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Per motilità gastrointestinale si intende l’insieme di moviementi cui va incontro la parete degli
organi del sistema digerente.
La muscolatura è striata, quindi volontaria, solo nella bocca, faringe, esofago superiore e nello
sfintere anale esterno; a tutti gli altri livelli la muscolatura è liscia e associata a cellule pacemaker
dette cellule interstiziali di Cajal, l’attività contrattile è pertanto puramente miogena.
Esiste una certa eterogeneticità di frequenza contrattile in quanto ci sono zone caratterizzate da
contrazioni fasiche e altre da contrazioni toniche. Il SNE organizza l’attività motoria in modo da
ottimizzare il comportamento per le differenti situazioni fisiologiche.
L’attività motoria dei vari organi è organizzata in modo da garantire ad ognuno una specifica
funzione; in ogni caso la risultante è sempre dovuta ad una coordinazione tra contrazione e
rilasciamento. L’attività contrattile è in grado di generare forze propulsive atte a spingere il cibo, il
rilasciamento muscolare garantisce invece l’ordinata progressione aborale del materiale ingerito
tramite l’apertura degli sfinteri e l’azione recettiva degli organi.
Nello stomaco distale e nell’intestino tenue e crasso le CIC danno origine a onde elettriche lente che
danno il ritmo basale o attività elettrica di controllo. Le CIC sono interconnesse tra loro e con le
fibre muscolari lisce della parete muscolare mediante gap junctions così da formare un sincizio
elettrico funzionale. Le onde elettriche lente si propagano passivamente così a tutto il tessuto
muscolare, esse sono definite come fluttuazioni ritmiche del potenziale di membrana delle cellule
muscolari in cui è possibile distinguere varie fasi. (fare grafico come cuore al posto Na entra Ca da
-65 a + 35mV).
Quando un’onda elettrica lenta supera il valore soglia si possono generare uno o più potenziali
d’azione a cui si associa la contrazione. Quando i potenziali d’azione si associano alle onde
elettriche lente si ha la fase di plateau. I potenziali d’azione sono dovuti essenzialmente al
movimento di Ca2+ e K+.
In un determinato segmento intestinale si ha contrazione solo quando i neuroni inibitori del SNE di
quel segmento non sono attivi. I motoneuroni inibitori controllano il momento in cui il ritmo
elettrico basale può dare inizio alla contrazione e determinano la distanza e la direzione di
propagazione della contrazione, tali motoneuroni sono per lo più sempre attivi, perciò la
contrazione può avvenire quando essi sono a loro volta inibiti da altri neuroni del SNE. A livello
degli sfinteri, invece, i motoneuroni inibitori sono per lo più in fase inattiva.
La motilità gastrointestinale, oltre che dal SNE, presenta anche un’innervazione estrinseca dal SNA
tramite efferenze:
• Parasimpatiche: craniali e sacrali. Il nucleo motore dorsale del vago invia fibre all’esofago
inferiore, stomaco, intestino tenue e crasso prossimale mentre le fibre sacrali provengono dal
segmento S2-S4 e, tramite i nervi pelvici, innervano l’intestino crasso distale, il retto e il
canale anale. Le fibre parasimpatiche contraggono sinapsi colinergiche con i neuroni
gangliari del SNE. Ha azione prevalentemente eccitatoria, in quanto aumenta l’attività
motoria e quella secretoria. Il parasimpatico esplica anche influenze inibitorie come il
rilasciamento dello sfintere esofageo inferiore e il rilasciamento recettivo dello stomaco.
• Ortosimpatico: originano dal midollo toracico e lombare superiore, le fibre pregangliari
contraggono sinapsi colinergiche con i gangli celiaco, mesenterico superiore ed inferiore. Il
trasmettitore postsinaptico è la noradrenalina che inibisce, attraverso circuiti di controllo del
SNE, la motilità.
Si definisce ileo fisiologico l’assenza di movimento nel tenue e nel crasso. È un importante
condizione funzionale controllata dal SNE. Si verifica nella muscolatura circolare ed è il risultato
del continuo stato di attività dei motoneuroni inibitori. Ciò determina assenza di risposta contrattile
in corrispondenza delle onde lente. L’ileo è presente in differenti tratti intestinali, per durata di
tempo variabile e dipende dal tempo intercorso dall’ultimo pasto. Si trasforma in ileo paralitico se
dura più del dovuto.
Sfinteri
La muscolatura è in uno stato di contrazione pressochè persistente. Separano zone a diverso
significato funzionale, svolgono la funzione di valvole unidirezionali. Il loro rilasciamento è
associato all’attivazione di motoneuroni inibitori. Sono:
• Sfintere esofageo inferiore: impedisce il reflusso. Se non tiene perfettamente la mucosa
esofagea può essere esposta al succo gastrico con conseguente dolore retrosternale.
• Sfintere pilorico: impedisce il reflusso del contenuto del duodeno nello stomaco. Anche qui
se non si ha perfetta tenuta la mucosa gastrica viene esposta agli acidi biliari e si ha il
rischio di insorgenza di ulcera gastrica.
• Sfintere di oddi: previene il reflusso nei dotti biliari e pancreatici del contenuto duodenale,
la sua incontinenza provoca gravi danni a queste strutture, un difetto nella sua apertura
provoca invece ittero.
• Sfintere ileocecale: la non perfetta funzionalità provoca un massiccio ingresso di batteri
della flora endogena dal crasso al tenue.
• Sfintere anale interno: impedisce l’uscita incontrollata di feci dall’ano.
MASTICAZIONE E DEGLUTIZIONE
La digestione inizia con la formazione del bolo alimentare che deriva dalla masticazione e
triturazione del cibo e dall’azione della saliva. La masticazione è il risultato del ritmico spostamento
della mandibola cui si associa l’attività coordinata di labbra, lingua e guance. Oltre alla forza
masticatoria, proporzionale alla consistenza del materiale, è determinante l’estensione dell’area di
occlusione tra premolari e molari. La masticazione è un’attività motoria volontaria controllata dalle
aree corticali motorie primaria e supplementare. Nell’estrinsecazione di alcuni movimenti ritmici,
inoltre, interviene un’attività in parte riflessa. I nervi che dirigono la masticazione sono il V°, VII°,
IX°, X° e XII°.
La deglutizione è un’attività motoria più complicata che richiede l’attività coordinata dei muscoli
della parte superiore delle vie digerenti. Si distinguono più fasi:
• Orale: il bolo viene spinto dalla punta della lingua verso il palato duro per passare quindi
nell’orofaringe. Il palato molle e il muscolo costrittore superiore della faringe isolano la
rinofaringe, mentre la respirazione viene inibita grazie alla contrazione dei muscoli laringei
che chiudono la glottide.
• Faringea: il bolo progredisce grazie alla contrazione peristaltica dei muscoli faringei.
• Esofagea: lo sfintere esofageo superiore si rilascia ed il bolo è accolto nella faringe.
La deglutizione è un’attività motoria il cui inizio può essere volontario, ma una volta avviata
prosegue come attività riflessa coordinata.
Afferenze centrali e periferiche centro deglutizione bulbare nucleo V°, VII°, ambiguo e XII°
Il centro della deglutizione dialoga anche con aree del SNC deputate al controllo della fonazione e
della respirazione.
MOTILITA’ ESOFAGEA
L’esofago veicola il bolo sino allo stomaco, è presente un’attività peristaltica di rilievo, dal punto di
vista funzionale l’esofago è diviso in tre regioni: sfintere esofageo superiore, corpo dell’esofago e
sfintere esofageo inferiore. A livello esofageo si può avere peristalsi primaria, che ha inizio con la
deglutizione, e secondaria che interviene quando la primaria non è in grado di spingere il bolo nel
corpo dell’esofago, quest’ultima è innescata dall’attivazione di meccanocettori. Quando non si ha
deglutizione la muscolatura del corpo è rilasciata mentre gli sfinteri sono contratti. Lo stato di
rilasciamento non è però determinato da neuroni inibitori, infatti l’eccitabilità di questa muscolatura
è molto bassa e non si hanno onde elettriche lente, ne consegue che la contrazione non è dovuta a
meccanismi miogeni ma all’attività di motoneuroni eccitatori.
Lo sfintere esofageo superiore si rilascia e i muscoli faringei distali si contrappongono al reflusso, al
momento della deglutizione si ha rilasciamento anche dello sfintere inferiore mediato da impulsi
vagali. La peristalsi esofagea prosegue in direzioni aborale con una velocità compresa tra i 2 e i 6
cm/s.
MOTILIA’ GASTRICA
Lo stomaco, da un punto di vista fisiologico, viene diviso in due regioni: serbatoio (fondo e terzo
prossimale del corpo) e pompa antrale (2/3 distali del corpo, antro e piloro).
Il serbatoio è sede di contrazioni toniche; esso svolge due funzioni: riceve il materiale alimentare e
esercita su di esso una pressione costante. La muscolatura del serbatoio è innervata da motoneuroni
del SNE, sia eccitatori che inibitori, questi sono a loro volta sotto il controllo del vago e dei
microcircuiti del SNE stesso. Se aumenta l’attività dei motoneuroni eccitatori si ha un incremento
del tono contrattile, una diminuzione del volume e un aumento della pressione intraluminale. Un
aumento dell’attività dei motoneuroni inibitori provoca effetti contrari. Il rilasciamento del
serbatoio può essere di tre tipi:
• Recettivo: iniziato dall’atto deglutitorio, avviene per via riflessa a partire da meccanocettori
faringei che stimolano il complesso dorsale del vago che attiva i motoneuroni inibitori.
• Adattativo: conseguente alla distensione di se stesso, è un riflesso vago-vagale che parte
dalla stimolazione di recettori di stiramento della parete gastrica che scaricano sul
complesso dorsale del vago da cui partono fibre efferenti ai motoneuroni inibitori.
• A feedback: determinato dalla presenza di materiale ingerito nel tenue. È dovuto sia a
riflessi locali a partire da recettori intestinali che al rilascio da parte delle cellule endocrine
intestinali di ormoni che per via ematca raggiungono il SNE gastrico influenzandolo.
La pompa antrale è invece sede di contrazioni fasiche. I potenziali d’azione originano da un
pacemaker localizzato nella metà distale del corpo gastrico che innesca una contrazione ad anello. I
potenziali d’azione hanno una frequenza di 3/min e una durata di 5 sec e sono caratterizzati dalle
classiche 4 fasi del potenziale d’azione. La motilità propulsiva della pompa è caratterizzata da due
componenti:
• Contrazione primaria: associata alla fase di depolarizzazione.
• Contrazione secondaria: associata alla fase di plateau.
I potenziali d’azione sono generati senza sosta dalla regione pacemaker ma innescano la
contrazione secondaria solo quando il plateau è al di sopra di un determinato valore soglia. Quando
la contrazione primaria raggiunge l’antro lo sfintere pilorico si contrae energicamente e si chiude
lasciando passare un singolo fiotto di materiale, la contrazione secondaria sopraggiunge poco dopo
e, trovando lo sfintere chiuso, da origine alla retropulsione a getto. Tali movimenti, ripetuti
ciclicamente, sono alla base della formazione del chimo gastrico (particolato di diametro compreso
tra 1 e 7 mm) indispensabile perché il materiale gastrico possa passare, attraverso lo sfintere
pilorico, nel duodeno. I potenziali d’azione sono di origine miogena, tuttavia essi vengono modulati
da motoneuroni del SNE. Essi regolano l’ampiezza del plateau, quindi la forza della contrazione
secondaria. I motoneuroni enterici modulano il quantitativo di neurotrasmettitore liberato,
determinano l’ampiezza del plateau su cui si possono inserire potenziali a punta che innescano brevi
contrazioni fasiche che contribuiscono alla funzione sfinterale del piloro.
Un’altra importante funzione è quella inerente lo svuotamento. Il passaggio del chimo deve essere
lento e graduale in quanto i due ambienti sono molto diversi tra di loro. Lo svuotamento è regolato
in via nervosa per compensare tutte le possibili variazioni di:
• Volume: tanto maggiore è il volume iniziale quanto maggiore sarà la velocità di
svuotamento.
• Composizione e stato fisico: il materiale liquido si svuota più velocemente di quello solido.
Il ritardo del materiale solido è dovuto alla necessità di sminuzzamento dello stesso da parte
della pompa. Lo stomaco distale esercita un’azione di setaccio facendo passare per prime le
particelle con diametro minore di 7 mm. Oltre alle dimensioni iniziali anche osmolarità, pH
e valore energetico influenzano lo svuotamento. I liquidi iper e ipotonici sono svuotati più
lentamente degli isotonici. La velocità diminuisce al calare del pH in quanto l’acidità del
chimo provoca nel duodeno il rilascio di secretina che inibisce la motilità antrale e aumenta
la costrizione pilorica. Alimenti ad alto contenuto calorico passano più lentamente. Ne
consegue che un pasto lipidico sia svuotato più lentamente rispetto ad uno di carboidrati o
proteine, in particolare tale lentezza è determinata dalla colecistochinina, potente inibitore
dello svuotamento, e dal peptide inibitore gastrico GIP entrambi prodotti da duodeno e
digiuno in seguito all’ingresso di materiale proteico.
MOTILITA’ CRASSO
Il crasso è caratterizzato da un’attività motoria pressoché continua, a livello di esso si ha un
mescolamento dei contenuti luminali derivati dai singoli pasti. Il crasso è una struttura tubulare di
circa un metro e si divide in cieco, colon ascendente, trasverso, discendente, sigmoideo e retto. Il
diametro è maggiore del tenue e le sue pareti presentano estroflessioni sacculari dovute alla motilità
del crasso e alle tenie. Il tempo di percorrenza del crasso è di 36/48 ore.
• Cieco e colon ascendente: accoglie il contenuto in arrivo dal tenue senza un notevole
aumento di pressione intraluminale, grazie ad un meccanismo neuromuscolare di rilascio.
Nel cieco e nel colon sono localizzati chemocettori e meccanocettori per il controllo a
feedback sul passaggio di materiale dall’ileo. Il tempo di permanenza del materiale è
relativamente breve (1-2 ore). L’attività motoria è caratterizzata da propulsione peristaltica
ortograda e retrograda.
• Colon trasverso e discendente: il materiale vi rimane per circa 24 ore. Ciò fa pensare che
questa area sia la regione deputata prevalentemente al riassorbimento di acqua ed elettroliti.
Il lentissimo fluire è dovuto a movimenti di segmentazioni dati da contrazioni ad anello che
dividono il crasso in sacculazioni dette haustra, da qui il nome haustrazioni per indicare
l’attività motoria. L’ haustrazione è un’attività motoria dinamica caratterizzata dalla
formazione di haustra in un certo numero di punti seguita dalla loro scomparsa e
riformazione in altri punti. Durante l’attività motoria il segmento propulsivo spinge il
contenuto luminale verso quello recettivo (l’haustra) sia in direzione orale che aborale,
favorendo il rimescolamento e l’assorbimento. Il colon discendente sembra svolgere
essenzialmente un ruolo di conduzione, questa zona è caratterizzata da movimenti di massa
generati dal SNE il cui fine è lo spostamento delle feci verso l’ano. I movimenti di massa
possono essere innescati dall’aumentato arrivo di materiale luminale nel cieco (riflesso
gastrocolico). In condizioni fisiologiche essi iniziano a metà del colon trasverso e sono
preceduti dal rilasciamento dello strato circolare e dalla cessazione dei movimenti di
haustrazione. Così si può spingere il contenuto alla velocità di 5 cm/min.
• Regione rettosigmoidea e canale anale: la regione retto-sigmoidea svolge la funzione di
serbatoio distensibile la cui capacità è di circa 500ml. Nella fisiologia di questo tratto hanno
un ruolo fondamentale i muscoli del pavimento pelvico che nel complesso prendono il nome
di muscoli elevatori dell’ano e svolgono un ruolo chiave nella continenza fecale. Dopo la
defecazione la contrazione del muscolo puborettale porta al restringimento del lume creando
così una sorta di valvola fisiologica. Il canale anale, inoltre, presenta due sfinteri: uno
interno, con fibre muscolari lisce, e uno esterno con fibre striate. Nel retto sono presenti
meccanocettori che rilevano il grado di distensione di questa regione e inviano fibre al SNE.
La porzione terminale del canale anale, invece, presenta barocettori, termocettori e
nocicettori connessi con il SNC. Quando il volume dei materiali fecali è scarso il passaggio
è impedito, mentre quando è elevato la distensione innesca il riflesso rettoanale col
rilasciamento dello sfintere interno, ciò fa si che i recettori della parete del canale anale
inviino segnali al SNC (riflesso rettoanale) che da il via alla defecazione. Il soggetto può
volontariamente decidere se defecare o meno. La defecazione è sotto controllo di numerosi
centri nervosi:
o Centro sopraspinale della defecazione: ponte, vicino al centro della minzione.
o Centro anospinale: tratto toraco-lombare T10-L2 e sacrale S1-S3. le efferenze
simpatiche originate dal primo tratto inibiscono la muscolatura liscia rettale ed
eccitano lo sfintere interno stimolando quindi la continenza, le fibre parasimpatiche
derivate dal secondo tratto stimolano invece l’espulsione dando contrazione
muscolare liscia rettale e rilascio dello sfintere interno. Le efferenze motrici
somatiche innervano invece lo sfintere anale esterno.
SECREZIONE GASTRICA
Il succo gastrico è prodotto dall’eterogenea popolazione cellulare dallo stomaco in quantità di circa
2-3l/d. È una soluzione acquosa di elettroliti e proteine tra le quali cinque hanno un notevole ruolo
fisiologico: H+, pepsina, lipasi, muco e fattore intrinseco (quest’ultimo è l’unico componente
essenziale in quanto la sua assenza non può essere riparata in altro modo).
L’H+ attiva il pepsinogeno trasformandolo in pepsina, svolge inoltre un’importante azione
disinfettante (ad eccezione dell’helicobacter pilori capace di resistere all’acidità dello stomaco). La
pepsina inizia la digestine delle proteine. Il fattore intrinseco contribuisce all’assorbimento della
vitamina B12; il muco riveste la superficie interna gastrica e agisce come lubrificante e barriera
diluizionale contribuendo a preservare l’integrità dell’organo dall’azione del succo gastrico, esso
infatti costituisce, assieme allo ione bicarbonato, la componente principale della barriera mucosale
gastrica.
Dal punto di vista funzionale la mucosa gastrica può essere divisa in tre zone:
• Area ghiandolare cardiale: 5% del totale, con ghiandole secernenti essenzialmente muco.
• Area ghiandolare ossintica: 75%, secerne acido.
• Area ghiandolare pilorica: 20%, produce essenzialmente gastrina.
La mucosa gastrica è composta da fossette gastriche rivestite da cellule mucose e tubi ghiandolari
che si aprono sul loro fondo.
Le ghiandole ossintiche sono caratterizzate dalla presenza di cellule:
• Parietali: producono l’acido e il fattore intrinseco. Sono circa un miliardo e producono H+
alla concentrazione di 150-160 mEq/l. Il numero di cellule parietali è alla base della capacità
secretoria massima, il dispendio energetico per la produzione di H+ è elevato e per tale
motivo le cellule sono ricche di mitocondri, presentano inoltre un canalicolo intracellulare in
continuità con il lume ghiandolare attraverso cui vengono secreti gli idrogenioni. In fase
basale il citoplasma presenta un gran numero di tubulovescicole che scompaiono in seguito
ad uno stimolo secretorio fondendosi con la membrana plasmatica e diventando microvilli
del canalicolo. L’anidrasi carbonica e la pompa H+-K+ ATP-asi sono localizzate nei
microvilli e la loro attività aumenta in fase secretoria. Dall’applicazione di uno stimolo
occorrono 10 minuti prima che si verifichi la risposta secretoria a causa del tempo di
attivazione di questi enzimi.
• Mucose: sono caratterizzate dalla presenza di numerosi granuli di muco secreto per
esocitosi.
• Principali: sintetizzano il pepsinogeno e la lipasi gastrica. Presentano un RER
particolarmente sviluppato e il citoplasma è ricco di granuli di zimogeno.
• Endocrine: le più importanti sono le enterocromaffini-simili che producono istamina e le
cellule D che producono somatostatina. Il citoplasma è ricco di granuli localizzati alla base,
in modo da poter essere secreti negli spazi intercellulari e diffondere quindi nei capillari.
Secrezione di HCl:
1. all’interno delle cellule parietali si ha una prima reazione: H2O OH-+H+
2. seconda reazione catalizzata dall’anidrasi carbonica: OH-+CO2 HCO3-
3. H+ come ione idronio (H3O+) viene pompato attivamente nel lume gastrico. Il trasporto
attivo è catalizzato dalla pompa protonica per un processo di cotrasporto in cui un H+ è
pompato nel lume e scambiato con un K+. Questo si accumula nella cellula per attività della
pompa sodio potassio e tende a fuoriuscire per gradiente nel lume. Pertanto la pompa
protonica riusa il K+ luminale. All’estrusione attiva di H+ consegue un accumulo di OH- che
favorisce la formazione di HCO3-, questo diffonde nel torrente circolatorio tramite un
antiporto col Cl- che dalla cellula passa poi nel lume. Per tale motivo il pH del sangue
venoso refluo è più alcalino di quello arterioso, è questa la marea alcalina prandiale, la
formazione di bicarbonato è catalizzata dall’anidrasi carbonica. Nella cellula parietale non
stimolata la pompa protonica è localizzata a livello delle tubulovescicole, in quella
stimolata, queste si fondono con la membrana in modo da aumentare la superficie secretoria
e il numero delle pompe. Al cessare dello stimolo le tubulovescicole si riformano e la
superficie canalicolare si riduce.
Elettroliti del succo gastrico: la concentrazione elettrolitica del succo gastrico varia in base alla
velocità di secrezione: se questa è bassa il succo sarà una secrezione di NaCl con basso contenuto di
H+ e K+; se questa è massima sarà invece una soluzione di HCl con basso contenuto di Na+ e K+. In
ogni caso il succo gastrico ha una concentrazione di H+, K+ e Cl- sempre superiore al plasma mentre
quella di Na+ è sempre inferiore. Inoltre il succo gastrico è sempre isotonico rispetto al plasma. Per
capire tali cambiamenti nella sua concentrazione è bene considerare il succo gastrico come il
risultato di due distinti processi di secrezione (modello a due componenti):
• Non parietale: alcalina costante con un contenuto di Na+, K+ e Cl- praticamente equivalente a
quello plasmatico, questa secrezione è attiva anche non in fase di digestione.
• Parietale: leggermente iperosmotica e contenente 150-160 mEq/l di H+, 10-20 mEq/l di K+
mentre il solo anione presente è il Cl-. All’aumentare della velocità di secrezione, dovuta
esclusivamente all’incremento della secrezione parietale, la concentrazione del succo
gastrico diventa sempre più simile a quella della secrezione parietale pura.
Pepsina: deriva dal pepsinogeno che a pH inferiore a 5 viene convertito. La pepsina è a sua volta in
grado di catalizzare la conversione del tripsinogeno in tripsina. La pepsina inizia la digestione
proteica scindendo i legami peptidici interni. Esistono due tipi di pepsinogeno: I secreto dalle
cellule principali mucose delle ghiandole ossintiche; II secreto dalle cellule mucose della mucosa
antrale e duodenale. Il più potente stimolatore della secrezione è l’Ach liberato da efferenze vagali.
L’acido gastrico inoltre innesca un riflesso colinergico locale che stimola la secrezione delle cellule
principali potenziando l’effetto di altre stimolazioni sulle cellule principali. Infine l’acido causa la
secrezione di secretina da parte della mucosa duodenale, che stimolerebbe la secrezione di
pepsinogeno; anche la gastrina sembrerebbe svolgere lo stesso ruolo.
Lipasi gastrica: contribuisce alla digestione dei trigliceridi. È secreta dalle cellule principali delle
ghiandole ossintiche. Nella sua struttura è presente l’aspargina glicosilata responsabile della
resistenza alla proteolisi peptica ed essenziale per la funzionalità della proteina. Il suo pH ottimale è
di 5, non è secreta in grandi quantità e la sua azione è inibita dagli acidi biliari. La sua attività
specifica è uguale a quella dell’enzima pancreatico, in caso di insufficienza di quest’organo è infatti
in grado di sopperire per garantire la corretta digestione. Il passaggio di lipidi nel duodeno inibisce
la secrezione di lipasi gastrica per via umorale, probabilmente mediato dal peptidil-glucagone
simile al tipo I prodotto dalle cellule endocrine intestinali di tipo L.
Muco: il muco solubile è prodotto dalle cellule mucose del colletto grazie alla stimolazione vagale
ed alla liberazione di Ach. Consta di mucoproteine e ha funzione lubrificante. Le cellule mucose di
superficie, invece, secernono un muco insolubile che ha solo funzione protettiva venendo a
costituire la componente preepiteliale della barriera mucosale gastrica. Il muco protegge la mucosa
da danni di natura fisica e chimica neutralizzando l’acido. In contatto con l’acido genera peraltro la
parziale precipitazione del muco insolubile in flocculi che passano nel duodeno.
Fattore intrinseco: è una mucoproteina secreta dalle cellule parietali. Si lega alla vitamina B12 a
livello duodenale e contribuisce al suo riassorbimento. L’incapacità di produrlo causa una patologia
nota come anemia perniciosa.
L'alfa-amilasi salivare e strettamente dipendente dalla permanenza degli alimenti nel cavo orale, è
rapidamente inattivata dall'acidità gastrica.
L'alfa-amilasi pancreatica è in grado di garantire la digestione di tutto l'amido ingerito, solo in caso
di insufficienza pancreatica gravissima, con produzione di alfa-amilasi inferiore al 10% del
normale.
I prodotti della digestione intraluminale dell'amido non possono tuttavia essere assorbiti come tali,
ma devono essere ulteriormente idrolizzati ad opera di specifici enzimi presenti a livello della
membrana microvillare degli enterociti.
Tra questi enzimi si possono citare:
− la lattasi, che idrolizza il lattosio a una molecola di glucosio e una di galattosio:
− la saccarasi isomaltasi, che con la sua subunità ad azione saccarasica idrolizza il saccarosio in
una molecola di glucosio e una di fruttosio, e con entrambe le subunità stacca le molecole di
glucosio dalle estremità delle destrine alfa-limite;
− la maltasi, che libera monomeri di glucosio da oligosaccaridi;
− la destrinasi alfa-limite che determina la liberazione di molecole di glucosio in vicinanza del
trasportatore per gli esosi.
Attraverso tutta questa serie di processi i carboidrati alimentari vengono trasformati in una miscela
di tre monosaccaridi (glucosio, galattosio e fruttosio).
Il trasporto attivo di glucosio e galattosio è svolto da una proteina , la SGLT1, che opera un
cotrasporto con il Na+. La Na+/K+ ATPasi sul versante basoltarela della membrana plasmatica
mantiene una bassa concentrazione intracellulare di Na+, che può quindi entrare secondo gradiente
a livello della membrana microvillare portando con sè glucosio o galattosio. La maggior parte del
glucosio e del galattosio che entra nella cellula la lascia attraverso la membrana basolaterale per
diffusione facilitata mediata dal trasportatore GLUT2.
L'assorbimento del fruttosio avviene invece per diffusione facilitata mediata dal trasportatore
GLUT5. Una volta dentro la cellula il fruttosio la lascia o mediante lo stesso trasportatore GLUT5,
espresso anche sulla membrana basolaterale, o attraverso il trasportatore GLUT2.
Digestione intraluminale
La digestione delle proteine inizia nello stomaco ad opera delle pepsine gastriche, esse sono
prodotte dalle cellule principali sotto forma di proenzimi inattivi (pepsinogeno) in grado di
autoattivarsi in ambiente acido. Immunologicamente sono distinti due gruppi: pepsina I e II. La loro
specificità per il substrato è identica, il pH ottimale varia leggermente ma entrambe sono inattivate
reversibilmente a pH superiore a 5 e irreversibilmente a pH 7. Le proteasi sono classificate in endo
ed esopeptidasi in base alla localizzazione dei legami peptidici sui quali hanno la massima attività
(endo interni ed eso verso le estremità). Le pepsine sono endopeptidasi che determinano la
riduzione di peptidi ed aminoacidi liberi in maniera ridotta, l’azione delle pepsine è influenzata
dalla velocità di svuotamento gastrico, dal pH e dal tipo di proteine ingerite.
La completa digestione delle proteine è poi assicurata dalle proteasi pancreatiche che possono
sopperire alla mancanza di quelle gastriche. Esse sono prodotte dalle cellule acinari del pancreas e
convertite nella forma attiva nel duodeno ad opera delle enterochinasi presenti sulla superficie della
mucosa microvillare e liberate ad opera degli acidi biliari. Queste ultime rimuovono un esapeptide
dall’estremita N-terminale del tripsinogeno convertendolo in tripsina che esplica la stessa azione su
altri proenzimi e sul tripsinogeno stesso. Si formano così tripsina, chimotripsina ed elastasi che
sono endopeptidasi che ionizzano i legami peptidici che coinvolgono determinati aminoacidi
all’interno della molecola proteica, e carbossipeptidasi A e B che sono invece esopeptidasi che
staccano un aminoacido per volta dall’estremità C-terminale del peptide. Dall’azione combinata di
eso ed endopeptidasi deriva una miscela di aminoacidi (30%) ed oligopeptidi (70%).
Quindi i prodotti della digestione degli aminoacidi non entrano nell’enterocito solo come
aminoacidi liberi ma anche come di e tripeptidi. Questi ultimi subiscono un’ultima digestione
all’interno dell’enterocito stesso ad opera di peptidasi enterocitario in modo tale che nel sangue
passino solo aminoacidi liberi. In effetti sono presenti sulla membrana microvillare e nel citoplasma
enterocitario varie peptidasi deputate all’idrolisi degli oligopeptidi con un numero massimo di 8
aminoacidi. Vi sono però alcune differenze tra i due tipi di peptidasi: quelle microvillari sono
deputate all’idrolisi degli oligopeptidi più grossi (4-8 aa) mentre le citoplasmatiche di quelli più
piccoli. La maggior parte delle oligopeptidasi sono aminopeptidasi, distaccano cioè singoli
aminoacidi dall’estremità N-terminale. La lunghezza dei peptidi condiziona, oltre al luogo,
ovviamente anche la velocità di idrolisi (massima per i tripeptidi, minima per i dipeptidi e
intermedia per i tetra-penta). Le peptidasi più importanti sono: l’aminopeptidasi A che idrolizza
essenzialmente i dipeptidi con aminoacido acido al N-terminale e le dipeptidasi I e III che
idrolizzano rispettivamente dipeptidi con metionina e glicina.
Assorbimento
È diverso per gli oligopeptidi e gli aminoacidi:
di e tripeptidi: sono captati dagli enterociti grazie ad un unico trasportatore caratterizzato da una
diversa affinità per i vari ligandi in base alla diversa lunghezza e composizione proteica. Il
trasportatore è l’hPept1 espresso solo dagli enterociti del tenue e sfrutta un gradiente elettrico
transmembrana per gli ioni H+ (creato da uno scambiatore Na-H apicale e la pompa sodio potassio
basolaterale) per cotrasportare insieme ad esso gli oligopeptidi.
Aminoacidi: utilizzano un gran numero di meccanismi di trasporto attivo, di diffusione facilitata e
in minima parte di diffusione semplice, si compone di varie fasi:
1. trasporto attraverso la membrana microvillare: sono stati identificati almeno sette diversi
sistemi di trasporto. 5 sfruttano il cotrasporto con il sodio e di questi due richiedono anche la
presenza di cloro e due operano la captazione sodio dipendente per diffusione facilitata.
2. trasporto attraverso la membrana basolaterale: sono stati identeificati almeno 5 sistemi di
trasporto di cui 3 sodio indipendenti che probabilmente sono deputati alla diffusione
facilitata dall’enterocito verso il sangue, e 2 sodio dipendenti deputati al trasporto attivo
secondario dal sangue verso l’interno dell’enterocito nel periodo interprandiale.
Digestione trigliceridi: le lipasi producono una lipolisi eliminando acidi grassi dallo scheletro
glicerico dei trigliceridi emulsionati. Questo processo inizia già a livello gastrico e buccale ad opera
delle lipasi linguale e gastrica. Tali enzimi sono definiti lipasi preduodenali. Il loro significato
funzionale nell’adulto sano è la liberazione nello stomaco di acidi grassi a catena lunga che
stimolano la secrezione di colecistochinina, la quale a sua volta provoca la secrezione gastrica e
pancreatica di lipasi; e la liberazione di acidi grassi che favoriscono l’azione della lipasi pancreatica
facilitando il legame tra questa e le goccioline da emulsionare.
Formazione micelle miste: i prodotti della lipolisi si distribuiscono tra la fase acquosa, intermedia e
oleosa per essere trasferiti dal lume alla membrana microvillare dove vengono assorbiti. In questa
azione ha fondamentale importanza la formazione di micelle miste con gli acidi biliari. Le micelle
di acidi biliari solubilizzano acidi grassi, monogliceridi e colesterolo ma non i trigliceridi e formano
micelle miste con un diametro compreso tra i 50 e gli 80nm; molto più piccole di quelle di
emulsione, e danno alla soluzione che le contiene un aspetto limpido e non lattescente. Anche i
cristalli liquidi lipidici, strutture vescicolari della superficie delle goccioline di membrana,
contribuiscono al trasferimento di lipidi ma scompaiono in presenza di acidi biliari.
Attraversamento della membrana microvillare: sulla superficie luminale dell’epitelio è presente uno
strato di acqua stazionario spesso 40 micron che ostacola il passaggio degli acidi grassi a lunga
catena ma non di quelli a catena corta o intermedia. Il microambiente iuxtacellulare enterocitario
presenta un pH acido a causa dello scambiatore Na/H, questo fatto diminuisce la solubilità degli
acidi grassi nelle micelle determinando la liberazione degli stessi. L’alta concentrazione di acidi
grassi favorisce la diffusione passiva semplice. All’interno dell’enterocita, a causa di pH neutro, gli
acidi grassi vanno incontro a dissociazione (forma ionizzata) rimanendo intrappolati all’interno in
quanto la permeabilità di membrana per la forma dissociata è bassa; il colesterolo è facilmente
assorbito a livello del tenue.
Fasi intracellulari dell’assorbimento:
1. legame acidi grassi-proteine FABP. Esse hanno un’alta affinità per gli acidi grassi insaturi e
sono di due tipi: I-intestinali ed L dal fegato (lung) in base all’organo in cui sono state
isolate. Esse trasportano gli acidi grassi sino al RE dove avviene la resintesi dei trigliceridi.
La I lega gli acidi grassi; la L il monoglicerolo e la lipofosfatidilcolina.
2. sintesi trigliceridi nel REL tramite due processi:
a. via del monogliceride: il monogliceride è esterificato con gli acidi grassi assorbiti
che sono stati attivati ad acilCoA ad opera dell’acilCoA ligasi. Si ha formazione di
digliceridi e trigliceridi che favorisce l’assorbimento dal lume di acidi grassi a catena
lunga.
b. Via dell’α-glicerofosfato: durante il digiuno si ha la formazione di trigliceridi
mediante acilazione dell’α-glicerofosfato (sintetizzato a partire dal glucosio) con la
formazione di acido fosfatidico e quindi di trigliceride o fosfolipide.
Durante l’assorbimento postprandiale vi è massiccia disponibilità di 2-monogliceride e acidi grassi,
ciò favorisce la via dei monogliceride inibendo l’altra, nei periodi di digiuno invece diviene
preponderante la via dell’α-glicerofosfato.
Uscita dall'enterocito: per poter uscire dall'enterocito, i trigliceridi, il colesterolo e i suoi esteri e i
fosfolipidi devono essere assemblati in particelle complesse dette chilomicroni e VLDL, i primi
predominanti durante i periodi di assorbimento postprandiali, i secondi durante i periodi
interprandiali.
Una volta che i chilomicroni sono assemblati nel REL vengono trasferiti all'apparato di Golgi, da
cui gemmano vescicole contenenti chilomicroni, che si portano poi a livello della membrana
basolaterale fondendosi con la stessa e per esocitosi liberano i chilomicroni nello spazio
interstiziale. Da qui i chilomicroni attraversano la membrana basale ed entrano nei vasi linfatici.
Acido ascorbico (vitamina C): l’uomo non è in grado di sintetizzarlo, è abbondante nella frutta e
nella verdura, se ne dovrebbero assumere 40 mg/d. Inoltre la cottura e la lunga conservazione ne
distruggerebbe una parte. Viene assorbita dagli enterociti per trasporto attivo secondario Na-
dipendente tramite un trasportatore presente in due isoforme: hsvct1 e 2. Una parte della vitamina C
si presenta in forma ossidata ed anche essa è attivamente assorbita. La sua assenza causa scorbuto.
Acido folico: consiste in una pterina coniugata con acido paraminobenzoico e acido glutammico. È
molto presente negli spinaci e nel fegato bovino, ha una dose giornaliera di 200μg (400 in
gravidanza). L’assorbimento di poliglutammati (forma in cui è più presente) richiede una
preliminare digestione ad opera delle idrolasi della membrana microvillare (inibite da alcool). La
captazione avviene tramite uno specifico trasportatore stimolato dalla presenza extracellulare di
sodio e dal pH acido.
Cobalamina (vitamina B12): presente solo in alimenti di origine animale sotto forma di idrossi-,
metil- e adenosilcobalamina. Ne è richiesto un apporto giornaliero di 1-2 μg/d. Il suo riassorbimento
è complesso e richiede l’intervento di 4 diversi tipi di proteine in grado di legarla, presenti nella
saliva, nel succo gastrico, nell’enterocito e nel sangue.
Nello stomaco l’acidità provoca la dissociazione della vitamina B12 dalle altre proteine cui è
associata, essa si lega quindi all’aptocorrina salivare, soprattutto a valori di pH inferiori a 3 che
inibiscono il legame col fattore intrinseco che ha in questo momento affinità molto minore rispetto
all’aptocorrina.
Nel duodeno l’aptocorrina è idrolizzata dalle proteasi pancreatiche e la B12 si lega al fattore
intrinseco gastrico che la trasporta sino all’ileo.
Nell' ileo terminale il recettore è formato dal complesso cubilina-megalina. Dopo il legame, il
supercomplesso cubilina-megalina-cobalamina-fattore intrinseco è portato dentro l’enterocito
tramite vescicole di endocitosi rivestite di clatrina.
Nell' enterocito il complesso si divide in due parti: il recettore si stacca e torna alla membrana
plasmatica, il complesso cobalamina/fattore intrinseco viene portato ai lisosomi, a questo livello il
fattore intrinseco è degradato mentre la B12 torna nel citoplasma. Da qui parte viene trattenuta nei
mitocondri ma per lo più fuoriesce dall'enterocito.
Fuori dall’enterocito la B12 si lega alla transcobalamina II che ne assicura il trasporto nel torrente
sanguigno.
Un processo così complesso può essere bloccato a più livelli bloccando così l’assorbimento della
cobalamina. In assenza di fattore intrinseco solo l’1-2% della B12 introdotta con la dieta viene
assorbita probabilmente per diffusione semplice nel tenue, l’avitaminosi di questa vitamina prende
il nome di anemia perniciosa.
Vitamine liposolubili.
Sono tutte lipidi polari insolubili in acqua:
Vitamina A: è il retinolo, presente nel latte, nei suoi derivati, nel tuorlo d’uovo e nell’olio di pesce.
Il β-carotene è il suo precursore ed è costituito da due molecole di retinolo unite tra di loro, è
presente nella verdura e soprattutto nelle carote, vengono entrambi assorbiti nel tenue. Il β-carotene
viene prima scisso in due molecole di retinolo. L’entrata della vitamina A sembra avvenire per
diffusione semplice, mentre il rilascio dall’enterocito come retinil-palmitato è associato ai
chilomicroni.
Vitamina D: sono steroli ad azione antirachitica, tra di essi i più importanti sono l’ergocalciferolo
(vit D2) e il colecalciferolo (vit D3) prodotti dall’azione dei raggi UV sui loro precursori. Il
colecalciferolo è presente in ben pochi alimenti come olio di pesce e latte umano. La sua sintesi è
soprattutto endogena nella cute. Viene assorbito per diffusione semplice e a pH acido.
Vitamina E: gruppo di almeno 8 tocoferoli di cui il più importante è l’α-tocoferolo. Non esistono
patologie, nell’uomo, associabili ad un deficit. Viene assorbito nel tenue per diffusione semplice e
lascia l’enterocito per la circolazione linfatica immodificato. È presente in oli vegetali, cereali, uovo
e frutta.
Vitamina K: si definisce così sia il fillochinone (K1 di origine vegetale) che i
multiprenilmenachinoni (K2 origine batterica). La K1 è la forma più importante, presente nella
verdura e nel fegato bovino, viene assorbita nel tenue tramite un trasportatore. La K2 viene prodotta
dalla flora endogena del colon ed è assorbita per diffusione semplice.
Funzione metabolica
• Metabolismo dei carboidrati: il fegato interviene nell’omeostasi del glucosio grazie a due
processi metabolici:
o gluconeogenesi: sintesi di glucosio ex novo (240mg/d). Il fegato capta il glucosio
ematico in fase prandiale che entra negli epatociti tramite i trasportatori Glut2 Na-
indipendenti e non soggetti al controllo insulinico. Il glucosio viene convertito
dall’esochinasi in glucosio6P che può quindi essere avviato alla sintesi di glicogeno
per il deposito o alla glicolisi per la produzione di energia.
o Glicogenosintesi: sintesi del glicogeno, principale forma di deposito intraepatico dei
carboidrati. Avviene durante i periodi prandiali a partire dal glucosio e dal piruvato o
dal lattato. Durante il digiuno si verifica la glicogenolisi per mobilitare le riserve
energetiche. Dal glicogeno vengono scissi glucosi1P convertito poi in glucosio6P
convertito infine dalla glucosio6fosfatasi in glucosio che può quindi raggiungere il
torrente circolatorio.
Il metabolismo epatico dei carboidrati è sotto stretto controllo umorale soprattutto da
parte dell’insulina pancreatica che agisce sugli enzimi coinvolti nel metabolismo dei
carboidrati a livello trascrizionale e post-trascrizionale favorendo la glicogenosintesi ed
inibendo la glicogenolisi e la gluconeogenesi. Il glucagone, il GH, le catecolamine e i
corticosteroidi hanno invece effetto opposto.
• Metabolismo delle proteine e aminoacidi: nel fegato avviene la sintesi di numerose proteine
a partire da aminoacidi che possono essere di origine intestinale o prodotti dal metabolismo
intraepatico tramite transaminazione degli α-chetoacidi ad opera delle transaminasi. Un
aumento della concentrazione sierica delle transaminasi (AST e ALT) causata dalla loro
fuoriuscita dagli epatociti danneggiati è da considerarsi un importante indice di danno
epatico. Il fegato sintetizza numerose proteine del siero:
o Albumina: trasporta molte sostanze sia endogene (ac. Grassi e biliari) che esogene
(farmaci) e gioca un ruolo chiave nel mantenimento della pressione oncotica del
plasma.
o Transferrina
o Fattori della coagulazione: fibrinogeno e protrombina.
o Fattori anticoagulanti: proteine C e S.
o Proteine della fase acuta: espresse durante l’infiammazione sistemica acuta e cronica
che si pensa abbiano un importante ruolo difensivo.
Il fegato ha inoltre una funzione catabolica sugli aminoacidi con la produzione di
ammoniaca che poi può essere utilizzata per la sintesi di aminoacidi non essenziali o entrare
nel ciclo dell’urea ed essere poi escreta con le urine.
• Metabolismo dei lipidi: acidi grassi e lipoproteine possono essere captati dagli epatociti. Gli
acidi grassi rappresentano un’importante fonte energetica immediata e un’essenziale forma
di deposito, inoltre il glucosio in eccesso può essere trasformato proprio dal fegato in
glicerolo e legato agli acidi grassi a formare trigliceridi. Il fegato regola la sintesi degli acidi
grassi e il loro trasporto agli altri organi in associazione con le lipoproteine. Durante il
digiuno il tessuto adiposo libera acidi grassi che vengono captati dagli epatociti e utilizzati
per i processi di biosintesi e per la produzione di energia. In seguito al pasto, invece, i
chilomicroni sono degradati in periferia e i loro residui sono captati dal fegato per scopo
energetico e per la formazione delle VLDL.
Altra funzione del fegato è la sintesi di apolipoproteine, cioè della parte proteica delle
lipoproteine. Le lipoproteine sono costituite da un guscio esterno proteico e fosfolipidico e
da un nucleo centrale di lipidi neutri. Esse sono state classificate in base alla loro diversa
densità relativa:
o Chilomicroni: trasporto trigliceridi.
o VLDL: a molto bassa densità, trasporto trigliceridi.
o LDL: bassa densità, trasporto colesterolo agli organi.
o IDL: densità intermedia.
o HDL: alta densità, trasporto inverso, dagli organi al fegato, del colesterolo.
La diversa densità dipende dal tipo e dal quantitativo di lipidi contenuti. Il fegato ha un ruolo
fondamentale nel controllo della colesterolermia. Apolipoproteine sono prodotte dal fegato e
assemblate in lipoproteine. Tra le principali abbiamo l’apolipoproteinaB100, la A-I e A-II, la
C e la E. Il fegato, inoltre, catabolizza le lipoproteine: il 70% dei recettori per le LDL sono
localizzati negli epatociti che li captano per endocitosi e li catabolizzano, questo
meccanismo è un importante mezzo di controllo della colesterolemia. La mancata
espressione di questo recettore è caratteristica dell’ipercolesterolemia familiare. Sulla
membrana plasmatica degli epatociti sono presenti anche i recettori per le HDL che
consentono all’epatocito di estrarre il colesterolo senza interiorizzare tutto il complesso.
Funzione di deposito
Il fegato è un importante sede di deposito per carboidrati (sotto forma di glicogeno), ferro,
vitamine liposolubili e alcune idrosolubili come la B12. il colecalciferolo, inoltre, è
trasformato a livello epatico in 25-idrossicolecalciferolo trasformato poi nel rene nel
metabolita attivo 1-25diidrossicolecalciferolo.
Funzione endocrina
Durante la vita fetale le cellule di Kupffer sintetizzano Eritropoietina (Epo). Tale ormone favorisce
l’eritropoiesi. Nella vita adulta l’Epo è prodotta principalmente dai reni mentre il fegato si occua di
circa il 10-15% della produzione totale.
Inoltre il fegato potenzia l'azione di alcuni ormoni (conversione T4 in T3).
Attraverso la produzione di fattori di crescita insulino-simili gioca un ruolo importante per l’azione
complessiva dell’ormone della crescita.
Rimozione ormoni peptidici e loro catabolismo
Funzione emopoietica
È limitata alla vita fetale soprattutto dal 3° al 6° mese. Anche dopo la nascita esso ha un ruolo
chiave perchè garantisce l’apporto di ferro, acido folico e vit B12 al midollo.