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Moja bieda.

Sto rientrando dal Qatar, quasi tre anni fuori dallItalia sono tanti ed io non so quanto sia cambiata, n lo capir mai, perch nel frattempo sono cambiato di pi. Il mio portiere presto la mattina controlla le chiusure della borsa di Tokio in un visore installato dietro la Banca, di fronte a casa sua, per avere indicazioni di tendenza prima che apra la borsa italiana, parla di fondi azionari, pronti contro termine e suggerisce qualche speculazione a chi glie la chieda. Tutti parlano di soldi sempre, le pi arrischiate manovre speculative sono considerate ordinarie, la mentalit dei giovani cambiata. Compro, quindi sono. Le banche organizzano corsi di aggiornamento per i risparmiatori sul funzionamento del mercato azionario. Impiegati , ieri perfetti Travet, oggi camminano con passo vittorioso, quasi protervo, nei corridoi dei loro uffici titoli, ricevono per appuntamento e molti di loro hanno superato il blocco logico e psicologico dellimpiego fisso dando le dimissioni dalla Banca per mettersi a vendere carta contro contanti. Gli uffici si sono riempiti di visori con dati di borse mondiali in contemporanea e si sono trasformati da aridi in minimalisti. I videogiornali intervistano e mostrano modeste imprese del settore informatico che, a seguito di performances borsistiche impressionanti, capitalizzano pi dei colossi della industria nazionale e, cosa ancora pi impressionante, mostrano i loro impiegati che, allannuncio che il titolo ha sfondato un nuovo muro, si alzano dai loro tavoli, si abbracciano e si danno cinque, come avessero vinto i mondiali di basket od avessero avuto un aumento di stipendio inatteso. Alcune banche hanno aperto un borsino dove si commentano le performance azionarie in gruppo, come quelle dei giocatori di calcio allo stadio, credo a volte vi si faccia la hola. Si parla solo di griffe e di quattrini, la gente molto noiosa. Io sono un pesce fuor dacqua e non ho ricevuto le irradiazioni di ricchezza di cui pare abbiano beneficiato tutti. La esperienza del deserto mi ha dato precetti antichi e semplici, quelli dei beduini, di cui non trovo la corrispondenza; nella logica del deserto ricco chi spende meno di quanto incassa, in ogni senso: acqua, cibo, soldi, energie. Da noi ricco chi si indebita per acquistare titoli allo scoperto. Questo lambiente dove mi vengo a trovare confuso. La mattina, appena sveglio, guardando dalla finestra, guardavo la mandria di cammelli che bivaccava intorno al nostro accampamento, poi una occhiata all impianto, per vederlo da quella angolazione prima della doccia, come a sincerarmi che ancora ci fosse. La fine di un impianto crea in chi ha partecipato alla sua costruzione fierezza e sgomento al tempo stesso, per la grande dimensione di quanto fatto e per la fine dellimpiego e del gioco. Contenti e spaesati, a tutti i livelli della gerarchia del cantiere, tutti guardano limpianto in mezzo al deserto, come un Totem di cemento e acciaio che ci da consapevolezza di avere fatto tanto e bene, ma il suo pennacchio di fumo il segnale che si torna a casa. Romeni, tailandesi, indiani, nepalesi mi chiedono di fare un altro cantiere, perfino il cuoco egiziano ed il capo campo turco mostrano segni di disagio per la fine del lavoro. In questo cantiere mi sono trovato perch tutti ne sono fuggiti, non per scelta, ed ora che rientro dal deserto mi sento spaesato dalla crisi di fine impianto, dovuti ad insicurezza e cambio dei ritmi abituali. Le stesse scomodit di un cantiere nel deserto, in cui mi ero impiantato a fatica, oggi sono abitudini che mi mancheranno rientrando:

la brandina francescana la pasta scotta della mensa la doccia che getta acqua fredda o bollente, senza permettere graduazioni lo scuotimento della parete allattacca e stacca del compressore dellaria condizionata la racchetta per ammazzare le mosche, unica vera attivit sportiva del campo le cene speciali per le feste nazionali di almeno dieci paesi presenti in cantiere i quaranta chilometri fatti per andare a comprare una saponetta od un sapone da barba sentirsi in festa quando si mangia un gelato la botteguccia dove si compra tutto quello che serve alla sopravvivenza il tempo per leggere e pensare il te servito bollente quando si rientra dal giro del cantiere la sensazione di arrivare alla grande metropoli quando si va in citt a comprare un paio di mutande od una camicia il cammello albino che si viene ad abbeverare allo scarico del bagno e si gratta la schiena nello spigolo del container facendo tremare tutta la baracca la sala televisione con le sue cinquanta videocassette che abbiamo visto tutti da mesi la sabbia finissima che quando tira vento entra dappertutto e ti crea delle stalattiti nelle narici il guardiano del campo che si mette sullattenti ogni volta che passi labitudine di lavorare anche i giorni festivi la immancabile telefonata fatta dalla sede nellunica ora di pausa tra mezzogiorno e luna.

Non ho alcun motivo per sentirmi in crisi, ma sono il pi spaesato di tutti. Forse il motivo della mia crisi non per ci che lascio, ma per ci che trovo. Ho deciso di restare a casa, sintonizzarmi con la adolescenza di mia figlia e le infermit di mia moglie, capire se posso essere di aiuto o convincermi definitivamente di non potere sperare in una tranquillit casalinga. Per tanto tempo ho cercato di mantenere in piedi la mia casina di mattoni, come il porcellino saggio, dove avevo messo tutto ci che desideravo, o meglio, che mi dava sicurezza, lavorando su un mio modello di vita serena e dando per scontato che ci fosse un valore assoluto per chiunque, senza rendermi conto di avere chiuso dentro casa un implacabile male ignoto che veniva da molto lontano e che mi avrebbe travolto in un gorgo a me allora sconosciuto. La prima volta che mi avevano parlato di depressione era stato dopo la nascita di mia figlia, di riflesso, senza spiegarmi nulla dei sintomi e delle regole da tenere durante una cura, quasi non fosse una malattia, ma un percorso obbligato da cui comunque si esce facilmente. Una serie notevole di pillole senza dare chiarimenti, come quando si dava il purgante ai bambini, la sola raccomandazione di portare mia moglie in vacanza in montagna, tra mille e milleduecento metri.

Da allora oltre dieci anni di caduta, con diagnosi fatte da clinici sempre pi illustri, sempre pi concordanti ma con cure sempre in aumento e condizioni di mia moglie sempre peggiori. I rari momenti di respiro li ha pagati con ricadute piu pesanti. Non ero preparato, e non esiste oggi come allora struttura al mondo che possa preparare a tale evento. Prima di conoscere mia moglie non avevo ricordi di esperienze dolorose recenti, non riconobbi pertanto le sue lacrime per un segno evidente di dolore, pertanto questi pianti, sempre pi frequenti, mi parvero effetto di tanti sentimenti, non di un unico solo problema. Quando una persona soffre per questo tipo di disagio reagisce con rabbia, a volte con disperazione, nei confronti di chi si avvicina con metodi e consigli banali, aumentando il proprio isolamento e senso di angoscia. Le persone grossolane, tali eravamo tutti nei confronti della scienza medica, allora, intorno a lei, non capendo tali reazioni sproporzionate, si allontanavano con le pi varie motivazioni, rifiutando la possibilit di aprire un dialogo. I medici curanti confermavano che lunico trattamento possibile era quello farmacologico e che prima di parlare di normalit di rapporti occorreva uscire da questa o quella fase della malattia, convincendo tutti noi ad un rigido controllo degli orari e delle regole, quando addirittura non la obbligavano a lunghi ricoveri in ospedali con regime quasi carcerario. Il malato, come un naufrago nella tempesta, si attacca al proprio medico con tutte le forze e la disperazione di chi pronto a decisioni anche estreme per un minuto di pace. Noi guardavamo da terra questo naufragio, dalla nostra posizione sicura sulla sponda. Tristi, preoccupati, s, ma mai cogliendo la profondit di quel dolore e la tragicit della situazione, male avvisati dai medici stessi. Questo, per tanti anni, ci permise di sentirci a posto con la coscienza e di credere di avere fatto tutto il possibile per aiutarla, imparando, dai medici stessi che dovevano curarla, a trattarla come loggetto delle cure, e non come un essere umano. Tentammo involontariamente, con la sua stessa complicit e medici consenzienti, di modificare con quintali di veleni il suo comportamento mentale, portandola ad una farmacodipendenza assoluta. Lultimo capolavoro lo fece il pi illustre dei luminari, quello il cui cognome si pronuncia in ospedale sottovoce, con deferenza, quello da cui, per essere ricoverati, si va con la raccomandazione, quello che sulla scena della medicina nazionale viene rappresentato come il fiore allocchiello. I precedenti medici, avvisati del salto di qualit fatto, si mettevano in contatto con mia moglie in modo confidenziale, con varie motivazioni, per carpirle il segreto delle cure del grande clinico. Dodici elettroshock in tre settimane. Si, avete capito bene, fatti con una macchina simile a quelle viste nei documentari sulle torture naziste, fatti in serie, come nei campi di concentramento. I neofiti, come mia moglie, erano istruiti ed accompagnati da pazienti gi esperti che ne magnificavano i risultati, purtroppo con effetti non duraturi nel tempo, motivo della loro seconda serie. Ricordo ancora oggi con rabbia che riaccompagnandola a casa ero soddisfatto per quelle cure, molto costose, ma di grande risultato. Il professore stesso con un sorrisino di falsa modestia mi aveva chiesto: Come la trova?, ed io impacciato avevo risposto: Certamente meglio di quando venuta. Stavo riportando a casa uno zombi, che per oltre cinque anni non sarebbe pi stata capace di leggere un libro, che ha perso memoria dei principali avvenimenti della sua

vita a macchia di leopardo, che per alcuni mesi rimasta in atonia seduta su una sedia a fumare e guardare senza vedere fuori della finestra, dando segni di serenit solo mangiando. Questo dottor Mengele dei nostri tempi appare almeno un paio di volte a settimana in televisione, e viene presentato come colui che ha debellato la depressione. La ultima volta che lo ho sentito parlare in TV spiegava che i progressi fatti in questo settore aprono una nuova era, un nuovo rinascimento, che purtroppo i mezzi per affrontare nuovi studi sono ingentissimi e ci blocca la possibilit di intervento su vasta scala. Io lo considero un caso pietoso, pur se ricco a miliardi, ma per alcuni anni, se lo avessi visto in macchina attraversare fuori delle strisce pedonali, lo avrei investito senza il minimo rimorso. Aveva fatto al suo paziente ci che dovrebbe essere proibito dai tribunali internazionali, le aveva tolto la speranza, non in mala fede, bens facendole quello che avrebbe fatto a se stesso ed ai suoi cari senza il minimo ripensamento, cancellando di prepotenza la memoria di un essere umano, e con essa la possibilit di reagire e sentire emozioni, secondo la propria esperienza unica ed irripetibile. Per noi la speranza era lunico filo che ci portava fuori dal percorso di angosce in cui stavamo camminando senza direzione, colla fredda tenacia degli ubriachi. Ancora oggi non abbiamo cognizione di tutti i danni provocati da quell intervento, ma sappiamo che sono stati provocati casualmente, senza altre certezze, che non quella di far danni. Non possibile, prima dellintervento, conoscere le reazioni ed i risultati. Per fare ci lillustre ricercatore si creata intorno una impalcatura scenica da grande scienziato, a volte parlando con lo sguardo perso nel vuoto, come preso da una visione, con atteggiamenti pi da guaritore o da sciamano che da professore universitario. Di lui ho gi parlato anche troppo, ma si guadagnato la sua vignetta per personalit, carisma, importanza e per la frequenza di apparizione attraverso i media ed una abile gestione della propria immagine tramite libri e pubblicazioni: certamente il peggiore essere incontrato in questi anni di assurdo e penoso girovagare nei gironi delle cliniche psichiatriche. Le cure in questa clinica sono care, Lei se le pu permettere? Io non posso permettermi di continuare ad avere mia moglie in queste condizioni. Il primo impulso ad andarmene sicuramente veniva da un istinto di autoconservazione, ma non ebbi la forza di prendere una decisione che avrebbe in quel momento oscurato tutto il cielo di mia moglie. Platone aveva detto:Lerrore dei medici e considerare il corpo separato dallanima. Qesto il livello a cui questi dottori oggi, rifiutando laiuto della psicanalisi e usando a proprio servizio bande di psicologi, hanno portato la psichiatria, malgrado la ricchezza mossa dal settore, di cui beneficiano ampiamente, sia impressionante. Non comprate questi servizi, questi pareri medici e tutti questi farmaci, curatevi in casa, sbattetevi luovo, come faceva la nonna, riceverete meno danni, ma se volete avvicinarvi alla scienza medica attuale, andate preparati, fate dei corsi intensivi, non andate alla cieca, non prendetela alla leggera. I periodi di crisi non sono eterni e quando ci si allontana dagli eventi il ricordo ne smussa gli spigoli, la disperazione ha lasciato spazi alla tenacia ed alla intensit della speranza delle persone che soffrono, al loro naturale istinto di conservazione, ma il ricordo di questo episodio ha mantenuto tutti i suoi contorni negativi. La speranza tornata ma continuiamo a diffidare dei medici ed a credere nella medicina.

Se una nuova psichiatria cercher di entrare nel merito delle cause fisiologiche, psichiche e sociali che provocano certi disagi, terr ben presente che i farmaci non sono una cura, ma un sistema di mitigazione degli effetti, per dare il tempo al medico di conoscere chi realmente sia il paziente e provare a capire quali segnali gli stia sottendendo la sua persona, solo allora inizier un lungo percorso di amore che potr trasformare le lacrime in un commovente sorriso. In questi anni non ho trovato nulla che andasse nella stessa direzione. Oggi ho memoria di molti avvenimenti che hanno segnato tanti anni di vita in comune, e dei passaggi, a volte drammatici, cui questa infermit ci ha obbligati, ma nessuno di essi significativo in assoluto, tutti fanno parte di un mosaico, o meglio, di un quadro divisionista, non di un fotogramma, che oggi vedo attraverso una nebbia, scolorato, senza tratti precisi e toni forti, malgrado la marcatura delle singole pennellate sia netta e luminosa, come tracciata in punta di lama. La scienza di oggi, come se ve ne fosse stato bisogno, sta dimostrando che la memoria altera i fatti del passato, non rinnova comunque la pesantezza e la profondit di una rabbia o di un dolore dopo anni, addirittura cambia nel ricordo gli stessi eventi. Se penso pertanto senza sforzarmi alla nostra relazione passata non ricordo momenti tremendi, oramai rimossi e criptati, ma solo la nostra mancanza di difese di fronte ad un mondo di dolore cui andavamo incontro con incoscienza e spensieratezza. Pensando con pi intensit mi accorgo che la mia vita matrimoniale, a parte una breve parentesi iniziale, si incamminata attraverso un percorso non voluto da noi, solo imposto dalla depressione, la quale, ancora oggi, il nostro maggiore scenario. Non significa che senza questa malattia oggi saremmo estranei, ma che quando questo disturbo prende una persona, avviluppa e cambia in modo inprevedibile e devastante anche le menti e quindi la vita di tutte le persone vicine, in un gradiente di coinvolgimento che ha una sua dinamica nel tempo. Tutto avvenuto contro la volont di ciascuno, ed ognuno di noi ha nei confronti degllaltro, oggi, un rapporto diverso e meno insofferente, perch ha compiuto una pulizia da tante inutili ridondanze e si concentrato sullo stretto necessario, come fossimo stati in guerra, in prima linea, esposti ad ogni rischio. Mentre eravamo in trincea lo scenario esterno di ricchezza sfrenata e falsa gioia ci rendeva ancora pi tristi e meschini, certo non partecipi. Il mio progetto pi importante stava fracassando ed io non ne ero protagonista. Oggi solo capisco quanto, per tanti anni, mi sia spiaciuto non essere protagonista in questa vicenda, non nel dolore, ma nella guarigione, nellintima convinzione che seguendo i miei consigli o le cure da me indicate mia moglie sarebbe uscita dal suo inferno. Non capitato solo a me, ma a tutti quelli che in tanti anni si siano avvicinati a lei per aiutarla, tentando di passarle i propri principi di vita con pi o meno affetto, protervia, energia, intelligenza, metodo, amore o professionalit medica, quasi lei non avesse anima o propria visione di se e del mondo. Ognuno tenta di farla diventare qualcosaltro, come se tutti avessimo gi trovato la felicit. Questo comune a tutti quelli che restano coinvolti dalla intuizione della profondit del dolore delle persone care o delle persone in cura. Ho letto, negli anni, libri, manuali, articoli di riviste pubblicati su Internet ed ho trovato questa spinta comune in tutti quelli che sono vicini a persone depresse, quasi si potesse fare una trasfusione di idee che dia un senso allesistenza, quasi esistesse un unica scialuppa per uscire da questo naufragio, la propria.

Ma la nostra scialuppa a terra con noi, non siamo coinvolti, assistiamo dalla sponda impotenti e distanti dal dolore, a volte offriamo un aiuto da lontano, pi per rassicurarci sulla stabilit della nostra posizione che per certezza di risultati, purtroppo questo non aiuta il naufrago, anche se ci chiarisce con noi stessi. In tanti anni il mio rapporto cambiato in modo impressionante, dal sentimento di rabbia iniziale per ricevere insufficienti attenzioni al sospetto che tali attenzioni fossero per altri, dallo sgomento derivato dalla certezza che il disturbo non fosse passeggero ad una insoddisfazione per il prossimo medico, dalla protervia nellimporre le mie regole di vita ad una indifferenza a qualsiasi comportamento, ma lunico elemento comune di tutto questo modo di sentire ero sempre io, come volessi chiamarmi fuori dellimpegno. Le ricadute, pi profonde e frequenti, non permettevano altre pause che non il ricovero, e questo ci permetteva per brevi momenti di non pensare ai rimedi, pur consci che il ricovero e la cura erano palliativi, che il male veniva da pi lontano. Quando dici che sei triste, cosa senti? Dolore Dolore dove? Dentro Dentro dove? Non lo so Questo era il massimo che riuscivo a catturarle, solo nei giorni di perfetta sintonia. Cosa pensi delluniverso? Mi fa paura, non parlarmene che mi mette angoscia. E della vita? Non viviamo la vita che vorremmo, nasciamo e muoriamo, la paura della morte quello che c in mezzo, la morte cos atroce che tutto ci che facciamo in vita deve servire a farla dimenticare, abbiamo sempre terrore e ce ne scordiamo raramente. Non sono soddisfatta della mia vita. Che vita vorresti? Se lo sapessi, poi. Ogni volta che mi avvicino cercando di capire trovo un mondo differente dal mio che mi attrae e mi atterrisce, come un bambino di tre anni che ha necessit di aumentare la sua soglia di paura con favole pi spaventose, ma subito si ritrae e scappa. Cos scappavo a volte, quando la mia capacit ad accettare il dolore o langoscia era insufficiente, sparivo qualche mese, a giocare col mio meccano, e questo ci dava aggi per nuove cure e cliniche. Quando tornavo si faceva finta di niente, come se niente fosse successo, si provava a riprendere una vita che non avevamo mai vissuto, cercando di farci, stavolta, meno male dellaltra, come a proteggere coi nostri comportamenti il sonno di un dio maligno dormiente. Ogni volta, silenziosamente, ci capivamo di pi, ma una vita nostra non la abbiamo mai vissuta, la depressione ci ha dato momenti comuni, ma abbiamo vissuto soli. Oggi tra noi c affetto, ma viviamo in solitudine. Il Carnevale segnava la fine di una pestilenza, ogni famiglia che festeggiava aveva subito qualche lutto in famiglia, il ricordo della morte impregnava la festa, per

dimenticarsi di ci occorreva aumentarne la carnalit e viverla ebbri, la maschera permetteva lanonimit del gesto trasgressivo. Il Carnevale la vera metafora di tutta la vita. Certi periodi furono tremendi, durante le crisi prima tentava di stordirsi bevendo, poi si provocava dei tagli, molto spesso sulla faccia, o si tagliava i polsi o le braccia. Ho letto un parallelo coi bambini neonati, che quando arrivano al pianto pi disperato, con le manine, si graffiano la faccia; ho pensato allora che il suo dolore arrivava da tanto lontano che saper da dove non la avrebbe aiutata a superarlo. Indagando ho saputo che sua madre per varie vicissitudini, quando lei era in fasce, ha perduto il latte e per alcuni giorni, durante i quali ha pianto in continuazione, non la ha alimentata. Mi sono chiesto, allora, se il dolore che prova un lattante affamato a staccarsi dal seno materno sia localizzabile in un punto del corpo o sia una lacerazione dellanima, ed ho creduto di avere trovato lorigine tanto lontana e tanto incurabile di quel suo dolore non localizzabile. Non sar sufficiente far riaffiorare dalla rimozione qualche trauma di et puerile per risolvere i suoi problemi, come potrebbe fare un buon analista in cinque anni. Non sar sufficiente qualche pillolina ogni tanto, somministrata da una balia di clinica psichiatrica, per farle amare il prossimo e la vita, quando nel primo e pi tenero degli approcci stata cos angosciosamente annientata da desiderare il non essere come unica soluzione al suo dolore, quando a gettarla nellabisso di disperazione e di sfiducia era stata la persona pi amata durante il rito pi affettuoso ed usuale oltrech per lei istintivo. L illustre clinico miope potr cancellarle tanta memoria da darle la stessa gioia di vivere di una cozza, ma nessuno avr provato ad allegerirle il peso dellanima. Vederla in questa nuova luce di infante sofferente mi ha permesso di cambiare atteggiamento di fronte a tutte le miserie ed amarezze cui questa malattia ci sottopone e ci ha permesso di creare nuove regole di comportamento, anche nei peggiori momenti. Anzich scoppiare, ridiamo; basta iniziare un sorriso ebete ed ingenuo e subito esce ad entrambi, con spinta, una risata incosciente, liberatoria e sempre infantilmente pura, nata da sguardi e da intuizioni fantastiche che solo noi capiamo e mandano in bestia tutti quelli che non possono vederne il senso. Il senso infatti non esiste se non per necessit statistica e per la voglia di regredire e fare una birichinata, massacrati dalla situazione troppo drammatica. Questo oggi il nostro rapporto, quello di due bambini incoscienti che spesso stanno bene insieme, che hanno fantasia ed estro, uno pi positivo, laltro spesso negativo e riottoso, a volte balordo. Se stato faticoso ma possibile arrivare qui entrambi sappiamo che non ritorneremo mai ad un rapporto familiare, comunque ognuno di noi oggi lo immagini. Questo ci rende una delle poche coppie inseparabili del nostro intorno, e tra noi, inoltre, esiste un tacito accordo imprescindibile: ci accettiamo come siamo, senza tentare oltre di cambiarci o di farci altre violenze lun laltro. Non avevo la cetra di Orfeo, n la sua creativit poetica per trascinarla fuori dal suo buco infernale, n la capacit di trasformare in suoni ascoltabili le mie emozioni. Oggi, dopo tanti anni dallinizio di questo capitolo, mia moglie ha deciso di uscire dalla pace della smemoria, ha deciso di vivere almeno qualche minuto in una prospettiva

nuova, pi ampia e luminosa, ed io sapendo di non poterle indicare nessuna direzione, gi ho deciso di andare zitto, tra gli uomini che non si voltano, con il mio segreto. Chiss un giorno, chiamandola al telefono da lontano potr capitare: Per te, uno che dice essere tuo marito. Chi? Oggi so che se nessuno le imporr il percorso, uscir sola, in assoluto silenzio e non avr pi paura di essere inadeguata, o solo di essere... Nel nostro immaginario primordiale questi avvenimenti li conosciamo da tanto che li abbiamo scordati e rivissuti per nuovi, in un tempo lunghissimo, passato senza lasciare memoria di dolore o desiderio di rivincita, puro affetto. Tutto questo ha cancellato anche quei momenti che oggi vorremmo ricordare ed in cui ancora vorremmo reincontrarci. Di una vita passata insieme vorrei ricordare la attenzione con cui mi curavo prima di uscire, la gioia che mi dava usarle delle attenzioni, farle dei regali, spiegarle il mio modo di vedere il mondo, gli spettacoli, sentir la musica, commuovermi alla lettura dei libri, consigliarle letture pi mature, farmi conoscere, e contemporaneamente ritrovarmi quasi ridicolo in atteggiamenti ed opinioni che non conoscevo di me stesso. Mi ricordo i primi viaggi insieme, Venezia, Saint Tropez, Parigi. Mi ricordo di quando arriv a Milano per pochi giorni e di come dopo la prima settimana, senza essercelo detto, tutti e due sapevamo che ci serviva una casa pi grande e comoda. La gioia di arredare una soffitta da cui si vedeva la guglia del Duomo, la sensazione di avere una casa, la scelta di una scuola darte per lei, le sere passate a parlare di noi, le visite alle boutiques del centro, e come veniva afferrata da uno stupore infantile o da una gioia irrefrenabile di fronte ad un regalo, ad una sorpresa, ad uno spettacolo mai visto o immaginato, il balletto di Nureiev, un concerto di musica Rock, una vetrina nuova di Fiorucci, una cena in un ristorantino in Brera. Io a volte mi mettevo in disparte a guardarla, come se ancora dovessi scoprire tanto di lei, della sua bellezza, ed era vero. Nel giro di pochi mesi la societ per cui lavoravo si mosse da Milano ed allora decidemmo di spostarci definitivamente, ancora oggi rimpiango la poesia che ad un giovane amore pu dare lo scenario di una grande citt. Il cambio di casa e di citt ci immerse in una vita familiare con pi doveri e meno diversivi, ed in breve la routine dei rapporti fu cambiata da un altra esperienza: esaltante per me, terrorizzante per lei, aspettavamo un figlio. buffo dirlo, ma la esperienza di avere un figlio non ci ha maturati, anzi, ha esaltato i nostri lati pi infantili, ha messo in risalto molte nostre insicurezze, ci ha arroccati su abitudini irrinunciabili, come se avessimo paura di perdere la nostra identit, di concederci troppo, come se avessimo dovuto difendere una vita intima da chiss quale intruso. Di questo periodo ricordo con tenerezza che quasi non guardavamo la tele, ci coricavamo presto e parlavamo a lungo di un futuro con figlio, lei per farsi passare la paura del parto, io per mostrarmi protettivo e responsabile. Oggi so che eravamo due bimbi massacrati dal senso di responsabilit che si facevano coraggio a vicenda, certi della propria inadeguatezza di fronte a cosa avremmo voluto

aiutare a diventare la vera ricchezza della nostra vita, decisi a non perpetrare gli errori dei nostri genitori su di noi. Questa voglia di cambiare regole del gioco, questa ricerca della perfezione, questa coscienza/incoscienza della nostra inadeguatezza ci permise di sbagliare molto di pi di quanto avremmo sbagliato casualmente, per questo credo che se dovessi rivivere una nuova vita mi comporterei con mia figlia in modo assolutamente naturale e non studiato, almeno domani apprezzer la istintiva buona fede. La depressione era gi entrata in famiglia, ma il periodo di gestazione ne blocc il progressivo ingresso e vivemmo lultimo periodo di relativa tranquillit. Tutto questo dur tre anni, che oggi sono lontani secoli e di cui purtroppo ricordo poco, ma che ancora mi danno la certezza di avere avuto con lei anche giorni felici.

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