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Maria Serena Peterlin

I miei Lucignoli

Riflessioni e Note di Scuola e Fantascuola

2008
Autori del Pratico Mondo di www.praticomondo.net

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Il blog di Maria Serena Peterlin

note cellulari
Ad Elena, Anna e Maria
A Viviana
A Simona

A tutte le mie brave ragazze,


alle prese con i Lucignoli di sempre

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Presentazione e ringraziamento di Mariaserena

Pubblico con gioia anche questo nuovo ebook nella Biblioteca degli AUTORI del
PRATICOMONDO .

E' entusiasmante contribuire a dar vita sul web a questa nuova forma di editoria popolare
e gratuita e disponibile per tutti.

In questa opera racconto di ragazzi e insegnamento, ma metto in luce e rivelo anche


retroscena e fuori scena di momenti ed episodi di vita scolastica che di solito sono
riservati agli addetti ai lavori. Tutto ciò che racconto è una trascrizione della realtà o di
come i fatti e i personaggi mi sono apparsi; nella prima parte “La scuola ed io” in una
dimensione analitica, mentre nella seconda “Fantascuola” in dimensione surreale e con
qualche divagazione su fatti e persone.

Sul tema sono stati scritti libri e realizzati film, cortometraggi e fiction, ma nonostante
siano passati parecchi anni io credo che solo il film La scuola con Silvio Orlando per la
regia di D.Lucchetti ne abbia dato una bella rappresentazione: vera, oggettiva e perfino
commovente ma senza smielature.

Nel Praticomondo la mia scrittura ha trovato uno spazio e un supporto ideale; la


competenza e la sensibilità del team compone gli ebook mettendo online i file nei quali
esprimo riflessioni e analisi critiche e narro le mie storie.

In questo habitat dinamico e creativo gli spazi e i tempi contano meno dell'entusiasmo e
della creatività, qui le mie parole trovano trova una risonanza ideale e si avviano verso il
mondo reale per incontrarsi con i lettori.

Ringrazio dunque di cuore Prat Pratico (conduttore del Praticomondo), Vinnie Commedia
(webmaster), Brujaloca (grafica) per aver sostenuto anche questa impresa rendendola
possibile.

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Indice

PARTE I - LA SCUOLA ED IO

1 QUELLO CHE NON SI PERDE


2 INTERPRETAZIONI DI SCUOLA E DIDATTICA
3 EDUCAZIONE DEI SENTIMENTI – AMARE E TEMERE
4 LA MERITEVOLE PROFESSIONE DOCENTE
5 GENERAZIONI A CONFRONTO-BULLISMO e SCUOLA :
Quali le regole?
6 ADOLESCENTI VIOLENTI - ADULTI PERBENE
7 RESPONSABILITA' DEGLI ADULTI E QUALITA' DEI RAGAZZI -
EDUCAZIONE E DIDATTICA
8 L'INSEGNANTE E' IMPARZIALE?
9 DIDATTICA ANTI-BUONISTA
10 L'EDUCAZIONE NON SERVE AD AMMANSIRE AGNELLI
11 VECCHIA SCUOLA
SCOLARIZZAZIONI ALL'ANTICA 1
12 SCOLARIZZAZIONE ALL'ANTICA 2 : MEDIA ED AVVIAMENTO
13 SCOLARIZZAZIONI ALL'ANTICA 3
14 SCOLARIZZAZIONE ALL'ANTICA 4 : Ora di RELIGIONE
15 SCUOLA D'OGGI
16 L'IMPEGNATIVA VITA DOCENTE E LE VICENDE DEL REGISTRO DI
CLASSE
17 EDUCAZIONE LETTERARIA (la c'è la differenza)
18 LEZIONE DI ITALIANO :Perché dobbiamo studiare Dante che è morto
tanto tempo fa?
19 LEZIONE sul Cantico delle Creature
20 DORMIRE IN CLASSE: MA SENZA DISTURBARE I PROF
21 SCUOLA NEOFUTURISTA
22 I RAGAZZI ASCOLTANO E RISPONDONO
23 ADOLESCENTI VIOLENTI? Ma che ne sapete voi...
24 GIOVANE VIOLENZA

4
PARTE II : LA FANTASCUOLA

1 FANTA-SCRUTINI – Atto unico


2 (S…)CONSIGLIO DI CLASSE – mini scena
3 GLI APPUNTI DI PROFI'
4 FANTASCUOLA IN TRIDIMENSIONALE LE FAVOLE E LE STORIE
5 FANTASCUOLA IN DIMENSIONE LETTERARIA - RISCRITTURE ovvero
esercitazione letteraria per adulti consapevoli
La roba (del Ruiz) da VERGA
6 RISCRITTURA DA MANZONI - Gli alunni promessi
7 FANTASCUOLA nella mia NARRATIVA
Un racconto fantastico dedicato a Nick
8 U. B. - La volontà di afferrare e comprendere
9 UN LUCIGNOLO SULL'AUTOBUS
10 FINE
11 CONGEDO
CONCLUSIONE

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PARTE I - LA SCUOLA ED IO

Lo ammetto. A volte mi piacerebbe essere ancora in classe in mezzo a


loro, ed aspettare quel momento in cui, senza mie imposizioni,
semplicemente parlando e guardandoli negli occhi, un po' scherzando con
loro, un po' chiamandoli per nome e un po' con i miei "discorsini", come li
chiamava la mia studentessa Diana riuscivo ad accendere in loro
l'interesse.
Ancora non mi spiego perché arrivassi a scuola sempre con tanti libri (non
i soliti manuali) portati da casa, o pescati dal bagagliaio della macchina
dove ce n'erano almeno una trentina fissi, più quelli aggiunti all'ultimo
momento uscendo di casa. In classe non sempre li aprivo, ma facevano
parte di me e quando si avvicinavano i ragazzi alla mia cattedra spesso li
aprivano per curiosare ed era un altro passo che ci avvicinava, come
quando mi mettevo a scrivere sulla lavagna frasi e parole che qualcuno
copiava.
Erano i versi dei miei poeti; una mattina impiegai tutta una lezione a
spiegare pochi versi: "Ho sceso dandoti il braccio forse un milione di
scale" (Montale) e un'altra "Se a voltarmi più non ti vedo, chi di noi due
manca?" (Eluard). Oppure scrissi la poesia di Pavese "I gatti lo sapranno"
e i selvaggioni sollevarono il viso per stare a seguire.
Nel pomeriggio su MSN mi arrivò un messaggio di Roby :"Profi, mi serve
una poesia bella come quella di stamattina", "A che ti serve?", "Vorrei

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fare colpo su una ragazza..." . Debolezze di Profi, mi sono quasi
commossa e gli ho risposto: "Beh, Roby, è davvero fortunata..."
Oggi in classe spiegherei un brano di una poesia di Alfonso Gatto, bella.
Con il programma magari non avrebbe nulla a che fare; ma con loro sì.

Bastasse l'angelo arguto


a dirci che il male
è tutto là sul giornale
per chi l' ha fatto
per chi l' ha ricevuto.
Il male ci coglie d’un tratto.
Immeritata la gioia
che non sia di tutti
e i nostri lutti
che non son nostri, i pensieri...

La testa è più distratta ove più impara


a dir col passo gli stessi pensieri.
(da Osteria Flegrea)

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1 QUELLO CHE NON SI PERDE

Solo dopo diventa chiaro quanto i ricordi siano importanti.


Solo dopo, solo quando non si è fatto nulla per raccoglierli e per portarne
con sé le tracce in fotografie, carte, oggetti e ti accorgi che tutto quello
che hai non ti è abbastanza.
Ti accorgi che quei segni ora li vorresti con te; e pensi che le tante mattine
in cui la tua vita scorreva e le stesse situazioni si ricreavano giorno per
giorno, tanto simili da sembrare eterne, proprio tutte quelle interminabili
mattinate, che a volte avresti voluto abbreviare, sono state troppo
importanti, che ti hanno cambiato e segnato, che le hai dentro di te.
E vorresti che tutto fosse testimoniato e documentato.
Ma poi ti guardi dentro e li ritrovi, quei giorni, ad uno ad uno con te. Non
sempre dipanati e diffusi, non sempre distinti e segnati da particolari. Ne
senti il suono, ne vedi la luce e i colori, ne respiri e percepisci l’aria tale e
quale; talmente uguale che quei segni e quelle testimonianze forse non ti
servono più. Sono le ragioni degli affetti che replicano i segni della vita.
Forse per questo ho sempre saputo che non mi sarebbero mancati i primi
giorni di scuola. Ma gli ultimi.
E per questo, fortunatamente a contenere la piena dei sentimenti già
sovrabbondante, l’eccitazione per la fine dell’anno scolastico ha fatto sì
che ogni anno l’ultimo giorno di scuola, fosse sempre il più scombinato e
anticonvenzionale. Ed anche che il mio discorso di saluto e di
raccomandazione fosse inutile, tanto loro erano già avvolti dalla smania
estiva: “ Ciao Profi. Allora, noi andiamo. Arrivederci!”
Questa non è nostalgia.
Si può provare nostalgia per qualcosa o qualcuno che si è perso.
Invece così non è stato. E’ tutto dentro di me.

Il tempo che ricordo ero con voi


chiuso in un cubo di pareti e vetri,
trascorse con sconnesse dissonanze
di divergenti intenti e pochi segni;
quel tempo era scandito come spicchi
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d’un dolceamaro frutto oltremarino.

Se voi impazienti, con me troppo paziente,


quel tempo non riuscimmo ad assaggiare,
come quel frutto suddiviso a molti
non è bastato, o forse era immaturo.
Ma non per questo non lo posso amare.

Dopo la classe di cui ho scritto nel mio precedente libro, pensavo che non
avrei voluto scrivere più di ragazzi e di scuola. Invece non è stato così. Ho
continuato farlo quasi ogni giorno.
Ma tutto continua e tutto si modifica, anche gli stati d’animo, le intenzioni
e le sensazioni.
Succede come quando, in piena estate, di notte si alza un vento
imprevedibilmente freddo, tanto da costringerti richiudere tutte le finestre
prima spalancate come bocche in cerca di aria, e al mattino ci si sveglia
con ventuno gradi invece che trentacinque. Allora si pensa che l’estate si
stia prendendo una pausa e ti lasci riposare, e che non è necessario che la
stagione ed il tempo trascorrano velocemente: il mondo non si è fermato,
ma continua a girare ciclicamente.

"A ondate è scosso il mio ciliegio,


prima custode a dolci suoni aerei
e a lievi voli.
Bianche già le corolle, in rossi volte
frutti preda di gazze.
Ora il libeccio lo percorre e frusta.
Sospesa mutamenti attendo
e suoni ascolto."

Allo stesso modo le immagini mutano in prospettive dinamiche; e il


tempo cambia solo ciò che si lascia cambiare.

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2 INTERPRETAZIONI DI SCUOLA E DIDATTICA

Rulfo, un mio lontanissimo alunno, scrisse in un tema “La scuola non


dovrebbe essere materiale, ma sentimentale.” Concetto che, pur espresso
con una certa primitiva ingenuità, è però ancor oggi vicino ai pensieri di
molti ragazzi.
Le discussioni sulla scuola possono essere molto serie e pervase di
intenzioni scientifiche. Ma io non mi sento scientifica.
Ciò che risponde alla ricerca di sentimento da parte dell'alunno Rulfo, che
oggi ha una piccola galleria d'arte moderna, è in realtà la ricerca di un
rapporto non fondato tanto sullo scambio di prestazioni io insegno- tu
impari- io verifico, quanto invece su una interrelazione utile e corretta di
interessi, di pensieri, di considerazioni critiche, di espressione di ciò che si
pensa. In questa interrelazione troverà spazio anche la pratica
didatticamente necessaria del io insegno- tu impari- io verifico.
Inoltre il confronto, tra studenti e insegnante non è necessariamente
generatore di emozione: ma è una disposizione serena e razionale
dell'anima al confronto stesso; da questa disposizione dell’anima le
emozioni non sono escluse, ma l'insegnante deve controllarle e tenerle a
freno con la ragione.
Altrimenti scatta in lui la ricerca della popolarità presso gli studenti, della
soddisfazione professionale, del gradimento, del successo scolastico e si
rischia di non tener conto dei tempi e delle percezioni dei ragazzi.
Alcuni affermano che la didattica è trasmettere conoscenza. Il punto è,
però: come?
Tutto è didattica a scuola: compreso come ti vesti, come entri dal portone,
come cammini, come li saluti. Io mi imponevo di entrare in classe sempre
sorridendo (anche con l'emicrania, il collare per l'incidente stradale ecc) e
di guardarli negli occhi.
E se non sorridevo, si preoccupavano. Che cià oggi pressorè? Non è che
ce l'ha con noi, vero?
Ero solennemente arcigna solo in occasione di feroci rimproveri (che non
sono mancati), ma non ho mai "chiuso" con nessuno. Tutto è didattica:
anche il colore della matita per le correzioni, il modo di passare tra i loro
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banchi, il caffè mandato a prendere dall'alunno affidabile. E tuttavia ho
certamente sbagliato molte cose ed è tardi per le giustificazioni.
Sono certa, però, che la scuola non mi ha reso peggiore. Anzi.
Per questo, la … rifarei e quando leggo le e mail che mi arrivano dei miei
ex (di più vent’anni fa...) confermo le mie scelte e le mie idee.

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3 EDUCAZIONE DEI SENTIMENTI – AMARE E TEMERE

SOLILOQUIO

Con soffio tenue d’echi confusi,


solo di notte raggiunti, riascolti
voci lontane, vicine parole.
Tornano al buio d’un’aria sorpresa
dolci e ronzanti quei tuoi ricordi.

L’aula sonora, secchi i rumori


Occhi, respiri e i tuoi sorrisi.

E’ difficile amare quando si ha paura.


L'amore per gli altri non è per tutti un sentimento facile, spontaneo e
naturale e quindi si deve essere educati anche ai sentimenti e all'amore.
Naturali e spontanei sono il senso egoistico e il soddisfacimento di
bisogni ed istinti. Ogni giorno costatiamo come la natura degli esseri
umani non li induca al vivere nella pace e nella fratellanza. Ecco perché i
sentimenti devono essere coltivati e instillati con l'esempio, con la
costanza, con la capacità di far ragionare.
L'indole ci porta attitudini (buone o non buone), talenti e capacità;
l'educazione ci insegna a reprimere la tendenza alla sopraffazione,
all'egoismo, al desiderio di dominare. Ma può insegnare pure il coraggio.
La società civile ha scritto leggi e regole, le ha imposte e insegnate. La
civiltà consiste anche in questo.
Senza un'accettazione delle leggi non c'è più il diritto; e torneremmo (o
rimarremmo) all' homo homini lupus.
Voler bene agli altri significa anche tener conto anche di un bene comune,
di un bene generoso e rispettoso verso la società e l'umanità. Ma tentare di
trasmettere amore senza istruire ed educare non funziona, non può
funzionare. Allo stesso modo è inutile cercare di trasmettere solidarietà
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senza leggi o addirittura ignorando le leggi. Le nostre responsabilità di
adulti, in questo processo, sono fondamentali poiché tutti possiamo
continuare sempre sia ad educare sia ad imparare. Per insegnare
efficacemente è necessario essere credibili ed autorevoli e queste sono
qualità che di possono acquistare con la preparazione e l’esperienza.
Dunque la scuola ha bisogno di MERITO, non di MEDIOCRITA’.
Quando si è iniziato a smantellare il merito?

L’Italia è stato un paese in cui, in tempi non troppo lontani, c’era spazio
per laureati colti e impegnati nella professione, come per gli operai valenti
e dediti al lavoro o gli artigiani abili e capaci. C’era spazio anche per i
bravi docenti che non aspiravano ad emergere per carriera, ma godevano
di prestigio, di rispetto ed erano gratificati dal loro lavoro. C’era
ammirazione anche per ragazzi e ragazze bravi e studiosi e le loro
famiglie.
Poi sono prevalse altre logiche, tra le quali quelle delle cordate e delle
appartenenze.
Ora si riparla di merito; ma il rischio è di far crescere una pianta che nasce
stentata e a fatica. Anche il merito, infatti, non è un talento ma è frutto
dell’educazione. Quindi deve essere coltivato. E’ l’educazione che instilla
il senso del dovere, che fa apprezzare la gratificazione nel risultato di ciò
che si fa e non nell’approvazione.
E’ l’educazione che insegna a bastare a se stessi nei momenti difficili:
l’autonomia di una persona è un bene prezioso su cui contare.
E’ sempre l’educazione che può indurre ad avere come riferimento il bene
sociale, la soddisfazione di contribuire al miglioramento della società. E
potremmo continuare. Aggiungo solo che è l’educazione che può
trasmettere sia la convinzione di avere una missione che ci attende sia il
senso del dovere ci sospinge verso questa missione.

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4 LA MERITEVOLE PROFESSIONE DOCENTE

Non è facile ricostruire quello che la diffusa sciatteria e superficialità


pseudo intellettuale hanno distrutto. Non è facile restaurare il senso di sé e
riproporre un modello di persona dignitosa e che non si confida in chat o
piange al telefono con l’amica o all’amico, ma rispetta sé stessa e gli altri
e prima di gemere cerca rendersi emotivamente e intellettualmente
presentabile.
La logica delle cordate ha invaso anche la vita privata che, sulla scia del
talk e dei reality show si esibisce e sbandiera senza nessun pudore.
Non sarà facile, dunque, ricondurre i nostri ragazzi sulla strada della vita,
quella vera e seria.
Abbiamo subito, (e molti hanno accettato e promosso) l’idea che un
bambino o un ragazzo debbano sempre “essere come gli altri” o anche
“non sentirsi diversi”.
Invece dovremmo dire e trasmettere con forza ai nostri ragazzi la
convinzione che non è questa l’eguaglianza.
L’eguaglianza non è un copia/incolla del modello velina o tronista o,
peggio ancora del bullo di turno. L’eguaglianza non consiste nel vestire il
jeans sponsorizzato da chi ha travolto e ucciso, da ubriaco, persone
innocenti e le ha lasciate sulla strada, né nel pettinarsi e dimenarsi come la
modella cocainomane di turno. Su questo potremmo essere tutti
d’accordo, però va sottolineato che anche la disapprovazione deve far
parte di un progetto educativo. Negare la moda o il modello non è
possibile se prima non abbiamo costruito e lavorato sulle motivazioni e
sui valori
Dunque dobbiamo insegnare da subito ai bambini che l’eguaglianza sta
nei diritti della persona e, non nella personalità.
Essere uguali significa sapere che possiamo essere socievoli o meno
socievoli, eleganti o meno eleganti, belli o meno belli, vestire firmato o
no, amare lo studio o studiare per dovere, amare il cinema (o il ballo, o la
pittura, ecc) o non amarlo, piangere per una poesia o riderne e così via,
andare in campeggio o odiare le formiche e tutti gli insetti del mondo, ma
essere comunque individui rispettosi e rispettati perché siamo persone
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corrette e che fanno il proprio dovere senza ossequiare e senza temere
nessuno.
Un’ultima riflessione. Le vittime preferite dal bullismo sono ragazze e
ragazzi meno belli o troppo belli, molto studiosi o poco dotati, vanitosi o
timidi e incapaci di aggressività: insomma sono ragazze e ragazzi non
omologati e non conformisti rispetto al costume diffuso nel loro ambiente.
Il bullismo può esprimere anche una pessima idea di uguaglianza dunque;
un’uguaglianza in subalternità, ossia un’interpretazione delinquenziale
dell’omologazione.

La meritevole professione docente può fare molto per restituire valori.


Qualche insegnante già lo fa.

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5 GENERAZIONI A CONFRONTO

BULLISMO e SCUOLA : Quali le regole

Sul cosiddetto bullismo cresce l’attenzione e si attivano provvedimenti


non sempre efficaci. Ma se un ragazzo è bullo l’educazione ha già fallito.
Per questo la questione è seria ed importante. Per quanto riguarda le
scuole la presa di posizione del Ministero è abbastanza nota e diffusa.
C’è anche un numero verde: 800.66 9696 e una pagina sul sito :
http://www.pubblica.istruzione.it/ministro/comunicati/2007/070207.shtml
Per i casi di bullismo reiterato si può decidere l’espulsione del colpevole.
Che cosa succederebbe quando gli insegnanti e i dirigenti scolastici, gli
organi collegiali e quelli disciplinari, nelle scuole esiste infatti una
commissione disciplina, fossero chiamati a deliberare sulla materia?
La normativa ministeriale lascia ampio margine agli operatori scolastici
nel valutare le situazioni e istituire i rimedi, ossia delega, ma dovrebbe
fornire un adeguato orientamento.
Esiste uno strumento non soggettivo di valutazione e classificazione degli
episodi di indisciplina, di maleducazione o di bullismo atto a ridurre il
margine di errore nella valutazione dei singoli episodi? Le garanzie di
equità sono necessarie altrimenti uno stesso atto potrebbe essere molto
diversamente valutato in una scuola di Modena, di Aosta o Palermo. Sul
termine bullismo i dizionari sono di scarsa utilità. Invece nel sito ufficiale
della Polizia di Stato troviamo una pagina molto chiara sulla questione :
http://www.poliziadistato.it/pds/primapagina/bullismo/index.htm
Le scuole possono usare questo riferimento sia per trasmettere chiari
concetti agli studenti, sia per orientarsi nell’interpretazione dei
comportamenti. L’indisciplina va educata e repressa, ma non è
necessariamente bullismo. Un atto di violenza è reato e non bullismo.
Quando i ragazzi si comportano male e disturbano o compiono azioni
mediamente o gravemente indisciplinate, è importante non perdere la testa
ed avere a disposizione strumenti adeguati.

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Per i suddetti motivi cito la frase conclusiva dalla pagina sul bullismo del
Sito della Polizia di Stato. Qualche volta è necessario diventare serissimi;
e più seri e convincenti di così è difficile essere.
“Vi ricordiamo che non si tratta di bullismo se due ragazzi o gruppi di
ragazzi litigano fra loro o si picchiano perché, in questi casi, esiste una
parità di forza. Ma soprattutto non è bullismo quando qualcuno attacca o
minaccia un coetaneo con un coltello, procura ferite gravi o compie
molestie o abusi sessuali. Questi comportamenti sono dei veri e propri
reati.”
Il bullismo è stato definito mobbing in età evolutiva; un atteggiamento di
prevaricazione violenta dunque, che ha molte e diverse sfumature e
espressioni a seconda delle situazioni in cui si manifesta e che si
manifesta con una particolare evidenza a scuola e in tutti gli ambienti di
aggregazione giovanile.
Ovviamente l’affermazione ha anche un valore inverso. Smettiamola
dunque di definire bullismo la generica maleducazione o la prepotenza,
sulle quali si deve intervenire adeguatamente.
C’è invece da augurarsi un’urgente e intelligente riflessione laddove si
ravvisino elementi di un evidente fallimento dell’azione educativa
scolastica e non.
Solo da qui tutto potrà ripartire.

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6 ADOLESCENTI VIOLENTI - ADULTI PERBENE

I nostri opinionisti mediatici danno varie interpretazioni della violenza tra


i giovani e giovanissimi; alcuni si esprimono emettendo sospiri
imbarazzati ripetono attoniti: "Non so, non capisco... quanta solitudine in
questi ragazzi!".

L’inquietante televisione, che si auto genera, auto produce ed auto


trasmette non è forse il prodotto di autori, registi, anchorman, produttori,
attori, veline, opinionisti, signore ben orientate, ex signore benvestite,
giornalisti/e, presentatori smaglianti, conduttrici saltellanti che
partecipano allo show globale? E proprio costoro sono legittimati a
giudicare ed accusare famiglia, scuola e società?
E’ corretto lasciarci tutti giudicare ed influenzare da questa folla del
carrozzone mass-mediatico televisivo?
La domanda è lecita proprio perché i giovanissimi incriminati si
giustificano e, anche davanti al giudice, affermando: "La televisione è
stata maestra delle nostre azioni."
Qual è dunque il ruolo dei media? Da chi prendono linee e direttive
costoro? dall'(ex) pianeta Plutone, dalla più lontana Alpha Centauri, o da
una realtà che abita assai più vicino?
Quanto mi innervosiscono, perciò, gli adulti perbene che parlano con tanta
gravità e assennatezza di adolescenti violenti, bulli ed estremi. Questa
specie di neologismo adolescenti estremi classifica con enfasi compunta
gli episodi raccontati su giornali, radio, tv e internet. Si tratta spesso di
quarantenni che non generano per scelta e si innervosiscono se casomai si
trovano alle prese con il problema dell'educazione. A tutti costoro
bisognerebbe suggerire di studiare qualcuno dei principali testi di
pedagogia (almeno quelli dal settecento ai giorni nostri) e di considerare
che se il problema dell'educazione ha sempre costituito un argomento su
cui spendere fiumi di inchiostro e anni di studio allora vuol dire che non è
un problema semplice si cui si possa autorevolmente pronunciarsi senza
rischiare di scivolare sulle banane.
Si potrebbe anche suggerire di rileggere Dickens e di vedere se sia il caso

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si rimettersi ad usare le frustate e le nerbate; potrebbero funzionare?
Educare è faticoso. Si educa confrontandosi con gli adolescenti, non
solamente giudicandoli, anche perché molti dei giudici avrebbero non
poche difficoltà a dimostrare di avere buoni esempi da dare.
Fino a prova contraria, i bambini e i ragazzi non creano modelli sociali,
ma gli adulti sì

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7 RESPONSABILITA' DEGLI ADULTI E QUALITA' DEI RAGAZZI –
EDUCAZIONE E DIDATTICA

I ragazzi, dall’adolescenza in poi, tendono ad essere critici verso il mondo


degli adulti; a volte gli insegnanti li ricambiano con diffidente sussiego e i
genitori assecondandoli troppo o irrigidendosi irragionevolmente.
Ma oggi vi sono adulti che hanno assunto aspetti nuovi che si
materializzano ed esprimono in categorie non tradizionali (non pretendo
di analizzarne l’universo perché sarebbe assurdo oltre che impossibile).
Il mondo degli adulti comprende infatti non solo genitori e insegnanti, ma
anche una folla di persone e personaggi che rappresentano comunque
suggestivi modelli tra i quali, oltre ai calciatori e ai saranno famosi di
turno, troviamo non solo qualche star un po’ inquietante come Paris
Hilton, ma anche tutto l’universo di coloro che appaiono sui media: il
panorama non è da sottovalutare.
Mentre i genitori e gli insegnanti sono spesso insigniti dai ragazzi dalla
onorificenza di rompiballe assillanti e stressanti, coloro che appaiono si
avvalgono di ben altre e accattivanti qualità: levigati e disinvolti, sgargiuli
e sgarzoline, fichissimi e precisi, sexy e fascinosi. Insomma essendo
irresistibilmente trendy nonché divertentemente trasgressivi la fanno da
padroni.
Ma è importante che i genitori e gli insegnanti non accettino un ruolo da
comparse, si tengano, a testa alta, il titolo di rompiballe e non cedano ai
modelli disinvolti e amichevoli.
Se il loro ruolo tiene (e la sua tenuta può resistere solo se si fonda su
contenuti e motivazioni importanti, che insegnanti e genitori
hanno) avremo qualche speranza in più.
Se invece anche queste due categorie, che costituiscono ancora la
fondazione indispensabile nella costruzione dell’edificio “educazione e
crescita” cedono al fascino mediatico e si lasciano coinvolgere da
intellettuali alla ricerca di consenso, se si lasciano influenzare da astrologi
e psicologi televisivi, se aderiscono senza riflettere alle tendenze di
costume estemporanee, se infine, si lasciano coinvolgere da discussioni

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sul “lato A e lato B” delle fanciulle di Miss Italia senza insorgere
spegnendo la tv o passando ad altro canale allora rimane poco da fare.

Anche perché gli intellettuali attualmente più ascoltati e trasmessi dai


media radiotelevisivi hanno rinunciato ad un ruolo scomodo di pensatori
critici del presente, hanno sdegnato a quello nobile e antico del censore
(termine che uso in senso latino) e si adeguano a loro volta, al modello
sgargiulo e sgarzolino un tantino imbellettato; hanno messo il pensiero
politico sullo scaffale più scomodo delle loro librerie universitarie e
ammiccano al LATO B.

Se succede che anche le fondazioni cominciano a vacillare allora è


inevitabile anche accettare leader improvvisati e accadrà sempre che tutto
ciò che fa spettacolo può fare anche politica, educazione, pedagogia e
cultura.
Ma io non credo che sia così; i fenomeni passano, ma il senso civico, la
buona scuola, i valori e la politica alta resistono, o tornano.
I ragazzi hanno bisogno di motivazioni e convinzioni, di riscoprire il
valore del lavoro e della costruzione di sé.
Se questa generazione di adulti (tra i 40 e i 60 anni circa) fallisce, come
lascia temere, sarà travolta e superata.
Sarebbe invece assai meglio che sia l’edificio educazione e formazione,
sia quello della società fossero costruiti insieme.

Qual è dunque il ruolo attuale della scuola?


Non se ne esce. Siamo ultimi, forse penultimi dei migliori o primi dei
peggiori?
Non si trova il rimedio, si dice, e i professori, un tempo fieri e austeri
custodi del sapere, adesso sono impietosamente accusati di colpevole
inedia.
La considerazione che si attribuisce all’istituzione scolastica è
condizionata da molti fattori. Teniamo conto del fatto che i titoli di studio
sono in parte svuotati di significato e i laureati e i diplomati sono senza
prospettive.
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La scuola, inoltre, ha subito la tracimazione di intermittenti e rapsodiche
riforme alla Fioroni e vaga nelle nebbie come la nave di Gordon Pym.
Come se non bastasse non poche famiglie sembrano aver chiuso per
rinnovo attività per cui non collaborano, anzi ostacolano gli insegnanti.
Intanto il bullismo scolastico fa audience su Youtube e le attività preferite
dei ragazzi sono: messaggiare, palestrarsi e sballare.
Infine costatiamo che il comune senso della morale e del pudore sono
nero-abbronzati e perennemente di ritorno dall’Isola dei famosi..
Insomma tutto considerato come è possibile imputare tutto alla scuola?
La scuola, a mio parere, non va così male. Se abbandoniamo i luoghi
comuni possiamo fare una sintetica analisi che vola radente rispetto alla
realtà. Non è nemmeno il caso di generalizzare sui ragazzi e gli
adolescenti del nostro tempo; sono molto diversi dalle generazioni del
passato, ma sanno anche gestire la loro vita come, fino a pochi decenni fa,
i corrispettivi adolescenti di allora non si sognavano nemmeno di
sperimentare.
Ad esempio
1. sanno muoversi da soli. Viaggiano, prendono treni e aerei, scelgono
tariffe e sono falchetti della vacanza all’estero (a volte esagerando)
2. fanno facilmente amicizia con ragazzi delle più varie culture, religioni,
etnie e sanno rispettarsi e aiutarsi
3. non soffrono di timori reverenziali ma affrontano gli adulti (a volte
esagerano… ma si possono fronteggiare)
4. A parte i soliti imbecilli, che finiscono sui telegiornali, danno
solidarietà ed affetto ai compagni portatori di handicap che ora
frequentano le loro stesse scuole mentre in passato erano scartati in
partenza)
5. Sono belli perché amano la salute fisica, si curano, fanno sport
6. Sono affettivamente attivi, dialogano e la maggioranza di loro non fa
idiote battute sull’altro sesso.
7. Generalmente rispettano i principi della tolleranza
8. Hanno una discreta educazione sessuale (certo si dovrebbe fare di più)
9. imparano volentieri le lingue straniere
10. conoscono benissimo le nuove tecnologie
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11. cercano prestissimo lavoro perché vogliono essere autonomi
12. In loro il lecchinaggio e l’ipocrisia nei confronti degli adulti è in
continua diminuzione
13. Spesso fanno da spalla a genitori spappolati da crisi di ogni genere
(dal mobbing alle triangolazioni affettive) e... "reggono": non si sa come.
14. Sopravvivono ai quattro salti in padella e a quant'altro ammannisce la
refezione casalinga di papà-e-mamma pendolari.
15. Crescono, nonostante tutto, all'insegna della pedagogia fai-da-te.

Insomma a potremmo continuare. Non è giusto considerarli tutti


giovinastri o teppisti. E se è vero che ci sono i cosiddetti bulli e i violenti
è anche vero che quelli sono in evidenza, di loro si parla, e le loro azioni
sono quelle sbandierate dai media.
Dei ragazzi normali, più o meno buoni, più o meno trasgressivi, ma che
rientrano nella media accettabile e quotidiana non si parla.
Educarli è difficile, perché sono nati con gli occhi aperti e sono
tendenzialmente provocatori.
E’ difficile, ma si può e si deve fare.
E’ vero che devono studiare di più.
Però forse sarebbe il caso di dargliene anche un buon motivo. Sarà
necessario risolvere la questione dello sviluppo dell’occupazione
altrimenti sarebbe arduo riconvertirli all’amor dello studio fine a se stessi.
Un po’ di pratico pragmatismo serve anche nell’educazione. Molti
dichiarano che nessuno segue più i figli; affermazione amara, forse anche
un po' generalizzata, ma certamente fondata; e se persone serie e di buona
volontà notano questo c'è da tremare.
Da insegnante ho visto figli seguitissimi ma secondo scelte educative
discutibili; ho visto anche figli ben seguiti; altri, non pochi, praticamente
abbandonati. Ho visto una scuola che approva o disapprova i ragazzi in
funzione della loro docilità e sottomissione, una scuola che boccia o
promuove, costringe a ore interminabili di recuperi, ma non sempre educa
e dialoga abbastanza, o se lo fa è per iniziative di docenti illuminati, e
qualcuno ce n'è.
Le casistiche sono tante; e non tutto si può correggere. Il sistema dei
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media, che può influenzare e condizionare anche i genitori, e gli adulti in
generale, ha le sue colpe, ma le responsabilità maggiori sono comunque
anche nel modello di sviluppo economico in cui tutto si consuma e tutto si
compra e si vende. Infine anche se non credo che la causa di tutto sia la
televisione, continuo a disapprovare il modo superficiale e banalizzante
con cui la televisione si auto legittima e si auto approva, il modo in cui si
valorizzano personaggi diseducativi e soprattutto violenti e volgari, il
fatto che si propongono modelli sociali e pseudo culturali nefasti e non
costruttivi. E non è sempre stato così; negli anni 70 gli intellettuali
sostenevano che il diritto alla felicità e ad essere amati non si acquisisce
soltanto per il fatto di esistere, ma solo facendo qualcosa di utile per gli
altri...(I. Calvino ad es).
Ma oggi?

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Una riflessione sull'educazione mi porta sempre verso il mio porto.
Un porto sommerso (sepolto direbbe il poeta) , del quale parlo di rado.
Se ne parlo qui è perché tento di uscire, di evadere da una discussione per
la quale ho insufficiente attitudine ed eccessiva indisciplina personale.
Il mio viaggio verso l'educazione (e concordo con chi afferma che istruire
ed insegnare deve essere innanzitutto educare) è stato tuttavia un viaggio
principalmente di sentimenti e di grande impegno e di fronte a qualche
insuccesso non ho pensato che la responsabilità non mi sfiorasse.

Leggo, ancora oggi, con sgomento frequenti interventi di docenti che si


lamentano. Che possiamo fare in questo sfacelo? Come se le colpe fossero
sempre altrove. Insegnare nella scuola pubblica è professione faticosa, ma
con un margine di autonomia significativo che va gestita con coraggio e
forte determinazione. La scuola non è posto da fannulloni, per usare un
termine oggi in uso. Il coinvolgimento personale è importante, le
conseguenze di una scelta o di un atteggiamento possono avere una
ricaduta a domino. La professionalità, tanto sbandierata, non può
prescindere da questa consapevolezza.
Spesso si affronta il tema della responsabilità esclusivamente in termini
giuridici. A questo ci hanno abituato eventi recenti e un costume ormai
diffuso, ma da rifiutare perché credo che se un insegnante si regolasse
così farebbe un pessimo servizio non solo ai suoi studenti e alla scuola,
ma anche alla sua umanità.
E’ vero, le responsabilità giuridiche ci sono, sono importanti e sarebbe
leggerezza colpevole ignorarle. Ma la responsabilità morale, e vorrei dire
affettiva, nel rapporto educativo con i bambini e i ragazzi è uno stigma
visibile; lascia segni su di loro come li ha lasciati su di noi adulti. Nessuno
si senta offeso, ma nessuno si sottragga, perché mentirebbe.
Un insegnante deve essere uno studioso della sua disciplina, non deve
smettere mai di apprendere e approfondire, deve confrontarsi con la
società e la realtà; ma deve essere anche persona. Ogni percorso didattico
che egli progetta (e se ne progettano tanti) ha lo scopo di far avanzare
nella conoscenza i suoi alunni, ma fa progredire lui stesso. La cosiddetta
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ricaduta dell’insegnamento ha un impatto sia sulla classe sia sul singolo
studente. Negli anni lontani delle mie scuole medie i miei indefinibili
professori di latino e matematica dicevano senza vergogna che quando
uno solo della classe aveva capito la lezione, l’insegnante aveva già fatto
tutto il suo dovere. Ma non è così; non può essere questa la risposta.
D’altro canto l superficialità, la presunzione, la pigrizia e l’inefficienza
hanno risolto facendo sì che si cedesse, senza ammetterlo, alla logica della
sanatoria del sei politico, dell’indulgenza plenaria senza pentimento.
Dunque rigore, impegno, serietà e tanta fatica aspettano un insegnante che
crede nella sua professione.
E’ giusto chiedere stipendi più elevati per i bravi insegnanti e non ci sono
giustificazioni sulla inadeguatezza delle attuali retribuzioni. Tuttavia
credo che solo il contrastato, ma euforizzante, sentimento ugualmente
distribuito verso il lavoro e verso gli studenti, sia la vera motivazione di
un percorso didattico. Credo che sia questa la buona notizia
dell’educatore: oggi hanno imparato qualcosa perché io ho insegnato.
Insegnare è camminare insieme ma, per la nostra soddisfazione e per la
loro fortuna, a un certo punto i giovani se ne vanno via, più spediti di noi
e verso strade diverse.
Il porto di arrivo e partenza dell’argonauta insegnante è diverso per
ciascuno. Dal mio sono partita e là tornata tante volte. Cercando di non
navigare da sola.

Click e ti ascoltano
Click e si annoiano.
Click! e non puoi fingere che non siano loro la misura del tuo lavoro.

A causa, forse, della mia presunzione pedagogica, continuo a pensare che


io li conoscevo bene. E sono ancora oggi sicura che è meglio premiare chi
ottiene risultati non eccellenti lavorando con le sue forze piuttosto che
dare voti alti ai "copisti", o professionisti del temario.
Come fare a individuarli e distinguerli? Per me è stato semplice:
parlandoci, facendoli discutere in classe, ascoltandoli. Certo, ho subito un
po' di caos e qualche volta anche un fragore giovanile vociante forse
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eccessivo prontamente riprovato da austere colleghe e sussiegosi colleghi;
ma è stato un buon modo per conoscerli davvero.
E a chi esordiva in un'interrogazione affermando "Dante era un poeta (ma
pensa te...) che s'innamorava de Beatrice che però non lo ricambiava,
perché è morta giovane" oppure a chi si giustificava "Pressorè ciavevo er
motorino rotto, so' dovuto girà pè meccanici, se potevo studiavo, ma
doppo nun me pijava popo de studià..." o ad altro soggettone che durante
una estenuante visita di studio alla Galleria Borghese o agli Uffizi
esclamava "! bella robbetta, chissà quanto ce se potrebbe fa’..." beh
a estroversi e simpatici giovinetti di tal fatta andava la mia
altrettanto simpatica sopportazione, ma non mi sarebbe mai venuto in
mente di elargire dei sette o degli otto ai loro temi scritti che sciorinavano
invece frasi come "La poetica leopardiana, fondata sul pessimismo via
via più filosoficamente strutturato, si fonda su una complessa concezione
del rapporto uomo-Natura; laddove per Natura si intende non tanto
l'insieme degli esseri viventi nonché degli abitanti del mondo animale e
vegetale, quanto..... ecc ecc ecc " (frase tra l'altro ampollosa e inesatta).

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8 L’INSEGNANTE E’ IMPARZIALE?

Non date mai retta a chi dice di essere imparziale. Gli insegnanti non sono
mai neutri di fronte ad una classe. Anche chi lo crede in buona fede, in
realtà tenta solo di darsi una stabilità emotiva che vorrebbe ottenere ma
che è molto distante da come realmente si sente.
Affrontare una classe ci destabilizza e mette in gioco, ci crea problemi.
Molte volte ho ricevuto genitori che mi pregavano: intervenga lei, ci parli,
di lei ha stima e l’ascolterà. E promettevo e parlavo. Ma il più delle volte
il ragazzo e la ragazza mi aveva già a loro volta detto: io voglio bene ai
miei, guai a che tocca mia madre, ai miei genitori non deve succedere
nulla; ma non li sopporto, non mi capiscono: ci parli lei.
E’ uno dei casi in cui ci si chiede se si lavora per insegnare una disciplina
oppure se si non abbiano maggiori e più pesanti responsabilità, anche
perché insegnare una materia che rappresenta una nostra vocazione
significa comunque sia aprirsi ai ragazzi, sia essere responsabili di fronte
a se stessi. Significa sentire di dover trasmettere correttamente e senza
pedanteria, ma nemmeno sciattamente, ciò che rappresenta il nostro
sapere per averlo lungamente studiato ed amato e scelto, e di cui
percepiamo una complessità speciale non sempre omogeneizzabile e
sbriciolabile fino al punto poter essere comunque distribuita e quindi resa
assimilabile.
Proprio da questo deriva e discende che non si può essere neutri. Non si
può essere talmente distaccati, o freddi, da recepire come indifferenti da
un lato i comportamenti e le reazioni, dall’altro le espressioni, le
sfumature degli stati d’animo, la diffidenza, la perplessità. Vi è inoltre
l’eterno problema del difficile rapporto tra il gruppo dei volonterosi non
sempre troppo dotati con i nullafacenti organizzati e indisciplinati, gli
intelligenti svogliati e la minoranza degli intelligenti, volonterosi e
curiosi. Ognuno di questi gruppi è un problema a sé. Perché non è affatto
detto che la piccola compagine degli intelligenti-volonterosi-curiosi non
sia un problema; non solo perché sapendo di essere dalla parte del giusto
si attendono una gratificazione che invece spesso non è somministrabile
né opportuna, ma perché sono esigenti e spesso insofferenti con gli altri
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compagni; e infine perché possono essere un incubo per un insegnante che
non ha molta voglia di lavorare e quindi li teme.
Insomma l’insegnante non è imparziale spontaneamente. Non riesce,
dentro di sé, a non percepire sintonie maggiori verso uno studente
piuttosto che verso un altro per tanti motivi, e d’altronde la cosa è
reciproca. Però deve riuscire a dare a tutti le stesse opportunità e la stessa
qualità di insegnamento e dare all’insieme di tutta la sua classe la
dedizione della sua missione.

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9 DIDATTICA ANTI-BUONISTA

Un recente studio americano ha stabilito che i "primi della classe" si


riconoscono dalla scuola materna. E fin qui la notizia non è tanto buona,
quanto umoristica: come è possibile,infatti il contrario? Ossia che un
bambino indolente e poco curioso (e ci sarebbe anche da capire perché lo
sia), che la famiglia non supporta con adeguati stimoli, ma che pascola
beato alla scuola materna pago di far collanine e di colorare "dentro i
bordi" sazio di mensa scolastica improvvisamente cresce e sviluppa
capacità insospettate per cui al liceo diventa un genio e all'università vince
il Nobel prima della laurea? Umoristica e penosa insieme dunque una
simile illogica tesi. In realtà lo studio americano sottolinea qualcosa di
davvero importante. «Abbiamo scoperto il singolo e più importante
fattore per prevedere i futuri successi accademici: che il bimbo inizi la
scuola con una conoscenza base della matematica e rudimenti per saper
leggere e scrivere», assicura Greg Duncan, ricercatore della Northwestern
University e primo autore della ricerca, pubblicata su “Developmental
Psychology”.» E dunque, finalmente, non si parla di omologazione del
sapere o dell'appiattimento verso un sapere modesto ma buono per tutti,
alla "fateli giocà...tanto sò creature..."
Infatti ciò che di questo studio mi è sembrato assai significativo è un
secondo passaggio che riguarda un aspetto che, in tempi abbastanza
recenti, si era affermato e largamente diffuso: quello dell'apprezzamento
verso socializzazione, ottima certamente, ma che si manifestava anche
nel premiare più le attitudini all'ambito socio-affettivo che non
all'apprendimento sistematico e critico.
Chi conosce la realtà scolastica sa bene che i cosiddetti rendimento-e-
Profitto e le socializzazione-e-relazioni-socio-affettive non sempre sono
presenti nello stesso ragazzo o bambino contemporaneamente.
Questo non significa che un alunno studioso e capace sia necessariamente
poco affettuoso o antipatico ai compagni; ma non significa nemmeno il
contrario: ossia che l'alunno simpatico e affettuoso sia necessariamente
anche studioso e dotato.
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E' un po' la logica che riscontriamo tra i professionisti: non è detto che il
medico simpatico sia bravo né che quello bravo sia simpatico: ma
scegliamo quello bravo.
Insomma, continua lo studio citato, «I bambini con comportamenti
aggressivi o solitari, o che fanno fatica a fare amicizia, non hanno
ottenuto risultati diversi rispetto ai compagni più rispettosi o
amichevoli.»
Se si considera che un comportamento solitario e poco amichevole
contrasta con l'atteggiamento buonista alla volemose bene potremmo
avanzare un'ulteriore ipotesi inquietante: il ragazzino/a un po' scontroso/a
e che non è sempre disposto alla relazione affettiva con i compagni e con
l'insegnante attira meno attenzioni e premure anche dagli insegnanti stessi
e perciò lavora di più da solo, con maggiore fatica, mentre se fosse
maggiormente supportato potrebbe ottenere risultati superiori.
Intendiamoci: il ragazzino o la ragazzina simpatici fanno feeling e sono
popolari: però, i rompiballe un po' scontrosi mi hanno sempre incuriosito
e riuscire a coinvolgerli è sempre stata una delle mie personali sfide al
conformismo dell'istruzione. Forse perché prevedevo, stante la loro scarsa
propensione al compromesso e alla deferenza, che la loro strada futura
avrebbe affrontato maggiori salite, che difficilmente sarebbero stati
gratificati da complimenti (come i tanti lecchini un po' paravento, ma che
simpatici …) e tanto meno sarebbero stati inclini al politicamente corretto
o facilitati nei consensi tanto da esser proposti ad incarichi politici.
Ma i rompiballe poco amichevoli non valevano nemmeno un mezzo
grammo in meno dei simpatici. Anzi.

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10 L’EDUCAZIONE NON SERVE AD AMMANSIRE AGNELLI

Lorena Cultraro. Una ragazzina ammazzata da coetanei che su di lei


hanno perfino inventato una menzogna per tentare di giustificarsi; era
incinta di uno di loro. Su questa tragedia, c’è un constatazione elementare
e che sgomenta. Nelle interviste dei telegiornali agli abitanti di Niscemi
tutti hanno detto concordemente che non riescono a credere a quello che è
successo, che si tratta di famiglie normali, di ragazzi normali, che
vivevano e si frequentavano normalmente. Evidentemente dobbiamo
interrogarci sulla considerazione che si è giunti ad avere della normalità.
O meglio cosa significa e cosa si intende per normale? Si può definire
normale chi uccide con una dinamica individuale e collettiva
particolarmente cruda, ma di non insolita violenza?
Non è giusto riferirci brutalmente alla morte di questa povera figliolina
per renderla emblema di un problema più vasto.
Ma tutti gli adulti devono, invece, cominciare a chiedersi se davvero
conoscono i giovani e soprattutto se li capiscono e se dialogano con loro.
Gli adulti devono smettere di creare alibi alla loro inadempienza di
educatori per indorare la realtà e non possono continuare a semplificare il
rapporto con la generazione che hanno messo al mondo, ma di cui hanno
delegato ad altri l’educazione.
L’educazione non serve ad ammansire gli agnelli dunque. Non serve per
chi nasce Abele. L’educazione esiste perché la natura umana non è
sempre di per sé buona e mite, né spontaneamente orientata al bene
proprio e comune. Nemmeno in natura è così. E’ vero che nascono i santi
e nascono persone tendenzialmente meno aggressive e altre più vivaci.
L’educazione è proprio quel processo indispensabile, complesso e
impegnativo che segue la nuova creatura dalla nascita all’età adulta anche
per trasmettergli valori, per guidarne anche l’indole, per favorire un
inserimento rispettoso e corretto nella società. Gli adulti che di fronte ad
episodi di sangue e violenza perpetrati dai ragazzi chiedono pene
esemplari, ergastolo e altri provvedimenti lo fanno per assolvere se stessi.
E’ evidente che anche se giovanissimi gli assassini devono pagare per il

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loro delitto avendo raggiunto un’età in cui ciascuno risponde delle sue
azioni e quindi del bene e del male che compie.
La domanda di base, però, è se la fondamentale differenza tra “bene” e
“male” sia, oggi, ancora adeguatamente insegnata, inculcata e, quando
necessario anche imposta con un’educazione che si basi sul dialogo e la
comprensione, ma che non deroghi né deleghi sui principi fondamentali.
Chi non percepisce la gravità di un omicidio non solo non capisce il
significato e il valore della vita, non solo non sa provare pietà ed amore,
ma non ha nemmeno, e per molti motivi, né freni, né principi, né capacità
di valutare le conseguenze di una propria azione
Un branco che uccide è animato da una ferocia, a una brutalità deviata che
non nasce dalla normalità del bene e non riguarda solo i suoi giovani
componenti.

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11 VECCHIA SCUOLA
SCOLARIZZAZIONI ALL’ANTICA 1

Ricordo la mia seconda elementare: una classe di bambine con una


maestra che si chiamava Laura. La maestra era, secondo lei, una seconda
mamma: ce lo ripeteva continuamente. Era alta, bella, con occhi verdi e
capelli neri. La carnagione bianca e compatta. Io le volevo abbastanza
bene. Aveva dei modi fermi e gentili. Ma come tutte le maestre non era
molto accostabile da noi bambine, e le mie compagne ed io ne avevamo
comunque molta soggezione. Per questo la bambina Matilde, che non
aveva il coraggio di chiedere di andare al bagno, si faceva la pipì addosso,
bagnando il grembiule bianco e il vestitino di lana che portava sotto, le
calzine e tutto il resto di pipì e, per la vergogna, bagnando di lacrime il
fiocco azzurro. La bambina Fiorella aveva sempre fame, era grassoccia,
aveva due grosse trecce nere e la carnagione rosso-dorata da contadina, e
ogni tanto trangugiava pezzetti del suo pane e salame tratto da sotto il
banco di nascosto, ma il salame riempiva di aroma l'aria e veniva
sorpresa, messa dietro alla lavagna e sgridata... altre lacrime. Io non
riuscivo a stare sempre zitta, e siccome ero arrivata in quella classe dopo
le altre perché avevo fatto la prima privatamente, venivo sgridata
regolarmente: zitta tu che sei l'ultima arrivata!
Però la maestra era tutto sommato buona. Ne ebbi la prova l'anno dopo, in
terza elementare, quando fui trasferita dalla famiglia in una scuola di
Suore del Preziosissimo Sangue e la mia nuova maestra, Suor Livia, ci
gratificava di qualche ceffone, tirate di orecchie e di capelli ed appioppava
sulla schiena, in caso di prestazioni insufficienti il "Cartello del Somaro".
A me toccò il cartello del somaro perché non mi riuscivano le divisioni a
due cifre... - Si vede che vieni dalla scuola pubblica, io queste cose le ho
già fatte in seconda...- Il "Cartello del Somaro", era un pezzo di cartone
rigido, che ci facevano indossare come uno zainetto sulle spalle e sopra il
cappottino. Dovevamo tornare a casa (io a piedi, e per un paio di
chilometri) senza poterlo staccare, anche perché le cocche preferite della
Maestra-Suora avrebbero fatto la spia. Poi a casa erano altre sgridate. Non
ti vergogni?! (E come no, mi sarei sotterrata). Mia madre si faceva venire
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una crisi isterica con palpitazioni e sudori e si doveva chiamare il dottore,
che accorreva e le dava le gocce per calmarla; e mio padre mi guardava
cupo dicendo : Hai fatto piangere la mamma.
Se anche avessi avuto il videofonino, la fotocamera o la videocamera non
credo che nessuno mi avrebbe difesa, erano altri tempi.
Però se lo avessi avuto e avessi avuto il coraggio di usarli potrei
dimostrare con i fatti che la violenza non se la sono inventata i ragazzi di
oggi. E potrei dimostrare forse che non abbiamo fatto granché per
combatterla come dovremmo. E potrei anche disporre di prove evidenti
che l'educazione dei bambini e dei ragazzi, ma anche la formazione degli
educatori tutti dovrebbe essere un problema di tutti.
Altro che dibattiti tele-giornalistici...

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12 SCOLARIZZAZIONE ALL’ANTICA 2 : MEDIA E
D’AVVIAMENTO

Negli anni cinquanta la Scuola Media italiana non era ancora dell'obbligo
e i nostri maestri delle elementari la sconsigliavano agli undicenni di
quinta non abbastanza dotati o, più semplicemente, provenienti da
famiglie povere o con troppi problemi per aver tempo di seguire i figli che
avessero pensato di proseguire gli studi. Giudizi del tipo: E' inadatto allo
studio oppure E' figlio di contadini (o di uno spazzino, o di una donna di
servizio) ed è meglio mandarlo all'Avviamento Professionale ad imparare
un mestiere, erano sentenziati senza perplessità né scrupoli. Non pochi dei
nostri compagni grazie ad essi venivano avviati ad una strada che non li
avrebbe più condotti né al liceo né tanto meno all'Università. Al termine
della quinta
elementare tutti gli scolari sostenevano l'Esame di Licenza, con una
commissione di maestri interni alla scuola ed un ispettore esterno, e
affrontavano gli scritti, con tema e problema, e gli orali in tutte le materie.
Inoltre chi non era avviato al lavoro, affrontava un successivo altro
Esame: quello di Ammissione alla Scuola Media ed era esaminato dai
professori delle medie, mentre la maestra poteva solo assistere. Affrontai
anche io quell'esame con le mie compagne tra le quali ricordo molto bene
la mia compagna di banco Giovanna Papini. Con l'avvento della scuola
media dell'obbligo si è lamentato l'abbassamento del livello
dell'istruzione; non si può negare che dare a tutti i bambini e a tutti i
ragazzi le stesse opportunità e cercare di distribuire il sapere a tutti e in
parti uguali è probabilmente un'utopia, ma non provarci nemmeno non
sarebbe stata un'ingiustizia?
Oggi la scuola è talmente cambiata che sempre più spesso se ne riesce a
vedere solo tutto ciò che non va: gli edifici non adeguati, le strutture
mancanti, i laboratori insufficienti, i presidi aziendalisti e carrieristi, gli
insegnanti svogliati, frustrati, impreparati. E non parliamo degli alunni
che i genitori sostengono ricorrendo alla magistratura quando incorrono in
imprevisti insuccessi scolastici che rovinano o sconvolgono il loro
menage o le loro vacanze. Non parliamo nemmeno di quegli alunni da cui
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ormai le istituzioni scolastiche vorrebbero difendersi con regolamenti e
controlli sempre più severi e sempre più simili alle norme previste per
fronteggiare gli eccessi e le violenze di tifosi e degli ultras da curva di cui
peraltro molti di loro fanno parte. Gli alunni sono, però, anche i figli delle
famiglie che abitano nel nostro paese, i nostri eredi e successori, il
prodotto della nostra sgomentante società mediatizzata e globalizzata, ma
in cui, se non altro, non si muore di poliomielite come negli anni
cinquanta. Loro sono i nostri ragazzi insomma; e se ci vergogniamo di
loro o se non sappiamo educarli e correggerli, né capirli e nemmeno
amarli forse dovremmo riflettere un po' più attentamente su noi stessi.

Per me rimanere nella scuola anche come insegnante ha significato


cercare di non spegnersi nella routine, di capire, dialogare e reagire allo
scoraggiamento quotidiano per contribuire a costruire un utile mattone per
la costruzione del nostro futuro. Certo, il graduale venir meno della
gratificazione sociale ed economica è stato un prezzo piuttosto alto, ma
che si paga senza troppe lamentele, e a testa alta.

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13 SCOLARIZZAZIONI ALL’ANTICA 3

Oggi ho rovistato tra le carte vecchie e nuove ed ho trovato un tema, che


ho svolto il 15 febbraio 1963 in classe di cui conservo la brutta copia. Il
titolo era una frase di Goethe
"La gioventù vuole essere stimolata piuttosto che istruita"
Ne copio solo poche righe. Alla tenera età di sedici anni, tanti ne
avevo, allora scrivevo così:
"Prima di tutto noi giovani non amiamo che ci si parli dogmaticamente,
senza darci la possibilità di esprimere le nostre idee. Se infatti fossero
errate,ma non possono essere discusse, non ci si può rendere conto
dell'errore. (...) Senza contare che si comincia a dubitare del
professore. Poi non si preferiscono certo quegli insegnanti che parlano
moltissimo, perfino quando siamo interrogati, e finiscono sempre per
credere che non abbiamo studiato". Posso oggi dire, a una bella distanza
di tempo, che confermo! Non posso più dire "noi giovani" però posso dire
che quei principi enunciati con tanta sfrontata e ingenua sicurezza li ho
amati per tutta la vita, e li rivendico con la gioia di chi riconosce se stesso
senza doversi rimangiare le parole.

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14 SCOLARIZZAZIONE ALL’ANTICA 4 : Ora di RELIGIONE

Tento di non assumere la noiosa modalità lamentela del bel tempo passato
anche perché i miei ricordi sono talmente vivi e presenti che, se mi lascio
andare alle mie fantasticherie, mi pare ancora di sentire il pizzicore in
gola per la polvere del gesso, l'odore dell'inchiostro, la paura delle
interrogazioni e così via.
Il mio indimenticabile insegnante di religione era Don Gregorio, un prete
di mezz'età. Vestiva tutto di nero: dal cappello, quello classico da parroco,
leggermente lucido e con la tesa larga e rotonda sormontata da un
cupolino, fino alle scarpe di cui si intravedeva solo la punta rincagnata. La
tonaca era segnata da una lunga linea verticale di fitti bottoni allacciati; il
collarino bianco tagliava brevemente la sagoma, massiccia e omogenea
della sua figura come sorreggesse il volto pallido e il naso. Questo era
schiacciato sulle narici tanto da sembrare incollato al viso e la punta
pendeva in giù con la forma di un piccolo pipistrello, intersecando quasi
la bocca che appariva come una riga serrata. Entrava silenzioso e posava
la cartella di cuoio sul piano della cattedra. Era alto e un po' curvo; le
grosse scarpe cigolavano mentre lui saliva sulla pedana e si accostava alla
sedia sulla quale si accomodava con brevi misurati movimenti; si
attardava solo un attimo, in un impercettibile ventilare della veste che
sistemava con cura sotto si sé per non gualcirla. La cattedra era chiusa su
tre lati, e appariva come un unico blocco di legno. Una volta seduto
dietro, don Gregorio vi si ergeva con il busto appena inclinato verso il
registro e le spalle severe e impettite da cui partivano le braccia bordate
dai polsini della camicia che si intuivano appena sotto le lunghe maniche
dell'abito talare. I suoi modi erano misurati e brevi; l'unico gesto un po'
elaborato lo compiva per soffiarsi il naso perché non gli era semplice
raggiungere con il fazzoletto le narici collocate sotto la punta lunga e
triangolare che le copriva come un tetto spiovente.
La mia classe, di prima media, era alloggiata nella succursale: un palazzo
adattato a scuola. Le aule erano delle stanze appena sufficienti per
contenerci; due finestre illuminavano però l'ambiente aprendosi sulle
geometrie grigie e rosse del peperino e del mattone del quartiere
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medievale della città. Sedevamo suddivisi in quattro file. I banchi
avevano ancora il calamaio di bachelite marrone inserito al centro della
scannellatura che conteneva penne e matite. La prima H era una classe
mista, numerosa e abbastanza vivace. Ma quando entrava don Gregorio si
faceva silenzio ed anche io, seduta al mio terzo banco di una fila centrale,
non osavo distogliere gli occhi da lui o meglio dal suo mezzo busto che
dominava la cattedra. Non sbirciavo nemmeno verso la finestra, che
invece di solito, appena potevo, mi incantavo a guardare. Don Gregorio
era il nostro professore di religione e non faceva nulla per sembrare
benevolo o cordiale o per smentire la sua fama di essere austero e severo
fino all'intransigenza. Il primo giorno ci chiamò all'appello con nome e
cognome osservandoci tutti e prese qualche breve appunto sull'agenda. In
seguito, anche grazie ad uno schema con la pianta della classe in cui i
nostri nomi erano segnati nei banchi, non ebbe più bisogno di chiedere
come ci chiamavamo. Nessuno di noi ragazzini si permise di pensare che
la religione fosse una materia di secondaria importanza da poter prendere
alla leggera. Le sue interrogazioni erano temibili perché esigeva
precisione e completezza ma, considerato l'argomento la proprietà di
linguaggio e di concetti era dovuta. Imponeva un'attenzione serrata ed
assegnava i compiti scritti a casa che dovevamo svolgere su un quaderno
apposito rispondendo ad alcune domande sulla lezione seguita al mattino.
Sapevamo che il voto di religione non era espresso con un numero, ma
con un aggettivo di valutazione che non faceva media; ma gli scarso
scrosciavano come i due e i tre di Latino e i quattro di Matematica, i
sufficiente erano meno dei sei di Disegno e i buono più rari dell'otto di
Storia. Per questo del mio buono, ottenuto con un'ostinata escalation solo
alla fine dell'anno, fui felice e contenta e lo considerai quasi come un
pareggio con il sudatissimo sei di Matematica. Con don Gregorio
studiavamo il catechismo imparando, anche a memoria, risposte a
domande, comandamenti e precetti. Ci spiegava con voce calma e pacata
alcuni racconti della Bibbia; ad esempio quello di Abramo e Isacco che
ascoltai dapprima sospesa e intimorita ma poi rassicurata. Ci leggeva le
parabole del Nuovo Testamento e ricordo che ascoltai suggestionata e
sorpresa il commento di alcune delle beatitudini: beati i poveri, beati i
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miti. Credo che il suo insegnamento, pur partendo da una persona austera
che si esprimeva in un linguaggio severo e per nulla ammiccante, abbia
che saputo raggiungere e incidere la nostra sensibilità frenetica,
semplificatrice e spensierata da adolescenti di fine anni cinquanta e che,
intimorendoci, ma senza frustrarci, ci abbia indicato una riflessione più
alta, una comprensione che andasse oltre le apparenze e la superficialità.
La religione ci veniva insegnata in famiglia come un dovere tradizionale,
come un conforto o una necessità cui ricorrere e cercare protezione non
solo contro il male o il peccato, ma anche contro i bisogni, le malattie e le
necessità della vita. Ma quando don Gregorio spiegava io percepivo che
avrei potuto trovare nei suoi discorsi le risposte a qualcuno tanti perché
che si affacciavano nelle nostre teste turbolente di ragazzini, e vi trovavo
anche un'esortazione oltre che al senso del dovere, alla responsabilità, ad
agire secondo coscienza e responsabilità, anche alla riflessione.
Ascoltandolo non sperimentavo solo la soggezione del prete e il timore di
Dio; ma l'ipnosi verso l'inspiegabile vertiginosa altezza degli argomenti
trattati, quasi con semplicità, nell'ora di religione. Nessuno di noi scolari
si permise di rivolgere a lui, nemmeno nei bigliettini anonimi che
potevamo lasciare sulla cattedra per i quesiti più imbarazzanti, le
domande maliziose e impertinenti che l'anno seguente rivolgemmo
spensierati alla professoressa Rina, la giovane insegnante di religione che
lo sostituì. Lei era poco più che ventenne; ricordo i suoi capelli castani e
crespi, irregolarmente geometrici su un viso triangolare dagli occhi scuri
che spesso socchiudeva sorridendoci. Ricordo la pelle bianca e fresca del
viso e delle mani. Vestiva gonne diritte e di solito grigie, ma i golfini
morbidi di maglia mascheravano appena la sua giovinezza. Qualche volta
Rina indossava un tailleur un po' sgraziato, a quadretti neri che sfiorava,
con i revers del severo collo a uomo, i capelli irregolari che le scendevano
sul collo e che la imbruttiva, come il cappotto beige, a ruota, che la
infagottava d'inverno. La giovane professoressa di religione era paziente
e non dava a nessuno il giudizio di scarso, rilasciato frequentemente da
don Gregorio, ma non c'erano possibili dubbi sulla serietà e la certezza del
suo messaggio. Ci parlava della vita e della fede, con qualche rossore o
sospiro per le nostre impertinenti o maliziose irrequietezze. Ci guardava
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con gli occhi accigliati e ci richiamava con voce ferma serrando un po' le
mani e dando qualche colpo leggero alla cattedra, ma non si mostrava
mai davvero irritata. Uscendo da scuola ci siamo tutti incamminati verso
la vita ed esperienze diverse: correndo o rallentando il passo, dandoci la
mano o da soli, girando la testa qua e là oppure guardando fiduciosi
avanti, sospirando o sorridendo: perché sulla direzione da seguire ci
avevano dato indicazioni chiare. L'uno e l'altra ci hanno indicato, in modo
diverso, la strada.
Forse per questo oggi mi sembrano strumentali le discussioni sull'ora di
religione, sul crocefisso in classe, sulla laicità della scuola.

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15 SCUOLA D’OGGI

La scuola all’antica appartiene a un periodo ormai lontano e concluso.


Ma cosa accade alla scuola di oggi? Qualcuno afferma che invecchia. E
infatti è vero, manca un ricambio generazionale anche tra gli insegnanti
che ormai sono quasi costretti a rimanere in servizio ad oltranza. Ma che
cosa ci aspettiamo da una classe di docenti e dirigenti allineati sulla linea
Maginot della sessantina? Che rifioriscano come le aulenti, lente ginestre
dannunziane? Che ringiovaniscano a contatto con la tellurica new
generation? Che aspirando le aure balsamiche delle aule umidine umidine
under 16 gradi centigradi ne escano beneficati e rinvigoriti come da un
bagno di fieno in una beauty-farm del Cadore? E soprattutto che costretti
alla rincorsa di qualche decina o centinaia di euro annuali di salario
aggiuntivo ottenuto in spasmodiche attività extracurricolari trovino ancora
la forza di respirare? Non prendiamoci in giro. Siamo passati da una
normativa festaiola in base alla quale le insegnati donne potevano andare
in pensione da quarantenni, con 14 anni 6 mesi e 1 giorno di servizio
riscattando gli anni di laurea, a una situazione economica e normativa
compressiva della professionalità, dell’efficienza e dell’evidenza
anagrafica.
Un mio collega, insegnante e avvocato stimato, diceva spesso,
asciugandosi la fronte con un fazzoletto bianco mentre entrava in sala
insegnanti che per insegnare occorre cuore e polmone. Il cuore c’è
sempre, ma a volte è il polmone che comincia a cedere.

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17 L’impegnativa vita docente e le vicende del Registro di classe

Quelle che seguono sono pagine di vita di classe vissuta e reale. Sono
cronache dalla scuola. Un’avvertenza è necessaria. Non c’è bisogno di
tuta mimetica e anfibi per entrare in un’aula di ragazzi vivaci e disinibiti;
ma non tentate furbizie e doppio gioco. Li riconoscono al volo. Meglio la
spontaneità e la determinazione.
Il Registro di classe
Avvertenza: Qui si fa la scuola e non la passerella dei bravi. Per favore,
nessuno si stupisca; le cose vere non sono quelle dei bei film. Ho cercato
sempre di difendere lo sventurato registro dal suo destino, ma io andavo
in classe soprattutto per lavorare e insegnare Storia e Letteratura. Il
Registro non era lo scopo dell’insegnamento.

1 - Uso consueto o normale del Registro di classe


Il Registro di classe è un documento ufficiale, dovrebbe esser trattato con
ogni cura e diligenza. Negli anni di cui stiamo parlando entravo nell’aula
(prima ora) e lo trovavo sulla cattedra. Gli studenti entravano insieme
all’insegnante. Io subito facevo l’appello chiedendo le giustificazioni
delle assenze dei giorni precedenti. E qui si presentava il primo problema.
Esempio:
(Interno Aula, mattino ore 8,30. Inizio lezioni con appello. Nome,
nome,nome, nome, nome… stop)
Prof : Tu devi giustificare
Alunno: Chi io?
Prof : E certo, sto parlando con te… Hai portato la giustificazione?
Alunno: Eccome no? Un attimo che cerco il libretto (fruga fruga fruga)
Prof: Sbrigati
Alunno : Un secondo, prof. Ora lo trovo
(Prof continua l’appello; classi come quella di cui parliamo non
consentono tempi morti di attesa: si entra si comincia e si continua
serratamente. Se ti fermi loro prendono il sopravvento… Prof annota le
assenze, redarguisce qualche ritardatario e scrive la R accanto al nome.
Poi alza gli occhi…)
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Prof. Allora? La giustificazione?
Alunno: so’ sicuro che ce l’ho. Mannaggia, avevo messo il libretto
nell’Antologia, ora non c’è.
Prof. Guarda, se domani non la porti non entri!
Alunno: ma no, ma no! La porto. Ce l’avevo anche oggi, ma lei non m’ha
dato il tempo.

A questo punto i casi sono due. O l’indomani hai ancora la prima ora nella
stessa classe e richiami all’ordine l’imbroglione, oppure il fedifrago dirà
al collega che ha già giustificato con te e tu non hai annotato la
giustificazione sul Registro. Se invece ci sei tu, dirà che il giorno prima
aveva già ritrovato il libretto in seconda ora e lo aveva mostrato al prof di
Educazione Fisica (o di Francese … i più smemorati in assoluto) e che
quindi tu lo stai perseguitando.
Allora che fai? Se esci dalla classe per cercare il collega si scatena
l’Octoberfest in classe, se convochi un bidello, che sta sfogliando la
settimana enigmistica o il giornalino del Fantacalcio ti dice “ Pressorè,
ciò da fà, io!” , se provi a riannotare l’irregolarità sul registro ti
maledicono come nazista, se convochi il genitore ti maledicono in tre: il
vicepreside perché deve ricevere il genitore, il genitore che dovrà
scomodarsi e intervenire verso il figlio-alunno e l’alunno per ovvi motivi.
2 - Modi di far sparire il Registro
a) Alunno lo porta in palestra nell’ora di Educazione Fisica e lo occulta in
qualche anfratto.
b) Alunno lo mette nello zaino e lo porta a casa (lo fanno, lo fanno)
c) Alunno lo nasconde dietro lo sciacquone al bagno dei maschi (le
femmine parlerebbero)
d) Alunno lo lascia nell’aula ma in luoghi “impropri”; ad esempio: infilato
dietro al termosifone, infilato tra la lavagna e il muro, sul davanzale
esterno della finestra, sul ballatoio raggiungibile scavalcando la
finestra(nel caso di finestre al primo piano)
e) Alunno particolarmente sciagurato lo butta nel laghetto dell’Eur in
pasto ai pesci (sput sput)

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f) Prof di Francese o Spagnolo se lo porta in Aula di lingue per ricopiare
le assenze e se lo dimentica colà. Per settimane.
g) Prof di Informatica/Elettronica lo fa portare in laboratorio da Alunno e
qui si ricomincia dal punto b)
Conclusione: il Registro sparisce per settimane. Alle volte la segreteria è
costretta a farne un duplicato. Una mia classe particolarmente vivace e
disinibita ebbe il triplicato; e da allora nulla fu più come prima.

3 - Modi di recuperare il registro


Non c’è un modo, ognuno si arrangia come può. Però è un buon sistema
trascrivere tutto sul proprio registro personale. Certo la cosa è noiosa. Il
prof che corre dal preside non è sportivo. Secondo me vale la pena di
tentare almeno una mediazione e aprire una trattativa energica.

4 – Motivi ed altri motivi per cui il suddetto sparisce


Già detto : evadere le giustificazioni e risparmiare i foglietti del libretto
Prendere in contropiede il prof/la prof sciroccata e negare che c’è compito
in classe
Sostenere che è stata prenotata una proiezione di un film
Far sparire le temute Note Disciplinari
Far sparire il conteggio delle assenze quando ci si è procurati un libretto
fasullo (o si riciclano i foglietti degli anni precedenti)
Negare che ci siano compiti assegnati
Far credere che c’è già stato il compito in classe di un’altra materia nello
stesso giorno e che due nella stessa mattina non sono sostenibili
Varie ed eventuali
In conclusione il famigerato registro, se e quando sopravviva fino alla fine
dell’anno mostra, come una vecchia e gloriosa bandiera, tutti i segni delle
sanguinose lotte sostenute. Merita l’onore delle armi. Perciò quando lo
trovavo tutto infarinato di gesso impressovi (apposta) dagli angioletti
della classe col cancellino e una ripulita bisognava dargliela. Anche
energica. Non sono mai stata una che chiama il preside per queste
“sciocchezze”. Non scherziamo.

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17 EDUCAZIONE LETTERARIA (la c’è la differenza)

Avevo i miei buoni motivi per pensare che quella sui confronti tra testi e
autori fosse una danza ormai messa in soffitta a causa, come dire, di
raggiunti limiti di età.
La musica è finita, i suonatori se ne vanno, che inutile didattica. Lieta e
pensosa, mi ero illusa che l'affermarsi di metodologie forse meno
eleganti, ma più robuste, della teoria e della prassi della didattica
dell'Italiano avessero felicemente introdotto strumenti di studio come
l'analisi del testo che, con un po' di pazienza, si possono anche insegnare
ai ragazzi non presumendo esclusive doti di finezza interpretativa.
Insomma detto in spiccioli: i geniali grandi critici italianistici passati e
presenti possono permettersi ogni tipo di lettura e analisi per la delizia
della Profi che se li legge. Ma se si chiede agli amati selvaggioni, tutti
palestra e proteine, di discutere su Manzoni o Leopardi, forse un minimo
di didattica democratica ci vuole. E se nessuno si ricorda le domande
classiche o le vecchie tracce dei temi d'esame delle maturità del
giurassico, posso fare qualche esempio a braccio (ma se vado a rovistare
le vecchie carte viene fuori anche di meglio) : "Dica il candidato quali
aspetti della poetica pariniana siano presenti nelle opere giovanili
dell'Alfieri e riemergano nell'Ortis foscoliano". Oppure: "Parli
dell'agnosticismo leopardiano e della religiosità manzoniana facendo
opportuni riferimenti alle opere dei due autori"
O anche " L'infinito in Leopardi e l'indefinito in autori del '900".
Non occorre fingere di sapere le risposte, queste cose le sanno pochissimi
ormai, e non le dicono a nessuno. Per cui se qualche spaesato ex-alunno
(stanziale o di passo) si sgomentasse dovendo definire le differenze ad
esempio tra:
A) La provvidenza nel Manzoni e nel Verga
B) Il pessimismo leopardiano nel Sabato del villaggio e ne La sera del dì
di festa

gli suggerirei, senza farmi troppi castelli mentali, di rispondere

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A) Nel Manzoni la provvidenza è Dio, mentre nel Verga è la barca
naufragata dei Malavoglia
B) in Leopardi "Il sabato" è un pessimismo settimanale come tutti i sabati,
mentre "Il dì di festa " è annuale, come la festa del santo patrono di
Recanati che vi si racconta.

Perché questo è ciò che si rischia di imparare quando non si impara anche
a pensare.

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18 LEZIONE DI ITALIANO :Perché dobbiamo studiare Dante che è
morto tanto tempo fa?

"Perché dobbiamo studiare Dante che è morto tanto tempo fa?"


Così mi accoglie l'alunno Marco della terza A fingendo di frugare
nell'astuccio alla ricerca di una matita, mentre invece sta digitando
velocissimo il telefonino per comporre una risposta all'ultimo sms
ricevuto. In classe c'è il solito fermento brulicante di ragazzi che non
riescono nemmeno a stare seduti nel banco, non sanno ascoltare, sono già
sazi di parole di qualunque provenienza.
Sono appena riemersi, immuni e eccitati, da due ore consecutive di sballo
da Elettronica.
Elettronica! il solo nome mi ha sempre fatto venire in mente ambienti
grigi e quieti, impercettibilmente ronzanti e palpitanti di immateriali luci
digitali. Niente a che vedere, invece, con le straripanti e coreografiche
intemperanze del collega di elettronica che investe , durante la sua
lezione, di roboanti decibel in forma di barriti e grida disumane con
aggiunta di schizzi di sudore i discepoli provocatori.
Il corridoio, il piano, l'edificio e il viale, l'Eur e dintorni hanno a lungo
risuonato di quasi irriferibili ma pittoreschi improperi (te possino
ammazzà a te e a tutta la palazzina tua!) calci alla porta e sediate, lanci
di registro e telefonino.
Del resto per i ragazzi Elettronica è preferibile ad un'ora di Chimica,
segnata dall'austerità rigorosa dell'unico collega in grado di trasformare,
senza rimorsi né dubbi e con una semplice domanda dal posto, le
ipercinetiche creature che abitano le nostre aule in esemplari di fossili
inerti o materie inorganiche.
Queste le mie riflessioni mentre -Non mi ha sentito?- ribadisce perentorio
Marco con voce più alta rivolgendosi a me forse peggio di come
apostroferebbe una colf smemorata - Perché proprio Dante? possibile che
non ci siano cose più interessanti?-
A domande simili corrisponde nell'anima mia, fedele a lungo ed eterno
amore per la poesia in generale e all'Alighieri in particolare, una muta
apnea soffocata.
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Vorrei rispondergli, con adeguata freddezza, che è la prima volta che un
ragazzo mostra tanta insensibilità. Però non voglio trattarli con antipatia;
li conosco solo da poche settimane e loro, dopo un brevissimo rodaggio,
hanno decretato che non sono abbastanza feroce da impaurirli e che con
me possono parlare. Si tratta di una specie di pseudo-idillio stressante
corrisponde però una contropartita che posso/voglio arginare solo in
parte. Secondo loro, infatti, le mie ore di italiano funzionano così:
poiché li faccio parlare ed esprimere (e di solito non ringhio né mordo)
allora non sono una minaccia da temere; e dunque hanno deciso di potersi
esibire come, quanto e quando credono.
Ed ecco il copione dell'ora di Italiano in terza A telematico: sei ragazze e
tutti gli altri maschi. All'inizio mi aspettano fuori della porta sparpagliati
lungo tutto il corridoio e, sperando di patteggiare sulle attività da svolgere
in classe, mandano avanti una delle tre Silvie della classe come
ambasciatrice della petizione Oggi non facciamo lezione per favore. Dopo
aver ricevuto la necessaria ed opportuna sgridata entrano nell'aula
vociando, spingendosi e spesso tirandosi qualche cazzotto (per pura
amicizia!); si dirigono verso i banchi e li squadrano come se li vedessero
per la prima volta, discutono tra loro e si scambiano le sedie, traslocano i
tavolini, si ammucchiano in venticinque tutti su una fila vicino alle
finestre e lasciano i due terzi dell'aula praticamente disabitati. Durante la
lezione tenderanno a migrare seguendo la luce del sole. Sedati i tumulti
più clamorosi, apro il registro di classe e, istantaneamente, inizia ad
agitarsi la "piazzetta", così ho soprannominato (e se ne sono anche
compiaciute) un gruppo di quattro ragazze piuttosto energiche, e per
niente simili alle sofferenti ed angeliche eroine dei testi letterari che dovrò
costringerle a studiare. La piazzetta dà forma e vita ad un crocchio agitato
e pestifero che si scambia gomitate e spallate, che pretende di riuscire a
seguire la lezione imperversando con battute e risatine e chiacchiere
generiche. (in tutto simili alle comari paesane sedute sull'uscio di casa che
si scambiano, con un picchiettante sottofondo di tic-tac dei ferri da calza
frenetiche notizie sui pupi, la suocera e il minestrone). Per tutto il tempo
la "piazzetta" borbotta commentando la vita della classe e del pianeta e si

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dedica alla decorazione dei quaderni che vengono istoriati con disegni,
scritte e scarabocchi.
I maschi sono più, come dire, espliciti e diretti: niente risatine, ma dei bei
calci nelle reni, niente disegnini, ma lanci a volo radente di penne ed
astucci, niente diari, ma riviste di moto, niente bigliettini ammiccanti, ma
schede del fantacalcio: probabilmente è inevitabile che la domanda -
Perché dobbiamo studiare Dante che è morto tanto tempo fa? - arrivi da
uno di loro, anzi proprio da quello che ha sempre il cappello in testa e,
mentre sta seduto di sghembo e prende a pedate uno zaino a caso, ha lo
sguardo diviso a metà tra il telefonino e me.
Sono dunque tentata di dire all'alunno impertinente con il cappellino che
lui non può essere in grado, dopo poche lezioni, di dare un giudizio;
oppure di citargli il brano in cui Primo Levi in Se questo è un uomo,
ricorda come la memoria del canto XXVI dell'Inferno di Dante,
nell'inferno di Auschwitz lo abbia aiutato a sopravvivere al campo di
sterminio, o anche semplicemente di zittirlo, perché no? con un sibilante
Ma come ti permetti !
Invece gli faccio un cenno che vuol significare -Avremo tempo di
discutere con calma...- e che lui finge di non capire, per non cedere e
commenta ironico: - Non mi vuole rispondere...-.
Ho l'impressione, però, che con la sua provocazione non cercasse una
reale risposta; e preferisco pensare che l'onda lunga delle sediate e delle
imprecazioni elettroniche, nonché della gelida modalità intimidatoria delle
ore di informatica e chimica precedenti abbiano provocato un'insofferenza
di principio o di bandiera verso tutto. Anche perché l'alunno medesimo
per adesso si contenta di riprendere la forsennata digitazione dentro
l'astuccio.
Ma ostenta la Divina Commedia sul banco.
Li esorto a prendere tutti il testo e li guardo per lunghi secondi, ma
evidentemente io non ho lo sguardo di Medusa e loro non si pietrificano,
anzi la classe è percorsa dalle solite attività.
Chi chiede un fazzoletto di carta ne riceve il pacchetto al volo e lo
restituisce rilanciandolo per aria o avviandolo a disinibite triangolazioni;
chi chiede un libro in prestito, e lo ottiene, apProfitta per alzarsi a
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prenderlo e gironzolare per la classe, fermarsi a parlare, affacciarsi un
attimo alla finestra e poi tornare al banco tirandosi dietro la sedia e
strusciandola sul pavimento facendo il massimo rumore possibile; chi
invece simula di seguire la lezione compila parole crociate tenendo il
giornalino sotto il libro e si dimena chiedendo suggerimenti e
gesticolando:
(-Oh! Andrea! Quattro lettere, la prima e la terza so'.... E...- , - E che
dice?-,- C'è scritto -Fuggì da Troia!-, - E che ne so? Sarà straniero...-)
Chi vede cadere un pezzetto di carta dal piano superiore si agita come se
avesse avvistato l'Enterprise in missione sul cielo di Roma agli ordini del
capitano Kirk di Star Trek ed indica l'evento mulinando le braccia verso il
compagno più lontano; chi annuisce compunto fingendo di ascoltarmi ha
probabilmente la bocca piena di pizza al salame e carciofini (confezionata
da mamma la sera prima) ed inghiotte lentamente, come un pitone che stia
ingurgitando una capra d'angora e per lo sforzo ha gli occhi bordati di
rosso e microscopiche gocce di sudore sulla fronte che cerca di far passare
per commossa partecipazione al viaggio del pellegrino e poeta tout le long
de la selva oscura.
Chi ha le mani davanti alla bocca e finge di grattarsi il naso parla invece
degli affari suoi col vicino di banco; chi ha il cappellino poggiato di
traverso sul banco ci nasconde dentro uno smartphone o la PSP
(playstation portatile) e gioca come un forsennato facendo finta di ridare
forma al copricapo stropicciato.
Chi guarda sotto il banco perché si è appena schiacciato un foruncolo e
cerca di asciugarsi (brrr), chi è appena un po' più furbo è abbastanza
allenato a ricordare l'ultima parola che ho pronunciato e me la snocciola
strafottente e disonesto se lo richiamo all'attenzione:
- Ma sempre con me ce l'ha prof? io la stavo a sentì; vole che je ripeto?
stava a dì "...la lupa rappresenta..."-
"Non ti sembra di essere presuntuoso? ricordi appena due parole e non
sai nemmeno di che si parla!"
Ma lui aggiunge con una faccia impassibile da schiacciapatate ed ipocrita
come quella di un gatto che ha appena mangiato la bresaola pronta per la
cena:
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"E lei allora perché s'è interrotta? è lei che m'ha fatto perdere il filo...."
"Insomma!"
"Lo vede, di nuovo.... " chiude lui implacabile.

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19 LEZIONE sul Cantico delle Creature

E' giovedì ed è la settima ora. Come dire l'ultima spiaggia. Come dire un
brandello di lezione da agitare a mo' di saluto prima della partenza verso
casa, come dire ci dovrebbero ringraziare i professori che siamo qui da
sei ore e non abbiamo ancora incendiato la scuola, mica vorranno anche
far lezione per davvero?
Invece proprio perché la classe non si trasformi in un centro sociale
autogestito entro nell'aula seria ed annuncio:
- Ragazzi la lezione di oggi sarà seguita da una verifica scritta sugli stessi
argomenti che spiegherò.
Una delle Silvie alza la testa dal banco dove era impegnata riordinare il
bagaglio scolastico in previsione dell'uscita e:
-Come come? - Chiede incredula.
- E' molto semplice. Spiegherò un argomento e su questo stesso ci sarà un
compito.-
- Che è? Per farci stare attenti per forza?- Interviene Riccardo con la
solita aria schifata.
- Anche, ma soprattutto vorrei verificare la vostra capacità di ascoltare!-
- Come sarebbe a dire, che siamo sordi?- Aggiunge Edoardo che ha
capito, come sempre, tutto.
- Ma che stai dicendo... - rispondo cercando di non innervosirmi - Ad
esempio, quando spiego non guardate mai verso di me, non chiedete
spiegazioni e sembra che non capiate nulla...-
- Però non è vero! sentiamo tutto, ma che oggi è arrabbiata per caso? -
Aggiunge Luca.
Luca è un estenuante seguace di Vasco, si stava già per alzare dal banco
chiedendo per la trentanovesima volta nella mattinata -Posso uscire? -
Indossa il solito trendissimo cappellino stile militare (del tour "Buoni o
Cattivi live 2005"), una maglietta verdognola disegnata da una bambolona
svestita color lamè, i pantaloni a mezz'asta e due palmi di mutande nere
che sbucano dai calzoni indossati bassissimi. Per di più ostenta l'aria da
"..Io so' io e voi siete voi" della serie "Rientro adesso dal mega rave

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alternativo e non c'è più niente al mondo che possa stupirmi;
ringraziatemi per essere tra voi".
- Ma insomma! - Sbotto, e tento di alzare la voce, che però fa cilecca a
causa di una affezionatissima tracheite che non può più fare a meno di
me; allora picchio la mano sulla cattedra per richiamarli, ma solo un paio
di teste si girano lentamente.
- Insomma non perdiamo altro tempo! fin dalle elementari vi avranno
parlato delle quattro abilità di base: ascoltare, parlare, leggere, scrivere.
- Seeee, io preferisco un'altra abilità: dormire! - aggiunge da dietro uno
zaino la voce soffocata di Alessio: -Nun ce sta gnente de mejo che dormì!
-
- Su questo non avevo dubbi, però ti devi adattare: dunque prendiamo il
testo!
- Ma prof è la settima ora!-
- La settima è un'ora come un'altra, non ho fatto io questo orario.
Dunque, la Lauda medievale è...-
- Ferma, nun cominci, a questo punto, se lei fa sul serio, ci vuole il
quaderno! - dice la prima Silvia che si alza e raggiunge il primo banco; vi
si spalma di traverso, per quanto è lunga, sul piano verde e prende una
penna per scrivere.
- Pronta prof, ora può cominciare!-
- La Lauda medievale è una forma di poesia religiosa, in volgare, che
permetteva a tutti i fedeli di pregare insieme, il del Cantico delle
creature di San Francesco è ...
- Ma che è quello de chiesa? -
- Che vuoi dire? -
- San Francesco ha detto no? Quello di "fratello sooooleeee!" se ne esce
Riccardo.-
- Beh sì, insomma; quello che tu citi è tratto dal Cantico di San
Francesco.-
- E allora chi va in chiesa è avvantaggiato... Io in chiesa non ci vado mai.
- Sbotta fierissimo un altro. -
- Adesso basta, avete esagerato! Spiego il testo, e se stai attento potrai
fare il compito come tutti, altrimenti...!-
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- Ma ci dà un quiz a crocette? - Riattacca Riccardo
- Sì sì la prego prof a crocette! - aggiunge Silvia che rilancia la
provocazione.
- Non dò mai dei compiti di letteratura con il test a scelta multipla!
- Crocette! Crocette! Crocette! Crocette! Le crocette so' 'na ficata! - urla
la classe
- Niente da fare: vi darò un foglio con il testo e con delle domande aperte.
-
- Allora ci vuole fare andare male per forza!-
- Basta! Vi ripeto che se state attenti sarà facile.-
- E chi oggi manca e non sente la spiegazione?-
- Per chi è assente provvedete voi a passare gli appunti e spiegate che ci
sarà la verifica.-
- Prof posso andare al bagno?- (Ovviamente è Luca)
- Adesso? No. E fate silenzio! -
- A prof ! Daniele s'accolla! Lo vede? Je dica qualcosa! -
- E tu non ti girare di nuovo Silvia! -
- A prof ! ma non lo vede? E' Daniele che s'accolla! -
- Ragazzi mancano cinque minuti alle due, se fate così non riusciremo a
terminare la spiegazione.
- E' per colpa sua prof, è lei che si interrompe in continuazione! Perché
non spiega? Sta finendo l'ora e lei parla parla...-
Ridacchia sempre il Luca seguace di Vasco.
- Silenzio!! Il Cantico delle Creature fu composto da Francesco d'Assisi
in volgare umbro, si tratta di un componimento poetico o più
precisamente di una prosa ritmica assonanzata, divisa in strofe
irregolari...
-Assonanzata?
- Infatti non ci sono vere rime, ma assonanze, vi ricordate vero? dovreste
aver studiato metrica al biennio -
- Metrica? e chi non se la ricorda? Nessuno!! Non è giusto! Allora niente
compito!-
- E allora compito. Comunque. E ripassate a casa. -

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20 DORMIRE IN CLASSE: MA SENZA DISTURBARE I PROF

Sttttttt silenzio, si dorme


Anche a me è capitato di vedere teste chine sul banco: commozione?
contrizione? riflessione? meditazione sui versi d'amore e prose di romanzi
appena spiegati? Magari. Niente affatto. Solo un invincibile sonno
giovanile di varia origine e natura e del quale ho chiesto spiegazioni.
- Ieri notte ho lavorato come cameriere fino alle tre (Pietro).
- Ho spostato una cifra di sedie per la manifestazione sportiva dei disabili
organizzata dal prof di Educazione Fisica (Michele)
- Ho passato la notte sulle scale, mia nonna mi aveva chiuso fuori
(Simone)
- Scusi, scusi prof, mi dispiace. Non lo so perché è successo. (Nicola)
- Non è vero, non dormivo (Era una bugia, Giovanni fu poi anche arrestato
per scippo e violenza)
- No, non sono incinta (Francy invece lo era e ha lasciato la scuola)
- E’ stata la sua voce , mi sono rilassato, mi ha fatto da culla. (Quel
paravento di Alessio)
No, nessun sonno è uguale.
Insomma, non è semplice, però poi qualcosa ho tentato per evitare le
letargie. Ma alcuni invece sono sonni volontari, come quello di studente
Davide, di cui non dimenticherò mai l’innocente spiegazione: "Non sono
riuscito a sopportare la soporifera (Informatica), mi sono messo le cuffie
alle orecchie, mi sono incappucciato e buona notte, nel vero senso della
parola".
"Ma la prof non se ne è accorta?"
"A quella basta che stai zitto, e non ti dice niente."
Ah ecco. Appunto. Viva il silenzio.

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21 SCUOLA NEOFUTURISTA
ovvero Quella volta che HO TIRATO L'ANTOLOGIA IN TESTA
all'ALUNNO

Non dico che sia stato un gesto didattico di grande stile. Ma per giudicare,
se qualcuno proprio ci tenesse a farlo, bisognerebbe conoscere bene il
clima che si crea qualche volta in classe. E sarebbe anche utile entrare
dentro alle situazioni personali, agli stati d’animo, alle aspettative di una
insegnante.
Insomma una come me (e come io ero allora) che insegna letteratura
perché la ama, è una che ci crede, come si dice adesso in un gergo jolly,
ed agisce di conseguenza.
Una che ci crede e che va in classe decisa a scardinare la vera o presunta
ignoranza e a spargere sapore di letteratura e sapore di poesia, ma non
sempre trova ventisei o ventotto occhi-orecchi spalancati con annesso
cervello connesso.
A volte è tutto il contrario; e proprio quella classe del 1989, di giovani
manzi da carne e non da vibrazione estetica, aveva intenzione di
pascolare tutt’altro. Però io dignitosa e fedele alla consegna quella mattina
volevo spiegare la mia lezione.
E non solo.
Ero anche convinta che di fronte alla grandezza dell’arte anche le belve
s’incantassero (se l’ha fatto Orfeo, pensavo convinta, perché io no? Già
perché? Beata incoscienza e beato anche Orfeo).
Ero inoltre determinatissima a leggere e commentare il testo. Foscolo.
Uno di quelli su cui vorresti sentire un palpitare all’unisono cuori e anime,
in cui vorresti che quel “Né più mai toccherò le sacre sponde” fosse
assorbito come linfa vitale: nettare a cui abbeverarsi avidamente. (Ragazzi
qui la correlativa né è usata in senso evocativo, vedete? Il poeta
sottintende che non solo ha perduto fortuna, affetti, amici e patria, ma che
non potrà nemmeno più ritornare in patria dopo la sua morte: “Né più mai
toccherò…” capite?)
Invece niente, o press’a poco niente. Classe maschile al 90 per cento. Una
decina di facce atteggiate a conveniente accondiscendenza, ma distanti
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anni luce, altre cinque o sei abbastanza interessate, altrettante con aria
compita ma la testa altrove (pressorè dopo c’è la Prosperetti: compito di
matematica…), in fondo agli ultimi banchi i soliti zaini uso trincea e
barricata dietro ai quali accade qualsiasi trasgressione concepibile in
ambito scolastico, e poi l’andirivieni al bagno (posso uscire
professoressa? scusate ma per voi l’ora di lettere è diuretica? No è che gli
altri non ci mandano! Ah, grazie della fiducia allora).
Comunque la lezione si avvia, e dopo un po’ molti stanno con la testa
sulla immortale Antologia Pazzaglia dello Zanichelli editore; e non solo le
ragazze (brave porelle, e carine e intelligenti) prendono appunti; ma
qualcuno segue davvero, e chiede spiegazioni, e interrogato interloquisce:
insomma la lezione salpa quasi felice e veleggia verso Itaca-Zante tra
passato e presente, tra illusione e poesia. Tanto che, perfino Andrea,
all’ultimo banco dietro la barricata apre un tenue spiraglio e il solito
insofferente è quasi rassegnato. Insomma in qualche modo mi seguono
tutti più o meno; tutti, tranne quello al terzo banco della fila centrale il
perfido Massimo Stanghe.
Lui continua a distrarsi, a parlottare, a sgomitare il compagno. Lui mi
sfida o meglio non mi si fila per niente
E’ un ragazzo con i capelli corti color carotene, alto e robusto, ma sempre
raggomitolato per cercare di non farsi notare.
Uno organizzato: decide lui quando studiare, infatti amministra (o così
vorrebbe) la scuola e l’impegno scolastico, ha l’agenda delle verifiche e si
presenta volontario quando ritiene sia il caso per poi pretendere di avere
assolto il suo compito.
E’ un tipo che mi fa innervosire perché secondo me lui considera la scuola
come lo sportello delle poste: vado, scrivo il telegramma, pago e ritiro la
ricevuta. E la ricevuta è la sufficienza anche in Italiano, materia che lui
sopporta appena. La cosa che mi fa ringhiare dentro, ma cerco di
dominarmi. Quindi lo richiamo, lo sgrido, lo invito a seguire. E lui
risponde: “Sì sì, seguo”, “Massimo ma come segui se parli?”, “Questa
l’ho fatta in terza media, la so a memoria” risponde con impudenza.
Petulante e insopportabile: come può pensare che un testo fatto “in terza
media” possa esser stato analizzato e spiegato come si deve fare al
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triennio delle superiori. (E silenziosamente mi domando : perché? Perché
con tanta letteratura disponibile, alle medie si debbono fare gli autori del
programma che poi sarà della maturità… a quale scopo?).
Tuttavia proseguo la spiegazione, approfondisco, chiarisco i risvolti
storici, i collegamenti classici. Insomma una lezione fatta
coscienziosamente (Massimo S. se ne infischia e continua; per non far
vedere che ride tiene la testa china). Vado aventi: definizione di sonetto e
tipi di sonetto; le rime, le assonanze del testo. Il mondo classico nel
Foscolo, il richiamo ai temi ortisiani e a quelli dei Sepolcri…
Massimo non cambia atteggiamento, mi sbircia e finge di mettersi serio
ma continua, batto la mano sulla cattedra per richiamarlo all’attenzione,
annuisce con degnazione ("seguo, lo vede? ho il libro aperto..."), ma
imbroglia, e io alzo la voce per sottolineare i concetti. Niente. Quasi un
duello. A un certo punto vedo che non finge nemmeno più e si distrae
completamente. Ho l’antologia in mano; un bel volumone di peso
discreto. Il testo lo conosco a memoria ovviamente (e comunque non mi
serve per spiegare, ma per indicare le pagine ai ragazzi).
Quindi continuo la spiegazione … “Tu non altro che il canto avrai del
figlio … o materna mia terra …”
Vedo che l’ho completamente perso e non resisto per cui d’impulso
prendo la mira e lancio il libro in volo planare verso Massimo. I compagni
dei banchi davanti a lui hanno visto la mossa e si spostano svelti e il libro
atterra sul malcapitato colpendolo tra naso e fronte.
Ne segue una scena epica: la classe si rotola dalle risate, qualcuno
allibisce, Massimo si alza imbestialito, sembra stia per scoppiare per l'ira
funesta, si agita convulso, si alza rosso in faccia e rosso in testa: per un
attimo penso che verrà alla cattedra a picchiarmi ma continuo a spiegare
guardandolo inferocita a mia volta…
Poi borbotta oscure minacce (genitori, denunce, ritorsioni) e si chiude in
un dignitoso silenzio.

Oggi mi chiedo come mi sia venuto in mente di fare una cosa simile e
come ho fatto lanciarmi così sconsideratamente nella sfida. Non era un

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gesto che avrei potuto giustificare, né è stato un atto razionale, misurato e
pensato.
A distanza di vent’anni però confesso che mi rivedo con soddisfazione e
non solo stupore. Perché so che quel gesto, inconsueto e censurabile
certamente, era però in piena coerenza con me stessa e con la
determinazione di cogliere sempre la loro attenzione, di stravolgere il loro
convenzionalismo, di dimostrare che ci vuole anche coraggio, sfida e
prepotenza quando si ha in mente di ottenere qualcosa di importante. E
per me trasmettere un insegnamento era importante. Era importante far
arrivare nella loro testa la letteratura e la poesia: magari non con il libro
allegato. Ma quel che è fatto è fatto.

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22 I RAGAZZI ASCOLTANO E RISPONDONO
Dizionario: voce del verbo "schifare".

Il verbo schifare ha, come molte altre parole, nella lingua parlata dai miei
ragazzi, un significato esatto, ma che non coincide necessariamente con
quello dello Zingarelli.
Loro, i pischelli che abitano le mie classi, hanno elaborato una capacità di
rappresentazione e di adesione linguistica al reale quotidiano del tutto
autoctona, che ha dato vita ad un veicolo comunicativo pressoché
iniziatico e semanticamente più ristretto di uno slang e che potrebbe,
piuttosto, essere definito un codice autoalimentato dal quotidiano ed
indifferente alla forma e ai significati correnti.
Tale codice ha una capacità di trasmissione quasi più legata al suono che
al segno.
Quella che, ad esempio, parla Pietro, anche a scuola con me, non è né la
lingua che usa quando si rivolge al cerchio ristretto dei suoi amici né,
tanto meno, l'italiano distillato dai media.
Ma anche questo ha un’importanza molto relativa.
O meglio non ha nessuna importanza, come dimostra il fatto che lui
continua a esprimersi fondendo diversi registri, che conosce più o meno
approssimativamente, ma continua e ad essere perfettamente capito da chi
gli vuol bene come da chi gli vuol male.
Inoltre intende e comprende perfettamente sia chi cerca di farsi capire, sia
chi risponde elusivamente o finge di non recepire: ma soprattutto chi
cerca di mascherare ciò che pensa dietro frasi elaborate e ampollose.

Perciò non mi sono troppo stupita quando mi ha detto:


- Cià fatti chiamò 'r preside, semo stati du’ ore lì; quello parlava parlava;
ma m’ha roduto troppo. Ha capito che je vojo dì pressorè?
- Sì Pietro, non eri d’accordo con lui.
- Ma chissene frega deesse d’accordo co’ lui. Io parlavo e lui me
guardava co’ quei du’ occhi come si nun me vedesse, nun me carcolava.
- E allora hai capito che non gli interessava quello che volevi dirgli

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-No, ho capito, invece, che popo me schifava. M’ha roduto troppo. Ma chi
se crede de esse? Io parlavo anche a nome de tutti qui de scola
- ... visto che sei stato votato da più di quattrocento ragazzi che ti hanno
eletto al Consiglio di Istituto...
-J’ho chiesto, gentilmente: « Lei che fa se noi facciamo autogestione?»-
-Ma Pietro, che ti è venuto in mente? come puoi pensare che lui ti
autorizzi?
-Ce 'o so, nun me deve autorizzà. Ma 'na risposta maadevedadà. Qui ce
stanno i foji co le firme de tutta scola.
- E ti ha risposto?
- Quello è un ... ca...
- Questi discorsi non li posso nemmeno ascoltare!
- No,no, lei me deve lascià dì: mo' joo spiego; sto a dì che si dovessimo fà
autoggestione, lui, er preside, un piano de sta scola me 'o deve dà; sinnò
qui succede un macello; e 'nvece no, nun solo nun m'ha risposto, ma me
guardava co quii du' occhi che popo se capiva che nun me carcolava, che
me schifava.
, ma joo faccio vede io a quello si me po' schifà. Noi ciaveno tutti i
pischelli de scola co' noi.
- E ... ?
- Quello pjava 'n giro e, stava a fà finta de nun capiì, girava er collo e
guardava per aria, e se me guardava se capiva che me schifava. Poi jo
detto: « E che succede se l'autogestione comincia? »-
- Che t'ha risposto?-
- Joo sto a dì che è 'n .....; s'è messo a dì: «L'autogestione nel mio
Istituto?mai! »
- E se la famo uguale? -«Non lo permetterò: chiamo la polizia, l'esercito, i
carabinieri.. ».-
- Ma davvero ha risposto così?
- A pressorè stò popo a rosicà: chiamasse pure i pompieri jò detto; però
de 'na cosa me preoccupo, che me se beveno 'e guardie.
- Ma come fa a chiamare la polizia se voi non commettete reati?

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- Ecco, de questo te sto a parlà; qui è tutto regolare, tutto organizzato; 'a
scola è nostra, mica sua; ma lui, che vole lui che è appena arrivato?Je
stavo a sbroccà, però me so tenuto.-
Ero stata sul punto di correggerlo, il ragazzo Pietro, per l'uso del verbo
schifare (o avrei dovuto intervenire sul rosicare?) con questo significato
di provare palese e aperto disgusto verso qualcuno, e volevo dirgli che mi
sembrava eccessivo, però man mano che lui parlava e guardavo i suoi
occhi capivo quanto la ferita che aveva ricevuto gli bruciasse come
un'umiliazione, e che avrei potuto tentare di attenuare la sua rabbia solo
mentendogli. ("Ma no avrai frainteso... vedrai dobbiamo dialogare,
capirci..." Ma era corretto agire così? perché cercare di manipolare le sue
percezioni così nette? lui si fida delle mie opinioni, mi ascolta; e non mi
sembrava poi tanto lontano dal vero. )
Per questo il giorno dopo quando ho incontrato l'illustre Dirigente
incrociandolo davanti alla Presidenza, ho tentato una mediazione. Era
insensato tentare di far passare i miei ragazzi per dei benparlanti ho
giocato la carta dell'attenuazione e dell'ironia; perché il DS non poteva
negarmi almeno la chiarezza e la volontà di dialogo che il solito Pietro,
insieme ad Andrea e ad Alessio avevano messo a sua disposizione. Così
gli ho detto: - So che ha ricevuto i miei ragazzi eletti al Consiglio di
Istituto... non è ansioso di incontrarli di nuovo e di riprendere il dialogo?-
Ha strabuzzato gli occhi, come costretto ad inghiottire un mattone; la
fronte gli sì è imperlata di sudore (il quale è altresì apparso a rinforzare le
aureole sottoascelle della sua solita giacchettina), ed è rimasto un bel po' a
pensare, senza rintracciare la risposta erudita di rito...
Incalzato dalla domanda ha roteato le pupille spilliformi cercando ancora
e frugando invano nella sua già esausta materia grigia (griggia?) e ancora
non rispondeva. Allora l'ho nuovamente sollecitato
- Dunque, Preside, non è desideroso di parlare ancora con i nostri
studenti?-
Con un ulteriore sforzo si è come infilato le mani dentro le maniche della
giacca ed ha infine proferito:
- Solo dopo aver preso un epatoprotettore.-

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Questo è il vero significato del verbo schifare. Verbo transitivo; ma anche
intransitivo pronominale: provare disgusto.
Ma lo schifo, quello vero, qual è?
Dissimulare le menzogne e simulare la verità ed apProfittare di una
posizione di potere per impastoiare frasi oscuramente minacciose?
O lo schifo, come ha inteso il mio ragazzo Pietro, è il modo di guardarti di
chi ti vuole intimidire ed ingannare, mentre percepisce uno stipendio per
dirigere una struttura educativa?
O lo schifo è anche l'inettitudine di piccoli camminatori in veste di
dirigente, ma dalle zampe palmate, che si arrampicano goffamente verso
un pendio troppo arduo e scosceso, mentre avrebbero dovuto accettare la
loro naturale condizione di papere infagianate da fango palustre?

Secondo me lo schifare è l'incapacità di giocarsi, quando invece è vitale


nel rapporto con i ragazzi, un tantino l'anima e il cuore perché si ha più né
l'una né l'altra , o meglio, li si sono indossati, ma poi affidati e dimenticati
da tanto tempo al Monte di Pegni in cambio di una piccola piccola
carriera.

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23 ADOLESCENTI VIOLENTI? Ma che ne sapete voi...

"Io so' uno tosto," mi dice, "io ho provato tutto," aggiunge. Poi si
infervora. "Mio padre si sbraca sul divano, tira fuori le canne e dice, vuoi
provare? Facciamoci una canna insieme. Mia madre non vuole che lo
frequenti; vive con il suo compagno, ha una figlia con lui; la mia
sorellina."
Gli chiedo "E com'è tua sorella?"
Qui si intenerisce.
"E' uguale a me da piccola."
"E ci vai d'accordo con il compagno di tua madre?"
"E che ne so? Lui non mi può dire niente; va bene a lei. Lei e mio padre si
odiano e lei non poteva restare sempre sola, ha 37 anni."
So che lui ne ha diciotto, e la sorellina ne compirà due.
"Mio padre è un fallito, fa il simpatico, ma è un deficiente, lavora quando
ne trova; così mia madre dice che la devo aiutare."
"Economicamente?" chiedo.
"E certo, io a quindici anni scaricavo le cassette e facevo il fruttarolo due
giorni a settimana, per questo facevo assenze a scuola. So fare tutto:
scarico, pulisco la verdura, faccio il banco, so' i prezzi, faccio le buste."
"E adesso?"
"Adesso no. Da quest'estate faccio i turni allo Sheraton; mi sono
imparato a fare i cocktail, a servire ai tavoli, ad apparecchiare: mica è
facile. E poi c'è il servizio in camera, però lì..."
"Lì?"
"Capitano certe vecchiacce tutte truccate, coi labbroni rifatti, e ce
provano. Che schifo."
"Ma dici davvero?"
“Posso fumare?”
“Lo sai che qui non si può...”
“Ci ho provato… insomma dicevo, quelle appena vedono un ragazzo
giovane ci provano e ti infilano i biglietti da venti, anche cinquanta euro
nei jeans. Fanno schifo.”
“E tu che rispondi?”
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“Io dico che mi aspettano ai servizi e scappo. Io so uno tosto, le droghe le
ho provate tutte; quando dico tutte, vuol dire proprio tutte; e tante volte
dai rave non lo so manco io come sono tornato a casa. Ma certe cose
non le ho volute fare; c'erano ragazzine che si strusciavano, ballavano
senza… avranno avuto dodici tredici anni; m’hanno dato pure del frocio;
ma io certe cose no.”
“Capisco”
“No non puoi capire; però grazie che me stai a sentì”.
"Ma....no. Grazie a te.”

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24 GIOVANE VIOLENZA

Arriva sudato, e sconvolto strattona violentemente i suoi amici che lo


trattengono:
"Che succede?"
"L'ammazzo a quello."
"Ma che succede?”
"L'ammazzo!"
"Spiegatemi, fermi, che succede? parlate..."
"Professoressa, lo lasci perdere, è meglio..." interviene Andrea.
"No, no! A lei jelo dico; ho incontrato M. la ragazza mia sull'autobus, ieri
m'ha lasciato, oggi stava ridere co' uno. A lei jò dato no schiaffone, poi
m'hanno buttato fuori dall'autobus... ma io quello l'aspetto e l'ammazzo."
"Così finisci in questura..." –
"e che m'importa? E' di famiglia, mio padre troppe volte c'è finito..." –
"E tua madre?" -
Si ferma. Sbianca in viso.
"Quella, poraccia, piange sempre."
"Ti prego allora...."
Ma lui già si è accasciato sul banco, la testa tra le braccia a faccia in giù: e
trema.
"Lasciatelo perdere adesso" ripete il suo compagno Andrea.
Gli accarezzo la testa rasata e ispida. Vibra anche quella.

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PARTE II : LA FANTASCUOLA

Accade che la realtà più vera sembri talmente assurda o paradossale da


poter essere considerata frutto di invenzione.
La realtà ha più aspetti, e di solito noi ne vediamo uno solo alla volta; se
invece proviamo a girarla sottosopra o a rimirarla in controluce o di
sbieco possiamo vederla diversa e a volte affascinante o grottesca,
ridicola o commovente.

Per questi motivi LA FANTASCUOLA è scritta in chiave fantastica.


Racconta alcune cronache emblematiche della mia esperienza di
insegnante. I fatti sono stati interpretati proiettati in una visione
immaginaria, ma tutto ciò che è raccontato è realmente accaduto lasciando
tracce nelle persone e negli animi.
Qui sono anche raccolte alcune riscritture ottenute rielaborando note
opere letterarie che ho adattato alla cronaca scolastica e riscrivendo una
favola.
Completano la sezione riflessioni e interpretazioni sull’infanzia e sulla
adolescenza dei miei ragazzi.

****

1 FANTA-SCRUTINI

Lo scrutinio è un momento serissimo della vita scolastica, le procedure di


svolgimento sono dettate dalla normativa; ma spesso forma e contenuto
contrastano in modo stridente. I fatti qui di seguito raccontati sono stati
rappresentati in forma ironica e drammatizzati, ma sono tutti realmente
accaduti.

Atto unico

(ogni riferimento a persone e a cose non va preso alla lettera...)

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Personaggi principali dialoganti:

Il Preside
Il prof Minotaurix
Professori assortiti
Personaggio con una sola battuta finale :
Profi (io)

inoltre

Personaggi presenti e muti

La scena è un'aula disadorna e poco luminosa, i banchi sono stati


allineati e accostati, disposti in modo da formare una specie di lungo
tavolo. Sulle sedie alcuni professori un po' grigiolini o incanutiti (nessun
giovane tra loro) aspettano consultando i loro registri e parlano tra loro.
Tutti guardano spesso l'orologio, alcuni sbadigliano, altri reprimono rutti
e singulti da dopopranzo con panino o primo-piatto precotto della
rosticceria adiacente alla scuola.

Si apre il sipario

Entra il PRESIDE e si rivolge ai presenti che gli si inchinano tutti


insieme.

Il Preside (perentorio e sussiegoso) - Coraggio professori, sbrigatevi; io


oggi ho diciotto scrutini!-
Il prof. Minotaurix (inchinandosi profondamente) - Ho già preparato
tutto!!-
Il Preside (perentorio e sussiegoso) - Allora siete presenti al completo? -
Il prof. Minotaurix (inchinandosi profondamente) - Ehem... Ehem... -
Il Preside (perentorio e sussiegoso) - Siete tutti vero?

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Il prof. Minotaurix (inchinandosi profondamente)- Veramente no, ci scusi
-
Il Preside (perentorio e sussiegoso) - E chi manca? -
Il prof. Minotaurix (inchinandosi profondamente e ammiccando)- Manca
la professoressa di filosofia… -
Il Preside (perentorio e sussiegoso e minaccioso) - Professori… questo
non è possibile -
Il prof. Minotaurix (inchinandosi profondamente e ghignando)-E manca
anche il professore di Matematica -
Il Preside (perentorio e sussiegoso e sibilante) – Io non ho tempo da
perdere! ho diciotto scrutini, ho cronometrato tutto…, ma i voti ci sono?-
Il prof. Minotaurix (inchinandosi profondamente)- Veda Signor Preside,
anche io ho preparato tutto… i voti ci sarebbero… -
Il Preside (perentorio e sussiegoso)- Che vuol dire ci sarebbero? -
Il prof. Minotaurix (inchinandosi profondamente)- Vuol dire che sul
tabellone ci sono i voti dei presenti e… -
Il Preside (perentorio e sussiegoso)- E? parli dunque!! -
Il prof. Minotaurix (inchinandosi profondamente e con tono schifato) -
Ma siccome mancano proprio quelli di Filosofia e Matematica…. -
Il Preside (perentorio e sussiegoso e ringhiante-ansimante)- mancano!? -
Il prof. Minotaurix (inchinandosi profondamente e con tono adulatorio) -
Si ma veda signor illustrissimo dirigente scolastico, egregio, esimio,
eccellente, slurpissimo preside… -
Il Preside (perentorio e sussiegoso un po' rabbonito)- Dica caro, dica
pure, io apprezzo la sintesi -
Il prof. Minotaurix (inchinandosi profondamente per tre volte)
Diciuevo… slurp slurp -(bavetta bavetta)
Il Preside (perentorio e sussiegoso)- Mi dica caro, mi dica pure!-
Il prof. Minotaurix (inchinandosi profondamente) Diciuevo che la prof di
Filosofia mette comunque otto a tutti e il prof di Mate mette sempre
quattro a tutti per cui slurp doppio slurp… .
Il Preside (perentorio e sussiegoso, ma un po' sospettoso)- Mi dica caro,
mi dica pure io apprezzo anche la sua efficienza -

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Il prof. Minotaurix (inchinandosi profondamente) - Per cui otto più
quattro fa dodici, diviso due sei…. e quindi … che ci siano o non ci siano,
il risultato delle medie cambia poco… !! -
Il Preside (perentorio e sussiegoso, ma trionfante)- Ha ragione caro prof.
Facciamo tutto così allora: il Consiglio di classe è regolarissimo,
perfetto! E lo scrutinio è valido! Si proceda dunque… e in fretta: io ho 18
scrutini, che diviso 3 ore fa 6 quindi ho uno scrutinio ogni 10 minuti, cioè
ogni 8 minuti togliendo due minuti per le esigenze fisiologiche (pipì). E
quindi questo scrutinio è già finito. Scrivete i voti. Io vado al bagno. - E
ricordate di firmare, tutti! -
Profi (molto, ma molto sgomenta)…. Ma come !?
Il prof. Minotaurix (minaccioso) Zitta collega, scrivi!

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2 (S…)CONSIGLIO DI CLASSE – mini scena

Consiglio di classe: O.d.g. : Andamento didattico - corsi di recupero -


situazione classe

Coordinatore : Allora, visto che siamo ad Aprile, dobbiamo avvertire gli


studenti presenti, che alcuni ragazzi della classe rischiano la non
promozione, perché il Collegio ha deliberato che con tre materie
insufficienti si può non promuovere (una volta si diceva bocciare, ma non
si dice più)!

Prof Laguardia: Scusate! Ma insomma! cos'è questo buonismo? cos'è


questo lassismo? Gli utenti NON devono sapere cosa decidono i docenti
in Collegio!
Profi - Ma allora come fanno a capire la loro situazione? e poi è anche
una questione di trasparenza....
Prof La guardia - E allora non lamentiamoci se non studiano... io invece
ottengo la massima disciplina e silenzio assoluto!!
Rappresentante studenti : ma....'nce capimo ... a professo' !
Prof La guardia - Voi non dovete capire!
(Ecco, appunto. Questa sì che è scuola!)

3 GLI APPUNTI DI PROFI’

Brutta abitudine quella di verbalizzare i consigli di classe. Abitudine


indotta dall'uso abusato.
Mi dicevano "scrivi tu, vero? sei di lettere"; qualche volta ho borbottato in
risposta che però la licenza elementare e media l'avevamo tutti, ma poi
scrivevo e scrivevo.
E così è durato per anni; poi però sono arrivate le incentivazioni in denaro
per le attività aggiuntive all'insegnamento e roba del genere, per cui sono
bastate poche decine di euro all'anno in più e... i verbalizzatori volontari si
sono lanciati sull'esca.

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Però io ormai avevo preso l'abitudine e qualche appunto lo scrivevo lo
stesso.
Non più verbali, ma appunti in cui registravo le perle e le gemme del
didattichese trash un po' ruspante dell'ultimo decennio.
Ovviamente ne riverso qui modiche quantità. Per dosi maggiori
occorrerebbe la ricetta. Questi dialoghi si sono svolti nell'austera
circostanza di un consiglio in cui si discuteva la situazione didattico-
disciplinare della classe . Presenti i Rappresentanti di genitori e studenti e
Prof privi di autocontrollo.
"Se restano scoperti un'ora cominciano a dare in escandescenze. Se tutto
funziona riescono a stare tranquilli, ma in laboratorio non vi dico quello
che è successo"
"In terza, basta che faccia il muso duro e mi permettono di fare una
lezione silente; quando io dico state zitti, automaticamente lo fanno." (clik
- si spegne?)
"Il mio è un interrogatorio poliziesco e le interrogazioni si susseguono una
all'altra. Le capacità ci sono"
"Collega, hai colpito il segno, si hai proprio colpito il segno, perché il
lunedì hanno me in prima ora e entrano in seconda"
"Sì, io li ho avuti in prima, e quando li ho ritrovati in terza mi sono detta:
ma non possono essere loro."

74
FANTASCUOLA IN DIMENSIONE TRIDIMENSIONALE

4 LE FAVOLE E LE STORIE
Dedicata a: tutti i miei selvaggioni di Profi: indimenticabili e
indimenticati...
La fiaba di Natale, che ho scritto e consegnato in copia ai miei studenti
prima delle vacanze di Natale e fu pubblicata nel glorioso giornalino
scolastico, è una riscrittura de La piccola fiammiferaia (che qui diventata
venditrice di accendini) dalla novella di H. C. Andersen.

-Una festa non è una vera festa senza una storia da raccontare!- aveva
brontolato Profi quando i suoi alunni le avevano chiesto di non fare
lezione per festeggiare l'inizio delle vacanze di Natale.
Però la mattina del 23 dicembre dell’ennesimo anno di scuola, quando era
entrata in classe e... -Profi!- le avevano affettuosamente detto Alessio e
Fabio -abbiamo portato dolci e bibite! possiamo..?- ella aveva esitato solo
un attimo, e poi aveva sorriso: prima di tutto perché aveva incontrato i
loro giovani occhi contenti, e poi perché aveva visto sui banchi, invece dei
libri e dei quaderni, torte e pandolci, torroni e una fila di bottiglie dorate.
-Buono! e questa bibita com’è fresca e aromatica!- aveva detto
assaggiando qui e là.
-E’ una spremuta speciale fatta in campagna da nonno mio!
Rispose fiero Diego versandone un altro bicchierone a Profi che bevve a
piccoli sorsi inebriati.
In fondo questi ragazzacci mi vogliono bene! Pensava mentre sentiva
scorrere tanta dolcezza dentro di sé che aveva voglia di cantare, ma si
tratteneva e annuiva dondolando un po’ la testa.
-Profi e la storia per la festa? - Chiesero Serena e Pamela mentre tutti
continuava a riempire i bicchieri di tutti.
Profi si sentiva ora un po’ confusa, ma aveva già un'idea: non le piaceva
leggere in classe e avrebbe raccontato la storia con parole sue, pensava
che sarebbe riuscita ad interessarli di più.
-Il racconto per le feste di Natale è un po’ commovente…- premise
-Ti pareva…- Borbottò Martina - Gli scrittori sono tutti un po’ sfigati…-
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-Martina, ti prego!-, - Mi scusi Profi, però…-
-Dunque il racconto si chiama: “La piccola fiammiferaia... venditrice di
accendini”-
I ragazzi sbocconcellavano scaglie di torrone, la spremuta campagnola
scorreva tra i bicchieri di plastica riflessi dai display dei telefonini,
qualcuno aveva portato un televisore e l'aveva collegato alla play-station
davanti alla quale un gruppetto stava radunato tamburellando
freneticamente i joypads; Francesco sognava una stanza d'albergo a
Pigalle; Sabatino fantasticava, con gli occhi sbarrati, di scappare per
sempre lontano dalla mamma; Simone si ostinava a fare la punta ad inutili
matite e Pietro guardava tutti con occhi da gatto stralunato: sperava che il
racconto finisse presto, aveva i suoi buoni motivi.
Profi trasse un sospiro e cominciò a parlare quasi sottovoce:
"Quell'anno il gelo era arrivato molto presto e i passeri cadevano
intirizziti dai rami.
Era l’ultimo giorno dell’anno. Faceva molto freddo e cominciava a
nevicare.
Una povera bambina camminava per la strada e aveva tanta fame. Teneva
tra le mani accendini e fazzoletti di carta che non era riuscita a vendere a
nessuno perché le strade erano deserte."
- Ricco!- disse Martina, - Lo sapevo: 'na traggedia...-
Pietro quasi ringhiava, d'un rantolo asmatico, socchiudendo gli occhi. -A
Fabbio…- accennava all’amico che prontamente rabboccò il bicchiere di
Profi.- Fàmola beve, sennò..-
Ma lei non si offese ed era come trasognata perché la narrazione, come al
solito, la incantava con un effetto ipnotico e, pur percependoli ad uno ad
uno presenti, quasi non li vedeva e si illudeva di accarezzarne il cuore con
le parole. In quei momenti contava solo quel mondo fantastico che andava
dipanando dalla sua mente sognante, ma che stavolta sentiva più euforica
e un po’ indisciplinata.
"La bimba piangeva mentre camminava con le vesti troppo lievi per quel
freddo, con i piedini nudi e intirizziti infilati in scarpe troppo grandi e
sformate; non erano le sue, le aveva ereditate dalla mamma che era partita
da tre anni per Boca Chica nel Mar Caribe dove partecipava ad una gara
76
televisiva di sopravvivenza e avrebbe dovuto resistere, per il bene della
sua immagine, il più a lungo possibile nutrendosi solo di noccioline
velenose e fetidi conchiglioni.
La piccola era rimasta sola col patrigno, che ogni mattina la prestava ai
suonatori ambulanti della metro B e di pomeriggio la costringeva a
vendere accendini e fazzoletti, al semaforo di Piazzale Douhet, ed in
cambio non le dava quasi da mangiare.
Aveva dunque molta fame e molto freddo e non aveva guadagnato
neanche un soldo. Sui suoi lunghi capelli biondi cadevano i fiocchi di
neve mentre tutte le finestre erano illuminate e i profumi degli arrosti si
diffondevano nella strada; era l'ultimo giorno dell'anno e lei non pensava
ad altro!
Aveva già passato tutta la mattina nei vagoni della Metro B: avanti e
indietro da Laurentina a Rebibbia, tra spintoni e imprecazioni, senza
riuscire a raccogliere monete nel bicchiere di carta di McDonald's che
teneva nella manina livida."
Qui Profi fece una piccola pausa; era turbata e la voce cominciava a
tremarle un poco. Massimo invece si era sdraiato sul banco e russava
leggermente, Alessio F. fissava, vitreo, il vuoto e pareva, come
sempre, catalettico e le ragazze si stavano truccando.
Il freddo l'assaliva sempre più. La bambina non osava ritornarsene a casa
dove il padrino l'avrebbe schiaffeggiata e rimandata fuori al freddo. Si
avviò tristemente per viale dell'Aeronautica e, per riscaldarsi le dita
congelate, ogni tanto schiacciava un accendino facendone sprizzare una
tenue fiammella azzurra che le sembrava calda e brillante. Giunta ad un
incrocio alzò gli occhi: in giro non c'era nessuno, ma tutte le finestre
erano illuminate e i profumi del cenone si diffondevano nella strada. Si
asciugò gli occhi incamminandosi per viale delle Montagne Rocciose e
arrivò in un viale molto più grande fiancheggiato da pini giganteschi i cui
rami aerei, incurvati dalla neve, disegnavano trame nere irreali nel cielo
grigio.
Qui si fermò accanto ad un cancello che chiudeva un ampio cortile
deserto.

77
Il suo cuore batteva spaurito, scavalcò ugualmente quel cancello, tenendo
stretto il suo vestitino, ma perdendo le scarpe. La piccola si trovò davanti
ad un grande edificio geometrico di mattoni rossi incorniciati da pannelli
di cemento grigio, i suoi piedini erano ora nudi e feriti; si avvicinò
all'edificio, si sedette in un angolo, fra due muri sotto una grande
scalinata. Aveva ancora molti fazzoletti di carta ed accendini. Ne prese
uno e premette la levetta: si accese una fiamma calda, brillante, bizzarra e
alla bambina sembrò di vedere un bel caminetto luccicante nel quale
bruciavano alcuni ceppi. Avvicinò i suoi piedini al fuoco... ma la fiamma
si spense e scomparve. La piccola accese un secondo accendino: questa
volta diede fuoco anche ad un fazzolettino di carta e la luce fu così intensa
che poté immaginare nella casa vicina una tavola ricoperta da una bianca
tovaglia sulla quale erano sistemati piatti deliziosi, decorati
graziosamente. Un'oca arrosto le strizzò l'occhio e subito si diresse verso
di lei. La bambina le tese le mani... ma la visione scomparve quando si
spense il fuoco. Nel frattempo giunse la notte. "Ancora una volta!" disse
la bambina ed aprì un intera confezione di otto fazzoletti: Crac! accese
una fiammata che fece anche un po' di fumo: una finestra dell'edificio fu
spalancata con violenza e si affacciò una faccia rossa e sudata con due
occhi puntiformi coperti da lenti spesse: - Che fai lì per terra, stracciona?
e perché accendi il fuoco? -
- Mi scusi signore - disse la bambina tossendo un po' affumicata, - ho
tanto freddo!
- Vai a casa tua allora!
- Non ho nessuno, è la notte di Capodanno e se accendo un piccolo fuoco
riesco ad immaginare di vedere cose buone da mangiare e le persone che
...
- Insomma, non bastano i danni che ogni giorno fanno qui tanti giovini di
malaffare? Ora ci voleva pure una stracciona come te che dà fuoco alla
carta? Questa è una Scuola e io sto lavorando!
- Mi scusi buon signore, ma perché lavora nell'ultima notte dell'anno?
perfino io, che come vede sono povera, infelice ed affamata sto cercando
di riposarmi un po'...

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- Che fai, rispondi? Sei anche impertinente? Vattene subito dalla mia
scuola!
- Ma io cercavo solo di scaldarmi; ho i piedini gelati e graffiati, i capelli
bagnati, la mamma a Boca Chica e il patrigno che mi costringe lavorare...
e mi presta ai venditori ambulanti...
- Ad ognuno i suoi problemi e le sue responsabilità! Il Mio Regolamento
Supremo non prevede la presenza di ragazzini straccioni e... figli di gente
di pessima reputazione! -
- Mi scusi signore, ma lei non mi conosce, io ho tanto freddo e tanta
fame, lei non potrebb...?
- Ragazza, tu non capisci, io non sono un signore qualunque! Io sono ... -
e qui gonfiò le vene del collo già rosso e congestionato... - sono il Gran
Responsabile Supremo Morale, Civile e Fisico e dirigo questo
edificio... quindi mi occupo solo di cose importanti!
- Ma se questa è una scuola si interesserà della sorte dei ragazzi... e io
sono una bambina sola e, le ripeto, povera, infelice, congelata e affamata!
- Ecco appunto, sei un pessimo soggetto! Quelli come te non hanno
bisogno di scuola, ma di una buona rieducazione. Vattene, io ho da fare e
per dar retta a te non ho salvato il mio file e mi si è impallato il personal
computer portatile, stavo scrivendo le mie circolari!
- La prego, signor Gran Responsabile Supremo ecc ecc... tutti festeggiano
questa notte, tranne me che sono povera e ... lei! Ma perché le sue
circolari le scrive ora: è la gran notte di...
- Basta! Se non te ne vai chiamo l'esercito, i carabinieri, la polizia!
- No, le guardie no! gridò terrorizzata la piccina bionda dai riccioli pieni
di neve.

Si allontanò più in fretta che poté, coi piedini nudi gelati, nella neve
fattasi ancora più fitta, stringendosi negli straccetti bagnati che indossava,
gli occhi pieni di lacrime. Fu presto senza più forze e si fermò appena
raggiunse l'altro lato del grande cortile.
Laggiù, in fondo, si nascose dietro a un basso muretto vicino a una
scaletta dove nessuno poteva vederla.

79
Prese ancora un accendino, cercò qualcosa da aggiungere ai kleenex per
farne un po' di fuoco e trovò per terra, tra la neve, dei contorti mozziconi
fumati, li aggiunse ai fazzolettini e fece sprizzare la fiamma... Appena
acceso il fuoco si levò molto fumo denso: lei subito si sentì bene, e vide
vicinissimo un albero di Natale con mille candeline che brillavano sui
rami illuminando giocattoli meravigliosi. Le candeline sembrarono salire
in cielo... ma in realtà erano stelle. La bambina pensò allora alla nonna,
che amava tanto, ma che era morta e le aveva detto spesso: "Quando cade
una stella, c' è un'anima che sale in cielo". Allora alimentò il fuoco con
altri mozziconi e tutti i suoi fazzoletti e le visioni si moltiplicarono: vide
la nonna sorridente che le tendeva le braccia, una bella casa riscaldata,
una tavola piena di cibi e un regalo per lei: la collezione intera dei cd
diMarshall Mathers III (Eminem) e un impianto stereo - Nonna!- gridò la
bambina tendendole le braccia, - portami con te! Non voglio che il fuoco
si spenga perché allora anche tu sparirai come il bell'albero di Natale, i
cibi e i doni!
La nonna sorrise, vi fu un misterioso luccichio in fondo ai suoi occhi:
"Piccina mia, sei troppo buona e ingenua, non vedi che questo fuoco si sta
alimentando da sé e durerà a lungo?"
Infatti oramai la fiamma cresceva e cresceva, il calore fece scoppiare il
vetro di una bassa finestra lì accanto e qualche favilla penetrò
nell'edificio, cadde vicino ad un mucchio di vecchie carte in un angolo
che presero fuoco, e lo trasmisero ad aule con vecchie sedie e cattedre
cadenti, ad un'Aula Magna con il pavimento di linoleum, ad una specie di
ambulatorio dimesso; le fiamme si propagarono poi lungo i corridoi, le
sirene d'allarme antincendio cominciarono a suonare.... il fuoco attaccò
quindi l'ascensore che aveva le porte aperte. La fiammata, ormai
gigantesca, alimentata dai cavi elettrici e dall'effetto camino del vano
dell'ascensore rombò cupamente ed esplose oltre il tetto dell'edificio con
un effetto lava lapilli e cenere che nemmeno il Pinatubo. Fu poi la volta
degli antifurto dei laboratori che ulularono all'inizio striduli e laceranti,
ma poi sempre più rochi; nessuno però intervenne né diede l'allarme
perché nel frattempo era scoccata la mezzanotte, e nelle case vicine i
televisori trasmettevano a tutto volume musica caraibica e carioca; fuori il
80
cielo era tutto uno sfavilìo di petardi, di razzi, di fuochi artificiali, l'aria
era frustata dalle trombe da stadio ed affumicata dal fumo dei fischioni e
dei botti clandestini, la gente brindava felice e più rumore e più fumo
c'erano e più tutti erano soddisfatti.
La bambina volava verso la nonna nel cielo, mentre i suoi capelli biondi
formavano una luminosa cometa, come una surreale figurina smemorata,
di un quadro di Marc Chagall."

Qui Profi socchiuse gli occhi, come se raccontasse a se stessa e sembrava


che quasi una smorfia ironica le aleggiasse ora sulle labbra.
-Solo al mattino seguente un arzillo pensionato, uscito indenne dal picco
di colesterolo del cenone di capodanno, si accorse, mentre portava il suo
Chihuahua con il cappottino scozzese a far pipì, che l'edificio di mattoni
rossi era un mucchio di rovine fumanti. Vide che uno strano tizio, tutto
irrigidito, con i vestiti sbruciacchiati, i capelli ritti sul capo, un paio di
occhiali liquefatti sul naso rosso, un fascio di carte annerite sotto l'ascella
sinistra e una scatola nera rettangolare sotto la destra, stava raggomitolato
vicino al cancello da cui evidentemente non era riuscito a fuggire. Il tizio
sbruciacchiato frignava: via! via! come vi permettete giovinastri! io
chiamo la polizia, l'esercito, i pompieri.
-Forse era meglio chiamare i pompieri per primi... - sogghignò il
pensionato tirando di lungo!

La storia era quasi finita, ed era suonata la campanella, i ragazzi se ne


erano andati, ma Profi non ci fece caso; il finale lo raccontò solo a se
stessa. Come tanti dei suoi desideri...

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5 FANTASCUOLA IN DIMENSIONE LETTERARIA

RISCRITTURE ovvero esercitazione letteraria per adulti consapevoli

La roba (del Ruiz) da VERGA


Il viandante che andava lungo il laghetto artificiale dell'Eur, disteso là
sotto come un pezzo di stagno marcito, e i marciapiedi grigi di asfalto
rotto dalle radici dei pini, e striati dalle porcherie lasciate dai cani, se
domandava, per ingannare la noia del tragitto lungo il viale Africa,
nell'ora in cui vanno al lavoro gli impiegati dei ministeri, e gli autobus
scaricano fumi dagli scappamenti, e i motorini suonano striduli chiedendo
strada : - che edificio è questo?- sentiva rispondersi - l'Arangio Ruiz -. E
passando vicino a un cancello, oltre cui si intravede un campo di erba
sintetica, circondato da alberi ed erbe infestanti e ragazzi seduti per terra
mettono in gruppo che si guardano attorno per vedere se passano le
guardie: -E qui?-, - l'Arangio Ruiz -. E poi, mentre ti senti pesare
addosso l'umido appiccicoso dell'Eur e qualche processionaria dai pini ti
cade addosso tra la pelle e il collo della camicia e ti viene un'orticaria
perniciosa, scorgi un muretto messo di sghembo dietro il campetto, con
sopra una fila di giovani sub-metropolitani che parlano fitto tra di loro
scambiandosi essenze vegetali e sintetiche nell'ora in cui suona una
campanella dell'edificio: e qui che edificio è ? - l'Arangio Ruiz - E si sale
uno scalone bianco, macchiato di nero dalle gomme masticate e sputate,
con in cima una vetrata opaca e piena di fogli scritti appiccicati e s'ode il
vociare di un uomo, che sembra un mastino, ma è vestito con un
giacchetto impermeabile colo fango e non porta il cappotto nemmeno
quando tira una tramontana che fa scappare i passeri dai rami: e questo?
- Il bidello dell'Arangio Ruiz -
Poi arriva una monovolume Mercedes Benz, grigiastra come il laghetto
marcito dell'Eur, con sopra un uomo con la faccia rossa e lustra, la bocca
a mezzaluna, gli occhiali sul naso e vestito che sembra l'usciere del
tribunale ma, a vederlo, non gli dareste un euro e questo chi è? - Il
capoccia dell'Arangio Ruiz-

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Pareva che fosse Arangio Ruiz perfino il sole che si alza al mattino e gli
stormi che volano verso la campagna gracidando, e le ambulanze che
vanno al S.Eugenio e la metropolitana che passa lì vicino sottoterra ed
esce ad Eur Fermi.
Invece -Arangio Ruiz- sono dei ragazzacci che, diceva la gente affacciata
alle finestre di fronte, arrivano tutte le mattine e non hanno nemmeno
voglia di entrare nel cortile. Però quando sono lì non ci pensavano più ai
compiti di Informatica e alle interrogazioni di Fisica e hanno solo voglia
di farsi compagnia e di stare insieme: col sole, col vento, con la pioggia,
con le scarpe bagnate o i jeans stretti e abbassati sul didietro, appena
coperto con due soldi di mutande, ma tanto robusto che a prenderlo a calci
ti ci bucavi le scarpe ti facevi male ai piedi.
Della roba i ragazzi dell'Arangio Ruiz ne avevano o ne cercavano
dappertutto, e alcuni di loro lo sapevano che c'erano più di mille ragazzi a
cui procurarne: tutti cattivi pagatori, ma che si contentavano con pochi
euro di essenze vegetali e che a chi gli domandava un soldo o una
sigaretta rispondevano che non l'avevano. E non l'avevano davvero. Ché
in tasca non tenevano mai più di cinque euro, tanti ce ne volevano per far
fruttare tutta quella roba, e il denaro entrava ed usciva come un fiume
dalle loro tasche.
Per questo quando il capoccia con gli occhiali sul naso, la bocca a
mezzaluna e vestito come l'usciere del tribunale cominciò a parlare di
NUOVO REGOLAMENTO, e di sbirri e di carte da portare a casa per
riportarle firmate, i ragazzi dell'Arangio Ruiz, a cui del resto non gliene
importava del denaro, dicevano che questa era cartaccia scritta e non era
roba, e stavano sempre più torvi seduti sul muretto col mento nelle mani
guardando, attraverso quella loro nebbia fumata, la loro scuola così
cambiata.
Così quando gli dissero che sarebbero venuti anche i cani poliziotto e che
il responsabile della sicurezza avrebbe raccolto campioni della loro urina
e, mentre le pigne rinsecchite dal sole cadevano rimbalzando, avrebbero
dovuto ascoltare le prediche di un paio di psicologhe della ASL, si
alzarono barcollando e se ne andarono fuori dall'Arangio Ruiz tirando

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sassate ai passanti sui gipponi fuoristrada strillando "roba mia vientene
con me!"

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6 RISCRITTURA DA MANZONI - Gli alunni promessi

I . Quella strada dell'EUR, chiamata Viale Africa, che congiunge la via


Laurentina al viale Cristoforo Colombo, e costeggia, tra due filari
ininterrotti di pini mediterranei, un breve pendio discendente verso il
laghetto, viene, quasi ad un tratto, ad attraversare viale dell'Arte
conducendo il passante nei pressi di un edifizio, chiamato Istituto Tecnico
Arangio Ruiz, il cui nome si deve ad un illustre giurista che fu anche
ministro di Grazia e Giustizia e della Pubblica Istuzione nel 19...
Per questo viale tutte le mattine si incammina una folla di giovini di sesso
diverso i quali, dall'abito e dal portamento nonchè da quello che, anche da
un luogo di osservazione non lontano, si può distinguere del loro aspetto,
non lascian dubbi sulla loro condizion di studenti.
I giovini procedono un po' dondolando, rasenti al muro di cinta, con una
cert'aria di rassegnazione e nello stesso tempo di braverìa comune agli
adolescenti che devono quel giorno affrontare un'interrogazione di
Chimica.
Attraversano poi un cancello di ferro e, sempre camminando di
malavoglia, salgono gli scalini che portano all'interno della scuola.
Qui giunti si danno una voce, e pronunziano alcune frasi che, al vostro
autore, pare di dover riferire per amore di verità, pur se è necessario
durare la fatica di trasporle in un idioma corretto: quanto è infatti
dozzinale e sguaiato, com'è scorretto il loro linguaggio! "Figliuoli,
amici!", essi dicono, "ebbene? che faremo oggi? via! fate un po' di luogo,
accomodiamoci alle aule!" Ed altri rispondono "Mi sento un gran sonno
ancora! e una certa fiacchezza di gambe, ma orsù! allo studio! Stamane il
cielo promette una bella giornata! questo cielo di Roma così bello quando
è bello!"
Giungono quindi i maestri: "Oh! qual buon vento vi mena costì giovinetti?
Siete tutti presenti? La c'è costì l'alunna Dimarco? Evvia quella giovine l'è
proprio di salute cagionevole, già lo s'indovina dal livido pallor delle
gote...! Ringraziamo la Provvidenza; gli altri ci son tutti e son sani..."
"Ebbene accomodiamoci" rispondon pronti i presenti
"S'inizi la lezione".
85
***
II. In una di queste mattine veniva bel bello lungo il viale, guidando con
cauta perizia una berlinetta monovolume Mercedes Benz Classe A, il
nuovo Governatore: l'illustrissimo gentiluomo don Ilex Quercus. (1)
L'Eccellentissimo Uffizio Regionale MIUR l'aveva nominato con lo
speciale incarico di reggere il quotidiano e correggere il necessario ma
egli, già dai sui primi minuti di presidenza, aveva dovuto comprendere
quanto la legge legale non lo proteggesse dalla protervia di alcuni molesti
maestri poco inclini alle riverenze e alle ubbidienze.
Il nostro Don Ilex doveva fare inoltre molto presto conoscenza anche con
piccole oligarchie, armate di forze proprie e leghe speciali, disposte a
qualunque astuzia pur di difendere i propri vantaggi esercitati in
proporzion della propria autorità.
Qualche galantuomo avrebbe voluto avvertirlo che, tra le sue
preoccupazioni, avrebbe annoverato quei giovini promessi studenti, di cui
la nostra storia si vorrebbe occupare, ma tutto ciò era per era per lui
lontano come una burrasca che si addensi sul capo di chi, dormendo
profondamente, non ne scorga nemmeno un lontano presagio.
In capo a due o tre settimane Don Ilex Quercus si era tuttavia insediato,
aveva dato fuori vigorose leggi atte a fronteggiare le ribalderie dei giovini
meno dabbene, e prescritti nuovi regolamenti bastanti ad estirpare
qualunque nefandezza. Si accingeva, inoltre, a pubblicar altre ordinanze
rivolte contro ai maestri proclamando parole, talmente gagliarde e sicure,
che, si poteva pensare, anche la sola loro eco avrebbe messo in fuga una
qualsiasi volontà di irriverente ribellione.
Quieto e certo di essere riuscito a ricondurre l'edifizio e l'istituzione
scolastica alla ragione, Don Ilex si accingeva, stropicciandosi le mani, a
riorganizzare anche la mobilia del suo studio, uno stanzone con le pareti
ricoperte di vecchi cimeli, quando sentì picchiare dei gran colpi all'uscio
ch'egli teneva sempre serrato.
Strabuzzò gli occhi e brontolò tra sé "che modi! Non hanno dunque
discrezione costoro?" Si asciugò la fronte, si spinse la casacca all'indietro
e... : "Chi picchia a questo modo? chi è?"

86
L'uscio fu spalancato con fragore e don Ilex vide ciò che non avrebbe
voluto vedere.
Davanti a lui stavan due individui con le braccia incrociate sul petto. Le
teste quasi rasate con brevi ciuffi discendenti lungo la nuca e ascendenti
sulla fronte, i capelli di colore alterato dalla tintura, i lobi delle orecchie,
come anche i sopraccigli, forati da anelli di ferro di diverse misure, le
natiche e il ventre semiscoperti da calzoni a cintura abbassata, il resto
dell'abbigliamento colorato da disegnacci minacciosi con figure e numeri
da purgatorio: tutto lasciava intendere e dava a conoscere che si trattasse
di giovini della peggior condizione: quella degli studenti promessi. Il
povero don Ilex, non giovane, non pronto e coraggioso ancor meno fu
assalito da mille pensieri e la sua prima reazione fu quella di richiudere
subito l'uscio. Fece un rapido quanto vano tentativo: il più torvo dei due
l'aveva già bloccato con una scarpa, vi si appoggiava insolente e
minaccioso e...
"Signor Governatore" disse piantandogli gli occhi in faccia..."Che volete
bravi giovini?" ansimò egli in risposta, riaggiustandosi le stanghette degli
occhiali scivolose per il sudor della fronte.
"Signor Governatore!" ripetè l'altro anche più alto e feroce del primo, con
i pugni piantati sulla vita e la faccia guarnita sul mento da un caprino
pizzetto proteso verso di lui.
"Lei ha intenzione di applicar da domani il Nuovo Regolamento
dell'Istituto!"
"Cioè..." rispose con voce tremolante don Ilex "Cioè, voi, bravi giovani...
sapete come vanno queste faccende..."
"E come vanno? perché non ce lo dice? parli dunque!"
"Cioè...vedano..."
"Allora?"
"Ma, bravi giovini... vedano dicevo...un povero preside non c'entra...
L'eccellentissima Donna Letizia de' Conti di Bracchetto Moratti ha
ordinato una nuova riforma....e sapete com'è, noi poveri presidi dobbiamo
adeguarci... Noi eseguiamo, applichiamo, attuiamo, svolgiamo,
obbediamo insomma... siamo i servi della Illustrissima Signoria."

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"Ma, via, signor Preside, Ella ci vuol far credere che la cosa si decide... a
chiacchiere?"
"Ma, ottimi giovini... Io ho degli ordini.... vedano. Suggeritemi dunque
voi..."
"Suggerire noi a lei? ma noi suggeriamo ai compagni nostri! Lei è quello
che ci fa mettere le note e ci toglie le gite! Lei è quello che non ci fa
entrare e ci comanda!"
"Ma via..."
"Niente ma, niente via!" E gli si avvicinarono più d'appresso...quasi a
mordergli l'orecchio fattosi scarlatto: "Questo Regolamento non s'ha da
fare, né domani, né mai"
"Perché..." aggiunse l'altro "chi lo farà, non se ne pentirà perché non ne
avrà il tempo."
E qui aggiunsero una parolaccia che l'autore non trascrive.
"Le abbiam dato questo avvertimento per il suo bene! Arrivederci Signor
Governatore illustrissimo. La classe quinta A telematico la saluta!"
Quel nome.... - QUINTA A TELEMATICO - fu come una folgore d'un
temporale notturno nella mente di don Ilex Quercus... il quale vide chiari
e distinti i segni della sua sciagura.
I due giovini si allontanavano dondolando e facendo tintinnare
minacciosamente catenelle e chiavi appese alla cintura, le mani in tasca,
gli orecchini scintillanti lividi alla luce del neon dell'edifizio.... le spalle
larghe e muscolose: si dirigevano verso lo scalone dell'edificio, mentre
anche due grossi toponi, di fogna, li guatavano spaventati dalle fessure
dell'usciolo del bagno dei maestri
(1) Quercus Ilex è il nome botanico della QUERCIA – Tale era il
cognome dell’allora mio preside; giusto per non fare i nomi.

88
FANTASCUOLA nella mia NARRATIVA
7 Un racconto fantastico dedicato a Nick

L'Isola Mare-Notte
Capì presto che la sua attrazione per il mare non era quella per le onde, il
vento, la sabbia.
E nemmeno per la contemplazione struggente e banale di albe o tramonti,
di lattiginosi cieli stellati, di aranciati fuochi meridiani.
L'attirava il respirare, l'ansimare, l'anelare; l'attraeva la forza espressa
dalla marea, lo ipnotizzavano gli scogli su cui capiva che i sogni potevano
fracassarsi, o vittoriosi proseguire, più forti.
Il mare gli si apriva come una strada; e sapeva, con sicurezza, che ne
avrebbe riconosciuto ogni pulsazione come un ritmo che era anche dentro
di lui: la sua vita.
Imbronciato aveva fissato i suoi giochi da bambino: paletta, secchiello e
soprattutto le formine (così le chiamavano) che riproducevano stelle e
cavallucci marini, conchiglie e pesciolini.
Per accontentare la mamma aveva provato anche ad usarle e impastato la
sabbia con l'acqua di mare, spolverato il fondo delle forme con altra
sabbia asciutta, le aveva riempite con il miscuglio inumidito e ben
pressato, e rovesciate battendole con forza per ottenerne delle figure. Ma
le ridicole creature sabbiose che ne uscivano si sbriciolavano: se lo
meritano, aveva pensato dentro di sé, sono noiose e finte...
E piuttosto immaginava e vedeva la vita nei fondali, dove stelle e
cavallucci, conchiglie e pesci danzavano nell'acqua e nel sale dando
senso, origine e durata al loro contrario: aria e luce.
Provava ad immaginarsi sommerso da quel mare letto nei libri di scuola,
ma di più nelle favole. Allora tratteneva il respiro, si vedeva guizzante tra
le altre creature e prepotente e felice pensava che sì, per lui sarebbe stato
possibile, forse facile vivere anche là sotto; e che avrebbe fatto a meno
della sensazione diretta e violenta dell'aria e della luce purché tutto fosse
ridotto all'essenziale; e finalmente laggiù anche i rumori sarebbero stati
spenti e le paure avrebbero taciuto.

89
Intanto trascorreva le ore seduto sull'orlo del confine tra acqua e sabbia;
le gambe distese che aspettavano le onde, appoggiato sulle braccia,
allungate a compasso all'indietro, con le mani sprofondate sulla rena
asciutta e ancora calda.
Teneva gli occhi chiusi e cercava di indovinare l'arrivo susseguente delle
ondate, dei colpi del mare.
Lo riscuoteva la voce di qualche ragazzino come lui; solo allora si alzava
e si curvava come per togliere dalle gambe gli schizzi dell'acqua salata e
nella stessa posizione restava qualche istante: le mani sulle ginocchia, gli
occhi ancora connessi alla spuma che andava e veniva, il respiro ormai
sincronizzato su quella misura acqua-terra.
Però una sera era rimasto talmente a lungo che la marea era risalita fino a
circondarlo; e lui per nulla impaurito si era lasciato andare mentre, quasi
sdraiato tra acqua e sabbia, afferrava per gioco qualche granchio
disorientato che non riusciva a riguadagnare il mare.

Il sole non c'era già più e adesso le ombre avevano uno spessore più
freddo e più limpido.
Si accorse che non voleva tornare, e che voleva rimanere lì senza darsi un
limite di tempo, che voleva capire cosa si prova quando la linea del cielo
si confonde con quella delle acque, quando nel buio si alza il vento caldo
della terra e cerca di gettarsi tra le onde.
Voleva essere lì e capire cosa si sente quando, assente la luce, non sono
più i sensi e la mente, ma sono solo il cuore e la pelle a captare e ricevere
come un unico esteso organo percettore.
Gli sembrò che potesse arrivare quel momento, ed era anzi sicuro di aver
capito il come, il dove, il quando.
Avrebbe ghermito lui quell'acqua infinita, superati quegli scogli e
navigato sempre verso occidente per raggiungere la sua meta.
Avrebbe pilotato da solo e sarebbe riuscito ad approdare alla fine del
viaggio. E avrebbe saputo di essere giunto quando la linea del cielo e del
mare si fossero di nuovo confuse senza più luce e il vento caldo della terra
si fosse finalmente placato nelle onde.
Nella sua Isola.
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- Che fai lì tutto il tempo?
- E dai, vieni, giochiamo: abbiamo trovato un pallone!

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8 U. B. - La volontà di afferrare e comprendere

I. Un ragazzo non è soltanto un ragazzo, un adolescente, un giovane, un


diciassettenne, un diciottenne, un figlio, uno studente, un allievo, un
sognatore, un prepotente. Non è solo un ribelle, che smania e si
deprime, che sfida e ha paura, giudica ma si aspetta pazienza e rispetto,
provoca e se ne infischia delle conseguenze.
Un ragazzo è un rapinatore di sentimenti che... detesta la solitudine, ma
impone la sua intransigenza anche a chi lo ama; e non patteggia per
convenienza o per comodo, ma neanche per temperanza.
Un ragazzo ha il formidabile problema vitale di cercare se stesso, ed
anche per questo considera un torto le domande, le prediche, le sentenze.
E' già tanto insopportabile il conflitto violento che porta dentro che ne
uscirebbe da sè per non sentirlo più urlare.
E se ne avesse la forza prenderebbe in mano il suo cuore per rallentarne il
ritmo e trovare l'intervallo necessario alle storie di tenerezza e al calore,
ed afferrerebbe il suo respiro per ricacciarselo dentro e modularlo sul
tempo della vita e dell'amore.
Ma nemmeno le sue storie e la vita sono soltanto vita e storie per lui.

II. Sono una voglia ed un tempo per afferrare e capire più in là; sfide
accettate come ossessioni, ansie di chi cerca esperienze e si mette alla
prova. Per sé, per i suoi amici.
Visi e occhi scuri, nervi e sangue nel passo veloce, radunarsi e cercarsi,
fare gruppo ed andare: le mani in tasca, la testa insaccata nelle spalle, la
complicità taciuta o sottintesa.
Ragazzi con aspetto da uomini, ragazzi che gli adulti non giustificano e
guardano con sospetto e diffidenza, e che per loro ghignano parole di
offensive e rapaci lusinghe. Ragazzi che non cedono all'inganno e non
mentono, chiusi e nascosti nel loro corpo già grande.
Corpi insofferenti, tagliati, graffiati, feriti, frugati. Da temere.

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III. Quella notte sopra di lui, bianco non fu un viso che interroga, né
l'impallidire delle nuvole sbrindellate dal vento. Fu bianco il bagliore,
orribile agli occhi, e lo smarrimento nel letto di ferro che sprofondava; i
camici e le flebo, le lenzuola estranee e l'acciaio, le plastiche e un'insegna
con sopra una croce; lui negava e taceva, ma sentiva agitarsi dentro il
veleno raccolto per ore. Riconosceva ed udiva il rombo cupo, il tremito e
l'estraniante delirio quando, rigido e stordito, ha avuto ancora un guizzo di
rabbia, di rifiuto e di sfida contro il gorgo della soglia finale.
Lo hanno strappato e riafferrato le braccia e la lunga paura stretta da Nick,
gli amici abituati allo sgomento seduti in fila, fuori nel neon perché
accanto a lui solo il bene era rimasto.
E per lui poi l'orgoglio di chilometri nell'alba percorsi serrando i denti
sulla nausea, ma con passo sempre più fermo per il pensiero inquieto.
Che la madre il suo sonno continui, e non sappia.
Che un riscatto cominci da subito e non gli sia negato.

IV. Ma un ragazzo, grande come un uomo, è ancora un ragazzo, è


incosciente violenza, è ancora paura. Al contrario dei suoi giudici astiosi
che sono diffidenza incapace di amare, ottusa volontà di sopraffare e
sottomettere: meschine necessità dell'ossequio comunque.
Nemica è l'aura silente di chi parla da solo e per sé.
E nemica è la cortina grigia di cocci taglienti e di frasi smozzicate non
concluse, di allusioni oltraggiose, di mezzi pensieri sussurrati
ammiccando.
V. E quanti ancora saranno i giorni da attendere e ancora quante le scale
da scendere senza ritorno, quante le fughe incoscienti dietro ad angoli e
gli spezzoni di tenebre, e quante le notti in cui ancora sospeso tra due
quarti di luna e due di nuvole stracciate lui starà sospeso su in alto sul filo
più instabile?

VI. Chiamo perché scenda per trovare anche qui il suo passo, ma prego
che continui il suo volo per afferrare e comprendere. Purché non prenda
scorciatoie, purché finalmente resista e risponda da grande alla voce
della ragione: lucido e freddo e con l'incendio solo nel cuore.
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9 UN LUCIGNOLO SULL’AUTOBUS

E' ormai sera, mentre l'autobus 766 parte dal capolinea, alla stazione di
Trastevere, tra ripetute vibrazioni che scuotono i passeggeri. L'autobus
non è molto affollato; alla seconda fermata siamo in viale Marconi; i
passeggeri sono varia umanità che viaggia, rassegnata, verso il pasto
serale, consulta l'orologio o fissa inanime il vuoto; due anziani parlano tra
loro, una signora risponde al cellulare che squilla miagolando "Per Elisa"
di Beethoven.
Io sono seduta vicino alle porte centrali e faccio parte di questa
provvisoria comitiva anonima, guardo la strada e i negozi che stanno
chiudendo ed hanno già le saracinesche mezzo abbassate, mentalmente
annoto qualche negozio di Hi-Fi e telefonia dove vorrei andare a
curiosare.
All'incrocio di viale Marconi con via Enrico Fermi sale un robusto
ragazzo: vent'anni, carnagione chiara e lentigginosa, capelli biondo-
rossicci e pettinati corti con una leggera cresta in mezzo alla testa.
Appena salito si installa su un sedile libero e risponde al suo cellulare.
All'inizio dice solo "Aho!" quindi ammutolisce per qualche secondo: poi
esplode e comincia a parlare e strillare ad alta voce, concitato e senza
quasi mai interrompersi. Dopo uno sconfitto tentativo di disinteresse lo
ascolto sempre più ipnotizzata dal tono della voce che copre ogni altro
rumore. Imperdibile.
......
-Che vòi?
Nun esco perché nun m'enteressa, nun me va! So' stanco.Anzi se me va
esco co' chi me pare Craudia, e no co' te! E nun me devi telefonà più.
Stavorta è finita Cra'! Basta, basta! Nun te sento, nun te sento, nun te sto a
sentì Craudia!
......
Che vòi?
No m'hai rotto Cra'! io sto sull'autobbusse Cra'! Qui c'è chi me guarda
come no psicopatico Cra! Basta nun te sento, nun te sento, nun te sento!!!
Che vòi? Che vòi?
94
No, no, no, no Craudia è finita, sei egoista Cra' ciao attacco.
.......
Che vòi?
Basta Cra', ma allora nun voi capì? come nun vojo cap' io? e che c'è da
capì? tu te ne freghi a Cra'; ce lo sapevi che stavo male, che stavo dar
dottore! Tu mica m'hai mandato un messaggino: amò? hai finito? come
stai? amò quando hai finito me chiami? No Craudia! Tu te ne sei fregata
Craudia! Tu nun m'hai chiamato perché magari stavi a fà artro Craudia!
Basta tu devi stà co un pischello piccolo, no co un pischello maturo come
me! Hai chiuso Craudia! Che? Quale artra possibbilità? L'hai avuta la
possibilità Craudia e mo' t'arangi ciao ciao ciao è finita.
......
Che vòi? Che vòi??
Io quando tu sei ita all'ospedale me so' arzato alle sette per chiedete: amò
come stai? Tutto bene? E pure pe' tu' padre me so' interessato: come sta tu
padre? Perché io so uno che se interessa mentre tu sei una che se ne frega,
che sei egoista!
.....
Che voi!?
Co' me hai chiuso Craudia! Chiuso, chiuso! M'hai rotto er c.... Claudia!
Attacca, no io nun attacco in faccia, nun so' maleducato io! tu sei
maleducata tu devi attaccà ciao!
.....
Che vòi?
Basta so stanco, me manca l'aria Craudia, me manca l'aria, sto male me
sento male, so' stato dar dottore ce lo sai me sento male!
Attacca Craudia che devo chiamà mi madre! voio chiamà mì madre!
Posso chiamà mì madre o no? Posso chiamà mi madre o no? Si me sento
male e vojo mamma 'a posso chiamà o no?
E basta Craudia, allora nu voi capiì: no, no, non no nun me devi chiamà,
nu me chiamà pe' gnente, anzi se me chiami nun te rispondo! quale artra
occasione? No. Ciao. Ciao, attacca!
......
Che vòi? Che vòi?
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Nun me ne frega gnente! rimani ner tuo piccolo mondo e io rimango ner
mio.
Rimani ner tuo piccolo mondo, vai a fà 'o shopping co' l'amiche tue
sceme, ma quanto sei scema a Cra'! Io rimango nel mio mondo de adulto!
Attacca! Me serve er telelofono. Devo chiamà mi' madre! Me fai chiamà
mamma che me manca l'aria e glielo devo avverti? Me fai chiamà mamma
che so' stanco, che me ne sto a tornà a casa?
No, no, no, si me chiami a casa nun te rispondo
No, nun me chiamà ar cellulare! Anzi domani o' butto sto nummero e così
nun me chiami più! Hai capito? Domani o' butto sto nummero, me ne
vado a comprà n'arto e nu te lo dico.
No! Nun te chiamo più!
.....
Che vòi? Che vòi?
Basta Cra' m'hai rotto er c. m'hai rotto le palle, me so' rotto. Nun esisti più
hai avuto la tua occasione, mo' le occasioni so' finite.
Che voi?
E che me frega? No nun te chiamo più scordate er nummero mio,
cancellalo. buttalo er nummero mio.
Che vòi?
Quando arivo a casa nun te chiamo, nun te voio più sentì.
Che vòi?
Si me chiami tu nun lo so se rispondo.
Quando arivo a casa se tu me chiami se me va rispondo sennò t'attacchi.
E chiudelo sto telefono a Cra'!
Vojo chiamà mi' madre! No! Noi nun stamo più insieme.
......
Che vòi?
Si me va te rispondo se nun me va nun te rispondo. -

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Via Ambrosini, incrocio con Via Grotta Perfetta. Devo scendere, un po' di
malavoglia perché ora potrò solo immaginare come andrà a finire la sua
storia d'amore (?) con Claudia.

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10 FINE E CONGEDO
Gli esami non finirebbero mai se qualcuno non dicesse: “Ora basta”.

Quello che segue è il racconto di come si sono conclusi gli esami di


maturità della quinta A telematico diplomata nel 2003. Fu una sessione di
gioia e fatiche, di successo ottenuto tenacemente.
I ragazzi furono tutti promossi. Ottenni che non copiassero il tema: li
correggevo io e li conoscevo troppo bene perché barassero. E loro furono
corretti. Alcuni dei temi mi diedero la soddisfazione di costatare che
avevano superato le mie aspettative. Non era una classe di letterati, ma
molti di loro avevano interessi, curiosità e capacità di pensare e lo
dimostrarono. Al colloquio risposero guardandomi negli occhi; non
volevano farmi fare figuracce di fronte a colleghi con cui avevo
tempestosi rapporti per causa loro, anche se sapevano che li avrei difesi
comunque. Quel guardarmi fisso negli occhi mi rimarrà sempre, come
tutto ciò che non ha bisogno di foto o parole scritte.
Subito dopo l’esame, invece, ne combinarono una delle loro. Perché erano
affettuosi e capaci di contenersi, ma non domati né addomesticati. E la
fecero grossa: un’impresa sciocca, anche se innocente nelle intenzioni che
scatenò la mia amara delusione solo in parte rimarginata dalle loro scuse,
lettere, dimostrazioni di pentimento.
In breve: molti di loro possedevano una copia della chiave della loro aula
(che la scuola aveva ufficialmente consegnato per risparmiare un
estenuante lavoro di apri/chiudi ai bidelli. Terminati gli esami rientrarono
di nascosto nell’aula e scrissero alla lavagna (e in parte sui muri) frasi
vendicative di insulti e sfottò ad alcuni dei professori. “Niente di che” si
giustificarono quegli incoscienti “cose che sapevamo tutti!”
Però nell’aula violata c’era ancora l’armadio con alcuni documenti
dell’esame. Non i principali. I ragazzi non manomisero né gli armadi né
altro; però avevano commesso una clamorosa, e come al solito vistosa,
infrazione che diede la possibilità ai miei colleghi di ghignare su di me e
la fiducia riposta in loro. Ahimè. Il fatto è che la scuola modifica, educa e
può migliorare un ragazzo, ma la vera trasformazione dell’individuo
accade quando è lui stesso che decide di assumere un’identità nuova,
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evoluta e perfettamente educata e civile. A diciott’anni non si è ancora
adulti; non lo dico per giustificarli, ma per contestare le trionfanti illusioni
di quanti vogliono i diciottenni maturi, consapevoli, autonomi in tutto allo
scopo di sollevare gli adulti, e specialmente i genitori, dalle fatiche
dell’educazione.
E’ naturale che dei diciottenni debbano essere considerati adulti e
chiamati severamente alle loro responsabilità: la legge li considera
cittadini attivi e responsabili, ma io credo che l’azione di confronto (non
più di guida) degli adulti sia ancora necessaria. Tanto che io stessa, che
avevo concluso il triennio e li avevo “maturati” all’esame, dovetti ancora
intervenire (e lo feci con grande fermezza e intransigenza) contro le loro
incoscienti intemperanze.
Fu dunque, quello, un dopo-esami da trauma e lo racconto in terza
persona, perché ancora non mi è passata.
Il dopo esami di Profi
Il ronzio stridulo del telefono la scosse ma cercò di ignorarlo.
Non le andava, non voleva proprio rispondere e cercava di ignorare quel
del telefono che friniva soffocati stridii di imprecisabile provenienza. Gli
esami di stato erano finiti da meno di ventiquattrore e le sembravano
giustamente conclusi e accantonati. La scuola è un organismo lento e
arcaico da bradipo, pensava, possiede la felice proprietà di archiviare
inesorabilmente il presente e di esorcizzare il futuro settembre come
un’era geologica a venire minacciata da spiritate cassandre, ma cui si può
fare a meno di pensare.
"Gli esami sono finiti e i colleghi sono lontani dalla mia stanza/ e tutti gli
alunni ce l'hanno fatta a passare l'esami/ adesso mi posso riposare/ e
lasciare da parte i problemi / ... e dormire fino a domani..." canterellava
sottovoce storpiando senza pietà la canzone di Venditti che i suoi ragazzi
avevano scelto come inno di fine anno.
Questi erano i pensieri in libertà di Profi, immersa nella modalità di
ricreazione personale e meritata.
Quando andrò in pensione, si diceva, non sentirò tanto la nostalgia
dell'inizio dell'anno scolastico quanto, semmai, dell'ultimo giorno di

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scuola che mi dà sempre, la stessa sensazione di fuga felice, come quando
ancora andavo alle elementari.
Era tranquilla e, sperando di non essere udita, continuava ad accennare
altre più vecchie canzoni ".. non cambiare, stessa spiaggia stesso mare... je
vois la vie en rose, il est entré dans mon cœur, une part de bonheur..."
salticchiando dall'una all'altra senza nessun nesso "... quando vien la
sera...! love love me do ... il pomeriggio è troppo azzurro e lungo per me".

La giornata era calda e invadeva tutti i pori della pelle; la luce bianca
entrava dalla finestra e lei guardava il cielo; quasi si aspettava di veder
ronzare uno di quegli scoppiettanti aeroplanini ad elica che solcavano il
cielo della Romagna e che, bambina, vedeva rombare sulla spiaggia del
mare Adriatico con lo striscione pubblicitario AMBRA SOLARE o
CAMPARI SODA lasciando una scia di fumo e una pioggia di volantini
pubblicitari : "Questa sera gran gala al Dancing Verde Luna, spettacolo
con ballo!"
Profi si adagiava dunque nei ricordi, nelle ferie e nel suo mondo privato.
In realtà, al momento, la sua casa non era particolarmente conveniente
all'intimità domestica, visto che vi scorazzavano da vari giorni gli
elettricisti, i muratori nonché un paio di energumeni, senza precisa
qualifica, che sembravano sbarcati dal Caine e davano continuamente
ordini: "Me serve ‘na scala più corta", "Ma non c’è l'ha un avvitatore? a
questo se so' esaurite le pile", "… Signora! la chiave della cantina: subito
però!","! Qui stacco tutto: smorzate i computer. Adesso levo l’antenna
della televisione e tra dieci minuti isoliamo er telefono", "E st’armadio?
Qui m’empiccia! ‘o dovete spostà."
Per di più gli invasori sciamavano invadendo tutti gli spazi, compreso il
bagno che era riservato ai loro abiti, le scarpe e gli attrezzi. Sul letto,
nonostante un patetico tentativo di protezione con un telo di plastica,
planavano quotidiane dosi di farinosi calcinacci; il frigorifero era stato
sloggiatodalla cucina e parcheggiato dietro al tavolo del soggiorno,
insieme alla lavastoviglie e le sedie di casa prendevano aria buona sul
balcone.

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Profi sopportava il disagio dei lavori indispensabili alla sua casa,
un’abitazione un po’ vecchiotta e da rinnovare, ma che lei considerava la
tana migliore che avesse avuto. Un po’ di pazienza ancora per qualche
giorno, si diceva, e alla fine tutto si sistemerà.

Decise che quello che continuava a suonare era probabilmente il cellulare


di uno dei muratori e con un libro in mano, rincantucciata nella vecchia
sedia a sdraio scovata in ripostiglio e spostata in angolo provvisoriamente
disponibile, ripeteva a se stessa cantilene di formule rassicuranti.
"Eccomi a casa, e non a fare esami in aula afosa e poco pulita, in ostaggio
dei colleghi, costretta a discutere su tutto, a sopportare le solite
spiritosaggini sfiancanti, a subire critiche indirette e frecciatine maligne; a
casa mia, e non a sudare seduta di sghembo su una di quella specie di
sedie ondeggianti con le gambette metalliche tutte storte e il sedile di
compensato scheggiato che si aggrappa ai sottili abiti estivi (vestimenti
leggieri…freschi pensieri)."

Nel soggiorno, traumatizzato dall’invasione, le poltrone erano affastellate


sottosopra sul divano e di là gemevano rassegnate formando una sorta di
intreccio purgatoriale su cui era stato ammucchiato di tutto: i quadri, i
fustini dei detersivi, gli attrezzi di cucina, gli ombrelli e altri oggetti che
impicciavano.
Le sue care ceramiche erano state sfrattate senza un perché, e collocate in
bilico sul televisore, un recente sony stereofonico con ricevitore satellitare
acquistato a rate grazie ad una lacerazione non proprio indolore per la
carta di credito.
"Non devo fare la difficile," si diceva lei; "...questi sono giovanotti che
sudano, lavorano e hanno bisogno di spazio per procedere più
velocemente.
Chiederò al portiere di scusarmi con i vicini nevrotizzati dal ringhiare dei
trapani elettrici che imperversavano sbrindellando la loro quiete signorile
di impiegati di banca in pensione."

101
Non sarebbe stato facile, ma comunque meno arduo che convincere il
collega di Elettronica, Magliapesante, a non sbraitarle nelle orecchie
investendola di umidi afrori.
D'altronde, anche se un po’ formali e impettiti, i condomini erano soltanto
compiti cittadini e regolari esseri umani, e non entità diffidenti e
minacciose come la collega di Informatica Sonaglini, allestita in
frusciante di chiffon sintetico fosforescente, e decisa a ribattere, ritorcere
puntualizzare, svellere e sbriciolare ogni umana forma di possibile
dialogo.
Certamente tutto il palazzo avrebbe sospirato di giustificato sollievo
quando gli eterogenei mobili di Profi, ora parcheggiati sul pianerottolo
con un effetto davvero imperdibile: tra pop art, Duchamp e mercatino
dell'usato, fossero tornati a cuccia dentro casa.
Le sembrava che lo squillo insistesse a interrompere i suoi pensieri: “! non
risponde? Guardi che 'o devo stacca'; ma che fa, signora? Non ce sente?”.
"Non mi va di rispondere.. ma dovrei farlo, ecco ora mi alzo e vado..."
pensò rassegnata, ma rallentando i movimenti nella speranza che
smettesse da solo. Svogliatamente mosse solo un braccio e prese il
telefono: “Pronto….”
“Professoressa è lei? Le passo il Preside” annunciava la voce inquietante
di Valentina, che di solito le dava del tu chiamandola sbrigativamente
solo per cognome.
“E...? No, guarda Valentina, non me lo passare proprio sono in ferie! e poi
perché?”
“Glielo passo professoressa… attenda in linea!”
"Mmm… " pensò tra sé, "e ora che vuole questo"; però si comportò come
se stesse rispondendo a una telefonata attesa e gradita e ascoltò la voce
stridula:
“Professoressa!”
“Salve Preside! Come sta?”, rispose tentando una tonalità di garrulo
cinguettio frizzantino.
“Che succede di nuovo? Ci siamo salutati solo ieri! Non me lo dica, lasci
che indovini: ci siamo dimenticati la solita firmetta sull'incarto sigillato
del plico degli esami…”
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“Professoressa!” il tono era metallico e perentorio “Deve venire subito
qui.”
“Via Preside, sta scherzando vero?”
“Professoressa!” (e dai!) “Ho davanti a me il Presidente di Commissione”
“E..?”
“Professoressa, ascolti bene “Stanotte qualcuno ha forzato l’Aula della
Commissione e compiuto atti di vandalismo. L’armadio degli Atti non
risulta aperto, ma i muri sono stati imbrattati da disegni osceni e scritte
con insulti ai professori; sono stati sicuramente i Suoi Alunni! Lei, che è
di lettere, ne riconoscerà le grafie, altrimenti il Presidente chiederà una
perizia calligrafica…”
L’atteggiamento vacanziero ed ottimistico che Profi si era concessa, subì
una scossa violenta e definitiva.
Le mancò il respiro, e si sentì come se le fossero caduti addosso, tutti
insieme, i 5346 litri di liquido che uno dei canadair, in quel luglio
arroventato in azione sui litorali infestati dagli incendiari, è agevolmente
in grado di rovesciare in 12 secondi.
Annaspava, cercando di immettere dell’aria dove più era utile per il suo
svuotato organismo, ma il DS proseguiva inesorabile: “Professoressa! Ha
capito? Il Presidente, vuole chiamare i Carabinieri; è una cosa seria.”
Profi farfugliò in apnea ingarbugliate sillabe dislessiche , “ma, ma, ma ...”
La voce sempre più alta incalzava: "Lei sa come me, professoressa, non è
vero, certo che lo sa, quanto sono importanti gli Atti degli Esami di Stato
e quanto sia stato grave entrare nell'Aula in cui sono custoditi. Il
Presidente intende annullare gli esami"
La sensazione che qualcosa stesse cadendole addosso travolgendola e
strappandola via non si allentava e in realtà già tutto le stava sfuggendo:
non sentiva più la cornetta del telefono tra le dita inerti, il labbro inferiore
cadeva in giù verso il mento, le spalle si appoggiavano alla parete
devastata dalle nuove tracce per i cavi elettrici; Profi percepiva di
scivolare tutta in giù, con la schiena slittante lungo il muro, mentre
lasciava una scia sulla polvere recente.
Si trovò seduta per terra (e dove sennò, le sedie erano in villeggiatura sul
balcone), le gambe flesse, sui calcinacci e i cavi elettrici, con i muratori
103
che in un continuo andirivieni passavano, tra aromi agliacei e d’altro tipo,
scavalcandola: "a signò, già sta casa è un macello co’ tutti sti impicci e sti
libri, noi stamo a lavorà, ma se lei nun se scanza…"
Si passò lentamente una mano tra i capelli, ritti in capo, avvertendoli
come induriti (angoscia? polvere?) e fu assalita da altre percezioni che la
incalzavano contemporaneamente. Gli ultimi mesi di scuola, come un
caleidoscopio di fotogrammi impazziti, le passarono davanti mentre
tentava di formare frasi di risposta al Preside, che le parevano però
insufficienti.
La prima reazione fu, infatti, stata di totale rifiuto ed incredulità. Era
convinta che fosse un incubo e che presto sarebbe finito.
Freneticamente accumulava pensieri dentro di sé: "Ma cosa sta dicendo il
DS? E' come un crudele video-gioco-quiz... devo rispondere Vero/Falso -
I miei alunni…No, non può essere, non è vero, dunque è tutto falso. - Mi
stanno raccontando una balla, non possono essere stati loro, dunque è
falso - Ho fatto molto per questi ragazzi e loro sono tanto cambiati e
dunque è falso - Mi vogliono bene, sanno quanto mi dispiacerebbe se
facessero una cosa così e quindi non c’e niente di vero. Falso, falso ,
falso..."
Profi si dispose dunque a negare comunque.
Inoltre, pur stordita dello shock, era indignata per quel modo di
apostrofarla: “… i Suoi alunni…”, usato, come al solito, per marcare solo
le critiche non soltanto dal Dirigente, ma anche da colleghi e bidelli, e
che in automatico la faceva passare, senza nessuna esitazione, dalla loro
parte.
Mentre pensava ad una via di uscita, Profi cercava di reagire il più
velocemente possibile. Ora mi sveglio ed è tutto finito, pensava.
Strappata dalla modalità inerte in cui si era finalmente adagiata come in
un porto sicuro, si sentiva nuovamente assediata da un’ansia violenta da
cui, solo pochi istanti prima, era certa di essersi messa in salvo.
Tentava di riorganizzare i suoi pensieri per ritrovare se stessa, ma la
marea ostile incombeva soffocandola, come una vortice polveroso e
asfissiante.

104
Si affannava a riordinare in fretta i pensieri in una lotta quasi fisica
affrontando un confronto di logiche opposte.
Certo di averla colpita, il Preside dava per scontata la sua sottomissione e
lei, intuendolo, cercava di guadagnare un po' di tempo per ragionare, e nel
frattempo la voce al telefono proseguiva, parlava, ordinava, ma per il
momento sembrava non aspettasse risposta. Profi insegnava lettere in un
triennio superiore; prendeva le classi in terza e le seguiva fino all'esame di
maturità. Si rendeva solo ora conto che, senza ammetterlo, aveva atteso,
per tre anni, il momento in cui, concluso il suo lavoro, avrebbe potuto
tagliare il legame, stabilito all’inizio per stringente senso del dovere, ma
poi coltivato con curiosità, interesse e partecipazione crescenti, con quei
suoi studenti. Vi si era dedicata, sospesa tra sfida e caparbietà, fino a
provare una sorta di senso di colpa nei confronti dei colleghi, e di tutti
quelli che continuavano a chiamarli sfaticati, arroganti, teppisti o anche
peggio ed imputavano lei di complicità trasgressiva.
Era stata presuntuosa? Qualcuno lo aveva insinuato: chi si credeva di
essere per pensare di riuscire a modificare ad educare quella sorta di
scialuppa d’appestati? Tagliare, potare e bocciare… la sola ricetta per
sopravvivere affermavano i portatori di sane certezze pedagogiche..
Invece lei aveva analizzato la situazione con la pazienza cocciuta di una
merlettaia di tombolo: i fili, i fuselli gli intrecci, il disegno complesso da
realizzare era là, si poteva vedere in controluce; tutti gli altri avrebbero
potuto vederlo solo avessero cercato; come aveva cercato lei.
Sorretta da una congenita allergia per gli schematismi e da un essenziale e
ostinato senso pedagogico si era persuasa che l’insofferenza verso le
regole, l’incoerenza, la brutalità dei comportamenti, le provocazioni
ossessive di quella classe fossero in realtà una specie di spessa crosta,
complessa e stratificata; un abito per mostrarsi o apparire; un modo di
venire alla luce senza confessarsi troppo; ma che sotto ci fosse dell’altro e
non necessariamente di meglio.
E infatti c’era altro: problemi e disagi, diffidenza e degrado, ma anche
intelligenza, sentimenti e creatività che molti non avevano voluto vedere.
Riviveva un film vorticoso che la trascinava in fuga verso il passato:
facce, suoni, situazioni, luci, odori istantaneamente affastellati; e, minuto
105
per minuto, le lunghe ore di lezione; in particolare i giorni in cui aveva
deciso di sintonizzarsi su loro per iniziare una lunga partita senza barare,
anche soltanto per attrarli ad un dialogo onesto con lei. Flash dei consigli
di classe (professoressa solo lei ci ha difeso!) in cui Sonaglini e La
Guardia l'accusavano di paternalismo, di lassismo, in cui perfino il collega
Trotta, di Educazione Fisica, affermava che non c'erano voti abbastanza
bassi per loro, e il collega filosofico, Animamia, la raggelava, sprezzante
verso i suoi tentativi di analisi. E ancora, il sarcasmo dei bidelli arroganti
solo con lei: "Professoressa venga a vede’ come hanno ridotto l'aula, è un
porcile, 'no schifo, gliela faccia puli’ a loro, noi non lo facciamo". "Il
corso A telematico? quelli non ce provate proprio a mandarli ar piano
mio... nun li vojo manco vede."
Per non parlare dei colleghi : "Ma come mai la tua classe si comporta
così? Hanno problemi?"
Dimostrare che con loro si poteva far scuola era stata la sua sfida; una
sfida che pensava di aver sostenuto forse per spirito di contraddizione, ma
anche con serietà e slancio e senza compromessi.
Non le importava di aver vinto quella sfida (e contro chi, poi, avrebbe
vinto?); al contrario le importava spasmodicamente d'essere riuscita a
stabilire attenzione e comunicazione, interesse e fiducia reciproci. Quella
connessione era stata la chiave di volta.
Erano ancora una terza, quando aveva definitivamente deciso che quella
sarebbe stata davvero la sua classe sua e per sempre.
Tre anni prima, infatti, il mercoledì precedente l'inizio delle vacanze di
Pasqua, presa da un'irrazionale impulso, Profi aveva comprato un grande
uovo di cioccolato. L'aveva portato in classe, nascosto nella sua solita
informe cartella e aveva annunciato: "Ho una cosa per voi, ve la darò alla
fine della lezione se vi comportate bene". Avevano accettato il gioco; la
seduzione del gioco era un meccanismo infallibile con loro. Pochi minuti
prima del suono della campanella tutti stavano ancora seduti nei banchi e
lei aveva aperto piano la borsa. L'incarto metallizzato e lucido dell'uovo
aveva crepitato e subito Daniele, che aveva intuito, strillava: "A regà, nun
ce posso crede! ci ha portato l'uovo di Pasqua!"

106
Urla selvagge si erano sfrenate: Profi non le aveva ascoltate, ma aveva
guardato dentro ai loro occhi: accesi, raggianti, da ragazzini... poi il
sempre affamato Adriano era volato per primo verso la cattedra con la
mano protesa, l'aveva sbattuta, violento, frantumando la cioccolata ne
aveva preso il pezzo più grande ficcandoselo tutto in bocca; in due
secondi non c'era nemmeno più il profumo di cacao nell'aria. Ma tutti
sorridevano, compresa lei, perché Riccardino (soprannominato tongola,
roncola, pingola, tingola, frangola e vongola) aveva protestato: "Non ne
avete lasciato neanche un po' alla Profi !" e gli altri si erano, un pochino,
imbarazzati tanto che qualche mano si era aperta offrendole le briciole
quasi sciolte.
Sì, quella volta Profi, rinunciando a capirsi, aveva sentito il suo cuore
frullare contento. Eppure, già molto prima di entrare in quella così
particolare classe, era consapevole che con i ragazzi, e con gli studenti in
particolare, non si va a stabilire un legame senza tempo.
L’attrattiva e il fascino del suo lavoro, nel quale lei nascondeva la sua
antica vocazione ad incidere l’indifferenza e scalfire l’ignoranza, erano
proprio l’instabilità, le scadenze che arrivano troppo presto o troppo tardi,
la consapevolezza di dover ottenere risultati complessi, ma con margini
definiti. Tutto questo lavorando senza rete e senza trucchi, altrimenti non
ci sarebbe stato, per lei, altro che la frustrazione del rinnegare se stessa.
Dunque proprio in quel groviglio, quasi inestricabile, di adolescenti
barbari e strafottenti, indifferenti ed emotivi, Profi aveva creduto di
riconoscere una realtà emblematica, anche se selvaggia, che l’aveva
irretita: "se riesco con loro", aveva spericolatamente pensato, "anche tutto
il prima e tutto il dopo avranno un significato. Se riconoscono il mio ruolo
e il mio interesse sincero per la loro crescita, avrò raggiunto il mio
risultato" E loro l’avevano riconosciuta.
Era stato tuttavia essenziale che nel patto instaurato con i ragazzi, fossero
chiari quei confini e quelle scadenze; e imprescindibile che
l’insegnamento non potesse durare più a lungo per non degenerare
nell’inutile fallimentare fatica di un'insalata di vani tentativi e sentimenti
stonati.

107
Profi credeva profondamente che il passaggio dei ragazzi nella scuola
abbia un senso proprio in quanto movimento verso il mondo.
Aveva perciò lavorato, ma nello stesso tempo atteso e desiderato il
momento in cui sarebbe stato possibile e naturale non soltanto troncare
quel legame per separarsene con sollievo, quanto alleggerirlo dalle
responsabilità didattiche e lasciare che, concluse quelle, si trasformasse,
per chi tra i suoi ragazzi l’avesse spontaneamente voluto, in qualcosa di
diverso: senso di liberazione, nostalgia, voglia di crescere, emancipazione
o miscuglio di sentimenti liberamente associati.
Ed era sicura che lei se ne sarebbe arricchita: in fantasia e leggerezza,
ironia e gratificazione.
Invece quella mattina, nel caos della sua casa sottosopra, la voce nella
cornetta sempre strepitante, si sentì investita da un’aggressione inaspettata
e ingiusta e trovò priva di senso e di logica l'imposizione del processo
sommario decisa dal Preside: è successo, so chi è stato, lei deve
intervenire.
Profi individuava in sé due stati d’animo prevalenti che, intrecciati tra
loro, assorbivano le sue capacità di reazione.
Il primo era il fastidio. Il secondo era il rifiuto.
Fastidio per l’approssimazione, l’inadeguatezza, la presunzione con cui i
due dirigenti in causa, Preside e Presidente, stavano gestendo l'accaduto.
Durante gli esami, ad esempio, chiunque avrebbe potuto notare che alle
Commissioni erano state consegnate le chiavi delle aule senza cambiarne
le serrature.
Era stata una leggerezza che le aveva dato da pensare. Come ogni anno,
all'inizio delle lezioni, a ciascuna classe erano state assegnate due copie
delle chiavi dell'aula in modo da poterla chiudere, senza scomodare i
bidelli, e non lasciare oggetti, cellulari o denaro incustoditi quando i
ragazzi fossero andati nei laboratori o nelle palestre. Ovviamente le due
copie di chiavi potevano esser diventate quattro, sei o anche di più per
evitare di rimanere senza le chiavi se i responsabili della classe si fossero
assentati; perciò anche se le due chiavi iniziali erano certamente state
restituite, esistevano altre copie di proprietà non più identificabile. E
nessuno se ne era curato.
108
Ma lei sentiva anche un rifiuto istintivo, della lacerazione che il fatto
denunciato, avrebbe causato nel consolidato agglomerato di sentimenti ed
esperienze che pensava di aver stabilito con i ragazzi.
Un rifiuto, totale, sordo, categorico.
Invece di reagire, replicando, alle affermazioni univoche che provenivano
dal telefono (ma perché, poi, dopo aver praticamente impedito qualsiasi
attività in casa, gli elettricisti avevano lasciato in funzione proprio il
telefono e non lo avevano isolato subito quella mattina?) tentava di
interpretare la realtà da altri punti di vista e di trovarne le altre possibili
spiegazioni.
Silenziosamente, si dava una serie di prescrizioni: "Stai sognando;
concentrati sul presente, non divagare, risolvi questa situazione, devi
uscirne; ma allo stesso tempo, demoralizzata e sempre più frenetica
pensava cose senza senso: sono iniziate le vacanze, dovrò pulire quando
gli elettricisti se ne andranno; questa è solo una telefonata e quando
attaccherò sarà tutto finito; ma che vuole da me questo Presidente che fino
a ieri nemmeno mi salutava?"
E nella contorta ramificazione emotiva generata dalla faccenda in atto,
sentiva introdursi nel suo animo un'ulteriore afflizione, perché sulla
gerarchia tra esseri umani in generale, sui Dirigenti scolastici in senso
lato, e sui Presidenti di Commissione in particolare, l’anima democratica
di Profi aveva le sue belle perplessità da risolvere.
Probabilmente non era quello il momento di affrontare una questione da
massimi sistemi, tuttavia la sua impaziente voglia di giustizia non riusciva
a sottrarsi alla questione particolare. Chi, come, perché, con quali titoli e
preparazione si è nominati Presidente, carica peraltro da sempre piuttosto
ambita e richiesta.
Con i precedenti ordinamenti degli Esami di Maturità lei stessa, senza
rimpianti o rimorsi, aveva accettato più volte la nomina a Presidente.
In quelle occasioni si era preparata e aveva studiato la normativa fino a
saperla a memoria e risolto, così riteneva, quello che c’era da risolvere. Se
qualcosa le era sfuggito era però certa di evitato di snaturare un incarico
serio e di averlo svolto con attenzione ed equilibrio e non con impersonale
freddezza burocratica.
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Invece il Presidente nominato nella sua scuola si era dimostrato un rigido
esecutore di formalità, non aveva seguito né ascoltato nemmeno un
esame, aveva ratificato i risultati impugnando la calcolatrice e distribuito
schemi di verbali fotocopiati; insomma uno spento, ma puntiglioso travet
professore di Educazione Fisica e nominato alla Dirigenza degli Esami di
Stato. Nell’alienazione provocata dalla telefonata che stava ascoltando,
pur abbattuta dallo sdoppiamento e triplicamento delle sue reazioni in
apnea cerebrale, Profi non riusciva a far tacere il suo personale eccepire.
Assediata dal vorticare di polvere, da calcinacci e oggetti fuori posto, da
odori di presenze invadenti e da fili elettrici che schioccavano, da trapani
incessanti che percuotevano e foravano, lei si appigliava faticosamente
alle sue logiche sbrindellate dall'incertezza.
Reimpostava la mente e finalmente decise: se come affermavano Preside e
Presidente, qualcuno si era davvero introdotto a scuola aprendo la porta
dell'aula della Terza Commissione, che doveva essere chiusa e sigillata,
nonché custodita con la dovuta attenzione allora c’erano ovviamente dei
colpevoli che avevano commesso il fatto; ma senza dubbio c’era anche
chi non aveva prestato sufficiente attenzione e scrupolo al suo lavoro, chi
non aveva dato disposizioni adeguate al personale, chi si era comportato
con leggerezza mostrandosi sottodimensionato rispetto all’incarico
assunto.
E il Presidente non poteva permettersi di cavarsela scaricando accuse su
altri, invocando Polizia e Carabinieri, né tanto meno di chiamando
Ispezioni o millantando che avrebbe annullato gli esami, come stava
divertendosi a minacciare. Avrebbe dovuto invece prendersi una generosa
dose di Valium, o di un'altra benzodiazepina a sua scelta, e cominciare a
pensare nell’ordine a: dove aveva sbagliato, far meno chiasso possibile,
rimediare e risolvere i suoi errori. Troncare e sopire.
Si doveva trattare solo di un equivoco. Ed avrebbero fatto il loro bene a
persuadendosene anche i dirigenti responsabili: Preside e Presidente
Se invece avesse subito le istruzioni dei due incapaci dirigenti avrebbe
dovuto affrontare la folla dei tanti episodi, piccoli o no, che tornavano
verso di lei e nessuno dei quali era disposta a smentire né a cedere né a

110
dimenticare strappandoseli dal cuore, in cambio di una esordiente
estraneità, di un atto di mediazione o di un compromesso.
Ecco farò proprio così, concluse finalmente Profi; risponderò, come
sempre, quello che penso. Sarò cortese, ma formale e dirò: “Non vengo
Preside, e anche volendo non potrei allontanarmi da casa." L'ordine
perentorio arrivò, ma le fu dato in forma di domanda: “Dunque che fa
Professoressa? Non viene?” Felice di avere elaborato una risposta
disubbidiente, ma credibile lei replicò: “Non vengo Preside, e anche
volendo non potrei allontanarmi da casa su due piedi; ho gli operai in casa
ed, essendo iniziate le mie ferie, non ho dato la mia disponibilità ad essere
presente a scuola.”
"Gli esami sono finiti e i colleghi sono lontani dalla mia stanza/ e tutti gli
alunni ce l'hanno fatta a passare l'esami/ adesso mi posso riposare/ e
lasciare da parte i problemi/ ... e dormire fino a domani../. Ma come fanno
i professori di Educazione Fisica con la camicia a quadrettini a diventare
Presidenti..."
Colse voci che sbraitava in romano-rumeno: "Hai capito? sta casa è una
caciara: marito escito, fija nun sta qui mai, e questa abbioccata..."."Statte
zitto mo' ce parlo io: A signo' ma che dorme?! facci quarcosa! Che je
prende? rispondo io?" Profi cercava di aprire gli occhi e di rispondere,
alla fine tirò fuori un po' di voce, alla meglio, e: "No, no, non serve. Anzi
lo stacchi, lo stacchi pure quel telefono, non aspetto nessuna
chiamata...proprio ... nessuna". E sbadigliò sollevata.No, proprio non
voleva, non le andava per niente di rispondere al telefono... le vacanze
erano iniziate, e non si poteva mai sapere...

111
11 CONGEDO

Poi tutto finì, com’era cominciato e cominciarono le vere vacanze. A


Settembre ci fu perfino la cerimonia della consegna dei diplomi dove io
lessi, tra incredibili applausi e festeggiamenti questo breve discorso di
commiato, scritto per l’occasione; e fu finalmente tutto CONCLUSO…

Se ci fosse stata giustizia a questo mondo la ex quinta A Telematico non


avrebbe mai dovuto esistere.
E non incolpiamo madre natura; lei li ha solamente fatti nascere, ma non
li ha assemblati insieme radunandoli nel più imprevedibile e dissennato
composè di infiorescenze di cardi e cicorie che una qualche coincidenza
ha messo insieme. La ex (e Dio sia sempre lodato per quell'ex) quinta A
Telematico, iscritta in terza nell'A.S. 2001-2002, si è definitivamente
congedata da noi il 7 luglio 2004 mentre le cicale cantavano un
indifferente ed imperterrito geghe-geghe-geghe-gè sui pini del cortile
assolato, le zanzare tigre planavano fameliche sulle caviglie della
professoressa Guazzugli, la soave professoressa di Economia tentava di
addolcire le tensioni inespresse nutrendo la commissione di cioccolatine e
latte di mandorle e la professoressa di Informatica faceva tintinnare i
suoi braccialetti d'oro chiudendo il pacco degli atti dei lavori della
Commissione scritti con ogni cura possibile dal professore di Elettronica.
Si dice che i lanzichenecchi, scesi a Roma al seguito delle truppe di Carlo
V, l’abbiano messa a sacco ed offesa imbrattando i muri delle chiese e
facendo fuggire il Santo Pontefice; non è il caso di esagerare, i nostri ex
della quinta A non sono arrivati a violare dei luoghi sacri e noi
112
insegnanti nemmeno nella nostra più sfrenata presunzione pedagogica, di
professori di medio o di lungo corso, siamo stati sfiorati da ambizioni di
sacralità. E tuttavia i nostri ex alunni hanno alterato, forse per sempre,
qualche nostro equilibrio psicofisico, impegnato le nostre coronarie più
di una discesa in deltaplano e se ne sono andati lasciando rovine e
calcinacci fumanti, ma anche un certo sollievo nell’animo nostro. In
fondo in fondo si erano probabilmente affezionati ad una scuola che ha
cercato sempre di dialogare e farli crescere.
Speriamo che abbiano finito di nuocere, ma sappiamo che, per quanto ci
riguarda, noi non ci consumiamo dalla voglia di ripetere l’esperienza
Tuttavia crediamo che continueranno a volerci bene.

113
CONCLUSIONE

Ecco. Questa è ed è stata la mia scuola tra passato e presente, tra ricordi e
cronaca e le parole sono finite.
Senza rimorsi né pensieri concludo pubblicando un documento autentico;
la prova dell’apoteosi del ruspantismo in sé e per sé (nato sotto il segno
del Minotauro) : trattasi di una nota scolastica documentata con il mio
cellulare. Una perla nera, comparsa sul registro di classe e vergata dalla
rabbiosa grafia di un furioso ed indifendibile protagonista assoluto della
neodidattica faidatè approdata e consolidatasi
impunemente nell’istituzione ex-pubblica-istruzione. La prima parte della
nota l'ha scritta il suddetto furioso, la seconda la mia mano: impertinente
ed esasperata. Il registro è rimasto per molti mesi al suo posto e a
disposizione delle autorità scolastiche, ma senza reazioni. Hic
manebimus. Optime?

LEGGASI
"alle 11, 06 invitati ad entrare in classe, perdura il clamore nel corridoio"
"Alle 11,07 ho premuto il grilletto (per la disperazione)!"

114
Notte docente

Nella notte luminosa


una Profi non riposa,
pesta i tasti e va scrivendo
dell'infausto avvenimento
.ma anche quando vuol smentire
è un po' vero quel suo dire.
Ai superbi dirigenti
preferisce i suoi studenti!

*** Fine ***

115
PENSIERI DIVERSI, IN VERSI
ai miei ragazzi, miei studenti

La classe, un insieme difforme


di giovani assorti o distratti
per loro parole e richiami:
pensieri per tutti e qualcuno.

Tenace la mia convinzione,


tenaci anche errori e difetti,
che al cuore si parla, e la mente
lo segue con tempi diversi.

La classe: un disordine caldo,


un lungo ronzio frastornato,
l’impulso frequente e distratto
l’attento pensiero incrociato.

Eppure la vita è tra loro


la vita: e con essa l’agguato
del tempo; e da nere sorprese
la scuola non v'ha esonerato.

Ma mentre parlavo e leggevo


quel mondo sembrava lontano
e i dubbi e quell’ansia il lavoro
svolgevo ascoltandovi piano.

Ciascuno una strada e un ricordo


del male o del bene donato:
tra pagine scritte e pensieri
quel tempo lontano è tornato.
Maria Serena Peterlin
I miei Lucignoli

Maria Serena Peterlin

Autori del Praticomondo di www.praticomondo.net

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