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Andriolo Marco
Mat. 499925
I. INTRODUZIONE
In seguito agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti, la
comunità internazionale si è mobilitata per combattere e prevenire il terrorismo
internazionale. In tale circostanza, però, sia il Consiglio di Sicurezza sia l’Assemblea
Generale hanno ricordato che la lotta al terrorismo deve essere condotta dagli Stati in
accordo agli obblighi di diritto internazionale cui sono soggetti.
Gli Stati Uniti nel novembre 2001, due mesi dopo l’attacco, approvarono il “Military
Order on the Detention, Treatment and Trial of Certain Non-Citizens in the War Against
Terrorism” che contiene il regolamento della struttura di detenzione di Guantánamo
Bay, situata nei pressi di Cuba e, secondo quanto stabilito dalla stessa Corte Suprema
americana, posta sotto la giurisdizione degli Stati Uniti.
La struttura è attiva dal gennaio 2002 e, in seguito alla diffusione di notizie
riguardanti comportamenti illeciti tenuti nei confronti dei detenuti, ha destato la
preoccupazione della comunità internazionale che ha cominciato a tenere sotto
osservazione il centro.
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La proibizione dell’uso della tortura nel diritto internazionale e il rapporto su Guantánamo Bay
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Sin dal 2002 i cinque esperti hanno seguito con attenzione la situazione dei detenuti
di Guantánamo Bay, ciascuno nell’ambito che gli competeva. Nel 2004 decisero di
coordinare le loro analisi in un lavoro di gruppo e redigere un unico rapporto anziché
cinque individuali.
Nel giugno 2004 il gruppo di esperti aveva richiesto al governo statunitense di poter
visitare la base per ottenere informazioni dai detenuti stessi; nell’ottobre 2005
l’amministrazione americana rispose invitando tre dei cinque esperti per una visita di un
giorno alle strutture della base, senza, però, la possibilità di incontrare privatamente o
intervistare i detenuti. Poiché tali condizioni compromettevano lo scopo principale della
visita (cioè ottenere informazioni dai prigionieri), il gruppo di esperti decise di non
intraprendere il viaggio.
Pertanto le fonti su cui si basa il rapporto sono essenzialmente:
- le risposte del governo degli Stati Uniti a questionari concernenti la base di
Guantánamo Bay;
- le interviste a persone che sono state detenute nella base e che oggi risiedono o
sono detenute in Francia, Spagna e Regno Unito;
- le risposte a questionari fornite dai legali di alcuni detenuti della base;
- informazioni di pubblico dominio, compresi rapporti preparati da Organizzazioni
Non Governative, documenti ufficiali degli Stati Uniti, rapporti dei media.
In base a queste informazioni Mr. Manfred Novak, nella parte del rapporto che si
occupa di tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti (la Sezione
III), denuncia alcuni comportamenti tenutisi nella base di Guantánamo in quanto
possono essere assunti come atti di tortura.
Prima di prendere in esame questi atti, è necessario conoscere lo sfondo giuridico
internazionale per quanto riguarda la proibizione della tortura.
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Nel corso del XIX e del XX secolo la tortura viene proibita dai codici e Costituzioni
di tutti gli Stati, ma non sparisce mai completamente: si ripresenta nei regimi totalitari o
in quelli democratici quando le garanzie istituzionali sono momentaneamente indebolite
(situazioni di guerra o minaccia per la sicurezza).
Per questo la comunità internazionale ha deciso di dotarsi di strumenti che
ribadiscano il diritto dell’uomo alla propria integrità fisica e mentale e sanciscano in
capo agli Stati l’obbligo di punire gli atti di tortura. Il primo di questi strumenti è la
“Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo” del 1948, la “fonte delle fonti” del
diritto internazionale dei diritti umani. All’art. 5 la Dichiarazione sancisce che:
Tale dicitura viene ripresa nel “Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici”
(ICCPR) del 1966, che recita all’art.7:
e all’art. 10:
art. 10.1 “Qualsiasi individuo privato della propria libertà deve essere trattato con
umanità e col rispetto della dignità inerente alla persona umana.”
Art. 10.3 “Il regime penitenziario deve comportare un trattamento dei detenuti che
abbia per fine essenziale il loro ravvedimento e la loro riabilitazione sociale.[…]”
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art.4.1 “In caso di pericolo pubblico eccezionale, che minacci l’esistenza della
nazione e venga proclamato un atto ufficiale, gli Stati Parti del presente Patto possono
prendere misure le quali deroghino agli obblighi imposti dal presente Patto, nei limiti
in cui la situazione strettamente lo esiga, e purché tali misure non siano incompatibili
con gli altri obblighi imposti agli Stati medesimi dal diritto internazionale e non
comportino una discriminazione fondata unicamente sulla razza, sul colore, sul sesso,
sulla lingua sulla religione o sull’origine sociale.”
Art. 4.2 “La suddetta disposizione non autorizza alcuna deroga agli articoli 6, 7, 8
(paragrafi 1 e 2), 11, 15, 16 e 18.”
art.1 “il termine tortura indica qualsiasi atto per il quale dolore o delle sofferenze
acute, fisiche o mentali, sono deliberatamente inflitte ad un individuo allo scopo di
ottenere da esso o da un terzo informazioni o confessioni, di punirlo per un atto che ha
commesso o che si sospetta abbia commesso, o allo scopo di intimidirlo o di intimidire
altre persone.”
Tale definizione è in parte ripresa dal principale strumento di carattere universale per
la protezione dalla tortura: la “Convenzione delle Nazioni Unite contro la Tortura ed
altre Pene o Trattamenti Crudeli, Inumani o Degradanti”, adottata dall’Assemblea
Generale il 10 dicembre 1984 ed entrata in vigore il 26 giugno 1987.
La Convenzione è composta di 33 articoli. All’art.1:
art.1 “il termine “tortura” indica qualsiasi atto mediante il quale sono
intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al
fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o
confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è
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si stabilisce che, per qualificare un atto come tortura, ci devono essere due parti: civili
da una parte e agenti di funzione pubblica dall’altra. Se entrambe le parti sono private,
si avranno altri tipi di reato. Negli articoli successivi la Convenzione prevede l’obbligo
per gli Stati di considerare la tortura come un crimine, quindi di adeguare gli strumenti
giuridici nazionali al fine di vietare e punire azioni definibili in tal senso (art. 2.1).
È importante notare il principio per cui il reato di tortura c’è anche quando è stato
perpetrato in condizioni di eccezionalità , come conflitti armati, instabilità politica o
emergenze pubbliche (art.2.2), o è stato ordinato da un superiore gerarchico (art. 2.3): si
ribadisce, infatti, il principio per cui nessuna giustificazione è ammessa per la
commissione di atti di tortura. Inoltre, è fatto divieto agli Stati parte di espellere o
estradare un presunto criminale in un altro Stato, se sussistono seri motivi per ritenere
che, sotto la nuova giurisdizione, egli possa divenire oggetto di tortura (art.3.1).
Data la gravità del fenomeno, la Convenzione prevede il diritto di perseguire il
presunto criminale quando questi si trovi nel territorio di uno Stato membro della
Convenzione; questo diritto dà la possibilità di scegliere se processare il sospettato o
garantirne l’estradizione nello Stato nel quale egli ha commesso atti di tortura (art.8).
Un’ulteriore tutela viene dalla possibilità di attivare la procedura di inchiesta
internazionale se vi sono attendibili informazioni sulla commissione sistematica di atti
di tortura nel territorio di uno Stato parte.
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L’art.20 prevede che il Comitato possa esaminare, con la collaborazione dello Stato
interessato, delle situazioni che contrastano con i fini della Convenzione. Dopo aver
avuto informazioni sulla fondatezza di tali situazioni, il Comitato interroga lo Stato a
riguardo; in questa fase può richiedere informazioni anche a ONG e privati. Se ritiene le
notizie fondate, designa uno o più membri per condurre delle indagini: questi potranno
muoversi nel territorio dello Stato interessato solo se questi acconsente.
Al termine dell’attività investigativa, il CAT trasmette le proprie conclusioni al
Governo dello Stato, indicando le eventuali misure che sarebbe opportuno prendesse.
Fino a questo momento le informazioni restano riservate: alla fine, però, se lo Stato
acconsente, sarà possibile rendere nota la questione alla comunità internazionale,
trasmettendo le conclusioni all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
L’art.21 prevede per gli Stati parte la possibilità di fare delle comunicazioni ad un
altro Stato per situazioni inerenti la Convenzione. Affinchè ciò sia possibile è necessario
che entrambi gli Stati abbiano ratificato la Convenzione dichiarando esplicitamente di
accettare le disposizioni dell’art.21. Inizialmente la procedura non prevede l’intervento
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del Comitato: uno Stato fa sapere, mediante comunicazione scritta, ad un altro Stato che
secondo lui non adempie agli obblighi previsti dal Trattato. Il secondo Stato deve
elaborare una risposta entro tre mesi; se dopo sei mesi la situazione non giunge a
soluzione si può chiedere l’intervento del Comitato il quale, dopo aver controllato che il
problema non si possa risolvere internamente, promuove una soluzione amichevole, ad
esempio creando una Commissione di Conciliazione. In questa fase gli Stati possono
partecipare alle sessioni del Comitato che si svolgono a porte chiuse. Entro 12 mesi il
Comitato deve presentare un rapporto con una breve esposizione dei fatti e la soluzione
adottata, nel caso ne sia stata trovata una.
b. Lo Special Rapporteur
Vista la sensibilità della comunità internazionale su un tema delicato come quello
della tortura, si è sentita la necessità di istituire ulteriori meccansimi di monitoraggio al
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fine di prevenire gravi violazioni dei diritti umani. Per questo motivo nel 1985 la
Commissione Diritti Umani istituì lo “Special Rapporteur sulla tortura e altri trattamenti
o punizioni crudeli, inumani o degradanti”. Tale organo agisce in stretta collaborazione
con il CAT, ma ha una competenza più ampia perché esercita le sue funzioni su tutti gli
Stati delle Nazioni Unite, non solo sugli Stati parte della Convenzione.
Lo Special Rapporteur, oltre ad informare la Commissione (ora trasformata in
Consiglio Diritti Umani) sul fenomeno della tortura in generale, comunica con i
Governi per ricevere informazioni o dare consigli sulle misure adottate al fine di
prevenire la tortura e fornire un’adeguata protezione dei diritti umani.
Inoltre nel sistema europeo e in quello americano sono stati adottati nel 1987 due
testi specifici: la “Convenzione Europea per la Prevenzione della Tortura e delle Pene o
Trattamenti Inumani e Degradanti” e la “Convenzione Interamericana per la
Prevenzione e la Punizione della Tortura”.
L’art.3 della Convenzione Europea dei diritti umani riproduce in parte l’art.5 della
Dichiarazione Universale:
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Si tratta di un divieto assoluto che non ammette giustificazioni; tuttavia manca una
definizione di tortura. Per questo l’art.3 è stato integrato da una Convenzione specifica
adottata dal Consiglio D’Europa nel 1987 ed entrata in vigore nel 1989.
Tale Convenzione istituisce il “Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura e
delle Pene Inumane e Degradanti” che si differenzia dal CAT perché ha un potere di
indagine più forte: può, infatti, fare visite in ogni luogo sottoposto alla giurisdizione
delle Parti contraenti in cui “delle persone sono private della libertà da parte di
un’autorità pubblica” (art.2). Per effettuare tali sopralluoghi il Comitato non necessita
del consenso dello Stato, ma deve semplicemente notificare lo svolgimento di tale
visita: lo Stato sarà allora obbligato a lasciare libero accesso alle strutture interessate,
fornendo le informazioni e la collaborazione richieste.
Sulla falsa riga del Comitato Europeo, è oggi sottoposto alla ratificata degli Stati un
Protocollo aggiuntivo alla Convenzione contro la Tortura delle Nazioni Unite, il quale
istituisce un Sottocomitato che può fare visita nei siti a rischio.
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sospettati di aver commesso tali crimini anche sul territorio di Stati non parte allo
Statuto.
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Risposta degli Stati Uniti del 21 ottobre 2005 alla domanda degli Special Rapporteurs dell’8 agosto
2005 sui detenuti di Guantánamo Bay, pagina 3.
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2
Memorandum del Segretario alla Difesa per il capitano dell’ “US Southern command”, del 16 aprile
2005 sulle “Tecniche di Contro-Resistenza nella Guerra al Terrorismo”
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c. Le Condizioni di Detenzione
Le stesse condizioni di detenzione sembrano avere lo scopo di causare sfinimento.
Azioni come negare vestiti o prodotti igienici, tenere le luci perennemente accese nelle
celle, proibire le comunicazioni, fare pressioni su differenze religiose e culturali,
intimidire e creare incertezza mediante l’indeterminatezza della detenzione, non solo
costituiscono violazioni degli articoli 7 (divieto di trattamento inumano) e 10 (diritto ad
essere trattati con umanità) dell’ICCPR, ma hanno portato anche a seri problemi di
salute mentale, come testimoniano i suicidi del 10 giugno di tre giovai detenuti.
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Mr. Novak registra anche violazioni all’art.3 della Convenzione contro la Tortura e
all’art.7 dell’ICCPR, in quanto alcuni detenuti sono stati estradati in Paesi in cui c’è un
serio rischio che vengano torturati.
art.13 “Ogni Stato Parte garantisce ad ogni persona che pretende essere stata
sottoposta alla tortura su qualsiasi territorio sottoposto alla sua giurisdizione, il diritto
di sporgere denuncia davanti alle autorità competenti di detto Stato, che procederanno
immediatamente ed imparzialmente all’esame della sua causa. […]”
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Infine, si raccomanda agli Stati Uniti che vengano condotte da parte di autorità
giudiziarie indipendenti delle indagini accurate sulle situazioni denunciate; tutte le
persone che abbiano eseguito, ordinato, tollerato o concesso impunità per tali pratiche
dovrebbero essere portate in giudizio e le vittime di tali trattamenti dovrebbero essere
risarcite con un giusto e adeguato compenso e, dove possibile, con mezzi di
riabilitazione, in accordo con l’art. 14 della Convenzione contro la Tortura:
art.14.1 “Ogni Stato Parte garantisce, nel suo sistema giuridico, alla vittima di un
atto di tortura, il diritto di ottenere riparazione e di essere equamente risarcito ed in
maniera adeguata, inclusi i mezzi necessari alla sua riabilitazione più completa
possibile. In caso di morte della vittima, risultante da un atto di tortura, gli aventi
causa di quest’ultima hanno diritto al risarcimento.”
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