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I dati sono stati recentemente pubblicati sul Journal of Molecular Evolution da Carlo
Alberto Redi, direttore dell'Istituto IRCSS San Matteo di Pavia, Silvia Garagna e Maurizio
Zuccotti, dell'Università di Pavia, e Ernesto Capanna, della Sapienza di Roma.
Armati di frammenti di DNA e sequenziatori genetici, i ricercatori hanno notato che, tra le
specie di una stessa famiglia, i cromosomi hanno dimensioni simili. A parità del numero dei
geni (che per tutti i mammiferi, dall'uomo al pipistrello all'elefante, si aggirano tra i 20 e i
25mila), gli animali originari dell'Africa, come i pachidermi e i lamantini (simili ai trichechi),
hanno un genoma molto più pesante rispetto alle altre specie, addirittura doppio se
confrontato con cani, cavalli e delfini.
Ma le dimensioni del DNA non hanno nulla a che vedere con le dimensioni del corpo. I
genomi più grandi appartengono agli animali originari dell'Africa (gli Afrotheria). Man mano
che si sale di latitudine e si passa alle famiglie degli Xenarthra, degli Euarchontoglites o
dei Laurasiatheria, il nucleo delle cellule diventa più piccolo. E questo a prescindere dalle
dimensioni del corpo, dell'ambiente (specie acquatiche, terrestri o volanti spesso
appartengono a una stessa famiglia) e dall'alimentazione.
Un mistero, che i ricercatori hanno battezzato “enigma C”, dove C sta per contenuto. Se il
numero dei geni è infatti sempre lo stesso, le ragioni di tanta eterogeneità vanno cercate
nel “junk DNA” (DNA spazzatura), quella parte del genoma che non produce alcuna
proteina, ma che ha il compito, ancora in buona parte misterioso, di regolare le attività
della doppia elica.
Nell'uomo, il DNA spazzatura rappresenta il 98% del totale. E oggi, è proprio grazie a
questa porzione rilevante e “oscura” del genoma che possiamo disegnare una nuova
tassonomia dei mammiferi. Resta da scoprire con precisione anche la sua funzione, per
capire ciò che unisce un delfino e un cammello.
Gli elefanti sono parenti dei topi Stesso Dna e antenati comuni
Repubblica 26 marzo 2007
In America, grazie a test genetici che hanno rilevato leggerissime variazioni di minuscole
porzioni di DNA, sono state scoperte 15 nuove specie di uccelli, tra cui corvi e civette.
(Photo courtesy of Biodiversity Institute of Ontario)
Lo studio ha analizzato esemplari appartenenti a ben 643 specie di uccelli (oltre il 90% di
quelli Nordamericani), dall'Artico alla Florida, specie comuni e anche molto studiate.
Quelle che hanno ''partorito'' nuove specie genetiche sono: il Fulmaro artico (Fulmarus
glacialis), il Piro-piro solitario (Tringa solitaria), l'Assiolo americano (Megascops
kennicottii), il Warbling Vireo (Muscicapa gilva), la Ghiandaia messicana (Aphelocoma
ultramarina), la Ghiandaia di macchia (Aphelocoma californica), il Corvo imperiale (Corvus
corax), la Cincia delle montagne (Poecile gambeli), il Codibugnolo americano (Psaltriparus
minimum), lo Scricciolo (Troglodytes troglodytes), lo Scricciolo di palude (Cistothorus
palustris), lo Scricciolo di Bewick (Thryomanes bewickii), il Tordo eremita (Catharus
guttatus), il Mimo beccocurvo (Toxostoma curvirostre) e la Stornella allodola orientale
(Sturnella magna).
Questo tipo di approccio potrebbe cambiare radicalmente i termini del problema: specie
non identificate come tali dalla zoologia classica, magari non soggette a nessuna
particolare forma di tutela, potrebbero in realtà dimostrare caratteri unici a livello genetico
che li identificano come specie a sé, mutandone drasticamente le considerazioni sullo
stato di conservazione. Lo stesso studio ha evidenziato che 14 coppie di specie di uccelli
con identità separate erano “gemelli genetici”.
In due casi, addirittura tre specie simili erano in realtà triplette genetiche. Infine, otto
specie di gabbiano sono in realtà geneticamente quasi identiche. Ad esempio, l'Oca delle
nevi (Anser caerulescens) e l'Oca di Ross (Anser rossii) hanno in realtà un DNA identico al
99,8% e la stessa percentuale vale tra il Gabbiano glauco (Glaucous Gull) e il Gabbiano
islandico (Larus glaucoides). La Gazza (Pica pica) e la Gazza azzurra beccogiallo
(Urocissa flavirostris) sono geneticamente identiche al 99,6%, pur essendo, a occhio,
decisamente diverse.
Secondo gli scienziati, questo “accorpamento” di specie, in certi casi sarebbe opportuno,
in altri si tratta probabilmente di un fenomeno estremamente interessante, perché
rappresenterebbe la prima fase evolutiva di una nuova specie.
Gli scienziati sperano ora di raccogliere fondi per 100 milioni di dollari per completare la
catalogazione del “codice a barre della vita”. Finora, grazie alla collaborazione di musei e
università sono state classificate 25.000 specie; l'obiettivo è di arrivare a 500.000 specie
entro il 2014.
Lo studio riguarda un tipo particolare di rotiferi detti “bdelloidei”, microrganismi che vivono
in ambienti acquatici o umidi come stagni, fiumi o paludi. La loro particolarità è di essere
asessuati: non esistono maschi e le femmine, si riproducono deponendo uova che sono
cloni genetici delle madri.
Osservandoli in ambienti diversi del Regno Unito, Italia e di altre parti del mondo, i
ricercatori hanno evidenziato come tali animali si siano evoluti adattandosi alle differenze
che occorrevano nei rispettivi habitat di appartenenza.
PLoS Biology
MICROCOSMO
IL GENOMA MANCANTE
Pseudo Genetica
Dna Spazzatura
Il DNA È MOBILE
MUTAZIONI CAUSALI
REGOLAZIONE GENETICA
METAGENOMICA
EVOLUZIONE SISTEMICA
EVOLUZIONE SISTEMICA 3