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LIBERALISMO Interpretazioni e valutazioni storiografiche La storiografia sul liberalismo si in genere confrontata con la difficolt di individuare una definizione esauriente

te di questo fenomeno storico, alla cui base si trovano componenti politiche, dottrinarie e istituzionali. LIBERALISMO E LIBERALISMI. Il termine stato di volta in volta utilizzato per indicare un partito o un movimento politico, un'ideologia, una struttura istituzionale e addirittura una fase, pi o meno delimitata, della storia moderna. Vi sono inoltre sensibili differenze, sia nelle modalit che nei contenuti, tra le forme di liberalismo maturate nei vari paesi. Cos G. De Ruggiero (Storia del liberalismo europeo, 1925) ritenne utile distinguere un liberalismo inglese, francese, italiano, tedesco e inaugur quindi una sorta di storia parallela dei diversi liberalismi nazionali (N. Matteucci), poi ripresa anche da M.W. Cranston (Freedom. A New Analysis, 1953). Altri, sulla scia di T.P. Neil (The Rise and Decline of Liberalism, 1953), ne hanno tentato invece una lettura "ecumenica" e universalistica, che di fatto ha finito per col privilegiare quello anglosassone e atlantico, ri tenuto pi maturo e consapevole rispetto a quello tedesco e italiano (Western Liberalism. A History in Documents from Locke to Croce, a c. di E.K. Braunsted e K.J. Mielhuish, 1978). Sulle peculiarit dell'esperienza italiana e tedesca, dove l'idea liberale fu strettamente intrecciata con quella di unificazione e indipendenza nazionale, hanno peraltro richiamato l'attenzione gli autori di un volume curato da R. Lill e N. Matteucci (Il liberalismo in Italia e in Germania dalla rivoluzione del '48 alla prima guerra mondiale, 1980), nonch, per quanto riguarda la realt dell'impero asburgico, G. Franz (Liberalismus. Die deutsche liberale Bewegung in der Habsburgischen monarchie, 1955; Il movimento liberale tedesco nella monarchia asburgica). D'altro canto anche l'identificazione del liberalismo con una precisa fase storica ha portato a valutazioni discordanti. Mentre i pi vedono le sue origini nella Glorious Revolution inglese del 1688, altri (tra cui B. Croce), guardando pi direttamente all'Europa continentale, collocano il momento d'inizio dell'et liberale nella Restaurazione (1815) e ne vedono la conclusione o nelle rivoluzioni democratiche del 1848 o nel diverso clima politico affermatosi dopo il 1870, quando prevalsero l'imperialismo e le ideologie fondate sul materialismo e sull'irrazionalismo. Per altri ancora, come il gi ricordato De Ruggiero e H.J. Laski (Le origini del liberalismo europeo, 1936, ed. it. 1962), questa et si chiuderebbe invece con la prima guerra mondiale e con la conseguente apparizione di regimi autoritari e totalitari. Anzi, secondo alcuni critici del liberalismo, proprio la sua rapida conversione in forme di fascismo ne rivelerebbe l'intima debolezza e l'incapacit di adattarsi alle nuove esigenze di una societ in trasformazione. la tesi sostenuta, per esempio, dai tedeschi emigrati negli Usa H. Marcuse, M. Horkheimer e, in modo ancor pi netto, R. Khn (Due forme di dominio borghese: liberalismo e fascismo, 1971, ed. it. 1973). PENSIERO, ISTITUZIONI, MOVIMENTI. Per molti studiosi un valido criterio per giungere a una corretta interpretazione del liberalismo quello di distinguere fra la sua valenza ideologica e quella storicoistituzionale. Da un lato quindi abbiamo avuto la storia del pensiero, che muovendo dai primi teorici del laissez faire, attraverso Tocqueville e J.S. Mill, giunta fino al tedesco K. Popper (La societ aperta e i suoi nemici, 1915, ed. it. 1973, che ha posto con forza il problema del rapporto tra libert e conoscenza scientifica), a F.A. von Hayek (La societ libera, 1960, ed. it. 1969) e all'anglo-tedesco R. Dahrendorf (Per un nuovo liberalismo, 1987, ed. it. 1988). Dall'altro lato abbiamo avuto la storia dello stato liberale, che ha visto fra i pi convinti sostenitori N. Matteucci, secondo il quale il liberalismo non va inteso come una semplice

ideologia politica di un partito, ma colto come idea incarnata in istituzioni politiche e in strutture sociali (Liberalismo, in Dizionario di politica, diretto da N.Bobbio, N. Matteucci e G. Pasquino, 1983). Sotto il primo profilo il maggior problema con cui ci si dovuti confrontare stato quello dell'inclusione o meno nel filone liberale del pensiero socialista, inteso come patrocinatore di libert per le categorie sociali pi emarginate e oppresse. Rifiutata dalla storiografia sul liberalismo classico, questa inclusione stata sostanzialmente accettata da diversi storici ed esponenti del liberalismo moderno fra i quali gli statunitensi H.J. Laski, J. Dewey (Liberalismo e azione sociale, 1935, ed. it. 1968) e il francese R. Aron (Essai sur les liberts, 1965). Sull'altro versante, quello della storia politica e istituzionale, l'aspetto che ha destato maggiori interrogativi stato quello del rapporto fra stato liberale e stato assoluto. In proposito N. Matteucci, sulla scia delle tesi di C.H. McIlwain (Costituzionalismo antico e moderno, 1936, ed. it. 1956), ha sostenuto l'idea che il liberalismo, in continuit con la tradizione medievale del governo misto e dello stato limitato dai corpi intermedi e dal bilanciamento dei poteri, si configuri proprio come lotta contro l'affermarsi dello stato assoluto. Altri autori, fra i quali P. Schiera e R. Ruffilli, hanno invece evidenziato che il liberalismo non comport affatto il completo superamento dell'assolutismo monarchico, in quanto molte delle sue componenti tradizionaliste e sacrali, oltre che della sua struttura decisionale autoritaria, vennero ereditate dalla nuova organizzazione statale. Questa interpretazione, che costituisce la riformulazione di una tradizionale tesi marxista, stata avanzata dagli storici tedeschi J. Habermas e R. Koselleck e dall'inglese C. Macpherson, ma ha trovato validi sostenitori in autori francesi come P. Legendre e G. Burdeau, che si sono soffermati in particolare sulla permanenza nello stato liberale di elementi religioso-sacrali, e in altri, come il tedesco W.J. Mommsen e l'inglese E.J.E. Hobsbawm, che hanno sottolineato il mantenimento del controllo aristocratico su settori chiave dell'attivit di governo liberale e borghese, quali la politica estera e militare. Un fecondo filone di studio si rivelato infine quello sul liberalismo come movimento politico. Specialmente negli anni Settanta e Ottanta, con la riscoperta della storiografia politica e con l'individuazione dei ceti borghesi e nobiliari come oggetto privilegiato di indagine, sono apparsi numerosi studi che hanno preso in esame ideologie, programmi e strutture organizzative di partiti e movimenti liberali nei vari paesi europei. Risultano di particolare rilievo, in tale contesto, le ricerche di N. Matteucci, R. Ruffilli, P. Pombeni, R. Romanelli, H. Ullrich sul caso italiano; quelle di T. Zeldin, J.M. Mayeur, R. Remond sul caso francese; quelle di F. Bedarida, J.P. Dunbabin, E.J. Feuchtwanger sul caso britannico; quelle di W.J. Mommsen, L. Haupts, R. Lill, L. Cervelli sul caso tedesco.

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