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Osservatorio: didattica educazione

Ricognizione sulla didattica del design percorsi storici e riflessioni critiche

Filippo Taveri relatore Luciano Perondi Isia Urbino 2011-12

Osservatorio: didattica educazione Ricognizione sulla didattica del design percorsi storici e riflessioni critiche

Isia Urbino Diploma accademico di 2 livello in Comunicazione, design ed editoria Filippo Taverimatricola 077 relatore Luciano Perondi Anno accademico 2011-12

Indice
Abstract Introduzione Avviare una ricerca sulleducazione Capitolo primo Sulle scuole di progettazione in Italia 1 Introduzione al capitolo 2 Arti applicate allindustria e formazione professionale 2.1 Istruzione dopo lunificazione italiana 2.2 Ingegneria e architettura 2.3 Musei artistici industriali, formazione professionale 2.4 Riforma Gentile 2.5 Riordino dellistruzione artistica 3 Disegno industriale, da istruzione secondaria a superiore 3.1 Corsi superiori di disegno industriale 3.2 Il corso di Venezia 3.3 Il corso di Firenze 3.4 Il corso di Roma 3.5 La scuola di Urbino 3.6 Riforme degli anni sessanta, dibattito anni settanta 3.7 Fondazione degli Isia, Dams di Bologna 4 Insegnamento del design nelle universit 4.1 Contesto universitario degli anni ottanta 4.2 Grafica come design 4.3 Nuovo assetto universitario negli anni novanta 4.4 Discipline del progetto nellambito universitario 4.5 Processo di Bologna, Spazio europeo dellistruzione superiore 4.6 Riforma dellistruzione superiore in Italia 4.7 Comparto alta formazione artistica e musicale 5 Panorama attuale delleducazione al design 5.1 Corsi universitari 5.2 Comparto AFAM 11 13 19 21 22 22 24 27 29 32 34 36 39 41 43 46 48 50 53 53 57 60 63 68 70 73 77 78 80

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Capitolo secondo Sullinsegnamento: temi generali ed esigenze contemporanee 1 Premessa al capitolo 2 Definizioni preliminari 2.1 Istruzione, formazione, educazione 2.2 Scuola, studio 3 Complessit contemporanea, attualit della scuola 3.1 Edgar Morin, il pensiero complesso 3.2 Sistemi aperti e organizzazione 3.3 Dalla modernit funzionale alla contemporaneit liquida 3.4 Validit delle conoscenze acquisite a scuola 3.5 Influenze esterne, distribuzione del tempo nella scuola 4 Conoscenze e competenze 4.1 Definire le competenze 4.2 Da un altro punto di vista 5 Connessione tra le discipline 5.1 Competenze cognitive e trasversali 5.2 Crisi delle materie scientifiche 5.3 Promozione della cultura scientifica e tecnologica 6 Didattica esperienziale 6.1 John Dewey, educazione progressiva 6.2 Definire il laboratorio 7 Conclusione al capitolo Capitolo terzo Sullinsegnamento del design 1 Definire il campo 1.1 Design e disegno industriale 1.2 Grafica e comunicazione visiva 1.3 Considerazioni finali 2 Formare il designer 2.1 Proposte di percorsi formativi

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3 Fondazione disciplinare, insegnamenti fondamentali 3.1 Modelli pedagogici, propedeutica e basic design 3.2 Origine dellespressivit soggettiva 3.3 Formazione di base, il modello di Ulm 3.4 Superamento dei due modelli dinsegnamento 4 Rapporto con lesterno, didattica per progetti 4.1 Lesperienza di Bolzano 4.2 Rapporto scuola-produzione 5. Dimensione culturale, profilo intellettuale 5.1 Anticipazioni in Italia 5.2 Dibattito americano: forza politica e sociale, autorialit 5.3 Desktop publishing, designer come produttore Capitolo quarto Sulla formazione degli insegnanti 1 Introduzione al capitolo 2 Docenza in ambito universitario 2.1 Riforma Gelmini, organizzazione delle universit 2.2 Stato giuridico di professori e ricercatori universitari 2.3 Reclutamento dei professori e dei ricercatori 2.4 Situazione precaria del comparto AFAM 3 Casi studio 3.1 Piano Insegnare scienze sperimentali, premesse 3.2 Avvio dei lavori e formazione dei tutor 3.3 Modello del Presidio territoriale 3.4 Piano M@t.abel, e-learning integrato 4 Ipotesi conclusive Conclusioni Per un osservatorio stabile sulla didattica e leducazione Bibliografia

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Normativa di riferimento Appendice uno Intervista a Daniela Piscitelli Appendice due Conversazione con Giovanni Lussu

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Abstract
La ricerca confluita nelle pagine di questa tesi prende avvio dallipotesi che i percorsi didattici dedicati alla formazione dei progettisti siano attualmente affetti da una certa condizione di chiusura, sia rispetto ad altri ambiti disciplinari sia in rapporto al contesto in cui sono situati. La tesi mira, pertanto, a verificare tale presupposto analizzando sia le caratteristiche degli scenari contemporanei che lattuale assetto della formazione nel campo del design. Per consentire un adeguato livello di approfondimento, il campo stato limitato alla sola situazione italiana. Lanalisi parte dalla ricostruzione del percorso storico che ha condotto allattuale panorama di corsi e scuole di progettazione, con lo scopo comprenderne meglio le caratteristiche e lorigine dei punti critici su cui si intende intervenire. Risulta necessario, per affrontare i problemi interni, allargare lorizzonte della disciplina, volgendo lo sguardo a riflessioni pi generali sulla pedagogia e la didattica scolastica e universitaria. Le considerazioni prodotte in tale ambito sono messe in relazione alle caratteristiche proprie della designpur constatandone la difficolt di definizionee del suo insegnamento. Infine si individuata nella formazione degli insegnanti una zona dintervento per lo sviluppo di progetti che tengano conto dei risultati, ancora parziali, di questa tesi. In tutto il percorso lenfasi posta sullosservazione, quale momento analitico che precede ogni seria attivit di progettazione, da cui scaturiscono riflessioni critiche e proposte.

Introduzione Avviare una ricerca sulleducazione

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Due quesiti hanno ispirato la ricerca presentata nei capitoli di questa tesi, e ne hanno definito, in un certo senso, lorientamento. Ci si chiesti se un progettista di comunicazione sia in grado, con gli strumenti intellettuali e materiali a sua disposizione, di superare i tradizionali confini disciplinari, legati a una attivit professionale ormai sempre meno delimitata e sempre pi inclusiva. Parallelamente si considerata la possibilit di ripensare lidea stessa di scuola e di insegnamento, oltre che il modo in cui si produce, trasmette e condivide il sapere. Queste due ambiziose missioni sono tra loro connesse e reciprocamente interagenti: per mettere il progettista in condizioni di operare ad alti livelli di complessit si ritiene necessaria una riforma dei percorsi educativi destinati a tale figura; per avviare un processo di rinnovamento dei sistemi distruzione sembra opportuno coinvolgereaccanto ad espertifigure che abbiano le competenze per gestire flussi di lavoro e progettare sistemi con un numero elevato di variabili. Alcune valutazioni preliminari mi hanno spinto ad intraprendere una ricerca sulleducazione. Il sistema distruzione, allo stato attuale, non sembra essere in grado di fornire una preparazione adeguata alla complessit contemporanea. La pianificazione didattica, inoltre, risulta facilmente soggetta a obsolescenza: esiste un irriducibile scarto tra il momento di elaborazione delle riforme e il tempo necessario alla loro applicazione. Scarto che si registra, oltretutto, nelle differenze dinterpretazione e nelle modalit di attuazione, anche in rapporto agli specifici contesti. A ci si aggiunge levidente difficolt di fare previsioni a lungo termine. Permane, di conseguenza, un costante sfasamento tra il sistema distruzione formale e la realt, ovvero il contesto culturale, sociale, politico ed economico in cui esso opera. Tuttavia, non si pretende di difendere o ipotizzare un modello formativo valido unicamente per il futurodi per s insondabile e imprevedibilee quindi orientato alla formazione professionale, quanto piuttosto si aspira a ripristinare il ruolo delluniversit quale polo di dialogo per la societ-cultura. Il campo dazione particolare della ricerca e delle ipotesi progettuali a cui si tende il designinteso nellaccezione pi ampia di attivit progettuale orientata allinterpretazione e soluzione di problemi complessie la que-

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stione della formazione dei designer. La scelta di focalizzare lattenzione su questo ambito stata condizionata da alcune specificit della disciplina, oltre che dal fatto di svolgere tale ricerca nellambito di un corso di progettazione. Il design , infatti, una disciplina relativamente giovane, per la quale non esiste ancora, almeno in Italia, un percorso educativo univoco e formalizzato. Ci, pur generando lacune o incoerenze nellofferta formativa, non detto che costituisca di per s un limite o uno svantaggio per la formazione del designer. Inoltre, il design, si caratterizza come area dai confini sfumati, in cui confluiscono indirizzi disciplinari anche molto diversi tra loro, ma che tuttavia condividono alcune strutture fondamentali. Per questa serie di ragioni, proprio nellambito della formazione al design, si aprono zone dintervento molto stimolanti per lelaborazione di progetti orientati non solo al rinnovamento della didattica del settore, ma anche al contesto pi ampio dellistruzione superiore. Dunque, con lo scopo di fornire alle ipotesi progettuali una base concettuale meno vaga possibile, oltre che per comprendere con chiarezza le problematiche connesse allambito di riferimento, si scelto di ripercorrere, in prima istanza, le tappe fondamentali della storia della formazione al design in Italia, per poi passare ad uno studio del dibattito e delle caratteristiche dellinsegnamento del design, in rapporto ad alcune pi generali riflessioni relative allistruzione scolastica e universitaria. Le considerazioni scaturite da tale confronto hanno condotto, infine, a proporre un ambito di progettazione per portare avanti e finalizzare i risultati di questa ricerca.

Capitolo primo Sulle scuole di progettazione in Italia

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1 Introduzione al capitolo
Lintento di questo primo capitolo quello di ripercorrere alcune fondamentali tappe nella storia della formazione al design in Italia, dai primordicaratterizzati dalla necessit di innalzamento della qualit artistica dei prodotti industriali, quindi di qualificazione professionale degli operaifino allassetto attualeche vede linsegnamento del design inserito nel contesto dellistruzione superiore. Si segue, in sostanza, quel processo che ha visto laffermarsi della figura del progettista e del disegno industriale come disciplina autonoma, da cui consegue la presa di coscienza del bisogno di una formazione adeguata del progettista. Parallelamente si assiste al graduale avvicinamento del progetto grafico e di comunicazione alle dinamiche della produzione seriale, che ha determinato laccorpamentotalvolta una certa confusionedei percorsi formativi relativi a diverse aree della progettazione. Lesigenza di trattare insieme, in questo capitolo, entrambi gli ambiti del design di prodotto e del design grafico data dal fatto di non poter parlare di un percorso formativo relativo a un settore senza richiamare necessariamente anche laltro: entrambi si sono sviluppati nello stesso bacino culturale, quello della decorazione, prima, e della progettazione, poi. Peraltro, le due discipline, del disegno industriale e del progetto grafico, pur trattando di cose distinte, non possono continuare a vivere attualmente in compartimenti stagni. Si scelto come ambito di riferimento quello italiano, intendendo volutamente non approfondire le esperienze straniere per via della scarsa influenza1 che queste hanno avuto sulla didattica italiana, come modelli formativi, anche se ampiamente analizzate e discusse, soprattutto in Italia. Questo excursus, che offre una panoramica sullevoluzione della situazione italiana a livello distruzione scolastica e superiore, serve a situarsi in un percorso che ha condotto allo stato attuale, con tutte le peculiarit e le problematiche che ancora si riscontrano nel panorama italiano della formazione al design.
1. Si veda, a tal proposito, lintervista a Daniela Piscitelli, presentata in appendice uno.

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2 Arti applicate allindustria e formazione professionale


Il problema della formazione alla progettazione ha interessato sostanzialmente tutto il XX secolo. Nonostante sia difficile, in una trattazione simile, ricostruire una precisa e dettagliata datazione, il fenomeno della nascita di scuole darti e mestieri o di arte applicata allindustriaper molti versi allorigine delle attuali scuole di designpu collocarsi, per gran parte dei paesi europei, intorno alla met dellOttocento. La Great Exhibition del 1851 aveva fornito un sufficiente e deludente catalogo delle qualit estetiche dei prodotti industriali, e la reazione degli intellettuali e artisti inglesi ascrivibili al movimento Arts and Crafts ben nota e documentata in molte storie del design. La riscoperta delle epoche prerinascimentali, lesaltazione del medioevo come et mitica e incorrotta, la predilezione del gotico, la difesa del lavoro artigianale contro lo scadimento di qualit dovuto ai sistemi produttivi meccanico-industrialiaspetti che connotavano il movimento ingleseebbero unenorme risonanza in tutta Europa: ancora nel 1918, in Germania, i Consigli di lavoro per larte (Arbeitsrat fr Kunst) proponevano un piano globale di riforma dellinsegnamento delle arti e delle arti applicateche sarebbe stato poi alla base del programma di fondazione del Bauhaus2 del 1919in cui era ampiamente sostenuta limportanza del lavoro artigianale e la rifondazione dellintera societ sulla qualit di questo lavoro, orientamento chiaramente influenzato anche dal tardo romanticismo e dallespressionismo autoctoni3. 2.1 Istruzione dopo lunificazione italiana Per quanto riguarda la situazione dellistruzione in Italia, non potendo ricostruire il mosaico di scuole che cera prima del 1861, il primo punto fermo che si pu fissare la cosiddetta legge Casati4 del 1859, il regio decreto legislativo
2. La Staatliches Bauhaus di Weimar nasceva, nellaprile del 1919, dalla fusione dellIstituto superiore di belle arti e della Scuola darte applicata del Granducato di Sassonia, a cui si aggiungeva una sezione di architettura. 3. In rapporto a questi eventi Francesco Dal Co commenta: In altri termini Nietzsche viene mescolato a Morris . F. Dal Co, Prefazione alledizione italiana, in H.M. Wingler, Il Bauhaus, Feltrinelli, Milano 1972. 4. Si tratta del Regio decreto legislativo n. 3725, del 13 novembre 1859, sul Riordinamento dellIstruzione pubblica. La legge prende il nome dal Ministro della Pubblica istruzione, Gabrio Casati, e faceva seguito alle leggi Bon Compagni del 1848 e Lanza del 1857. Al Ministero dellA-

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del Regno di Sardegna entrato in vigore nel 1860 e poi estesosubito dopo lunificazionea tutta lItalia. La legge, rimasta in vigore con alcune modifiche fino alla riforma Gentile del 1923, defin organicamente lintero ordinamento scolasticodal grado elementare fino allistruzione superiore universitariaconnotando profondamente il sistema italiano dellistruzione. I numerosi articoli (trecentottanta), ordinati in cinque titoli, contenevano minuziose disposizioni relative agli ordini e gradi di istruzione, alle materie dinsegnamento, ai programmi, al personale didattico e allapparato amministrativo, ispirandosi principalmente al modello prussiano nellimpianto fortemente gerarchico e centralizzato. Lobiettivo era quello di uniformare il sistema scolastico in modo da affiancare e, gradualmente, sostituire il monopolio dellistruzione ancora detenuto dalla Chiesa. La legge consentiva, tuttavia, lesistenza di scuole aperte e gestite da parte di privati, ma riservava alla scuola pubblica il rilascio di diplomi e licenze il cui riconoscimento era esteso a tutto il territorio nazionale. Tra i contenuti della norma, alcuni disposti rilevanti: tutta la riforma orientata a una concezione elitaria delleducazione; viene riservata maggiore attenzione allistruzione secondaria e superiore (universitaria) a discapito della scuola elementare, trascurando soprattutto la formazione e il reclutamento degli insegnanti elementari (la Scuola normale, preposta a questo compito, era di grado post-elementare); istituzione di due nuove facolt universitarie, Facolt di Lettere e filosofia e Facolt di Scienze matematiche, fisiche e naturali, che si affiancavano a quelle di Teologia (soppressa nel 1873), Medicina e Giurisprudenza; netta separazione, al grado secondario, tra istruzione umanistica e tecnica. Liter educativo prevedeva due cicli biennali di scuola elementare, di cui solo il primo obbligatorio5, al termine dei quali bisognava gi scegliere se intraprendere listruzione secondaria. Questa poteva essere di orientamento classico, a carico dello stato e ripartita in un quinquennio di ginnasio e tre anni di liceo, il solo che consentiva laccesso alluniversit; oppure di oriengricoltura e commercio era stata demandata, invece, la gestione della formazione professionale. 5. Questo vincolo, tuttavia, non fu severamente rispettato. Solo con la legge Coppino del 1877 si ebbe un effettivo aumento della frequenza scolastica: essa prevedeva sanzionisoltanto nominate dalla precedente leggeper chi disattendesse lobbligo scolastico, portato fino ai nove anni di et.

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tamento tecnico, articolata in tre anni di scuola tecnica, gratuita e a carico dei comuni, e tre anni di istituto tecnico, a carico dello stato, volta a formare la classe dei lavoratori. La legge dava inoltre la possibilit di apportare modifiche, con Regio decreto, agli ordinamenti dellistruzione tecnica, data la natura stessa di questo tipo di formazione e per agevolare i ceti ai quali era destinata (art. 308)6. Grazie a questa previsione, in tempi successivi, furono introdotti specifici indirizzi per la scuola tecnica, e sezioni per listituto tecnico, di cui soltanto quella fisico-matematica consentiva laccesso alla facolt di scienze matematiche fisiche e naturali. 2.2 Ingegneria e architettura La legge istituiva anche una scuola per ingegneri per ognuno dei capoluoghi di regione del Regno di Sardegna: una Regia Scuola di Applicazione per gli Ingegneri, annessa alla Facolt di Scienze fisiche e matematiche dellUniversit di Torino, che soppiantava il Regio Istituto Tecnico della citt (artt. 53 e 309)7; e un Regio Istituto Tecnico nella citt di Milano, eretto a spese dello stato, a cui veniva annessa una scuola di applicazione per ingegneri civili (art. 310)8.

6. RDL 3725/1859, art. 308: Le eccezioni che per lindole propria della istruzione tecnica e pel maggior vantaggio delle classi cui destinata, sar opportuno o necessario di fare agli ordinamenti per cui il presente si riferisce alle disposizioni del precitato titolo III, saranno determinate con Regio Decreto. 7. RDL 3725/1859, art. 53: Alla Facolt di Scienze Fisiche e Matematiche dellUniversit di Torino sar annessa una Scuola dapplicazione in surrogazione allattuale Regio Istituto tecnico, in cui si daranno i seguenti Insegnamenti: 1. Meccanica applicata alle macchine ed Idraulica pratica; 2. Macchine a vapore e ferrovie; 3. Costruzioni civili, idrauliche e stradali; 4. Geodesia pratica; 5. Disegno di macchine; 6. Architettura; 7. Mineralogia e Chimica docimastica; 8. Agraria ed Economia rurale. Inoltre alla Facolt anzidetta in Torino e Pavia saranno annesse Cattedre di Analisi, e Geometria superiore, di Fisica-matematica, e di Meccanica superiore ; RDL 3725/1859, art. 309: Il R. Istituto tecnico di Torino sar convertito in scuola di applicazione per gli Ingegneri come allart. 53, presso la quale rimarr la scuola speciale per i misuratori od agrimensori istituita col R. Decreto 8 ottobre 1857. 8. RDL 3725/1859, art. 310: In Milano a spese dello Stato verr eretto un R. Istituto tecnico superiore cui sar unita una scuola dapplicazione per gli Ingegneri civili la cui indole e composizione sar determinata con apposito R. Decreto. A questo istituto verr pure annessa una scuola per i misuratori analoga a quella di Torino. Simili scuole pei misuratori verranno con spedali decreti istituite in altre citt dello Stato.

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Le singole facolt avrebbero dovuto regolare i programmi e la durata di corsi (art. 55)9. Ai corsi delle due scuole si accedeva dopo aver frequentato due anni nella facolt di scienze matematiche, fisiche e naturali, ma dal 1875 anche il biennio iniziale sarebbe rientrato nelle competenze delle scuole, estendendo inoltre gli studi a materie di cultura generale quali economia, politica, letteratura, disegno. Poco dopo le due scuole, sul modello francese e tedesco, assunsero la denominazioneufficializzata soltanto nel corso del Novecento10di Politecnico, rimanendo gli unici due politecnici italiani fino al 1990, quando le facolt di Ingegneria (attiva dallanno accademico 1947-48) e di Architettura (appena fondata) dellUniversit di Bari furono spostate in una nuova sede dando vita al Politecnico di Bari. Nellistituto di Milano, gi nel 1865, vennero avviati i primi corsi della Scuola di applicazione per gli architetti civili; la sezione, costituita da Camillo Boito, comprendeva tre anni di insegnamenti tecnico-scientifici e di corsi di storia dellarchitettura e stili, i primi attivati nella sede del Politecnico, i secondi presso lAccademia di Brera. Soltanto nel 1933-34 le due facolt vennero distinte con lattivazione della Facolt di Architettura, di cui fautore e primo preside Gaetano Moretti. Il rapporto con lindustria caratterizzava in maniera diversa i due politecnici: quello di Milano aveva attivato da subito collaborazioni con lindustria, e lappoggio finanziario rappresentava una condizione indispensabile per il funzionamento dei laboratori del corso di ingegneria meccanica e per il finanziamento di borse di studio o corsi integrativi; quello di Torino assunse unimpostazione troppo teorica per le industrie locali che preferirono continuare a fare ricerche e sperimentazioni in proprio. In generale le industrie avevano sempre lamentato la preparazione degli ingegneri usciti dalle scuole italiane, considerandoli tecnici generici distanti dalle esigenze concrete della produzione. Per questo si erano formate apposite scuole diffuse in tutto il Regno per la specializzazione, che altrimenti si conseguiva con lesercizio della professione.

9. RDL 3725/1859, art. 55: La durata, lordine e la misura, secondo i quali questi insegnamenti dovranno esser dati, verranno determinati nei regolamenti che in esecuzione della presente legge saranno fatti per ciascuna Facolt. 10. Con la legge dell8 luglio 1906, n. 321, viene ufficialmente istituito il Regio Politecnico di Torino; con il Regio Decreto del 29 luglio 1937, n. 1451, listituto di Milano cambia denominazione in Regio Politecnico di Milano

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Dopo la prima guerra mondiale e parallelamente al rinforzo dei corsi di architettura e arti applicate, si ebbe una significativa evoluzione dei corsi di ingegneria: il disegno perse di importanza, non rientrando pi nelle personali competenze dellingegnere, e allo stesso tempo le tecniche di rappresentazione utilizzate in questi corsi si orientarono sempre pi al disegno tecnico attuale, basato su codici visivi e simboli definiti. La costituzione dei due Politecnici di Milano e Torino forn il modello per la creazione di altre scuole di ingegneria e architettura11 nel resto del Regno, completamente nuove oppure originate da preesistenti corsi allinterno di istituti e facolt12 delle maggiori citt italiane. Particolarmente rilevanti furono la Scuola di ingegneri di Palermo e quella per gli ingegneri di Napoli. In questultima, dal 1876, si distinsero corsi per ingegneri e per architetti non legati, per, allIstituto di belle arti. Soltanto nel 1930 venne istituita a Napoli la Scuola superiore di architettura, ed entrambe le scuole furono successivamente inserite nelluniversit come facolt distinte. A Roma la Scuola per gli ingegneri rest annessa alla facolt di scienze fisiche e matematiche, mentre nel 1920 fu fondata la Regia Scuola superiore di architettura delluniversit La Sapienza, poi trasformata in facolt nel 1935. Nel 1926 fu, invece, istituita La scuola superiore di architettura di Venezia13, che prestosotto la direzione di Cirillisi orient verso una mentalit pi legata allaccademia di belle arti. Soltanto il successivo ricambio dei docenti permise di modificare questa tendenza, reso possibile dalla nuova direzione di Giuseppe Samon, il quale dal 1938 chiam a insegnare a Venezia una serie di importanti architetti e urbanisti italiani. Al 1931 risale, infine, linaugurazione della Regia scuola di architettura di Firenze, che gi prima di quella data aveva attivato i suoi corsi. Altre scuole di ingegneria sorsero nel resto dItalia con caratteristiche derivanti dalleconomia locale delle citt in cui furono costituite (ad esempio a Bologna, Padova, Genova).

11. Resta controversa la collocazione degli insegnamenti di architettura rispetto alle scuole di ingegneria: le regie scuole di architettura rientravano infatticome si vede pi avanti nel paragrafo 2.5nelle competenze dellistruzione artistica. 12. Si trattava di corsi specifici per ingegneri o architetti attivati principalmente nelle facolt di matematica. 13. la scuola che ha dato vita al famoso Istituto universitario di architettura di Venezia, oggi Universit IUAV di Venezia.

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2.3 Musei artistici industriali, formazione professionale Parallelamente allistruzione ufficiale, dai primi decenni dellOttocento, si andarono costituendo, su iniziativa spontanea di privati, associazioni e liberi cittadini, scuole per formare giovani da occupare nelle industrie, le quali richiedevano una migliore conoscenza degli strumenti e delle tecniche di lavorazione. Queste scuole, distribuite sul territorio italiano con varie denominazioni14, erano orientate allattivit pratica ed erano fornite di laboratori e officine. Esse restarono, anche dopo lintroduzione del nuovo sistema di istruzione della legge Casati, il percorso di studi preferito dai ceti popolari e dalla piccola borghesia, interessati ad una preparazione immediatamente collegata allimpiego. Per quanto riguarda le scuole di arte applicata15, nellItalia post-unificazione la situazione era di estrema chiusura e preoccupante scarsit di materiale didattico e strumentazioni. Il modello di insegnamento impartito era quello basato sulla copia dal vero di mobili, oggetti ed elementi decorativi, puntando ad una rapida capacit di esecuzione. Contro leclettismo dei repertori figurativi del passato, gli intellettuali italiani promotori16 del rinnovamento artistico-architettonico e dellistruzione artistica difendevano limmaginazioneda stimolare con un gran numero di riferimenti e modelli, per lo pi tratti dal mondo naturalee un approccio generale pi intuitivo e spontaneo. Gli stessi intellettuali, inoltre, proponevano di modernizzare le scuole di arti applicate dotandole di un museo industriale con cui avviare scambi e prestiti di oggetti, come avveniva nelle principali capitali europee. Il modello di riferimento era quello del South Kensington Museum17 di Londra, che su indicazione di Gottfried Semper aveva da subito avviato unopera di promozione delleducazione artistica. Il museo aveva aperto la propria collezione alle varie maestranze ed era stato annesso nel 1853 alla Scuola di
14. Tra le varie tipologie: scuola darti e mestieri, di disegno applicato, operaia, per le arti decorative e industriali. 15. Situazione riportata da Manolo De Giorgi, Le scuole, sezione 1860-1918, in V. Gregotti (a cura di), Il disegno del prodotto industriale, Electa, Milano 1982. 16. Tra questi doveroso fare riferimento ai contributi di Camillo Boito e di Alfredo Melani, questultimo insegnante nel 1882 e successivamente direttore della Scuola superiore di arte applicata allindustria di Milano annessa al Castello Sforzesco. 17. Si tratta delloriginario Museum of Manufacturers, fondato nel 1852 come diretto risultato della Great Exhibition, e che diede poi vita allattuale Victora and Albert Museum.

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design (Government School of Design) fondata nel 1837 presso Somerset House, e da allora nota come South Kensington School18. Alcune scuole si dotarono, cos, di un museo di arte industriale. Esso svolgeva un ruolo complementare alla lezioni e alle officine, con lo scopo di rendere visibili agli studenti-operai i prototipi e modelli. Tra i pi importanti sicuramente il Regio Museo Industriale di Torino, fondato nel 1862 su iniziativa di Giuseppe Devincenzi, il pi vicino al modello londinese. Un altro importante museo artistico industriale era quello di Napoli, fondato nel 1879 da Riccardo Filangieri, a cui era annessa una scuola superiore e officine in cui eseguire i modelli. Quella di Napoli era, in Italia, una delle pi importanti scuole che prevedeva un ciclo completo di museo, scuole, officine. Il museo artistico industriale di Roma, aperto nel 1874 per iniziativa di alcuni privati (in particolare il principe Baldassarre Odescalchi e lorafo Augusto Castellani), era connotato da un indirizzo pi tradizionale e classicista. Dal punto di vista della disciplina di legge, la normativa Casati, non sera incaricata dellordinamento di tutta larea della formazione professionale, affidandola alla gestione del Ministro dellAgricoltura, Industria e Commercio. Di conseguenza, in risposta alla crescente industrializzazione del paese e alla necessit di qualificazione professionale e culturale dei lavoratori, non pi in grado di essere formati soltanto allinterno delle fabbriche e officine, fu attuato un riordino dellistruzione19 tecnica e della formazione professionale, rispettivamente ad opera del Ministero dellIstruzione e del Ministero dellAgricoltura. Questultimo tentativo, in particolare, non sort unadeguata risposta, fallendo le proposte fatte in Parlamento. Complessivamente il panorama dellistruzione professionale del Regno si presentava in questo modo20: scuole darti e mestieri, che si occupavano della formazione professionale di base degli operaigiovani e adultiai quali erano impartiti un gran numero di insegnamenti;

18. Soltanto nel 1896 la scuola assunse lattuale denominazione di Royal College of Art, attualmente una delle pi importanti scuole di arte e design di livello post-universitario. 19. Con il Regio Decreto del 21 giugno 1885, n. 3413, si prolungava di un anno listituto tecnico, suddividendolo in tre ramificazioni: 1. fisico-matematica; 2. agrimensura; 3. commercio e ragioneria. La sezione industriale era invece facoltativa, a seconda dei bisogni del territorio. 20. G. Ricuperati, Scuola, in F. Levi, U. Levra, N. Tranfaglia, Storia dItalia, La Nuova Italia, Firenze, 1978.

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scuole superiori darte applicate allindustria, alcune delle quali dotate di un annesso museo darte industriale, come quelle di Venezia, Firenze, Milano, Napoli, Roma, Palermo; scuole speciali, ovvero delle scuole di arti e mestieri con precisi indirizzi strettamente connessi ai settori manifatturieri del luogo; e scuole femminili. Le scuole di arti e mestieri, in particolare, prevedevano un percorso che dalladdestramento nelluso degli arnesi passava agli esercizi di modellaggio, per arrivare poi ad eseguire vari pezzinellultimo annoa partire dal disegno. Esaltavano dunque il lavoro manuale come preparatorio e fondante nel rapporto tra scuola e officina, approccio che gli studenti delle scuole superiori darte applicata contestavano per la limitazione di responsabilit personali. Solo pi tardi, con una serie di circolari, si provvedette al riordino delle scuole professionali esistenti, stabilendo infinenel 1907, con apposita leggetre categorie: scuole industriali, scuole artistiche industriali, e scuole professionali femminili. 2.4 Riforma Gentile La seconda riforma decisiva per lordinamento dellistruzione italiana fu quella varata durante il fascismo, nel 1923, elaborata dallallora Ministro dellIstruzione, il filosofo Giovanni Gentile21, con il contributo del pedagogista Giuseppe Lombardo Radice. Nonostante i successivi e ripetuti interventi22favoriti dalle dimissioni di Gentile nel 1924per allineare la riforma, troppo elitaria, allorientamento del regime, essa rimase in vigore addirittura dopo la nascita della Repubblica italiana, almeno fino alla legge23 n. 1859 del 1962, di fondamentale rilevanza per aver stabilito lunificazione della scuola media inferiore24.
21. Con il nome di riforma Gentile si fa riferimento a un gruppo di Regi Decreti Legislativi approvati nel corso del 1923: 31 dicembre 1922, n. 1679; 16 luglio 1923, n. 1753; 6 maggio 1923, n. 1054; 30 settembre 1923, n. 2102; 1 ottobre 1923, n. 2185; oltre ai successivi decreti che regolamentano materie specifiche quali, ad esempio, listruzione tecnica o listruzione artistica. 22. Lultimo di questi ritocchi fu la proposta per una ristrutturazione completa del sistema di istruzioneLa carta della scuola del 1939rimasta soltanto un progetto mai attuato a causa dellimminente inizio della guerra. 23. Si veda il paragrafo 3.6 di questo capitolo. 24. Una proposta per listituzione di una scuola media unificata era gi stata avanzata nellanno

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Nel frattempo, prima del 1923, alcuni cambiamenti erano stati apportati nel sistema dellistruzione senza sconvolgerne tuttavia limpianto generale, che la nuova riforma sostanzialmente confermava. Prima della riforma Gentile, ad esempio, era stato innalzato lobbligo scolastico prima ai nove e poi ai dodici anni di et; furono stabiliti finanziamenti per la costruzione di scuole e il controllo diretto del grado elementare da parte dello Stato; la crescente richiesta di formazione oltre la scuola dellobbligo aveva portato alla fondazione di molte pi scuole e istituti del previsto; furono aperti nuovi indirizzi, come il liceo moderno allinterno del liceo classico, e diverse tipologie dindirizzo e specializzazione degli istituti tecnici; furono consentiti gli accessi ad alcuni corsi universitari anche ai diplomati di istituti tecnici. I regi decreti gentiliani, in continuit con la legge Casati, ribadivano il forte centralismo ministeriale ed esasperavano la separazione tra leducazione classica, fondata sullo studio delle discipline filosofico-umanistiche, e quella scientifica. La prima avrebbe dovuto contribuire alla formazione delle classi dirigenti ed era, pertanto, notevolmente privilegiata rispetto alla seconda, a cui era dedicato minore spazio e rilevanza allinterno del sistema. Al di sotto di entrambi gli orientamenti era relegata listruzione tecnica e professionale25, destinata alla formazione delle classi operaie. Tra le novit introdotte dalla riforma, sono di particolare rilievo: linnalzamento dellobbligo scolastico fino ai quattordici anni di et; lunificazione del grado di scuola elementare in un unico ciclo di cinque anni; listituzione del grado preparatorio della scuola maternanon obbligatoriodella durata di tre anni; la soppressione delle scuole tecniche in favore della scuola complementare; lintroduzione, al grado di istruzione secondaria, del liceo scientifico, dellistituto magistrale per la formazione degli insegnanti elementari e della scuola complementare; il riordino complessivo dellistruzione artistica;
dellapprovazione della riforma Gentile. Nel 1923, Vito Volterraappena nominato presidente dellAccademia dei Linceiaveva istituito una commissione per esaminare la riforma: tra le varie indicazioni della commissione cera quella di rimandare limportante scelta della prosecuzione degli studi a una et pi matura, istituendo una base unica di scuola media inferiore, della durata di tre o quattro anni. 25. Listruzione professionale era ancora gestita dal Ministero dellAgricoltura, industria e commercio, trasformato, sotto il regime fascista, in Ministero dellEconomia nazionale.

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listituzione dellinsegnamento obbligatorio della religione cattolica alle elementari (poi esteso anche ai licei, con i Patti Lateranensi); lincremento del numero di esami previsti per il passaggio da un grado allaltro dellistruzione. Se ne deduce che il percorso educativo diventava pi articolato e in parallelo anche pi selettivo: nel corso del ciclo di scuola elementareobbligatorio e uniformatobisognava sostenere un esame al termine della terza e uno al termine della quarta classe. Al termine del ciclo, superato lesame di ammissione, si poteva accedere a quattro opzioni principali di istruzione secondaria, tre delle quali consentivano di proseguire gli studi oltre lobbligo scolastico26: il ginnasio: diviso in ginnasio inferiore, di tre anni, e ginnasio superiore, di due anni, dove il passaggio era regolato da esame di licenza; a conclusione del ginnasio un ulteriore esame di licenza consentiva laccesso al liceosuccessivamente denominato classicodella durata di tre anni; il liceo a sua volta era lunico che consentiva di accedere a tutte le facolt universitari, previo superamento dellesame di fine corso; listituto magistrale: diviso in magistrale inferiore, di quattro anni, e magistrale superiore, di tre anni, con il passaggio regolato da esame di licenza; istituto tecnico: diviso in tecnico inferiore, di quattro anni, e tecnico superiore, di altri quattro anni con diverse sezioni e denominazioni corrispondenti, al termine dei quali era consentito laccesso alle facolt di Agraria, Economia e commercio, Scienze statistiche; la quarta opzione prevedeva per coloro i quali avessero dovuto continuare ad attendere lobbligo scolastico: un corso integrativo, ovvero un prolungamento di tre anni della scuola elementare; oppure la frequenza, senza esame di ammissione, di scuole complementarieredit delle precedenti scuole tecniche della legge Casatipoi diventate Scuole di avviamento professionale, che non davano diritto al proseguimento degli
26. RD 6 maggio 1923, n.1054, in materia di Ordinamento della istruzione media e dei convitti nazionali. Nellart. 1 si legge: Gli istituti medi di istruzione sono di primo e di secondo grado. Sono di primo grado: la scuola complementare, il ginnasio, il corso inferiore dellistituto tecnico, il corso inferiore dellistituto magistrale; sono di secondo grado: il liceo, il corso superiore dellistituto tecnico, il corso superiore dellistituto magistrale, il liceo scientifico, il liceo femminile.

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studi; queste erano divise in indirizzi che a loro volta potevano avviare specializzazioni professionali nei vari rami. Al nuovo liceo scientifico, invece, si accedeva, con esame di ammissione, dopo aver frequentato per quattro anni una delle tre scuole secondarie inferiori che consentivano il proseguimento degli studiginnasio inferiore, istituto magistrale inferiore o istituto tecnico inferiore. Questo percorso si sostituiva alla preesistente sezione fisico-matematica del vecchio istituto tecnico e consentiva laccesso a tutte le facolt tranne quelle di Lettere e filosofia e Giurisprudenza. Si fa notare, tuttavia, che per la mancata corrispondenza con una scuola media inferiore, per la cospicua presenza di materie umanistiche rispetto a quelle propriamente scientifiche27 e per i limitati sbocchi universitari e professionali, fino alla gi citata legge del 1962, il liceo scientifico non registr mai un alto numero di iscrizioni. Questi dati valgono a dimostrare lattenzione riservata alleducazione umanistica rispetto a quella scientifica. 2.5 Riordino dellistruzione artistica Un ruolo a parte riveste, rispetto al resto delle riforme, il Regio Decreto del 31 dicembre 1923, n. 3123, che istituiva lordinamento dellistruzione artistica28. Esso stabiliva un assetto che si ripercosso in maniera determinante sullintera vicenda dellistruzione nel campo del design e della grafica e comunicazione visiva29. Il decreto stabiliva innanzi tutto la diretta dipendenza di tutti gli istituti ed enti che hanno il fine di promuovere larte e listruzione artistica30 dal Ministero della Pubblica istruzione (art. 1), con la diretta conseguenza che gli istituti di formazione superiore (Accademie di belle arti, Istituti superiori per le industrie artistiche, oltre che i Conservatori e le Accademie di danza e arte drammatica) hanno continuato a dover fare capo
27. Nellart. 62 del RD 1054/1923 si legge: Nel liceo scientifico si insegnano: lettere italiane e latine; storia, filosofia ed economia politica; matematica e fisica; scienze naturali, chimica e geografia; una lingua e letteratura straniera; disegno . Tuttavia opportuno consultare le tabelle relative alle le ore di insegnamento per comprendere quanto sbilanciato fosse il peso di italiano, latino, storia e filosofia rispetto alle altre materie. 28. Altre materie relative allistruzione artistica erano regolate con Regio Decreto Legislativo del 7 gennaio 1926, n. 214, Disposizioni concernenti lordinamento dellistruzione artistica; convertito nella Legge del 25 giugno 1926, n. 1262. 29. Si veda la terza sezione, in particolare i paragrafi 3.1 e 3.7, di questo capitolo. 30. RD 3123/1923, art. 1.

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allo stesso Ministero anche dopo listituzione del Ministero dellUniversit e della ricerca scientifica e tecnologica31. Da questo ne deriva che tuttora la gestione dellistruzione artistica superiore affidata ad un comparto specificoquello dellAlta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM) istituito nel 1999del Ministero dellIstruzione universit e ricerca. Il decreto del 1923 regolamentava la suddivisione dellistruzione artistica in: scuole ed istituti darte e istituti superiori per le industrie artistiche, che fornivano, a diverso grado, la preparazione nellambito della produzione artistica e arte applicata (artt. 4-5); licei artistici, della durata di quattro anni, e accademie di belle arti32 a cui i primi erano annessi, che impartivano linsegnamento dellarte, indipendentemente dalle sue applicazioni alle industrie33; scuole superiori di architettura, col fine di fornire la preparazione artistica e la cultura scientifica necessaria per la professione di architetto34; conservatori di musica e scuole di recitazione. La scuola darte corrispondeva al corso inferiore dellistituto darte (livello medio inferiore), si incentrava sul lavoro esecutivo nelle officine, e vi si accedeva dopo aver terminato gli studi di scuola elementare, rappresentando dunque uno sbocco ulteriore rispetto a quelli elencati nel paragrafo precedente. Listituto darte corrispondeva al corso superiore e rilasciava il titolo di maestro darte. Vi si impartivano materie diverse e specifiche, insegnamenti di cultura generale e si praticava il lavoro nelle officine. Esso poteva essere istituito soltanto dove vi fosse gi stata una scuola darte, e le due strutture avrebbero dovuto condividere gli stessi locali. Entrambe hanno il fine di

31. Il governo Fanfani IV (1962-63), aveva istituito lincaricosenza portafogliodi Ministro per il Coordinamento delle iniziative per la ricerca scientifica e tecnologica, ricoperto da Guido Corbellini. Soltanto con il governo De Mita tale incarico venne convertito in Ministero vero e proprio, con la legge del 9 maggio 1989, n.168. Si veda pi avanti il paragrafo 4.3 di questo capitolo. 32. Nella legge vengono specificate quelle di Bologna, Firenze, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Venezia. 33. RD 3123/1923, art.13. 34. RD 3123/1923, art. 32.

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addestrare al lavoro e alla produzione artistica, a seconda delle tradizioni, delle industrie e delle materie prime della regione35. Laccesso allistituto dartecos come al liceo artisticonon era vincolato a uno specifico percorso di studi precedente: erano infatti ammessi gli alunni che avessero frequentato, superando la prova finale, una qualunque scuola media di primo grado (art. 65). Successivamente gli alunni diplomati presso il liceo artistico e listituto darte erano ammessi alle accademie di belle arti. Alle scuole superiori di architettura, invece, poteva accedere solo chi avesse conseguito la maturit classica e scientifica, dopo un esame di ammissione relativo alle materie artistiche. Con lart. 10di cui si riporta il testo integralevenivano date disposizioni per lapertura di Istituti superiori per le industrie artistiche (ISIA), ai quali poteva accedere chi avesse prima frequentato listituto darte36:
Con il concorso degli enti locali il Ministro della pubblica istruzione potr promuovere listituzione di istituti superiori per le industrie artistiche col fine di raccogliere ed integrare gli insegnamenti e le esercitazioni relative alle tecniche delle varie arti, alle nozioni pratiche e teoriche necessarie per il buon andamento di una industria, alle cognizioni di cultura generale indispensabili per assumere funzioni tecniche direttive in unindustria artistica. A tali istituti saranno ammessi per concorso, in numero da stabilirsi, alunni licenziati dallistituto darte. Lo Stato pu assumere a suo carico la met della spesa occorrente per listituzione e il mantenimento di questi istituti.

Infine, ogni istituzione del settore artistico avrebbe dovuto dotarsi di un proprio statuto che ne determinasse, il carattere individuale, lordinamento amministrativo, didattico e disciplinare, e che stabilisse il numero degli anni di studio e il numero delle cattedre ed officine.

3 Disegno industriale, da istruzione secondaria a superiore


Lavvento della guerra aveva congelato le varie proposte legislative di modifica alla riforma Gentile, ancora in vigore. Dopo il conflitto la situazione in Italia per quel che riguarda la formazione al design rimase pressoch la stessa, almeno fino alla met degli anni cinquanta. I principali progettisti italiani si erano formati nelle scuole e facolt di architettura, in cui i corsi di
35. RD 3123/1923, art. 4. 36. RD 3123/1923, art. 10.

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decorazione e arredamento dinterni sopperivano alle carenze di istruzione superiore al design. La parte complementare di questo scenario era costituita ancora dal settore dellistruzione artistica e dalle numerose scuole professionali. Molti progettisti, tuttavia, avevano imparato il mestiere da autodidatti, in particolare nel settore della grafica. Le nuove esigenze innescate dalla ricostruzione successiva al conflitto dettero un impulso notevole al disegno industriale italiano, facendo progressivamente crescere la consapevolezza circa la figura e il ruolo del designer. Luigi Spadolini, alla met degli anni sessanta, commentava questo entusiastico fenomeno affermando che dal 1947 in poi in Italia sembrato che lindustrial-design potesse essere una specie di panacea universale capace di risolvere gli infiniti problemi inerenti a tutte le questioni dibattute negli anni cinquanta37. Di conseguenza si cominci a parlare della formazione dei designer in nuovi e autonomi percorsi educativi istituzionali. Una serie di eventi coincidenti e varie occasioni dincontro intorno alla met degli anni cinquanta dimostrano un certo fermento riguardo al tema. Giulio Carlo Argan, nel 1952, in occasione del Convegno degli Istituti di istruzione artistica pose la questione della riforma di queste scuole, nel senso dellintroduzione del disegno finalizzato alla produzione in serie di oggetti come tema dinsegnamento. La decima Triennale di Milano del 1954 promosse il primo Congresso di Industrial design, in cui nuovamente emerse la posizione di Argan contrapposta a quella degli ambienti americani: la prima tendeva a fornire una definizione allargata di design, come attivit capace di risolvere qualsiasi operazione progettuale; la seconda considerava il design come una forza operativa che si attua nel momento in cui la societ lo richiedacon tendenze verso il re-design e lo styling. Una posizione intermedia era quella del British Council che puntava alla definizione di uno standard di produzione qualitativamente costante, riconducendo il design a un servizio sociale per il paese. Sempre nel 1954 uscivano i primi due numeri di Stile industria, la rivista fondata da Alberto Rosselli. Nello stesso anno veniva istituito il premio Compasso doro. Nel 1956 fu fondata lADI che nellart. 3 del suo primo statuto esponeva, tra gli obiettivi e gli scopi perseguiti dallassociazione, quello di favorire la costituzione di scuole di disegno industriale in Italia38. Nel 1955
37. F. Menna (a cura di), Inchiesta sullinsegnamento del disegno industriale, in Marcatr n.16-17-18, luglio-settembre 1965. 38. Riportato da Giampiero Bosoni, Le scuole di design, sezione 1946-1980, in Gregotti, op. cit.

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lAiap39 si distaccava dalla componente dei tecnici pubblicitari di cui faceva partelAtap, fondata dieci anni prima. Nel 1954 Nino di Salvatore fondava a Novara la scuola Centro studi arteindustria, che nel 1970, cambiando sede e denominazione, diventata Scuola politecnica del design, nella quale hanno insegnato nel corso degli anni i maggiori progettisti italiani e tuttoggi attiva come centro di alta formazione per le discipline del design e della comunicazione visiva. Essa si poneva, di fatto, come la prima scuola privata specializzata nel settore. Pierluigi Spadolini, dopo la Triennale e il Congresso di Milano del 1954, a Firenze convinse i suoi colleghi a inserire lindustrial design come insegnamento della Facolt di architettura. La cattedra di Decorazione diventava Disegno Industriale, affidata a Leonardo Ricci che aveva lo stesso Spadolini come assistente. Venne contestualmente anche avanzata al Ministero dellIstruzione una richiesta per inserire linsegnamento del disegno industriale nei programmi delle facolt di architettura. Dopo ben due anni il Ministero approv ufficialmente il nuovo insegnamento assegnando, per, linfelice denominazione di Progettazione artistica per lindustria al corso che venne istituito nel 1958 come disciplina complementare nel curriculum di studi della facolt di architettura. Dallo stesso anno, e fino al 1969, Roberto Mango tenne i primi corsi sul rapporto tra design e ambiente presso la facolt di architettura delluniversit di Napoli. Inoltre, dagli anni cinquanta la questione dellinsegnamento e, pi in generale, la complessit didattica del design permeava i corsi di interni e di arredamento delle facolt di architettura. 3.1 Corsi superiori di disegno industriale Nel 1958 un gruppo di persone40 si riuniva presso lIstituto veneto per il lavoro per esaminare le prime proposte per la fondazione di un Corso superiore di disegno industriale interno allIstituto darte di Veneziaritenuto un ambiente particolarmente adatto al progettoin modo da dare avvio a un diverso orientamento dellistruzione artistica italiana. Era lultimo di al39. Acronimo di Associazione Italiana Artisti Pubblicitari. Si veda, in riferimento alla denominazione, il paragrafo 1.2 del capitolo terzo. 40. Si tratta di intellettuali, professionisti, industriali, docenti e dirigenti scolastici provenienti dallarea della progettazione e dellistruzione artistica, tra i quali anche Angelo Maria Landi, invitato dalla Direzione generale delle Belle arti, che riportava levento in una intervista sulle pagine di Marcatr; Menna, art. cit.

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cuni incontrianche promossi dallADIche gi dal 1956 avevano a lungo dibattuto il tema della formazione del designer. Di conseguenza, nel 1959, il Corso superiore di disegno industriale (CSDI) di Venezia, a carattere sperimentale e della durata di tre anni, venne autorizzato dal Ministero appoggiandosi allart. 17 del RDL n. 214 del 1926, Disposizioni concernenti lordinamento dellistruzione artistica41. Il corso si presentava come il proseguimento degli studi dellIstituto statale darte della citt. Per il fatto di essere il primo vero e proprio corso di design in Italia nel senso attuale del termine, quello di Venezia ebbe una certa risonanza in tutto il paese, riaccendendo il dibattito sul tema e conducendo successivamente allapertura di simili corsi in altri istituti darte. Nello stesso anno di fondazione del corso, lADIa un Convegno sullo sviluppo di Milanopropose di istituire nel capoluogo lombardo una grande scuola di disegno industriale, proprio sullesempio di quella di Venezia, che si considerava per troppo condizionata dallambiente e dalle possibilit locali. Il discorso era tuttavia ancora posto in termini di valore estetico-formale della produzione industriale, che permettesse allItalia di continuare a competere a livello internazionale, forte dei recenti successi. Il progetto della scuola veniva presentato come valido ausilio alle iniziative degli industriali lombardi42, con riferimento a quanto avveniva in Germania, alla Hochschule fr Gestaltung di Ulm, dove la scuola copriva il ruolo di progettista collettivo o consulente per lindustria. Queste premesse trovarono seguito in una effettiva proposta per una scuola di industrial design, a cura di un apposito Comitatodi cui faceva parte, tra gli altri, Marco Zanusodella Fondazione Giuseppe Pagano di Milano. Constatando la quantit e qualit dei problemi, teorici e tecnici, che lindustrial design investe, il comitato affermava la necessit di istituire
41. Dal testo dellart. 17: Il Ministro per la pubblica istruzione ha facolt di promuovere presso gli istituti di istruzione artistica ogni iniziativa che sia riconosciuta utile allincremento delle arti e delle industrie ad esse collegate. Al fine anzidetto il Ministro per la pubblica istruzione, accordandosi ove occorra con altri Ministri competenti ed entro i limiti dei fondi stanziati in bilancio, autorizzato: 1 ad istituire corsi speciali, temporanei o permanenti, facoltativi od obbligatori, per insegnamenti che pur non essendo compresi nei programmi ordinari siano riconosciuti necessari ai fini dellincremento dellarte e delle industrie artistiche; []. RDL 214/1926, art. 17 42. AA.VV., Progetto della scuola di Disegno Industriale di Milano 1959, in Adi Notizie n. 4, giugno 1974.

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la scuola a livello universitario. Venne anche steso un programma dettagliato, compreso di metodi e materie di insegnamento, che rest soltanto un progetto, mai realizzato. Lesperienza di confronto restava sempre la scuola veneziana, tuttavia risultano particolarmente interessanti alcuni punti generali della proposta, le costanti di insegnamento valide per quasi tutte le materie: il carattere della scuola sarebbe dovuto essere essenzialmente metodologico, non nozionistico: alla procedura empirica, per cui da esperienze operative lallievo forma un metodo astratto dal contesto, si opponeva la necessit di una base teoretica, naturalmente legata a una verifica pratica, che consentisse di impostare qualsiasi problema anche quando si presentano nuove variabili; tuttavia, limpostazione metodologica si supponeva come applicata a ogni tipo di insegnamento e non proposta come materia autonoma, astratta dal contesto; si proponeva di trasferire le materie considerate propedeutiche alla fine del percorso di studi, in modo che gli studenti potessero affrontare in modo pi maturo e approfondito le discipline pi astratte; linsegnamento della matematica e delle scienze esatte doveva considerarsi solo in funzione strumentale, non come costrizione a priori, portando lattenzione degli allievi sulle questioni tratte dalla realt: laspetto teorico veniva proposto come conseguenza necessaria e naturale del pratico; si sceglieva di dare priorit alle discipline con carattere di formazione generale su quelle strettamente specialistiche per permettere agli studenti di essere in grado di apprendere autonomamente anche dopo il completamento degli studi, rispondendo al mutare delle condizioni e delle tecniche; gli esami non avrebbero dovuto essere relativi a singoli corsi ma a gruppi di materie affini43, alleggerendo cos il numero delle prove, che in questo caso sarebbero risultate anche pi complete e approfondite. Il fermento culturale intorno al Corso superiore di disegno industriale di Venezia confermato dal fatto che proprio in questa citt, nellestate del 1961,
43. Lidea venne ripresa dallo stesso Zanuso, nel dibattito del 1968 sullinsegnamento del disegno industriale riportato nelle pagine di Marcatr; F. Menna (a cura di), Problemi delle scuole di disegno industriale, conversazione con Spadolini, Dorfles, Maldonado, Zanuso, Cal, Franchetti, in Marcatr, n.41-42, maggio-giugno 1968.

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si tenne il congresso mondiale dellICSID44, primo, grande evento45 voluto e promosso da Renzo Camerino, presidente del Consiglio di amministrazione del corso di Venezia partito lanno precedente. Al congresso fu presente anche Toms Maldonado, allora professore e membro del collegio direttivo della HfG di Ulm, il quale in quelloccasione condivise la definizione di disegno industriale46 che aveva egli stesso formulato. In quegli anni la scuola di Ulm rappresentava certamente una delle esperienze didattiche pi innovative in corso einevitabilmente filtrata dallottica italianaveniva presa come riferimento per la costituzione delle nostre scuole di design. Essa era percepita come modello ottimale nella ideologia socialmente impegnata, nelle metodologie didattiche, nellassetto dei piani di studio, nella interdisciplinariet, con una sua fisionomia di intransigenza morale nel disegno del prodotto47. 3.2 Il corso di Venezia Lesperienza veneziana del CSDI non ebbe mai vita facile, sin dai suoi primi mesi. Le cause di questo disagio furono molteplici, ma tutte riconducibili principalmente alla dipendenza della scuola dallIstituto statale darte. Il corso prese avvio con i suoi primi trenta iscritti dallanno accademico 1960-61. Nel depliant che lo pubblicizzava, il disegnatore industriale era presentato come una delle professioni nuove e di maggior prestigio e successo, e agli studenti si promettevano prospettive di lavoro nella libera professione oppure allinterno delle industrie italiane e internazionali. Di fatto, Venezia non costituiva un polo industriale in grado di assorbire i designers usciti dalla scuola n vantava professionisti o docenti specializzati. Per questo il direttore del CSDI, larchitetto Romano, cerc di impostare la scuola ad un livello molto elevato e un carattere internazionale, con una larga autonomia nella definizione dei programmi e nella scelta dei docenti48.
44. Acronimo di International Council of Societies of Industrial Design. 45. Tema e titolo dellevento era La professione dellIndustrial designer. 46. Si veda, per un approfondimento sulla vicenda, il paragrafo 1.1 del capitolo terzo. 47. Enzo Frateili, La pedagogia del design in Italia, in Design e dintorni, periodico a cura dellIsia di Firenze, n.1, dicembre 1993; citato in Design: cultura e istruzione, catalogo della mostra al MART di Rovereto, 1995. 48. Nel primo statuto della scuola lart. 11 stabiliva che possono essere chiamati, ad impartire gli insegnamenti fondamentali: a) docenti universitari di ruolo o incaricati; b) artisti o professionisti venuti in chiara fama di singolare perizia nella loro arte. Gli insegnamenti complementari possono essere affidati a persone che, pur non rientrando nelle categorie di cui al comma pre-

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Ma gi alla fine del primo anno accademico lo stesso direttore rifer di un avvio dimesso e pieno di difficolt49 e denunci la carenza di spazi, aule, attrezzaturecompresi laboratori, biblioteche o ufficiriservati allattivit didattica del corso. Pertanto lesperimento del CSDI partiva gi connotato da problemi strutturali e organizzativi piuttosto importanti. Questa situazione di precariet comport labbandono del corso da parte di alcuni studenti e le dimissioni di alcuni docenti, conducendo allastensione degli studenti dagli esami alla fine del 1962, per il repentino cambio di gran parte del corpo docente deciso dal Consiglio di amministrazione. Tuttavia, uno degli equivocio passi falsi, a seconda del punto di vistache caus maggiore attrito fra gli studenti e gli organi direttivi fu il livello universitario solo nominale della scuola. I titoli richiesti per lammissione50 e la dicitura di corso superiore avevano fatto sperare agli iscritti di poter ottenere alla fine del percorso di studi un titolo di livello accademico. Alla fine dei tre anni, invece, agli studenti era rilasciato soltanto un attestato di frequenza, e neppure un diploma, come invece era stabilito nello statuto della scuola e annunciato sul depliant che la illustrava. Alle ufficiali richieste di chiarimenti da parte dei primi studenti licenziati dal CSDI di Venezia (1963) circa il livello di istruzione impartita nello stesso corso il Ministero rispose ridimensionando gli obiettivi stessi delle attivit scolastiche: esse erano state intese esclusivamente come possibilit per i diplomati degli istituti darte e dei licei artistici di perfezionare lesperienza artistica e professionale acquisita negli stessi51; e quindi ogni interpretazione che considerasse il CSDI di livello universitario era da ritenersi senza fondamento. La situazione esplose nellanno accademico 1963-64, arrivando fino allo sciopero definitivo per un tempo indeterminato dellanno successivo. La causa principale era nel mancato rispetto delle decisioni prese in sede di commissione paritetica di insegnanti e allievi con potere deliberante. Adcedente, siano provviste tuttavia della necessaria capacit desperienza ; F. Menna, Constatazione della realt. La mala storia di Venezia, in Marcatr, n. 11-12-13, febbraio 1965. Tra i pi importanti docenti della suola di Venezia vi erano Scarpa, Zannier, Rogers, Ciribini, Peressutti. 49. F. Menna, Constatazione della realt. La mala storia di Venezia, in Marcatr, n. 11-1213, febbraio 1965. 50. Era richiesta la licenza di una delle scuole che abilitavano allammissione nelle facolt universitarie. 51. Si ricorda che il diploma rilasciato dagli istituti darte e dai licei artistici non consentiva ancora, in quegli anni, liscrizione alle facolt universitarie; e il disegno industriale o le materie affini erano ancora del tutto estranei agli ambienti delle accademie di belle arti.

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dirittura la stessa costituzione di questa, fortemente richiesta dagli studenti bench non prevista dagli statuti provvisori della scuola, fu pi volte avversata e rimandata. Tra le altre cose, gli studenti chiedevano strumenti didattici e attrezzature tecniche adeguate, un generale coordinamento dei corsi, un rapporto effettivo con lesternoindustria e professionistie listituzione di un quarto anno, unesigenza gi riconosciuta nel primo anno52 di attivit della scuola. La scuola di Venezia, in definitiva, risent fortemente dellimpostazione iniziale, data sia a questo che agli altri CSDI, che non aveva previsto la costituzione di un istituto moderno, di alto livello universitario e professionale, ma aveva relegato il problema della formazione dei disegnatori industriali allambito della formazione artistica, intesa nellaccezione di arte applicata. Per di pi, nel caso di Venezia, tra i vari insegnamenti non riusc a crearsi un effettivo rapporto di relazione, il collegio dei docenti rest un organismo poco omogeneo, privo di coordinazione e collaborazione tra le personalit che lo costituivano. 3.3 Il corso di Firenze Il secondo ad essere istituito fu il Corso superiore di disegno industriale di Firenze, a partire dal 1962, per diretto interessamento di Angelo Maria Landi, direttore dellistituto darte a cui il corso fu annesso. Rispetto alla scuola di Venezia, quella fiorentina non trov in questo legame grossi inconvenienti o limitazioni; anzi, questultima si caratterizz come unesperienza diametralmente opposta alla prima. Ci dipese, oltre che dalla presenza di una struttura didattica pi articolata caratterizzata da adeguata fornitura di laboratori, sicuramente anche da una diversa impostazione che soprattutto Pier Luigi Spadolini confer allintero CSDI. Bench fosse ufficialmente incaricato soltanto dellinsegnamento di progettistica, in realt Spadolini ricopriva il ruolo di coordinatore di tutti gli insegnamenti, il che gli permetteva ampio margine di libert anche nellimpostazione dei corsi, con il diretto appoggio del direttore Landi.

52. Tre le ipotesi avanzate dalla commissione paritetica per leventuale costituzione del quarto anno: 1. un vero e proprio anno curricolare; 2. presenza nella scuola degli studenti del quarto anno in forma semi-ufficiale per approfondire i rapporti con lindustria; 3. un centro di ricerca autonomo, con funzioni di supporto alla scuola e di mediazione con lesterno.

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Altro fatto importante, ancora sulla scorta dellesperienza veneziana, fu la presenza cospicua e crescente di momenti dincontro tra docenti e studentisu questioni relative allo studio e alla progettazionee il carattere collegiale degli orientamenti e delle decisioni prese allinterno della scuola. I problemi, prevalentemente di natura amministrativa, non raggiunsero mai unentit tale da causare la rottura avvenuta a Venezia. Il personale era amministrato direttamente dallistituto darte mentre le spese per il mantenimento del corso venivano coperte per una parte col contributo degli enti locali, per unaltra dallo Stato. Lorganizzazione interna prevedeva: un comitato di coordinamento, composto dal presidente del Consiglio di amministrazione, un docente, dal direttore dellIstituto, dal docente coordinatore Spadolini, e da tutti i docenti universitari; aveva il valore di consiglio dei professori e decideva su materie, programmi e orari; un direttore, a salvaguardia della continuit didattica e disciplinare e cura dei rapporti ufficiali con lesterno; un gruppo di docenti esterni, per lo pi universitari, che garantivano limpostazione superiore degli studi e delle esercitazioni; alcuni insegnanti interni dellistituto darte, dotati di particolari attitudini o titoli nel settore. Nella didattica si poneva il problema di una pedagogia basata sul progetto contrapposta a una fondata sulla metodologia storica, ma tale presunto conflitto fu risolto ponendo laccento sulla coordinazioneche era mancata a Veneziafacendo dialogare sempre pi gli insegnamenti53, fino a renderli in qualche modo integrati, soprattutto per quanto riguarda materie come estetica o storia del disegno industriale in rapporto alla progettazione. Il disegno (esercitazioni grafiche e disegno operativo) restava una componente strumentale della progettazione mentre ampio spazio e valore venne dedicato, presso la scuola, alla modellistica (lelaborazione di modelli, non funzionanti, gradualmente realizzati coi vari materiali). In generale, il corso si orientava a una metodologia aperta, non rigida, continuamente sperimentale, che permettesse una costante aderenza ai problemi della societ nella loro

53. Questo dato testimonia il dialogo esistente tra gli stessi docenti; tra i pi importanti vi erano Pierluigi Spadolini, Giovanni Klaus Knig, Leonardo Benevolo, Vittorio Franchetti Pardo.

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evoluzione. Senza cristallizzarsi in programmi didattici fissi, gli insegnamenti puntavano a fornire agli studenti esperimenti di livello metodologico. Spadolini era tra coloro che optavano per un ridimensionamento della considerazione e della portata del design, che, nonostante la sua validit soprattutto nel contesto di quegli anni, non poteva essere ritenuto in grado di risolvere qualsiasi problema54; tuttavia restava fermamente convinto della funzione pedagogica del disegno industriale. Egli riconosceva allinterno dellindustrial design diversi rami di attivit per cui bisognava fornire una specifica preparazione55. Per cui la scuola di Firenze, nel corso della sua esistenza, da un design degli oggetti duso quotidiano e del mobile di produzione largamente serialequel particolare tipo di design che crea ancora lequivoco dei rapporti tra design e artigianato 56si orient sempre pi verso un design a fini sociali, verso un tipo di progettazione impegnata di oggetti duso collettivo, arrivando a permettere agli studenti di seguire il progetto di attrezzature sanitarie e trasporti pubblici, in collaborazione con enti e aziende. Cos Spadolini, nel 1968, sintetizz questo orientamento57:
Il design di fronte alle richieste dellindustria, nellambito dei bisogni indotti, deve contrapporre una sua presa di coscienza delle vere possibilit della produzione diretta a quella serie di bisogni reali delluomo che sono pi facilmente individuabili a livello di collettivit che a livello del singolo.

3.4 Il corso di Roma Lultimo ad essere fondato, nel 1965, con lintervento di Argan e ad opera di Aldo Cal, direttore dellistituto darte a cui era annesso, fu il Corso superiore di disegno industriale di Roma. La sede in cui fu collocato il corso era la stessa che listituto darte condivideva con listituto tecnico industriale Galileo Galilei: un edificio progettato per accogliere il Regio istituto nazionale di istruzione professionale, un modello di scuola-fabbrica provvista di capannoni, officine e laboratori, in cui fu anche trasferito il Museo artistico industriale di Roma prima della
54. Si veda, di contro, la posizione di Argan, citata allinizio della terza sezione di questo capitolo. 55. Ad esempio, il ramo della prefabbricazione edilizia e quello delloggetto duso. 56. P. Spadolini intervistato da F. Menna; in Menna, Inchiesta sullinsegnamento del disegno industriale, cit. 57. Intervento di P. Spadolini, in Menna, Problemi delle scuole di disegno industriale, cit.

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definitiva chiusura. Tra il corso superiore e listituto darte si percepivano rapporti di reciproca diffidenza e ostilitrispettivamente visti luno come scuola dlite e laltro come istituzione ormai superatamitigati dalla figura del direttore Cal, che aveva lasciato al Corso di disegno industriale una certa autonomia didattica e di sperimentazione. La scuola nasceva in una collocazione particolareanche se non nuova per una scuola di disegno industrialedi estraneit dai centri produttivi Il contesto culturale romano, bench vivace e ben disposto nei confronti delliniziativa, era caratterizzato da una quasi totale assenza di industrie. Lo stesso Cal individuava in questo un vantaggio per la scuola, che evitava cos le dirette interferenze del settore produttivo ed era portata, piuttosto, ad allacciare rapporti esclusivamente in condizioni di reciproca autonomia. Un altro vantaggio era riconosciuto nel carattere sperimentale che la scuola avrebbe dovuto mantenere per evitare limmobilit, sviluppando metodi didattici e pedagogici sempre nuovi, in linea con il rapido sviluppo della societ: una scuola che essendo estranea allambito universitario si configur come anti-accademica ed anti-cattedratica58. Inoltre, il contesto culturale degli anni sessanta era ancora povero sul piano editoriale di strumenti di informazione, studio e riflessione sulla disciplina, soprattutto in lingua italiana. Peraltro, la nozione stessa di disegno industriale, la sua natura, i suoi confini e il suo ambito dazione non erano chiaramente determinati neppure per gli stessi docenti. Il carattere sperimentale e piuttosto autonomo rispetto alla centralit ministeriale unito alla relativa indeterminatezza della didattica permisero di affermare presto una un clima democratico e di collaborazione nei rapporti tra studenti, docenti e apparato burocraticocon un certo anticipo rispetto allo spirito del 1968 e con notevole distanza dalla scuola di Venezia. Tale clima si concretizz in assemblee di studenti e docenti organizzate dallanno accademico 1966-67 per discutere le linee didattiche e culturali del corso. In una di queste assemblee fu addirittura proposta da un gruppo di studenti, e subito accolta da Cal, listituzione di un corso in comunicazioni visive59, che assumesse il carattere di corso autonomo accanto a quello di disegno industriale. Dallanno accademico seguente la sezionediretta dal pittore Achille Perillifu effettivamente attivata e la scuola di Roma cambi deno58. Intervento di A. Cal, in Menna, Problemi delle scuole di disegno industriale, cit. 59. Lindicazione veniva da Achille Perilli, che suggeriva di sostituire con questo corso quello di styling che gli era stato assegnato.

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minazione in Corso superiore di disegno industriale e comunicazioni visive (CSDICV). Altre proposte pi rivoluzionariequale, ad esempio, labolizione di voti ed esaminon ebbero seguito in provvedimenti concreti. Inizialmente Argan svolse per lIstituto di Roma lo stesso ruolo che Spadolini aveva svolto per Firenze, designando il primo gruppo di docentitra cui alcuni esponenti del Gruppo Uno da lui sostenuto. Lo stesso Argan fu docente di storia dellarte e del disegno industriale, poi sostituito da Filiberto Menna. Altri insegnanti di un certo rilievo furono Perilli, Maurizio Sacripanti, e, provenienti dalla HfG di Ulm, Andries van Onck, Paola Mazzetti, Rodolfo Bonetto e Giovanni Anceschi. Inoltre la scuola organizz numerose conferenze e seminari ai quali parteciparono personaggi italiani della levatura di Umberto Eco, Munari, Provinciali e Steiner, oltre ad altri esponentidocenti ed ex studentidella scuola di Ulm, tra cui Maldonado, Martin Kramper e Pio Manz, a conferma del legame, non soltanto ideale, che la scuola di Roma ebbe con quellesperienza. Il collegamento con la scuola tedesca si mantenne soprattutto sul piano metodologico: la pratica progettuale veniva svolta con una linea che privilegiava la metodologia e il lavoro di gruppo, e che in alcuni casi tendevacome a Ulmalla metodolatria60. Racconta Gianni Trozzi61 che fu proprio van Onck ad introdurre nel corso il PERT62: si trattava di un procedimento basato sulla rappresentazione grafica delliter progettuale, in modo da considerarne criticit, tempi, compiti specifici; un programma che ebbe molto successo e che molto spesso fu considerato tanto importante da diventare esso stesso un progetto in s. In generalesempre in analogia con il modello di Ulmla scuola si orient al progetto non di singoli oggetti ma di sistemi di oggetti, e fu caratterizzata da un certo impegno politico e ideologico di molti docenti e studenti. Tuttavia gli estremismi di fiducia positivista-razionalista della HfG di Ulm furono tenuti distanti dal corso romano, che invece contemplava anche un approccio atropologico-sociale al disegno industriale e le componenti inconsce, irrazionali o intuitive del processo progettuale.

60. Si veda, a tal proposito, lapprofondimento sulla Hochschule fr Gestaltung di Ulm nel paragrafo 3.3 del capitolo terzo. 61. G. Trozzi, Quelli di via Conte Verde. Per una storia del Corso superiore di disegno industriale e comunicazioni visive di Roma, in Progetto Grafico n.1, luglio 2003. 62. Acronimo di Program Evaluation and Review Technique.

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3.5 La scuola di Urbino Una storia a parte ebbe invece il Corso superiore di arti grafiche (CSAG) di Urbino, istituito, come i precedenti, allinterno del locale istituto darte nel 1962. Francesco Carnevali, arrivato nel 1925 a insegnare a Urbino presso listituto darte63, dal 1942 ne assunse la direzione. Si trattava allepoca di una scuola ancora molto legata alle tecniche grafiche e di editoria tradizionali quali incisione, legatoria, composizione. Carnevali fu, per, in grado di intuire lesigenza di rinnovamento in senso moderno della scuola, nella quale istitu dagli anni cinquanta i laboratori di disegno animato, fotografia e grafica editoriale. Per la stessa ragione, prima di ultimare il suo mandato, chiese al Ministero la possibilit di aprire un corso superiore come quelli che si andavano attivando presso gli altri istituti darte, dedicato alleditoria. Con la collaborazione di Enrico Gianni (ingegnere cartotecnico) promosse cos la nascita del Corso superiore di arti grafiche di Urbino, chiamando i due grafici Albe Steiner e Giancarlo Illiprandi, gi attivi presso la Scuola del libro di Milano64, a impostare i programmi didattici e gli orientamenti del corso. Steiner, che presso il CSAG ricopr il ruolo di insegnante di arte del libro e storia dellarte grafica, prima di accettare lincarico di Urbino aveva rifiutato una simile proposta proveniente dal CSDI di Venezia: gli era stato chiesto di tenere un corso di pubblicit, ma non accett perch riteneva che questa non avesse nulla a che fare col disegno industriale. Ben diverso era dal suo punto di vista il caso di Urbino, invece, in cui esisteva gi un istituto di tradizione secolare spinto verso il desiderio di rinnovarsi nellambito dellattivit editoriale di grande serie. Il primo direttore della scuola fu lincisore Pietro Sanchini, ma al coordinamento, allimpostazione culturalein definitiva alla personalitdi Steiner che si deve la fama della scuola, lunico importante centro di formazione di progettisti grafici dellepoca, oltre la gi citata scuola di Milano. Egli impost il corso superiore garantendo ampio spazio allo studio della storia, al disegno dei caratteri e soprattutto a un impegno etico e civile del grafico, mettendo in secondo piano laspetto estetico-formale rispetto al contenuto

63. Proprio in quellanno (1925) listituto acquisiva la specifica denominazione di Istituto darte per la illustrazione e la decorazione del libro, comunemente noto come Scuola del Libro. 64. Facente parte dei corsi della Societ Umanitaria.

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della comunicazione: un metodo educativo che era un tuttuno con il suo approccio professionale. Risultato pi o meno diretto di questo orientamento quella che lo stesso Steiner chiama grafica di utilit pubblica65, di cui il maggiore esempio il progetto del 1970 di immagine coordinata per il Comune di Urbino, elaborato proprio dagli studenti del Corso superiore con la supervisione di Steiner. Un lungo lavoro che si concretizz in un sistema estremamente organico e completo di immagine istituzionale e relazionale: il progetto prevedeva dai manifesti agli stampati istituzionali, agli orari degli autobus, alla segnaletica stradale e cos via, e fu in gran parte applicato dallamministrazione comunale almeno nel periodo subito successivo alla progettazione. Dal 1971, tuttavia, Steiner non insegn pi a Urbino e al suo posto subentr Michele Provinciali. I corsi superiori delle quattro citt italiane66 furono, in generale, delle esperienze che rispondevano al tentativo di innestare il discorso della scuola di disegno industriale sulla questione del pi ampio rinnovamento dellistruzione artistica. Restano, come tali, molto rilevanti e intense, tuttavia relativamente brevi, con una vita media che non and mai oltre i dieci anni. Nel 1970, infatti, il Ministero della pubblica istruzione comunic che a partire da ottobre dello stesso anno i corsi superiori annessi agli istituti darte di Venezia, Firenze e Roma non avrebbero potuto pi accettare iscrizioni al primo anno di corso67. Questa brusca chiusura ad esaurimento aveva una duplice motivazione: da un lato la promessa per un progetto di riforma di queste scuole con lo scopo di portarle a livello universitario; dallaltro la mancata collaborazione economica degli enti locali. Nel frattempo erano sopraggiunti gli anni delle contestazioni studentescheil cosiddetto sessantottoa cui neppure i CSDI furono estranei, ed erano state varate nel corso degli anni sessanta alcune importanti riforme che trasformarono radicalmente il sistema dellistruzione italiano.

65. A. Steiner, Il mestiere di grafico, Einaudi, Torino 1978. 66. Se ne devono aggiungere altri due, attivati a Parma e Faenza, tuttavia meno rilevanti nel panorama della formazione al design per il fatto di essere rimasti strettamente legati alla produzione locale: quello di Faenza, ad esempio, era stato istituito nel 1961 come Corso superiore di disegno industriale e tecnologia ceramica, presso lIstituto darte per la ceramica della citt. 67. La disposizione ministeriale non tocc n il corso di Urbino, che prosegu la sua attivit venendo direttamente trasformato in Isia dallanno accademico 1974-75, n quello di Faenza che fu trasformato in Isia molto pi tardi, nel 1979-80.

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3.6 Riforme degli anni sessanta, dibattito anni settanta La prima significativa riforma dellassetto dellistruzione italiana fu la legge del 31 dicembre 1962, n. 1859, che prevedeva listituzione della scuola media statale unificata e il suo ordinamento68. Gi la precedente riforma Bottai del 1940lunico intervento approvato tra quelli della Carta della scuola promossa dal regimeaveva unificato il ginnasio inferiore, istituto magistrale inferiore e istituto tecnico inferiore, ovvero i primi tre anni delle sole scuole che consentivano il proseguimento degli studi. La nuova riforma, oltre a formalizzare il rispetto dellobbligo scolastico fino ai 14 anni, consent, al termine del periodo distruzione obbligatoria, di accedere con il diploma di scuola media a qualsiasi tipo di scuola secondaria superiore. Con la soppressione dei vari indirizzi di scuola media inferiore, la scelta del percorso di studi veniva, quindi, posticipata di tre anni rispetto al termine delle scuole elementari. Leccezione restava per i corsi inferiori delle scuole e istituti darte e dei conservatori che, pur trasformati in scuole medie, conservavano la loro dipendenza dalle strutture di cui facevano parte e prevedevano unintegrazione del piano di studi con materie specializzate specifiche e caratterizzanti (art. 16). Sette anni pi tardi, nel 1969, fu varata la legge n. 910 per la liberalizzazione degli accessi universitari69, formulata sulla scia del clima di protesta della seconda met degli anni sessanta culminato nelle contestazioni studentesche del sessantotto. Lart. 1, di quella che si pu considerare la prima grande riforma universitaria del secondo dopoguerra, sancisce che chiunque sia in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore pu iscriversi a qualunque facolt universitaria70. Decade in tal modo la sostanziale diffe68. Il testo dellart. 1: In attuazione dellArt. 34 della Costituzione, listruzione obbligatoria successiva a quella elementare impartita gratuitamente nella scuola media, che ha la durata di tre anni ed scuola secondaria di primo grado. La scuola media concorre a promuovere la formazione delluomo e del cittadino secondo i principi sanciti dalla Costituzione e favorisce lorientamento dei giovani ai fini della scelta dellattivit successiva. Legge 1859/62, art. 1. 69. Legge dell11 dicembre 1969, n. 910, Provvedimenti urgenti per lUniversit. 70. Dal testo dellart. 1: Fino allattuazione della riforma universitaria possono iscriversi a qualsiasi corso di laurea: a) i diplomati degli istituti di istruzione secondaria di secondo grado di durata quinquennale, ivi compresi i licei linguistici riconosciuti per legge, e coloro che abbiano superato i corsi integrativi previsti dalla legge che ne autorizza la sperimentazione negli istituti professionali; b) i diplomati degli istituti magistrali e dei licei artistici (nota: di durata quadriennale) che abbiano frequentato, con esito positivo, un corso annuale integrativo, da

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renziazione tra licei e istituti professionali, e il vincolo che permetteva solo a chi avesse frequentato il liceo classico o scientifico, listituto magistrale o listituto tecnico di proseguire il percorso di studi alluniversit conformemente allindirizzo secondario scelto. Nel giro di un decennio, le novit introdotte con le due riforme richiamate riuscirono ad allargare notevolmente la porzione di popolazione italiana che poteva usufruire dellistruzione scolastica e avere accesso alluniversit. Alla legge 910/69, in particolare, si ritiene di poter attribuire il cambiamento maggiormente significativo delluniversit italiana. Successivamente, durante gli anni settanta furono promossi alcuni dibattiti, momenti di incontro, ed elaborati una serie di documenti, con la precisa volont di dare fisionomia a strutture didattiche che per non trovarono immediata finalizzazione. Parallelamente, sia per via della crisi e conseguente chiusura dei corsi superiori di disegno industriale, sia per la crescente richiesta di preparazione a quelle che venivano viste come nuove professioni, si ebbe un incremento notevole di scuole e corsi privati dedicati alle discipline del progetto, concentrati soprattutto nellItalia del nord. Nel 1970, durante la settimana del design71 (16-24 maggio), fu indetto dallADI un convegno internazionale di studi sul design, con il quale lassociazione si proponeva di dibattere il problema dellinsegnamento del design e di discutere le prospettive disciplinari, nellintento di far partecipare la tematica della formazione del designer al dibattito generale intorno alle funzioni e al significato del servizio universitario . Le tesi principali del dibattito vertevano, dunque, sullinserimento del disegno industriale allinterno delle universit. In particolare si distinse la posizione di Maldonado, gi espressa anche in altre sedi, il quale proponeva una pi ampia e diversa nozione di universit organizzata in dipartimenti, che fossero strutturati per problemi anzich per discipline o gruppi di discipline. Nel caso delle materie di progettazione egli delineava la possibilit della costituzione di un dipartimento di design ambientale che si occupasse dei problemi relativi allambiente fisico in cui luomo vive e opera. Posizione che trovava riscontro anche nellintervento di Giuseppe Ciribini, il quale constatava il
organizzarsi dai provveditorati agli studi, in ogni provincia, sotto la responsabilit didattica e scientifica delle universit, sulla base di disposizioni che verranno impartite dal Ministro per la pubblica istruzione. []. Legge 910/69, art. 1. 71. Il convegno, patrocinato dallICSID, si svolse il 23 e 24 maggio presso il Museo della scienza e della tecnica di Milano.

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superamento dellidea di insegnamenti separati, autonomi e fini a se stessi, avanzando lipotesi di una pratica interdisciplinare capace di rendere evidente, nel momento dellazione, la necessaria connessione tra le discipline. Nonostante queste premesse, circa linclusione del disegno industriale nelle universit italiane prevalse la posizione contraria di Cal72, motivata dal fatto che lestraneit dallambiente accademico dei corsi di disegno industriale avesse rappresentato una effettiva risorsa per queste scuole e garantito una pi stretta connessione tra scuola e societ. Fu infatti lo stesso Cal a proporre al Ministero, in concomitanza della chiusura dei corsi superiori annessi agli istituti darte il progetto degli Isiaappoggiandosi al RD del 31 dicembre 1923, n. 3123, che li prevedevaovvero scuole autonome sia dal punto di vista finanziario che organizzativo, per ci che concerneva gli organi di governo e amministrativi. La struttura che egli ipotizz aveva gi in s, in linea di massima, le caratteristiche che serebbero state, poi, quelle peculiari delle future scuole: massima flessibilit dellordinamento didattico a garanzia della sperimentazione quale connotato istitutivo, due principali organi di gestione della scuola, Consiglio di amministrazione e Collegio dei professori, che includessero oltre agli studenti anche noti professionisti del settore, e la previsione di quattro anni di corso di studi. 3.7 Fondazione degli Isia, Dams di Bologna Nel 1972 il Ministro della Pubblica Istruzione Oscar Luigi Scalfaro incaric il direttore dellIstituto darte di Roma, Aldo Cal, gi docente e direttore del CSDI di Roma, di avviare in via sperimentale un Istituto Superiore per le Industrie Artistiche (ISIA), con una lettera che ne regolava il funzionamento. Nel 1973 con una nota ministeriale73 venne ufficialmente inaugurato lIsia di Roma, il primo in Italia, fondato da Argan e diretto ancora una volta da Cal. Non pi quindi un corso legato a un istituto darte ma una istituzione autonoma, regolata da un proprio Comitato direttivo. I corsi, di durata quadriennale, ricevettero anche il riconoscimento dallUfficio europeo del BEDA74 come Scuole di formazione per progettisti nelle articolate aree del Design, nella fascia alti studi accademici con riconoscimento internazionale.

72. Questo suo punto di vista era gi maturato durante gli anni di direzione del CSDI di Roma. 73. Nota Ministeriale n. 3700/73, Decreto Ministeriale del 25 gennaio 1979. 74. Acronimo di The Bureau of European Design Association.

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Successivamente, dallanno accademico 1974-75 iniziava le sua attivit anche lIsia di Urbino75. LIsia di Firenze fu istituito, invece, nellanno successivo76. E infine, soltanto nel 1979-80 vide la nascita anche lultimo Isia a Faenza77. La trasformazione dei decreti di istituzione e regolamentazione degli istituti superiori per le industrie artistiche in legge si ebbe soltanto nel 1993con la legge n. 318, del 12 agosto 1993per decisione della Corte dei Conti che, nel 1992, aveva ritenuto lattivazione dei quattro Isia attuata praeter legem. La legge del 1993 conferm, tuttavia, soltanto un dato di fatto e cio lesistenza delle scuole attivate dai precedenti decreti. Quel vuoto legislativo, protrattosi in realt ben oltre il 1993, permise, negli anni, di organizzare, con ampi margini di libert, lattivit didattica e, in un certo senso, anche le strutture amministrative e il loro funzionamento. Questo ha permesso di attualizzare di volta in volta gli obiettivi formativi degli Isia, che restavano istituite in via sperimentale. Per pi di un ventennio i quattro istituti superiori sono rimasti le uniche scuole di designdisegno industriale, grafica e comunicazione visivain Italia, a livello istituzionale. Ognuno dei quattro Isia s evoluto, nel corso del tempo, in maniera piuttosto indipendente rispetto agli altri, con le proprie vicende storiche e caratteristiche peculiari, dipendenti dagli orientamenti didattici che di volta in volta sono stati impressi dai docenti che vi si sono avvicendati. Tuttavia, fino alla riforma dellistruzione superiore della fine degli anni novanta78, le quattro scuole hanno conservato un impianto comunein qualche modo ereditato dai precedenti corsi superioriche le distingueva dal resto delle istituzioni di livello universitario e dalle scuole dedicate alla formazione dei progettisti. In sintesi: lorgano di governo delle scuole, nominato dal Ministero, era costituito da un Comitato scientifico didattico, composto da docenti universitari e professionisti di chiara fama, col compito di pianificare le strategie didattiche e nominare i docenti; il Collegio dei docenti affiancava il comitato con soli poteri consultivi;
75. Istituito con Decreto Ministeriale del 10 ottobre 1974, Decreto Ministeriale del 1 settembre 1975. 76. Con Decreto Ministeriale del 15 settembre 1975. 77. Istituito con Decreto Ministeriale del 25 gennaio 1979. 78. Si vedano pi avanti i paragrafi 4.6 e 4.7 di questo capitolo.

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lintero corpo docente, scelto dal comitato scientifico didattico, era assunto con contratti annuali di prestazione dopera intellettuale; annualmente, il comitato scientifico didattico proponeva al Ministero il piano di studi per lanno accademico successivo, dopo aver esaminato lesito delle attivit dellanno precedente; le scuole erano rette da un coordinatore, garante delle direttive ministeriali ed esecutore delle delibere del comitato; linsegnamento era fortemente connotato dalla presenza di laboratori e orientato alla realt produttiva. Pertanto, tutte le decisioni dovevano essere vincolate esclusivamente ai pareri obbligatori del comitato scientifico didattico, e una tale struttura decretava una certa precariet del corpo docente, dando la possibilit di cambiare troppo facilmente tutto limpianto didattico, e quindi lorientamento educativo della scuola, con tutte le conseguenzesia positive sia negativeche questo comportava. Infine, vale la pena segnalare lesperienza del Dams79 dellUniversit di Bologna. Fondato alla fine degli anni settanta con padrini di eccellenza quali, tra gli altri, Umberto Eco, Renato Barilli, Benedetto Marzullo, Adelio Ferrero, si pu ancora oggi considerare il primo esperimento in ambito accademico di insegnamento di materie legate alle arti e allo spettacolo. Significativo che tra i primi docenti chiamati a insegnare ci fosse Maldonado, come professore ordinario di progettazione ambientale dal 1976 al 1984, gi attivo in Italia grazie a progetti di collaborazione con aziende quali Olivetti e La Rinascente, e da poco reduce dallesperienza di docente e rettore della Scuola di Ulm. Giovanni Anceschi, presso lo stesso corso, fu chiamato a insegnare dal 1975 al 1987,come docente di sistemi grafici e teoria delle forme. Come egli stesso riporta80 a proposito dei rapporti tra Ulm e lItalia:
C stato un momento in cui presso il DAMS dellUniversit di Bologna, con Maldonando alla cattedra di progettazione ambientale, Martin Krampen a quella di comunicazioni di massa, il ventilato arrivo di Gui Bonsiepe a disegno industriale, e io stesso a sistemi grafici, con lappoggio di fiancheggiatori come Omar Calabrese per larea semiotica, Attilio Marcolli per larea basic, e con Pierluigi Cervellati, Giorgio Muratore e Vittorio Savi per larea architettonico-urbanistica, o altri come Marco Mondadori,
79. Per esteso: Corso di laurea in discipline delle arti, della musica e dello spettacolo. 80. G. Anceschi, P.G. Tanca, Ulm e lItalia, in il contributo della scuola di Ulm, Rassegna n. 19, numero monografico, settembre 1984.

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Marco Santambrogio e Salvatore Veca per larea logico-matematica-filosofica si avuta una sezione di progettazione che avrebbe potuto proporre una versione aggiornata del modello ulmese. Ma le prudenze dellAccademia italiana sono sconfinate e lipotesi rest tale.

Inizialmente, nellambito degli Istitutiprecedenti al sistema dipartimentale costituito nel 1980 in via sperimentale81il corso era grossomodo organizzato in tre sezioni: una ad orientamento teorico, incentrata sulla semiotica e sulla filosofia delle comunicazioni, facente capo a Eco; una seconda relativa allo spettacolo, ad orientamento teorico e di pratica spettacolare; e una terza ad orientamento specificamente progettuale, che faceva capo a Maldonado. Il Dams non mirava, tuttavia, a formare dei veri e propri professionistitecnici della comunicazione e operatori pragmaticima restava pur sempre orientato alla teoria, alla semiotica essendo del resto un corso di laurea della facolt di lettere e filosofia. La figura professionale di riferimento poteva al massimo essere quella di esperto di comunicazioni visive e anche le esercitazioni pratiche avevano pi la funzione di strumenti didattici con valore conoscitivo, mettendo in grado gli studenti di comprendere i complessi funzionamenti dei processi progettuali e ideativi della grafica piuttosto che fornire le competenze necessarie alla professione. Oggi la classe delle lauree in discipline delle arti figurative, della musica, dello spettacolo e della moda, eredit del vecchio indirizzo Dams, ha infatti un taglio pi storico-critico e teorico, mantenendo poco in comune con le premesse descritte da Anceschi.

4 Insegnamento del design nelle universit


4.1 Contesto universitario degli anni ottanta L11 luglio del 1980 viene emanato Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 382, Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonch sperimentazione organizzativa e didattica.

81. Si fa riferimento al DPR 11 luglio 1980, n. 382, Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonch sperimentazione organizzativa e didattica; in particolare al Titolo III, Sperimentazione organizzativa e didattica. Per approfondire si veda pi avanti il paragrafo 4.1 di questo capitolo.

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Nel titolo primo, lart. 1 istituiva la ripartizione tra docenti straordinari e ordinari e docenti associati, con diverse funzioni ma stessa libert didattica e di ricerca; stabiliva la possibilit di chiamare professori a contratto per cooperare alle attivit di docenza; e istituiva il ruolo dei ricercatori universitari, a cui non potevano per essere conferiti incarichi di insegnamento. Lart. 32, in particolare, stabilisce i loro compiti82:
I ricercatori universitari contribuiscono allo sviluppo della ricerca scientifica universitaria e assolvono a compiti didattici integrativi dei corsi di insegnamento ufficiali. Tra tali compiti sono comprese le esercitazioni, la collaborazione con gli studenti nelle ricerche attinenti alle tesi di laurea e la partecipazione alla sperimentazione di nuove modalit di insegnamento ed alle connesse attivit tutoriali.

Ai professori nominati ordinari e ai ricercatori universitari veniva richiesto di presentare, al consiglio di facolt, una relazione sul proprio operato scientifico, rispettivamente ogni due e ogni tre anni. Con gli articoli raccolti sotto il titolo quarto, lo stesso decreto concedeva alle universit di avviare la sperimentazione organizzativa e didattica intesa come individuazione e verifica di nuove modalit di espletamento dellattivit di ricerca e di insegnamento83. In particolare lart. 83 permetteva di avviare la costituzione di dipartimentigli stessi cui si accennava pi sopra e che esistono ancora oggi , ovvero di strutture organizzative interne agli atenei, dotate di autonomia amministrativa e finanziaria, che raccoglievano, come previsto tuttora, settori di ricerca e insegnamenti affini, omogenei per fini o per metodo84. La loro funzione di promozione, coordinamento e verifica dellattivit di ricerca, nonch di supporto allattivit didattica. Il decreto consente anche di costituire dipartimenti interuniversit, e centri di ricerca interuniversitari quali strumenti di collaborazione scientifica tra docenti di universit diverse, comprese quelle straniere. Inoltre lart. 92 si indirizzava ai docenti concedendo loro la possibilit di sperimentare nuove attivit didattiche rivolte a rendere pi proficuo linsegnamento85 in relazione sia ai dipartimenti sia, soprattutto, alle connessioni con istituzioni ed enti culturali, scientifici ed economici pubblici

82. DPR 382/1980, art. 32. 83. DPR 382/1980, art. 81. 84. DPR 382/1980, art. 83. 85. DPR 382/1980, art. 92.

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o privati86 dellarea geografica in cui luniversit ha sede. Veniva, infine, lasciato ampio margine alla sperimentazione di modalit di studio e di frequenza, per agevolare la preparazione degli studenti. Per quanto riguarda specificatamente larea della progettazione, la situazione rimaneva, tuttavia, la stessa a parte la comparsa a singhiozzi di nuovi insegnamenti pur sempre inseriti nel contesto delle facolt di architettura. Ad esempio, nel 1982, con il nuovo ordinamento delle facolt di architettura, veniva introdotta tra le materie opzionali, la disciplina di Strumenti e tecniche di comunicazione visiva, un titolo controverso per una materia che principalmente riproponeva agli studenti le problematiche dei processi percettivi e della comunicazione visiva, gi affrontate con diverso approfondimento nei corsi dellarea della rappresentazione. La facolt di architettura del Politecnico di Milano fu la prima ad avviare, nel 1984, in forma sperimentale, lindirizzo di laurea in disegno industriale e arredamento. Addirittura il venticinque per cento degli iscritti, su un totale di oltre diecimila, scelse in quellanno il nuovo indirizzo87. Lofferta didattica da parte dei docenti appartenenti allarea disegno industriale era per insufficiente per il numero di iscritti. Allinterno dellindirizzo, in cui si distinguevano quattro corsi, si riscontrava una certa mancanza di strutture e spazi adeguati, di denaro e laboratori. Si poneva il problema di trovare una linea di insegnamento n professionalizzante n specialistico, dovendosi adattare alla didattica tendenzialmente fondativa e generalizzante delle facolt universitarie. La formula adottata metteva laccento sulla metodologia e sullanalisi della complessit del processo progettuale, piuttosto che sul design come disciplina o mestiere. Operativamente quello che si stava attuando era un insegnamento per progetti a breve termine, anche con la collaborazione delle aziende, che principalmente assistevano agli studenti nella realizzazione di modelli o organizzavano visite nei loro stabilimenti. Dal 1984 lo stesso Maldonado era presente al Politecnico di Milano in qualit di professore ordinario di progettazione ambientale, e fu proprio lui a favorire pi tardiinsieme ad un gruppo di docenti di cui faceva parte anche Giovanni Anceschila fondazione di un vero e proprio corso di laurea in disegno industriale, premessa per la successiva Facolt del design (dal 2000).

86.Ibidem. 87. Dati tratti da F. Trabucco, Esperienze didattiche e progettuali nel corso di disegno industriale, in N. Sinopoli (a cura di), Design italiano: quale scuola?, Franco Angeli, Milano 1990.

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Nellambito della comunicazione visiva e progettazione grafica oltre agli sporadici insegnamenti citatisvolti nelle facolt di Milano (Politecnico) e di Bologna (Dams) tenuti peraltro dagli stessi docentinon esistevano altri percorsi istituzionali se non quello offerto dallIsia di Urbino. Per il resto, sufficiente a dare unidea della situazione italiana il testo di Luisa Steiner88 che presenta unindagine, promossa nel 1982 dalla rivista Linea Grafica, su Le scuole di grafica in Italia:
Basta leggere gli elenchi sulle pagine gialle delle varie citt italiane per trovarsi di fronte a una quantit incredibile di istituti o scuole che offrono diplomi di ogni genere, ordine e grado, per rendersi conto dellassurdit e della poca seriet di questo settore che troppo spesso approfitta delle necessit del mercato che ha bisogno dei cos detti persuasori occulti, promettendo titoli e qualifiche che nella pratica non sono che pezzi di carta senza alcun valore reale.

Pochissime infatti sono le scuole di grafica serie, in grado di portare gli allievi ad un buon livello di preparazione; eppure, come si detto, sulla carta gli istituti sono molti, anzi moltissimi. Si trattava della moltitudine di corsi privati attivati in Italia gi dagli anni sessanta e settanta, principalmente a livello di istruzione secondaria o di formazione professionale. Lassenza di un ordinamento istituzionale generale veniva considerato la questione principalmente responsabile della strutturazione di queste scuole private in corsi senza dei veri e propri parametri comuni89:
Si opera cos un enorme spreco di energie prima perch si studia male, poi perch i primi anni di lavoro si devono impiegare necessariamente per colmare tutte le lacune che la scuola ha dato o lasciato, quando non sia addirittura necessario ripartire da zero ricostruendo dalla base ogni cosa.

Sicuramente per questo scenario esprimeva anche un crescente interesse per il settore, confermato anche da unattenzione pi generale al progetto grafico e di comunicazione, che ha investito gli ambienti professionali e intellettuali per tutto larco del decennio.

88. L. Steiner, Le scuole di grafica in Italia, in Speciale scuole, Linea Grafica, n. 3, 1982. 89. Ibidem.

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4.2 Grafica come design Una serie di eventi come pubblicazioni, mostre o momenti di confronto susseguitisi nel corso degli anni ottanta, aveva portato professionisti e teorici a riflettere sul tema della grafica e guardare retrospettivamente alla storia del mestiere, tracciandone il percorso e le prospettive future e tentando anche una sorta di fondamento disciplinare (anche a fronte delle evoluzioni tecniche-tecnologiche della fine del decennio). Una ragionata e ampia lista di questi eventi per cos dire coincidenti riportata da Gelsomino dAmbrosio e Pino Grimaldiinsegnanti presso lIsia di Urbino in quegli annisulle pagine della rivista Grafica90. Tra i pi importanti: nel 1980 veniva pubblicato il saggio La scrittura tra ideologia e rappresentazione di Antonio Petrucci (contenuto nella Storia dellarte italiana, Einaudi 1980), che apre gli orizzonti disciplinari ad epoche precedenti la rivoluzione industriale, a Napoli si promuoveva una manifestazione su La comunicazione grafica delle organizzazioni e delle istituzioni democratiche a cui parteciparono anche Massimo Dolcini, Menna, Provinciali e Lica Steiner; nel 1981 si teneva un incontro presso la Scuola umanitaria (Milano) a margine della mostra Il progetto grafico, venti interventi nel nostro quotidiano organizzato da Illiprandi, Alberto Marangoni, Anty Pansera, Roberto Sambonet; nello stesso anno usciva Monogrammi e Figure di Anceschi; il numero 6 della rivista Rassegna (aprile 1981) dedica un inserto monograficocon testi di Maldonado, Anceschi, Calabrese, Franco Fortini e altrialla definizione del campo della grafica italiana; nel 1983 veniva pubblicato il n. 70 di Ottagono sul design microambientale, con un testo di Anceschi sul basic design; nello stesso anno usciva su Op. cit. larticolo E se Gutenberg fosse un designer? di DAmbrosio, Grimaldi e Lenza discusso poi in un incontro a Napoli con altri designer e storici; lINARCH a Roma ospitava un incontro organizzato da Giovanni Lussu dal titolo Grafica e Ambiente; nel 1984 allo Iuav si teneva un convegno in preparazione della Biennale di Cattolica (evento singolo che si terr nello stesso anno ma senza continuit); nel 1985 usciva il primo numero di Grafica, rivista semestrale di teoria, storia e metodologia, e viene organizzata una serie di incontri e manifestazioni per presentarla; veniva inaugurata una mostra sul lavoro di Massimo Dolcini; la Triennale di Milano bandiva
90. G. Dambrosio, P. Grimaldi, Docere Movere Delectare, sulla didattica della progettazione grafica, in Grafica, n.13-14, autunno 1994.

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un concorso per il progetto del proprio marchio; nel 1986 un numero della rivista Alfabeta veniva interamente dedicato al graphic design; nel 1988 a Bologna si teneva limportante mostra Disegnare il libro. Grafica editoriale in Italia dal 1945 ad oggi; in tutto il decennio erano, inoltre, ricorrenti gli incontri organizzati da Franco Balan ad Aosta e in altre sedi sul tema della grafica di pubblica utilit; infine nel 1989 viene elaborata la Carta del progetto grafico da un gruppo di progettisti tra cui Anceschi, Lussu, Marangoni e Illiprandi e Giovanni Baule. Oltre a una generale presa di coscienza della storia della disciplina e del ruolo del progettista, in diverse pubblicazioni veniva promossa lidea che la grafica appartenesse, per diverse ragioni, alla sfera del design, il che forse uno degli aspetti insieme pi controversi e interessanti del dibattito. Ad esempio, nel saggio di DAmbrosio, Grimaldi e Lenza91 si discuteva non soltanto del rapporto tra la stampala sua origine e il suo sviluppoe le dinamiche di progettazione e produzione industriale, ma si individuava addirittura nei primordi delleditoria, con unoperazione fortemente analitica, il germe della contrapposizionetutta moderna e contemporaneatra grafica e pubblicit, ovvero tra un tipo di comunicazione orientata al trasferimento e rappresentazione di contenuto o di informazione e unaltra che mira invece alla presentazione. Due anni pi tardi Renato De Fusco dedicava il primo capitolo92 della sua Storia del design allinvenzione e diffusione della stampa nel XV-XVI secolo. Nel rintracciare i precedenti della storia che si apprestava a esporre, pur essendo possibile risalire ad antiche produzioni di oggetti in serie e a manifatture organizzate gi secondo la moderna divisione del lavoro, bench fosse daltra parte diffusa lopinione per la quale non si ritenesse possibile parlare di disegno industriale prima dellavvento della rivoluzione industriale93, egli sosteneva che il settore della stampa avesse anticipato di oltre tre secoli quella rivoluzione e potesse, per molte ragioni, considerarsi unattivit nel pieno dominio del design. Lidea era gi di Dorfles che nel 1972, in merito alla stampa, scriveva94:
91. G. DAmbrosio, P. Grimaldi, C. Lenza, E se Gutenberg fosse un designer?, in Op. cit., n. 58, settembre 1983. 92. Titolo del capitolo: La stampa come design; R. De Fusco, Storia del design, Laterza, Bari 1985 93. Si veda il paragrafo 1.2 del capitolo terzo. 94. G. Dorfles, Introduzione al disegno industriale, Einaudi, Torino 1972; citato da De Fusco, op. cit.

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La stampa ha costituito latto di nascita dellindustria, dal momento che la meccanizzazione dellarte di scrivere stata probabilmente la prima riduzione di un lavoro in termini meccanici. [] la stampa comport una rivoluzione nella concezione stessa della produzione. Con la stampa appare la nozione di moltiplicazione per mezzo di serie identiche di uno stesso oggetto uniforme e ripetibile. Il foglio stampato prodotto in innumerevoli esemplari e linvenzione di una macchina utensile la cui mano delluomo assente hanno effettivamente trasformato lidea stessa di produzione.

De Fusco proseguiva dimostrando che la stampa fosse anchessa riducibile al suo ben noto paradigma di progetto, produzione, vendita e consumo, che egli rintracciava e con il quale analizzava le varie esperienze di design nel corso della storia. Non mancava di sottolineare inoltre quanto la stampa e il mercato del libro siano profondamente simili allindustria e al mercato in generale, ovvero una impresa grossolanamente economica, fortemente legata ai capitali, anche quando li si considera come prodotti della cultura umanistica. Nellanalisi del fattore progetto compariva, infine, la grafica e le confusioni che sono a questo connesse. Ovvero considerando il disegno del carattere e limpaginato come il nucleo della componente progettuale delloggetto libro e della stampa, operazioni tipicamente progettuali in quanto fissate totalmente prima del processo produttivo, la composizione veniva quindi a coincidere con il design nel campo della stampa, e la grafica poteva addirittura considerarsi come la prima forma storica di disegno industriale95. Questa serie di riflessioni avevano contribuito a promuovere e consolidare lidea che la grafica e la comunicazione visiva rientrassero nel dominio del design di prodotto, inaugurando quella persistente dipendenza delluno dallaltro. Una cosa, del resto, tutta italiana, se si considera la tradizione di area inglese o olandese sul piano della grafica e tipografia; e che nei paesi anglofoni la parola design tuttora un vocabolo di uso corrente non limitato esclusivamente allambito di quello che invece il progetto per lindustria96.

95. F. Barbieri, Grafica e arte del libro, in Enciclopedia Universale dellArte, Istituto per la collaborazione culturale, Venezia-Roma 1958; citato da De Fusco, op. cit. 96. In Italia la realt produttiva in cui si innestato il concetto di design per molti aspetti strettamente legata alla produzione industriale; la grafica italiana ha risentito molto di questo aspetto. Del resto, nelleconomia italiana ha da sempre prevalso lindustria leggera e la produzione di artefatti soggetti a styling, aspetto che ha alterato la percezione del concetto di design in Italia. Si veda anche, a proposito della questione terminologica, la conversazione con Giovanni Lussu, riportata nellappendice due.

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Lequivoco, in questo caso, sta nellaver sovrapposto quella che pu di fatto essere considerata una industria97 ante litteram alluniverso articolato e complesso della comunicazione. Come se leditoria, il disegno dei caratteri, la progettazione dei libri coprissero tutto quello che pu definirsi comunicazione visiva, o sistemi di rappresentazione. Una prospettiva decisamente prodotto-centrica che rischia di orientare le scuole verso la formazione meramente professionale; oppure di collocare impropriamente il progetto di comunicazione allinterno dellarea del disegno industriale. A ben vedere la comunicazione ha a che fare pi coi contenutiorganizzazione di informazioni complesse, ma anche linguistica e processi comunicativiche con gli oggetti (supporti), o con la produzione industriale, a meno che non si parli, effettivamente, di industria editoriale o di industria delle immagini (pubblicit). In questo contesto, se da un lato lIsia di Urbino si era principalmente dedicatada subito e per tradizionealla progettazione editoriale, tutte le altre scuole, istituti e corsi privati, dallaltro, offrivano un tipo di istruzione orientata alla persuasione, allimmagine pubblicitaria. Tanto che negli ambienti non specialistici i due termini di grafica e pubblicit sono a lungo stati considerati assolutamente equivalenti e interscambiabili. Lo stesso spirito con cui la grafica stata accolta e inserita nei curricula delle scuole secondarie (istituti darte e licei artistici)98. 4.3 Nuovo assetto universitario negli anni novanta Sul finire degli anni ottanta, con la legge del 9 maggio 1989, n. 168, venne finalmente istituito il Ministero delluniversit e della ricerca scientifica e tecnologica, con il compito di promuovere [] la ricerca scientifica e tecnologica, nonch lo sviluppo delle universit e degli istituti di istruzione superiore di grado universitario99. Gi prima, dal 1962, era stato designato un Ministro per il coordinamento delle iniziative per la ricerca scientifica e tecnologica100, ma con poteri limi97. Ci si riferisce alla stampa a caratteri mobili e al circuito delle tipografie: nientaltro che un procedimento tecnico di meccanizzazione della scrittura, successivamente sviluppato per produrre serialmente, in generale, artefatti bidimensionali. 98. M. Zennaro, Grafica, pubblicit e scuola, in Punti critici, n. 4, febbraio 2001. 99. Legge 168/89, art. 1, comma 1. 100. Si veda la nota n. 30 di questo capitolo.

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tati. Al nuovo ministero furono trasferite principalmente tutte le funzioni in materia di istruzione universitaria. Tra i suoi compiti quello di redigere un piano di sviluppo delluniversit e un rapporto sullo stato dellistruzione universitaria (entrambi triennali), promuovere e sostenere finanziariamente la ricerca nelle universit, approvare programmi degli enti di ricerca, assicurare uno sviluppo equilibrato delle sedi universitarie italiane, coordinare le attivit per la partecipazione a programmi di istruzione universitaria e ricerca scientifica e tecnologica comunitari e internazionali. La legge regolava inoltre, con lart. 4, il coordinamento dellistruzione universitaria con gli altri gradi di istruzione, che avveniva a livello di intese e collaborazioni tra i due ministeri preposti allistruzione scolastica e allistruzione universitaria. In particolare il Ministero della pubblica istruzione (MPI) si affidava al Ministero delluniversit e della ricerca scientifica e tecnologica (MURST) per lattuazione, in collaborazione con universit e istituti di ricerca, di iniziative daggiornamento e specializzazione del personale docente, direttivo e ispettivo di ogni grado scolastico (gli oneri restavano a carico del primo), e per la revisione dei programmi della scuola secondaria superiore, col fine di adeguarli al proseguimento degli studi in ambito universitario. Dallaltro lato il MURST si interfacciava con il MPI per i problemi inerenti alla formazione di coloro che seguono corsi di studio universitari che prevedono sbocchi nellinsegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado101, promuovendo e sostenendo anche finanziariamente le iniziative universitarie rivolte alla preparazione allinsegnamento, allo sviluppo della ricerca ed alla sperimentazione di metodologie e tecnologie didattiche nelle scuole102. In generale veniva favorito linterscambio culturale tra universit e scuola. La legge del 1989 era importante anche in quanto stabiliva e descriveva, con lart. 6, lautonomia delle universit. Il primo comma dichiarava infatti che le universit sono dotate di personalit giuridica e, in attuazione dellarticolo 33 della Costituzione, hanno autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile; esse si danno ordinamenti autonomi con propri statuti e regolamenti103. A questa legge sono seguite le leggi di attuazione dei principi di autonomia delle universit, sia didattica che finanziaria. Si tratta della legge n. 341 del 19 novembre 1990, che stabiliva la riforma degli ordinamenti didattici universitari e regolava lautonomia
101. Legge 168/89, art. 4, comma 3. 102. Legge 168/89, art. 4, comma 4. 103. Legge 168/89, art. 6, comma 1.

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didattica degli atenei; mentre lart. 5 della legge n. 537 del 24 dicembre 1993 regolava lautonomia finanziaria delle universit. Con la legge del 1990 venivano stabiliti, in particolare, i nuovi titoli rilasciati dalle universit: diploma universitario (DU), con una durata non inferiore a due anni e non superiore a tre, [] ed ha il fine di fornire agli studenti adeguata conoscenza di metodi e contenuti culturali e scientifici orientata al conseguimento del livello formativo richiesto da specifiche aree professionali104; diploma di laurea (DL), che ha una durata non inferiore a quattro anni e non superiore a sei ed ha il fine di fornire agli studenti adeguate conoscenze di metodi e contenuti culturali, scientifici e professionali di livello superiore105; diploma di specializzazione (DS), il quale si consegue, successivamente alla laurea, al termine di un corso di studi di durata non inferiore a due anni finalizzato alla formazione di specialisti in settori professionali determinati, presso le scuole di specializzazione106; dottorato di ricerca (DR), regolato da specifiche disposizioni di legge. I decreti successivamente adottati per lordinamento didattico dei vari diplomi, secondo lart. 9, sarebbero dovuti essere funzionali a evitare le ripetizioni o sovrapposizioni di corsi e insegnamenti nella determinazione delle facolt, realizzando una riconversione degli insegnamenti secondo criteri di omogeneit disciplinare, tenendo conto dei mutamenti sopravvenuti nelle aree scientifiche e professionali107. Inoltre lart. 14 stabiliva listituzione dei settori scientifico-disciplinari che raggruppano gli insegnamenti in base a criteri di omogeneit scientifica e didattica108, descritti e modificati con successivi decreti ministeriali. Con lart. 6 della legge, invece, venivano date disposizioni per listituzione allinterno delle universit di corsi di orientamento per gli studenti delle scuole secondarie che intendono iscriversi alluniversit, corsi di aggiornamento per il personale tecnico e amministrativo, e attivit formative autogestite dagli studenti nei settori della cultura e degli scambi culturali,
104. Legge 341/90, art. 2, comma 1. 105. Legge 341/90, art. 3, comma 1. 106. Legge 341/90, art. 4, comma 1. 107. Legge 341/90, art. 9, comma 2, lettera b. 108. Legge 341/90, art. 14, comma 1.

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dello sport, del tempo libero109, da prevedere negli statuti universitari. Limitatamente, invece, alle proprie risorse finanziarie gli atenei potevano attivare anche corsi di preparazione per esami di Stato abilitanti, corsi esterni come quelli per laggiornamento culturale degli adulti, nonch quelli per la formazione permanente, ricorrente e per i lavoratori110, oltre che corsi di perfezionamento e aggiornamento professionale. Per la realizzazione di tali corsi le universit potevano avvalersi altres della collaborazione di soggetti pubblici e privati, stabilendo anche convenzioni o consorzi (art. 8). Lautonomia didattica delle universit era garantita dal regolamento didattico di ateneo (art. 11), deliberato dal senato accademico, su proposta delle strutture didattiche, e inviato al Ministero delluniversit e della ricerca scientifica e tecnologica per lapprovazione. Il regolamento doveva disciplinare sia lordinamento dei corsi (disposti dallart. 1), sia le attivit formative e i corsi esterni (descritti dallart. 6). La legge, infine, consentiva anche ai ricercatori universitari confermati di svolgere attivit didattica in tutti i corsi previsti dalla legge, di far parte delle commissioni di esame e di essere relatori di tesi (art. 12), diversamente da quanto espresso dalla legge precedente111 che li istituiva. 4.4 Discipline del progetto nellambito universitario Per quanto riguarda linsegnamento del design a livello distruzione superiore, gli anni novanta rappresentano un importante punto di svolta in quanto segnano il riconoscimento dellautonomia (relativa) delle discipline del progettoil disegno industriale, prima delle altree la loro definitiva inclusione in ambito universitario. Alla fine degli anni ottanta veniva organizzato presso lIstituto universitario di architettura di Venezia (IUAV) un ciclo di seminari, curato da Nicola Sinopoli, le cui intenzioni erano cos espresse112:
[si intendeva] valutare fino a che punto le discipline del design avessero un loro statuto ormai consolidato ed una loro identit didattica nei diversi luoghi nei quali in Italia vengono insegnate e fino a che punto i diversi prodotti delle diverse scuole operanti

109. Legge 341/90, art. 6, comma 1, lettera c. 110. Legge 340/90, art. 6, comma 2, lettera b. 111. Legge 11 luglio 1980, n. 382. 112.Sinopoli, op. cit.

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potessero dimostrare una loro maturit ed una loro autonomia nel quadro complessivo dei prodotti delle scuole di architettura.

La scelta della sede per il confronto tra le realt esistenti in Italia e lelaborazione di riflessioni sulla questione non era casuale: quella di Venezia era la sola scuola di architettura italiana che fino ad allora non aveva mai attivato un insegnamento di disegno industriale113. Il fatto che le facolt di architettura tendessero a coincidere con lindirizzo di progettazione architettonica era visto, dallo stesso curatore, come un appiattimento delle potenzialit formative di queste facolt. Il quesito intorno a cui ruotavano i seminari veneziani era: ha senso o no la presenza del design in una scuola di architettura, e se s, a quali condizioni?. Le risposte, molto diverse e complesse, presentavano uno scenario variegato di scuole, corsi e orientamenti, spesso anche in aperto contrasto tra loro. Tuttavia, la tesi del curatore era che nelle facolt di architettura fosse allora assente il riferimento alla cultura industriale con cui prima o poi esse si sarebbero trovate a fare i conti, senza escludere che questo avrebbe potuto configurarsi come un rapporto critico. Per questo linsegnamento del design avrebbe dovuto essere, secondo Sinopoli, necessariamente presente nelle scuole di architettura, per permettere il loro sviluppo: lapporto del disegno industriale assumeva dunque i tratti di una condizione di sopravvivenza per queste scuole. Le ragioni stavano nel fatto che troppo spesso il progetto di architettura si sollevasse dalle responsabilit costruttive limitandosi al disegno e non alla gestione di un processo anche produttivo, che invece nel caso del progetto del prodotto industriale resta una parte integrante. Le fasi di verifica di efficacia e riscontro ultimo del progettoproduzione e distribuzionefondamentali nel caso del prodotto industriale, erano spesso trascurate o assenti nel progetto di architettura. Il disegno industriale, oltre al vantaggio di riportare a una certa aderenza con la realt produttiva e quindi sociale, con lobiettivo di superare lautoreferenzialit dei corsi di architettura, sarebbe servito a differenziare i percorsi di apprendimento allinterno dellofferta didattica nel campo della progettazione. La proposta era dunque quella di un potenziamento dellarea del design nellinsegnamento dellarchitettura, senza trasferirne tout-court la mentalit propria del processo di produzione industriale.

113. Nonostante fosse stata scelta come sede in cui sperimentare il primo Corso superiore di disegno industriale, interno per allIstituto darte. Si vedano i paragrafi 3.1 e 3.2 di questo capitolo.

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Maldonado, tra gli invitati a partecipare al seminario, ammoniva per a non usare linsegnamento del design per modificare un apparatoquello delle scuole di architetturache avrebbe avuto bisogno di ristrutturazioni interne e di un reale confronto con la complessit del reale. Egli individuava tre orientamenti prevalenti nellinsegnamento del disegno industriale, emersi dai vari incontri promossi dallICSID cui aveva preso parte: costituzione di facolt o corsi di laurea autonomi; inclusione di una sezione o dipartimento dedicato allinterno di organismi pedagogici gi esistenti (facolt di architettura, ingegneria, accademie di belle arti); trasformazione delle vecchie scuole di arti applicate, a livello superiore, in vere e proprie scuole di disegno industriale. In Italia si era promossa, fino ad allora, la creazione di indirizzi e corsi di disegno industriale in alcune facolt di architettura, senza per modificare in nulla lassetto complessivo del piano di studi di queste facolt, ovvero senza introdurre quelle discipline tecnico-scientifiche, teoriche e metodologiche imprescindibili per una formazione seria dei designer. Uniniziativa molto modestasecondo Maldonadofrenata negli sforzi dei suoi promotori dal conservatorismo burocratico ministeriale, dalla resistenza delle corporazioni professionali e da irrazionali gelosie disciplinari. Al merito di aver istituito cattedre in disegno industriale nellordinamento universitario italiano corrispondeva il demerito di averlo fatto spesso soltanto cambiando il nome alle vecchie discipline di arredamento. Agli studenti di architettura che si iscrivevano a questo indirizzo veniva, infatti, fornita la possibilit di scegliere tra discipline facoltative presenti nel piano di studi, considerate utili a un architetto che voleva specializzarsi in disegno industriale. Queste iniziative non andavano oltre una immagine soltanto allegorica di una volont di riforma114: il disegno industriale era considerato ancora quale ruota di scorta delle facolt di architettura, per nascondere la profonda crisi in cui esse versavanoa cavallo tra anni ottanta e novantariguardante il ruolo e la funzione sociale dellarchitetto. Di l a poco venivano attivati i primi corsi di laurea in design in ambito accademico. Il primo vero e proprio Corso di diploma di laurea in Disegno
114. T. Maldonado, Come insegnare quale design, in Sinopoli, op. cit.

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industriale115 nasceva nel 1993 a Milano, presso il Politecnico, fortemente promosso, tra gli altri, da Maldonado e Anceschi. Successivamente, nel 1994, veniva istituito un Diploma universitario in disegno industriale, presso la Facolt di architettura delluniversit La Sapienza di Roma, diventato diploma di laurea tre anni pi tardi (nel 1997). Nel 1995 era la volta dello Iuav di Venezia che istituiva i corsi in Industrial design, Moda e Visual design. Lultimo, nel decennio, ad essere attivato stato il Corso di diploma di laurea in disegno industriale a Napoli, nel 1997. Nel corso degli anni novanta il dibattito sulla formazione del designer prosegu in una serie di conferenze e momenti di dialogo, recensiti anche sui bollettini delle associazioni professionali ADI e Aiap. Ad esempio, sul numero 4-5 di Notizie Aiap, del settembre 1996, si esponeva su alcuni degli incontri avvenuti in diversi ambiti, sul tema della formazione. Lincontro del 26 febbraio 1996 presso il Politecnico di Milano116 aveva messo in luce lesigenza di organizzazione della disciplina e quindi di omogeneizzazione dei diversi curricula di studio allora esistenti. La dicitura di disegno industriale assumeva la funzione di ombrello sotto cui riconoscere un insieme di disciplinetra le altre la comunicazione visivadistinte ma contigue, nonostante essa connotasse sempre pi soltanto il design di prodotto. Un aspetto, per, era molto poco chiaro: ovvero quali fossero i confini di questa vasta area; cosa caratterizzasse e collegasse, di fatto, le discipline che venivano di volta in volta accolte sotto la denominazione di disegno industriale. Non molto diverse sono le considerazioni che si potevano trarre dal resoconto dellincontro avvenuto presso il Centro di formazione professionale Riccardo Bauer di Milano tra professionisti, insegnanti e studenti, per discutere circa le implicazioni della tecnologia informatica sul mondo della comunicazione e della formazione. Quello che ne scaturiva era la dissoluzione della tradizionale figura professionale del grafico, trasformato in un progettista di comunicazioni globali e trasversali rispetto alle tecniche, un regista chiamato ad organizzare i flussi ed i contenuti della comunicazione, individuandone le modalit e delegando la realizzazione a figure

115. Il corso, tuttavia, era ancora incluso nella Facolt di architettura del Politecnico. 116. Secondo incontro sul coordinamento universitario per larea delle discipline di disegno industriale; recensito da O. Grimaldi, Un incontro sul disegno industriale al Politecnico di Milano, in Notizie Aiap, n. 4-5, settembre 1996.

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tecnico operative con diverse caratteristiche di specializzazione117. Una definizione molto simile a quella che si dava del progettista nella Carta del progetto grafico118. Anche in questo caso ne risultava una moltitudine di figure professionalie quindi di percorsi formativi di riferimentoraccolte tutte sotto legida di una disciplina: in questo caso, la comunicazione visiva. Si tendeva ancora a considerare il problema dal punto di vista del riconoscimento sociale e culturale della disciplina e del ruolo del progettistacon un atteggiamento a tratti piuttosto corporativista: in questo sforzo si era puntato prioritariamente allinclusione in ambito accademico, anche tenendo insieme insegnamenti distinticome a Milano o allo Iuavsenza un progetto globale di pi ampio respiro e a lungo termine; magari un sistema integrato che dallistruzione di base potesse proseguire sino alleducazione universitaria oppure che includesse materie provenienti da aree del sapere pi distanti, in modo da interpretare la complessit degli scenari del periodo. Anche nella sfera della formazione dei progettisti, nel comparto della formazione artistica, qualcosa si stava muovendo negli anni novanta: esistevano diverse proposte di legge per il riordino della formazione artistica e, come gi ricordato, solo nel 1993 che viene ufficializzata lesistenza degli Isia. La proposta di legge n. 1111, presentata il 3 agosto 1994 dalla commissione parlamentare cultura e istruzione presieduta da Vittorio Sgarbi, proponeva la riforma delle accademie di belle arti, delle accademie di danza e di arte drammatica, degli istituti superiori per le industrie artistiche e dei conservatori di musica. Punto prioritario e centrale della proposta era il passaggio delle accademie, istituti superiori e conservatori dal Ministero della Pubblica istruzione a quello dellUniversit e della ricerca scientifica e tecnologica, sganciandoli definitivamente dal sistema secondario superiore distruzione. Lo stesso primo articolo che stabiliva questo trasferimento di competenza, includeva anche linglobamento degli Isia nelle accademie di belle arti. Tale operazione, bench logisticamente non impossibile119, era culturalmente piuttosto discutibile. Si tentava ancora una volta una riforma dellistruzione artistica grazie allapporto delle discipline della progettazione, centrali invece per
117. A. Soi, Un incontro informale sul tema della formazione per la comunicazione visiva, in Notizie Aiap, n. 4-5, settembre 1996. 118. Per approfondire si veda il paragrafo 1.2 del capitolo terzo. 119. Tre su quattro delle attuali IsiaUrbino, Firenze e Roma, esclusa Faenzaerano e sono situate in citt in cui presente anche laccademia di belle arti.

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quelle scuole che avevano ormai una tradizione pi che ventennale. Branzaglia sottolineava che allinterno delle Accademie esistono dagli anni settanta diversi insegnamenti, pur nelle diverse interpretazioni da parte dei docenti, attinenti al campo della progettazione visiva []. In questo senso linserimento dellIsia potrebbe diventare un rafforzamento nelle discipline legate allarea del design 120. Bastava a consolidare questa idea il fatto che molti grafici avessero frequentato le accademie italiane e che alcuni progettisti italiani vi avessero insegnato (ad esempio Bruno Munari, Silvio Coppola, Mario Cresci). Tuttavia, tale proposta di leggecome altre elaborate in quegli anninon fu approvata, essendo sopraggiunte nel frattempo, poco pi tardi, le indicazioni europee per le quali si avviava un profondo riordino complessivo dellistruzione superiore italiana, in cui tuttavia erano state messe in pratica molte delle indicazioni per lequiparazione, contenute nella proposta di legge. 4.5 Processo di Bologna, Spazio europeo dellistruzione superiore Nei giorni 18 e 19 giugno del 1999, trentuno ministri dellistruzione di ventinove paesi europei si incontravano a Bologna per sottoscrivere un documentonoto come Dichiarazione di Bolognacon il quale si impegnavano a portare a termine, nel giro di un decennio, un processo di riforma internazionale dei sistemi di istruzione superiore, il cosiddetto processo di Bologna, col fine di realizzare lo Spazio Europeo dellIstruzione Superiore (European Higher Education Area), ufficialmente sottoscritto durante al Conferenza interministeriale tenutasi tra Budapest e Vienna nel decennale del processo (marzo 2010). Lincontro di Bologna era stato preceduto da due incontri preparatori. Durante il primola Conferenza diplomatica di Lisbona, dell11 aprile 1997era stata approvata la Convenzione sul riconoscimento dei titoli di studio relativi allinsegnamento superiore nella regione Europa (anche convenzione di Lisbona), elaborata dal Consiglio dEuropa e dallUnesco. Venivano attivate delle modalit per il riconoscimento dei titoli di studio tra gli Stati che avevano sottoscritto la Convenzione. Tra i pi importanti: il riconoscimento dei titoli per laccesso alluniversit, il riconoscimento dei periodi di studio effettuati allestero, e il riconoscimento dei titoli accademici finali.
120. Carlo Branzaglia, Formazione. Verso una riforma delle Accademie di belle arti, in Notizie Aiap, n. 2, novembre 1994.

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Il secondo era stato lincontro dei ministri dellistruzione di Francia, Regno Unito, Germania e Italia121, avvenuto a Parigi nel 1998. Il risultato veniva esplicitato nella cosiddetta dichiarazione della Sorbona dal titolo Larmonizzazione dellarchitettura dei sistemi di istruzione superiore in Europa, siglata il 25 maggio 1998. La motivazione ispiratrice era la promozione di una Europa della conoscenza, in cui fossero consolidate le dimensioni intellettuali, culturali, sociali e tecniche del continente, individuando nelle universit il protagonista di questo processo. La dichiarazione, mettendo in evidenza i grandi cambiamenti nel campo dellistruzione, e della condizioni di lavoro, nasceva per promuovere la formazione e listruzione lungo tutto larco della vita e lo sviluppo di un quadro di insegnamento e apprendimento che rafforzasse la mobilit degli studenti e una stretta cooperazione tra i paesi. Per realizzare questi obiettivi i ministri proposero un sistema in due cicli universitari principalidi primo e secondo livelloequiparabili in ambito internazionale, incentivando lutilizzazione dei semestri e dei crediti122 per garantire agli studenti la possibilit di proseguire la propria formazione ovunque in Europa e incoraggiarli a trascorrere almeno un semestre in una universit fuori dal proprio paese. La Dichiarazione di Bologna dal titolo Lo spazio europeo dellistruzione superiore, ribadiva, quindi, e ampliava le affermazioni delle precedenti dichiarazioni (di Lisbona e della Sorbona). Veniva affermata la centralit delle dimensioni intellettuali, culturali, sociali, scientifiche e tecnologiche per la costruzione europea, riconoscendo lEuropa della conoscenza come insostituibile fattore di crescita sociale ed umana e come elemento indispensabile per consolidare ed arricchire la cittadinanza europea123. A partire dalle indicazioni della Dichiarazione di Bologna molti paesi avviavano un processo di riforma del proprio sistema di istruzione superiore. A fondamento dello Spazio europeo dellistruzione superiore doveva restare lindipendenza e lautonomia delle universit. per garantire il costate adeguamento dellistruzione superiore e della ricerca alle esigenze della societ.

121. Allincontro partecip lallora Ministro della pubblica istruzione Luigi Berlinguer. 122. Il sistema proposto fu quello dellEuropean Credit Transfer and Accumulation System (ECTS), sistema di crediti universitari sviluppato a partire dal 1989 nel Programma di mobilit europeo Erasmus, basato sul carico di lavoro e sui risultati di apprendimento. 123. Lo spazio europeo dellistruzione superiore, Dichiarazione congiunta dei Ministri europei dellistruzione superiore, intervenuti al Convegno di Bologna il 19 giugno 1999; consultato sul sito del Ministero (www.miur.it).

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Per la promozione internazionale dellistruzione superiore e la realizzazione dello Spazio europeo dellistruzione superiore, la Dichiarazione individuava una serie di misure concrete: ladozione di un sistema fondato su due cicli, di primo e secondo livello, con il necessario completamento del primo ciclo di durata triennale per avere accesso al secondo; pi un terzo ciclo sul modello del dottorato attivo in molti paesi; il consolidamento del sistema di crediti, acquisibili anche in contesi diversi, compresi quelli di formazione continua e permanente, come strumento per una pi ampia e diffusa mobilit studentesca; labbattimento degli ostacoli per favorire la libera circolazione degli studenti, dei docenti, dei ricercatori e del personale tecnico amministrativo; il riconoscimento dei periodi di studio, ricerca e tirocinio svolti in contesto europeo; la valutazione della qualit per definire criteri e metodologie comparabili. I ministri, infine, con la Dichiarazione, si impegnavano a portare a termine il processo entro il 2010 e fissavano un appuntamento biennale per valutare gli sviluppi del processo avviato e le nuove iniziative da intraprendere. 4.6 Riforma dellistruzione superiore in Italia In Italia la riforma che accoglie le indicazioni del Processo di Bologna la cosiddetta riforma Zecchino del 1999, che prende il nome dal Ministro delluniversit e della ricerca scientifica e tecnologica. A questa corrisponde sul piano dellistruzione scolastica un altro importante riordino conosciuto come riforma Berlinguer124, dal nome del Ministro della Pubblica istruzione, attuate sempre tra la fine degli anni novanta e i primi anni duemila. La riforma Zecchino rappresenta forse il pi importante riordino dellistruzione superiore italiana dalla legge del 1969. Con questo nome ci si riferisce in particolare al primo di una serie di decreti, il Decreto Ministeriale n. 509 del 3 novembre 1999, che sostanzialmente accoglie le indicazioni europee e le applica al sistema italiano. Innanzitutto lart. 3 d avvio alla famosa formula del 3+2: ovvero stabilisce che i titoli di primo e secondo livello rilasciati dalle universit italiane
124. Per un approfondimento si veda la quarta sezione del capitolo secondo.

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sono la laurea (L) e la laurea specialistica (LS). Inoltre le universit rilasciano diplomi di specializzazione (DS) e dottorati di ricerca (DR), previsti gi dal precedente assetto. Nello specifico il corso di laurea ha lobiettivo di assicurare allo studente unadeguata padronanza di metodi e contenuti scientifici generali, nonch lacquisizione di specifiche conoscenze professionali 125, mentre il corso di laurea specialistica ha lobiettivo di fornire allo studente una formazione di livello avanzato per lesercizio di attivit di elevata qualificazione in ambiti specifici126; infine il corso di specializzazione ha lobiettivo di fornire allo studente conoscenze e abilit per funzioni richieste nellesercizio di particolari attivit professionali127; i corsi di dottorato, invece, sono disciplinati da altre leggi. Oltre alle attivit128 elencate nellart. 6 della legge del 1990, le universit possono attivare, disciplinandoli nei regolamenti didattici di ateneo, corsi di perfezionamento scientifico e di alta formazione permanente e ricorrente, successivi al conseguimento della laurea o della laurea specialistica, alla conclusione dei quali sono rilasciati i master universitari di primo e di secondo livello129. Tutti i titoli possono comunque essere rilasciati dalle universit congiuntamente ad altri atenei. Con la nuova legge, per accedere ai corsi di laurea bisogna essere in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore; per essere ammessi ad un corso di laurea specialistica o a un diploma di specializzazione occorre essere in possesso della laurea; per frequentare un corso di dottorato di ricerca bisogna invece essere in possesso della laurea specialistica. Per le ammissioni ai vari corsi sono inoltre accettati titoli di studio corrispondenti conseguiti allestero e riconosciuti idonei (art. 6). Lart. 4 introduce, invece, unaltra importante innovazione: le classi di corsi di studio. Ovvero si tratta di raggruppamenti dei corsi di studio dello stesso livello che condividono medesimi obiettivi formativi, determinati da successivi decreti ministeriali130, e che assicurano lidentico valore legale di titoli conseguiti al termine di corsi di studio appartenenti alla stessa classe. Il sistema dei crediti invece introdotto dallart. 5, che fa corrispondere al credito formativo universitario (CFU) venticinque ore di lavoro per stu125. DM 509/99, art. 3, comma 4. 126. DM 509/99, art. 3, comma 5. 127. DM 509/99, art. 3, comma 6. 128. Si veda il paragrafo 4.3 di questo capitolo. 129. DM 509/99, art. 3, comma 8. 130. Il primo di questi decreti il Decreto Ministeriale del 4 agosto 2000.

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dente, di cui una frazione non inferiore alla met deve essere riservata allo studio personale o ad altre attivit formative di tipo individuale. I crediti si acquisiscono con il superamento dellesameo verificafinale, e in totale la quantit media di lavoro per anno quantificata in un numero di sessanta crediti. Il comma 7 specifica inoltre che le universit possono riconoscere come crediti formativi universitari, secondo criteri predeterminati, le conoscenze e abilit professionali certificate [], nonch altre conoscenze e abilit maturate in attivit formative di livello post-secondario alla cui progettazione e realizzazione luniversit abbia concorso131. Per conseguire la laurea di primo livello lo studente deve aver acquisito centottanta crediti, per conseguire invece la laurea specialistica sono necessari centoventi crediti (complessivamente un totale di trecento CFU tenendo conto di quelli precedentemente acquisiti); per conseguire il master universitario bisogna invece acquisire altri sessanta crediti (art. 7). Di conseguenza la durata normale dei corsi di laurea di tre anni, mentre quella dei corsi di laurea specialistica di due anni oltre la laurea (art. 8). Infine, lautonomia didattica degli atenei garantita, per legge, dai regolamenti didattici di ateneo e dai regolamenti didattici dei corsi di studio di cui si d disposizioni negli artt. 11 e 12. La sperimentazione della riforma parte, cos, nellanno accademico 200001 limitatamente ad alcuni corsi in alcune universit italiane, tra cui il Politecnico di Milano e lUniversit degli Studi di Padova, mentre a partire dallanno accademico successivo applicata in quasi tutte le universit italiane. Nel frattempo, dal 2001, i due ministeri della pubblica istruzione e delluniversit vengono accorpati nel Ministero dellIstruzione, Universit e Ricerca (MIUR). Con il decreto n. 270 del 22 ottobre 2004, a firma del ministro Moratti, vengono apportate modifiche al precedente decreto 509/99, consistenti nella soppressione della laurea specialistica, modifica in laurea magistrale, e nella ridefinizione delle classi delle lauree. Nellambito della formazione al design si assiste a una crescita notevole di corsi e facolt dedicati al design. Nel 2000 nasce la prima Facolt di Design italiana, presso il Politecnico di Milano. Nello stesso anno vengono attivati corsi di laurea di primo e secondo livello132 presso la Facolt di architettura
131. DM 509/99, art. 5, comma 7. 132. Corsi di primo livello in disegno industriale, in arredamento e architettura dinterni e in grafica e progettazione multimediale; corsi di secondo livello in disegno industriale e comunicazione visiva e in scenografia, allestimento e architettura dinterni.

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dellUniversit La Sapienza di Roma. Sempre dal 2000 anche lUniversit di Genova e il Politecnico di Torino attivano corsi di laurea in disegno industriale. Nel 2001 lo Iuav, non pi Istituto universitario, diventa Universit degli studi Iuav di Venezia e fonda tre facolt tra cui quella di Design e arti. Nel 2002 disegno industriale viene attivato anche presso la facolt di architettura dellUniversit di Palermo, e a Bolzano viene fondata la Facolt di Design e arti. Nel 2003 viene attivato il corso triennale in Disegno industriale al Politecnico di Bari e nel 2004 vengono attivati un corso di laurea in Disegno industriale e ambientale e un corso di laurea specialistica in Disegno industriale e comunicazione visiva presso lUniversit di Camerino. 4.7 Comparto alta formazione artistica e musicale Uninnovazione significativa nel riordino dellistruzione superiore del 1999 quella di aver abbracciato anche il settore della formazione artistica, attivando un profondo processo di riforma, oggi non ancora completamente concluso. Si sono applicate anche in questo caso le indicazioni del Processo di Bologna. La legge n. 508 del 21 dicembre 1999, definita dai successivi regolamenti, d ufficialmente avvio alla Riforma delle Accademie di belle arti, dellAccademia nazionale di danza, dellAccademia nazionale di arte drammatica, degli Istituti superiori per le industrie artistiche (Isia), dei Conservatori di musica e degli Istituti musicali pareggiati133. Con lart. 2 della legge le competenze del settore dellistruzione artistica, musicale e coreutica passano finalmente al Ministero delluniversit e della ricerca scientifica e tecnologica. Nello stesso articolo stabilito, inoltre, che le istituzioni oggetto della riforma rilasciano specifici diplomi accademici di primo e secondo livello, nonch di perfezionamento, di specializzazione e di formazione alla ricerca in campo artistico e musicale134. La equipollenza tra i titoli di studio e quelli universitari sono per rimandate allemanazione di decreto del Presidente del Consiglio. Lart. 3, infine, stabilisce la costituzione del Consiglio nazionale per lalta formazione artistica e musicale (CNAM)lequivalente del Consiglio universitario nazionalecon il compito di fornire pareri e formulare proposte su diverse questioni tra cui i regolamenti didattici, il reclutamento dei docenti, e la programmazione dellofferta formativa.
133. Titolo della legge 508/99, nonch finalit espresse dallart. 1. 134. Legge 508/99, art. 2, comma 5.

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Il primo regolamento in attuazione della legge il Decreto del Presidente della Repubblica del 28 febbraio 2003, n. 132, che stabilisce i criteri per ladozione di statuti e per lautonomia regolamentare e organizzativa. Le istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica, si dotano di statuti (art. 2) che disciplinano principalmente: listituzione, lorganizzazione, il funzionamento delle strutture amministrative, didattiche, di ricerca e di servizio; lo svolgimento dellattivit didattica e di ricerca, e della correlata attivit di produzione; le modalit e i criteri di valutazione dei risultati didattici e scientifici; le modalit e le procedure per le intese e le convenzioni finalizzate ad incentivare sinergie con altri enti e organismi pubblici e privati, anche stranieri; la rappresentanza degli studenti negli organi di governo. I regolamenti che le istituzioni elaborano, invece, sono di due tipi: un regolamento didattico che disciplina lordinamento dei corsi di formazione, i relativi obiettivi e larticolazione di tutte le attivit formative; e regolamenti vari che disciplinano le modalit di esercizio dellautonomia amministrativa, finanziaria e contabile (art. 3) . Vengono poi stabiliti, dallart. 4, una serie di organi e ruoli necessari al funzionamento delle istituzioni, che sono: il presidente, rappresentante legale dellistituzione, il quale convoca e presiede il consiglio di amministrazione, ed designato dal consiglio accademico su una terna di nomi proposti dal ministro (art. 5); il direttore, responsabile dellandamento didattico, scientifico ed artistico dellistituzione, eletto dai docenti dellistituzione tra alcuni docenti, anche di altre istituzioni, che abbiano particolari requisiti di professionalit (art. 6); il consiglio di amministrazione, composto da: presidente, direttore, un docente scelto dal consiglio accademico, uno studente scelto dalla consulta degli studenti, un esperto di amministrazione nominato dal ministro e pu essere integrato da un massimo di due altri componenti designati da quegli enti o fondazioni pubblici e privati che eventualmente

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contribuiscono al finanziamento dellistituzione (art. 7); il consiglio di amministrazione stabilisce gli obiettivi ed i programmi della gestione amministrativa e promuove le iniziative volte a potenziare le dotazioni finanziarie dellistituzione135; il consiglio accademico, composto da un numero dispari di componenti, fino ad un massimo di tredici, comprende il direttore, docenti dellistituzione eletti dal corpo docenti, due studenti scelti dalla consulta; esso determina lindirizzo e la programmazione delle attivit didattiche, scientifiche, artistiche e di ricerca, tenendo conto delle disponibilit di bilancio, delibera il regolamento didattico ed il regolamento degli studenti, sentita la consulta, ed esercita le competenze relative al reclutamento; il collegio del revisori; il nucleo di valutazione, col compito di valutare i risultati dellattivit didattica e scientifica e del funzionamento complessivo dellistituzione, redigendo una relazione annuale (art. 10); il collegio dei professori, composto dal direttore, che lo presiede, e da tutti i docenti in servizio presso listituzione, con funzione di supporto al consiglio accademico (art. 11); la consulta degli studenti, composta da un numero di studenti proporzionale al numero di iscritti (da un minimo di tre a un massimo di undici), che esprime pareri, indirizza richieste e formula proposte al consiglio accademico ed al consiglio di amministrazione con particolare riferimento allorganizzazione didattica e dei servizi per gli studenti (art. 12).

Infine, per la stesura dello statuto, del regolamento didattico e del regolamento di amministrazione, finanza e contabilit, possono essere costituiti appositi organismi composti da membri della stessa istituzione e da esperti esterni. Un altro importante regolamento contenuto nel Decreto del Presidente della Repubblica dell8 luglio 2005, n. 212, che definisce gli ordinamenti didattici delle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica. I titoli di studio rilasciati, definiti dallart. 3, sono: il diploma accademico di primo livello, il cui corso ha lobiettivo di assicurare unadeguata padronanza di metodi e tecniche artistiche, nonch lacquisizione di specifiche competenze disciplinari e professionali136;
135. DPR 132/2003, art. 7, comma 6. 136. DPR 212/2005, art. 3, comma 3.

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il diploma accademico di secondo livello, il cui corso ha lobiettivo di fornire allo studente una formazione di livello avanzato per la piena padronanza di metodi e tecniche artistiche e per lacquisizione di competenze professionali elevate137; il diploma accademico di specializzazione, il cui corso ha lobiettivo di fornire allo studente competenze professionali elevate in ambiti specifici138; il diploma accademico di formazione alla ricerca, equiparato al dottorato di ricerca universitario, il cui corso ha lobiettivo di fornire le competenze necessarie per la programmazione e la realizzazione di attivit di ricerca di alta qualificazione139; il diploma di perfezionamento o master, il cui corso risponde ad esigenze culturali di approfondimento in determinati settori di studio o ad esigenze di aggiornamento o di riqualificazione professionale e di educazione permanente140. Per essere ammessi al corso di diploma accademico di primo livello necessario un diploma di scuola secondaria superiore; per accedere invece al corso di diploma accademico di secondo livello o al corso di specializzazione bisogna essere in possesso di una laurea o diploma accademico di primo livello; per essere ammessi ad un corso di formazione alla ricerca occorre il diploma accademico di secondo livello o la laurea magistrale, mentre per il master o corso di perfezionamento, a seconda del livello, lIstituzione richiede i titoli di primo o secondo livello. Il numero di posti disponibili per i vari corsi sono programmati dallIstituzione in base al rapporto tra studenti e docenti e alla dotazione di strutture ed infrastrutture adeguate (art. 7). Le istituzioni possono inoltre stipulare convenzioni con soggetti pubblici o privati, al fine di svolgere attivit di produzione nel loro campo disciplinare, possono attivare attivit finalizzate alla formazione permanente e ricorrente e alleducazione degli adulti, limitatamente alle proprie risorse finanziarie, disciplinate col regolamento didattico (art. 4). Con lart. 6 viene attivato il sistema dei crediti formativi accademici (CFA), con le stesse caratteristiche di quello universitario, sia per quanto
137. DPR 212/2005, art. 3, comma 4. 138. DPR 212/2005, art. 3, comma 5. 139. DPR 212/2005, art. 3, comma 6. 140. DPR 212/2005, art. 3, comma 7.

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riguarda il valore del singolo credito sia per il numero di crediti necessari per il conseguimento dei titoli. Si specifica per che deve essere riservato, sullimpegno complessivo a cui il credito corrisponde, il trenta per cento alle lezioni teoriche, il cinquanta per cento alle attivit teorico-pratiche e il cento per cento alle attivit di laboratorio. Il nuovo ordinamento degli istituti di alta formazione artistica, musicale e coreutica ricalca, dunque, la struttura delle universit, rendendo in qualche modo equiparabili e compatibili i due sistemi. Tuttavia, soltanto di recente stata stabilita leffettiva equipollenza dei titoli accademici e universitari, definita dai commi 102-107 dellart. 1 della legge di stabilit per il 2013, approvata dal Presidente del Consiglio Mario Monti141. In particolare i diplomi accademici di primo livello sono diventati equivalenti alle lauree della classe L-3 in Discipline delle arti figurative, della musica, dello spettacolo e della moda; mentre i diplomi accademici di secondo livello equivalgono alle lauree magistrali nelle classi LM-12 in Design per i diplomi rilasciati dagli Istituti superiori per le industrie artistiche e dalle Accademie di belle arti (scuola di Progettazione artistica per limpresa), LM-45 in Musicologia e beni musicali per i diplomi rilasciati dai Conservatori di musica, dallAccademia nazionale di danza e dagli Istituti musicali pareggiati, LM-65 in Scienze dello spettacolo e produzione multimediale per i diplomi rilasciati dallAccademia nazionale di arte drammatica e dalle Accademie di belle arti (scuole di Scenografia e di Nuove tecnologie dellarte), LM-89 in Storia dellarte per i diplomi rilasciati dalle Accademie di belle arti (restanti scuole).

5 Panorama attuale delleducazione al design


I temi discussi nelle varie occasioni di dibattito, dal secondo dopoguerra in poi, e i problemi, per i quali si suggerivano di volta in volta non sempre nuove soluzioni, sono vivi ancora oggi nel panorama piuttosto selvaggio e incoerente delle scuole di progettazione. Basta guardare alla situazione attuale per rivedere ancora aperte alcune questioni: la comprensione del design nellistruzione artistica, la frammentazione in indirizzi specialistici, il rapporto di dipendenza del design dallarchitettura, o della grafica dal disegno industriale.
141. Legge del 24 dicembre 2012, n. 228.

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Dopo una fase di espansione che ha caratterizzato gli anni duemila, si assiste attualmente a una contrazione dellofferta formativa istituzionale in design: molti indirizzi sono stati soppressitrasformati in corsi a esaurimentoe altri sono stati ristrutturati operando accorpamenti secondo le vigenti disposizioni di legge142. Di seguito si presenta un elenco dei corsi dedicati alla progettazione attivi nelle universit italiane, presso le accademie di belle arti e gli Isia. Si ritenuto di escludere le scuole private, dato lelevato numero di queste e la difficolt nellindividuare criteri che autorizzassero linclusione in questo elenco di alcune rispetto ad altre. 5.1 Corsi universitari Lelenco che segue compilato in base alle classi delle lauree definite dal decreto 270/2004. I settori scientifico disciplinari caratterizzanti per i corsi di disegno industriale sono ICAR/13 (disegno industriale) ICAR/17 (disegno), significativamente inclusi nel settore di Ingegneria civile e Architettura (ICAR). Politecnico di Bariwww.poliba.it Facolt di Architettura Corso di laurea in disegno industriale Libera Universit di Bolzanowww.unibz.it Facolt di Design e arti Corso di laurea in design e arti Universit degli studi di Bresciawww.unibs.it Facolt di Ingegneria Corso di laurea in Disegno industriale (disattivato) Universit di Camerinowww.unicam.it Facolt di Architettura Corso di laurea in disegno industriale e ambientale Corso di laurea magistrale in design Universit degli studi di Ferrarawww.unife.it
142. Si veda il paragrafo 2.1 del capitolo quarto.

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interfacolt: Facolt di Architettura e di Ingegneria Corso di laurea in Design del prodotto industriale Universit degli studi di Firenzewww.unifi.it Facolt di Architettura Corso di laurea in disegno industrialesede di Calenzano interfacolt: Facolt di Architettura e di Lettere e filosofia Corso di laurea in cultura e progettazione della modasede di Scandicci Universit degli studi di Genovawww.unige.it Facolt di Architettura Corso di laurea in disegno industriale Corso di laurea magistrale in design del prodotto e dellevento Corso di laurea magistrale in design navale e nautico collaborazione: Facolt di Architettura, di Ingegneria e Politecnico di Milano Politecnico di Milanowww.polimi.it Facolt del Design Corso di laurea in design degli interni Corso di laurea in design della comunicazione Corso di laurea in design della moda Corso di laurea in design del prodotto industrialesede di Como Corso di laurea magistrale in design degli interni (Interior Design) Corso di laurea magistrale in product service systems design Corso di laurea magistrale in design della comunicazione (Communication Design) Corso di laurea magistrale in design per il sistema moda (Design for the Fashion System) Corso di laurea magistrale in design & engineering Corso di laurea magistrale in design del prodotto per linnovazione (Product Design for Innovation) Seconda Universit degli studi di Napoliwww.unina2.it Facolt di Architettura Corso di laurea in design e comunicazione Corso di laurea in design per la moda Corso di laurea magistrale in design per linnovazione

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Universit degli studi di Palermowww.unipa.it Facolt di Architettura Corso di laurea in disegno industriale Universit degli studi di Roma La Sapienzawww.uniroma1.it Facolt di Architettura Corso di laurea in disegno industriale Corso di laurea magistrale in design del prodotto interfacolt: Prima Facolt di Architettura e di Scienze della comunicazione Corso di laurea in design, comunicazione visiva e multimediale Politecnico di Torinowww.polito.it I Facolt di Architettura Corso di laurea in design e comunicazione visiva Corso di laurea in progetto grafico e virtuale Corso di laurea magistrale in ecodesign Universit Iuav di Veneziawww.iuav.it Facolt di Design e arti Corso di laurea in disegno industrialesede di Treviso Corso di laurea magistrale in design design del prodotto (disegno industriale del prodotto) design della comunicazione (comunicazioni visive e multimediali) design della moda (design e teorie della moda) Corso di laurea magistrale in designsede di San Marino 5.2 Comparto AFAM Accademia di belle arti di Bolognawww.ababo.it Dipartimento di Progettazione e arti applicate Scuola di Progettazione artistica per limpresa Corso di diploma accademico di 1 livello in Design grafico Corso di diploma accademico di 1 livello in Design del prodotto Corso di diploma accademico di 1 livello in Fashion design Corso di diploma accademico di 2 livello in Illustrazione per leditoria Corso di diploma accademico di 2 livello in Fashion design Accademia di belle arti di Cataniawww.accademiadicatania.it Dipartimento di Arti visive

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Corso di diploma accademico di 1 livello in Graphic Design (percorso in Comunicazione dimpresa/percorso in Editoria) Corso di diploma accademico di 2 livello in Graphic Design (percorso in Comunicazione dimpresa/percorso in Editoria) Corso di diploma accademico di 2 livello in Progettazione artistica per limpresa Accademia di belle arti di Frosinonewww.accademiabellearti.fr.it Dipartimento di Progettazione e arti applicate Corso di diploma accademico di 1 livello in Graphic Design Corso di diploma accademico di 1 livello in Fashion Design Corso di diploma accademico di 2 livello in Graphic Design Corso di diploma accademico di 2 livello in Fashion Design Accademia di belle arti di Maceratawww.abamc.it Dipartimento di Progettazione e arti applicate Scuola di Progettazione artistica per limpresa Corso di diploma accademico di 1 livello in Design (indirizzi Grafica/Fashion/Light) Dipartimento di Progettazione e arti applicate Scuola di Progettazione artistica per limpresa Corso di diploma accademico di 2 livello in Graphic Design Corso di diploma accademico di 2 livello in Fashion Design Corso di diploma accademico di 2 livello in Imaging Design (indirizzi Light design/Fotografia) Accademia di belle arti di Milano Brerawww.accademiadibrera.milano.it Dipartimento di Progettazione e arti applicate Scuola di Progettazione artistica per limpresa Corso di diploma accademico di 1 livello in Progettazione artistica per limpresa Corso di diploma accademico di 2 livello in Product design Corso di diploma accademico di 2 livello in Progettazione artistica per limpresa (indirizzo Fashion design) Accademia di belle arti di Palermowww.accademiadipalermo.it Dipartimento di Progettazione e arti applicate Scuola di Progettazione artistica per limpresa

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Corso di diploma accademico di 1 livello in Design grafico Corso di diploma accademico di 1 livello in Progettazione della moda Dipartimento di Progettazione e arti applicate Scuola di Nuove tecnologie per larte Corso di diploma accademico di 2 livello in Graphic designComunicazione dimpresa Dipartimento di Progettazione e arti applicate Scuola di Progettazione artistica per limpresa Corso di diploma accademico di 2 livello in Progettazione della moda Accademia di belle arti di Romawww.accademiabelleartiroma.it Dipartimento di Progettazione e arti applicate Scuola di Progettazione artistica per limpresa Corso di diploma accademico di 1 livello in Grafica editoriale Corso di diploma accademico di 1 livello in Culture e tecnologie della moda Dipartimento di Progettazione e arti applicate Scuola di Progettazione artistica per limpresa Corso di diploma accademico di 2 livello in Grafica e fotografia Corso di diploma accademico di 1 livello in Culture e tecnologie della moda (indirizzo Fashion design) Accademia di belle arti di Torinowww.accademialbertina.torino.it Dipartimento di Progettazione e arti applicate Scuola di Progettazione artistica per limpresa Corso di diploma accademico di 1 livello in Progettazione artistica per limpresa Dipartimento di Progettazione e arti applicate Scuola di Progettazione artistica per limpresa Corso di diploma accademico di 2 livello in Progettazione artistica per limpresa Accademia di belle arti di Urbinowww.accademiadiurbino.it Corso di diploma accademico di 2 livello in Visual e Motion Design Accademia di belle arti di Veneziawww.accademiavenezia.it Dipartimento di Progettazione e arti applicate Scuola di Nuove tecnologie dellarte

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Corso di diploma accademico di 1 livello in Progettazione grafica e comunicazione visiva Dipartimento di Progettazione e arti applicate Scuola di Nuove tecnologie per larte Corso di diploma accademico di 2 livello in Arti visive e discipline dello spettacolo (indirizzo Progettazione grafica e comunicazione visiva) Isia Faenzawww.isiafaenza.it Corso di diploma accademico di 1 livello in Disegno industriale e progettazione con materiali ceramici e avanzati Corso di diploma accademico di 2 livello in Design del prodotto e progettazione con materiali avanzati Corso di diploma accademico di 2 livello in Design della comunicazione Isia Design Firenzewww.isiadesign.fi.it Corso di diploma accademico di 1 livello in Design Corso di diploma accademico di 2 livello in Product design Corso di diploma accademico di 2 livello in Communication design Isia Roma Designwww.isiaroma.it Corso di diploma accademico di 1 livello in Disegno industriale Corso di diploma accademico di 2 livello in Design dei sistemi Isia Urbinowww.isiaurbino.net Corso di diploma accademico di 1 livello in Progettazione grafica e comunicazione visiva Corso di diploma accademico di 2 livello in Comunicazione, design ed editoria Corso di diploma accademico di 2 livello in Grafica delle immagini, (indirizzi Fotografia dei beni culturali/Illustrazione)

Capitolo secondo Sullinsegnamento: temi generali ed esigenze contemporanee

sullinsegnamento: temi generali ed esigenze contemporanee

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1 Premessa al capitolo
Dopo aver seguito levoluzione storica delle scuole di progettazione in Italia, per ipotizzare un loro sviluppo che tenda a risolverne i problemi interni, occorre raccogliere e confrontare una pluralit di punti di vista. Tuttavia, se si resta soltanto allinterno del campo della progettazione si insiste su una visione parziale che restituisce un quadro necessariamente incompleto. Pertanto questo capitolo ha lo scopo di porsi allesterno dellarea relativamente circoscritta del design e fornire un contesto, un orizzonte pi ampio. Le definizioni e le opinioni raccolte in questo capitolo, al di l di quelle di carattere generale, sono per lo pi prese a prestito dalla sfera dellistruzione primaria e secondariaquel lungo periodo a cui, almeno nelluso comune, si riferisce ancora la parola scuolaprincipalmente per due ragioni. La prima che molte delle considerazioni elaborate per quel particolare periodo educativo sembrano valide anche per i livelli distruzione superioreuniversitario e postuniversitarionon diversamente da come, viceversa, i progressi e le riflessioni prodotte nellambito della formazione continua e permanente possono influenzare la didattica scolastica nel suo complesso. La seconda che a un livello avanzato di dibattito e riflessione teorica sulla scuola non corrisponde unaltrettanto strutturata consapevolezza sulla pedagogia e sulla didattica universitarie, in cui, al momento, la listruzione alla progettazione inserita. I temi scelti sono chiaramente quelli che possono trovare riscontro anche nellarea della progettazione, le cui peculiarit saranno trattate nel prossimo capitolo. Questo quadro generale, che per forza di cose non potr che risultare limitato e poco approfondito, va pertanto visto come base per proseguire lanalisi delleducazione nel campo del design, sulla scorta degli spunti di riflessione affiorati.

2 Definizioni preliminari
La terminologia relativa alla pedagogia e alla strutturazione didattica subisce continuamente trasformazioni semantiche, a causa delluso che di essa si fa

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sia nel linguaggio comune sia negli ambienti dellistruzione, tra i docenti e gli esperti. La letteratura di settore, peraltro, non aiuta a portare chiarezza, considerato che molti autori propongono personali varianti di alcuni concetticoniando, in alcuni casi, anche nuove espressionial fine di rendere solide le proprie teorie. Diventa necessario quindi fare alcune distinzioni terminologiche che consentano di avere pi chiaro in mente a cosa ci si riferisce quando si fa uso di alcune parole ricorrenti, diventate nellaccezione quotidiana sinonimi, a volte percepite come perfettamente equivalenti, spesso anche volontariamente confuse a seconda dei contesti, anche esplicitando i presupposti teorici e ideologici che i vari termini-concetti sottendono. 2.1 Istruzione, formazione, educazione Tullio De Mauro, in unintervista per il quotidiano lUnit1, prova a definire, pur ammettendo il limite di non essere un pedagogista, i termini di istruzione, formazione ed educazione, mettendoli in relazione al loro inserimento nel contesto attuale della scuola e accennando a ci che sarebbe da preferire. Egli definisce listruzione come un tipo di apprendimento formale2 di tecniche pi o meno codificate; la formazione, invece, come un insegnamento finalizzato allo svolgimento di unattivit ulteriore rispetto al momento in cui essa avviene; e infine leducazione come quellinsieme di cose importantiquali progettare o collaborareche si apprendono indirettamente, sia in contesti formali che informali, ovvero che vengono comunicate e apprese nella pratica dellinsegnamento, al di l delloggetto dellinsegnamento. Questultima la missione pi delicata e importante per linsegnante, ma anche per questo il terreno pi difficile da gestire, il pi sfuggente. De Mauro sottolinea, inoltre, quanto nella scuola contemporanea ci si preoccupi di formalizzare ci che fa parte di contesti di apprendimento in1. B. Sebaste, Imparare con lentezza, intervista a Tullio De Mauro, su LUnit, 4 ottobre 2004. 2. Con laggettivo formale ci si riferisce alleducazione che avviene allinterno di istituzioni dedicate allistruzione e alla formazione, in tempi pi o meno definiti, e che rilascia una attestazione o una qualifica finale; con lespressione non-formale ci si riferisce allattivit educativa organizzata al di fuori del sistema formale (ad esempio allinterno di associazioni o sul luogo di lavoro), rivolta a categorie definite e che non rilascia titoli qualificanti; con laggettivo informale ci si riferisce al processo educativo non legato a tempi o luoghi specifici, nel quale lindividuo acquisisce, anche in modo inconsapevole o non intenzionale, conoscenze, abilit, valori dallesperienza quotidiana e dalle influenze circostanti.

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formale3, di quanto cio si spinga listruzionedi conseguenza influenzando leducazione generale dei ragazzisul versante della formazione; e citando lart. 3 della Costituzione richiama le scuole e gli insegnanti allesigenza di educare i giovani, prioritariamente, ad essere cittadini. il caso, per, di soffermarsi ancora su due termini-concetti in particolare. Provando ad estendere e forzare le definizioni appena citate si potrebbe notare che formazioneparola utilizzata diffusamente ormai in tutti i settori culturali, anche allinterno della scuolaconserva una stretta connessione con lidea del corso professionale. Ci nonostante, a seconda dellinterpretazione etimologica e della declinazione semantica, il termine suggerirebbe anche il concetto di costruzione: un percorso educativo dinamico, non apriori, fisso o pre-stabilito, ma sottoposto anche a cambiamenti e ritmi imprevedibili, e per il quale necessario lintervento attivo di chi impara, che condivide con linsegnante le responsabilit dellapprendimento. Resta in ogni caso difficile da far morire il rapporto con lazione del dar forma4, la quale rischia di orientare la didattica non alleducazione di personalit autonome, ma alla formazione di specifiche competenze necessarie allingresso nel mondo del lavoro. Una visione della scuolae dellistruzione in generaleutilitaristica, considerando soprattutto il fatto che il termine formazione quello pi usato in ambito universitario e nel campo delleducazione degli adulti, appunto coloro che sono pi vicini alla professione: il piano culturale, da questo punto di vista, sembra sempre pi trascurato e trascurabile. Nella stessa intervista De Mauro riporta lepisodio di una delegazione di ricercatori di matematica a cui il Ministro dellIstruzione ha chiesto: Ma in fondo, che cosa produce un istituto di alta matematica?5. Letimologia stessa di educazione6, invece, carica di unimportante responsabilit leducatore il cui compitosempre stando alletimologia del terminedovrebbe essere quello di aiutare il giovane a esprimere autonomamente la propria intelligenza e a coltivare le proprie attitudini, contemporaneamente allontanando quelle pi dannose. Leducatore ha dunque una
3. Nellintervista De Mauro fa lesempio dellintroduzione delleducazione stradale o sessuale tra gli insegnamenti scolastici. 4. il primo significato del verbo formare, che facilmente conduce allidea di manipolazione. 5.Sebaste, art.cit. 6. Il verbo educare, da cui educazione, deriva dal latino ex-ducere, che siginifica propriamente: portare fuori, condurre fuori.

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fondamentale funzione di guida, anche se questo spingerebbe a pensare che ogni falla nelleducando possa essere grossolanamente ricondotta alla cattiva conduzione del primo. In definitiva, leducazione si caratterizza come un processo, pi lungo, ampio e complessivo dellistruzione o della formazione, e comprende una serie di aspetti riferiti alla persona in generale, non solo alla quantit di nozioni o abilit che egli in grado di apprendere, ma anche alla sua capacit di ragionamento, di comprensione del mondo e di relazione con gli altri. Edgar Morin, a sua volta, propone una personale e schematica definizione dei tre termini di educazione, formazione e insegnamento, coniando anche lespressione di insegnamento educativo7. Egli considera leducazione come parola forte sotto la quale vengono raccolti tutti i mezzi per assicurare la formazione e lo sviluppo dellessere umano nella sua completezza. Rivela le connotazioni di lavorazione e conformazione implicite nella formazione, e che indicano come da questa prospettiva venga trascurata lautentica missione della didattica: quella di incoraggiare lauto-didattica, favorendo lo sviluppo dellautonomia della persona. Linsegnamento, infine, definitocon riferimento alla metafora dellimbuto e al concetto di travasocome azione e arte del trasmettere conoscenze allallievo che sia disposto a comprenderle e assimilarle. In tal senso egli assume il ruolo decisamente pi passivo di ricevente, al di l di quanto sia sensibilie allapprendimento. Morin, allora, a questo tipo dinsegnamento restrittivo ed esclusivamente cognitivo ne sostituisce un altro che chiama insegnamento educativo, il quale pu essere descritto come la missione di trasmettere non un puro corpus di conoscenze, ma una cultura che permetta di comprendere la nostra condizione e di aiutarci a vivere, ovvero sviluppare una maniera di pensare in modo aperto e libero8. Con queste parole egli si riferisce alle sue idee pi generali di riforma dellinsegnamento e del pensiero, affrontate pi avanti. 2.2 Scuola, studio Nonostante i due termini siano generalmente pi chiari e distinti, la loro ricostruzione etimologicasuggerita da unintervista a Carmelo Bene9ri7. E. Morin, La testa ben fatta. Riforma dellinsegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000. 8. Ibidem. 9. Intervento di C. Bene nel programma televisivo Il laureato, viaggio ai confini delle facolt,

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sulta interessante perch rintraccia in essi le due azioni distinte di insegnare e apprendere, e pu aiutare a riflettere sulla giusta collocazione di questi due aspetti allinterno del processo educativo. Il verbo studiare, da cui studio e studente, deriva dal latino studre che si pu tradurre con desiderare10. Scuola equivale invece a congrega, confraternita, il luogo del riposo, in cui ci si va a rilassare (e non si studia); deriva dal greco schol, che si traduce anche come ozio, agio, palestra, da cui il verbo scholazo11. Ma la parola greca indica anche riposo da fatica corporea, il quale d opportunit di ricreazione mentale o di studio12. Quindi lo studente colui che desidera sapere e la scuola si identifica meglio come luogo nel quale si insegna, per metonimia con il corpo insegnanti. Pertanto, come provocatoriamente Bene fa notare, si potrebbe dire che lo studio (il desiderare) non ha nulla a che vedere con la scuola. Linsegnamento e lapprendimento diventano cos, secondo questa analisi, due movimenti separati che avverrebbero in tempi e luoghi diversi. Opinione ancora valida se si assume la consapevolezza che attualmente la scuola sempre meno il luogo dove si apprende e sempre pi il luogo capace di dare significato a quanto si appreso altrove. Il giudizio di Bene si indirizza soprattutto alle universit13 affermando che non si pu andare l dove si insegna per apprendere. Questo trova riscontro oggi, a seguito delle riforme14 che hanno radicalmente ristrutturato limpianto universitario, nelle affini riflessioni di Carlo Galli15:
LUniversit non pi lunico centro di elaborazione della cultura scientifica (in senso lato), e, soprattutto, questa solo un fattore fra i tanti delle dinamiche sociali; non ne n il motore, n la legittimazione; e non neppure il luogo in cui la realt pratica viene conosciuta e portata ad autocoscienza. Di ci non si sente, semplicemente, il bisogno; forse perch la complessit della nostra esistenza associata tale che non si pu nemmeno pensare di comprenderla in ununica istituzioneper quanto artico-

condotto da Piero Chiambretti con Enzo Jannacci, Raitre, seconda edizione 1995-96. 10. Propriamente: applicarsi, aspirare, tendere a qualcosa, cercare. 11.Si traduce come: riposarsi, avere tempo di occuparsi di qualcosa per divertimento. 12. Definizione di scuola tratta da Ottorino Pianigiani, Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana, digitalizzazione disponibile sul sito internet www.etimo.it. 13. Egli si riferisce, in particolare, alle facolt umanistiche e fa eccezione, invece, per altre quali ingegneria o medicina. 14. Si fa riferimento sia alla riforma Zecchino-Berlinguer, di cui si gi parlato nel paragrafo 4.6 del capitolo precedente, sia alla riforma Gelmini, affrontata pi avanti, nel capitolo quarto. 15. C. Galli, Noi travet nelluniversit svuotata, su La Repubblica, 20 luglio 2010.

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latacome lUniversit. A cui si affiancano, soppiantandola, televisioni e giornali e le altre agenzie del comunicare, alle quali si affida la formazioneinevitabilmente labile e mutevoledellidea che una societ ha di s, nel bene e nel male. AllUniversit, immersa in questo contesto, le riforme recenti hanno chiesto molto meno di quanto pretendesse let delle borghesie nazionali: di essere non un tempio del sapere (che, certo, era spesso stato ridotto a un bordello) ma un servizio sociale di trasmissione di relativamente poche competenze a giovani che scuole sempre meno selettive hanno reso sempre meno colti e meno adatti allo studio (secondo laccezione tradizionale di cultura e di studio, sintende) [].

In altre parole sia la scuola che luniversit italiane oggi sembrano aver perso ogni prestigio sul piano sociale e riconoscimento su quello culturale. Si pu ammettere il fallimento del sistema di istruzione complessivo per come stato strutturato e adattato ai cambiementi del contesto. Forse non rimane che tentare di condurre lo studio in strutture comunitarie di scambio e collaborazione, ovvero riformulare profondamente lidea di scuola e universitin generale dellistruzionein modo che esse riescano a consentire, agevolare e stimolare il desiderio di conoscenza, la produzione di sapere e la ricerca, tenendo a mente la missione di miglioramento della condizione umana. Non da escludere che qualcosa gi accada, oggi, in questa direzione. Manca senza dubbio la consapevolezza a livello politico e di gestione delle risorse: senza investimenti in progetti e in formazione le ipotesi di sviluppo del sistema dellistruzione rimangono tali. Sforzandosi, per, di comprendere la situazione attuale si potr considerare meglio quali siano le proposte valide per rivitalizzare il ruolo stesso delleducazione formale lungo lesistenza dellindividuo.

3 Complessit contemporanea, attualit della scuola


La perdita di credibilit del sistema distruzione il risultato di un fenomeno affine e pi generale: lo scollamento dalla realt delle istituzioni preposte alleducazione, nucleo critico che ha ispirato questa tesi. La societ e le sue esigenze si sono evolute molto pi rapidamente della macchina culturale, che non riuscita ad adattarsi simultaneamente ai rapidi cambiamenti degli scenari contemporanei. Lo scarto che si verifica tra la progettazione della didattica e lapplicazione in ambito scolastico e universitario conduce alla rapida obsolescenza del sistema, che perdendo di attualit non viene percepito pi come utile o vantaggioso. una questione di metodi e approcci. La conoscenza non smette di per s di essere utile o

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interessante, ma cambia la percezione che si ha di essa in base al valore che si attribuisce alle istituzioni che tradizionalmente sono deputate a depositarla e svilupparla. Si dovrebbe, pertanto, tendere a una struttura in grado di riconoscere le trasformazioni della societ, cosciente del contesto effettivo e della sua rapidit di mutamento, e capace di reagire di conseguenza. 3.1 Edgar Morin, il pensiero complesso I passaggi che hanno condotto alla perdita di credibilit del sistema di istruzione sono ben descritti nel pensiero di Morin, il quale invoca con toni profetici e affascinanti una riforma del pensiero parallela a quella dellistruzione, nonostante permanga una impossibilit logica che produce un doppio blocco: per riformare linsegnamento bisogna riformare le menti, ma per riformare le menti bisogna riformare linsegnamento16. Vale la pena approfondire. Morin sostiene che nel corso dei secoli, in particolare durante il Novecento, si sia creato un divario incolmabile tra le discipline che hanno perso, cos, qualsiasi capacit di comunicare tra loro e, di conseguenza, di comprendere la realt, i fenomeni e le dinamiche del mondo e delluomo per loro natura complessi. Prima di tutto egli distingue la razionalit dalla razionalizzazione17: la prima, vista come un dialogo incessante tra la nostra menteche tende a creare strutture logichee il mondo, non pretende di esaurire in un sistema ordinato la complessit del reale; la seconda invece assomiglia a un delirio patologico che pretende di racchiudere e spiegare la realt in un sistema lineare e coerente: tutto ci che non rientra in quel sistema viene omesso, scartato, non visto. necessario, pertanto, sviluppare una razionalit autocritica in grado di dialogare col mondo e comprenderne la complessit oltre che gli aspetti di irrazionalit. Tuttavia la complessit, concetto cardine nel pensiero di Morin, non sostituisce o elimina la semplicit, ma la ricomprende in una relazione di antagonismo e complementariet, e lo stesso sforzo di spiegarla in termini semplici comporterebbe ancora una volta riduzioni e mutilazioni.

16.Morin, La testa ben fatta, cit. 17. E. Morin, Introduzione al pensiero complesso, Sperling & Kupfer Editori, Milano 1993.

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Il filosofo francese sottolinea che il pensiero complesso non aspira alla completezza, ma alla conoscenza multidimensionale. Ovvero a comprendere la correlazione tra i fenomeni, pur ammettendo limpossibilit di una conoscenza totale: la complessit si fonda infatti sullequilibrio tra causalit, ordine, disordine, organizzazione, sulla convivenza delle contraddizioni e la complementariet delle contrapposizioni. Alla visione armonica, ordinata del reale se ne sostituisce una che lega insieme ordine e disordine. Lorganizzazione stessa del sapere, delle nostre conoscenze, va rivista alla luce di queste considerazioni: la razionalizzazione ha condotto a considerare i campi del sapere come separati, e il pi delle volte non comunicanti. Si spinti a pensare che le categorie create dalluniversit corrispondano effettivamente allorganizzazione del reale, che siano anzi realt indipendenti.
La nostra attuale Universit forma in tutto il mondo una proporzione troppo grande di specialisti di discipline predeterminate, dunque artificialmente circoscritte, mentre una gran parte delle attivit sociali, come lo sviluppo della scienza, richiede uomini capaci di un angolo visuale molto pi largo e nello stesso tempo di una messa a fuoco in profondit dei problemi, e richiede nuovi progressi che superino i confini storici delle discipline.18

Lorigine del paradigma di semplificazionefondato sui principi di disgiunzione, riduzione e astrazione da rintracciare nella separazione che Cartesio19 fa tra res cogitans e res extensa: sono vere solo le idee chiare e distinte, il pensiero disgiuntivo stesso20. Questo processo si aggravato nel corso del XX secolo, e le conseguenze pi dannose risiedono nelliperspecializzazione, nella tendenza a isolare gli oggetti dallambiente, con conseguente incapacit di concepire il legame tra osservatore e cosa osservata, la disintegrazione degli esseri in unit quantificabili e misurabili e lambizione a scoprire lordine perfetto dietro la complessit. La mitologia che ha animato, ad esempio, i progressi della fisica quella che le assegna la missione di svelare la semplicit nascosta dietro lapparente molteplicit e disordine dei
18. Andr Lichnerowicz (matematico francese di origine polacca, 1915-1998), citato in epigrafe da Morin, La testa ben fatta, cit. 19. Ovviamente la formulazione paradigmatica a cui giunge Cartesio, il prodotto di uno sviluppo culturale, storico, a lui precedente, di cui il paradigma rappresenta la legittimazione e la sistemazione ultima; cos anche il modello di complessit individuato da Morin non nasce con lui, ma verr dallinsieme di concezioni, prospettive, scoperte, riflessioni che si combineranno e aggiungeranno. 20.Morin, Introduzione al pensiero complesso, cit.

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fenomeni naturali. Ma proprio nella fisica si manifestata la complessit sia su scala micro che macro fisica21. La semplicit sembra essere, dunque, solo un momento, un passaggio da un estremo allaltro. Si scopre che il cosmo non una macchina perfetta, ma un processo in continua disintegrazione e organizzazione: ordine e disordine, da sempre considerate componenti antagoniste, cooperano allorganizzazione delluniverso. Questo un tipico caso di idea complessa e in questa rete di idee la mente umana sente il bisogno di mettere ordine. Le operazioni che permettono lintelligibilit devono riuscire, per, a non offuscare la correlazione complessa dei fenomeni. Il paradigma di semplificazione ha tuttavia portatocome pi volte ribadisce Morina un consistente avanzamento delle conoscenze scientifiche e riflessioni filosofiche con una crescita esponenziale di scoperte e ricerche: la fase di analisi dei problemi complessi, che permette di approfondirne capillarmente le diverse componenti22. Adesso si prevede una nuova fase in cui le informazioni parziali vanno ricomposte, guidate dalla consapevolezza della complessit, per accedere alla comprensione del reale. Il paradigma di distinzione-congiunzione proposto da Morin, che consente di distinguere senza disgiungere, associare senza identificare, dovrebbe diventare il modo in cui la mente umana considera il mondo, non il principio rivelatore: la complessit, infatti, contempla la presenza del caso, dellerrore e dichiara lineliminabilit di zone inaccessibili o inspiegabili nei fenomeni del reale. 3.2 Sistemi aperti e organizzazione Sul pensiero di Morin grande influenza ha esercitato la teoria dei sistemi23, elaborata dal biologo austriaco Ludwig von Bertalanffy nel corso degli anni Cinquanta, la quale ha il merito di: aver posto al centro della teoria non delle unit discrete elementari ma una totalit che non la semplice somma delle parti costitutive;
21. Si vedano ad esempio gli studi sul comportamento delle radiazioni e della materia o le ipotesi sulla formazione delluniverso. 22. Morin descrive la nostra visione delle cose come governata da principi di separazione (distinzione/disgiunzione), unione (identificazione/associazione), gerarchizzazione e centralizzazione. 23. Descritta in Morin, Introduzione al pensiero complesso, cit.

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aver considerato la nozione stessa di sistema non come reale o formale, ma ambigua; aver previsto una relazione interdisciplinare tra le scienze; aver proposto la nozione di sistema aperto, la cui organizzazione, autonomia e la stessa esistenza sono garantite da unenorme quantit di scambi con lesterno (flussi generati da squilibri); il paradosso che le strutture rimangono inalterate nonostante i propri costituenti siano continuamente rinnovati. Lintelligibilit del sistema, pertanto, non deve essere ricercata soltanto allinterno del sistema stesso, ma anche nella relazione con lambiente circostante; non un rapporto di semplice dipendenza, ma costitutivo del sistema. Lambiente, rispetto al sistema, resta allo stesso tempo intimo ed estraneo, ne fa parte pur restandone esterno. Questultima nozione quella che ritengo di maggiore interesse e ricca di spunti. Il concepire la realt come strutturata in sistemi chiusi ha favorito una visione del mondo classificatoria, analitica, riduzionista, ha portato a cercare solo rapporti di causalit lineare, minando la comunicazione fra i saperi. La considerazione dellapertura dei sistemi, invece, spinge a intuire quanto sia indispensabile per il loro stesso funzionamento lapporto di componenti esterne al sistema, e quindi enfatizza i concetti di scambio e collaborazione. Questa interpretazione aiuta a spiegare come le discipline si siano sempre pi reciprocamente allontanate e rende evidente la necessit di una connessione pi forte tra i saperi, spingendo alla risoluzione di problemi pi ampi. Provando ora a immaginare la scuola e luniversit come sistemi specificamente aperti, posto che abbiano tutte le caratteristiche per essere considerati tali, o addirittura come sistemi viventi che tendono allauto-organizzazionepoich gli elementi che ne regolano lesistenza e il funzionamento sono gli stessi esseri umani che le compongono possibile dedurre che lorganizzazione di questi sistemi sia fortemente correlata allambiente. Il sistema dellistruzione sar tanto pi autonomo quanto pi intensi saranno gli scambi con lesterno: lambiente svolge infatti nei sistemi aperti un ruolo di co-organizzazione. Il paragone non azzardato se si considera che anche lautonomia umana, del resto, complessa nello stesso senso: essa dipende24 da condizioni
24. Qui intervengono i concetti di riflessivit e ricorsivit: la societ agisce sulluomo e lo condiziona cos come anche luomo agisce nella societ e la condiziona. Proseguendo il paragone:

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culturali e socialiquali il linguaggio, leducazione e una cultura tale che permetta di fare scelte autonomeoltre che da un cervello che dipende a sua volta da un programma genetico. Peraltro, nel caso di sistemi con un alto grado di auto-organizzazione si genera una certa coscienza di s. Ed proprio questo laspetto di cui carente attualmente sia il sistema scolastico sia quello universitario: una chiara idea del proprio ruolo allinterno della societ. La coscienza di s, in questo caso, si tradurrebbe in una riflessione sulleducazione e la didattica che parte dai docenti e dagli studenti stessi. Una tale capacitauto-riflessivapermetterebbe una consapevolezza maggiore non solo delle emergenze, ma anche lelaborazione di possibili soluzioni. Bisognerebbe, ad ogni modo, prevedere dei momenti in cui svolgere tali riflessioni, incorporandole negli spazi e nei tempi di funzionamento del sistema stesso. 3.3 Dalla modernit funzionale alla contemporaneit liquida In rapporto allidea di pensiero complesso, interessante anche leggere la contrapposizione tra le categorie della modernit e gli atteggiamenti contemporanei che propone Daniela Piscitelli nel suo intervento al convegno su Maria Montessori25 (Chiaravalle, 26-27 ottobre 2007), ispirate in parte alla nozione di liquidit di Zygmunt Bauman. Il pensiero modernista, che ha dominato le vicende culturali e politiche del secolo scorso, era sorto sui miti della funzionalit, della velocit, dellefficienza, dellordine, della precisione. Era un pensiero guidato dallutopia di una societ giusta e democratica. Quel modello ha ormai rivelato le sue illusioni: a queste categorie della certezza, oggi, si sono sostituite quelle pi sfuggenti dellopacit, della lentezza, della discontinuit, della variabilit. Piscitelli individua una serie di categorie della modernit per le quali propone lequivalente contemporaneo. Le affinit con il pensiero complesso sono evidenti26. Loggetto esatto, perfetto, trasparente e auto-esplicante
il sistema dellistruzione soggetto ai cambiamenti sociali economici e politici, li incorpora come ambiente con cui scambia informazioni; ma allo stesso tempo dovrebbe svolgere unazione nel contesto in cui situata. Assumere un ruolo attivo nel dialogo con la societ-cultura. 25. D. Piscitelli, Paracelso e le rose, il design per la pedagogia oltre la modernit, nella sezione a cura di P. Grimaldi e R. Manzotti, Maria Montessori. Un design per la pedagogia, in Progetto grafico, n. 14-15, giugno 2009. 26. Pur riferendosi al design, Piscitelli inserisce il proprio contributo nel contesto pi ampio dei cambiamenti culturali e sociali.

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dellindustria moderna non pi lisolato protagonista nella molteplicit di immagini, idee, simboli, valori della societ dellinformazione, sempre pi orientata a soddisfare il desiderio di personalizzazione: si propongono oggetti aperti a una fruizione non del tutto determinata. Lerrore che veniva visto come disfunzione della macchina puntuale ed esatta pu essere riammesso come opportunit che apre squarci su nuovi ambiti di ricerca: quelli che sembravano essere i residui non scientifici delle scienze umanelincertezza, il disordine, la contraddizione, la pluralit, la complicazionefanno oggi parte a pieno titolo della problematica di fondo della conoscenza. La concezione del tempo, visto come il binario rettilineo dellevoluzione e del progresso, ha portato a privilegiare nelle procedure di apprendimento quei sistemi che tendono ad avere uno sviluppo lineare 27, che seguano il principio di causa-effetto; la linea del tempo e dei rapporti causali si aggrovigliata alla dimensione dello spazio, infittita nellidea di trama, di un tessuto discontinuo e percorribile in pi direzioni e su pi livelli. A questo si affianca la rete in cui la vera qualit nella relazione. Queste riflessioni, oltre a fornire unulteriore prospettiva da cui osservare e leggere la contemporaneit, mettono in luce il carattere inclusivo che dovrebbero avere le strutture del sapere (le universit prima ancora delle scuole): dovrebbero cio permettere di riconoscere, includere e studiare, ma prima di tutto ammettere, le caratteristiche di complessit, casualit, indeterminazione che oggi si rintracciano nei fenomeni del mondo. Ci porta con s conseguenze che vanno dallautonomia degli studenti alle pratiche collaborative, fino alla rivalutazione dellerrore come fonte di conoscenza. 3.4 Validit delle conoscenze acquisite a scuola In rapporto agli scenari contemporanei appena tracciati opportuno dare uno sguardo, pi da vicino, alla validit del sistema distruzione italiano in termini di preparazione degli allievi. Le indagini promosse dallOrganizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE)28, a livello internazionale, sullistruzione degli adolescenti prossimi alla conclusione
27. F. La Rocca, Il tempo opaco degli oggetti. Forme evolutive del design contemporaneo, Franco Angeli, Milano 2006; citato in Piscitelli, art. cit. 28. Si tratta del Programma per la valutazione internazionale dellallievo, meglio noto con lacronimo PISA (Programme for International Student Assessment), indagine effettuata con periodicit triennale a partire dal 2000.

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dellobbligo scolastico, posizionano gli studenti italiani al di sotto della media dei paesi partecipanti. Il pedagogista Benedetto Vertecchi, a partire da questi dati, affronta la situazione della scuola italiana in rapporto a quella degli altri paesi, evidenziando il disallineamento tra le cose che si imparano nei contesti di educazione formale e quelle che servono lungo tutto larco della vita. Propone unanalisi delle cause che hanno portato allattuale assetto e alla comparsa di alcuni fenomeni, diffusi anche a livello internazionale, quali lanalfabetismo di ritorno e la dispersione scolastica. Nonostante egli si riferisca alla scuola secondaria, il suo punto di vista risulta interessante ai fini di questa ricerca perch ricco di spunti che possono sicuramente valere anche nellambito dellistruzione superiore, ma anche perch gli stili cognitivi e i metodi di studio che i ragazzi sviluppano durante leducazione scolastica sono leredit che portano con s alluniversit e oltre. Vertecchi espone29 quali siano state le esigenze e le diverse dinamiche che hanno portato alla progressiva scolarizzazione in Europa nel corso dei secoli, le ragioni dei ritardi italiani e i motivi per cui oggi le istituzioni scolastiche abbiano perso la loro validit e necessitino di una rifondazione teorico-culturale nonch strutturale. Il processo di scolarizzazione nel nostro continente si svolto in due grandi fasi: la prima ha riguardato i paesi nordeuropei, la seconda gran parte degli altri. Nei paesi di tradizione luterana lapprendimento della lettura serviva a soddisfare lesigenza immateriale dinterpretazione dei testi sacri. Nel resto dEuropa, invece, le ragioni per cui si resa necessaria la nascita di sistemi di istruzione erano utilitaristiche, legate allo sviluppo industrialepi recentee alla trasformazione dei sistemi economici: doveva contribuire ad accelerare la modernizzazione della societ. LItalia ha per sofferto le conseguenze di uno sviluppo incompiuto avviando i processi di scolarizzazione con diversi decenni di ritardo rispetto a paesi come Francia, Germania e Gran Bretagna. Si calcola che dallunit dItalia alla prima Guerra Mondiale la percentuale di popolazione alfabetizzata cresciuta dal 5 al 50%. La riforma Gentile del 1922 ha in parte frenato questo processo destinando listruzione scolastica alle fasce di popolazione con caratteristiche pi fa-

29. B. Vertecchi, Che tutti leggano, ogni giorno, intervento al Festival della creativit e dellinnovazione di Firenze, maggio 2005 (www.nuovoeutile.it).

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vorevoli30, ma non riuscita nonostante ci a contenere la scolarizzazione come aveva previsto. Il sistema scolastico ha avuto una considerevole crescita, paragonabile a quella avvenuta da tempo negli altri paesi, soltanto durante gli anni sessanta.31 Per effetto di questo ritardo rispetto al resto dei paesi europei, oggi la popolazione pi anziana, come si pu prevedere, ha bassissimi livelli di istruzione; e nonostante le fasce pi giovani abbiano usufruito di un periodo considerevole di educazione formale, sono proprio queste le pi soggetta alla regressione delle competenze simboliche subito successiva al periodo scolastico. Si registra un alto tasso di perdita di conoscenze simbolicheliteracy e numeracyoggi tendenzialmente maggiore nei ragazzi tra i 16 e i 25 anni rispetto alle fasce di et intermedie, intorno ai 40 anni. A ci si aggiungono cambiamenti profondi nei comportamenti collettivi, che implicano un diverso uso delle competenze di base. Con queste parole Vertecchi32 sintetizza le cause dei fenomeni in atto, dei quali bisogna prendere coscienza per stabilire quali conseguenze ne derivino per la scuola:
Oggi imparare a leggere, scrivere e far di conto non significa pi iniziare un percorso di progresso culturale e sociale come nel passato, quando la stessa idea di progresso ha trascinato lo sviluppo scolastico e ha fatto accettare scuole anche peggiori di quella che abbiamo noi oggi, molto pi povere. Agli inizi del Novecento una classe di scuola elementare in Italia era composta mediamente da cinquanta bambini e, se si esaminava la disponibilit di risorse fisiche per leducazione, il quadro era terrificante. Eppure quella scuola era desiderabile. Ed era desiderata a tal punto da compensare i limiti dellofferta. Oggi le cose sono cambiate: quasi la totalit della popolazione coinvolta nelleducazione scolastica, la qualit dellofferta prevale sulla intensit della domanda. Ma la desiderabilit sociale dellistruzione che ha caratterizzato le fasi espansive dei sistemi scolastici ha anche prodotto un effetto negativo: quello di considerare il processo irreversibile e far credere che la condizione faticosamente acquisita lo fosse per sempre. Certo, oggi tutta la popolazione alfabeta (in Francia la domanda sai leggere, sai scrivere? stata cancellata dal censimento nel 1949), ma ci non vuol dire che sia anche in grado di capire. Perch per capire, occorre passare da una capacit solo tecnica (il possesso del codice) a una capacit di comprensione e di operare con i simboli acquisiti.

30. Per approfondire si veda la sezione seconda del capitolo primo. 31. Si veda leffetto delle leggi n. 1859 del 1962 e n. 910 del 1969, citate nella terza sezione del capitolo primo 32.Vertecchi, Che tutti leggano, cit.

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La conseguenza pi evidente , pertanto, unattenuazione dellimmagine classica della scuola, come luogo in cui si consegue lalfabetismo. Occorre dunque ripristinare la convergenza fra lidea di scuola e quella di progresso33. Inoltre, osservando le stime sul progressivo allungamento della vita nei paesi industrializzati, Vertecchi illustra come sia fondamentale non associare la formazione dei primi venti anni a un profilo professionale: non si pu prevedere cosa accadr nei restanti sessantanni della vita di un individuo, un tempo troppo lungo per ipotizzare quello che servirebbe imparare. Per di pi, gran parte di ci che si apprende a scuolasoprattutto quegli insegnamenti che si presentano come acquisizione di informazionisi dimentica in un arco di tempo abbastanza breve.
una dimenticanza funzionale: impariamo molte pi cose di quelle che effettivamente ricordiamo perch servono a incrementare repertori interpretativi che poi useremo in diversi modi nel corso della vita. Dimentichiamo il contesto in cui certi elementi sono stati acquisiti ma conserviamo la capacit di utilizzare successivamente quegli elementi in altri contesti.34

Bisogna allora chiedersi quali siano le competenze che restano e come conciliare elementi permanenti con altri pi legati a periodi brevi e transitori. Le competenze di cui si sente meno il bisogno nellimmediato sono quelle che diventano pi utili a lungo terminecompetenze linguistiche, matematiche o di problem solvingpoich si tratta di capacit di adattamento, che trasformano i profili delle popolazioni in funzione dei cambiamenti e delle innovazioni che si verificano nel quadro sociale35. Questa sembra essere la premessa logica della necessit sia di uneducazione costante degli adulti, sia di una didattica fondata sullo sviluppo di competenze, in particolar modo simboliche e di base, unico stabile patrimonio del periodo di istruzione formale. 3.5 Influenze esterne, distribuzione del tempo nella scuola Riguardo ai preoccupanti dati italiani relativi a livello di alfabetizzazione matematico-scientifica e comprensione di un testo scritto, a cui si accen33. B. Vertecchi, Per una riorganizzazione dellofferta formativa, in E. Bertonelli e G. Rodano (a cura di), Il laboratorio della riforma. Autonomia, competenze e curricoli, Le Monnier 1999. 34.Vertecchi, Che tutti leggano, cit. 35. Ibidem.

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nato, Vertecchi36 individua anche altre cause, pi strettamente connesse con il modello scolastico italiano. Egli sostiene che la colpa non sia da imputare ai docenti e ai metodi dinsegnamento. Ci che pi influenza la formazione, infatti, lambiente culturale in cui i ragazzi vivono, ovvero tutto ci che accade fuori dalla scuola, e in primo luogo lambiente familiare, inadeguato a soddisfare lesigenza di conoscenze. Ci accade perch, rispetto agli altri Paesi europei, da noi viene riproposto un modello ottocentesco di servizio scolastico in cui lorario di funzionamento della scuola coincide con lorario delle lezioni. Se in Francia o in Finlandia a una riduzione delle ore di lezione corrisponde un tempo pi lungo di apertura delle strutture, in Italia lorario delle lezionisempre pi contratto37assorbe tutto il tempo a disposizione degli studenti. Questi perdono, cos, ogni occasione di sfruttare lambiente e le strutture a disposizione, come laboratori e biblioteche, per fare esperienze e attivit extra-didattiche, ovvero per tradurre una conoscenza solo verbale in comportamenti38. Un ambiente protetto e attrezzato che sopperisca allinadeguata organizzazione della vita dei ragazzi, molto pi condizionati dal contesto esterno che dalla scuola, solitamente affetto da povert di linguaggio e prevalenza di richiami suggestivi su quelli razionali e culturali. Attualmente il tempo trascorso a scuola, per molti studenti, risulta noioso. Nella scuola non si hanno le possibilit di vivificare attraverso lesperienza quanto appreso in classe. Tale perdita di interesse da parte dei ragazzi causa un ovvio scollamento della scuola dalla societ, che non in grado di riconoscerle unadeguata legittimit. Di fatto comporta una crescente perdita di qualit dellistruzione, e una svalutazione degli insegnanti e dei titoli di studio, nonch delle conoscenze acquisite e competenze sviluppate. La distanza tra insegnamento e desiderio di apprendere ancora pi chiara alla luce di queste considerazioni. Estendendo, invece, il tempo di funzionamento delle strutture scolastichenon limitato solo a quello delle lezioninelleducazione dei giovani confluirebbero pi aspetti della vita stessa. Il complesso del sistema educativo dovrebbe prendersi cura non solo degli aspetti della formazione di base e
36. B. Vertecchi, Altro che Finlandia, cos la scuola torna ai modelli del 1800, su LUnit, 5 febbraio 2010. 37. Tale riduzione delle ore di lezione si ispira evidentemente ai modelli europei pi avanzati, ma ne interpreta solo una parte. 38.Vertecchi, Altro che Finlandia, cit.

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nozionistica ma anche di quelli culturali, sociali e relazionali, quali la formazione di coscienza critica, di relazioni reciproche, di capacit di scelta. Non ci aspetta che ci accada grazie allintervento dei fondi stanziati per la scuola a livello centrale. Per questo Vertecchi propone di chiedere agli enti locali e al mondo sociale di partecipare alla realizzazione dellapertura completa delle scuole. Non bisogna dimenticare, inoltre, di preservare anche il tempo libero dei ragazzi: ampliare la possibilit di utilizzo degli spazi e dei mezzi di cui la scuola o luniversit dispongono non significa occupare nuovamente tutto il tempo a disposizione degli studentidisperdendone le energiecon ulteriori corsi, seminari, attivit semi-obbligatorie. Si dovrebbero prevedere, piuttosto, ampi margini di libert (e di errore), quindi di autonomia e responsabilit. necessaria, tuttavia, unattenta riflessione sulla qualificazione del tempo libero e sulla modalit di introduzione di fattori di disordine e elasticit, necessari allinventiva e allinnovazione, senza che questi ultimi conducano alla dispersione e disaggregazione. Ci comporterebbe una sostituzione di programmi rigidi con lo sviluppo di strategie che prevedono indeterminazione, possibilit di variazione e risposte immediate a situazioni impreviste39.

4 Conoscenze e competenze
Alla fine degli anni novanta, con la riforma Berlinguer40, vengono introdotti, oltre a sostanziali ristrutturazioni nel sistema italiano distruzione scolastica, anche una serie di concetti e terminologie che il dibattito sulla scuola aveva elaborato e continua ancora adesso a discutere. La riforma si proponeva di realizzare il passaggio da un tipo di apprendimento nozionistico a un modello di scuola che allacquisizione di conoscenze affianchi lo sviluppo di competenze. Tuttavia, a distanza di oltre dieci anni dallentrata in vigore della legge, si discute ancora la legittimit di una didattica per competenze, ci si chiede quanto lindividuazione della distinzione di
39. Le considerazioni e gli spunti raccolti in quest'ultimo paragrafo sono affini e complementari al discorso sulla didattica esperienziale, per il quale si rimanda alla sesta sezione di questo capitolo. 40. Essa comprende tutta la serie di decreti ministeriali e regolamenti emanati tra la fine degli anni novanta e il 2000, anno di approvazione della Legge n. 30 del 10 febbraio 2000, in materia di Riordino dei cicli di istruzione.

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conoscenze e competenze costituisca un effettivo passo in avantio piuttosto uno indietro sulla strada della separazione o schematizzazione eccessivae si continua a fornire interpretazioni dei due concetti e del rapporto che li lega. Questo vivo dibattito d lidea di quanto i presupposti teorici della riforma siano tuttora in corso di applicazione e verifica, in qualche modo sperimentali. Le definizioni sono ancora aperte e, per forza di cose, non completamente, pienamente acquisite. Ciononostante, le riflessioni prodotte in tale ambito vanno ben oltre il caso di applicazione della scuola: riguardano lintero percorso educativo dellindividuo dallinfanzia allet adulta, e possono essere messe in relazione alle caratteristiche dellistruzione superiore universitaria. 4.1 Definire le competenze Il concetto di competenza applicata alla didattica, alla luce del quale molte nazioni stanno riorganizzando il proprio sistema scolastico e i relativi sistemi di valutazione, stato formulato nel corso del dibattito sulla scuola degli anni novanta. Gli esperti e i pedagogisti non convengono ancora su una definizione univoca di competenza, e non mancano neppure aperte critiche al modello di scuola fondato sulle competenze che si andato delineando nel corso degli ultimi dieci-venti anni. Di seguito sono riportati alcuni tentativi di definizioneelaborati nellambito della riforma sullautonomia scolasticacercando di comprenderne la validit oltre il contesto scolastico. La legge n. 59 del 15 marzo 199741 e il successivo regolamento del 199942 hanno avviato il famoso processo di autonomia delle istituzioni scolastiche, in vigore dallanno scolastico 2000-01, unautonomia che non fosse pi soltanto organizzativa, ma funzionale. Si trattava di disporre la capacit di adattamento della scuola alle trasformazioni del paese, alle esigenze della societ e dei singoli, con norme che contenessero diversi elementi di flessibilit. Il regolamento, con le parole di Livia Barberio Corsetti43, ha guidato anche la transizione dalla cultura del sapere alla cultura della competenza:
41. Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa; in particolare, lart. 21 prevede lautonomia e riorganizzazione dellintero sistema formativo. 42. Decreto del Presidente della Repubblica n. 275, 8 marzo 1999, Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche. 43. L. Barberio Corsetti, Il regolamento dellautonomia, prove di nuovo diritto, in BertonelliRodano, op. cit.

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la prima, fondata sulla vastit dei contenuti appresi, caratterizza lapprendimento come avere; la seconda non elimina il sapere ma lo inserisce in un apprendimento concepito come crescita complessiva dellessere. Roberto Maragliano44 descrive, invece, questo momento come il passaggio dalla logica gerarchica e centralista del castello a quella orizzontale della rete, presupposto per la realizzazione dellautonomia delle istituzioni. Tale passaggio si compiuto sostituendo ai vecchi programmi didattici ministeriali, diventati sempre pi enciclopedici e ambigui, quindi interpretabili, le cosiddette tavole delle competenze, che avrebbero dovuto essere estremamente chiare ed essenziali, ma restare aperte abbastanza da consentire non interpretazioni ma scelte da parte delle scuole. Provvedimenti come questo miravano a dotare le scuole di un ampio margine di responsabilit, che permettesse loro di intraprendere un dialogo con il mondo circostante, riconoscendo lintervento nel processo formativo dei ragazzi di altre formee sedidi elaborazione e trasmissione dei saperi. Il documento45 di base, datato marzo 1998, elaborato dalla commissione incaricata dal Ministero della Pubblica Istruzione di definire i saperi irrinunciabili per il complesso della formazione scolastica, poneva le premesse per una una definizione abbastanza ampia di competenza. In esso si legge:
Compito fondamentale della scuola garantire a chi la frequenta: lo sviluppo di tutte le sue potenzialit e la capacit di orientarsi nel mondo in cui vive (sia esso lambiente di pi diretto riferimento, o lo spazio sempre pi esteso della comunicazione e dellinterscambio), al fine di raggiungere un equilibrio attivo e dinamico con esso; lassimilazione e lo sviluppo della capacit di comprendere, costruire, criticare argomentazioni e discorsi, per dare significato alle proprie esperienze e anche difendersi da messaggi talvolta truccati in termini di verit e di valore.

Le competenze, a cui si fa riferimento in varie parti delle norme e regolamenti succitati, sanciscononelle parole di Elena Bartonelliun nuovo sistema formativo, fondato sulla capitalizzazione delle varie esperienze di
44. R. Maragliano, Consapevolezza dei saperi e filosofia della reticolarit, in Bertonelli-Rodano, op. cit. 45. R. Maragliano, C. Pontecorvo, G. Reale, L. Ribolzi, S. Tagliagambe, M. Vegetti, I contenuti essenziali per la formazione di base, consultato sul sito internet dellIndire (www.bdp.it). La commissione, composta dagli autori, ha lavorato nei primi mesi (gennaio-maggio) del 1997; il documento prodotto stato presentato e discusso nellincontro del 20 marzo 1998, promosso dal Ministero e dallAccademia dei Lincei.

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istruzione, educazione e formazione di cui ciascuno riesce a fruire durante la propria esistenza di studio e di lavoro46. La messa a punto di questo sistema servirebbe a garantire il raccordo tra sistemi diversi per la circolazione dei titoli in Europa. 47Ad ogni modo, luso del termine capitalizzazione mette molto a disagio: sembra manifestarsi la tensione a un legame sempre pi stretto con il mondo del lavoro, orientando la didattica ad un sapere subito spendibilealtra parola intrisa di connotazioni utilitaristiche e commerciali48in contrasto con le indicazioni di Vertecchi a proposito della necessit di sviluppare competenze a lungo termine. Tuttavia, Bertonelli, sostiene che proprio la diffusione capillare in tutto il sistema scolastico di una prassi didattica per competenze avrebbe leffetto di allontanare questa nozione dallarea della formazione professionale. Quello che si vuole assicurare un diritto allapprendimento dei ragazzi, oltre il diritto allo studio: ovvero impegnarsi a cogliere le vocazioni, le potenzialit oltre che le difficolt dei singoli. La didattica per competenze garantirebbe la possibilit di personalizzare il percorso formativo di ognuno in base ai propri ritmi e modalit di apprendimento. Obiettivo implicito in questa rinnovato rapporto tra insegnamento e apprendimento labbassamento della dispersione scolastica. Si tenta di sostituire al criterio della selezioneche connotava la scuola nellimpostazione della riforma Gentileun sistema fondato sullorientamento: ci implica necessariamente una riformulazione del ruolo dellinsegnante, con particolare attenzione alla sua funzione di guida, per cui richiesta una forte preparazione pedagogica e metodologica. Con queste parole, infine, prova a chiarire cosa siano le competenze49:
Ci che ci si deve attendere dal processo formativo quel sapere critico in grado di sostanziare lintelligenza duttile e la learning ability richieste dalla complessit della societ conoscitiva contemporanea. Dovremmo dire allora che quei traguardi non sono le conoscenze, bens la loro utilizzazione teorica e pratica in un contesto storico. E cosaltro la competenza se non proprio questa capacit di utilizzare e di padroneggiare una conoscenza fino a

46. E. Bertonelli, Il padroneggiamento delle conoscenze, in Bertonelli-Rodano, op. cit. 47. A tal proposito si vedano gli orientamenti individuati nella Dichiarazione di Bologna e la successiva riforma universitaria, descritti nella quarta sezione del capitolo primo. 48. Nei testi normativi della riforma in questione si fa largo uso anche del termine formazione in riferimento al periodo scolastico; nella seconda sezione di questo capitolo sono gi state esposte alcune riflessioni sulle connotazioni del termine. 49.Bertonelli, art. cit.

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farne anche il punto dorigine e di generazione di una spirale virtuosa di altre conoscenze e competenze? Ma se questa una possibile definizione di competenza ne discende che tale definizione valida per ogni segmento formativo e per ogni ambito disciplinare []. valida insomma per la scuola come per la formazione professionale, per luniversit come per le esperienze di lavoro. Ogni acquisizione teorica ha difatti implicazioni pratiche e ogni abilit pratica ha un riscontro teorico.

Questa sorta di definizione di competenzacome capacit di utilizzare e padroneggiare conoscenze acquisitemostra le caratteristiche di flessibilit della nozione, su cui possono convergere i diversi livelli distruzione. Tale convergenza non deve per trascurare, appiattendole, le peculiarit di ciascuno stadio: il modo in cui si costruiscono stili cognitivi, i metodi di studio e di accesso al sapere che caratterizzano le varie fasce di et. necessario, a questo punto, distinguere alcune fondamentali tipologie di competenze per riuscire a individuarle e distribuirle opportunamente nellarticolazione didattica dei vari livelli di istruzione. Nicola Serio ne individua quattro gruppi principali50:
Competenze strumentali (le strumentalit di base, le tecniche dellalfabetizzazione, delle discipline: come ad esempio le regole dellaritmetica, della lingua, ecc.). Competenze come strutture formative della conoscenza (capacit di concettualizzare, categorizzare, di fare un uso personale, riflessivo, applicativo a situazioni diverse e sempre nuove delle proprie conoscenze). Competenze trasversali (saper collegare in senso reticolare le conoscenze apprese: problema delle competenze interdisciplinari). Competenze valoriali (assumere orientamenti fondamentali in ordine alle scelte di vita: ad esempio, conquista della identit e della autonomia, come prevedono gli orientamenti della scuola materna del 1991).

Si tratta, come si vede, di competenze diverse: alcune, come quelle strumentali riguardano solo un segmento del percorso distruzione, altre costituiscono le finalit dellazione educativa che va dallinfanzia fino allet adulta. Questo implica che quelle competenze che riguardano tutto larco della vitacome ad esempio quelle trasversalinon debbano essere rimodellate sulle caratteristiche di ciascun ciclo distruzione. Le competenze, secondo questa classificazione, possono essere considerate il presupposto per la definizione di una didattica inter- e trans-disciplinare. La determinazione delle competenze trasversali, in particolare, porta a servirsi delle conoscenze in modo diverso, senza tuttavia eliminarle, ridurle
50. N. Serio, Una didattica orientata alle competenze, in Bertonelli-Rodano, op. cit.

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o declassarle: si tratta di individuare negli statuti, nei linguaggi e negli oggetti delle discipline quei nuclei fondanti, quelle categorie costitutive, quei momenti pi incisivamente formativi in grado di favorire la costruzione di quel sapere critico, di quella intelligenza duttile che hanno proprio nella trasversalit la loro ineliminabile cifra costitutiva51. La necessit di un approccio multidisciplinare messa in luce anche nello documento del 1998 prima citato. A proposito del rapporto tra curricolo e materie di studio, la commissione prefigura in questi termini levoluzione del sistema distruzione52:
Il traguardo finale sar un insegnamento-apprendimento organizzato per temi, alla cui elaborazione concorrano diversi settori culturali, e in cui lanalisi dei contenuti specifici sia accompagnata ed arricchita da aspetti storico-epistemologici e tecnico-applicativi, in modo da dare una chiara percezione di quanto sia oggi essenziale per la risoluzione di problemi complessi un approccio multidisciplinare integrato.

In conclusione, si pu notare che, se da una parte i vantaggi della didattica per competenze sono largamente enfatizzati, dallaltra la definizione stessa di competenza resta abbastanza sfuggente e dai contorni troppo vaghi: sembra piuttosto affidata allintuizione e allinterpretazione dei singoli contributi. 4.2 Da un altro punto di vista Giorgio Israel tra coloro che critica linfluenza che il pensiero di Morin e il costruttivismo pedagogico hanno avuto sulla scuola italiana. Soprattutto della didattica fondata sulle competenzeche a quei modelli chiaramente si ispiramette in evidenza i rischi e le derive: ovvero laver oscurato il valore delle conoscenze in favore di una nozione imprecisa e indefinibile di competenza, considerata lunico obiettivo dellistruzione scolastica. Egli insiste sul fatto che sia necessario continuare a sviluppare la capacit di comprensione ed elaborazione sul materiale vivo e concreto della conoscenza53, non sulla trasmissione di astratti precetti di metodologia pura. Gli aspetti della conoscenza e del ragionamento sono e devono restare strettamente legati, senza sbilanciare listruzione su nessuno dei due fronti:

51.Bertonelli, art. cit. 52. Maragliano et al., I contenuti essenziali per la formazione di base, cit. 53. G. Israel, Il disastro del successo formativo garantito, su Il Messaggero, 28 agosto 2009.

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da un lato si cadrebbe nel nozionismo che con la riforma dellautonomia sintende superare, dallaltro nella vacua metodologia. Non possibile distinguere, tanto meno contrapporre, i tre aspetti di conoscenza, competenza e abilit, cos come individuati nella terminologia delle riforme scolastiche:
Il problema che il fatale trittico non solo inutile, ma conduce a risultati disastrosi perch codifica una separazione a tre livelli; come se esistessero situazioni accettabili in cui uno possiede conoscenze ma non sa farne uso, oppure sa farne uso ma si blocca di fronte a un problema. una distinzione che svilisce lidea di conoscenza che sempre stata pensata come inclusiva dei tre aspetti (giustamente mai distinti) e da valutare complessivamente. Distinguendo si introduce lidea assurda che lacquisizione assolutamente passiva di concetti sia una forma di conoscenza.54

Israel sostiene che la pretesa di riformare la scuolaimpresa, a suo avviso, guidata da tecnocrati, esperti di pedagogia e didatticaabbia portato con s la demolizione del sistema delle conoscenze e delle discipline (lapprendere) sostituite soltanto da tecniche di apprendimento (lapprendere come si apprende). Egli riconosce, tuttavia, lesigenza di unistruzione che si adegui ai tempi e che consenta di saper applicare ci che si apprende, ma richiama contemporaneamente alla necessit di non disperdere, in questo tentativo, il patrimonio delle conoscenze. Le sue considerazioni sono utili da tenere a mente per evitare di ideologizzare le teorie finora prese in esame, valutandone da pi punti di vista le conseguenze: non da escludere, infatti, che nel corso del tempo e in sede di applicazione la nozione di competenza sia stata malinterpretata e, di conseguenza, la sua introduzione massiva nella strutturazione della didattica abbia fatto regredire alcuni aspetti dellistruzionead esempio, sia la quantit di conoscenze acquisite dagli studenti che il loro valore percepito. Un altro aspetto controverso, messo in luce da Israel, quello della valutazione delle competenze, difficilmente quantificabili e misurabili55:
Una grandezza per essere misurabile deve ammettere ununit di misura definibile in termini oggettivi e indipendente dallintroduzione di variabili ausiliarie. Ci non esclude che una qualit possa essere suscettibile di valutazioni quantitative, le quali tuttavia non sono misure ma semplici stime. Ci possibile a condizione di essere
54. G. Israel, La scuola delle competenze demenziali, su Il Giornale, 15 novembre 2009. 55. G. Israel, Un dibattito sulle competenze a scuola, su Scuola Democratica, n. 2 (nuova serie), giugno 2011.

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consapevoli che una siffatta trattazione quantitativa non soltanto non una misurazione esatta ma intrisa di fattori soggettivi. Nella fattispecie essi sono rappresentati dai test che sono lo strumento principe di queste valutazioni quantitative. I test sono preparati da persone che hanno opinioni soggettivespesso assai opinabili e divergenti tra lorosui criteri di valutazione delle competenze.

Si potrebbe contestare questo passaggio considerando che neppure le conoscenze siano cose quantificabili, impilabili e misurabili. Bisogna per osservare che, dalla sua prospettiva, non esiste nellarticolato processo di apprendimento uneffettiva separazione tra conoscenze, competenze e abilit, n queste sono composte da entit discrete. Inoltre nessuna valutazione dellapprendimento pu di fatto essere oggettiva: essa riguarda entit la cui definizione precisa impossibile, peraltro soggette a variabilit sociale e storica. Ancora sulle competenze adottate quale parametro di valutazione, Israel commenta56:
Il vero punto di forza della didattica delle competenze sta nellesigenza di determinare modalit di valutazione delle capacit lavorative delle persone che valgano per tutta larea europea. Allo scopo le culture nazionali rappresentano un intralcio. Le competenze chiave enunciate dal Parlamento Europeo corrispondono a quella esigenza e inevitabilmente indirizzano verso un approccio anticulturale in cui [] tutto lo spazio riservato a capacit meramente tecnico-operative. [] Chi ha a cuore il futuro di questi sistemi dovrebbe battersi per ricomporre rapidamente lartificiosa dicotomia tra conoscenze e competenze e difendere una visione della formazione che non si pieghi a esigenze esclusivamente tecnocratiche e di mercato del lavoro.

A conclusione di questo approfondimento sul rapporto tra conoscenze e competenze si potrebbe constatare che il merito del dibattito non sia tanto quello di aver introdotto o distinto le due nozioni, quanto quello di aver portato lattenzione sul tema, mettendo in discussione consolidate pratiche di apprendimento mnemonico e nozionistico ed enfatizzando la necessit di sviluppare, parallelamente allacquisizione di conoscenze, la capacit di metterle in relazione, di far dialogare i saperi, e di costruire autonomamente i propri percorsi di apprendimento.

56. Ibidem.

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5 Connessione tra le discipline


Un pensiero ormai largamente condiviso quello che considera come condizione necessaria allavanzamento delle conoscenze umane il superamento dei confini disciplinari. soprattutto la contaminazione dei linguaggi, lo scambio di metodi, teorie e tecniche a consentire incidenti di frontiera che aprono zone dintervento inattese, presupposto per nuove scoperte e progressi nella ricerca. La separazione disciplinare , tuttavia, un fenomeno relativamente recente. Larticolazione del sapere in discipline distinte ha risposto unicamente a esigenze di tipo organizzativo e utilitaristico: essa stata istituita con la nascita, nel XIX secolo, delluniversit moderna, e si sviluppata nel corso del secolo successivo. Si gi visto con Morin come il paradigma di semplificazione che ha portato a circoscrivere il campo dazione delle discipline abbia parallelamente consentito gli avanzamenti della scienza e della riflessione filosofica. Senza tale limitazione la conoscenza sarebbe di per s inafferrabile. Dallaltro lato, per, perseguendo tale segregazione disciplinare, si teso alliper-specializzazione, fenomeno caratteristico del XX secolo, e alla cosificazione delloggetto studiato, dimenticando i legami, la solidariet che questo conserva con altri saperi. Le discipline hanno una loro storia: nascita, istituzionalizzazione, evoluzione e deperimento; e ogni disciplina tende naturalmente allautonomia, nonostante sia inglobata in un contesto scientifico pi vasto: ha un proprio dominio di competenza, propri linguaggi, tecniche e teorie. Le discipline, ovviamente, sono ancora intellettualmente giustificate, ma solo a patto che mantengano una visuale tale da permettere dindividuare le reciproche interconnessioni57:
Lindebolimento di una percezione globale conduce allindebolimento del senso della responsabilit, poich ciascuno tende a essere responsabile solo del proprio compito specializzato, cos come allindebolimento della solidariet, poich ciascuno percepisce solo il legame con la propria citt.

Bisogna conservare una certa apertura delle discipline, senza la quale non si riuscirebbe a risolvere le loro intrinseche criticit, impossibili da individuare e conoscere dal di dentro. Del resto, come si gi detto, dal prestito
57.Morin, La testa ben fatta, cit.

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di metodi e competenze delle altre aree del sapere possono venire gli spunti pi interessanti per un avanzamento della disciplina stessa e della conoscenza in generale. Infine, secondo le definizioni di Morin58: nellapproccio interdisciplinare lo scambio e la cooperazione tra i saperi specialistici permettono che essi diventino qualcosa di organico; la polidisciplinarit si caratterizza come associazione di discipline in virt di un progetto o di un oggetto comune; la transdisciplinarit si realizza, invece, quando gli schemi cognitivi riescono ad attraversare le diverse discipline coinvolte nel processo. Questultima la sola che permette di costruire un pensiero globale. La soluzione organizzativa delle discipline, prodotta in ambito universitario, ha investito anche i livelli distruzione scolastica: essa stata considerata la pi idonea allorganizzazione dellapprendimento. Ma la didattica scolastica, come indicato da Lucio Guasti59, ha delle specificit che non corrispondono alla classificazione della scienza. Larticolazione disciplinare un aspetto della cultura, un modello di ripartizione che la scienza stessa ha elaborato per la propria autocomprensione, non necessariamente funzionale allapprendimentodi competenza della scuola. Nellambito dellautonomia scolastica viene allora proposta una riorganizzazione del sapere centrata sullapprendimento, ovvero sul soggetto che apprende: il modello culturale viene ripensato in modo che risulti adeguato alle domande significative sulla vita, la societ, lo sviluppo personale. La prospettiva multidisciplinare diventa, secondo questo orientamento, particolarmente importante per listruzione scolastica, il cui scopo dovrebbe essere quello di concorrere alleducazione dei ragazzi, aiutandoli a costruire il proprio profilo culturale e la propria capacit di adattarsi e rispondere ai mutamenti, anzich guidarli verso la specializzazione. La stessa missione di cui dovrebbe essere investita luniversit: formare cittadini e non professionisti, senza smarrire la visione globale; puntare ad essere un centro di produzioneoltre che conservazione e riproduzionedel sapere promuovendo la ricerca, rivitalizzata dal dialogo tra le discipline specialistiche. Del resto, le competenze trasversaliovvero quelle che attengono alla capacit di collegare in senso reticolare le conoscenze appresesono il tipo di competenza che attraversa tutti i gradi di istruzione. Si acquisiscono, si perfezionano con il tempo e si esercitano lungo tutto larco della vita, nel
58. Ibidem. 59. L. Guasti, Un curricolo centrato sul significato, in Bertonelli-Rodano, op. cit.

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percorso che va dallistruzione scolastica fino alla formazione degli adulti, ricorsiva e permanente. 5.1 Competenze cognitive e trasversali: multi- inter- trans-disciplinariet Per superare il nozionismo e la pretesa di conoscenza enciclopedica che hanno a lungo caratterizzato lapprendimento scolastico, Franco Frabboni60 propone uninterazione dialettica tra saperi disciplinari (presenti nei programmi scolastici) e saperi interdisciplinari (riferiti al contesto di vita degli allievi), che vada oltre la loro consueta contrapposizione. La disciplinarit conserva il fondamentale compito di individuare le competenze proprie di ogni materia dinsegnamento. Dunque opportuno sottoporre le singole discipline a un processo di analisi che individui le competenze di primo livello e quelle di livello superiore. Ciascuna disciplina, infatti, porta con snel proprio statutotre tipi di competenze: competenze monocognitive, che riguardano lacquisizione delle condotte alfabetiche proprie della disciplinain termini di conoscenze e linguaggi; competenze metacognitive, che permettono di padroneggiare processi logici e metodologiciquali analisi e sintesi, induzione e deduzione, impostazione e risoluzione di problemi; competenze fantacognitive, che generano abilit euristiche ed estetiche dellallievorelative al saper riorganizzare le conoscenze acquisite al fine di produrre conoscenze nuove. Linsieme delle competenze monocognitive si riferisce allacquisizioneattraverso la riproduzione e ripetizionedi apprendimenti elementari quali: saper memorizzare e riconoscere un contenuto acquisito, conoscere ed essere in grado di usare termini, simboli, date e concetti, compiere operazioni elementari e riuscire a ordinare e classificare secondo criteri noti. Per quando riguarda il repertorio delle competenze metacognitive: la padronanza logica permette allallievo di osservare e comprendere il mondo, di conservare le informazioni accumulatea livello di apprendimento elementareintegrandole con altre preesistenti; la padronanza metodologica mette a disposizione dellallievo vari metodi dapproccio ai saperi, da applicare nellidentificazione
60. F. Frabboni, Disciplinarit e trasversalit: sapere, comprendere, inventare , in BertonelliRodano, op. cit.

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e risoluzione dei problemi. Il livello pi alto di competenze cognitive riguarda la capacit sia di ragionare che di inventare, ovvero di attivare processi mentali convergenti e divergenti: la convergenza alla base del capacit di analisi-sintesi e del metodo razionalenel dominio delle competenze metacognitive; la divergenza consente di trovare pi soluzioni a uno stesso problema, adottare soluzioni originali, elaborare idee e materialialla base della fantasia e della creativit. Secondo limpianto tassonomico descritto da Frabboni, le capacit cognitive intermedie insieme a quelle di livello superiore costituiscono il nucleo stabile e permanente dellapprendimento, diversamente da quelle elementari, pi instabili e a breve raggio. Questo schema di competenze cognitive integra le definizioni di competenza proposte nella sezione precedente di questo capitolo. Soprattutto fornisce la base per comprendere meglio a quali livelli e in che modo avvenga lo scambio, lintersezione tra le varie discipline. Ai tre stadi di competenze cognitive si affiancano, infatti, le competenze trasversali che permettono di connettere tra loro i saperi acquisiti in contesti disciplinari diversi. Frabboni distingue queste competenze, a loro volta, in tre tipi di trasversalit: trasversalit come multidisciplinariet, la modalit didattica pi diffusa nella scuola, che si realizza quando un tema relativo a una disciplina riceve lapporto monocognitivo da altre materie affini, e lo scambio avviene, pertanto, solo in termini di conoscenze e linguaggi; trasversalit come interdisciplinariet, che si realizza quando un tema disciplinare o un oggetto di ricerca ricevono lapporto sia monocognitivo che metacognitivo da altre materie, pi e meno affini, in termini di linguaggi, contenuti, logiche e approcci metodologici; trasversalit come transdisciplinariet, difficilmente applicabile agli argomenti disciplinari, che si realizza quando un oggetto di ricerca, prevalentemente extra curricolare, riceve lapporto dellintero sistema di unaltra disciplina, a livello di competenze mono- meta- e fantacognitive. La trasversalit multidisciplinare conserva, dunque, una connotazione paratattica, accostando i saperi con un debole grado di correlazione. Linterdisciplinariet ha il vantaggio di sviluppare le capacit di imparare a ragionare e inventare, attivando un fitto scambio di relazioni tra le discipline. La transdisciplinariet si colloca, invece, fuori dal contesto della didattica scolastica: il suo terreno dazione quella zona di confine, quello spazio interstiziale

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nel quale la coordinazione delle discipline originarie acquista il carattere di nuova disciplina61. 5.2 Crisi delle materie scientifiche Ammettere che la generica connessione tra le varie aree del sapere sia un fattore necessario per lavanzamento delle ricerche, della cultura e della conoscenza umana non sufficiente a superare lattuale segregazione disciplinare. Occorre, infatti, mettere in luce quali siano le carenze strutturaliquindi le prioritdel sistema distruzione, per intervenire direttamente sulle attuali emergenze: necessario individuare nel panorama dei saperi quali siano quelli pi marginalizzati e trascurati, con particolare riferimento alla situazione del nostro paese. In Italia, come gi sottolineato, la riforma Gentile62 aveva nettamente privilegiato gli studi filosofici-umanistici rispetto a quelli matematici e tecnico-scientifici. Questa caratteristica del nostro sistema distruzionediffusa a tutti i livelli, da quello scolastico a quello universitarioha manifestato i suoi effetti in questi ultimi decenni, conducendo a una generale svalutazione delle materie scientifiche63. Carlo Bernardini, partendo da questa tendenza, mette in evidenza lattuale propensione degli studenti per quelle che egli chiama scienze neoumanistiche, forme di cultura ibride nate da una sorta di realt artificiale64: si tratta di discipline quali linformatica, le scienze della comunicazione, la robotica, la sistemistica. Sia lentusiasmo dei giovani che lostilit dei pi anziani nei confronti di queste nuove aree disciplinari vanno considerate come atteggiamenti eccessivi, da ridimensionare alla luce di altre considerazioni. Bisogna, infatti, riflettere sul valore intrinseco delle scienze e della ricerca di base65:
[] le attivit culturali tradizionali (formazione classica e ricerca di base) hanno assunto una collocazione laterale, direi quasi esotica, nella quale difficile prendere coscienza
61. Ibidem. 62. Per approfondire si veda la sezione seconda del capitolo primo. 63. Si tratta di discipline quali matematica, fisica, chimica e biologia, spesso identificate come scienze pure. 64. Carlo Bernardini, Integrare scienze dure e scienze umane, sul portale nuovo e utile (www.nuovoeutile.it). 65. Ibidem.

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vuoi della funzione, che intrinsecamente hanno, di fertilizzante della qualit culturale generale, (peraltro poco richiesta dal pubblico) vuoi del fatto che le scienze pure sono la matrice remota, e quindi al di l dellorizzonte individuale, di ogni innovazione.

Infine, per ricomporre la frattura tra la cultura scientifica e quella umanistica, Bernardini propone di umanizzare le scienze, integrando nella didattica corrente di queste discipline la storia delle loro idee. Una proposta che, per quanto interessante, lascia qualche perplessit: posta in questi termini, si caratterizza come una soluzione a breve termine per risolvere il problema del disinteresse manifestato dagli studenti nei confronti delle materie scientifiche, un modo per riguadagnare [] un certo numero di anime disorientate66. Lurgente necessit di una rivalutazione della cultura scientifica in Italia stata riconosciuta anche a livello centrale, dal Ministero, che dalla met degli anni duemila ha promosso una serie di iniziative, indirizzate ai livelli di istruzione scolastica, volte a migliorare lapprendimento delle scienze e incentivare le iscrizioni alle facolt scientifiche. Unindagine preliminare67, datata aprile 2004, aveva messo in luce la crisi delle vocazioni scientifiche, che si manifestava in una diminuzione delle iscrizioni a percorsi universitari a contenuto scientifico. Da tempo alcune disciplinequali la fisica e la matematicanon erano pi percepite come significative per lo sviluppo economico del paese, mentre si tendeva a preferire discipline a carattere applicativo che hanno un riscontro lavorativo pi immediato. Tale considerazione era in controtendenza rispetto ai dati che invece indicavano una buona performance delle lauree di carattere scientifico sul mercato del lavoro e un generale buon livello di soddisfazione da parte dei laureati in materie scientifiche che lavorano68. Il sistema scolastico, daltro canto, tendeva a non motivare adeguatamente i giovani rispetto allapprendimento delle materie scientifiche. Lindagine sottolineava, infatti, quanto lidea di una scienza difficile, universalistica e

66. Ibidem. 67. Lindagine dal titolo La crisi delle vocazioni scientifiche e le sue motivazioni, commissionata dalla Conferenza Nazionale dei Presidi di Scienza, stata condotta da ObservaScienza e Societ, sotto la supervisione di Massimiano Bucchi (Universit di Trento) e Federico Neresini (Universit di Padova) e con la collaborazione di Valeria Arzenton e Andrea Lorenzet, e pubblicata nel mese di aprile 2004; reperibile nellarchivio online dellarea istruzione del Miur. 68. Ibidem.

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a-contestuale69 tenesse lontani gli studenti dallo studio di queste materie e proponeva, in contrasto, unidea di scienza capace di essere compresa anche nelle sue componenti storiche e sociali70. Una successiva indagine71 del 2006 raccoglieva le opinioni degli studenti di scuola secondaria superiore sui corsi di laurea in Chimica, Fisica e Matematica. In generale, i risultati dellindagine dimostravano una perplessit diffusa tra gli studenti circa le prospettive dimpiego offerte dalla frequenza dei corsi universitari in discipline scientifiche: la loro curiosit relativa a questi corsi risultava, del resto, molto pi spostata sul versante delle possibilit lavorative che su quello dellorganizzazione didattica. Gli studenti esprimevano, inoltre, il desiderio di un approccio pratico nellinsegnamento delle materie scientifiche, e la curiosit per una conoscenza diretta delle attivit di ricerca. Si registrava, ad ogni modo, una bassa propensione per liscrizione ai corsi di laurea scientifici, nonostante lindagine avesse preso in esame proprio gli studenti pi interessati a queste materie. Nel complesso, lindagine ha evidenziato la necessit di uno sforzo congiunto di scuola ed universit per aumentare le attivit di laboratorio durante gli studi superiori e offrire agli studenti la possibilit di effettuare degli stage per avvicinarli al mondo della ricerca scientifica72, considerato laspetto pi attraente dei corsi di laurea scientifici. I progetti che il Ministero nel frattempo si impegnava a promuovere e avviare puntavano a dare una risposta operativa alle esigenze individuate da queste prime indagini. 5.3 Promozione della cultura scientifica e tecnologica La prima delle iniziative ministeriali a cui si fatto riferimento il Progetto Lauree Scientifiche, nato nel 2004 dalla collaborazione tra il Ministero dellistruzione, delluniversit e della ricerca, la Conferenza Nazionale dei Presidi
69. Ibidem. 70. Si pu notare laffinit con le opinioni e le proposte di Carlo Bernardini sopra esposte. 71.Lindagine stata svolta sulla base di un questionario distribuito agli studenti partecipanti alledizione del 2006 dei Giochi della Fisica, dei Giochi della Chimica e delle Olimpiadi di Matematica. Sono state raccolte le opinioni di un campione di oltre 4.000 studenti delle scuole superiori, riguardanti i corsi di laurea oggetto del Progetto Lauree Scientifiche (chimica, fisica, matematica). 72. U. Segre, Opinioni degli studenti di scuola superiore sui corsi di laurea scientifici, sintesi dellindagine, su La chimica e lindustria, n. 9, novembre 2006; reperibile nellarchivio online dellarea istruzione del Miur

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di Scienze e Tecnologie e Confindustria. Lobiettivo iniziale del progetto era quello di incrementare il numero discritti ai corsi di laurea in Chimica, Fisica, Matematica e Scienza dei materiali, svolgendo azioni di orientamento rivolte agli studenti delle scuole secondarie superiori. Le attivit, concentrate nel quinquennio 2005-2009, hanno coinvolto circa 3000 scuole e 4000 docenti delle scuole superiori, oltre a 1800 docenti universitari. La principale innovazione rispetto ai tradizionali programmi di orientamento pre-universitario risiede nella realizzazione di azioni pensate come parte integrante e strutturale dellinsegnamento delle discipline scientifiche, con ricadute sullapprendimento stesso delle scienze. Esse consistevano in attivit di laboratorio curricolari ed extra curricolari, dedicate agli studenti degli ultimi tre anni, col fine di migliorare la conoscenza e la percezione delle discipline scientifiche nella scuola. Il lavoro congiunto tra scuole e universit per la progettazione, realizzazione e valutazione di questi laboratori, mirava inoltre ad avviare un processo di crescita professionale dei docenti di materie scientifiche in servizio nelle scuole secondarie. Il Progetto si impegnava, infine, a incentivare le attivit di stage e tirocinio presso le universit, i gruppi e gli enti di ricerca, sia pubblici che privati. Nei cinque anni di attivit del Progetto si registrato un sostanziale incremento73 delle immatricolazioni ai corsi di laurea di riferimento. Questi risultati, bench non siano unicamente riconducibili agli effetti del Progetto Lauree Scientifiche, hanno spinto il Ministero a rilanciare nel 2009 liniziativa, trasformandola in Piano nazionale per le Lauree Scientifiche (2010-2012), per sottolineare la necessit di passare dallo stato di sperimentazione iniziale ad un sistema che raccogliesse le pratiche migliori del precedente progetto e sperimentasse nuove azioni. Nel 2006 sono partiti anche due piani nazionali di formazione continua dei docenti della scuola primaria, secondaria di primo grado e del primo biennio del secondo grado74: si tratta del Piano Insegnare Scienze Sperimentali, rivolto agli insegnanti di scienze, e del Piano M@t.abel, rivolto agli insegnanti di matematica, per i quali il Progetto Lauree Scientifiche
73. Si registrato: +70% per la classe di Scienze Matematiche (L-35); +14% per la classe di Scienze e Tecnologie Fisiche (L-30); +33% per la classe di Scienze e Tecnologie Chimiche (L -27). Dati riportati sul sito ufficiale del Progetto (www.progettolaureescientifiche.eu) 74. Per una loro approfondita analisi si veda la terza sezione del capitolo quarto, dedicata specificamente a questi due casi studio.

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rappresenta il naturale completamento nellultimo triennio della scuola secondaria superiore. Nel 2010, infine, stato costituito75 un Comitato per lo sviluppo della cultura scientifica e tecnologica, eredit di un precedente Gruppo di lavoro, istituito con decreto interministeriale76 del 4 agosto 2006, con medesime finalit e simile composizione. Il Comitatoa cui affiancato un nucleo operativonasce con lintento di definire azioni per la diffusione della cultura scientifica e tecnologica, proporre progetti rivolti alla scuola e alluniversit, in particolare orientati alla formazione dei docenti e al sostegno della loro attivit professionale, e suggerire soluzioni metodologiche e didattiche per un miglioramento dei percorsi formativi delle discipline scientifiche.

6 Didattica esperienziale
La necessit di un rapporto dialettico tra conoscenza teorica e applicazione pratica, di un equilibrio di teoria e prassi, allinterno dei percorsi educativi e formativi sembra ormai una nozione acquisita, bench non completamente riscontrabile nella didattica scolastica o nei piani di studio universitari. Con le parole di Lucio Guasti77, si pu rilevare che:
[] la sola conoscenza non consente di raggiungere una reale comprensione dei fatti, dei concetti, delle idee; occorre accentuare il rapporto con la realt, con lapplicazione, con la prova empirica; necessario attuare una nuova connessione tra informazioni e apprendimento, mediata dalla visione applicativa degli oggetti considerati. [] Si apprende con maggiore efficacia se linformazione attraversa in modi diversi tutta la struttura del soggetto che composita e non soltanto focalizzata sulla dimensione intellettuale.

Occorre, pertanto, soffermarsi ad approfondire gli aspetti pi interessanti dellapproccio esperienziale allapprendimento, che ha origine nel pensiero del pedagogista americano John Dewey.

75. Decreto Ministeriale n. 54, del 30 giugno 2010. 76. Siglato dal Ministro delluniversit e della ricerca, dal Ministro della pubblica istruzione, dal Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione e dal Ministro per i beni e le attivit culturali. 77.Guasti, art. cit.

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6.1 John Dewey, educazione progressiva La riforma dellautonomia scolasticaa cui si fa riferimento in pi parti di questo capitolo per molti aspetti debitrice del pensiero di John Dewey, che in Italia ha trovato terreno fertile e sempre pi larga diffusione nella seconda met del Novecento78. Le idee del pedagogista e filosofo americano hanno avuto unampia risonanza in ambito europeo, anche al di fuori degli ambienti scolastici, a diversi livelli di istruzione e in molteplici contesti formativi. Uno degli aspetti su cui principalmente si fonda la corrente progressiva che fa capo a Dewey il valore dellesperienza nei processi di apprendimento, e in definitiva nei rapporti tra uomo e ambiente. Alcune caratteristiche di questo approccio sembrano essere tuttora valide. Risulta opportuno, per questa serie di ragioni, approfondire e verificare lattualit del modello pedagogico esperienziale. Leducazione tradizionale si caratterizzasecondo Deweyper essere essenzialmente fondata sulla trasmissione di conoscenze, abilit e norme comportamentali elaborate nel passato. Secondo questo modello, gli insegnanti sono considerati il tramite del processo per il quale il sapere del passato viene comunicatoattraverso libri e manuali che lo rappresentanoagli alunni; i quali soltanto in questo modo vengono in contatto con il materiale della conoscenza. Tale imposizione dallalto e dal di fuori impedisce la partecipazione attiva degli alunni a ci che viene insegnato, non corrispondendo alle loro effettive capacit di apprendere e comportarsi. La materia dinsegnamento resta estranea alle trasformazioni a cui la societ costantemente sottoposta. La nuova educazione progressiva mira a cambiare radicalmente questa impostazione, non soltanto opponendosi ad essa, ma rimettendo al centro del processo educativo lallievo, la sua individualit e la sua libera attivit. Lapprendimento, in questo caso, fondato sullesperienza anzich sulla trasmissione dei testi. Le abilit e le tecniche, non pi isolate dal contesto, sono viste come mezzi per ottenere fini che corrispondono a esigenze vitali. Unimpostazione di questo tipo corrispondecome si pu constatareallesigenza di orientare leducazione verso le possibilit del presente anzich strutturarla come preparazione per un futuro remoto e indefinito.79 Un
78. Ci accadeva proprio mentre negli Stati Uniti limpostazione pedagogica di Dewey subiva critiche e perdeva il consenso che aveva ricevuto negli anni venti-trenta. 79. Questo laspetto che va forse pi profondamente rivisto del pensiero di Dewey: tale orien-

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modello educativo, dunque, in linea con lindirizzo filosofico americano del pragmatismo di cui Dewey, del resto, era uno tra i maggiori esponenti. Al di l di questi principi astratti Dewey sostiene che, per evitarne il dogmatismo quanto una applicazione negativa, sia necessaria una esatta idea di esperienza. Bench ogni autentica educazione abbia origine nellesperienza, non tutte le esperienze sono di per s educative, ma solo quelle che permettono e favoriscono esperienze ulteriori, pi ricche, con un effetto a lungo raggio. Tutto dipende dalla loro qualit. Neanche la scuola tradizionale priva di esperienze ma esse sono in gran parte cattive, perch: lapprendimento considerato slegato dalla vita e dalle situazioni, rendendolo perci noioso; sono fondate su un addestramento automatico che inibisce le capacit di giudicare e agire consapevolmente; sono sconnesse tra loro anche quando singolarmente interessanti. Si deve allora puntare alla costruzione di un continuum sperimentale poich ogni esperienza riceve qualcosa da quelle che lhanno preceduta e modifica in qualche modo la qualit di quelle che seguiranno80. Questa continuit dellesperienza genera abitudini che si trasformano in comportamenti attraverso i quali luomo interagisce col mondo. Come si vede, lenfasi sul processo, sullo svolgimento della crescita. Compito delleducazionequindi degli educatori dunque quello di guidare le esperienze indirizzandole verso oggetti validi e positivi. Incarico tuttaltro che facile per leducatore chiamato a partecipare attivamente, con la duplice funzione di comprendere le caratteristiche individuali81 e riconoscere la direzione verso cui tendono le esperienze degli alunni, anche influenzate dalle condizioni circostanti82, di cui egli deve pertanto avere adeguata conoscenza. questo un chiaro richiamo, per i docenti, ad avvicinarsi alla vita dei ragazzi e contemporaneamente estendere il proprio dominio di conoscenze: nelle situazioni che lindividuo si trova ad affrontare interagiscono, infatti, entrambe le condizioni interne e
tamento tende a coincidere con un tipo di formazione indirizzata alla professione. Si confronti questo punto con le riflessioni di Vertecchi, riportate nel paragrafo 3.4 di questo capitolo. 80. J. Dewey, Esperienza e educazione, La Nuova Italia, 1938. 81. Sono le condizioni interne quali impulsi, bisogni, inclinazioni, sentimenti. 82. Sono le condizioni esterne e oggettive che vanno dai libri, agli altri, alla storia, alla societ e leconomia

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oggettive. Continuit e interazione sono allora i cardini dellesperienza educativa. Nel processo di interazione un aspetto particolarmente innovativo il fatto che il materiale educativo (condizioni oggettive) si adatta ai bisogni e le attitudini degli allievi (condizioni interne), cos come anche gli individui si adattano al materiale fornito. Un altro nucleo fondante delleducazione progressiva lidea della comunit di individui che partecipa attivamente e collettivamente allimpresa educativa e ne condivide in egual misura la responsabilit. Linsegnante diventa parte integrante di questo gruppo guidandone le interazioni e comunicazioni interne, anzich esercitare il suo controllo dallesterno. Leducazione si configura pertanto come un processo sociale. evidente soprattutto in questo passaggio la matrice democratica del pensiero di Dewey. Le attivit, che coinvolgono lintero gruppo, diventano progetti comuni ai quali ogni individuo porta il suo contributo. Esse dovranno essere attentamentenon rigidamentestudiate e pianificate, in maniera flessibile abbastanza da prevedere margini di libert sufficientemente elastici, spazi per il libero gioco del pensiero indipendente e contributi delle esperienze individuali, evitando di lasciare la didattica in bala dellimprovvisazione. A tal proposito Dewey sottolinea il rapporto tra la libert intellettualepotere di giudicare, scegliere, progettaree la libert di movimento. Nella scuola tradizionale gli alunni sono obbligati a rispettare il silenzio e limmobilit, un modello di passiva ricezione fondato sullascolto, che esclude il carattere sociale delleducazione. La libert dazione, invece, influenza positivamente lapprendimento e permette allinsegnante di conoscere gli individui. Il fine verso cui leducazione deve tendere lautocontrollo, il dominio di s, in generale lautodeterminazione. Per quanto riguarda la missione complessiva delleducazione, nei modelli tradizionali si tende a preparare gli studenti alla maturit, si apprendono abilit e conoscenze che serviranno soltanto pi tardi. Il futuro, che deve comunque essere tenuto presente ad ogni stadio delleducazione, nellimpostazione di Dewey si configura come un futuro prossimo, non remoto. Acquisire nozioni che poi si dimenticano vuol dire che esse sono state apprese in compartimenti separati dallesperienza, e come tali non servono alla vita attuale: si considerano solo i dati particolari in quel momento e non le attitudini sviluppate che contano e rimangono nel futuro. Un individuo deve trarre dalle esperienze tutto quello che esse possono offrire nel presente, non considerarle come preparazione alla vita futura. Leducazione deve tuttavia

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disporre le condizioni per un genere di esperienza presente che abbia un effetto favorevole sul futuro83. Un punto delicato, questo, che pu facilmente condurre a una visione delleducazione come utilitaristica, strumentale e professionalizzante. Se, infatti, resta valida la considerazione di favorire il valore presente delle esperienze educative, per mettere i giovani in condizione di dialogare con il mondo circostante, meno condivisibile sembra la tensione al futuro prossimo, allimmediata possibilit di applicare le abilit e le competenze maturate nel periodo di educazione formale84. Infine, circa il contributo delle conoscenze, Dewey non nega lopportunit di conoscere il passato, la validit delle nozioni ereditate. Tuttavia, specifica che queste dovrebbero costituire un mezzo, non il fine, delleducazione, uno strumento per giudicare e agire nel presente e nel futuro. Si ripresentano anche in questo punto le inclinazioni verso una visione strumentale del processo di insegnamento-apprendimento. 6.2 Definire il laboratorio Il modello della scuola progressista costituisce la base per un tipo di didattica che includa il momento laboratorialedellesperimento e dellapplicazionecome tassello fondamentale nei processi di apprendimento. Il laboratorio stesso sembra la sintesi dei punti cardine sopra illustrati. Vale la pena soffermarsi a definire pi precisamente cosa sia il laboratorio e quali siano le sue caratteristiche. Si tratta di un dispositivo che agisce a livello organizzativo, pedagogico e didattico85:
In sede organizzativa, il laboratorio propone un nuovo modello degli spazi scolastici. In ambito pedagogico dilata le dinamiche della socializzazione con un respiro ben pi ampio di quello che possono fruire nellaula-madre. Infine, in sede didattica favorisce un insegnamento altro, basato sulla ricerca, anzich sulla lezione frontale.

83.Dewey, op. cit. 84. Questo ricorda da vicino il concetto di spendibilit dei titoli di studio, e la preoccupazione circa lingresso nel mondo del lavoro, piuttosto che riguardo la costruzione a lungo termine di un profilo culturale stabile e lo sviluppo di autonomia critica e decisionale (lautodeterminazione di cui parla lo stesso Dewey). 85. M. Baldacci, Il laboratorio come strategia didattica, in Nando Filograsso e Roberto Travaglini (a cura di), Dewey e leducazione della mente, Franco Angeli, 2004.

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In estrema sintesi, il laboratorio uno spazio attrezzato in cui si svolge unattivit centrata su un certo oggetto culturale86. quindi sulle categorie della spazialit, attivit e oggettualit che esso si fonda. Nella spazialit tuttavia non rientra soltanto lo spazio fisico, diverso dallaula in cui si svolgono le lezioni frontali. Pu essere considerato laboratorio qualsiasi situazione didattica che preveda un tipo di apprendimento attivobasato sullimparare facendoal di l del luogo in cui questo avvenga. Pertanto ci si potr riferire anche a una spazialit di situazione nel caso in cui il laboratorio utilizzi spazi destinati ad altro: in questo caso conta latteggiamento mentale, lintenzionalit didattica. Sono entrambe condizioni astratte in quanto, nella prassi, lo spazio materiale, senza latteggiamento mentale vano; ma latteggiamento senza condizioni materiali adeguate rischia di risultare impotente.87 Il laboratorio pu definirsi, allora, anche come la sintesi di questi due aspetti: spazialit materiale e atteggiamento mentale. Per altri versi la stessa disposizione degli spazirelazioni spaziali tra le cose e tra le persone, oggetto di studio della prossemicapu determinare latteggiamento mentale dellattivit, essere il segnale che permetta allalunno di entrare nella situazione laboratoriale. Per quanto riguarda loggettualit del laboratorio, ad un primo livello logico, essa si esplica nella tematica particolare su cui incentrata lattivit; ad un livello pi profondo quello che si apprende non sono pi singoli contenuti ma abiti mentali, ovvero si acquisiscono modi di funzionamento cognitivi costanti, che caratterizzano a lungo termine la persona. Su questo, ovviamente, agisce soprattutto il modo in cui loggetto del laboratorio viene trattato, cio lattivit pratica che viene proposta. In questo punto esiste una certa affinit con i due livelli (tipi logici) di protoapprendimento e deuteroapprendimento teorizzati da Gregory Bateson88: il primo riguarda le forme pi elementari di apprendimento; il secondo, in particolare, consiste nellapprendere il contesto dellapprendimento di livello logico inferiore, ovvero nello sviluppo della capacit di imparare a imparare. Cos quando si fanno esperienze in laboratorio non si impara solo qualcosa sui singoli contenuti ma si apprende anche il contesto laboratoriale basato

86. Ibidem. 87. Ibidem. 88. G. Bateson,Verso unecologia della mente, Adelphi, Milano 1977.

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sullatteggiamento investigativo-riflessivo, sulla propensione a porsi problemi e ad affrontarli attivamente in maniera riflessiva89. Ci si chiede quale debba essere il contesto che favorisce lapertura mentale, la flessibilit, la profondit di investigazione. Nella prospettiva democratica di Dewey si tratta di un contesto in cui trova spazio il dubbio e la curiosit, contro lobbedienza a dogmi e certezze date. Uno spazio del confronto tra opinioni diverse e della verifica, della prova direttaapplicativache prevale sul giudizio dellautorit. La cultura si fonda, infatti, su qualcosa che tutti possono verificare in comune, su interpretazioni e conclusioni maturate in modo intersoggettivo.

7 Conclusione al capitolo
In conclusione, sulla scorta delle argomentazioni esposte in questo capitolo, si possono trarre alcune considerazioni utili allimpostazione della didattica anche a livello universitario, con particolare riguardo per larea del design. La complessit degli scenari contemporanei impone la necessit di percorsi educativi e didattici che permettano di comprenderne le caratteristiche e le articolate dinamiche, per rispondere alla loro rapidit di evoluzione e imprevedibilit. Pertanto, si dovrebbe impostare un modello distruzione scolastica e universitaria che preveda il superamento della chiusura disciplinare, in favore di un fitto scambio di contenuti, tecniche e metodi propri delle attuali discipline, sia allinterno dello stesso corso di studi, sia stimolando la creazione di reti di collaborazione tra facolt e scuole differenti. In questo senso si rivelerebbero interessanti spazi per la ricerca a livello di istruzione superiore. In particolare, nel caso del sistema italiano, caratterizzato da una preponderanza di discipline filosofico-umanistiche, si dovrebbe puntare a un potenziamento della base scientifica dellistruzione esteso a tutti i livelli e gradi: lo sviluppo di una mente elastica e scientifica permetterebbe allo studente di essere capace di assimilare e riflettere criticamente anche su questioni non strettamente legate allambito scientifico. Non legare, inoltre, leducazione alla costruzione di profili professionalidata laccelerazione nelle trasformazioni della realt contemporaneaquanto piuttosto orientarla allo sviluppo di profili culturali duraturi:
89.Baldacci, op. cit.

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formare la mente in modo che sia capace di adattarsi ai problemi e sappia trovare metodi per risolverli, piuttosto che limitarsi al passaggio di nozioni che lo studente accumula, ma non sa poi rielaborare e utilizzare di fronte a necessit reali. Una forte base di conoscenze e capacit di ragionamento e critica, dunque, che permetta allo studente, futuro cittadino e professionista, di continuare ad acquisire sapere, rielaborandolo e utilizzandolo con una progressiva autonomia. Ci, tuttavia, possibile se si sviluppano competenze a lungo termine, parallele allacquisizione di conoscenze, trasferite attraverso una didattica che comprenda il momento applicativo come strutturale e indispensabile al legame con la realtdi nuovo per evitare la chiusura disciplinare accademica. opportuno mettere in relazione queste considerazioni con il panorama dellistruzione nel campo della progettazione, le cui peculiarit sono affrontate nel capitolo successivo.

Capitolo terzo Sullinsegnamento del design

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1 Definire il campo
Nellaffrontare la questione delleducazione nellarea del design non si pu prescindere dalla determinazione del campo, senza tuttavia pretendere di tracciarne confini netti o elevare barriereil che sarebbe del tutto contrario alle tesi esposte nel precedente capitolo. Si cerca di riflettere su cosa sia il design, ovvero su cosa possa rientrare sotto questa denominazione e cosa, invece, andrebbe definito diversamente e in che modo. Pur affidandosi a definizionipresentate in ordine tendenzialmente cronologicopi e meno note o condivise, elaborate nel corso dello scorso secolo da storici, teorici e progettisti, si riscontra una moltitudine di punti di vista tale da rendere ancora pi vaga, incerta e confusa la definizione a cui si cerca di arrivare. Sono riportate in questa sezione una serie di tentativi di messa a fuoco, provando anche a mettere in relazione tra loro le varie definizioni proposte e valutarne la validit in rapporto sia al contesto contemporaneo che al tema centrale di questa tesi. Si continuano a considerarein questa sezione come in tutto il resto del capitoloentrambe le due grandi branche del design di prodotto e del progetto di comunicazione e grafico, chiedendosi anche se ci siano aspetti condivisi tra le due aree disciplinari. Peraltro, particolarmente difficile operare una distinzione chiara tra le posizioni di coloro che ammettono (e difendono) e coloro che escludono (o non considerano) linclusione della grafica e del progetto di comunicazione nellambito delle discipline del design. Non pi cos infrequente n sconosciuta, inoltre, lopinione che proprio la grafica non si possa neppure considerare una disciplina. Importante sottolineare, infine, che nei vari scritti per riferirsi al designsia nel caso del design di prodotto che della graficavengono usati dai diversi autori una moltitudine di denominazioni, per alcuni versi simili, per altri molto distanti sia lessicalmente che concettualmente, le quali dimostrano lindeterminatezzae spesso la confusioneche contraddistingue questo ambito. Si scelto, invece, di non addentrarsi nella definizione dei rapporti tra design e artigianato, design e architettura, design e arte, o tra grafica, comunicazione e pubblicit: il dibattito interessante e ricco di spunti di

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riflessione anche per gli argomenti di questa tesi; ma non costituendone il centro, tali temi sono chiamati in causa soltanto ove necessario. 1.1 Design e disegno industriale Gillo Dorfles nella sua Introduzione al disegno industriale (1972), consapevole di quanto ogni definizione possa risultare parziale, preferisce lasciare che il lettore se ne crei una seguendo le tappe del percorso storico da lui indicato. Ma vale la chiara precisazione che fa subito dopo a delimitare nettamente il campo di azione1:
Sarebbe erroneo, innanzitutto, ritenere che il disegno industriale sia un settore esistito da sempre: quello cio delloggetto utilitario. [] Una delle prime condizioni necessarie per considerare un elemento come rientrante nel settore che ci accingiamo ad esaminare che esso sia prodotto attraverso mezzi industriali e meccanici, ossia mediante linterventonon solo fortuito, occasionale o parzialema esclusivo della macchina.

Pi avanti ribadisce ancora la stretta correlazione temporale fra nascita della disciplina e meccanizzazione dei processi produttivi, collocando quindi ogni fase storica precedente in una pratica di artigianato manuale, solo parzialmente assistito da strumenti meccanici. Sempre nellambito delle definizioni, cercando di chiarire quale relazione intercorra tra disegno industriale e arte, Dorfles accenna a come, parallelamente alla nascita della nuova estetica funzionale degli oggetti prodotti industrialmente, lArte programmata introducesse nellarte la produzione meccanica di opere in serie, ribadendo ancora una volta la profonda ambiguit dei confini fra questi ambiti. Luso che Dorfles fa dellespressione disegno industriale successivamente finito col coincidere con la parola inglese design2, ma resta di fatto lessicalmente incoerente se riferito a oggetti, processi o metodi che non siano in qualche modo concernenti lindustria. Questo finisce col limitare di molto sia let che il campo dazione della disciplina, eppure Dorfles non esclude che essa possa essere considerata una materia dinsegnamento, vista anche
1. G. Dorfles, Introduzione al disegno industriale. Linguaggio e storia della produzione in serie, edizione rivista e ampliata, Einaudi, Torino 1972; prima edizione per Cappelli Editore, Bologna 1963. 2. Il primo significato del vocabolo inglese design corrisponde in italiano a progetto; da cui il verbo to design traducibile propriamente come progettare.

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crescente presenza del disegno industriale nello scenario economico-sociale di allora. Anche a proposito dellannosa questione che riguarda linclusione del graphic design nellambito del disegno industriale, Dorfles ne restringe il campo di competenza entro i rigidi confini della sua prospettiva tassonomica iniziale, limitandola perci ai soli progetti connessi alle imprese e alle attivit industriali o commerciali3. Da questa definizione stretta di grafica sono esclusidallo stesso autoretutti quei disegni, decorazioni, motivi ornamentali che rivestono gli oggetti, ma non vengono neppure menzionati i prodotti del panorama editoriale, n la grafica per i serviziad esempio, la segnaletica o la modulisticanon connesse con lattivit commerciale. Resta in dubbio, pertanto, la collocazione di tutte quelle rappresentazioni grafiche progettate non per lindustria. Lo stesso Dorfles, ancora, cita Arthur Becvar per mettere la sua definizione di disegno industriale in relazione a quella di design, considerato quale attivit di progettazione pi ampia, che consiste nel pensare al problema non nel considerare la soluzione4, concentrandosi quindi sullimpostazione stessa del problema. Gui Bonsiepe (1975) per chiarire i concetti di disegno industriale e di disegnatore industriale si attiene allanalisi comparativa di diverse proposte di definizione, che si inseriscono nel faticoso percorso della ricerca di unidentit e di una legittimazione dellattivit progettuale5 ed esprimono altrettanti orientamenti interpretativi del ruolo e degli scopi di tale attivit. Egli comincia riportando la definizione preliminare (working definition) della professione, espressa dallICSID nel 1957, anno della sua fondazione, e pi volte modificata:
Un disegnatore industriale una persona che si qualifica per la sua formazione, la sua conoscenza tecnica, la sua esperienza e la sua sensibilit visiva, in grado di determinare i materiali, la struttura, i meccanismi, la forma, il trattamento delle superfici e la veste (decorazione) di prodotti fabbricati in serie tramite procedimenti industriali. Secondo le circostanze, il disegnatore industriale pu occuparsi di uno o di tutti questi aspetti. Egli pu inoltre occuparsi dei problemi di imballaggio, di pubblicit,

3. Il marchio di fabbrica, il logotipo, limmagine coordinata sono gli esempi citati da Dorfles, op. cit. 4. A. Becvar, The designers answer, in Design Forecast, n. 1; citato da Dorfles, op.cit. 5. G. Bonsiepe, Teoria e pratica del disegno industriale. Elementi per una manualistica critica, Feltrinelli, Milano 1975.

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di esposizione e di marketing, qualora la soluzione di questi problemi, oltre ad una conoscenza tecnica e ad una esperienza tecnica, richieda anche una capacit di valutazione (appreciation) visiva.

Si pu notare come i limiti del disegno industriale siano individuati, come in Dorfles, dal processo produttivo in serie, tuttavia meno rigidamente e chiaramente. Infatti larea di influenza del disegnatore industriale nei confronti degli aspetti del prodotto industriale viene definita in maniera troppo ampia: difficilmente, per esempio, egli potrebbe determinare la struttura di prodotti ad alto contenuto ingegneristico. Tale definizione presenta, inoltre, una certa confusione quando si passa a campi affini ma pi problematici, come ad esempio la grafica. Mancano, infine, riferimenti allambiente, ai bisogni della societ, allinnovazione e lestetica non esplicitamente trattata. Nel 1969 lICSID sostituisce questa definizione provvisoria con quella di disegno industriale presentata da Maldonado nel 1961 al Congresso internazionale di Venezia6:
Il disegno industriale unattivit progettuale che consiste nel determinare le propriet formali degli oggetti prodotti industrialmente. Per propriet formali non si devono intendere solo le caratteristiche esteriori, ma soprattutto le relazioni funzionali e strutturali che fanno di un oggetto ununit coerente sia dal punto di vista del produttore che dellutente. [Il disegno industriale si estende ad abbracciare tutti gli aspetti dellambiente umano, che sono condizionati dalla produzione industriale.]7

Maldonado precisa che tali propriet formali derivano sempre dallintegrazione di diversi fattori di tipo funzionale, culturale, tecnologico o economico: corrispondono di fatto allorganizzazione interna delloggetto e non riguardano direttamente laspetto esteriore8. Ne consegue che la definizione di Maldonado andrebbe di volta in volta adattata a fattori quali il contesto socio-economico, alla sua struttura tecnologica, alla complessit del prodotto e al legame con la tradizione artigianale. In riferimento al prodotto, soprattutto laggettivo coerente richiama al legame con lambiente, implicando la

6. Episodio gi citato nel paragrafo 3.1 del capitolo primo. 7. Il periodo isolato tra parentesi quadre non compare in Bonsiepe, ma si ritrova sul sito internet dellICSID, nella sezione history (www.icsid.org); traduzione a cura dellautore. Bonsiepe riporta, invece, la versione pi estesa del manoscritto di Maldonado, il quale prosegue con la definizione delle propriet formali cui qui si fa cenno. 8. In questo senso Maldonado muove unimplicita critica alla tendenza americana dello styling, che sposta la questione della progettazione sul disegno del rivestimento superficiale

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legittimazione sociale degli oggettifrutto dellattivit di progettazioneche ne entrano a far parte. La necessit di collocare lattivit del disegnatore industriale gi nelle prime fasi di sviluppo dei prodotti, a livello di progettazione della struttura, oltre che in gruppi di lavoro, trova in Bonsiepe un forte sostenitore. Pur affermando una sostanziale differenza del designer rispetto al ruolo dellingegnere, le due attivit progettuali del disegno industriale e della costruzione meccanica vanno condotteper Bonsiepeparallelamente e senza rapporti di subordinazione. interessante guardare anche alle definizioni negative che etichettano il design come attivit di decorazione. Buckminster Fuller9 accusa il disegnatore industriale di ignoranza tecnologica, della mancanza di una solida capacit professionale che si sforza di mascherare con effetti visivi. Questa visione, anche se focalizzata sulla deriva americana dello styling, mette in luce la questione dellintervento10 del designer nella produzione materiale, spesso considerato marginale o secondario. Quanto pi il disegnatore industriale viene estromesso dai processi produttivi tanto pi sembra esaltare la propria soggettivit, per compensare la debolezza del suo intervento. Tuttavia, secondo quanto afferma Bonsiepe, il designer si andava ormai allontanando da questa visione che lo considerava alla stregua di un creatore di varianti formali per i beni di consumo11. La definizione del 1961, riportata da Bonsiepe, viene approfondita dallo stesso Maldonado nella voce disegno industriale dellEnciclopedia del Novecento Treccani12 (1977), ritenuta ancora oggi una delle definizioni pi complete. Maldonado sottolinea lincompletezza di una definizione di disegno industriale riferita unicamente alla progettazione di oggetti fabbricati in serie, la quale rischia di confondere le attivit distinte del designer e dellingegnere. Tuttavia, viene esclusa qualsiasi vicinanza semantica del disegno industriale allartigianato e allarte applicata. Approfondendo questo aspetto, Maldona9. Punto di vista riportato da Bonsiepe, op. cit. 10. In realt, oggi, non ancora possibile affermare che questo atteggiamento sia completamente estinto; soprattutto se si considera, ad esempio, linsistenza su termini quali creativit o originalit intesi quali principali valori dellattivit del designer. 11.Bonsiepe, op. cit. 12. T. Maldonado, Disegno industriale, in Enciclopedia del Novecento, Treccani, 1977. Il saggio poi confluito in T. Maldonado, Disegno industriale: un riesame, Feltrinelli, Milano 1991; successivamente riadattato per ledizione del 2008.

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do mette in luce le caratteristiche di integrit e coesione interna dellattivit artigianale, rispetto alle logiche della produzione industriale: se infatti lartigianato nelle societ preindustriali incorporava per sua natura la fase produttiva in quella progettuale, il disegno industriale rimane, invece, pi unistanza progettuale che, tramite lo sviluppo di appositi modelli, concorre a finalizzare il processo lavorativo. Ideazione ed esecuzione diventano quasi due diverse forze produttive chiamate a svolgere due funzioni diverse13. Le degenerazioni dellera capitalistica hanno ulteriormente esasperato la distanza tra progetto e lavoro, scomponendo questultimo in elementi minimi e snaturati, sempre pi lontani dal momento ideativo. Nel saggio, Maldonado riprende e chiarisce le posizioni espresse nel 1961 riguardo le propriet formali degli oggetti e il processo costitutivo di tali propriet, alla base dellattivit progettuale14:
[] progettare la forma significa coordinare, integrare e articolare tutti quei fattori che, in un modo o nellaltro, partecipano al processo costitutivo della forma del prodotto. E precisamente si allude ai fattori funzionali, simbolici o culturali relativi alluso, fruizione e consumo individuale o sociale del prodotto, quanto ai fattori tecnico- economici, tecnico-costruttivi, tecnico-sistemici, tecnico-produttivi e tecnico-distributivi, relativi alla sua produzione.

Pertanto, il disegno industriale si configura come unattivit non-autonoma, strettamente connessa, invece, al tempo in cui si realizza. Le scelte, solo allapparenza libere, in realt vengono prese nel contesto di un sistema di priorit rigidamente prestabilite. Da questo la necessit di adeguare la definizione di disegno industriale ai contesti particolari in cui si svolge lattivit, il cui compito resta quello di mediare dialetticamente tra bisogni e oggetti, tra produzione e consumo15. Per quanto riguarda le declinazioni disciplinari della progettazione, Renato De Fusco16 (1985)modellando le sue riflessioni sul pensiero di Maldonadosi oppone alla visione unitaria e totalizzante, espressione dellutopia razionalista, e al mito dellindustria come entit astratta e monolitica cos come concepita nel XIX e XX secolo: oltre che sbagliata, per il fatto di includere cose molto diversequali lurbanistica e il progetto degli oggettied
13. Ibidem. 14. Ibidem. 15. Ibidem. 16. R. De Fusco, La grafica design, in Grafica, n. 0, febbraio 1985.

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escluderne arbitrariamente altre come la grafica, tale visione si rivelata pura ideologia. In definitiva il campo del design non pu accogliere oggetti, prodotti, servizi cos diversi tra loro per il solo fatto di essere progettati, prodotti industrialmente e talvolta (ma evidentemente non sempre) con una intenzione estetica 17. Si evidenzia, pertanto, il profondo divario manifestatosi tra i vari settori del design, i quali presentano ognuno un proprio specifico modo di progettare, sistemi di fabbricazione, reti di distribuzione e cos via. Prendendo a prestito le parole di Maldonado, chiarisce18:
In realt, ci che esiste veramente sono le industrie. per questo motivo che non esiste un solo industrial design, ma ve ne sono parecchi molto diversi luno dallaltro. La concezione monistica di industrial design dovr essere sostituita da una concezione pluralistica.

Daltra parte, unorientamento eccessivamente specialistico, in cui rischia di incappare il punto di vista appena espresso, non permetterebbe dindividuare i tratti comuni, le costanti che permettono ancora di parlare di design per tutte le sue ramificazioni. Dunque, pi che rifarsi a delle definizioni pi o meno in linea con queste prospettive tassonomiche, utile rintracciare una fenomenologia del design, una sua maniera di manifestarsi 19, un denominatore comune a tutti i settori produttivi. Per questo De Fusco elabora il paradigma di progetto, produzione, vendita e consumo: quattro momenti continuamente interagenti che rendono lesperienza del design un processo unitario. Il paradigma resta, tuttavia, una schematizzazione di processi ben pi articolati, utilizzata soprattutto per comodit espositiva. Nicola Sinopoli, nellambito del dibattito circa linclusione del disegno industriale tra gli insegnamenti delle facolt di architettura20 (1990), rispetto alla questione del ruolo del design, della sua funzione sociale, in definitiva della sua utilit nei contesti economico-produttivi contemporanei, afferma21:
Il design tende a porre un problema di progetto in modo molto semplice dal momento che si applica a un prodotto che il pi delle volte programmaticamente inutile: non c assolutamente bisogno di un nuovo mattone, n un letto, o un tavolo, perch di mattoni, di letti e di tavoli ce ne sono di pi di quelli che servono. Linterlocutore
17. Ibidem. 18. T. Maldonado, Avanguardia e razionalit, Torino, 1974, citato da De Fusco, art. cit. 19. De Fusco, art. cit. 20. Per approfondire si veda il paragrafo 4.4 del capitolo primo. 21. N. Sinopoli (a cura di), Design italiano: quale scuola?, Franco Angeli, Milano 1990.

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di un problema di design un mercato (o un suo segmento, o una sua simulazione molto vicina al reale) ben definito nelle sue caratteristiche, che formula una domanda alla quale, bene o male, possibile rispondere solo una volta che questa domanda sia stata ben capita. Alla fine [] chi ha eseguito materialmente il progetto non oserebbe mai affermare che il nuovo mattone, il nuovo letto o il nuovo tavolo possono cambiare la storia del mondo.

La questione viene ridotta a un problema di scala, che minimizza in qualche modo le responsabilit implicita nellattivit di design. Da questa prospettiva non si considera i fattori di innovazione e ricerca che dovrebbero connotarla. Il disegno industriale visto come complementare alla progettazione architettonica, e funzionale a fornire alternative didattiche e di approccio a questa disciplina. Il design si appiattisce, cos, alla sola elaborazione ed esercizio di metodologie progettuali, e soltanto legate ai prodotti industriali. Per Andrea Branzi22 (1990), laccezione di industrial design inteso come produzione seriale di oggetti nasce di fatto da un errore storico. Tale concetto, profondamente radicato nellimmaginario collettivo, ha origine nella confusione tra quale sia il fine e quale, invece, il mezzo del design. Da qui sinnescherebbecome alcune definizione gi viste hanno sottolineatouna forte opposizione del design contro tutto quello che non pu essere industrializzato. Il design diventa cos promotore dellindustrializzazione pi spinta e accelerata. Ma esso per Branzi niente pi che uno strumento, mai un fine:
Se mancano i grandi teoremi civili e politici, le grandi strategie mentali e culturali, il design diventa una professione tra le pi scontate e, oggi, forse anche tra le pi secondarie, proprio perch lindustria ha in gran parte risolto tutti i problemi riguardanti la riproducibilit di serie degli oggetti.

Dunque resta ancora in dubbio se la riproducibilit seriale sia effettivamente un buon parametro per definire la disciplina. La componente progettuale si potrebbe considerare, infatti, parte integrante di ogni opera umana; parimenti i processi comunicativi preesistono ovviamente allindustria e le rappresentazioni grafiche, alla base del progetto grafico e di comunicazione, sono da considerarsi patrimonio della specie umana23. Si rende evidente, ancora una volta, la difficolt di focalizzare una descrizione univoca e accurata.
22. A. Branzi, Loggetto della metropoli: la Domus Academy come strumento di ricerca, in Sinopoli, op. cit. 23. Si veda, a tal proposito, la conversazione con Giovanni Lussu, che ispira queste considerazioni, presentata in appendice due.

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A conclusione di questo lungo paragrafo si prova, dunque, a mettere a confronto le definizioni e gli argomenti espressi dai vari autori citati con lattuale definizione ufficiale di design fornita dallICSID:
Scopo: Il design una attivit creativa il cui scopo di stabilire le sfaccettate qualit di oggetti, processi, servizi e dei loro sistemi negli interi cicli di vita. Perci, il design il fattore centrale dellinnovativa umanizzazione delle tecnologie e il fattore cruciale dello scambio culturale ed economico. Compito: Il design cerca di scoprire e valutare le relazioni strutturali, organizzative, funzionali, espressive ed economiche, con il compito di: migliorare la sostenibilit globale e la protezione ambientale (etica globale) fornire benefici e libert allintera comunit umana, individuale e collettiva indirizzarsi a utenti finali, produttori e protagonisti del mercato (etica sociale) supportare la diversit culturale contro la globalizzazione mondiale (etica culturale) fornire prodotti, servizi e sistemi, quelle forme che sono espressive di (semiologia) e coerenti con (estetica) la loro propria complessit Il design si occupa di prodotti, servizi e sistemi concepiti con strumenti, organizzazioni e logiche introdotte dallindustrializzazionenon solo quando prodotte con processi seriali. Laggettivo industriale affiancato a design devessere relazionato al termine industria sia nel suo significato di settore produttivo sia nel suo antico significato di attivit operosa. Dunque, il design una attivit che include un ampio spettro di professioni in ciascuna delle quali intervengono prodotti, servizi, grafica, interni e architettura. Insieme, queste attivit dovrebbero migliorare ulteriormentein coro con altre professioni correlateil valore della vita. Pertanto, il termine designer si riferisce a un individuo che pratica una professione intellettuale, e non semplicemente un mestiere o un servizio per le imprese.

Questa definizione, pi ampia e articolata, pare abbracciare pi sfaccettature e risolvere alcune questioni sollevate dalle precedenti. Ad esempio, si amplia il significato di industriale, estendendolo ad ogni attivit produttiva, anche se non legata a processi seriali. Cambia anche la visione del ruolo del designer, che progressivamente si discosta dalla figura dellingegnere per avvicinarsi a quella del mediatore, dell intellettuale, che si impegna a migliorare la qualit della vita rendendo le tecnologie pi accessibili e facendosi tutore di valori etici.

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1.2 Grafica e comunicazione visiva Nellinvenzione della stampa a caratteri mobili, ad opera di Gutenberg, diversi storici rintracciano il punto di svolta che ha portato alla nascita del design. Questo dato non solo costringe a una revisione della tradizionale periodizzazione ma legittima anche linclusione della grafica nel dominio del design. Secondo lanalisi di De Fusco (1985), proprio il settore della tipografia a racchiudere in s le principali caratteristichecompresa addirittura lintenzionalit esteticache saranno poi distintive della progettazione industriale propriamente detta. De Fusco individua due ragioni per cui molti studiosi rifiutano di includere la grafica nel novero del design. La prima una questione di datazione, la seconda di fisicit. Egli, innanzi tutto, smentisce che il design sia nato con la rivoluzione industriale della met del Settecento, ribadendo quanto tale teoria sia soprattutto fondata su unideologia capitalista. Ci, tuttavia, non deve far pensare che la stampa sia un frutto prematuro della civilt industriale, quanto piuttosto che questa nella sua globalit va[da] cronologicamente anticipata24, almeno al Rinascimento, epoca in cui hanno avuto origine il sistema bancario, le industrie manifatturiere e i principi della divisione del lavoro. Il secondo equivoco si basa sulla considerazione che il dominio dellindustrial design sia costituito esclusivamente da oggetti tridimensionali con specifiche caratteristiche tipologiche, morfologiche, materiali, al di l della scala dimensionale25. Questo pu essere smentito su pi fronti, uno fra tutti quello della miniaturizzazione, e cio della perdita di consistenza fisica apprezzabile delle componenti di oggetti ad alto contenuto tecnologico, indicata da Dorfles. Ammettere che la grafica rientri nel dominio del design non sufficiente, tuttavia, a darne una definizione. Gelsomino DAmbrosio, Pino Grimaldi e Cettina Lenza, in apertura del numero 0 della rivista Grafica tentano tale operazione26 (1985). Per i tre autori, definire il termine grafica significa rilanciare il dibattito su di unidentit disciplinare controversa e ancora priva
24. De Fusco, art. cit. 25. In queste considerazioni, si sente leco del famoso slogan di Ernesto Nathan Rogers dal cucchiaio alla citt. 26. G. DAmbrosio, P. Grimaldi, C. Lenza, Sulla definizione di grafica, in Grafica, n. 0, febbraio 1985.

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di un adeguato sostegno teorico. La nozione di grafica resta legata al settore della stampa, in quanto procedimento tecnico di riproduzione, mantenendo cos affinit con lindustria. Tuttavia in questo casorispetto al punto di vista di De Fusco con cui quello dei tre autori ha diversi punti di contattola grafica viene annessa, per certi versi, anche al campo dei messaggi visivi. Gli autori fanno prima un lungo excursus etimologico e comparativo sul termine grafica e le sue declinazioni aggettivali, che va dalla sua origine greca, alluso latino, al passaggio nel linguaggio scientifico in francese e nel senso metaforico in inglese, con particolare attenzione agli usi comuni nella lingua italiana e alla fortuna di alcune espressioni, quale quella di arti grafiche27. Alla fine di questo lungo percorso che attraversa aree semantiche discordanti e discipline molto diverse, approdano allidea che sembra accomunare tutte le definizioni raccolte, quella di rappresentazione, ovvero di meccanismo esplicativo fondato sullanalogia28:
Come ogni attivit comunicativa (visiva o meno) anche quella grafica si basa su codici, che regolano la produzione e la ricezione dellimmagine-messaggio. Dalloggetto, fenomeno, meccanismo, ecc. alla sua rappresentazione grafica interviene sempre il filtro di una selezione e pertinentizzazione nelle forme di una riduzione specifica.

Questa definizione in rapporto con quella di disegno, il quale descrive un oggetto compiendo unoperazione fortemente selettiva. Laddove non descrizione delloggetto (rappresentazione convenzionale), il prodotto grafico ri-produzione, rinuncia allazione di filtro per farsi trasferimento meccanico: in questo punto si parla pi chiaramente di moltiplicazione, di processo di sostituzione a catena29, e tale rapporto tra rappresentazione (analogica) e riproduzione (identica) spiega il passaggio dalla figurazione alla stampa. Astraendo ulteriormente, ci che sopravvive come tratto distintivo la generica connotazione visiva30 allinterno del vasto campo del comunicare.

27. Secondo pi giudizi etimologici, luso del termine grafica nel lessico attuale sarebbe frutto di un prestito linguistico: deriverebbe dallaggettivo grafico, sul modello del tedesco Graphik, sostantivo femminile nato dalla combinazione dei termini greci graphik tkne, indicante larte di scrivere, disegnare, dipingere. 28. DAmbrosio, Grimaldi, Lenza, art. cit. 29. Ibidem. 30. Ibidem.

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Giovanni Anceschi, nel tracciare le origini e le caratteristiche della disciplina31 (1991), si chiede provocatoriamente a cosa si debba riferire precisamente la storia che si accinge a ricostruire. Pertanto, preliminarmente, tenta di fare una mappatura schematicain quanto tale dichiaratamente inesaustivadel panorama della comunicazione visiva. Lo scopo quello di provare a mettere ordine e avviare un serio dibattito sul design della comunicazione. Anceschi riconosce che la fondazione disciplinare, lidentificazione di un ambito di autonomia e specificit32, nonostante lintenzionalit definitiva delloperazione, mai un atto istitutivo che si compie una volta per tutte, ma un processo che si svolge nel tempo, fatto di elaborazioni e aggiustamenti. Dunque, procede al vaglio della terminologia utilizzata nel corso degli anni per identificare la figura del grafico, delloperatore di quella che anzitutto una pratica, prima ancora che una disciplina. Egli prova a definire gli oggetti o le tappe della storia su cui la fondazione disciplinare dovrebbe basarsi, ipotizzando, ad esempio, una storia delle innovazioni tecniche e tecnologiche, oppure una delle figure autoriali. Constatando la parzialit di ognuno dei criteri selettivi proposti, tenta allora di definire una mappa dello stato dellarte, che aiuti ad individuare anche le zone di confine in cui la comunicazione visiva e la grafica si confondono con altri ambiti di progettazione, settori e fasi produttive. Si tratta principalmente di uno schema molto articolato degli artefatti e sistemi comunicativi di competenza del progettista, che porta Anceschi a individuare il cuore della disciplina nel metodo, nellarea in cui si sviluppano gli approcci concettuali e tecnici, le sequenze procedurali33: in questo senso a fasi divergenti di raccolta dati e di produzione di soluzioni possibili (apertura verso lesterno) si succedono fasi convergenti di analisi valutativa e decisione selettiva (concentrazione verso linterno). Anceschi nota che proprio nellarea del metodo i vari ambiti di cui si compone lo spettro del design della comunicazione tendono a entrare in rapporto ad altre disciplinemolto distanti dalle confinanti sorelle dellarchitettura, scenografia o urbanisticasia di taglio analitico o impostazione logico-matematica, per quanto riguarda gli aspetti procedurali del progetto, sia afferenti alle aree della percettologia,

31. G. Anceschi, Grafica, visual design, comunicazioni visive, in AA.VV., Storia del disegno industriale, vol III: 1919-1990. Il dominio del design, Electa, Milano 1991. 32. Ibidem. 33. Ibidem.

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semiotica, sociologia e antropologia, per quanto riguarda il destinatario della comunicazione. Anceschi, infine, in linea con le riflessioni degli autori prima presentati, segnala lindicativa assenza del design della comunicazione nella collezione del Museo della Triennale, nonostante gi dagli anni ottanta la riflessione teorica aveva prodotto la nozione di artefatto comunicativo che omologa gli strumenti e le merci comunicative e ogni tipo di veicolo informativo agli oggetti duso, cui nessuno negherebbe lo statuto di oggetti del design34. In Italia le comunicazioni visive, secondo Anceschi, sono ancora affrontate come relazionate alla produzione artistica, e pertanto incluse nelle facolt universitarie a indirizzo umanistico e artistico: una prospettiva limitante che risente della storica quanto ormai superata gerarchia tra arti pure e applicate. Non possono assicurare un valido percorso formativo neppure le facolt di scienze della comunicazione che, attente ad analizzare i processi della comunicazione, dimenticano la componente design allinterno degli artefatti comunicativi, e raramente includono la storia del progetto grafico e di comunicazione visiva. Nel 1989 viene redatta la Carta del progetto grafico35, promossa dallAiap, che definisce la disciplina e il ruolo del progettista di comunicazione attraverso una vera e propria costituzione, redatta in forma di articoli. Il documento esordisce con lattestazione, nel primo articolo, dellonnipresenza e della diffusione capillare della comunicazione, e dunque della grafica, nel mondo contemporaneo: essa per minata da inquietanti fenomeni di inquinamento visivo e di saturazione comunicativa36, che manifestano quindi lurgenza di una guida. Nel terzo articolo, la grafica viene collocata dentro al pi ampio sistema della progettualit orientata alle necessit delluomo37, assieme a urbanistica, architettura, disegno industriale con i quali oltretutto intrattiene un rapporto di costante interazione. Secondo i redattori, negli anni novanta la
34. G. Anceschi, Comunicazioni visive: circostanze preliminari, in Archivi e imprese, n. 14, dicembre 1996; riedizione parziale dellintroduzione al saggio G. Anceschi, Grafica, visual design, comunicazioni visive, cit. 35. G. Anceschi, G. Baule, G. DAmbrosio, P. Grimaldi, G. Illiprandi, G. Lussu, A. Marangoni, G. Torri, Carta del progetto grafico. Tesi per un dibattito sul progetto di comunicazione, in Notizie Aiap, n. 2 (supplemento), novembre 2004. Il documento stato elaborato dal comitato di redazione durante la Preassemblea nazionale Aiap del 24 giugno 1989, tenutasi ad Aosta. 36. Ibidem. 37. Ibidem.

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grafica ha assuntodopo larchitettura negli anni trenta, e il design negli anni sessantail ruolo di disciplina principe, che coordina e dirige la cultura del progetto. Seppur composta di orientamenti anche molto diversi, la grafica viene indicatanel quinto articolocome disciplina unitaria e coesa, con un bagaglio progettuale comune a fotografi, designer, illustratori, autori. Queste diverse ramificazioni dimostrano come, mano a mano che il mestiere si specializza, il ruolo del grafico diventi sempre pi registico, e che, a prescindere dalla competenze specifiche richieste, lapproccio conservi in tutti i casi dei connotati comuni nella maniera di strutturare i problemi e di risolverli38. LAiap non manca di sottolineare lemergenza nel problema della formazione e della didattica e registra nellItalia dellepoca un grande vuoto istituzionale39, non esistendo ancora nessuna vera e propria facolt di comunicazione visiva. Nuove responsabilit del grafico diventano unaltissima qualit del progetto grafico e la centralit degli utenti, nei confronti dei quali egli diviene responsabile. Risulta evidente che la grafica viene interpretata, dal punto di vista dellassociazione, come un fattore chiave non solo allinterno del pi vasto mondo della progettazione ma nella societ stessa. Lo stesso assetto del documento suona altisonante e a tratti corporativista, invocando la buona e bella grafica come entit salvifica contro gli scempi e le brutture, nel nome di utenti indifesi e spauriti. Giorgio Bucciarelli (2001) sinterroga, in particolare, sui confini e sul funzionamento della comunicazione visiva, precisando la sostanziale differenza tra le varie forme di trasmissione delle informazioni per i quali la ricezione avviene attraverso il senso della vista40. Sulla base di questanalisi, egli restringe il dominio della comunicazione visiva a quel tipo di comunicazioni volontarie, in cui esiste unurgenza comunicativa circoscrivibile a un preciso messaggio: sono pertanto escluse quelle involontarie, che comunicano semplicemente se stesse, quelle artistiche, non decodificabili secondo una modalit univoca, e le forme scritte per lalto grado di convenzionalit del codice.
Lambito di interessi dunque quello nel quale linformazione trasmessa dipende dalla qualit dei segnali visivi utilizzati, quindi dalle modalit della comunicazione, ma naturalmente latteggiamento mentale con cui ci si accosta ad un qualsiasi atto
38. Ibidem. 39. Ibidem. 40. G. Bucciarelli, Architettura e comunicazione, in Notizie Aiap, n.11 , ottobre 2001.

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informativo che consente di ascriverlo o meno al campo della comunicazione visiva, rimanendo comunque problematiche le distinzioni categoriche.41

Dunque, per Bucciarelli, la comunicazione grafica ascrivibile solo a forme consapevoli e univocamente interpretabili, pur sostenendo che essenzialmente latteggiamento mentale di chi fruisce il messaggio a stabilire la natura di questa comunicazione. Resta inoltre controversa la sua esclusione della scrittura dalle forme di comunicazione visiva, poich per quanto i codici della scrittura possano essere altamente convenzionali, essi costituiscono una parte importante e sostanziale del progetto grafico e di comunicazione. In occasione delluscita del primo numero (2003) di Progetto Graficola nuova versione della rivista dellAiapGiovanni Anceschi redige, su richiesta della stessa rivista, una definizione breve dellespressione che d il titolo alla testata42:
Progetto grafico (ingl. graphic design): In quanto progetto si tratta di unattivit tecnica e intellettuale finalizzata al raggiungimento di un obiettivo (e non di art pour lart). Ci che viene progettato linsieme degli artefatti comunicativi. Il progettista grafico disegna sia le merci comunicative, come ad es. i prodotti del design editoriale, sia i sistemi grafici, siano essi di natura notazionale (ad es. diagrammi e codifiche), sia di natura scrittoria (font e icone), sia raffigurativa (immagini generative e immagini di ripresa). Le immagini possono comprendere cio da un lato le figure del disegno, dellillustrazione e del cinema di animazione e dallaltro quelle di tipo fotografico, cinematografico e immersivo. In altre parole il progetto grafico detiene la responsabilit della configurazione (cio dellattribuzione di una struttura, di una forma e delle relative qualit estetiche) a tutti i sistemi e a tutti i messaggi che materializzano (anche in modo eidomatico) linsieme dei rapporti che intercorrono fra gli attori sociali. Che si tratti di persone o di identit artificiali (in altre parole dellimmagine di enti, aziende o istituzioni) oppure si tratti di una qualunque delle forme assunte dai supporti per il trasferimento di saperi e di informazioni da un attore allaltro, e cio del cosiddetto knowledge diffusion and sharing, in ogni caso il progettista grafico o dovrebbe esserecoinvolto. Luniversale diffusione dei media e degli ipermedia audiovisivi e interattivi, che sono caratterizzati dallirrompere determinante della temporalit nella fruizione, ha prodotto, peraltro, un radicale ripensamento in termini registici (e non pi meramente compositivi) dellintera attivit. Sono diventate centrali, ad es., da un lato le questioni di natura pianificatoria e strategica e dallaltro le problematiche coreografiche del design dellinterazione.

41. Ibidem. 42. G. Anceschi, Progetto grafico, in Progetto grafico, n. 1, luglio 2003.

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Aspetti da sottilineare di questa definizione sono, in prima istanza, la finalit (obiettivo) che differenzia il progetto grafico dallarte (autoreferenziale). In secondo luogo la vastit dellarea di oggetti e sistemi a cui si applica la definizione, che vanno dalleditoria, ai diagrammi, ai caratteri tipografici, alla ripresa cinematografica. In questa materia vasta e magmaticacome gi sottolineato nella Carta del progetto graficooggi il progettista, tradizionalmente chiamato a dare struttura e forma ai messaggi e ai sistemi che intervengono nei rapporti tra attori sociali quali persone, aziende e istituzioni, tende quasi naturalmente ad assumere il ruolo di regista, di coordinatore dellattivit comunicativa. Mauro Zennaro, nel 2005, riprendendo gli argomenti della Carta del progetto grafico, esprime esplicitamente le sue perplessit sul documento, considerato effettivamente desueto, nonostante abbia solo quindici anni. Tra le tante innovazioni e fattori che hanno radicalmente modificato il contesto in cui il progettista opera, il principale sicuramente la diffusione dei personal computer e di internet, che hanno dato avvio alla cosiddetta era del desktop publishing43:
Che ci piaccia o meno, chiunque oggi pu fare un marchio, redigere e stampare una newsletter, progettare e gestire un sito web. Dalla rete si pescano qualunque testo e immagine, nonch software per riutilizzarli. Possiamo anche deprecare il fatto che ormai cani e porci facciano il nostro mestiere, ma tanto lo fanno lo stesso e noi non possiamo farci niente.

Giovanni Lussu, nel saggio scritto per la voce design della comunicazione dellEnciclopedia del XXI secolo (2010), partendo dallindividuazione dellorigine della disciplina nella prima associazione storica di designer, offre nellintroduzione unarticolata definizione che vale la pena di leggere44:
Le attivit progettuali connesse alla comunicazione, in particolare alla comunicazione visiva, si diversificano e si ridefiniscono in relazione alle innovazioni tecnologiche, agli sviluppi produttivi e alle riorganizzazioni sociali. opportuno quindi circoscrivere, per quanto possibile, le implicazioni dellespressione design della comunicazione. Essa inscindibile dallesistenza di una specifica categoria di operatori che in tale ambito si riconoscono e in quanto tali vengono riconosciuti dallambiente in cui sono attivi: lassociazione professionale europea di gran lunga pi rappresentativa, la Chartered society of designers, stata fondata a Londra nel 1930 come Society of industrial ar43. M. Zennaro, Bisogna insegnare la grafica?, in Progetto Grafico, n. 6, giugno 2005. 44. G. Lussu, Design della comunicazione, Enciclopedia italiana XXI secolo, Treccani, 2010.

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tists, e solo nel 1960 ha preso il nome di Society of industrial artists and designers, per assumere lattuale denominazione nel 1986. Nel termine design, infatti, continuano a coesistere gli apporti di molteplici tradizioni: da un lato, quelle di natura pi artistica, dallidea vittoriana e poi europea delle arti applicate, attraverso le avanguardie del Novecento che pi si sono poste obiettivi di tipo utilitaristico; dallaltro, quelle di natura pi spiccatamente tecnica e scientifica. [] Lepoca in cui viviamo, lepoca della globalizzazione, sembra inoltre caratterizzata non tanto da stili e metodologie riconoscibili e tassonomizzabili, quanto dalla compresenza di approcci molteplici in mutevoli rapporti tra loro. Appare quindi illusorio dare del design una definizione univoca, pur sottolineando che nella seconda met del Novecento in Italia lespressione stata associata pi alla progettazione di prodotti duso che alla comunicazione visiva. Assumeremo in questo saggio che, nella terminologia italiana e negli assetti didattici e istituzionali, per design della comunicazione sintende oggi (rispetto al termine pi generico grafica, il cui significato tende ormai pi verso lambito espressivo) la progettazione di artefatti comunicativi, in particolare di tipo visivo, svolta da operatori specializzati in presenza di precisi vincoli produttivi e con obiettivi pi nettamente tesi agli aspetti di tipo funzionale, legati alla risoluzione di specifici problemi posti da determinate committenze, pubbliche o private.

Lussu non manca di sottolineare come nel termine coesistano storicamente pulsioni di natura diversa, come il concetto di arte applicata da un lato, e le tendenze funzionaliste dallaltro; non solo, nel mondo contemporaneo tali pulsioni sembrano proliferare, generando metodologie sempre pi diverse e varie. Egli limita per il campo del design della comunicazione alla produzione di artefatti su commissione sviluppati in un ambiente controllato e finalizzati al problem-solving, tendendo ad abbandonare la denominazione di grafica per via delle sue implicazioni espressive, che si potrebbero mettere in relazione allautorialit e al soggettivismo di molte produzioni in questo ambito. utile guardare rapidamente alle tappe della denominazione che lAiap ha adottato dalla sua fondazione ad oggi: allinterno della Federazione italiana pubblicit (FIP), nasce nel 1945 come Associazione dei tecnici e artisti pubblicitari (Atap); dal 1955 la componente degli artisti pubblicitari si distacca da quella dei tecnici, riunendosi nellAssociazione italiana degli artisti pubblicitari (Aiap). Lassociazione, tentando una continua definizione del campo professionale che intende rappresentare, continua a modificare la propria denominazione associata allacronimo che resta invariato: diventa dapprima Associazione italiana creativi comunicazione visiva; poi, riferndo la denominazione alla pratica disciplinare piuttosto che alla professione, passa ad essere Associazione italiana progettazione comunicazione visiva;

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infine giunge allattuale denominazione di Associazione italiana design della comunicazione visiva. Lussu a proposito delle denominazioni adottate commenta45:
Fino a qualche tempo fa, almeno da noi, il design della comunicazione poteva intendersi in modo un po diverso dalla semplice grafica: luno un pizzico pi hard e progettuale e laltra tendente allespressivo e al decorativo. Ma nel 2012 lAiap [] approdata ad Associazione italiana design della comunicazione visiva, impadronendosi del termine design e rottamando progetto di comunicazione. Ci sono due possibili letture dellevento: a) tutta lAiap diventata pi hard; b) tutto il design diventato pi decorativo.

Facendo un paragone, per avere una idea di quanta confusione e incertezza permanga nella denominazione e definizione di tutto quello che pu chiamarsi comunicazione visiva, si pensi allADI, lassociazione che riunisce progettisti, imprese, ricercatori, insegnanti, critici, giornalisti intorno ai temi del design46, la quale dallanno della sua fondazione (1956) sempreragionevolmenterimasta Associazione per il disegno industriale. Queste evidenti difficolt nella definizione della disciplina, del suo campo dazione, nonch del ruolo e dei compiti dei professionisti che operano nel settore della grafica e comunicazione visiva, non sono una peculiarit italiana. La situazione a livello internazionale del tutto simile, connotata dalla stessa indeterminatezza e inafferrabilit. Ance lIcograda, nata nel 1963 come International Council of Graphic Design Associations, ha successivamente cambiato denominazione arrivando a quella attuale di International Council of Communication Design. Inoltre, le definizioni ufficiali di design della comunicazione e della professione di riferimento proposte dallassociazione sono tuttaltro che definitive: in generale esse riflettono il globale slittamento del progetto di comunicazione da produzione di un artefatto a processo strategico che consente la comunicazione in un formato visivo. Di seguito la traduzione delle definizioni di design e designer della comunicazione47:
45. G. Lussu, Miele dalla rupe: considerazioni di un grafico indolente, in Progetto grafico, n. 20, estate 2012. 46. Descrizione dellADI, dal sito internet dellassociazione (www.adi-design.org). 47. Definizione elaborata nel 1984 e ratificata alla ventiduesima Assemblea generale dellIcograda, 26 ottobre 2007; reperibile sul sito internet dellassociazione (www.icograda.org); traduzione a cura dellautore.

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Design della comunicazione: una attivit intellettuale, tecnica e creativa che riguarda non soltanto la produzione di immagini ma anche lanalisi, organizzazione e metodi di presentazione di soluzioni visive a problemi di comunicazione. Designer della comunicazione: colui che ha la sensibilit, la competenza ed esperienza e/o la formazione professionale per creare progetti o immagini riproducibili su qualsiasi mezzo di comunicazione visiva, e che si occupi di grafica, illustrazione, tipografia, calligrafia, packaging (design della superficie per il packaging), o il progetto di patterns, libri, pubblicit o materiale promozionale, progettazione per trasmissioni, interattivo o ambientale, o qualsiasi altra forma di comunicazione visiva.

Infine lIcograda, constatando che in tutto il mondo la professione e la disciplina sono definite in modo diverso, invita i membri e simpatizzanti a presentare ulteriori definizioni. Pi interessante delle definizioni sottoscritteancora poche, ma soprattutto discutibili su molti aspetti, obsolete o quanto meno incomplete il fatto che lIcograda rispetto allICSID48 lasci aperte le definizioni, rendendosi conto della compresenza di termini diversi nei vari paesi, fortemente dipendenti da radici storiche o tradizione culturale. Ad ogni modo la definizione ufficiale di design della comunicazione appare molto legata al concetto di immagine, parametro troppo sfuggente e ampio per definire una disciplina. Anche il lungo elenco delle competenze del designer sembra ancora parziale e tutto incentrato sul principio della produzione di immagini, applicabili poi, come ovvio, a qualsiasi supporto. La totale assenza di tentativi dindentificare un filo conduttore ma piuttosto di ridurre tutto ad una sfilata di applicazioni segnala, in unassociazione di professionisti, una chiara intenzione di creare identificazione in quanti pi membri possibili piuttosto che delineare un campo e le modalit dazione della categoria. Queste considerazioni possono essere messe in relazione a quanto afferma Katherine McCoy. In un suo saggio49 del 1990 (pi volte riedito), McCoy si chiede se il graphic design sia effettivamente una professione. Quello che emerge con maggiore evidenza che il campo non esisteva neppure allinizio del XX secolo, e tuttora non esiste una nomenclatura appropriata o sufficien48. Entrambe le associazioni sono membre della International Design Alliance. 49. K. McCoy, Education in an Adolescent Profession, in S. Heller (a cura di), The Education of a graphic Designer, Allworth Press, New York, 2005. Gi presente in J. Frascara (a cura di), Graphic Design: World Views, ICOGRADA, Kodansha, Tokyo, 1990.

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temente condivisa. Labbondanza di termini inglesi50 riferiti a questa pratica progettuale simile a quella che si riscontra in ogni lingua. McCoy, tuttavia, insiste su un fatto interessante51:
Gli stessi graphic designer non sono gli unici ad avere difficolt nella definizione del loro ruolo. La posizione professionale del graphic design non per nulla universalmente riconosciuta. Per esempio, il Servizio di immigrazione e il Dipartimento del lavoro degli Stati Uniti restano incerti sul fatto che il graphic design sia una professione, bench essi riconoscano chiaramente la posizione professionale di altri campi della progettazione, inclusi architettura e disegno industriale.

Tale condizione giuridica precariaa cui Gunnar Swanson fa corrispondere la condizione di eccezionalit ed emarginazione dei corsi di design allinterno degli atenei americani52trova riscontro anche in alcune tendenze corporativiste interne alle associazioni professionali italiane: a pi riprese si rivendica il riconoscimento della professione, si avanzano richieste per listituzione di ordini o addirittura di albi professionali. Pretese che mettono in luce una certa assenza di identit professionale o disciplinare, e un malcelato timore nei confronti dellaccessibilit sempre maggiore agli strumenti e tecniche propri della professione. 1.3 Considerazioni finali I dati che emergono alla fine di questo lungo excursus sono essenzialmente ancora incompleti e discordanti. Emerge, ad ogni modo, una sorta di dualit nelle posizioni: da una parte sembrano esserci i processi produttivi che portano a parlare di disegno industriale, progetto per lindustria e grafica come disegno industriale; dallaltra, invece, il progetto, lattivit e il metodo della progettazione, che restano pi vicini ai concetti di rappresentazione, sintesi visiva e gestione e organizzazione delle informazioni. Permangono alcune implicazioni connesse alla realt produttiva, difficili da omettere: come lavvento dellindustria abbia profondamente trasformato lattivit ideativa introducendo una serie di vincoli propri della produzione
50. Lelenco fornito dallautrice comprende: graphic designers, graphic artists, commercial artists, visual communicators, communication designers, layout men, paste-up artists 51.McCoy, Education in an Adolescent Profession, cit. (traduzione a cura dellautore). 52. G. Swanson, The illegal alien, discorso alla conferenza Reinventing Design Education in the University tenutasi a Perth (Australia), dicembre 2000.

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in serie, quali, ad esempio, la ripetibilit e la standardizzazione; come dallo sviluppo economico e dalla trasformazione dei processi industriali sia derivata la diffusa consapevolezza della componente progettuale nella produzione di beni di consumo; e come, infine, laspetto della progettazione si sia cristallizzato in una pratica professionale attraente, che ha fatto avvertire la necessit di percorsi formativi ad hoc. Venendo al problema della didattica, occorre specificare che le definizioni proposte non definiscono automaticamente quale debba essere la formazione del designer. Se lindustria, il progetto degli oggetti e degli artefatti comunicativi, cos come le rappresentazioni esistono, ci non vuol dire che a essi debba corrispondere un percorso formativo univoco, n tantomeno che per ogni compito o professione relativi a questo ambito debba esser previsto un percorso educativo distinto e specializzato. Una formazione generaleintesa, per, non come commistione di tutte le specializzazioni possibili, quanto piuttosto come una base forte di conoscenze e competenze declinabile per ognunapotrebbe risolvere la pretesa di questa corrispondenza scuola-professione53, e insegnare a porre, considerare, interpretare problemi e scenari, senza assumere le caratteristiche di formazione professionale. Del resto, cos come non aveva pi senso per Dorfles54 (1972) una divisione del disegno industrialee quindi della formazione al designper materiali di produzione, non sembra avere pi senso, oggi, la divisione tra i rami del design in base alloggetto della progettazionele industrie di cui parla Maldonado. Sempre pi sfumati sono i confini tra le competenze e risulta, pertanto, piuttosto forzato smembrare un progetto complesso secondo il criterio della tecnica produttiva o della metodologia progettuale di ognuna delle parti che lo compongono. Questo permette tuttavia di continuare a fare delle distinzioni nellarea vasta e inclusiva del design, ma cambiando i criteri: si dovrebbe trattare di distinzioni che tengano conto di altri fattori, quali la destinazione finale, le componenti di ricerca e la rilevanza sociale dellattivit progettuale.

53. Si veda sulla questione anche la conversazione con Giovanni Lussu, presentata in appendice, che ha decisamente contribuito a ispirare queste riflessioni. 54.Dorfles, op. cit.

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2 Formare il designer
Dorfles definisce il designer sia come il progettista delloggetto da produrre ma anche come il pianificatore della stessa vicenda produttiva55, e riferendosi allazione del designer nella progettazione afferma56:
[] uno dei suoi primi obiettivi sar quello di raggruppare sinteticamente i dati ricavati dalle informazioni avute dai diversi ricercatori [] cos da poterne trarre le conclusioni che gli permettano di individuare il tipo di prodotto da progettare. Ecco perch sar impossibile che un designer possieda le nozioni tecniche e scientifiche sufficienti a permettergli la progettazione di qualsivoglia prodotto, anche se si sar specializzato in un determinato ramo dellindustria. Mentre sar certamente ammissibile chevalendosi delle informazioni avute dai tecnici e dagli espertipossa progettare oggetti di cui possa anche non penetrare compiutamente i requisiti scientifici.

Questa definizione solleva in qualche modo il progettista dal peso delle nozioni ingegneristiche, pur tenendolo altrettanto o ben pi lontano dallorientamento creativista, che vede nel designer una sorta di sorgente per trovate originali. Anche a proposito della formazione del designer, infatti, considera prioritaria leducazione globale, la preparazione integrata in diverse aree del sapere rispetto alle conoscenze esecutive. Il designer, gi nella definizione di Dorfles, si caratterizza dunque come un coordinatore delle varie competenze e risorse che concorrono alla produzione di oggetti fabbricati industrialmente. Una posizione che, come si gi evidenziato, trova corrispondenza anche nellarea del progetto di comunicazione visiva. La frammentazione delle discipline e delle relative competenze in segmenti sempre pi specialistici porta a considerare lesigenza di una figura che sappia creare i ponti, le relazioni tra tali competenze e domini di conoscenza. Tutto il capitolo, di fatto, ruota attorno alla definizione del ruolo del designer. Ritornando agli argomenti principali di questa tesi, dal punto di vista della formazione, ci si chiede quali siano, a questo punto, le competenze proprie di questa figura ibrida appena delineata, quale il grado di approfondimento relativamente alle conoscenze prettamente tecniche, e in che misura lattivit di questo tipo di designer si caratterizzi come intellettuale, critica, di ricerca.
55. Ibidem. 56. Ibidem.

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Ad ogni modello pedagogico, del resto, si pu far corrispondere una diversa visione di cosa sia il designer, di quale ruolo rivesta nella societ in quanto soggetto dinamico, piuttosto che unidea di design astratta e sfuggente, tendenzialmente inutile da definire, come tutte le discordanti definizioni fin qui proposte hanno dimostrato. 2.1 Proposte di percorsi formativi In occasione della chiusura del Corso superiore di disegno industriale e comunicazioni visive di Roma (1970), Anceschi prova a definire unidea di didattica del design57, sulla scorta sia della personale esperienza di Ulm che dellinsegnamento presso la scuola di Roma. Egli elenca una serie di strumenti che uno studente si aspetta di avere dalla scuola. Bench gli strumenti non siano le uniche cose di cui il designer debba disporre, questi dovranno essere concettuali e metodologici, pi che tecnici. Anche lorientamento e lintenzionalit sono ritenuti determinanti per lintervento del designer in un determinato contesto, in particolare quello di un ambiente complesso, condizionato da dinamiche socio-economiche opposte e compresenti. Dunque ogni intervento del futuro designer dovr essere caratterizzato da: consapevolezza, che lo metta in condizioni di analizzare, prevedere e intervenire sulle conseguenze del suo operare, possedendo strumenti approfonditi di analisi culturale e sociale; efficienza, nel senso del possesso di conoscenze scientifiche e tecnologiche avanzate, legate a padronanza metodologica; innovazione, per modificare strutture preesistenti e fornire alternative sostanziali. Dorfles, nel 1972, lamentando la quasi assoluta carenza dimpostazione didattica italiana, sia in confronto a un alto livello di progettazione industriale che rispetto al contesto europeo e americano, si cimenta nella definizione delle materie di studio, un programma-tipo per una scuola di design di livello universitario, articolata in quattro o cinque anni di corso. utile notare che Dorfles, in questo caso, utilizzi il termine design per estenderlo alle varie ramificazioni che un percorso formativo di progettazione dovrebbe includere o prevedere, cos come accadeva nelle scuole estere dellepoca. Tuttavia resta la categorica delimitazione del design ai metodi e processi industriali, considerando addirittura dintralcio ad un buon sistema
57. G. Anceschi, Relazione pedagogica per lanno accademico 1969/70, in Rassegna dellistruzione artistica, numero speciale dedicato allattivit del CSDICV di Roma, luglio-dicembre 1972.

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didattico linnesto delle scuole di design su preesistenti scuole di artigianato o arte applicata, dovuto allorigine stessa della disciplina. Particolarmente interessante, nellimpostazione complessiva che egli propone, lapertura a discipline non specialistiche, ovvero non direttamente legate alla progettazione industriale. Il modello dichiarato quello della scuola di Ulm58:
[Essa] tendeva a dare un particolare sviluppo, oltre che allaspetto tecnico-scientifico del disegno e alle sue applicazioni pratiche, anche alla basi teoretiche dello stesso e alla ricerca nel campo della comunicazione visuale e della comunicazione scritta. Inserendo cos lo studio del design nel pi vasto settore delle discipline sociali, statistiche e linguistiche che hanno e avranno sempre maggior peso nella nostra civilt.

La lista degli insegnamenti proposta lunga e comprende un primo gruppo di materie complementari, variabili a seconda delle carenze nella preparazione precedente dello studente59; e un secondo gruppo di materie fondamentali, ovvero quelle specialistiche relative allarea della progettazione, gran parte delle quali dimpostazione analitico-scientifica. Del tutto secondario , invece, lo studio delle tecniche e dei processi produttiviche potr essere approfondito direttamente con la partecipazione ad un ciclo lavorativo di fabbrica con risultati molto pi veloci e pratici60mentre lenfasi tutta sullimpostazione globale dello studente, in quanto Dorfles, giustamente, ritiene che non si possa assolutamente concepire uno studio del disegno industriale che sia avulso da una globale educazione dellindividuo e da una preparazione tecnica, sociale, scientifica, artistica, davvero integrata61. Si nota dunque quanto sia ritenuta importante la compresenza di insegnamenti provenienti da aree disciplinari lontane fra loro, un modello multidisciplinare per fornire una preparazione che non sia unicamente professionale ma uneducazione articolata, che riguardi diversi aspetti della vita dellindividuo, prospettiva ancora valida se si considerano le considerazioni a cui si giunti nel precedente capitolo.

58. Ibidem. 59. Tra le materie proposte da Dorfles: storia dellarte, psicologia, matematica, fisica, chimica, elementi di architettura. 60.Dorfles, op. cit. 61. Ibidem.

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Rivolgendosi al contesto contemporaneo, bench linteresse nella formazione alla progettazione e lespansione dellofferta didattica che prendevano avvio agli inizi degli anni ottanta siano ora in contrazione, secondo Anceschi, oggi come allora la richiesta di formazione in questo settore pressante62, poich lindustria culturale, dellinformazione e della comunicazione continua ad averecome si diceva anche nella Carta del progetto graficoun ruolo traente. Di designer c continuo e sempre maggiore bisogno. Nel 1983, per, Anceschi si chiedevae la domanda sembra ancora oggi drammaticamente attualese il vero business nella formazione al design fosse la prospettiva professionale futura o linsegnamento stesso. Quasi a indicare come trainante nellespansione dellofferta formativa il fattore moda, senza considerare invece le effettive possibilit di inserimento della figura del designer nel contesto socio-economico. Al di l di questo, il fatto inconfutabile che oggi la figura del progettista profondamente cambiata, soprattutto per due fattori. In particolare, per quanto riguarda il grafico, levento sconvolgente lirrompere della temporalit nel progetto: si disegnano meno artefatti e pi eventi , e anche gli artefatti sono sempre pi gli attrezzi di scena per lo svolgimento degli eventi63. Un fatto, questo, chiaramente connesso con lavanzare dei media elettronici in cui la comunicazione ha la possibilit di subire continue metamorfosi. Il grafico tradizionale quindi chiamato a misurarsi con il fattore tempo e pertanto a diventare progettista di sequenze, atmosfere, processi e trasformazioni: in questo senso la figura del progettista assume le caratteristiche di regista che plasma il processo comunicazionale64. Il secondo fattore legato alla nozione di scala, che sembra decadere al cospetto dei nuovi media: il caso dei siti web o dellinteraction design, difficilmente categorizzabili secondo questo parametro. Quella di scala una tipica nozione della tradizione architettonica, la quale considerava le diverse aree del progetto sottoposte al suo dominio secondo una struttura gerarchica: ritorna lidea rinascimentale della diva architectura di cui parla-

62. G. Anceschi, Design di base e fondamenta del design, ne Il verri, n. 43, giugno 2010; riedizione rivista e ampliata dellarticolo, gi in Ottagono, n. 70, settembre 1983. 63. G. Anceschi, Oltre la grafica (intervista), in G. Camuffo, M. Dalla Mura, Graphic design worlds, catalogo della mostra tenutasi presso la Triennale di Milano dal 26 gennaio al 27 marzo 2011, Electa, Milano 2011. 64. Ibidem.

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va Leon Battista Alberti, ma anche quella pi recente di opera darte totale (Gesamkunstwerk) coordinata dal progetto di architettura. Nel corso del XX secolo si andata affermando una certa separazione e relativa autonomia delle discipline del progetto. Oggi questa diversificazione, con lingresso della temporalit e con la caduta della nozione di scala, tende a sfumarsi generando uno sfondamento dei confini e dei limiti disciplinari. Questi fenomeni sono laltra faccia dellatteggiamento postmoderno di erosione dei saperi e delle certezze precedenti, al quale Anceschi reagisce introducendo il concetto di baricentro. Esso risponde alla grande richiesta di fondamenti, e quindi a una esigenza di propedeuticit. I modelli rizomatici e liquidi del pensiero debole sono pi che altro utili a capire e descrivere i comportamenti contemporanei. Si avverte, invece, una forte necessit dindividuare ci che di stabile e costante permane di una disciplinaovvero il baricentro disciplinareda cui si possono poi propagare onde che arrivano a interferire e intrecciarsi con gli altri saperi. Questo modello si presenta allora come una mediazione o un superamento, anzi, della separazione modernista e dellinformalit postmoderna. Gli educatori soprattutto devono avere il coraggio di prendere posizionepur restando aperti alle trasformazionie riconoscere e affermare con forza le cose costanti, le spine dorsali, le gerarchie conoscitive e le dipendenze concettuali65. Il sistema educativo potrebbe allora trarre un grosso contributo alla sua trasformazione dal modello dei baricentri, mettendo in relazione procedure pedagogiche specialistiche e fondative con momenti interdisciplinari e transdisciplinari. lidea delle universit tematiche, contenuta gi nel pensiero ultimo di Maldonado66, che si organizzano e operano per questioni globali, non per discipline. Una visione del genere sarebbe tesa a immergere inoltre la ricercae sperimentazioneaccademica nel contesto reale.

3 Fondazione disciplinare, insegnamenti fondamentali


Una delle questioni principali relative alla formazione del designer quella che riguarda gli insegnamenti propedeutici. Nei corsi e nelle scuole che si
65. Ibidem. 66. Si veda lidea dellorganizzazione universitaria per dipartimenti e la proposta di corsi di design ambientale, cui si fa cenno nel paragrafo 3.6 del capitolo primo.

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sono occupati fino a oggi della formazione dei progettisti si sono alternati differenti approcci dinsegnamento, che in qualche modo hanno sempre stabilito un rapporto di continuit o rottura rispetto ai modelli didattici sviluppati nelle prime importanti scuole di design, parallelamente alla nascita della disciplina. 3.1 Modelli pedagogici, propedeutica e basic design Quello che illustra Anceschinellarticolo sul design di base gi citato un percorso che prende le mosse dal momento di avvio, di fondazione disciplinare, un momento che pi che storico si caratterizza appunto come mitico/genetico/originario67. Ne conferma il fatto che oggi esistono contemporaneamente molte possibilit: Il nostro presente la compresenzadiciamo cosastorica della quasi totalit dei modelli operativi e dei sistemi produttivi, appunto: arte artigianato, industria, design, styling, marketing, moda, pubblicit68. La sua analisi ci aiuta, dunque, a distinguere e comprendere modelli pedagogici ricorrenti nella didattica del design, le loro origini e implicazioni. Il primo momento quello della bottega medievale, un modello di apprendimento pragmatista, di learning by doing, in cui il maestro il centro, lesempio. assente ogni propedeutica e il lavoro si apprende imitando il maestro per quanto possibile. Gi a questo stadio tendono a distinguersi due atteggiamenti pedagogici. Uno di stampo orientale, in cui il discente naturalmente trasportato verso lapprendimento e si allener per il raggiungimento del risultato (training): compito del maestro quello di predisporre le condizioni, liberare la strada; luomo concepito come un fascio di potenzialit da sviluppare con esercizio e metodo. Laltro atteggiamento quello occidentale che considera il docente come depositario e fonte del sapere da distribuire agli allievi, i quali, debolmente motivati, devono essere stimolati allapprendimento; luomo in questo caso un vaso vuoto da riempire di conoscenze e nozioni. famosa la metafora dellimbuto, del travaso. Il sapere cos diventa facilmente trascrivibile in elementi e regole da seguire. Tra le due concezioni cambia anche il rapporto con le attrezzature: sufficienti allesercizio di abilit, nel primo, o predominanti fino a sostituirsi allazione, nel secondo.
67.Anceschi, Design di base, cit. 68. Ibidem.

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In questo modo, progressivamente, il momento dellideazione si sgancia dallesecuzione. Viene messo a punto un percorso di apprendimento per gradi, che contiene logicamente anche fasi propedeutiche: si tratta di un processo prettamente deduttivo che da idee generali passa attraverso le tecniche alla conferma delle cose imparate. Un primo esempio quello della trattatistica pittorica rinascimentale. Il basic design69 nasce chiaramente come un insegnamento propedeutico. Tuttavia ha delle caratteristiche singolari: contiene sia la componente dellesercizio (training/orientale) sia quella di trasmissione del sapere (analitica). Le radici vitalistico-espressive che hanno ispirato lelaborazione del corso di base70 allinterno del Bauhaus, da cui il basic design ha origine, sono approfondite nel paragrafo successivo. Quello che Anceschi segnala che, nonostante il corso di base tendesse alla stimolazione e liberazione delle forze creative, anche nel caso di figure di insegnanti non certo connotate in un senso razionalistico, limpatto con la didattica e lincontro con gli allievi in carne ed ossa, spinge alla produzione di proto-teorie71, un sapere oggettivo legato alla costruzione di fondamenti disciplinari. Ci vale per Wassilij Kandinskij e Paul Klee72, cos come per Johannes Itten, giunti nel corso dellinsegnamento allelaborazione di teorie e trattati73. Nella versione di Lszl Moholy-Nagy, invece, il corso propedeutico si orientava pi verso la sperimentazione e la tecnologia: veniva in qualche modo superata la tensione tra saper fare e sapere trasmissibile. In sintesi, dal punto di vista di Anceschi, il basic design la disciplina in grado di connettere insegnamento e conoscenza, pedagogia ed epistemologia. Ovvero durante le esercitazioni dei corsi di base, contemporaneamente si subisce un training e si produce una conoscenza.
69. Lespressione non altro che un riadattamento del tedesco Grundkurs/Grundlehre (corso/ insegnamento di base), elaborato in contesto americano, dove alcuni dei professori del Bauhaus si sono trasferiti in seguito alla chiusura della scuola. 70. Si fa riferimento sia al Vorkurs traducibile come corso propedeutico, sia al Grundkurs che si pu rendere come corso di base o fondamentale. 71.Anceschi, Design di base, cit. 72. Ai due artisti non era affidato il cosiddetto Vorkurstenuto da Itten solo fino al 1922, poi passato a Moholy-Nagyma i corsi dinsegnamento artistico generale (pittura) che insieme al corso propedeutico costituivano la formazione di base prima dei laboratori divisi per sezioni. 73. Punto, linea, superficie di Kandinskij stato pubblicato nel 1926, il Quaderno di schizzi pedagogici di Klee del 1925, mentre Arte del Colore di Itten stato pubblicato pi tardi nel 1961 (titoli delle traduzioni italiane).

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Un caso a parte il basic design sviluppato da Josef Albersmaturato in particolare nel periodo alla direzione del Dipartimento di design dellUniversit di Yale , il quale in sostanza propone unintegrazione tra i due poli di training e fondazione: la disciplina che emerge dalla ricerca deve essere adeguata agli orizzonti della percezione piuttosto che simulare la scientificit istituzionale. In altre parole, il criterio di giudizio e validazione dei risultati non oggettivo n soggettivo ma intersoggettivo: nellambito della percezione vero quello che risulta vero per la comunit di senso degli studenti, ovvero una verit dialogica. Nella versione di Ulm del corso di base, con la riforma didattica messa in moto da Maldonado, dallinserimento di elementi tratti da discipline pi e meno affini alla progettazione, si passa gradualmente a un basic specializzato, articolato disciplinarmente, e chealtra caratteristica importanteda ricerca libera para-artistica diventa perseguimento di un preciso risultato o effetto: un problem solving circoscritto alle questioni della configurazione, che si concentra su una sola variabile o un solo obiettivo74. Sono adesso i contributi scientifici ad assumere il ruolo propedeutico e omogeneizzante. In questa tendenza contenuto il successivo passaggio. Lo spostamento verso il processo progettuale, lesigenza di aderire alle modalit della prassi, attiva il rovesciamento: la ricerca pura e generale del basic diventa una ramificazione, un supporto al progetto. Si ripercorre la strada che le conoscenze hanno affrontato nel formarsi, dal particolare al generale. Linsegnamento per progetti praticato in molte universit e corsi di design un tipico caso, secondo Anceschi, di approccio anti-basic, che attribuendo alla ricerca una posizione subalterna ne mette a rischio lautonomia. In Italia, per via della carenza strutturale delle universit75, la formula del basic design non ha mai propriamente informato i corsi e le scuole di progettazione. I casi isolatiquali, ad esempio, lesperienza dello stesso Anceschi allIsia di Roma negli anni sessanta, e in tempi pi recenti allo Iuav di Veneziasono stati compensati dalle sperimentazioni dellarte programmata, che si sono caratterizzate come una sorta di basic design senza insegnamento: esperienze che hanno visto tra i loro protagonisti non solo artisti, ma anche designer quali Anceschi e Munari.

74.Anceschi, Design di base, cit. 75. Si vedano le ultime sezioni del capitolo primo, che ricostruiscono la vicenda dellinclusione delle discipline del progetto nelle universit italiane.

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3.2 Origine dellespressivit soggettiva interessante, a questo punto, guardare allanalisi che Maldonando conduce in un articolo del 1978, in cui approfondisce alcuni aspetti del percorso precedentemente tracciato76. Nonostante Maldonado parli in termini di formazione artistica, la sua ricostruzione utile a comprendere lorigine delle tracce di creativismo, soggettivismo e artisticit ancora presenti nella formazione dei progettisti e di riflesso nellimpostazione delle scuole che si occupano delleducazione al design. Si sono gi seguitenel capitolo primole tappe storiche fondamentali che hanno determinato il progressivo allontanamento degli attuali corsi di design dalla formazione artistica tradizionale. Tuttavia, si pu ancora notare quanto questo legame non sia del tutto superato: sufficiente riscontrare che, almeno in Italia, le Isia, scuole di progettazione, contengono gi nel loro nome il riferimento allarte e che una parte della formazione in questa disciplina tuttora affidata alle accademie di belle arti. Riflettendo sul significato della formazione artistica, il suo ruolo e il venir meno dalla legittimazione storica, Maldonado chiede di sostituire al vecchio dibattito sulla morte dellarte unindagine sulla funzione che la pratica artistica, sia nella sua componente educativa che creativa, svolge o non svolge nel contesto sociale77. Mutuando il modello di Thomas S. Kuhn della distinzione tra scienza normale e scienza straordinaria per adattarlo al campo dellarte, egli individua due orientamenti storicamente presenti: unarte normale che opera con canoni, norme, paradigmi altamente istituzionalizzati, e unaltra arte straordinaria che si rivolta contro i paradigmi vigenti proponendo nuovi modelli al processo creativo, mettendo in atto rivoluzioni artistiche. Nel passato larte normale ad aver coperto il ruolo principale nella formazione artistica: le accademie non sono mai stati luoghi dinnovazione, quanto piuttosto le istituzioni capaci di tramutare le innovazioni precedentidel passatoin paradigmi socialmente accettati e fruibili. Questa situazione completamente cambiata da quando le avanguardie artistiche del Novecento hanno contribuito a frantumare quel corpo di regole dellarte normale, impedendo la ricomposizione di qualsiasi nuovo
76. T. Maldonado, Arte, educazione, scienza. Verso una nuova creativit progettuale, in Bauhaus, Vchutemas, Ulm, Casabella, n. 435, numero monografico, 1978. 77. Il particolare contesto a cui fa riferimento Maldonado quello tardo-capitalista.

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sistema. Maldonado si chiede, dunque, cosa siano diventate da allora le accademie, i luoghi della formazione artistica. Il risultato di questo processo una instabilit del sistema artistico tale da tornare stabile. Decaduto il confronto dialettico tra accademia e innovazione, accade che tutto sia arte normale oppure tutto arte straordinaria: in un caso o nellaltro le accademie non sono allaltezza di gestire nessuna delle due situazioni. questo il cuore della loro crisi, e della crisi della formazione artistica generale. Successivamente, la formazione artistica ha teso principalmente al potenziamento delle capacit creative tramite esercitazioni che utilizzavano gli elementi propri della pratica artistica. A fondamento di questo tipo di istruzione artistica sta lidea che la creativit passi esclusivamente per lespressivit, che anzi creativit non sia altro che espressivit 78. Le origini di questa impostazione sono ben argomentate da Maldonado e in generale sono da rintracciare nel proto-romanticismo tedesco. l che la scienza stata rifiutata come fonte di conoscenza rispetto allarte che permette un contatto non-intellettuale, immediato, con la realt; contatto che avviene, in particolar modo, liberando tutto il potenziale espressivo del corpo. Su questa stessa visione nasce il movimento della Arbeitschule (scuola del lavoro) nella prima decade del XX secolo, in cui lanti-intellettualismo viene portato alle estreme conseguenze: si impara facendo, non leggendo. Questi orientamenti, insieme al movimento di formazione artistica di Hildebrandt, allattivismo pedagogico di Montessori e al progressismo di Dewey, hanno fortemente influito sullimpostazione didattica del Bauhaus, in particolare sul corso fondamentale79:
[] lo studente deve dare via libera alle sue forze espressive e creative tramite la prassi manuale e artistica, [] deve acquisire una conoscenza non esclusivamente intellettuale, ma anche emozionale, non attraverso i libri80, ma tramite il lavoro. Educazione tramite lArte, lAzione, il Lavoro. Queste sono le costanti che si possono trarre dal pensiero pedagogico dei maestri del Bauhaus.

78.Maldonado, Arte, educazione, scienza, cit. 79. T. Maldonado, Sulle radici della didattica del Bauhaus, 1958; articolo citato da Maldonado, Arte, educazione, scienza, cit. 80. Si consideri che il Bauhaus non era fornito di una biblioteca; quella di Ulm, invece, era stata il motivo della folgorazione che Enzo Frateili sub quando nel 1959 fu in visita alla scuola: Avevo messo piede nella biblioteca della Scuola e vi avevo trovato una tale Terra Promessa di fonti insospettate, direi di un grande retroterra culturale; E. Frateili, Lincantesimo del Kuhberg, in Il contributo della scuola di Ulm, Rassegna, n. 19, numero monografico, settembre 1984.

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Del resto, come sottolinea Francesco Dal Co, pi che la fine di unepoca il Bauhaus rappresenta listituzionalizzazione di un sogno romantico dalle lunghe radici81, e allorigine del programma di fondazione della scuolacome gi accennato nel capitolo primocera una precisa intenzione di recupero dellattivit artigianale come preservazione dellautonomia dellarte dalla meccanizzazione della produzione industriale. La severa critica di Maldonadocondivisa dai principali protagonisti di Ulmsi rivolge, dunque, a questa impostazione attivistico-espressionista di una parte della didattica del Bauhaus che privilegiando gli aspetti meramente motori, emotivi, intuitivi lasciava gli individui assolutamente sprovvisti degli strumenti razionali con cui analizzare, valutare e infine reagire allordinamento societario borghese82. Quello che propone allora un tipo di creativit non pi intesa come espressivit individuale, ma come pratica razionale, creativit come progettualit83. 3.3 Formazione di base, il modello di Ulm Questa serie di critiche alla base dellimpostazione didattica che la Hochschule fr Gestaltung di Ulm sviluppa gi prima dellarrivo di Maldonado, e poi assume definitivamente quando nel 1956appena tre anni dopo linizio delle attivit della scuola (1953) e un anno dopo la sua inaugurazione ufficiale (ottobre 1955)lo stesso Maldonado subentra a Max Bill nella direzione della scuola84. Se Billcome nelle intenzioni dei fondatoriaveva in mente di proseguire lopera del Bauhaus85, improntata alla costruzione del progettista-artista investito del compito di combattere il brutto con laiuto del bello, del buono, del pratico86, Maldonado, gi dal suo arrivo, richiama alla necessit di ridefinire i termini della nuova cultura87 ponendo laccento sullindividua81. F. Dal Co, Prefazione alledizione italiana, in H.M. Wingler, Il Bauhaus, Feltrinelli, 1972. 82.Maldonado, Arte, educazione, scienza, cit. 83. Ibidem. 84. In corrispondenza del cambio di direzione si verifica anche il passaggio dal rettorato al sistema del collegio direttivo. 85. Nel primo anno di funzionamento della scuola di Ulm i docenti erano tutti provenienti dal Bauhaus, ad eccezione di Otl Aicher. 86. M. Bill, Prima relazione come direttore della scuola, 1952; citato da M. Bistolfi, La HfG di Ulm: speranze, sviluppo e crisi, in Rassegna, n. 19, settembre 1984. 87.Bistolfi, art. cit.

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zione della finalit sociale della creativit che la scuola intende raggiungere. L obiettivo esplicito la formazione di un nuovo tipo di progettisti, i quali devono possedere le conoscenze specifiche tecnologiche e scientifiche necessarie alla collaborazione con lindustria moderna. Nello stesso tempo essi devono tenere conto delle conseguenze culturali e sociali del loro lavoro88. Capisaldi della nuova impostazione sono, dunque: una componente fondamentale di conoscenze scientifiche e tecnicheche prima erano per lo pi complementari agli studi artistici e figurativi , lenfasi sui metodi razionali e una forte consapevolezza sul ruolo sociale e culturale del progettista. A questo si aggiunge la volont di collegare la didattica alla produzione, proponendo progetti alle industrie o accogliendo le loro richieste, anche con lo scopo di coprire in parte i costi della scuola. In questo cambiamento di rotta verso le discipline scientifiche89 sta il vero apporto innovativo della scuola alla fondazione disciplinare e allinsegnamento del design, nonch alla costruzione di una nuova figura di progettista. Ma va considerato anche il contesto in cui la scuola nasce e opera, profondamente diverso rispetto allantecedente ideale del Bauhaus: la Germania divisa del secondo dopoguerra, impegnata, almeno nelle premesse iniziali, in una grande opera di rifondazione culturale e ricostruzione democratica del paese. La HfG aveva intuito in anticipo la necessit del contributo delle materie scientifiche alla formazione del designer, avvertita dal resto del paese solo nel periodo delle contestazioni studentesche, proprio quando la scuola entrava nella fase critica che ha portato alla sua chiusura nel 1968. Il corso di base il terreno su cui maggiormente si apprezza questo passaggio dimpostazione. Come spesso nota Anceschi, il corso di base (anche preparatorio o propedeutico), che si era chiamato Vorkurs al Bauhausaffidato prima a Itten, poi a Moholy-Nagy, infine ad Alberse Grundkurs o Grundlehre a Ulm, in seguito tradotto come Basic design nei paesi anglo88. T. Maldonado, primo numero della rivista ulm, ottobre 1958; citato da Bistolfi, art. cit. 89. Nellanalisi di Martin Kramper, si calcola che linsegnamento scientifico copriva in media un quarto del curriculum, nonostante la percentuale variasse a seconda delle fasi di vita della scuola e a seconda delle sezioni interne. Interessante notare che linflusso esercitato dalle materie scientifiche tecnocratiche (metodi di matematizzazione) fosse minore dellapporto di quelle socio-scientifiche (come scienze delle comunicazioni, sociologia, psicologia), a differenza di quanto solitamente si crede. Si tratta, comunque, di unanalisi quantitativa che, come avverte Maldonado, trascura quella serie di sentimenti e temperamenti che hanno svoltoe comunque sempre svolgonoun ruolo fondamentale nella storia della HfG. M. Kramper, Il contributo dellinsegnamento scientifico alla HfG, in Rassegna, n. 19, settembre 1984.

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sassoni, riveste unimportanza decisiva nelleducazione al design90. Esso segna, infatti, il punto di svolta nella definizione disciplinare, a livello sia pedagogico sia gnoseologico. Tuttavia, esistono alcune differenze fondamentali, come gi accennato, tra il corso propedeutico del Bauhaus e linsegnamento di base di Ulm. Il primo, comune a tutti i vari indirizzi, aveva il fine di azzerare ogni pregiudizio formativo, creare unarea espressiva omogenea, orientandosi allesercizio fisico del polso e alla liberazione del gesto, nella versione di Itten, oppure alla sperimentazione libera e alla ricerca formale nella versione di Moholy-Nagy. Il secondo, dopo una prima fase di riproposizione del modello bauhausiano, nellanno accademico 1957-58 subisce una profonda revisione che modifica radicalmente lassetto organizzativo dellinsegnamento: il corso viene articolato in una serie di materie: metodologia visiva, lavori di laboratorio, metodi di rappresentazione, metodologia della progettazione, sociologia, teoria della percezione, storia della cultura del XX secolo, corsi integrativi di completamento delle conoscenze di base dello studente, quali matematica, fisica, chimica; viene progressivamente abbandonato lapproccio della sperimentazione libera, di matrice artistica, per passare a una formulazione pi precisa degli elementi, delle regole e dellobiettivo delle varie esercitazioni proposte; gradualmente il corso preparatorio comune si orienta a una sempre maggiore specializzazione fino alla formazione di pi corsi fondamentaliuno per ogni indirizzo didatticodifferenziati secondo le esigenze di ciascuna sezione, cosa che avverr definitivamente nel 1962, con lentrata in vigore del nuovo regolamento e con la direzione di Otl Aicher. Alla base di questa svoltaanche chiamata riforma Maldonado, nonostante coinvolgesse un entourage pi ampioc la considerazione che lapproccio didattico attivistico-espressionista fosse pi adatto a livelli distruzione inferiore: i modelli di riferimento, infatti, erano stati elaborati nel contesto della formazione in et pre-scolare e scolare. Alla visione dello studente come principiante se ne sostituisce una di studente gi maturo, adulto, che frequenta appunto un istituto distruzione superiore.

90. Con design, in questo caso, non si fa riferimento allattivit a cui corrisponde una pratica professionale, ma al design come disciplina o materia dinsegnamento.

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Certo tale impostazione, pur rigorosa nelle sue premesse, non era esente da critiche e contrasti interni. La reazione al modello del learning by doing e il neopositivismo imperante rischiavano di condurre a un tipo di insegnamento accademico e alladorazione del metodo. In ragione di ci, allinterno della scuola si potrebbero distinguere, in termini molto riduttivi, due approcci tendenziali: i pratici, ovvero docenti che considerano come valido contributo alla formazione dei disegnatori industriali le esperienze di attivit professionale al di fuori della scuola, con la tendenza a porre il designer al servizio dellindustria; i metodologi puri, invece, fondano la didattica sullacquisizione di metodi per la progettazione, convinti dellonnipotenza della metodologia91. Questi orientamentituttavia non cos nettamente contrappostisono mediati da docenti che assumono una posizione intermedia, riconoscendo egual valore didattico allesperienza professionale quanto allutilizzo di metodi scientifici nella progettazione, e in definitiva denunciano contemporaneamente un professionalismo senza coscienza critica e un uso indiscriminato dei metodi. Maldonado e Bonsiepe, inoltre, richiamano il designer a tener costantemente presente la componente umana e i suoi aspetti di imprevedibilit. Lesigenza, secondo Maldonado, era quella di fondare teoricamente lattivit pratica, rivalutando la verbalit nelle pratiche del design e superando la reazione alluniversit sfociata nellespressionismo pedagogico; una formula orientata ad assimilare gli aspetti positivi delle esperienze precedenti, correggendone gli errori e le tendenze negative. 3.4 Superamento dei due modelli dinsegnamento Unanalisi pi recente mette in relazione i modelli didattici rapidamente e parzialmente presentati. Alain Findeli92 individua, osservando i precedenti storici, tre aspetti tuttora alla base delleducazione al design: arte, scienza e tecnologia. Queste tre componenti compaiono gi nel manifesto originale del 1919 con cui Gropius inaugura il Bauhaus di Weimar, ma hanno di volta in volta assunto un peso differente allinterno delle scuole e programmi di progettazione.
91.Bistolfi, art. cit. 92. Alain Findeli, Rethinking Design Education for the 21st Century: Theoretical, Methodological, and Ethical Discussion, in Design Issues, n. 17, inverno 2001.

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Secondo Findeli, attualmente, universalmente riconosciuta la necessit di includere i tre aspetti di arte, scienza e tecnologia nella pianificazione dei curricula in design. Ci su cui, invece, si concentrano i vari disaccordi riguarda principalmente due aspetti: quale debba essere il peso di ognuno dei tre aspetti, e quale la loro rispettiva funzione, il modo cio in cui dovrebbero essere articolati allinterno di un piano di studi. Ancor pi critica e discordante la considerazione dellobiettivo generale delleducazione e della pratica del design. Findeli sottolinea quanto su questa visione generale si fondi la coerenza di un qualsiasi piano di studi, al di l delle strategie didattiche adottate. Seguendo lo sviluppo storico della disciplina Findeli rintraccia due paradigmi ricorrenti nel design thinking: arte applicata e scienza applicata. Il primo quello pi antico, che discende dalla tradizione delle arti decorative e che vede la genesi del disegno industriale nelle pratiche dellartigianato e dellarte. Gi la didattica del Bauhaus sposta lievemente questo paradigma, in quanto la componente artistica si tinge di una coloritura scientifica e il design comincia a configurarsi come teoria artistica (estetica) applicata alla pratica. La scienza applicata ricalca pressoch la stessa struttura, in cui le discipline teoriche basilari confluiscono nella pratica. Permane una sorta di collegamento deduttivo implicito in questo modello, che si definisce come un passaggio naturale dalla scienza alla tecnologia, ovvero dalla teoria alla pratica. A Ulm, dove il design tende ad essere considerato una scienzaumana e socialeapplicata, tale passaggio si rende pi esplicito. Solo recentemente lidea che la tecnologia sia solo scienza applicata stata messa in discussione da storici e filosofi. Alcuni modelli contemporanei infatti sostengono che la storia della tecnologia abbia seguito unepistemologia autonoma, relativamente indipendente dallo sviluppo scientifico. Invece di parlare di scienza applicata, Findeli suggerisce i termini di scienza coinvolta o incorporata. Un modello cos definito permetterebbe di immettere dallinterno la ricerca e lattitudine scientifiche nel campo progettuale e pratico, e non semplicemente di applicare questi aspetti o quelli artistici alla progettazione. In questo modo la scienza viene modificata dalla pratica e viceversa. Nella metodologia tradizionale, il designer individua un problema per cui immagina e descrive una soluzione: il design, in questo senso, si caratterizza semplicemente come ci che connette questi due momenti. Una nuova struttura logica del processo di progettazione dovrebbe considerare, invece dei tradizionali poli di problema e soluzione, due diversi stati del sistema, del

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quale il designer e lutente diventano parte integrante. Il compito del designer comprendere la morfologia dinamica del sistema, la sua intelligenza. Non possibile agire su un sistema, ma soltanto allinterno di un sistema, [] incoraggiandolo o scoraggiandolo a proseguire nella sua direzione93. Infine, la produzione di oggetti materiali non il solo modo per passare da uno stato allaltro del sistema, ma soprattutto, lassetto conseguente allazione progettuale non da considerare come la soluzione finale, quanto piuttosto una fase soltanto transitoria in un processo dinamico.

4 Rapporto con lesterno, didattica per progetti


Lapprendimento per progetti il modello pedagogico nellarea del design che pi o meno apertamente si contrappone allidea di insegnamenti propedeuticile fondamenta di cui parla Anceschi. Lucius Burckhardt, sociologo ed economista svizzero, gi docente ospite presso la HfG di Ulm nel 1959, dopo varie esperienze didattiche in Svizzera e Germania, fonda nel 1992-93 a Weimar la Facolt di design (Fakultt Gestaltung) della Hochschule fr Architektur und Bauwesenoggi BauhausUniversitt Weimarimpostandola secondo il modello della didattica per progetti. Lidea era gi stata elaborata intorno agli anni sessanta in aperto contrasto con le contemporanee scuole di design e rispetto alleredit bauhausiana del corso fondamentale e dellinsegnamento propedeutico, riproposto e trasformato, come abbiamo visto, nella scuola di Ulm. Nel discorso di congedo (1994) dalla direzione della facolt da lui fondata sintetizza cos94:
Non dimentichiamo linsegnamento: gli studenti devono poter commettere degli errori. Sbagliando si impara. Per questo nelle scuole si devono assegnare compiti che prevedono anche la possibilit dellerrore. Non compiti tratti dai manuali che tutti sanno risolvere, oppure progetti che lassistente del professore ha esaminato in precedenza per essere sicuro che funzionino. Non servono progetti senza contenuto che ambiscono ad antiquate idee di perfezione. questo il motivo per cui, nella nostra nuova facolt di design e arte, non abbiamo ripreso il corso propedeutico del Bauhaus. Non

93. Ibidem. 94. L. Burckhardt, Predica, discorso di chiusura dellattivit,Weimar, 1994; in H. Hger (a cura di), Design education, Editrice Abitare Segesta, Milano 2006.

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ci interessa un insegnamento di carattere gerarchico []. Nella nostra scuola si pu anche non sapere ma nonostante ci fare.

Si nota nelle parole di Burckhardt una critica diretta alle conseguenze di una formalismo e di una purezza logica portate allestremo, unatteggiamento diffuso negli anni sessanta su cui si concentra tutta la sua riflessione. Tale mentalit sollevava i tecnici-ingegneri ma anche i designer che abbracciavano questa pratica da qualsiasi responsabilit sullesito in nome della perfezione ineccepibile della metodologia seguita. Il pensiero sottinteso a questa provocatoria affermazione limpossibilit di ricomporre i cocci rotti della conoscenza, linesistenza, cio, di una conoscenza generale, piena e assoluta, che ci faccia sopportare lidea dei nostri limiti conoscitivi. La conoscenza fatta di frammenti che non combaciano, che non sono riconducibili ad una unit. Ma le nostre menti, aggrappate allidea di un ordine, di un percorso sistematico di tutte le cose, si sono illuse di vedere sicurezze laddove non ce ne sono. Posizione, questa, fortemente debitrice della nozione di pensiero debole elaborata da Gianni Vattimo. Le parole di Annemarie Burckhardtmoglie di Luciusmettono in luce distintamente le conseguenze pedagogiche e didattiche di questo pensiero95:
Alcune delle idee fondamentali di Lucius Burckhardt sullinsegnamento erano: linsegnamento moderno non mira pi alla conoscenza in senso generico, ma alla trattazione e alla risoluzione di problemi concreti. Studenti e insegnanti affrontano insieme le questioni irrisolte. Lobiettivo dellinsegnamento non quindi il mero incremento del sapere, ma la capacit di agire. Gli studenti devono imparare a prendere delle decisioni, nonostante abbiano a disposizione informazioni imperfette e incerte.

4.1 Lesperienza di Bolzano Quello delluniversit di Weimar non un esperimento isolato e la sua eredit stata attualmente accolta in alcune scuole tedesche e direttamente confluita in Italiaa Bolzanotramite Kuno Prey che, allora insegnante di product design a Weimar presso la facolt fondata da Burckhardt, viene chiamato nel 2002 dalla Libera Universit di Bolzano per fondare e dare avvio alla nuova Facolt di Design e Arti. Il modello importato e riadattato al contesto italiano dunque quello della didattica del design basata sullo studio per progetti: si tratta di dare
95. A. Burckhardt, Linsegnamento per progetti come parte del pensiero pedagogico di Lucius Burckhardt, in Hger, Design education, cit.

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agli studenti la possibilit di lavorare attivamente su progetti pi e meno complessi, compresi rapporti con committenze esterne, in team che prevedono anche lapporto di altre discipline e di studenti di altre facolt96. Kuno Preypreside della facolt di Bolzanoin una intervista a cura di Hans Hger racconta cos questo passaggio97:
Per nove anni a Weimar, ho potuto sperimentare e ottimizzare insieme ai miei colleghi una didattica interdisciplinare basata sullo studio per progetti integrato da unampia parte teorica. Questa interessantissima esperienza stata il punto di partenza per impostare anche il modello di studio a Bolzano. Chiaramente ho cercato di perfezionarlo tenendo conto delle peculiarit locali e ho dovuto inserirlonon senza una sorta di shock culturalenel complesso di regole e vincoli del sistema universitario italiano. [] Non stata affatto unimpresa facile inserire allinterno di questa realt la quasi assenza di gerarchie e lapertura, definite a Weimar dallallora presidente del comitato ordinatore Lucius Burckhardt.

Linsegnamento-studio per progetti richiede infatti un alto grado di interdisciplinariet: molte materie sono coinvolte in ogni singolo progetto e il sistema italiano organizzato per cattedre di insegnamento tende ad ostacolare questo scambio. Questo modello, peraltro, non pone limiti burocratici al lavoro di gruppo dei vari docenti: dovrebbero poter collaborare insieme ordinari, a contratto, associati, ricercatori. Alcuni aspetti sono particolarmente interessanti nel modello di Bolzano. I temi progettuali proposti agli studenti non si articolano per oggetti98 ma per temi aperti , per i quali non esistono soluzioni aspettate o preconcette: a una ricerca che rischierebbe di essere puramente formale si sostituisce una riflessione pi ampia sul tema proposto. In tal modo ci si aspetta di stimolare la ricerca e la sperimentazione, allenare il pensiero trasversale e mettere in discussione le conoscenze date per certe. Prey riconosce, del resto, che il designer deve essere in grado di affrontare temi complessi e questioni di carattere socio-politico, ben pi importanti dellaspetto strettamente formale con cui spesso si identifica lattivit di progettazione:

96. Come descrive Hger: Invece di percorrere la tortuosa strada delle fondamenta pi o meno enciclopediche prima di giungere finalmente allelaborazione di un progetto vero e proprio, gli studenti affrontano fin dal principio dei loro studi concrete tematiche progettuali ; H. Hger (a cura di), Design research, Abitare Segesta, 2008. 97. K. Prey, Struttura e obiettivi della Facolt di Design e Arti di Bolzano, in Hger, Design education, cit. 98. Nellesempio che fa Prey, si propone come tema progettuale il bere e non il bicchiere.

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Dal mio punto di vista la ricerca nel campo del design deve muoversi in due direzioni: se da una parte deve mantenere stretti contatti con la realt, dallaltra ha anche il compito di metterla in discussione e immaginarsi nuove basi su cui formulare scenari futuri.

In questa struttura didattica non sono previste specializzazioni, campi di applicazione particolari, o ramificazioni disciplinari; viene piuttosto esaltata una generica cultura del progetto, e non esistono neppure le tradizionali classi: nei gruppi di lavoro, costituiti di venti persone circa, collaborano studenti iscritti ai vari anni di corso, in una struttura paritetica non-gerarchica. Lattenzione generale della scuola resta comunque rivolta allacquisizione di competenze professionali, prevedendo anche punti di contatto con il mondo della produzione. chiaro, dunque, sia nella didattica per progetti che nellabolizione delle classi divise per anno, il ribaltamento della nozione di propedeuticit. Tuttavia, nellorganizzazione del piano di studi previsto il cosiddetto Warm-up, un periodo di formazione per progetti brevi introduttivi ai problemi di design, da seguire obbligatoriamente nel primo semestre, che somiglia molto, almeno concettualmente e nella sua funzione, agli storici corsi di base. Anche il fatto che ai progetti da svolgere durante i semestri siano affiancati corsi teorici, i cui contenuti sono connessi ai temi progettuali, e officine, laboratori tradizionali di supporto alle sperimentazioni degli studenti, sembra ricalcare per molti versi il modello pedagogico del Bauhaus, nonostante le dichiarate premesse di estraneit rispetto a quellesperienza. Infine, a proposito del rapporto tra ricerca e applicazione nella didattica per progetti, interessante il punto di vista espresso da Axel Kufus99:
Applicazione e ricerca, a mio avviso, non sono in contrasto tra loro, anzi. Li vedo in stretta relazione e sinergianel senso, ad esempio, di ricerca applicata su nuove tecniche di produzione, nuovi materiali, nuovi metodi di indagine progettuale o anche nuovi comportamenti umani. Sono tutti settori estremamente importanti per lo sviluppo della cultura del progetto. La rilevanza, poi, nasce solo dalla verifica dellesperimento nella prassi.

4.2 Rapporto scuola-produzione La conseguenza degli approcci basti sulla didattica per progetti sembra indurre a un rapporto troppo stretto con le aziende, con il mondo del lavoro,
99. Axel Kufus, Sviluppare partiture per progetti collettivi, in Hger, Design Education, cit.

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in unottica fortemente professionalizzante che pare quasi dettata da una interpretazione esasperata dellidea di competenza. Linsegnamento strutturato sulla attivit pratica, progettuale e operativa, non un fatto completamente nuovo: come gi descritto con Anceschi si tratta del modello della bottega, chiaramente rivisto e corretto, sul quale si basavano le Kunstgewerbeschule (scuole di arti e mestieri) della met del XIX secolo e le nostre Scuole superiori di arte applicata allindustria di fine-inizio secolo. Modello di formazione tecnica e professionale che, praticato negli istituti darte e negli istituti professionali per lindustria e lartigianato, ha in qualche modo influenzato il panorama della formazione al design in italia, in particolare la strutturazione dei Corsi superiori di disegno industriale, poi trasformati in Isia dal 1974. Risulta opportuno, a questo punto, dedicare uno sguardo a come si collocano in tale contesto le esperienza italiane. Nella presentazione degli Isia di Roma e Firenze, nel 1990, Nicola Sinopoli100 dichiara tali scuole come autosufficienti per la formazione di progettisti di oggetti per la produzione industriale e artistica. Come tali esse postulano una concezione della didattica e della progettazione diversa sia dalle facolt di architettura sia dalle accademie di belle arti. La partecipazione alle mostre, concorsi, riviste, il misurarsi, insomma, con la realt esterna viene incoraggiato perch stimola gli studenti, superando la progettazione fine a se stessa rinchiusa nel rapporto docente-studente. Dunque, il legame scuola-industria risulta essere tenuto in particolare considerazione, in un rapporto che non di subordinazione, ma piuttosto una possibilit di verifica dei propri progetti per gli studenti avvicinandosi alle ai problemi del fruitore e alle logiche dellindustria e del mercato101, onde evitare di rinchiudersi in modelli o istanze autorappresentative. Questa dichiarazione ritrae lIsia come un tipo di istituzione professionale. interessante come venga avvertita lesigenza di una nuova didattica, diversa sia da quella delle accademie che da quella architettonica. Ma restano alcune perplessit su un cos desiderato legame con lindustria. Come emerge infatti dal bilancio102 fatto dal responsabile formazione dellICSID, il rapporto con le aziende, in base alle collaborazione attivate tra
100.Sinopoli, op. cit. 101. Ibidem. 102. D. Gallico (a cura di), Design in-formazione. Rapporto sulla formazione al design in Italia, Franco Angeli, Milano 2007.

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ICSID e universit, porta pi vantaggi al mondo della produzione che agli studenti. Tutti i punti elencati sembrano favorire lazienda, la produzione e linquadramento professionale e molto meno laspetto di ricerca e approfondimento autonomo dello studente. Gian Franco Gasparini, docente dellIsia di Firenze, sostiene che nelle scuole di design si crede che si insegni a progettare oggetti ma in realt il processo della progettazione viene simulato. Tale processo risulta in realt piuttosto faticoso, e perci indica come miglior oggetto della progettazione altre cose come, ad esempio, la divulgazione di ricerche. Egli sostiene che le scuole di design abbiano da sempre rifiutato i rapporto con le industrie, dotandosi perci di laboratori interni per fare al massimo modelli, che sono addirittura ridicoli se confrontati alla normale attrezzatura industriale103. Queste considerazioni spingono a preferire collaborazioni e convenzioni con imprese e industrie per sostenere ricerche dichiaratamente non finalizzate alla produzione. La direzione era per sensibilmente diversa se solo si guarda a qualche decennio prima: nel 1968, in pieno clima di contestazione studentesca, anche nei confronti del sistema industriale, Spadoliniprofessore del CSDI che dar vita allIsiasostiene che il design di fronte alle richieste dellindustria, nellambito dei bisogni indotti, deve contrapporre una sua presa di coscienza delle vere possibilit della produzione diretta a quella serie di bisogni reali delluomo104. Cal, apprezzando i vantaggi dellubicazione eccentrica del CSDICV di Roma rispetto alle zone di grande sviluppo industriale105, mette in guardia dal rischio di una interpretazione distorta della problematica industriale. Per evitare qualsiasi condizionamento dellorientamento didattico106:
[] lindustria va vista soltanto come punto di riferimento e i contatti che di volta in volta si prenderanno con essa dovranno essere ricercati in condizioni di reciproca autonomia a meno che non si voglia avvilire la natura della scuola di design abbassandola al rango di istituto professionale.

103. G.F. Gasparini, Big design, in Sinopoli, op. cit. 104. F. Menna (a cura di), Problemi delle scuole di disegno industriale, conversazione con Spadolini, Dorfles, Maldonado, Zanuso, Cal, Franchetti, in Marcatr, n. 41-42, maggio-giugno 1968. 105. Si veda anche il paragrafo 3.4 del capitolo primo. 106.Menna, art. cit.

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5. Dimensione culturale, profilo intellettuale


Gi verso la fine degli anni sessanta, si sviluppano tendenze, atteggiamenti di critica e opposizioneche si acutizzeranno nel corso dei decenni successivial funzionalismo implicito nel design degli anni cinquanta e sessanta, ma soprattutto al formalismo del movimento moderno, in particolare al minimalismo. Il radical design italiano e le tendenze post-modern criticano alcuni presupposti e miti del Modernismouno fra tutti, la fiducia nella tecnologia e innovazionee la replica diffusa degli stilemi formaligeometrizzazione e forme pure. Proprio in rapporto a tale critica vengono riscoperti e rilanciati modelli basati su valori di unicit e singolarit quali lartigianato come pratica di design, il progettista come figura autoriale ed eccentrica. 5.1 Anticipazioni in Italia In una inchiesta-questionario107 del 1987 ad alcuni docenti dellIsia di Urbino, tra cui anche noti grafici e designer, vengono poste due domande con lo scopo di avviare un dibattito costruttivo sulla professione del grafico e possibili percorsi didattici. In particolare si chiede: quali sono i problemi che un grafico si trova ad affrontare negli anni ottanta, sia nello specifico del suo lavoro che nel rapporto con la committenza; quali mutamenti hanno portato nella professione i nuovi strumenti della comunicazione, la messa in discussione di sistemi collaudati, la diffusione della grafica in movimento e della supergrafica (archigrafie), e una maggiore consapevolezza dellutente; quali cambiamenti sarebbero auspicabili nella strutturazione di un corso superiore (da notare la fatica con cui ancora si parla di facolt e corsi universitari di design) di progettazione grafica; quali materie andrebbero cancellate, modificate o sostituite e quali sarebbero le metodologie di approccio ai nuovi temi di analisi e studio. ancora un po presto per centrare il dibattito su personal computer e desktop publishing, soprattutto in Italia, ma chiaro che questa inchiesta fiuti
107. Anty Pansera (a cura di), Due domande e alcune risposte, Quadernisia, n. 1, anno accademico 1988-89.

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gi le dinamiche di mutamento in atto. Le risposte dei docenti intervistati, peraltro, sono oltre che ricche di spunti, gi consapevoli degli scenari che si prospettano. Soprattutto si nota una certa affinit con alcune posizioni del dibattito maturato successivamente negli Stati Uniti, tra gli anni novanta e i duemila, e che tuttora conserva la sua forte eco. interessante guardare da vicino alcuni dei contributi, a cui, tuttavia, il caso di anteporre lammonimento di Michele Provinciali sulla validit dei pareri raccolti. Se infatti si vuole intraprendere un processo di ristrutturazione della scuola, di qualsiasi scuola, sicuramente opportuno raccogliere una pluralit di giudizi; ma a chi bisogna chiedere tali giudizi? come ottenere questa pluralit? Se si chiede il parere solo a grafici o critici specialisti si ottiene una visione ancora parziale, un quadro incompleto e probabilmente distorto. Per capire e risolvere i problemi di un qualsiasi sistema e nel contempo prevenirne lo sviluppo occorre uscire da esso. Pertanto Provinciali propone di aprire la riflessione al contributo di uomini e professionisti che sappiano cogliere il divenire della nostra civiltstorici, sociologi, antropologi, studiosi di geografia, economia, demografia, linguisticaaffiancando, nella scuola (Isia nel caso specifico), ai docenti gruppi di specialisti di scienze umane. In questo modo si attiverebbe un dibatto veramente plurale, e sarebbe offerta una visione delle societ a venire. Massimo Dolcini sottolinea anzitutto la necessitgi incontrata in sede di definizione del campo e nel pensiero di Anceschi in particolaredi non considerare pi soltanto la grafica, settore ristretto e particolare, escludendo il pi ampio e inclusivo terreno della comunicazione (dimensione dialogica). Il progettista viene chiamato a risolvere problemi di comunicazione e non pi a produrre artefatti comunicativi. Allora si pone al grafico una doppia scelta: specializzarsi in un ambito molto ristretto oppure appropriarsi delle tecniche comunicative finora a lui (e al mondo professionale) estranee. La scuola deve allora evolversi fornendo allo studente esperienze che gli insegnino a gestire anche gli altri mestieri della comunicazione. necessario dunque introdurre nuovi elementi di conoscenzanel senso della comunicazionepoich non possibile formare un grafico parlando solo di grafica108. Il dubbio che permane riguarda le tecniche comunicative, le conoscenze particolari cui fa riferimento Dolcini, che sembra estendano il dominio della grafica su un terreno piuttosto spinoso e controverso: egli parla infatti
108. Risposta di M. Dolcini, in Pansera, art. cit.

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di marketing operativo, copywriting, pubbliche relazioni, analisi e pianificazione mezzi di comunicazione, che suonano un po troppo vicine ad un tipo di comunicazione pubblicitaria e commerciale. Peraltro una simile appropriazione disciplinare, a distanza di tempo, sembra limitata: si considera pur sempre una porzione che, per quanto larga, resta piuttosto chiusa su se stessa. Tale prospettiva non tiene conto degli apporti strutturali, metodologici delle altre discipline, ma tesa principalmente a formare un professionista pi completo e competitivo. Corrado Gavinelli definisce una sorta di paradigma della progettazione e formazione alla progettazione, frutto di alcune costanti della realt e dellagire umano: il mutamento, lespansione e ladeguamento. Effettivamente valido in moltissimi ambiti, questo paradigma distingue la preparazione e lapproccio (attitudine) del designer su tre livelli di pari importanza: guardare al passato, ma giudicare (ci che stato e quanto avviene) e prendere provvedimenti di conseguenza (guardare al futuro); in tre parole: storia, critica, trasformazione (conoscenza, riflessione, progetto)109. Laccento sullequilibrio delle componenti (egli non indica una gerarchia), sulla ricerca storica e sulla riflessione critica. Questo non esaurisce, chiaramente, lattivit del designerchiamato pur sempre a progettarema la sostanzia con una sostanziale base culturale e intellettuale: in questo senso linizio dellagire si trova nel comprendere la realt e il suo divenire110. Giancarlo Illiprandi quello che, pi degli altri, guarda oltre il futuro prossimo prospettato nei quesiti. Egli sostiene che la scuola (riferendosi in particolare allIsia di Urbino, costretta in una condizione di isolamento anche geografico, e alle scuole in generale) debba riuscire a proiettarsi verso lesterno, elaborando al suo interno tematiche fondamentali che vadano oltre le questioni individuate. La scuola del futuro dovr cessare di produrre designer, richiesti dalla committenza, sotto forma di robot o di braccio estetico dellindustria111 e per fare questo deve sapersi qualificare sul piano culturale. Un modello che tende alla formazione di intellettuali prima che di esecutori. Avanza addirittura proposte concrete: la scuola dovr tradurre la propria qualificazione in prodotti tangibili (siano questi pubblicazioni, manuali didattici, dispense, audiovisivi) disponibili ad altri Istituti di inse-

109. Risposta di C. Gavinelli, in Pansera, art. cit. 110. Ibidem. 111. Risposta di G. Illiprandi, in Pansera, art. cit.

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gnamento, allindustria, alle associazioni di categoria, alla amministrazione statale, alla stampa specializzata112. Pertanto un dialogo con lesterno per nulla concepito come rapporto con le imprese e la formazione professionale (rapporto peraltro ben accolto e auspicato soprattuto allinterno degli Isia); ma come apertura verso il panorama internazionale, verso temi di interesse globale, e verso il dialogo con altri poli culturali di ricerca e attivit intellettuale. La scuola collabora, allora, alla produzione non di artefatti ma di ricerca, di sapere, di conoscenza: solo cos di potr parlare di una strutturazione capace di sopportare limpatto di un futuro che gi in corsa113. Infine Gelsomino DAmbrosio e Pino Grimaldi, constatando il crescente interesse, negli anni ottanta in Italia, attorno al tema della comunicazione visiva con la promozione di mostre, convegni e cataloghi denunciano, pressoch in linea con gli altri pareri, una quasi assenza di approfondimento teorico, storico e metodologico, e una certa resistenza dei professionisti riguardo la formalizzazione concettuale sul proprio lavoro114:
Ma, questo il punto, fino a quando i grafici non vorranno affrontare la fatica di una pausa di riflessione sul proprio lavoro e fino a quando non saremo in tanti a farlo, la grafica come disciplina progettuale sar sempre unesperienza marginale nelluniverso della comunicazione. Fino a quando i grafici preferiranno solo mostrare il prodotto finito piuttosto che il processo e la scrittura, la crescita culturale complessiva sar lenta e difficile.

La scuola si deve pertanto impegnare in un rafforzamento della dimensione culturale, nel senso pi ampio del termine, una sorta di integrazione delle separatezze oggi esistenti tra la tecnica e la teoria; nello sviluppare una capacit di ricerca, oggi troppo spesso affidata alla simulazione. La strategia proposta prevede un pi stretto e intenso rapporto col librooggetto da conoscere, possedere, usaree il recupero della cultura storica e teorica del type design, oltre che indagare spazi pi distanti delluniverso comunicativo. Riassumendo gli argomenti affini e ricorrenti affiorati nei vari contributi, il futuro di scuole e corsi di grafica indicato nellattenzione al metodo, alla scrittura, alla riflessione critica, allapprofondimento teorico, alla conoscenza della storia (le parole e temi ricorrenti nelle risposte).
112. Ibidem. 113. Ibidem. 114. Risposta di G. DAmbrosio, P. Grimaldi, in Pansera, art. cit.

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Nella relazione conclusiva, Anty Pansera non nasconde un certo timore nei confronti dei mezzi tecnologici, del loro facile utilizzo e della successione infinita di un universo visivo insignificante e meramente invasivo che producono, il cui uso non responsabile condurrebbe alla perdita del patrimonio di riflessioni, di manualit coltivate a fini espressivi, di conoscenze tecniche professionali tradizionali. Atteggiamento, questo, vagamente nostalgico e corporativista, che delle tecnologie non considera allo stesso tempo le potenzialit e i vantaggi oltre le criticit. Ad ogni modo, ella ribadisce la necessit di costruire un metodo solido e una base culturale che permangano e vadano oltre luso dei mezzi, delle tecniche aggiornate rapidamente. Un punto di vista complessivo che si pone in stretta vicinanza alle posizioni del dibattito sviluppato a partire dagli inizi degli anni novanta soprattutto negli Stati Uniti. 5.2 Dibattito americano: forza politica e sociale, autorialit Lavvento delle nuove tecnologie e del desktop publishing negli anni novanta, assieme alle altre dinamiche messe prima in luce, getta unombra sulla figura del designer che vive un momento di crisi e disorientamento. Da questo insorge lesigenza di legittimare la propria esistenza rispetto allaccesso diffusofacilitato dal computer e dal softwareagli strumenti che erano propri della pratica professionale. Lorraine Wild, nel 1998, indica la tecnologia quale fonte della crisi didentit del designer. Erano anche gli anni in cui i nuovi media esplosero, portando con s la minaccia dellestinzione del designer, o la sua irrilevanza115:
I designer coinvolti in progetti sui nuovi media spesso si ritrovavano in produzioni di squadra basate sul paradigma dellindustria dellintrattenimento, dove il ruolo autoriale era affidato al direttore creativo, ai produttori, forse agli sceneggiatori ma di solito non alle persone che creano la parte visiva del prodotto.

Wild suggerisce il modo di salvare la progettazione grafica di fronte il colosso della tecnologia e le esigenze del mercato116. Visione individuale e linvenzione sono in cima alla sua lista come modi per porre rimedio ai mali della professione.

115. L. Wild, The Macrame of Resistance, in Emigre, n. 47, 1998. 116. Ibidem.

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Un tempo i designer possedevano le chiavi del regno della creativit, si erudivano nei loro linguaggi e codici privati e parlavano un linguaggio esoterico, conosciuto solo dai tipografi e dagli stampatori; adesso hanno linglorioso onore di vedere le loro abilit tecniche automatizzate e vendute come software nei negozi di tecnologia. Lera del desktop publishing spinge la pratica del design a ripensare se stessa. Nel suo saggio, Wild mise in discussione due possibili direzione nella didattica del progetto. La prima quella pi brutalmente realistica, in cui il design viene considerato come il braccio visivo del marketing e perci gli studenti devono essere istruiti ad asservire le logiche capitalistiche del consumo. In questottica contano di pi conoscenze di marketing e business pi che raffinatezze arcane quali luso della tipografia e dello spazio bianco. Laltra pi intraprendente direzione deriva da una concezione di grafica-come-antropologia sviluppata da Michael and Katherine McCoy che promuove il designer come interprete di contesti, seppur in unaccezione pi politica e sociale. Pensare al design in termini di esperienza del pubblico lo avvicina alle modalit dindagine dellantropologia. Dunque, per Wild marketing ed etnologia potrebbero essere le possibili prospettive di una didattica e pratica del design future. Resta comunque il rischio che nella foga di diventare qualcosaltro ed ampliare il proprio approccio ad altre discipline, il proprio ruolo venga tralasciato o considerato marginale e tutto questo materiale non venga poi ben comunicato agli utenti. Un altro caposaldo sul tema il saggio Designer as author117 di Michael Rock in cui si analizza la tendenza del designer a focalizzarsi sulla propria autorialit di progettista. Il designer nel ruolo di autore, dunque, si libera dal vincolo della committenza, per produrre artefatti che esprimano la sua personale visione. Oppure crea un proprio stile , unico ed inimitabile. Questa spinta verso direzioni pi liberamente espressive e personali per presente anche delle contraddizioni: apparentemente, infatti, un tale approccio manifesta una apertura a pi possibilit interpretative, coinvolgendo gli utenti nella creazione di senso. Questo per non accade realmente: ponendosi lautore al centro, egli di fatto restringe linterpretazione alla sua sola personale.

117. M. Rock, The Designer as Author, in Eye, n. 20, primavera 1996.

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Lautore (designer autore), come origine, autorit e definitivo possessore del lavoro si protegge dal libero volere del lettore. La figura dellautore riconferma la tradizionale idea del genio creatore.118

5.3 Desktop publishing, designer come produttore A cinque anni di distanza dal saggio di Wild, Ellen Lupton119 rilegge la rivoluzione sociale del desktop publishing in chiave positiva. Gli stessi strumenti digitali che hanno scacciato il designer dal suo piedistallo, ora lo rendono un produttore, in quanto egli possiede nelle sue mani i mezzi di produzione. Gi Benjamin previde il passaggio dellautore letterario al ruolo di produttore, una volta che il possesso della macchina da scrivere gli avrebbe consentito di gestire tutti gli aspetti della sua produzione intellettuale; cos Lupton parla di appropriazione dei mezzi di produzione come strumento per diventare produttore ma anche autore, grazie al rapporto diretto coi mezzi, e in virt della sua formazione culturale. Anche Lussu, a tal proposito, scrive120:
Il computer non fa che moltiplicare questa tendenza, non solo del tutto legittima ma senzaltro auspicabile: evidente che, nel caso ne abbia la possibilit e gli strumenti, chi ha unesigenza di comunicazione pu ormai risolverla in modo appropriato ed economico. In definitiva questa la ragion dessere del computer da tavolo e il motivo della sua diffusione: il fatto di fornire a qualunque generico operatore unestensione delle proprie potenzialit. Per quel che riguarda la realizzazione di artefatti comunicativi, il computer consente di gestire in proprio, fino allutilizzazione di una stampante da ufficio, processi che in precedenza erano delegati, a pagamento, alla competenza di personale tecnico specializzato che ora rischia di apparire parassitario. I professionisti del design, come qualunque altra categoria professionale, esprimono spinte corporative di autoperpetuazione: hanno di fronte a s la sfida di riuscire a superarle. Il ruolo richiesto quello di intellettuali tecnici, provvisti di solide basi che li mettano in grado di interagire efficacemente allinterno di gruppi di lavoro interdisciplinari.

Tutte queste riflessioni conducono a mettere in profonda discussione il ruolo dei designer oggi e portano ad interrogarsi se tale professione abbia ancora

118. Ibidem. 119. E. Lupton, The Designer as a Producer, in Heller, op. cit. 120.Lussu, Design della comunicazione, cit.

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importanza. Interessante il punto di vista di Gunnar Swanson121 che sinterroga su quale sia il futuro della grafica in questo scenario. Innanzitutto egli constata che il design sembra strettamente vincolato a finalit professionali: senza laspettativa del lavoro, infatti, esso non sembra avere senso. La formazione professionale ormai soggetta a rapidissima obsolescenza, diventa datata gi mentre si sta completando il percorso. Visti i ritmi frenetici del mondo contemporaneo, un dato di fatto che in quindici anni le professioni attuali tenderanno a estinguersi ed imprevedibile quali saranno le prossime: se pure esisteranno i grafici fra 15 anni sicuramente non saranno quello che sono ora. Egli sinterroga dunque sulle possibilit che lo studio del design possa diventare dinteresse generale e andare oltre lo sbocco lavorativo. Il design al crocevia intellettuale tra antropologia e comunicazione, arte e marketing, psicologia cognitiva e affari: una tale posizione lo renderebbe papabile perch diventi una scienza umanistica nel prossimo futuro. Ma resta cruciale la questione della reciprocit: probabilmente uno studente di design trarrebbe beneficio dallo studio dellantropologia, ma lo stesso Swanson si chiede se uno studente di antropologia possa trarre beneficio dallo studio della grafica. I designer sono quindi pi spesso accostati alla formazione artistica, anche se il misto di studio e pratica di molti designer non pu rientrare in questo campo cos ristretto. La soluzione per la legittimazione accademica potrebbe essere listituzione di nuovi dottorati di ricerca: ma cosa accadrebbe allora al misto di studio e pratica con cui si sono formati molti dei designer attuali? Gli studenti verrebbero formati come ricercatori piuttosto che come professionisti. La scolarizzazione nel design sembra una cosa sana, ma bisogna comunque verificarne leffetto a lungo termine. Persiste ancora, poi, allinterno del professorato di design anche una tendenza anti-intellettuale: lo zoccolo duro di chi convinto che il grafico produca cose, non teoria e che pochi studi accademici abbiano effettivamente unutilit diretta per il design. Il design ha difficolt a inserirsi nellistruzione accademica, i designer e gli studenti non si sentono integrati nel panorama delle universit: ancora si dibatte sul considerare il design una vera e propria disciplina; di conseguenza i designer stessi non sono in grado di trattarla come tale.
121. G. Swanson, Is design important?, in AIGA Journal of Graphic Design, vol. 13, n. 1, 1995.

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Come sottolinea William Drentell, i designer parlano di creare un corpo di lavori, raramente di acquisire un corpo di conoscenze; orgogliosi di essere dei creativi, raramente si identificano come pensatori; troppo spesso i designer sono chiamati solamente a curare laspetto esteriore, la componente estetica degli oggetti anzich contribuire allevoluzione e articolazione delle idee. Jessica Helfand denuncia che dagli studenti americani di design non ci si aspetta che studino realmente scienza o matematica, storia o antropologia, economia, teoria musicale o letteratura o addirittura che sappiano scrivere. La grafica ha riguardato a lungo, in larga parte, lelaborazione di forme: certo resta un fattore importante e che va insegnato. Ma il design deve essere considerato anche in base ad altri parametri, quali contenuto, usabilit, funzionalit, utenza e ricerca ben individuati, ed arricchito dal confronto con altre discipline. Sicuramente gli studenti di design trarrebbere beneficio da conoscenze generali (antropologia, economia, storia, letteratura, matematica, sociologia). La scrittura deve essere parte integrante del curriculum e non un supplemento: gli studenti devono scrivere di pi, siano brief, proposte di tesi per libri, titoli, slogan, battute. Bisogna insegnare, secondo Helfand, a raccogliere informazioni e fare ricerca: i designer non devono necessariamente diventare esperti su tutti gli argomenti rilevanti ma essere capaci di cercare e raccogliere la conoscenza necessaria per il lavoro. Questo punto di vista, tuttavia, pone l'accento su un rapporto utilitaristico con la scrittura, funzionale al linguaggio della professione, alla presentazione e allefficienza lessicale, e trascura le potenzialit di maturazione in un rapporto pi maturo e consapevole con la scrittura e la produzione intellettuale.

Capitolo quarto Sulla formazione degli insegnanti

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1 Introduzione al capitolo
Le argomentazioni sviluppate finora, nei capitoli precedenti, portano a riflettere sullopportunit di unapprofondita revisione del sistema universitario di formazione al design. Per avviare un tale processo necessario individuare una zona dintervento circoscritta da cui partire. Lobiettivo di questo capitolo conclusivo appunto quello di segnalare un ambito progettuale prioritario e preminente e fornire i materiali di partenza per lo sviluppo di un progetto organico e operativo. Attualmente, la formazione dei docenti universitari non prevede un vero e proprio percorso formativo dedicato e specifico. proprio sulla preparazione degli insegnanti, invece, che si fonda la qualit di un corso di studi, e in generale del sistema distruzione. Per queste ragioni si suggerisce la formazione dei docenti universitari come campo dazione per lo sviluppo di futuri progetti. Una possibilit di miglioramento risiede nel dotare i docenti universitari di una buona preparazione pedagogica e didattica, portandoli a sviluppare metodi e strumenti innovativi di insegnamento, che rispondano alle attuali esigenze e stimolino la partecipazione e il coinvolgimento degli studenti. Nellambito del design tale esigenza tanto pi forte se si considera che molti dei componenti del corpo docente sono professionisti prestati alla didattica, costretti ad improvvisare i propri metodi dinsegnamento. Tuttavia, poich la formazione dei docenti universitari tuttora largamente affidata allauto-formazione, sicuramente interessante e utile guardare ad alcuni modelli elaborati per la formazione degli insegnanti in ambito scolastico per sviluppare progetti simili in ambito accademico declinati in base alle specificit dellistruzione superiore. In questo capitolo, dunque, nella prima parte si analizza la situazione attuale della formazione dei docenti, dando uno sguardo alla normativa vigente riguardante il loro reclutamento1; nella seconda parte, vengono presentati un paio di progetti innovativi di formazione continua rivolti agli insegnanti
1. Nel caso del comparto AFAM, non stata ancora approvata la proposta per il regolamento attuativo in materia di reclutamento dei docenti, previsto dalla legge n. 508 del 1999.

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di scuola secondaria, da osservare quali modelli declinabili anche ad altri livelli distruzione, in particolare nel campo della formazione al design.

2 Docenza in ambito universitario


Per riuscire a comprendere in che direzione sia impostato il percorso che porta alla docenza universitaria fondamentale fare riferimento alle normative ministeriali che attualmente regolamentano il reclutamento dei professori e dei ricercatori universitari. La legislazione in materia prevede una serie di valutazioni preliminari e in itinere su cui si fonda la selezione dei docenti universitari, con lo scopo di garantire una loro adeguata preparazione. Tuttavia tale sistema di reclutamento impone che la formazione degli aspiranti docenti si svolga principalmentee quasi esclusivamenteallinterno delluniversit, seguendo un preciso cursus honorum che non tiene conto dellapporto di esperienze esterne n della necessit di una preparazione pedagogico-didattica degli insegnanti. 2.1 Riforma Gelmini, organizzazione delle universit Come accennato nel capitolo primo2, la legge n. 382 del 1980 definiva i ruoli accademici3 delluniversit italiana e le norme per il reclutamento di professori e ricercatori. Tali ruoli e norme hanno subto nel corso degli anni diverse modifiche. Lultima normativa di riferimento in materia, attualmente in vigore, la legge n. 240 del 30 dicembre 20104 elaborata nellambito delle riforme promosse dal Ministro Mariastella Gelmini, entrata in vigore il 29 gennaio 2011 e successivamente aggiornata e modificata da alcuni decreti. Per quanto riguarda lorganizzazione complessiva delle universit, il comma 1 dellart. 2 definisce gli organi di governo dellateneo. Tra questi, il senato accademicocomposto dal rettore, da una rappresentanza degli
2. Per approfondire si veda il paragrafo 4.1 del capitolo primo. 3. In sintesi: professore ordinario, professore straordinario (in attesa della nomina ad ordinario), professore associato, professore a contratto e ricercatore universitario. 4. Il titolo della legge: Norme in materia di organizzazione delle universit, di personale accademico e reclutamento, nonch delega al Governo per incentivare la qualit e lefficienza del sistema universitario

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studenti e da una dei docenti di ruolo rappresentativa delle diverse aree scientifico-disciplinari dellateneoha la funzione di formulare proposte e pareri obbligatori in materia di didattica, di ricerca e di servizi agli studenti5, oltre che di attivare, modificare o sopprimere corsi, sedi, dipartimenti o altre strutture, e approvare i vari regolamenti. Il consiglio di amministrazione ha invece competenze di indirizzo strategico, di approvazione della programmazione finanziaria annuale e triennale e del personale, nonch di vigilanza sulla sostenibilit finanziaria delle attivit6. Inoltre, nel secondo comma viene data disposizione per la costituzione in ciascun ateneo di una commissione paritetica docenti-studentiuna sorta di organismo di autovalutazioneche svolga attivit di monitoraggio dellofferta formativa e della qualit della didattica nonch dellattivit di servizio agli studenti da parte dei professori e dei ricercatori7, oltre a individuare gli indicatori per le valutazioni dei loro risultati e formulare pareri sullattivazione e soppressione di corsi di studio. Nello stesso punto viene richiesta alle sedi universitarie una semplificazione dellarticolazione interna (art. 2, comma 2, lettera a), e ai dipartimenti, oltre che essere affidate le tradizionali funzioni relative alla ricerca scientifica, vengono trasferite anche quelle relative alle attivit didattiche e formative, prima di competenza delle facolt (art. 2, comma 2, lettera b). Su di un simile principio di razionalizzazione dellofferta formativa, lart. 3 propone, al fine di migliorare la qualit, lefficienza e lefficacia dellattivit didattica, di ricerca e gestionale, di razionalizzare la distribuzione delle sedi universitarie e di ottimizzare lutilizzazione delle strutture e delle risorse8, la federazione e la fusione di due o pi atenei, anche limitatamente ad alcuni settori di attivit. In linea generale, dunque, la riforma sispira a principi di miglioramento dellefficienza e della qualit del sistema universitario e delle varie sedi. 2.2 Stato giuridico di professori e ricercatori universitari Attualmente sono previsti, in base alla stessa legge 240/2010, i ruoli accademici di professore ordinario (I fascia), di professore associato (II fascia), e di ricercatore (a tempo determinato), mentre i ricercatori a tempo in5. Legge 240/2010, art. 2, comma 1, lettera e. 6. Legge 240/2010, art. 2, comma 1, lettera h. 7. Legge 240/2010, art. 2, comma 2, lettera g. 8. Legge 240/2010, art. 3, comma 1.

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determinato diventano un ruolo ad esaurimento9. Ai ricercatori a tempo indeterminato che abbiano svolto almeno tre anni dinsegnamentooltre che ai tecnici laureati con le stesse caratteristiche e ai professori incaricati stabilizzatipossono essere affidati corsi e moduli, per cui attribuito loro il titolosolo nominaledi professore aggregato per lanno accademico in cui svolgono tali corsi (art. 6, comma 4). Inoltre, come previsto anche dalle precedenti disposizioni in materia, le universit possono stipulare contratti annualia titolo gratuito o onerosoper attivit di insegnamento10, rinnovabili annualmente per un periodo di massimo cinque anni; con lobiettivo di avvalersi della collaborazione di esperti di alta qualificazione in possesso di un significativo curriculum scientifico o professionale11. Viene abolito il periodo di straordinariato e di conferma rispettivamente per i professori di prima e di seconda fascia (art. 8, comma 3, lettera a). La normativa prevede che i professori e i ricercatori possano svolgere la loro attivit in un regime alternativo di tempo pieno o tempo definito. Lart. 6 della legge disciplina e definisce le caratteristiche dei due tipi dimpiego: la quantificazione in termini di tempo del totale delle attivit di ricerca, studio e insegnamentocon i connessi compiti preparatori di verifica e organizzazione di 1500 ore annue per i professori e ricercatori a tempo pieno, e di 750 ore annue per chi usufruisce del regime a tempo determinato (art. 6, comma 1). La scelta delluno o dellaltro regime a discrezione del professore o ricercatore, che lo richiede al momento in cui prende servizio (art. 6, comma 6). Del tempo complessivo di impiego annuo, un minimo di ore deve necessariamente essere riservato a compiti didattici (attivit di insegnamento) e di servizio agli studenti, compresi orientamento, tutorato e verifica dellapprendimento. I professori e i ricercatori di ruolo devono riservare a tali attivit non meno di 350 ore in regime di tempo pieno, mentre per chi svolge attivit in regime di tempo definito tale ammontare scende a non meno di 250 ore per i professori e non meno di 200 per i ricercatori (art. 6, commi 2-3).

9. La riforma Gelmini abolisce di fatto la figura del ricercatore a tempo indeterminato: le universit non possono pi prevedere contratti a tempo indeterminato per i ricercatori; sopravvivono soltanto quelli stipulati prima dellapprovazione della legge. 10. Si tratta del ruolo dei cosiddetti professori a contratto, prima denominati professori incaricati. 11. Legge 240/2010, art. 23, comma 1.

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Viene ribadita lincompatibilit del ruolo di professore e ricercatore con lesercizio dellindustria e del commercio, ma data la possibilit di costituire societ con caratteristiche di spin off o start up universitari. Invece, lesercizio di attivit di libero professionista o di lavoro autonomo possibile solo per i docenti a tempo definito, i quali possono svolgere anche attivit didattica e di ricerca allestero, presso altre universit o enti. Il regime a tempo definito, tuttavia, impedisce ai docenti di ricoprire cariche accademiche. I professori e ricercatori a tempo pieno hanno la possibilit di svolgere attivit di valutazione, lezioni e seminari occasionali, attivit di collaborazione e divulgazione scientifica e culturale, attivit pubblicistiche ed editoriali anche con retribuzione, oppure funzioni didattiche e di ricerca o compiti istituzionali e gestionali presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro. inoltre consentito loro di svolgere attivit didattica e di ricerca presso un altro ateneo, sulla base di convenzioni finalizzate a obiettivi comuni. Tutte queste attivitsia che si tratti di regime a tempo pieno sia a tempo definitonon devono determinare conflitti dinteresse rispetto allateneo di appartenenza o impedire ai professori e ricercatori lo svolgimento delle attivit loro affidate. Infine, tutti i professori e i ricercatori sono tenuti a presentare ogni tre anni una relazione sulle attivit didattiche, di ricerca e gestionali svolte, insieme alla richiesta di attribuzione dello scatto di stipendio12. Una questione piuttosto controversa viene sollevata nel contesto del trattamento economico dei professori e ricercatori, e in particolare per quanto riguarda il Fondo per la premialit, istituito dallart. 9, nel quale si specifica che le universit possono prevedere, con appositi regolamenti, compensi aggiuntivi per il personale docente e tecnico amministrativo che contribuisce allacquisizione di commesse conto terzi ovvero di finanziamenti privati, nei limiti delle risorse del Fondo non derivanti da finanziamenti pubblici13. In altre parole vengono premiati i docenti pi abili a intessere pubbliche relazioni e procacciare fondi per il funzionamento delluniversit, con tutte le implicazioni che una visione di questo tipo comporta per il ruolo dellinsegnante e la sua autonomia.

12. La progressione dello scatto stipendiale stata trasformata da biennale a triennale (art. 8 comma 1, lettera a). 13. Legge 240/2010, art. 9.

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2.3 Reclutamento dei professori e dei ricercatori La legge 240/2010 introduce, in particolare, modificazioni alle modalit di reclutamento del corpo docente, trasformando soprattutto la figura del ricercatore ora incaricato soltanto a tempo determinato: in questo modo tale ruolo assume la caratteristica di passaggio obbligato nel corso delliter accademico per diventare professore associato, quindi ordinario. Il Ministerosentito il CUNdefinisce preliminarmente i settori concorsuali, raggruppati in macrosettori e articolati in settori scientifico-disciplinari, secondo i quali sono raggruppati i docenti in base alla loro disciplina dinsegnamento (art. 15, comma 1). Con lart. 16 viene istituita labilitazione scientifica nazionale, una sorta di sistema di valutazione per il reclutamento dei professori universitari. Tale abilitazione attesta la qualificazione scientifica che costituisce requisito necessario per laccesso alla prima e alla seconda fascia dei professori 14, prevedendo requisiti distinti per i due ruoli accademici di professore e ricercatore, e ha validit quadriennale. Per ciascun settore concorsuale viene istituita una commissione valutativa, rinnovata ogni due anni. Essa composta da quattro commissari sorteggiati allinterno di una lista di professori ordinari (una per ogni settore concorsuale), pi un commissario sorteggiato allinterno di una lista di studiosi ed esperti curata dallANVUR15. I commissari non possono far parte contemporaneamente di pi di una commissione di abilitazione, e dopo il mandato loro impedito, per tre anni, di assumere nuovamente lincarico (art. 16, comma 3, lettere f-l). Tale commissione si occupa delle procedure per lattribuzione dellabilitazione scientifica nazionale, che dovrebbero essere indette ogni anno. La commissione ha, pertanto, il compito di effettuare una valutazione analitica dei titoli e delle pubblicazioni scientifichenon meno di dodicipresentate dai candidati aspiranti docenti, pervenendo a un giudizio motivato che decreta il conseguimento dellabilitazione, espresso sulla base di criteri e parametri differenziati a seconda delle funzioni e dellarea disciplinare. Il conseguimento dellabilitazione scientifica nazionale ha valore come titolo di idoneit soltanto per la procedura di chiamata dei professori e nel
14. Legge 240/2010, art. 16, comma 1. 15. Acronimo di Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, ente pubblico vigilato dal Ministero dellIstruzione, dellUniversit e della Ricerca.

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passaggio dei ricercatori a tempo determinato al ruolo di professore associato, mentre viene valutato solo come titolo preferenziale nel caso dellassegnazione di contratti di insegnamento (professori a contratto). Infine, chi non riuscisse a conseguire labilitazione scientifica non potrebbe partecipare, durante il biennio successivo, alle procedure di attribuzione della stessa abilitazione o per labilitazione alle funzioni superiori. Gli atenei dovrebbero programmare con cadenza triennale, secondo le disponibilit del loro bilancio, i procedimenti per la chiamata dei professori e per lattribuzione di contratti ai ricercatori. Le spese derivanti dallassunzione di professori e ricercatori pu anche essere completamente a carico di soggetti pubblici e privati con i quali lateneo abbia prima stipulato delle convenzioni. Lart. 18 quello che disciplina il procedimento di chiamata dei professori. Le universit sono tenute a pubblicaresulla Gazzetta Ufficiale e sui siti internet dellateneo, del Ministero e dellUnione europeainformazioni riguardanti il settore concorsuale, le funzioni, i diritti e doveri e il trattamento economico relativi agli incarichi richiesti. Sono ammessi al procedimento sia studiosi in possesso dellabilitazione nazionale per il settore concorsuale e le funzioni specificate o che insegnano stabilmente in universit estere, sia professori gi in servizio. Per lattribuzione degli incarichi vengono valutate le pubblicazioni scientifiche, il curriculum e lattivit didattica degli studiosi. Lart. 24 , invece, si occupa dei ricercatori, assunti dalle universit con contratti di lavoro subordinato a tempo determinato16 per lo svolgimento di attivit di ricerca, di didatticaanche integrativae di servizio agli studenti. I destinatari sono scelti dalle universit con procedure pubbliche che prevedono gli stessi criteri di trasparenza gi citati per la chiamata dei professori. Laspetto nuovo che sono ammessi a tali procedure di assegnazione soltanto coloro che abbiano prima frequentato un dottorato di ricercae quindi conseguito il titolo corrispondenteo che siano in possesso del diploma di specializzazione medica17. Con la precedente normativa, invece, si diventava ricercatore a seguito di una valutazione comparativa bandita dalle facolt. Ora gli aspiranti ricercatori vengono valutati preliminarmente sulla scorta del titolo, della tesi di dottorato, del curriculum e della produzione scientifica,
16. Legge 240/2010, art. 24, comma 1. 17. Sono chiaramente esclusi dalle procedure i professori di prima e seconda fascia e i ricercatori a tempo indeterminato ancora in servizio.

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secondo criteri e parametri individuati con decreto ministeriale. Successivamente, i candidati risultati pi meritevoli sono ammessi alla discussione pubblica dei titoli e delle pubblicazioni a cui viene attribuito un punteggio. Unulteriore novit sta nella tipologia di contratti che lateneo stipula per il ruolo di ricercatore. Essi sono di due tipi, entrambi a tempo determinato: contratti di durata triennale, stipulati con regime di tempo pieno o di tempo definito, prorogabili soltanto una volta per due anni, avendo prima valutato le attivit didattiche e di ricerca svolte; contratti di durata triennale non rinnovabili, stipulati esclusivamente con regime di tempo pieno, riservati a coloro che hanno usufruito del primo tipo di contratto, di assegni di ricerca per almeno tre anni (anche non consecutivi), o di borse post-dottorato. I ricercatori titolari del secondo tipo di contratto, che abbiano prima conseguito labilitazione scientifica nazionale, possono essere inquadrati come professori associati, avendo ottenuto valutazione positiva per la chiamata in ruolo, e pur sempre nellambito delle risorse disponibili per la programmazione. Tuttavia i contratti di ricercatore non danno direttamente diritto allaccesso ai ruoli universitari. Infine, come gi accennato, le universit possono stipulare contratti dinsegnamento della durata di un anno accademico, sia con esperti di alta qualificazione che con soggetti in possesso di adeguati requisiti scientifici e professionali18 (questi ultimi soltanto a titolo oneroso). Oltre a questi luniversit pu chiamare a insegnare docenti, studiosi o professionisti stranieri di chiara fama19, la cui retribuzione stabilita confrontando quella per simili incarichi in altre universit europee. Per lattribuzione di tali contratti sono considerati titoli preferenziali quello di dottore di ricerca, il possesso della specializzazione medica, o di titoli equivalenti conseguiti allestero. Viene dunque effettuata una valutazione comparativa la cui procedura disciplinata con i regolamenti dateneo. Tuttavia questo tipo di contratti non permette di accedere direttamente ai ruoli universitari. Osservandolo nel complesso, quello appena esposto si configura come un iter strettamente vincolato allambito accademico, e cheessendo basato unicamente su una valutazione scientificanon contempla la necessit di
18. Legge 240/2010, art. 23, comma 1. 19. Ibidem.

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una preparazione pedagogica e didattica di coloro ai quali affidato nelle universit tutto il carico dellinsegnamento e dellassistenza agli studenti. Del resto, le scuole di dottorato, la cui frequenza ormai praticamente obbligatoria per chi desideri intraprendere il percorso per diventare insegnante universitario, potrebbero prevedere moduli di preparazione pedagogica o sperimentazioni didattiche orientate alla formazione dei futuri docenti. Situazione abbastanza paradossale se si considera che proprio alle universit affidata una parte integrante della formazione degli insegnanti scolastici. Infatti, i Tirocini formativi attivi (TFA)20, che dallanno accademico 2011-12 hanno sostituito le vecchie Scuole di specializzazione allinsegnamento secondario (SSIS) di durata biennale, sono corsi di livello post-universitario, di durata annuale, organizzati e svolti allinterno delle universit, abilitanti allinsegnamento nella scuola secondaria di primo e secondo grado. Ci fa supporre che esistano, allinterno delle universit, quanto meno i presupposti per lattivazione di corsi rivolti alla formazione dei docenti universitari. 2.4 Situazione precaria del comparto AFAM Per quanto riguarda il comparto dellalta formazione artistica, musicale e coreutica21, non sono ancora stati emanati i regolamenti che disciplinano il reclutamento del personale docente, previsti dallart. 2 della legge n. 508 del 199922. In questa situazione di vuoto legislativo le accademie, gli Isia e i conservatori possono stipulare soltanto contratti a tempo determinato, ponendo cos lintero sistema in una condizione di precariet. Finora le varie istituzioni hanno garantito la copertura degli insegnamenti e il funzionamento amministrativo con bandi pubblici oppure con chiamata diretta. Gli incarichi di docenza vengono affidati sulla base di specifiche graduatorie nazionali, istituite con lart. 2 bis della legge del 4 giugno 2004, n. 143, riservate ai docenti precari che abbiano prestato servizio per 360 giorni nelle accademie e
20. Il tirocinio formativo attivo istituito e disciplinato dallart. 10 del Decreto Ministeriale n. 249 del 10 settembre 2010. 21. Si ricorda che del comparto AFAM fanno parte i quattro Isia, dedicati allinsegnamento della progettazione, e le Accademie di belle arti che hanno attivato ormai da anni corsi di design e comunicazione visiva. 22. Per un approfondimento sulla legge si veda il paragrafo 4.6 del capitolo primo.

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nei conservatori; oppure sulla base di graduatorie interne distituto, elaborate ogni tre anni. Tuttavia tale situazione impedisce una programmazione pluriennale dei corsi di studio del comparto AFAM. Uno schema23 per il Decreto del Presidente della Repubblica in materia di reclutamento dei docenti stato gi elaborato e rivisto tra il 2008 e il 2009, e presentato ai sindacati nel febbraio 2009, ma si tratta soltanto di una bozza per la quale i tempi di approvazione sono ancora molto incerti. In generale, come i precedenti regolamenti in conformit della legge 508/99, anche questo mira ad allineare le istituzioni del comparto AFAM al sistema universitario, favorendo un livello di integrazione e cooperazione sempre pi elevato. In particolare, il secondo capo della bozza di decreto riguarda il reclutamento del personale di sistema, ovvero gli insegnanti e il personale tecnico amministrativo, specificando anche i requisiti di eleggibilit per i direttori (artt. 9-14). Stando a quanto affermato nellart. 9 della bozza, ogni due anni dovrebbero essere bandite dal Ministero delle procedure di valutazione, per ciascun settore artistico-disciplinare, finalizzate a ottenere lidoneit nazionale allinsegnamento nei corsi delle istituzioni AFAM, valida per cinque anni. Possono partecipare a tali procedure coloro che siano in possesso di diploma accademico o di laurea. Invece, i docenti gi incaricati, che abbiano svolto almeno un biennio consecutivo dinsegnamento nelle istituzioni, acquisiscono automaticamente lidoneit. La valutazione dovr tener conto delle competenze, artistiche, scientifiche e professionali del candidato, acquisite attraverso qualificate esperienze24, col fine di verificare loriginalit della ricerca e della produzione, le competenze disciplinari e metodologiche, laderenza dellattivit professionale al settore disciplinare oggetto del bando, la continuit della produzione artistica, scientifica e progettuale anche in relazione allevoluzione dei linguaggi. Sarebbero valutate, specificatamente, le attivit di ricerca e produzione artistica, scientifica e progettuale svolte presso soggetti pubblici e privati e le attivit didattiche, svolte anche allestero. La commissione che si occuperebbe della valutazione di idoneit, costituita con provvedimento ministeriale, dovr essere composta da tre docenti
23. Titolo della bozza: Regolamento recante le procedure, i tempi e le modalit per la programmazione, il riequilibrio e lo sviluppo del sistema dellalta formazione artistica musicale e coreutica, nonch per il reclutamento del personale docente e del personale amministrativo e tecnico. 24. Schema di DPR, art. 9, comma 1.

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estratti a sorte da una lista di quindici nominativi predisposta dal CNAM25, e da due esperti nominati dal Ministro, anche stranieri26, ognuno dei quali non pu far parte della commissione per due volte consecutive. Successivamente, per il conferimento di incarichi dinsegnamento presso le istituzioni AFAM, lart. 11 stabilisce che coloro che abbiano ottenuto lidoneit siano sottoposti a procedure di valutazione comparativa, distinte per settore artistico-disciplinare e relative al profilo professionale richiesto, indette dal direttore dellistituzione con bando pubblico. Le commissioni giudicatrici, in questo caso, sarebbero costituite da tre componenti, di cui almeno due provenienti da unaltra istituzione, scelti tra i docenti del sistema AFAM titolari delle discipline oggetto della valutazione comparativa, escluso il direttore dellistituzione che la indice. La stessa commissione sarebbe incaricata di determinare i criteri e le procedure per la valutazione dei candidati, resi pubblici prima dellinizio dei lavori. Il giudizio finale, espresso sulla base del curriculum e di una prova didattica relativa al profilo professionale richiesto, determinerebbe lassegnazione del contratto. Per quanto riguarda, invece, le tipologie di incarichi dinsegnamento, lart. 10 della bozza di decreto prevede innanzi tutto linquadramentocon contratto a tempo indeterminatonei settori artistico-disciplinari dei docenti gi in ruolo, i quali restano pertanto titolari dellinsegnamento. In secondo luogo si tenta di salvaguardare il sistema attuale di copertura degli insegnamenti, che prevede il ricorso alle graduatorie nazionali ad esaurimento27 per lattribuzione di incarichi rinnovabili, di durata non superiore ai cinque anni. Viene inoltre proposta la stabilizzazione di tale personale docente, trasformando il rapporto di lavoro in contratto a tempo indeterminato dopo aver maturato tre anni di insegnamento nella disciplina. Al di l dellesaurimento delle graduatorie, i nuovi incarichi dovrebbero essere attribuiti a coloro che siano in possesso dellidoneit nazionale, con contratti di durata non superiore a cinque anni e rinnovabili, chiaramente a seguito di riscontro positivo in sede di valutazione comparativa. Il finanziamento di tali contratti pu anche essere a carico di soggetti pubblici o privati, con cui le istituzioni abbiano stipulato convenzioni.
25. Acronimo di Consiglio nazionale per lalta formazione artistica e musicale, corrispettivo per il comparto AFAM del Consiglio universitario nazionale (CUN). 26. Schema di DPR, art. 9, comma 4. 27. Si ricorda che finora sono state costituite (con la Legge 143/2004) soltanto per le accademie di belle arti e per i conservatori di musica.

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Inoltre, sarebbe concesso alle istituzioni del comparto AFAM di assegnare incarichi dinsegnamentosempre con contratti quinquennali rinnovabilia studiosi italiani o stranieri che abbiano acquisito una riconosciuta qualificazione artistica e professionale28, oppure di stipulare, per attivit formative integrative, contratti a tempo determinato rinnovabili, di durata non superiore ai tre anni, con artisti e professionisti che abbiano una qualificazione adeguata alle funzioni da svolgere (art. 10, comma 5). Nello schema di decreto viene specificato il caso dellaccademia nazionale di arte drammatica e degli Isia, che in relazione a peculiari e documentate necessit didattiche correlate agli obiettivi formativi dei corsi [] possono attribuire incarichi di insegnamento relativi a specifici moduli didattici a professionisti ed esperti di riconosciuta esperienza e competenza, nei limiti autorizzati annualmente dal Ministero29. Infine, in base alla valutazione delle attivit svolte dal punto di vista della didattica, della produzione artistica e del profilo professionale, gli istituti potrebbero proporre al Ministero di trasformare il rapporto di lavoro dei docenti che abbiano svolto almeno tre anni dinsegnamento in contratti a tempo indeterminato, previa autorizzazione del Ministero delleconomia e delle finanze. Come si vede, si tratta di un iter che ricalca in alcuni puntiin particolare nel caso del sistema dellidoneit e della valutazione comparativaquello previsto per il reclutamento nei ruoli accademici universitari. Tuttavia esso conserva un certo grado di flessibilit, che permetta di porsi in continuit con le tradizionali peculiarit insite nel sistema dellalta formazione artistica e musicale. Non sono infatti fornite precise indicazioni sul percorso da seguirecome invece accade nel caso delle universitper diventare docente. Inoltre, cos come non sono fissati percorsi di studio preferenziali per lattribuzione degli incarichi, anche nel caso del comparto AFAM non si fa cenno alla preparazione pedagogica e didattica degli aspiranti docenti, mentre si fa spesso riferimento alla produzione artistica o allattivit professionale come criteri di valutazione. Si vede, in questo punto, nellimpostazione cos come nei termini utilizzati, quanto il settore della formazione artistica, in cui rientra anche una grossa parte di corsi dedicati alla progettazione, sia ancora legato allidea della formazione professionale30.
28. Schema di DPR, art. 10, comma 4. 29. Schema di DPR, art. 10, comma 6. 30. Si veda lorigine dei corsi di design nelle scuole di arti e mestieri, di arte applicata allin-

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3 Casi studio
Come affermato nellintroduzione al capitolo, si rende necessario, a questo punto, guardare a modelli di riferimento per lo sviluppo di progetti rivolti alla formazione iniziale, continua e permanente degli insegnanti universitari, con unattenzione specifica per i docenti operanti nellarea del design. Il miglioramento della preparazione e della formazione degli insegnanti ha chiaramente ricadute sul miglioramento complessivo dellistruzione e delleducazione degli stessi studenti. Tali obiettivi di miglioramento si sono tradotti, in ambito scolastico, nellideazione, sviluppo e programmazione di progetti innovativi di formazione continua e permanente dei docenti, che vanno oltre il tradizionale modello del corso di aggiornamento. Quelli presi in esame in questa sezione mirano, in particolare, a un cambiamento duraturo nella didattica delle scienze sperimentali e della matematica. 3.1 Piano Insegnare scienze sperimentali, premesse Nellambito delle politiche di promozione e potenziamento della cultura scientifica e tecnologica nella scuola italiana31, il Piano insegnare scienze sperimentali uno dei progetti indirizzati alla preparazione dei docenti delle scuole secondarie, che dallanalisi risulta essere particolarmente innovativo e applicabile anche ad altri ambiti formativi. Il Piano nasce ufficialmente il 7 novembre 2005, con la stipula di un protocollo dintesa, di durata triennale, tra il Dipartimeno per listruzione del Ministero dellistruzione, delluniversit e della ricerca e le tre associazioni professionali che avevano lanciato liniziativa, a cui si aggiunsero due importanti musei scientifici italiani: si tratta dellAssociazione per linsegnamento della fisica (AIF), dellAssociazione nazionale insegnanti di scienze naturali (ANISN), e della Divisione di didattica della Societ chimica italiana (DD/ SCI), in collaborazione con il Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci di Milano e la Citt della scienza di Napoli. Lobiettivo del protocollo era quello di creare unalleanza strategica tra lamministrazione, le associazioni disciplinari e i musei, per coinvolgere il sistema scolastico italiano in un processo di cambiamento duraturo ed efficace nella didattica delle scienze sperimentali. I due musei di Milano e di
dustria e negli istituti darte, ampiamente trattata nel capitolo primo, sezione seconda e terza. 31. Si veda, per una panoramica sullargomento, il paragrafo 5.3 del capitolo secondo.

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Napoli, tra laltro, promuovevano gi da tempo attivit di sperimentazione didattica, coinvolgendo studenti e insegnanti in attivit laboratoriali e sviluppando pratiche innovative sul rapporto tra educazione formale e informale, nellambito di progetti nazionali ed europei. Il protocollo , tuttavia, solo il punto darrivo di un processo iniziato diversi anni prima, frutto del confronto e della volont di collaborazione delle tre associazioni. Nel 2001, a Bologna, il presidente della DD/SCI organizz un primo incontro per confrontarsi con i presidenti dellAIF e dellANISN. Ne scatur una precisa volont di unire le esperienze maturate dalle singole associazioni nellambito del rinnovamento della didattica delle discipline scientifico-sperimentali per le scuole elementari e medie. Dopo alcuni importanti incontri, documenti prodotti nellambito del lavoro comune e anche la stipula di unintesa con lUfficio scolastico regionale della Lombardia, un primo concreto tentativo si ha nel 2002, quando le tre associazioni presentano un progettointitolato La scienza a scuola. Didattica e strumenti di lavoro per le Scienzeper la creazione di un portale al servizio dei docenti di scienze sperimentali di tutte le scuole. Il finanziamento richiesto al Ministero non fu concesso. Il progetto originario venne allora rimaneggiato, in modo da definire sempre meglio la proposta, in particolare sulla base delle indicazioni provenienti dalle occasioni dincontro nazionali e dalle esperienze delle scuole estive rivolte ai docenti, organizzate dalle stesse associazioni. In questo modo i tre presidenti di allora descrivono gli avanzamenti nellelaborazione del progetto32:
Lo sviluppo pi importante consisteva nella presa di coscienza della sostanziale insufficienza, quasi inutilit, di ogni intervento di supporto limitato alla sola rete telematica che non fosse opportunamente sostenuto da una robusta assistenza in presenza: attivit che solo la rete di persone costituita dai soci delle associazioni disciplinari poteva svolgere. In pratica si era definita meglio la situazione in cui si trovavano molti colleghi insegnanti che lavoravano in assoluta solitudine senza possibilit di confronto, senza avere riscontri della correttezza del proprio lavoro [].

cos che ha origine il concetto di presidio didattico, un luogo fisico in cui svolgere le attivit formative rivolte ai docenti di scienze, accompagnati da colleghi esperti che forniscano unassistenza continua tra pari, in presenza oltre che in rete. Questidea fondamentale alla base del Piano Insegnare
32. Rosarina Carpignano, Riccardo Govoni, Vincenzo Terreni, La nascita di un piano, in Annali della Pubblica Istruzione, n. 5-6, 2009/n. 1, 2010, Le Monnier

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Scienze Sperimentali che, dopo alcuni incontri tra i presidenti delle associazioni e il Ministero, fu finalmente messo a punto nellestate del 2005, avviato con il protocollo dintesa gi citato e pianificato per diventare operativo dallanno scolastico 2006-07. 3.2 Avvio dei lavori e formazione dei tutor La missione dellintesa tra il Ministero, le associazioni e i musei quella di promuovere, realizzare e monitorare iniziative di formazione in servizio sostenute da laboratori di ricerca-azione finalizzati al miglioramento dellinsegnamento-apprendimento in ambito scientifico, con particolare riguardo al rinnovamento delle metodologie didattiche33. Il Piano si rivolge specificamente ai docenti in servizio della scuola primaria, della scuola secondaria di primo grado e del primo biennio della scuola secondaria di secondo grado, a cui sono affidati gli insegnamenti delle scienze sperimentali34. Il protocollo dintesa ha previsto da subito la costituzione di strutture per lo sviluppo e il governo del Piano: un Gruppo di pilotaggio nazionale, del quale fanno parte le rappresentanze istituzionali delle parti contraenti e una rappresentanza degli Uffici scolastici regionali interessati allattuazione del programma; un Comitato scientifico, composto da esperti dei diversi ambiti disciplinarimolti dei quali provenienti dallambito universitarioquale supporto per la realizzazione delle iniziative previste dallintesa. Entrambi gli organismi hanno il compito di elaborare i contenuti, i temi e i percorsi formativi verticali da proporre alle scuole del primo e del secondo ciclo. Inoltre definiscono le caratteristiche logistiche e strumentali oltre che le risorse umane necessarie alla realizzazione delle attivit di formazione, pianificando anche la distribuzione dei presdi territoriali a livello regionale o provinciale. Il Gruppo di pilotaggio ha la funzione, tra le altre, di redigere una relazione al termine di ogni ciclo di iniziative, che dia conto della progressiva attuazione del Piano.

33. Dal testo del protocollo dintesa, firmato dalle parti il 7 novembre 2005, a Roma; reperibile sul sito internet delle associazioni e del Ministero. 34. Si tratta delle materie quali chimica, fisica, biologia, scienze naturali, scienze della terra.

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Il Comitato Scientifico, nel seminario che si svolto nel mese di gennaio 2006, aveva individuato e descritto gli obiettivi, i soggetti coinvolti, le strutture operative, aveva tracciato il quadro di lavoro ed evidenziato i punti di forza del Piano ISS. La fase operativa successiva ha previsto la richiesta di adesione al Piano agli Uffici scolastici regionali, i quali si impegnavano a costituire un Gruppo di pilotaggio regionale che assumesse la gestione delle attivit a livello locale, e a stipulare protocolli dintesa regionali con le associazioni disciplinari e con altri soggetti operanti nellambito della cultura scientifica. Sono stati successivamente emanati bandi per la selezione dei docenti e delle scuole candidate ad ospitare il presidio territoriale e finanziare lo sviluppo del Piano a livello regionale. Dallanno scolastico 2006-2007 il Piano diventato operativo a livello regionale, con lindividuazione dei docenti a cui rivolgere la formazione iniziale (tutor): sono state valutate dagli Uffici scolastici regionali, sulla base di curriculum e di colloqui, le esperienze professionali di coloro che avevano risposto allautocandidatura. Tra novembre e dicembre 2006 sono stati organizzati quattro seminari nazionalidue presso il Museo Leonardo da Vinci di Milano e due presso la Citt della scienza di Napolicon lo scopo di formare i tutor, figure chiave da cui dipendeva lattivazione stessa del Piano. Il Comitato scientifico, che organizzava i seminari, ha messo a disposizione il materiale didattico, raccolto ed elaborato nel seminario di gennaio. Tra le premesse cera quella di evitare un tipo di formazione basato su proposte specifiche da ripresentare nella scuola. Pertanto, sono stati individuati quattro temi esplicitamente non disciplinari35, abbastanza ampi per lasciare margini di libert nella scelta dei contenuti specifici da affrontare successivamente nelle classi e per facilitare un effettivo confronto tra gli insegnanti dei vari livelli e gradi di istruzione. Con lobiettivo di enfatizzare una formazione trasversale multidisciplinare, sottesa alle stesse aree tematiche, gli insegnanti che partecipavano ai seminari si sono dovuti confrontare con uno dei temi meno prossimi alle proprie competenze disciplinari. Il lavoro era stato organizzato in gruppi omogenei di insegnantiguidati da due formatori36ai quali erano riservati ambienti laboratoriali, attrezzati con materiali di facile reperibilit, in modo da agevolare la riproduzione degli esperimenti nei contesti locali. Alla base
35. I quattro temi fanno riferimento, ad ogni modo, a unarea disciplinare predominante: Trasformazioni; Leggere lambiente; Luce, colore e visione; Terra e Universo. 36. Un conduttore con funzione di guida anche in rapporto ai temi, e un discussant col compito di fornire una visione critica del lavoro di gruppo

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del modello dinsegnamento proposto cera, infatti, la sperimentazione come momento fondamentale delleducazione scientifica, sia rivolta agli adulti che ai ragazzi. Sulla scorta di tali esperienze i gruppi elaboravano ipotesi per ulteriori attivit da applicare poi allinterno delle classi. Unaltra componente del Piano ISS, la cui esigenza era affiorata gi nel momento finale di confronto-discussione dei seminari, quella dellaccompagnamento e monitoraggio costante del lavoro nei presdi e in generale delliniziativa. Per questo scopo, oltre a momenti di confronto in presenza, stato attivato un ambiente di collaborazione on-line curato dallIndire37 (una sezione dedicata allinterno del portale PuntoEduApprendimenti di base), che diventava cos lo strumento di collegamento per tutti gli attori del Piano, in cui si analizzano, discutono e confrontano le pratiche didattiche sperimentate, per poi migliorarle o riprogettarle. Lidea era quella di continuare a far crescere i tutor in un ambiente di apprendimento virtuale dove studiosi e ricercatori del Comitato scientifico interagissero con loro: lo spazio on-line stato creato per individuare nuove strategie didattiche e mettere a punto nuovi materiali di formazione da utilizzare per lo sviluppo professionale dei docenti. Nei seminari iniziali di Milano e Napoli sono stati formati in totale 283 docenti tutor, distribuiti in 88 presdi, appartenenti ai tre gradi di scuola a cui era rivolto il Piano. Per la realizzazione dei seminari, invece, sono stati coinvolti circa 50 docenti, che hanno avuto il compito di condurre i lavori (coordinatori e discussants). Ad ottobre del 2007 partita la formazione di altri 109 insegnanti (tutor) delle regioni che non avevano partecipato alla prima fase, distribuiti in 35 presdi, con un modello rielaborato sulla base degli esiti delle prime esperienze e della fase di monitoraggio38.
37. Dal sito internet ufficiale (www.indire.it): LIndire lIstituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa, il pi antico istituto di ricerca del Ministero dellIstruzione. Fin dalla sua istituzione accompagna levoluzione del sistema scolastico italiano investendo in formazione e innovazione e sostenendo i processi di miglioramento della scuola. Lente, con lInvalsi e il corpo ispettivo del Miur, parte del sistema di nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione. LIstituto vanta una consolidata esperienza nellutilizzo delle nuove tecnologie per la formazione in servizio del personale docente, amministrativo, tecnico e ausiliario e dei dirigenti scolastici e si pone come punto di riferimento per la ricerca educativa. Lente, nato nel 1925 con una Mostra didattica nazionale, ha pi volte cambiato denominazione nel corso degli anni; dal 2012 stata ripristinato lIndire con la denominazione stabilita dalla sua riforma del 2001. 38. Dati riportati in Irene Gatti, Piano ISS, in Annali della Pubblica Istruzione, n. 1, 2007, Le Monnier

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3.3 Modello del Presidio territoriale I docenti tutor diventano dunque le figure di riferimento, le risorse professionali stabili, allinterno del presidio territoriale, per la formazione continua degli insegnanti ai vari gradi di istruzione. Ad ogni presidio, che solitamente ha sede presso un istituto scolastico, fanno capo le reti di scuole della regione o della provincia, e in ciascuno di essi opera unquipe costituita, di norma, da tre tutor. Questi, con la collaborazione del Gruppo di pilotaggio regionale e degli Uffici scolastici regionali, si occupano di progettare e attivare le attivit di formazione e ricerca-azione, rivolte allinsegnamento delle discipline scientifiche, con modalit diversificate in base alle esigenze del territorio e alle risorse disponibili, tuttavia sempre incentrate sulla formazione in presenzanei presdi e nelle scuolecome momento di esemplificazione, di sperimentazione delle strategie didattiche suggerite. Il presidio territoriale rappresenta il nodo di una reteche raccoglie e coinvolge linsieme delle strutture e competenze disponibili a livello locale: fornisce il supporto fisico e organizzativo per la costituzione di comunit di pratiche, ma pu contare anche sul supporto e lappoggio delle universit, dei centri polifunzionali di servizio, dei musei scientifici e parchi, che nel frattempo si sono aggiunti ai soggetti coinvolti dal Piano. In definitiva, uno degli aspetti pi interessanti di questo modello formativo lalto livello di collaborazione tra pari: esso permette di superare, da un lato, la tipica autoreferenzialit del processo di insegnamento, e dallaltro, il modello tradizionale del corso di aggiornamento in cui i partecipanti reinterpretano personalmente e isolatamente quanto comunicato dagli esperti. I docenti, in questo caso, sono invece portati a riflettere sul proprio metodo didattico e a svilupparne di nuovi, in rapporto al contributo sia degli altri docenti che delle altre discipline. I risultati positivi raggiunti da alcuni docenti non restano cos circoscritti alla dimensione locale scolastica, o peggio allambiente classe in cui sono stati elaborati, ma vengono messi in condivisione: le pratiche didattiche innovative, sperimentate e confrontate nel contesto del lavoro in gruppo, si consolidano e possono diventare strategie da applicare, ripetere e migliorare durante lazione educativa. 3.4 Piano M@t.abel, e-learning integrato Come per il caso precedentemente descritto, anche questa iniziativa mira a colmare le lacune del nostro sistema educativo e della preparazione degli

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studenti italiani in rapporto alle discipline scientifiche e matematiche. In particolare, partendo dai dati delle indagini nazionali e internazionali che riscontrano nei ragazzi delle scuole subito successive a quella primaria le maggiori difficolt nellapprendimento della matematica, il Piano M@t.abel si rivolge ai docenti di questa disciplina che operano nella scuola secondaria di primo grado e nel primo biennio del secondo grado. Lobiettivo finale quello di migliorare la preparazione matematica degli allievi, per contrastare il manifestarsi ai livelli di istruzione superiore di carenze nelluso di tali competenze di base. Il Piano M@t.abel promosso da due associazioni disciplinarila Commissione italiana per linsegnamento della matematica che fa capo allUnione Matematica italiana (UMI/CIIM) e la Societ italiana di statistica (SIS)con il concorso del Ministero dellIstruzione e degli Uffici scolastici regionali. Questo progetto di formazione continua dei docenti di matematica presenta diversi punti di contatto con il Piano ISS, ma anche una fondamentale differenza nelluso degli spazi e dei mezzi a disposizione. Anche in questo caso il Piano sostenuto da presdi territoriali - a cui fanno riferimento reti di scuole - allinterno dei quali operano insegnanti esperti sia sul versante dei contenuti che su quello delle attivit formative, con funzione di tutor. La differenza consiste nellimportanza rivestita dallo spazio on-line, che si appoggia sempre alla piattaforma Apprendimenti di base dellIndire, considerato come una vera e propria classe virtuale in cui si svolge gran parte della formazione dei docenti. A livello nazionale il piano coordinato dal Comitato tecnico scientifico che ha il compito di elaborare il piano di formazione, curarne lattuazione e monitorarne i risultati. Gli Uffici scolastici regionali si occupano invece dellorganizzazione e realizzazione dei corsi a livello locale. I docenti tutor sono selezionati in rapporto al numero di scuole presenti sul territorio e sulla base delle loro competenze disciplinari (matematiche), dellesperienza nelluso di tecnologie informatiche e della capacit di coordinazione di gruppi di lavoro. Il Piano partito nellautunno del 2005 con la progettazione a cura del Comitato scientifico. Nei mesi successivi sono stati rielaborati e immessi sulla piattaforma on-line i materiali didattici. Essi si basano su un lavoroLa matematica per il cittadinorealizzato tra il 2000 e il 2005 dallUMI, nellambito di un protocollo dintesa stipulato gi nel 1993 con il Ministero della Pubblica Istruzione ed esteso nel 1999 alla SIS. Si tratta di un progetto per linsegnamento della matematica (dai 6 ai 19 anni), comprendente esempi

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di attivit da svolgere in classe e di elementi per le prove di verifica. Per le attivit di formazione del Piano i contenuti sono raccolti intorno a quattro nuclei fondamentali di contenuti39, che si ripresentano lungo il percorso scolastico di riferimento. Per dare avvio al progetto, tra marzo e dicembre del 2006 sono stati individuati e formati 118 docenti tutor, distribuiti in 108 scuole scelte come presdi territoriali, e dal mese di febbraio del 2007 partita la fase pilota rivolta a circa 1300 insegnanti di matematica, con una media di 12 corsisti per tutor, conclusasi nel maggio dello stesso anno40. La formazione dei docenti dunque articolata in incontri in presenza e attivit in rete, con una netta prevalenza di queste ultime sul tempo complessivo. I primi tre incontri del gruppo con il proprio tutor di riferimento servono principalmente a presentare il piano, illustrare il materiale e familiarizzare con lambiente e-learning, e viene analizzata e discussa anche una delle attivit specifiche da realizzare in classe. A parte un ultimo incontro conclusivo sulla valutazione delle esperienze, il resto della formazione svolta nellambiente-classe virtuale, in cui possibile approfondire lo studio dei materiali e pianificare, condividere e discutere il programma delle sperimentazioni. Questultime, strutturate come attivit da svolgere direttamente in classe coi ragazzi, costituiscono laltra parte fondamentale del piano. Il tutor assume la funzione di moderatore del gruppo: guida i docenti nella realizzazione delle attivit, risponde allinsorgere di problemi di natura concettuale, tecnica o metodologica e raccoglie le osservazioni dei docenti. Proprio nellintegrazione dei due momentiquello di formazione e confronto on-line e quello di applicazione in classerisiede linnovazione del progetto: da un lato possibile sperimentare quasi immediatamente i materiali condivisi nel corso, dallaltro, con la stessa tempestivit, si possono apportare modifiche e correzioni alla stessa sperimentazione, grazie ai vari livelli e tipologie di interazione permessi dal portale41. Questo modello di e-learning, stimolando la riflessione simultanea su quanto si sta facendo in classe e sulle proposte didattiche dei docenti, permette di superare sia lisolamento dellattivit dellinsegnante sia la tipica struttura in due tempi
39. I quattro nuclei individuati sono: numeri; geometria; relazioni e funzioni; dati e previsioni. 40. Dati riportati in Ferdinando Antonello, Lucia Ciarrapico, Giovanni Margiotta, La formazione dei docenti di matematica: il Piano M@t.abel, in Annali della pubblica istruzione, n.1, 2007. 41. I docenti hanno la possibilit di dialogare tra loro e con i tutor in relazione ai problemi didattici e tecnici che di volta in volta si presentano in sede di sperimentazione.

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del corso di aggiornamento, in cui si forniscono prima i materiali e modelli teorici e solo in seguito si procede allapplicazione pratica. Infine, anche il Piano M@t.abel prevede la fase finale di monitoraggio delle attivit, a cura del Comitato scientifico, che raccoglie le relazioni dei tutor e dei coordinatori regionali, e valuta in base a queste la qualit e lefficacia formativa del piano. Attualmente, sia il Piano ISS che il Piano M@t.abel hanno trovato continuit nei due Programmi operativi nazionali (PON) Educazione scientifica e Matematica, che proseguono il percorso di formazione continua dei docenti per il miglioramento della preparazione degli studenti nelle discipline scientifiche e matematiche.

4 Ipotesi conclusive
Volendo riassumere le caratteristiche pi innovative dei casi studio presentati nella sezione precedente esse possono individuarsi nello scambio, in termini di contenuti e metodi disciplinari, tra colleghi provenienti da ambiti diversi ma affini, e nellauto-formazione e formazione reciproca, orientate a una preparazione pedagogica e allo sviluppo di strategie didattiche. In generale, lidea della comunit dinsegnanti, specializzati in diverse discipline, che collaborano per auto-formarsi allinsegnamento, visti anche i risultati positivi e il consenso riscontrato in ambito scolastico, sembra essere un valido modello di riferimento per progettare percorsi di formazionesia iniziale che in itinerededicati ai docenti universitari. In particolare, in riferimento alla situazione attualeanalizzata nella prima sezione di questo capitoloriguardante le caratteristiche e i titoli richiesti per il reclutamento dei docenti universitari, e considerando svantaggi e carenze che tale sistema comporta, sembra opportuno assicurare una preparazione pedagogica e didattica agli aspiranti insegnanti. Pertanto, nella progettazione di un percorso formativo dedicato ai docenti universitari, ispirato al modello della comunit di pratiche, dovrebbe essere prevista come costante la presenza di espertidocenti o tutorprovenienti dallarea di scienze delleducazione e della formazione, specializzati nella formazione degli adulti, permanente e ricorrente. Nel caso specifico dei corsi di design, in base alle esigenze riscontrate nei capitoli precedenti, risulta necessario fornire una formazione ampia e articolata ai docenti che operano in tale contesto. Pertanto, ipotizzando il

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progetto di corsi di formazione a loro dedicati, dovrebbero essere chiamati a collaborare docenti, studiosi e professionisti provenienti da aree disciplinari anche molto distanti fra loro, e soprattutto rispetto al dominio di competenza del design. Lincontro tra gli aspiranti docenti di design e quelli provenienti da altri ambiti disciplinari pu portare alla condivisione di reciproche esperienze e al confronto tra approcci metodologici specialistici. Questi apporti sono fondamentali per lelaborazione di modelli, metodi e strategie educative interdisciplinari e transdisciplinari, orientate al rinnovamento e miglioramento delleducazione complessiva degli studenti, futuri designer. In definitiva, i vantaggi per la formazione degli insegnanti, che il modello della comunit di pratiche di livello inter- e transdisciplinare presuppone, possono riassumersi in alcuni punti fondamentali. I futuri docenti, contemporaneamente: imparano a insegnare, costruendo e sviluppando i propri metodi dinsegnamento che hanno ricadute dirette sulla formazione degli studenti; imparano a gestire le dinamiche di gruppo e le attivit laboratoriali; mettono a punto e sperimentano approcci o strumenti didattici utili quale supporto alla didattica universitaria; estendono il proprio orizzonte di conoscenze, competenze e metodi, nel confronto con docenti ed esperti provenienti da altre aree disciplinari ed esperienze. Inoltre si potrebbe considerare, come parte integrante del modello da sviluppare, uno spazio di collaborazione on-line, che svolga la funzione di supporto simultaneo alle attivit di gruppo, o strumenti di collaborazione per dare la possibilit di gestire in maniera pi flessibile la formazione e il confronto di pratiche innovative sperimentate. Una considerazione finale, affatto secondaria, riguarda la possibilit di produrre ricerca nel contesto dei percorsi formativi ipotizzati. I progetti dedicati alla formazione di docenti e ricercatori, infatti, non dovrebbero essere unicamente orientati allo sviluppo di modelli didattici sempre pi performanti ed efficienti, enfatizzando metodologie e dinamiche relazionali. invece interessante che questi momenti formativi diventino anche loccasione per promuovere lavanzamento delle conoscenze in un determinato ambito, in relazione anche ad aree disciplinari tra loro meno affini, prevedendo spazi e tempi per progetti di ricerca, divulgazione scientifica e riflessione critica.

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Ad ogni modo, eventuali progetti di formazione dei docenti dellarea del design dovrebbe tener conto delle risorse economiche, strutturali e strumentali effettivamente a disposizione degli atenei e delle istituzioni distruzione superiore; delle peculiarit del territorio in cui si decide di intervenire, arricchito dal confronto e dal dialogo con il contesto nazionale e internazionale; delle discipline a cui estendere il dominio dinteresse in accordo, soprattutto, alle esigenze affiorate dalle argomentazioni esposte in questa tesi.

Conclusioni Per un osservatorio stabile sulla didattica e leducazione

per un osservatorio stabile sulla didattica e leducazione

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Al termine di questa ricerca, si pu arrivare a sostenere che i corsi di design e le scuole di progettazione abbiano esaurito, in un certo senso, la loro portata innovativa, almeno per come sono oggi strutturati, e per gli insegnamenti che la maggior parte dei piani formativi propone. La disciplina stessa, chiusa in se stessa, nonostante il riconoscimento dellopportunit di estendere il proprio dominio di conoscenze e competenze, e i tentativi fatti in tal senso, risulta frammentata in ramificazioni specialistiche legate a strumenti, tecniche e settori produttivi che tendono a implicare una corrispondenza univoca con attivit e ruoli professionali, peraltro, in rapida trasformazione. Si conferma la necessit di unoperazione di ridefinizione della disciplina, del ruolo del designer e, di conseguenza, dei percorsi formativi che vi si riferiscono. Nei capitoli di questa tesi stata pi volte evidenziata lesigenze di unistruzione che metta gli studenti in condizione di operare scelte autonome e consapevoli. Tale missione educativa non si rivolge, chiaramente, soltanto agli studenti delle scuole di progettazione; tuttavia, li riguarda particolarmente poich pone laccento sulla responsabilit implicita nelle attivit di progettazione. Si pone la necessit di sviluppare ed esercitare una serie di competenze trasversali, progettuali, relazionali, fondate su unampia e stabile base di conoscenze da acquisire e accrescere lungo tutto larco della vita, o almeno ben oltre il periodo normalmente dedicato alleducazione formale. Provando a fare previsioni a lungo termine, si delineano due auspicabili prospettive nellevoluzione dellinsegnamento del design: estendere linsegnamento del design ai diversi livelli distruzione, considerando che sia i processi di rappresentazione e sintesi visiva (alla base del progetto di comunicazione), sia la capacit di progettazione possano essere appresi sin dallinfanzia, al pari della scrittura e della lettura, e declinati ai vari stadi di sviluppo dellindividuo; estendere larea di competenza del designer, il suo orizzonte culturale e di ricerca, spingendo a una profonda revisione di questo ruolo a partire dai termini che lo descrivono.

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Nel percorso storico delle scuole di progettazione, tracciato lungo il capitolo primo, si riscontrato come le esperienze pi riuscite siano state quelle fondate su dun intenso scambio, sul costante confronto tra docenti e studenti, circa le questioni relative non solo alla disciplina ma anche alla didattica, alla conduzione stessa dei corsi e allorganizzazione interna della scuola. Questo aspetto, unito alle possibilitrilevate nella normativa attualmente in vigore per le universitper lattivazione di commissioni paritetiche di docenti e studenti hanno ispirato lidea dellosservatorio, che d il titolo alla tesi. Si propone dunque, in queste conclusioni, la costituzione di un osservatorio stabile per la riflessione sui temi della didattica e delleducazione; questultima da intenderecome si sottolineato in diversi punti della ricercacome percorso di formazione complessiva e ininterrotta dellindividuo, che conduca, in definitiva, allauto-formazione. Losservatorio, da istituire in pi sedi distruzione superiore anche in via sperimentale, sarebbe una sorta di organo consultivo interno, autogestito dagli studenti in cooperazione con i docenti dellistituzione, ai quali si aggiungono di volta in volta esperti o ricercatori esterni chiamati a collaborare. Lo scopo sarebbe quello, da un lato, di avanzare proposte, promuovere iniziative ed eventi, e sviluppare progetti volti a migliorare lo svolgimento della didattica; dallaltro, di riservare spazi di autonomia che responsabilizzino gli studenti, facciano percepire sia lambiente della scuola che le sue finalit come bene comune. Nel contesto dellosservatorio, potrebbero essere individuate tematiche specifiche da approfondire in gruppi di discussione: i gruppi si occupano dello studio analitico dei vari aspetti di un ambito circoscritto, relativo a un argomento di particolare interesse, raccogliendo materiali, producendo ricerche e condividendo poi i risultati con le altre componenti dellosservatorio, col fine ultimo di pervenire allelaborazione di proposte concrete da sperimentare allinterno della stessa istituzione. La piena fiducia nellinteresse degli studenti circa la propria formazione, nonch la convinzione che dalla discussione collegiale e dallattivit di gruppo possano derivare valide proposte per il superamento delle problematiche relative allinsegnamento del design, si fondano su esperienza diretta. In tutte le occasioni in cui mi stato possibile o sia semplicemente capitato di discutere con amici e colleghi dei temi pi ampi e generali delleducazione e specifici della didattica ho riscontrato sempre una viva volont di condivisione, anche partecipando a un acceso confronto di pareri. Un grado di

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coinvolgimento cos alto, da aver in parte ispirato lidea dellosservatorio, e sicuramente influenzato il mio orientamento su alcune specifiche questioni. Infine, ammettendo la difficolt di tenere insieme una materia cos vasta e complessa, oltre che il limite di un lavoro svolto singolarmente, la tesi si ponea questo stadiocome materiale ancora relativamente grezzo e incompleto, come base dalla quale partire per produrre ulteriori ricerche, o definire e sperimentare progetti di intervento. Si invita chiunque sia sensibile allargomento e fiducioso nelle possibilit di evoluzione dellattuale sistema di istruzione a consultare, completare o estendere le opinioni e i dati raccolti, per svilupparlisi speranella direzione delle considerazioni conclusive prodotte.

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Appendice uno Intervista a Daniela Piscitelli

A cura di Filippo Taveri e Roberto Arista6 giugno 2012

INTERVISTA A DANIELA PISCITELLI

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Esiste una continuit, o anche solo uneredit, tra le esperienze delle scuole di design centro-europee e la formazione del design della comunicazione in Italia? Nessuna. Non esiste alcun rapporto di continuit, n di comparazione tra le scuole europee e quelle italiane. Da quel che conosco per esperienza pi o meno diretta, a livello europeo esistono scuole di design estremamente consolidate sia sul piano della didattica sia su quello della ricerca. Hanno iter formativi strettamente propedeutici che dedicano grande attenzione al consolidamento delle materie fondamentali nel triennio iniziale, a cui segue un biennio specialistico decisamente sperimentale, su linee di frontiera molto avanzate. il caso, per esempio, dellOlanda, della Germania e dellInghilterra, si veda lo stesso Royal College of Art. Mentre noi, in Italia, siamo ancora fermi alla capacit di immaginare un piano di studi propedeutico, quindi che abbia degli insegnamenti di base consolidati. Lunica esperienza poco pi solida quella di Milano, semplicemente perch l vi lunico vero e proprio Corso di Laurea in Design della comunicazione su territorio italiano, mentre negli altri atenei, ancora non esistono dei corsi dedicati alla comunicazione visiva. Se manca lo stesso corso non possibile strutturare dei piani di studio dotati di coerenza tra i vari anni: ci sono molti casi, per esempio, in cui si hanno nel primo anno una serie di materie propedeutiche, nel secondo nulla che riguardi il progetto di comunicazione e poi improvvisamente, al terzo anno, multimedia; ma dal basic design del primo anno al design multimediale del terzo non esiste alcun filo conduttore. Pertanto, ribadisco, non pu esistere un termine di paragone tra la formazione in Italia e quello che avviene allestero. Puntando lo sguardo alle scuole storiche di designquali la Bauhaus tedesca e la Hochschule fr Gestaltung di Ulm, che possiamo dire abbiano segnato la nascita della nostra disciplina e delle sue specializzazionicome sono confluite queste esperienze nella definizione dei programmi delle attuali scuole di design italiane? Ritiene ancora valido, oggi, riferirsi a quei modelli quasi archetipici?

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Non sono confluite affatto. Tutto quello che deriva dallesperienza di Ulm lo si deve a Giovanni Anceschi, che ha importato, prima a Milano e poi a Venezia, il basic design. Di conseguenza tutto quello che, in Italia, riguarda la pedagogia del design della comunicazione lo si deve a lui. Devo ammettere che a Venezia Anceschi ha fatto un lavoro straordinario, avendo costituito il Dottorato di ricerca in Scienze del design che permette di creare una linea di continuit tra la laurea triennale, la magistrale e il dottorato di ricerca, proprio su questi temi. Ma ancora lunico filo di collegamento con la cosiddetta Scuola di Ulm e in generale le esperienze delle scuole storiche di design. Alle quali, tuttavia, ritengo ancora opportuno riferirsi. Ed in particolare allideache poi propria del basic designdella produzione di quelli che potremmo chiamare eserciziari. Anceschi ha inoltre istituito, nel corso del suo insegnamento, quello che lui stesso ha definito New basic design, ovvero una metodologia nellapproccio al progetto applicabile anche a contesti che usano strumenti, tecniche e tecnologie completamente differenti. stato pubblicato, peraltro, un interessante volume de Il Verri1 curato dallo stesso Anceschi, in cui vengono riportate le diverse esperienze del New basic design sviluppate a Venezia. Viene spesso detto, quasi fosse un luogo comune, che il design una disciplina a cavallo tra le discipline, in cui confluiscono saperi molto diversi. Come si possono tenere insieme, in un percorso formativo, tutte le diverse discipline di cui il designer nella sua attivit si serve? Come si realizza questo tipo di multidisciplinariet? Mi vengono in mente i modelli delle scuole americane. Quando sono stata a New York, nel 1990, non capivoperch ero troppo giovaneper quale motivo al primo anno fossero insegnate materie come letteratura, sociologia Di fatto lho capito soltanto trentanni dopo: progettare sempre un atto di consapevolezza, la capacit di strutturare un racconto, attraverso diversi linguaggi. A ci, dunque, serve una formazione umanistica; senza omettere, chiaramente, la componente scientifica. Bisogna pertanto riuscire a inserireso bene quanto sia difficilenel proprio percorso formativo, e ancor pi nella propria forma mentale, la curiosit rispetto a tutte le discipline. Daltra parte la nostra stessa disciplina che lo richiede: noi, voi sarete chiamati a lavorare negli ambiti pi disparati. necessaria unattitudine mentale, una
1. New basic, Il verri, n. 43, giugno 2010

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certa curiosit ad affrontare diversi argomenti. Ritengo che noi, pi di altri professionisti, dovremmo avere questa tipo di versatilit rispetto ai saperi, in generale. Molto pi di un architetto, molto pi di un designer di prodotto. Proprio perch lambito della comunicazione trasversale a qualsiasi cosa. Spesso si tratta di ambiti apparentemente cos lontani tra loro da avere lobbligo, come progettisti della comunicazione, di essere permeabili. Questo argomento sembra riallacciarsi anche alla questione della ricerca allinterno del mondo della progettazione. Spesso, nellambito del design, la ricerca viene condotta con superficialit, senza gli strumenti metodologici della ricerca scientifica, ben pi rigorosa e codificata nel corso dei secoli. Pertanto necessario, a suo avviso, formulare una nostra grammatica, sviluppare una nostra autonoma dimensione di ricerca? Verso cosa dovrebbero orientarsi le facolt, anche nella prospettiva della definizione di proprie Scuole di Dottorato? Potrei riferirmi alla mia esperienza. Io insegno sia nel corso del triennio che della specialistica in design, presso la Seconda Universit degli Studi di Napoli, sede di Aversa, e, fin dal primo anno, cerco di insegnare agli studenti a fare una seria ricerca bibliografica. Una ricerca che, insomma, vada oltre i primi dieci risultati di Google. Le prime pagine dei risultati di un motore di ricerca su internet equivalgono, rapportandole alla mia generazione, al primo scaffale di una qualsiasi biblioteca. E questo non fare una ricerca. Fare ricerca significa andare oltre il primo gruppo di titoli a disposizione, per riuscire a trovare magari quellultimo regesto che nessuno ha mai letto. Su internet la stessa cosa. Non cambia nulla tra sistema analogico e digitale. Quello che bisogna imparare ad acquisire questa palestraperch di ci si trattanel ricercare e nello scrivere. Infatti io chiedo sempre ai miei studenti di affiancare al loro progetto una relazione scritta, e la prima cosa che vado a fare proprio cancellare le parole duso comune, le parole banali. Lo stesso vale anche nella progettazione di immagini coordinate, brochure, house organs: a loro affidata la stesura dei testi, che, anche in questo caso, non devono contenere le parole duso corrente, ormai completamente prive di significato. Ora, tornando alla vostra domanda, non c una risposta che io possa dare. Si tratta proprio di una pratica, una metodologia da instillare negli studenti, cos come, per esempio, nellinsegnamento della progettazione di

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un carattere tipografico. Che del resto il tratto distintivo, secondo me, dei progettisti della comunicazione. Sembra tuttavia impensabile riuscire a tenere nello stesso corso di studi materie molto diverse, distanti tra loro, quanto meno avere per ognuna un sufficiente grado di approfondimento. Questo non vero. E anche in questo caso posso riportare quella che stata la mia esperienza. Per cinque anni ho frequentato i corsi della facolt di Architettura e contemporaneamente anche lIstituto Europeo di Design, perch allora non ero affatto a conoscenza dellIsia di Urbino e in Italia non esistevano altre scuole di comunicazione visiva. In seguito ho affrontato unesperienza negli Stati Uniti. Tuttavia quando frequentavo la facolt di Architettura di Napoliche ancora ringrazio per avermi conferito una struttura mentale che tuttora non scorgo nei Corsi di Laurea in Disegno industrialesi studiava progettazione leggendo Alfabeta, che una rivista culturale che si occupa di filosofia, di letteratura. Perch allora andavo a leggere riviste come questa? La curiosit era innescata dagli stessi progettisti, i grandi maestri che parlavano di argomenti quali la crisi della cultura occidentale. Ma non ero la sola, era il contesto della facolt di Architettura che frequentavo che consentiva, quasi richiedeva, questo tipo di letture. la progettazione in generale, e il design della comunicazione in particolare, ad avere nei propri cromosomi una natura critica rispetto alle forme del mondo, alle forme dellabitare. Che non si risolve semplicemente attraverso una sapiente progettazione formale. Per questo allora ritengo ancora importante leggere gli scritti di un biologo evoluzionista quale Gregory Bateson piuttosto che conoscere perfettamente la biografia di Albe Steinerche conserva un suo indiscutibile valore, ma per altre motivazioni. Lei ha parlato, nella sua conferenza, della questione dei docenti che sono anche professionisti, citando il caso dello Iuav, ma anche del Politecnico di Milano. Fino a che punto, in che misura lei ritiene sia giusto affidare linsegnamento a designer professionisti? Quali sono i vantaggi di questa scelta? La questione molto complessa. Anzitutto io credo non sia possibile insegnare progettazione se non si prima progettisti. E questo lo si pu riscontrare gi allinterno delle nostre facolt: abbastanza evidente che i giovani docenti che sono il frutto di questi primi corsi di laurealaureati in Disegno

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industriale che hanno magari svolto un dottorato di ricerca restando integrati allinterno della sfera accademicaabbiano qualche lacuna, qualche sostanziale differenza rispetto proprio allapporto che invece un professionista riesce a fornire alla didattica. Molti, come nel caso delle scuole americane, pensano che si debba dare la possibilit ai designer di praticare la professione allinterno e con le stesse universit, attraverso gli spin off, per esempio, oggi molto utilizzati. Io, per, in merito ho forti dubbi dal punto di vista deontologico, etico; perch ununiversit che realizza un protocollo dintesa con una struttura aziendale e si impegna nella realizzazione di progetti concreti, di fatto, entra in competizione, in concorrenza coi professionisti che invece operano sul mercato. Per questo mantengo delle resistenze nellavviare progetti di questo tipo. Diverso se si tratta di commesse pubbliche, che richiedono un elevato livello di approfondimento e ricerca. Se invece parliamo di commesse private non credo che il legame con luniversit possa funzionare. Non sono daccordo. Su questo si innesta unaltra questione: quella del rapporto delle universit con le aziende. Alcune facolt auspicano o ipotizzano rapporti con il mercato. Altre preferiscono tenere i progetti su un piano pi astratto, teorico, dedicando pi tempo ed energie alla ricerca. Lei cosa ne pensa? Il problema che oggi le universit non hanno pi fondi. Per cui attivare una convenzione con unimpresa significa comunque riuscire ad attivare delle economie. Ora, per, opportuno fare una distinzione: molto diverso parlare di ricerca applicata oppure di una commessa vera e propria, le due cose devono essere separate. Si potrebbe al massimo parlare di progetti reali, ma auto-commissionati o semplicemente non commissionati da soggetti privati. Perch quello che poi altrimenti si verifica in ambienti troppo chiusi un certo scollamento, un isolamento dellambiente accademico dal resto del mondo. Manca in quei casi il confronto con lambiente esterno, una sorta di osmosi con quello che accade fuori dalla scuola, e che non necessariamente coinvolto nelle logiche del mercato. Quindi potremmo dire che, per coprire lesigenza di progetti reali, verifiche sul campo che coinvolgano stakeholders e utenti reali non fittizi, le universit dovrebbero piuttosto allacciare rapporti con interlocutori pubblici che non con imprenditori privati. Oppure grandi enti che per richiedano una grande componente di ricerca. solo in questo modo che si riesce a

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creare la differenza. Per me, essendo sia ricercatrice allinterno dellUniversit che Presidente di unassociazione di professionisti pi facile avere una visione di entrambe le parti. E ritengo che una separazione, insomma, debba continuare ad esserci. Parlando sempre di rapporti della universit con lambiente esterno, in che misura e in che modo le esperienze autonome degli studentiquali progetti e ricerche autonome o auto-commissionatedevono e possono confluire nel percorso di studi individuale o, pi in generale, nellambiente accademico? Bene, secondo me, non esiste una regola. Esiste, invece, il buon senso. Far alcuni esempi. Brave New Alps2 un collettivo di ricerca che ha preso le mosse dallaspettativa personale dei due fondatori3, aprendo di fatto uno squarcio in quello che il filone dellautoproduzione e dellattivazione di processi legati alla produzione di design. Oppure, nel mio corso, mi capitato di seguire delle tesi, originate da specifiche richieste, che mettevano in relazione la musica con il design della comunicazione. Tuttavia queste tesi sono poi sfociate in due progetti per non udenti. Per cui non esistono delle strade consigliate, ogni proposta richiede un suo percorso specifico. Ho sempre un approccio molto aperto rispetto agli studenti e le loro proposte, che in alcuni casi sembrano piuttosto azzardate e inopportune, ma altre, invece, suggeriscono scenari, contengono intuizioni, sensibilit che giusto ascoltare e assecondare. Nel caso dei cosiddetti crediti liberi o a scelta, che gli studenti sono chiamati a colmare con la frequenza a seminari, corsi, laboratori, attivit integrative di vario genere, si tratta di un approccio completamente diverso. Siamo ancora ad un modello inserito in un contesto di stampo gerarchico. Ed in questo modello allo studente vengono consegnati, per esempio, tre crediti in cui libero di fare quello che vuole: la riserva degli indiani! Ma quando nellIcograda Design Education Manifesto si legge dellevoluzione da progetti generati dai docenti ad una maggiore partecipazione alla definizione dei problemi da parte degli studenti4, siamo di fronte a un radicale cambiamento di struttura didattica. Non pu pi esistere il docente che fa la lezione ex cathedra; piuttosto necessario orientarsi verso una struttura
2. Per approfondire si veda il sito internet del collettivo (www.brave-new-alps.com). 3. Bianca Elzenbaumer e Fabio Franz. 4. Reperibile sul sito internet dellIcograda (www.icograda.org/education/manifesto.htm).

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laboratorialeche cosa ben differentein cui ognuno porta il proprio contributo. il modello a dover cambiare. Una cosa che si nota in molti lavori di gruppolargamente previsti nei nostri corsi la difficolt degli studenti a lavorare in gruppo. E i lavori di gruppo di solito sembrano livellare verso il basso. Diversi professori, inoltre, ammettono di assegnare lavori di gruppo per velocizzare le revisioni, avendo quantitativamente meno progetti da supervisionare. Ma non c una gestione vera e propria del lavoro in gruppo. Non credo che tendano a livellarsi verso il basso. Ritengo che il lavoro di gruppo sia qualcosa di necessario in qualsiasi piano di studi. Alcuni docenti lamentano il fatto di non riuscire, nei lavori di gruppo, a distinguere quale sia il contributo di ognuno degli studenti/componenti. Ma anche in questo caso una questione di struttura, dipende, in sostanza, dalla capacit che ha il docente-coordinatore di gestire il gruppo. La mia esperienza, per esempio, dice il contrario. Nei miei corsi ho labitudine, quando supervisiono lavori di gruppo, di assegnare il ruolo di bastian contrario a rotazione, cio la persona che ha il compito programmatico di mettere in crisi lintero progetto, perch solo in tal modo si riesce ad acquisire una capacit critica nei confronti del proprio lavoro, si impara a scorgere difetti, incoerenze, lacune, facendo cos infine salire il livello complessivo del progetto. Si tratta pertanto di responsabilizzare i componenti del gruppo, assegnando ad ognuno un preciso compito, che peraltro cambia a rotazione. Non difficile, cos facendo, neppure individuare e valutare le qualit dei singoli membri. E ci che pi di altro conta labituare gli studenti a lavorare in maniera interdisciplinare. altamente improbabile che il progettista, domani, continui a lavorare da solo, nel proprio studio, secondo il modello dellautore. il mercato che non richieder pi quel tipo di progettista, o quantomeno molto raramente. Il fatto poi che allinterno di team di lavoro multidisciplinare spicchi la personalit di un leader cosa ben diversa. La gestione delle relazioni, dei conflitti allinterno di un gruppo di lavoro resta, tuttavia, una delle questioni pi complesse. E anche per questo il lavoro in gruppo molto pi faticoso del lavoro svolto singolarmente, se gestito in un certo modo, e di conseguenza non affatto vero che sia semplicemente un modo per velocizzare le revisioni dei progetti degli studenti. Come al solito non esiste un modello buono e uno cattivo; esiste la gestione di un tale modello che pu essere buona o cattiva. Di contro posso riportare lesperienza che ho avuto a Roma, questanno, in cui sono stata chiamata a insegnare in un corso del primo anno, e in quel caso ero vincolata a far svolgere agli studenti progetti singoli: posso

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garantire che il livello si rivelato completamente diverso, sicuramente pi basso. Potrei infine, addirittura, fare lesempio di unesperienza di tesi: ho seguito questanno cinque ragazze che hanno lavorato insieme, ma su cinque argomenti differenti, quindi ognuna con un proprio argomento. Il livelloposso assicurarvi salito moltissimo. Perch in un contesto collettivo chiaramente favorito il confronto, circolano agevolmente suggerimenti, suggestioni ed anche critiche. C un libro di Domenico De Masi5 nel quale egli ha svolto una ricerca sui gruppi creativi di inizio secolo e ne ha individuati dieci. Bench alla controversa parola creativit io preferirei sostituire innovazione, nella sua analisi, che spazia dal Circolo matematico di via Panisperna a Roma, alla Stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli alla Wiener Werkstaette di Vienna, De Masi dimostra come sia proprio la multidisciplinariet dei saperi a generare creativitovvero a creare innovazionesostenendo, infine, che la creativit non mai singola ma collettiva. Questo fa pensare un po alla natura di Urbino, perch lIsia rappresenta per la maggior parte di noi una pausa rispetto al contesto di provenienza, dando la possibilit di catapultarsi in una dimensione che favorisce molto la concentrazione. Ma si tratta pur sempre di una realt chiusa su se stessa. Spesso non basta il background pregresso di ognuno, sembrano piuttosto necessarie conoscenze, competenze sviluppate in altri contesti e ambiti disciplinari. Per, in questo contesto chiuso, avete la possibilit di confrontarvi a vicenda. come stare in una piazza in cui confluisce una moltitudine di persone diverse. Certo sarebbe interessante essere contaminati da virus: Zygmunt Bauman, Richard Sennett, un musicista insomma degli stimoli che vengano dallesterno. Il programma di scambio Erasmus era nato proprio su questa idea. Di fatto poi lapplicazione stata fallimentare: spesso gli studenti sembrano molto pi interessati ad ottenere facilmente quei crediti di cui hanno bisogno e andar via. Invece il programma Erasmus era stato progettato come un modello intelligente perch mirava proprio a creare questa interrelazione tra facolt europee differenti. E, come spesso avviene, una cosa sono i modelli elaborati e altra cosa si rivela la gestione pratica di quei modelli.
5. D. De Masi, La fantasia e la concretezza. Creativit individuale e di gruppo, Rizzoli, 2003.

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Devo inoltre dire che noi italiani siamo peraltro particolarmente bravi nel non farli funzionare. Possiamo concludere proponendo questo interrogativo: alcune peculiarit delle scuole e dei corsi di design (al di l delle varie specializzazioni)ad esempio lavoro di gruppo, didattica laboratorialepossono essere prese come riferimento per lo sviluppo di modelli e metodi da declinare in altri ambiti disciplinari, per altre facolt? Magari! Il problema che non ne abbiamo. Insomma, in Italia non ci sono le facolt, non ci sono i corsi, come possiamo immaginare addirittura dei modelli? Le facolt o i corsi che esistono oggi sono nientaltro che il frutto di casualit. Soltanto lo Iuav di Venezia o il Politecnico di Milano hanno lavorato da anni per questo. Per il resto c poco. Come si fa allora a sviluppare un modello su una realt che ancora troppo giovane e troppo frammentata? Le grandi scuole, quali per esempio il Royal College of Art di Londra oppure il MIT di Boston, sono riusciti a istituire dei modelli oggi esportabili in tutto il mondo perch sedimentati nel corso del tempo. A noi resta ancora tutto un lavoro da fare. Per dirne alcune: perch la storia del progetto grafico in molti corsi di laurea non si insegna? Perch il basic design si insegna solo a Venezia? In questo senso molte delle scelte fatte sono soltanto dovute ad una serie di casi o circostanze, o meglio alla capacit di un singolo docente e alla sua responsabilit rispetto allintroduzione di alcune materie, metodi, modelli didattici, e cos via. per questo che allora Pieracini6 invita voi studenti a proseguire il dibattito e confermare la vostra presenza in ambito accademico. Le uniche due personalit che fossero in grado di fare qualcosa del genere, a mio parere, erano Anceschiche in parte a Venezia lo ha fatto, avviando una scuola che bene o male funziona, pur essendo ormai in pensionee Lussu, che per, per una serie di valide ragioni ha scelto di rinunciare. Io penso, inoltre, che uno degli errori commessi sia stato quello di aver frammentato lofferta formativa in design e design della comunicazione in una serie di piccoli corsi senza troppo seguito e di dubbia qualit. Probabilmente sarebbe stato meglio lavorare alla costituzione di quattro grandi scuole di design, omogeneamente distribuite sul suolo italiano, in cui far confluire le poche docenze strutturate, in modo da incanalare le energie, provando a far crescere delle realt solide e importanti.
6. Attuale direttore dellIsia di Urbino.

Appendice due Conversazione con Giovanni Lussu

A cura di Filippo Taveri29 novembre e 17 dicembre 2012

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In base alla traccia fornita per una conversazione sulla formazione dei progettisti, Giovanni Lussu ha argomentato toccandoil pi delle volte riformulandone le premessei vari temi proposti e altri, pi lontani, che aiutassero a chiarire il suo punto di vista. Quella che segue la ricostruzione, sicuramente infedele e filtrata da chi scrive, di un paio di conversazioni avute tra Urbino e Roma nei mesi di novembre e dicembre 2012, qui presentate come un lungo discorso impersonale. Premessa Anzitutto, fondamentale fare una premessa che suoner scomoda o antipatica. Perch, nellaffrontare la questione delleducazione al design e alla grafica, si intrecciano una serie di argomenti e livelli diversi, per cui necessario rivedere molti dei presupposti che vengono dati per scontati. Una posizione che tende ad essere molto radicale: in sostanza, la tradizione del design, come si configurata nel Novecento, non sembra abbia fatto grandi passi in avanti. La comunicazione visiva, tuttavia, resta ancora un fatto importante: un modo per guardare e comprendere le cose e conserva un grosso potere evolutivo. Ha di fatto segnato lesistenza dellhomo sapiens. A ben vedere la storia dellumanit segnata da operazioni di notazione e scrittura continue, pertanto le rappresentazioni grafiche in senso lato1 sono da considerare patrimonio della specie umana. Si potrebbe far partire questa storia gi nel Paleolitico superiore, epoca in cui la scrittura ha avuto una straordinaria esplosionee da allora sembra non ci siano state altre enormi rivoluzioni nella storia della scritturanon solo per le note pitture murali di Lascaux o Altamira, ma per una quantit enorme di materiale non prettamente a scopo sacrale ma notazionale: ad esempio mappe, computazioni, liste e cos via. Ma si pu facilmente notare che, tuttavia, non esistesse un designer per questo. E cos stato per millenni fino a che non comparsa, nel Novecento, questa categoria professionale (i designer) che si arrogantemente imposta, con poche cose interessanti, con pochi esempi densi di valore conoscitivo: unico caso progettuale davvero
1. Ovvero nel senso della radice nel verbo greco grapho, propriamente: scrivo, incido.

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valido forse quello di Otto Neurath e dellelaborazione dellIsotype, un autentico servizio di informazione, che permettesse ai cittadini di conoscere in modo efficiente ci che accade. Un parere sullattuale assetto della formazione al design in Italia Tracciando invece la storia della formazione al design in Italia, non si pu delineare una causa univoca, non si pu ovviamente individuare un unico motore dellattuale situazione, ma c tutta una serie di equivoci ed eventi che si sovrappongono. Pertanto bisogna prima di tutto chiarire alcune questioni. Ad esempio, lidea di questa scatola unica2 del design allinterno della quale si possa far rientrare sia il product design sia il design della comunicazioneoltre che tutte le altre specie e sottospecie nientaltro che un enorme equivoco storico. Il che non sarebbe soltanto concettualmente errato, ma soprattutto non corrispondente a quanto accade in realt. E anche analizzando i percorsi di questi diversi ambititanto pi se considerati come discipline molte volte si operano forzature concettuali di fatto inesistenti. Una cosa, del resto, esclusivamente italiana, poich in inglese la parola design continua ad essere un sostantivo e verbo di uso comune: design vuol dire progettare, impostare, e questo in tutti gli ambiti della vita. Non diventata, insomma, questa cosa imprecisata di cui si parla solo in Italia. In area anglosassone e americana la tradizione graficache affonda le proprie solide radici nel disegno dei caratteri sempre stata ben distinta dal design di prodotto. Un fondamentale errore stato, dunque, quello di aver considerato la grafica come versione minore dellindustrial o product designin Italia sotto linsegna di disegno industriale accentuandone la funzione ancillare. Per altri versi nelle scuole ha continuato a prevalere la linea artistoide, tanto che Gillo Dorfles, ne Le oscillazioni del gusto, pu ben parlare di pinacoteca minore3 in riferimento ai prodotti della grafica, denunciandone la derivazione dalle avanguardie del Novecento, e mettendo quindi in luce lautorialit e lartisticit proprie di molta grafica italiana4.
2. Enzo Mari per descrivere la confusione che regna intorno alla parola design usa linteressante espressione di parola-valigia (E. Mari, F. Alfano Miglietti, La valigia senza manico. Arte, design e karaoke, Bollati e Boringhieri, Torino 2004). 3. G. Dorfles, Le oscillazioni del gusto, Lerici editori, 1958. 4. Nel suo articolo Miele dalla rupe: considerazioni di un grafico indolente, apparso su Progetto grafico n.20, estate 2012, Giovanni Lussu scrive inoltre: Mentre il design di prodotto produce merci, e quindi influisce sulla bilancia commerciale e attira attenzioni e investimenti, quello di

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Sui rapporti con le scuole storiche di design Il Bauhaus, che viene spesso indicato come imprescindibile esempio di scuola di design, era semplicemente una tra le tante scuole attive nella Germania di quegli anni. Per esempio Paul Renner, che ha disegnato lunico vero carattere tipografico associabile al movimento moderno, insegnava grafica e tipografia presso la Kunstschule di Francoforte, era tra i membri del Deutscher Werkbund, prima di diventare direttore della Graphische Berufschule, la celebre scuola di arti grafiche di Monaco. Colui che invece, in assoluto, il personaggio fondativo della grafica moderna, Jan Tschichold, era stato chiamato dallo stesso Renner a insegnare nella scuola di Monaco di cui era direttore. In altre parole, entrambi avevano svolto un percorso autonomo nella tradizione tipografica e insegnavano in scuole, allepoca validissime, che non avevano nulla a che fare col Bauhaus, troppo spesso considerato cos fortemente influente sul movimento moderno razionalista, e di conseguenza sulla grafica modernista. A ben vedere, la scuola era tuttaltro che impostata su principi razionali. Basta considerare che uno dei docenti pi famosi, Kandinskij, era teosofo e pittore astratto difensore dello spirituale nellarte, ovvero niente di pi irrazionale. Perfino Klee aveva una cultura complessivamente provinciale e tutte le pretese metodologiche che gli si attribuiscono sono pi che altro costruite a posteriori; i suoi lavori, per quanto raffinati e artisticamente interessanti, non sono altro che il frutto di una poetica del tutto personale. In particolar modo, la scuola non aveva affatto consapevolezza del progetto di comunicazione, n sufficiente conoscenza e padronanza della tipografia. Il Bauhaus allinizio, cos come alla fine della sua vicenda, non ha prodotto altro che grafica commerciale, pubblicitaria, senza alcun orizzonte conoscitivo pi denso. Nella scuola, ad esempio, non si conosceva nulla dellIsotype, che cominciava a diffondersi gi nel 19; lidea delle rappresentazioni grafiche a fini conoscitivi era totalmente sconosciuta: da questo punto di vista, il Bauhaus era la retroguardia. Il laboratorio di tipografia,
comunicazione non pu che essere visto come secondario; a meno che non riesca ad acquisire grande prestigio sociale e culturale. Non ci si arriva n con la creativit n con il corporativismo, n tantomeno con lautorialit, che gli investimenti li convoglia soltanto sugli autori stessi. Sullo stesso rapporto di dipendenza Daniela Piscitelli, con un gioco di parole pi volte utilizzato (anche a Urbino durante il suo intervento Design della comunicazione e Universit: stato dellarte durante la giornata di studio La formazione del grafico, 30 novembre 2012), invita a soffermarsi sulla differenza tra design della comunicazione e comunicazione del design.

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inoltre, elaborava cose che trascuravano (soprattutto per ignoranza) una serie di conoscenze della tradizione percettologica e si basavano, invece, sulla presunzione di efficienza intrinseca al razionalismo: ne risultano caratteri protervi, sperimentazioni tipografiche frutto di pure astrazioni e ideologie (geometrizzazione e semplificazione totalizzanti). Il tratto negativo di quella esperienza resta quindi una cattiva didattica fondata su arroganza e ignoranza. Lo stesso vale per la scuola svizzera che negli anni Sessanta fa delluso dellHelveticaun carattere tipografico che altro non che linterpretazione di caratteri commerciali inglesi di inizio Ottocento ridisegnati con tratto costante sulla base del Caslonla bandiera di una presunta modernit. Perfino Max Bill, studente al Bauhaus di Dessau prima di essere co-fondatore e primo rettore della Hochschule fr Gestaltung di Ulm, era di fatto un artista e il razionalismo grafico che promuoveva derivava da scelte puramente estetiche e stilistiche, non da vere priorit di efficienza o sintesi comunicativa: una pretesa di funzionalismo. In sostanza la risonanza del Bauhaus soltanto un polverone attorno a unesperienza poi non cos rilevante per la storia del design e della grafica, sollevato da un gruppo di professori e professionisti (per lo pi pittori e architetti) emigrati in America dopo la diaspora. La scuola, nel periodo della sua esistenza aveva soprattutto uno stringente bisogno di fondi (ben note sono le difficolt economiche in cui continuamente versava) e da ci deriva pertanto la necessit di autopromuoversi volta ad attirare lopinione pubblica e i vari interessi economici. Sulla vicenda delle scuole di design italiane Tornando allo stato dei corsi in cui si insegna il progetto di comunicazione, il pi grave errore commesso nel nostro paese, oltre a quelli prima accennati, stato sicuramente quello di averli inseriti allinterno delle Facolt di architettura dei vari atenei italiani. Bench nella grafica italiana ci siano stati anche altri percorsi degni di nota. il caso di Albe Steiner che, negli anni in cui operava in Italia, ha cercato una via totalmente diversa: nonostante lui fosse profondamente legato alla tradizione del Bauhaus5 le
5. Steiner era particolarmente legato ad Hannes Mayer, architetto militante comunista e ultimo direttore del Bauhaus, con il quale nel 1964 collabora partecipando in Messico alla campagna di alfabetizzazione e al Taller de Grafica Popular (con il gruppo di Diego Rivera, Alfaro Siquieros, Leopoldo Mendez e altri).

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sue esperienze didattichedallUmanitaria di Milano alla Scuola del libro di Urbinoavevano un taglio differente, anche rispetto al resto delle scuole di disegno industriale e istituti professionalizzanti che sorgevano in Italia. Ma questi costituiscono tuttora uneccezione nel panorama della cosiddetta offerta formativa attuale, affidata da un lato ai Corsi di laurea in disegno industrialeinglobati nelle Facolt di architetturae dallaltro alle Accademie di belle arti e agli Isia, ovvero le istituzioni storicamente e tradizionalmente preposte alleducazione artistica. Lo stesso Giovanni Lussu ha in qualche modo avuto una piccola parte di responsabilit nella costituzione dei corsi universitari. Negli anni novanta, per il rapporto di amicizia che adesso come allora li lega, aveva suggerito a Tonino Paris, fondatore nel 1994 e formalmente presidente del Diploma universitario, poi Corso di Laurea, in Disegno industriale allUniversit degli studi di Roma La Sapienza, il quale faceva allora parte del CUN6, di inserire la grafica come disciplina allinterno delle Facolt di architettura. Linsegnamento della grafica compar dunque nellelenco delle discipline previsto dal nuovo ordinamento delle Facolt di architettura, entrato in vigore dallanno accademico 1993-94. Al Politecnico di Milano, contemporaneamente, veniva attivato nello stesso anno il primo Corso di Laurea in Disegno industriale, allinterno del quale Lussu insieme a Giovanni Baule erano i primi docenti di grafica. Quello che accaduto in seguito che questa materiala grafica diventata oggetto dellinteresse di un raggruppamento molto forte, corporativo, di docenti direttamente legati ad alcuni personaggi prestigiosi del mondo dellarchitettura, e determinati nel perseguire scelte operate a proprio beneficio. La grafica stata interpretata come una delle discipline riferite allambito di disegno e rappresentazione, che nella tradizione di architettura la prospettivaquindi a cavallo della geometria descrittiva e del disegno dal verotravisandone completamente i propositi iniziali. I corsi di grafica sorti poi in giro per lItalia sono stati monopolizzati da questo indirizzo che nulla aveva a che fare con il design della comunicazione n con la grafica intesa in senso tradizionale.

6. Acronimo di Consiglio Universitario Nazionale, ovvero lorgano consultivo che raccoglie i rappresentanti delle varie universit col compito di formulare pareri e proposte al Ministero dellistruzione, delluniversit e della ricerca per le materie che attengono la pianificazione e lo sviluppo dellofferta delle stesse universit.

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stato Giovanni Anceschi, allepoca strettamente legato a Maldonado, il quale nei primi anni del Corso di laurea al Politecnico di Milano era la figura pi prestigiosa, che divincolandosi tra i meandri delle denominazioni disciplinari riuscito a riappropriarsi in qualche modo dellarea della comunicazione visiva, sviluppando un nucleo disciplinare che sfuggisse alla prepotente egemonia della progettazione architettonica. Nel corso del tempo sono poi intervenute altre dinamiche per le quali Anceschi stato emarginatoe alla fine del tutto estromessoe Maldonado ha cominciato a uscire di scena. Questa sommaria ricostruzione chiaramente una semplificazione di vicende complesse, non lineari e non per forza logicamente correlate. Ad ogni modo la scelta di affidare la gestione di questi corsi e pi in generale dellinsegnamento del progetto di comunicazione a chi ha una formazione principalmente di architetto stata e continua ad essere un evidente errore. In generale, una componente importante in queste vicendeprovando a dare un giudizio realistico da attribuire alla meschinit che caratterizza lambito del design. La grande stagione del design italiano degli anni Sessanta e Settanta era molto legata allo sviluppo industriale, alla grande opera di ripresa economica italiana; il che ha permesso di dar vita a una serie di cose straordinariamente eccezionali: si pensi, per esempio, al caso della Olivetti. Ma la maggior parte dei grandi designerprofessionisti che lavoravano molto con un ritorno economico anche consistenteaveva un orizzonte politico e culturale piuttosto limitato, erano cio privi di una formazione che li spingesse a porsi concretamente il problema delleducazione. Caso isolato ed eccezionale , ancora una volta, quello di Steinercomunista impegnato e in quanto tale fedele allo statuto del Partito orientato alla costruzione di progresso attraverso limpegno nel proprio lavoroil quale, diversamente dai suoi colleghi, ha sempre cercato di portare avanti la sua opera di divulgatore, di didatta al servizio degli altri. Altri personaggi, pur connotati da una forte ideologia, non sono invece riusciti a tradurre in prospettive concrete i propri slanci teorici. C infine il fatto che in Italia, ovviamente per quello che riguarda specificamente il progetto di comunicazione, fosse largamente egemone la linea tedesco-svizzera. Egemonia favorita se non generata da tutta quella serie di grafici svizzeri che sono passati per Milano e in particolare per lo Studio Boggeri: per citarne alcuni Xanti Schawinsky, Max Huber, Walter Ballmer, Bruno Monguzzi. Hans Neuburgtra i fondatori della rivista Neue Grafikha lavorato a Milano per diversi anni.

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Sul ruolo del designer nella societ A proposito della contrapposizione tra il design come attivit artigianale da un lato e dallaltro come attivit intellettuale di cui si parla bisogna ammettere che essa del tutto inesistente. Nel senso che non ha alcun riscontro effettivo il secondo di questi due approcci che ci si sforza di intravedere, ovvero il designer visto come interprete e intellettuale che interviene attivamente nella societ. In Italia, se questo pu essere minimamente vero per gli architetti, esiste tuttavia unincolmabile distanza tra il prestigio di cui questi godonospesso neanche meritatamentee quello a cui, invece, i designer ancora aspirano. Quando poi gli architetti vengono chiamati a esprimersi sulle dinamiche politiche, culturali, sociali e via discorrendo, non sembra abbiano nulla di interessante o innovativo da aggiungere. Ma soprattutto: quand che il designer si fa interprete e intellettuale? Davvero questo non accade. Se scendiamo poi allambito del progetto di comunicazione la rilevanza sociale del progettista ancora minore. Un qualsiasi teorico della grafica pu liberamente e strenuamente esprimere le sue teorie, ma resta di fatto inascoltato, il suo discorso del tutto autoreferenziale: non va chiaramente oltre le cerchie chiuse e ristrette degli altri designer. Particolarmente illuminanti per questo argomento sono gli scritti di Richard Sennettsociologo americanoche hanno avuto anche da noi una larga diffusione. Soprattutto il saggio Luomo artigiano (edito da Feltrinelli), terzo volume di una trilogia che riflette sulle prospettiva della vita sociale, sulla ricerca delle varie forme di collaborazione e di scambio. Qui egli d una chiara definizione di artigiano: lartigiano colui che ha col proprio lavoro un rapporto totale, pieno, complessivo, colui che nel lavoro mette tutte la propria persona, le proprie aspirazioni e speranze. Luomo di cui parla non dunque solo lartigiano in senso tradizionaleche comunque, ovviamente, conserva questo tipo di rapporto col proprio lavoroma pu esserlo il programmatore cos come, in questo senso, lo anche il ricercatore che svolge esperimenti in laboratorio se lo fa con un alto grado di coinvolgimento. Pare, ad esempio, che Enrico Fermi fosse estremamente rigoroso nel preparare la strumentazione da laboratorio per gli esperimenti scientifici. Si pu affermare che Fermi fosse dunque un grande artigiano, in quanto per lui questi aspetti considerati banali rappresentano la componente implicita della ricerca teorica.

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Questa sembra essere una prospettiva estremamente interessante, oltre che giusta da perseguire, dalla quale non ha senso la contrapposizione tra intellettuale e uomo di fatica: la novit che il vero intellettuale lartigiano. In generale sono da evitare le posizioni che pendono solo da una parte. La dimostrazione nel fatto che, a ben vedere, se ci si rif a una vecchia idea di lavoro manuale nel campo del design non si fa altro che pura decorazione. Sulle prospettive future per leducazione al design Per quanto riguarda il futuro delle scuole, la strada del rafforzamento della base scientifica resta lunica direzione da percorrere per garantire la sopravvivenza delle stesse. La faccenda della comunicazione interessante solo se contribuisce allallargamento delle conoscenze e, di conseguenza, al miglioramento della condizione umana. Non ha senso continuare a confinarla al packaging, alla decorazione degli involucri, alla cosmesi. Tanto meno in questo periodo storico di crisi in cui, come in tutte le fasi di decrescita, le cose futili sono quelle di cui chiaramente si sente meno il bisogno e che pi facilmente tendono a scomparire. Nei corsi di designma vale un po per tutti i gradi distruzionesi dovrebbero fornire strumenti che incrementino la consapevolezza del cittadino: introdurre la divulgazione scientifica, approfondire le conoscenze in questo ambito, sviluppare ricerca, senza dimenticare di coltivare il buon senso. Limportanza di una base scientifica forte, rispetto alla linea artistoide prevalsa in Italia, si rende evidente passando in rassegna alcuni dei personaggi pi noti della nostra cultura: sono molto comuni i casi di matematici e scienziati che, nel corso della propria vita, si sono dedicati anche allarte, alla poesia o alla musica spesso con ottimi risultati; molto pi raro, invece, che accada il contrario. Per quello che riguarda la grafica, gli scienziati e i matematici hanno effettivamente tutte le capacit per progettare anche libri da soli7. Per confermare lo stato di avanzamento degli ambienti di ricerca scientifica rispetto a quelli del design basta guardare a molti dei risultati di rappresentazione
7. Si consideri il TeX (attualmente lo standard per tutte le pubblicazioni scientifiche), programma di composizione tipografica espressamente progettato da Donald Knuth nel 1978 per consentire a chiunque di produrre libri di buona qualit con uno sforzo relativamente basso, in grado di gestire, oltre alla formattazione di testo corrente, formule matematiche, tavole, tabelle, che appaiano allo stesso modo su qualsiasi computer.

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o sintesi grafica prodotti da matematici senza alcun contributo di designer: Worldmapper, ad esempio, interamente progettato da matematici e statistici, non sarebbe mai potuto essere neppure ideato da grafici o designer. Insomma pi comodo, oltre che realistico, che gli scienziati, cos come gli scrittori, imparino a farsi le cose da soli (acquisendo le basi della composizione tipografica) piuttosto che i grafici si documentino sul contenuto delle informazioni che sono chiamati a organizzare. Qual , del resto, la base dura su cui si fonda la grafica? Il vuoto lasciato da questo interrogativo spinge a non poterla considerare neppure una disciplina, almeno per come si configurata finora. Di fatto si tratta della capacit di organizzare contenuti in maniera chiara e corretta nel rispetto di qualche semplice nozione di tipografia, capacit che come ovvio dovrebbe essere insegnata ed esercitata sin dallinfanzia. Inoltre, con la diffusione sempre pi ampia del computer, ovvero da quando gli strumenti su cui si appiattito il progetto di comunicazione sono alla portata di tutti, chiunque lo voglia perfettamente in grado di fare da s quello di cui ha bisogno (che prima faceva il grafico). Di conseguenza chi sentirebbe pi il bisogno di questi corsi? Per liberarsi dunque dalle pastoie dei software, per superarne i vincoli si rende necessario agire sulla programmazione (tutti oggi dovrebbero essere in grado di programmare). E per fare questo logico che chiunque debba avere una minima base di conoscenze matematiche. LIsia di Urbino avrebbe oggi le potenzialit per andare avanti soltanto continuando ad orientarsi verso una didattica sintetica: bisognerebbe riuscire a creare un percorso unitario, inclusivo, in cui si intreccino molteplici competenze, comprese quelle di ambito scientifico. La stessa esistenza di scuole come questa ha senso solo se esse riescono ad occuparsi delle cose davvero importanti. Inoltre sono da evitare tutti i tipi di simulazione o di prova sul campo, in quanto rappresenterebbero solo alcuni degli innumerevoli casi possibili che si incontrano nella pratica professionale, fuori dalla scuola: insensato costruire su queste singolarit un intero percorso didattico. necessario invece fare nel periodo della formazione tutto quello che non si potrebbe fare altrove o in seguito; lambiente accademico dovrebbe garantire questo. E se per un verso tutti i corsi (anche quelli teorici) dovrebbero essere svolti in chiave progettuale, limitando quanto pi possibile la lezione frontale, per unaltro non siamo ancora in grado di prescindere dallo studio che passa per i testi, il libro tuttora il veicolo privilegiato dellapprendimento.

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In sintesi, basterebbe da un lato lasciare liberi i bambini di sviluppare le proprie innate capacit sinsemiche e di rappresentazione8; dallaltro inserire un corso semestrale di grafica nelle facolt scientifiche per liberarsi in un paio di generazioni dei progettisti grafici e di una serie di bisogni indotti. A tal proposito vale la pena citare lesperienza di Lussu al Master in editoria di Bologna, fondato e diretto da Umberto Eco, nel quale, finch esistito (circa una decina danni), ha tenuto il corso di grafica editoriale. Il master biennale era suddiviso in tre semestri di lezioni frontali e un semestre di stage in casa editrice. Contando una decina di corsi per semestre, di trenta ore ciascuno, i tre semestri di lezioni prevedevano una durata complessiva di novecento ore. Il corso di grafica editoriale era lunico applicativo: si sfidavano gli studenti, che inizialmente non avevano alcuna nozione di grafica o tipografia, a produrre un elaborato. A parte una giornata di introduzione a QuarkXPress9 per il resto veniva soltanto posto loro il problema: realizzare un libretto di minimo quarantotto pagine, in un formato stabilito, da produrre in tre copie cucite a filo refe. Gli studenti dovevano occuparsi di tutti gli aspetti, dalla scelta del testo alla traduzione allimpaginato fino alla carta. Quello che si nota che alla fine del corso la qualit dei libri prodotti permetterebbe di ottenere facilmente la lode allesame di laurea del Politecnico di Milano. Facendo una rapida proporzione tra i corsi universitari quinquennali, che si aggirano intorno alle tremila ore, e il corso di grafica editoriale del master di Bologna si pu stabilire un rapporto di uno a cento, vale a dire che basta un centesimo di quello che si fa nei corsi universitari di comunicazione visiva per ottenere risultati forse addirittura migliori. chiaro che si trattasse di ragazzi strutturati, spinti da una forte motivazionela selezione degli iscritti era molto severae che con i libri aveva una certa familiarit. Era sufficiente lanciare loro degli stimoli perch seguissero autonomamente il percorso tracciato e apprendessero con rapidit.

8. Sarebbe anche il caso di rivedere il processo di apprendimento della scrittura: liberare i segni dalla tirannia dellalfabeto, per sfuggire alla funzione della scrittura come pura trascrizione del linguaggio verbale, magari prima imparando a tracciare segni e poi i suoni ad essi associati. 9. Applicazione di dektop publishing, la cui prima versione stata rilasciata nel 1987.

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