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RICCARDO BECHERI

IL RE NUDO UMBERTO ECO

INDICE

1- PERCHE HO LETTO ECO. Pag. 3 2- IL PENDOLO DI FOUCAULT. 5 3- PERCHE HO SCRITTO QUESTO SAGGIO. 7 4- STRUTTURA E STILE DEL SAGGIO SULLESSERE DI UMBERTO ECO. 9 5- IL DOVERE PROFESSIONALE. 14 6- I LIMITI DELLESSERE. 17 7- I RISPETTOSI CONFRONTI POLEMICI 21 8- LA NOTA 14. 27 9- GIUDIZI E PREGIUDIZI. 31

1- PERCHE HO LETTO ECO. Il saggio di Umberto Eco Sullessere una stronzata accademica. E qui devo spiegare perch e come lho letto. In genere cerco di evitare di leggere scritti di Umberto Eco, ma la mia figlia maggiore Barbara socia di Euroclub, una societ editoriale che ristampa libri di successo. Le era venuta lidea di ordinare Kant e lornitorinco di Eco e aveva cominciato a leggerlo. Ne era stata respinta in malo modo. Alla prima occasione, un paio di mesi fa, mi ha passato il libro dicendomi: Tienilo tu. Io non riesco nemmeno a leggerlo. Col volume in mano e stuzzicato dalla curiosit di vedere cosa avesse tanto mortificato lo spirito di mia figlia, non ho potuto far altro che aprirlo e dare unocchiata allindice. Confesso una qualche sorpresa vedendo che conteneva saggi filosofici. Dalla popolarit del libro ritenevo che si trattasse di un romanzo tipo Il nome della rosa. Evidentemente sottovalutavo le possibilit del successo, se uno scrittore di successo riesce persino a vendere libri di filosofia. Comunque la mia curiosit si era accesa. E a casa mia, a comodo, ho letto lintroduzione, il saggio Sullessere e la seconda appendice su Croce, lIntuizione e il Guazzabuglio; in pi ho scorso qualche capoverso qua e l. Fra me e me ho trinciato un giudizio: Kant e lornitorinco era la solita pappardella accademica farcita allinverosimile per impressionare i lettori. Non ci ho pensato pi e ho messo via il volume. Dopo due o tre settimane, per caso, sul banco di un supermercato vedo laltro libro di Umberto Eco Il pendolo di Foucault. Era in edizione economica, perdipi scontato del venti per cento; e con la bellezza di quattordicimila lire lho fatto mio. Mi spingeva la curiosit di vedere se anche questo era una raccolta di saggi o un romanzo. Era un romanzo, anche se misterico-filosofico. Ho letto i due capitoli iniziali e quasi per intero i due capitoli finali. E lho messo via: ho gi detto che cerco di evitare di leggere scritti di Umberto Eco. E dopo dir perch.

Infine, e ci avviciniamo al dunque, una quindicina di giorni fa mi capitato di leggere sul Venerd di Repubblica un articolo di Giorgio Bocca dal titolo Computer, utile e pericoloso. Vi si accenna di malanimo a qualche utilit trascurabile del computer, ma soprattutto se ne denunciano con veemenza i pericoli sostanziali. Lo scrittore di professione, dice Bocca, accatasta nel computer qualcosa tutti i giorni, magari insieme al riso anche la polvere e qualche bacheronzolo; e poi inevitabilmente pensa che sarebbe uno spreco non usarlo tutto. Sicch ne nasce una letteratura a incastri dove abbonda la mala pianta delle citazioni. Pi gi Bocca aggiunge che ha amici molto noti che hanno scritto libri fortunati; amici che si offenderebbero se gli dicesse che si capisce che li hanno scritti al computer dalla loro confezione a polpettone dove al limite glingredienti possono essere anche buoni ma sono troppi. Bocca non fa nomi, ma a me venuto subito in mente Umberto Eco, grande profeta dellinformatica. E questo mi ha spinto a ripescare i suoi libri fra i miei scaffali.

2- IL PENDOLO DI FOUCAULT. Confesser un altro peccato: a me i libroni provocano una specie di vomito da indigestione e col tempo ho imparato a guardarmene. E un peccato, non un vanto. Il pendolo di Foucault un librone di 680 pagine diviso in ben 120 capitoli ciascuno dei quali ha premessa una bella citazione, pi altre due in testa al volume. Alcune citazioni sono in latino, spagnolo, francese, al primo capitolo addirittura in ebraico; e non sono tradotte. Altre citazioni dalle stesse lingue sono riportate direttamente in italiano e non si capisce perch. Tutte le citazioni sono assai peregrine e sembra che ripetano per 122 volte al lettore: Bccati anche questo, ciuco ignorante! Un paio di citazioni che ho controllato corrispondono agli originali. Le altre non so. Mi auguro anzi che molte siano inventate e che nelle 680 pagine si spieghi il perch di tante citazioni, vere o false che siano. Di pi, vorrei sperare che lironia, che ogni tanto affiora in Eco, sia il vero sostegno dei misteri di questo romanzo: una gigantesca risata beffarda che riscatti la mala pianta delle citazioni erudite e spinga questo verboso malloppo verso il Don Chisciotte. Parrebbe assistermi in questa speranza la prima citazione in testa al volume, dove si dice che lopera stata scritta solo per i figli della dottrina e della sapienza e che ci che occultato in pi luoghi viene manifestato in altri, affinch la saggezza dei lettori possa comprendere lintenzione del libro. Chiss se esiste davvero lautore di queste parole, un certo von Nettesheim che di nome fa anche Cornelio Agrippa? Conforta la mia speranza di unironia beffarda anche la citazione numero sette di un polacco di nome Lec: Non aspettatevi troppo dalla fine del mondo. Mi piace, corta, la citer anchio. Purtroppo la speranza mi muore quasi al ricordo dei capitoli gi letti e di qualche mezza pagina scorsa. Dovrei leggere tutto il libro, passo passo sino alla fine, per vedere se la fiammella della speranza resiste. Ma incombono le 680 pagine e le 122 citazioni. E se poi vomito? Allora mi dico che di sicuro fra i tanti compratori del libro ci saranno anche tanti che lhanno letto per intero . Aspetter con calma che qualcuno mi spieghi se almeno le

citazioni nel Pendolo di Foucault abbiano un senso. Allora potr forse decidermi a leggerlo. O forse lo lascer sepolto per sempre dove accatasto il ciarpame letterario italiano. Unultima annotazione a proposito di lettori per intero: siamo sicuri che se questo romanzo fosse arrivato per posta ordinaria a qualsivoglia casa editrice, sotto il nome di Gian Mario degli Abruzzi , sarebbe stato pubblicato?

3- PERCHE HO SCRITTO QUESTO SAGGIO. Sempre spinto dal Bocca, dopo aver ponderato Il pendolo di Foucault come ho detto, ho ripreso in mano Kant e lornitorinco, pi che altro per divertirmi. E tutti i miei ricordi sulla letteratura a incastri, sulla mala pianta delle citazioni, sul polpettone informatico, sono stati confermati dalla seconda lettura dei passi che pi o meno avevo gi letto. Qui per sorta anche la domanda fatale: ma possibile che solo io veda linconsistenza di queste argomentazioni? Non sar invece la mia pigrizia e il mio pregiudizio a non farmi cogliere il vero e il bello dei suoi saggi? Non sar mosso dal peccato per eccellenza, linvidia? E allora ho preso a campione il saggio Sullessere e lho riletto e annotato e riassunto e sminuzzato e riletto ancora pi volte, come se fosse la quintessenza non tanto del pensiero e della scrittura di Umberto Eco, ma delleterna lotta fra il bene e il male, o se preferite delleterna batracomiomachia, la mitica guerra fra le rane e i topi. Alla fine mi sono trovato con un fascio di appunti. Li avrei potuti bruciare, ma ormai la fatica lavevo fatta. Potevo scrivere una nota ipocritamente elogiativa per il gran nome con qualche riserva nel merito, ma avrei dovuto essere un cacciatore di cattedre. O potevo scrivere pari pari le mie riflessioni. Ma perch farlo? Certo, per vendicare mia figlia. E gi questo un buon motivo. Mettiamoci pure per dare soddisfazione alla mia vena di meschina maldicenza. E gi questo per me potrebbe bastare. Ma per gli altri? Cio, se mai un lettore estraneo dovesse capitare su queste pagine, perch le dovrebbe leggere? Ebbene, questo mio sfogo vuole soltanto auspicare un modo onesto di scrivere filosofia. Quando proprio vogliamo scrivere saggi filosofici, si deve dire la nostra senza tanti fronzoli. Certo che occorre leggere e studiare, confrontarsi con gli altri filosofi e riprendere i problemi dal punto in cui li hanno lasciati coloro che ci hanno preceduti. Ma questo non significher mai lo scambio del mezzo per lo scopo, il rimanere a questionare con gli altri senza mai affrontare direttamente il problema. E mai e poi mai sar ammissibile lammantare di paroloni e oscurit il proprio vuoto,

rimasticando per la centesima volta con unaltra terminologia il gi detto. Con ci non metto in discussione, anzi rivendico la seriet scientifica delle storie della filosofia, delle monografie su un singolo autore, delle bibliografie, delle recensioni e delle memorie accademiche. Ed anche, dei termini tecnici imprescindibili. Ma se per seriet scientifica si vuol far passare la sicumera professorale, ancorch ilare, e ladozione dun proprio formulario iniziatico per autorizzare a parlare solo i cooptati nel circolo, ebbene ci quanto di pi contrario esista rispetto alla filosofia. Questi circoli con i loro gerghi hanno il medesimo scopo delle corporazioni medievali, quello di proteggere i soci; e in questo caso, quello di conferire loro una presunzione di scienza. Questa presunzione non esiste per nessuno.

4- STRUTTURA E STILE SULLESSERE DI UMBERTO ECO.

DEL

SAGGIO

Esamino intanto la struttura e lo stile del saggio. Si compone di 42 pagine a stampa pi due di note. Il testo diviso in una premessa di tre pagine e in dodici paragrafi. Vi sono citati per un totale di 155 evocazioni 55 nomi differenti ( Aristotele 23 volte, seguito da Heidegger con 19, Eco stesso con 6, fino alla sola volta di Sapir-Whorf che ho contato per uno); le citazioni fra virgolette sono 65, le parentesi oltre 230 e le note 14. Vi sono infine, comprese le ripetizioni, oltre 400 parole straniere, alcune greche in caratteri latini. Tutto questo in 44 pagine. Incastri? Mala pianta? Polpettone? Lasciamo perdere linformatica e lepifania silicea del computer come la chiama Eco. In fondo indifferente lo strumento con cui si scrive: un nulla inciso sulla pietra rimane un nulla. Facciamo piuttosto qualche altro piccolissimo rilievo. La nota 11 non ha il rinvio nel testo, ma presumo che debba stare alla fine del quarto paragrafo, sparita per uno scambio da esponente a un maiuscolo 1.1. Hjelmslev viene citato a pagina 4 senza la prima elle. Sotto la voce refusi e non fra glinganni bibliografici metterei la Theologia Mistica per De theologia mystica. Un altro refuso a pagina 37 dove una a diventata e. Forse ci sono altri refusi, ma non li ho scoperti. Altre minuzie? La pagina 32 e la nota 14 ci presentano designamo e disegnamo con la i a gniamo. Vi sono due quale a pagina 1 e a pagina 35. Opinioni differenti sullortografia? Anche ammesso, si tratta sempre della scelta peggiore. Per glinganni dei rinvii bibliografici, segnaliamo: Heidegger 1923; Heidegger 1973:1969; Gilson 1984 e Gilson 1948; Vattimo 1984; e chiaramente anche Eco 3.4.7 che non esiste ed 3.4.6. Per la meritata fustigazione deglignoranti adopriamo i termini: filogeneticamente, ontogeneticamente, somatopatico, infundibolare, borborigma, rizomatico, figmento, apofatica e altri gergali. Per confondere le acque possono anche servire i troppi: non che , che cos se non, altro non , non si

pu se non, il problema non bens, non si potr che, non tanto quanto, non si direbbe che non , eccetera eccetera. Per lesattezza terminologica riscontriamo, restando ai termini principali: linsopprimibile evidenza dellessere, linsopprimibile evidenza dellesistenza degli individui, linsopprimibile evidenza dellindividuale esistente; e poi, lessere anche prima che se ne parli, lessere solo effetto di linguaggio, il nulla e la negazione sono puro effetto di linguaggio. Per impressionare i deboli possono servire le maiuscole: Mondo, Universo, Mente, Poeti, Filosofi, Fondamento, Uno, Sostanza, Evento, Svolta, Frattale, Demiurgo, Filosofia Prima, Teologia, Negativit, Limite, No e altri. Per civetteria essere maiuscolo solo due volte e una in maniera dichiarata. Per il contorsionismo sintattico basterebbe indicare lintero testo, ma ci sono dei campioni che meritano una medaglia: rimandiamo perci alla pagina 2 col periodo che comincia con Tuttavia, alla pagina 3 Non solo o non tanto, alla pagina 5 Si ha indicalit , sempre alla pagina 5 Nel pi elementare, alla pagina 11 dove in un solo periodo si sviscera la questione centrale della Metafisica aristotelica; per brevit saltiamo al periodo di pagina 40 che inizia con Ma Habermas. Basta sullo stile di Eco? No, qualcosa sulle parentesi e sulle citazioni devo pur dirlo. Tutti, me compreso, usiamo talvolta le parentesi al posto delle virgole, ma un errore. Perch togliamo forza al loro uso proprio: quando linterruzione brusca aldil del consentito alle virgole e quando, soprattutto, non eliminabile. Lo sa bene Eco, non qui, ma in Come si fa una tesi di laurea, dove dice che in prima stesura potete scrivere qualunque cosa vi passi per la testa, ma poi vi accorgerete di esservi allontanati dal centro dellargomento: Allora toglierete le parti parentetiche. Il punto questo: nella stesura del saggio Sullessere non c stata una seconda volta, come testimoniano le 230 e passa parentesi. Prendete il quarto capoverso allinizio, il gi citato che comincia con Tuttavia. E composto di un solo periodo lungo nove righe e con tre

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parentesi. Vi sono dodici verbi coniugati con i seguenti soggetti: si impersonale, essere, che, noi sottinteso, gatto, noi sottinteso, essere in buona salute, si, si, si, equazione, ex-istere. A una seconda stesura questo orribile capoverso sarebbe sparito perch tutto fuori dal centro del discorso, o al massimo sarebbe stato raccolto in un semplice: talvolta usiamo il verbo essere come sinonimo di esistere la cui etimologia significa uscire da, manifestarsi e quindi venire allessere. Come sa benissimo chiunque scriva anche solo un annuncio mortuario molto pi difficile essere concisi che prolissi. Spesso ci vuole unintera giornata di lavoro soltanto per abolire una parentesi. Per la fatica sar ampiamente ricompensata, non dalla concisione per se stessa, ma dalla purificazione del pensiero che, allinizio confuso, ora fa tuttuno con lo stile. Qui per non c stata una seconda volta, non c stata nessuna fatica, n semplice rilettura. Balzano agli occhi solo una grande fretta e una sciatteria inammissibile. Certo che Eco altrove, e se vuole, pu scrivere bene, ma qui non lo ha fatto. E pubblicando uno scartafaccio senza ripulirlo ha offeso i lettori. E io sono un lettore. E veniamo ora alle citazioni. Se uno scrive su un altro autore, come faccio io qui con Eco, lo deve citare di continuo. Ed giusto. Se uno non pu fare a meno di riportare un brano di altri, lo deve citare per pagare un debito. Ed bene. Ma si dovrebbe presumere che quando uno scrive su un argomento abbia qualcosa di personale da dire e voglia metterlo in bella evidenza, non nasconderlo dietro 155 nomi, 65 virgolette e buona parte delle 230 parentesi. La rabbia che queste cose Eco non solo le sa, ma le ha anche scritte e raccomandate agli studenti, sempre in Come si fa una tesi di laurea da cui ho rubato lespressione pagare un debito. Scrivendo cos, nella migliore ipotesi un autore d inizio a un processo allinfinito di rimandi, che non affatto la mai esauribile ricerca della verit, ma solo un eterno nascondersi a se stessi. Nella peggiore ipotesi, il lettore fa come mia figlia, butta via il libro. Ma allora, perch Eco lo ha fatto?

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Perch da sempre Eco affetto da logorrea irrefrenabile di tipo umoristico-erudito. Questo il suo stile e questo il vero suo pensiero che fa tuttuno col suo stile. Si guardi (pilucco nellordine del testo): la collera greimasiana, la philosophia pertracta di Wolff, lOggetto Dinamico di Peirce che ci spinge a produrre un representamen che a sua volta produce in una quasi-mente un OggettoImmediato, il garavagai di Quine, la poesia di Valry, il dibattito tra Anselmo e Gaunilone e quello tra Anselmo e Cioran, la situazione e lipotesi berkeleyana, lintero paragrafo quarto col duetto fra Aristotele e san Tommaso con lintermezzo di Parmenide e la chiusa fra Eco, Aristotele, Porfirio e ancora Eco, larchitettura tetragona di Spinoza, il Sein-Dasein- Seiende di Heidegger, il saggio di Elea a pi di una pagina di distanza da dove veniva chiamato col suo nome, il verso di Holderlin , la De theologia mystica e il De coelesti hierarchia dello pseudo-Dionigi, le quattro incapacit di Peirce, van Gogh come Dasein, lo spazio bruniano, Pollicino insieme a Odino e Pitagora, il fichtianamente costruito, lanything goes di Feyerabend, il camolato e tutto il resto di Vattimo, la reazione humeana di Nietzsche, la lettera di Rimbaud a Demeny, le affordances percettive di cui Eco parla nellinesistente 3.4.7, il mening di Hjelmslev, Habermas che nel cercare il nocciolo della critica di Peirce alla cosa in s kantiana sottolinea il problema peirceano, la virginis ruinam di san Tommaso, senza andare a cascare nelle note con limbarazzato Seneca. Che si tratti di logorrea, e di tipo erudito, mi pare evidente. E non dir altro. Che si tratti anche del tipo umoristico risalta dal tono generale del discorso, impostato subito nel primo periodo con le sue tre parentesi scherzose (s, s, li so i rimandi cosiddetti seri) e rinfrescato qua e l con battute che vanno da Pollicino, van Gogh e lepifania silicea gi rammentate alla nascita di Heidegger in Oklahoma, agli scienziati in seduta medianica, al taglio di bue dal muso alla coda, al Qualcosa che risponde con una scala reale al nostro tris dassi, alla radice quadrata che ha per padre un cammello e per madre una locomotiva, per non dire del Qualcosa-che-ciprende-a-calci il cui riscatto serio attendiamo dai tedeschi. Che poi i due tipi, erudito e umoristico, possano essere uniti dal trattino e diventare un nuovo tipo di logorrea,

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che potremmo anche chiamare accademica, emerge con chiarezza dai due esempi seguenti. Il primo viene nel testo dopo laltro ma non importa. E il cacciavite nellorecchio di Rorty. Cos tutta questa storia del dibattito fra professori che fanno una battuta, e uno la fa sparire dagli atti a stampa e laltro invece ce la mette? Ci manca effettivamente un Goldoni che sviluppi il canovaccio. Il secondo lo Sfero di Empedocle. Empedocle avrebbe potuto essere riconosciuto Budda come il suo quasi contemporaneo Siddharta, se solo la storia fosse giusta. Purtroppo le cose andarono diversamente ed Eco oggi, senza ricevere anatemi dai buddisti empedocliani, pu definire il ciclo cosmico di Empedocle come mobile, metamorfico, metempsicotico, compulsivamente riciclante, inveterato bricoleur Il punto non linveterato bricoleur con i puntini. Il punto : perch il nome di Empedocle non compare fra i famosi 55? Non vi compare Goethe dellattimo bello, n Dante a cui manc possa. E la gaja scienza, che sar anche di Leopardi, soprattutto di Nietzsche con retrosapori di Heidegger e Vattimo. Queste, e altre citazioni anonime e allusioni che di sicuro mi sono perso e che non ho la pazienza di ricercare, perch? S, s, son tutte cose risapute e non c bisogno di dirle fra di noi. Ecco, il fra di noi che mi d noia. Io vedo come un ammiccare fra professori, quasi un: Accettiamo scommesse su chi indovina. Citare Tizio, Caio e Sempronio, alludere a X, Y, e Z, presumere che tutti abbiano studiato non solo le opere precedenti dellautore ma anche la letteratura critica di contorno, sono cose che fanno soltanto i professori universitari di pessimo gusto. Ma Eco non sa il danno che provoca nei lettori, specialmente giovani, con quel suo modo di scrivere? Con la sua autocompiacenza e il suo esibizionismo? E il rifiuto e il rigetto irrecuperabili che provoca in chi si accosta ai suoi libri non dico verso la filosofia, che forse non pi altro che una materia accademica, ma verso lamore per la verit e per la ricerca della sapienza?

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5- IL DOVERE PROFESSIONALE. E veniamo al contenuto filosofico del saggio. Inizia dichiarando che parler dellessere nel suo senso pi vasto e impregiudicato e termina esortando ad andare incontro allessere con gaiezza per coglierne le aperture e gli accenni mai troppo espliciti. Linizio chiaro, anche se ci sono volute tre pagine per dire quello che sta in un rigo, e la conclusione positiva. Farebbe ben sperare se nella premessa non ci fosse detto, fra parentesi, che la riflessione filosofica non risolve le ambiguit nelluso del termine essere. Allora dobbiamo smettere subito di leggere? Nemmeno lultimo rigo: Il resto congettura aiuta granch. Non dubito che Eco teorizzi, da qualche altra parte, qualcosa su congettura e ipotesi e ne individui tre o quattro tipi differenti in modo da parlarne per un bel pezzo. Ma messo l secco, a mo depitaffio, quel rigo ha un suono vagamente minaccioso, come di abbandono eterno allinconoscibile. Per non scoraggiamoci subito. Il percorso fra quellinizio e quella fine oscilla dai confronti metafisici con Aristotele, Nietzsche, Heidegger e Vattimo alle indicazioni semiotiche di Peirce, Hjelmslev ed Eco stesso. La prima domanda da porsi : quanto c di Eco in questo saggio? Nellintroduzione allintero volume Kant e lornitorinco, lui stesso, spiegando il perch del saggio Sullessere, dichiara: Non si tratta di delirio di onnipotenza, bens di dovere professionale. Forse basterebbe questa ammissione per dimostrare il mio assunto. Ma innanzi tutto fuori del testo, e io mi sono preso il compito di fare il pignolo su un saggio preciso: l devo trovare le conferme. E poi gli autori generalmente, nelle introduzioni, prefazioni, post-fazioni, risvolti e risguardi, dovunque presentino i loro lavori, fanno mostra di umilt per suggerire il contrario. E questo il caso di Eco? No, lui sincero. Solo in un delirio di onnipotenza potrebbe credere di dire qualcosa di personale sullessere. Ed vero che tutto ci che sullessere fiocamente traspare di profondo dal saggio di Eco non di Eco , ma patrimonio

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dellumanit conquistato per noi dai veri filosofi che osarono il delirio di onnipotenza. Quello che di Eco il dovere professionale con tutte le sue regole e gelosie cattedratiche. Il primo paragrafo del suo saggio sembra quasi rivolto ai professori delle porte accanto, titolari delle cattedre di Filosofia Teoretica, o di Storia della Filosofia, o dovunque si nasconda e venga spezzettato lo studio dellessere nelle universit. Sembra che Eco dica a ciascuno di loro: Scusa, sai, se io professore di semiotica invado il tuo campo, ma sono autorizzato da Peirce e Hjelmslev. E a me lettore che importa? Se si parla dellessere parliamo dellessere, senza tanto preoccuparci su chi poi interrogher ai prossimi esami, ai quali comunque io lettore non mi presento. Eco, dopo questa rivendicazione di competenze, per dieci paragrafi tratta il suo argomento in termini pi o meno metafisici. Nel penultimo paragrafo torna sulla sua cattedra e traduce quanto ha detto dalla luce della metafisica alla luce della semiotica di Hjelmslev: lessere diventa il continuum del contenuto e le linee di resistenza diventano sensi vietati. Tutto qui. Diciamo allora brutalmente come stanno le cose: Eco ha finalmente scoperto la metafisica se non addirittura la filosofia. Si ritorni allintroduzione al volume e si rilegga la seconda ragione per cui non ha scritto un aggiornamento del suo Trattato di semiotica generale. Negli anni, dice, si era reso conto di due cose: primo, che nella seconda parte del suo Trattato presupponeva senza esplicitarlo che se parliamo perch Qualcosa ci spinge a farlo; e secondo, che dai limiti dellinterpretazione culturale e testuale era stato spinto a chiedersi se non esistano limiti pi profondi. Questo significa, come ho detto, che Eco ha scoperto la metafisica. Scoperta, chiaro, come problema suo, non come libri letti e studiati. In pi Eco avverte di non essere capace di architettare un capovolgimento sistematico della sua filosofia. Qui il mio cuore si aperto e lho riconosciuto fratello in questa valle dignoranza. Subito dopo, per, aggiunge che forse nessuno pu farlo da solo e comincia a parlare in semiotichese. Il mio cuore

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si richiuso. Stava parlando del suo testo universitario e non di una crisi sulla via di Damasco che, come ognun sa, prelude sempre a grandi opere. Per non ingannarmi avrei dovuto continuare a leggere la citazione di dianzi: Non si tratta di delirio di onnipotenza, bens di dovere professionale. Come si vedr, parlo dellEssere solo in quanto mi pare che quello che c ponga dei limiti alla nostra libert di parola. Finalmente siamo al nocciolo di ci che Eco ritiene suo nel saggio: le linee di resistenza dellessere e i sensi vietati del continuum.

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6- I LIMITI DELLESSERE. Visto che Eco parla dellessere solo perch gli pare che ponga dei limiti alla nostra libert di parola, ci si aspetterebbe che il problema dei limiti , delle linee di resistenza, dei sensi vietati fosse messo subito al centro dellattenzione. Invece no. Il primo accenno esplicito a un limite nel nono paragrafo, quando parlando di Nietzsche dice che egli avverte lesistenza di costrizioni naturali. Fino a quel momento ha parlato dellessere, degli enti, dellevidenza insopprimibile sia dellessere che dellesistenza degli individui, della polisemia e dellaporia dellessere aristotelico, delle soluzioni per sfuggire allaporia, del linguaggio poetico e di un modello di conoscenza del mondo; finalmente, quando lessere si sta dileguando con Vattimo, per bocca di Nietzsche appaiono le costrizioni naturali. Che parlare dellessere, fin da prima di Parmenide, comporti anche distinguerlo almeno dal nulla e dal divenire lo sappiamo tutti. Che parlare degli enti e degli individui significhi anche parlare dei confini che separano un ente da un altro ente e un individuo da un altro individuo pacifico. Che tutto ci, proprio perch notissimo, si dia per implicito in un saggio filosofico concesso. Non si capisce per, quando si voglia creare una nuova teoria della conoscenza, cercare cio qualcosa di resistente che ci spinge a inventare termini generali (la cui estensione possiamo sempre rivedere e correggere), per quale motivo Eco non parta da quei nobili e antichi precedenti, ma li lasci sottintesi per due terzi del saggio, parlando daltro. Poi, nelle ultime sei pagine, viene al suo argomento: Quello di cui parlo non la Legge delle leggi. Cerchiamo piuttosto dindividuare delle linee di resistenza, magari mobili, vaganti, che producono un ingripparsi del discorso, cos che pur nellassenza di ogni regola precedente sorga, nel discorso, il fantasma, il sospetto di un anacoluto, o il blocco di unafasia. Parlando cos, di che cavolo stiamo parlando? C bisogno duna logopedista? Ce lho in famiglia.

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Da una tale premessa circa lesigenza di un Limite dellessere che ci impedisca (Dio volesse!) di parlarne a caso, non si poteva che fare un salto stratosferico nella metafisica pi rarefatta, quella di Heidegger, e scoprire la fondamentale esperienza di un Limite che il linguaggio pu dire anticipatamente lesperienza della Morte quel limite che lessere-per-la-morte. Solo dopo aver fatto questa fondamentale esperienza, ci ammonisce Eco, scopriamo altri limiti, tipo quello che da un cane e un gatto non nasce nulla. Se questo non bastasse per una teoria del limite come base della conoscenza umana, ci possiamo rivolgere alla semiotica di Hjelmslev dove lessere diventa il continuum, anzi in danese mening che in italiano vuol dire senso, non solo nel senso di significato ma anche nel senso di direzione. E questo essere-continuum-mening-senso-significato-direzione pu non avere un senso, ma ha dei sensi; forse non dei sensi obbligati, ma certo dei sensi vietati. Ci sono delle cose che non si possono dire. E in conclusione: Il linguaggio non costruisce lessere ex novo: lo interroga, trovando sempre e in qualche modo qualcosa di gi dato Questo gi dato sono appunto le linee di resistenza. Cos questaffastellamento di parole, questo rincorrersi di banalit, astrattezze metafisiche e minuzie semiotiche? Cos questo partire da un punto, le linee di resistenza, fare un bel giro di metafore e tornare al solito punto? E lapporto di Eco alla teoria dellessere e dei suoi limiti. Facciamo pure unanalisi pi dettagliata e cominciamo intanto dalle premesse: c qualcosa; siamo gettati nellessere; lessere si dice in molti modi ; ogni enunciato su ci che , e su ci che potrebbe essere, implica una scelta, una prospettiva, unangolatura. Da queste premesse sorge la prima domanda: Significa questo che una vale laltra, che tutte sono egualmente buone, che ogni affermazione su ci che dice qualcosa di vero? A questa domanda ne seguono altre otto dello stesso tenore: cosa ci impedisce di credere che tutte le prospettive siano buone? Cosa ci impedisce di credere che lessere sia effetto del linguaggio del mito e della poesia, puro flatus vocis? Ci sono interpretazioni cattive? Quali garanzie ci

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autorizzano a tentare un nuovo paradigma? Qual il criterio che ci permette di distinguere tra sogno, invenzione poetica, trip da acido lisergico e affermazioni accettabili sulle cose del mondo fisico o storico che ci circonda? Quale regola nuova la Comunit deve preferire e quale altra condannare come follia? Esiste uno zoccolo duro dellessere tale che alcune cose che diciamo su di esso non debbano essere prese per buone? Esiste uno zoccolo duro dellessere tale che le cose dette dai poeti siano riferibili a un mondo possibile ma non al mondo dei fatti reali? Queste domande si snocciolano da pagina 31 allinizio di pagina 37, inframmezzate con le divagazioni su Nietzsche e Vattimo che riportano sempre a questi punti di domanda senza mai azzardare una risposta; ripeto: senza mai azzardare una risposta. Certo, per rispondere a queste domande si dovrebbe tirar fuori una ontologia e una gnoseologia, unetica e unestetica, una teoria della storia e una teoria delle scienze fisiche, una politica e persino un trattato sullacido lisergico. Non ci aspetteremmo tanto, ma qualcosina s. E una risposta di Eco appare, a pagina 37 poco sotto lultima domanda e subito dopo il blocco dellafasia: Se assumessimo che dellessere si pu dire tutto non avrebbe pi senso lavventura della sua interrogazione continua. Basterebbe parlarne a caso. Linterrogazione continua appare ragionevole e umana proprio perch si assume che ci sia un Limite. Questa non una risposta, ma una petizione di principio si sarebbe detto una volta. Assume come premessa la conclusione da dimostrare. Tutte quelle domande di prima chiedono proprio se vi sia qualcosa che ci salvi dalla perdita di senso e dal caso. E siccome, risponde Eco, non vogliamo perdere il senso e abbandonarci al caso, qualcosa ci sar e lo chiamiamo Limite. E appunto un pio desiderio che vorrebbe dimostrare se stesso. Tralascio, perch ne parlo dopo, i poeti, i mondi possibili e le regioni dellessere di cui non siamo in grado di parlare. Siamo dunque al punto in cui viene in soccorso Heidegger con lesperienza di quel limite che lessere per la morte con i trattini , e lesperienza spicciola dei cani che non

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figliano con i gatti. Vale a dire che sperimentiamo il Limite sia metafisicamente che in maniera semplice e immediata; inoltre stato dimostrato, con logica purtroppo fallace, che il Limite ci salva dal caso e dalla perdita di senso. Ora possiamo abbandonarci alla lirica. Riassumo Eco: affermare che ci siano le linee di resistenza non vuole ancora dire che ci siano leggi universali operative in natura, tuttavia ci spingono a inventare termini generali sempre rivedibili e correggibili; e la realt in ogni caso rifiuta interpretazioni false. Come? Dove? Quando? Chi? Perch? Sono domande oziose. Limportante volare infine nel cielo mistico: Lapparire di queste Resistenze la cosa pi vicina che si possa trovare allidea di Dio che si presenta come pura Negativit, puro Limite, puro No. Da una s grande altezza non si pu che cadere; e infatti tutto a un tratto ci viene detto che il nulla e la negazione sono puro effetto di linguaggio e che lessere si presenta sempre in positivo. E il puro No, il puro Limite, la pura Negativit? Niente; scherzavamo; giochi di parole: Correggiamo allora unaltra metafora, che ci apparsa cos comoda per ragioni retoriche, per mettere sotto gli occhi ci che si voleva suggerire. Lessere ci oppone dei no nello stesso modo in cui ce li oppone una tartaruga a cui chiedessimo di volare. Di conseguenza il limite perde la maiuscola e dallessere dove trionfava solo per metafora si ritira in noi con lumile minuscola: Ma il limite nel nostro desiderio, nel nostro tendere a una libert assoluta. Ed anche la Morte, maiuscola e metafisica, diventa un capriccio da ragazzini: La stessa morte appare come limite a noi, che capricciosamente vorremmo vivere ancora

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7- I RISPETTOSI CONFRONTI POLEMICI. Non basta. Torniamo allintroduzione al volume. Eco vi apre una parentesi (detto cos esplicitamente, poi in effetti ne apre sette) per chiarire la sua posizione rispetto alla proposta di pensiero debole il cui copyright apparteneva da tempo a Vattimo. Per aver partecipato nel 1984 a una raccolta di scritti sul pensiero debole , Eco veniva arruolato, nel doppio ambito dei mass media e di certa pamphletistica popolare, tra i debolisti tout court. Orbene, specialmente nel nostro saggio Eco ribadir anche attraverso alcuni rispettosi confronti polemici di essere stato allora casomai tra i debolisti deboli e non tra i debolisti forti perch C differenza tra dire che non possiamo capire tutto (una volta per tutte) e dire che lessere andato in vacanza (anche se ritengo che nessun debolista sia mai arrivato a tanto). Dio mio! Ma che mondo questo? Copyright? Debolisti di tre tipi? Mass media e pamphletistica popolare? Rispettosi confronti polemici? E per questo dovrei scomodare lessere, Parmenide, Aristotele e san Tommaso? Bastava scrivere due pagine dal titolo Alcune postille su certi detti di Vattimo a proposito di Nietzsche e Heidegger e pubblicarle in qualche oscura rivista universitaria. Comunque questi squarci dellintroduzione illuminano parte dellandamento del saggio Sullessere, oltrech delimitare bene in quale mondo si muova lautore. Si capisce cio per quale ragione si passi da una prima parte, la premessa e i primi cinque paragrafi, di stampo, diciamo cos, greco-latino-francese alla seconda parte di stampo germanico. Nella prima parte infatti c la scoperta della metafisica e la sua rivendicazione alla semiotica fin dal primo vagito filosofico. Nella seconda si consumano i famigerati confronti polemici non tanto con Vattimo, che stando allintroduzione non centrerebbe nulla e bisognerebbe prendersela con la pamphletistica, ma con la metafisica moderna che quasi esclusivamente tedesca. Tramite questi confronti con Heidegger, Nietzsche e Vattimo, Eco tenta di annettere alla sua semiotica alcuni temi di questi autori.

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Abbiamo gi visto luso che fa Eco dellessere-perla-morte di Heidegger per teorizzare i suoi limiti dellessere. Laltro tema di cui cerca di appropriarsi quello del linguaggio dei poeti nella sua relazione con la conoscenza dellessere. Esaminiamo come Eco tratta questultimo tema. Largomento viene introdotto appunto tramite Heidegger, con la sua divisione fra il linguaggio senescente della metafisica e il linguaggio forte dei poeti, dove si attuerebbe lautodisvelamento dellessere. Eco avverte subito che lidea antica e trova le sue origini nella mistica e nella teologia negativa. E giustamente salta agli albori dellepoca romantica, quando in verit cominci il processo di riduzione della conoscenza scientifica ad ambiti specialistici e nello stesso tempo il discorso poetico assurse sempre pi a strumento privilegiato di conoscenza. Qui finalmente Eco dice lunica frase bella ed asciutta del saggio, se levasse le maiuscole: Non sono i Poeti a vincere, sono i Filosofi ad arrendersi. Anche qui ci attenderemmo che affrontasse di petto largomento dellarte come conoscenza e che disboscasse la superfetazione dellestetica che c stata in questi ultimi duecento anni. La quale, da una parte, ha condotto la filosofia in strade senza uscita; e dallaltra, ha succhiato allarte la sua vitalit e lha ridotta a posa. Che fa invece? Come narcotizzato dal fatto di essere cattedratico di semiotica, si getta nelle braccia del suo amato Peirce e tira fuori una risibile dimostrazione che non consentito presupporre linconoscibile in partenza. E poi osserva che i poeti non dicono lessere, ma lo emulano; e spolvera lars imitatur naturam in sua operatione, quando nella pagina precedente aveva liquidato la concezione dellarte come imitazione di unimitazione fra le vecchie teorie che andavano da Platone a Baumgarten. Aggiunge che il linguaggio dei poeti non produce un sovrappi di essere, ma un sovrappi di interpretazione. E dopo si appoggia su una ipotetica seconda estetica di Heidegger, con la sua terminologia direi superfetistica se esistesse questo aggettivo. Questa seconda estetica, secondo Eco: non ci dice che nel discorso dei Poeti si svela lessere. Ci dice che il discorso dei

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Poeti non sostituisce la nostra interrogazione dellessere, bens la sostiene e la incoraggia. E finalmente conclude, non senza citare prima un veloce detto di Peirce, che lesperienza dellarte non qualcosa di radicalmente diverso dallesperienza del parlare di Qualcosa, nella filosofia, nella scienza, nel discorso quotidiano. Ne al tempo stesso un momento e un correttivo permanente. Cos dicendo liquida larte e la poesia, il che non sarebbe male; ma le liquida senza accorgersene, tanto vero che alla fine rivaluta i poeti: il che male. A questo punto ci viene presentato il modello di conoscenza del mondo dellottavo paragrafo. In s un utile esercizio mentale per gli studenti: qui ha il solo scopo di dare una base semiotica alla sua rivendicazione di temi e parole di Heidegger e di Aristotele. Infatti inizia il paragrafo successivo cos: Abbandoniamo ora il nostro modello, poich esso si trasformato nel ritratto (realistico) del nostro essere gettati nellessere, e ci ha confermato che lessere altro non pu essere che ci che si dice in molti modi. Da qui cominciano le divagazioni su Nietzsche e Vattimo, che, per ci che riguarda i limiti dellessere, non fanno che ripetere e specificare linterrogativo iniziale di Eco, come abbiamo visto prima. E per ci che riguarda larte aggiungono poche pennellate al quadro. Per Eco, Nietzsche vede la verit come un esercito di metafore e antropomorfismi elaborati poeticamente, non riconosce alcun valido metodo di avanzamento delle verit scientifiche e il cambiamento possibile solo come rivoluzione poetica permanente. Da queste premesse si esce solo in un sogno ingannatore e sarebbe il dominio dellarte sulla vita oppure, continua Eco, se ne esce con la filosofia di Vattimo: larte pu dire quello che dice perch lessere stesso, nella sua languida debolezza e generosit, che accetta anche questa definizione, cio quella del sogno ingannatore e del dominio dellarte sulla vita. Siamo allessere che si dilegua e a unontologia retta da categorie deboli. Vale a dire, siamo ai rispettosi confronti, il cui limitato interesse si pu misurare dal variare delle nove domande di prima. In pi da Vattimo Eco trae le proposte poetiche di mondi altri. E una volta catturata questa

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espressione, la inserisce subito nellultima domanda delle nove: i poeti si riferiscono a un mondo possibile distinto dal mondo dei fatti reali. Qui c la volata lirica: Di unaltra regione dellessere fanno parte i Mondi Possibili. In questi mondi possibili, stranamente, fra le locomotive, le radici quadrate e le geometrie non-euclidee, Eco non cita pi il linguaggio dei poeti. C per lascesa mistica: E possibile che esistano anche regioni dellessere di cui non siamo in grado di parlare. Questo viene concesso sulla presunzione che un giorno lumanit possa elaborare linguaggi diversi da quelli noti. Sottolineo che nei paragrafi dieci e undici non si parla mai dei poeti o dellarte; vi si teorizzano le resistenze dellessere insieme ai sensi vietati, con in pi gli accenni a queste eteree regioni dei mondi possibili e di quelli ineffabili. I poeti ricompaiono in chiusura. Dunque, riassumendo: per ci che riguarda larte e la poesia come strumento di conoscenza dellessere, primo, non sono i poeti a vincere, sono i filosofi ad arrendersi; secondo, lesperienza dellarte non diversa dallesperienza del parlare nella filosofia, nella scienza, nel parlare quotidiano. Fin qui sono affermazioni coerenti, banali, che anchio come tanti potrei sottoscrivere. Purtroppo il vizio accademico di parlare dei problemi non direttamente ma attraverso altri autori, con confronti rispettosi o no, porta inevitabilmente a contraddizioni, oscurit, presupposti, in un viluppo di terminologie fuori contesto. Che vuol dire che i poeti non dicono lessere ma lo emulano? Che significa che il linguaggio dei poeti non produce un sovrappi di essere, ma un sovrappi di interpretazione? Quando i Poeti ci invitano a riprendere a ogni istante il lavoro dellinterrogazione e di ricostruzione del Mondo fanno qualcosa che solo loro possono fare o lo fa anche la filosofia? La seconda affermazione di sopra nelloriginale continua come abbiamo visto: Ne al tempo stesso un momento e un correttivo permanente. Bene: questo correttivo lo fa solo lesperienza dellarte? Se cos fosse larte sarebbe diversa dalla filosofia, e quanto radicalmente diversa sarebbe secondario perch in effetti senza larte lessere non si conoscerebbe in nessun modo.

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Oscurit e contraddizioni che rendono, non dir faticoso, ma inutile qualunque tentativo di interpretazione. Inutilissimo sarebbe andare a cercare il filo logico in Heidegger, che ha discusso i problemi per i suoi scopi e non per quelli di Eco. Alcuni o molti lo fanno in simili casi; e cos facendo si allontanano ancor di pi dai problemi veri e si avviluppano nei rimandi, nelle citazioni e cio nelle chiacchiere. Similmente con Nietzsche e Vattimo. Eco vuol riaffermare una visione dellessere positiva e non debolista, in cui Il linguaggio non costruisce lessere ex-novo ma trova sempre un gi dato, su cui in qualche modo sia possibile basarsi per interrogare lessere e coglierne le aperture, cio per intraprendere e continuare il percorso inesauribile della conoscenza. Ottimo proposito. Oscurato dal rispetto accademico; che non rispettoso, non troppo, non poco. E inutile e dannoso; e affoga nelloscurit lintento stesso. Eco aveva un progetto sacrosanto? Bene: doveva fregarsene di Nietzsche e di Heidegger che tanto sono morti, e tacere su Vattimo a cui si augura lunga vita. E citare questi filosofi, e altri ancora, solo di sfuggita e quando non ne poteva fare a meno, badando solo al filo del proprio ragionamento. Facendo come invece ha fatto si avviluppa nelle loro terminologie e tematiche, autorizza il sospetto di unappropriazione indebita a favore della sua cattedra e rende il tutto sfocato e contraddittorio. Per restare ai poeti, che del gi dato su cui basare la conoscibilit del reale ho parlato prima a proposito dei limiti dellessere, Eco domanda se esista uno zoccolo duro per cui le cose dette dai poeti siano prese per buone solo se riferite a un mondo possibile e non al mondo dei fatti reali. Qui Eco pensa allermeneutica di Vattimo, con le proposte poetiche di mondi altri? E se invece i poeti si riferissero al mondo dei fatti reali, che facciamo? Li mettiamo in galera? Gli si ride dietro? Inutili domande che non aspettano nessuna inutile risposta. Torniamo sulla terra: non sono i poeti a vincere, sono i filosofi ad arrendersi. Ed Eco si arrende. Il suo scopo non nemmeno quello di lottare. E quello di essere presente e dibattere, di sottilizzare e chiosare, di fraintendere e precisare: leterno rimestare accademico.

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E a riprova del circuito inconsistente delle argomentazioni ci possiamo rileggere la chiusa del saggio dove ricompaiono i poeti. Che centrano i poeti? Non cercavamo a questo punto la regola nuova comunitaria? Il linguaggio dei poeti, ci era stato detto, non era niente di radicalmente diverso da quello della filosofia, e in pi ci espone da duecento anni a enormi rischi di fraintendimento. Perch allora sono i poeti a dirci che bisogna andare incontro allessere con gaiezza? E i filosofi non ce lo potevano dire? O i filosofi devono limitarsi alla congettura, cos almeno continua il rimestio? Io non voglio certo sostituire qui una mia filosofia a quella di Eco. Mi limiter ad osservare che quella sua scoperta della metafisica scopre in verit lintrinseca debolezza della semiotica. E il suo tentativo di ribattezzare in termini semiotici la metafisica esistenziale e lontologia dellarte rivela non una galassia in espansione, come lui dice, ma lesaurimento dei temi propri della semiotica. Viste le tradizioni che hanno alle spalle la metafisica e la semiotica, o anche lestetica e la semiotica, non difficile prevedere che sar la semiotica a sparire; e se ne rimarr qualcosa, saranno poche analisi sparse.

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8- LA NOTA 14. Ci sono infine da esaminare le regioni dellessere, quella dei Mondi Possibili e quelle di cui non siamo in grado di parlare. Ho gi segnalato la stranezza che le cose dette dai poeti vengono prese per buone quando si riferiscono a un mondo possibile e quando invece si parla dei Mondi Possibili i poeti non vengono nemmeno rammentati. Ora segnalo lulteriore stranezza dellessere diviso in misteriose regioni mai discusse n prima n dopo. E per far vedere a tutti i pericoli che si corrono quando si parla tanto per parlare domando: che bisogno cera di tirar fuori le regioni di cui non siamo in grado di parlare? Innanzi tutto, anche solo evocandole, Eco ne parla ed una prima contraddizione. Poi ci dice che forse un giorno se ne potr parlare. Se si potr fare in futuro, si sar fatto certamente anche in passato. E infatti fino a duecento anni fa nessuno parlava delle geometrie non-euclidee ed oggi lo fa anche Eco. Allora queste regioni sono il mistero che circonda le poche cose che conosciamo e che la filosofia, la matematica e le scienze aggrediscono di continuo con nuovi linguaggi? Ed anche: ci sono decine di teorie estetiche che dicono che ogni poeta inventa un suo linguaggio. Le regioni di cui oggi non si pu parlare sono i mondi di cui parleranno i futuri poeti? O finalmente: che differenza c fra queste regioni ineffabili e il puro Limite e il puro No di cui il linguaggio non deve o non pu parlare? Tutte stranezze, contraddizioni, oscurit che nascono da un periodo di nessuna utilit messo l per caso. C unultima cosa da esaminare che rivela forse lunico aspetto veramente sentito del saggio. Si tratta della nota 14 e di certe risonanze nuove che questa nota estrae da alcuni passi, in parte gi esaminati. In pratica la nota 14 un altro finale del saggio, incomparabilmente migliore di quella filippica edificante sui poeti che gli stata preferita. Gi questa scelta di mettere il finale migliore fra le note basterebbe a provocare rabbia e ribellione verso lautore. Nella nota Eco rammenta Luigi Pareyson e rende omaggio alla sua Ontologia della libert. Ora non ci interessano i distinguo fra ci che di Pareyson e ci che di

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Eco e le precisazioni rispetto a Heidegger e Aristotele. Vediamo quello che Eco ne ricava. Allinizio: Cos come nutriamo laspirazione allimmortalit, e il desiderio di volare, aspiriamo sempre alla promessa che esista da qualche parte una zona di libert assoluta. Ma proprio la libert che pone il Limite. E alla fine: Ancora prima di Dio lessere ci viene incontro con dei no, che altro non sono che laffermazione che alcune cose, noi, non possiamo dirle. Noi avvertiamo come Resistenza questo avviso profondo e nascosto che espone a rischio continuo (compreso il rischio del male) ogni nostra ricerca di verit e ogni nostra affermazione di libert. Qui non siamo nel chiacchiericcio. Per non siamo nemmeno nella filosofia. Siamo ai presupposti di ogni filosofia: c un mistero che ci mette a rischio del male, della falsit, della non libert e insieme c il nostro desiderio di volare, di immortalit, di libert assoluta. Da qui sempre nata e sempre nascer la buona filosofia. Io immagino che Eco, come tutti gli uomini arrivati a una certa et, improvvisamente si sia trovato davanti lultima domanda: E poi? Non una domanda libresca. Dentro. Certo che a quella domanda ognuno reagisce secondo il suo vissuto. Eco si chiesto: perch Qualcosa ci spinge a parlare? ed anche: ci sono limiti che si annidino pi in profondo? Le risposte che ha dato finora a questa che ho chiamato la sua scoperta della metafisica sono frutto della maledizione logorroica da cui non riesce a liberarsi. Purtuttavia la domanda sorta e il presupposto c; gliene va riconosciuto il merito. Da queste considerazioni prendono nuova luce almeno due aspetti del saggio. Il primo, gi da me sbrigativamente deriso, quella che Eco chiama la fondamentale esperienza di un limite, lesperienza della morte che pu essere detta anticipatamente. Da un punto di vista teorico su un limite siffatto non si pu costruire nulla. Dal punto di vista umano, per, quel limite sentito da tutti; e costituisce esperienza profonda su cui non lecito scherzare; e io su questo non ho scherzato. Laltro aspetto il Dio che aleggia nel saggio e la cui esistenza viene, direi, quasi dimostrata sulla fine dellundicesimo paragrafo. O almeno auspicata e desiderata.

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Questo gi dato sono appunto le linee di resistenza. Lapparizione di queste Resistenze la cosa pi vicina che si possa trovare, prima di ogni Filosofia Prima o Teologia, alla idea di Dio o di Legge. Certamente un Dio che si presenta (se e quando si presenta) come pura Negativit, puro Limite, puro No, di cui il linguaggio non deve o non pu parlare. E come avviene in questi casi fin dal primo, preistorico fremito religioso, non se ne deve parlare, ma se ne parla. Ed Eco ne parla come una qualunque teologia negativa, con metafore e personificazioni e arriva, con laiuto di san Tommaso, a rintracciare una sostanziale parentela del suo Dio col Dio delle religioni rivelate. Il profumo di sacro pervade tutta laria e basterebbe a testimoniarlo la cascata di maiuscole nel brano che di nuovo ho citato. Purtroppo ho una riserva anche su questultimo aspetto del saggio. Per buttar gi queste mie osservazioni ho dovuto ricercare la mia vecchia copia di Come si fa una tesi di laurea. Mi ha subito colpito lultima avvertenza nellintroduzione, dove Eco praticamente si scusa, e seriamente, di usare le parole studente e professore anche nel significato di studentessa e professoressa. Mi ha assalito una folla di vecchi ricordi di contestazioni femministe e studentesche. E via via che saltavo fra le pagine riemergevano gli studenti lavoratori, Gramsci, le radio libere, lo zen a San Francisco, le tesi di laurea politiche: in una parola, il clima universitario degli anni settanta. Orbene, tutti siamo figli del nostro tempo; ma non ci sar in Eco unadesione ipertrofica alle mode del momento? Oggigiorno sono di moda Dio, il papa e la religione. Questa scoperta del Qualcosa che ci spinge a parlare, del Limite che quanto di pi vicino a Dio, non sar solo una moda senza nessun aggancio profondo? Forse hanno ragione certi avversari di Eco che di lui hanno sempre evidenziato lopportunismo e la smania di emergere fin da quando militava nellAzione Cattolica. Comunque non minteressa la sua storia personale, resto al saggio che ho analizzato e al profilo di lui che ne emerso. Di sicuro Eco, se tenesse a freno la sua erudizione invece di farsene dominare, potrebbe anche scrivere qualcosa di valido, dopo essersi liberato, beninteso, dallossessione di

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essere in libreria tutti gli anni con un libro nuovo, e sui giornali tutti i giorni con un articolo. Se potessi gli darei un consiglio: di ritirarsi per cinque anni in un convento, o nella sua villa in campagna se ce lha, e l fare opere di contrizione, di rinuncia, di silenzio, di solitudine, di ascesi e, dopo, scrivere un saggio di non pi di 100 pagine, e senza citazioni, o un romanzo di non pi di 200 pagine. Forse queste opere sopravviverebbero.

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9- GIUDIZI E PREGIUDIZI. Non ce lho con Umberto Eco. Ma confesso di avere verso di lui un vecchio pregiudizio di cui non mi curo particolarmente di liberarmi e che, purtroppo, nelle sporadiche frequentazioni coi suoi scritti mi si rinnova sempre. Questo pregiudizio risale proprio alla mia prima lettura di Come si fa una tesi di laurea. Godo nellabbandonarmi anchio al vizio dellautocitazione e cos riporto un passo del mio diario che nientaltro che un giornale di letture: 21 ottobre 1977 Nellultimo mese ho letto (o riletto) quattro libri: Umberto Eco Come si fa una tesi di laurea, Della Corte e Paolini La mistificazione, Schucking Sociologia del gusto letterario, Maremmi Lagenda dello scrittore. Per primo ho letto il libro di Umberto Eco che mi ha ridato il gusto per le schede di lettura; perci di questi quattro libri ho fatto ampie schede, dove ho riportato citazioni, sunti e impressioni varie. Pertanto qui sul diario non voglio ripetermi; voglio soltanto tirar gi unimpressione generale e un confronto. Ebbene, i primi due libri di sopra, a parte la loro validit manualistica o di documento, sono due libri vecchi. Si rifanno a una visione del mondo sorpassata, postulano una societ che non esiste pi o non mai esistita. Gli altri due libri invece, lo Schucking e il Maremmi, fanno presa piena sulla realt, sono libri vivi e aiutano a capire quella parte del mondo che prendono in considerazione. Ognuno naturalmente ha pregi e difetti propri , tutte quattro. Ma quella che ho detto la sostanza di fondo che regge linsieme, o, se si vuole, la caratteristica della personalit degli autori. Tutte quattro parlano in senso lato dello scrivere, di come, quanto e che cosa scrivere perch poi qualcuno legga. Ciascuno per da un angolo particolare, ma dal quale possibile ricavare la visione che lautore ha dellattivit letteraria. Come si fa una tesi di laurea di Umberto Eco un libro pregevole per studiosi e saggisti, mentre per gli studenti una dannosa tentazione a buttar via tempo e fatica per fare una tesi di laurea seria e inutile. Utili le indicazioni per la schedatura, le bibliografie, la battitura e leventuale stampa dei

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testi ecc.. Ma questo libro falso, fuorviante, per ci che riguarda la seriet scientifica, lentusiasmo per lo scrivere e il leggere, la caramellosa (o suina) immagine della tesi: Fare una tesi significa divertirsi e la tesi come il maiale, non se ne butta via niente. Ah, non lo so! Forse della tesi non si butta via niente, ma di dottori che hanno scritto tesi se ne butta via a centinaia di migliaia, a milioni, a decine di milioni in tutto il mondo. Quello che sorregge tutto questo libro un mondo accademico putrefatto e irrigidito nei suoi privilegi e paludamenti. Anche la fortuna commerciale del libro dipende dal fatto che ha sicuramente un milione di compratori, perch questo il numero degli iscritti alle universit. A me Umberto Eco fa nello stesso tempo invidia, sbigottimento e fastidio. Invidia perch poteva stare a Parigi a studiare san Tommaso e perch scrive e ha successo con facilit. Sbigottimento perch non riesco a capire come faccia a essere tanto sicuro e felice della seriet scientifica delle sue opere. E fastidio per quel suo metter bocca su tutto, fare il saccente, citare questo e quello e non darti mai la sensazione che lumanit nel suo insieme sia qualcosa di grande, valido, sublime e tragico. A distanza di ventitr anni non ho cambiato una parola, perch il mio giudizio generale su Eco rimane quello di allora. E mi congratulo con me stesso per la mia lungimiranza. Per scrivere questo mio saggio avevo ben chiaro che dovevo limitarmi fermamente allanalisi del testo di Eco Sullessere senza farmi distrarre da altri suoi scritti se non quei pochi che avevo gi letto e per quel tanto che me ne ricordavo. Questa esigenza rispondeva pienamente allo scopo che ho dichiarato: auspicare un modo nuovo di scrivere filosofia mostrando un campione di come non si deve scrivere. Non volevo, e lho detto, sostituire nessunaltra filosofia a quella di Eco. Per questo era necessario ignorare per quanto possibile ci che non era nel saggio Sullessere. Ed era necessario esaminare il testo da fuori del suo mondo, dal punto di vista della lingua italiana comune, del buon gusto e della misura; e poi della coerenza interna, della chiarezza dei suoi scopi e dellefficacia delle argomentazioni portate a sostegno.

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Alla fine per mi sono levato una curiosit. Ho preso in prestito da una biblioteca pubblica cinque libri teorici di Eco, compreso il Trattato, e li ho sfogliati. Qualcosa ho saltato, qualcosa ho letto, qualcosa ho letto due volte. Non mi sono nemmeno sognato di analizzare altri testi come ho fatto col saggio Sullessere. In genere ho saltato le minuzie analitiche: gliele concedo tutte. Sullinsieme, evidentemente, non posso esprimere nientaltro che unimpressione generale: si avverte come un senso di soffocamento. Lesempiese, che Eco fa finta di deplorare da qualche parte e che invece tutta la fantasia di cui sia capace, ti toglie il respiro e costringe il cervello ad appiattirsi in terra e a contare le briciole. Quando parla di altri autori, o li usa in esempiese o mostra come non siano semiotici come lui. Non ha nessuna capacit di sintesi; dopo il Trattato non ha scritto niente di organico e se ne dichiara incapace, come abbiamo visto. E le analisi a che servirebbero? Non si sa, sembrano fine a se stesse; forse sono lunico acquisto e non sembra un grande acquisto. Una volta ci si poteva illudere che la semiotica aprisse chiss quali orizzonti verso lintelligenza artificiale, la vera informatica o la logica formale: tutti progetti abortiti o fuori portata. Del resto lo stesso Eco rivendica: Il discorso di una semiotica generale ha lo statuto di un discorso filosofico, cio non un discorso scientifico; che ogni discorso teorico abbia lo statuto di discorso scientifico solo un idolum tribus. Ma poi vedo che sacrifica parole a questo idolum e si dichiara fiero di aver posto negli anni sessanta quella che poi sarebbe diventata la riduzione dellanalogico al digitale nella televisione; e fiero di vedere nel codice genetico dei biologi come unapplicazione inconscia della semiotica. Sul piano filosofico, poi, i due punti su cui pi ribatte sono: primo, la polemica contro la deriva decostruttiva delle misinterpretazioni di un testo; e, secondo, la caldeggiata generalizzazione della semiotica nella teoria della conoscenza, basata sul processo abduttivo di Peirce e chiamata perci fallibilismo e da ultimo realismo contrattuale. Sul primo punto basta uscire dalla ristretta cerchia dei semiologi per rendersi conto dellovviet dellassunto: tutta la storia della critica letteraria e filosofica un richiamo continuo ai testi e a ci che di essi non si pu dire e che altri

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invece dicono. Il difficile casomai capire perch questo processo sempre si ripropone e come faccia a risultare positivo. Sul secondo punto, la teoria della conoscenza, ho gi mostrato ampiamente linconsistenza delle argomentazioni di Eco. Al di fuori del saggio Sullessere, sul solito punto, c unaltra caterva di chiacchiere, ma un unico elemento in pi: Quale regola nuova la Comunit deve preferire, e quale altra condannare come follia che a pagina 35 viene ricercata e domandata col punto interrogativo, alla fine viene scoperta. La regola nuova che la comunit pu e deve accettare come valida tappa della conoscenza, nel suo percorso fallibilista, viene ogni volta sancita dagli esperti, innanzi tutto uscendo da una ontologia forte e poi Escogitando una ontologia indebolita della Mente della Comunit (i cui rappresentanti privilegiati sono, a seconda dei settori, gli Esperti). Questo a pagina 261 di Kant e lornitorinco; e farebbe venir voglia di gettare il volume fuori dalla finestra. E una concezione falsa anche solo perch meschina. Senza dubbio Eco immagina se stesso fra gli esperti che giudicano: un collegio di docenti universitari che cooptano un collega con la sua nuova teoria. Una visione corporativa della vita spirituale che di per s farebbe auspicare una legge che vieti ai professori universitari di scrivere libri. Ed una concezione pericolosa. Se il collegio degli esperti che devono giudicare i libri di Eco fosse composto da me, mia moglie e i miei sei figli, e se giudicassimo Eco non solo nulladicente ma lo condannassimo al rogo, lui che fa? Contesta il collegio degli esperti o brucia tranquillamente? Da che mondo mondo gli esperti non solo hanno decretato ci che era vero e ci che era falso, ma hanno anche inflitto le meritate pene a chi diceva il falso. E cos gli esperti ateniesi di morale della giovent condannarono Socrate alla cicuta; e gli esperti della legge a Gerusalemme condannarono Ges come bestemmiatore; e gli esperti teologi romani costrinsero Galileo allabiura e bruciarono Giordano Bruno. Con tutto ci, siamo ancora alla ricerca di Esperti con la e maiuscola? addirittura rappresentanti privilegiati della Mente della Comunit, con le maiuscole?

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Se dopo trentanni di studi semiotici si arriva a scrivere simili bestemmie, evidente che c qualcosa che non funziona nella semiotica, o in Eco, o in tutte due. Ma basta con Eco e concludo: per il saggio Sullessere di Umberto Eco confermo il mio giudizio del primo rigo, ora ampiamente provato. Il re nudo e non c modo di dirlo con parole gentili se non facendo finta che sia vestito.

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