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ERNESTO SERGIO MAINOLDI

Immediate viam facimus . La teologia dionisiana al bivio dellinterpretazione di Ugo di S. Vittore


Lo ps.-Dionigi Areopagita pu vantare lindiscusso primato di essere lautore di lingua non latina i cui opera omnia hanno conosciuto il maggior numero di traduzioni in latino durante il medioevo. Cinque se ne contano da Ilduino di Saint-Denis, che tradusse il Corpus dionysiacum nell832, ad Ambrogio Traversari, che diede alla luce la sua versione nel 1436. In et rinascimentale si aggiunsero le traduzioni di Marsilio Ficino (1492) e Joachim Prion (1536), tra le quali si inserisce leditio princeps del testo greco prodotta da Angelo Colozio (Firenze, 1516) 1. A questa edizione fece seguito quella, sempre del testo greco, di Guillaume Morel (1562), sulla quale si cimentarono ben quattro traduttori tra il 1615 e il 1634. Impressionante poi il numero di edizioni, ben centoquarantasei, comparse tra la fine del XV e il XIX secolo. Nel Cinquecento, se ne contano novantuno, quasi una allanno. Tanta proliferazione di traduzioni ha costituito il fertile terreno per un confronto di vasta portata, che ha dato vita a una nutrita schiera di commentari e a una familiarizzazione pressoch obbligata per i teologi latini con i temi dionisiani della teologia negativa, della gerarchia, dei simboli simili e dissimili, dei nomi divini e via dicendo. Tanto interesse non si spiega solo con la fiducia riposta per dieci secoli nella pseudo-attribuzione di questo corpus testuale al discepolo di san Paolo menzionato negli Atti degli Apostoli, considerato

1 W.P. GRESWELL, Memoirs of Angelus Politianus, Actius Sincerus Sannazarius, Petrus Bembus, Hieronymus Fracastorius, Marcus Antonius Flaminius, and the Amalthei: translations from their poetical works: and notes and observations concerning other literary characters of the fifteenth and sixteenth centuries, Manchester London, 1801, p. 444n.

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come una sorta di princeps Patrum, come dimostrato dal fatto che la fortuna dellAreopagita non venne meno neanche quando il suo autore venne degradato al rango di pseudo-Areopagita dallirriverente acribia filologica di Lorenzo Valla. Sicuramente la complessit della lingua dellAreopagita motiva lesigenza di una progressiva raffinazione dellinterpretazione dei suoi testi e dei sensi in essi racchiusi, tuttavia, in ultima analisi, non ci sbaglieremmo se additassimo nellutilizzabilit dottrinale della materia dionisiana lelemento maggiormente indiziato di essere il motore della pletora di traduzioni e commenti nei quali si attesta linteresse nutrito dagli autori medievali e post-medievali per questo corpus testuale. La ricchezza dottrinale che caratterizza lopera pseudo-dionisiana non manca peraltro di essere portatrice di una problematicit che ha meritato e ancora merita di essere oggetto di analisi sistematiche, dacch essa si pone come luogo privilegiato per cercare quelle risposte ancora latenti circa le ragioni pi profonde e paradigmatiche del divorzio tra la teologia occidentale latina e la teologia orientale greca, nonch sulle modalit e i limiti di assimilazione da parte degli autori medievali di una fonte teologica tanto vicina al pensiero neoplatonico. Gli esiti del suddetto divorzio lasciano peraltro anche tracce nelle divergenze storiografiche pi recenti. Se infatti la storiografia orientale contemporanea non ha difficolt a riconoscere in Dionigi un autore pienamente inquadrato nel percorso della teologia ortodossa espressa dai Padri, nel quale prendono sviluppo temi gi stabiliti dai Cappadoci e si spiana la via alle grandi opere della maturit della teologia ellenofona, da Massimo il Confessore a Giovanni Damasceno fino a Gregorio Palamas, la storiografia occidentale stata attratta pi dallo ps.-Dionigi filosofo formatosi alla scuola neoplatonica, assumendo come base delle ricerche intorno a questo autore il paradigma della continuit del suo pensiero rispetto a quello degli ultimi neoplatonici, quali Proclo o Damascio, come ben mostra unannotazione programmatica espressa nellintroduzione del pi recente convegno di studi sulla ricezione di Dionigi nel Medioevo: Das sogenannte Corpus Dionysiacum ist, wie dieser Band nachdrcklich unterstreicht, ein auerordentlich einflureicher Traditionsstrang des Neuplatonismus proklischer Prgung bis in die Neuzeit hinein 2.

Die Dionysius-Rezeption im Mittelalter. Internationales Kolloquium in Sofia vom 8. bis 11.

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Questa divergenza storiografica, se presa con la debita seriet, pu essere foriera di non trascurabili implicazioni per quanto riguarda tanto la lettura dellopera dionisiana, quanto la comprensione delle posizioni esegetiche espresse dai suoi commentatori. Ugo di San Vittore stato uno dei pi rilevanti esegeti dionisiani del medioevo e lanalisi della sua posizione costituisce un imprescindibile momento di chiarificazione dei percorsi di ricezione del Corpus dionysiacum in Occidente. Accingendoci allanalisi di questo commento non ci inoltriamo su un terreno inesplorato, dal momento che il commento di Ugo a Dionigi e in senso lato la disamina della ricezione dionisiana nellopera del maestro vittorino ha pi volte richiamato lattenzione di teologi e medievisti, i quali hanno saputo mettere in luce quanto il maestro vittorino abbia ripreso dallo ps.-Areopagita e in che cosa se ne sia discostato, anche se forse manca ancora una lettura storiografica di ampio respiro a proposito di questo incontro e delle sue implicazioni 3. Il commento di Ugo costituisce uno dei principali episodi dellesegesi latina allo ps.-Areopagita e come tale si afferm gi nella storiografia medievale, come dimostrato dallesser stato inserito

April 1999 unter der Schirmherrschaft der Socit Internationale pour ltude de la Philosophie Mdivale, cur. T. BOIADJIEV G. KAPRIEV A. SPEER, Turnhout, 2000 (Rencontres de Philosophie Mdivale, IX), p. VII. Accanto a questa annotazione va ricordata la recente proposta di identificazione dello ps.-Dionigi con il filosofo neoplatonico Damascio: C.M. MAZZUCCHI, Damascio, autore del Corpus dionysiacum, e il dialogo PERI POLITIKHS EPISTHMHS, in Aevum, LXXX (2006), pp. 299-334. 3 H. WEISWEILER, Die Ps.-Dionysiuskommentare In Coelestem Hierarchiam des Skotus Eriugena und Hugo von St. Viktor, in Recherches de Thologie ancienne et mdivale, XIX (1952), pp. 26-47; D. LUSCOMBE, The Commentary of Hugh of Saint-Victor on the Celestial Hierarchy, in Die Dionysius-Rezeption im Mittelalter cit., pp. 159-175; R. ROQUES, Structures thologiques. De la gnose Richard de Saint Victor, Paris, 1962, pp. 294-364 (cap. II: Connaissance de Dieu et thologie symbolique daprs lIn Hierarchiam coelestem Sancti Dionysii de Hugues de Saint-Victor ); J. CHTILLON, Hugues de Saint-Victor critique de Jean Scot, in Jean Scot rigne et lhistoire de la philosophie, Colloques Internationaux du CNRS No. 561 (Laon, 7-12 juillet 1975), cur. R. ROQUES, Paris, 1977, pp. 404-431; N. REALI, N mero segno n solo simbolo, ma sacramento. Per una rilettura della categoria di sacramento nella teologia di Ugo di San Vittore, in Reportata. Passato e presente della teologia, VIII, 1 (2010) (http://mondodomani.org/reportata/reali01.htm).

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nel Corpus dionysiacum dellUniversit di Parigi del XIII secolo, formando con i commenti eriugeniani il grosso della materia esegetica che correda quello che possiamo considerare come il pi importante strumento realizzato dallerudizione medievale al fine dello studio del testo dionisiano 4. La fortuna del commento di Ugo, secondo il censimento di Rudolf Goy 5, attestata da 81 copie, a cui se ne aggiungono 13 trasmettenti excerpta e 11 in cui il Commento di Ugo inserito nella raccolta testuale Compellit me e nei manoscritti del Corpus dionysiacum dellUniversit di Parigi del XIII secolo. Una cos cospicua fortuna rischia tuttavia come avviene per tutte le opere che si affermano come riferimento in un determinato ambito di mettere in secondo piano il contesto culturale che ne determin la stesura e le stesse ragioni che spinsero il suo autore a realizzarla. Di fronte a uno dei principali teologi di quella che possiamo considerare come let di mezzo dellet di mezzo il XII secolo , che commenta un testo ritenuto di mano di un Padre di et apostolica, si sarebbe tentati di sorvolare sulle motivazioni che possono aver determinato la scrittura di questa opera, seguendo quella che la prima risposta che ci viene suggerita dalla storiografia dellanodino, ossia rispondendo che un grande autore medievale commenta un grande autore apostolico perch questo il normale processo di trasmissione della cultura. Tuttavia la cultura non si trasmette per inerzia bens per affinit e necessit. Bisogna dunque chiedersi perch Ugo abbia ritenuto necessario commentare Dionigi. Di primo acchito potremmo rispondere che si assimila meglio un autore che si commenta: Ugo, come tanti autori medievali prima e dopo di lui, non pu sottrarsi al confronto con la teologia dionisiana, i cui temi giocheranno un ruolo in diverse sue opere, a partire dal De sacramentis 6.
Cfr. H.F. DONDAINE, Le corpus dionysien de luniversit de Paris au XIIIe sicle, Roma, 1953. 5 R. GOY, Die berlieferung der Werke Hugos von St. Viktor. Ein Beitrag zur Kommunikationsgeschichte des Mittelalters, Stuttgart 1976 (Monographien zur Geschichte des Mittelalters, XIV), n 51, pp. 181-195. 6 Cfr. REALI, N mero segno n solo simbolo cit., passim.
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Il commento costituisce la principale modalit di assimilazione di un testo ed indispensabile qualora si abbia una cerchia di lettori a cui aprirne i significati: nel caso di Ugo questa cerchia costituita dai suoi discepoli, ai quali egli stesso si rivolge allinizio del terzo libro:
Prima vi ho detto, e qui lo ribadisco, per non tenervi in sospeso, che ho accolto la vostra richiesta di affrontare la Gerarchia [celeste] di Dionigi, non con lidea di addentrarmi nellesame approfondito della materia, ma giusto per porre allo scoperto le fondamenta e mettere in luce la superficie delle parole. Questo infatti pi adatto a coloro che vi devono essere introdotti, soprattutto poich consideriamo gli argomenti che abbiamo messo in conto di trattare come troppo vasti e al di l delle nostre possibilit 7.

Il fatto che i primi manoscritti del Commento di Ugo non riportino il testo dionisiano, che entra a corredare il commentario solo in una fase successiva della tradizione 8, avvalora lipotesi che il lavoro esegetico ugoniano sul testo dello ps.-Areopagita nascesse in un contesto scolastico in cui si leggeva il Corpus dionysiacum, onde non era necessario trascriverne il testo per intero nel commento, ma anche dimostra come, successivamente, lopera di Ugo avesse iniziato a circolare al di fuori della cerchia scolare originaria, onde linserzione del testo dionisiano si era resa necessaria per quei lettori che non avevano sottomano il testo dello ps.-Dionigi. Nella ricerca delle motivazioni che possano aver indotto Ugo in questa impresa dobbiamo allargare le nostre considerazioni al contesto culturale del XII secolo, cosa che ci porta a constatare come il maestro vittorino non fu affatto il solo durante il suo tempo a redigere un commento a uno o pi libri del Corpus dionisiano: tra i

7 Primum dixi, et dico nunc, ne vos expectatione detineam, quod in hierarchiam Dionysii petitionem vestram suscepi, non ut profunda rerum scrutari persequar, sed ut detegam solum, et in lucem exponam tecta verborum. Hoc enim introducendis primum magis conveniens est: praecipue quia illa, quae disserenda censuimus, magna nimis, et supra nostram possibilitatem agnoscimus (HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, III, 2, P.L., CLXXV, col. 960D). In attesa di unedizione critica aggiornata dobbiamo accontentarci di citare il testo secondo ledizione offerta dalla Patrologia Latina. 8 Devo queste informazioni a Dominique Poirel, che in procinto di dare alle stampe una nuova edizione del commento di Ugo alla Gerarchia celeste dello ps.-Dionigi.

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principali nomi possiamo citare quelli di Guglielmo di Lucca, allievo di Gilberto di Poitiers, che scrisse un Commentario sui Nomi divini 9 e uno, oggi perduto, sulla Gerarchia ecclesiastica, poi quello del benedettino Erveo di Bourgdieu, di cui segnalato un commento, anchesso perduto, alla Gerarchia celeste, e quello di Giovanni Saraceno, che intorno alla met del secolo doveva rivedere la traduzione eriugeniana del Corpus e avrebbe commentato la Gerarchia celeste in anni precedenti a Ugo; un altro commento alla Gerarchia celeste sarebbe infine attestato prima del 1170 per mano di Boto di Prfening, senza contare diverse altre attestazioni minori 10. Possiamo pensare che questa proliferazione, sebbene sia del tutto lontana dal giustificare lipotesi di un Dodicesimo secolo come aetas dionysiana, valga se non altro a identificare unaetas dionysiana trasversale al Dodicesimo secolo, che non si giustifica solo con una scontata attrazione verso linesauribile originalit teologica e filosofica dei testi di Dionigi, ma trova la sua principale motivazione in ragione dei paradigmi storiografici in gioco, che ci consentono di osservare come lopera dello ps.-Areopagita si trov al centro di un vasto contesto di lettura e di interessi che non si erano mai verificati prima del XII secolo e che possono essere ricondotti alla trasformazione della cultura teologica che si verific durante quel secolo. La lettura del primo, introduttivo, capitolo del Commento di Ugo alla Gerarchia celeste ci offre un esplicito ragguaglio circa la consapevolezza da parte del maestro vittorino di dover intervenire come per correggere alcuni percorsi esegetici che si erano affermati nelle recenti interpretazioni del testo dionisiano. Delineando le differenze tra la mundana theologia e la divina theologia 11 e muovendo dal riferimento al luogo paolino che contrappone la ricerca della sapienza, da parte dei Greci, e di segni, da parte dei Giudei 12, e la

9 WILHELMUS LUCENSIS, Comentum in tertiam hierarchiam Dionisii que est de divinis nominibus, ed. F. GASTALDELLI, Firenze, 1983. 10 Per una rassegna esaustiva delle tracce di commenti perduti al Corpus dionisiano o florilegi di questo cfr. D. LUSCOMBE, The Commentary of Hugh of Saint-Victor on the Celestial Hierarchy, in Die Dionysius-Rezeption im Mittelalter cit., pp. 163-164. 11 Cfr. HUGO DE SANCTO VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., coll. 923B-925D. 12 Iudaei signa quaerunt, et Graeci sapientiam (1 Cor 1, 22).

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vera sapienza costituita dal Verbo divino incarnato, Ugo arriva ad accordare un valore alla conoscenza pertinente alla natura inferiore (natura inferior) , basata sulle artes e sulle scienze ereditate dalla cultura precristiana (riferite nella loro classica divisione epistemologica di logica, ethica, mathematica e physica), cio a quelle conoscenze per cui sufficiente il lumen intelligentiae e lacumen ingenii 13. Questa divisione del sapere, che costituisce una legittimazione dellutilizzabilit delle conoscenze degli antichi da parte dei cristiani, seppur in base a una netta distinzione di ambiti, secondo Ugo sarebbe stata recentemente messa in questione dalla pretesa di riconoscere nelle forme visibili (simulacra) una modalit diretta della rivelazione divina, ricadendo dunque nellinganno delle immagini (corruere coeperunt in mendacia figmentorum) 14. Ugo ammette s, biblicamente, che la natura dimostra lesistenza del Creatore, ma essa non pu darne una piena dimostrazione, instaurando al massimo una similitudo peregrina, cio estranea e impropria 15. Lerrore a cui Ugo fa riferimento, consiste nel voler andare con la mente dalle cose che si possono conoscere e commisurare a quelle che non possono essere viste, motivo per cui questa sedicente teologia, falsa ed erronea (theologia vanitatis et deceptionis), addita come venerabili false immagini divine 16. Con lintento di distinguere meglio un soggetto cos delicato Ugo ricorda che due sono gli ordini

Cfr. HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 925D. Novissime autem theologiam pro ratione divinorum, et scrutatione invisibilium quasi consummaturi sapientiam addixerunt, ut ipsi putaverunt, consummaturi; sed vere amissuri, et veram non inventuri. Nam, ibi corruere coeperunt in mendacia figmentorum, et assumpserunt species visibiles simulacra divinorum, ut invisibilia viderent per ea, quae videbantur et erat ibi simile aliquid, sed de longe ostendens, quod quaerebatur, neque lucem ingerens oculis caligantibus (HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., coll. 925D-926A). 15 Natura enim ad servitutem condita Creatorem suum demonstravit; sed erat similitudo peregrina ad excellentem, et dominantem majestatem. Neque potuit evidentem declarationem invenire in iis omnibus illa, quae docenda fuerat natura, quoniam, et ipsa sana non erat, ut multum claresceret in contemplationem (HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 926A). 16 Propterea erraverunt, et evanuerunt, cum transire vellent mente ea quae sola nosse acceperant et palpantes aestimationibus ad ea quae videri non poterant, caeci inventi sunt qui se videre putaverunt. Haec sunt simulacra errorum, quae theologia (sic enim ipsi vo14

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di immagini (simulacra) attraverso cui gli uomini possono contemplare le realt invisibili: il primo quelle delle forme visibili, che permettono di conoscere la natura creata da Dio, il secondo quello della natura umana di Cristo, che ha permesso alluomo di conoscere la grazia divina 17. Tuttavia se Dio si mostra in entrambi gli ordini di immagini, non in entrambi viene compreso allo stesso modo, dal momento che la natura si limita a mostrare, mentre la rivelazione data da Cristo illumina i cuori degli uomini con la verit 18. Sulla base di questi presupposti si comprende dunque il limite della mundana theologia, la quale, avvalendosi delle immagini visibili, non pu accedere alle verit incomprensibili, che possono essere colte solo dalla divina theologia (quella cio che muove dallIncarnazione del Verbo, o meglio dalla sua enarrabilit piuttosto che dalla sua visibilit) 19. Ugo intende porre un limite alle pretese gnoseologiche di una teologia che si avvale dellimmagine per assurgere a una conoscenza propria del divino, cosa che sembrerebbe aver fatto breccia nelle riflessioni dellepoca. Precisando linquadramento epistemologico della theologia, Ugo ci dice che essa , insieme alla matematica e alla fisica, una parte

caverunt studium, quo divina scrutari crediderunt) vanitatis eorum, et deceptionis praedicat veneranda (HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 926A-B). 17 Duo enim simulacra erant proposita homini, in quibus invisibilia videre potuis set: unum naturae, et unum gratiae. Simulacrum naturae erat species hujus mundi. Simulacrum autem gratiae erat humanitas Verbi (HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 926B-C). 18 Et in utroque Deus monstrabatur, sed non in utroque intelligebatur; quoniam natura quidem specie sua artificem demonstravit, sed contemplantis oculos illuminare non potuit. Natura enim demonstrare potuit, illuminare non potuit. Et mundus Creatorem suum specie praedicavit, sed intelligentiam veritatis cordibus hominum non infudit (HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 926C-D). 19 Haec est distantia theologiae hujus mundi ab illa, quae divina nominatur theologia. Impossibile enim est invisibilia, nisi per visibilia demonstrari: et propterea omnis theologia necesse habet visibilibus demonstrationibus uti in invisibilium declaratione. [...] Et idcirco mundana theologia parum evidenti demonstratione utens, non valuit incomprehensibilem veritatem sine contagione erroris educere, cum divina noscitur theologia simplici, ac pura assertione praedicare (HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 927A).

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della scienza theorica, la quale a sua volta, insieme alla logica e allethica, parte della philosophia; arrivando a una definizione di cosa sia la theologia, il maestro vittorino ribadisce limportanza dellexemplar gratiae, e richiama come la conoscenza teologica proceda attraverso una progressiva ascensione dalle cause visibili a quelle invisibili, verso la conoscenza delle nature invisibili, aggiungendo tuttavia che la teologia praticata dai sapienti di questo mondo non pu arrivare a una piena conoscenza di queste nature, non disponendo del modello visibile della grazia, che il Cristo incarnato, umile nella sua parvenza, irresistibile nel suo manifestare la verit 20. Ugo, concludendo questo primo capitolo, programmatico e metodologico, richiama come la comprensione della Gerarchia di Dionigi debba innanzitutto rendere chiaro il problema teologico che si dipana dietro la sua lettura. Il preambolo relativo alla conoscenza delle cose invisibili attraverso quelle visibili ci restituisce dunque un indizio delle preoccupazioni che muovevano il maestro vittorino nellesegesi del testo dionisiano, cio laffermarsi di un paradigma teologico che dava alle immagini visibili un ruolo conoscitivo circa le realt divine che finora la riflessione teologica non era stata disponibile ad accogliere 21. La lettura del secondo capitolo del Commento utile per comprendere con maggiore precisione su quali aspetti si focalizzassero le preoccupazioni di Ugo. In esso infatti ritorna con forza il problema del ruolo delle forme visibili nella conoscenza teologica. Chia-

Per visibiles enim visibilium formas pervenitur ad invisibiles visibilium causas; et per invisibiles visibilium causas ascenditur ad invisibiles substantias, et earum cognoscendas naturas. Hic autem summa philosophiae est, et veritatis perfectio, qua nihil altius esse potest animo contemplanti. In hac sapientes hujus mundi propterea, sicut jam diximus, stulti facti sunt; quia solo naturali documento secundum elementa et speciem mundi incedentes, exemplaria gratiae non habuerunt: in quibus etsi species erat humilis, sed manifestior praestabatur demonstratio veritatis (HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 928A-B). 21 Haec nunc de theologia dixisse sufficiat propter hierarchiam Dionysii, in quam explanationis gratia aliqua dicenda suscepimus. Omnis enim hierarchia theologiae supponitur; et necesse erat introducendis ad lectionem hierarchiae aliqua de theologia praemittere, ad definiendam materiam ejus, quae tota in invisibilibus consistit substantiis, et earum naturis similiter invisibilibus visibili documento utens ad demonstrationem sui (HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 928B).

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mato a misurarsi con i concetti di simbolico e anagogico 22, elementi cardine del pensiero dionisiano, Ugo ribadisce lopposizione tra la conoscenza attraverso le forme visibili e la rivelazione. Mentre in Dionigi i simboli hanno in s un valore anagogico, Ugo si sforza di dare ai due concetti valenza opposita: i simboli sono manifestazioni visibili delle cose invisibili 23, e dunque in base a quanto detto sopra hanno valore limitato, mentre lanagogia pura e informale rivelazione 24. Questi due concetti, nei quali si riassumono i due modi della rivelazione divina, vengono ricondotti da Ugo al comune denominatore delle theophaniae, definite divinae apparitiones , attraverso le quali le rivelazioni vengono infuse nelle menti dei teologi e dei profeti 25.

Illustrando il simbolismo delle penne, Dionigi dice infatti nel XV capitolo della Gerarchia celeste: Propter quod et pennatos theologia sanctorum intellectuum figurauit pedes: Pennatum namque significat anagogicam uelocitatem, et caeleste sursum uersus itineris actiuum et ab omni humili per sursum ferens remotum; Ipsa uero pennarum leuitas nihil terrenum sed totum munde et sine grauitate in excelsum ascendens (DIONYSIUS AREOPAGITA secundum translationem quam fecit IOHANNES SCOTUS ERIUGENA, De caelesti hierarchia, in Dionysiaca, ed. Ph. CHEVALIER et al., Brgge, 1937, pag. 1008, col. 7; P.L., CXXII, col. 1067A). Giovanni Scoto, a sua volta, concepisce i concetti di simbolico e anagogico come complementari: Et hoc est quod subiunxit: ET AB IPSIS SYMBOLICE NOBIS ET ANAGOGICE MANIFESTATAS CELESTIVM ANIMORVM IERARCHIAS, QVANTVM POTENTES SVMVS, INSPICIEMVS, hoc est: per ipsas diuinorum eloquiorum illuminationes, in mentibus propheticis a Deo traditas, non per se ipsas, uerum per symbola, hoc est per signa sensibilibus rebus similia, aliquando pura, aliquando dissimilia et confusa, et per anagogen, hoc est per ascensionem mentis in diuina mysteria, contemplabimur, quantum nobis sinitur, manifestatas celestium intellectuum dispositiones (IOHANNES SCOTUS ERIUGENA, Expositiones in hierarchiam caelestem, ed. J. BARBET, Turnhout, 1975, C.C.c.m., XXXI, I, pp. 7-8, rr. 256ss.). 23 Symbolum est collatio formarum visibilium ad invisibilium demonstrationem (HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 941B). 24 Cum vero puro pura et nuda revelatione ostenditur, vel plana et aperta narratione docetur, anagogica (HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 941D). 25 Anagoge autem ascensio, sive elevatio mentis est ad superna contemplanda. Notat autem hic duplicem modum revelationis divinae, quae theologorum et prophetarum mentibus infusa est per visiones et demonstrationes, quas Graeci theophanias appellant, id est divinas apparitiones. Quoniam aliquando per signa sensibilibus similia invisibilia demonstrata sunt, aliquando per solam anagogen, id est mentis ascensum, in superna pure contemplata. Ex his vero duobus generibus visionum, duo quoque descriptionum genera in sacro eloquio sunt formata. Unum, quo formis, et figuris, et similitudinibus rerum occultarum veritas adumbratur. Alterum, quo nude et pure sicut est absque integumento expri-

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Anche in questo caso possiamo renderci conto della distanza tra questa interpretazione e il modo in cui Dionigi intende le theophaniae, considerandole cio come intrinsecamente e specificamente collegate allambito formale, se non proprio alla visione 26. Sebbene in seguito Ugo ritorni sul tema della teofania, misurandosi con linterpretazione dionisiana, egli cerca sempre di sforzare il concetto portandolo sul versante dellilluminazione (intesa in senso metaforico) piuttosto che su quello della visione 27. Ci sembra dunque importante soffermarci sui contorni di come Ugo affronti il tema delle theophaniae, poich in esso il problema di metodo teologico relativo alla gnoseologia per visionem appare emergere in maniera stringente. Ritornando nel secondo capitolo sul significato di theophania, Ugo apre a un certo punto una veemente polemica contro quellinterpretazione di questo teologumeno che egli attribuisce a non meglio specificati quidam, dietro i quali possiamo tuttavia riconoscere una precisa concezione teologica, secondo la quale Dio non conoscibile se non attraverso theophaniae 28. Per Ugo questa posizione

mitur. Cum itaque formis, et signis, et similitudinibus manifestatur, quod occultum est, vel quod manifestum est, describitur, symbolica demonstratio est. Cum vero puro pura et nuda revelatione ostenditur, vel plana et aperta narratione docetur, anagogica (HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 941B-D). 26 Theophaniae autem sanctis factae sunt secundum decentes deum perque quasdam sacras uidentibus proportionalium uisionum manifestationes. Ipsa igitur sapientissima theologia uisionem illam quae in ipsa est descripta reuelauit diuinam quasi in forma informium similitudinem ex uidentium in diuinum reductione pulchre uocari theophaniam, quasi per ipsam uidentibus diuina facta illuminatione, et quid diuinorum ipsis sancte perficientibus (DIONYSIUS AREOPAGITA secundum translationem quam fecit IOHANNES SCOTUS ERIUGENA, De caelesti hierarchia, ed. cit., pp. 808; P.L., CXXII, col. 1047B). 27 Speculantur etiam per eamdem illuminationem intellectualia, subaudi symbola, id est spirituales theophanias, id est divinas manifestationes, per quas eis intus occultae, et invisibilis divinitatis natura manifestatur (HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 1053D). 28 Multa quidem hic dicenda fuerant de hoc contemplationis genere, quo theophaniae, id est divinae apparitiones divinitus aspiratae mentibus illuminandis superveniunt, et eas de occultis et invisibilibus Dei miro, et abscondito, et secreto, et singulari modo erudiendo sapientes efficiunt: praecipue quoniam et hic quoque quidam in cogitationibus suis evanuisse inveniuntur, Deum rationali animo omnino incomprehensibilem et inaccessibilem, praedicantes, praeterquam quod theophaniis quibusdam, id est divinis apparitionibus,

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equivarrebbe a sostenere la presenza di intermediari tra Dio e gli animi razionali, cosa che verrebbe a contraddire il principio dellimmediatezza tra lintelletto umano e Dio, aspetto questo che non poteva certo essere trascurato da un teologo fedele alla riflessione di Agostino quale fu Ugo 29. Non da ultimo questa posizione comporterebbe limpossibilit della conoscenza della verit in s 30. Ugo rifiuta dunque in modo categorico tanto questa concezione delle theophaniae quanto la concezione apofatica della verit che vi sottesa 31, e vi contrappone una lettura diversa, per la quale egli interpreta in senso allegorico la lucentezza delle teofanie, ammonendo che non si pongano intermediari tra le creature intellettuali e Dio, essendo limmediatezza garanzia della beatificazione: Sic ergo non constituimus alium inter Deum nostrum et nos, sed immediate viam facimus 32.

vel similitudinibus divinis in contemplationem propositis, de ipso eruditur. Ipsa autem quasi quaedam simulacra absconditae Divinitatis inter rationales animos ac Deum media ponunt, altiora quidem mente, inferiora autem Divinitate. Et hoc quidem solum de Deo videri, et in hoc solo Deum videri, utpote qui in ipso a nulla mente vel animo videri possit (HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 954D). 29 In merito al tema dellimmediatezza Agostino aveva espresso una posizione inequivocabile: ...religet ergo nos religio uni omnipotenti deo, quia inter mentem nostram, qua illum intellegimus patrem et ueritatem, id est lucem interiorem, per quam illum intellegimus, nulla interposita creatura est (AUGUSTINUS HIPPONENSIS, De uera religione, ed. K.D. DAUR, Turnhout, 1962, C.C.S.L., XXXII, cap. 55, r. 122). 30 Haec vero simulacra sunt eorum, et phantasmata vanitatis: in quibus dum solum Divinitatis lucem visibilem et perceptibilem conantur asserere, veram Deitatis cognitionem et visionem mentibus sanctis probantur auferre. Quid est enim in illis solum Deum videri, et extra illa non videri, nisi nunquam vere videri, et verum nunquam videri? Si enim imago sola semper videtur, et veritas nunquam videtur, quoniam imago veritas non est, etiam cum de veritate est (HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., coll. 954D-955A). 31 Tollant ergo phantasias suas, quibus lumen mentium nostrarum obumbrare nituntur; neque nobis Deum nostrum simulacris autumationum suarum intersepiant; quia nos sicut satiare non potest aliquid praeter ipsum, ita nec sistere usque ad ipsum (HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 955 A). 32 Ipsas igitur theophanias alio modo, et veritati consentaneo existimemus. Sicut enim duo sunt, lumen et quod suscipit lumen corpus: et ex his duobus unum efficitur lucens, et ipsum lucens imago quodammodo est, et similitudo luminis, in eo quod lucet sicut ipsum lumen; ita et Deus noster lumen est, et verum lumen est, et ipsum lumen rationales animi mundi et puri concipiunt: et ex eo lucentes fiunt, et non sunt ipsi imago luminis

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Pi oltre Ugo ribadir che non si deve accordare alla theophania lo statuto di intermediario, aggiungendo questa volta un particolare decisivo, cio parlando di theophaniae come creaturae:
Et propterea quia proxima Deo est, idcirco theophaniae, id est divinae apparitiones, vel manifestationes, sive illuminationes primo operantes, a creatore scilicet in creaturam, non per creaturam (illae enim primae sunt operationes divinae illuminationis in creaturam sive creatura, secundae per creaturam in creaturam) 33.

Tutti questi elementi ci guidano con un buon margine di certezza a riconoscere nellinsegnamento di Giovanni Scoto Eriugena loggetto della critica di Ugo, in particolare la tesi per cui la verit inattingibile in modo diretto 34. La preoccupazione di Ugo, che pur segue Eriugena nellammettere la creaturalit delle theophaniae, era evidentemente quella di contrastare laffermazione di una teologia apofatica che presuppone una relazione tra uomo e Dio mediata da intermediari creaturali 35.

in eo quod sunt; sed in eo quod lucent ex lumine, sicut ipsum lumen lucet; et sunt ipsa lucentia theophaniae luminis, in quibus lumen videtur, quoniam a nullo lumen videretur, si nullus a lumine illuminaretur. Nam et qui in se lumen videt, lucentem se videt; qui profecto non videret, si non luceret, et se lucentem non videret. Sic ergo non constituimus alium inter Deum nostrum et nos, sed immediate viam facimus, et nobis ad ipsum, et ipsi usque ad nos, ut simus in ipso, et ipse in nobis: ut non sit aliud extra ipsum, in quo beatificemur, sicut aliud esse non potuit praeter ipsum, a quo crearemur (HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 955A-C). 33 Cfr. HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 1035B. 34 Ac breui sententia beatus Dionysius docet nos incunctanter, non solum humanos animos adhuc in carne detentos per sensibilia symbola, uerum etiam angelicos intellectus omni carnali grauitate absolutos per inuisibiles significationes quas theophanias nominat, ipsam ueritatem cognoscere, quoniam per seipsam nulli creature, seu rationabili seu intelligibili, comprehensibilis est, super omnem sensum et intellectum exaltata, omni uisibili et inuisibili creatura remota (IOHANNES SCOTTUS ERIUGENA, Expositiones in hierarchiam caelestem, ed. cit., I, p. 17, rr. 596ss.). 35 Linos Siassos si sofferma sulloriginalit dellinterpretazione eriugeniana delle teofanie rispetto a Dionigi, sostenendo linfedelt dellesegesi dellIrlandese rispetto agli intenti della teologia dionisiana: chez Denys il ny a pas de place pour situer une thorie des thophanies cres (L. SIASSOS, Des thophanies cres? Anciennes interprtations de la Ie Lettre de

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In relazione alla fortuna che lopera di Eriugena aveva conosciuto nel XII secolo, va rimarcato in particolare come proprio il tema delle theophaniae abbia ricevuto una considerevole attenzione, lasciando ampie tracce nellopera di autori di scuola cisterciense e porretana, quali, ad esempio, Guglielmo di Saint-Thierry 36, Isacco della Stella 37, Alano di Lilla 38, Rodolfo Ardente 39, Guarniero di Rochefort 40 o Simone di Tournai 41. Lo stesso Ugo dedic uno scritto specifico a questo argomento, il De theophania multiplici, ma vi torn anche in altre opere, come il De unione corporis et spiritus. In base a svariati raffronti testuali possiamo renderci conto di come Ugo sia debitore verso lesegesi eriugeniana: le stesse espressioni pi ricorrenti in Ugo, come multiplex theophania o divina apparitio, sono infatti definizioni coniate dal maestro irlandese.

Denys lAropagite, in Denys lAropagite et sa posterit en Orient et en Occident. Actes du Colloque International. Paris, 21-24 septembre 1994, Paris, 1997, p. 235). Cfr. inoltre ROQUES, Structures thologiques cit., pp. 345ss. Va peraltro detto che Eriugena non sostiene che ogni teofania debba essere necessariamente creaturale. 36 GUILLELMUS DE SANCTO THEODORICO, De natura et dignitate amoris, in Guillaume de Saint-Thierry. Deux traits sur la foi: le miroir de la foi, lnigme de la foi, ed. M.-M. DAVY, Paris 1953 (Bibliothque des textes philosophiques), p. 84; ID., Expositio super Cantica Canticorum, ed. P. VERDEYEN, Turnhout, 1997 (C.C.c.m., LXXXVII), XXXII, 150. 37 ISAAC DE STELLA, Epistula de anima, P.L., CXCIV, col. 1888B. 38 ALANUS AB INSULIS, Distinctiones dictionum theologicalium, P.L., CCX, col. 780A; Expositio prosae de angelis, in ALAIN DE LILLE, Textes indits avec une introduction sur sa vie et ses oeuvres, ed. M-Th. DALVERNY, Paris, 1965 (tudes de philosophie mdivale, LII), p. 203; Hierarchia Alani, in ALAIN DE LILLE, Textes indits cit., pp. 226-229; Summa Quoniam homines , ed. P. GLORIEUX, in Archives dhistoire doctrinale et littraire du moyen ge, XX (1954), I, 1, p. 138; II, 1, pp. 282-284. 39 RADULFUS ARDENS, Speculum universale, ms. Paris, Bibliothque Nationale de France, lat. 3229, ff. 43r-v, 44r; la paternit delle citazioni viene attribuita a Iohannes Crisothonius, verosimile corruzione di Chrysostomus, epiteto con il quale non infrequentemente era indicato Giovanni Scoto; cfr. H.-F. DONDAINE, Cinq citations de Jean Scot chez Simon de Tournai, in Recherches de thologie et philosophie mdivales, XVII (1950), p. 308, n. 17; M. CAPPUYNS, Jean Scot rigne. Sa vie, son oeuvre, sa pense, Paris, 1933, p. 184, n. 6. 40 Cfr. N. HRING, John Scottus in Twelfth-Century Angelology, in Eriugena redivivus cit., pp. 159-161. 41 Cfr. E.S. MAINOLDI, Linfluenza eriugeniana sulla dottrina della beatitudo nel XII secolo, in De vita beata. La felicit nel Medioevo . Atti del XIII Convegno della Societ Italiana per lo Studio del Pensiero Medievale (Milano, 12-13 settembre 2003), Leuven, 2005, pp. 158ss.

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IMMEDIATE VIAM FACIMUS Hugo de S. Victore, De theophania multiplici Theophania est apparitio divina. Ipsa est similitudo divina, in qua apparet et manifestatur Deus. Si quis omnem creaturam theophaniam dixerit, non errabit. Theophania potentiae est creaturarum magnitudo: theophania sapientiae, creaturarum pulchritudo; theophania bonitatis, creaturarum utilitas. Omnis creatura aliquam similitudinem habet cum Deo. Prima similitudo creaturae ad Deum est quod est. Secunda quod una est, quia omne quod est in hoc est quod unum est 42. Iohannes Scottus Eriugena

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...multiplex theophania, in genera quidem, in species numerosque visibilium et invisibilium naturarum 43. In angelicis uero intellectibus earum rationum theophanias quasdam esse, hoc est comprehensibiles intellectuali naturae quasdam diuinas apparitiones, non autem ipsas rationes, id est principalia exempla, quisquis dixerit non, ut arbitror, a ueritate errabit 44. Ideoque omnis uisibilis et inuisibilis creatura theophania (id est diuina apparitio) potest appellari 45.

La dipendenza di Ugo da Eriugena si spinge dunque ben al di l dellutilizzo della Versio Dionysi prodotta dallIrlandese, ma affonda nelle pieghe esegetiche delle Expositiones in Hierarchiam caelestem e del Periphyseon. Tuttavia a fronte di una indiscutibile ricezione testuale positiva, non altrettanto possiamo dire della ricezione dottrinale. Le divergenze esegetiche che abbiamo riscontrato in Ugo rispetto a Eriugena, ma anche allo stesso Dionigi, alle quali si affiancano gli spunti polemici che il Vittorino rivolge alle scelte di traduzione effettuate dallIrlandese, basandosi sulle glosse di Anastasio il Bibliotecario 46, ci fanno capire come uno dei principali scopi del commento di Ugo sia stato quello di rettificare unimpostazione esegetica che si era diffusa tra gli autori del suo tempo, riconducibile a Giovanni Scoto e al suo Fortleben nel XII secolo. Ci avviciniamo cos a rintracciare uno dei principali moventi storiografici del commento ugoniano, dei cui contenuti non dunque possibile arrivare a una piena comprensione senza il riferimento a Giovanni Scoto. Un ulteriore problema non meno secondario da Ugo riscontrato nella teologia dionisiano-eriugeniana, la trattazione della

HUGO DE S. VICTORE, De theophania multiplici, et in quibus est praecipua divina apparitio, P.L., CLXXVII, col. 518B-C. 43 IOHANNES SCOTTUS ERIUGENA, Versio Dionysii, Ad Karolum regem praefatio, P.L., CXXII, col. 1034C. 44 IOHANNES SCOTTUS ERIUGENA, Periphyseon, ed. . JEAUNEAU, Turnhout, 1996 (C.C.c.m., CLXI-CLXV), I, 446C. 45 IOHANNES SCOTTUS ERIUGENA, Periphyseon, ed. cit., III, 681A. 46 Cfr. CHTILLON, Hugues de Saint-Victor critique de Jean Scot cit., p. 418; H.-F. DONDAIe NE, Le corpus dionysien de luniversit de Paris au XIII sicle cit., p. 55.

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dottrina eucaristica. Non ci possiamo qui dilungare su questo tema, perch andrebbe affrontato nel rispetto della valutazione della percezione del problema dopo la querelle tra Berengario e Lanfranco, nella quale il nome di Giovanni Scoto era rimasto coinvolto 47. Ci interessa solo notare in che modo Ugo mette in critica la lettura eriugeniana della dottrina eucaristica dello ps.-Dionigi, dacch ritroviamo analogie testuali, oltre che dottrinali, con la critica alla dottrina degli intermediari e al problema della conoscenza per immagini: anche in relazione a queste problematiche ritroviamo nel commento di Ugo il problema delleucaristia come imago, e la critica rivolta ancora a non meglio precisati quidam, ai quali il Vittorino attribuisce posizioni che egli ritiene insostenibili:
Et Jesu participationis ipsam divinissimae eucharistiae assumptionem . Rursum subintellige, quod supra, arbitrans noster animus ipsam assumptionem divinissimae eucharistiae imaginem esse participationis Jesu. Ipsa enim assumptio divinissimae Eucharistiae, id est sanctissimae perceptionis corporis et sanguinis Jesu Christi, quam nunc sacramentaliter et visibiliter in altari tractamus, imago est et forma illius participationis Jesu, qua vel nunc ei in spiritu per dilectionem conjungimur, vel postmodum in eadem forma gloriae apparentes plena similitudine uniemur. Sane hic notandum quod quidam ex hoc loco munimentum erroris sui dicere putaverunt, dicentes in sacramento altaris veritatem corporis et sanguinis Christi non esse, sed imaginem illius tantum et figuram 48.

In questo passo Ugo attribuisce al termine imago un valore positivo qualora lo si intenda come metafora della partecipazione ( imago est et forma illius participationis ), ma gli attribuisce un valore negativo qualora venga inteso in senso stretto come forma visibile e quindi come metafora della cosa in s (cio del corpo e del sangue di Cristo). Dalle due questioni teologiche affrontate emergono tutti i contorni della critica mossa dal maestro vittorino allinterprete dionisiano per

Per una ricostruzione storica e dottrinale della disputa eucaristica dellXI secolo cfr. J. DE MONTCLOS, Lanfranc et Brenger: les origines de la doctrine de la Transsubstantiation, in Lanfranco di Pavia e lEuropa del secolo XI. Nel IX centenario della morte (1089-1989). Atti del Convegno internazionale di studi. Pavia, Almo Collegio Borromeo (21-24 settembre 1989), cur. G. DONOFRIO, Roma, 1993 (Italia sacra. Studi e documenti di storia ecclesiastica, LI), pp. 297-326. 48 HUGO DE SANCTO VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 951B-C.

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antonomasia, Giovanni Scoto. In base a questi elementi possibile evincere la sollecitudine nutrita da Ugo al fine di normalizzare entro i confini paradigmatici della teologia latina le eccentricit della teologia dionisiana: nel caso delle teofanie riportandosi a una gnoseologia dellimmediatezza, sulle scorte di Agostino, nel caso delleucaristia escludendo ogni accenno che potesse richiamare un discostamento dal rigoroso sostanzialismo eucaristico a cui erano a approdati gli esiti della polemica berengariana e il concilio di Vercelli del 1050. Cogliendo nellinsegnamento di Dionigi la distanza paradigmatica rispetto al metodo teologico latino, Ugo si trova a fare i conti con sviluppi che approdano a risultati ancora pi originali, sviluppi imbarazzanti se dovuti a un autore come Giovanni Scoto, discusso e associato, sebbene erroneamente come sappiamo oggi, ma Ugo non lo sapeva , alla condanna di Berengario decretata dal concilio di Vercelli, che per di pi mostravano di aver trovato una ricezione significativa in molti autori del XII secolo. Il problema principale non tanto se la teologia dionisiana potesse condurre a fare a meno della centralit della rivelazione perch questa una lettura che non emerge dalle preoccupazioni di Ugo , quanto lo statuto della conoscenza formale, per immagini, e in definitiva il rapporto tra Dio e la creazione nel processo di indagine teologica, non nel senso di una autonomia della conoscenza della natura rispetto alla rivelazione, come avverr di l a pochi decenni con laffacciarsi dei Libri naturales aristotelici e ancora successivamente nei dibattiti del XIII secolo sullo statuto epistemologico della teologia, quanto di una conoscenza teofanica che pone seriamente in questione il problema dei rapporti tra concetti che su base scritturistica avevano sempre avuto una giustapposizione anodina: il creato e lincreato, nonch il visibile e linvisibile. Che tutto sia theophania implica una visione sofianica della creazione, cio di identificazione tra la Sapienza creatrice e il prodotto della sua attivit creatrice come sapienza creata, teofanica di quella ma allo stesso tempo implicando unidea di unit iperontologica tra DioSapienza e mondo-sapienza. Il realismo teofanico superava e metteva in crisi la concezione vigente delluniversitas, basata sul sistema delle substantiae, poich presupponeva un nesso tra il creato e lincreato che illustrava una pi profonda relazione tra gli esseri, non pi basata sulle distinzioni dialettico-ontologiche delle essenze, bens racchiusa in una adunatio

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iper-ontologica. Giovanni Scoto aveva colto questa possibilit e aveva dato seguito alle premesse dionisiane elaborando un sistema basato sulla interpenetrabilit del creato e dellincreato, a partire dalle quattro divisiones della natura descritte nel Periphyseon; da quanto osservato possiamo ritenere che Ugo ebbe a sua volta consapevolezza degli esiti a cui la teologia dionisiana poteva condurre, onde cerc di opporvi una lettura normalizzante dal momento che una censura o un rigetto non si sarebbero addette a un autore ritenuto essere auctoritas apostolica. a questo proposito significativo che Ugo legga il teologumeno della thosis, nel quale implicato il problema dellunit iperontologica delle nature umana e divina, alla stregua di un mero sinonimo della santificazione. Che tra tutti i commentari a Dionigi sia stato quello di Ugo ad aver incontrato la fortuna pi cospicua ci suggerisce che fu proprio il Vittorino a dare uninterpretazione coincidente con le attese paradigmatiche sottese al rinnovamento della teologia latina nel XII secolo. Loperazione di Ugo fu dunque motivata da una forte coscienza da parte del teologo parigino circa le implicazioni comportate dal testo dionisiano, e coronata da successo, come attesta la diffusione del suo Commento e come possiamo leggere nei testi della scuola vittorina a lui successivi, quali le Quaestiones in epistolas Pauli, o le opere di Riccardo e Acardo di San Vittore, o ancora in un autore non vittorino, ma imbevuto dellopera eriugeniana, come Onorio di Ratisbona (Augustodunense). Rileviamo quindi tutta limportanza dellincontro tra Ugo e Dionigi, non tanto per larricchimento del pensiero e dellopera del Vittorino, quanto per il disinnescamento dellopzione apofatico-sofiologica che la teologia dionisiana comportava e che aveva iniziato a porre, complice la mano eriugeniana, i primi ciottoli di un percorso verso un medioevo latino non agostiniano e in definitiva volto al superamento dellimpostazione cosmo-ousiologica ellenica. Con il commento ugoniano il fiume dionisiano fu incanalato entro argini capaci di contenerne lo slancio e la dirompenza, divenendo un punto di riferimento delle istanze di rinnovamento della teologia che il Dodicesimo secolo aveva intrapreso, a fronte della crisi della teologia dialettica alto-medievale, consumatasi alla fine dellXI secolo, nella quale si era verificato il tramonto epocale del paradigma dellunanimitas.

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La rinascita del XII secolo non potrebbe essere spiegata senza fare riferimento allesigenza di rinnovamento della cultura teologica a partire dallabbandono dei propositi altomedievali di ricerca dellunanimitas, paradigma che aveva dominato la concezione teologica cristiana sin dallet apostolica e patristica. Due fattori storico-politici favorirono questo rinnovamento: la riforma gregoriana, che port la Chiesa a smarcarsi dallidea teorica di ricerca di una sinfonia con il potere imperiale, sulla falsariga del modello bizantino (rinuncia allunanimitas politica), e alla rottura con le Chiese orientali, che segn la rinuncia allunanimitas ecclesiale 49. Se lo spirito che muove le energie intellettuali di unepoca non pu emergere semplicemente da unistanza programmatica, la rilettura delle fonti teologiche tradizionali fu invece condotta in base a una metodologia finalizzata alla costruzione di una teologia universale che potesse esprimere il nuovo universalismo romano della Chiesa post-gregoriana, capace di riportare a s ogni istanza del sapere. La teologia dionisiana costitu una sfida e al contempo una base autorevole nel processo di edificazione della nuova universitas teologica: essa si trov al centro di interessi di scuole diverse e per certi versi antitetiche, come i Porretani, i Vittorini e i Cisterciensi. Ma fu con Ugo che possiamo dire Dionigi incanalato nellalveo maggiore della teologia latina, quindi definitivamente guadagnato alla categoria dellutilizzabilit, attraverso lespunzione di quelle asperit che la ricerca dellunanimitas avrebbero reso problematiche, se non impossibili.

Assumendo con il Dictatus Papae la legittimazione teorica dellestensione del potere della Chiesa allambito temporale si raggiungeva un universalismo politico ecclesiocentrico, mentre la rottura con la Chiesa di Costantinopoli nel 1054 segnava la definitiva affermazione storica delluniversalismo pontificio romano, che determin la sua universitas come cattolicesimo, alla quale le Chiese orientali, allineatesi con la sede costantinopolitana, risposero definendosi come Chiesa ortodossa, ribadendo cos, implicitamente, il criterio patristico dellunanimitas. Per una lettura degli sviluppi teologici nellXI secolo in relazione alle trasformazioni storiche cfr. G. DONOFRIO, Anselmo e i teologi moderni, in Cur Deus homo. Atti del Convegno Anselmiano Internazionale (Roma, 21-23 maggio 1998), cur. P. GILBERT - H. KOHLENBERGER - E. SALMANN, Roma, 1999 (Studia Anselmiana, CXXVIII), pp. 87-146.

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