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Stagione 2006/2007 I. Concerto, 12 ottobre 2006 – Sala Verdi ore 21.

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JOHANN SEBASTIAN BACH (1685-1750)


Guida all’ascolto
“I Sei concerti Brandeburghesi”
Concerto n. 1 in fa magg. BWV 1046 (22’)
Allegro – A dagi o – Allegr o – Minuet to

Concerto n. 2 in fa magg. BWV 1047 (16’)


Allegro – A ndant e – Allegro ass ai

Concerto n. 3 in sol magg. BWV 1048 (11’)


Adagio – Allegro

Concerto n. 4 in sol magg. BWV 1049 (23’)


Allegro – A ndant e – Prest o

Concerto n. 5 in re magg. BWV 1050 (23’)


Allegro – Af fett uoso – Allegro

Concerto n. 6 in si bem. magg. BWV 1051 (18’)


Data «24 marzo 1721» l’autografo dei Six Allegro – A dagi o ma non t ant o – Allegro
Concerts avec plusieurs Instruments che
l’allora Capellmeister del principe Leopoldo di I Solisti della UECO
Anhalt-Cöthen, Johann Sebastian Bach, aveva Massimo Palumbo, direttore
dedicato al margravio Christian Ludwig von
Brandenburg – e di qui la fortunata denominazione di Concerti branderburghesi. Nati forse per la
corte di Weimar o prodotti per la Cammer di Cöthen, certo «rifatti smaglianti» per l’orchestra del
principe berlinese, i Sei Concerti «rispondono all’intento – scrive Piero Buscaroli –, e forse alla
richiesta, di offrire, come in una fiera di virtù, la meno consueta esibizione di varietà ottenibili con un
pugno di solisti esperti». Concepiti sul modello italiano di Corelli e Vivaldi, e riconosciuti spesso,
almeno per la loro contrapposizione di un gruppo interno di solisti, come Concerti Grossi, con tale
collezione Bach consegna alla storia un capolavoro di rara genialità strumentale, luogo di
«un’approfondita elaborazione ematica e contrappuntistica, assai più ricca – sottolinea Giacomo
Manzoni – e anticipatrice di quanto non fosse mai avvenuto nelle opere degli italiani e dello stesso
Händel». Vive e si alimenta dunque in essi il gioco concertante di alcuni strumenti (il cosiddetto
«concertino») in dialettica opposizione al più ampio blocco orchestrale, in una sistematica
variazione dello stesso organico per caleidoscopica varietà di combinazioni.

Per tre oboi, due corni, un fagotto, violino piccolo, archi e clavicembalo è il Concerto n. 1 in fa
maggiore BWW 1046 aperto da un Allegro maestoso e animato da un ritmo senza posa. A suo
modo unico è l’immediato Adagio, fra le rare composizioni strumentali bachiane concepite sul tipo
della “melodia accompagnata”: qui, infatti, oboe, violino e bassi si alternano nel condurre l’afflato
melodico del pezzo, cui rispondono con armonie anche dissonanti gli altri strumenti. Allegro è il
terzo movimento, che riconquista l’originario carattere ritmicamente festoso; mentre un Minuetto e
una Polacca sanciscono la conclusione del Concerto, «in cui predominano – scrive Giacomo
Manzoni – le sonorità corpose degli strumenti a fiato, quasi per dare alla composizione un carattere
di Ländler da eseguirsi all’aria aperta».

Scritto per tromba, flauto, oboe, violino, archi e cembalo, il Concerto n. 2 in fa maggiore BWV
1047 conferma l’intento di contrapporre “tutti” e “concertino” in un gioco di contrasti continuamente
rinnovati. All’istituzionale Allegro d’apertura, risponde un posato Andante in ritmo ternario e tonalità
relativa minore, luogo di un disteso discorso interiore la cui trama contrappuntistica mai confonde
l’indole melodica del movimento. Con un «vero colpo di genio timbrico» (G. Manzoni) attacca in
totale contrasto il finale Allegro assai: un assolo di tromba cui si associano per imitazioni via via
l’oboe, il violino, il flauto, quindi il “tutti”, ad animare una festa di trascinante e luminosa fantasia
strumentale.

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Redazione Ufficio Stampa Tel. 02.36.55.72.90 - ufficiostampa@ueco.it - www.ueco.it
Stagione 2006/2007 I. Concerto, 12 ottobre 2006 – Sala Verdi ore 21.00

Dagli altri si differenzia l’organico del Concerto n. 3 in sol maggiore BWV 1048, probabilmente fra
tutti il più antico (Alfred Dürr), concepito per soli archi e basso continuo, Concerto votato ad un ritmo
tenace e coinvolgente, che proprio nel primo movimento conquista l’apice del suo «vigore
inconsueto» (G. Manzoni), con l’intervento massiccio del “tutti” orchestrale a sottolineare i momenti
risolutivi dello sviluppo tematico. A suo modo caratteristica è l’assenza del tempo lento, ridotto a un
Adagio di una battuta sola che introduce il secondo Allegro, movimento rapido nel suo trascinante
gioco d’imitazioni, sempre avvolto da un manto di rassicurante serenità.

Nel Concerto n. 4 in sol maggiore BWV 1049 sono i due flauti e il violino principale a contrapporsi
agli archi e al basso continuo. Giocoso e leggero è il movimento iniziale, in un caratteristico
rincorrersi – fra loro e con l’orchestra – degli strumenti del “concertino”, per cui concreto e prezioso
guadagno è proprio l’esecuzione di queste pagine in una dimensione cameristica, per meglio
gustare il gioco prezioso di intarsi che può reggere solo se affidato a singoli solisti che alla delicata
scrittura dedicano ogni loro attenzione. Sapiente sfoggio di un «ampio patetismo barocco» (G.
Manzoni) è il secondo movimento, Andante, nella relativa tonalità minore, con la tipica e netta
contrapposizione dinamica di piano e forte. Fuga gagliarda è il Presto finale, in cui la dialettica
interna fra le due parti coinvolte dà vita a figurazioni fra le più fantasiose e inattese.

Con il Concerto n. 5 in re maggiore BWV 1050 si assiste a una delle più amate e popolari
composizioni di Bach, pagine brillanti per fantasia, virtuosismo e immediatezza d’invenzione, con
flauto, violino e clavicembalo che portano in primo piano, con vivace nettezza, l’elemento solistico
del concerto. Con i suoi «ritmi elastici e insieme solidamente ancorati a un movimento costante»
(G. Manzoni) nel primo tempo prendono corpo una serie di episodi solistici ricchi di modulazioni e
disegni sempre nuovi, che conducono con l’ineluttabilità di un piano geniale e ben congegnato alla
grande cadenza finale del cembalo, pezzo fra i più virtuosistici che Bach abbia concepito per
questo strumento. Il tempo lento centrale, Affettuoso, è interamente affidato ai tre solisti, che
s’intrecciano sul diafano tema cantato dal violino. Allegro è il movimento di chiusura, con un tema
schietto scandito in nette terzine.

Con un organico del tutto fuori dal comune si propone il Concerto n. 6 in si


bemolle maggiore BWV 1051, originariamente privo dei violini e di strumenti a
fiato, di certo fra i migliori concerti nati dal genio di Eisenach. Nel primo movimento,
con tipica scrittura, l’e lemento tematico diviene anche l’anima motrice
dell’andamento ritmico del pezzo. Nel cuore, uno straordinario canone consegnato
alle due viole, esempio di altissima e intensa perfezione contrappuntistica. Adagio
ma non tanto è il tempo lento centrale, anticipo del felice e conclusivo Allegro,
«vasto affresco – chiosa Giacomo Manzoni – in cui ancora una volta l’elemento più
sorprendente è dato dal singolare colorito timbrico dell’insieme». Senza essere
propriamente l’inventore del genere, Bach fu di certo uno dei primi ad aver
dedicato dei concerti solistici al clavicembalo (se oggi nelle esecuzioni
concertistiche è entrato ormai nell’uso il pianoforte, è imprescindibile l’originaria
destinazione di questi lavori). A Lipsia, fra il 1730 e il 1733, vide la luce una lunga
serie di concerti per uno, due, tre o quattro clavicembali (quasi tutti, in realtà,
trascrizioni di altrettanti concerti soprattutto per violino oggi andati perduti), frutto
della sua profonda conoscenza della musica italiana e insieme del suo genio
d’esecutore alla tastiera (organo o clavicembalo che sia), un repertorio
assolutamente nuovo col quale volle proporsi per la direzione dei concerti pubblici
del Collegium Musicum, teatro fondato e diretto dall’amico Telemann.

Testo tr atto da “Suit eClassica” n. 2 – dicembre 2004


(pubblicazi one gratuita di F ondazione UECO)

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