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SOCIET E VALORI ECONOMICI

Questo breve scritto parte dal presupposto che il fine precipuo delle societ umane sia quello di garantire la sopravvivenza e, nei limiti del possibile, la prosperit dei propri membri: la societ umana ha insomma, innanzitutto, una base o un fondamento economico e su tale base innanzitutto si giustifica. Esso vuole per anche mostrare come non in tutte le societ umane, anzi in nessuna a eccezione di quella capitalistica e industriale moderna, i valori puramente economici (ovvero i valori legati all'incremento della ricchezza) abbiano rivestito un ruolo di decisa preminenza su quelli politici, legati all'incremento del prestigio e del potere pubblico (da intendersi quest'ultimo come quel tipo di potere che permette di influenzare e condizionare l'esistenza di un numero quanto pi vasto possibile di individui). Vedremo difatti che esistono due moventi essenziali alla base della volont di potenza personale (o di gruppo) all'interno della societ: la ricchezza e il potere. E che tali moventi raramente esistono separatamente l'uno dall'altro, intrecciandosi al contrario strettamente tra loro. E tuttavia, vedremo anche come nei contesti precapitalistici i fini economici siano di solito funzionali a quelli di potere o prestigio, ovvero non siano fini in se stessi, laddove al contrario in quelli capitalistici essi finiscono spesso per prendere il sopravvento, per ragioni culturali ed economiche, sugli altri. Ci che vorremmo evitare, tuttavia, un atteggiamento eccessivamente semplificativo, per il quale esisterebbero due tipi di umanit pressoch opposti tra loro: uno appunto precapitalista e uno, storicamente successivo, sorto a partire dall'affermazione dell'economia e della societ capitaliste. Cercheremo perci di non perdere mai di vista le sfumature del discorso, e in particolare gli elementi di continuit tra questi due tipi di umanit: elementi che riposano (ci sembra) in gran parte sulla stessa natura umana la quale, nonostante le infinite declinazioni che pu assumere, rimane tendenzialmente invariata in alcuni aspetti fondamentali, espressione probabilmente della stessa struttura biologica dell'animale uomo. Economia come fondamento; economia come valore Come gi detto, la societ ha come scopo primario quello di garantire la sopravvivenza dei suoi membri, cercando almeno entro un certo grado (non tutte le economie infatti, sono caratterizzate da un eguale grado di razionalit) di massimizzare e ottimizzare i mezzi concretamnete disponibili a tal fine. La societ ha cio, appunto, una natura prima di tutto economica.

Ci non significa tuttavia, che i valori fondamentali che guidano il comportamento dei suoi membri debbano essere improntati all'idea della crescita indefinita della ricchezza, sia individuale che collettiva. I valori a fondamento delle societ umane, difatti, non hanno solitamente una natura spiccatamente economica. Anzi, possiamo dire che se si esclude la societ moderna, capitalistica e industriale in nessun altro contesto socio-culturale le finalit prettamente economiche di arricchimento abbiano costituito, almeno sul piano valoriale, il motore e lo scopo pi profondo dell'agire individuale. Intendiamoci, parliamo qui in senso molto generale e generalizzante, come inevitabile che sia. Vedremo avanti che esistono, anche in contesti non capitalistici, individui e categorie sociali che contraddicono questa legge generale. Ci non toglie tuttavia, che valori come l'onore, il potere, il prestigio tendano di solito in tali contesti a costituire, molto pi della semplice acquisizione di ricchezza fine a se stessa, il fine delle ambizioni e delle bramosie personali: bramosie per il raggiungimento delle quali la ricchezza materiale costituisce peraltro un mezzo indispensabile. ora per necessario un chiarimento. Tra la natura essenzialmente economica della societ, e la non centralit, a livello assiologico, dei valori economici e accumulativi si potrebbe infatti, e giustamente, scorgere una lampante contraddizione. Se c' da chiedersi lo scopo primario del vivere associato quello di fornire ai propri membri, con la maggior sicurezza e abbondanza possibili, i mezzi per la propria sopravvivenza, perch tale fatto non si riverbera (quantomeno, non oltre un certo grado) sul loro impianto valoriale? Perch, se le cose stanno effettivamente cos, gli uomini che vivono in societ preferiscono di solito la Gloria alla Ricchezza, il Prestigio e il Potere politico all'accumulo indefinito di beni di consumo e pi in generale di beni economici? (Per inciso, a questo proposito non si deve dimenticare che quelle di cui stiamo parlando sono pur sempre ambizioni superiori, che attecchiscono nell'uomo a partire da un certo grado di sicurezza e prosperit materiale. Chi ha fame, in altri termini, non ha di solito di queste preoccupazioni, o non dedica in ogni caso a esse un'eccessiva quantit di tempo e di energia.) Tornando alla domanda che ci siamo posti, pensiamo che la risposta ad essa vada cercata tanto nella natura umana in generale, quanto nello specifico sistema economico in cui gli uomini si trovano a vivere. a) Nella natura umana, in quanto l'uomo, superata come si detto una certa soglia di prosperit, tende di solito a cercare un'autorealizzazione e un completamento di carattere almeno in parte spirituale piuttosto che meramente materiale (accumulazione di beni), trovando molto spesso nella bramosia di potere il cimento alla base di una tale autorealizzazione, sia personale sia di gruppo. (Non in tutti gli individui infatti, e anzi decisamente in pochi, tali aspirazioni di autorealizzazione si concretizzano in attivit di carattere strettamente spirituale quali il sapere, l'arte, il misticismo, ecc.)

Per questo, io credo, pur avendo la societ una finalit innanzitutto economica, i valori in essa considerati pi nobili e superiori, ai quali si conforma l'esistenza umana nelle sue forme pi alte, quasi mai hanno un carattere prettamente economico. (Un'eccezione a questo discorso, oltre a quella inerente le societ capitalistiche, pu essere costituita da quelle societ nelle quali, solitamente per ragioni geofisiche, l'approvvigionamento di materie prime e di beni di sostentamento un fatto particolarmente difficoltoso: ragione per la quale appunto, la loro accumulazione tende a essere spesso percepita come un fine in se stessa.) b) Anche l'economia ha per un ruolo importante, in questa apparente contraddizione. Solo la moderna societ industriale infatti, con la sua accresciuta (e, rispetto a tutti gli altri contesti produttivi, addirittura impensabile) capacit di produzione di merci e con la sua pratica di investimento sistematico dei profitti al fine di produrre altri profitti, ha prospettato concretamente la possibilit agli occhi innanzitutto dei singoli capitalisti, ma anche indirettamente della societ globalmente intesa di un incremento indefinito della ricchezza privata. Ecco perch, tra l'altro, solo nelle societ moderne la ricchezza ha potuto diventare un valore assoluto, qualcosa da ricercare per se stessa, a prescindere dai vantaggi materiali e sociali che se ne possono trarre. La 'sacralit' della ricchezza e del danaro, appaiono a volte nel capitalista moderno in un modo che apparentemente sembrebbe negarle. Non sono infatti rari gli esempi di potenti uomini d'affari i quali, anzich ostentare la propria ricchezza, tendono al contrario a nasconderla. Essi ad esempio si vestono in modo modesto, mantengono un contegno austero, conducono paradossalmente una vita frugale... La loro austerit potrebbe apparire una manifestazione di disinteresse verso la propria ricchezza, ma in realt il prodotto del loro desiderio di non dissipare in nessun modo la ricchezza faticosamente conquistata, al fine di investirla in modo occulato e di farla cos ulteriormente fruttare un atteggiamento questo, che dimostra il valore assoluto, sacrale che essa riveste ai loro occhi. Non molto diverso, mi sembra, il discorso che riguarda le societ intese complessivamente, ad esempio gli stati. Anche qui infatti, possiamo vedere che le motivazioni alla base delle decisioni pubbliche (politiche) non sempre hanno una finalit, direttamente o indirettamente, o comunque esclusivamente, economica. N un tale discorso vale solo per le societ pre-moderne, anche se induscutibilmente pi pertinente per esse che per gli stati moderni, le cui politiche difatti sono in gran parte improntate a criteri mercantilistici, legati cio all'incremento dei profitti dello stato e quindi indirettamente della comunit o di parte di essa. Se guardiamo alle societ precapitalistiche, sin dai tempi della guerra di Troia (dovuta a quanto pare al rapimento di una principessa, ovvero alla violazione del principio della regalit), passando per le crociate (inaugurate dai Cristiani europei per sottrarre agli infedeli territori sacri per la loro fede), ci accorgiamo facilmente di come molto spesso nel corso della storia le grandi imprese militari non siano state scatenate dal desiderio di arricchimento materiale, bens piuttosto da motivazioni di

carattere immateriale, ideologico o religioso... Cosa che non impediva ovviamente a molti, di considerare tali conflitti anche come un'ottima occasione di fare bottino, piuttosto che di annettere ai propri territori zone economicamente interessanti. Un discorso abbastanza diverso si deve fare in riferimento a molte guerre d'epoca moderna, chiaramente fatte in funzione di interessi economici, anche se spesso giustificate in termini non esplicitamente economici, bens sulla base di ideologie nazionalistiche, razziali, piuttosto che come missioni di civilt, ecc. Ricchezza ed emarginazione politica Abbiamo detto che la ricchezza non ha mai costituito, nelle societ pre-moderne, un valore assoluto. Abbiamo per anche detto che questo discorso va preso con le dovute cautele, soprattutto qualora si voglia intendere che, nell'intero corso della storia umana (facendo eccezione appunto per la fase capitalistica), non si possano rintracciare palesi eccezioni a questa affermazione. Di eccezioni infatti ve ne sono senza dubbio, e molte, dato l'intrinseco fascino che la prosperit materiale in quanto tale esercita su molti uomini. Max Weber, ad esempio, diceva che non il desiderio di arricchirsi in modo per cos dire spropositato ci che distingue il capitalista moderno dai ricchi delle et precedenti. L'ambizione a un arricchimento smisurato infatti, qualcosa che sempre esistito. Piuttosto, diceva Weber, sono i mezzi e i metodi alla base di un tale arricchimento a cambiare tra questi due diversi contesti. Il capitalista realizza infatti una tale ambizione attraverso il mercato modernamente inteso: ovvero attraverso gli strumenti tipici dell'economia di mercato moderna (le banche, la Borsa, il calcolo razionale dei vantaggi e degli svantaggi economici, la pratica sistematica e razionalmente orientata dell'investimento dei profitti d'impresa, ecc.) Il capitalista (se cos vogliamo chiamarlo) o l'imprenditore pre-moderno, persegue invece un tale scopo attraverso attivit di tipo pi rapsodico, prive per se stesse di una intrinseca razionalit, simili per molti aspetti ad attivit che oggi considereremmo di rapina quando non, come nel caso delle guerre e delle razzie, di vere e proprie rapine. A parte questa giusta e pertinente osservazione, che peraltro ci insegna a non dare un valore assoluto alla regola fin qui enunciata (come del resto si dovrebbe fare con ogni regola storica), dobbiamo rilevare l'esistenza di una vera e propia categoria di individui, presente trasversalmente se non in tutte in molte societ umane, orientata, in modo simile ai capitalisti moderni, all'arricchimento sistematico, inteso come scopo o valore intrinseco dell'esistenza. E non si tratta qui, come nel caso di cui abbiamo parlato sopra, di un atteggiamento meramente individuale e personale (casuale, per cos dire, rispetto alla collocazione sociale degli individui che lo assumono): tale atteggiamento infatti la reazione di determinati ceti sociali emarginati di

fronte alle limitazioni giuridiche e politiche che la societ impone loro. Ci riferiamo qui a quei ceti che, per ragioni di varia natura (tipicamente per ragioni religiose gli ebrei nell'Europa cristiana, o perch avvertiti come non appartenenti alla comunit ospitante i meteci nella Grecia classica, o per ragioni di rango i liberti nel mondo antico...) soffrono una condizione di marginalit politica, che rende impossibile anche ai loro membri migliori un'affermazione sociale ordinaria, basata cio sull'accesso ai poteri politici e pubblici. Proprio tale ragione spinge spesso i membri di tali classi a dedicarsi in modo esclusivo all'accumulo di ricchezza, di solito perseguito attraverso i mercati e in genere sulla base di attivit economiche socialmente riconosciute. Questo perch, ovviamente, l'accumulo di ricchezza la sola forma di affermazione a essi legalmente concessa, nella quale di conseguenza essi riversano il proprio desiderio (comune, seppure in forme e gradi diversi, a tutti gli uomini) di affermazione sociale. Concludendo, possiamo dire che in questi soggetti, socialmente e politicamente emarginati, la ricchezza diviene spesso un fine in se stessa solo come ripiego, come compensazione di un handicap imposto loro dalle leggi della societ in cui vivono. Diverso il discorso che concerne la societ capitalistica, nella quale il benessere materiale e segnatamente l'accumulo indefinito di ricchezza monetaria o 'valore di scambio' diviene un fine in se stesso, un valore riconosciuto e primario (seppure, per forza di cose, non unico) a livello sociale. Il Capitalismo e l'etica della ricchezza Come pu accadere una simile trasformazione? Si gi detto che uno dei fattori alla base di questo fenomeno, tipicamente moderno, senza dubbio l'enorme capacit produttiva insita nelle societ a economia capitalistica e industriale e la conseguente possibilit, da essa derivante, di incrementare a dismisura (quantomeno rispetto agli standard precedenti) i profitti derivanti delle attivit commerciali. In tale situazione, l'aquisizione di ricchezza finisce per essere considerata (in modo decisamente pi frequente che in passato) non tanto un mezzo, diretto o indiretto, di affermazione sociale quanto, appunto, un fine in se stessa. Si afferma cio e non come espressione di gruppi sociali emarginati o di uno sparuto numero di individui 'devianti' rispetto a un'etica tradizionale condivisa una vera e propria etica della ricchezza! Ma assieme a questo fattore, anche altri fattori concomitanti, di natura culturale e psicologica da una parte ed economica dall'altra, contribuiscono a determinare l'affermarsi di una tale visione. Sul piano culturale e psicologico, abbiamo l'affermarsi di una mentalit nuova, tecnico-scientifica, che si prefigge di dominare il reale attraverso l'indagine razionale e che non pu prescindere da una 'disciplina della razionalit' che tende a pervadere la vita di tutti i giorni, sia nelle grandi che nelle piccole cose. Una tale mentalit, oltre a costituire l'origine profonda della stessa Rivoluzione

industriale, nonch dell'invenzione di nuovi e potenti strumenti di calcolo finanziario e di investimento creditizio, favorisce (in concomitanza appunto con tali strumenti) l'attitudine a un reinvestimento sistematico dei profitti d'impresa al fine di un loro ulteriore incremento, attraverso un meccanismo che cresce indefinitamente su se stesso, senza soluzione di continuit. Un tale stile economico infine, trova nell'etica del lavoro e della ricchezza il suo sostegno ideologico naturale. Sul piano economico infine, dobbiamo notare come il capitalismo, in quanto sistema basato sulla legge del Mercato e della Concorrenza tra liberi imprenditori, renda inevitabile che ognuno di essi cerchi di incrementare i propri profitti commerciali, al fine di reinvestirli poi nella ricerca di una sempre maggiore efficienza produttiva e quindi, di ancora maggiori guadagni (attraverso un sempre migliore rapporto tra qualit-quantit del prodotto e prezzo di esso). Colui il quale infatti, interrompesse questa 'catena virtuosa', si troverebbe in breve tempo fuori mercato, schiacciato dalla concorrenza di altri imprenditori i quali, avendo invece investito i propri profitti in tale ricerca, fossero riusciti a rendere i propri prodotti maggiormente convenienti e appetibili rispetto ai suoi. vero che la concorrenza perfetta in realt non esiste, che alcuni imprenditori possono accordarsi sottobanco con altri per bloccare i prezzi dei loro prodotti o comunque per farli crescere all'unisono in modo da non sottrarsi a vicenza fette di mercato, che alcuni imprenditori infine, possono avere pochi concorrenti sul mercato e non essere quindi pressati dall'esigenza di un miglioramento costante delle proprie prestazioni produttive... Tutto ci non toglie per, che la logica intrinseca dell'economia capitalista, con la sua natura spiccatamente concorrenziale, tenda per sua natura a costringere i suoi agenti (gli imprenditori o capitalisti) a perseguire un costante miglioramento tanto dei propri profitti quanto, di conseguenza, della produttivit delle proprie imprese. insomma innegabile che il capitalismo porti con s, per sua stessa natura, una sorta di costrizione al lavoro e all'incremento della ricchezza, base della sopravvivenza stessa dell'impresa capitalista attravaverso il miglioramento costante del suo rendimento. I fattori qui analizzati, tutti assolutamente nuovi (quantomeno nella loro radicalit) rispetto a qualsiasi contesto precapitalistico, determinano senza ombra di dubbio il fenomeno anch'esso nuovo di un'etica del lavoro e della ricchezza che tende a permeare la societ intera, ovvero i valori essenziali e universalmente condivisi dai suoi membri. Potere e ricchezza: un binomio inscindibile Sarebbe per impreciso e fuorviante concludere in questo modo il nostro discorso. Darebbe infatti l'impressione che in questo scritto si voglia avallare, quantomeno oltre una ragionevole misura, l'idea di due mondi rigidamente contrapposti tra loro. Non esiste infatti un homo politicus in contrappoosizione a un homo oeconomicus! O meglio, non esiste un'et di homines politici in

contrapposizione a una di homines oeconomici... Al contrario, queste due attitudini si mescolano tra loro in ogni tempo e luogo della storia dell'umanit. Ricominciamo. Tanto il singolo individuo, quanto le singole comunit (classi sociali, categorie lavorative, o addirittura intere societ o stati...), sono spesso o forse sempre, anche se in gradi e forme diverse, animati da un desiderio di affermazione personale nei confronti del resto del mondo, da quella originaria volont di potenza che costituisce senza dubbio uno dei motori pi profondi dell'agire umano. Una tale volont pu tuttavia declinarsi in modi infiniti, riassumibili ai fini del presente discorso in diciamo tre categorie essenziali: a) una pi alta e spirituale, comprendente la ricerca scientifica e le attivit culturali, artistiche e spirituali in genere; b) una legata essenzialmente all'acquisizione di potere e carisma sugli altri uomini, che possiamo definire genericamente politica; c) una infine che si esplica nella ricerca della prosperit materiale, sia sotto forma di beni di consumo diretti, sia sotto forma di beni di scambio, ovvero di oggetti che possiedono un intrinseco valore economico (quali denaro, oggetti preziosi, ecc.) Lasciando stare la prima categoria, che esula totalmente dall'argomento di questo scritto, osserviamo che le altre due costituiscono in un certo senso le due facce di una medesima medaglia, l'una rimandando inesorabilmente all'altra. Se il potere, il prestigio e la fama infatti, portano di solito con s ricchezza e prosperit materiale, altrettanto queste ultime, se ben impiegate, possono portare all'acquisizione delle prime. E ci non solo nel mondo antico e precapitalista in genere, ma anche senza alcun dubbio in quello capitalista moderno (un politico o un professionista affermati, ad esempio, difficilmente saranno 'poveri'; cos come un nobile ridotto in miseria si definisce solitamente decaduto, a dimostrazione della fondamentale inconciliabilit di prestigio e povert.) C' da chiedersi tuttavia, quale tra questi due impulsi quello al guadagno smodato e quello alla gloria e al potere sia, nell'uomo sociale come tale (cio, di un po' tutti i tempi), solitamente primario e prevalente rispetto all'altro. Se consideriamo il fatto che solo nella societ moderna si sia sviluppata una vera e propria etica della ricchezza, peraltro dovuta (come gi si mostrato) a ragioni ben precise, legate al suo modo di produzione specifico, crediamo si possa ipotizzare che l'impulso alla ricerca del potere sia dei due quello naturalmente prevalente. Si pu a tale riguardo, azzardare anche una spiegazione razionale. evidente infatti, che la ricchezza economica, a partire da un certo livello quantitativo, diventi per cos dire qualcosa di inerte, di non pi spendibile... Che differenza, ad esempio, potrebbe concretamente costituire per un uomo il fatto di possedere una piuttosto che due stanze piene d'oro? Ammesso infatti che gi una di esse costituirebbe da sola una risorsa economica capace di soddisfare ampiamente anche i suoi desideri pi sperticati, evidente che il possesso di due o pi di tali stanze non cambierebbe di una

virgola la sua esistenza, rispetto al possesso di una! La ricchezza materiale, insomma, da un certo livello in avanti, tende per individui per cos dire normali (non animati cio da una spiccata volont accumulativa a livello personale) a perdere valore. Viceversa, l'acquisizione di sempre maggiore potere sui propri simili qualcosa capace di regalare all'individuo comune sempre nuove soddisfazioni di carattere narcisistico: il potere insomma, qualcosa che non stanca, o che comunque in linea di massima viene a noia molto pi difficilmente rispetto alla ricchezza materiale. (Qualcuno potrebbe giustamente obbiettare che, dal momento che il concreto accrescimento del potere sugli uomini quasi mai pu prescindere dalle spese necessarie al suo ottenimento, se ne evince che anche la ricchezza, al pari del potere, qualcosa che non basta mai! Tutto ci vero, ma non toglie ed anzi ribadisce il fatto che, secondo questa logica, sia il desiderio di sempre maggiore potere politico il motore del desiderio di sempre maggiore ricchezza e che dunque quest'ultima, a differenza del primo, non possa essere considerata, almeno coerentemente con questo ragionamento, un fine in se stessa.) A coronamento di questa tesi, utile fare un'ultima osservazione, riguardante le societ moderne. difatti evidente come, anche in esse, il valore della ricchezza non sia propriamente il valore prevalente tra la gente comune, quantomeno non in modo assoluto. Di solito infatti, solo i capitalisti puri (gli imprenditori) sono totalmente animati da esso. La gente ordinaria, al contrario, desidera la ricchezza materiale pi che altro nella misura in cui essa pu soddisfare, oltre alle proprie esigenze di sostentamento materiale, i propri desideri voluttuari (peraltro oggi enormemente accresciutisi rispetto ai secoli passati, in conseguenza delle nuove opportunit di consumo offerte dalla societ tecnologica o del benessere!) Anche per costoro, insomma, la ricchezza non costituisce tanto un valore in se stessa quanto per la propria spendibilit, ovvero per i vantaggi che possono derivarne. E anche per costoro, probabilmente, il potere e il prestigio sarebbero a partire chiaramente da un alto livello di ricchezza beni in s pi appetibili della ricchezza stessa! Niente o quasi insomma, almeno da questo punto di vista, sembra essere cambiato tra la gente di oggi e quella di qualche secolo fa... Il vero elemento di cambiamento pare essere stato stato l'affermarsi, sia (seppure, come si appena detto, solo in parte) tra la gente comune, sia e in particolare tra i ceti capitalistici imprenditoriali (e coloro che aspirano a farne parte), di uno stile di vita e di valori culturali nuovi rispetto al mondo pre-capitalista. sorto cio per la prima volta nella storia umana un tipo di civilt che tende a fare del Guadagno e del Profitto dei fini in se stessi, al punto da sacrificare o comunque da subordinare a essi le proprie ambizioni di affermazione politica e sociale. La moderna societ industriale pare insomma essere compenetrata da un'etica del Profitto (nonch

implicitamente del Lavoro, come mezzo per ottenerlo) del tutto sconosciuta, quantomeno come valore sociale dominante, a tutti i precedenti contesti economici e culturali conosciuti dall'Uomo.

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