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Le responsabilit del massacro

20 gennaio 2009 Si possono guardare i ventitre giorni del massacro di Gaza da diverse prospettive ma la rabbia pu solo aumentare di fronte all'insieme di responsabilit politiche e culturali che hanno provocato pi di 1300 morti, di cui 800 civili e 400 bambini, fra il popolo palestinese a fronte di 13 vittime israeliane, di cui 3 civili. Un popolo da sessant'anni unica vera vittima dei giochi politici e diplomatici di Israele, degli Stati Uniti, dei Paesi Arabi e delle divisioni all'interno della sua leadership; ma anche del silenzio connivente della comunit internazionale tutta, e dell'Onu. Infine, oggi pi che mai, vittima della guerra mediatica che ha tolto forza all'opinione pubblica occidentale, fino ad oggi vero baluardo del diritto dei palestinesi ad esistere. Prima di affrontare i diretti responsabili della strage, parto da chi, anche solo in parte, l'ha provocata e adesso tenta di sfruttarla politicamente. Hamas il 19 dicembre non ha rinnovato la tregua di sei mesi (iniziata il 19 giugno) e ha cos dato il l ad un possibile attacco militare. Questa decisione stata totalmente irresponsabile, viste le conseguenze, e denota un errore di calcolo della sua leadership, convinta probabilmente di portare Israele ad un attacco breve, utile a rilegittimare Hamas, in calo di consensi, come vera forza di resistenza palestinese. La tregua infatti non aveva portato risultati n benefici, anzi il blocco economico e l'assedio Israeliano avevano aggravato le condizioni di vita di 1500000 persone imprigionate in un territorio lungo 40 km e largo 9 km ridotte alla fame. La provocazione di Hamas pu sembrare sulla stessa linea di quella di Hezbollah del 2006, guerra che ne ha rafforzato la posizione politica in Libano nonostante le perdite militari e umane (il che basterebbe di per s a dimostrare l'inutilit di qualsiasi soluzione militare) La folle mossa di Hamas risponde ad una logica precisa: esporsi, far vedere di essere in grado di attaccare Israele e di sopravvivere ad un suo attacco, riprendendo cos visibilit, status, forza politica e controllo. Ecco il senso di quei missili lanciati domenica scorsa prima, durante e dopo la proclamazione del cessate-il-fuoco, unilaterale come quello di Israele del giorno prima. Nel senso che fintanto che riusciranno a tirare qualcosa verso il territorio israeliano, i dirigenti palestinesi potranno sostenere di aver resistito alla micidiale offensiva dellIdf. Una strage di civili di grandi proporzioni come avvenuto nei due conflitti libanesi diventa una carta propagandistica da calare sul tavolo diplomatico per un movimento che fa del martirio la sua bandiera il sangue non mai versato invano. L'irresponsabilit anche prodotto della forte divisione interna ad Hamas, comandata da una doppia dirigenza: una interna, a Gaza, che si occupa del governo ed pi politica ed una esterna, a Damasco, che, banalizzando, possiamo ritenere quella pi intransigente e militarista. Israele conosce bene le posizioni delle due leadership (avendo finanziato per anni Hamas prima che assumesse questa denominazione nel 1988, per contrastare l'Olp): ma quando la leadership interna (molto pragmatica) cerca un dialogo con Israele, o fa dei riconoscimenti formali delle istanze di Tel Aviv, questa viene ignorata o messa in difficolt, indebolita. Cos ecco che Meshaal da Damasco pu premere per soluzioni militari o pi violente. Le provocazioni sono state dettate pi dalla leadership esterna, forte delle alleanze con Hezbollah, Siria e soprattutto 'Iran. Hamas sperava quindi di mettere in difficolt l'IDF dal punto di vista del comando e della legittimazione, creando ancora pi problemi di gestione ad Olmert. Hamas sperava che lattacco aereo non la mettesse completamente in ginocchio, per poter poi affrontare lesercito israeliano nelloperazione via terra. Queste valutazioni si sono rivelate sbagliate. Hamas si sopravvalutata, ma non per questo ha perso politicamente. Detto questo, le aspettative di Hamas si sono scontrate con un disegno politico di Israele che preparava questa guerra da mesi. Ci sono troppe coincidenze per non far pensare a un attacco ad hoc pensato da tempo: 1.il 4 novembre (giorno delle elezioni americane) Israele lanci un raid e ammazzava vari palestinesi, rompendo di fatto la tregua. Hamas da quel giorno ha lanciato 200 razzi (il 19 dicembre

infatti la data ufficiale della fine della tregua, ma era gi saltata da un mese e mezzo), legittimando poi con la sua decisione unilaterale l'attacco dell'IDF. Si trattata di una provocazione per essere provocati? Oppure si approfittato delle elezioni per fare un raid mentre il mondo aveva occhi solo per Obama? 2.L'intervento militare, oltre ad approfittare di un'opinione pubblica distratta dalle feste, coinciso con l'ultimo periodo della presidenza di Bush. Un presidente ormai indebolito che non ha potuto far altro che continuare la politica di totale appoggio e accondiscendenza a qualunque mossa di Israele. Dalla fine del 2001 Bush ha completamente delegato la soluzione della questione israelopalestinese a Tel Aviv. Il cessate-il-fuoco arrivato esattamente allo scadere del suo mandato e ha visto nel contempo un ultimo regalo: un accordo fra Livni e Rice che obbliga il prossimo presidente a farsi carico della sicurezza ai confini di Gaza, del controllo dei valichi e del contrabbando di armi e missili. 3.Il 10 febbraio in Israele si svolgeranno le elezioni e il governo Olmert-Barak-Livni (questi ultimi due in corsa rispettivamente per il partito laburista e per il centrista Kadima) secondo i sondaggi di dicembre era in forte calo. Il partito di estrema destra Likud era in forte ascesa, anche per gli scontri di Hebron, e solo una mossa da governo forte avrebbe potuto dare nuova linfa ai tre al governo. Risulta lampante quindi il carattere di guerra elettorale. Israele ha aprofittato delloccasione fornita da Hamas e della situazione internazionale favorevole (ultimi mesi di Bush al governo, Europa spaccata, governi occupati dalle crisi economiche). Questa prova di forza era necessaria soprattutto per il capo del governo Olmert, in crisi di consenso per le accuse di corruzione e per i fallimenti in politica estera (dal disastro della guerra in Libano allo stallo nelle trattative di pace). Olmert ha cercato legittimit per non uscire dallagone politico dopo le elezioni che, comunque sia, lo vedranno passar la mano e, non avendo nulla da perdere elettoralmente ora, pu fare la parte del cattivo. Tzipi Livni, ministro degli esteri, ha invece sfruttato la guerra per spostare a destra il suo partito Kadima e recuperare il gap di consensi. La forza del Likud era proprio quella di approfittare del momento di bassa conflittualit, che creava non pochi grattacapi al governo (vedi rivendicazioni dei Coloni e razzi di Hamas). Ma il vero artefice e stratega di questa guerra stato Barak che, nonostante le sue credenziali di uomo di sinistra ha pianificato il conflitto e adesso lo sfrutter al massimo in campagna elettorale. Il cessate-il-fuoco unilaterale per l'ha messo un po' in difficolt: Barak punta infatti a una soluzione diplomatica a lungo termine, con l'Egitto come mediatore, mentre la Livni con la politica unilaterale vuole mantenere aperte tutte le possibilit, nel caso Hamas rompesse una nuova tregua. In due parole: il governo ha voluto dimostrare allelettorato che non solo la destra sa massacrare i palestinesi e che anche loro sanno appagare lossessione securitaria della societ israeliana. In una situazione sul terreno come quella a Gaza, non si riesce a capire da cosa sia determinata la fine del conflitto: qualera lobiettivo di Israele, eliminare ed estirpare Hamas? solamente infliggergli gravi perdite? ripristinare esclusivamente il suo potere di deterrenza? assicurarsi che non vengano pi lanciati razzi da Gaza (come pi volte dichiarato)? Per questo la scelta del giorno per la fine delle ostilit potrebbe essere vista come una conferma allidea che la scelta del quando intervenire da parte di Israele sia stata dettata pi da motivi politici che da ragioni contingenti e improrogabili di sicurezza. Conniventi a questo massacro sono per anche i paesi arabi moderati (anche se gli stessi Hezbollah, Siria e Iran non si sono mossi) che non hanno esitato a incolpare Hamas e a legittimare unicamente l'Anp di Abu Mazen. Anche di fronte alle proteste all'interno degli stessi paesi, non mai stata alzata la voce a sufficienza per arrivare almeno a un cessate-il-fuoco dopo i primi massacri. L'Egitto si proposto come mediatore ma la natura unilaterale della tregua ha reso inutile gli sforzi di Mubarak per mostrare i suoi successi di fronte all'opinione pubblica interna. Egitto comunque che sicuramente dietro al seguente cessate-il-fuoco di Hamas (non si pu dialogare ufficialmente con i terroristi, ma lo si pu fare segretamente con un tramite). Parlare dell'inutilit dell'Onu come sparare sulla Croce Rossa (cosa che, con tragica ironia, avvenuta). Infine, i mezzi di comunicazione Occidentali hanno distorto il conflitto, facendo passare

sotto silenzio i massacri Israeliani, le bombe agli edifici dell'Onu e sugli ospedale, l'utilizzo di bombe al fosforo e altri armamenti non convenzionali, la quantit spropositata di vittime civili. dando per scontato alcune verit promosse dai media israliani sulla natura di Hamas. Questo fatto a mio parere ancora pi grave dell'atteggiamento dei politici, in quanto l'informazione ha il potere di plasmare le menti di milioni di persone e solo attraverso immagini e racconti veri di ci che accaduto poteva mobilitarsi un grande movimento di protesta che facesse pressione per la fine dei bombardamenti e per la ripresa di un dialogo per la pace. Libert d'opinione e libert di stampa sono state inoltre oltraggiate visto il divieto di entrare a Gaza imposto ai giornalisti. L'unico prodotto di questo stata la spaccatura interna a ci che rimane del Movimento pacifista, che solo attraverso una memoria condivisa potr ritrovare forza e capacit d'azione. Parlare dei sviluppi futuri difficile: molto dipender da ci che far Obama nei primi giorni dal suo insediamento. L'unica strada il dialogo: Hamas una forza politica che ha vinto legittimamente le elezioni nel 2006 (considerate free and fair dagli osservatori internazionali). In quanto forza politica, se ci fossero vantaggi politici nell'affrontare delle trattative per uno stato Palestinese Hamas, come ha gi dimostrato, sarebbe pronta a perseguire questa linea. Se non sar un dialogo diretto, questo passer attraverso il rapporto che il neo-presidente americano stringer con Iran e Siria e su come tenter di gestire il difficile equilibrio mediorientale. Dipender molto anche da chi vincer le elezioni in Israele, o meglio da quanto siano ricattabili dagli USA (ricordo che nel 2005 Sharon si ritirato da Gaza solo perch cos avrebbe ottenuto aiuti per la costruzione delle bypass roads in Cisgiordania). Solo il neo-criminale di guerra Barak sembra disposto a cercare una via diplomatica, mentre il partito Kadima persegue una politica di rifiuto: non c' la volont politica di andare incontro ai Palestinesi. Questa politica unilaterale mostra i veri obiettivi di questa guerra: terrorizzare e uccidere i Palestinesi per distruggere la loro volont di resistenza; radicalizzare il conflitto per accantonare ogni piano di pace duratura per evitare di cedere territori. D'altronde se non si torna ai confini del '67, se non si affronta il problema dei rifugiati, se non si trova una soluzione per Gerusalemme, se non si toglie il blocco economico e l'assedio a Gaza, se non si risolve la crisi umanitaria creata dal massacro, se non si aiuta a pacificare la situazione fra Hamas e Fatah, nessun spiraglio si aprir mai. Hamas per legittimarsi di fronte al popolo palestinese continuer a mostrarsi come unica forza resistente, radicalizzando sempre pi i suoi metodi, di fronte a Fatah ormai totalmente succube della diplomazia internazionale, e quindi di Israele (per la prima volta dal 1965 non ha partecipato alla difesa dei palestinesi, anzi ha represso brutalmente manifestazioni di protesta in Cisgiordania). Un governo palestinese di unit nazionale, oggi pi che mai compromesso, rimane l'unica soluzione. Il primo passo pu essere ascoltare Marwan Barghouti (leader carismatico di Fatah che gode del pi ampio prestigio e sostegno tra i palestinesi, ma anche di 9 ergastoli) che dal carcere ha ribadito la necessit di rinnovare l'Olp, includendovi Hamas e preparando una piattaforma comune. La conclusione cinica e tragica che questa guerra non servita a niente. Di certo non contro il fondamentalismo religioso che pu solo crescere dopo questa ennesima strage, sia fra i palestinesi che all'interno dei paesi arabi moderati (vedere l'aumento dei consensi fra i Fratelli Musulmani d'Egitto). Hamas, anche se provata e divisa al suo interno, attraverso la propaganda e la strumentalizzazione del martirio guadagna consensi. Inutile dire che detiene ancora molte risorse militari. Il sentimento di rabbia arabo e la politica militarista rendono difficile un accordo per tornare al piano Saudita (pace con 22 paesi arabi se Israele si ritira ai confini del '67). Israele per non potr continuare con questa politica dello status quo e dell'apartheid a lungo termine: 1,6 milioni dei suoi cittadini sono arabi (su 7,1) e, comprendendo quelli di Gaza e Cisgiordania, il rapporto ormai favorevole agli arabi. Certo che qualcosa deve cambiare nella politica, nella cultura e nell'anima del popolo israeliano. Se questa guerra ha risvolti elettorali, la responsabilit dell'opinione pubblica, di chi la

manovra ma anche del singolo cittadino, che non si sente responsabile di questi massacri. Non pu bastare il lavaggio di cervello mediatico per mettersi a posto la coscienza dopo una nuova strage in un conflitto iniziato ancor prima che lo Stato d'Israele nascesse. Ci vuole uno scatto culturale, l'aprirsi di un'orizzonte di pace per quella che Nelson Mandela ha ritenuto la questione morale del nostro tempo. Con il fallimento del diritto internazionale, e con la connivenza del mondo occidentale difficile sperare in qualche risvolto politico positivo nel prossimo futuro. E' per necessario fare pressioni in tutti i modi perch ci avvenga: informando in modo critico e libero, manifestando il dissenso e la rabbia in tutti i modi possibili. Dal luglio 2005 una grande coalizione di gruppi palestinesi si appell alla gente di coscienza in tutto il mondo per imporre ampi boicottaggi e attuare iniziative di pressioni economiche contro Israele simili a quelle applicate al Sudafrica all'epoca dell'apartheid. Nacque cos la campagna Boicottaggio, ritiro degli investimenti e sanzioni (Boycott, Divestment and Sanctions), BDS per brevit. In questi ultimi mesi e soprattutto con questa guerra sta crescendo nel mondo (soprattutto in Inghilterra) il sostegno a questa iniziativa, a cui hanno aderito importanti intellettuali, da Eric Hobsbawn, Avi Shlaim e Illan Papp (questi ultimi due nuovi storici israeliani) e altri 500 israeliani, decine dei quali artisti e studiosi rinomati, che hanno inviato una lettera agli ambasciatori la lettera chiede l'adozione immediata di misure restrittive e sanzioni e richiama un chiaro parallelismo con la lotta antiapartheid. Il boicottaggio del Sud Africa fu efficace, Israele invece viene trattato con guanti di velluto.... Questo sostegno internazionale deve cessare. stato un freddo calcolo economico che ha portato molte aziende a tirarsi fuori dal Sud Africa due decenni fa. Ed proprio questo tipo di calcolo la pi realistica speranza di portare giustizia alla Palestina.

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