto sviluppato è il mondo delle resine nel campo tessile e dei materiali compositi.

La principale distinzione che viene fatta è quella tra le resine termoplastiche e quelle
termoindurenti.

Le resine TERMOPLASTICHE sono polimeri lineari o ramificati che possono essere fusi
fornendo loro una appropriata quantità di calore; durante la fase di plastificazione non
subiscono alcuna variazione a livello chimico. Tramite il calore si ottiene la fusione e
successivamente alla formatura (stampaggio, estrusione, trafilatura) solidificano per
raffreddamento. Il ciclo di fusione solidificazione del materiale può essere più volte ripetuto
senza apportare variazioni notevoli alle prestazioni della resina. I polimeri termoplastici non
cristallizzano facilmente e anche quelle che cristallizzano non formano mai dei materiali
perfettamente cristallini ma caratterizzati da zone amorfe e cristalline. Le regioni cristalline
hanno una propria temperatura di fusione (Tm dall’inglese “melting temperature”). Le regioni
amorfe sono caratterizzate da una loro temperatura di transizione vetrosa (TG dall’inglese
“glass transition temperature”).

Le resine TERMOINDURENTI sono costituite da polimeri reticolati nei quali il moto delle
catene polimeriche è fortemente limitato dall’elevato numero di reticolazioni esistenti. Le
resine sotto l’azione del calore nella fase iniziale, fondono diventando plastiche e
successivamente, sempre per effetto del calore, solidificano indurendo per effetto della
reticolazione. Durante la fase di trasformazione subiscono una modificazione chimica
irreversibile. Le resine termoindurenti sono intrattabili una volta che siano state formate e
degradano invece di fondere a seguito dell’applicazione di calore.

Proponiamo un elenco delle principali famiglie di resine:

Termoindurenti – fenoliche, amminiche, epossidiche, poliuretaniche, poliesteriche insature,


siliconiche, alchiliche.

Termoplastiche – acriliche, policarbonati, vinilesteriche, poliesteriche termoplastiche,


poliolefiniche, polifloruri di vinile.

Utilizzo delle Resine Epossidiche


Una resina sintetica non viene in genere commercializzata come tale, ma ne vengono venduti i
suoi precursori, nella forma di due componenti separati. L’OLIGOMERO e l’AGENTE
RETICOLANTE che vengono miscelati (rapporto stechiometrico) al momento dell’uso. La
miscelazione innesca la reazione di reticolazioni che trasforma l’oligomero, solitamente un
liquido oleoso poco vischioso capace di adattarsi ai più piccoli dettagli dello stampo, nel
polimero trasparente che può venire successivamente lavorato, colorato e decorato.

Innanzitutto è importante la definizione delle caratteristiche del prodotto; le ditte produttrici ne


offrono una vasta gamma basata sulla diversità di densità e di viscosità, e sul tempo di
catalizzazione che va da pochi minuti a ventiquattro ore e, se necessario, anche oltre.
Data la grande quantità e varietà dei prodotti presenti sul mercato, è buona norma richiedere
al fornitore un prodotto specificando con la massima precisione le caratteristiche occorrenti e,
quindi, analizzare attentamente ciò che viene offerto. Il mercato offre prodotti che coprono la
quasi totalità delle esigenze, ma, all’occorrenza, è possibile farsi realizzare resine con
caratteristiche ad hoc.

L’uso di queste resine non è particolarmente complicato, ma richiede estrema accuratezza e


precisione nelle modalità di esecuzione e nei tempi. Gli errori sono pressoché irreversibili.

Anzitutto si tratta di resine BICOMPONENTI, composte, cioè,


dalla resina base (componente A) e da un induritore (componente
B). Le proporzioni di miscelazione dei due componenti (resina e
catalizzatore) devono essere assolutamente esatte e
calcolate in peso (mai in volume); un dosaggio sbagliato porta
irrimediabilmente a risultati disastrosi: un eccesso di resina
base provoca una mancata catalizzazione, un eccesso di
catalizzatore porta ad un eccessivo riscaldamento (non
dimentichiamo che si tratta di resine termoindurenti) con
conseguente indebolimento del prodotto finale o, addirittura,
alla combustione del legno. (R.E.M.)

A titolo informativo si riportano i seguenti riferimenti di una resina in commercio per


consolidamenti statici:

0°C = 18 ore 20°C = 3 ore


10°C = 12 ore 25°C = 1 ora 30°C = 40 minuti

Cosa accade in questo lasso di tempo alla miscela di resina e di indurente?


La resina man mano catalizza passando tre fasi vitali per l’operatore
• Liquido (Vita Utile). Con vita utile (detta anche tempo di utilizzo) si intende il periodo,
successivo alla miscelazione in cui la miscela di resina e di indurente rimane allo stato
liquido e può essere lavorata e utilizzata. Qualsiasi operazione di montaggio o serraggio
deve essere effettuata in questo lasso di tempo in modo da ottenere un legame
efficace.
• Gel (Fase di Catalizzazione iniziale). La miscela entra in una fase di catalizzazione iniziale
(nota anche come “fase verde”) quando inizia a gelificare. A questo stadio non è più
possibile lavorare la resina epossidica la quale passerà da una consistenza collosa alla
solida della gomma dura. Se facendo pressione con l’unghia del pollice rimane un solco,
significa che la resina è troppo morbida per essere carteggiata a secco.
• Solido (Fase di Catalizzazione finale). La miscela epossidica ha completato la catalizzazione e
si trova ora allo stato solido è può essere carteggiata o modellata a secco. A questo
punto è impossibile lasciare un segno sulla superficie con l’unghia del pollice. In questo
stadio, la resina epossidica raggiunge il 90% della sua forza definitiva, quindi si possono
rimuovere i morsetti. La miscela continuerà a catalizzare per diversi giorni ancora a
temperatura finale.

Consigli per gli operatori alle primi armi – se si utilizza la resina epossidica per la prima
volta, iniziare con un piccolo quantitativo di prova in modo da acquisire dimestichezza con il
processo di miscelazione e catalisi prima di procedere all’applicazione vera e propria della
miscela. In questo modo l’utente potrà stabilire la vita utile della miscela resina/indurente alla
temperatura ambiente presente e verificare la corretta misurazione del rapporto della miscela.
Miscelare piccoli quantitativi fino a quando non sarà raggiunta la dovuta dimestichezza con le
caratteristiche di manipolazione della resina epossidica.

Le resine possono essere trattate con aggiunte di


addensanti per poi essere utilizzate in casi di
specifiche applicazioni quali l’assemblaggio o la
stuccatura.
Dopo aver scelto un addensante adeguato alle
proprie esigenze lo si utilizza per portare la resina
epossidica alla consistenza desiderata. La viscosità
o densità di una miscela non segue una regola,
bisogna giudicare a vista ciò che meglio si addice
al tipo di intervento.

Non esistendo dunque regole ferree da seguire, ci


siamo proposti la ricerca di un metodo univoco
per poter dialogare, e abbiamo trovato delle procedure di addensamento che rendono
nell’immediato idea della consistenza, rifacendosi a prodotti di uso comune: sciroppo, ketchup,
maionese, burro di arachidi.

• Sciroppo (non addensata). Gocciola su superfici verticali. Rivestimento impregnazione prima


dell’incollaggio, applicazione di vetroresina, grafite e altre fibre.
• Ketchup (leggermente addensata). Cola su superfici verticali. Laminazione, assemblaggio di
pannelli piatti con ampia superficie, iniezione con siringa.
• Maionese (moderatamente addensata). Aderisce a superfici verticali, le creste si ripiegano.
Incollaggi generici, cordonature, assemblaggio di componenti (metallici).
• Burro di arachidi (addensamento massimo). Aderisce a superfici verticali, le creste rimangono
posizionate. Riempimenti di vuoti cordonature, stuccature, assemblaggio di superfici
irregolari.
Leggermente Moderatamente Addensamento
Non addensata
Addensata Addensata Massimo
Consistenza
"BURRO
"SCIROPPO" "KETCHUP" "MAIONESE"
D'ARACHIDI"

Aspetto
Gocciola su Cola su superfici
Aderisce su Aderisce su
superfici verticali verticali superfici verticali e superfici verticali e
Caratteristiche le creste si le creste
ripiegano rimangono in
posizione
Rivestimento, Laminazione/ Incollaggi generici, Riempimenti di
impregnazione assemblaggio di cordonature, vuoti, cordonature,
prima pannelli piatti con assemblaggio di stuccature,
Impieghi dell'incollaggio, ampia superficie, componenti assemblaggio di
applicazione di iniezione con metallici superfici irregolari
vetroresina, grafitesiringa
e altre fibre

La funzione degli additivi non è quella di addensare la resina epossidica.


Gli additivi conferiscono alla resina epossidica ulteriori proprietà fisiche.

Le resine epossidiche se vengono usate allo stato liquido, grazie alla loro estrema capacità di
insinuarsi nelle fessurazioni, nelle screpolature, nei buchi dei tarli, facilmente fuoriescono nei
punti più impensabili, creando colature o macchie che se non controllate sono pressoché
irreversibili.
Si consiglia dunque di eseguire arginature ed occorre prestare una particolare attenzione a
sigillare ogni possibile via di fuga. A tale scopo c’è chi usa della creta, ma molto meglio
sarebbe usare gomma siliconica bicomponente da formatore: è costosa, ma non macchia il
legno e, a lavoro finito, la si elimina con estrema facilità.

Durante lo svolgersi delle operazioni è buona norma tenere sempre a portata di mano solvente
nitro o altro specifico e stracci, per ovviare immediatamente ad ogni inconveniente ed a tutta
quella serie di piccoli incidenti che immancabilmente si verificano anche lavorando con il
massimo rigore. Il potere di penetrazione e, quindi, di fuga di queste resine è inimmaginabile.
Nelle colate conviene sempre procedere per gradi, anche se così facendo si allungano i tempi di
lavorazione. In tal modo si risparmierà tempo nel non dover cancellare macchie che comunque
potrebbero lasciare residui.

come preparare la Gommalacca


Ricetta per la preparazione della Gommalacca

La Gommalacca in scaglie la si trova nei negozi di ferramenta che vendono prodotti e articoli di
Belle Arti.
In un recipiente introdurre gr. 150-200 di gommalacca in scaglie, ricoprirla con un litro di
alcool etilico a 94° (meglio se maggiore gradazione).
Dopo aver ben chiuso il recipiente occorre attendere che la gommalacca si sciolga
completamente. Per questo occorre lasciare riposare il recipiente per una giornata. Al termine
delle 24 ore, occorre filtrare il contenuto travasandolo in una bottiglia di vetro per poterla
conservare. Per filtrarlo si può usare una vecchia calza di nylon da donna messa sopra ad un
imbuto. Quando si è riempita la bottiglia, la si chiude con un turacciolo di sughero. Riposta così
in un luogo fresco e buio, dura praticamente sempre. La si può usare anche subito. Quando la
si va ad usare, conviene filtrarla nuovamente.
Non esistono regole fisse per quello che riguarda la concentrazione della resina perché dipende
dalla fase di procedimento in cui la vernice viene usata. In linea di massima per la verniciatura
a tampone si sciolgono 100 gr. di gommalacca in 1 lit. di alcool. La vernice così preparata
potrà essere colorata usando aneline all'alcool.
Concentrazione della Gommalacca:
• Chiusura dei pori: 1 etto in 2 litri di alcool
• Lucidatura: 1 etto in 1 litro di alcool
• Brillantatura: 1 etto in 2 litri di alcool

I Consigli di un Professionista: Milo Soldati:


E' cosa molto diffusa credere che la gommalacca si conservi in eterno...ma non è così, la
durata di questa è legata alla percentuale di componenti cerose presenti in essa... maggiore è
la percentuale e minore è la durata della gommalacca disciolta in alcool ( meglio se a 99
gradi ). una gommalacca di buona qualità resiste circa un anno disciolta, di più se si ha l'
accortezza di filtrarla piu volte scartandone le sedimentazioni ( ricche di cere ). una
gommalacca deteriorata ha la tendenza a creare un film che non raggiunge un sufficiente
livello di durezza, rimanendo appiccicoso, con tutte le conseguenze del caso....le gommalacche
decerate ovviamente hanno una durata maggiore....

Ricetta per la preparazione dell'Encaustico

Encaustico è il prodotto che si ottiene sciogliendo la cera in un suo solvente: il migliore


probabilmente è l' essenza trementina.
La preparazione dell'encaustico non è complicata,ma occorre porre moltissima attenzione in
quanto il solvente usato e altamente infiammabile. Conviene avvalersi, per scaldare, di un
fornellino elettrico e non a fiamma libera:

Si pesano circa 120 gr. di cera d'api e si riducono in piccoli pezzi con un coltello, si aggiungono
80 gr di cera carnauba; si mette il tutto in un pentolino da usarsi solo per questo scopo, e vi si
unisce 80 cl di essenza di trementina. Si scalda a bagnomaria mescolando di tanto in tanto. In
questa fase occorre prendere tutte le precauzioni del caso al fine di evitare disastri in quanto la
trementina e infiammabile (non deve quindi schizzare sul fuoco) e la cera calda è altamente
ustionante. Quando la cera è perfettamente sciolta, si toglie dal fuoco e con molta cautela va
versata in vasi di vetro. Dopo che si è raffreddata, i vasi vanno ermeticamente chiusi e
conservati al buio.
La concentrazione suggerita (12% di cera, 8% di carnauba, 80% di essenza di trementina),
non è tassativa: con l'esperienza si saprà meglio aumentarla o diminuirla in relazione al tipo di
legno che si deve lucidare. Legni duri richiedono un prodotto più diluito, mentre i legni teneri
(quindi con pori più aperti) si lucidano con un prodotto più concentrato. Questa diluizione è
ottimale per l'applicazione della cera a pennello una volta riscaldata prima dell'utilizzo.
L'encaustico può essere opportunamente colorato.

Selezione dal Forum

Finitura a Cera - Cristina


Avrei bisogno di una delucidazione circa la preparazione della cera per la lucidatura di mobili
con metodo misto. nel ricettario del sito ho trovato la spiegazione per la preparazione
dell`encaustico: domanda, ma è questa la cera che si deve usare per la lucidatura del suddetto
metodo? perché quando sono andata dal mio fornitore per acquistare la cera d`api e la
trementina, lui si è meravigliato delle quantità di tali prodotti dicendomi che gli sembravano
dosi (80 gr. di cera d`api in 1 lt. di trementina) sbagliate. in un altro sito invece ho trovato una
ricetta con dosi diverse: 100 gr. di cera d`api 50 gr. di cera canuba e 250 cl di trementina. mi
potete chiarire il dilemma?

Risponde - Pino
Ciao Cristina. non esiste un dosaggio preciso per la preparazione della cera da impiegare nella
lucidatura dei mobili e l`indicazione che hai avuto metà cera metà essenza di trementina,
secondo me crea eccessiva concentrazione e difficoltà di applicazione. in genere si usa 250 o
300 grammi di cera per litro di essenza di trementina ma non è una dose fissa, dipende dal
lavoro da eseguire. per una lucidatura a sola cera questa dose dovrebbe andar bene. Per la
mezza cera è consigliabile una maggiore diluizione (forse da ciò l`indicazione 80gr./l.) in
quanto la superficie ha già due o tre mani di gommalacca ed assorbe molta meno cera, per cui
un`eccessiva concentrazione provoca inutili impiastricciamenti che rendono difficile la
successiva lucidatura con panno riscaldato. Certo che la stessa dose applicata su legno da
lucidare esclusivamente a cera sarebbe assolutamente insufficiente, salvo che si agisca su
legno molto inossato già lucidato in precedenza che ha poche possibilità di assorbimento. a mio
modo di vedere si tratta di scegliere la concentrazione, tra quelle cui ho fatto cenno, in base
alla presumibile capacità di assorbimento del legno, avendo cura di evitare eccessi di cera
(meglio passare due volte che eccedere alla prima passata). ciao. pino.

Come preparare lo stucco classico


Lo stucco classico è lo stucco per eccellenza usato nel restauro. E' composto da gesso di
Bologna o Pangesso, terre colorate e colla garavella.
Quando lo si prepara, conviene preparane un po' in abbondanza del colore desiderato, in
quanto si vedrà che oltre alla prima passata, ne sarà necessaria almeno una seconda, ed in
fase di finitura ci si accorgerà che alcune imperfezioni sono sfuggite alle prime due passate,
necessitando di una ulteriore stuccatura.
Per la preparazione occorre un piano di marmo o una tavoletta verniciata.
Si mescolano bene tra di loro il gesso Bologna e i pigmenti necessari per dare la colorazione
voluta. Successivamente si aggiungono la colla garavella (abbastanza diluita) e un po' d'acqua
calda. Il tutto va impastato bene con una spatola fino ad ottenere un composto ne troppo
molle ne troppo denso ma facilmente spatolabile.
Nella preparazione dello stucco, occorre tenere presente che se la maggior quantità di colla
renderà lo stucco più tenace, questo sarà più difficile da carteggiare successivamente. Quindi
la colla andrà dosata di volta in volta secondo l'uso specifico che si deve fare dello stucco (più
colla se si dovranno stuccare spigoli e parti esposte agli urti, meno colla se si dovranno
stuccare fori di tarli su di un piano.
Per il colore si tenga presente che quello definitivo, sarà quello che si vede quando lo stucco è
fresco ed umido e non quello dello stucco secco in quanto si deve pensare di vederlo
attraverso lo strato di gommalacca che, darà allo stucco, l'effetto cromatico dell'acqua.

Questo stucco ha essenzialmente due difetti: il primo è la sua tendenza a diminuire di volume
durante l'essiccazione richiedendo quindi una seconda applicazione, l'altro è quello di
macchiare il legno richiedendo alcune precauzioni.
Durante tutta la lavorazione, andrà conservato avvolto in un panno umido messo all' interno
di un sacchetto di nylon.

Terre colorate

Applicazione dello stucco classico

Prima applicazione
Come si è accennato, lo stucco classico ha il difetto di lasciare un alone sul legno. Per ovviare
a questo, una volta terminate tutte le operazioni di restauro ligneo, prima di iniziare la
stuccatura, conviene passare una mano di gommalacca a pennello su tutta la superficie
ottenendo una sorta di pellicola protettiva che impedirà allo stucco di macchiare il legno.
Inoltre la mano di gommalacca farà risaltare il colore definitivo del legno, dando preziose
informazioni sul colore che dovremo dare allo stucco. Lo stucco classico si applica sul mobile
con una spatola, e quando si rende necessario anche con le dita. Se si deve stuccare un mobile
intarsiato con vari tipi di legno, quindi con varie colorazioni, sarà necessario preparare lo
stucco nelle varie gradazioni necessarie.
Quando si applica lo stucco sul legno, occorre esercitare una certa pressione al fine di fare
penetrare il composto in profondità nel foro. Inoltre per evitare di chiuderlo solo parzialmente,
la spatola va passata da sinistra a destra e poi nel senso opposto descrivendo con essa un
movimento circolare attorno al foro in modo da lasciare una certa abbondanza di stucco su di
esso, prevenendo in tal modo il ritiro del volume in fase di essiccazione.
Una volta stuccati i fori e le piccole fessurazioni o crepe, lo stucco va lasciato asciugare per
alcune ore a seconda della temperatura ambiente.

Carteggiatura
A questo punto occorre carteggiare tutto il mobile usando una carta vetrata con grana media
(120) al fine di togliere praticamente tutto lo stucco in eccesso. Si carteggerà anche nelle zone
non stuccate dove si era passata precedentemente la gommalacca.
In questa fase non bisogna assolutamente cedere alla tentazione di usare una levigatrice
elettrica. Ci sono almeno tre motivi per continuare con le nostre mano:
1) - Le vibrazioni della levigatrice, nel migliore dei casi rischiano di fare saltare le stuccature,
e nel peggiore di danneggiare la struttura.
2) - Le levigatrici, sono pensate per lavorare su superfici perfettamente piane, cosa che non
sono quelle dei nostri mobili. Pertanto si porterebbe via il legno nella parte sporgenti e si
lascerebbe lo stucco negli avvallamenti.
3) - Ultimo, ma no per importanza è che stiamo operando su di un mobile antico, è il lavoro,
va portato a termine manualmente: altrimenti che senso avrebbe il ostro hobby, se la fretta
prendesse il sopravvento.

Seconda applicazione
Terminata la carteggiatura, è opportuno ripassare una seconda mano di gommalacca per
mettere in evidenza i piccoli difetti ancora rimasti, e le parti stuccate che , a seguito del ritiro
dello stucco, necessitano di una seconda stuccatura. La seconda stuccatura (quasi sempre
necessaria) va applicata col metodo già descritto. Dopo che lo stucco si è asciugato e si è
effettuata una seconda carteggiatura, si può passare alla fase successiva conservando da parte
lo stucco che, potrebbe tornare utile per qualche imperfezione che si presenti in fase di
lucidatura e finora sfuggita.
Selezione dal Forum

Colorazione con terre - Giovanni

Come si fa a modulare il colore con le terre per fare lo stucco ? E' possibile utilizzare le terre
per colorare la gomma lacca? Quali sono le terre piu idonee per far ciò ed in quali proporzioni
ed ingredienti vanno mescolate? grazie Giovanni.

Risponde - Pino

Ciao Giovanni, l'uso delle terre per colorare lo stucco è abbastanza semplice, non ritengo
invece consigliabile usare terre per colorare la gommalacca, posto che il solvente della
gommalacca è l'alcool si ottengono migliori risultati con le aniline ad alcool. Per evitare poi la
penetrazione delle aniline nel legno (sempre sconsigliabile nel restauro perché irreversibile o
difficilmente irreversibile, basta passare prima il pezzo con gommalacca diluita non tinta e
sovrapporre la gommalacca tinta una volta asciutto il primo strato. Quanto alla formulazione
dello stucco colorato si tratta di miscelare alla carica dello stucco (normalmente gesso di
Bologna) un quantitativo di terre scelto opportunamente per ottenere il colore desiderato. In
genere le più usate sono terra d'ombra, terra d'ombra bruciata, giallo di Siena, rosso di
Pozzuoli, nero di vite, ocra gialla, miscelando in diverse proporzioni queste terre puoi ottenere
tutte le tonalità di stucco che Ti servono. Conviene andare per tentativi usando le terre e lo
stucco come se dovessi dipingere, ricercando quindi a poco a poco la tonalità che occorre.
Ottimi risultati (forse migliori) si ottengono anche con gli ossidi delle corrispondenti tinte,
sempre miscelati alla carica dello stucco. Posso darTi un consiglio sulla ricerca della tonalità.
Tieni presente che la tinta finale dello stucco è quella dello stucco bagnato, perché, dopo lo
schiarimento dovuto all'asciugatura, riprende colore con l' applicazione della finitura,
soprattutto se a gommalacca. Per contro la tonalità del legno da imitare deve essere
individuata bagnando il legno poiché anche quest' ultimo con la finitura assume colore simile
allo stesso legno bagnato. Buona lavoro. Ciao. Pino.

Risponde - Giuseppe

A quello che ti ha suggerito Pino non ho molto da aggiungere anche perchè lui sa essere
sempre chiaro e competente. E' sottointeso, in quanto non richiesto nella domanda, che il
gesso di Bologna con l'aggiunta delle terre per la colorazione va miscelato con acqua e colla
garavella, tenendo presente che la colla garavella è quella che dà consistenza allo stucco.
Occorre anche in questo caso dosarla in modo oculato, in quanto se ne metti poca lo stucco
tenderà facilmente a sfarinare, se ne metti troppa, al momento di carteggiare avrai difficoltà a
rimuovere la parte in eccesso. L'esperienza ti aiuterà a trovare le giuste proporzioni. L'impasto
finale deve avere una consistenza facilmente spalmabile (un pò più densa della nutella!!!!)
Ciao

Risponde - Andrea

Salve, concordo con Giuseppe e Pino, voglio solo aggiungere la mia esperienza fatta con la
gommalacca più le terre. Ad esempio, uso gommalacca più terra gialla, per fare la doratura a
"mecca", devo dire che l' ho scoperto per caso , dovendo restaurare una cornice antica, dorata
a mecca, la vernice mecca , già pronta non era disponibile da mio negoziante bisognava
aspettare qualche settimana, ho fatto delle prove, con risultati, più che soddisfacenti. Dopo
questa, esperienza ho usato gommalacca più terra nera, per ebanizzare delle modanature di
mobili, precedentemente usavo aniline all`alcool, dovevo sempre fare più passate e stare
molto attento quando passavo il tampone, se era troppo bagnato rischiavo di tirar via il colore;
mentre con questo metodo (gommalacca + terra nera) basta una sola mano mi copre subito,
poi appena asciutto passo la paglietta 00 o della cartavetra 600 oppure 800 per tirar via i
granellini di terra che rendono ruvido al tatto, poi qualche passata con il tampone fino ad
averla della desiderata brillantezza. E' qualche mese che sto usando questo metodo, non ho
avuto nessuna reazione negativa, o sgradite sorprese, penso che sia un metodo da potersi
usare. Aspettando vostre osservazioni o chiarimenti un saluto a tutti Andrea da Benevento

Risponde - Pino

Be! è proprio vero che nel restauro non si finisce mai di imparare e ringrazio Andrea del suo
intervento. In effetti mi ha fatto venire in mente che io stesso uso gommalacca e terre per la
patinatura delle dorature. Alla ebanizzazione non avevo mai pensato, io uso abitualmente
aniline o lacca nera in polvere solubile in alcool (credo sia simile alle aniline), proverò alla
prima occasione. Ho invece qualche dubbio sull'uso delle terre con gommalacca per colorare la
lucidatura o per tingere una superficie che poi dovrà essere lucidata a gommalacca. Temo che
possa pregiudicare l'effetto della lucidatura finale o che comunque crei difficoltà gratuite in un
procedimento che di difficoltà ne ha già per suo conto. In genere cerco di non crearmi problemi
maggiori di quelli che già debbo affrontare ma lo spunto è interessante e potrebbe avere
applicazioni particolari che ora non mi vengono in mente. Attendo anch'io di sapere cosa ne
pensa il gruppo storico del forum: Giuseppe (ovviamente), Milo, Michele, Giacomo e tutti gli
altri. Saluto tutti. Pino.

Risponde - Giacomo Malaspina

Anche per me l'uso del giallo di Siena per la meccatura è una novità. Io ho sempre usato un
misto di gommalacca e sandracca corretto con le aniline. Certo sarebbe opportuno sapere se
ad Andrea non hanno venduto un colorante sintetico al posto della terra gialla. Molto
interessante l'uso per le ebanizzazioni, ho sempre usato gommalacca tinta all`anilina e
inevitabilmente al passaggio del tampone si producevano effetti indesiderati. Proverò alla
prima occasione. Un altro uso delle terre è quello di mischiarle alla cera per tappare i buchi di
tarlo sulla doratura. Si ottengono facilmente tutte le tonalità del giallo (usando anche il rosso e
il verde e il nero) e in più la cera perde la sua trasparenza evitando così di evidenziare il foro
anziché mimetizzarlo. A presto Giacomo

Risponde - Giuseppe

Quando ho messo mano ad un tavolino da gioco Napoleone III, mi sono trovato nella necessità
di ebanizzare il bordo del biano per una larghezza di circa 3 cm. La restauratrice mia amica mi
ha consigliato di usare il nero fumo, che pensandoci bene non so se appartenga alla categoria
delle terre. Comunque è una polvere finissima, quasi impalpabile che viene dissolta in
gommalacca. La concentrazione nero fumo-gommalacca è abbastanza alta. Viene applicata con
pennello, una volta asciutto si spaglietta e si ripassa nuovamente senza preoccuparsi troppo
delle eventuali striature che il pennello lascia. Dopo 3 o 4 passaggi si ottiene l'effetto
desiderato. I successivi passaggi di tampone in fase di lucidatura esaltano il nero intenso
completandone l'effetto. I risultati sono stati buoni. Voglio fare notare che quando sono andato
ad acquistare il nerofumo, mi è stato sconsigliato l'uso indirizzandomi sulle aniline. Quindi
penso che non sia usato comunemente questo metodo, proprio per le ragioni che sono state
esposte negli altri interventi: il rischio dei residui di polvere e non ultimo forse che l'uso delle
aniline porta ad ugualmente ottimi risultati Giuseppe.

Preparazione dello stucco a Cera


Lo stucco a cera lo si trova in commercio in forma di stick in una gamma molto vasta di
colorazioni. Sono leggermente untuosi al tatto e di consistenza piuttosto dura, che però tende
ad ammorbidirsi se scaldati. Questi stucchi non possono essere colorati, ma possono essere
mescolati a caldo fra di loro ottenendo così la tinta desiderata.

Lo stucco a cera può anche essere preparato in casa nel seguente modo: Si prende una certa
quantità di scaglie di cera vergine d'api e la si fa sciogliere a bagnomaria con l'aggiunta di una
piccola quantità di essenza di trementina ( senza dimenticare le necessarie precauzioni data
l'infiammabilità di questo prodotto). Quando la cera è sciolta, si aggiungono pigmenti secchi
(terre colorate) ottenendo la colorazione voluta. Una volta che si è mescolata bene la cera , e i
pigmenti si sono completamente sciolti, la si versa in semplici stampi di carta stagnola ottenuti
facilmente con la forma terminale del manico di uno scalpello.
Una volta raffreddato, lo stucco a cera è pronto per l'uso.
Applicazione dello stucco a Cera
L'uso dello stucco a cera va limitato nelle zone non soggette a urti perchè questi stucchi non
assumono mai una durezza come per gli altri stucchi.
Sono stucchi ideali per i mobili che andranno rifiniti a cera perchè si uniformeranno al mobile in
modo perfetto. vanno usati per piccole imperfezioni come fori di tarli o chiodi.
Gli stucchi a cera non sono soggetti a calo di volume, ma tendono a macchiare, pertanto vanno
usati su superfici già trattate con vernice (ad esempio con sottofondo a gommalacca).
La modalità di applicazione degli stucchi a cera è semplice ed alla portata di tutti: non esistono
rischi di provocare danni irreversibili.
Dallo stick sui stacca una piccola parte, la si manipola per ammorbidirla e le si fa assumere la
forma di uno spaghetto appuntito. Lo si infila per quanto possibile nel foro e poi con una
spatola lo si comprime dentro al foro.
Dopo aver rimosso con una spatola in legno l'eventuale stucco in eccesso, con un panno di
lana si strofina energicamente la zona. Il lavoro di stuccatura a cera può risultare piuttosto
lungo, se i fori da stuccare sono molti: se il mobile va poi comunque lucidato, può risultare più
veloce l'uso dello stucco classico.

Preparazione dello stucco a Gommalacca (Ia versione)


Lo stucco a gommalacca lo si prepara personalmente. E' uno stucco che può essere usato in
mobili di pregio che verranno lucidati a tampone. E' uno stucco ideale per chiudere piccole
fenditure o fori anche profondi in quanto, una volta seccato, assume una elevata durezza e non
riduce il suo volume. Io l' ho usato personalmente per la reintegrazione di piccole parti di legno
in piedi a cipolla gravemente tarlati, dove si è rivelato ideale.

Per la preparazione si prendono scaglie di gommalacca, cera d'api per ammorbidire la


consistenza, pigmenti secchi (terre colorate) per la colorazione. La gommalacca e la cera
vengono sciolte assieme a bagnomaria. Una volta disciolti, si prende una punta di pigmenti e si
mescolano assieme per ottenere la colorazione voluta. Una volta che i pigmenti si sono
completamente sciolti, si versa una piccola quantità su di un piano di marmo bagnato e, prima
che si solidifichi, lo si sagomerà facendolo rotolare avanti e indietro con il palmo della mano,
facendogli ottenere la forma di un bastoncino cilindrico. In breve lo stucco avrà assunto una
consistenza dura.

Preparazione dello stucco a Gommalacca (IIa versione)


Scaldare le scaglie di gommalacca in un pentolino con qualche goccia di alcool fin quando si
sciolgono completamente. Al liquido si possono aggiungere terre colorate per ottenere il colore
desiderato. Poi si versa il composto su una lastra di vetro o di marmo e lo si sagoma a forma di
cilindro prima che si solidifichi, cosa che accade in pochi minuti.
Applicazione: Per l'applicazione serve un piccolo imbutino metallico, in cui si porrà lo stucco
necessario, si scalda l'imbutino sopra una fiamma finché lo stucco si scioglierà di nuovo e si fa
cadere goccia a goccia nella zona da riempire. Con una spatolina a lama flessibile, riscaldata, si
asporta l'eccesso. Dopo pochi minuti si sarà raffreddato e solidificato e si potrà carteggiare."

Preparazione dello stucco a Gommalacca (IIIa versione)


Testo prelevato dal Forum a cura di Alvaro:

Preparazione:
Prendo un panno di cotone, ci metto dentro delle scaglie di gommalacca, lo chiudo in modo da
formare una specie di sacchetto, legando l'estremità con un filo di spago o di plastica, immergo
il tutto in acqua bollente, per qualche minuto, la gommalacca all'interno si scioglierà solo
parzialmente, diventerà tipo un impasto da pane solo più duro, poi lo tolgo dl sacchetto e su
un piano liscio di laminato o marmo ne stacco delle parti e strofinandolo tra le mani ne faccio
delle bacchette tipo grissini, per ri-ammorbidire la parte rimanente basta re-immergerla
nuovamente qualche minuto in acqua bollente qualche minuto anche senza sacchetto non
succede niente.
Applicazione:
Per usarlo esistono svariati modi uno e' di metterlo a contatto con un oggetto metallico
rovente, o un saldatore da stagno elettrico in quel caso si ha un colore nero ottimo per
recuperare spaccature dei nodi, o fiamma diretta come accendini e simili , si avrà sempre
colore nero, oppure può essere sciolto su un cucchiaio o imbuto da profumo metallico se la
fonte di calore non e' a contatto diretto lo stucco sarà di colore ambrato come la gomma lacca
in origine.
Essendo molto duro sostituisce in maniera egregia stucchi a due componenti paste di legno e
simili.
Per toglierlo ci vuole solo pazienza non va assolutamente fatto riscaldare, si scarta poco per
volta con carta buona e mano leggera per evitare che si sciolga e si distenda...se succede si
pulisce ai margini con panno imbevuto di alcool 99° o acetone puro. Si usa su legni nuovi o
puliti da evitare su qualsiasi superficie verniciata ottimo per stuccare fori e fessure anche
profondi ricostruire angoli mancanti in questo caso procedere a più riprese. La colorazione a
lavoro ultimato sarà molto simile alle venature del noce scuro, una volta colorata e lucidata la
superficie trattata cosi non si avrà l'effetto stuccatura classica .

Note sullo stucco a Gommalacca


Per applicare lo stucco a gommalacca, occorre autocostruirsi un semplice attrezzo per poter
colare lo stucco. Per questo è sufficiente prendere un normalissimo cucchiaio da cucina, e con
un paio di pinze si forma un beccuccio sul bordo. A questo punto, si spezza un bastoncino di
gommalacca (preparato in precedenza come si è visto) e se ne mette una parte nel cucchiaio
che poi si scalderà sulla fiamma del fornello fino a che lo stucco non sia completamente sciolto.
Contemporaneamente si fa scaldare anche una piccola spatola in ferro. Col cucchiaio si farà
colare lo stucco nel foro o nella fessura che si vuole chiudere e poi con la spatola si pareggerà
e si elimineranno le sbavature più grossolane.
Lo stucco si indurirà in pochi minuti. Si potrà poi carteggiare per rifinire.
Per evitare di sporcare la zona circostante l'intervento, la si potrà mascherare con nastro
adesivo da carrozziere oppure ungendola con olio.

le colle usate nel Restauro


Oggi, grazie alla chimica, si hanno a disposizione colle sintetiche con alto potere adesivo e
facilità d'uso.
Ma quando si parla di restauro, le caratteristiche richieste ad una colla sono ben diverse:

• innanzi tutto deve possedere una buona elasticità per potersi adattare ai ritiri del
legno che cambiano a seconda dell'essenza, della sua percentuale di umidità residua,
del tipo di taglio e dei fattori climatici esterni.
• altra caratteristica di una buona colla da restauro deve essere la reversibilità, ovvero
la possibilità di scollare facilmente le parti precedentemente unite al fine di permettere
in futuro nuovi interventi di restauro.
Le colle sintetiche sono quindi sconsigliabili in applicazioni di restauro dato il loro carattere
definitivo.
Pertanto l'uso di colle organiche che uniscono caratteristiche di buona capacità adesiva a quelle
di elasticità e reversibilità, è quindi da preferire.
Inoltre tale scelta è dettata anche dai fondamentali Principi di Restauro che devono essere
sempre tenuti presente nel momento in cui ci si avvicina con criterio e coscienza al restauro.

Fra le colle di origine naturale usate nel restauro sono:


• Colla da falegname o Colla Garavella
• Colla Caseina
• Colla di Pesce (usata nella tecnica della doratura)
• Colla di Coniglio (usata nella tecnica della doratura)
Regole generali per un buon incollaggio

Superfici Pulite: Tutte le parti da unire devono essere pulite, asciutte e prive di
grasso. Ciò è essenziale per ottenere una buona tenuta . Inoltre non devono essere
presenti residui della vecchia colla, unica eccezione è il caso di colla animale dove,
anche se comunque è consigliabile togliere i residui di colla vecchia, questa col calore
della nuova, si amalgama nuovamente.Metodo d applicazione: premesso che vanno
seguite le istruzioni presenti sulla confezione, generalmente si può dire che le superfici
da unire devono essere entrambe coperte di colla, ma meno ne avanza a unione
ultimata meglio è. Un buon fissaggio dipende dallo stretto contatto delle superfici, non
dalla quantità di colla. Ogni volta sarà possibile è meglio usare morsetti e fermi al fine
di fare uscire la colla in eccesso e per mantenere una pressione costante fino a
completo indurimento della colla. Se il laboratorio è ben riscaldato, la maggior parte
delle colle asciugherà più velocemente. Conviene che le superfici da incollare non siano
ben levigate ma ruvide, infatti viene usata un ferradenti (pialla con un particolare ferro)
per rendere più ruvida la superficie da incollare.

La Colla Garavella
La Colla Garavella è comunemente nota anche come colla forte, colla gelatina o colla animale,
è tradizionalmente la colla da falegname e le sue origini si perdono nei secoli, quando gli
antichi artigiani iniziarono l'uso di adesivi nella unione di giunti e lastronature in aggiunta al
semplice uso di chiodi o incastri.
Questa colla fu praticamente l'unica usata fino agli anni 30 quando entrarono in uso le colle
sintetiche o viniliche.
Essa consiste in una gelatina , ottenuta facendo bollire i cascami di animali, pelle, ossa, unghie
e una volta asciutta, viene commercializzata nei negozi di Belle Arti normalmente in perle color
ambra ma anche in polvere o tavolette viene usata oltre naturalmente per l'incollaggio anche
per la preparazione degli stucchi a base di terre colorate.
L'uso di questa colla non è semplice in quanto occorre attenersi a rigide regole di preparazione
e uso per poter ottenere il meglio, ed è forse per questo che sono state sostituite con le colle
moderne che sicuramente sono di più pratica utilizzazione.
Poiché noi noi non ci accostiamo alla costruzione di nuovi mobili ma al restauro di quelli
costruiti almeno un centinaio di anni fa , o quasi, siamo "tenuti" a usare materiali e tecniche di
costruzioni adottate originalmente.

Comunque, a parte le difficoltà iniziali che saranno superate con la pratica, questa colla ha le
caratteristiche ideali di elasticità e reversibilità che ne fanno la colla principe del nostro lavoro.

Preparazione della Colla Garavella

Per la preparazione della colla occorre munirsi di un pentolino da bagnomaria o comunque di


due recipienti utili allo scopo (esistono in commercio anche degli appositi pentolini in ghisa).
Si dovrà preparare la colla nella quantità necessaria di volta in volta che se ne ha bisogno in
quanto, non è possibile riutilizzare efficacemente la colla riscaldata più volte. Questa ultima
affermazione è soprattutto per i puristi, in quanto normalmente la colla da falegname viene
riscaldata più volte.
Si versa nel pentolino la quantità di colla (in perle) necessaria e la si ricopre di acqua fredda o
tiepida lasciandola riposare per un paio di ore. Al termine le perle avranno assorbito tutta
l'acqua, le vedremo pertanto rigonfie e ammorbidite.
A questo punto si passa alla fase di cottura o riscaldamento mettendo il pentolino del
bagnomaria sul fuoco avendo molta cura di non portare ad ebollizione la colla che altrimenti
perderebbe gran parte del suo potere coesivo.
La temperatura ideale sarebbe di 50-55 °C. Ci si accorge se la colla inizia a bollire perchè in
superficie si forma una sorta di schiuma biancastra.
La fase di cottura dura circa 20-30 minuti durante i quali è bene mescolare il prodotto con un
bastoncino. Con il calore la colla si scioglie completamente diventando della densità del miele .
La densità della colla è molto importante: non deve essere né troppo liquida ( sgocciolante dal
pennello -vedi a- ) né troppo densa (cadente a grumi dal pennello -vedi b-). Deve scorrere
dal pennello in modo uniforme come mostrato in figura - c-.
Come si è detto il riscaldamento della colla va fatto con un recipiente a bagnomaria, e per
evitare un eccessivo riscaldamento, è meglio interporre tra il recipiente interno e il fondo di
quello esterno un pezzetto di legno, e mantenere il livello della colla sempre superiore a quello
dell'acqua.

Preparazione della colla:


1 - colla
2 - acqua
3 - fornello

Densità della colla


a- colla troppo liquida
b - colla troppo densa
c- colla alla giusta densità

I consigli di Enzo Careri restauratore in Lamezia Terme.


Come rendere la colla da falegname più duratura?
Basta aggiungere un pizzico della cosiddetta pietra emostatica,quella da barbiere
opportunamente polverizzata (pietra usata per bloccare le emorragie dovute a piccoli tagli).
Essendo un buon minerale avrà anche funzione di antitarlo specialmente se accompagnata da
un goccio di aceto di vino bianco (o di miele di castagno).

Uso della Colla Garavella

Iniziamo con elencare le regole principali per l'uso della colla:


• La colla va usata ben calda, in giusta densità.
• Deve essere applicata a pennello su entrambe le superfici da unire.
• Le parti devono essere messe in pressione con morsetti, molle o pesi fino alla completa
essiccazione della colla.
• vanno eliminate subito le eventuali sbavature o eccessi di colla (con una spugnetta
bagnata con acqua calda e ben strizzata), in quanto una volta asciutta, si cristallizza e
l'asportazione diventa difficoltosa.

Quando le parti vengono unite, la colla precedentemente spalmata, dovrà essere ancora
tiepida, pertanto può risultare utile, soprattutto d'inverno, riscaldare prima le parti da unire.

L'operazione d' incollatura deve essere eseguita velocemente pertanto tutta l'attrezzatura
necessaria per mettere in pressione i pezzi dovrà essere pronta e a portata di mano. Nel caso
di assemblaggi complessi, potrebbe risultare utile eseguire una prova a secco per verificare la
sequenza delle varie azioni predisponendo morsetti, molle, spessori e tutto quanto può
risultare utile per un tempestivo impiego.

La prima fase di indurimento della colla animale è di qualche minuto: l'adesivo si presta quindi
bene per tutte quelle operazioni che necessitano di un certo tempo per la "messa in opera". La
colla, data la sua elevata elasticità a caldo, è idonea anche per fissare ampie superfici di
impiallacciatura senza dover ricorrere a complicati sistemi di pressatura.
Per tenere in posizione il pezzo finché la colla non ha fatto presa si utilizzano i morsetti a G o i
morsetti a traversa mobile, se il pezzo è di piccole dimensioni sono sufficienti strisce di carta
adesiva da carrozziere ben tesa, se sono parti di impiallacciatura non accessibili da morsetti si
usano adeguate tavolette di compensato da inchiodare sopra con interposto un pezzo di carta
di giornale per evitare che la tavoletta di compensato si incolli anch'essa sul piano . I morsetti
vanno sempre utilizzati interponendo dei pezzi di legno morbido tra le ganasce e le parti da
incollare, per evitare che resti il segno dell' ammaccatura. È bene evitare l'uso di colle viniliche,
poiché non sono removibili.
Per un completo indurimento della colla occorrono almeno 24 ore, durante le quali le parti
dovranno rimanere morsettate.

La Colla Caesina

La Colla Caseina ha origini antiche, oggi raramente viene usata nel restauro. Era assai in uso
nel XV secolo ed il suo componente principale era il formaggio pecorino come attestano alcuni
documenti.
La colla di caseina è a base proteica ed è indicata per incollare superfici non ben levigate.
L'aggiunta di alcali come soda caustica, ne aumenta il potere collante.
Questo tipo di colla può essere a base di caseina lattica o a base di caglio; quest'ultima ha un
minore potere adesivo
In generale, i principali costituenti di una buona colla sono i seguenti: caseina, calce purissima
in polvere , borace oppure carbonato di sodio, soda caustica. La durata della colla diminuisce
proporzionalmente con la maggior quantità di calce impiegata e con la maggior
concentrazione; anche la temperatura ambientale influisce sulla conservabilità della colla che
aumenta in inverno.

Preparazione della Colla Caseina


Si presenta sotto forma di polvere paglierina o biancastra a grana fine, si trova in commercio
già dosata.
Si prepara sciogliendola in acqua tiepida o fredda (le proporzioni sono di circa 1 kg. di prodotto
ogni 2-3 litri d'acqua) : è poco pratica da usare poiché va lasciata "riposare" per 15 minuti
circa dopo aver mescolato la soluzione per circa 15-20 minuti. Va poi adoperata nel giro di
qualche ora (5-6 ore) poi non è più utilizzabile; si utilizza sia a freddo che a caldo. Il tempo di
presa oscilla fra le 5-8 ore in estate e 24 ore in inverno.

Uso della Colla Caseina


Usata a freddo e mescolata all'acqua è estremamente tenace e più resistente anche della colla
da falegname.

Caratteristiche
Costa poco, ed è resistente all'acqua; è elastica e di buona resistenza meccanica. Può
macchiare alcuni legni (soprattutto quelli duri) a causa degli alcali in essa contenuti ed,
essendo molto acquosa, può gonfiare il legno. Usando le dovute precauzioni per evitare
macchie superficiali, viene usata raramente anche nel restauro.

Le Colle Chimiche
Pur non facendo parte delle colle usate nel restauro di mobili importanti, precedenti alla fine
dell'Ottocento, penso che nel laboratorio di ogni restauratore non manchi questo tipo di colla,
Vinavil, che fu commercializzato intorno agli anni Trenta. La facilità di uso e la disponibilità
immediata (non necessita di alcuna preparazione) sono due motivi sufficienti a convincere
molti al suo uso. Anche questa colla, come la colla Garavella, può essere usata per la
preparazione degli stucchi a base di terre colorate. Consiglio di usare questa colla nel restauro
di quei mobili per i quali già in origine fu usata. Pertanto per i soli mobili successivi agli anni
20-30 del Novecento.

Uno dei tipi più utilizzati e l'acetato di polivinilico (PVA) è a base di resina e va usata fredda. E'
estremamente tenace, ed il liquido bianco e denso può essere usato direttamente dal
contenitore.
Non è reversibile, pertanto, una volta fatta presa, se si ha la necessità di separare i pezzi
precedentemente incollati sarà impossibile farlo se non rovinando il legno stesso. (vedi
selezione dal Forum)

Approfondimenti: I Materiali usati nel restauro del Mobile

Selezionato per voi dal Forum

Quale colla?
Quesito? E' proprio necessario usare la colla in perle(garavella) ho si può utilizzare un buon
vinavil per legno molto più pratico e veloce, perchè ho l'impressione che molti restauratori non
raccontano la verità, in quale situazione si usa la prima o la seconda ipotesi? La colla garavella
e veramente affidabile come forza di incollaggio,le malizie per usarla bene quali sono?Ci sono
delle colle alternative moderne piu' pratiche che rispettano la coscienza di restauro?grazie.
Giovanni

Risponde Pino
Condivido alcune tue affermazioni: ci sono restauratori che non vanno tanto per il sottile e
usano vinavil in molte occasioni. Questo dipende dalla maggior comodità ma anche da un
atteggiamento culturalmente discutibile verso il restauro. Ci sono anche colle moderne che
garantiscono reversibilità e sono di pari o di maggiore efficacia (non so dirti i tipi perché ne ho
letto da qualche parte e le ho dimenticate avendo scelto di non usarle mai, se possibile). Il
problema di fondo è rendersi conto che il pezzo su cui si sta lavorando è destinato a durare nel
tempo e vale in quanto espressione di un determinato ambito culturale in un certo momento
storico, di cui sintetizza conoscenze tecniche, stilistiche, gusto e funzione. Questo valore deve
essere preservato anche mediante il culto della fedeltà alle pratiche tecniche che hanno
orignato il mobile, ogni qual volta si tratti di impiegare un materiale o una sostanza destinato a
permanere nel mobile. Ciò non vuol dire rendere meno efficace il restauro privandosi di
prodotti moderni validissimi (si pensi alle resine acriliche ecc...) Occorre però trovare una
soluzione di compromesso introducendo le nuove tecniche quando effettivamente risolvono un
problema prima irresolubile. A questo punto perché modificare una colla che per centinaia di
anni ha garantito la funzionalità del pezzo e che è parte della procedura tenica che lo ha
generato? Soprattutto perchè sostituirla con il vinavil di cui è nota l'irreversibilità. Tra cent'anni
qualche disgraziato potrebbe trovarsi a fare i conti con il nostro incollaggio a vinavil nella
necessità di restaurare nuovamente il nostro pezzo e almeno nella tomba sarebbe meglio
essere lasciati in pace!!!!!!
A parte gli scherzi il restauro deve essere condotto in modo da poter in qualsiasi momento
tornare al momento iniziale del lavoro cioè alla fase precedente al restauro che ci accingiamo a
fare, senza particolari danni al pezzo. Quanto alle modalità di impiego della colla caravella non
ci sono segreti particolari, si tratta di fare pratica soprattutto nella sua diluizione. Deve essere
ben calda ma non deve superare i 60 gradi per evitare deterioramenti e perdite di capacità
adesiva. E' bene aggiungere un conservante apposito per colle per garantire una maggior
durata alla colla e ritardarne il processo di deterioramento con il tempo. Il pezzo da incollare
non deve essere liscio (nelle lastronature usavano un attrezzo detto ferradenti per creare una
superficie con tante piccole righettature che favoriscono l'incollaggio. Occorre sempre pressare
i pezzi con colla ancora calda o rigenerata mediante ferro da stiro o lastra metallica calda,
Nelle giunture bisogna studiare prima il serraggio e fare le prove per essere veloci quando si
sarà applicata la colla...
Altro non so dirti. Ciao. Pino. domenica 14 aprile 2002 - 22.03.10

Risponde Milo
L' utilizzo di prodotti e materiali nel rispetto dei principi del restauro è un aspetto molto
delicato, che si ramifica profondamente nell' etica e nella cultura personale. Vi sono parecchi
studi e molte teorie sulla filosofia del restauro ( cito:" teorie del restauro " di Cesare Brandi e
"restauro " di Alessandro Conti. in essi i principi di restauro vengono trattati quasi a livello
metafisico).
Rimane comunque il fatto che la scelta dei materiali deve essere operata con consapevolezza,
in base alla propria etica di rispetto dell' opera su cui si lavora.
Per quanto riguarda i prodotti incollanti e le metodologie di applicazione trovi ampie
spiegazioni nei cataloghi di ditte specializzate e nei manuali di restauro in commercio.
buon lavoro...Milo lunedì 15 aprile 2002 - 10.57.08

Separazione di una unione con spinatura e Vinavil

Domanda: Marco
Ciao a tutti,chi mi può suggerire il metodo per separare una unione eseguita con spinatura e
incollata con Vinavil ??
In tale unione uno dei 2 pezzi è incollato di costa mentre l'altro è incollato di testa.
La struttura completa è assimilabile ad una cornice.
Grazie in anticipo a tutti quelli che parteciperanno

Risponde: Franco

Se non riesci a trovare un solvente per la vinavil (io non li ho mai visti) e non ti interessa
mantenere la spinatura originale prova a tagliare le spine usando un seghetto a lama libera
molto fine. Con un po' di pazienza e fortuna dovresti riuscirci. L'intervento è un po' distruttivo
ma, a mali estremi ... Auguri .

Risponde: Milo
Un solvente specifico in grado di staccare un' unione con vinavil non esiste, ma il
polivinilacetato non ha alcuna resistenza all' umidità, puoi quindi sfruttare questo fattore
facendo penetrare una mista di acqua e alcool ( che aggredisce maggiormente i legami
coesivi ) nell' incastro, utilizzando magari una siringa; ripetendo l' operazione più volte riuscirai
ad allentare la tenuta della colla.
Per quanto riguarda la spina puoi eliminarla con una punta di trapano: inizia a praticare un
foro piccolo nel centro di essa allargando il diametro della punta fino a quello della spina, così
non rischierai di decentrare il foro; potrai poi rifissare il tuo incastro con una spina nuova a
lavorazione ultimata ( questo è forse il sistema meno distruttivo)....
ps: se il vinavil in questione dovesse essere un PVA alifatico incontrerai maggiori resistenze
nell' ammorbidirne i legami.....spero di esserti stato utile... fammi sapere...

Replica di Marco
Grazie del suggerimento. Ho tentato di "immaginare" sul come inserire l'ago della siringa nella
unione, ma non ci sono riuscito.
Pertanto ho separato l'unione utilizzando una sega x cornici che ho fatto scorrere sul bordo di
una "spalla", quest'ultima fissata alle 2 estremità. Sono riuscito ad ottenere un taglio
perpendicolare e la quantità di legno "mangiato" non è stata molta.
Per quanto riguardo la rimozione delle spine, non sono passato attraverso forature successive
in quanto ho valutato che se il primo foro fosse non centrato i fori successivi sarebbero stati a
loro volta fuori asse. Pertanto ho praticato un unico foro e tutto sommato sono stato fortunato
nel ricentrare i fori esistenti.
ciao e comunque grazie ancora per i suggerimenti che utilizzerò senz'altro alla prima
occasione.

la cera usata nel Restauro


La cera vergine è la denominazione commerciale della cera d'api. Si presenta in pani di colore
variabile che vanno dal giallo chiaro al bruno. La tipica cera d'api italiana è di un bel colore
giallo carico, il suo gradevolissimo profumo di miele è inconfondibile. Le qualità migliori
vengono prodotte in Romagna e in Toscana. E' consigliabile acquistare la cera direttamente da
un apicoltore, diversamente se la si acquista in un negozio, ricordatevi che quella più scura
non è italiana.
La cera vergine va opportunamente preparata per poter ottenere l' encaustico da applicare sui
mobili.
In commercio esistono prodotti già pronti per l'uso che vengono venduti già colorati o al
naturale. Alcuni sono comunque di buona qualità e il loro uso può essere comunque preso in
considerazione se non si ha l'occasione di preparasi da se l'encaustico.

L'uso principale che si fa della cera in restauro è senz'altro la lucidatura. Un uso non meno
frequente ne importante lo si ha in fase di stuccatura: infatti per quei mobili che poi andranno
lucidati a cera, si possono usare gli stick che si trovano in commercio (tra l'altro colorati in
varie tonalità di essenze) per chiudere i piccoli fori dei tarli o piccole imperfezioni.
Non è adatta per sostituire lo stucco vero e proprio in quanto la sua consistenza non lo
permette.

i materiali usati nel Restauro

Considerazioni e classificazioni dei materiali usati nel restauro del


mobile

Tratteremo dei materiali più utilizzati nella costruzione e decorazione del mobile e di quelli che
sono stati e continuano ad essere impiegati nel restauro di questi manufatti. La conoscenza dei
materiali tradizionalmente utilizzati nella costruzione del mobile, delle loro proprietà, del
trattamento superficiale e del comportamento nel tempo, è un requisito fondamentale sia per
la formazione del restauratore sia per lo sviluppo della sua attività professionale. Una
conoscenza che, applicata ad un'opera specifica, lo aiuterà ad identificare i materiali in essa
presenti. Questo fattore condizionerà in misura notevole gli interventi imponendo la scelta di
materiali compatibili con quelli di cui è costituita l'opera, al fine di evitare che questi si alterino
per reazione con i nuovi, così come per poter rispondere all'indispensabile requisito del rispetto
verso il progetto originale del mobile. L'identificazione dei materiali presenti in un'opera in
molti casi obbligherà ad evitare, per esempio, materiali che in un mobile nuovo potrebbero
invece essere considerati idonei. È il caso, molto frequente, di alcuni mobili inglesi con finiture
brillanti, che il restauratore, di solito, identifica come gommalacca, ma che, quando prova a
rigenerarle con questa sostanza, si disintegrano in quanto non se ne conoscono con esattezza
gli ingredienti e le proporzioni di composizione.Conoscere questi materiali spesso non basta: è
necessario avere cognizioni anche sul trattamento superficiale o decorativo che si usava dar
loro (il modo in cui si tingevano, intagliavano, incidevano ecc.) cercando di produrre
determinati effetti. L'ignoranza di tali procedimenti può indurre ad errori irreparabili durante il
processo di restauro.Alcuni materiali venivano trattati in un certo modo con l'obiettivo di
simularne altri (come, ad esempio, l'avorio che imita la tartaruga): un trattamento intenzionale
che voleva "giocare" con l'occhio dello spettatore e che nessun restauratore ha il diritto di
eliminare. D'altra parte, dato che è responsabilità del restauratore scegliere il materiale
corretto da utilizzare nell'intervento, è necessario conoscere quali sono stati e continuano ad
essere i materiali più usati nel restauro dei mobili (anche per poterli identificare nel mobile su
cui si deve intervenire), le loro proprietà, vantaggi ed inconvenienti.
La selezione dei materiali da utilizzare non è un compito facile; il prodotto perfetto, infatti, non
esiste. Molte volte ci troviamo nella situazione in cui il prodotto scelto non risponde a tutte le
caratteristiche idealmente necessarie per cui dobbiamo accontentarci di quello che, con tutte le
sue limitazioni, si adatta meglio di altri alle necessità identificate. Alcuni materiali poi non sono
negativi in termini assoluti ma vengono applicati in modo scorretto; ossia, un materiale può
funzionare bene per un determinato oggetto e rispondere male alle necessità di un altro. Di
fatto ci sono materiali perfettamente reversibili in alcuni casi ed irreversibili in altri. II
restauratore deve possedere le conoscenze necessarie per poter valutare tutto ciò. I materiali
utilizzati nel restauro del mobile si possono dividere in materiali naturali, materiali naturali
modificati o artificiali e materiali sintetici.

a) Materiali naturali. Sono quelli utilizzati tradizionalmente sia nella costruzione sia nel
restauro del mobile fino al XIX secolo (pasta di fecola, resine, gomma, adesivi proteinici, colla
di albumina, cera, grassi, oli ecc.).Questi materiali presentano l'enorme vantaggio derivante
dal fatto che se ne conoscono le reazioni col passare del tempo; questo non significa però che
si possano applicare in ogni caso poiché, come hanno dimostrato le ricerche scientifiche, alcuni
di essi (o il modo in cui sono stati applicati) hanno avuto risultati negativi purtroppo poco
conosciuti (come nel caso degli oli, dei bitumi ecc.) a livello conservativo ed anche ad altri
livelli, ad esempio per l'eccessiva tossicità (come nel caso del mercurio per gli specchi).

b) Materiali modificati o artificiali. Sono quelli risultanti dalla trasformazione chimica dei
materiali naturali.

c) Materiali sintetici. Come i precedenti, sono il risultato dei progressi della chimica
organica sviluppatasi a partire dal XIX secolo, ma si differenziano da questi poiché non hanno
nessun legame con i materiali naturali. Tuttavia non vanno considerati come meri sostituti di
questi giacché molti posseggono proprietà che non esistono in nessun prodotto naturale. La
maggior parte dei materiali sintetici, come quelli naturali o artificiali, ha una struttura chimica
polimerica; ossia formata da lunghe catene di unità semplici denominate monomeri. Questi
polimeri sintetici prendono normalmente il nome dal monomero di cui sono composti. I
materiali sintetici, come quelli artificiali, offrono una serie di vantaggi, poiché essendo
fabbricati per un'applicazione specifica possono rispondere a necessità concrete. Oltre a ciò
presentano proprietà più costanti di quelli naturali. Tuttavia presentano l'inconveniente che,
essendo di fabbricazione molto recente, non se ne conoscono le reazioni col passare del tempo.
Fattore che deve essere tenuto in considerazione da parte del restauratore, che non deve
lasciarsi guidare nelle scelte esclusivamente dai risultati immediati che un prodotto gli offre,
ma deve pensare al suo comportamento futuro. Un prodotto può essere efficace in un primo
momento ma non sappiamo come reagirà con il passare del tempo.

Da quanto esposto si deduce che non conviene propendere a priori per un certo materiale e
che la scelta più corretta sarà quella di combinare l'uso di prodotti diversi a seconda di ogni
caso specifico. Sarà quindi evidentemente corretto evitare l'impiego di tutte quelle sostanze
la cui composizione non sia conosciuta con esattezza (come nel caso di alcuni prodotti
commerciali che garantiscono risultati spettacolari ma che sono poco affidabili giacché in essi
non viene riportata la composizione).

Da quanto esposto si deduce che non conviene propendere a priori per un certo materiale e
chela scelta più corretta sarà quella di combinare l'uso di prodotti diversi a seconda di ogni
caso specifico. Sarà quindi evidentemente corretto evitare l'impiego di tutte quelle sostanze la
cui composizione non sia conosciuta con esattezza (come nel caso di alcuni prodotti
commerciali che garantiscono risultati spettacolari ma che sono poco affidabili giacché in essi
non viene riportata la composizione).

seconda parte
La scelta di un determinato materiale sarà in funzione dei vantaggi e degli svantaggi che
questo può presentare. Gli aspetti più importanti da considerare sono:- Che il prodotto non
modifichi esteticamente l'oggetto né lo alteri chimicamente o fisicamente al momento
dell'applicazione o invecchiando. Ossia che l'innocuità dei materiali sia stata provata per
quanto riguarda l'integrità estetica e fisica dell'oggetto. Cosa che non si verifica, ad esempio,
con alcuni consolidanti o vernici che, col tempo, possono alterare l'aspetto di un oggetto .

• Che il prodotto sia reversibile e che la sua futura eliminazione non causi alcun danno
all'opera, né condizioni futuri interventi. Ciò significa che il materiale in questione deve
poter essere eliminato in caso di necessità senza danneggiare il mobile. La reversibilità
dei materiali costituisce, in teoria, un requisito indispensabile al momento di restaurare
un'opera, ma non possiamo ignorare che questo nella pratica è quasi un'utopia poiché
pochi materiali risultano assolutamente reversibili o, che è lo stesso, totalmente
eliminabili, non solo per il materiale in sé ma per altri fattori ad esso estranei, come ad
esempio le caratteristiche della zona in cui è stato applicato: eccesso di porosità,
inaccessibilità con gli attrezzi da restauro ecc. Per questa ragione bisognerà far sì che,
nella misura possibile, gli inevitabili residui che in alcuni casi possono rimanere sul
mobile non condizionino interventi futuri. In ogni caso, e anche ammettendo ciò,
bisognerà riporre speciale attenzione nella scelta di materiali la cui reversibilità sia stata
sperimentata anche nella pratica e non solo enunciata teoricamente. Perciò, davanti a
due prodotti con caratteristiche simili, sarà preferibile propendere per i materiali
tradizionali di cui si sia potuta constatare ampiamente la reversibilità, al posto di altri
più moderni, teoricamente reversibili, il cui periodo di sperimentazione è stato però
ovviamente breve. D'altra parte la reversibilità di un materiale dipende anche dalle
caratteristiche dell'oggetto sul quale viene applicato e dal tipo di problemiche presenta.
Così un certo materiale potrà essere reversibile in un determinato caso e irreversibile in
un altro. Inoltre esistono materiali reversibili in un primo momento ma che smettono di
esserlo con il tempo, come nel caso di un polimero che produca cross linking.

• Che sia quanto più stabile possibile; ossia che non si alteri o deteriori in un periodo
di tempo ragionevole. Un materiale può invecchiare alterandosi chimicamente per
azione della luce, del calore, dell'ossigeno, dell'umidità, dell'inquinamento ecc., cosa
che può tradursi in trasformazioni quali ritrazione, espansione, rottura, insolubilità,
cambiamento di colore, debilitazione, assorbimento di sporco ecc. Per questo, oltre ad
essere coscienti del fatto che i prodotti non sono eterni, occorre cercare di usare
sempre quelli che si mantengono stabili per almeno venti anni, con la speranza che
arrivino ad esserlo per un periodo di tempo molto maggiore.

• Che si possa applicare ed eliminare senza causare danni al restauratore o


all'ambiente Possiamo parlare di tossicità diretta e di tossicità indiretta o ecologica. La
tossicità diretta si riferisce al pericolo che l'applicazione di un prodotto può
rappresentare per la salute del restauratore.(Non parleremo, in quanto fuori contesto,
dei legni tossici, derivanti da un albero ad alto contenuto di silice a causa del suolo su
cui sono cresciuti e la cui manipolazione può compromettere la salute del restauratore
quando inala la polvere di silice che si solleva levigandoli).La maggior parte dei prodotti
chimici utilizzati nel restauro sono tossici, per questo occorre prendere precauzioni sia
per il loro immagazzinamento (alcuni prodotti tossici sono volatili, motivo per cui, se
non si conservano ermeticamente chiusi, emetteranno vapori nell'ambiente e verranno
respirati dalle persone che si trovano in tali luoghi) sia per l'uso (per inalazione 4, per
contatto e assorbimento dei vapori attraverso la pelle, attraverso le membrane sensibili
come gli occhi, il naso ecc.).Ossia quando la tossicità di un prodotto può danneggiare
non solo il restauratore ma anche il medio ambiente. Bisogna quindi evitare la pratica,
comune tra i restauratori, di disfarsi dei prodotti chimici gettandoli nei tubi di scarico.
Questi rifiuti vanno a forre nei depuratori, determinando una sensibile riduzione del
riciclo dell'acqua. Ma non basta evitare gli scarichi. I prodotti che si depositano sulla
terra infatti entrano a far arte della catena alimentare essendo assorbiti dalle piante che
li ritrasmettono agli animali e all'essere umano .Da quanto esposto si può dedurre che è
opportuno cercare di utilizzare nel restauro i prodotti meno tossici e, quando questo
non è possibile, eliminare i rifiuti in modo adeguato. In realtà molto spesso tali prodotti
vengono utilizzati senza tenere in considerazione questi aspetti. Se ne fa uso per
inerzia, perché il loro impiego è ormai tradizionale nel campo della conservazione, per
facilità di manipolazione e di applicazione, per ragioni economiche ecc., quando spesso
potrebbero essere sostituiti da altri, con caratteristiche affini, ma meno tossici. Inoltre
bisognerebbe vigilare molto di più sulla salute dei restauratori, intensificando la ricerca
scientifica per la creazione di prodotti meno dannosi o per la trasformazione di quelli
esistenti, eliminando dalla loro composizione le sostanze tossiche che non sempre sono
indispensabili per le applicazioni desiderate, trasformando determinate sostanze ad uso
allargato in prodotti più specifici da utilizzare in casi concreti. In questo senso, ad
esempio, sono stati fatti grossi passi in avanti per quanto riguarda gli insetticidi: oggi,
finalmente, se ne trovano sul mercato alcuni a bassa tossicità. I prodotti chimici, oltre
ad essere tossici, possono essere infiammabili, per cui è necessario anche prendere
precauzioni in tal senso per quanto riguarda l'immagazzinamento e la manipolazione.
Per tutti questi motivi, e a causa della loro pericolosità, tutti i prodotti usati nel restauro
dovranno essere conservati in recipienti chiusi in cui appaia il nome del prodotto
contenuto, seguito dai segni di pericolo ad esso associati. Oltre a ciò esistono sostanze
che, pur non essendo tossiche, possono danneggiare, con un uso prolungato e
continuo, la salute del restauratore (come la polvere che si produce levigando gli
stucchi).Pertanto la bottega del restauratore dovrà essere opportunamente ventilata,
dotata di estintori e di aspiratore di vapori. È superfluo aggiungere che il restauratore
dovrà anche prendere precauzioni al momento di maneggiare certi prodotti o sostanze
adottando l'uso di mascherine, guanti ecc.

• Che il prodotto sia in buono stato. Per poterlo verificare occorre conoscere le sue
caratteristiche allo stato di normalità: colore, consistenza, grado di trasparenza, odore
ecc. In questo senso è di grande aiuto la consultazione di tavole di prodotti ove siano
specificate tutte le informazioni necessarie. Un'altra soluzione, in caso di dubbio, è
quella di rivolgersi al fabbricante in questione o di inviare il prodotto ad analizzare,
gettando sempre via quello che non sia in perfette condizioni poiché, in caso contrario,
il suo uso può, nel migliore dei casi, risultare inefficace e, nel peggiore, procurare danni
all'opera. Pochi materiali riuniscono i requisiti che abbiamo fin qui e numerato. Per tale
motivo bisognerà stabilire un ordine di priorità per poter così scegliere il prodotto che
meglio si adatti alle necessità di ogni caso e che comporti il minor danno possibile.
Bisogna però segnalare che a volte i fabbricanti alterano la composizione sia dei
prodotti naturali sia di quelli sintetici senza dichiararlo, con la conseguente modifica
delle proprietà, causando serie difficoltà operative l restauratore. È possibile che la
stessa sostanza chimica, a seconda della marca commerciale o del periodo di
fabbricazione, possieda proprietà diverse. Così possiamo trovare cere d'api adulterate
che induriscono le finiture, colle forti troppo gommose che si prestano male alla
realizzazione di stucchi, acetati polivinilici più elastici del normale ecc. Infine va detto
che è urgente avviare ricerche per la creazione di prodotti specifici per il restauro dei
mobili. Si sono già compiuti passi da gigante nei materiali specifici per il legno: adesivi,
vernici ecc., ma sempre rivolti alla creazione ex novo eq uasi mai applicabili al campo
della conservazione.

la Sverniciatura
La sverniciatura della superficie, viene intrapresa quando la vernice attuale non può essere
recuperata, o quando si vuole applicare una finitura diversa da quella esistente. Sui mobili di
particolare pregio, la cui "patina" originale va salvaguardata a ogni costo, tale procedimento
non deve assolutamente essere eseguito se non da esperti. In tali casi occorre limitarsi alla
semplice pulizia superficiale della vernice, in modo che sia pronta per ricevere la nuova
lucidatura. Nell'operazione di sverniciatura è consigliabile iniziare con metodi blandi per
arrivare a quelli più drastici.

Sverniciatura con alcool a 95 La pulitura eseguita con alcool è adatta a tutte le superfici
molto sporche. La si esegue con lo stesso metodo visto per la pulizia di superfici lucidate a
gommalacca, ma essendo ora il solvente costituito da solo alcool, viene asportata anche gli
ultimi strati della vernice.

Sverniciatura con sverniciatore o decapante Lo si usa quando le condizioni del mobile


sono particolarmente disastrose, e comunque quando si ritiene che la vernice attuale non sia
idonea o comunque recuperabile. Prima di effettuare questa operazione su mobili antichi
(precedenti al 1850 decennio più o meno) conviene consultare o meglio affidarsi alle mani di
un esperto, per non rovinare irrimediabilmente il vostro mobile.

L'uso dello sverniciatore è descritta sulla confezione, dove non dimenticate di leggere anche le
precauzioni necessarie da adottare durante l'utilizzo.

Lo sverniciatore agisce ammorbidendo la vernice che poi va asportata con una paglietta di
acciaio o con una spatola di legno duro.

Vi consiglio di operare comunque a piccole zone per non sciupare inutilmente il prodotto, che si
essicca facilmente. Appena riscontrate che la paglietta di acciaio sta per saturarsi, sostituitela.
Ricordate di asportare completamente ogni traccia di sverniciatore passando, alla fine, con uno
straccio umido di alcool per tutta la superficie.

Questo tipo di pulitura, come il precedente, consente ancora, a chi ha esperienza di


salvaguardare la famosa patina cosa che non avviene con il metodo seguente, che è da
evitare assolutamente sui mobili con un minimo di valore antiquariale.

Sverniciatura con Soda Caustica La soda è uno degli alcali più potenti, ed è altamente
corrosiva. Si usa sui mobili veramente disastrati e quando, ogni altro mezzo sperimentato non
porta a nessun risultato. In passato era molto diffuso l'impiego della soda caustica per la
sverniciatura dei mobili. Si tratta di un metodo poco consigliabile e di solito utilizzato su
mobili di poco valore in quanto può procurare gravi danni al legno.

Bisogna anche tenere presente che la soda caustica è un preparato estremamente pericoloso
da maneggiare, richiede di essere usata in un luogo adatto, vista la grande quantità d'acqua
necessaria, inoltre impone di bagnare molto i mobili, azione spesso dannosa. Ricordate che la
soda caustica sbianca considerevolmente il legno, e pertanto non è certo un metodo da
usare nel restauro..

Sverniciare i pori del castagno


Nello sverniciare delle vecchie porte di castagno ho trovato difficoltà ad eliminare la vecchia
vernice dai pori del legno che sono rimasti "colorati" in profondità. Come fare per eliminare
tale inconveniente in modo da ripulire completamente i pori ?

Risponde: MassimoProva se non l'hai fatto ancora con paglietta e sverniciatore, poi con il
solvente della vernice: acquaragia o diluente. Se ciò non da' esito, l'unica è colorare con
mordente le parti colorate.
Pazienza e buon lavoro.
Risponde F.C.
Meglio ancora, dopo aver pulito i residui di sverniciatore bagna bene il legno con acquaragia e
distribuisci sul legno per asciugarlo segatura abbastanza fine, poi strofina con spazzola fino a
che il legno sia asciutto.Alla fine lava con ragia 80% + alcool 20%.

la Disinfestazione

Si tratta di una operazione volta a combattere l'attacco biologico.

La disinfestazione deve precedere qualsiasi intervento sul mobile, quando esistano segni o
rischi d'infestazione.Può essere portata a termine attraverso differenti metodi, naturali, fisici o
chimici.

Tra i metodi naturali, sebbene scarsamente efficaci, possiamo citare l'uso di alcune sostanze
ampiamente utilizzate fin dai tempi antichi; fra queste ricordiamo l'olio di cedro, l'olio di
zafferano e i pezzi di legno di cipresso levigato che venivano collocati all'interno dei mobili.

Per quanto riguarda i trattamenti fisici, va detto che alcuni dei metodi attualmente usati
erano già conosciuti in passato, quando però mancavano le attrezzature adeguate per
impiegarli con successo. Così, per esempio, fin dagli anni Trenta di questo secolo era noto che
il calore poteva sterminare gli insetti xilofagi; elevando la temperatura del legno fino a 70
80 °C, infatti, tutti gli insetti larve e uova in esso presenti muoiono. Ma solo alcuni anni fa si è
constatato che, per portare a termine questa operazione senza causare danni al legno, è
necessario aumentare il livello di umidità ambientale, al fine di mantenere invariato il livello di
umidità relativa dell'oggetto prima del trattamento. Tuttavia bisogna tenere presente che
questo può essere pericoloso per certi elementi del mobile a basso punto di fusione, come ad
esempio le resine naturali presenti nelle vernici.Altri metodi fisici attualmente impiegati sono
l'emissione di ultrasuoni e la radio sterilizzazione attraverso i raggi gamma.

Quest'ultimo sistema consiste nell'esporre l'oggetto a una fonte di raggi di questo tipo che,
penetrando nel legno, provocano la distruzione degli organismi vivi. E' un procedimento che
offre il vantaggio di non sottoporre il mobile al contatto di prodotti chimici, ma che presenta il
rischio di intaccare la struttura del materiale esposto ai raggi.

I trattamenti chimici (vedi Trattamento antitarlo) possono essere applicati attraverso due
tipi di procedimenti: per iniezione o impregnazione di liquidi insetticidi e per fumigazione
di gas. I vantaggi dei sistemi di distruzione degli insetti con l'uso di prodotti liquidi sono la
facilità di applicazione e il fatto che costituiscono una forma di prevenzione di nuovi attacchi;
mentre gli inconvenienti sono la mancanza di potere di penetrazione assoluto, il fatto che
lasciano un residuo grasso sulla superficie e che la maggior parte di questi prodotti, di solito,
sono altamente tossici.

Proprio per questo si stanno sviluppando numerose ricerche, non solo per riuscire a mettere a
punto prodotti a bassa tossicità o a tossicità nulla, ma anche per definire specifici metodi di
applicazione. Un esempio in tal senso è l'esperimento compiuto in Canada in una metropolitana
quando, nelle stazioni e in alcuni punti della linea, si verificò un attacco particolarmente grave
di una specie di termiti chiamata Reticulitermes Flavites. Il sistema impiegato in quel caso si
basa su un comportamento tipico di tutti gli insetti sociali: la loro particolare forma di pulizia
reciproca detta grooming. Si applicò così un insetticida ad effetto lento a un piccolo gruppo di
termiti che venne successivamente esteso da loro stesse, attraverso la pulizia reciproca, a
tutta la colonia. Questo è un modo per ridurre la contaminazione ambientale, generalmente
associato ai trattamenti abituali. Il vantaggio della fumigazione consiste nel fatto che viene
applicata in una camera o contenitore chiuso e controllato da macchine particolari, motivo per
cui gli oggetti infestati possono stare a contatto con il gas tutto il tempo ritenuto necessario
affinché gli insetti muoiano. II suo grado di penetrazione nel legno, così come i residui
superficiali, dipendono dal tipo di gas impiegato. Fino a poco tempo fa, questo sistema
presentava però un grave inconveniente: i gas utilizzati erano nocivi per l'uomo, alcuni
addirittura letali. Ciò nonostante, recentemente sono stati sperimentati nuovi metodi di
sterminio degli insetti per fumigazione non tossici, uno dei quali è a base di gas inerti in luoghi
chiusi ermeticamente. Questo sistema, fra l'altro, non altera i materiali di cui è costituito il
mobile. Tutti i metodi di fumigazione si applicano in luoghi perfettamente stagni o in recipienti
sigillati.Sia i trattamenti fisici sia quelli chimici mediante fumigazione richiedono
un'attrezzatura di cui normalmente i laboratori di restauro non dispongono, per cui occorre
realizzare tali interventi in centri specializzati. Al contrario, i trattamenti chimici per
impregnazione o iniezione di sostanze liquide possono essere effettuati con facilità nei
laboratori di restauro.

È auspicabile che in futuro si possa disporre di metodi e di prodotti che non siano tossici in
assoluto e che, nello stesso tempo, siano in grado di eliminare gli insetti infestanti sotto
qualsiasi forma si presentino, adulti, larve, pupe o uova.

il trattamento Antitarlo

Sotto la comune dizione "trattamento antitarlo", si intendono tutti quei procedimenti che
prevedono l'uso di prodotti specifici atti alla eliminazione definitiva del tarlo dai nostri mobili
( o strutture lignee).

Mettere in pratica quanto si è detto così semplicemente non è altrettanto facile: eliminare
definitivamente il tarlo non sempre riesce, e spesso occorre ricorrere più volte ai trattamenti
senza tuttavia avere una garanzia totale della riuscita.

Questo si spiega in quanto il tarlo, annidandosi a volte nelle profondità delle gallerie, non
sempre è raggiungibile dai gas o liquidi velenosi con i quali tentiamo di avvelenarlo. Inoltre, se
il trattamento lo eseguiamo quando il nostro acerrimo nemico si trova nello stadio di "uovo", il
trattamento risulta quasi sempre inefficace.

Cerchiamo di affrontare il problema prendendo in esame le varie fasi in cui questo si può
presentare:

Manutenzione ordinaria: Supponiamo di renderci conto della presenza del tarlo nei nostri
mobili di casa, attraverso l'improvvisa comparsa dei piccoli cumuli di polvere di legno di cui
abbiamo già parlato. Per questo tipo di intervento, dobbiamo procurarci un buon prodotto
antitarlo e uno stic di cera del colore più simile al mobile sul quale dobbiamo intervenire:
entrambi i prodotti li possiamo trovare facilmente in ogni ferramenta. Il tipo di intervento è
semplice e alla portata di tutti (adottando chiaramente le precauzioni necessarie in occasione
di utilizzo di prodotti velenosi) : è sufficiente iniettare il liquido antitarlo in ogni singolo foro
chiudendolo poi con uno spaghetto ottenuto dallo stic di cera.

Quando si inietta il liquido, occorre prestare attenzione affinché questo traboccando dal foro
non macchi il mobile, soprattutto se rifinito a gommalacca. Mentre si inietta il liquido quindi,
con l'altra mano, tenete uno straccetto o un batuffolo di cotone nei pressi dell'ago pronti a
fermare ogni fuoriuscita di liquido.

Questo tipo di intervento ha il vantaggio di essere estremamente semplice ed immediato, ed è


forse l'unico alla portata di tutti. Si provoca un certo avvelenamento delle fibre del legno nella
galleria di uscita dell'insetto adulto, nella quale la femmina presumibilmente ha deposto le
uova. I fori che dobbiamo "siringare" sono anche quelli vecchi, con profilo scuro, in quanto
possibili ricettacoli di uova.
Fase di Restauro: In fase di restauro , possono capitarci mobili in condizioni assai peggiori
di quella precedentemente descritta. Prima di decidere il tipo di intervento, dobbiamo renderci
conto quanto il tarlo abbia danneggiato il legno. In alcuni casi, ci si trova costretti se non a
sostituire integralmente almeno a consolidare alcune parti gravemente danneggiate. Una volta
terminato l'intervento di consolidamento/riparazione dei danni, si passa alla fase vera e propria
di trattamento.

In questo caso, sempre con le dovute precauzioni, e sempre che le dimensioni del mobile lo
permettano, possiamo intervenire col metodo della "camera a gas": Questa volta occorre
avere una quantità sufficiente di antitarlo (uno o due litri) che con un pennello adeguatamente
largo, spennelleremo abbondantemente su tutte le parti del mobile non verniciate. Schiena ,
interni e fondi dei cassetti e del mobile dovranno essere trattati. Avremo precedentemente
preparato un telo o sacco di nylon per avvolgere completamente il mobile,. all'interno del quale
lasceremo un recipiente con antitarlo. Il Nylon che avvolge il mobile lo fermeremo con nastro
di carta gommata. Lasceremo il mobile in queste condizioni per almeno tre settimane. E'
consigliabile fare questa operazione o in tarda primavera o in autunno quando si schiudono le
uova. Trascorse le tre settimane, , toglieremo il nylon lasciando asciugare il mobile per due o
tre giorni in un luogo areato. A questo punto passeremo a siringare ogni singolo foro come
abbiamo visto in precedenza. Per quello che riguarda la chiusura, potremmo usare cera oppure
stucco con gesso di Bologna se i fori sono molti e la finitura prevista è a gommalacca.

Questo tipo di intervento, possibile solo in un ambiente adeguato, da non farsi assolutamente
in casa per ovvi motivi, è più efficace del precedente in quanto comporta l'avvelenamento di
gran parte della struttura lignea attraverso l'abbondante spennellatura di antitarlo, la quasi
completa saturazione delle gallerie con gas venefici (mediante la camera a gas) e invasione
delle gallerie di liquido velenoso tramite iniezione.

Metodi Professionali: Nonostante la presunta efficacia del metodo descritto sembrerebbe


che non offra una garanzia assoluta di riuscita, in quanto sempre e comunque alcune remote
gallerie non vengano toccate dagli agenti venefici. Allora a questo punto si passa agli interventi
professionali di chi, della lotta ai tarli ne ha fatto il proprio mestiere. Alcune aziende offrono
servizi di disinfestazione utilizzando, tra gli altri, il metodo del vuoto . Nell'ambiente dove
vengono posti i mobili si crea il vuoto aspirando l'aria e poi si iniettano i gas venefici. I gas,
proprio per l'effetto del vuoto creato, raggiungono qualsiasi fessura o galleria anche più remota
non trovando l'aria come ostacolo rendendo più efficace l'operazione. Questo trattamento
viene garantito fino a cinque anni. Alcune aziende offrono questo servizio anche a domicilio.

Prodotti Antitarlo e consolidanti

PHASE: Linea PERMETAR specifico antitarlo mette a disposizione i seguenti prodotti:

• Concentrato: Concentrato per uso professionale, inodore, non infiammabile, da diluire


1:50 nel solvente più idoneo per la lotta nel tempo agli insetti del legno (conf. 100 ml,
1lit.)
• In Petrolio: Soluzione pronta all'uso, completamente inodore e praticamente incolore,
da applicare a pennello o spruzzo su manufatti in lavorazione o in opera. (conf. 250 ml,
1,5 lit, 20 lit.)
• Injection: Aerosol insetticida specifico contro gli insetti del legno, munito di apposito
beccuccio per la localizzazione del prodotto nei fori dei tarli. (conf. 400 ml)
• Spray lucidamobili: Aerosol contenente oltre al prodotto insetticida una parte di cere
naturali finissime che nutrono e mantengono il legno. (conf. 400 ml)
• Cera: Cera finissima da antiquari contenente il principio attivo insetticida, per la
lucidatura e la manutenzione dei manufatti. (conf. 400 ml)

Questi prodotti soddisfano le seguenti condizioni di qualità:

Il prodotto antitarlo deve poter essere esteso sulla superficie lignea in modo da garantire una
penetrazione in profondità e quindi una efficace protezione. Deve sviluppare un'azione
altamente tossica nei confronti degli insetti xilofagi, ma non tossica nei confronti di qualunque
altro organismo. Non deve essere facilmente dilavabile ne a base di composti volatili e la sua
azione si deve sviluppare il più possibile in profondità del legno senza però produrre corrosioni
sulle parti metalliche contigue ne presentare effetti negativi su colle o vernici di finitura. Deve
avere un colore neutro trasparente. Deve poter essere applicato semplicemente a pennello,
spruzzo o iniezione con siringa. Deve essere resistente alla radiazione ultravioletta e non deve
occludere la naturale porosità del legno nè formare pellicole destinate ad esfoliare.Deve
consentire di eseguire le normali operazioni di finitura a cui il manufatto va sottoposto. Deve
esercitare un'azione sia curativa che preventiva. La sua efficacia deve però essere favorita da
interventi che eliminano eventuali fonti di umidità ed assicurano una buona ventilazione
dell'ambiente.

XIREIN Prodotto Antitarlo ProTector N - protettivo per legno - Sul catalogo di una noto
distributore milanese di materiali e attrezzature per il restauro (Bresciani), viene riportata la
scheda di questo antitarlo:

Con ProTector N abbiamo risolto non solo il problema di avere un protettivo efficace,
utilizzando come principio attivo la permethrina ma anche poco nocivo per l'uomo (non
contiene endosolfuro, lindano o DDT). Il solvente di questo prodotto, permette di veicolare il
principio attivo in modo ottimale per avere una efficace penetrazione nel legno ( in 24 ore, per
capillarità può penetrare nel legno per più di 50 cm) e non è tossico per l'uomo. E' inodore ed
incolore non altera rivestimenti di tessuto o carta.

ProTector N

• stabilizza il legno riducendo l'assorbimento dell'umidità ed il ritiro in clima secco.


• salvaguardia il legno da batteri, funghi ed alghe.
• è efficace contro gli insetti xilofagi quali tarlo (Anobium Puctatum), capricorno delle
case ( Hylotrupes bajulus), lictus ( Lyctus brunneus), vespa del legno ( Sirex gigas),
termiti ecc.
• previene dalle infestazioni
• il legno trattato è riverniciabile
• non attacca la maggior parte delle vernici preesistenti
• non degrada alla luce
• non corrosivo per metalli
• E' conforme alla norma americana che regola i preservanti del legno e supera lo
standard europeo per la stessa materia.

Consolidamento del Legno: Il consolidamento del legno è un intervento necessario quando i


manufatti lignei si presentano in una situazione di deterioramento molto avanzato.In genere
questo deterioramento interessa soprattutto la struttura interna del legno ed opera degli insetti
xilofagi.Questi insetti indeboliscono a tal punto la struttura del legno da renderla quasi
spugnosa e debole alle sollecitazioni meccaniche.Il consolidamento in genere viene effettuato
con resine acriliche tra le quali una delle più efficaci risulta essere il “Paraloid B72”.Tale
sostanza viene utilizzata nei maggiori centri di restauro, su opere di altissimo valore artistico.
E’ stata infatti utilizzata per la prima volta nel restauro del crocifisso ligneo del Duccio presso
l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, in seguito all’alluvione ’66.Questa sostanza si trova in
commercio sotto forma di granuli (B72): è una resina che va sciolta in solventi quali: alcool,
diluenti al nitro, acetone, eccetera.La soluzione penetra all’interno della struttura, nelle gallerie
scavate dai tarli, asciugandosi si espande ed indurisce rinforzando il tutto.Il consolidamento
può essere effettuato per immersione, per spennellatura o siringatura. Si opera a
concentrazioni diverse nel senso che si comincia con del Paraloid più diluito (10%) e man
mano si aumenta la concentrazione (fino ad arrivare al 20%).La quantità di Paraloid utilizzata
non deve essere eccessiva in quanto questo, indurendosi potrebbe spaccare il legno.

Prodotti per il Consolidamento : PARALOID: Sul catalogo di una noto distributore


milanese di materiali e attrezzature per il restauro (Bresciani), sotto al capitolo RESINE ED
EMULSIONI ACRILICHE sono elencati diversi tipi di PARALOID prodotti dalla ROHM HAAS.

PARALOID B44 metil-metacrilato Ottima durezza, buona flessibilità e grande adesione


sui più svariati supporti, soprattutto metallici. Solubile
in idrocarburi aromatici, esteri e chetoni. Solo
parzialmente solubile in alcool e idrocarburi alifatici
PARALOID B66 metil-butil-metacrilato Ottima adesione, flessibilità e durezza, rapido
essiccamento all'aria del film. Solubile in toluolo, xilolo.
PARALOID B67 isobutil-metacrilato Forma un film leggermente più duro del B72. Utilizzato
in miscela con altre resine per aumentare la durezza
superficiale. Co,patibile con resine alchidiche, medie e
lungo olio. Solubile in white spirit, toluolo, xilolo ecc.
PARALOID B72 etil-metacrilato Resina di uso generale, eccellente flessibilità e
trasparenza. Solubile in chetoni, esteri, idrocarburi
aromatici e clorurati. Miscelabile con etanolo col quale
forma una soluzione lattiginosa, il film che si forma e
però assolutamente trasparente
PARALOID B82 metil-metacrilato Proprietà simili al B72 con la proprietà di essere
solubile in alcune miscele di acqua ed alcool.

per info:

Bresciani : www.brescianisrl.it
Help on-line della Phase 348-7274676

Approfondimento:

Il Consolidamento
I Consolidanti
Disinfestazione
Il consolidamento del cassettonato ligneo di palazzo Barbò

Selezionato per voi dal Forum

Utili consigli di Carlo - 20/08/2002 6.17.50

Vedo purtroppo che l'estate ha riproposto a molti il problema dei tarli,e mi permetto di dire la
mia in proposito,rispondendo un pò a tutti.
Innanzitutto io credo che tutti i prodotti antitarlo siano efficaci, se vengono in contatto con
l'insetto:riprova ne sia che questi viene eliminato da qualsiasi insetticida di uso domestico, se
posto all'aperto.
Questo può essere verificato da chiunque. Il problema allora è legato alla capacità di
penetrazione dei prodotti sino agli insetti ed alle loro uova,e ciò dipende non solo dalle
caratteristiche intrinseche dell'insetticida,ma anche dal suo modo di applicazione. La maggior
parte degli insuccessi nella guerra ai tarli è causata dalla fretta e dalla scarsità di prodotto
impiegato, più che dalla inefficacia del prodotto stesso! Tutti i consigli dati su queste pagine
sono giusti; io però ne aggiungerei alcuni.
Io personalmente, se è possibile portare all'aperto l'oggetto intaccato, inizio soffiando a lungo
con l'aria compressa nei forellini, per pulirli il più possibile. Non fate però questo in
casa:rischiate di seminar tarli in ogni luogo!
Successivamente si può dare l'antitarlo, prima con siringa e poi con pennello, avendo cura di
applicarlo in modo che penetri dall' alto verso il basso (ovvero capovolgendo il mobile,se
occorre,e non applicandolo da sotto, con la improbabile pretesa che possa penetrare più di
tanto). Quindi camera a gas, come descritto, ma nuova applicazione, almeno nei punti più
colpiti, dopo una dozzina di ore. Io personalmente dopo venti giorni farei una terza
applicazione....cambiando prodotto!!!
E non per sfiducia nel primo, ma partendo dal presupposto che tutti gli insetti sono capaci di
sviluppare resistenza nei confronti degli insetticidi dei quali sono venuti a contatto. Dopo
qualche altro giorno di camera a gas si possono chiudere i forellini con cera, o con stucco alla
gommalacca. Ovviamente vi sono trattamenti molto più efficaci, ma questi non sono alla
portata dell'utilizzatore dilettante, ovvero risultano troppo pericolosi, se posti in essere senza
precauzioni adeguate, per cui preferisco non parlarne neppure.
In genere però un trattamento come quello descritto è efficace nella maggior parte dei casi.
Ci si chiede se i tarli presenti in un mobile possano intaccarne altri:difficile dirlo, ma
impossibile escluderlo,per cui lotta senza quartiere!!!! E, se del caso, non è male portare il
mobile...abitato dai tarli in luogo sicuro, sino a constatata eliminazione degli stessi; io di
certo,ad esempio,non lo lascerei su un parquet. A proposito di parquet, quanto detto vale
anche per i tarli che hanno attaccato il pavimento .

Interviene Silvia - 20/08/2002 19.13.44

Ciao Carlo,grazie dei consigli per i trattamenti antitarlo.Devo dire che ho sempre fatto come te
finché i forellini erano piccoli ed erano solo 3 o 4...poi quest'anno ho capito che nel mio caso
non bastava.Io personalmente sono dovuta ricorrere alla camera a gas professionale (camera
stagna di fumigazione)in quanto avevo riscontrato la presenza di tarli all'esterno e, catturato
l'indesiderato ospite, ho scoperto che era il temuto capricorno delle case che aveva fatto dei
fori di sfarfallamento delle diametro di più di mezzo centimetro! Non fori ma buchi.
Siccome non era solo ma in comitiva sono dovuta passare alle maniere forti. Il mio contributo
al forum posso darlo affermando che si, purtroppo le simpatiche bestiole sono più ghiotte di
legno che appartiene a mobili disabitati quindi è certo ( anziché probabile) che tutti i mobili
della stessa stanza vengano contaminati.Chiaramente contando i tempi di schiusa
intercorreranno mesi o anni prima che ci si accorga di altri fori o della classica polverina.
Insomma,meglio un trattamento "collettivo" di tutti mobili della stessa stanza del mobile
contaminato seguito da una puntuale manutenzione preventiva con i migliori prodotti antitarlo,
piuttosto che l'estenuante disillusione annuale di fronte a nuovi fori nonostante i nostri
perpetui sforzi..Chiaramente se siete esperti di materiali lignei saprete valutare da voi se
qualche mobile può venire escluso dal trattamento in quanto costruito in essenze non
predilette da insetti xilofagi. Buona fortuna comunque..Silvia

Replica Carlo - 21/08/2002 13.51.55

Bene Silvia...penso che tu abbia eliminato il problema;di solito la camera stagna è la soluzione
più definitiva. Io personalmente la uso sempre, a meno che non sia impossibile infilarvi
l'oggetto;ho parlato dei metodi antitarlo "convenzionali" perché sono pochi, in realtà, a
disporre della camera stagna, e soprattutto perché alcuni dei gas usati per la disinfestazione
sono estremamente nocivi, se usati impropriamente. Comunque ho ricevuto varie email, con
richieste di chiarimenti, per cui mi sembra giusto approfondire un concetto. I tarlicidi
"commerciali" agiscono in due modi:innanzitutto diffondendosi nel legno per capillarità,e
parallelamente creando,per evaporazione,vapori tossici per i tarli che penetrando nelle gallerie
eliminando gli insetti. Il principio di capillarità "funziona" sino a che c'è del liquido da
assorbire;quando il liquido è tutto assorbito,od evaporato,la penetrazione nel legno si arresta.
Il principio della occlusione con fogli di plastica della parte trattata (la c.d. "camera a gas") ha
due funzioni:la prima è quella di rallentare l`evaporazione del prodotto,migliorandone così
l'assorbimento; la seconda,quella di concentrare i vapori nel legno. Questo con danno per i
tarli...e beneficio per gli esseri umani presenti, anche se non mi stancherò mai di dire di non
fare trattamenti antitarlo nei locali adibiti al soggiorno di persone-ovvero di non soggiornare
dove sono in corso trattamenti. A questo punto è chiaro che varie applicazioni ripetute quando
la mano precedente è stata assorbita, ma non è ancora del tutto secca, garantiscono una
penetrazione nel legno molto più` profonda, ed una concentrazione di vapori molto più
efficace.

Trattamento Anitarlo

Ciao e grazie per le utilissime informazioni che si possono trovare sul sito.
La mia domanda e' la seguente:
Ho letto sul trattamento in oggetto, le varie possibiltà che ci sono per combattere i tarli.
Personalmente le conoscevo già, però, per la camera a gas,ho sempre utilizzato, al posto di un
prodotto antitarlo, l'ammoniaca pura.
E' corretto utilizzare tale prodotto o sono meglio i prodotti già preparati che si trovano in
commercio?
Ringraziando anticipatamente per la risposta, saluto tutti
Giampietro giovedì 7 marzo 2002 - 14.54.13

Risponde: Pino
A mio modo di vedere occorre utilizzare prodotti antitarlo specifici e possibilmente non nocivi
per l'uomo. questi prodotti, la cui efficacia migliora con la camera a gas, hanno il vantaggio di
essere studiati per una agevole penetrazione nelle fibre del legno, quindi applicati anche a
pennello sul mobile, danneggiano poco le finiture o la patina, e penetrano in profondità nelle
fibre. La camera a gas migliora poi il loro risultato.

Io uso prodotti a bassa nocività e ad alta capacità di penetrazione nelle fibre; si tratta di
prodotti specialistici commercializzati da Sinopia di Cartiglione Torinese (sinotar) e da Bresciani
srl di Milano (protector N). Ti consiglio un'occhiata al sito internet di Bresciani molto bello con
un catalogo veramente dettagliato. Il principio attivo è la permetrina veicolato da solventi a
bassa tossicità ed inodori, con alta capacità di penetrazione capillare. Ovviamente l'azione
migliora se, una volta applicato, chiudi il tutto in camera a gas (nailon sigillato nel migliore dei
modi con all'interno, oltre al pezzo da disinfestare un vasetto contenente uno straccio ben
imbevuto del prodotto) e lo lasci una ventina di giorni, ripetendo eventualmente l'operazione.
Il periodo migliore è l'autunno e la primavera. Buona caccia! Pino.

Risponde: Milo
L' ammoniaca oltre ad avere uno scarso potere penetrante non volatilizza e permane sulla
superficie del legno imbibendolo in maniera deleteria : alterazione della finitura e
rigonfiamento; essa non è inoltre particolarmente nociva per gli insetti xilofagi . Ti consiglierei
di usare prodotti specifici che contengano un principio attivo efficace veicolato da un solvente
ad alto potere penetrante ma al contempo volatile, che intacchi il meno possibile la finitura in
questione... se non dovessi trovare prodotti soddisfacenti in commercio prova con permetrina
in acquaragia al 3 %, va usata preferibilmente su mobili da sverniciare o ancor meglio già
sverniciati, ma come antitarlo è una bomba! ciao..
Milo giovedì 7 marzo 2002 - 22.37.34

Replica : Giampiero
Grazie a Pino e Milo che con le loro risposte mi hanno chiarito le idee. Abbandonerò'
sicuramente l'ammoniaca pura e utilizzerò' i prodotti da voi consigliati.
Visto che non li conosco vi sarei veramente grato se vorrete indicarmi qualche nome o qualche
marca di prodotti (da voi già sperimentati) facilmente reperibili in commercio.
Saluti a tutti, Giampietro Giampietro martedì 12 marzo 2002 - 16.13.30

Risponde: Serena
Non so se si possa fare pubblicità però visto che lo chiedi specificatamente io mi sono trovata
molto bene con un prodotto della" Phase" che si chiama PERMETAR (ndr. usata anche nel
Restauro di un Tavolo Impero) è permetrina dissolta in petrolio e c'è anche la versione
inodore . Ti assicuro che puoi utilizzarla anche in casa.
Provalo e mi dirai

Consolidanti per i mobili tarlati


Sapreste darmi il nome di un buon consolidante per i mobili tarlati???? a parte la colla????
ciao Debora

Risponde: Pino

Esistono in commercio dei consolidanti acrilici meno invasivi del paraloid che, soprattutto,
penetrano con più facilità e creano minori problemi nelle successive operazioni di finitura. Si
possono usare sia a pennello che per immersione (meglio per immersione ove possibile).
Io uso un prodotto della Sinopia (sede in Castiglione Torinese e negozio in Torino, Lungodora
Firenze) di nome Acrilegno ed un analogo prodotto della Bresciani ( www.brescianisrl.it ) di cui
non ricordo il nome. Non so dire se siano accettati dalla Sovrintendenza ma mi era stato detto
che sono più specifici e meno invasivi del paraloid.
Pino

Risponde Vittorio

Il Paraloid va bene come consolidante del legno ed è ammesso all'uso dalla Soprintendenza.
E' consigliabile il tipo "Paraloid B-72" diluito in diluente nitro o acetone in concentrazioni che
vanno dal 10% al 30%per le siringature.
Importante è non far snervare il legno con una concentrazione eccessiva poiché ciò può
procurare tensioni interne pericolose.
Le siringature vanno eseguite gradualmente in più fasi successive e con concentrazioni
differenziate dalla più bassa alla maggiore,tali concentrazioni si possono usare anche con le
spennellature.
Buon lavoro

Tarli e umidità

Ho da poco acquistato un armadio in gattice del '700 in discrete condizioni con l'unico difetto
che sulle porte in corrispondenza dei buchi di sfarfallamento (e anche in altre zone) ci sono
macchie scure (forse muffe) dovute credo a cattiva conservazione in ambiente umido.
Qualcuno sa come posso eliminare le suddette?
Devo usare acqua ossigenata?
Grazie anticipatamente

Gianni giovedì 7 febbraio 2002 - 8.22.47

Risponde: Pino
Difficile fare ipotesi senza vedere. Potrebbe trattarsi in alternativa di degrado in profondità del
legno, in corrispondenza dei fori del tarlo, dovuto alla impregnazione per umidità. Molte volte
lo strato superficiale protetto da finitura, anche se malandata, e l'umidità degrada la finitura,
mentre la sua penetrazione nei fori di sfarfallamento altera il legno nella parte interna non
protetta, facendo apparire le caratteristiche macchie in corrispondenza dei fori. Potrebbe anche
trattarsi di residuo di vecchi ed empirici trattamenti anti tarlo mediante iniezioni di sostanze
sbagliate. In ogni caso il pezzo sembrerebbe da pulire e se del caso da sverniciare il più
superficialmente possibile. Al seguito occorre disinfestare con chiusura in sacco per venti trenta
giorni, dopo adeguato trattamento antitarlo. Quindi occorre lasciare asciugare bene e poi
consolidare con paraloid o altro consolidante acrilico per legno. Se a seguito del procedimento
e una volta ben asciugato il mobile conserva macchie dovrà essere trattato con schiarenti nelle
parti occorrenti e uniformato nella tinta con mordenti, contenendo questi interventi nel minimo
indispensabile, quindi finito a mezza cera o gommalacca a seconda della finitura originaria e
delle sue caratteristiche.

riproduzione Elementi Scultori

Come riprodurre elementi scultorei di legno in breve tempo:

Nel restauro del legno, a volte, si ha la necessita di replicare un elemento a rilievo es.
riprodurre o ricostruire un angolo di una cornice in stile, un particolare aggettante di un
mobile, un piede di un cassettone, un particolare di un capitello etc.

Ottenere un calco di un pezzo a tutto tondo

• Costruire una cassetta di legno lievemente più grande del pezzo da riprodurre in modo
da contenerlo abbondantemente (ogni faccia deve essere distante dal modello almeno
cm.1,5). La cassetta può essere un cubo o un parallelepipedo, privo di una faccia.
• Preparazione della colla siliconica (1): in un recipiente si versa la quantità di colla
sufficiente a riempire la cassetta contenente l'oggetto che si vuole replicare
• si unisce al prodotto liquido l'indurente, in rapporto uno a 10 e si mescola bene (se la
quantità d'indurente e maggiore il liquido si trasforma in gomma più velocemente).
• Si versa una piccola quantità di colla siliconica nel fondo della cassetta (almeno di
cm.1);
• si attende per almeno due o più ore per essere certi che la colla si sia trasformata in
gomma (e sempre utile attenersi alle norme indicate dall'industria);
• si sistema sopra lo strato di gomma l'oggetto e si versa la colla siliconica sino a coprirne
la meta;
• si attende il tempo necessario per la solidificazione della gomma;
• si passa con un pennello intinto d'olio su tutta la superficie di gomma per facilitarne il
distacco dal successivo stampo;
• si versa altra colla siliconica sino a coprire la seconda meta dell'oggetto rimasto
scoperto.
• Dopo che anche quest'ultima colata di colla siliconica si e trasformata in gomma, si può
togliere dalla cassetta l'oggetto avvolto nella gomma.
• Si staccano le due valve del calco elastico dall'oggetto e si può procedere alla
riproduzione (2).

Ottenere un calco di un fregio o di un qualsiasi bassorilievo:

• Si costruisce intorno al bassorilievo un contenitore con listelli di legno, di cera, di gesso,


secondo i casi, nel quale si possa versare la gomma siliconica. Il contenitore deve
aderire bene alla superficie del bassorilievo, per evitare la fuoruscita della gomma
siliconica dalle fessure, si consiglia di sigillare con cera o altro materiale analogo.
• Si versa nel contenitore la colla siliconica liquida più l'indurente come sopra descritto,
agitando l'oggetto per far penetrare bene il liquido in ogni parte (lo spessore del calco,
da ottenere, deve essere almeno di mm. 6/7);
• sopra allo spessore di gomma siliconica, trasformata in gomma e senza staccarlo dal
bassorilievo, si versa della scagliola liquida di almeno due cm di spessore per superfici
piccole. La scagliola ha la funzione di controforma e di contenere il calco elastico,
soprattutto se lo spessore della gomma è esiguo. La controforma di gesso blocca nella
sua giusta posizione lo stampo di gomma senza che questo possa oscillare (3).

Eseguire la replica di un oggetto dopo aver ricavato il calco:

All'interno dei calchi s'introduce, tramite spatole di ferro, dello strucco di legno che si trova già
pronto in commercio, prodotto da "Sintolit" (in colore chiaro e scuro). Il prodotto e venduto in
pasta e contenuto in barattoli da 125mle ed oltre . Ogni barattolo ha il suo catalizzatore che è
in rapporto con la pasta di legno come un chicco di grano ad una quantità grande come una
noce. Il prodotto si solidifica in pochi minuti ed e consigliabile aggiungere la pasta di legno allo
stampo in piccole quantità.

Per un oggetto a tutto tondo: appena i due calchi sono stati riempiti di pasta di legno, si
uniscono e si rimettono nella cassetta per ottenere un ottimo risultato. Dopo pochi minuti,
quatto o cinque, si possono togliere dalla cassetta e staccarli. Le sbavature di sutura si
eliminano subito con un taglierino (4).

Per la tossicità del prodotto e consigliabile lavorare all'aria aperta.

Per ottenere la replica di un bassorilievo l'operazione e più semplice:

dopo aver posto lo stampo di gomma nella sua controforma, si riempie con la pasta di legno
ben mescolata con il catalizzatore, dopo pochi minuti l'oggetto è riprodotto e può essere già
lavorato per le successive fasi (stuccatura, doratura etc.). Si possono adoperare anche altri
materiali per ottenere, secondo le esigenze, ottimi risultati come la scagliola, la pastiglia etc.

Per oggetti che non hanno la funzione di sostegno come per i piedi dei tavoli, se si adopera la
pasta di legno, gli oggetti possono essere anche vuoti.

Nota 1 La gomma siliconica si può trovare nei negozi che vendono prodotti per belle arti o
per restauro. E' venduta in barattoli da un litro ed oltre. Ogni barattolo e accompagnato da un
catalizzatore contenuto in un piccolo recipiente. La gomma siliconica, con l'aggiunta del
catalizzatore, vulcanizza a freddo ed e antiaderente. Si ottengono dagli stampi che sono
perfettamente fedeli all'originale sin nei minimi dettagli. (torna su)

Nota 2 I due stampi, per la loro elasticità, si staccano con grande facilita dal modello
nonostante i sottosquadri. (torna su)

Nota 3 Per il pezzo a tutto tondo, la cassetta funziona da controforma. (torna su)

Nota 4 Il prodotto nella fase di vulcanizzazione si surriscalda. In questa fase si puo


intervenire per eliminare le sbavature o altre imperfezioni con facilita; viceversa quando il
prodotto si e raffreddato ed indurito del tutto si fa più fatica a correggere le imperfezioni.
(torna su)
Prodotti per Calchi

Questi prodotti sono realizzati dalla Phase:

• Gomma Siliconica RTV 583: Elastomero siliconico verticale in presenza di medi


sottosquadra (conf. 1 - 5Kg + catalizzatore)
• Gomma siliconica RTV 584: Elastomero siliconico tixotropico verticale in presenza di
medi sottosquadra. (conf. 1 - 5 Kg + catalizzatore)
• Gomma siliconica a presa rapida: Elastomero siliconico verticale con indurimento in
15 - 20 minuti. (con. 1Kg + 1Kg catalizzatore)
• Gomma siliconica Silastic 3133: Elastomero siliconico colabile a media elasticità.
(conf. 1 - 5 - 20 Kg + catalizzatore)
• Gomma siliconica Silastic 3483: Elastomero siliconico colabile per calchi con forti
sottosquadra. Modificabile con additivo gel per avere consistenza spatolabile. (conf. 1 -
5 -20 Kg + catalizzatore)
• FluoroPhase Uno: Distaccante a base di elastomeri fluorurati che facilitano il distacco
del calco dalla colata oltre ad impedire il passaggio degli olii nel positivo. (conf 1 lit)

uso dei chelanti nel restauro


"L'uso di tensioattivi e chelanti nella pulitura di opere policrome"
Collana i Talenti (edizioni il Prato)
Paolo Cremonesi

I Chelanti sono sostanze utilizzabili per la rimozione di ioni metallici. Dal

punto di vista applicativo, questo si può tradurre in


operazioni diverse, a seconda del tipo di opera su cui si lavora.
Per manufatti metallici, i Chelanti rappresentano la possibilità di eliminare patine di corrosione
(cioè sali del metallo).
Il pH del mezzo dì lavoro deve essere aggiustato a seconda del tipo di metallo su cui si opera.
Per supporti murali e lapidei, l'uso di Chelanti (principalmente l'EDTA) in ambiente alcalino é
soprattutto utilizzato per la rimozione di patine contenenti lo ione Calcio [61 63]: in forma di
Solfatazione (Gesso o Calcio Solfato bìidrato), di Ossalati (in quanto principalmente costituite
da Calcio Ossalato), o scialbature risultanti dalla carbonatazione superficiale della Calce (patine
di Calcio Carbonato).
Particolare attenzione deve però essere posta ad evitare l'azione sul materiale costituente
(Calcio Carbonato nel caso di intonaci a malta di calce, Calcite nel caso di materiale lapideo) e
sui pigmenti costituenti la policromia (in quanto la maggior parte dei metalli costituenti i
pigmentì, Cobalto, Coi' e Co`, Ferro, Fe', Mercurio, Hg`, Rame, Cu`, Piombo, Pb , Cadmio,
Cd , e Alluminio, Al'`) possono essere complessati e quindi solubilizzati dal Chelante nelle
giuste condizioni di pH. La capacità complessante nei confronti di uno ione specifico dipende
comunque dal valore dì pH. É difficile prevedere a priori il rischio di un'applicazione su
superficie policroma.
Ad esempio, nella preparazione AB57 formulate dall'Istituto Centrale del Restauro di Roma si
mette chiaramente in evidenza come nella miscela di uso generalizzato, per normale pulitura,
non sia compreso un Chelante.
La miscela infatti ha la seguente composizione:

1000 ml acqua distillata; 30 g Ammonio Idrogenocarbonato (Bicar bonato); 50 g Sodio


Idrogenocarbonato (Bicarbonato); 10 g Benzal conío Cloruro al 10%; 60 g Sodio
Carbossímetilcellulosa (NaCMC).

Sì dice chìaramente che il Chelante (25 125 g Idranal, cioè EDTA sale bisodico) viene aggiunto
solo nel caso di uso localizzato, in presenza di Carbonati e Ossalati. Purtroppo, però, oggi non
é infrequente riscontrare che quest'aggiunta viene sempre fatta al fine di velocizzare l'azione,
senza tenere in considerazione il possibile rischio di interazione col supporto.
Per manufatti quali sculture lignee policrome, l'azione chelante può essere sfruttata per
l'assottigliamento di strati pigmentati (in quanti i pigmenti sono sali di metalli), in particolare
quando il legante sia costituito da Caseina (precisamente Caseina e Calce, cioè Calcio Cascato)
o Uovo (perché anche qui si può avere presenza di Calcio Ossalato e altri sai di Calcio).
Su altri manufatti policromi, quali appunto i dipinti, i Chelanti, in particolare l'Acido Citrico e i
suoi sali, mostrano efficace azione di pulitura.
Quest'azione é però difficile da razionalizzare solo in base al modo d'azione cha abbiamo
descritto, cioè la capacità di "sequestrare" ioni metallici.
É vero che il generico "sporco" di deposito é in parte costituito da elementi inorganici:
particelle di Ossidi metallici disgregati e particelle di Carbonio, in generale tenute coese
dall'altra componente dello sporco, quella lipofila, costituita da idrocarburi, grassi, ecc.

Sulla parte inorganica il Chelante può agire complessandone gli ioni metallici, tuttavia questo
non é sufficiente a spiegare l'azione di pulitura.
Due ricercatori Inglesi hanno fornito un'ottima interpretazione al meccanismo d'azione in
questi casi , che prende in considerazione la natura di poli elettroliti di queste sostanze: cioè il
fatto che siano ioni con numerose cariche negative.
L'interpretazione fornita può essere riassunta così.
Nel caso della pulitura di una superficie, i Tensioattivi non sono gli unici composti ad avere
attività superficiale: anche ioni con molte cariche negative (come sono appunto i sali dell'EDTA,
i Citrati, e il Sodio Tripolifosfato) mostrano assorbimento preferenziale alle interfacce. Già
quest'azione può contribuire a diminuire la Tensione Interfacciale, e di conseguenza a rendere
la superficie più bagnabile.
Ma c'è un'azione più profonda che possiamo descrivere in questo modo:
- questi ioni possono agire in modo da neutralizzare elettrostaticamente uno strato di vernice,
così da favorire il distacco del materiale dideposito;

- la repulsione elettrostatica tra le cariche dello stesso segno, che si sono depositate sulla
superficie, fa si che lo strato di deposito cominci a disgregarsi e i frammenti passino nella fase
acquosa;

- queste particelle di sporco sganciatesi dalla superficie mantengono comunque le cariche


negative che hanno assorbito, e questo previene la loro riaggregazione, flocculazione e
rideposizione sulla superficie.

Anche nel caso della pulitura di una vernice é fondamentale valutare la possibile interazione
con strati pigmentati originari.
Vista la minore attività chelante, l'Acido Citrico é più raccomandabile dell'EDTA.
Diciamo che la semplice azione chelante può non essere sufficiente ad ottenere il livello di
pulitura desiderato, ma diventa senz'altro una componente fondamentale: l'ambiente alcalino
(che tra l'altro serve ad ottenere l'anione del Chelante), l'attività detergente svolta da un
Tensioattivo, e l'attività chelante possono spesso portare, in ambiente acquoso, ad un risultato
paragonabile a quello che si otterrebbe con solventi organici.

Composizione delle Miscele. In generale i Chelanti sono utilizzati in concentrazione 1 5%, in


soluzione acquosa.
Per localizzare meglio l'azione si può ricorrere a soluzioni gelificate con aggiunta di Eteri di
Cellulosa (Metilcellulosa o Klucel G).
Per la pulitura superficiale, generalizzata, di una vernice si può utilizzare una soluzione libera
(cioè non addensata) preparata sciogliendo 1 5 g di Ammonio Citrato Tribasico in 100 ml di
acqua deionizzata.
La soluzione ha praticamente pH neutro, e può essere applicata con un tamponcino di cotone.
Dopo il trattamento si effettua un leggero risciacquo con tamponcini inumiditi d'acqua.
Se invece occorre un'azione più prolungata o soltanto localizzata conviene preparare una
soluzione addensata. Acido Citrico (1 5 g) é sciolto in 100 ml di acqua deionizzata: a piccole
dosi viene aggiunta Trietanolammina: 2.1 ml per ogni grammo di Acido Citrico sono necessari
per salificarlo completamente.
É sempre raccomandabile controllare il pH con una cartina indicatrice, e fermare l'aggiunta
quando si é arrivati al pH desiderato.
In generale i Chelanti sono più efficacia pH alcalino, e lo stesso pH aiuta nell'azione di pulitura:
un valore compreso tra 8 e 9 sarà efficace nella maggior parte dei casi.
Da ultimo si addensa la soluzione con aggiunta di 4 5 g di Klucel G.
La stessa modalità si seguirebbe nel caso dell'EDTA, con la differenza che questo non é solubile
in acqua come tale e lo diventa quando salificato. EDTA solido viene dunque disperso in acqua
deionizzata, e passa in soluzione durante l'aggiunta di Trietanolammina (in questo caso 1.8 ml
sono necessari per ogni grammo di EDTA).
Una piccola aggiunta di Tensioattivo (non ionico, come il Tween 20 o il Brij 35, così da non
modificare il pH della soluzione), ad esempio 0.5 1%, può essere utile al fine di migliorare il
potere bagnante nei confronti della superficie e la capacità emulsionante della soluzione
(capacità di mantenere disciolto il materiale disgregato dalla superficie).
Si possono usare altre basi in sostituzione della Trietanolammina, come l'Ammonio Idrossido o
la base organica solida Tris Base. In questo caso le quantità di base sono diverse, e conviene
seguire il cambiamento del pH dopo ogni piccola aggiunta di base.
Un gel che si é dimostrato particolarmente efficace nel trattamento di pulitura é preparato
utilizzando come addensante il Carbopol al posto di Eteri di Cellulosa.
In questo caso bisogna aumentare la dose di base, perché ne serve una certa quantità anche
per salificare il Carbopol (Acido Poliacrilico, e quindi acido esso stesso).
Si procede nel modo seguente: 2 g di Acido Citrico sono sciolti in 100 ml di acqua deionizzata e
salificati con 10 ml di Trietanolammina.
Si aggiungono 3 g di Carbopol 940, si mescola e poi si lascia a riposo (mescolando
occasionalmente) fino a gelificazione.
Questa preparazione si é dimostrata particolarmente efficace nel caso della rimozione di
materiale proteico (Colla animale). Non ci sono informazioni nella letteratura specifica che
permettano di spiegare adeguatamente il perché di quest'azione. A livello di ipotesi ragionate
possiamo suggerire due meccanismi, che probabilmente contribuiscono al modo d'azione:

- il fatto che i Chelanti, in quanto poli elettroliti, possono avere effica ce interazione con le
proteine, anch'esse poli elettroliti, e quest'interazione influisce sulla solubilità;
- e il fatto che le proteine sono spesso associate a ioni metallici (a mag gior ragione nel caso di
applicazione a beni artistici), suscettibili all'azione complessante di un Chelante.

Questo gel si dimostra sempre decisamente più attivo di uno simile, ma addensato con Eteri di
Cellulosa, e questa differenza non é spiegabile solo in termini di maggiore viscosità (e quindi
migliore ritenzione del mezzo acquoso). Come sempre nel caso del Carbopol, si ipotizza un
ruolo attivo dell'addensante stesso, verosimilmente causato dalle sue proprietà acide.
In alcuni casi si é verificata l'abilità di gel Chelanti a produrre ammorbidimento di ridipinture al
Caseinato su pittura mirale a buon fresco.
Pur senza arrivare a completa dissoluzione, l'applicazione consentiva di ottenere notevole
ammorbidimento dello strato, che poteva così essere asportato meccanicamente in modo
molto più agevole.
II gel era come quello sopra descritto, solo con EDTA invece di Acido Citrico, e con aggiunta di
solventi organici che aiutano nel rigonfiamento del materiale proteico: 5 ml di Dimetilsolfossido
e 5 di Alcool Benzilico.

i consolidanti nel restauro del legno

Materiali usati nel restauro

I consolidanti nel restauro del legno

Prima di scegliere il consolidante bisognerà valutare alcuni aspetti fondamentali: I consolidanti.


sono sostanze che tendono a dar resistenza al legno debilitato, penetrando allo stato liquido
all'interno di esso e solidificandosi dopo un certo tempo, creando così una pellicola interna che
attribuisce maggiore consistenza a questo materiale.

Implicazioni nell'uso dei consolidanti

Prima di scegliere il consolidante bisognerà valutare alcuni aspetti fondamentali: In primo luogo

occorrerà considerare i danni che tali sostanze possono procurare al mobile, come ad esempio

la deformazione della superficie trattata (alcuni di questi prodotti aderiscono in modo

disomogeneo alle pareti del legno, tirandolo e provocando di conseguenza una deformazione),

gli effetti negativi che possono avere degradandosi (riducendosi allo stato di polvere all'interno

del legno), o i danni che la mancanza di plasticità di un determinato consolidante può produrre

(non adattandosi ai movimenti naturali dei legno possono prodursi rotture). D'altra parte,
bisognerà evitare che il loro peso specifico possa alterare, per eccesso, il peso totale

dell'oggetto. È poi necessario tenere presente che i consolidanti acquosi, come la colla

animale, possono aumentare l'umidità contenuta nelle cellule del legno e che le resine

termoindurenti (ossia che non solidificano per evaporazione di un solvente ma per reazione tra

due componenti) liberano calore, determinando un repentino e non sempre positivo aumento

di temperatura nell'oggetto. Inoltre alcuni di questi prodotti possono provocare alterazioni

estetiche al legno, conferendogli una brillantezza impropria o una diversa caratteristica tattile.

Un'alterazione estetica che, logicamente, diventerà significativa se prodotta in una parte

visibile del mobile.

In secondo luogo bisognerà valutare la penetrabilità del consolidante. È necessario che abbia

un grande potere di penetrazione, affinché possa raggiungere tutte le gallerie del legno senza

dover praticare nuovi fori, ingrandire quelli già esistenti o dover sommergere l'oggetto in un

bagno di consolidante (soluzione che non risulta quasi mai praticabile poiché, oltre a non poter

essere applicata a mobili grandi, potrebbe danneggiare gli altri materiali che compongono il

mobile).

Un altro modo di potenziare la penetrabilità del prodotto consiste nel mettere il mobile

sottovuoto mentre si sta consolidando (operazione non facile data la complessità e l'elevato

costo di questo tipo di infrastrutture).

In generale un consolidante deve essere elastico, penetrante, resistente, facile da lavorare e da

tingere, che agisca come adesivo e conferisca la consistenza necessaria richiesta da ogni caso

specifico (che dovrà essere maggiore nelle zone strutturali), e che sia quanto più reversibile

possibile. In relazione a quest'ultimo punto è noto che alcuni consolidanti sono reversibili in

laboratorio ma smettono di esserlo nella pratica.

Per eliminare un consolidante si può immergerlo in un bagno di solvente, ma si tratta di

un'operazione praticamente irrealizzabile visti i danni che provocherebbe non solo al legno ma

anche alle tinture, alle vernici ecc. Per portare a termine quest'operazione bisognerebbe inoltre

porre l'oggetto sottovuoto al fine di estrarre il consolidante (già allo stato solido) da tutti i

meandri del legno. Si tratta di un metodo eccessivamente traumatico per l'opera (allo stato

attuale della tecnologia applicata al restauro) per poter essere preso in considerazione.
In definitiva il restauratore deve sapere che quando utilizza un consolidante compie

un'operazione quasi sempre irreversibile, dato che ciò che viene introdotto nella materia

difficilmente potrà essere estratto da essa. I consolidanti utilizzati nel restauro possono essere

di due tipi: naturali e sintetici.

Consolidanti naturali

Colla animale

Si tratta di un materiale proteico composto principalmente da collagene. Si usa sotto


forma di gelatina. Esistono due tipi di colla animale che possono essere utilizzati come
consolidanti: la colla forte (estratta da pelle, ossa, cartilagini e tendini di alcuni
mammiferi) e la colla di coniglio (estratta dalla pelle e a volte dalle ossa di coniglio). I
suoi inconvenienti come consolidante derivano soprattutto dal fatto che seccandosi
produce una contrazione dovuta all'acqua utilizzata nella soluzione, fattore che provoca
distorsioni plastiche; che, essendo dissolta in acqua, può conferire al legno un'umidità
eccessiva; che è viscosa anche se, con l'aggiunta di acido acetico, essendo il suo pH
acido, la sua viscosità diminuisce aumentando il potere di penetrazione. Oltre a questo,
se si trova in un ambiente umido, propizio allo sviluppo di microrganismi, può
facilmente essere attaccata da questi Presenta il vantaggio di essere, teoricamente,
molto reversibile, anche se, come abbiamo visto, questo nella pratica è relativo, e
inoltre, essendo un materiale tradizionale, se ne conoscono le reazioni col passare del
tempo. La sua tossicità è nulla.

Cera d'api

È prodotta dalle api in forma di favi. Si usa come consolidante introducendola a caldo
nell'oggetto sia attraverso gli interstizi del legno, per iniezione, sia immergendo
l'oggetto in un bagno di cera calda. L'immersione non è possibile per un oggetto di
grandi dimensioni o che presenti materiali che possano venire intaccati dalla cera calda.
E' solubile in solventi organici: essenza di trementina, trielina e, parzialmente, in alcol
caldo. La cera d'api ha il vantaggio di essere il materiale organico più durevole e stabile
che esista. E insensibile alla contaminazione, ai cambiamenti ambientali e all'umidità.
Non provoca contrazioni. Tra i suoi inconvenienti come consolidante segnaliamo la sua
scarsa penetrabilità e i l fatto che attrae la polvere. La cera d'api non può essere
impiegata quando la materia da consolidare svolge funzioni di sostegno. La sua tossicità
dipende dal solvente

Consolidanti sintetici

All'interno della grande varietà di resine sintetiche che possono essere utilizzate come
consolidanti ci limiteremo a segnalare quelle più utilizzate, i cui risultati siano stati
provati scientificamente e riconosciuti ad oggi idonei.

Paraloid B72

Si tratta di una resina acrilica chiamata anche Acriloid B72. È solubile in solventi
idrocarburici (toluene, xilene ecc.) e può esserlo anche in alcol etilico. II Paraloid è stato
ampiamente studiato a livello scientifico come consolidante del legno e di molti altri
elementi che costituiscono il mobile. Tra i suoi vantaggi segnaliamo la flessibilità, il fatto
che non attrae la polvere, non produce deformazioni plastiche ed è molto stabile. Uno
dei suoi inconvenienti è che conferisce al mobile un aspetto plastificato poco naturale.
Non può essere utilizzato nei casi in cui è necessaria una notevole resistenza
strutturale. La sua reversibilità è ipotetica per i motivi già esposti e sia il suo grado di
penetrabilità sia la sua tossicità variano a seconda del solvente impiegato.

Acetato di polivinile (P. VA.).

Si tratta di una resina vinilica. È utilizzabile in forma di soluzione in solventi organici


come l'acetone, il toluene, o in emulsioni acquose Due tra i vantaggi principali sono
quello di avere un grande potere di penetrazione (soprattutto se applicato a caldo) e di
non produrre contrazioni. Tra gli inconvenienti possiamo ricordare che, anche se in
passato tali resine venivano considerate molto flessibili, è stato provato che col passare
del tempo diventano più rigide. Per di più fanno aumentare il peso dell'oggetto, sono
viscose, migrano verso l'esterno modificando l'aspetto dell'oggetto su cui sono state
applicate. Inoltre, se si aggiunge acqua, questa può apportare un'umidità eccessiva al
legno. Non possono essere mescolate con resine acriliche.

Se si applicano in grandi quantità, si corre il rischio che si secchino gli strati superficiali,
formando una pellicola che isolerà gli strati interni impedendo che questi a loro volta si
secchino. La loro tossicità varia a seconda del solvente utilizzato. Questi prodotti non
sono quasi mai commercializzati allo stato puro, ma vengono di solito sofisticati.

Resina epossidica.

Si inizia ad utilizzare come consolidante del legno a partire dal 1950. E' composta da
una resina epossidica propriamente detta e da un indurente che, quando vengono uniti,
induriscono a temperatura ambiente liberando calore (per questo motivo tali resine si
chiamano termoindurenti). Queste resine hanno un grande potere di penetrazione. Sono
ideali per consolidare le parti strutturali del mobile poiché trasmettono grande
resistenza al materiale a cui vengono applicate. Non contenendo solvente, non si
contraggono asciugandosi, motivo per cui non trasmettono tensioni al legno. Hanno un
basso peso molecolare. Teoricamente sono reversibili se sottoposte a temperature tra i
100 e i 160 °C o mediante un trattamento prolungato a base di di-cloro metano o di-
metilformammide a caldo. Trattamenti che sono però impraticabili in quanto
danneggerebbero il mobile. Tra gli inconvenienti segnaliamo che tendono ad ingiallire
con il tempo (fenomeno che si accentua in quelli sofisticati commercialmente),
provocando un mutamento cromatico nell'oggetto trattato. Per di più sono tossiche
poiché tra i componenti che si utilizzano nella loro preparazione, al fine di indurirle, ci
sono le ammine, che causano forti irritazioni alla pelle. Vengono inoltre intaccate
dall'umidità, sono irreversibili poiché non più solubili in nessun tipo di solvente e
liberano calore al momento della reazione tra i componenti, motivo per cui possono
essere dannose per il materiale consolidato.

Cera polietilenglicolica.

È un polimero di glicole etilenico che si usa fondamentalmente nel consolidamento del


legno saturato d'acqua poiché, a differenza di tutte le altre cere, è solubile in questo
elemento. Questa proprietà consente quindi di poter produrre una graduale sostituzione
dell'acqua con il glicole etilenico. Si utilizza anche nel restauro del cuoio.

Non sono incluse in questa sezione molte altre sostanze: alcune, che pure sono state
largamente impiegate come consolidanti per il legno, a causa dei loro risultati negativi;
altre, invece, perché hanno avuto un periodo di sperimentazione a tutt'oggi troppo
breve.

Consolidamento del Legno: Il consolidamento del legno è un intervento necessario quando i


manufatti lignei si presentano in una situazione di deterioramento molto avanzato.In genere
questo deterioramento interessa soprattutto la struttura interna del legno ed opera degli insetti
xilofagi.Questi insetti indeboliscono a tal punto la struttura del legno da renderla quasi
spugnosa e debole alle sollecitazioni meccaniche.Il consolidamento in genere viene effettuato
con resine acriliche tra le quali una delle più efficaci risulta essere il “Paraloid B72”.Tale
sostanza viene utilizzata nei maggiori centri di restauro, su opere di altissimo valore artistico.
E’ stata infatti utilizzata per la prima volta nel restauro del crocifisso ligneo del Duccio presso
l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, in seguito all’alluvione ’66.Questa sostanza si trova in
commercio sotto forma di granuli (B72): è una resina che va sciolta in solventi quali: alcool,
diluenti al nitro, acetone, eccetera.La soluzione penetra all’interno della struttura, nelle gallerie
scavate dai tarli, asciugandosi si espande ed indurisce rinforzando il tutto.Il consolidamento
può essere effettuato per immersione, per spennellatura o siringatura. Si opera a
concentrazioni diverse nel senso che si comincia con del Paraloid più diluito (10%) e man
mano si aumenta la concentrazione (fino ad arrivare al 20%).La quantità di Paraloid utilizzata
non deve essere eccessiva in quanto questo, indurendosi potrebbe spaccare il legno.

Prodotti per il Consolidamento : PARALOID: Sul catalogo di una noto distributore


milanese di materiali e attrezzature per il restauro (Bresciani), sotto al capitolo RESINE ED
EMULSIONI ACRILICHE sono elencati diversi tipi di PARALOID prodotti dalla ROHM HAAS.

PARALOID B44 metil-metacrilato Ottima durezza, buona flessibilità e grande adesione


sui più svariati supporti, soprattutto metallici. Solubile
in idrocarburi aromatici, esteri e chetoni. Solo
parzialmente solubile in alcool e idrocarburi alifatici

PARALOID B66 metil-butil-metacrilato Ottima adesione, flessibilità e durezza, rapido


essiccamento all'aria del film. Solubile in toluolo, xilolo.

PARALOID B67 isobutil-metacrilato Forma un film leggermente più duro del B72. Utilizzato
in miscela con altre resine per aumentare la durezza
superficiale. Co,patibile con resine alchidiche, medie e
lungo olio. Solubile in white spirit, toluolo, xilolo ecc.

PARALOID B72 etil-metacrilato Resina di uso generale, eccellente flessibilità e


trasparenza. Solubile in chetoni, esteri, idrocarburi
aromatici e clorurati. Miscelabile con etanolo col quale
forma una soluzione lattiginosa, il film che si forma e
però assolutamente trasparente

PARALOID B82 metil-metacrilato Proprietà simili al B72 con la proprietà di essere


solubile in alcune miscele di acqua ed alcool.
uso dei tensioattivi nel restauro
I Tensioattivi possono trovare utilizzo nel restauro per diverse ragioni: soltanto per il fatto che
impartiscono particolari proprietà, le cosiddette proprietà superficiali, alle soluzioni acquose o
di solventi organici a cui sono aggiunti, oppure per il loro potere detergente ed emulsionante.

Ricapitoliamo brevemente il loro modo d'azione e le conseguenti possibili

applicazioni.
A bassa concentrazione i Tensioattivi in soluzione abbassano la Tensione Superficiale del
liquido, e mostrano solo le proprietà superficiali: maggior potere bagnante, minore diffusione
verticale sotto la superficie, o minore risalita capillare.
A concentrazione maggiore in soluzione si formano aggregati di molecole di Tensioattivo,
detti Micelle, che impartiscono alla soluzione proprietà emulsionanti, detergenti e
solubilizzanti.
La quantità di Tensioattivo necessaria perché si verifichi questa situazione viene detta appunto
Concentrazione Micellare Critica, o CMC, ed é caratteristica per ogni Tensioattivo.
Vediamo più in dettaglio le varie possibilità.

1. Uso dei Tensioattivi per le Proprietà Superficiali.


Potremmo anche definire questo come "uso dei Tensioattivi come agenti bagnanti". Come
abbiamo descritto, un Tensioattivo é una sostanza capace di abbassare la Tensione Superficiale
del liquido (Acqua o altro) a cui viene aggiunto.
L'acqua é il liquido a più alta tensione superficiale, seguita dai Solventi Dipolari Aprotici e
dall'Alcool Benzilico.
In pratica, solo nel caso di acqua e soluzioni acquose ci si preoccupera di usare un Tensíoattivo
per abbassare la Tensione Superficiale.
Come abbiamo descritto prima, la conseguenza di questo abbassamento é l'insorgere delle
proprietà superficiali ricordate sopra, che influiscono sul modo in cui un liquido "bagna" una
superficie.
Se si vogliono solo queste proprietà superficiali il Tensioattivo deve essere usato in piccola
quantità, al di sotto della sua CMC; non è dunque consigliabile utilizzare Tensioattivi Non
Ionici, perché a bassa CMC. Tensioattivi Anionici come i Saponi o la Bile sono meglio indicati.
Si deve solo tener presente che i Tensioattivi Anionici non sono compatibili con soluzioni a pH
acido.

Anche gli Eteri di Cellulosa sono dei Tensioattivi: soluzioni acquose addensate (con Klucel o
Metilcellulosa) hanno dunque azione superficiale.
Ad esempio, come descritto prima, una concentrazione di 0.01% (cioè, ad esempio, 10 mg in
100 ml di acqua) di Klucel abbassa la tensione superficiale dell'acqua quasi della metà.
Siccome una concentrazione così bassa non è sicuramente sufficiente ad addensare quella
quantità d'acqua, si vede che è effettivamente possibile con questi Eteri di Cellulosa migliorare
il potere bagnante di soluzioni acquose pur mantenendole fluide.
Questa è ad esempio la ragione per l'aggiunta di piccole quantità di questi Eteri alle malte di
calce, per fluidificarle (cioè per migliorarne il potere bagnante).

2. Uso dei Tensioattivi per le Proprietà Detergenti.


In questo caso, invece, l'attività detergente è subordinata al raggiungimento della CMC.
In altre parole, occorre sapere quanto Tensioattivo si deve aggiungere ad una certa quantità di
acqua.
Per risolvere questo problema, è necessario conoscere due parametri del Tensioattivo: la sua
Concentrazione Micellare Critica (CMC) e il suo Peso Molecolare (PM).
Il primo valore può essere ricavato, dalla letteratura tecnica o dai cataloghi; il secondo è
comunemente riportato sui cataloghi, come per tutti i prodotti chimici.
Vogliamo esemplificare questo tipo di calcolo.

Problema. Preparare un litro di soluzione di Bile bovina che abbia proprietà detergenti.

Risoluzione. Non esistono valori CMC e PM della Bile;


sappiamo però che il suo componente principale è il Sodio Deossicolato.
Possiamo dunque fare questa lecita approssimazione, e considerare che anche la Bile, più in
generale, abbia i valori CMC e PM del suo componente principale. Dalle letterature tecnica
ricaviamo allora il valore 5mM (per ora sorvoliamo su questa strana unità di misura.)
Il secondo parametro, il PM, è 414.6, come da cataloghi.
Il nostro punto di partenza è proprio il valore CMC: 5mM. L'unità di misura mM, che si legge
milli Molare, è un sottomultiplo secondo mille dell'unità di misura M, o Molare, cioè:

5 (mM) = 5 / 1000 (M) = 0.005 (M)

Molare sta a significare moli/1 litro, quindi l'uguaglianza diventa:

= 0.005 (moli / 1 litro)

Le Moli sono una grandezza che viene usata in Chimica: per misurare una quantità, un peso
delle sostanze.
Senza precisare ulteriormente, a noi interessa mettere a fuoco questo: visto che le quantità
sono misurate praticamente in grammi (g), come possiamo effettuare la conversone tra i
grammi e queste "fantomatiche" moli?
Ci basta usare il fattore di conversione adatto, che è proprio il Peso Molecolare, PM.
Precisamente, per passare:

- dai grammi alle moli: bisogna dividere i grammi per il PM


- dalle moli ai grammi: moltiplicare le moli per il PM.

Nella nostra formula sopra troviamo espresse le moli, e quindi ci basta moltiplicare per il PM

0.005 (moli / 1 litro) x 414.6 (PM) = 2.1 (g / 1 litro)

e troviamo finalmente un'espressione più familiare.

In conclusione, ci basta pesare 2.1 grammi di Bile, e scioglierli in un litro di acqua: sappiamo
che la soluzione ottenuta è alla sua CMC, cioè si formano Micelle, e si ha azione detergente.
Se invece utilizziamo una concentrazione minore, diciamo dieci volte, cioè utilizziamo solo 200
mg per un litro di soluzione, sappiamo che la nostra soluzione avrà solo proprietà superficiali.
La prima soluzione sarà pertanto appropriata per una pulitura, la seconda come agente
bagnante (diluente per una tempera, etc.).
Questo procedimento può essere applicato, più in generale, per calcolare la quantità necessaria
di un generico Tensioattivo (Ionico e Non Ionico) per ottenere una soluzione detergente.
Cambieranno solo le due grandezze, la CMC e il PM, del Tensioattivo. Immaginiamo, come
secondo esempio, di voler preparare un litro di soluzione acquosa di Tween 20 con proprietà
detergenti. I dati per il Tween 20 sono: CMC 0.049 mM; PM: 1227.54. Effettuando i calcoli
come nell'esempio precedente, troviamo:

0.049 (mM) / 1000 = 0.000049 (M) = 0.000049 (moli / 1 litro)

0.000049 (moli / 1 litro) x 1227.54 (PM) = 0.060 (g / 1 litro)

Si trova così che sono necessari 0.060 g di Tensioattivo, cioè 0.060 x 1000 = 60 mg.
Si noti la grande differenza con l'esempio precedente: circa due grammi di Bile (Tensioattivo
Anionico, ad alta CMC) contro soli 60 milligrammi di Tween 20 (Tensioattivo Non Ionico, a
bassa CMC).
Poiché il Tween 20 é un liquido, può essere molto più semplice misurarlo in volume anziché in
peso, in particolare perché ne serve una quantità così piccola.
Per passare da peso a volume occorre la densità: dividendo il peso espresso in grammi per la
densità si ottengono i millilitri (ml).
La densità del Tween 20 (come da catalogo) é di 1.095 g/ml; la nostra uguaglianza diventa
dunque:

0.060 (g) / 1.095 (g/ml) = 0.05 (ml)

Come si vede, sono sufficienti 0.05 ml di Tween 20 in un litro di acqua per raggiungere la CMC,
e quindi cominciare ad avere effetto detergente. Questo rende conto di quanto abbiamo detto
prima, che in generale i Tensioattivi Non Ionici hanno bassa CMC, di solito nell'intervallo
10610`M (= Molare, Moli/litro), cioè 10 ' 10~' mM (milli Molare, milli Moli/litro): anche in
piccola quantità essi agiscono già come detergenti. Dal nostro punto di vista questo é da
considerarsi un vantaggio: essendo tutti questi prodotti non volatili, il fatto di usarne in piccola
quantità rappresenta una garanzia di non lasciare residui. Basta un semplice lavaggio acquoso
dopo il trattamento per eliminare queste piccole quantità.

Saliva. La Saliva artificiale é un Tensioattivo di grande importanza nelle puliture: replica


l'azione della Saliva naturale, senza condividerne i difetti (quale la possibilità di contaminazione
batterica del manufatto).
È una soluzione a bassissima concentrazione di E' solidi, quindi praticamente immune dal
rischio di lasciare residuo. E facilmente preparata sciogliendo 0.1 0.2 g di Mucina e 0.1 0.2 g di
Ammonio Citrato Tribasico in 100 ml di Acqua deionizzata. La soluzione é più attiva ad una
temperatura "fisiologica", intorno ai 37 °C, ma é labile: perde via via la sua attività fino ad
essere praticamente inservibile nel giro di 10 15 giorni. Anche la Mucina in forma solida é
termolabile, in quanto materiale proteico. Deve essere conservata in contenitore ben chiuso
refrigerata (cioè in frigorifero, a temperatura 2-6 °C).

Soluzioni di Cocco Collagene. Il prodotto disponibile nel mercato statunitense sotto il nome
Maypon 4C (sostitutivo del precedente Lexein 5620 descritto da Wolbers come Tensioattivo
molto efficace per puliture con soluzioni acquose gelificate) é un derivato di Cocco Collagene.
In quanto composto di proteine animali, mostra forte affinità per materiali proteici. Una
preparazione descritta a questo scopo ha la seguente composizione.
Si prepara una soluzione di 3 ml Trietanolammina in 100 ml acqua deionizzata, e la si porta a
pH 7.5 8.5 per aggiunta di piccole quantità di Acido Acetico diluito (controllando il pH con una
cartina indicatrice).
Si aggiungono 4 ml di Cocco Collagene e poi si gelifica con Metilcellulosa (2 3 g) o Klucel G
(3.5 4 g).
Quando il gel é omogeneo si aggiungono 2 4 ml di Alcool Benzilico, mescolando
vigorosamente.
Questa miscela si dimostra straordinariamente efficace nella rimozione di materiale proteico
come una Colla animale.
Un trattamento tipico sarebbe questo.
È molto frequente, nel nostro Paese, riscontrare che la vernice di un dipinto é contaminata da
Colla animale. Perché il quadro é stato foderato a Colla di pasta (e, in fase di stiratura, la Colla
fluidificata é penetrata attraverso i vari strati), o perché é stato consolidato con "Colletta", o,
infine, perché sono rimasti residui di una velinatura a Colla.
La presenza di questo materiale proteico complica la solubilizzazione della vernice che invece,
sé non contaminata, sarebbe magari ancora solubile in semplici Solventi Organici Neutri: la
Colla infatti non é solubile in questi solventi.
Eseguendo il Test di Feller su questa vernice si troverebbe un risultato variabile dal
discontinuo/disomogeneo al non efficace
Spesso purtroppo, in simili circostanze, ci si ostina a pensare che la pulitura debba avvenire in
un unico passaggio: per agire sulla vernice e sulla Colla si fa dunque ricorso a solventi resi
basici con alcali (molto frequentemente Alcool e Ammonio Idrossido), oppure a solventi molto
più aggressivi e tossici come i Dipolari Aprotici (tipicamente la Dime tilformammide), che
possono solubilizzare materiale proteico
Un approccio più soft a questo problema é invece quello di differenziare l'intervento: eliminare
in primo luogo il materiale proteico dov'è presente (non é detto, infatti, che sia distribuito
uniformemente su tutta la vernice), e poi affrontare la solubilizzazione della vernice.
Per eliminare il materiale proteico si possono utilizzare Enzimi, in particolare delle Proteasi ,
oppure, più semplicemente, la miscela di Cocco Collagene sopra descritta.
Fatto questo passaggio ci si preoccupa di solubilizzare la vernice vera e propria.
E non é infrequente riscontrare questo: riprovando il Test di Feller ora si troverà una risposta
positiva, e si potranno utilizzare semplicemente miscele di Solventi Neutri di appropriata
polarità (lo stesso valore fd determinato con il Test).

Tensioattivi Non Ionici. Sono anch'essi utilizzabili per operazioni di pulitura, con il grande
vantaggio che, essendo a bassa CMC, ne basta poco sciolto in acqua per avere già una
soluzione detergente. Particolarmente indicate sono ad esempio soluzioni di Tween 20 (2%
volume/volume) o Brij 35 (2% peso/volume). I loro valori HLB, rispettivamente 16.7 e 16.9,
assicurano ottimo potere detergente/emulsionante e buona idrosolubilità. Per un'azione ancora
più efficace e localizzata, le soluzioni, una volta preparate, possono essere addensate con
Metilcellulosa o Klucel, producendo dei gel.
Possono essere utilizzati per puliture superficiali (il generico "sporco" a carattere grasso), ma
non é esclusa l'azione su materie grasse più tenaci. Questo consiglia prudenza nell'uso su
pittura ad Olio recente (dove, peraltro, i Tensioattivi rappresentano comunque un'alternativa
più sicura all'uso dei solventi organici, in quanto sono in ambiente acquoso). Dopo
l'applicazione é consigliabile un leggero lavaggio acquoso.

3. Uso dei Tensioattivi per le Proprietà Emulsionanti.


Il terzo modo di utilizzo dei Tensioattivi é questo: miscelare tra loro liquidi altrimenti
immiscibili, come acqua e solventi apolari. Anche in questo caso l'azione é una conseguenza
della formazione di Micelle: si deve dunque essere sicuri di usarne una quantità almeno uguale
alla CMC. Per questo é conveniente utilizzare Tensioattivi Non Ionici, perché se ne può usare in
quantità minore.
Abbiamo visto che con opportuni Tensioattivi si possono preparare emulsioni magre (o olio in
acqua) o grasse (o acqua in olio). Per entrambe poi si può variare il volume di fase interna
(quella dispersa) a seconda delle proprietà che si vogliono dall'emulsione: a "bassa fase
interna", cioè a bassa concentrazione di fase dispersa, l'emulsione sarà fluida, sostanzialmente
con le caratteristiche della fase disperdente (un'emulsione di poco "Olio" in acqua avrà
sostanzialmente le caratteristiche di una fase acquosa), mentre a maggiore concentrazione si
potranno ottenere emulsioni sempre più viscose, fino ad arrivare a paste dense, che non
scorrono più.
Per emulsioni grasse, in generale, si devono utilizzare Tensioattivi con HLB 3 6, e per quelle
magre con HLB 8 15.
Se nella preparazione si utilizza forte agitazione meccanica é più semplice ottenere particelle di
piccole dimensioni, che contribuiscono alla viscosità e alla maggiore stabilità dell'emulsione.

3.1. Emulsioni Magre.


Quelle a "bassa fase interna" possono essere usate nella pulitura con questo scopo. Poco
solvente organico (immiscibile con acqua, come ad esempio Esteri o Idrocarburi) emulsionato
in acqua fornisce un'emulsione che ha sostanzialmente le proprietà applicative dell'acqua pura
(Viscosità, ecc.) ma potere solvente modificato.
In altre parole, aggiungiamo alla soluzione acquosa un po' di potere solvente di tipo lipofilo,
che può aiutare nella solubilizzazione di un certo tipo di materiale lipofilo. Quindi senza
cambiare sostanzialmente il mezzo, che resta un mezzo acquoso e si comporta a tutti gli effetti
principalmente come un mezzo acquoso (e, non trascurabile, con la atossicità di un mezzo
acquoso!), lo modifichiamo leggermente dandogli la capacità di agire su materiali altrimenti
insolubili
in mezzo acquoso.
La consistenza cremosa, in particolare, determina caratteristiche applicative completamente
diverse da quelle del solo mezzo acquoso.

Emulsione Cerosa Stearica. Un'emulsione con importanti scopi applicativi, composta di Cera
emulsionata in acqua con un Tensioattivo anionico, lo Stearato d'Ammonio (preparato a partire
da Acido Stearico e Ammoniaca), è la nota Emulsione Cerosa o Stearica (la "Pappina
Fiorentina"), messa a punto già diversi anni or sono nei laboratori dell'Opificio delle Pietre Dure
di Firenze [35]. A rigore si tratta di una "Dispersione", in quanto la fase interna, la Cera d'api,
non è liquida ma solida.
La sua preparazione è la seguente. Fondere 500 g di Cera d'api sbiancata e aggiungerla a 750
ml d'acqua, mantenuta su un bagnomaria bollente. A parte unire 12 ml di Ammoniaca al 30%
a 1.2 g di Acido Stearico, e aggiungere il miscuglio alla miscela di acqua e Cera tolta dal
bagnomaria. Miscelare il tutto con un frullatore elettrico, continuando a miscelare fino a
quando la massa è fredda. Conservare in barattolo ben chiuso.
Non è utilizzata coma agente di pulitura essa stessa, ma quale supportante di soluzioni
acquose e/o solventi organici per localizzare e circoscrivere l'azione, e per limitare la diffusione
sotto superficiale. Se preparata correttamente ha pH neutro. Può essere resa basica per
aggiunta di ulteriore Ammonio Idrossido o di altre sostanze alcaline, ma non può essere resa
acida (in quanto il Tensioattivo che agisce da emulsionante, lo Ammonio Stearato, è Anionico).

Microemulsioni. Un esempio applicativo di particolare importanza è una microemulsione che


è stata utilizzata per la rimozione di cera da dipinti murali (gli affreschi di Masaccio nella
Cappella Brancacci a Firenze) [36]. La microemulsione era costituita di Dodecano (Idrocarburo
saturo C 12) disperso in una fase acquosa contenente anche Pentanolo, con un Tensioattivo
anionico (il sapone Ammonio Dodecilsolfato) come emulsionante.

3.2. Emulsioni Grasse.


Sono particolarmente importanti per il fatto che contengono solo una piccola quantità di acqua
dispersa in un solvente lipofilo. Applicativamente, risultano molto efficaci per un certo tipo di
trattamento: tutte le volte che occorre solubilizzare un materiale idrosolubile depositato su una
superficie che però è sensibile all'acqua (come esempio tipico una doratura a foglia)
Quest'operazione "teoricamente impossibile" può spesso essere risolta con alcuni
"stratagemmi": il ricorso a soluzioni ad altissima
viscosità, che controllino la diffusione del mezzo acquoso sotto la superficie [9], oppure a
emulsioni grasse. In questo secondo modo, infatti, la piccola quantità di acqua presente
nell'emulsione è sufficiente a solubilizzare il materiale idrofilo, ma il supporto sensibile
all'acqua "vede" principalmente la fase disperdente, cioè un liquido apolare che non lo
disturba.
Se non si dispone di apparecchiatura adeguata, come certi tipi di emulsionatori, la
preparazione utilizzando solo Tensioattivi liposolubili, a basso HLB, può risultare molto
difficoltosa. É sempre più semplice utilizzare miscele in parti uguali di due Tensioattivi: uno
liposolubile (ad es. Span 85, HLB 1.8) ed uno idrosolubile (ad es. Tween 20, HLB 16:7): la
miscela dei due avrebbe HLB = (16.7 + 1.8) /2 = 18.5/2 = 9.25. Il valore è giusto per
un'emulsione grassa, e il fatto di averlo ottenuto con due Tensioattivi comporta questo
vantaggio: il primo (lipofilo) serve ad emulsionare il secondo (idrofilo), e a quest'ultimo spetta
il compito di emulsionare la piccola quantità di acqua nella fase disperdente.
Anche in questo caso possiamo realizzare emulsioni a "bassa fase interna",fluide, oppure ad
"alta fase interna",cremose e dense.
Nel primo caso, piccole quantità di acqua o di soluzioni acquose (ad es. Ammonio Idrossido
diluito, Acido Acetico diluito, ecc.) possono essere solubilizzate in solventi organici in cui
sarebbero altrimenti immiscibili (ad es. n Butilacetato, Etilacetato, Idrocarburi) per agire con
ambiente acido o alcalino e limitare l'apporto di acqua. Questo modo può essere utilizzato
anche per preparare miscele di Alcool Etilico con solventi idrocarburici (quali Essenza di
Trementina, White Spirits, e simili) che possono non essere stabili perché l'eventuale acqua
presente nell'Alcool (soprattutto quello con titolo basso, intono al 90%0) fa separare i due
liquidi.
Nel secondo caso, invece, un'emulsione particolarmente utile a scopo di pulitura è quella nota
semplicemente come "Emulsione Grassa" , che è stata adattata da una ricetta originariamente
pubblicata da Wolbers, e che descriviamo di seguito.

Saggio di pulitura del grande globo costrito nel 1745 da padre Pietro Maria da Vinchio per ornare le sale della biblioteca
Arcivescovile di Casale Monferrato.

La "Emulsione Grassa". E un'emulsione di poca acqua in Essenza di Petrolio, preparata con


Tensioattivi Non Ionici. Se non si aggiungono altri componenti risulta neutra, ma il suo pH può
anche essere modificato verso l'ambiente acido, con aggiunta di piccole quantità di Acido
Acetico, o verso quello alcalino, con piccole aggiunte della base Trietanolammina.
A caldo (su bagnomaria bollente) sciogliere 2 g Brij 35 in 10 ml di acqua distillata. Far
raffreddare e aggiungere 2 ml Tween 20. In piccole porzioni (poche gocce all'inizio, poi 5 ml
alla volta) aggiungere 90 ml di Idrocarburi leggeri (Essenza di Petrolio, White Spirits o
Benzina), agitando vigorosamente, dopo ogni aggiunta, fino ad emulsionamento. Questa é
l'emulsione neutra.
La preparazione di quella basica é identica, eccetto che dopo il Tween 20 si aggiungono anche
0.5 1.5 ml di Trietanolammina (TEA). La quantità é da decidere a seconda del caso specifico. Si
può ad esempio controllare il pH con una cartina indicatrice, e fermare l'aggiunta quando il pH
é compreso tra 8 e 9, che rappresenta comunque un intervallo "sicuro" di alcalinità.
Analogamente, per la preparazione di quella acida, al posto della TEA si aggiungono 0.5 2 ml di
Acido Acetico diluito (all'80%). Anche in questo caso é opportuno controllare il pH con una
cartina indicatrice, e dosare l'aggiunta di acido in modo che il pH sia compreso tra 5.5 e 5.
L'emulsionamento dell'Essenza di Petrolio può essere fatto manualmente, chiudendo
ermeticamente il barattolo dopo ogni aggiunta e agitando vigorosamente, ma può risultare un
po' tedioso. Si possono utilizzare miscelatori elettrici: visto l'uso in combinazione con solventi
altamente infiammabili, é però indispensabile utilizzare apparecchi alimentati a batteria (per il
minor rischio che si Figura 9 sviluppino scintille).
Nella figura 9 sono mostrati due tipi adatti: uno, il piú piccolo, facilmente acquistabile in negozi
di hobbystica e utilizzato per mescolare piccoli contenitori di vernici, l'altro venduto come
miscelatore per il cappuccino fatto in casa...
L'emulsione, dalla consistenza di una maionese, si applica a tampone di cotone o a pennello
morbido su Figura 10 una piccola zona della superficie da trattare, lavorandola fino al livello
desiderato. La rimozione viene poi effettuata con dei semplici lavaggi di
Essenza di Petrolio. La Figura 10 mostra un tipico utilizzo dell'Emulsione nella pulitura di una
doratura a foglia.
In pratica, si possono preparare cinque emulsioni: una senza Trietanolammina, tre con
Trietanolammina in quantità, rispettivamente di 0.5, 1, e 1.5, e una con Acido Acetico. La
prima dunque é praticamente neutra, le altre tre sono progressivamente più alcaline, l'ultima
acida. Anche la più alcalina delle tre, comunque, lo é in misura molto contenuta, arrivando al
massimo a pH 8 9. Nel trattamento, si partirà sempre dalla miscela neutra, passando poi alle
successive solo se ce n'è effettivamente bisogno. Molte volte, infatti, utilizzando queste miscele
su dorature a foglia, si e potuto verificare che il supporto (il bolo) può già essere sensibile alla
basicità della terza miscela ma tollerare la seconda, e così via.
Avere a disposizione queste emulsioni a diverso pH può rendere più selettivo l'intervento:
quelle basiche sono più efficaci su materiali oleosi, grassi, mentre quella acida su materiale
proteico (la Colla animale che frequentemente ritroviamo come patinatura sopra una foglia
metallica). Un altro esempio di migliore efficacia dell'emulsione acida é nel caso della rimozione
di Gesso. In particolare si sono ottenuti buoni risultati lavorando su dorature a foglia che erano
state "ri ammannite": effettuando in questo modo la rimozione dello strato di Gesso
sovrapposto non si sono provocate alterazioni alla foglia originaria sottostante.
La possibilità di lavare via queste miscele solo con Essenza di Petrolio é importante ai fini
applicativi: non c'è infatti altro apporto di acqua che potrebbe interagire sfavorevolmente col
supporto.
La preparazione di quest'Emulsione merita alcune considerazioni importanti. Si tratta di
emulsionare un liquido apolare, cioè "Olio", in acqua eppure vediamo che i due Tensioattivi
scelti sono decisamente di tipo idrosolubile, come indicato dai loro valori HLB: Brij 35, 16.9 e
Tween 20, HLB 16.7. Questo sembra contraddire quanto detto finora nella scelta dei
Tensioattivi in base alla loro solubilità. Invece non é così, e approfittiamo di quest'esempio per
spiegare un concetto importante, la cosiddetta "inversione" di proprietà di un'emulsione.
Quando iniziamo la preparazione, stiamo in realtà preparando un'emulsione magra: abbiamo
solo i 10 ml di acqua in cui sono disciolti i due tensioattivi idrosolubili (ad alto HLB) e
aggiungiamo poco alla volta il nostro "Olio", cioè l'Essenza di Petrolio. Stiamo, a tutti gli effetti,
preparando una... maionese; e, come noto, l'aggiunta di olio deve essere lenta, altrimenti la
maionese "impazzisce", cioè le due fasi, l'acqua contenuta nel tuorlo e l'olio, si smiscelano.
All'inizio quindi l'acqua é la fase disperdente e l'Essenza quella dispersa. Quando arriviamo a
10 ml di Essenza aggiunti, le due fasi sono presenti in quantità uguale. Da qui in avanti si ha
l'inversione: l'acqua diventa la fase dispersa e l'Essenza quella disperdente.
Le emulsioni effettivamente offrono questa possibilità: che il volume di fase interna ecceda
quello di fase esterna (e che quindi, di fatto, le due fasi si invertano). Alla fine siamo arrivati
ad un volume di 10 ml Acqua e 90 ml Essenza di Petrolio: la fase interna rappresenta così il
90% del volume totale (ma si può arrivare a preparare emulsioni in cui la fase interna arriva
fino al 99%). Se non si dispone di miscelatori adatti, questo modo di preparare un'emulsione
grasssa é molto più semplice che non utilizzare Tensioattivi liposolubili.

il consolidamento nel restauro del legno

Fasi di lavorazione:
Il consolidamento del legno

Il consolidamento è quell'intervento che tende a riconferire una normale coesione


a un materiale che a seguito di processi di degrado ha subito una compromissione
della microstruttura.

Tale intervento prevede l'impregnazione delle porosità "anomale" della struttura


con un consolidante allo stato liquido che per reazione o evaporazione del solvente
ristabilisca la coesione.

Concretamente, il trattamento di consolidamento si rende necessario quando la


materia di un mobile è indebolita al punto da mettere in pericolo il suo equilibrio
strutturale.

Per esempio, sarà corretto consolidare una gamba tarlata, al fine di dare
continuità alla sua funzione di sostegno. Questo trattamento deve essere inoltre
effettuato quando c'è pericolo di perdita di materia.

Costituisce uno dei primi passi di qualsiasi intervento, quando si prevede che
l'opera indebolita possa subire ulteriori danni nel corso dell'intervento di restauro.

Esistono diversi metodi e sostanze per consolidare il legno fragile di un mobile. In


passato le sostanze usate erano di origine naturale, come la colla animale, la cera
d'api o le resine naturali. Oggi, senza escludere tali materiali, disponiamo di una
gamma molto ampia di consolidanti sintetici, che in linea di principio, in molti casi,
hanno maggior efficacia rispetto a quelli naturali.

Tuttavia non è consigliabile il loro uso indiscriminato, poiché, essendo prodotti di


recente fabbricazione, non è trascorso un periodo di tempo sufficiente a
permetterci di verificare il loro comportamento.

Questo tipo di sostanze moderne pongono seri dubbi sia in relazione alla loro
reversibilità che alla loro stabilità. Così come occorre tenere presente che si
introduce nel legno una sostanza estranea, la cui reazione è imprevedibile.

È bene dunque non lasciarsi trasportare dai risultati spettacolari dei consolidanti
sintetici, e limitarne l'uso ai casi in cui non esistano altre alternative possibili.

I consolidanti sono sostanze che si applicano allo stato liquido per spennellatura,
iniezione, goccia a goccia o immersione, e che si solidificano all'interno del legno
conferendogli una certa consistenza.

A seconda del tipo di consolidante utilizzato, la solidificazione si può produrre per


evaporazione del solvente contenuto nel consolidante (come nel caso della colletta
o di alcune resine sintetiche) o per reazione delle due sostanze di cui è composto il
consolidante (come nel caso delle resine epossidiche o del poliestere).

L'efficacia del trattamento è maggiore quando avviene per iniezione, goccia a


goccia o immersione, in quanto, in questi casi, la penetrazione della sostanza nel
legno è più intensa, mentre quando si applica per impregnazione il consolidante
tende a rimanere in superficie. Tuttavia, il metodo dell'immersione presenta
l'inconveniente di sporcare la superficie e inoltre può essere applicato solo ad
oggetti di dimensioni ridotte.

D'altra parte, nei casi estremi, quando il legno ha raggiunto uno stato friabile,
nessuno di questi trattamenti risulterà sufficiente a rafforzarlo.

In queste circostanze, in via del tutto eccezionale, si può procedere alla


sostituzione delle parti indebolite con nuovi pezzi, realizzati però con un legno più
morbido rispetto a quello originale.

Infine, quando il legno è in condizioni di eccessiva fragilità, non si deve


commettere l'errore, oggi molto comune, di procedere alla stuccatura senza prima
effettuare un trattamento di consolidamento. Questo perché, con la stuccatura,
non solo non si pone rimedio alla patologia della materia, ma si contribuisce anche
a debilitarla ancora di più, giacché lo stucco, essendo più rigido rispetto alla zona
indebolita, tende a tirare il legno provocando rotture e sollevamenti.

I consolidanti, in senso stretto e appropriato, sono dunque sostanze atte a


ristabilire, generalmente per impregnazione, un grado sufficiente di coesione in
materiali che a causa del degrado sono venuti progressivamente a perdere quella
condizione di aggregazione che originariamente li caratterizzava.

A un consolidante è richiesta inizialmente una forma fluida a bassa viscosità che


consenta per capillarità una diffusione omogenea all'intorno del materiale decoeso.

Una volta avvenuta, l'impregnazione deve seguire un processo di presa grazie al


quale torna a ristabilirsi un grado di coesione sufficiente a garantire la permanenza
dello stato fisico, compatibilmente con le forze in gioco nel sistema.

Diciamo subito che per coesione, almeno nel dominio più ristretto dei problemi di
conservazione, si intende l'insieme di forze attrattive che si esercitano tra gli
elementi microstrutturali costitutivi di un materiale.

La prevalenza dei materiali artistici non ha una struttura omogenea: in primo


luogo perché spesso essi sono costituiti da miscele artificiali di differenti sostanze;
si pensi ad esempio a un film pittorico (mescolanza semisolida di pigmenti e
leganti), a una preparazione (una sorta di stucco composto da una carica e un
disperdente) e così via. In secondo luogo l'eterogeneità può essere intrinseca al
materiale stesso come ad esempio nel caso del legno di una tavola, materiale per
propria natura eterogeneo in quanto composto di fibre distinte in connessione tra
loro.

In altri contesti, materiali porosi quali ad esempio le malte d'intonaco, già


eterogenee in quanto mescolanze di calce e aggregato, lo sono anche
intrinsecamente a causa della microporosità che in pratica determina una struttura
discontinua assimilabile ad un insieme di elementi saldati tra loro e separati dai
vuoti dei pori.

Come si vede le situazioni, a livello di struttura fine dei materiali, sono veramente
innumerevoli nelle diverse tipologie di discontinuità e disomogeneità sotto cui essi
possono presentarsi.

Una condizione è comune tuttavia a tutti. Un insieme di forze, differenti da


contesto a contesto, tiene uniti tra loro stabilmente, se pure nell'ambito di una
vasta gamma di valori, i microelementi costitutivi di un materiale e ne assicura la
funzionalità in un determinato contesto.

Le forze coesive possono, per cause differenti, indebolirsi o addirittura annullarsi


localmente determinando una graduale formazione di fratture di entità variabile:
da quelle microscopiche e submicroscopiche, a quelle pur sempre piccolissime ma
rilevabili a occhio, a quelle macroscopiche con distacchi o separazioni ben evidenti
nella struttura.

In relazione alla coesione originaria i diversi materiali possono essere classificati in


duri, pastosi, morbidi ecc. Esistono anche delle scale di quantificazione della
durezza che permettono, per confronto, di assegnare un valore a un determinato
materiale.

Teniamo presente tuttavia che il concetto di coesione, di "tenacia", se vogliamo


usare una terminologia più comune, è generalmente assai complesso implicando
non solo la durezza ma ad esempio anche l'elasticità di un materiale.

Quest'ultima è soprattutto legata alla deformabilità della sua microstruttura.


Sottoposti ad un'azione meccanica tendente ad alterarne la forma i materiali
elastici possono subire la modifica in maniera reversibile senza che si verifichi
contemporaneamente perdita di coesione.

Così ad esempio la deformazione di un elastomero porta ad uno stiramento delle


sue lunghe e aggrovigliate catene macromolecolari senza che vengano a diminuire
sensibilmente le forze attrattive tra di esse.

AI contrario la deformazione di un pezzo di vetro, che è costituito da una struttura


di tipo rigido, non alterabile, superata una determinata soglia produce
direttamente la frantumazione del pezzo. Si dice che il materiale è duro ma fragile.

In questo caso le unità microstrutturali del vetro non sono deformabili. Ogni
sollecitazione si ripercuote direttamente sulle forze attrattive tra esse, collassando
l'unità strutturale e determinando la rottura del pezzo.

Eppure il vetro sembra, ed è, un materiale molto più duro e coeso della gomma.
Dipende quindi da che cosa esattamente si considera e si misura come parametro
fisico indicativo di quella che genericamente definiamola "tenacia" di un materiale.

Ecco quindi che la scelta di un prodotto consolidante, atto cioè a ristabilire una
coesione iniziale compromessa, deve tenere conto di un insieme di proprietà
meccaniche che il pezzo da trattare possedeva all'origine e che attraverso
l'intervento di consolidamento si tenta di ricondurre a condizioni di durabilità e
affidabilità.

Abbiamo detto che la perdita di coesione può avvenire per differenti cause. Da una
parte queste sono riconducibili agli effetti cumulativi dei processi di deformazione
meccanica innescati da variazioni termiche ed igrometriche succedutesi nel tempo;
dall'altra sono la conseguenza di un insieme di fenomeni chimici o anche biologici
con ripercussioni di tipo chimico e fisico che hanno modificato la natura di alcune
sostanze cementanti o leganti alle quali era dovuta la coesione originaria.

la Doratura
Generalità

Esistono diversi metodi di doratura. La doratura a foglia è il procedimento che


riguarda la doratura del legno; è di questo metodo che parleremo diffusamente.

La tecnica della doratura non è semplice: non credo sia possibile, ad un profano,
applicare tale tecnica solo con la lettura di queste pagine né di un altro manuale
anche se più completo ed esauriente. Solo l'esperienza a fianco di un buon
artigiano può permettere di raggiungere risultati accettabili.

Questa tecnica, pur difficile per la delicatezza del procedimento, è estremamente


affascinante. Richiede diverse fasi e possono passare giorni prima di vedere il
lavoro ultimato, ma il risultato premia sicuramente la pazienza di chi si cimenta in
quest'arte le cui origini si perdono nei secoli.

Il procedimento è rimasto uguale a se stesso fin dai tempi più remoti. L'unico
intervento della moderna tecnologia, riguarda la laminatura dell'oro, non più
eseguita a mano dai "battiloro", ma ottenuta industrialmente.

Laboratorio di Doratura

I seguenti materiali e strumenti necessari, sono reperibili in un fornito colorificio o


negozio di Belle Arti.

Materiali Occorrenti:
• gesso di Bologna
• colla lapin (detta colla di coniglio)
• colla di pesce in lastre
• bolo armeno
• oro zecchino in fogli

Strumenti necessari:
• cuscinetto da doratore
• coltello da doratore
• pennello da doratore
• brunitoio
• pentolino per bagnomaria
• pennelli vari
• carta vetrata a grana fine (120, 180, 240)

Metodi di doratura

Di seguito vengono descritti i vari metodi di Doratura:


• Doratura a foglia (o a guazzo): si tratta di applicare la foglia d'oro sulla
superficie opportunamente trattata.
• Doratura a spolvero: è tecnicamente identica alla doratura a foglia, ma
anziché utilizzare la fogli dell'oro utilizza la polvere .
• Doratura galvanica: è usata quasi esclusivamente per dorare metalli. Si
tratta di un procedimento elettrochimico, grazie al quale il metallo, ben
pulito e sgrassato, si ricopre d'oro; il tutto avviene in bagno chimico, il
cosiddetto bagno galvanico.
• Doratura a fuoco od amalgama, o doratura al mercurio: è impiegata
quasi esclusivamente sui metalli. Si tratta di sciogliere l'oro a caldo nel
mercurio e ricoprire l'oggetto, bagnato di acido nitrico, con l'amalgama
ottenuta. L'oggetto così trattato va poi posto in forno ad alta temperatura:
in questo modo il mercurio se ne va per distillazione, mentre l'oro rimane
come residuo. Il procedimento è assai dannoso per la salute a causa della
tossicità delle esalazioni di mercurio ed oggi è quasi in disuso; fu invece in
voga nel XVII secolo per dorare i bronzi che decoravano gli arredi Luigi XV
e Luigi XVI ed impero.

la Stuccatura
La stuccatura è il primo passo nel procedimento di restauro delle finiture di un
mobile. La stuccatura, permette di porre rimedio alle piccole imperfezioni
superficiali, quali i fori di tarli e chiodi e piccole crepe. Lo stucco non può essere
usato in sostituzione del legno: se si dovesse provare a chiudere una grossa crepa
con lo stucco, prima o poi questo salterebbe via e questo tipo di intervento
risulterebbe del tutto inutile. Le integrazioni vanno quindi fatte solo con legno della
stessa essenza della parte da riparare, lasciando allo stucco la sola funzione
descritta. Caso particolare è lo stucco a gommalacca che si presta a piccole
reintegrazioni lignee.
Esistono diversi tipi di stucchi che possono trovarsi in commercio già pronti per
l'uso o che possono essere preparati in proprio. Qui esaminerò quelli più
diffusamente usati nell'attività di restauro:

• Stucco a cera
• Stucco alla gommalacca
• Stucco classico (con pangesso e terre colorate)

Approfondimenti: I Materiali usati nel restauro del Mobile


Gli stucchi della 2a generazione
dal Forum

Stucco in mobile lombardo Luigi XVI

Ho in corso di restauro una comoda neoclassica Lombarda di fine 700 (per


intenderci, anche se la definizione non mi piace, alla Maggiolini). I montanti, a
piramide rovesciata, hanno sulla faccia esteriore, le solite candelabre in bosso,
comprese entro rettangoli filettati in bosso. Tra le candelabre ed il bordo del
rettangolo, si trova un materiale di finitura che non è legno, ma una forma di
stucco (non la classica pastiglia). Analizzando il materiale mi pare di comprendere
che si tratti di uno stucco realizzato con colla da falegname e polvere di cuoio,
mista ad un colorante rancio vivo che si avvicina al "sangue di drago". Mi interessa
sapere se qualcuno ha mai avuto per le mani una ricetta per la formulazione
corretta di questo tipo di stucco.

Grazie e saluti a tutti. Pino. Pino giovedì 2 maggio 2002 - 17.51.54

Risponde Milo
Quello di cui parli ha il nome di "fondo stucco".
Il componente principale è la colla da falegname che deve avere una consistenza
ne troppo rigida ne troppo diluita. per quanto riguarda le polveri inerti
amalgamate, ve ne sono molte usate, dal cuoio al carbone antracite, alla polvere
di essenze diverse...
In quasi tutte le amalgame è presente il sangue di drago come additivo, ma mai le
terre che conferiscono un pessimo effetto estetico.
Quello che so è che di ricette ne esistono diverse, e che non sono una prerogativa
del Maggiolini ma che lui e la sua scuola ne hanno fatto largo uso.
Per un' eventuale ricerca( assai ardua ) direi che la fonte piu probabile siano i testi
della Hoepli....
Ciao Milo.

le colle usate nel Restauro

Oggi, grazie alla chimica, si hanno a disposizione colle sintetiche con alto potere
adesivo e facilità d'uso.
Ma quando si parla di restauro, le caratteristiche richieste ad una colla sono ben
diverse:

• innanzi tutto deve possedere una buona elasticità per potersi adattare ai
ritiri del legno che cambiano a seconda dell'essenza, della sua percentuale
di umidità residua, del tipo di taglio e dei fattori climatici esterni.
• altra caratteristica di una buona colla da restauro deve essere la
reversibilità, ovvero la possibilità di scollare facilmente le parti
precedentemente unite al fine di permettere in futuro nuovi interventi di
restauro.
Le colle sintetiche sono quindi sconsigliabili in applicazioni di restauro dato il loro
carattere definitivo.
Pertanto l'uso di colle organiche che uniscono caratteristiche di buona capacità
adesiva a quelle di elasticità e reversibilità, è quindi da preferire.
Inoltre tale scelta è dettata anche dai fondamentali Principi di Restauro che
devono essere sempre tenuti presente nel momento in cui ci si avvicina con
criterio e coscienza al restauro.

Fra le colle di origine naturale usate nel restauro sono:


• Colla da falegname o Colla Garavella
• Colla Caseina
• Colla di Pesce (usata nella tecnica della doratura)
• Colla di Coniglio (usata nella tecnica della doratura)

Regole generali per un buon incollaggio

Superfici Pulite: Tutte le parti da unire devono essere pulite, asciutte e


prive di grasso. Ciò è essenziale per ottenere una buona tenuta . Inoltre
non devono essere presenti residui della vecchia colla, unica eccezione è il
caso di colla animale dove, anche se comunque è consigliabile togliere i
residui di colla vecchia, questa col calore della nuova, si amalgama
nuovamente.Metodo d applicazione: premesso che vanno seguite le
istruzioni presenti sulla confezione, generalmente si può dire che le
superfici da unire devono essere entrambe coperte di colla, ma meno ne
avanza a unione ultimata meglio è. Un buon fissaggio dipende dallo stretto
contatto delle superfici, non dalla quantità di colla. Ogni volta sarà possibile
è meglio usare morsetti e fermi al fine di fare uscire la colla in eccesso e
per mantenere una pressione costante fino a completo indurimento della
colla. Se il laboratorio è ben riscaldato, la maggior parte delle colle
asciugherà più velocemente. Conviene che le superfici da incollare non
siano ben levigate ma ruvide, infatti viene usata un ferradenti (pialla con
un particolare ferro) per rendere più ruvida la superficie da incollare.

La Colla Garavella
La Colla Garavella è comunemente nota anche come colla forte, colla gelatina o
colla animale, è tradizionalmente la colla da falegname e le sue origini si perdono
nei secoli, quando gli antichi artigiani iniziarono l'uso di adesivi nella unione di
giunti e lastronature in aggiunta al semplice uso di chiodi o incastri.
Questa colla fu praticamente l'unica usata fino agli anni 30 quando entrarono in
uso le colle sintetiche o viniliche.
Essa consiste in una gelatina , ottenuta facendo bollire i cascami di animali, pelle,
ossa, unghie e una volta asciutta, viene commercializzata nei negozi di Belle Arti
normalmente in perle color ambra ma anche in polvere o tavolette viene usata
oltre naturalmente per l'incollaggio anche per la preparazione degli stucchi a base
di terre colorate.
L'uso di questa colla non è semplice in quanto occorre attenersi a rigide regole di
preparazione e uso per poter ottenere il meglio, ed è forse per questo che sono
state sostituite con le colle moderne che sicuramente sono di più pratica
utilizzazione.
Poiché noi noi non ci accostiamo alla costruzione di nuovi mobili ma al restauro di
quelli costruiti almeno un centinaio di anni fa , o quasi, siamo "tenuti" a usare
materiali e tecniche di costruzioni adottate originalmente.

Comunque, a parte le difficoltà iniziali che saranno superate con la pratica, questa
colla ha le caratteristiche ideali di elasticità e reversibilità che ne fanno la colla
principe del nostro lavoro.

Preparazione della Colla Garavella

Per la preparazione della colla occorre munirsi di un pentolino da bagnomaria o


comunque di due recipienti utili allo scopo (esistono in commercio anche degli
appositi pentolini in ghisa).
Si dovrà preparare la colla nella quantità necessaria di volta in volta che se ne ha
bisogno in quanto, non è possibile riutilizzare efficacemente la colla riscaldata più
volte. Questa ultima affermazione è soprattutto per i puristi, in quanto
normalmente la colla da falegname viene riscaldata più volte.
Si versa nel pentolino la quantità di colla (in perle) necessaria e la si ricopre di
acqua fredda o tiepida lasciandola riposare per un paio di ore. Al termine le perle
avranno assorbito tutta l'acqua, le vedremo pertanto rigonfie e ammorbidite.
A questo punto si passa alla fase di cottura o riscaldamento mettendo il pentolino
del bagnomaria sul fuoco avendo molta cura di non portare ad ebollizione la colla
che altrimenti perderebbe gran parte del suo potere coesivo.
La temperatura ideale sarebbe di 50-55 °C. Ci si accorge se la colla inizia a
bollire perchè in superficie si forma una sorta di schiuma biancastra.
La fase di cottura dura circa 20-30 minuti durante i quali è bene mescolare il
prodotto con un bastoncino. Con il calore la colla si scioglie completamente
diventando della densità del miele .
La densità della colla è molto importante: non deve essere né troppo liquida
( sgocciolante dal pennello -vedi a- ) né troppo densa (cadente a grumi dal
pennello -vedi b-). Deve scorrere dal pennello in modo uniforme come mostrato
in figura - c-.
Come si è detto il riscaldamento della colla va fatto con un recipiente a
bagnomaria, e per evitare un eccessivo riscaldamento, è meglio interporre tra il
recipiente interno e il fondo di quello esterno un pezzetto di legno, e mantenere il
livello della colla sempre superiore a quello dell'acqua.

Preparazione della colla:


1 - colla
2 - acqua
3 - fornello

Densità della colla


a- colla troppo liquida
b - colla troppo densa
c- colla alla giusta densità

I consigli di Enzo Careri restauratore in Lamezia Terme.


Come rendere la colla da falegname più duratura?
Basta aggiungere un pizzico della cosiddetta pietra emostatica,quella da barbiere
opportunamente polverizzata (pietra usata per bloccare le emorragie dovute a
piccoli tagli). Essendo un buon minerale avrà anche funzione di antitarlo
specialmente se accompagnata da un goccio di aceto di vino bianco (o di miele di
castagno).

Uso della Colla Garavella

Iniziamo con elencare le regole principali per l'uso della colla:


• La colla va usata ben calda, in giusta densità.
• Deve essere applicata a pennello su entrambe le superfici da unire.
• Le parti devono essere messe in pressione con morsetti, molle o pesi fino
alla completa essiccazione della colla.
• vanno eliminate subito le eventuali sbavature o eccessi di colla (con una
spugnetta bagnata con acqua calda e ben strizzata), in quanto una volta
asciutta, si cristallizza e l'asportazione diventa difficoltosa.

Quando le parti vengono unite, la colla precedentemente spalmata, dovrà essere


ancora tiepida, pertanto può risultare utile, soprattutto d'inverno, riscaldare prima
le parti da unire.

L'operazione d' incollatura deve essere eseguita velocemente pertanto tutta


l'attrezzatura necessaria per mettere in pressione i pezzi dovrà essere pronta e a
portata di mano. Nel caso di assemblaggi complessi, potrebbe risultare utile
eseguire una prova a secco per verificare la sequenza delle varie azioni
predisponendo morsetti, molle, spessori e tutto quanto può risultare utile per un
tempestivo impiego.

La prima fase di indurimento della colla animale è di qualche minuto: l'adesivo si


presta quindi bene per tutte quelle operazioni che necessitano di un certo tempo
per la "messa in opera". La colla, data la sua elevata elasticità a caldo, è idonea
anche per fissare ampie superfici di impiallacciatura senza dover ricorrere a
complicati sistemi di pressatura.
Per tenere in posizione il pezzo finché la colla non ha fatto presa si utilizzano i
morsetti a G o i morsetti a traversa mobile, se il pezzo è di piccole dimensioni
sono sufficienti strisce di carta adesiva da carrozziere ben tesa, se sono parti di
impiallacciatura non accessibili da morsetti si usano adeguate tavolette di
compensato da inchiodare sopra con interposto un pezzo di carta di giornale per
evitare che la tavoletta di compensato si incolli anch'essa sul piano . I morsetti
vanno sempre utilizzati interponendo dei pezzi di legno morbido tra le ganasce e le
parti da incollare, per evitare che resti il segno dell' ammaccatura. È bene evitare
l'uso di colle viniliche, poiché non sono removibili.
Per un completo indurimento della colla occorrono almeno 24 ore, durante le quali
le parti dovranno rimanere morsettate.

La Colla Caesina

La Colla Caseina ha origini antiche, oggi raramente viene usata nel restauro. Era
assai in uso nel XV secolo ed il suo componente principale era il formaggio
pecorino come attestano alcuni documenti.
La colla di caseina è a base proteica ed è indicata per incollare superfici non ben
levigate. L'aggiunta di alcali come soda caustica, ne aumenta il potere collante.
Questo tipo di colla può essere a base di caseina lattica o a base di caglio;
quest'ultima ha un minore potere adesivo
In generale, i principali costituenti di una buona colla sono i seguenti: caseina,
calce purissima in polvere , borace oppure carbonato di sodio, soda caustica. La
durata della colla diminuisce proporzionalmente con la maggior quantità di calce
impiegata e con la maggior concentrazione; anche la temperatura ambientale
influisce sulla conservabilità della colla che aumenta in inverno.

Preparazione della Colla Caseina


Si presenta sotto forma di polvere paglierina o biancastra a grana fine, si trova in
commercio già dosata.
Si prepara sciogliendola in acqua tiepida o fredda (le proporzioni sono di circa 1
kg. di prodotto ogni 2-3 litri d'acqua) : è poco pratica da usare poiché va lasciata
"riposare" per 15 minuti circa dopo aver mescolato la soluzione per circa 15-20
minuti. Va poi adoperata nel giro di qualche ora (5-6 ore) poi non è più
utilizzabile; si utilizza sia a freddo che a caldo. Il tempo di presa oscilla fra le 5-8
ore in estate e 24 ore in inverno.

Uso della Colla Caseina


Usata a freddo e mescolata all'acqua è estremamente tenace e più resistente
anche della colla da falegname.

Caratteristiche
Costa poco, ed è resistente all'acqua; è elastica e di buona resistenza meccanica.
Può macchiare alcuni legni (soprattutto quelli duri) a causa degli alcali in essa
contenuti ed, essendo molto acquosa, può gonfiare il legno. Usando le dovute
precauzioni per evitare macchie superficiali, viene usata raramente anche nel
restauro.

Le Colle Chimiche
Pur non facendo parte delle colle usate nel restauro di mobili importanti,
precedenti alla fine dell'Ottocento, penso che nel laboratorio di ogni restauratore
non manchi questo tipo di colla, Vinavil, che fu commercializzato intorno agli anni
Trenta. La facilità di uso e la disponibilità immediata (non necessita di alcuna
preparazione) sono due motivi sufficienti a convincere molti al suo uso. Anche
questa colla, come la colla Garavella, può essere usata per la preparazione degli
stucchi a base di terre colorate. Consiglio di usare questa colla nel restauro di quei
mobili per i quali già in origine fu usata. Pertanto per i soli mobili successivi agli
anni 20-30 del Novecento.

Uno dei tipi più utilizzati e l'acetato di polivinilico (PVA) è a base di resina e va
usata fredda. E' estremamente tenace, ed il liquido bianco e denso può essere
usato direttamente dal contenitore.

Non è reversibile, pertanto, una volta fatta presa, se si ha la necessità di separare


i pezzi precedentemente incollati sarà impossibile farlo se non rovinando il legno
stesso. (vedi selezione dal Forum)

Approfondimenti: I Materiali usati nel restauro del Mobile

Selezionato per voi dal Forum

Quale colla?
Quesito? E' proprio necessario usare la colla in perle(garavella) ho si può utilizzare
un buon vinavil per legno molto più pratico e veloce, perchè ho l'impressione che
molti restauratori non raccontano la verità, in quale situazione si usa la prima o la
seconda ipotesi? La colla garavella e veramente affidabile come forza di
incollaggio,le malizie per usarla bene quali sono?Ci sono delle colle alternative
moderne piu' pratiche che rispettano la coscienza di restauro?grazie.
Giovanni

Risponde Pino
Condivido alcune tue affermazioni: ci sono restauratori che non vanno tanto per il
sottile e usano vinavil in molte occasioni. Questo dipende dalla maggior comodità
ma anche da un atteggiamento culturalmente discutibile verso il restauro. Ci sono
anche colle moderne che garantiscono reversibilità e sono di pari o di maggiore
efficacia (non so dirti i tipi perché ne ho letto da qualche parte e le ho dimenticate
avendo scelto di non usarle mai, se possibile). Il problema di fondo è rendersi
conto che il pezzo su cui si sta lavorando è destinato a durare nel tempo e vale in
quanto espressione di un determinato ambito culturale in un certo momento
storico, di cui sintetizza conoscenze tecniche, stilistiche, gusto e funzione. Questo
valore deve essere preservato anche mediante il culto della fedeltà alle pratiche
tecniche che hanno orignato il mobile, ogni qual volta si tratti di impiegare un
materiale o una sostanza destinato a permanere nel mobile. Ciò non vuol dire
rendere meno efficace il restauro privandosi di prodotti moderni validissimi (si
pensi alle resine acriliche ecc...) Occorre però trovare una soluzione di
compromesso introducendo le nuove tecniche quando effettivamente risolvono un
problema prima irresolubile. A questo punto perché modificare una colla che per
centinaia di anni ha garantito la funzionalità del pezzo e che è parte della
procedura tenica che lo ha generato? Soprattutto perchè sostituirla con il vinavil di
cui è nota l'irreversibilità. Tra cent'anni qualche disgraziato potrebbe trovarsi a
fare i conti con il nostro incollaggio a vinavil nella necessità di restaurare
nuovamente il nostro pezzo e almeno nella tomba sarebbe meglio essere lasciati in
pace!!!!!!
A parte gli scherzi il restauro deve essere condotto in modo da poter in qualsiasi
momento tornare al momento iniziale del lavoro cioè alla fase precedente al
restauro che ci accingiamo a fare, senza particolari danni al pezzo. Quanto alle
modalità di impiego della colla caravella non ci sono segreti particolari, si tratta di
fare pratica soprattutto nella sua diluizione. Deve essere ben calda ma non deve
superare i 60 gradi per evitare deterioramenti e perdite di capacità adesiva. E'
bene aggiungere un conservante apposito per colle per garantire una maggior
durata alla colla e ritardarne il processo di deterioramento con il tempo. Il pezzo
da incollare non deve essere liscio (nelle lastronature usavano un attrezzo detto
ferradenti per creare una superficie con tante piccole righettature che favoriscono
l'incollaggio. Occorre sempre pressare i pezzi con colla ancora calda o rigenerata
mediante ferro da stiro o lastra metallica calda, Nelle giunture bisogna studiare
prima il serraggio e fare le prove per essere veloci quando si sarà applicata la
colla...
Altro non so dirti. Ciao. Pino. domenica 14 aprile 2002 - 22.03.10

Risponde Milo
L' utilizzo di prodotti e materiali nel rispetto dei principi del restauro è un aspetto
molto delicato, che si ramifica profondamente nell' etica e nella cultura personale.
Vi sono parecchi studi e molte teorie sulla filosofia del restauro ( cito:" teorie del
restauro " di Cesare Brandi e "restauro " di Alessandro Conti. in essi i principi di
restauro vengono trattati quasi a livello metafisico).
Rimane comunque il fatto che la scelta dei materiali deve essere operata con
consapevolezza, in base alla propria etica di rispetto dell' opera su cui si lavora.
Per quanto riguarda i prodotti incollanti e le metodologie di applicazione trovi
ampie spiegazioni nei cataloghi di ditte specializzate e nei manuali di restauro in
commercio.
buon lavoro...Milo lunedì 15 aprile 2002 - 10.57.08

Separazione di una unione con spinatura e Vinavil

Domanda: Marco
Ciao a tutti,chi mi può suggerire il metodo per separare una unione eseguita con
spinatura e incollata con Vinavil ??
In tale unione uno dei 2 pezzi è incollato di costa mentre l'altro è incollato di testa.
La struttura completa è assimilabile ad una cornice.
Grazie in anticipo a tutti quelli che parteciperanno

Risponde: Franco

Se non riesci a trovare un solvente per la vinavil (io non li ho mai visti) e non ti
interessa mantenere la spinatura originale prova a tagliare le spine usando un
seghetto a lama libera molto fine. Con un po' di pazienza e fortuna dovresti
riuscirci. L'intervento è un po' distruttivo ma, a mali estremi ... Auguri .

Risponde: Milo
Un solvente specifico in grado di staccare un' unione con vinavil non esiste, ma il
polivinilacetato non ha alcuna resistenza all' umidità, puoi quindi sfruttare questo
fattore facendo penetrare una mista di acqua e alcool ( che aggredisce
maggiormente i legami coesivi ) nell' incastro, utilizzando magari una siringa;
ripetendo l' operazione più volte riuscirai ad allentare la tenuta della colla.
Per quanto riguarda la spina puoi eliminarla con una punta di trapano: inizia a
praticare un foro piccolo nel centro di essa allargando il diametro della punta fino a
quello della spina, così non rischierai di decentrare il foro; potrai poi rifissare il tuo
incastro con una spina nuova a lavorazione ultimata ( questo è forse il sistema
meno distruttivo)....
ps: se il vinavil in questione dovesse essere un PVA alifatico incontrerai maggiori
resistenze nell' ammorbidirne i legami.....spero di esserti stato utile... fammi
sapere...

Replica di Marco
Grazie del suggerimento. Ho tentato di "immaginare" sul come inserire l'ago della
siringa nella unione, ma non ci sono riuscito.
Pertanto ho separato l'unione utilizzando una sega x cornici che ho fatto scorrere
sul bordo di una "spalla", quest'ultima fissata alle 2 estremità. Sono riuscito ad
ottenere un taglio perpendicolare e la quantità di legno "mangiato" non è stata
molta.
Per quanto riguardo la rimozione delle spine, non sono passato attraverso forature
successive in quanto ho valutato che se il primo foro fosse non centrato i fori
successivi sarebbero stati a loro volta fuori asse. Pertanto ho praticato un unico
foro e tutto sommato sono stato fortunato nel ricentrare i fori esistenti.
ciao e comunque grazie ancora per i suggerimenti che utilizzerò senz'altro alla
prima occasione.

lucidatura a Cera a Pori Chiusi

Differenti trattamenti con la cera :

La finitura ad encausto a poro chiuso si può attuare in vari modi , alcuni sono
molto complicati ed a mio parere l’effetto finale non è così sorprendente come ci si
aspetterebbe dopo un lungo e faticoso lavoro . Quindi esporrò quelle tecniche da
me attuate con soddisfazione.

La finitura ad encausto , richiede i pori chiusi nei seguenti casi:

1 - Mobili di alta epoca anche lastronati e intarsiati i quali dovrebbero comunque


avere i pori già chiusi.

2 - Alcuni cassettoni della metà - fine ottocento dell’ Italia meridionale. In


particolare quelli a fronte mosso ed anche se lastronati con legni quali il
palissandro o il mogano.

3 - Mobili in massello di noce , olmo radicato , ciliegio ed in genere tutti legni duri
con i pori piccoli ed una grana compatta.

I pori si possono chiudere sostanzialmente in due modi :

1 - con tampone , alcool e pomice , avendo cura di sostituire l’alcool con la


gommalacca nelle ultime mani per sigillare. Poi si incera come d’abitudine , si
“secca” la cera con un tampone ed alcool , si stira con una spazzola morbida e si
lucida prima con la lana e poi se si desidera un effetto extra brillante con delle
vecchie calze di seta . Questo metodo è da preferirsi nel caso di mobili lastronati o
impiallacciati.

2 - stendendo l’ encausto , opportunamente riscaldato per facilitare il lavoro , in


forma di paté ( NON LIQUIDO ) e quindi con una minore percentuale di essenza di
trementina . Si lavora con le mani spingendo bene finché non si secca , si attende
un giorno o due e poi si ripassano tutte le superfici con un ferro da stiro caldo ma
non bollente per far scendere la cera . Prima che si raffreddi totalmente si toglie
l’eccesso con dei panni di lana e si lucida come d’ abitudine. Questo secondo
metodo è più adatto ai mobili in legno massiccio per via dell’uso del ferro da stiro .

Selezionato da Il Forum

Finitura a cera
Salve e complimenti per il sito.
Mi sono avvicinato da poco all'arte del restauro "casalingo". Vorrei sapere qualcosa
in più sulla finitura a cera oltre a quanto specificato nel sito: quali prodotti,
modalità di impiego, quante mani sono necessarie, tempo di attesa tra una mano
e l'altra, ecc. E con quale prodotto è possibile togliere la cera? ho provato col
decerante, con alcool a 95, ma senza particolari risultati.
Grazie e cordiali saluti
Cristiano martedì 29 gennaio 2002 - 20.56.54

Risponde Pino
Per togliere la cera residua il migliore rimedio consiste nell'uso della essenza di
trementina, che è il medesimo solvente che si usa per diluire la cera. L'effetto
migliora, riscaldando rigorosamente a bagno maria e moderatamente, l'essenza di
trementina. Occorre avere molta precauzione nell'uso caldo della sostanza perchè
è fortemente incendiaria ed il contatto con fiamma libera può essere veramente
molto pericoloso. Quanto alla finitura a cera il sito da indicazioni molto diffuse. E'
opportuno non eccedere nel quantitativo di cera da applicare diluendola bene ed
applicandone, piuttosto, due mani intervallate da 12 ore per consentire
l'assorbimento. Nella preparazione della cera diluita in essenza di trementina,
secondo le indicazioni del sito, Ti suggerisco di unire alla cera d'api una parte di
cera carnauba (che ha un punto di fusione alto) per aumentare il punto di fusione
della miscela e renderla più resistente al calore o ai raggi solari cui potrà essere
sottoposto il mobile.

colorare e schiarire il Legno

L'arte di tingere il legno era conosciuta fin dall'antichità, si dal tempo degli Egizi e
dei Persiani. Questa tecnica è stata documentata però solo in epoca più tarda:
greco-romana. Abbandonata durante il medioevo, fu reintrodotta alla fine del
Quattrocento grazie ad alcuni intarsiatori che, per rendere un maggior effetto
cromatico alle tessere usate la utilizzarono nei loro laboratori. Infatti , le tessere
vennero colorite e ombreggiate effettuando la bollitura delle essenze con liquidi
colorati con estratti naturali.
La tintura a differenza della verniciatura, permette di conferire al legno
la colorazione desiderata senza avere l'effetto coprente proprio della verniciatura.
Pertanto, dopo la tintura i disegni delle venature, la tessitura delle fibre, i nodi o
marezzature restano ben visibili lasciando al legno questa inimitabile caratteristica
che lo rende unico e così vivo.
L'ebanista o il restauratore sono interessati alla coloritura superficiale dell'essenza
che viene sottoposta a questo trattamento prima o durante la fase di lucidatura
La tintura del legno, potrebbe in un primo momento sembrare cosa alquanto
semplice, ma così non è: il risultato della tintura dipende sia dal tipo di tinta
usata che dalla reazione delle sostanze contenute del legno. La tinta deve essere
compatibile con tutti gli altri materiali che intervengono nel restauro:colle,stucchi,
cere o gommalacca. Apprestarsi a tingere il legno potrebbe quindi supporre una
elevata conoscenza tecnica e scientifica. I vecchi restauratori, possiedono una
conoscenza empirica di questi fenomeni, data da numerosi anni di esperienza: tale
conoscenza porta sicuramente a ottimi risultati.

Per chi si avvicina a questo ambiente, un principiante può incontrare qualche


difficoltà in quanto non è semplice orientarsi per mancanza di regole ben precise.
Questi appunti possono solo aiutare in parte, e il provare e riprovare possono
essere un buon inizio per toccare con mano e fare esperienza.

I Mordenti

Alle tinte naturali, di origine vegetale o minerale si sono aggiunte sostanze


sintetiche derivanti dal catrame. Fra le tinte di origine vegetale , usate sin dalla
antichità: il the, la cicoria ed il mallo di noce sono quelle più note, vanno preparate
per infusione e utilizzate a caldo. Queste tinte venivano usate per ravvivare le
essenze nazionali (legno di frutto, quercia e faggio). Altre tinte, forse meno note
sono la curcuma, il campeggio, l'indaco, il cartamo e lo zafferano. Altri coloranti
erano di origine animale estratti da alcuni insetti della famiglia degli Omotteri,
come la cocciniglia ed il Kermes.

La Terra di Cassel. di origine minerale ed impropriamente chiamata mordente


noce, è assai diffusa oggi in commercio. Questi prodotto viene estratto dalla torba
proveniente dalla zone di Colonia e di Cassel ed è commercializzato in frammenti
bruni che si sciolgono in acqua bollente. In commercio esistono tinte color Noce,
Mogano, Ebano. Le proporzioni della soluzioni si dosano a seconda dell'intensità di
colore che si vuole ottenere. Se si aggiunge qualche goccia di ammoniaca la Terra
di Cassel assume sfumature violacee. Mentre, se addizionata con anilina rossa,
assume sfumature della tonalità del mogano. Come le altre tinte a base acquosa,
la stabilità alla luce è buona. Di seguito riporto un semplice ricettario che può dare
un piccolo suggerimento di come procedere per ottenere la tonalità voluta:

Noce chiaro e quercia: diluire la composizione base in acqua (sciogliere un paio


di manciate di granuli in mezzo litro d'acqua in ebollizione).

Noce scuro: diminuire la quantità d'acqua nella composizione base.

Noce rossiccio: aggiungere alla composizione base un poco di mogano.

Mogano Chiaro: aumentare le dosi d'acqua nella composizione base

Mogano scuro: diminuire la quantità d'acqua nella composizione base.

Mogano con riflessi bruni: alla composizione base aggiungere un poco di noce

Ciliegio: Noce Base più Mogano Base


Ebano con riflessi:Alla composizione base aggiungere un poco di Mogano

Le Aniline

Le tinte estratte dal catrame vengono comunemente chiamate aniline. La


gamma dei colori disponibili va dal giallo al bruni cupo, si acquistano in
mesticheria sotto forma di polveri commercializzate in bustine da poche decine di
grammi. Le aniline si distinguono in dipendenza dal solvente: aniline all'acqua o
aniline all'alcool. Le aniline all'acqua sono, come la terra di Cassel, più stabili
alla luce e compatibili con prodotti vernicianti a base alcolica e sintetica.

Altro vantaggio delle tinte ad acqua è la loro praticità, in quanto possono essere
miscelate fra di loro e con quelle di origine naturale per ottenere tonalità
intermedie. Inoltre il loro impiego è piuttosto semplice in quanto ripassando su
una parte appena trattata, non si rischia di lasciare aloni o chiazze più scure
dal momento che l'acqua evapora lentamente.

Le aniline all'alcool sono particolarmente indicate per tingere i legni molto sottili
(piallacci e lastroni) che, se trattati con grandi quantità d'acqua, si imbarcano e
deformano tendendosi a staccare. L'uso di tinte all'alcool non è comunque
semplice poiché l'alcool può deteriorare la colla, per cui occorre proteggere le
giunzioni con uno strato di paraffina. Possono dare luogo a tinte non uniformi se
stese da mani poco esperte e non ultimo, la lucidatura a gommalacca è possibile
solo dopo circa una quarantina di giorni dal trattamento di tintura.

Esiste anche un metodo di tintura del legno che si basa non sull'aggiunta di
pigmenti colorati, ma sulla reazione con i tannini del legno facendoli diventare più
scuri. Questo metodo, chiamato mordenzatura, da effetti esteticamente molto
validi, ma è di una elevata difficoltà in quanto l'esito no è prevedibile a priori se
non con una grande esperienza.

Uno dei mordenti più usati è il bicromato di potassio, particolarmente adatto per
scurire la quercia ed il mogano e quindi ad uniformare la tinta delle parti nuove
con quella della struttura più vecchia.

Bicromato di potassio

I cristalli di bicromato di potassio sono praticamente indicati per la colorazione del


mogano. Questo metodo viene usato anche per dare al legno un aspetto anticato.
Si presta bene per armonizzare le integrazioni nuove. Ai cristalli viene aggiunta
acqua necessaria allo scioglimento completo. Al momento dell'uso si aggiunge
acqua per poter ottenere la giusta colorazione. Sebbene il liquido risultante sia un
arancio vivo, da al legno un colore caldo e piacevole. Se usato molto concentrato
si ottiene una colorazione quasi nera. Lo scurimento del legno non avviene appena
applicato, ma ad asciugatura avvenuta. Attenzione è un prodotto cancerogeno e
va usato prendendo tutte le precauzioni per evitare inalazione e contatto.

Schiarire il legno

L'imbiancamento è un procedimento usato per schiarire i legni che poi verranno


tinti in seguito al fine di uniformare meglio le integrazioni.

L'acqua ossigenata è la sostanza sbiancante più consigliabile dal momento che


svolge un'azione poco dannosa sulle fibre legnose, è adatta tutte essenze e non
richiede risciacquo poiché i suoi componenti evaporano spontaneamente durante
l'essiccazione. L'acqua ossigenata ad alte concentrazioni (60-130 volumi)
stabilizza con acido forte, va attivata al momento dell'uso con sostanza alcalina,
ad esempio l'ammoniaca diluita.

L'azione dell'acqua ossigenata è determinata dalla sua scomposizione in acqua ed


ossigeno atomico il quale, ossidando le sostanze coloranti del legno ne provoca la
decolorazione.

L'acqua ossigenata si passa sul legno con uno straccio bianco non di cotone poiché
questa fibra si degrada facilmente a contatto con essa.

Nota di Massimo Bertucelli


Per la sbiancatura del legno, ho utilizzato una soluzione ottenuta componendo al
95% acqua ossigenata a 100 volumi e per il rimanente 5% ammoniaca pura.
Per ciò che attiene al processo di sbiancamento , dopo avere indossato dei guanti
protettivi, con un pennello ho incominciato a spennellare la parte da trattare
lasciando qualche minuto come tempo d'azione della soluzione sul legno.
Mi raccomando di usare anche una mascherina , perchè i vapori dell'ammoniaca
sono terribili. Successivamente con una pezza di cotone si strofina energicamente
la parte da trattare.
Se il risultato ottenuto non risponde alle aspettative l'operazione si può ripetere a
distanza di qualche ora, sostituendo alla pezza un po' di lana d'acciaio tipo 00 .
Una volta terminata l'operazione di sbiancamento e' consigliabile ripulire la parte
trattata con un po' d'alcool e strofinarlo con una pezza di cotone per asportare
residui di soluzione e fili di lana d'acciaio.
Personalmente sono rimasto soddisfatto del risultato che ho ottenuto, ma se
qualcun altro ha esperienze con altri sbiancanti sarei grato se vorreste
mettermene al corrente.

Buon lavoro a tutti Massimo Bartoccelli

Attenzione

L'acqua ossigenata a concentrazione 130 volumi, la si acquista in farmacia.


Nell'uso occorre prendere tutte le precauzioni per evitare il contatto con la pelle e
con gli occhi in quanto a questa concentrazione è altamente corrosiva. Anche l'uso
dell'ammoniaca è pericoloso per inalazione dei vapori. Quindi, se non si è certi di
operare in tutta sicurezza è meglio non mettersi nemmeno ad iniziare il lavoro con
l'uso di questi prodotti.

Altre sostanze sbiancanti sono:

Candeggina: Tecnicamente Ipoclorito di sodio in concentrazione al 12%. Prima


dell'uso questa va ulteriormente diluita in proporzione variabile (1:1, 1:3).
Chiaramente una maggiore diluizione ha un potere sbiancante inferiore, ma si
evita quella colorazione giallastra tipica della candeggina.

Acido Ossalico: è un acido organico molto tossico da diluire in acqua o alcool. Se


usato a caldo il suo potere decolorante aumenta. Dopo il trattamento il legno deve
essere accuratamente lavato.

Idrosolfito di Sodio: si usa in soluzione acquosa la 10% che ne potenzia gli


effetti. Anche in questo caso, dopo il trattamento il legno va lavato.

Permanganato di potassio: Si presenta sotto l'aspetto di un sale color violetto


solubile in acqua. E' un potente sbiancante, ma di uso disagevole. Infatti
l'applicazione sul legno, lascia incrostazioni saline che vanno poi rimosse con acido
cloridico. E' necessario poi lavare abbondantemente con acqua.

Impregnanti e mordenti
Sono agli inizi e vorrei conoscere la differenza tra impregnante e mordente. Hanno
la stessa funzione?

Filippo lunedì 18 febbraio 2002 - 11.41.32

Risponde Pino
L'impregnante è un prodotto moderno che ha sia la funzione di colorare il legno sia
quella di proteggerlo da funghi, agenti atmosferici ecc.. Il suo uso è preliminare ad
una finitura con vernice per legno e si deve sempre accertare la compatibilità
dell'impregnante con la composizione della vernice che s'intende adottare.
Il mordente è un prodotto tradizionale il cui unico scopo è la coloritura del legno:
detta coloritura è compatibile con la finitura del mobile a gommalacca ed a cera. Il
mordente costituisce strumento di colorazione comunemente utilizzato nella
produzione tradizionale del mobile quindi è tecnica di colorazione utilizzabile nel
restauro e filologicamente corretta. Ciao Pino.

Coloritura abete
Non è facile trovare siti ben fatti e utili come questo. Complimenti!
Anche se la mia richiesta non si riferisce al restauro vero e proprio spero
comunque di avere una risposta. Ho costruito un tavolo di abete e vorrei dargli
quel caratteristico colore "mielato" tipico dei vecchi mobili.Cerco qualche consiglio
sui prodotti più adatti.
Grazie Franco domenica 17 febbraio 2002 - 6.47.01

Risponde Pino
Puoi usare impregnanti di tinta rovere chiaro, oppure mordenti noce chiaro molto
diluiti. Dipende dalla fiunitura che vuoi ottenere. Probabilmente la tinta miele può
risultare dalla applicazione di gommalacca il cui colore ambrato sull'abete
dovrebbe portare a quella tonalità. In questo caso non usare impregnanti ma
mordenti, poi applica la gommalacca a tampone. Se il tavolo è rustico applica
gommalacca a pennello, opacizza con paglietta o carta vetrata sottile, e finisci a
cera. Ovviamente ci sono molte alternative, trattandosi di mobile nuovo, con l'uso
di impregnanti e vernici più resistenti. Difficilmente eguagliano sul piano estetico le
finiture tradizionali ma rendono il mobile più pratico e resistente.
Pino

Patinare il legno a imitazione mobili antichi


Lo so che la patina di un vecchio mobile è inimitabile e che è impossibile realizzare
in breve tempo e artificialmente ciò che è avvenuto in svariati anni di uso. Ma
penso sia utile conoscere efficaci tecniche per dare ad un legno nuovo l'aspetto il
più vicino possibile a quello antico. Questo naturalmente senza voler far passare
per antico un mobile che non lo è! So che nella zona di Bassano del Grappa (TV)
molti artigiani producono mobili che sono pregevoli copie di quelli antichi. C'è
qualcuno in grado di darmi suggerimenti sulle tecniche e sui prodotti più adatti per
questo scopo?
Renzo martedì 19 febbraio 2002 - 11.17.08

Risponde: Giuseppe
Nel restauro, si usa patinare i mobili quando questi si trovano con una patina
originale inesistente (dopo la sverniciatura da prodotti sintetici o da vernici ad
olio), oppure se sottoposti ad eccessiva umidità per lungo tempo. Ci si trova nella
necessità di patinare i mobili anche quando vengono effettuate delle reintegrazioni
di parti mancanti, piani o parti di questi, frontalini di cassetti ecc.
Occorre , in queste reintegrazioni usare la stessa essenza usata originalmente, poi
con mordente adatto, uniformare la colorazione al resto del manufatto, ed infine
trattare il mobile con una corretta finitura a cera, mista o solo gommalacca.
Se si tratta di un mobile nuovo che si vuole antichizzare, il discorso cambia
leggermente, in quanto non c'è la necessità di uniformare il colore, ma di scurire
opportunamente l'essenza usata per dare quel colore caldo di un legno patinato.
La finitura è poi la stessa .
Vedi nel sito i dettagli per la colorazione e rifinitura.
Saluti
Giuseppe Giuseppe giovedì 21 febbraio 2002 - 9.51.48

Risponde: Pino
Come al solito Giuseppe ti ha detto tutto. Mi permetto solo di darti un consiglio sul
trattamento del legno preliminare alla finitura. Una delle caratteristiche del mobile
antico è quella di presentare un legno con aspetto che a volte si dice "inossato",
derivante dalla progressiva riduzione, per perdita di umidità, della massa legnosa
con il passare di lungo tempo. Tale aspetto non è riproducibile alla perfezione e
contraddistingue il legno effettivamente antico: ho tuttavia sperimentato un
accorgimento che uso sulle sostituzioni a volte inevitabili e non sempre possibili
con legno della stessa essenza ugualmente antico. Si tratta di passare sulla
superficie del legno nuovo, soprattutto sugli spigoli troppo vivi, un oggetto
metallico premuto con grande forza (per i pezzi piccoli uso la testa di un martello
per quelli grandi un ferro da stiro (ovviamente freddo tenuto leggermente di
spigolo) o un batticarne liscio. In questo modo la superficie schiacciata, una volta
rifinita, si avvicina di più anche al tatto alle parti autentiche del mobile e si ottiene
una migliore mimesi. Prova, se vuoi e fammi sapere.

Ciao, Pino. Pino venerdì 22 febbraio 2002 - 16.

Uso del Mordente

Esiste una procedura di come si preparano i mordenti e , come devono essere


applicati dopo un lavoro di pulitura del Mobile?

Risponde Giuseppe

La tinteggiatura del legno è stata usata fin dall'antichità per due principali motivi:
o fare apparire un'essenza comune come essenza di valore, oppure per
armonizzare le integrazioni lignee con il resto del mobile.
Le tinte sono normalmente all'alcool (aniline) o all'acqua (mordente).
Si usa colorare il legno anche con terre o olio di lino.
Tempo fa lessi su un libro che trattava di restauro, che una dote del restauratore
si avvicina molto a quella della massaia che, in cucina, riesce con
l'esperienza acquisita a dosare sapientemente gli ingredienti per ottenere piatti
sapientemente saporiti.
Questa affermazione non si allontana molto dalla realtà. Spesso e volentieri, le
dosi che devo usare le so approssimativamente , e ad occhio preparo il mordente
e altri preparati: solo per la preparazione della gommalacca faccio misure precise.
Nella tua email, mi parli di mordente in scaglie, ma quello che conosco io è in
granuli neri e da al legno un bel colore noce.
La proporzione da usare in genere è di 1 a 10 rispetto all'acqua. Pertanto in un
litro d'acqua, ci vuole circa un etto di mordente.
Tale proporzione, va però variata dipendentemente dalla tonalità più o meno scura
che si vuole ottenere.
E' usato nel campo del restauro anche mordente mogano: unendo in proporzioni
"opportune " questi mordenti, si ottengono variegate tonalità.
Se fai bollire l'acqua, il mordente si scioglie più facilmente e completamente senza
lasciare troppi residui.
L'aggiunta di qualche goccia di ammoniaca facilita la fissazione del colore.
Una volta preparato, lo puoi filtrare e conservare in un bottiglia di vetro. Prima di
usarlo, se lo scaldi penetra più facilmente nelle fibre del legno.
Per l'applicazione del mordente, io procedo in questo modo:
Dopo aver preparato la superficie, scaldo il movente e provo la tonalità in un legno
di scarto della stessa essenza di quello da trattare, oppure su di una parte
nascosta del mobile. Correggo eventualmente la tonalità aggiungendo anilina o
acqua..
Dipendente dall'ampiezza della superficie da trattare userò o un pennellino ( se la
superficie è ridotta) o una spugna. ( se la superficie è ampia).
A portata di mano avrò sempre una spugna umida e pulita per uniformare la
distribuzione del mordente.
Supponendo di trattare una superficie ampia, immergo la spugna nel mordente e,
strizzata non eccessivamente, la passo sulla superficie. Una volta passata su tutta
la superficie, usando l'altra spugna (solo umida d'acqua e pulita), la passo sulla
superficie nel senso delle venature, uniformando in questo modo la distribuzione
del mordente.
Occorre prestare attenzione che se si ripassa il mordente dove già sta asciugando,
la parte acquista una tonalità più scura. Questo può essere una strategia per
correggere meglio la tonalità finale, avendo l' avvertenza è di limitare comunque le
passate in quanto l'uso dell'acqua è sempre da ridurre al minimo.
Giuseppe

Colorare con le terre

La mia domanda si riferisce alla possibilità di scioglimento in acqua delle terre


quali terra d’ombra, terra di Siena, ocra gialla o rossa ecc. ai fini di colorare il
legno. Ho letto da qualche parte che tale procedimento conferisce una colorazione
naturale, morbida, facile da dosare. Dalle prove che ho fatto devo dedurre che le
terre sono insolubili in acqua. Ho provato anche a far bollire l’acqua ma sempre
dopo brevissimo tempo la terra precipita nel fondo lasciando l’acqua perfettamente
trasparente. Ho ottenuto un certo risultato mescolando la miscela in modo da
portare in sospensione la terra e tingendo subito con un pennello. Quando la
superficie è asciutta passando una mano si attacca un po’ di terra ma rimane una
certa colorazione superficiale del legno.

Risponde Carlo
Per quanto ne so io, le terre sono in genere pigmenti variamente e spesso solo
parzialmente solubili . La cosiddetta "terra di Kassel" è in realtà composta da una
buona parte di ossido di ferro, e questa è la frazione solubile in acqua che la rende
idonea a fare da mordente all' acqua. Ma contiene anche frazioni bituminose
insolubili in acqua,ma solubili in olio, ed è perciò base anche per i mordenti a base
grassa. Credo si possa dire che che la terra di Kassel sia...una terra un po'
anomala! Altre terre invece,per quanto mi consta,formano in acqua una
sospensione che deposita in breve tempo, e la frazione solubile risulta
insignificante. E' chiaro che la applicazione sul legno della sospensione equivale a
depositare sulla superficie di questo un fine strato di polvere, nulla più. Ho letto
anch' io che sono state usate per colorare il legno, ma francamente non ho mai
capito come.....a meno che non si sia impropriamente parlato di "colorare",nel
senso che siano state disperse in una vernice, magari poco coprente. La cosa non
deve stupire più di tanto: ad esempio il nerofumo, che è un pigmento abbastanza
coprente, è stato usato insieme alla anilina per ottenere vernici alla gommalacca
nere con un tono più caldo di quello che si ottiene con la sola anilina. L'impatto
visivo non consente di apprezzare la presenza del pigmento. Certo, per colorare le
vernici con un pigmento più o meno coprente bisogna usare una quantità modesta
di pigmento, e badare a non usare quei pigmenti dotati di grande potere coprente
intrinseco: altrimenti addio trasparenza! Ma alcuni pigmenti - ad esempio la terra
d'ombra - sono abbastanza trasparenti, e così si prestano bene alla bisogna. Un'
altra possibilità è che all'acqua sia stata aggiunta una certa quantità di colla
animale, per stabilizzare un po' la sospensione, e per fissare in qualche modo il
pigmento al legno in attesa della mano protettiva di vernice trasparente. D'altro
canto,io non mi so dare spiegazioni diverse da queste all'asserito uso di alcune
terre praticamente insolubili " per colorare il legno";ed anche la strategia di
acidificare, o di render basica l'acqua per migliorare la soluzione non mi sembra
che muti la situazione in modo radicale. Comunque se qualcuno ha notizie in
merito questo è un argomento per me molto interessante!

Risponde Giuseppe

Ho letto con attenzione la vostra discussione e, pur non avendo mai avuto l'
occasione di mettere in pratica il procedimento di coloritura con le terre (che ho
solo usato per colorare lo stucco), mi sono ricordato di aver letto qualche cosa in
proposito. Sono andato in biblioteca, ho scartabellato un po' di libri, ed ecco cosa
ho trovato: " ( ...) le terre colorate sono coloranti naturali che si presentano sotto
forma di polveri di vari colori: terra di Siena, terra d'ombra, terra rossa, cinabro,
giallo artiglieria, ocra gialla, nerofumo. " - Quindi deduco che si parli delle
classiche terre colorate usate per lo stucco con gesso di Bologna. Il testo
prosegue: - "Queste terre possono essere impiegate per dare una tonalità di
fondo al mobile (o ad una parte di esso) prima della colorazione vera e propria
fatta col mordente. Oppure per dare un primo velo di patina ad un pezzo di legno
nuovo che dobbiamo adattare nel mobile." - pertanto le terre vengono usate non
per una colorazione vera e propria, ma per creare il fondo o, cosa interessante,
dare una patina ad un pezzo da integrare nel mobile. Prosegue: - "Le terre si
sciolgono in acqua, pero bisogna dire che lo scioglimento avviene in modo
piuttosto difficoltoso e tutt'altro che completo perciò conviene adottare alcuni
accorgimenti: Innanzitutto è opportuno sbriciolarle più finemente possibile in un
mortaio e setacciarle ; una volta poste in acqua conviene scaldare l'acqua per
agevolare la formazione della soluzione, quindi filtrare il liquido con una garza e
infine bisogna mescolare continuamente il preparato anche durante l'uso. L'
applicazione avviene mediante una spugnetta come si fa normalmente per il
mordente. " Infine il testo conclude aggiungendo: "...Inoltre le terre vengono
usate per colorare cera e gommalacca. Si colora anche la trementina per patinare
le cornici dei mobili e gli intagli quando vengono parzialmente rifatti. E qui si apre
un altro capitolo: le terre nella cera e nella gommalacca a che punto diluiscono
completamente, non rimangono residui??
interventi sulle Deformazioni
Le deformazioni, imbarcature e svirgolamenti di piani e gambe dei mobili, mettono
a dura prova l'abilità del restauratore non solo dell' hobbysta, ma anche del
professionista. La correzione delle deformazioni, devono porre rimedio ad una
tensione naturale e costante dovuta alla espansione o restringimento delle fibre
del legno. Questo movimento del legno è dovuto principalmente a:

• variazioni atmosferiche (umidità, riscaldamento ecc.)


• utilizzo di materiale scadente o non stagionato
• insufficienti cognizioni tecniche dell'artigiano che ha costruito il

manufatto.

Spesso le deformazioni dei piani sono da imputare al fatto che essendo


generalmente lucidati o lastronati solo dalla parte in vista, avviene che l'azione
degli agenti atmosferici (umidità aria ecc.) agiscono differentemente sui due lati
del piano.

La soluzione a problemi dovuti alla deformazione del legno, che si evidenziano più
frequentemente o su ampi piani in massello o sulle ante e frontalini dei cassetti
lunghi non sono certamente di facile applicazione e nel contempo non garantiscono
una durata nel lungo periodo a meno di interventi che risultano essere invasivi.

Prima di decidere se intervenire o meno, occorre verificare se la deformazione è


tale da compromettere la funzionalità. Questo per due semplici motivi: il primo,
come si è detto per la difficoltà dell'intervento, il secondo, è che lievi imperfezioni
contribuiscono a dare il fascino dell'antico . Se si ritiene di intervenire, facciamolo
solo se il mobile non è di valore, diversamente affidiamolo ad un professionista.
Deformazione del piano di un tavolo: Se la
deformazione interessa ad esempio il piano di un tavolo o comunque un piano
fissato ad una carcassa rigida, si può intervenire come mostrato in

figura: Con morsetti e con l'ausilio di un


travetto robusto, si porta in perfetta planarità il piano. Si stringono lentamente i
morsetti per evitare di spaccature. Eventualmente si bagna il piano dalla parte
grezza al fine di ammorbidire le fibre e facilitare il raddrizzamento della tavola.
Una volta messo in piano, si cerca di forzare la posizione in modo permanente con
l'ausilio di angolarini che verranno incollati tra piano e fasce. Questo metodo
risulta di semplice applicazione e moderatamente invasivo. Il risultato è il più delle
volte soddisfacente soprattutto se il piano non è di elevato spessore.

Metodo delle "virtù teologali" : Questo metodo è così

definito in un vecchio libro di


restauro, e si spiega in quanto richiede molta fede e speranza (la carità la si fa poi
al restauratore se non riesce). Implica l'azione mediante morsetti e robusti tutori
rigidi e ben piani. si bagna preventivamente il legno con acqua tiepida in modo che
attraverso i pori penetri nelle fibre ma senza eccedere ed asciugando le
eccedenze. il legno bagnato riacquista parzialmente elasticità. quindi con morsetti
e tutori (travetti diritti di robusto legno) si serra progressivamente (qualche giro
ogni due ore, tornando se del caso a bagnare la superficie, sino a raggiungere
piena planarità (a volte per raggiungere il risultato ci vogliono anche due giorni
con pochi giri di vite ai morsetti ogni qualche ora). Non bisogna serrare troppo
violentemente perché si rischia di spaccare in due il piano del tavolino e morsetti e
tutori debbono essere usati in numero adeguato alla superficie. Si lascia quindi
chiuso il pezzo nei morsetti per una decina di giorni. Quindi con molta fede e
speranza lo si toglie dal serraggio e lo si rimonta. il nome del metodo deriva dal
fatto che troppo spesso, dopo qualche tempo l'incurvatura ritorna, ed il sistema è
adatto ad eliminare piccole imbarcature non gravi.

Una variante al metodo, che aiuta molto la fede e la speranza, è quella di utilizzare
un consolidante acrilico: una volta raggiunta la planarità si applica a pennello sul
lato grezzo della tavola, il Praloid B72, iniziando da una soluzione al 10% fino al
20% - 25% (con incrementi del 5%). Prima di passare alla successiva applicazione
a concentrazione maggiore si lasciano passare 4 - 5 giorni al fine di attendere la
completa essiccazione della precedente applicazione. Anche dopo l'ultima
applicazione attendete almeno una settimana prima di togliere i morsetti. Questo
metodo, avvalendosi dell'effetto del consolidante, dovrebbe garantire una
maggiore stabilità.

Sistema dei cunei: Il


sistema descritto di seguito, può essere usato quando la deformazione è convessa
rispetto la parte lucidata ovvero quando la parte sulla quale si deve intervenire è
sul lato non a vista. Questo sistema è ben più invasivo e delicato del precedente
anche se garantisce maggiori risultati. Occorre usare ogni attenzione per evitare di
spaccare la tavola. Si consiglia di usare questo metodo solo su mobili di poco
valore se non si ha una esperienza ben consolidata. La procedura consiste nel
praticare sul retro del piano da raddrizzare dei tagli paralleli a distanza tra 1,8 e
2,5 centimetri l'una dall'altra nel senso della venatura del legno, fermandosi tre o
quattro centimetri prima del bordo (a seconda delle dimensioni ci si può fermare
anche a un centimetro o andare fino in fondo se una volta montato il piano non si
vede il bordo) i tagli debbono avere profondità pari ai 2/3 dello spessore del piano
da raddrizzare. Successivamente si usano morsetti e tutori come prima, sempre
bagnando e con ancora maggiore cautela nel serrare i morsetti (poco alla volta e
lentamente). Quando il pezzo sarà piano le fessure praticate si saranno un po'
aperte. Si prendono allora dei cunei di legno della stessa essenza, di lunghezza
adeguata per chiudere le fessure, più profondi delle fessure da chiudere se ne
possono usare anche due o più per fessura se i tutori impediscono di vedere tutta
la lunghezza della fessura. Per avere tutta la lunghezza della fessura a vista,
possiamo posizionare parallelamente alle fessure delle stecche sulle quali
poggeremo le traverse da stringere con i morsetti (vedi figura). A questo punto si
cospargono le sfilze a cuneo e le fessure di colla garavella calda, quindi si infilano
nelle fessure, forzando leggermente con dolci colpetti. attenzione le sfilze a cuneo
non hanno lo scopo di raddrizzare, ma di bloccare un eventuale ritorno della
svergolatura, quindi non vanno battuti come chiodi. Alla fine si pareggia la
superficie eliminando l'eccesso di legno dei cunei rispetto al piano. questo è il
metodo che da più risultati ma è abbastanza delicato come intervento.

gli incastri nella costruzione del mobile

Gli Incastri nella costruzione del Mobile

Indice degli incastri

01 - Incastro di testa a mezzo legno


15 - Unione di piano a tutto spessore
02 - Incastro con dente e canale
16 - Unione di piano a mezzo spessore
03 - Battuta a mezzo spessore
17 - Unione di piano a coda di rondine
04 - Incastro a calettatura
18 - Unione di piano con tenoni squadrati a tutto
05 - Incastro con linguetta riportata
spessore
06 - Inserti a coda di rondine
19 - Unione a coda di rondine
07 - Unione rafforzata
20 - Unione a merlatura
08 - Unione a mascella a Vista
21 - Unione a crociera obliqua
09 - Incastro con doppio tenone
22 - Unione con tenone obliquo
10 - Unione angolare con ugnatura
23 - Unione con tenone obliquo e zoccolo
11 - Unione intermedia a mezzo spessore
24 - Unione di testa a mezzo spessore
12 - Unione intermedia a forcella
25 - Unione di testa a mezzo spessore obliquo
13 - Unione intermedia Mezzo spessore con coda
26 - Unione di testa con smusso dentato
rondine
27 - Unione di testa di sbieco con chiave
14 - Unione a Crociera

Intaglio di testa o a mezzo legno

L'intaglio di testa a mezzo legno è


un sistema particolarmente semplice
da realizzare e costituisce un buon
approccio alla materia e può essere
considerato come un esercizio "da
palestra" prima di affontare intagli
complessi e difficili. Solitamente si
usa per telai e cornici e serve a
collegare listelli o montanti alle loro
estremità. I due intagli sui pezzi
sono perfettamente identici e
speculari. Il taglio dovrà avere una
profondità pari alla metà dello spessore dei pezzi. I tagli possono essere effettuati
a mano con una sega oppure con la sega a nastro. L'unione di testa a mezzo
spessore non si regge da sola ed ha bisogno di uno strato di colla. In aggiunta
l'unione può essere rinforzata con viti o spine di legno o anche con chiodi.
Incastro con dente e canale

L'incastro a dente e canale può


essere realizzato con la sponderuola
o con una pialla "a incastro" oppure
usando la sega circolare in più
passate o una fresatrice. Questo tipo
di incastro si può usare anche nelle
unioni di testa, ma da solo non
regge, quindi va incollato. Negli
esempi l'incastro a tutto spessore
(sopra) e a mezzo spessore (sotto).

Battuta mezzo spessore

Due pezzi di legno possono essere


semplicemente incollati "a filo piano"
oppure sovrapposti per aumentare la
superficie di contatto accrescendo la
resistenza all'unione. Questo tipo di
calettatura si realizza con
sponderuole, seghe a nastro o
meglio fresatrici.

Incastro a calettatura

La calettatura dell'incastro a mezzo


spessore può essere ottenuta anche
attraverso un incastro a dente e
canale. Il dente avrà uno spessore
uguale a 1/3 di quello dell'asse.
Anche in questo caso la soluzione
migliore per realizzarlo è nell'uso
della fresatrice. Vi sono apposite
coppie di frese che servono appunto
per preparare alla perfezione questo
tipo di incastro.

Incastro con linguetta riportata

Una unione molto simile a quella a


dente e canale puo' essere realizzata
con l'impiego della linguetta
riportata. Anche in questo caso la
linguetta avrà uno spessore di 1/3 di
quello dell'asse. Questo tipo di
incastro è più pratico e sbrigativo del
precedente, basta infatti ricavare
solo i canali aventi dimensioni pari
allo spessore della linguetta.
L'essenza usata per la linguetta può
essere anche diversa di quella delle
altre assi, magari può essere di legno duro, conferendo al tutto una maggiore
tenuta. La linguetta dovrà essere incollata.

Inserti a coda di rondine

Un ottimo metodo di collegamento


longitudinale tra assi è dato
dall'unione a filo piano con code di
rondine doppie. L'incastro è molto
laborioso perché va eseguito con
precisione ed accuratezza, ma il
risultato é notevole anche
esteticamente. Solitamente si usa
per i piani che devono subire
notevoli sbalzi di temperatura,
l'effetto dell'umidità ed altre
sollecitazioni. Per la sua
realizzazione si parte dall'intaglio
degli inserti a coda di rondine in
legno duro. Una volta ricalcata la
sagoma dell'inserto si scava con lo
scalpello. Al termine gli inserti a
coda di rondine vanno incollati.

Unione rinforzata

Un sistema di rafforzamento di un
piano, che dà buona garanzia di stabilità è l'unione rinforzata con traverse a dente
e canale alle testate. Le traverse devono essere di legno duro. Inoltre se il dente è
a coda di rondine si potrà evitare l'impiego della colla.

Unione a mascella a vista

Molto usata per l'assemblaggio delle


intelaiature è l'unione a mascella a
vista. Il tenone "a vista" significa
che attraversa da parte a parte la
mortasa e non rimane nascosto al
suo interno. La mortasa si dovrà
praticare sempre sugli elementi
verticali del pezzo, il tenone su quelli
orizzontali. Il lavoro inizia
realizzando il tenone con una sega a
mano o meglio con quella a nastro.
Si riportano poi le misure sull'altro
pezzo dove verrà ricavata la mortasa. L'unione viene incollata. Qualora il tenone
non attraversi la mortasa si parla di unione sommersa (vedi sotto).

Incastro con doppio tenone

Se si lavora su telai di notevole


spessore l'unione precedente puo'
essere modificata realizzando doppi
tenoni e doppie mortase. Come
ulteriore rinforzo si possono
applicare cavicchi conficcati a forza
dilatando le teste dei tenoni.

preparare il gesso per imprimitura


Ricetta per la preparazione del gesso per l'imprimitura

Ingredienti
Il gesso

Il gesso migliore per dorare è il "gesso di Bologna" o "da doratore".


Si prepara con colla di coniglio setacciandolo preventivamente per
eliminare i grumi.

La colla di coniglio

Questa colla che si trova in commercio in grani o in fogli si prepara


precedentemente lasciandola in acqua, in proporzione di 1:10 - 1:12, cioè
100gr.di colla in 1 litro d'acqua.

Quando i grani sono gonfi e mollicci si riscalda la colla facendo attenzione


che non bolla, meglio in un contenitore di terracotta a bagnomaria.

Procedura

Adesso si può procedere ad aggiungere il gesso setacciato. Va aggiunto


gradatamente spargendolo in senso orario nel contenitore senza mai
mescolare! Non si deve mescolare per evitare che il composto inglobi
bolle d'aria che avrebbero poi l'effetto di formare dei piccoli crateri nel
gesso asciutto.

Non c'è una quantità precisa di gesso, è pronto quando la colla è satura.
Ovvero quando si vede che il gesso non viene più inglobato nella colla.

Il livello si può controllare immergendo fin dall'inizio un bastoncino nel


contenitore, su di esso rimarrà attaccato il gesso fino al livello cui siamo
arrivati.

Il gesso va tenuto sempre caldo ma non deve mai bollire e deve avere la
giusta consistenza per essere steso con un pennello in uno strato
omogeneo e non troppo spesso.

le olioresine utilizzate nel restauro

Mi è capitato spesso di sentire obiezioni sull'uso delle olioresine che denotano


l'applicazione impropria che ne viene fatta da chi le prova per la prima volta. Per
esempio il riscontro di difetti di essicazione, o una filiazione disomogenea. Vorrei
quindi descriverne dettagliatamente le metodologie di applicazione. Per far ciò
occorre analizzare l'evoluzione che hanno avuto le vernici nel passaggio dall'era
preindustriale ad oggi, poiché ogni tipo di finitura è strettamente legato ad un tipo
di mentalità, ad una visione storica, ad un modo di intendere e di vivere i materiali
oltre che al loro uso. Parlo di vernici, non di pitture, chè quest'ultime hanno
prerogative e caratteristiche diverse, anche se per taluni versi analoghe, sono,
cioè, coprenti.
Gli anni intorno al 1850 segnano una svolta storica nella tecnologia del legno. E' in
quegli anni che l'industria rivoluziona quei concetti che avevano guidato da sempre
la falegnameria. Tali cambiamenti coinvolgono anche altri settori dell'artigianato
talora in modo subdolo, talora in modo più evidente. Basti pensare all'invenzione
del cemento, che risale a quel periodo, ed a tutto ciò che ne consegue. Le tecniche
di costruzione sono state rivoluzionate, addirittura stravolte. La muratura classica
(già Plinio il Vecchio ne parla) aveva un interno duro per passare ad un esterno
molle; le moderne murature sono esattamente il contrario. Nel legno è capitata
pressappoco la stessa cosa: i classici legni sono stati sostituiti da legni essiccati in
forno, stabilizzati, da compensati, truciolati, surrogati del legno… tutti materiali
sfibrati o teneri, rivestiti il più delle volte da un film di vernice dura. Un eclatante
esempio di questa tecnica costruttiva l'ho avuto nella mia famiglia negli anni
cinquanta. Era la tipica famiglia borghese che ha vissuto il boom con tutte le sue
luci e le sue ombre. Il nuovo improvviso benessere l' ha portata a sostituire i
vecchi mobili decò con moderni prodotti firmati da architetti di grido. La camera da
letto era veramente un pezzo singolare, tanto da essere meta turistica di amici e
vicinato, non certo per motivi sessuali! Si trattava di mobili dallo stile
americaneggiante, costruiti con multistrato, compensato tamburato con la
struttura, credo, in pioppo. La singolarità tecnica era data dal rivestimento in pelle
d'asino. La tinta era di un bianco leggermente cremoso. Ma l'artigiano, che devo
dire dotato di grande maestria, non si era fermato qui: il tutto era protetto da una
vernice poliuretanica spessa e lucidissima che dava la sensazione che i mobili
fossero rivestiti da un cristallo. Inutile dire che dopo qualche anno tale vernice ha
incominciato a cavillare perdendo il suo originale splendore, ed oggi è
irrimediabilmente deteriorata. Questo esempio è indicativo anche perché evidenzia
il cambiamento di una mentalità che è passata dall'aspirazione di dare al mobile
una lunga durata nel tempo, alla mentalità consumistica.

Il primo sintomo di tale cambiamento lo si è avuto con l'introduzione e l'uso della


gommalacca che dal 1830 è stata importata massicciamente in tutt'Europa e
tuttora viene usata dai restauratori come se fosse una vernice storica, mentre
prima di tale data era pochissimo usata a vantaggio di altre resine tecnicamente
più valide e meno costose che venivano, comunque, sempre usate miscelate con
oli.
Nella seconda metà dell'ottocento vengono sintetizzati i primi polimeri cellulosici
che verranno commercializzati verso la fine del secolo, predecessori delle moderne
plastiche, dei poliuretani, degli epossidici…. dei componenti base, insomma di tutte
le moderne vernici che hanno come prerogativa fondamentale la durezza e la
mancanza di elasticità. Tali vernici avrebbero fatto inorridire i falegnami del '700.
Basta guardare una persiana moderna, verniciata con un poliuretanico,
trasparente o leggermente pigmentato, il cui film tende a scrostarsi, e, nei punti in
cui riesce ancora a restare aggrappato al supporto, risulta cromaticamente
lattiginoso! Una persiana settecentesca sarebbe stata verniciata con ben altro
sistema; il concetto di film, nell'ambito delle vernici, era relegato soltanto a certe
categorie di manufatti rustici ( ma con pitture traspiranti ed elastiche), alla liuteria
ed alla nautica.
Il falegname aveva ben presenti tutti i problemi che potevano essere provocati
dagli inevitabili movimenti del legno, dall'architettura del mobile alla finitura. Basti
pensare alle tecniche ed ai materiali che venivano usati quando il legno doveva
essere rivestito da una finitura rigida, come per esempio una doratura, o una
laccatura. Teniamo presente, oltretutto, le temperature ed il tipo di riscaldamento
presenti nelle case antiche, che determinavano notevoli sbalzi di umidità e
microclimi molto diversi fra loro anche a distanza di pochi metri.
E' facile comprendere come in condizioni simili si preferisse non usare vernici
filmanti ma, piuttosto, vernici di tipo impregnante. E' sintomatico il fatto che la
moderna industria abbia cambiato la terminologia: per vernice fino al secolo
scorso si intendeva una soluzione sia filmante che impregnante, trasparente, atta
a rivestire con un film più o meno sottile; oggi si tende ad indicare con questo
termine una soluzione chiaramente filmante, mentre se la pellicola risulta
impercettibilmente sottile si usa il termine "protettivo".

I componenti fondamentali di tali "protettivi" sono stati da sempre oli, cere e


resine. Ne sono state trovate traccia su suppellettili antiche, egizie, ittite….,tanto
che non si ha idea di quale fu il primo popolo ad usarle. Interessante è l'etimologia
del termine vernice: deriva dal latino medioevale veronice ( resina odorosa) e
questo a sua volta dal greco berenike, città della Cirenaica fondata dalla regina
Berenice (si tratta dell'odierna Bengasi). Nella zona a nord di tale città si estraeva
la sandracca. Tale resina per tutto il medioevo e parte del rinascimento è stata
una delle più usate nella fabbricazione delle vernici.
In quanto alla componente oleosa, sono stati usati svariato oli; verso la fine
dell'ottocento se ne usavano almeno una quarantina, ma se si pensa che la loro
catalogazione era generica ed imprecisa (sotto lo stesso nome, per esempio,
spesso venivano messi oli molto diversi tra di loro), ci si rende conto che il loro
numero effettivo era decisamente superiore. Fu soltanto nei primi anni del '900
che in Italia venne costituita la Commissione Tecnica Governativa Colori e Vernici
che tentò di riordinare un mercato che fino ad allora era a dir poco caotico. Quello
che è certo è che l'olio per eccellenza è sempre stato considerato l'olio di lino,
come la cera per eccellenza quella d'api.

il gesso da doratore
Scheda Tecnica: GESSO A ORO PER INDORATORI

NOMENCLATURA

Nell’Italia Centrale e Meridionale: GESSO A ORO

Nell’Italia Settentrionale: GESSO DI BOLOGNA

Nei Paesi anglosassoni (G.B. - U.S.A.): GESSO

Nei Paesi germanici ( D - A): BOLOGNESER KREIDE

UN PO’ DI STORIA DEL PRODOTTO E DEL PRODUTTORE

Il Gesso a Oro per Indoratori e’ prodotto secondo una antica ricetta.

Gia’ nel periodo pre–Rinascimentale il Gesso a Oro veniva usato, assieme a


colle animali, per fissare la foglia d’oro su tavole lignee. E’ un componente
essenziale della doratura a guazzo.

La famiglia dell’attuale titolare della Azienda si occupa di gesso da cinque


generazioni.

COMPOSIZIONE E INFORMAZIONI SUI COMPONENTI

Il componente principale e’ il Solfato di Calcio finemente macinato.

PROPRIETA’ FISICHE E CHIMICHE

Stato Fisico: Solido-Pulverulento

Colore: Bianco

Odore: Nessuno

pH: 5,5

UTILIZZO

Serve principalmente per fissare una foglia d’oro, d’argento o simil-oro,


una decalcomania su una superficie lignea. Nella produzione di cornici per
quadri e specchi viene usato in quanto le sue particolari caratteristiche
conferiscono un particolare pregio al manufatto finale. In alcuni casi il suo
uso e’ indispensabile. La funzione del Gesso Oro e’ quella di chiudere i
pori del legno e preparare una superficie dura e liscia per le operazioni
successive di fissaggio della foglia d’oro.

METODOLOGIA D’IMPIEGO

L’uso comune del Gesso Oro e’ quello che sia ha nella doratura a guazzo,
utilizzando la colla di coniglio.

La colla di coniglio viene sciolta in acqua (1 parte di colla e 8-10 di


acqua) e lasciata riposare per 8-10 ore. Poi il Gesso Oro viene mescolato
con la colla con proporzioni che possono variare da 1 a 2 parti di gesso per
1 della colla cosi’ ottenuta, il tutto va scaldato a bagnomaria (max 60 °), e
poi applicato su piu’ strati (almeno 3). Dopo l’essiccazione va carteggiato.

IMBALLO
Il Gesso a Oro viene fornito nei seguenti imballi:

sacchi carta da Kg. 25

bricks da Lt. 1 in scatole di cartone da 12 pezzi

Sia i sacchi che le scatole vengono posizionati su pallets EUR/EPAL

Scheda tecnica: COLLA DI CONIGLIO


E’ una colla ottenuta dalle pelli di coniglio con alto potere adesivo.

E’ un polimero naturale con alto peso molecolare.

Preparazione del prodotto

Preparazione della soluzione: mettere la colla secca in acqua fredda (circa 8 ore)
fino a che non e’ rigonfiata, poi scaldandola a bagno maria (temp. Max ca. 60°C)
la colla si scioglie.

Eventuali rischi

Non e’ pericolosa per la salute.

Non irrita la pelle.

C’e’ rischio di bruciarsi con la soluzione calda.

Usare normali precauzioni igieniche e dispositivi di protezione individuale

Informazioni sui rifiuti

La colla di coniglio e’ solubile in acqua ed e’ facilmente bio-degradabile.

E’ possibile eliminarla da un impianto di trattamento delle acque dopo diverse


diluizioni.

Imballo

Sacchi di plastica da kg. 25. Altri imballi su richiesta.

Informazioni ecologiche

E’ un prodotto naturale e non contiene alcuna sostanza chimica pericolosa per la


salute.

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