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Filologia greco-latina, a.a. 2012-2013.

SIGLA, BREVIATA, CONVENZIONI DA APPARATO1


Gli editori non sono sempre affidabili, e si apprestano apparti critici proprio perch i lettori non dipendano dagli editori (M.L. West)

1. Segni fondamentali per i sigla dei testimoni: negli stemmi e negli apparati A, B, C Z. Maiuscola latina (talvolta in bold o in corsivo, specie nelle edizioni di testi latini, per esigenze di distinzione rispetto alla lezione che precede o segue). La maiuscola latina indica di norma, e specie in edizioni recenti, un testimone manoscritto esistente: in genere, un codice medioevale. Ma attenzione: 1) la maiuscola latina non indica solo un manoscritto esistente ( vecchia abitudine indicare con maiuscole latine anche archetipo e subarchetipo: cf. infra); 2) non solo la maiuscola latina pu indicare un manoscritto esistente. A questo proposito, in alcuni casi (mai per i codici principali) si possono utilizzare sigla a pi lettere, di cui la seconda, e magari la terza, minuscola, specie se si indicano codici conservati presso la stessa sede libraria (Xr, Xs, Zc, Zr, etc.), o se si desidera in qualche modo evocare il nome esteso del manoscritto (Ur = Urbinate, etc.; talora con tali sigle a pi lettere e magari parlanti si possono indicare anche famiglie di testimoni, cio manoscritti genealogicamente prossimi). Lassociazione maiuscolaminuscola (nella forma Aa, Ab, etc.) pu essere utilizzata, inoltre, qualora i codici siano numericamente superiori alle lettere dellalfabeto latino (ma il caso molto raro); a tale fine si possono talora utilizzare le maiuscole latine con pedice (A1, A2, etc.; non con apice, riservato ad altro impiego: cf. infra; ma anche il pedice ambiguo e sconsigliabile). Non si disdegna specie in edizioni pi vecchie, e nelle tradizioni editoriali che tuttora ne dipendono - di utilizzare la maiuscola greca quando si possono creare problemi di omonimia fra codici (per es., L e per la tradizione sofoclea, a indicare rispettivamente il principale Laurenziano e il Leidense). Talora i testimoni manoscritti di carattere gnomologico sono preceduti dalla lettera g minuscola (gA, gB, etc.). Talora i testimoni perduti (non nel senso di antigrafi ricostruiti congetturalmente, per i quali si usano le minuscole, ma nel senso di codices deperditi di cui rimane testimoniata almeno una parziale collazione) si indicano con maiuscole latine fra parentesi tonde: (A); ovvero fra parentesi uncinate: <A>. Talora, se le singole parole di un codice (esistente) sono oggi svanite o erase, si ricorre al segno [A], che tuttavia fortemente ambiguo (anche perch talora si contrassegna cos larchetipo!). Permane luso (non raccomandabile) di indicare con minuscole latine i codici ritenuti di importanza secondaria o nulla (recentiores deteriores): a, b, etc. (ma ci genera una grave confusione rispetto alluso normale delle minuscole, su cui infra). I sigla dei codici sono in genere stabili di edizione in edizione: essi dipendono o dovrebbero dipendere, cio, pi dalla tradizione che dalle scelte personali e innovative delleditore (per queste convenzione vale la stessa norma vigente per la numerazione dei frammenti: non si cambia se non per reali e serissime necessit!). La lettera utilizzata pu indicare un riconosciuto ordine dimportanza (si pensi al frequente codice A, che si sottintende optimus), fare riferimento alla sede libraria di conservazione (e.g. L per i Laurenziani, V per i Marciani e talora per i Vaticani, ma anche per i Viennesi [Vindobonenses], O per gli Oxoniensi, H per i manoscritti di Gerusalemme [Hierosolymitani], A per i milanesi [Ambrosiani] ma anche per gli Angelicani di Roma, etc.), ovvero alla sede libraria di (presunta o certa) origine (e.g., il ms.
NB. Questa sintesi non intende essere minimamente prescrittiva e si limita a censire gli usi (talora vari e contraddittori) dei filologi classici. Solo dove indispensabile si indicheranno i difetti palesi - in termini di economia complessiva - di questo o quel sistema in uso.
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principale degli Inni omerici si sigla M, cio M(osquensis), bench oggi a Leiden; il perduto V(eronensis) di Catullo; i B(obienses), i C(luniacenses), etc.), ovvero allillustre copista autore del codice (e.g. T per Demetrio Triclinio) ovvero al suo scopritore o primo proprietario (e.g. A per Arundelianus, da T. Howard conte di Arundel; C per Coislinianus, da H.C. du Cambout de Coislin; N per Nicolianus, da Niccol Niccoli; P per Poggianus, etc.), che spesso ha dato il nome a un fondo librario presso una grande biblioteca nazionale. Talora la lettera utilizzata si riferisce a nomignoli convenzionali e tradizionali dei mss., che ne riassumono le caratteristiche fisiche principali: e.g. O(blongus) e Q(uadratus) per Lucrezio; talora, pi di rado, la lettera utilizzata si riferisce a generica origine regionale: e.g. E(truscus) di Seneca o B(avaricus) di Demostene2. Data la prevalenza delluso consolidato su qualsiasi altra motivazione, non raro che lo stesso codice abbia sigla diversi per diversi autori (e.g. il Laur. Gr. 32,9 siglato M, cio Mediceo, per Eschilo, e L, cio Laurenziano, per Sofocle). Per i manoscritti sporadicamente citati (per esempio alcuni recentiores portatori di varianti quasi certamente congetturali) non si impiegano, di norma, sigla preventivamente assegnati e preventivamente chiariti in un conspectus siglorum iniziale: ci si limita a citarli (abbreviati) l dove serve. Ma luso varia di edizione in edizione. In generale, date le difformit qui censite - accanto a pur indubbie linee di tendenza - il ricorso al conspectus siglorum, parte integrante e non puramente ausiliaria di ogni edizione critica, indispensabile anche quando si crede di riconoscere un uso consolidato. a, b, c ovvero , , . Lettere latine o greche minuscole. Per esigenze di chiarezza, si prediligono (o si dovrebbero prediligere) le lettere latine negli apparati greci e le lettere greche negli apparati latini (ma talora la distinzione fra siglum e lezione affidata alluso del corsivo o ad altri artifici tipografici). Esse indicano in genere: 1) famiglie di manoscritti (consensus codicum entro un determinato gruppo, la cui definizione dipender dallo stemma della singola opera); 2) ipoarchetipi/subarchetipi ricostruiti sulla base dei rapporti di parentela fra i manoscritti esistenti. Le due nozioni, si badi bene, spesso coincidono: se B, C e D derivano - come mostrano le lezioni peculiari analizzate in fase di recensio - da , in caso di lezione concorde indica tanto la famiglia dei manoscritti quanto lipoarchetipo da cui essi derivano. Ma le due nozioni possono non coincidere affatto, e luso delle minuscole, nei nostri apparati, non talora privo di ambiguit. Per esempio, una famiglia di manoscritti pu essere definita in quanto tale - per caratteristiche salienti e diffuse anche senza che ci consenta di ipotizzare con sicurezza lesistenza di un subarchetipo: ci tipico delle tradizioni per le quali non si lascia definire alcuno stemma preciso, e le cui famiglie sono tuttavia abbastanza riconoscibili. Inoltre, non detto che B, C e D pur dimostrata lesistenza di un subarchetipo - rechino la stessa lezione. Se B e C sono concordi contro D, ottengo comunque, lachmannianamente, la lezione di in quanto subarchetipo: ma la dicitura pu suggerire che anche D rechi la stessa lezione di B e C, il che falso3. Taluni suggeriscono di limitare le minuscole latine a famiglie di manoscritti e le minuscole greche a codici perduti (ricostruiti a partire dai loro apografi). Luso non affatto generale e occorre comunque ricorrere al conspectus. In vecchie edizioni ancora largamente in uso le minuscole possono anche indicare singoli codici esistenti: su ci serve dunque attenzione.
Per un elenco (quasi) completo delle denominazioni in uso pur non sempre corrispondenti alle abbreviazioni che danno origine ai sigla si pu vedere il vecchio ma ancora utile C. Giarratano, La critica del testo, in F. Della Corte (a c. di), Introduzione allo studio della cultura classica, Milano 1973, II, 673-737: 679-684. 3 In questo caso, bene essere molto chiari, circa luso delle minuscole latine o greche, in sede di conspectus, oppure fornire dati analitici circostanziati in sede di apparato, indicando scrupolosamente le lezioni dei singoli codici anche quando esse costituiscano una innovazione peculiare del singolo testimone; non detto che un futuro riesame della tradizione manoscritta non sconvolga lo stemma, o non provi fenomeni di tradizione orizzontale interessanti, nel nostro esempio, lisolato D.
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frequente che la lettera sia riservata allarchetipo. Ma non manca chi ricorre tuttora, anche per codici perduti/ricostruiti e famiglie di codici, a lettere maiuscole (latine o greche: cf. infra). In edizioni recenti le minuscole latine indicanti consenso fra codici dati (dunque il subarchetipo) sono marcate dalluso del bold. , , ... Lettere greche maiuscole. questa la tipologia di sigla che, nella stratificazione degli usi, ha accumulato il maggior numero di ambiguit. Come si visto, la maiuscola greca pu essere utilizzata per indicare testimoni esistenti (cf. supra). Lomega maiuscolo inoltre utilizzato per indicare il consensus codicum, cio laccordo di tutti i manoscritti: per questa ragione, esso non di rado utilizzato per indicare lapice pi alto dello stemma, cio larchetipo; ma allo stesso scopo si possono indicare minuscole greche, minuscole latine e magari maiuscole latine, non di rado fra quadre (cf. supra); in teoria tutte le lettere dellalfabeto possono indicare archetipi e subarchetipi, bench nella pratica ci si limiti in genere a lettere particolarmente significative o evocative (A o X in latino, o in greco, e idem per le minuscole). In altri termini, bench si vada sempre pi imponendo uno standard condiviso, indispensabile ricorrere al conspectus siglorum per dissipare le ambiguit che secoli di usi difformi hanno contribuito a generare e tuttora alimentano. 2. Segni fondamentali per il solo apparato: come indicare i testimoni oppure . Segno convenzionale per indicare tutti i manoscritti (ma non tutti i testimoni, perch papiri e ostraca sono indicati a parte, come indicata a parte la tradizione indiretta). Luso della minuscola latina pu generare ambiguit, perch pu suggerire il riferimento a una singola famiglia di codici o a un singolo subarchetipo (il dubbio si dissiper ricorrendo al conspectus siglorum). Luso della minuscola greca pu generare anchessa qualche ambiguit, ma in misura molto minore ( difficile ipotizzare una tradizione con tanti subarchetipi da giungere alla lettera ); come si visto, non manca chi riserva allarchetipo, proprio perch esso deriva (come costrutto teorico) dal consenso di tutti i manoscritti (anche se sarebbe pi corretto dire, con Maas, di tutti i testimoni). Frequente - e priva di ambiguit - labbreviazione codd. (= codices). I segni o, o codd. in genere seguono, in apparato, la menzione della congettura accolta nel testo (corredata dal nome del proponente) o la lezione offerta da un testimone premedioevale (segnalata dai simboli per cui si veda al punto seguente)4. Alcuni editori ritengono necessario esprimere non lunanimit, ma la quasi unanimit dei manoscritti, lasciando da parte varianti minori (magari di ordine meramente ortografico, o imputabili a innovazioni isolate): situazione per indicare la quale si ricorre talora al simbolo (omega con sottopunto). Ma segni cos peculiari non possono che essere chiariti preventivamente. Pi usuale, in casi simili, lespressione fere codd., quasi tutti i codici. Se si vuole intendere - ancora una volta trascurando varianti marginali - la maggioranza dei codici, si ricorre spesso alla dicitura: codd. pl. o codd. plerique. Se si vuole esplicitare che alla totalit dei codici fanno eccezione uno o pi codici, si ricorre allespressione codd. praeter A(BC etc.) (<tutti> i codici tranne A, ed eventualmente B, C, etc.). In alcune edizione si utilizza a tal fine la simbologia A (ma non A, tranne A): luso tuttavia raro (e.g. Dawe, Barrett). Se si vuole menzionare sommariamente la lezione (ritenuta deteriore) di alcuni codici, si impiega codd. nonnulli o pauci o simili. Altre formule in uso - dal significato evidente - sono codd. multi, codd. permulti, codd. plurimi5. Non
Questo perch evidentemente, in caso di indisturbato consenso su lezione ritenuta corretta, non c alcun bisogno di ricorrere alla sigla che indica lunanimit dei codici. 5 Formule che alcuni editori distinguono, secondo precisi parametri quantitativi, da plerique: cf. e.g. lAeschylus oxoniense di D. Page. Ma luso tuttaltro che comune, comprensibilmente.
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mancano casi in cui la sigla con il significato di tutti i codici sia preceduta dalla menzione esplicita di uno o due codici ritenuti particolarmente autorevoli (per es., nel Vergilius di Mynors, PR , dove si deve intendere = e tutti gli altri, oppure tutti i codici, compresi P e R). . Il segno frequentemente utilizzato - specie per le edizioni ottocentesche e primonovecentesche - ad indicare il papiro che tramanda, accanto ai testimoni di et medioevale, la sezione del testo o il testo editato. Oggi il simbolo in disuso e si preferisce di norma indicare o il papiro con le sue abbreviazioni canoniche complete (P. Oxy. 1450, P. Louvre 1, etc.), o semplicemente pap. se precede elencazione analitica dei testimoni e se il papiro come accade non di rado uno solo, almeno per il passo considerato. In caso di edizioni per le quali concorrono numerosi papiri (per es. Omero, Esiodo, etc.), si preferisce utilizzare il pi greco maiuscolo (maiuscolo per analogia con i mss. medioevali: cf. supra) seguito dal numero del papiro, che rinvia a un elenco prefatorio in cui si trovano fornite le coordinate esatte del testimone: 1, 195 (non di rado con i numerali in apice o in pedice: , etc.; luso dellapice comunque sconsigliabile, perch impedisce limpiego di altri segni consuetamente collocati in apice: cf. infra, punto 2; anche il simbolo pu essere numerato in apice, in pedice o a lato in linea). Occorre osservare che sotto la lettera pi (gotica o greca) si indicano in genere non solo papiri, ma anche pergamene (pre-medioevali), ostraca e qualsiasi altro supporto: uso comodo ma non limpido, perch induce - almeno nel caso degli ostraca - a cancellare la distinzione fra tradizione diretta e indiretta, includendo sotto un unico titolo convenzionale lintera tradizione antica premedioevale. . La emme gotica stata a lungo utilizzata (ed tuttora in uso: cf. per es. NTGL27) per indicare il testo di maggioranza, cio un numero di manoscritti cos ampio e diffuso da costituire la vulgata editoriale del testo. Con lo stesso valore stata a lungo utilizzata la kappa gotica ( ), quale abbreviazione di Koin. recc. = recentiores. Designazione complessiva - e volontariamente sbrigativa - per i codici recenziori, in genere di et umanistica. Dopo limporsi della dottrina pasqualiana (recentiores non deteriores), labbreviazione indica manoscritti di cui sia dimostrato non solo il carattere cronologicamente recente, ma anche leffettiva inutilit ai fini della constitutio textus (perch i codici recc. sono apografi, o perch derivano da rami della tradizione viziati da unattivit congetturale particolarmente vivace e insidiosa). Leditore che oggi impiega la sigla recc. e censisce la lezione dei recentiores intende attrarre lattenzione su fenomeni di corruzione (o posteriore correzione) particolarmente significativi ed esemplari. In sostanza, esso un sinonimo di dett.

dett. = deteriores. Tutti i manoscritti o testimoni in genere (per esempio edizioni cinquecentesche) che la recensio ha documentabilmente dimostrati deteriori. Poich si tratta quasi sempre di apografi, la menzione della lezione offerta dai dett. (per lo pi errore palese, lezione inferiore palese, e negli casi innovazione congetturale o correzione operata tramite collazione di un testimone migliore) va riservata a casi significativi (per i guasti-tipo cui esposta la vera lectio conservata, ad esempio). Poich i dett. sono spesso codici umanistici di origine italiana, non raro che essi siano indicati come It(t). o Itali. rell. = reliqui o cett. = ceteri. Tutti i testimoni (in genere i mss. medioevali) a parte quello o quelli precedentemente ed espressamente citati. Talvolta utilizzata qualora leditore ritenga inutile entrare nei dettagli di un ramo della tradizione comunque accantonato lespressione fere rell. o fere cett. (quasi <tutti i codici> restanti). Questa approssimazione, che in s pu stupire, risponde a una consegna fondamentale per lestensore di un apparato critico: un apparato non
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deve contenere informazioni inutili alla costituzione del testo. Lobiezione ovvia: chi decide che siano inutili? Leditore, naturalmente. Perci ledizione, e lapparato, sono critici: essi dipendono da un giudizio, da una deliberata cernita. Nella pratica concreta, la distinzione fra varianti utili e varianti inutili (o utili solo a unarticolata e diffusa storia del testo) pi chiara di quanto suggerisca la teoria. . Lo stigma abbreviazione convenzionale per Stephanus e indica in genere - ma il segno oggi in disuso, anche nelle edizioni latine - uno o pi manoscritti appartenenti al generico ambito dei recentiores e deteriores (vd. supra). . Il sigma maiuscolo utilizzato tuttora, molto spesso, per indicare la lezione degli scolii o del singolo scolio al singolo passo (qualora non si utilizzi schol. o sch.). Se si attinge a una lezione presentata da scolii non immediatamente riferibili al passo, o addirittura a scolii di altre opere, non si utilizzano sigla ma si forniscono le coordinate per intero. Talora la lezione degli scolii pu essere utilmente precisata tramite i seguenti segni, che tuttavia - data la loro rarit e data la loro necessit solo di fronte a singole tradizioni testuali - sono di norma ampiamente chiariti dagli editori in sede di conspectus siglorum: . Lezione attestata dallo scoliasta del codice A. Se la lezione attestata dagli scolii presenti in pi codici, tali codici sono tutti segnalati in apice (e.g. ADV). Molto spesso le lettere in apice - bench indicanti codici esistenti - sono minuscole latine ( a, adv). . Variante esplicitamente attestata in quanto tale dagli scolii, che pure commentano un testo diverso, coincidente con la tradizione diretta. Per il simbolo ( ) in apice cf. infra. l . Variante attesta dal lemma dello scolio, il cui autore ha avuto dunque di fronte un testo diverso da quello trasmesso dalla nostra tradizione manoscritta. i . Variante desumibile dallinterpretazione fornita dallo scolio (cio non espressamente citata come variante e non espressamente indicata dal lemma).

vett. Indica talora, complessivamente, i codici veteres o vetustiores, cio i manoscritti pi antichi. Per lambiguit di questa indicazione di cui si fa oggi parco uso, e solo in condizioni in cui il rinvio sommario sia sufficiente e non dirimente per la costituzione del testo - cf. supra, a proposito dei recc. = recentiores.
3. Alcune norme peculiari per esprimere pi complessi fenomeni di tradizione (maiuscole apicate et simm.) Aac. Lezione del codice A ante correctionem. Si pu utilizzare, se il caso, anche Aar, ante rasuram. Apc. Lezione del codice A post correctionem (o, se il caso, Apr, post rasuram). Naturalmente il quadro pu essere complicato dalla presenza di correttori diversi. Il correttore pu coincidere con il copista. I correttori possono essere di epoche molto differenti (fino, in teoria, al XIX secolo). Non sempre la stringatezza degli apparati e la necessit di ridurre i sigla al minimo - consente di precisare tali peculiarit, che tuttavia sarebbe buona norma, quando rilevanti per la storia e la costituzione del testo, esprimere o almeno chiarire in sede di praefatio. Per soddisfare tali esigenze si utilizzano talora le seguenti convenzioni: A1. Correzione o altro intervento del copista principale (cio del copista del testo editato). A1pc. Correctio a prima manu illata, cio correzione dello stesso copista o del principale correttore. A2. Una manus altera, diversa da quella del copista principale (per le eventuali mani successive, se univocamente riconoscibili: A3, A4, etc.). Non di rado A2 designa quaevis alia manus in A: un uso generico che si deve riservare a tradizioni in cui nessun correttore sia 5

particolarmente autorevole. Per tradizioni in cui le diverse mani dei copisti siano univocamente riconosciute e particolarmente rilevanti (per es., nel caso dellAnthologia Palatina), si riservano ai singoli correttori sigle autonome. As. Il siglum designa una lezione corretta (o una variante) attribuibile a un eventuale scoliaste o glossatore frequente. A . Labbreviazione in apice si scioglie in e riproduce la formula ( et simm.) con cui sono spesso introdotte, a margine dei codici, le variae lectiones esplicitamente indicate come tali e come tali note allestensore della marginale (che quasi mai, purtroppo, fornir la fonte del proprio appunto). Labbreviazione in apice pu valere anche per gli scolii. Agl. Presenza di un glossema (che pu essere o no una varia lectio) nel codice A. In genere si tratta di una lezione non esplicitamente indicata, da chi la appone, come variante (caso in cui bene usare il siglum precedente). Talvolta ci si pu esprimere senza ricorrere agli apici: gl. in A. At. Talora, in apice, si pu abbreviare il nome di un correttore particolarmente celebre: per esempio Triclinio. Ma il siglum va senzaltro chiarito nel conspectus. Auv. Cio A ut videtur. Il segno indica una lettura non certa. Si pu esprimere senza apici, eventualmente con la stessa abbreviazione A u.v. A?. Segno raro, che pu indicare una lezione dubbia di A. In questi casi preferibile ricorrere a formule esplicite come ut videtur o simili. Asscr. Lezione soprascritta in A. A in lin o in l. Lezione del codice A scritta in linea. A s.l. Lezione del codice A scritta supra lineam. Talvolta si usa il sintetico supra. A in marg. o in mg. Lezione del codice A scritta in margine. A a.r. o ante ras. Lezione del codice A prima che essa venisse cancellata (erasa) ed eventualmente sostituita da unaltra. A p.r. o post ras. Lezione del codice A scritta sopra una precedente lezione erasa. A2 ex T. Lezione della seconda mano di A desunta - per collazione - da una precisa e identificabile fonte. Talora la fonte lo scolio (A2 ex ). In altri casi pu essere un diverso luogo dellopera. A ex . Lezione di A, il cui copista aveva scritto in prima istanza . Quasi tutte le abbreviazioni ora citate possono precedere, ma pi raramente, il siglum del codice (in lin. A, in marg. A, etc.). Quasi tutte possono figurare in apice. 4. Segni (dia)critici per il testo ed eventualmente per lapparato6 ( ). Parentesi tonde: utilizzate esclusivamente per sciogliere le abbreviazioni. M(arcus) s(alutem) etc. Discutibile ma diffuso luso della parentesi tonda in quanto segno dinciso. < >. Parentesi uncinate: utilizzate per indicare porzioni di testo dalla singola lettera allintero brano introdotte dalleditore, o per via congetturale (integrazioni) o, meno frequentemente, perch note da altra fonte (per lo pi indiretta). Questa ambiguit spesso risolta solo dallapparato. Se prive di testo allinterno, le parentesi uncinate indicano lacuna congetturale. In tal caso leditore pu decidere di indicare il numero di lettere che ritiene mancanti (se in testo poetico, il numero di sillabe, denunciato da ragioni metriche). Avremo allora le scritture: <..> o <*****>. Lacuna congetturale di cinque lettere. Luso comune (con i punti) nelle edizioni di papiri. Si osservi per che, non di rado, con i puntini si indica il numero preciso di lettere ipoteticamente mancanti, mentre gli asterischi (nel numero convenzionale di tre: <***>)
Nellapparato, tuttavia, i fenomeni qui censiti si descrivono pi abitualmente e talora pi chiaramente tramite esplicite formulazioni latine.
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sono pi spesso utilizzati per indicare una lacuna ipotetica non quantificabile. Allo stesso scopo si pu utilizzare: <--->. Il significato di simboli come trattino e asterisco (non solo fra uncinate: cf. infra) permane ambiguo, perch non sempre lunit corrisponde al singolo elemento (lettera) mancante. A ci si pu ovviare chiarendo il tutto nel conspectus iniziale. < >. Lacuna congetturale metricamente quantificata. [ ]. Parentesi quadre. Nelluso pi tradizionale, per le edizioni di testi di tradizione medioevale, esse designano una porzione di testo espunta dalleditore. Luso papirologico (ed epigrafico), canonizzato dal sistema di Leiden (1931), ha per reso normale limpiego delle quadre per indicare parti perdute del testo a causa di un danno materiale. Perci le quadre si trovano a coprire un doppio, ambiguo ruolo: indicatori di intervento congetturale (tale lespunzione) e indicatori di un dato obiettivo della tradizione. Data la rilevanza (e la codificazione internazionale) delluso papirologico, le parentesi quadre dovrebbero essere utilizzate ormai solo per esprimere questultimo valore. Anche per le quadre si possono dare le varianti valevoli per le uncinate: []. Lacuna obiettiva (cio non congetturale) di sei lettere, che pu essere indicata anche con [- 6 -], [--- ca. 6 ---], [ 6] et simm.: lespressione esplicita senzaltro preferibile alla faticosa conta dei puntini. [ ]. Lacuna obiettiva metricamente quantificata. [ ]. Talora la distanza approssimativa dello spazio fra le quadre pu suggerire lentit della lacuna. ] o [. Quadre semplici di chiusura e apertura. Nelle edizioni di papiri, il loro impiego deriva direttamente da quello delle quadre: a inizio o a fine rigo, indicano il punto in cui la testimonianza del papiro viene meno. Non manca per una certa ambiguit, perch [ pu lasciare il seguente dubbio: dopo il papiro monco o semplicemente illeggibile? Un uso peculiare della quadre semplice di chiusura (]) si riserva invece agli apparati: non di rado, infatti, con essa si segnala la porzione precisa del testo (cos come accolta dalleditore) interessata dalle informazioni che seguono; ci particolarmente utile quando la porzione molto ristretta, quando pi notazioni riguardano lo stesso verso o rigo, e insomma quando lidentificazione del testo non facile e immediata. Naturalmente un impiego come CDE implica che il lettore desuma da solo - per esclusione - qual il testimone portatore della lezione accolta nel testo, secondo le varie gradazioni dellapparato cosiddetto negativo. { }. Parentesi graffe. Se si adottano le quadre per indicare lacune obiettive (vd. supra), le graffe divengono il simbolo pi usuale e logico per indicare espunzioni compiute dalleditore. Eventualmente le graffe possono essere combinate con le uncinate per indicare (nei testi in prosa) le trasposizioni: si indica fra uncinate il testo nella posizione stabilita dalleditore come corretta e fra quadre il testo (espunto e trasposto) nella posizione effettivamente fornita dai testimoni: e.g. nel mezzo del cammin di <nostra> vita {nostra}. Nei testi poetici la trasposizione normalmente e chiaramente indicata dalla numerazione dei versi (che a tale fine non saranno numerati di cinque in cinque, ma uno per uno). importante che siano numerate in tal modo sia la sezione da cui stato trasposto il passo (e.g. 525-526-529-530), sia la sezione in cui stato trasposto il passo (e.g. 511-527-528-512). . Parentesi quadre doppie. Normalmente utilizzate per indicare espunzioni operate non dalleditore, ma dal copista stesso. Pu darsi che il copista abbia raschiato via la porzione di testo che intendeva espungere (non semplicemente cancellandola con trattini o altri segni analoghi). In questo caso, se le lettere sono illeggibili o scarsamente leggibili, si pu utilizzare il sistema dei 7

punti in uso per le quadre e le uncinate: . Si possono altrimenti utilizzare i sottopunti (cf. infra). Per le rasure radicali si pu utilizzare il simbolo: ||||||, dove ogni trattino verticale indica, in genere, una lettera. Ma non manca chi utilizza i tre trattini (|||) per indicare la singola lettera erasa, n chi utilizza gli asterischi: arma viru****, dove ogni singolo asterisco designa la singola lettera mancante: cf. anche supra. Talora si utilizza: per la littera nihili, cio per lettera non leggibile, o perch cancellata secondariamente, o perch imperfettamente vergata dal copista. Anche in questo caso, il cerchietto nero dovrebbe indicare la singola lettera illeggibile. Per lo stesso scopo pu essere utilizzato lasterisco (*). //// talora utilizzato con lo stesso valore di |||| (e con le stesse ambiguit per quanto concerne luso dei tre trattini, verticali o obliqui, a significare tre lettere o indicazione sommaria per una lettera soltanto). Nella trascrizione di autografi moderni e contemporanei, si utilizza spesso allo stesso scopo il segno ++++ (lezione illeggibile7). o . Parentesi semiquadre basse. Indicano, in generale e logicamente (a partire dalle quadre) integrazione non congetturale, cio desunta da altra fonte. Nelle edizioni tratte da testimoni su papiro, circoscrivono il testo di tradizione diretta (medioevale) o indiretta che integra una lacuna del testimone papiraceo: e.g. indica che nel papiro si leggono solo , e che il testo rimanente (prima, dopo e in mezzo) desunto da altro testimonio; allo stesso modo, indica che in questo tratto il papiro ha solo . Per estensione, anche in testi tratti da testimoni medioevali, le semiquadre possono evidenziare il testo desunto da altra fonte, in genere da papiro (anche in tal caso, ovviamente, il testo incluso nelle semiquadre a intendersi come di tradizione medioevale; il simbolo non si impiega, di norma, per integrazioni da tradizione indiretta a un testo di tradizione diretta medioevale). In caso di fonti molteplici, talora si utilizzano le semiquadre alte: . La moltiplicazioni di tali simboli pu per indurre confusioni e, in ogni caso, essi andranno spiegati scrupolosamente nel conspectus iniziale di sigla e breviata. Un ulteriore elemento di confusione derivato dalluso alquanto frequente - di circoscrivere tramite semiquadre basse non solo il testo desunto soltanto da altra fonte, ma anche il testo in cui il papiro coincide con il testo desunto da altra fonte (o in cui il testo di tradizione medioevale coincide con il papiro). In altri termini, il testo in cui la tradizione diretta antica e la tradizione diretta medioevale sono unanimi. E.g., dato un verso come Thgn. 271 , so che il papiro reca soltanto e che il resto fornito esclusivamente dalla tradizione manoscritta medioevale. In tal caso non necessario riportare in apparato la lezione del papiro (essa gi desumibile dal testo), a meno che non si debbano indicare, tramite sottopunti e simili, peculiarit di tale lezione (innanzitutto lo stato di effettiva leggibilit del testo)8. ` . Apici alti convergenti. Secondo luso papirologico, il segno indica le aggiunte o le scritture secondariamente operate da un copista. Cane corretto in pane potrebbe dunque scriversi: c `pane. Ma un cos complesso uso dei segni, direttamente nel testo, raro (per ottime ragioni); si preferisce di norma chiarire lo stato dei fatti in apparato (e.g.: cane Aac, pane Apc). Luso degli apici, peraltro, rischia di lasciare impregiudicato un elemento fondamentale: se la correzione sia del copista principale o di una qualche altera manus.

Talvolta indicata con <+++++> se lezione cassata illeggibile. La normalizzazione degli usi, tra filologi classici e filologi degli scartafacci, lontana. 8 cattiva abitudine di molti apparati non fornire tali indicazioni e dare per scontata la coincidenza totale del testimone papiraceo (anche laddove scarsamente leggibile) con il testimone manoscritto medioevale (cf. e.g. lOdissea di S. West).

. Sottopunto. Segno di impiego prevalentemente papirologico, esso indica la lettera difficilmente leggibile. Nella sequenza: la lettera riconoscibile a fatica (e il margine di arbitrio, da parte del lettore/editore, pu essere ampio), mentre fra e si leggono tracce sicure di una lettera, ma non identificabile, o variamente congetturabile (le lettere compatibili con le tracce superstiti sono di norma indicate in apparato). Il sottopunto indica comunque che qualcosa si vede: per la lettera totalmente illeggibile (perch erasa, svanita, etc.) si dovrebbero utilizzare altri segni, qualora disponibili. Il sottopunto, normalissimo per le edizioni papirologiche, troppo poco frequentemente utilizzato per le edizioni di testi tratti da manoscritti medioevali: ma non ci sono ragioni valide perch luso non sia esteso. Anche sullimpiego del sottopunto non mancano tuttavia, fra gli stessi papirologi, dissensi. Per esempio, si per qualche tempo impiegato il sotto-trattino per indicare lettere non completamente leggibili ma di identificazione pressoch certa (). Luso ormai decaduto, ma continua ad avere qualche sostenitore. Pi in generale, limpossibilit di esprimere il tasso di illeggibilit di una lettera espone questo metodo di trascrizione ad ambiguit talora serie (ma forse impossibili da eliminare). (.). Uso (papirologico) piuttosto raro e non raccomandabile. Indica che la stessa presupposizione che una lettera sia cancellata, svanita, etc., presupposizione dubbia. In altri termini, (.) rispetto a . indica che pu essere sparita unulteriore lettera, non che sparita unulteriore lettera. . Cosiddetta crux desperationis, o, con terminologia alessandrina (ma fuorviante), obelos: indica corruttela non ancora certamente sanata (a giudizio, beninteso, delleditore). Ad onta di un uso pressoch universale del simbolo, esso non privo di ambiguit: la crux, infatti, pu contrassegnare sia passi obiettivamente corrotti (perch ametrici, privi di senso, etc.), sia passi per i quali la diagnosi di corruttela dipende unicamente dal personale iudicium delleditore. Non esiste, ad oggi, una simbologia atta a distinguere corruttele sicure e corruttele congetturali (distinzione fondamentale e usitata, per esempio, per quanto concerne le lacune): e ci perch le gradazioni immaginabili fra i due estremi sono troppo ampie e troppo variabili. Unulteriore ambiguit va segnalata: nonostante ci che si legge in pi di un manuale, la singola crux apposta a singola parola (e.g. trentatr triestini scendevan gi da Treviri) pu indicare, nella pratica concreta, due cose diverse: 1) che leditore ritiene corrotta solo la lezione triestini; 2) che leditore ritiene corrotto o almeno sospetto il testo a partire dalla parola triestini. Univoco, invece, luso della doppia crux, che circoscrive - per via congetturale - la porzione di testo interessata dalla corruttela: trentatr triestini scendevan gi da Treviri). Sulla base di tale uso, la corruttela della singola parola pu essere indicata - pi che dalla crux singola anteposta - da due cruces prima e dopo la parola obiettivamente o presuntivamente corrotta. . Segno desunto dallantica coronide. sempre pi frequentemente utilizzato nelledizione di testi poetici antologici per indicare linizio e/o la fine (presunta) di un singolo carme.

5. Abbreviazioni o formule convenzionali per lapparato9

abiud. = abiudicavit. Si usa esclusivamente per il rifiuto (congetturale) di unattribuzione


trdita (di un frammento, per lo pi, se non di unintera opera).

add. = addidit. Indica una porzione di testo aggiunta da un testimone antico o (pi
raramente) introdotta per via congetturale da un editore o studioso moderno. Anche per quanto concerne i testimoni antichi, tuttavia, la menzione di norma riservata a codici o citazioni indirette in cui si sospetta un intervento di ordine congetturale. Per le integrazioni di un editore o studioso moderno nettamente preferibile limpiego dei segni diacritici convenzionali per il testo (nel caso particolare, le uncinate comprendenti il testo e seguite dal nome dellintegratore).

alii. Lespressione chiude in genere lelenco (essenziale) degli editori che hanno accolto una variante o una congettura precedentemente menzionata. Alcuni editori usano al., che
doppiamente ambiguo (non indica il plurale e potrebbe essere alibi, aliter, etc.).

alii alia o alii aliter (scil. coniecerunt o simili) Lespressione chiude in genere lelenco
(essenziale) delle congetture fin qui proposte per un passo problematico o palesemente corrotto. Le soluzioni congetturale omesse sono naturalmente ritenute meno probabili, dalleditore, rispetto alle (poche) soluzioni precedentemente menzionate, comunque giudicate insufficienti e non risolutive. Nel caso non ci sia alcuna congettura ritenuta probabile o vicina al vero, leditore si esprimer in genere con unespressione come (locus) varie temptatus o simili (magari limitandosi a indicare, subito prima, una sola congettura, perch ritenuta meno improbabile delle altre o perch particolarmente celebre).

alterum, in opposizione a prius. Si indica in questo modo il secondo (o il primo) di due elementi ripetuti in una porzione di testo, per chiarire a quale dei due si riferiscono le informazioni fornite in apparato. E.g.: A (prius s.l.).

La maggior parte di tali formule sono impiegabili alla prima come alla terza persona. Si lemmatizza qui la terza persona, pi usuale. Alcune di esse si usano in genere soltanto alla prima (e.g. scripsi), se indicano intervento, giudizio o preferenza delleditore la cui edizione si sta consultando; non pochi editori, tuttavia, amano parlare di s alla terza persona, come Cesare. Il tempo verbale utilizzato - se non ci si riferisce ai testimoni ma a editori e studiosi - di norma il perfetto. In alcuni casi si pu ricorrere anche al piuccheperfetto (e.g. coniecerat per indicare una congettura anteriore al reperimento di una lezione capace di confermarla). Pi raramente al presente, se non per i testimoni (omittit, praebet etc.). Quanto al modo verbale, nella prima persona (o in formule come possis) il congiuntivo esprime naturalmente eventualit e cautela. Numerosi editori prediligono le forme intere rispetto alle abbreviazioni, se non per le formule pi ovvie. Non sono mancati tentativi di trasformare almeno alcune fra tali formule tradizionali - in particolare quelle che si riferiscono allo stato della trasmissione manoscritta - in simboli extra-alfabetici. Il tentativo pi celebre e autorevole quello applicato da Nestle-Aland, dove per es.: = singola parola omessa, = pi parole o unintera frase omesse, = inserzione di parole, = trasposizione di parole, etc. Ma la simbologia troppo complessa per essere generalizzata: e, al di fuori dellmbito biblico e neotestamentario, essa non ha avuto fortuna.

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anon. Anonimo. Si impiega qualora una congettura non possa essere affatto o non possa
essere univocamente attribuita. Per es.: anon. ap. Hermann. Si veda ap. Si possono impiegare espressioni analoghe (nescio quis, aliquis, etc.).

ap. = apud. Introduce la congettura o lopinione di uno studioso riportata da un altro


studioso (e.g. Austin ap. Kannicht ad Eur. fr. 171,2).

cens. = censuit. Introduce il nome di uno studioso di cui si riporta stringatamente, in latino, unopinione di carattere interpretativo o unipotesi di carattere ecdotico (e.g. post h.v. aliquid cecidisse cens. Wil.). cl., cll. o ct. o coll. = collato o collatis. Segue menzione del passo o dei passi (con struttura sintattica di ablativo assoluto, sottinteso loco o locis) che ha o hanno suggerito (o che sostiene o sostengono) un intervento congetturale. c.m. = contra metrum. Denuncia la natura ametrica di una lezione o peggio di una
congettura.

coni. o ci. = coniectavit o coniecit. Introduce il nome di un editore o di uno studioso autore
di una congettura. Pi frequentemente - e sempre se la congettura accolta nel testo - la proposta immediatamente seguita dal nome del proponente, senza lintermediazione di alcuna formula abbreviata. In tale senso la formula pleonastica, e si dovrebbe riservare a congetture di cui si voglia precisare qualche aspetto (dub., frustra, temere, etc.), o indicare i successivi ripensamenti del proponente, etc. Non mancano le scritture (antiquate) conj. o cj.

cont. = contulit. Introduce il nome di un editore o di uno studioso che ha segnalato un parallelo particolarmente significativo (per la costituzione del testo, sintende, non per la generale interpretazione); cf. cl., cll. cont. o meglio continuav. = continuavit. Segue nome di editore o studioso che ritiene di dover unire due testi (in edizioni di testi antologici o frammentari) o far proseguire una battuta (in testi teatrali) fino a un determinato punto (di norma espressamente indicato). corr. = correxit. Meno utilizzata ma chiara em. = emendavit. Introduce il nome di un editore o di uno studioso autore di una correzione al testo trdito giudicata risolutiva e ritenuta per lo pi pacifica (ma pu essere utilizzato anche per correzioni antiche in un manoscritto). Lo svantaggio stilistico della formula risiede nel fatto che essa costringe a fornire prima la lezione trdita e scartata, poi la lezione ritenuta corretta ed effettivamente accolta nel testo ( codd. : corr. Casaubon [dove nel testo abbiamo ]). Bene dunque ricorrere a tale formula solo quando il luogo interessato dalla correzione facilmente e immediatamente riconoscibile (perch la correzione minimale e prossima al testo trdito, o perch il luogo esteso e non equivocabile). Talora labbreviazione (sottinteso il presente, corrigit) si applica anche alle correzioni apportate dagli antichi copisti alla lezione di un codice: fenomeno per il quale si preferiscono, di norma, altre convenzionali abbreviazioni (cf. supra). damn. = damnavit. Introduce il nome di un editore o di uno studioso che per primo ha sospettato della correttezza o dellautenticit di un passo, o che ne ha dichiarato espressamente la corruttela o il carattere spurio.

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del. = delevit. Introduce il nome di un editore o di uno studioso primo autore di


unespunzione.

deest (o desunt). Indica la porzione di testo (minima o ampia) che manca in un


determinato testimone (e.g. A : deest in B; ovvero: vv. 1-15 desunt in A; ovvero: usque ad deest V, per indicare che il testimone menzionato interviene solo a partire da un determinato passo, e che perci non se ne trova menzione, per ora, in apparato).

def. = defendit. Introduce il nome di un editore o di uno studioso che ha difeso - in genere a torto, si sottintende, ma non necessariamente - una lezione trdita. Talvolta si pu utilizzare labbreviazione anche per introdurre un parallelo che sostiene una lezione che si valuta ingiustamente sospettata ( def. v. 124). Pi raramente - per la difesa di una lezione trdita ritenuta in genere problematica - si pu ricorrere a tutatus est o altri sinonimi. Si veda anche serv. des. = desinit. Indica il punto in cui cessa il contributo di un singolo testimone (e.g. hic desinit A). Si pu utilizzare anche deficit (che per pu indicare altres, e meglio, il venir meno temporaneo di un testimone). desid. = desideratur, desiderantur. Si sente il bisogno di qualcosa: di unespressione diversa da quella trdita, di una particella che andrebbe supplita, di ununit metrica ulteriore capace di garantire una responsione, etc. Segnala, insomma, una lacuna o un guasto su cui leditore si esprime con cautela. dist. = distinxit. In riferimento a peculiari soluzioni di punteggiatura. Si veda infra, interp. dub. = dubitanter. Indica congettura proposta con cautela. Segue nome del proponente,
con o senza coni.

edd. = editores. Eventualmente variata in edd. pl. o edd. plerique o edd. plurimi, se si vuole indicare non la totalit ma lampia maggioranza (le eventuali eccezioni saranno esplicitamente indicate). La formula indica che la totalit o la maggioranza degli editori ha recepito la lezione o la congettura che espressamente precede. In tal caso sono del tutto superflue abbreviazioni come rec. o prob. (cf. infra). Ci si pu anche esprimere con formule analoghe e variate, per es. edd. plerique post (segue nome del primo proponente), o, allinverso, post (nome del primo proponente) edd. plerique. Si possono utilizzare - come nel caso di codd., cf. supra espressioni pi sommarie come edd. nonnulli (rara ed effettivamente poco sensata), edd. multi, etc. In alcuni casi pu essere necessario ricorrere a una pur generica definizione di ordine cronologico: edd. vett. (veteres) o edd. priores, cio gli editori anteriori a una fase reputata pi solidamente scientifica nella storia editoriale di un testo (per es., gli editori dal Cinque- al Settecento rispetto alle prime, autentiche edizioni critiche; in altri termini, un textus receptus o vulgata di et prescientifica). e.g. = exempli gratia. Accompagna la menzione di supplementi troppo generosi per essere sostenuti con certezza, o congetture che si propongono con la massima cautela (quando, cio, il proponente inclina a ritenere sano il testo trdito). Il per esempio accompagna insomma una proposta congetturale che voglia semplicemente rendere lidea, pi che proporre un concreto intervento, integrativo o correttivo, al testo trdito. Talvolta si accoppia con il desideratur (cf. supra) o simili.
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e.p. o ed. pr. = editio princeps (eventualmente al plurale, ee.pp. o edd.pr.). Indica la prima
edizione o il primo editore (preventivamente dichiarato o universalmente noto) di un papiro; pi raramente ledizione principe di un testo a tradizione diretta medioevale, poich in tali casi si preferisce indicare (magari con abbreviazioni) la casa editrice o leditore, debitamente illustrato nel conspectus.

ex (o e). Precede la menzione del passo da cui stata tratta ispirazione - o da cui stata
desunta, per via interpretativa, una lezione - per la correzione di un passo guasto. Pu designare inoltre il testimone da cui un altro testimone (per es. il correttore di un codice) ha tratto la lezione riportata nel testo, a margine, supra lineam o simili: pu trattarsi dunque di un altro codice, dello scolio al passo, di una citazione indiretta particolarmente autorevole, di un passo della stessa opera che abbia influenzato il passo in discussione, etc.

exp. = expunxit. Segue il nome delleditore o studioso che per prima ha espunto una precisa porzione di testo (singola parola, verso intero, etc.). Si utilizza altrettanto frequentemente secl. = seclusit. fort. recte = fortasse recte. Formula frequentemente utilizzata per indicare una sostanziale bench non totale adesione delleditore a una proposta congetturale menzionata subito prima. Segue il nome del proponente (e.g. A: Bergk, fort. recte). La formula, naturalmente, pu accompagnare soltanto proposte congetturali non accolte nel testo: in tal caso ladesione delleditore non ha bisogno di essere sottolineata, n avrebbe senso il fort. frustra. Condanna le congetture o correzioni giudicate inutili. Vedi anche perperam. Taluni editori ricorrono a espressioni meno cristallizzate, ma molto chiare (e.g. nulla ratione o simili, o addirittura contra sensum, contra metrum, etc.). h.v. = hunc versum. Per indicare il verso rispetto al quale (post, ante, etc.) stato effettuato un intervento (in genere lipotesi di una lacuna: cf. lac. stat.); o per indicare il luogo in cui si situa un passo trasposto da altro passo dellopera; pu aiutare anche a situare interventi dei copisti antichi. immut. o mut. = immutavit o mutavit. Introduce il nome di un editore o di uno studioso
che ha mutato (cio corretto) una porzione di testo. Pu riferirsi anche a un antico copista (e si sottintende spesso, anche se non necessariamente, che siamo dinanzi a un intervento di ordine correttivo o congetturale).

ins. = inseruit. Introduce il nome di un editore o di uno studioso che ha aggiunto una parola (in ci sinonimo di add.) o ha inserito nel luogo indicato una porzione di testo trasposta da altro luogo. Pu riferirsi tuttavia anche a un antico copista. interp. o interpunx. = interpunxit. Introduce il nome di un editore o di uno studioso che ha proposto una particolare interpunzione del testo, tale da determinarne il senso (le interpunzioni non determinanti per il senso non sono in genere indicate in apparato, bench esse spesso nascondano sottili sfumature interpretative nientaffatto trascurabili). Non meno usitata la formula dist. = distinxit (che evita ogni confusione con interpretatus est). interpr. = interpretatus est. Introduce il nome di un editore o di uno studioso che: a) ha fornito una peculiare interpretazione del testo trdito; b) ha fornito una particolare lettura di un
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testo trdito di non immediata intelligenza (perch compendiato, semicancellato, corretto malamente dal copista, etc.).

inv. ord. o ord. inv. = ordinem invertit. Detto di codice, segnala che lordine delle parole
mutato rispetto alla v.l. precedentemente menzionata.

iure. A ragione. Segnala il plauso delleditore per singole scelte testuali di uno o pi predecessori. Si possono impiegare molte altre espressioni (per es. recte, cf. fort. recte). lac. stat. = lacunam statuit. Introduce il nome di un editore o di uno studioso che ha
ipotizzato lacuna in un determinato passo. In genere il passo indicato tramite le indicazioni post (post h.v. o post [parola o parole del testo]), inter (inter vv. 12 et 13, inter [parole del testo]) e simili. In questa e in altre formule statuit pu essere sostituito da indicav. = indicavit.

l.c. = locus citatus. Si riferisce a un passo (in genere di testimone indiretto)


precedentemente citato.

mal. = maluerunt. Per indicare la preferenza di editori o studiosi passati per una lezione (o, meno frequentemente, per una congettura). malim. Per indicare la cauta preferenza delleditore per una lezione o congettura. Si
riserva talora a piccoli ritocchi operati a partire da una congettura gi proposta da altri, considerata comunque non risolutiva. A volte gioca il ruolo di un ipotetico desideratur (cf. supra).

nota o nota pers. = nota personae, personarum. Lindicazione esplicita, in un testimone,


del personaggio al quale va attribuita una battura.

obl. = oblocutus est. Precede il nome di uno studioso che ha espresso parere contrario allopinione precedentemente menzionata o sintetizzata. om. = omittit. Indica una porzione di testo omesso da un testimone, indicato tramite
siglum subito dopo.

perperam. Condanna le congetture o correzioni giudicate inutili o platealmente erronee. Si possono usare altres frustra, temere, etc., con variabili gradi di biasimo. possis. Lespressione segue (o talora precede, magari nella formulazione possis et) una
proposta congetturale espressa con cautela, o perch variazione non risolutiva di una congettura precedentemente menzionata, o perch non pi probabile delle proposte gi menzionate. In alternativa si impiega an interrogativo (naturalmente premesso).

praeb. = praebet. Precede la menzione di un testimone che offre una determinata lezione. In genere lesplicitazione del verbo non necessaria ( A sottintende praebet o simili), ma necessaria essa pu rendersi di fronte a precisazioni di pi ampia portata ( (sic) A, verum praeb. A2 o simili). praeeunte. Introduce, nella forma di un ablativo assoluto, il nome di uno studioso che ha
anticipato la congettura di un altro (che evidentemente lha riproposta ignaro del predecessore) o ha preceduto, per via congetturale, la scoperta di una buona lezione trdita. Per lo stesso scopo si possono utilizzare iam ( S, iam Bergk) o, in caso di congetture convergenti ma 14

indipendenti, post ( Brunck post Ellebodium). Se le due congetture sono (pi o meno) contemporanee e indipendenti, si suole indicare il nome di entrambi i proponenti senza alcuna segnalazione di priorit, bench luso non sia privo di ambiguit ( Hermann, West, indicher pi probabilmente che West ha recepito [vd. rec.] una congettura di Hermann; meglio dunque, in casi analoghi, Bothe et Hermann o simili). In caso di conferma diretta di una congettura (per esempio da parte di un papiro o in sguito a una pi capillare ispezione della tradizione manoscritta medioevale) si usa frequentemente coniecerat (cos aveva gi congetturato + nome dello studioso).

prob. = probavit. Introduce il nome di un editore o di uno studioso che ha espresso


consenso per la scelta di un predecessore, in genere per una congettura. Di norma, la menzione riservata ad autori particolarmente autorevoli. Per spontanea distinzione rispetto a rec(epit), di norma prob(avit) riservata a opinioni espresse in sedi critiche diverse dalledizione (o comunque espresse in apparato e non immediatamente concretizzatesi nellaccoglimento della congettura proposta).

rec. = recepit. Introduce il nome di un editore (pi raramente di uno studioso che si sia
espresso in sede diversa da unedizione critica) che ha accolto la lezione offerta da un testimone o la congettura proposta da un predecessore.

rest. = restituit. Si riferisce al ripristino di una presunta lezione autentica (magari desunta
da tradizione indiretta rispetto allunanime tradizione diretta, se non semplicemente divinata) da parte di un editore. Affine a corr., ma senza il plauso incondizionato che questo implica (rest. pu applicarsi anche a scelte fra varianti o congetture di cui si contesti la validit; non cos, di norma, corr., che implica intervento giudicato indiscutibile sotto il profilo della constitutio textus).

retinui. Introduce la lezione trdita conservata dalleditore (in genere contro un diffuso
giudizio di condanna). Vedi anche serv.

scil. = scilicet. Nella menzione forzatamente stringata di un intervento congetturale (o, talora, di una lezione trdita) introduce fra parantesi spiegazioni essenziali, per es. il soggetto da sottintendere, il termine con cui concordare, se non addirittura il senso generale (magari nella forma di una traduzione). secl. = seclusit. Si veda exp., di cui completo sinonimo. serv. = servavit. Introduce il nome di un editore o di uno studioso che ha conservato (o
difeso) il testo trdito. Si veda retinui. Talora, per introdurre pi articolate spiegazioni di interventi (o articolate esegesi) si ricorre alla formula quo servato (a proposito di una lezione precedentemente menzionata).

scripsi. Segue le congetture introdotte nel testo (non semplicemente proposte) dallo stesso
editore (e.g. scripsi : codd.).

sic. bene utilizzare la formula per contrassegnare (fra parentesi tonde) che la
trascrizione di quanto segue o precede esatta, per quanto la lezione sia scorretta o possa sembrare assurda (e.g. (sic) A). Taluni editori ricorrono al punto esclamativo !. Il sic pu essere riservato - ma come sommo segno di biasimo - anche alle congetture di studiosi moderni.

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suppl. = supplevit. Introduce il nome di un editore o di uno studioso autore di un


supplemento (integrazione) congetturale. Pu indicare anche una lezione aggiunta (per esempio supra lineam) da un copista, bench in tal caso sia pi usuale add. Nel caso di un editore, molto economico riportare la lezione con le uncinate per il supplemento (e.g. < > Bentley).

susp. = suspicatus est. Introduce il nome di un editore o di uno studioso che ha espresso dubbi sulla sanit o sullautenticit di un passo. Non mancano perifrasi pi pompose: suspectum habet (o habuit), suspectum iudicat (o iudicavit), etc. Se si vuole riconoscere che un predecessore aveva gi espresso perplessit su un passo, senza per trovare la soluzione definitiva che ora leditore presume di aver trovato, si decliner temporalmente lespressione. suspectum o locus suspectus. Indica un passo giudicato dalleditore passibile di correzione congetturale: suggerisce una difficolt, ma senza proposte di correzione in proprio. Si pu utilizzare anche obscurum o locus obscurus, e non mancano espressioni pi ricercate (suspicionem movet, suspectum habeo, etc.). tempt. = temptavit. Introduce il nome di un editore o di uno studioso autore di una
congettura giudicata poco probabile (dalleditore o, si sottintende talora, dallo stesso proponente). Lespressione si riserva in genere alle corruttele ritenute di difficile soluzione, e ai passi particolarmente e lungamente vessati. Si pu utilizzare altres lespressione varie temptatum per contrassegnare un passo oggetto di ampia discussione. In taluni casi leditore pu giudicare tali discussioni inutili (e allora seguiranno espressioni caratteristiche come: sed nihil mutandum o simili). In caso di proposta avanzata dubitanter (cf. supra) dalleditore stesso, si possono trovare espressioni come temptaverim.

transp. = transposuit. Introduce il nome di un editore o di uno studioso autore di una trasposizione. La natura esatta della trasposizione (luogo di partenza e luogo di arrivo, entit della porzione testuale trasposta) si indica tramite le indicazione ante, post, ex, in, etc. Si pu utilizzare anche traiec. = traiecit. trib. = tribuit. Dinanzi a problemi dinterlocuzione (per testi teatrali o dialogici) indica
lattribuzione di una battuta a questo o quel personaggio. Segue la sigla di un codice (se si tratta di attribuzione antica, comunque congetturale) o il nome di un editore moderno (se essa contraddice le indicazioni dei manoscritti, medioevali o antichi). Si pu utilizzare anche adscr. = adscribit (per lo pi se interlocuzione proposta da un codice o da un papiro) o adscripsit.

verum (habet, praebet, etc.). Si indica talora in questo modo la lezione autentica, cio
corretta, fornita da un testimone fra gli altri. E.g. A, verum A .

v.l. = varia lectio. Variante. Naturalmente ben poco impiegato negli apparati. vulg. = vulgo. Indica la lezione dominante nella koin o vulgata editoriale di unopera, o nella maggioranza dei manoscritti, specie se ci si riferisce a deteriores.

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6. Segni diacritici (separatori) in apparato10 ]. Quadra semplice chiusa. Separa il testo adottato dalle varianti, congetture etc. che seguono. Non sempre obbligatorio. Talora lo si impiega solo quando la porzione di testo interessata dalla variantistica, dagli interventi, etc., non immediatamente riconoscibile. :. Due punti. Separano luna dallaltra le diverse lezioni, congetture etc. a uno stesso passo. In genere precede e segue spazio. Non di rado segue soltanto. Alcuni editori preferiscono usare uno spazio doppio o triplo. Altri editori non utilizzano alcun segno di distinzione (ma negli apparati complessi e ricchi ci genera enorme confusione, specie a fine riga). |. Tratto verticale. Separa lezioni, interventi etc. relativi a diverse porzioni di una singola unit testuale (verso o rigo di prosa). Talora si ricorre a una diversa spaziatura o tabulazione. Alcuni editori utilizzano il segno anche per separare fra loro le singole unit testuali (bench a rigore ci basti lindicazione numerica). Si utilizza talvolta anche il tratto doppio: ||, per luno o laltro scopo. Luno e laltro segno si utilizzano talora anche per distinguere le prime indicazioni fornite nella fascia dellapparato (per es., il o i testimoni indiretti, i codici di riferimento, etc.) e lapparato vero e proprio. Molte di tali indicazioni sono rese superflue dalluso oggi tipograficamente pi comune - del bold (per lindicazione numerica del verso o del rigo). ,. Virgola. Separa in genere tutti gli elementi riferibili ad ununica variante (per es. i rec. e i prob. seguiti dal nome dello studioso). In altri termini, il separatore subordinato ai due punti (e.g. ABD, rec. ed. pr. : C, coni. iam Casaubon, edd. rell.). -. Trattino breve: si utilizza per abbreviare le parole che costituiscono varia lectio (o congettura), cos da attrarre lattenzione sul singolo tratto mutato (e.g. codd. : Bentley, oppure: codd. : Haupt). Nel caso sia opportuno riportare contesti ampi e non singole parole, le parole non interessate da mutamenti possono essere abbreviate con liniziale o (in caso di dittongo) le iniziali (e.g. non per ). ( ). Parentesi tonde, entro le quali possono trovarsi informazioni utili per comprendere una congettura, una peculiare lettura di un codice, una situazione complessa nel manoscritto di riferimento (cancellazioni, spazi omessi, presenza o assenza di segni diacritici, etc.). ( ). Caporali o virgolette francesi, in genere fra tonde. Segno che non andrebbe a rigore utilizzato nel testo (bench in testi epici, testi in prosa, etc., sia invalso luso di usare comunque le virgolette per indicare battute di personaggi, citazioni, etc.: di norma si impiegano per le virgolette alte semplici [ ]). In apparato bene riportare fra caporali, entro parentesi tonde, le seguenti informazioni: 1) notazioni di commento essenziali, desunte da altri studiosi, indispensabili per capire il senso di uninterpretazione evocata, dellaccoglimento di un testo problematico, etc.; 2) eventuali traduzioni latine o no fornite dagli studiosi menzionati, sia giustificazione del testo, sia a interpretazione di una propria congettura; 3) qualora il testo da cui si desume una lezione (o uninterpretazione) sia soltanto una traduzione, il testo della traduzione e non solo la lezione greca da esso presupposta (e.g. traduzione araba della Poetica di Aristotele): ci quando la traduzione testimone in s o quando rappresenta una prima, autorevole interpretazione/costituzione del testo; 4) negli apparati pi ricchi (e.g. Hipponax teubneriano di Degani), fra caporali in parentesi tonde possono trovarsi altres ampie citazioni di opere critiche, se sufficienti a sintetizzare uninterpretazione.
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Oltre ai segni validi anche per il testo, su cui cf. supra, punto 3.

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7. Abbreviazioni di nomi propri. La tradizione relativa allabbreviazione di nomi propri concerne: 1) studiosi illustri in universo; 2) studiosi illustri per il contributo fornito al singolo testo, e perci frequentemente citati in apparato, non senza preventive esplicazioni; 3) editori principi, commentatori celebri, etc. Molto raramente tali abbreviazioni vengono utilizzate senza un preciso scioglimento delle sigle in sede di prefazione. Ad ogni modo, alcuni dei pi ricorrenti sono (per ovvie ragioni): Casaub(on), Turn(ebus), Herm(ann), Mein(eke), Bekk(er), Bentl(ey), Bgk (= Bergk), Kai(bel), Wil(amowitz), Fraenk(el, cio Eduard Fraenkel, da distinguere rispetto a Hermann Frnkel), Housm(an), Lachm(ann), Pf(eiffer), etc., per citare solo alcuni breviata ricorrenti. Non di rado sottoposti ad abbreviazioni sono i nomi di Aldo Manuzio (Ald.), di Henricus Stephanus (St.), talora di dotti bizantini come Massimo Planude (Pl. o Plan.) e Demetrio Triclinio (Tr. o Tricl.). Spesso abbreviate sono le edizioni principi cinquecentesche (Ald. = Aldina, Iunt. = Giuntina, etc.).

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