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MOTILITA’ GASTROINTESTINALE

Per motilità gastrointestinale si intende l’insieme di moviementi cui va incontro la parete degli
organi del sistema digerente.
La muscolatura è striata, quindi volontaria, solo nella bocca, faringe, esofago superiore e nello
sfintere anale esterno; a tutti gli altri livelli la muscolatura è liscia e associata a cellule pacemaker
dette cellule interstiziali di Cajal, l’attività contrattile è pertanto puramente miogena.
Esiste una certa eterogeneticità di frequenza contrattile in quanto ci sono zone caratterizzate da
contrazioni fasiche e altre da contrazioni toniche. Il SNE organizza l’attività motoria in modo da
ottimizzare il comportamento per le differenti situazioni fisiologiche.
L’attività motoria dei vari organi è organizzata in modo da garantire ad ognuno una specifica
funzione; in ogni caso la risultante è sempre dovuta ad una coordinazione tra contrazione e
rilasciamento. L’attività contrattile è in grado di generare forze propulsive atte a spingere il cibo, il
rilasciamento muscolare garantisce invece l’ordinata progressione aborale del materiale ingerito
tramite l’apertura degli sfinteri e l’azione recettiva degli organi.
Nello stomaco distale e nell’intestino tenue e crasso le CIC danno origine a onde elettriche lente che
danno il ritmo basale o attività elettrica di controllo. Le CIC sono interconnesse tra loro e con le
fibre muscolari lisce della parete muscolare mediante gap junctions così da formare un sincizio
elettrico funzionale. Le onde elettriche lente si propagano passivamente così a tutto il tessuto
muscolare, esse sono definite come fluttuazioni ritmiche del potenziale di membrana delle cellule
muscolari in cui è possibile distinguere varie fasi. (fare grafico come cuore al posto Na entra Ca da
-65 a + 35mV).
Quando un’onda elettrica lenta supera il valore soglia si possono generare uno o più potenziali
d’azione a cui si associa la contrazione. Quando i potenziali d’azione si associano alle onde
elettriche lente si ha la fase di plateau. I potenziali d’azione sono dovuti essenzialmente al
movimento di Ca2+ e K+.
In un determinato segmento intestinale si ha contrazione solo quando i neuroni inibitori del SNE di
quel segmento non sono attivi. I motoneuroni inibitori controllano il momento in cui il ritmo
elettrico basale può dare inizio alla contrazione e determinano la distanza e la direzione di
propagazione della contrazione, tali motoneuroni sono per lo più sempre attivi, perciò la
contrazione può avvenire quando essi sono a loro volta inibiti da altri neuroni del SNE. A livello
degli sfinteri, invece, i motoneuroni inibitori sono per lo più in fase inattiva.

La frequenza delle onde elettriche lente varia lungo il tubo digerente:


• Stomaco distale: 3 onde/min.
• Intestino tenue: diminuisce progressivamente dal duodeno (16-18 onde/min) all’ileo
terminale (8 onde/min).
• Intestino crasso: minimo nel cieco e nel colon prossimale (6/min) massimo nel colon
sigmoideo (10-12/min).

La motilità gastrointestinale, oltre che dal SNE, presenta anche un’innervazione estrinseca dal SNA
tramite efferenze:
• Parasimpatiche: craniali e sacrali. Il nucleo motore dorsale del vago invia fibre all’esofago
inferiore, stomaco, intestino tenue e crasso prossimale mentre le fibre sacrali provengono dal
segmento S2-S4 e, tramite i nervi pelvici, innervano l’intestino crasso distale, il retto e il
canale anale. Le fibre parasimpatiche contraggono sinapsi colinergiche con i neuroni
gangliari del SNE. Ha azione prevalentemente eccitatoria, in quanto aumenta l’attività
motoria e quella secretoria. Il parasimpatico esplica anche influenze inibitorie come il
rilasciamento dello sfintere esofageo inferiore e il rilasciamento recettivo dello stomaco.
• Ortosimpatico: originano dal midollo toracico e lombare superiore, le fibre pregangliari
contraggono sinapsi colinergiche con i gangli celiaco, mesenterico superiore ed inferiore. Il
trasmettitore postsinaptico è la noradrenalina che inibisce, attraverso circuiti di controllo del
SNE, la motilità.

Tipi di funzioni motorie:


• Propulsione: fa in modo che il materiale ingoiato progredisca in senso aborale e a velocità
adeguata in modo da consentire un’ottima digestione ed assorbimento.
• Triturazione: garantisce il fine sminuzzamento affinchè la progressione lungo il tubo non sia
traumatica e venga facilitato l’attacco da parte degli enzimi digestivi.
• Rimescolamento: garantisce che il materiale venga impastato con i succhi digestivi e che
tutti i prodotti vengano in contatto con la mucosa assorbente.
• Serbatoio: tipico di stomaco e intestino crasso, immagazzinare temporaneamente le sostanze
ingerite.

Tipi di attività motoria:


• Peristalsi: garantisce la progressione in senso aborale del materiale ingerito. E la risultante
del circuito riflesso governato dai neuroni del SNE. Durante la peristalsi la muscolatura
assume un atteggiamento stereotipato. Si distinguono in essa due segmenti:
o Propulsivo: spinge il materiale ingerito. Le fibre circolari si contraggono mentre le
longitudinali si rilasciano.
o Recettivo: atteggiamento inverso al propulsivo.
La formazione di due segmenti si può riprodurre sperimentalmente distendendo la parete
intestinale, si ottiene così il riflesso peristaltico. Il circuito di base è costituito da connessioni
sinaptiche tra neuroni sensoriali intrinseci. Interneuroni e neuroni motori. La peristalsi può
procedere anche in senso orale, in questo caso si verifica una retroperistalsi come ad
esempio in caso di ostruzione del tubo digerente. Ad un certo punto la retroperistalsi si
arresta e si instaura una nuova peristalsi che tenta di forzare il punto di occlusione. Durante
il vomito si ha retroperistalsi a livello del tenue, esso è un riflesso innescato dalla
stimolazione dei recettori distribuiti in certe parti del corpo che inviano afferenze al centro
del vomito, localizzato nel bulbo. Sostanze emetiche, cioè in grado di innescare il vomito,
agiscono sulla regione chemocettiva di avviamento, nella regione postrema del pavimento
del 4° ventricolo.
• Segmentazione ritmica: contrazioni ritmiche dello strato muscolare circolare finalizzate a
mescolare e dividere il contenuto luminale.
• Segmentazione tonica: contrazioni prolungate presenti essenzialmente nella porzione
prossimale dello stomaco e negli sfinteri.

Si definisce ileo fisiologico l’assenza di movimento nel tenue e nel crasso. È un importante
condizione funzionale controllata dal SNE. Si verifica nella muscolatura circolare ed è il risultato
del continuo stato di attività dei motoneuroni inibitori. Ciò determina assenza di risposta contrattile
in corrispondenza delle onde lente. L’ileo è presente in differenti tratti intestinali, per durata di
tempo variabile e dipende dal tempo intercorso dall’ultimo pasto. Si trasforma in ileo paralitico se
dura più del dovuto.

Sfinteri
La muscolatura è in uno stato di contrazione pressochè persistente. Separano zone a diverso
significato funzionale, svolgono la funzione di valvole unidirezionali. Il loro rilasciamento è
associato all’attivazione di motoneuroni inibitori. Sono:
• Sfintere esofageo inferiore: impedisce il reflusso. Se non tiene perfettamente la mucosa
esofagea può essere esposta al succo gastrico con conseguente dolore retrosternale.
• Sfintere pilorico: impedisce il reflusso del contenuto del duodeno nello stomaco. Anche qui
se non si ha perfetta tenuta la mucosa gastrica viene esposta agli acidi biliari e si ha il
rischio di insorgenza di ulcera gastrica.
• Sfintere di oddi: previene il reflusso nei dotti biliari e pancreatici del contenuto duodenale,
la sua incontinenza provoca gravi danni a queste strutture, un difetto nella sua apertura
provoca invece ittero.
• Sfintere ileocecale: la non perfetta funzionalità provoca un massiccio ingresso di batteri
della flora endogena dal crasso al tenue.
• Sfintere anale interno: impedisce l’uscita incontrollata di feci dall’ano.

MASTICAZIONE E DEGLUTIZIONE
La digestione inizia con la formazione del bolo alimentare che deriva dalla masticazione e
triturazione del cibo e dall’azione della saliva. La masticazione è il risultato del ritmico spostamento
della mandibola cui si associa l’attività coordinata di labbra, lingua e guance. Oltre alla forza
masticatoria, proporzionale alla consistenza del materiale, è determinante l’estensione dell’area di
occlusione tra premolari e molari. La masticazione è un’attività motoria volontaria controllata dalle
aree corticali motorie primaria e supplementare. Nell’estrinsecazione di alcuni movimenti ritmici,
inoltre, interviene un’attività in parte riflessa. I nervi che dirigono la masticazione sono il V°, VII°,
IX°, X° e XII°.
La deglutizione è un’attività motoria più complicata che richiede l’attività coordinata dei muscoli
della parte superiore delle vie digerenti. Si distinguono più fasi:
• Orale: il bolo viene spinto dalla punta della lingua verso il palato duro per passare quindi
nell’orofaringe. Il palato molle e il muscolo costrittore superiore della faringe isolano la
rinofaringe, mentre la respirazione viene inibita grazie alla contrazione dei muscoli laringei
che chiudono la glottide.
• Faringea: il bolo progredisce grazie alla contrazione peristaltica dei muscoli faringei.
• Esofagea: lo sfintere esofageo superiore si rilascia ed il bolo è accolto nella faringe.
La deglutizione è un’attività motoria il cui inizio può essere volontario, ma una volta avviata
prosegue come attività riflessa coordinata.

Afferenze centrali e periferiche  centro deglutizione bulbare nucleo V°, VII°, ambiguo e XII°
Il centro della deglutizione dialoga anche con aree del SNC deputate al controllo della fonazione e
della respirazione.

MOTILITA’ ESOFAGEA
L’esofago veicola il bolo sino allo stomaco, è presente un’attività peristaltica di rilievo, dal punto di
vista funzionale l’esofago è diviso in tre regioni: sfintere esofageo superiore, corpo dell’esofago e
sfintere esofageo inferiore. A livello esofageo si può avere peristalsi primaria, che ha inizio con la
deglutizione, e secondaria che interviene quando la primaria non è in grado di spingere il bolo nel
corpo dell’esofago, quest’ultima è innescata dall’attivazione di meccanocettori. Quando non si ha
deglutizione la muscolatura del corpo è rilasciata mentre gli sfinteri sono contratti. Lo stato di
rilasciamento non è però determinato da neuroni inibitori, infatti l’eccitabilità di questa muscolatura
è molto bassa e non si hanno onde elettriche lente, ne consegue che la contrazione non è dovuta a
meccanismi miogeni ma all’attività di motoneuroni eccitatori.
Lo sfintere esofageo superiore si rilascia e i muscoli faringei distali si contrappongono al reflusso, al
momento della deglutizione si ha rilasciamento anche dello sfintere inferiore mediato da impulsi
vagali. La peristalsi esofagea prosegue in direzioni aborale con una velocità compresa tra i 2 e i 6
cm/s.
MOTILIA’ GASTRICA
Lo stomaco, da un punto di vista fisiologico, viene diviso in due regioni: serbatoio (fondo e terzo
prossimale del corpo) e pompa antrale (2/3 distali del corpo, antro e piloro).
Il serbatoio è sede di contrazioni toniche; esso svolge due funzioni: riceve il materiale alimentare e
esercita su di esso una pressione costante. La muscolatura del serbatoio è innervata da motoneuroni
del SNE, sia eccitatori che inibitori, questi sono a loro volta sotto il controllo del vago e dei
microcircuiti del SNE stesso. Se aumenta l’attività dei motoneuroni eccitatori si ha un incremento
del tono contrattile, una diminuzione del volume e un aumento della pressione intraluminale. Un
aumento dell’attività dei motoneuroni inibitori provoca effetti contrari. Il rilasciamento del
serbatoio può essere di tre tipi:
• Recettivo: iniziato dall’atto deglutitorio, avviene per via riflessa a partire da meccanocettori
faringei che stimolano il complesso dorsale del vago che attiva i motoneuroni inibitori.
• Adattativo: conseguente alla distensione di se stesso, è un riflesso vago-vagale che parte
dalla stimolazione di recettori di stiramento della parete gastrica che scaricano sul
complesso dorsale del vago da cui partono fibre efferenti ai motoneuroni inibitori.
• A feedback: determinato dalla presenza di materiale ingerito nel tenue. È dovuto sia a
riflessi locali a partire da recettori intestinali che al rilascio da parte delle cellule endocrine
intestinali di ormoni che per via ematca raggiungono il SNE gastrico influenzandolo.
La pompa antrale è invece sede di contrazioni fasiche. I potenziali d’azione originano da un
pacemaker localizzato nella metà distale del corpo gastrico che innesca una contrazione ad anello. I
potenziali d’azione hanno una frequenza di 3/min e una durata di 5 sec e sono caratterizzati dalle
classiche 4 fasi del potenziale d’azione. La motilità propulsiva della pompa è caratterizzata da due
componenti:
• Contrazione primaria: associata alla fase di depolarizzazione.
• Contrazione secondaria: associata alla fase di plateau.
I potenziali d’azione sono generati senza sosta dalla regione pacemaker ma innescano la
contrazione secondaria solo quando il plateau è al di sopra di un determinato valore soglia. Quando
la contrazione primaria raggiunge l’antro lo sfintere pilorico si contrae energicamente e si chiude
lasciando passare un singolo fiotto di materiale, la contrazione secondaria sopraggiunge poco dopo
e, trovando lo sfintere chiuso, da origine alla retropulsione a getto. Tali movimenti, ripetuti
ciclicamente, sono alla base della formazione del chimo gastrico (particolato di diametro compreso
tra 1 e 7 mm) indispensabile perché il materiale gastrico possa passare, attraverso lo sfintere
pilorico, nel duodeno. I potenziali d’azione sono di origine miogena, tuttavia essi vengono modulati
da motoneuroni del SNE. Essi regolano l’ampiezza del plateau, quindi la forza della contrazione
secondaria. I motoneuroni enterici modulano il quantitativo di neurotrasmettitore liberato,
determinano l’ampiezza del plateau su cui si possono inserire potenziali a punta che innescano brevi
contrazioni fasiche che contribuiscono alla funzione sfinterale del piloro.
Un’altra importante funzione è quella inerente lo svuotamento. Il passaggio del chimo deve essere
lento e graduale in quanto i due ambienti sono molto diversi tra di loro. Lo svuotamento è regolato
in via nervosa per compensare tutte le possibili variazioni di:
• Volume: tanto maggiore è il volume iniziale quanto maggiore sarà la velocità di
svuotamento.
• Composizione e stato fisico: il materiale liquido si svuota più velocemente di quello solido.
Il ritardo del materiale solido è dovuto alla necessità di sminuzzamento dello stesso da parte
della pompa. Lo stomaco distale esercita un’azione di setaccio facendo passare per prime le
particelle con diametro minore di 7 mm. Oltre alle dimensioni iniziali anche osmolarità, pH
e valore energetico influenzano lo svuotamento. I liquidi iper e ipotonici sono svuotati più
lentamente degli isotonici. La velocità diminuisce al calare del pH in quanto l’acidità del
chimo provoca nel duodeno il rilascio di secretina che inibisce la motilità antrale e aumenta
la costrizione pilorica. Alimenti ad alto contenuto calorico passano più lentamente. Ne
consegue che un pasto lipidico sia svuotato più lentamente rispetto ad uno di carboidrati o
proteine, in particolare tale lentezza è determinata dalla colecistochinina, potente inibitore
dello svuotamento, e dal peptide inibitore gastrico GIP entrambi prodotti da duodeno e
digiuno in seguito all’ingresso di materiale proteico.

MOTILITA’ DEL TENUE


Il tenue è una struttura tubulare, lunga circa 3 m, che si compone di duodeno, digiuno e ileo per poi
proseguire nel crasso a livello della valvola ileocecale. Il transito nel tenue dipende da 3 differenti
tipi di motilità:
• Interdigestiva: avviene quando i processi digestivi e di assorbimento sono completati.
L’intestino entra in una fase di periodo interprandiale o interdigestivo. La motilità
interdigestiva è caratterizzata dal complesso motorio migrante (MMC) che inizia nello
stomaco distale con ampie contrazioni, dette contrazioni da fame, con una frequenza di
3/min. Dallo stomaco esso passa nell’intestino. Il MMC è caratterizzato da tre fasi: ileo
fisiologico, contrazioni irregolari e contrazioni regolari, dopo l’estinzione della fase III il
ciclo ricomincia. Il complesso migra lungo l’intestino, il pezzo che in quell’istante ne è
investito prende il nome di fronte d’attività. Esso migra lentamente in direzione aborale e
perde mano mano velocità. È importante non confondere la migrazione del fronte di attività
con quella delle onde lente, dei potenziali d’azione e delle onde peristaltiche all’interno del
fronte, circa 10 volte maggiori. Il tempo impiegato da un singolo fronte terminale da
stomaco all’ileo è di 80-120 min. La motilità interdigestiva è bruscamente interrotta dal
pasto. A tal proposito si è osservato che gastrina e CCK sono in grado di estinguere i MMC
ad eccezione di quelli ileali. I MMC dipendono strettamente dal SNE. Contrazioni della
colecisti sono associate alla presenza del MMC, in tal modo il succo biliare viene spinto
verso l’ileo dove verrà riassorbito per essere riutilizzato dal fegato (circolazione
enteroepatica). I MMC hanno anche il compito di liberare il lume da materiale indigeribile
impedendo anche un’eccessiva proliferazione batterica.
• Digestiva: nel periodo digestivo ai MMC si sostituiscono i movimenti di segmentazione dati
da contrazioni peristaltiche che si propagano solo per distanze molto brevi. Essi sono dovuti
a contrazione dello strato muscolare circolare. L’unità elementare (segmento
recettivo/propulsivo/recettivo) si verifica simultaneamente lungo tutto l’intestino tenue. La
frequenza massima equivale a quella delle onde elettriche lente. La motilità digestiva è
controllata dal SNE al quale a seguito di pasti, arrivano impulsi vagali che interrompono i
MMC e innescano la segmentazione. Il vago esercita un ruolo fondamentale anche nel
mantenimento della motilità.
• Propulsione di massa: i movimenti di massa sono energiche contrazioni di lunga durata (18-
20 sec), dello strato di muscolatura circolare finalizzate alla rapida ripulitura del lume
intestinale. Esse non sono dovute alle onde elettriche lente ma probabilmente ad una forte
attività muscolare operata direttamente dai motoneuroni eccitatori. I movimenti di massa
rappresentano un meccanismo difensivo con cui l’intestino si libera da contenuti luminali
potenzialmente nocivi.

MOTILITA’ CRASSO
Il crasso è caratterizzato da un’attività motoria pressoché continua, a livello di esso si ha un
mescolamento dei contenuti luminali derivati dai singoli pasti. Il crasso è una struttura tubulare di
circa un metro e si divide in cieco, colon ascendente, trasverso, discendente, sigmoideo e retto. Il
diametro è maggiore del tenue e le sue pareti presentano estroflessioni sacculari dovute alla motilità
del crasso e alle tenie. Il tempo di percorrenza del crasso è di 36/48 ore.
• Cieco e colon ascendente: accoglie il contenuto in arrivo dal tenue senza un notevole
aumento di pressione intraluminale, grazie ad un meccanismo neuromuscolare di rilascio.
Nel cieco e nel colon sono localizzati chemocettori e meccanocettori per il controllo a
feedback sul passaggio di materiale dall’ileo. Il tempo di permanenza del materiale è
relativamente breve (1-2 ore). L’attività motoria è caratterizzata da propulsione peristaltica
ortograda e retrograda.
• Colon trasverso e discendente: il materiale vi rimane per circa 24 ore. Ciò fa pensare che
questa area sia la regione deputata prevalentemente al riassorbimento di acqua ed elettroliti.
Il lentissimo fluire è dovuto a movimenti di segmentazioni dati da contrazioni ad anello che
dividono il crasso in sacculazioni dette haustra, da qui il nome haustrazioni per indicare
l’attività motoria. L’ haustrazione è un’attività motoria dinamica caratterizzata dalla
formazione di haustra in un certo numero di punti seguita dalla loro scomparsa e
riformazione in altri punti. Durante l’attività motoria il segmento propulsivo spinge il
contenuto luminale verso quello recettivo (l’haustra) sia in direzione orale che aborale,
favorendo il rimescolamento e l’assorbimento. Il colon discendente sembra svolgere
essenzialmente un ruolo di conduzione, questa zona è caratterizzata da movimenti di massa
generati dal SNE il cui fine è lo spostamento delle feci verso l’ano. I movimenti di massa
possono essere innescati dall’aumentato arrivo di materiale luminale nel cieco (riflesso
gastrocolico). In condizioni fisiologiche essi iniziano a metà del colon trasverso e sono
preceduti dal rilasciamento dello strato circolare e dalla cessazione dei movimenti di
haustrazione. Così si può spingere il contenuto alla velocità di 5 cm/min.
• Regione rettosigmoidea e canale anale: la regione retto-sigmoidea svolge la funzione di
serbatoio distensibile la cui capacità è di circa 500ml. Nella fisiologia di questo tratto hanno
un ruolo fondamentale i muscoli del pavimento pelvico che nel complesso prendono il nome
di muscoli elevatori dell’ano e svolgono un ruolo chiave nella continenza fecale. Dopo la
defecazione la contrazione del muscolo puborettale porta al restringimento del lume creando
così una sorta di valvola fisiologica. Il canale anale, inoltre, presenta due sfinteri: uno
interno, con fibre muscolari lisce, e uno esterno con fibre striate. Nel retto sono presenti
meccanocettori che rilevano il grado di distensione di questa regione e inviano fibre al SNE.
La porzione terminale del canale anale, invece, presenta barocettori, termocettori e
nocicettori connessi con il SNC. Quando il volume dei materiali fecali è scarso il passaggio
è impedito, mentre quando è elevato la distensione innesca il riflesso rettoanale col
rilasciamento dello sfintere interno, ciò fa si che i recettori della parete del canale anale
inviino segnali al SNC (riflesso rettoanale) che da il via alla defecazione. Il soggetto può
volontariamente decidere se defecare o meno. La defecazione è sotto controllo di numerosi
centri nervosi:
o Centro sopraspinale della defecazione: ponte, vicino al centro della minzione.
o Centro anospinale: tratto toraco-lombare T10-L2 e sacrale S1-S3. le efferenze
simpatiche originate dal primo tratto inibiscono la muscolatura liscia rettale ed
eccitano lo sfintere interno stimolando quindi la continenza, le fibre parasimpatiche
derivate dal secondo tratto stimolano invece l’espulsione dando contrazione
muscolare liscia rettale e rilascio dello sfintere interno. Le efferenze motrici
somatiche innervano invece lo sfintere anale esterno.
SECREZIONE GASTRICA
Il succo gastrico è prodotto dall’eterogenea popolazione cellulare dallo stomaco in quantità di circa
2-3l/d. È una soluzione acquosa di elettroliti e proteine tra le quali cinque hanno un notevole ruolo
fisiologico: H+, pepsina, lipasi, muco e fattore intrinseco (quest’ultimo è l’unico componente
essenziale in quanto la sua assenza non può essere riparata in altro modo).
L’H+ attiva il pepsinogeno trasformandolo in pepsina, svolge inoltre un’importante azione
disinfettante (ad eccezione dell’helicobacter pilori capace di resistere all’acidità dello stomaco). La
pepsina inizia la digestine delle proteine. Il fattore intrinseco contribuisce all’assorbimento della
vitamina B12; il muco riveste la superficie interna gastrica e agisce come lubrificante e barriera
diluizionale contribuendo a preservare l’integrità dell’organo dall’azione del succo gastrico, esso
infatti costituisce, assieme allo ione bicarbonato, la componente principale della barriera mucosale
gastrica.
Dal punto di vista funzionale la mucosa gastrica può essere divisa in tre zone:
• Area ghiandolare cardiale: 5% del totale, con ghiandole secernenti essenzialmente muco.
• Area ghiandolare ossintica: 75%, secerne acido.
• Area ghiandolare pilorica: 20%, produce essenzialmente gastrina.
La mucosa gastrica è composta da fossette gastriche rivestite da cellule mucose e tubi ghiandolari
che si aprono sul loro fondo.
Le ghiandole ossintiche sono caratterizzate dalla presenza di cellule:
• Parietali: producono l’acido e il fattore intrinseco. Sono circa un miliardo e producono H+
alla concentrazione di 150-160 mEq/l. Il numero di cellule parietali è alla base della capacità
secretoria massima, il dispendio energetico per la produzione di H+ è elevato e per tale
motivo le cellule sono ricche di mitocondri, presentano inoltre un canalicolo intracellulare in
continuità con il lume ghiandolare attraverso cui vengono secreti gli idrogenioni. In fase
basale il citoplasma presenta un gran numero di tubulovescicole che scompaiono in seguito
ad uno stimolo secretorio fondendosi con la membrana plasmatica e diventando microvilli
del canalicolo. L’anidrasi carbonica e la pompa H+-K+ ATP-asi sono localizzate nei
microvilli e la loro attività aumenta in fase secretoria. Dall’applicazione di uno stimolo
occorrono 10 minuti prima che si verifichi la risposta secretoria a causa del tempo di
attivazione di questi enzimi.
• Mucose: sono caratterizzate dalla presenza di numerosi granuli di muco secreto per
esocitosi.
• Principali: sintetizzano il pepsinogeno e la lipasi gastrica. Presentano un RER
particolarmente sviluppato e il citoplasma è ricco di granuli di zimogeno.
• Endocrine: le più importanti sono le enterocromaffini-simili che producono istamina e le
cellule D che producono somatostatina. Il citoplasma è ricco di granuli localizzati alla base,
in modo da poter essere secreti negli spazi intercellulari e diffondere quindi nei capillari.

Le ghiandole piloriche presentano cellule G secernenti gastrina, D e mucose. L’istmo e il condotto


ghiandolare sono rivestiti principalmente di cellule mucose, parietali e staminali.

Secrezione di HCl:
1. all’interno delle cellule parietali si ha una prima reazione: H2O  OH-+H+
2. seconda reazione catalizzata dall’anidrasi carbonica: OH-+CO2  HCO3-
3. H+ come ione idronio (H3O+) viene pompato attivamente nel lume gastrico. Il trasporto
attivo è catalizzato dalla pompa protonica per un processo di cotrasporto in cui un H+ è
pompato nel lume e scambiato con un K+. Questo si accumula nella cellula per attività della
pompa sodio potassio e tende a fuoriuscire per gradiente nel lume. Pertanto la pompa
protonica riusa il K+ luminale. All’estrusione attiva di H+ consegue un accumulo di OH- che
favorisce la formazione di HCO3-, questo diffonde nel torrente circolatorio tramite un
antiporto col Cl- che dalla cellula passa poi nel lume. Per tale motivo il pH del sangue
venoso refluo è più alcalino di quello arterioso, è questa la marea alcalina prandiale, la
formazione di bicarbonato è catalizzata dall’anidrasi carbonica. Nella cellula parietale non
stimolata la pompa protonica è localizzata a livello delle tubulovescicole, in quella
stimolata, queste si fondono con la membrana in modo da aumentare la superficie secretoria
e il numero delle pompe. Al cessare dello stimolo le tubulovescicole si riformano e la
superficie canalicolare si riduce.

BARRIERA MUCOSALE GASTRICA


A cavallo della mucosa ghiandolare ossintica si osserva una differenza di potenziale di 70-80mV tra
lume gastrico negativo e versante serosale positivo. Ciò è dovuto alla secrezione di Cl- contro il suo
gradiente. In fase secretoria la differenza di potenziale si riduce sino a 30-40 mV in quanto anche
l’H+ viene attivamente secreto secondo il suo gradiente elettrico. L’esistenza di un gradiente
elettrico transmucosale e di un alto gradiente di concentrazione dell’H+ presuppone che la mucosa
non consenta la retrodiffusione di H+, tale capacità è definita barriera mucosale gastrica.
Se la barriera è danneggiata (a causa di antifiammatori non steroidei), si verifica retrodiffusione di
H+ in scambio con Na+ con conseguente diminuzione del pH intracellulare e morte cellulare con
liberazione di K+. La retrodiffusione danneggia i mastociti con conseguente liberazione di istamina.
Ne risulta ischemia locale, ipossia e stasi vascolare causati dall’istamina stessa. Se la severità del
danno supera le capacità autoriparative della mucosa si ha ulcera gastrica. La mucosa gastrica è
infatti in grado di preservare la propria integrità anatomofunzionale grazie a fattori mucosali ad
azione autodifensiva quali lo strato di muco/bicarbonato, il sottostante strato di cellule mucose di
superficie ed il flusso ematico microvascolare in grado di rimuovere rapidamente gli agenti
aggressivi. Inoltre sulla barriera si deposita uno strato di fosfolipidi tensioattivi le cui code apolari
sono rivolte verso il lume gastrico formando uno strato idrofobico che previene la diffusione verso
la mucosa dell' HCl e di altri agenti nocivi. La barriera, inoltre, ha la capacità di ripararsi, ciò
comporta due differenti processi:
• Migrazione di cellule da aree vicine all’area lesa (restituzione epiteliale).
• Aumento proliferazione cellulare a livello di istmo e colletto delle fossette.

Elettroliti del succo gastrico: la concentrazione elettrolitica del succo gastrico varia in base alla
velocità di secrezione: se questa è bassa il succo sarà una secrezione di NaCl con basso contenuto di
H+ e K+; se questa è massima sarà invece una soluzione di HCl con basso contenuto di Na+ e K+. In
ogni caso il succo gastrico ha una concentrazione di H+, K+ e Cl- sempre superiore al plasma mentre
quella di Na+ è sempre inferiore. Inoltre il succo gastrico è sempre isotonico rispetto al plasma. Per
capire tali cambiamenti nella sua concentrazione è bene considerare il succo gastrico come il
risultato di due distinti processi di secrezione (modello a due componenti):
• Non parietale: alcalina costante con un contenuto di Na+, K+ e Cl- praticamente equivalente a
quello plasmatico, questa secrezione è attiva anche non in fase di digestione.
• Parietale: leggermente iperosmotica e contenente 150-160 mEq/l di H+, 10-20 mEq/l di K+
mentre il solo anione presente è il Cl-. All’aumentare della velocità di secrezione, dovuta
esclusivamente all’incremento della secrezione parietale, la concentrazione del succo
gastrico diventa sempre più simile a quella della secrezione parietale pura.

REGOLAZIONE SECREZIONE ACIDA


In assenza di stimolazione lo stomaco secerne acido ad una velocità pari al 10-13% di quella
ottenibile con una massima stimolazione. La secrezione acida basale presenta un picco alla sera e un
livello minimo al mattino (secrezione circadiana). Fattori stimolanti la secrezione parietale sono: la
gastrina, l’acetilcolina che stimola anche la secrezione di gastrina, l’enterossintina un’ormone di
origine intestinale che ancora non è stato caratterizzato, gli aminoacidi circolanti e l’istamina la cui
liberazione è mediata dalla gastrina e dal polipeptide attivante l’adenilato ciclasi (stimolatore
paracrino). La gastrina e l’acetilcolina agiscono attivando la fosfolipasi che attraverso l’IP3 da un
aumento intracellulare di calcio. L’aumento di calcio, o AMPc nel caso dell’istamina, provoca un
incremento della secrezione parietale con effetto di potenziamento tra i due secondi messaggeri, la
risposta sarà così massimale.

La stimolazione della secrezione gastrica è divisa in tre fasi:


• Cefalica: chemocettori e meccanocettori della cavità orale, nasale e della lingua vengono
stimolati dal sapore e dall’odore del cibo, dalla masticazione e dalla deglutizione. Le
afferenze così come le efferenze allo stomaco sono vagali. La fase cefalica è responsabile
del 30-35% delle secrezioni totali. Il vago stimola le cellule gangliari del SNE che liberano
acetilcolina, questa, a sua volta, stimola direttamente le cellule parietali e il rilascio di
gastrina che a sua volta stimola le stesse. (tecnica del falso pasto di Pavlov).
• Gastrica: responsabile del 50-60% della risposta secretoria. Quando il cibo entra nello
stomaco si mescola con una piccola quantità di succhi gastrici sempre presenti
neutralizzandoli e portando il pH a 6, questo aumento leva il blocco sulla secrezione di
gastrina (abolita a pH inferiori a 3). La fase cefalica può iniziare e quella gastrica mantenere
la secrezione di gastrina. Gli stimoli principali della fase gastrica sono due:
o Distensione dello stomaco: stimola meccanocettori della mucosa che attivano:
 Riflessi lunghi: sono vago-vagali. I recettori inviano impulsi al nucleo vagale
dal quale partono efferenze dirette alle cellule G e parietali.
 Riflessi brevi: sono locali nel senso che recettori ed effettori si trovano nella
medesima area. Ne è un esempio il riflesso piloropilorico che causa la
distensione di tale area con secrezione di gastrina.
o Contatto della mucosa con alimenti: peptidi e aminoacidi, in particolare, stimolano la
secrezione di gastrina.
Queste azioni si estrinsecano attraverso un particolare neurotrasmettitore liberato per
stimolazione vagale, il GRP. Il vago contemporaneamente inibisce la liberazione di
somatostatina che esplica effetto opposto. Per quanto riguarda la stimolazione da parte degli
alimenti essi agirebbero direttamente sulle cellule G probabilmente legandosi a recettori
della membrana plasmatica.
• Intestinale: rappresenta il 5-10% della risposta secretoria totale. I prodotti della digestione
proteica del duodeno sono in grado di stimolare la secrezione acida dello stomaco per via
ormonale.
La secrezione gastrica raggiunge il suo massimo un’ora dopo il pasto, la capacità tampone è
saturata, una parte del chimo ha già lasciato lo stomaco e la concentrazione di acido aumenta.
L’abbassamento del pH intraluminale provoca inibizione della liberazione di gastrina. Si tratta di un
feedback negativo estremamente importante per non provocare fenomeni di autodigestione. Inoltre
ad esso si associa la liberazione di somatostatina che inibisce le parietali. Altri meccanismi inibitori
sono: la secrezione di ormoni enterogastroni da parte della mucosa duodenale in seguito a contatto
col chimo, ciò provoca inibizione della secrezione gastrica e rallentamento del suo svuotamento;
GIP la cui liberazione è dovuta agli acidi grassi, esso inibisce le cellule parietali; secretina;
colecistochinina che inibisce lo svuotamento e l’acidificazione del duodeno che innesca un riflesso
nervoso che inibisce la secrezione gastrica.

Pepsina: deriva dal pepsinogeno che a pH inferiore a 5 viene convertito. La pepsina è a sua volta in
grado di catalizzare la conversione del tripsinogeno in tripsina. La pepsina inizia la digestione
proteica scindendo i legami peptidici interni. Esistono due tipi di pepsinogeno: I secreto dalle
cellule principali mucose delle ghiandole ossintiche; II secreto dalle cellule mucose della mucosa
antrale e duodenale. Il più potente stimolatore della secrezione è l’Ach liberato da efferenze vagali.
L’acido gastrico inoltre innesca un riflesso colinergico locale che stimola la secrezione delle cellule
principali potenziando l’effetto di altre stimolazioni sulle cellule principali. Infine l’acido causa la
secrezione di secretina da parte della mucosa duodenale, che stimolerebbe la secrezione di
pepsinogeno; anche la gastrina sembrerebbe svolgere lo stesso ruolo.

Lipasi gastrica: contribuisce alla digestione dei trigliceridi. È secreta dalle cellule principali delle
ghiandole ossintiche. Nella sua struttura è presente l’aspargina glicosilata responsabile della
resistenza alla proteolisi peptica ed essenziale per la funzionalità della proteina. Il suo pH ottimale è
di 5, non è secreta in grandi quantità e la sua azione è inibita dagli acidi biliari. La sua attività
specifica è uguale a quella dell’enzima pancreatico, in caso di insufficienza di quest’organo è infatti
in grado di sopperire per garantire la corretta digestione. Il passaggio di lipidi nel duodeno inibisce
la secrezione di lipasi gastrica per via umorale, probabilmente mediato dal peptidil-glucagone
simile al tipo I prodotto dalle cellule endocrine intestinali di tipo L.

Muco: il muco solubile è prodotto dalle cellule mucose del colletto grazie alla stimolazione vagale
ed alla liberazione di Ach. Consta di mucoproteine e ha funzione lubrificante. Le cellule mucose di
superficie, invece, secernono un muco insolubile che ha solo funzione protettiva venendo a
costituire la componente preepiteliale della barriera mucosale gastrica. Il muco protegge la mucosa
da danni di natura fisica e chimica neutralizzando l’acido. In contatto con l’acido genera peraltro la
parziale precipitazione del muco insolubile in flocculi che passano nel duodeno.

Fattore intrinseco: è una mucoproteina secreta dalle cellule parietali. Si lega alla vitamina B12 a
livello duodenale e contribuisce al suo riassorbimento. L’incapacità di produrlo causa una patologia
nota come anemia perniciosa.

DIGESTIONE E ASSORBIMENTO DEI CARBOIDRATI


Nei paesi occidentali circa il 45% dell'apporto energetico alimentare deriva dai carboidrati.
Circa il 50% dei carboidrati digeribili è presente nella dieta sotto forma di amido derivato da cereali
e altri vegetali. L'amido è costituito essenzialmente da lunghe catene di molecole di glucosio, le cui
più importanti organizzazioni morfologiche sono l'amilosio e l'amilopectina.
L'amilosio e un polimero lineare in cui ciascuna molecola di glucosio è legata a quella adiacente
attraverso un legame alfa-1,4. L'amilopectina è un polimero a catena ramificata in cui legami alfa-
1,6 determinano le angolazioni tra le catene di molecole di glucosio connesse da legami alfa-1,4. In
genere l'amido contiene più amilopectina che amilosio.
Altre importanti fonti alimentari di glucosio sono gli zuccheri presenti nel latte (lattosio), nella
frutta e nella verdura (fruttosio), e quelli purificati dalla barbabietola e canna da zucchero
(saccarosio).
I carboidrati non digeribili sono rappresentati da cellulosa ed emicellulosa, presenti soprattutto nei
vegetali, e vanno a costituire la cosiddetta fibra alimentare; tali carboidrati sono presenti dalla
presenza di legami beta-1,4 resistenti all'azione delle amilasi dell'organismo.

Nella digestione intraluminale dei carboidrati sono di fondamentale importanza le alfa-amilasi


salivare (ptialina) e pancreatica, in grado di scindere i legami alfa-1,4 interni alla catena
polisaccaridica con la produzione di maltosio e maltotriosio; tuttavia non scindono i legami alfa-1,6
e quelli alfa-1,4 a essi adiacenti che resisteranno come corti oligosaccaridi ramificati detti destrine
alfa-limite.

L'alfa-amilasi salivare e strettamente dipendente dalla permanenza degli alimenti nel cavo orale, è
rapidamente inattivata dall'acidità gastrica.
L'alfa-amilasi pancreatica è in grado di garantire la digestione di tutto l'amido ingerito, solo in caso
di insufficienza pancreatica gravissima, con produzione di alfa-amilasi inferiore al 10% del
normale.
I prodotti della digestione intraluminale dell'amido non possono tuttavia essere assorbiti come tali,
ma devono essere ulteriormente idrolizzati ad opera di specifici enzimi presenti a livello della
membrana microvillare degli enterociti.
Tra questi enzimi si possono citare:
− la lattasi, che idrolizza il lattosio a una molecola di glucosio e una di galattosio:
− la saccarasi isomaltasi, che con la sua subunità ad azione saccarasica idrolizza il saccarosio in
una molecola di glucosio e una di fruttosio, e con entrambe le subunità stacca le molecole di
glucosio dalle estremità delle destrine alfa-limite;
− la maltasi, che libera monomeri di glucosio da oligosaccaridi;
− la destrinasi alfa-limite che determina la liberazione di molecole di glucosio in vicinanza del
trasportatore per gli esosi.

Attraverso tutta questa serie di processi i carboidrati alimentari vengono trasformati in una miscela
di tre monosaccaridi (glucosio, galattosio e fruttosio).

Il trasporto attivo di glucosio e galattosio è svolto da una proteina , la SGLT1, che opera un
cotrasporto con il Na+. La Na+/K+ ATPasi sul versante basoltarela della membrana plasmatica
mantiene una bassa concentrazione intracellulare di Na+, che può quindi entrare secondo gradiente
a livello della membrana microvillare portando con sè glucosio o galattosio. La maggior parte del
glucosio e del galattosio che entra nella cellula la lascia attraverso la membrana basolaterale per
diffusione facilitata mediata dal trasportatore GLUT2.
L'assorbimento del fruttosio avviene invece per diffusione facilitata mediata dal trasportatore
GLUT5. Una volta dentro la cellula il fruttosio la lascia o mediante lo stesso trasportatore GLUT5,
espresso anche sulla membrana basolaterale, o attraverso il trasportatore GLUT2.

DIGESTIONE ED ASSORBIMENTO DELLE PROTEINE


Le proteine forniscono il 10-15% dell’apporto energetico e devono essere assunte per un totale di
0,75-1 g/kg di peso. Esistono proteine vegetali, poco digeribili, ed animali. Si definiscono ad alta
qualità le proteine che contengono aminoacidi essenziali (fenilalanina, isoleucina, leucina, lisina,
metionina, treonina, triptofano e valina) così chiamati in quanto non sintetizzabili dall’organismo.
La digestione delle proteine può essere ostacolata da alcuni fattori come la cottura anche se rimane
comunque un processo molto efficiente. Circa il 50% delle proteine che entrano giornalmente
nell’organismo non sono di origine alimentare ma endogena (secrezioni, desquamazione degli
enterociti senescenti e proteine plasmatiche).

Digestione intraluminale
La digestione delle proteine inizia nello stomaco ad opera delle pepsine gastriche, esse sono
prodotte dalle cellule principali sotto forma di proenzimi inattivi (pepsinogeno) in grado di
autoattivarsi in ambiente acido. Immunologicamente sono distinti due gruppi: pepsina I e II. La loro
specificità per il substrato è identica, il pH ottimale varia leggermente ma entrambe sono inattivate
reversibilmente a pH superiore a 5 e irreversibilmente a pH 7. Le proteasi sono classificate in endo
ed esopeptidasi in base alla localizzazione dei legami peptidici sui quali hanno la massima attività
(endo interni ed eso verso le estremità). Le pepsine sono endopeptidasi che determinano la
riduzione di peptidi ed aminoacidi liberi in maniera ridotta, l’azione delle pepsine è influenzata
dalla velocità di svuotamento gastrico, dal pH e dal tipo di proteine ingerite.
La completa digestione delle proteine è poi assicurata dalle proteasi pancreatiche che possono
sopperire alla mancanza di quelle gastriche. Esse sono prodotte dalle cellule acinari del pancreas e
convertite nella forma attiva nel duodeno ad opera delle enterochinasi presenti sulla superficie della
mucosa microvillare e liberate ad opera degli acidi biliari. Queste ultime rimuovono un esapeptide
dall’estremita N-terminale del tripsinogeno convertendolo in tripsina che esplica la stessa azione su
altri proenzimi e sul tripsinogeno stesso. Si formano così tripsina, chimotripsina ed elastasi che
sono endopeptidasi che ionizzano i legami peptidici che coinvolgono determinati aminoacidi
all’interno della molecola proteica, e carbossipeptidasi A e B che sono invece esopeptidasi che
staccano un aminoacido per volta dall’estremità C-terminale del peptide. Dall’azione combinata di
eso ed endopeptidasi deriva una miscela di aminoacidi (30%) ed oligopeptidi (70%).
Quindi i prodotti della digestione degli aminoacidi non entrano nell’enterocito solo come
aminoacidi liberi ma anche come di e tripeptidi. Questi ultimi subiscono un’ultima digestione
all’interno dell’enterocito stesso ad opera di peptidasi enterocitario in modo tale che nel sangue
passino solo aminoacidi liberi. In effetti sono presenti sulla membrana microvillare e nel citoplasma
enterocitario varie peptidasi deputate all’idrolisi degli oligopeptidi con un numero massimo di 8
aminoacidi. Vi sono però alcune differenze tra i due tipi di peptidasi: quelle microvillari sono
deputate all’idrolisi degli oligopeptidi più grossi (4-8 aa) mentre le citoplasmatiche di quelli più
piccoli. La maggior parte delle oligopeptidasi sono aminopeptidasi, distaccano cioè singoli
aminoacidi dall’estremità N-terminale. La lunghezza dei peptidi condiziona, oltre al luogo,
ovviamente anche la velocità di idrolisi (massima per i tripeptidi, minima per i dipeptidi e
intermedia per i tetra-penta). Le peptidasi più importanti sono: l’aminopeptidasi A che idrolizza
essenzialmente i dipeptidi con aminoacido acido al N-terminale e le dipeptidasi I e III che
idrolizzano rispettivamente dipeptidi con metionina e glicina.

Assorbimento
È diverso per gli oligopeptidi e gli aminoacidi:
di e tripeptidi: sono captati dagli enterociti grazie ad un unico trasportatore caratterizzato da una
diversa affinità per i vari ligandi in base alla diversa lunghezza e composizione proteica. Il
trasportatore è l’hPept1 espresso solo dagli enterociti del tenue e sfrutta un gradiente elettrico
transmembrana per gli ioni H+ (creato da uno scambiatore Na-H apicale e la pompa sodio potassio
basolaterale) per cotrasportare insieme ad esso gli oligopeptidi.
Aminoacidi: utilizzano un gran numero di meccanismi di trasporto attivo, di diffusione facilitata e
in minima parte di diffusione semplice, si compone di varie fasi:
1. trasporto attraverso la membrana microvillare: sono stati identificati almeno sette diversi
sistemi di trasporto. 5 sfruttano il cotrasporto con il sodio e di questi due richiedono anche la
presenza di cloro e due operano la captazione sodio dipendente per diffusione facilitata.
2. trasporto attraverso la membrana basolaterale: sono stati identeificati almeno 5 sistemi di
trasporto di cui 3 sodio indipendenti che probabilmente sono deputati alla diffusione
facilitata dall’enterocito verso il sangue, e 2 sodio dipendenti deputati al trasporto attivo
secondario dal sangue verso l’interno dell’enterocito nel periodo interprandiale.

L’assorbimento di oligopeptidi ed aminoacidi è regolato da somatostatina e VIP che lo riducono e


da colecistochinina, secretina e neurotensina che lo aumentano. Inoltre l’intestino del neonato è in
grado di assorbire numerose proteine (del latte materno) intatte tramite un processo attivo, tale
proprietà permane anche nell’adulto seppur in misura molto minore.

DIGESTIONE ED ASSORBIMENTO DEI LIPIDI


Il 40% dell’apporto energetico deriva dai lipidi, soprattutto trigliceridi. La maggior parte degli acidi
grassi dei trigliceridi sono l’acido oleico e palmitico, nei trigliceridi di origine animale gli acidi
grassi sono saturi a catena lunga, quelli polinsaturi, come il linoleico, derivano dai fosfolipidi di
origine vegetale e sono detti essenziali in quanto non prodotti dal nostro organismo. È stato dedotto
che la maggior parte dei fosfolipidi che arrivano nel duodeno siano di origine endogena e derivati
da secrezioni o sfaldamento cellulare. Il colesterolo è assunto in quantità variabili di 150-200 mg/d.
I lipidi sono assorbiti per la maggior parte nei 2/3 superiori del digiuno ed il quantitativo assorbito e
la velocità di assorbimento dipendono dalla presenza di altri componenti alimentari come la fibra
alimentare che la diminuiscono. I meccanismi di digestione dei lipidi dipendono dalla loro
insolubilità in acqua e pertanto devono essere finemente emulsionati. All’interno dell’enterocita si
ha la riconversione dei lipidi; l’uomo adulto assorbe il 95% dei lipidi.

Digestione trigliceridi: le lipasi producono una lipolisi eliminando acidi grassi dallo scheletro
glicerico dei trigliceridi emulsionati. Questo processo inizia già a livello gastrico e buccale ad opera
delle lipasi linguale e gastrica. Tali enzimi sono definiti lipasi preduodenali. Il loro significato
funzionale nell’adulto sano è la liberazione nello stomaco di acidi grassi a catena lunga che
stimolano la secrezione di colecistochinina, la quale a sua volta provoca la secrezione gastrica e
pancreatica di lipasi; e la liberazione di acidi grassi che favoriscono l’azione della lipasi pancreatica
facilitando il legame tra questa e le goccioline da emulsionare.

Emulsione lipidi alimentari: le goccioline di emulsione devono avere un alto rapporto


superficie/volume e consentire un intimo contatto del lipide con l’enzima. Numerosi fattori
contribuiscono ad un’emulsione ottimale: masticazione, azione di triturazione, rimescolamento
nello stomaco, presenza di un rivestimento fosfolipidico che stabilizza le goccioline, la liberazione
di acidi grassi durante la lipolisi gastrica e gli acidi biliari.

Attività lipasica intestinale: a livello duodenale si ha un’emulsione costituita da trigliceridi rivestiti


da fosfolipidi, acidi grassi, monogliceridi e acidi biliari in particelle di un micron. Esse entrano in
contatto con la lipasi pancreatica il cui dominio idrofobico è interno alla molecola e viene
esteriorizzato solo quando entra in contatto con i trigliceridi. Pertanto il rivestimento esterno della
gocciolina costituisce un ostacolo all’azione della lipasi. In questo contesto interviene la calipasi
secreta dal pancreas che si lega ai trigliceridi mentre la lipasi si lega alla calipasi stessa. La
fosfolipasi A2 digerisce i fosfolipidi della superficie e permette l’azione del complesso calipasi-
lipasi. La lipasi ha un pH ottimale vicino alla neutralità e il bicarbonato presente nel succo
pancreatico e nella bile svolgono un’azione di neutralizzazione del chimo acido. La lipasi libera
acidi grassi e 2-monogliceroli dai trigliceridi.

Formazione micelle miste: i prodotti della lipolisi si distribuiscono tra la fase acquosa, intermedia e
oleosa per essere trasferiti dal lume alla membrana microvillare dove vengono assorbiti. In questa
azione ha fondamentale importanza la formazione di micelle miste con gli acidi biliari. Le micelle
di acidi biliari solubilizzano acidi grassi, monogliceridi e colesterolo ma non i trigliceridi e formano
micelle miste con un diametro compreso tra i 50 e gli 80nm; molto più piccole di quelle di
emulsione, e danno alla soluzione che le contiene un aspetto limpido e non lattescente. Anche i
cristalli liquidi lipidici, strutture vescicolari della superficie delle goccioline di membrana,
contribuiscono al trasferimento di lipidi ma scompaiono in presenza di acidi biliari.

Digestione fosfolipidi ed esteri del colesterolo: la fosfatidilcolina è convertita dalla fosfolipasi A2 in


acido grasso e isolecitina; il colesterolo è invece attaccato dalla colesterolo esterasi pancreatica per
essere convertito in sterolo libero. Questo enzima, una lipasi attivata dagli acidi biliari, è in grado di
idrolizzare trigliceridi, fosfolipidi ed esteri delle vitamine liposolubili agendo senza specificità di
posizione di legame. I prodotti di digestione dei due enzimi vengono incorporati nelle micelle miste.
Inoltre gli acidi grassi a lunga catena non assorbiti dal tenue raggiungono il colon e sono attaccati
dalla flora batterica endogena.

Attraversamento della membrana microvillare: sulla superficie luminale dell’epitelio è presente uno
strato di acqua stazionario spesso 40 micron che ostacola il passaggio degli acidi grassi a lunga
catena ma non di quelli a catena corta o intermedia. Il microambiente iuxtacellulare enterocitario
presenta un pH acido a causa dello scambiatore Na/H, questo fatto diminuisce la solubilità degli
acidi grassi nelle micelle determinando la liberazione degli stessi. L’alta concentrazione di acidi
grassi favorisce la diffusione passiva semplice. All’interno dell’enterocita, a causa di pH neutro, gli
acidi grassi vanno incontro a dissociazione (forma ionizzata) rimanendo intrappolati all’interno in
quanto la permeabilità di membrana per la forma dissociata è bassa; il colesterolo è facilmente
assorbito a livello del tenue.
Fasi intracellulari dell’assorbimento:
1. legame acidi grassi-proteine FABP. Esse hanno un’alta affinità per gli acidi grassi insaturi e
sono di due tipi: I-intestinali ed L dal fegato (lung) in base all’organo in cui sono state
isolate. Esse trasportano gli acidi grassi sino al RE dove avviene la resintesi dei trigliceridi.
La I lega gli acidi grassi; la L il monoglicerolo e la lipofosfatidilcolina.
2. sintesi trigliceridi nel REL tramite due processi:
a. via del monogliceride: il monogliceride è esterificato con gli acidi grassi assorbiti
che sono stati attivati ad acilCoA ad opera dell’acilCoA ligasi. Si ha formazione di
digliceridi e trigliceridi che favorisce l’assorbimento dal lume di acidi grassi a catena
lunga.
b. Via dell’α-glicerofosfato: durante il digiuno si ha la formazione di trigliceridi
mediante acilazione dell’α-glicerofosfato (sintetizzato a partire dal glucosio) con la
formazione di acido fosfatidico e quindi di trigliceride o fosfolipide.
Durante l’assorbimento postprandiale vi è massiccia disponibilità di 2-monogliceride e acidi grassi,
ciò favorisce la via dei monogliceride inibendo l’altra, nei periodi di digiuno invece diviene
preponderante la via dell’α-glicerofosfato.

Uscita dall'enterocito: per poter uscire dall'enterocito, i trigliceridi, il colesterolo e i suoi esteri e i
fosfolipidi devono essere assemblati in particelle complesse dette chilomicroni e VLDL, i primi
predominanti durante i periodi di assorbimento postprandiali, i secondi durante i periodi
interprandiali.
Una volta che i chilomicroni sono assemblati nel REL vengono trasferiti all'apparato di Golgi, da
cui gemmano vescicole contenenti chilomicroni, che si portano poi a livello della membrana
basolaterale fondendosi con la stessa e per esocitosi liberano i chilomicroni nello spazio
interstiziale. Da qui i chilomicroni attraversano la membrana basale ed entrano nei vasi linfatici.

DIGESTIONE E ASSORBIMENTO DELLE VITAMINE


Vitamine idrosolubili
L’assorbimento avviene sia per diffusione semplice che tramite trasportatori, molte di esse sono
assunte sotto forma di coniugati o coenzimi e necessitano quindi di un preliminare processo di
digestione:

Acido ascorbico (vitamina C): l’uomo non è in grado di sintetizzarlo, è abbondante nella frutta e
nella verdura, se ne dovrebbero assumere 40 mg/d. Inoltre la cottura e la lunga conservazione ne
distruggerebbe una parte. Viene assorbita dagli enterociti per trasporto attivo secondario Na-
dipendente tramite un trasportatore presente in due isoforme: hsvct1 e 2. Una parte della vitamina C
si presenta in forma ossidata ed anche essa è attivamente assorbita. La sua assenza causa scorbuto.

Acido folico: consiste in una pterina coniugata con acido paraminobenzoico e acido glutammico. È
molto presente negli spinaci e nel fegato bovino, ha una dose giornaliera di 200μg (400 in
gravidanza). L’assorbimento di poliglutammati (forma in cui è più presente) richiede una
preliminare digestione ad opera delle idrolasi della membrana microvillare (inibite da alcool). La
captazione avviene tramite uno specifico trasportatore stimolato dalla presenza extracellulare di
sodio e dal pH acido.
Cobalamina (vitamina B12): presente solo in alimenti di origine animale sotto forma di idrossi-,
metil- e adenosilcobalamina. Ne è richiesto un apporto giornaliero di 1-2 μg/d. Il suo riassorbimento
è complesso e richiede l’intervento di 4 diversi tipi di proteine in grado di legarla, presenti nella
saliva, nel succo gastrico, nell’enterocito e nel sangue.

Nello stomaco l’acidità provoca la dissociazione della vitamina B12 dalle altre proteine cui è
associata, essa si lega quindi all’aptocorrina salivare, soprattutto a valori di pH inferiori a 3 che
inibiscono il legame col fattore intrinseco che ha in questo momento affinità molto minore rispetto
all’aptocorrina.
Nel duodeno l’aptocorrina è idrolizzata dalle proteasi pancreatiche e la B12 si lega al fattore
intrinseco gastrico che la trasporta sino all’ileo.
Nell' ileo terminale il recettore è formato dal complesso cubilina-megalina. Dopo il legame, il
supercomplesso cubilina-megalina-cobalamina-fattore intrinseco è portato dentro l’enterocito
tramite vescicole di endocitosi rivestite di clatrina.
Nell' enterocito il complesso si divide in due parti: il recettore si stacca e torna alla membrana
plasmatica, il complesso cobalamina/fattore intrinseco viene portato ai lisosomi, a questo livello il
fattore intrinseco è degradato mentre la B12 torna nel citoplasma. Da qui parte viene trattenuta nei
mitocondri ma per lo più fuoriesce dall'enterocito.
Fuori dall’enterocito la B12 si lega alla transcobalamina II che ne assicura il trasporto nel torrente
sanguigno.
Un processo così complesso può essere bloccato a più livelli bloccando così l’assorbimento della
cobalamina. In assenza di fattore intrinseco solo l’1-2% della B12 introdotta con la dieta viene
assorbita probabilmente per diffusione semplice nel tenue, l’avitaminosi di questa vitamina prende
il nome di anemia perniciosa.

Altre vitamine idrosolubili:


• acido pantotenico: di origine alimentare soprattutto sotto forma di Sali di calcio. Trasporto
attivo secondario Na-dipendente.
• Biotina: presente in tantissimi alimenti. Trasporto attivo secondario Na-dipendente.
• Niacina o nicotinamide: soprattutto in carne e pesce. L’avitaminosi porta a pellagra ma è
molto rara in quanto può essere sintetizzata dall’organismo a partire dal triptofano.
• Piridossina: molto abbondante riassorbita per diffusione semplice.
• Riboflavina B2: uovo, latte, fegato, verdura, birra. Riassorbita con un trasportatore Na-
dipendente. Può essere sintetizzata dalla flora del colon.
• Tiamina B1: presente in molti semi vegetali, estremamente idrosolubile si perde con l’acqua
in cottura, trasportata attivamente Na-dipendentemente.

Vitamine liposolubili.
Sono tutte lipidi polari insolubili in acqua:

Vitamina A: è il retinolo, presente nel latte, nei suoi derivati, nel tuorlo d’uovo e nell’olio di pesce.
Il β-carotene è il suo precursore ed è costituito da due molecole di retinolo unite tra di loro, è
presente nella verdura e soprattutto nelle carote, vengono entrambi assorbiti nel tenue. Il β-carotene
viene prima scisso in due molecole di retinolo. L’entrata della vitamina A sembra avvenire per
diffusione semplice, mentre il rilascio dall’enterocito come retinil-palmitato è associato ai
chilomicroni.
Vitamina D: sono steroli ad azione antirachitica, tra di essi i più importanti sono l’ergocalciferolo
(vit D2) e il colecalciferolo (vit D3) prodotti dall’azione dei raggi UV sui loro precursori. Il
colecalciferolo è presente in ben pochi alimenti come olio di pesce e latte umano. La sua sintesi è
soprattutto endogena nella cute. Viene assorbito per diffusione semplice e a pH acido.
Vitamina E: gruppo di almeno 8 tocoferoli di cui il più importante è l’α-tocoferolo. Non esistono
patologie, nell’uomo, associabili ad un deficit. Viene assorbito nel tenue per diffusione semplice e
lascia l’enterocito per la circolazione linfatica immodificato. È presente in oli vegetali, cereali, uovo
e frutta.
Vitamina K: si definisce così sia il fillochinone (K1 di origine vegetale) che i
multiprenilmenachinoni (K2 origine batterica). La K1 è la forma più importante, presente nella
verdura e nel fegato bovino, viene assorbita nel tenue tramite un trasportatore. La K2 viene prodotta
dalla flora endogena del colon ed è assorbita per diffusione semplice.

ASSORBIMENTO DEL CALCIO


Deriva soprattutto da latte e derivati oltre che da cereali e legumi. Di questo solo il 20-30% viene
assorbito mentre il resto è escreto con le feci. Il riassorbimento avviene lungo tutto il tenue con
trasporto paracellulare e nel duodeno con trasporto attivo transcellulare. Nel digiuno e nell’ileo
l’assorbimento è maggiore dato che il cibo vi permane più a lungo. Nel duodeno è invece più
rapido, la vitamina D aumenta la permeabilità delle tight junctions favorendo il riassorbimento. Il
trasporto attivo nella mucosa duodenale inizia con l’ingresso nella cellula del calcio attraverso
trasportatori CAT1, appena nel citoplasma esso si lega rapidamente e saldamente con la calbindina.
Attraversato il citoplasma il calcio abbandona la cellula attraverso una Ca-ATP-asi della membrana
basolaterale che si fosforila in seguito al legame con il calcio modificando la sua conformazione e
portando così lo ione sul versante extracellulare.
La vitamina D incrementa l’assorbimento di calcio in tre modi:
1. incremento della concentrazione di calbindina.
2. incremento dell’espressione delle pompe per il calcio.
3. incremento espressione canali per il calcio.
Attraverso di essa il trasporto di calcio è aumentato in base alle esigenze dell’organismo: il calo
della calcemia stimola la produzione di 1,25 diidrocolecalciferolo da parte del rene.

ASSORBIMENTO DEL FERRO


Deriva soprattutto da alimenti di origine animale ed è assunto in dosi di 20-30 mg/d. L’omeostasi
marziale dipende direttamente dall’intestino in quanto non vi sono meccanismi specifici per il suo
controllo. Il bambino, per sopperire alle necessità di sviluppo corporeo, deve assorbire 0,5 mg in più
rispetto all’adulto, a tal proposito il latte materno lo contiene sotto forma di lattoferrina. La donna in
età fertile deve compensare le perdite di ferro con il ciclo così come anche quella in gravidanza.
Solo il 3-10% del ferro viene assorbito, il Fe2+ è assorbito più facilmente del Fe3+ a livello del tenue
prossimale, la bile con meccanismo non noto facilita l’assorbimento di ferro mentre gli anioni lo
ostacolano. Esistono due tipi di ferro apportati con la dieta: il ferro alimentare inorganico (70%) che
è assorbito per via paracellulare e soprattutto transcellulare energia dipendente; e il ferro organico
(30%) rappresentato principalmente da mioglobina ed emoglobina che sono assorbite probabilmente
per endocitosi, la parte globinica favorisce il riassorbimento e viene staccata dal ferro all’interno
dell’enterocito dall’eme-ossigenasi. L’assorbimento inizia a livello microvillare, la membrana
apicale degli enterociti viene attraversata dal Fe2+ solamente, il Fe3+ è ridotto a Fe2+ dalla ferro
reduttasi microvillare. A questo livello esistono numerose proteine leganti il ferro tra cui la più
importante è la paraferritina, il passaggio all’interno della cellula avviene attraverso il DMT1, un
trasportatore di ioni metallici bivalenti che opera un cotrasporto Fe2+/H+ 1:1. esso è in grado di
trasportare altri cationi divalenti come manganese, rame e zinco. È abbondante nel tenue
prossimale. Una volta nel citoplasma degli enterociti il ferro può seguire due destini: o il trasporto
ematico o l’accumulo nella cellula stessa. In quest’ultimo caso il ferro, dopo ossidazione a Fe3+, si
lega alla proteina citoplasmatica apoferritina a dare ferritina che può legare fino a 4500 atomi di
ferro, essa rappresenta un deposito solubile di ferro dal quale gli atomi sono liberati con grande
difficoltà. In tal modo aumenta il pool ferritinico e il ferro così accumulato è liberato solo con lo
sfaldamento eritrocitario. Nel caso il ferro debba abbandonare la cellula esso raggiunge
direttamente il polo basolaterale ed esce tramite un trasportatore detto ferroportina. Ad esso è
associata la efestina che favorirebbe l’uscita del Fe2+, la sua ossidazione a Fe3+ e il suo successivo
legame con l’apotransferrina a dare transferrina che lo trasporta nel sangue. Nel citosol
esisterebbero inoltre delle proteine leganti il ferro come la mobilferrina che lo trasporta sul versante
basolaterale.

FUNZIONI DEL FEGATO


Il fegato costituisce il 2,5% della massa corporea e rappresenta l’organo chiave del metabolismo. La
sua localizzazione anatomica lo pone in una posizione strategica in quanto riceve per primo, tramite
la vena porta, il sangue ricco di principi nutritivi che vengono da esso captati, metabolizzati,
accumulati e redistribuiti al resto dell’organismo. Le sue funzioni principali sono:
• metabolismo di numerose sostanze
• detossicazione ed escrezione xenobiotici (sostanze chimiche estranee all’organismo)
• sintesi di proteine plasmatiche
• produzione di bile con la quale si eliminano sostanze di rifiuto come pigmenti biliari,
colesterolo e farmaci
• funzioni endocrine
• funzioni emopoietiche solo nel periodo fetale

Funzione metabolica

• Metabolismo dei carboidrati: il fegato interviene nell’omeostasi del glucosio grazie a due
processi metabolici:
o gluconeogenesi: sintesi di glucosio ex novo (240mg/d). Il fegato capta il glucosio
ematico in fase prandiale che entra negli epatociti tramite i trasportatori Glut2 Na-
indipendenti e non soggetti al controllo insulinico. Il glucosio viene convertito
dall’esochinasi in glucosio6P che può quindi essere avviato alla sintesi di glicogeno
per il deposito o alla glicolisi per la produzione di energia.
o Glicogenosintesi: sintesi del glicogeno, principale forma di deposito intraepatico dei
carboidrati. Avviene durante i periodi prandiali a partire dal glucosio e dal piruvato o
dal lattato. Durante il digiuno si verifica la glicogenolisi per mobilitare le riserve
energetiche. Dal glicogeno vengono scissi glucosi1P convertito poi in glucosio6P
convertito infine dalla glucosio6fosfatasi in glucosio che può quindi raggiungere il
torrente circolatorio.
Il metabolismo epatico dei carboidrati è sotto stretto controllo umorale soprattutto da
parte dell’insulina pancreatica che agisce sugli enzimi coinvolti nel metabolismo dei
carboidrati a livello trascrizionale e post-trascrizionale favorendo la glicogenosintesi ed
inibendo la glicogenolisi e la gluconeogenesi. Il glucagone, il GH, le catecolamine e i
corticosteroidi hanno invece effetto opposto.
• Metabolismo delle proteine e aminoacidi: nel fegato avviene la sintesi di numerose proteine
a partire da aminoacidi che possono essere di origine intestinale o prodotti dal metabolismo
intraepatico tramite transaminazione degli α-chetoacidi ad opera delle transaminasi. Un
aumento della concentrazione sierica delle transaminasi (AST e ALT) causata dalla loro
fuoriuscita dagli epatociti danneggiati è da considerarsi un importante indice di danno
epatico. Il fegato sintetizza numerose proteine del siero:
o Albumina: trasporta molte sostanze sia endogene (ac. Grassi e biliari) che esogene
(farmaci) e gioca un ruolo chiave nel mantenimento della pressione oncotica del
plasma.
o Transferrina
o Fattori della coagulazione: fibrinogeno e protrombina.
o Fattori anticoagulanti: proteine C e S.
o Proteine della fase acuta: espresse durante l’infiammazione sistemica acuta e cronica
che si pensa abbiano un importante ruolo difensivo.
Il fegato ha inoltre una funzione catabolica sugli aminoacidi con la produzione di
ammoniaca che poi può essere utilizzata per la sintesi di aminoacidi non essenziali o entrare
nel ciclo dell’urea ed essere poi escreta con le urine.
• Metabolismo dei lipidi: acidi grassi e lipoproteine possono essere captati dagli epatociti. Gli
acidi grassi rappresentano un’importante fonte energetica immediata e un’essenziale forma
di deposito, inoltre il glucosio in eccesso può essere trasformato proprio dal fegato in
glicerolo e legato agli acidi grassi a formare trigliceridi. Il fegato regola la sintesi degli acidi
grassi e il loro trasporto agli altri organi in associazione con le lipoproteine. Durante il
digiuno il tessuto adiposo libera acidi grassi che vengono captati dagli epatociti e utilizzati
per i processi di biosintesi e per la produzione di energia. In seguito al pasto, invece, i
chilomicroni sono degradati in periferia e i loro residui sono captati dal fegato per scopo
energetico e per la formazione delle VLDL.
Altra funzione del fegato è la sintesi di apolipoproteine, cioè della parte proteica delle
lipoproteine. Le lipoproteine sono costituite da un guscio esterno proteico e fosfolipidico e
da un nucleo centrale di lipidi neutri. Esse sono state classificate in base alla loro diversa
densità relativa:
o Chilomicroni: trasporto trigliceridi.
o VLDL: a molto bassa densità, trasporto trigliceridi.
o LDL: bassa densità, trasporto colesterolo agli organi.
o IDL: densità intermedia.
o HDL: alta densità, trasporto inverso, dagli organi al fegato, del colesterolo.
La diversa densità dipende dal tipo e dal quantitativo di lipidi contenuti. Il fegato ha un ruolo
fondamentale nel controllo della colesterolermia. Apolipoproteine sono prodotte dal fegato e
assemblate in lipoproteine. Tra le principali abbiamo l’apolipoproteinaB100, la A-I e A-II, la
C e la E. Il fegato, inoltre, catabolizza le lipoproteine: il 70% dei recettori per le LDL sono
localizzati negli epatociti che li captano per endocitosi e li catabolizzano, questo
meccanismo è un importante mezzo di controllo della colesterolemia. La mancata
espressione di questo recettore è caratteristica dell’ipercolesterolemia familiare. Sulla
membrana plasmatica degli epatociti sono presenti anche i recettori per le HDL che
consentono all’epatocito di estrarre il colesterolo senza interiorizzare tutto il complesso.

Funzione di deposito
Il fegato è un importante sede di deposito per carboidrati (sotto forma di glicogeno), ferro,
vitamine liposolubili e alcune idrosolubili come la B12. il colecalciferolo, inoltre, è
trasformato a livello epatico in 25-idrossicolecalciferolo trasformato poi nel rene nel
metabolita attivo 1-25diidrossicolecalciferolo.

Funzione di detossicazione e escrezione xenobiotici


Il fegato capta e detossica vari farmaci e xenoboitici. Gli xenobiotici sono lipofili, il che
permette il loro assorbimento nel tratto gastrointestinale, la cute o i polmoni. All’interno
dell’organismo queste sostanze subiscono trasformazioni metaboliche atte a conferire loro
caratteristiche idrofile per poter essere escrete con le urine, le feci, il sudore, la saliva, le
lacrime o il latte. Queste reazioni sono dette biotrasformazioni. In genere con tali reazioni si
ha una detossicazione, ossia una abolizione o diminuzione della tossicità associata al
composto di partenza, poche volte si assiste ad un processo inverso di bioattivazione. Le
biotrasformazioni sono state divise in:
• Reazioni di fase I: comprendono le reazioni di ossidazione, riduzione e idrolisi. I metaboliti
risultanti sono poco più polari dei composti di partenza ma essendo ionizzati a pH
fisiologico sono più facilmente escreti dall’organismo. In tali reazioni svolgono un ruolo
chiave una famiglia di flavoproteine citosolice e una famiglia di eme-proteine, le citocromo
P450, e l’enzima NADPH-citocromo P450 riduttasi.
• Reazioni di fase II: sono reazioni di coniugazione in cui alcuni cofattori reagiscono con gli
xenobiotici a livello di gruppi funzionali nella maggior parte dei casi introdotti o resi
accessibili dalle reazioni di fase I. Danno origine a metaboliti molto più polari e quindi
idrosolubili. Possono anche non essere precedute da reazioni di fase I. Gli enzimi di tali
reazioni hanno per lo più localizzazione citosolica.
• Reazioni di fase III: gli xenobiotici lasciano l’epatocito dal polo sinusoidale, per
l’escrezione con le urine, o a quello canalicolare per l'escrezione con la bile. Ciò avviene
tramite un’ampia gamma di trasportatori energia dipendenti tra cui gli ABC.

Funzione endocrina
Durante la vita fetale le cellule di Kupffer sintetizzano Eritropoietina (Epo). Tale ormone favorisce
l’eritropoiesi. Nella vita adulta l’Epo è prodotta principalmente dai reni mentre il fegato si occua di
circa il 10-15% della produzione totale.
Inoltre il fegato potenzia l'azione di alcuni ormoni (conversione T4 in T3).
Attraverso la produzione di fattori di crescita insulino-simili gioca un ruolo importante per l’azione
complessiva dell’ormone della crescita.
Rimozione ormoni peptidici e loro catabolismo

Funzione emopoietica
È limitata alla vita fetale soprattutto dal 3° al 6° mese. Anche dopo la nascita esso ha un ruolo
chiave perchè garantisce l’apporto di ferro, acido folico e vit B12 al midollo.

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