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Mauro De Zordo Deleuze, Logica del senso, I Ho letto con insufficiente attenzione (i bimbi reclamano amore e attenzione!

) - e anche con discreta fatica - Logica del senso di Gilles Deleuze. Che la definisce un'opera non proprio datata, quanto appartenente a un presente accanto, ci vuole un lettore benevolo per ridare a esso attualit e prosecuzione. Non ha la forma della filosofia tradizionale e prende in esame, principalmente, tre libri di Lewis Carroll: Alice, Lo specchio e Silvia e Bruno. In Logica del senso tento di dire come il pensiero anche secondo assi e direzioni simili, ma anche tutte le direzioni, l'altezza del platonismo, la profondit dei presocratici, la superficie degli stoici. In queste direzioni non si parla allo stesso modo. Cosa non va per l'autore in questa opera? un compiacimento ingenuo e colpevole nei confronti della psicoanalisi. Il saggio piuttosto complesso; non riesco a racchiuderlo in un senso compiuto e lo riprendo come serie di frammenti interpretati; affonda le sue radici in teorie psicoanalitiche che al tempo dovevano costituire una sorta di via maestra per l'ermeneutica ma che ora mi sembrano inapplicabili, un fraintendimento, una speranza delusa. Deleuze stesso se ne rammarica. Nella premessa sostiene che intende presentare una serie di paradossi che formano la teoria del senso. Perch paradossi? Perch il senso un'entit inesistente. Deleuze li trova illustrati nelle opere di Carroll, con vasti riferimenti che ho ignorato in massima parte a favore della parte dell'argomentazione che pi mi ha interessato. Serie dei paradossi - sul puro divenire (Alice e Attraverso lo specchio), legato a Platone (Parmenide); Carrol in queste opere presenta gli eventi puri, ovvero la simultaneit del divenire, in cui Alice in Alice cresce ci che era, ci che e ci che sar; ma, anche, non pi ci che era, ci che e ci che sar. In prima battuta la simultaneit del divenire implica che non si mai ci che si crede di essere - non si mai coniugati al presente puro. Il paradosso qui l'affermazione dei due sensi (passato e futuro) contemporaneamente, il divenire quale identit paradossale degli opposti grammaticali, metafisici e ontologici. - Effetti di superficie, legati agli Stoici, che indicavano nei corpi tensioni, qualit fisiche, relazioni e stati di cose; gli stati di cose sono determinati dalle mescolanze dai corpi, in un processo di causa ed effetto. I corpi e gli stati di cose hanno un solo tempo, il presente, un presente cosmico che abbraccia l'universo intero. Solo il presente esiste nel tempo. Il fatto che i corpi siano causa gli uni degli altri produce degli effetti che hanno una curiosa natura: non sono qualit o propriet fisiche ma attributi logici o dialettici; essi sono gli eventi incorporei. Ovvero il presente assoluto dei corpi produce questi effetti che sono, invece, divenire puro che schiva il presente,

divaricandosi in passato e futuro. C' una tensione tra il presente che solo persiste nel tempo, e divenire che divide ogni presente all'infinito. Due letture simultanee del tempo: presente assoluto e divenire. Il presente assoluto, immobile, una profondit indicibile, mentre il divenire coi suoi eventi la superficie dicibile. Nel momento del pensiero, del linguaggio, tutto risale alla superficie. Tale il risultato dell'operazione stoica. Il presente, l'essere, la stasi assoluta, l'Idea risale alla superficie dove, senza essere corpo, rappresenta tutto l'idealit possibile. Tutto ci che possibile non rimane in profondit, non attiene pi all'Idea, ma pura superficie di eventi incorporei, entit logiche che sono pure possibilit attuabili. L'evento coestensivo al divenire e il divenire stesso coestensivo al linguaggio. Il linguaggio ha a disposizione questo sfondo, questa superficie di indefiniti eventi logici declinabili in indefiniti modi. Da una parte il pi profondo l'immediato, dall'altra l'immediato nel linguaggio. Tale paradosso destituisce la profondit, l'Idea. Tutto prende ad accadere alla frontiera, sul limite. - Sulla proposizione. Tra gli eventi (o effetti) e il linguaggio vi un rapporto essenziale. E' proprio degli eventi essere espressi o esprimibili. Ma quale forma della proposizione contiene gli eventi? La designazione (rapporto tra proposizione e stato di cose); la manifestazione (rapporto tra proposizione e soggetto esprimente); la significazione (rapporto tra la parola e i concetti universali e generali)? Deleuze: esse stanno in un cerchio dove la prima anche l'ultima, il cerchio della proposizione. Il filosofo si domanda se non occorra aggiungere una quarta dimensione: quella del senso. La possibilit di una proposizione di essere vera non nient'altro che la forma di possibilit della proposizione stessa. Ora, forma di possibilit significa, in termini wittgensteiniani, altro che una particolare grammatica di un particolare gioco linguistico. In altri termini: qualcuno mi dice "fuori piove"; io devo prima intendere quella proposizione e poi appurarne la verit o falsit. Ecco il senso come ci che espresso dalla proposizione, un incorporeo alla superficie delle cose. Il senso, per gli stoici, : n parola, n corpo, n rappresentazione sensibile, n rappresentazione razionale. Il senso ha una natura diversa: una caccia, un cammino, una posizione che crea movimento, qualcosa che non esiste ma provoca, convoca e mette in atto, non si pu dire che il senso esista, ma solo che insista o sussista (...) non si confonde affatto con la proposizione. E altrove: il senso esattamente la frontiera delle proposizioni e delle cose. E infine: l'evento il senso stesso. - Sulle dualit. I dualismi: cose ed eventi; cose e proposizioni; corpi e linguaggio. Parlare il movimento della superficie. Il linguaggio quale divenire paradossale, che d e toglie nello stesso tempo, mette in movimento il presente immettendolo nella doppia direzione passato-futuro. Deleuze, Logica del senso, II

Proseguo nella mia personale esplorazione con altre due serie, due paradossi riguardanti il senso e la messa in serie. Man mano che la rileggo, l'opera mi fornisce spunti che cerco di riportare come note. Quinta serie - Sul senso. Frontiera, il senso si sviluppa in una serie di sottoparadossi. Il primo quello della regressione o della proliferazione indefinita; qui sembra entrare in gioco una meditazione legata alla fenomenologia, o anche all'ultimo Wittgenstein: quando designo qualcosa, suppongo sempre che il senso sia compreso. Ci si insedia di colpo nel senso. Non posso capire una proposizione senza essere gi nel senso che la proposizione stessa non dice. Per posso prendere il senso di ci che dico come l'oggetto di un'altra proposizione, della quale posso dire il senso solo tramite un'ulteriore proposizione. Cos in un'infinita regressione. Allo stesso modo, un nome che designa qualcosa rinvia a un altro nome che ne designa il senso, all'infinito. Anche la ragion pratica diviene vittima di questo meccanismo: la morale di ogni proposizione consiste in un'altra proposizione che designa il senso della prima. A proposito di questo primo paradosso interno al senso, mi rimetto ai diari di Wittgenstein (all'incirca siamo nel 1916, forse, vado a memoria, e il Migliore scrive all'incirca: se dovessi spiegare il significato della frase "questa sedia marrone" dovrei usare tutto il linguaggio in una concatenazione infinita). Insomma, quando mi metto in testa di esaurire una descrizione, ho bisogno di tutto il linguaggio. Arriva un punto, dir il Wittgenstein di Della certezza, in cui debbo fermarmi, e posso solo alludere a uno sfondo che d senso al linguaggio. Mi sembra interessante fornire lo sfondo come un'analogia con le ipotesi deleuziane. Il secondo paradosso quello dello sdoppiamento sterile e della reiterazione arida. Accade quando fisso la proposizione per estrarne come una pellicola il senso, che resta comunque indifferente. Cosa vuol dire qui Deleuze? Non chiaro; parla di un doppio della proposizione; una mera ripetizione? Una tautologia forse (una rosa una rosa una rosa) che fa trasudare il senso da se stessa. Estratto dalla proposizione, il senso indipendente da essa, poich ne sospende l'affermazione o la negazione (non posso dire se la proposizione vera o falsa perch non l'ho intesa ndr)ed tuttavia soltanto un doppio evanescente: esattamente il sorriso senza gatto di Carroll. Il terzo paradosso quello della neutralit o del terzo-stato dell'essenza. Se il senso indifferente alla negazione e all'affermazione (anzi sembra renderli possibili). Quindi nessuno dei modi della proposizione (qualit, quantit, relazione e modalit che vengono riprese dalla tavola dei giudizi di Kant) pu intaccare il senso, perch tutti questi punti di vista concernono la designazione (...) ma non concernono il senso o l'espressione. Il senso non viene intaccato da essi. L'essenza come senso indifferente agli opposti grammaticali (singolare e universale, generale e particolare, affermativo e negativo). Il quarto paradosso interno quello dell'assurdo o degli oggetti impossibili. Dal paradosso precedente discende che anche le frasi contraddittorie o che designano oggetti contraddittori hanno un senso, anche se la loro designazione non pu ovviamente essere effettuata. Un oggetto impossibile come "quadrato rotondo" non

ha patria nell'essere, ma lo ha al suo esterno: appartengono all'"extra-essere", puri eventi ideali ineffettuabili in uno stato di cose. Sesta serie - Sulla messa in serie. Qui viene ripreso il primo paradosso interno della quinta serie, della regressione indefinita. La regressione ha una forma seriale: n1>n2->n3->... Ora, dice Deleuze, ogni nome opera su due serie, prima quella della designazione che opera, poi quella del senso che esprime e che il designato di un altro nome. Cos va vista Alice, come la storia di una regressione orale consistente in due serie. Confesso di non avere seguito bene il ragionamento. A cosa porta avere due serie regressive? Deleuze introduce un'ipotesi legata alla conclusione del precedente quarto paradosso, quando dice che "quadrato rotondo" extra-essere ed un evento puro, qualcosa che risale dalla profondit dell'essere e si fa linguaggio; che non realizzabile nel nostro mondo, ma forse altrove s; o forse si tratta solo di un evento che esiste ma rimane ineffettuabile, come un attrezzo che non trova uso (ma solo qui da noi, e altrove?). Mia nota: come dobbiamo considerare il presente assoluto da cui proviene, da cui l'evento viene per cos dire espulso dilaniandosi in passato-futuro? Tale presente deve essere inteso come un immenso, indefinito "pavimento" di segni, stati di cose e corpi, completi di tutte le loro qualit, quantit e relazioni e modalit possibili (anche "quadrato rotondo" dunque) sul quale costruiamo i nostri giochi linguistici? Sto leggendo, di Borges, una serie di lezioni sulla letteratura anglosassone (La biblioteca inglese); in una delle prime prende a descrivere un antico poema, il Beowulf, che significa Lupo delle Api ed una metafora complessa per Orso. Dove posizionerei una metafora del genere, o tutte le metafore, rispetto al presente assoluto? Non sono esse stesse pi vicine a tale presente statico di altre formule linguistiche? In questo senso il linguaggio della poesia ci porterebbe vicino, assai vicino a un non-tempo, a un eterno che viene eternamente frazionato dal divenire linguistico. Ha dunque la metafora questo potere di fermare il tempo Deleuze, Logica del senso, III Postilla alla sesta serie: Deleuze propone che le due serie simultanee operanti nella regressione infinita del senso siano una il significante, l'altra il significato. Il significante ogni segno in quanto presenta in se stesso un aspetto qualunque del senso. Significato ci che serve da correlativo a tale aspetto del senso. Il significante dunque un aspetto dell'evento, l'attributo logico ideale, il significato lo stato di cose, il corpo reale con i suoi attributi reali. Il significante la proposizione nel suo insieme (nota: in tale proposizione, come scrive Heidegger Prolegomeni alla storia del concetto di tempo, ci sono anche parole come "questo", "" che non si trovano come attributi dell'oggetto reale e la cui origine va cercata in modo diverso; qui Deleuze ne fa delle possibilit logiche); il significato il termine indipendente, il concetto, la cosa, il soggetto. Le due serie sono in perpetuo squilibrio l'una rispetto all'altra e il significante presenta un eccesso sul significato. In tutto questo, l'istanza paradossale che anima le serie (il presente assoluto?) manca al suo

posto (...) manca alla propria somiglianza (...) manca alla propria origine (...) l'istanza ha due facce, di cui una sola attiene a ciascuna serie, lasciando un posto vuoto; l'istanza originaria il convitato di pietra di ciascuna serie, pur essendo in ciascuna con una sola delle proprie facce. Come in un gioco assistiamo alla combinazione della casella vuota (nota: come nel solitario "Lacune", ci ho scritto su un post che potrebbe tornare utile, ma come trovarlo?). Settima serie - Sulle parole esoteriche. Questa settima serie si apre con l'affermazione che Carroll l'instauratore di un metodo seriale in letteratura; nell'analisi di Sylvie and Bruno si aprono una serie di luoghi; in primo luogo abbiamo due serie di eventi che trovano il loro fulcro regolativo nello strano orologio con otto lancette e perno invertitore che non segue il tempo: il tempo che segue l'orologio. In secondo luogo: due serie con grandi differenze interne regolate da proposizioni, rumori, onomatopee; nella stessa scena troviamo l'usuale e l'incredibile. In terzo luogo: due serie di proposizioni disparate, regolate da una parola esoterica. La parola esoterica in Carroll vuol dire: a) contrazione di sillabe (es. "y' reince" anzich "Your royal Highness"); questo impronunciabile monosillabo deve racchiudere tutto il senso della proposizione; b) il tipo proprio di Carroll: sintesi di coesistenza che hanno lo scopo di coniugare due serie eterogenee (nota: un compito ambizioso! Sappiamo che le due serie contengono ciascuna solo una faccia dell'istanza originante e che tale possesso-mancanza costituisce uno dei paradossi del senso; cos coniugare le due serie vuol dire tentare di dare nella stessa parola senso e significato, possibilit logica e oggetto). Esempi: la parola Snark, la parola Phlizz, frutto senza sapore. Non sono parole circolanti, ma un modo per designarla (una strana metafora?), il modo in cui un nome chiamato, dunque il suo senso. Qui, per obbedire alla regressione indefinita, ci vorrebbe un'altra parola per designare il senso di Phlizz. Deleuze mette da parte questo problema, o meglio lo scardina dicendo: la parola circolante, l'oggetto insomma di cui la parola esoterica senso, non esiste: la casella vuota, lo scaffale vuoto, la parola bianca (...) lo Snark invisibile, il Phlizz quasi onomatopea di ci che svanisce. Oppure l'oggetto chiamato con "questo", "coso". Dunque con degli attributi di essere che non si trovano nell'oggetto (per dirla con la fenomenologia: essi appartengono a una struttura intenzionale) ma nemmeno nella semplice interiorit: sono atti linguistici che hanno un oggetto possibile. In questo senso Snark un evento, una possibilit logica. In quarto luogo: due serie a grande ramificazione, regolate da parole-bauli. Le parole-bauli sono l'evoluzione delle parole esoteriche perch contraggono pi parole e racchiudono pi sensi ("fumioso"=fumante+furioso). Come riconoscerle? Una semplice contrazione ("y'reince") non parola-baule; Snark lo invece (shark+snake) ma in modo accessorio; perch rinvia a un semplice animale composito, ma la sua funzione connota due serie: la prima concerne un animale sia pure composito, la seconda un senso incorporeo. Jabberwock una parola-baule: jabber indica una discussione animata e volubile; wocer o wocor che indica rampollo o frutto. Questa parola coniuga la serie animale e la serie verbale. Queste due serie

possono essere connotate diversamente, dunque la parola-baule non necessaria e fin qui indistinguibile da una parola esoterica. Carroll spiega la differenza: la parolabaule fondata su una sintesi disgiuntiva giocata su un equilibrio sottile. Cos fumioso si usa in una situazione di perfetto equilibrio; se invece vi sentite un pelo pi furiosi direte "furioso e fumante", ma se la bilancia pende verso il fumante allora direte "fumante e furioso". Fumioso sintetizza nell'equilibrio le due coppie di aggettivi. Nota: mi viene in mente che Shuzo Kuki scrisse un libro sull'Iki, curiosa creatura verbale di origine estetica che designa una situazione di perfetto ed auspicabile equilibrio tra coppie di emozioni, passioni o sentimenti di carattere diverso o opposto. Una parola dunque che sintetizzando sottolinea una disgiunzione. Un limite, un confine impalpabile e non esistente. Iki dunque parola-evento, ecco perch nelle sue conversazioni con Heidegger, il filosofo giapponese sottolineasse che non fosse possibile designarla (darle un ulteriore senso). Ottava serie - Sulla struttura. In qualunque modo il linguaggio venga acquisito, i suoi elementi hanno dovuto essere dati tutti in una volta, tutti insieme, poich non esistono indipendentemente dai loro rapporti differenziali possibili. Ma questo darsi tutto insieme poggia, come una forma mobile, su un universo di significanti, aspetti di eventi, pure possibilit logiche senza significato. Anzi, tale universo di eventi possibili pone la difficolt di assegnarli a dei significati, degli oggetti gi dati. E', secondo Lvi-Strauss, il paradosso di Robinson: sulla "sua" isola deserta Cruso pu ricostruire un modello della propria societ solo dandosi tutte insieme le regole e le leggi (tutto un linguaggio possibile) anche se i suoi oggetti, i suoi significati, non esistono affatto o non ancora. Una legge reale per la conquista della natura, al contrario, avviene oggetto per oggetto: qui la legge grava con tutto il suo peso prima ancora che si sappia qual il suo oggetto e senza che lo si possa mai sapere esattamente. Le rivoluzioni si incuneano in questo scarto. Vi dunque uno scarto tra significante e significato, lo sappiamo dalla sesta serie; permane un significante fluttuante (...) condizione di ogni arte, di ogni poesia. E poco dopo Deleuze scrive: ci che in eccesso nella serie significante letteralmente una casella vuota, un posto senza occupante che si sposta sempre. Queste lacune possono consistere nelle parole coso, qualcosa, robo (nota: chi ricorda il celebre linguaggio dei Puffi?), suscettibili di essere riempite (senza esserlo mai realmente) da un significato fluttuato. Ci si chiede: esistono le condizioni minime di una struttura, cio l'esistenza di due serie eterogenee significante/significato; ciascuna di esse costituita da relazioni "grammaticali" di termini. A tali relazioni corrispondono singolarit, attorno alle quali o nelle cui vicinanze si costituiscono le sonorit e le significazioni caratteristiche della lingua. La struttura un insieme, una stringa, una catena di eventi ideali, un filamento che si forma per... a questo ancora non c' risposta (per via di una libert?). Ad esempio: per i personaggi di una storia le due serie prevedono tanti punti singolari quante sono le loro posizioni (accadimenti, scelte, fatti) possibili; le due serie convergono verso l'istanza paradossale descritta nella sesta serie, che presente nell'una serie e assente, quale casella vuota, nell'altra serie. nota: questa casella vuota il senso? impalpabile, permette al significante di essere ci che e al

significato di essere riempito. Non vi struttura senza casella vuota, che fa funzionare tutto. Il senso, grande assente sempre presente, assume (anche) la veste misteriosa e immane dell'etica. Deleuze, Logica del senso, IV (La pazzia senza logica n senso deve essere portata fino in fondo!) Nona serie - Sul problematico. Cosa un evento ideale? un insieme di singolarit, una stringa di possibilit logiche (nota: Spinoza: il suo causalismo che toglie ogni libert potrebbe fondarsi qui su un destino di singolarit steso come insetti sulla lingua di formichiere). Io sono il mio insieme di possibilit, di eventi ideali che solo grazie a un senso, a una casella vuota, possono trovare o no realizzazione; essi caratterizzano una curva matematica, uno stato di cose fisico, una persona psicologica e morale. Gli eventi ideali, attratti in determinati insiemi, sono punti di ritorno, di inflessione, ecc.; colli, nodi, focolai, centri; punti di fusione, di condensazione, di ebollizione ecc; punti di pianto e di gioia, di malattie e di salute, di speranze e angoscia, punti detti sensibili. Nota: punti di germinazione dove ci situiamo, come? Per mezzo di una libert, di una necessit, di un caso senza scopi? Da dove diamo vita a catene di significati, catene che ci legano a una cosa, a un oggetto, a una situazione. Per sempre? No, finch non troviamo (per libert o necessit o caso) un altro punto di snodo; ci che chiamiamo punto di svolta. Gli eventi sono altro dalla personalit in carne e ossa, della designazione, della manifestazione e della significazione (terza serie); sono pre-individuali, sono possibilit, lacune che mettono in movimento la struttura esistenziale. Deleuze: la singolarit neutra. Indifferente al destino. Se un evento ideale un insieme di singolarit, ogni singolarit origina una serie che si allunga fino alle vicinanze di un'altra singolarit; dunque una struttura formata da numerose serie divergenti che hanno ciascuna pi sottoserie convergenti. Ora abbiamo: le due serie principali di una narrazione, di un'esistenza, che non sono poi cos semplici: nello stesso momento in cui le due serie risuonano e comunicano, passiamo da una ripartizione (di singolarit) all'altra. (...) nello stesso tempo in cui le serie sono percorse dall'istanza paradossale, le singolarit si spostano, si ridistribuiscono, si trasformano le une nelle altre, cambiano insieme (nota: come nel solitario Lacune: ogni spostamento crea serie differenti e dispone le singolarit, le carte, in e per differenti combinazioni). Tutto questo crea una storia, una biografia, un destino (e la relativa lotta individuale). Deleuze: gli eventi sono singolarit ideali interconnesse che non permangono nel presente, ma si effettuano in un Ain illimitato (nei due sensi passato/futuro). L'evento l'idealit che rovescia il platonismo in quanto possibilit logica complessa consistente di singolarit che prevedono posizioni, scelte. L'evento cio (nota) un insieme semiotico vischioso, che obbedisce a un senso e trova realizzazione nel margine di possibilit offerto dalla nostra natura; mutevole, intessuto di serie e sottoserie che cambiano forma in base al punto di snodo nel quale ci si situa (o nel quale si viene gettati). Una domanda sarebbe adesso: come ci si

sposta su queste linee vischiose di eventi? Chi o cosa si sposta? Come fanno le singolarit a spostarsi da una serie all'altra cambiando, per cos dire, il destino del personaggio? Delezue: il modo dell'evento problematico. Non bisogna dire che vi siano eventi problematici, ma che gli eventi concernono esclusivamente i problemi e ne definiscono le condizioni. Il problematico qui un punto di non ritorno del pensiero, un luogo nel quale il pensiero pu aggirarsi per l'eternit senza mai giungere a una soluzione; il problematico non attiene a un'imperfezione conoscitiva dell'uomo, ma alla natura stessa delle cose, dell'uomo. Ma se le ripartizioni di singolarit che corrispondono a ciascuna serie formano campi di problemi, in che modo si caratterizzer l'elemento paradossale che percorre le serie, le fa risuonare, comunicare e ramificare e che comanda tutte le riprese e le trasformazioni, tutte le ridistribuzioni? nota: chi o cosa evoca e mobilita l'istanza paradossale, forse la casella vuota, la lacuna, la parola-baule o parola bianca, l'uomo stesso? Decima serie - Sul gioco ideale. Carroll invoca una sorta di gioco ideale, nota: un gioco le cui le regole vengano definite mossa dopo mossa e la cui velocit (del gioco) renda impossibile applicarle; in cui l'applicazione della regola stabilita un minuto fa contrasti con quella della regola stabilita ora, e cos via. Qui Deleuze propone una metafora-riepilogo del discorso fin qui fatto sugli eventi, sulle serie, le singolarit. Ovvero, su ci che accade quando questa mobile tessitura risuona, si muove. Deleuze fissa alcuni principi cui rispondo i giochi da noi conosciuti: 1) le regole devono preesistere all'inizio del gioco e devono essere categoriche; 2) tali regole determinano le conseguenze della vittoria o della sconfitta; 3) tali regole organizzano il gioco in una pluralit di colpi, reali e numerici, che operano una distribuzione che rimane fissa; 4) le conseguenze dei colpi determinano la vittoria o la sconfitta. I giochi implicano il caso soltanto in certi punti (...) Il gioco viene assunto esplicitamente come modello solo in quanto esso stesso possiede modelli impliciti che non sono di giochi (etica, economia). Deleuze propone poi altri principi (anche inapplicabili in apparenza, in base ai quali un gioco diventa puro: a) non vi sono regole preesistenti, ogni colpo inventa le sue regole; b) come conseguenza, l'insieme dei colpi non attesta un ordine prevedibile, ma afferma interamente il caso e non cessa di ramificarlo ad ogni colpo; c)Ontologicamente tutti i colpi sono uno, distinguendosi per qualit, non per intrinseca realt. Ogni colpo disegna una serie (grazie al proprio inventare una nuova regola) ma in un tempo minore del minimo tempo continuo pensabile (cio: la serie che viene disegnata dalla nuova regola istantanea e si protende e si attesta in un non-tempo). Ogni colpo emette quindi una serie di singolarit. L'insieme dei colpi come detto un lancio unico che percorre tutte le serie in un tempo maggiore del massimo tempo pensabile. I colpi sono successivi rispetto a loro stessi, ma unici rispetto all'unico colpo "ontologico"; se ogni colpo avviene in un battito di ciglia, il colpo ontologico permane in tutte le serie. Questo unico lancio un caos, di cui ogni colpo un frammento. Il lancio unico lo spazio entro il quale, grazie ai colpi singoli, si ramificano gli eventi ideali formati da singolarit. La distribuzione

nomade, si muove, si trasferisce da una serie all'altra comunicando e risuonando in una totalit mobile. d) Un tale gioco senza regole, senza vincitori n vinti (...) sembra non avere realt (...) non certamente il gioco dell'uomo di Pascal o del Dio di Leibniz (...) senza dubbio tutto ci non il mondo come opera d'arte. Questo mondo non realizzabile, pu solo essere pensato, cos esso la realt del pensiero stesso. E' l'inconscio del pensiero puro. E' ogni pensiero che forma una serie nel tempo minore di tempo continuo consciamente pensato. Tutti questo pensiero fluiscono in un pensiero unico, affermando il caso, facendo del caso un'affermazione che possibile solo al pensiero. Nota: se tolgo "inconscio" e metto "sfondo" mi diventa pi familiare. Questi pensieri singoli, cha fanno parte di un unico pensiero, infondono ovunque il caso ramificandosi e sovvertendo gli ordini esistenti. tale gioco, che si trova soltanto nel pensiero e che non ha altro risultato che l'opera d'arte, anche ci per cui il pensiero e ml'arte sono reali, sconvolgono la realt, la moralit e l'economia del mondo. Le serie, per essere davvero casuali, devono lasciare al caso qualsiasi fatto, debbono ramificarsi in un tempo minore di quello pensabile; dunque deve esistere un tempo infinitamente divisibile; che l'Ain. Da un lato il presente statico, limitato: Kronos; dall'altro Ain, il tempo infinitamente suddivisibile in passato e futuro che fanno risalire alla superficie gli eventi. Due letture necessarie del tempo: a volte si dir che solo il presente esiste, che riassorbe o contratta in s il passato e il futuro, toccando con ci i limiti dell'universo per diventare un presente vivente cosmico. Il presente limitato ma infinito perch ciclico, un eterno ritorno del medesimo. Altre volte, al contrario, si dir che soltanto il passato e il futuro sussistono, traendo all'esistente e suddividendo il presente in due linee opposte. In un caso il presente tutto, nell'altro nulla, in un caso una serie statica di presenti, nell'altro una scomposizione infinita in passato e futuro; qui un ciclo (Kronos) che si spande in profondit e contiene tutta la materia, l una linea bidirezionale di superficie (Ain). Ci che angoscia dell'evento puro che esso sia qualcosa che a un tempo accaduto e che accadr, mai qualcosa che accade. La x da cui si sente che ci accaduto, l'oggetto della "notizia"; la x che sempre accadr, l'oggetto del "racconto". L'evento puro "notizia" e "racconto", mai attualit. In questo senso l'evento puro minore del minimo tempo pensabile, ma quando esso attualizzato, effettuato su quella stessa linea di superficie, quando suddivide all'infinito il presente in passato e futuro, l'evento puro (ma si pu ancora chiamarlo cos?) pi lungo del maggior tempo pensabile, ovvero eterno. Su questa linea prendono forma, perdono forma e ne assumono altre, gli eventi puri formati da singolarit mobili che per aggregarsi o staccarsi seguono le quattro regole (a, b, c, d) del gioco puro, ideale. L'Ain quindi il giocatore ideale o il gioco (ideale o puro), caso infuso e ramificato, lancio unico in cui tutti i colpi si distinguono nella qualit. nota: L'Ain gioca in due sensi, divide e divarica, il punto di frizione tra il pensiero e la cosa, tra la fluidit delle serie di singolarit e la cristallizzazione del reale; permette di trasformare ci che in ci che era e insieme in ci che sar. A chi lo permette? Chi si sposta sulle linee, chi tocca, fa risuonare le serie, permette la mutazione delle singolarit? Al "punto aleatorio", paradossale, alla casella vuota; l'"io" mancante, il fantasma millenario,

l'appercezione trascendentale (io sono colui che sente di essere il medesimo che si sposta senza posa, gioca ininterrottamente un unico lancio fatto di infiniti colpi mettendo in movimento questa o quella serie di eventi puri che saranno la mia vita reale e la mia vita immaginata, quella sperata e quella perduta). Undicesima serie - Sul non senso. L'elemento paradossale (il punto aleatorio, la casella vuota, la Lacuna) ha la funzione di percorrere le linee eterogenee e da un alto di coordinarle, farle risuonare o convergere, dall'altro di ramificarle, introdurre in ciascuna di esse disgiunzioni multiple. Coniuga parole e cosa rappresentando entrambe con una neutra "x"; nello stesso eccesso e difetto, casella vuota e oggetto sovrannumerario, posto senza occupante e occupante senza posto. E' una parola bianca, sar designato in due modi (nota: il gioco con la coppia di parole io-tu con le quali si designano-confondono le identit propria e dell'altro). Deleuze: la parola bianca designata da nomi esoterici, i quali a loro volta possono essere designati da parole-baule (vedi la settima serie); due potenze a cui corrispondono due figure: a)la parola bianca o esoterica ha la propriet di esprimere la cosa e di dire il proprio senso; di essere cio una tautologia o non senso: il nome che dice il proprio senso pu essere soltanto un non senso (sintesi regressiva)(vedi: quinta serie, ); b) la parola-baule designa due termini (fumioso per fumante + furioso); ciascuna parte virtuale indica il senso dell'altra ed esprime, dalle due parti, il proprio senso, quindi anch'essa non senso (sintesi disgiuntiva). Tra senso e non senso Deleuze vuole determinare un tipo originale di rapporto intrinseco, non un rapporto del tipo vero-falso. Ogni regressione di senso (ogni nome normale ha un senso che deve essere designato da un altro nome) richiama il teorema di Gdel?: un insieme non pu (...) contenersi come elemento, n contenere elementi di tipo differente. Ugualmente, nella sintesi disgiuntiva alle due figure del non senso corrispondono (...) due forme dell'assurdo, definite come "prive di significazione" ("fumante e furioso" o "furioso e fumante"). Leggiamo che il non senso opera una donazione di senso; cosa significa? Forse che esso innesca un evento, o apre una serie infinita e disgiuntiva? Non chiaro. Deleuze: il senso sempre un effetto di linguaggio; quindi attiene agli stati di cose, non agli eventi. Il senso altro dal linguaggio, ma si produce in esso: il senso, non come apparenza, bens come effetto di superficie e di posizione, prodotto dalla circolazione della casella vuota nella serie della struttura. Da qui sembra di capire che per Deleuze il non senso neutra, insensata, caotica produzione di senso; il non senso o sta sulle spalle della lacuna, della casella vuota, della parola bianca, esoterica, baule, che muovono le serie e producono istantaneamente singolarit nomadi aggregate che viaggiano su e contro un presente eterno: il non senso non possiede alcun senso particolare, ma si oppone all'assenza di senso, e non al senso che produce in eccesso. A Deleuze preme ora dire: attenti, il senso non origine di nulla, non principio. E' dunque piacevole che oggi risuoni la buona novella: il senso non mai principio o origine: esso prodotto. Non da scoprire, da restaurare o da reimpiegare, esso prodotto da nuovi macchinari. Non in alto o in basso, ma effetto di superficie. Prodotto da una posizione mancante, da una lacuna che insieme si colma e si apre.

Deleuze, Logica del senso, V Dodicesima serie - Sul paradosso. Pu esistere il linguaggio senza paradossi? Pu esistere solo se esiste la credenza di un linguaggio semplice, che non ponga in gioco tutte le potenze dell'inconscio e del non senso dell'inconscio (nota: sulla fede che l'inconscio sia una struttura soggettiva comprendente parola e cosa, che l'inconscio insomma abbia un potere proprio rispetto alle cose). I paradossi sono la Passione del pensiero, attraverso la scoperta di ci che, pensato, produce un vuoto mentale (evidentemente un che privo di significati, un mondo muto? Irreale - laddove irreale vuol dire privo di semiosi). Il paradosso si oppone ai due aspetti della doxa, buon senso e senso comune. Alla direzione usuale del pensiero. Per Deleuze l'ordine del buon senso quello esprimibile nella termodinamica, va dal pi differenziato al meno differenziato. nota: al momento il meccanismo di questo ragionamento mi oscuro, forse qui Deleuze vuol dire: il pi differenziato l'evento ideale formato da singolarit ciascuna in grado di creare delle sottoserie, il meno differenziato l'omogeneizzazione nel reale di queste eccezioni, di questi atomi logici che vagano lungo le serie. Il buon senso, prosegue Deleuze, agricolo, tende a recintare. Sostanzialmente il buon senso tende a imporre una sola direzione: dal singolare al regolare (dunque dall'eccezione, dalla lacuna in movimento in tutte le direzioni allo stato di cose regolare nella sua immobilit), dal notevole all'ordinario, dal passato al futuro sotto la direzione del presente (come scrisse Agostino: vi solo il presente, sia del passato che del futuro). Il buon senso dunque si limita ad affermare Kronos contro Ain, a uniformare la singolarit sotto un principio appunto di buon senso, il quale determina la significazione, ma non dona senso; l'agricoltore sedentario che giunge dopo il nomade esploratore. Il paradosso segue il percorso inverso, dall'indifferenziato alla singolarit, spezza l'uniformit unidirezionale del buon senso tornando ad Ain, alla linea bidirezionale passato<->futuro, alla linea che ha il senso quale suo effetto. Deleuze richiama il pensiero del fisico Boltzmann, per il quale la lancetta del tempo del buon senso passato->futuro vale solo in sistemi individuali e rispetto a un presente determinato da tali sistemi: per l'universo intero dunque impossibile distinguere le due direzioni del tempo, cos come nello spazio non vi n sopra e sotto. Nel buon senso Kronos si snoda sotto forma di serie di "presenti" che intende il passato e il futuro secondo una sola direzione, laddove Ain schiva ogni presente e salta da una singolarit all'altra, in cui la parola bianca mette in moto linee che si sfiorano, attirano, si allontanano, dense di singolarit che si espandono, articolano in un processo di immensa caoticit. Qui l'identit personale, nel senso di un "io" strutturato che permane identico, va perduta; il divenire diviene "folle" e il mondo perde il buon senso (nell'accezione, forse, dell'irrealt quale sentimento di scomparsa del senso del mondo, sentimento che precede la follia), torna, per cos dire, a essere mappa bianca dove il linguaggio si approssima ma in cui non possibile in quanto privato di regole (immaginiamo il linguaggio secondo le regole del gioco puro disegnato nella decima serie). E' qui nondimeno che si opera la donazione di senso, in questa regione che precede ogni buon senso e senso comune, a cui il linguaggio, approssimandosi col paradosso, raggiunge la sua massima potenza

(appena prima di disintegrarsi). Possiamo a questo punto proporre un quadro dello sviluppo del linguaggio in superficie e della donazione di senso alla frontiera delle proposizioni e delle cose. In base ai risultati dell'undicesima serie il non senso che fornisce senso alle due serie significante/significato (sesta serie) in base a... una configurazione, un assetto, una struttura? Gi queste definizioni assumono un senso dato e quindi sono problematiche. Nota: sembra pi probabile che si realizzino stati di cose possibili, in base al possibile logico a disposizione. Ci che permette di definire le due serie come significante/significato sono i due aspetti del senso: insistenza ed extra-essere (permanenza e alterit), e i due aspetti del non senso o dell'elemento paradossale da cui derivano, casella vuota e oggetto sovrannumerario - posto senza occupante in una serie, occupante senza posto nell'altra. Tredicesima serie - Sullo schizofrenico e sulla bambina. Questa serie attiene alla fragilit della superficie. Ci dove "siamo" sottoposto a una continua donazione di senso - che diamo costantemente per scontata - che alimenta la continuit del nostro buon senso e del nostro senso comune. Ci che minaccia la superficie un non senso informe e senza fondo che non ha nulla ha che fare con le parole esoteriche o baule, con i paradossi. La superficie pu essere rovesciata da un ordine primario terribile. Qui riecheggia Ottiero Ottieri col suo sentimento dell'irrealt, che facilita l'ingresso nella schizofrenia nel caso perduti troppo a lungo. Qui si smarrisce il senso. In sostanza, dice Deleuze, cosa ci permette di distinguere un linguaggio poetico da uno folle (nell'accezione moderna che potremmo dare alla follia?). Ma prima, proponendo un parallelismo tra Carroll e Artaud, ne svela le differenze: Artaud considera Lewis Carroll come un perverso, un piccolo perverso che si attiene all'instaurazione di un linguaggio di superficie e non ha sentito il vero problema di un linguaggio in profondit - problema schizofrenico della sofferenza, della morte e della vita. Lo schizofrenico coglie la superficie e la pelle come forata da un'infinit di piccoli buchi; il malato precipitato in questi buchi, ne riemerso con un profondo terrore. l'intera parola perde il proprio senso in questo fallimento della superficie, la designazione vuota, falsa, e la parola perde il proprio sfondo, suono vuoto; le cose sono suoni vuoti, estranei, seppure rimangano familiari le forme seppure allucinanti e allucinatorie. ma allo stesso momento in cui la parola appuntata perde il suo senso, esplode in pezzi, si scompone in sillabe, lettere, soprattutto consonanti che agiscono direttamente sul corpo, lo penetrano e lo dilaniano. Lo schizofrenico, dice Deleuze, vorrebbe distruggere la parola (prima che la parola distrugga lui, dico io). Nota: per il resto, colpevolmente, non ho prestato molta attenzione a questa serie. Deleuze, Logica del senso, VI Quattordicesima serie - Sulla doppia causalit. Perch il senso, la superficie, cos fragile? Esso effetto di azioni e passioni dei corpi, ma rinvia a eventi che ne sono una quasi-causa. Ci sembrato che l'evento, cio il senso, si riferisse a un elemento paradossale, che interveniva come non senso o punto aleatorio. C' un elemento paradossale, un'istanza fondamentale che interviene, che un non senso (ad esempio un paradosso) o un punto aleatorio, una lacuna, un silenzio; questa quasi-causa non

determina il senso direttamente, a quanto pare, ma indirettamente; vi un rinvio tra significante, possibilit logica, catena di singolarit, e significato, datit, cosa; il senso opera nel punto di frizione tra essi, sulla superficie visibile, il lato manifesto della questione che per non attiene a nessuna delle due serie principali se non come fantasma, convitato di pietra, invisibile tessitura che sorregge il legame tra parola e cosa. In realt, chiedersi quale sia la causa del senso , in base al discorso portato avanti fin qui, a sua volta aleatorio. Ovvero, noi stiamo indicando una causa sulla base di ci che abbiamo stabilito debba essere uno stato di cose: un effetto; affermiamo che deve esistere una causa perch abbiamo stabilito, con un'operazione speculativa, che essendo qualcosa un effetto, allora cos e cos. Deleuze: Ma come conciliare questi due aspetti contraddittori? Da un lato l'impassibilit in rapporto agli stati di cose o la neutralit in rapporto alle proposizioni, dall'altro la potenza di genesi, sia in rapporto alle proposizioni, sia in rapporto agli stessi stati di cose. Poi Deleuze espone un'opposizione tra logica formale e trascendentale, per quella il senso indifferente al vero e al falso della proposizione, per questa una proposizione ha sempre una verit, come se in un caso il senso fosse differente per natura dalla sua causa, e nell'altro come se fosse legato a una quasi-causa. Per cercare di spiegare tale opposizione Deleuze ricorda Husserl, per il quale il senso noema di un atto o di un espresso dalla proposizione; un che di indifferente, impassibile. Il senso qui indipendente dalle modalit della coscienza e dalle qualit fisiche dell'oggetto; compare come nuovo problema il rapporto del senso stesso con l'oggetto nella sua realt, da costituire in modo che tale relazione sia costituita in ultima istanza dalla coscienza trascendentale. In Husserl per il senso si costituisce come attributo, come concetto e non come evento; il rapporto senso/oggetto dipende dal rapporto tra attributi, predicati noematici, di senso, con qualcosa = x capace di servire ad essi come supporto o come principio di unificazione. Questa cosa=x non un non senso, punto zero, lacuna, nulla di ci che genera, piuttosto la cosa=x di Kant, dove x=qualunque in ossequio a un razionalismo che ha gi una forma di designazione. Per Husserl quindi la genesi del senso non paradossale o non identificabile, bens rispecchia un senso comune che rende conto dell'identit dell'oggetto qualunque, di un buon senso che procede all'identificazione di un oggetto gi dato. In questo modo si d, nella nozione di senso, tutto ci che dobbiamo generare attraverso essa; la donazione di senso di Husserl soltanto la caricatura razionale o razionalizzata della vera genesi (...) mai il fondamento pu somigliare a ci che fonda (...) e non meno della forma del personale, il campo trascendentale del senso (ndr il campo delle condizioni di possibilit del senso)deve escludere quella del generale e quella dell'individuale; la prima caratterizza infatti solo un soggetto che si manifesta, la seconda caratterizza soltanto classi e propriet oggettive significate, la terza sistemi designabili individualizzati in modo oggettivo, che rinviano a punti di vista soggettivi essi stessi individuanti e designanti. Ma allora cosa diavolo questo campo trascendentale del senso? Un senza-fondo, senza figura n differenza, abisso schizofrenico? Tutto lo smentisce, a cominciare dalla ferrea organizzazione di superficie capace di funzionare e sopravvivere anche in condizioni estreme. L'idea di

singolarit, e quindi di anti-generalit (...) impersonali e pre-individuali, servono da ipotesi guida per la determinazione di tale campo. Deleuze, Logica del senso, VII Non voglio eliminare i commenti come quelle povere dilettanti di untitled e babsi, voglio direttamente eliminare i commentatori, so che alla fine di queste serie deleuziane ne rimarr solo uno (o due, va'). Quindicesima serie - Sulle singolarit. I due momenti del senso, impassibilit e genesi, neutralit e produttivit, non sono apparenza l'uno dell'altro. Senza indifferenza del senso l'evento non sussisterebbe. Qui Deleuze introduce un esempio a prima vista sorprendente: la battaglia. La battaglia, dice, non un esempio qualsiasi, ma l'Evento nella sua essenza. Perch si effettua in molti modi contemporaneamente, perch ogni partecipante pu coglierla a un livello di effettuazione diverso nel suo presente variabile. Per Deleuze la battaglia sta al di sopra del proprio campo, neutra rispetto a tutte le sue effettuazioni temporanee, impassibile rispetto a vinti e vincitori; questa neutralit pu essere colta in un soldato mortalmente ferito, che si trova anonimo e indifferente, ormai e purtroppo, al cospetto dell'Evento. Rispetto ai modi proposizionali, la neutralit dell'evento appare da pi punti di vista: a) la quantit: il senso non particolare, n generale, n universale n personale; b) la qualit: il senso indipendente da affermazione o negazione; c) la modalit: il senso non assertorio, non apodittico, n interrogativo; d) relazione: il senso non si confonde nella proposizione che lo esprime. Il senso, infine, non si confonde con nessuna delle varie posizioni di coscienza. A questo punto Deleuze si trova di fronte a un compito: cerchiamo di determinare un campo trascendentale [del senso ndr]impersonale e preindividuale che non somigli ai campi empirici corrispondenti e che non si confonda tuttavia con una profondit indifferenziata. Deleuze qui assegna le emissioni di singolarit a una superficie inconscia; ci che le differenzia dalle sintesi coscienti la distribuzione nomade e un principio autonomo di unificazione; dunque le singolarit presiedono alla genesi degli individui e delle persone. Le singolarit sono possibilit logiche, neutre rispetto al risultato del loro formarsi, una sorta di organismo gi sempre operante. Il mondo brulicante delle singolarit sfiora il campo trascendentale. Tale mondo ha cinque caratteri principali, gi abbozzati in precedenza: 1) le singolarit-eventi sono serie eterogenee organizzate in un sistema n stabile n instabile, ma "metastabile" provvisto di energia potenziale che l'energia dell'evento puro, differente dalle effettuazioni dell'evento, cio dal senso; 2)le singolarit si autounificano in serie mobili - mobilitate dall'elemento paradossale, dallo spazio vuoto che apre per cos dire una lacuna da colmare che muta tutta la serie, una serie successiva di colpi [l'Ain bidirezionale?] di un unico lancio "ontologico" [un Kronos, potrei ipotizzare]; 3) Le singolarit frequentano la superficie, la pelle, ci che mette in comunicazione i dissimili (esterno/interno), il confine dove si manifesta il senso; il vivente vie al limite di se stesso [in questo c' qualcosa di analogo alla vita estrema, al gioco che d

ebbrezza] (...) a questo livello che la vita esiste in modo essenziale, quando tutto il contenuto dello spazio interno topologicamente in contatto con il contenuto dello spazio esterno; 4)La superficie il luogo del senso: i segni restano sprovvisti di senso finch non entrano nell'organizzazione di superficie che assicura la risonanza tra due serie. Ma qui siamo ancora in un campo neutro, questa risonanza non produce unit, non si interessa all'effettuazione in stati di cose; 5) quindi questa superficie dove tutto ha senso ma non ancora un significato problematica, senza direzione. Noi conosciamo la posizione delle singolarit prima di conoscerne la natura, di sapere ci che sono (per noi). Il senso quindi venne scoperto in prima istanza come neutralit impassibile [a questo fa riferimento forse la terribile sensazione di sperdutezza che si prova nel sentimento di irrealt, in cui si scopre l'impassibile neutralit di ci che si riteneva familiare, amichevole]. Poi, il senso venne conosciuto nella sua produttivit genetica. Deleuze: determinare il campo trascendentale non certo pi semplice di prima, a questo punto; che forma dargli, quella di un Io? Di un'unit sintetica di appercezione? No,l'Io gi designatore e designato; una coscienza? nemmeno, perch anche qui si vuole concepire il trascendentale a immagine e somiglianza di ci che si presume fondi. Kant deve pur presumente che le condizioni degli oggetti della conoscenza debbano essere le stesse delle condizioni degli oggetti stessi, ma la sua pretesa infondata. Vi un'alternativa che comune alla metafisica e alla filosofia trascendentale: o un fondo indifferenziato, un abisso senza differente e propriet, oppure una Forma personalizzata, al di fuori del quale c' solo il caos. Qui dunque le singolarit sono gi prigioniere di un principio unificatore oppure disperse in un caos, in un senza-fondo indifferenziato. Il senso apparir allora o fondo terribile delle cose oppure assimilato a un predicato legato a un essere divino. Deleuze: Nietzsche all'inizio fece parlare il senza-fondo, il dionisiaco poi, staccatosi da Schopenhauer, da Wagner, si apr la strada verso un mondo di singolarit impersonali e preindividuali, il mondo della volont di potenza, fatto di energia libera. Deleuze, Logica del senso, VIII Sedicesima serie - Sulla genesi statica e ontologica. Finora, dice Deleuze, abbiamo stabilito che il campo trascendentale del senso fatto da questa superficie mobile, neutra, impassibile, formata da singolarit nomadi che si autounificano [esiste una sorta di magnetismo intrinseco?]. La prima tappa della genesi: come da questo campo fuoriesca l'individuo. L'individualit non separabile da un mondo, ma cosa si chiama mondo? Si riparte dalla singolarit: un punto singolare si prolunga (...) fino alle vicinanze di un'altra singolarit, ecc.: si costituisce cos un mondo a condizione per che le serie siano convergenti (un "altro" mondo avrebbe inizio nelle vicinanze dei punti in cui le serie ottenute divergessero). Il mondo ci che si snoda attraverso un sistema di singolarit selezionate per convergenza. Gli individui selezionano, tessono un numero finito di singolarit, non tutte quindi, le proprie, quelle che attengono al proprio corpo [alla corporalit, alla fisicit]. Deleuze mette in campo

Leibniz: il quale ha ragione di dire che la monade individuale esprime il mondo in base al rapporto tra gli altri corpi e il proprio. Dunque alla fine l'individuo che tesse mondi? Non credo che la questione sia essenziale, oppure lo ma ex-post, visto che qui in gioco la genesi dell'individuo stesso. Un mondo per pu essere costruito solo intorno a individui finiti e limitati (le possibilit di riforma delle singolarit sono limitate). Qui Delezue chiarisce la struttura del primo livello di effettuazione della genesi statica: il complesso individuo-mondo-interindividualit. Qui le singolarit si effettuano sia negli individui che nel mondo, prolungandosi su serie ordinarie, cio delineate dal buon senso, dall'unidirezionalit.I caratteri dell'individuo e del mondo non appartengono alla singolarit, che sempre neutra e indifferente ai suoi effetti. Per Leibniz una monade esprime il mondo, Deleuze chiosa: il mondo espresso non esiste al di fuori delle monadi; il mondo espresso formato quando serie dipendenti da ogni singolarit convergono con quelle che dipendono da altre: questa convergenza che definisce la "compossibilit" come regola di una sintesi di mondo; quando le serie divergono, si ha un mondo incompossibile. Incompossibile non vuol dire contraddizione: la contraddizione Adamo-peccatore e Adamo-non-peccatore discende dalla incompossibilit di mondi dove Adamo pecca e non pecca. Ciascuna monade esprime solo un certo numero delle singolarit: quelle nelle vicinanze delle quali essa si costituisce e che si combinano con il suo corpo. [in sostanza, noi come corpi ci muoviamo in un cosmo, in un liquido amniotico del quale cogliamo, per attrazione e combinazione, solo una parte di singolarit, di possibilit logiche, di nutrimento, di germi]. Il mondo cio non attiene agli individui, ma alle singolarit, agli eventi (in quanto serie di singolarit) compossibili. In Leibniz la compossibilit permette la predicabilit della monade, l'individuo diviene una centro vischioso di serie di eventi e di singolarit a lui possibili, giace in un mondo disegnato intorno alle serie convergenti: l'evento logico, neutro, impassibile verdeggiare diviene predicato analitico di soggetti costituiti quando si trasforma in essere verde. L'individuo raccoglie gli eventi a lui possibili, in mondi leibniziani compossibili. [Questo getta una luce immensa, e inquietante, su ogni nostro gesto, che diviene punta di un indescrivibile iceberg. Mi chiedeva provocatoriamente un amico: e come lo spieghi il colore rosso a un cieco? Ecco la risposta: in nessun modo, perch non un mondo che sia a lui compossibile, non una serie sulla quale si possa trovare, non una singolarit che possa significare]. Dopo questa prima effettuazione Deleuze passa alla seconda tappa, a un secondo livello che fa riferimento a Husserl e alla Quinta meditazione cartesiana: che cosa nell'Ego supera la monade? Come passo dall'individuo a un Io? Cosa ci fa staccare da un mondo nel quale siamo cos vischiosamente avvolti? L'Ego come soggetto conoscente appare quando qualche cosa identificata nei mondi nondimeno incompossibili, attraverso le serie nondimeno divergenti [Noi possiamo esprimere verit perch abbiamo di fronte a noi ci che possibile e ci che impossibile, ma non possiamo esprimere la certezza perch dovremmo NON avere di fronte a noi il possibile e l'impossibile, ma essere in ci che viene prima del possibile e dell'impossibile]; quando mi pongo di fronte al mondo come qualcosa in cui non sono immerso, ma come qualcosa che si pone come possibilit rispetto a una impossibilit, allora conosco, sono di fronte al mondo come

qualcosa che rispetto a ci che non . E' una individuazione in cui tra mondi compossibili e incompossibili compare l'oggetto=x. Deleuze torna a Leibniz, al teatro di Leibniz, e non ai pesanti macchinari di Husserl. Da un lato sappiamo ormai che l'individuo si muove, in uno spazio aperto dal proprio nomadismo in singolarit compossibili, con diversi colpi di un unico lancio [l'unico lancio ontologicamente un tempo superiore al massimo tempo pensabile, una sorta di essere o semprepresente]. Ma per la nascita dell'Ego occorre che i mondi incompossibili (ci che genera in seconda battuta la contraddizione) abbiano qualcosa in comune, rispetto al quale pi mondi appaiono come casi di soluzione di uno stesso problema (tutti i colpi risultati per un stesso lancio) [dunque il colpo un mondo o parte concreta di un mondo]. Se i mondi compossibili contemplano alcuni predicati, i mondi incompossibili sono le varianti di una stessa storia, le biforcazioni possibili [Adamo peccatore - Adamo non peccatore]. Qui siamo di di fronte a un punto aleatorio dei punti singoli (...) di fronte a ci che rappresenta tale segno e vale parecchi di questi mondi. Vi dunque un "Adamo vago", vagabondo, nomade, comune a pi mondi. Esiste quindi un oggetto qualunque assolutamente comune, e di cui tutti i mondi sono le variabili, (...) ha come predicati i primi possibili o categorie. Vi qualcosa come un Ego universale che esattamente la persona corrispondente a qualcosa = x, comune a tutti i mondi, come gli altri ego sono le persone corrispondenti a tale cosa = x, comune a pi mondi. Deleuze prova a fissare due complessi: a) a partire dalle singolart-eventi che costituiscono la genesi passiva, il senso genera un primo complesso, una Umwelt che organizza le singolarit in cerchi di convergenza, individui che esprimono questi mondi, stati di corpi, mescolanze o aggregati di tali individui, predicati analitici che descrivono tali stati; b) basato sull'Umwelt, compare un mondo (Welt) comune a pi mondi o a tutti, con predicati che indicano quel qualcosa in comune tra mondi, individui, non senso che genera senso. In base al primo complesso si forma un buon senso, una fissit analitica delle propriet uniche degli individui, nel secondo complesso si forma un senso comune, movimento sintetico delle propriet comuni delle persone. Buon senso e senso comune non sono elementi del campo trascendentale, sono conseguenze. Deleuze. Logica del senso, IX Diciassettesima serie - Sulla genesi statica logica. Gli individui sono proposizioni analitiche, infinite in ci che esprimono ma finite nella loro espressione corporea. Le persone sono proposizioni sintetiche finite nella loro definizione, ma indefinite nella loro applicazione. Persone e individui si fondano a vicenda. Dalle persone dipendono poi classi e propriet possibili in pi mondi (essere alti e biondi laddove possono esistere mondi dove si alti ma non biondi eccetera), fatto questo che costituisce la forma di possibilit della proposizione logica in generale. Le persone qui sono corpi, materia, fatti realizzati e rapporti logici [la forma della proposizione descritta nella terza serie] cio la designazione (rapporto tra proposizione e stato di cose); la manifestazione (rapporto tra proposizione e soggetto esprimente); la significazione (rapporto tra la parola e i concetti universali e generali); dove tutte e tre le forme

erano insieme prime e ultime nell'ordine delle cause; ne risulta una struttura complessa, un circolo paradossale. Se questi rapporti della proposizione crollano si sprofonda nell'abisso indifferenziato del senza-fondo che comporta soltanto la pulsazione di un corpo mostruoso, il terribile ordine primario che avvolge il linguaggio. Il senso, scrive ora Deleuze, genera sia la proposizione logica e le sue dimensioni, forme, rapporti (una proposizione privata del senso annega nel senzafondo) sia il manifestato, il designato, il significato, ovvero i correlati obiettivi della proposizione, prodotti a suo tempo nella genesi ontologica. Lo scarto tra la genesi logica e quella ontologica spiega la possibilit dell'errore [le due genesi viaggiano su propri binari], che investe solo proposizioni gi formate e un mondo gi formato. Ma se le nozioni di vero e falso sono trasferite dalle proposizioni al problema che tali proposizioni si presume risolvano, verit e falsit cambiano senso [sembra che qui il trasferimento sia dall'ambito del vero/falso a quello della certezza]. Il problema rinvia all'ambito trascendentale che fonda insieme la conoscenza, il conosciuto, la proposizione e i suoi correlati; qui il senso diviene la verit dei problemi in quanto tali. Il senso il problema cui le proposizioni danno risposte particolari, risoluzioni. Al contrario, fin quando si definisce il problema in base alla sua "risolubilit", si confonde il senso con la significazione e si concepisce la condizione a immagine del condizionato. Ma il problema "non ", neutro rispetto ai modi della proposizione, una differenza che emette singolarit [il problema il campo trascendentale di genesi, extra-essere, anteriore all'evento-avvento di senso che gi serie di singolarit], (non)-essere o ?-essere, una positivit che tratta la coppia vero/falso come casi di soluzione di un problema, positivit alla quale accede l'evento puro. Finch rimaniamo nel circuito della proposizione, non possiamo inferire se non indirettamente ci che il senso [e questo, direi, un signor problema]; per Deleuze si pu per sapere ci che direttamente soltanto spezzando il circuito, eliminando ogni somiglianza tra fondato e fondante e disponendo di un incondizionato come sintesi eterogenea della condizione di una figura autonoma che riunisca in s la neutralit e la potenza genetica. Pur sapendo che il senso effetto di superficie, non di profondit, causato da corpi, impassibile. Cos si costretti a dire che il senso crea gli stati di cose ma ne creato. Ma se cos, allora la superficie il campo dell'incondizionato, del trascendentale. Come si pu arrivare a questo? L'idea stessa di genesi statica dissolve la contraddizione, il circolo non vizioso ma virtuoso, direbbe Garroni. Dire che i corpi producono senso non implica una individuazione che presupporrebbe il senso stesso. L'ordinamento del reale suppone il senso e il campo neutro. Vi un altro modo in cui il senso prodotto dai corpi: occorre prendere i corpi nella loro totalit di profondit indifferenziata che pulsa producendo e avvolgendo le superfici, che stanno sopra il proprio campo come una lama impassibile. La superficie metafisica, cos la chiama Deleuze, il campo trascendentale di possibilit, la frontiera che si instaura tra i corpi presi insieme e nei limiti che li avvolgono da un lato, e le proposizioni qualsiasi dall'altro. Il senso, quale fatto di superficie, non separa linguaggio e cose, ma l'elemento di un'articolazione. Il senso duplica non perch sia imitazione della proposizione (come il gatto dello Cheshire) ma perch produce superfici che offrono un lato dotato di un

senso alle cose e l'altro sempre sensato al linguaggio. Se la pulsazione, se la produzione fallisce, si apre l'abisso dell'ordine primario che tuona sotto l'organizzazione secondaria del senso. Se la superficie regge, tutto l'ordinamento terziario (individuazione, determinazione dei copri, il senso come effetto), oggetto della genesi statica, dispiegato. Diciottesima serie - Sulle tre immagini di filosofo. L'immagine del filosofo sembra essere quella disegnata dal platonismo: un uomo che ascende dalla caverna agli astri purificandosi. Noi usiamo spesso metafore geografiche per descrivere il cammino o il corso del pensiero (orientarsi, spaziare, espandersi, scorrere) [cfr. un libro di Farinelli di cui ora non ricordo il titolo] tanto che il pensiero stesso ha una geografia ancora prima di una storia. Nietzsche mette in questione il problema dell'orientamento del pensiero: non forse secondo altre dimensioni che l'atto di pensare si genera nel pensiero? Il suo metodo giungere a un punto segreto in cui la stessa cosa sia aneddoto della vita e aforisma del pensiero. Occorre trovare Aforismi vitali che fossero anche Aneddoti del pensiero. In un riposizionamento temporale del pensiero dei presocratici, secondo il quale non si esce dalla caverna, ma anzi non si stati abbastanza inghiottiti: quei pensatori hanno insediato il pensiero della profondit (...) hanno fatto filosofia a colpi di martello. Tali profondit rappresentano per Nietzsche il vero orientamento della filosofia. In seguito, Nietzsche giunge alla superficie, adotta una terza serie di pensatori, che non aspettano la salvezza dalla profondit autoctona o dall'Idea celeste. Sono i megarici, i cinici, gli stoici, che fanno sorgere un nuovo logos animato da paradossi; qui non vi (sic)pi profondit n altezza, che mira ad assegnare l'idea, l'incorporeo, alla superficie, e di farlo diventare effetto e non pi causa; questo eliminava la possibilit di un giudizio etico preventivo, fosse pure quello dell'incesto e dell'antropofagia (Crisippo, Diogene il Cinico). Non vi sono regole secondo cui una mescolanza [di corpi] possa essere detta pi cattiva di un'altra [questo tema tuoner sul fondo nell'Etica spinoziana]. La mescolanza vale per ci che valgono i copri, ogni metro di misura, sia nel cielo che nelle profondit della terra, viene annullato. Nelle tragedie di Seneca vi la messa in scena, antesignana del teatro elisabettiano, di esseri votati al male. Si scoprono le passioni, i corpi e le loro mescolanze (anche) infernali. L'eroe delle tragedie stoiche Ercole, che si situa tra l'abisso infernale, l'altezza celeste e la superficie della terra; Ercole l'agrimensore della terra [una nota per un'interpretazione di Kafka: l'Agrimensore fallisce perch uomo di superficie che nulla pu contro il dogma, l'Idea rappresentata dal Castello?]. La grande scoperta stoica l'autonomia della superficie (...) la scoperta degli eventi incorporei, senso o effetto, irriducibili ai corpi profondi come alle Idee alte. La frontiera non passa pi in altezza tra l'universale e il particolare, non passa pi in profondit fra la sostanza e gli accidenti, ma (grazie ad Antistene): tra le cose e le proposizioni. Questa doppia faccia della superficie sostituisce altezza e profondit. La filosofia a colpi di bastone dei cinici sotituisce la filosofia a colpi di martello (dei presocratici); il filosofo non pi uomo delle altezze platoniche o delle profondit presocratiche, ma zecca, pulce, pidocchio, animale di

superficie; il simbolo non pi l'ala di Platone, il sandalo di piombo di Empedocle, ma il doppio mantello di Antistene e Diogene, la mazza e la pelle di leone di Ercole. Deleuze, Logica del senso, X Diciannovesima serie - Sull'umorismo. Una serie che non ho saputo ben comprendere, questa. Il linguaggio non trova il suo fondamento di verit nelle Idee o nei corpi presocratici, nell'idealismo o nel corporeo, nel fisico; l linguaggio idealista fatto di significazioni ipostatizzate, quando Platone chiede che cosa il bene, il giusto. Si deve rifiutare la falsa dualit platonica essenza-esempio. La distruzione del dualismo, che si realizza in modo umoristico: si imiter ci che si designa, lo si manger, romper, cos da sostituire con una designazione l'Idea, la significazione. Questa distruzione del supposto esempio non lascer nulla, non lascer la tanto cercata essenza. Ma questa distruzione umoristica della significazione porta all'abisso, all'indifferenziato; il bastone rompe tutto, anche i supposti fondamenti del linguaggio: la significazione precipita nella designazione, che a sua volta scivola nel fondo distruttore. Da questo lavoro di distruzione del fondamento si pu uscire risalendo alla superficie, dove si trovano gli eventi nella loro verit eterna [certezza?]: la sostanza che giace appena sotto, indipendente dalla propria effettuazione spaziotemporale; dove si trovano le singolarit messe in movimento dal punto aleatorio, dalla parola bianca, dalla lacuna. questa avventura dell'umorismo, questa duplice destituzione dell'altezza e della profondit a vantaggio della superficie, innanzitutto l'avventura del saggio stoico. E, pi tardi e altrove, dello Zen coi suoi koan contro le profondit brahamiche e le altezze buddistiche. I koan mostrano l'assurdit della significazione, il non senso delle designazioni; mostrano la superficie con i suoi oggetti possibili, eventi che si dipartono nell'Ain, il presente frantumato a favore del passato-futuro - mai ci che , ma solo ci che stato e sar - in una posizione nel vuoto. Il vuoto l'elemento paradossale, il non senso di superficie, il punto aleatorio sempre spostato da cui scaturisce l'evento come senso. Su questa frontiera priva di geografia diviene possibile il linguaggio. Ma chi parla il linguaggio? L'individuo, si risponde normalmente; un particolare parla il convenzionale (generale). Deleuze qui mi oscuro: si tratta di liberare una forma universale dell'individuo (realt), quando si tira fuori un'Idea dell'oggetto del discorso (necessit) e si confronta il linguaggio con un modello ideale (possibilit); a parte la tripartizione kantiana del giudizio di qualit (se non ricordo male) non ho capito a cosa miri Deleuze. Dunque, prima di tutto questa liberazione la tenta l'ironia socratica: strappare l'individuo alla sua immediatezza, superare il sensibile verso l'Idea e instaurare leggi linguistiche conformi al modello. Ma occorrerebbe che l'individuo si trovasse sia all'inizio e alla fine dell'argomentazione, ma questo manca in Platone. Ci riesce l'ironia classica: tutto racchiuso in una individualit. L'ironia romantica fa parlare la persona e non pi l'individuo, fondandosi sull'unit sintetica e non pi analitica (vedi la diciassettesima serie). Le persone sono proposizioni sintetiche finite nella loro definizione, ma indefinite nella loro applicazione. Le incarnazioni qui sono pure possibilit, e all'Io non corrisponde mai una realt

adeguata. L'ironia costantemente minacciata dall'abisso, rappresentato dal pensiero tragico: Dioniso sotto Socrate (...) il caos che disfa la persona. Il linguaggio dell'abisso ha una duplice potenza, quella degli elementi fonetici esplosi, quella dei valori tonici inarticolati. Poi Deleuze distingue tre linguaggi per ogni tipo di discorso: uno reale corrispondente a colui che parla; uno ideale che indica il modello di discorso seguito dal parlante; uno esoterico, che indica la dissoluzione di colui che tiene il linguaggio rele. Al termine di questo percorso, che non sono riuscito a ben afferrare, Deleuze ripropone la domanda: chi parla? si risponde: a volte l'individuo, altre la persona, altre il fondo indifferenziato; ma si pu aggiungere una quarta risposta, che rifiuta le tre precedenti. Deleuze non chiaro, sembra che questa risposta consista nel proporre le singolarit come fondamento di possibilit del parlare, la superficie: l'umorismo l'arte delle superfici e dei duplicati, delle singolarit nomadi e del punto aleatorio sempre spostato. Ventesima serie - Sul problema morale negli stoici. Il sistema stoico comporta una fisica con una morale di tale fisica, il bene e il male attengono alla fisica, ai corpi, sono corpi. Se un singolo corpo pu commettere atrocit, l'insieme dei corpi preso nella sua totalit forma necessariamente una mescolanza perfetta, la quale non niente altro che l'unit delle cause tra di esse o il presente cosmico [l'Etica di Spinoza qui!]; il male una mera conseguenza, non attiene a un arbitrio. Lo stoico vuole ci che accade in quanto accade, vuole l'evento; ma come coglierlo? Per mezzo della divinazione, suggerisce Deleuze, che coglie il rapporto tra l'evento puro (la possibilit logica non ancora effettuata) e la profondit dei corpi. Si tagliano superfici, il cielo o l'animale per leggere nelle linee, nei punti cos ottenuti. Deleuze: occorre distinguere due operazioni, a) la produzione fisica di una superficie con linee, tagli, immagini; b) la proiezione di queste immagini su una superficie metafisica in cui entrano in gioco soltanto le linee incorporee dell'evento puro, che costituisce il senso interpretato di questo evento. La morale stoica per non si rivolta [del tutto] verso la divinazione; secondo Goldschimdt la dualit stoica appunto tra una morale ricavata per interpretazione e una morale ricavata direttamente dall'evento, dal suo essere qui e ora effettuazione e donazione, in un presente assolutamente limitato [che come dire il presente frantumato dell'Ain]. La prima morale collega l'evento alle sua cause corporee (a Kronos, a ci che da sempre e sar sempre il medesimo presente], la seconda morale lo collega alla sua quasi causa incorporea, la lacuna che muove l'Ain sulle due direttrici opposte presente-futuro. Ma quale la differenza tra le rappresentazioni-corpi o impronte e gli eventi-effetti incorporei? Stando fuori dalle designazioni (le rappresentazioni sensibili) e dalle significazioni (le rappresentazioni razionali), ma procurando loro senso, gli eventi sono un'ombra non designabile n significabile; non sono oggetto di una rappresentazione possibile. Esternamente la rappresentazione somiglia o simile, niente di pi. Il carattere interno [il senso] della rappresentazione, per cui la si dice adeguata, proviene dal modo in cui essa avvolge un'espressione, bench non possa rappresentarla. (...) Per esempio, la percezione della morte come stato di cose e qualit o il concetto di mortale come predicato di significazione, restano estrinseci (privi di senso) se non comprendono l'evento del

morire come ci che si effettua nell'uno e si esprime nell'altro. Sapere la morte un sapere vuoto finch non si concepisce la morte come evento impersonale provvisto di una struttura problematica sempre aperta. Solo l'espressione nascosta (il senso) fa s che la rappresentazione sia da un lato sapere e dall'altro afferramento concreto dell'oggetto quale esso [far s che l'oggetto divenga un vissuto compreso nella sua essenza]. Qualcosa che ha a che fare con il significato quale uso wittgenteiniano, dove uso vuol dire un saper usare, un padroneggiamento in termini di esperienza e conoscenza della struttura, dello sfondo, che anticipa l'uso stesso, lo impregna di s. Questa anticipazione il senso come quasi-causa; il saggio stoico si identifica con la quasi-causa, s'insedia alla superficie sul punto dove la linea corre; egli quindi come l'arciere, in un rapporto simile a quello indicato dallo zen: il tiratore dell'arco deve raggiungere un punto in cui ci che preso di mira anche ci che non preso di mira, cio il tiratore stesso, e in cui la freccia fila sulla sua linea dritta creando il proprio obiettivo, in cui la superficie del bersaglio sia la retta sia il punto, il tiratore sia il tiro, sia il tirato. Il saggio comprende l'evento puro nella sua verit eterna, indipendentemente dalla sua effettuazione spazio-temporale, come a un tempo eternamente futuro e sempre gi passato secondo la linea dell'Ain. Ma il saggio vuole anche l'incarnazione dell'evento, la sua effettuazione in uno stato di cose. Ma il saggio vuole ci che sta gi per prodursi nelle profondit delle cause corporee. La quasi-causa non crea, essa "opera" e non vuole ci che accade. Deleuze, Logica del senso, XI Ventunesima serie - Sull'evento. La serie comincia con una strana domanda: possibile vivere in modo stoico e poetico? Si cita Joe Bousquet: la mia ferita esisteva prima di me, io sono nato per incarnarla, [quanto possiamo dire lo stesso di noi, in fondo? Non siamo tutti, in qualche modo, ferite incarnate]. Ancora Bousquet Tutto era gi al suo posto negli eventi della mia vita prima ancora che io li facessi miei. La morale allora, l'etica ci dice di non essere indegni di ci che ci accade. Quando pensiamo che ci che ci accade sia ingiusto, allora siamo ripugnanti perch esprimiamo un assurdo rancore verso l'evento (che noi stessi incarniamo). Ma anche la rassegnazione una variante del risentimento, dunque del ripugnante. Volere l'evento significa lottare contro ci che deve essere - fare del proprio meglio; alzarsi al mattino per compiere comunque il proprio dovere - cos che vi sia splendore anche nella tragedia: il bagliore, lo splendore dell'evento il senso [ovvero: che nella tragedia appaia un senso, questo il difficile]. L'evento non ci che accade, ma in ci che accade. Occorre diventare degni di ci che ci accade. Ancora: Ci che gli uomini colgono come passato e futuro, il dio lo vive nel suo eterno presente. Il dio Kronos. L'uomo non pi il prodotto delle proprie opere, ma dei propri eventi. Deleuze oppone l'attore a Dio, l'attore dell'Ain , dio Kronos, quello si muove nell'istante, questo permane in un presente indefinito. Il commediante rimane nell'istante per interpretare qualcosa che non cessa di anticipare e di ritardare, di sperare e di ricordare. Interpreta una tema costituito da singolarit, effettua un evento. Viene citato ancora Bousquet: ergere tra gli uomini e le opere il loro essere

che precede l'amarezza, dove guerre e re e stermini regnano per nulla; ovvero, che anche di ci che terribile vi sia un evento che trova il suo tempo, la sua effettuazione, che occorre accettare pur opponendosi. Deleuze ricorda la doppia struttura dell'evento: la sua effettuazione nel presente che sottomette a s passato e futuro; il suo passato e il suo futuro che schivano ogni presente. Nel primo caso la vita appare troppo debole per me, troppo ristretta; nell'altro caso sono io troppo debole per essa, che si lega a singolarit per me inaccessibili. La morte, dice Maurice Blanchot, a un tempo ci che in un rapporto estremo o definitivo con me e con il mio corpo, ci che fondato in me, ma anche ci che senza rapporto con me, l'incorporeo e l'infinito, l'impersonale, ci che fondato solo in se stesso. Perch la morte? Perch ogni evento come la morte, doppio e impersonale nel suo doppio. Come dire: tutto nella nostra vita ci appartiene e ci sfugge nel medesimo istante. Non vi sono quindi eventi personali o collettivi, tutto singolare e perci collettivo e privato a un tempo. Ventiduesima serie - Porcellana e vulcano. Scott Fitzgerald: Naturalmente, ogni vita un processo di demolizione. Se pu suonare strana questa affermazione, non cos per i suoi personaggi, che hanno tutto e un certo punto si rompono, esattamente come un piatto o un bicchiere. Come successo? Vi era, vi stata l'incrinatura silenziosa impercettible, alla superficie (...) e se l'incrinatura diventa quella del Grand Canyon (...) se le immagini cosmiche di burrone, di montagna e di vulcano sostituiscono la porcellana intima e familiare, allora entrano in gioco due fattori: l'incrinatura, appunto, e l'urto delle masse, dei corpi, che approfondiscono l'incrinatura nello spessore del corpo stesso. L'incrinatura come evento, linea a spezzare la superficie del presente, l'incrinatura impersonale, inafferrabile; l'incrinatura personale che arriva e si effettua nel pi duro presente, per mezzo del suicidio [Pavese, Hemingway], della droga [Borroughs] o dell'alcool [Bukowsky], nel tentativo di prolungare la morte impersonale con l'atto pi personale. Il punto fondamentale: Se c' l'incrinatura alla superficie, come evitare che la vita profonda non diventi impresa di demolizione e non lo diventi "naturalmente"? Anche se "personale" e "impersonale" differiscono per natura, Bousquet parla della verit eterna della ferita (...) in nome di una ferita personale abominevole, che egli porta nel suo corpo. L'alcool che Fitzgerald beve effettua l'incrinatura nel corpo e gli permette di stare nel luogo dove il suo pensiero ha la sua fonte e il suo prosciugamento. Artaud parla dell'erosione del pensiero stando gi nella schizofrenia. Ciascuno di questi artisti rischiava qualcosa; non altrettanto chi ne parla, che resta sempre a riva (diventare professionista di tali chiacchiere?) Ma se le cose stanno cos, come riuscire a salvare la superficie e tutta la sua organizzazione? Si pu provare a sprofondare, ma non troppo (diventare un po' alcolista, un po' suicida), ad allargare l'incrinatura, ma non troppo. Come salvare la porcellana dal vulcano? Nell'alcolismo si vive in due mondi, l'alcolizzato pu dunque identificarsi con gli oggetti del proprio amore, "del suo orrore, della sua compassione", mentre la durezza vissuta e voluta del momento presente gli permette di mantenere a distanza la realt.

L'alcolista ha il passato prossimo come tempo proprio, in cui un passato immaginario, come se la dolcezza del participio passato venisse a combinarsi con la durezza dell'ausiliario presente. "Ho amato" costituisce in modo perfetto la copulazione dei due momenti: l'avere presente, l'essere passato. Un presente scolorito vede in distanza un passato fuggito ad ali spiegate. Questo effetto di fuga del passato, questa perdita dell'oggetto in tutti i sensi, costituisce l'aspetto depressivo dell'alcolismo. E tale effetto di fuga forse ci che fa la maggiore forza dell'opera di Fitzgerald. Il quale non mostra (quasi) mai i suoi personaggi nell'atto del bere, per i suoi eroi l'alcolismo un processo di demolizione perch fa fuggire il passato; tutto diventa lontano e determina la necessit di bere ancora per trionfare su questo presente indurito e scolorito che solo sussiste e significa la morte. Vi sono altri eventi che possono avere lo stesso effetto: la perdita di denaro, di amore, del paese natale, del successo. Insomma: l'alcol a un tempo amore e perdita di amore, denaro, successo. E' l'oggetto, la perdita dell'oggetto e la legge di tale perdita in un processo concertato di demolizione. Non dato sapere se l'incrinatura potr incarnarsi; "incrinatura" rimane una parola finch non trova un corpo da demolire. Possiamo doppiare questa effettuazione dolorosa con una contro-effettuazione, che in s non nulla, quella del buffone quando essa opera sola e pretende di valere per ci che sarebbe potuto accadere. Ma essere il mimo di ci che accade effettivamente, doppiare l'effettuazione con una contro-effettuazione (...) dare alla verit dell'evento l'occasione unica di non confondersi con la sua inevitabile effettuazione e all'incrinatura di stare al di sopra del proprio campo di superficie incorporea. Lo stesso Borroughs lo scrive: pensate che tutto ci che possiamo raggiungere per vie chimiche accessibile attraverso altre vie. Deleuze, Logica del senso, XII Ventitreesima serie - Sull'Ain. Le due letture, gi incontrate, del tempo: Kronos e Ain, vengono qui esplicitate. Kronos 1) Per Kronos esiste solo il tempo presente. Passato e futuro non sono altre dimensioni del tempo, ma sono solo due dimensioni relative al presente. Ci che passato o futuro - in rapporto a un presente - sono solo parte di un presente pi vasto, pi durevole. Vivere in questo presente totale [vedi la differenza con Agostino] spetta solo a un dio. Dio vive su un passato vasto come il tempo stesso, noi viviamo in presenti limitati per cui percepiamo un passato e un futuro. Kronos invece p un incastro, un avvolgimento di presenti relativi. Per Boezio il presente divino complica o comprende futuro e passato. 2) Il presente di Kronos in qualche modo corporeo, con mescolanze o incorporazioni. Temporalizzare mescolare, far interagire corpi e cause; futuro e passato sono ci che resta della passione del corpo. Ogni passione rinvia a un corpo quale causa: il presente divino la grande mescolanza, l'unit delle cause corporee tra di esse. Il presente pu essere infinito senza essere illimitato, cosa vuol dire? Che al presente spetta delimitare - sia pure essendo l'unit di tutte le cose - ma pu essere

infinito, circolare nel suo ricominciare un periodo cosmico identico al precedente [che il tempo finisca quando si sono effettuate tutte le combinazioni possibili di eventi?]. 3) Qual l'ordine secondo cui Kronos pu definirsi come il movimento regolato dei presenti vasti e profondi? Qual la sua unit di misura? Soprattutto, c' qualcosa che si sottrae a questo buon ordine? Qualcosa che sovverte Kronos, il suo ordine immutabile. Gli stoici parlano di due mescolanze, una bianca che conserva estendendo, una nera che confonde e altera. L'alternativa a questo dualismo pu essere cercato nell'Ain . Il divenire folle della profondit un cattivo Kronos che si oppone al presente del buon Kronos (Saturno contro Zeus); il passato-futuro (Ain) si presenta come una forza scatenata che schiva il presente. Cosa differenzia questo divenire folle da Ain? vediamo ora le caratteristiche di quest'ultimo: Ain 1) per Ain solo il passato e il futuro sussistono nel tempo, dividendo a ogni istante il presente nei due sensi propri (passato e futuro) contemporaneamente. Non pi una serie di presenti che comprendono passato e futuro. All'inizio di questo saggio sia Ain che il divenire folle si oppongono a Kronos, confluiscono l'uno nell'altro: con l'Ain, il divenire folle della profondit saliva alla superficie. Ora si presentano differenze radicali tra il fondo, l'abisso indifferenziato e l'Ain: la differenza essenziale non pi semplicemente tra Kronos e Ain, bens tra Ain delle superfici e l'insieme di Kronos e del divenire-folle delle profondit [sembra vi sia una triplice opposizione, oppure tra l'Ain e le altre due componenti?]. Il divenire di Ain fatto di "istanti" quello della profondit di "ora". Qual la differenza? Deleuze richiama il Parmenide, la seconda e terza ipotesi appunto dell'"ora" e dell'"istante". L'"ora" della profondit non altro che un presente sconvolto che distrugge la saggezza del presente di Kronos; Ain invece, con il suo "istante", schiva il presente distinguendosi in modo complesso: porta alla superficie facendo mutare forma; Ain popolato da effetti che lo frequentano senza mai riempirlo. [Sembra essere un tempo sospeso, formato da entit logiche, possibili, che riaprono alla trasformazione il presente di Kronos divaricandolo in passato e futuro, non un altro presente disordinato, caotico, ma qualcosa che apre a un possibile mutamento il presente scomponendolo, facendolo apparire quale passato e futuro, quale linea che procede in direzioni opposte anzich quale staticit]. Ain illimitato come il futuro e il passato, ma finito come istante mentre Kronos presente limitato ma infinito (circolare). Se Kronos circolare, Ain linea retta, la pura forma vuota del tempo. 2) E' questo mondo aperta da Ain, un mondo nuovo degli effetti incorporei o degli effetti di superficie rende appunto possibile il linguaggio, permettendogli di avere senso, di distinguere i suoni dai rumori, dona ai rumori la propriet metafisica di avere un senso e, secondariamente, di significare, di manifestare, di designare invece di appartenere ai corpi come qualit fisiche. Il senso ci che consente di far vivere ci che esprime il senso stesso, la linea bifronte di confine che permette il linguaggio separandolo dalle cose. L'organizzazione di superficie determinata dall'Ain:

la linea dell'Ain percorsa dall'Istante che manca sempre al proprio posto. Platone dice dell'istante che atopon, atopico. L'Istante il punto aleatorio, il non senso di superficie, la quasi-causa, il cui primo compito quello di suddividere kronos nei due sensi passato<->futuro; il secondo quello di estrarre dal presente le singolarit, i punti singolari proiettati nel futuro e nel passato - come se l'ente fisso nel presente (persona, cosa) fosse costretto a rilasciare spore per possibili germinazioni; il terzo quello di separare corpi e linguaggio, nel significato indicato alla fine del precedente paragrafo; l'istante dunque, quale linea retta, ha due facce, l'una verso lo stato di cose e l'altra verso le proposizioni [ma sarebbe forse pi esatto dire: dei rumori, dei suoni inarticolati cui deve essere donato anzitutto un senso]. Le due facce sono irriducibili l'una all'altra; l'evento diverso sia dal linguaggio che dagli stati di cose, cui si riferisce come attributo logico di questi e come esprimibile di quello (prima quindi della significazione, della manifestazione e della designazione). 3) Ci sono molti movimenti dal meccanismo fragile che si incrociano: a) corpi, stati di cose e mescolanze riescono, o non riescono, a produrre superfici ideali; b) gli eventi di superficie si effettuano nei corpi presenti (in Kronos) imprigionando, cristallizzando gli eventi; c) l'evento implica qualcosa di eccessivo rispetto alla propria effettuazione e riporta persone e cose e mondi alla loro profondit del divenire-folle. Qui, torna la bipartizione del presente in presente-Kronos, saggio e ordinato, e presente-divenire-folle, il caos della profondit che impone il suo "ora". Ma questa bipartizione si traforma ora in tripartizione, con l'aggiunta del presente di Ain poich l'istante deve essere rappresentato; ovvero, il presente di Ain quello che offre una rappresentazione, un'immagine dell'istante, ed , al contrario di kronos, senza spessore (dice Deleuze: il presente dell'attore, del ballerino o del mimo), quindi il presente della contro-effettuazione. Ain si fa rappresentazione unicamente in una contro-effettuazione, cio quando mostra ci che potrebbe accadere, non ci che accade. Dunque anche l'evento incorporeo, la lacuna possono diventare rappresentazione, ma come contro-effettuazione. Deleuze, Logica del senso, XIII a luned Ventiquattresima serie - Sulla comunicazione degli eventi. Una delle maggiori audacie del pensiero stoico la rottura della relazione causale. Le cause attengono alla profondit, mentre sulla superficie vi sono relazioni di altro tipo; vi un destino, che l'unit delle cause fisiche tra loro; quando gli effetti incorporei, le singolarit, sono sottoposte a tale destino dipendono dalla causalit profonda; quando non cos instaurano tra loro relazioni di quasi causalit indipendenti dalla necessit che figlia del destino [abbiamo per gli stoici un destino che la relazione causale di profondit ed emette una necessit, da cui per gli eventi di superficie sono indipendenti, umh]. Gli stoici, prosegue Deleuze, affermano il destino (la causalit profonda) ma negano la necessit [il cui statuto qui non chiarito, che sembra essere quello di una manifestazione di superficie, ovvero ci che si manifesta del causalismo di profondit]. Deleuze scrive che l'indipendenza dalla necessit significa che il

causalismo profondo si manifesta negli eventi (nelle possibilit logiche) di superficie per mezzo di un rapporto di espressione. Cosa diavolo questo rapporto di espressione? In precedenza Deleuze assimila l'espressione al senso; forse qui suggerisce: gli eventi tra loro hanno un inesplicabile rapporto di senso, pur dipendendo dal causalismo di profondit, grazie al quale possono stabilirsi compatibilit o incompatibilit. Manca qui, ancora, una sufficiente tematizzazione dei concetti di necessit e di espressione. I rapporti di senso stabiliti tra eventi non sono necessari nel senso del causalismo fisico, ma sono toni di una medesima aria, vibrazioni sul medesimo diapason, colpi di un medesimo lancio un sistema di echi, risonanze; tornano qui i temi svolti a proposito degli eventi ideali come stringhe di possibilit, insiemi di singolarit [nona serie] che vengono fatti risuonare, vengono messi in movimento dall'istanza paradossale, dalla lacuna, dalla parola bianca. Quando Crisippo reclama la trasformazione delle proposizioni ipotetiche in congiuntive o disgiuntive, mostra bene l'impossibilit per gli eventi di esprimere le loro congiunzioni e disgiunzioni in termini di causalit bruta. Per, sostiene Deleuze, in base ai testi parziali pervenuti, sembra che anche gli stoici siano tornati alla causalit fisica o alla contraddizione logica [ma non spiega nulla di pi]. Introduce Leibniz, il primo grande teorico delle incompatibilit alogiche, quindi teorico dell'evento. Le incompatibilit alogiche sono la coppia compossibile/incompossibile, che si distingue dalla coppia logica possibile/impossibile, legata all'identico e al contraddittorio. Per leibniz una monade non contiene predicati, ma eventi compossibili con predicati corrispondenti: ad esempio la monade di Adamo peccatore contiene in forma predicativa soltanto gli eventi futuri e passati compossibili con il peccato di Adamo). In Leibniz l'evento originario rispetto al predicato; la compossibilit viene definita a livello preindividuale, dalla convergenza delle serie che formano le singolarit di eventi estendendosi su linee di ordinari. Per contrasto, l'incompossibilit nasce quando le serie divergono (le serie che prevedono eventi di Adamo non-peccatore). Per Leibniz, aggiunge Deleuze, fa un uso della nozione di incompossibilit che esclude gli eventi gli uni dagli altri. Questa separazione ammissibile solo se si presuppone un Dio che contempla, dispone e assegna gli eventi, cos che la loro effettuazione possa essere isolata, autosufficiente (obbediente cio alla sola volont divina). Ma se inseriamo tale separazione in un gioco umano, allora essa diventa inammissibile. Ma Leibniz era impedito (...) dalle esigenze della teologia. Dal punto di vista della Logica del senso la divergenza delle serie o la disgiunzione dei membri non sono regole di esclusione secondo cui gli eventi sono incompossibili, ma sono oggetti di affermazione [il ragionamento non in realt cos semplice da seguire]; si ha un oggetto di affermazione quando due cose sono affermate simultaneamente soltanto nella misura in cui la loro differenza negata. Dunque , leibnizianamente, a partire da un'identit di base che gli opposti giacciono, per cos dire, su un medesimo piano di confrontabilit? No, Deleuze dice: parliamo di un'operazione secondo la quale due cose (...) sono affermate nella loro differenza (...) nella misura in cui la loro differenza essa stessa affermata, essa stessa affermativa. Si tratta di affermare la loro distanza, non di identificare due contrari con il medesimo (il Dio di

Leibniz). Una distanza da misurare, da affermare, e non una distanza da colmare: la contraddizione che deve rivelare la natura della propria differenza. Ovviamente: l'idea di distanza positiva topologica e di superficie, esclude ogni profondit o ogni elevazione. Dunque, nessuna identit dei contrari. Nietzsche, scrive deleuze, d l'esempio di un tale procedimento, esortandoci a vivere la salute quale punto di vista sulla malattia e viceversa [il che mi riporta alla mente Joyce che in un discorso tenuto davanti ai compagni scuola disse "il massimo valore della vita la morte", senza parlare poi dell'esser per la morte di Heidegger]. Insomma, nessuna identificazione tra contrari, ma attestazione e affermazione positiva della loro distanza. Non la Gaia Scienza un procedimento che fa della salute una variazione della malattia e della malattia una valutazione della salute? Dunque non si malati che quando non si pu affermare la distanza dalla salute, quando si immersi nella malattia tanto da non poterne fare un punto di vista sulla salute [cfr Heidegger lei non esattamente malato, solo quando sapr di esserlo... dove?]. Il punto di vista non superfluo ma necessario: Leibniz ci aveva insegnato che non ci sono punti di vista sulle cose, bens che le cose, gli esseri, erano punti di vista. Per Leibniz negava le divergenze, ammetteva solo la convergenza, la molteplicit degli sguardi ma su un'unica citt. Con Nietzsche si cambia: un'altra citt che corrisponde a ogni punto di vista, ogni punto di vista un'altra citt, poich le citt sono unite solo dalla loro distanza e risuonano solo per la divergenza delle loro serie, delle loro case e delle loro strade. Come dire: l'evento ideale, la linea di singolarit, risuona (si mette in movimento) per differenza, non per identit. In Nietzsche l'incompossibile un mezzo di comunicazione, non di esclusione come in Leibniz. Si distinguono tre tipi di sintesi: quella connettiva ("se... allora") che costruisce una sola serie; quella congiuntiva ("e") che costruisce serie convergenti; quella disgiuntiva ("o") che ripartisce le serie divergenti. Si tratta, ora, di sapere se la disgiunzione una vera sintesi oppure solo l'esclusione di predicati opposti in una cosa in virt di un'identit concettuale, [una congiunzione dialettica di tipo hegeliano]. La disgiunzione vera sintesi, perch resta disgiunzione, poich porta e continua a portare su una divergenza in quanto tale, una divergenza affermata, affermazione pura. In questo modo ogni cosa, anzich escludere, si apre a una predicabilit infinita, a una comunicazione di eventi. Ora, la lacuna, il punto aleatorio, sembra rispondere a questo compito; l'istanza paradossale a due facce che unisce mantenendo separati, separa mantenendo uniti linguaggio e cosa. La parola bianca, il punto aleatorio, sono sempre "altrove" a segnare distanze, ad "aprire legami" possibili. In questo sta il paradosso e la difficolt di Logica e senso, un paradosso che intende (anche) costruire per la disgiunzione un percorso nuovo, accennato dall'uso delle parole esoteriche (settima serie). Ora possibile distinguere il divenire folle della profondit dal divenire di superficie di Ain . Entrambi vogliono dissolvere l'identit individuale, ma in due modi diversi. La profondit lo fa mediante un'identit infinita nella quale l'io svanisce, si frantuma e diventa tutto e niente; in superficie ogni elemento comunica con l'altro per il carattere positivo della propria distanza, per il carattere affermativo della disgiunzione; l'io si confonde con questa disgiunzione che libera fuori di s (...) le

serie divergenti come altrettante singolarit impersonali e preindividuali. Io, Dio e Mondo conoscono una morte comune, a profitto delle serie divergenti in quanto tali, che oltrepassano ora ogni esclusione, ogni congiunzione, ogni connessione. E' Klossowski ad aver visto come questo destino non fosse causato da una dialettica, ma da una dissipazione comune alla superficie delle cose. La divergenza delle serie affermate porta a un "caosmos" e non pi a un mondo; il punto aleatorio che le percorre forma un contro-io e non pi l'io; la disgiunzione, posta come sintesi, baratta il proprio principio teologico con un principio diabolico. La linea di Ain divide le serie di eventi puri come una linea di frattura; una disgiunzione che attesta le differenze anzich ridurle a un'identit. L'eterno ritorno non pi quello circolare del Kronos, ma quello degli eventi puri che l'istante spostato sulla linea non cessa di dividere in gi passati e in ancora futuri. Non sussiste nient'altro che l'evento. Venticinquesima serie - Sull'univocit. Qui Deleuze apre dicendo che il problema cambiato; se prima si chiedeva quali fosse la natura delle compatibilit o incompatibilit alogiche tra eventi, cio la natura della diade compossibile/incompossibile. Ma se la disgiunzione, superando Leibniz, diviene positiva, allora tutti gli eventi, anche quelli contrari, sono tra loro compatibili. L'incompatibilit nasce solo a livello di effettuazione, di stati di cose; tra persone, mondi concreti. Ma l'incompatibilit anche tra un evento, una singolarit, e un mondo divergente rispetto a essi. Qui la divergenza "di senso" e non logica; Deleuze rammenta le parole-bauli che esprimevano sensi compatibili che per erano incompatibili con questa o quella forma sintattica. Come posso io, individuo concreto, superare il mio legame sintattico col mio mondo per raggiungere la compatibilit universale degli eventi? Deleuze dice: bisognerebbe che l'individuo cogliesse se stesso come evento, e che in tale evento cogliesse un altro individuo, come se egli stesso diventasse uno specchio per la condensazione di singolarit (...) tale il senso ultimo della contro-effettuazione. Nietzsche: l'uomo un caso fortuito; Klossowski riscopre questa tesi quando scrive che l'uomo, finch cerca il proprio centro, non fa che soffrire veementi oscillazioni; almeno finch non vede il cerchio nel quale inscritto. Ogni oscillazione di cui soffre un'individualit altra che si crede reperibile a partire dal centro; da ci discende che un'identit essenzialmente fortuita e che una serie di individualit deve essere percorsa da ciascuna. Segue un periodo abbastanza problemativo, in cui si afferma che in questo libro si eleva ciascun evento alla potenza dell'eterno ritorno [cio la teoria degli eventi puri e della loro condensazione lineare] perch l'individuo (...) affermi la sua distanza con ogni altro evento, unisca la sua distanza a quella degli altri implicati nello stesso processo fino ad affermare un unico Evento (l'unico lancio di infiniti colpi). Evento unico che resta comunque legato all'incompatibilit con le forme, gli stati di cose che realizzano di volta in volta questo o quello, non tutto. Borges: in uno dei passati possibili siete mio nemico, in un altro mio amico... il tempo biforza perpetuamente verso innumerevoli futuri. Il punto estremo e centrale insieme diviene la sintesi disgiuntiva, che rende l'Essere univoco e gli essenti molteplici e differenti, che sostiene: l'essere Voce, che si dice e si dice in un solo e medesimo "senso" di tutto ci di cui esso si

dice. Ci di cui esso si dice non affatto il medesimo. Ma il medesimo per tutto ci di cui si dice. Arriva con gli accadimenti come un evento unico. L'uso positivo della sintesi disgiuntiva si confonde con l'univocit dell'essere. L'univocit significa anche identit tra evento e senso, L'univocit significa che la stessa cosa precisamente accade e si dice. L'essere non pi abbandonato alla vaghezza dell'analogia, l'univocit mette in contatto la superficie interna del linguaggio (insistenza) con la superficie esterna dell'essere (extraessere). L'essere univoco un minimo comun denominatore del reale, la forma pura dell'Ain. In breve, l'univocit dell'essere ha tre determinazioni: un solo evento per tutti; un solo e medesimo aliquid per ci che accaede e ci che si dice; un solo e medesimo essere per l'impossibile, il possibile e il reale. Deleuze, Logica del senso, XIV Ventiseiesima serie - Sul linguaggio. Sono gli eventi che rendono possibile il linguaggio. Ma rendere possibile non significa far cominciare. Gli eventi come elemento trascendentale del linguaggio nel senso della sua condizione di possibilit. L'inizio, dice Deleuze, attiene alla parola; perch nel linguaggio tutto deve essere gi dato, in un colpo unico [il linguaggio un lancio unico]. Colui che parla il manifestante; ci di cui si parla il designato; ci che si dice sono le significazioni. Bene, nulla di questo l'evento, o senso, che insiste nel linguaggio senza confondersi con esso. Rendere possibile il linguaggio significa questo: fare in modo che i suoni non si confondano con le qualit sonore delle cose, con il rumore dei corpi, con le loro azioni e passioni. Far s che il terribile rumore del mondo si trasformi un qualcosa di familiare, qualcosa che ci faccia sentire a casa. Il senso o evento rende possibile il linguaggio perch disgiunge suoni e corpi, e i suoni cos disgiunti sono plasmabili in proposizioni, espressioni. E' sempre una bocca che parla, ma il suono ha cessato di essere il rumore del corpo che mangia, pura oralit, per diventare la manifestazione di un soggetto che si esprime. Anzitutto abbiamo un'espressione, che si fonda sull'evento come entit dell'esprimibile o dell'espresso; dopo vengono la designazione, la significazione e la manifestazione. Prima viene una sorta di "sapere di star dicendo qualcosa" o "capire che qualcosa viene detto", poi la sua significazione e la sua designazione [prima comprendo che i suoni "fuori piove" esprimono qualcosa, poi ne verifico e capisco designazione e significazione e manifestazione]. Tutto sarebbe solo rumore senza l'evento, rumore indistinto. Deleuze torna alla questione: in che modo l'evento rende possibile il linguaggio? L'evento di superficie, impassibile ai suoi effetti; risulta dai corpi, dalle loro mescolanze e passioni e azioni, ma se ne differenzia radicalmente; non una qualit fisica, ma un attributo speciale, aleatorio, che non si confonde con la proposizione, non nome di cosa o di qualit, eppure insiste in essa, la sua cornice e la struttura invisibile che la sostiene in ci che dice, che esprime, che significa e manifesta [compara con Della certezza di Wittgenstein]. L'evento-senso fa salire alla superficie proposizioni e corpi e li organizza in due serie, la loro frontiera e la loro linea di comunicazione, insiste nelle proposizioni, si aggiunge agli stati di cose. La lineafrontiera fa dunque convergere le serie divergenti; ma in tal modo non sopprime n

converge la loro divergenza. Le attira in un elemento paradossale, il punto aleatorio, la lacuna, la parola bianca che ha il potere di attestare la disgiunzione, centro sempre spostato (...) tale punto espresso nel linguaggio dalle parole esoteriche (...) e assicura a un tempo la separazione, la coordinazione e la ramificazione delle serie. A questo punto Deleuze presenta una tripartizione che riassume il lungo discorso tenuto fin qui, le tre figure in cui si presenta l'organizzazione del linguaggio: a) la superficie metafisica o trascendentale; b) la linea incorporea astratta; c) il punto decentrato: gli effetti di superficie o eventi. Sulla superficie la linea di senso; sulla linea il creativo punto di non senso. Epicureismo e stoicismo hanno cercato di assegnare alle cose la condizione di possibilit del linguaggio; per i primi la declinazione dell'atomo fatto di nomi (atomi) e aggettivi (qualit dei composti), per i secondi la coniugazione degli eventi (dunque verbi che legano eventi incorporei). Per Deleuze i nomi e la loro declinazione incarnano l'azione, mentre i verbi e la loro coniugazione incarnano la reazione, una reazione interna al linguaggio, la temporalit interna della lingua. Il verbo ha due poli: il presente con un tempo fisico di successione; l'infinito, segno del rapporto col senso; il verbo oscilla tra questi due poli, tra l'infinito che rappresenta il cerchio una volta dispiegato dell'intera proposizione e il "tempo" presente che chiude al contrario il cerchio su un designato della proposizione. L'infinito, ormai possiamo intuirlo, Ain, che si divide simultaneamente nella duplice direzione passato<>futuro e mette in contatto l'interiorit del linguaggio con l'esteriorit dell'essere (...) il verbo infinito esprime l'evento del linguaggio. Deleuze, Logica del senso, XV Ventisettesima serie - Sull'oralit. L'evento condizione di possibilit del linguaggio. Ci che separa i suoni dai corpi fa dei suoni gli elementi di un linguaggio (...) ci che separa le proposizioni dalle cose rende possibili le proposizioni. Ora quindi si tratta di rintracciare la storia che libera i suoni, li rende indipendenti dai corpi. Si tratta qui di una genesi dinamica, che va direttamente dagli stati di cose agli eventi, dalla profondit alla produzione delle superfici, e non di un genesi statica che va dell'evento alla sua effettuazione in stati di cose. Il suono diventa indipendente quando non pi una qualit specifica del corpo, ma si differenzia da esso; questa indipendenza, che gli permette di essere manifestazione, designazione, significazione, originata dall'espressivit. Qual questa profondit, attore della genesi dinamica? E' un teatro dell'orrore, la cui descrizione Deleuze affida alla psicoanalisi per mano di Melanie Klein: la storia del lattante per il quale l'oralit, la bocca e il seno sono in primo luogo profondit senza fondo. Il lattante si ciba del corpo della madre fatto a brandelli; questa assimilazione accompagnata da una proiezione di aggressivit [qui cerco di riassumere un discorso che personalmente trovo fuorviante e incomprensibile] perch i pezzi introiettati sono sostanze velenose e persecutrici. Cannibalismo e analit sono prolungamenti dell'oralit; il bambino vive una posizione paranoide-schizoide. Insomma, tutto ha inizio da, in un abisso, il corpo del bambino come una fossa piena di bestie selvagge. Lasciando da parte i bambini e gli schermi ideologici (non si capisce perch

la profondit infantile debba essere decifrata e descritta attraverso le paure di adulti colonialisti), Deleuze a un certo punto scrive: appare cos la prima tappa della genesi dinamica. la profondit rumorosa: i battiti, scricchiolii, stridori, crepiti, esplosioni, i rumori esplosi degli oggetti interni (...). Vi un oggetto buono, cio il rimodellamento infantile dell'oggetto completo quale super Io e io, che estrae una Voce da tutti i rumori della profondit. E poco dopo, Per il bambino il primo approccio con il linguaggio consiste appunto nell'afferrarlo come modello di ci che si pone come preesistente (...) voce familiare che veicola la tradizione (...) la voce presenta tutte le dimensioni di un linguaggio organizzato senza poter rendere afferrabile il principio di organizzazione, in base al quale essa stessa sarebbe un linguaggio. Essa significa la preesistenza, ma ancora non significa, non designa n manifesta, ha le dimensioni di un linguaggio senza averne la condizione, aspetta l'evento che far di essa un linguaggio, pur avendo cessato di essere rumore. Il passaggio dal rumore alla voce lo riviviamo continuamente in sogno (...) i rumori che giungono al dormiente si organizzano in voce pronta a svegliarlo. Ventottesima serie - Sulla sessualit. Ventinovesima serie - Le buone intenzioni sono necessariamente punite. [Ho rinunciato a rileggere ulteriormente queste serie, che si basano su uno spostamento massiccio delle teorie psicoanalitiche e dei suoi principi all'interno dei dati di superficie, delle serie e cos via; la psicoanalisi, coi suoi principi, mi d l'idea di una splendida, scintillante ferramenta, con attrezzi coi quali si potrebbe costruire addirittura un nuovo mondo (questo in effetti stato tentato) ma che, curiosamente, non sono adatti per la forma del mio mondo, o perlomeno di gran parte di esso]. Trentesima serie - Sul fantasma. Vorrei buttare nel cestino anche questa serie, ma faccio un fioretto. Sperando mi illumini sul misterioso scopo per cui Deleuze ha presentato questa figura, e sul suo significato; il filosofo presenta i tre caratteri del fantasma: 1) il fantasma risultato di azione e passione, dunque un evento puro, che si effettua grazie a cose effettive, azioni realmente intraprese, passioni e contemplazioni realmente effettuate. Il fantasma, in quanto evento, differisce dalla sua causa materiale. Ah, il fantasma serve a Deleuze per legare l'evento puro, la possibilit logica, il senso, alla psicoanalisi e alla sua grande trinit assassinioincesto-castrazione, divoramento-sventramento-assorbimento; questi sono eventi puri. Totem e tab la grande teoria dell'evento e la psicoanalisi in genere la scienza degli eventi. Umh, adesso comincio a capire; Ma non scienza del senso da ricercare nell'evento, perch l'evento il senso stesso. La psicoanalisi fa piena luce sugli stati di cose e la loro profondit, le loro mescolanze, le loro azioni e passioni ma per giungere all'emergenza del loro risultato, l'evento d'un'altra natura, come effetto di superficie. E' con Edipo che l'evento si stacca dalla profondit, dalle cause profonde e si stende sulla superficie. Le categorie psicoanalitiche sono quindi le possibilit logiche della nostra psiche? Come scienza degli eventi puri, la psicoanalisi anche un'arte delle contro-effettuazioni, sublimazioni, e

simbolizzazioni. 2) il secondo carattere la situazione dell'io all'interno del fantasma; il fantasma trova il suo punto di partenza, o autore, nell'io fallico del narcisismo secondario [non ho purtroppo idea di cosa stia scrivendo qui Deleuze, cosa diavolo vuol dire "io fallico del narcisismo secondario"? Una versione hard del cogito cartesiano?]. Dunque, l'evento come senso, l'evento psicoanalitico almeno, trova origine in questo io fallico, ma poich il fantasma pu rovesciarsi, allora ecco il secondo carattere: la situazione dell'io dentro il fantasma. Ma il fantasma originario manifesterebbe un'assenza di soggettivazione abbinata alla presenza del soggetto sulla scena. L'oscurit di questi passi aumenta poco dopo: ci che appare nel fantasma il movimento per cui l'io si apre alla superficie e libera le singolarit acosmiche, impersonali e preindividuali che imprigionava. 3) Qui Deleuze dice che lo sviluppo inerente al fantasma s'esprime in un gioco di trasformazioni grammaticali [il che non mi aiuta a capire la satanica rete di presupposti su cui si basa il Nostro]. Si capisce solo che uno dei caratteri del fantasma psicoanalitico o evento o senso quello di persistere in uno stato di cose; il terzo carattere attesta la sua presenza nel linguaggio [il senso persegue la linea di frontiera tra proposizioni e cose]. Il fantasma-evento non detto n significato ma non esiste la di fuori della proposizione che lo esprime, e fin qui ci muoviamo nel noto. Il fantasma insiste in un elemento della proposizione: il verbo infinito [dunque ci muoviamo nell'ambito stoico]. Il fantasma inseparabile dal verbo infinito e testimonia quindi dell'evento puro. Ma si tratta di un infinito che non non ancora preso nel gioco delle determinazioni grammaticali, non soltanto indipendente da ogni persona, ma da ogni tempo, da ogni modo e da ogni voce (...): infinito neutro per l'evento puro. E'Ain che rappresenta nella proposizione ci che sta fuori dalla proposizione. Da questo infinito puro germinano le voci, i tempi, i modi, le persone, si fa significato, designato, manifestato. Deleuze vuole ora determinare il punto di nascita del fantasma e quindi del suo rapporto reale con il linguaggio. Vi la questione meramente terminologica che riguarda l'uso del termine "fantasma" [ecco, sarebbe opportuna una spiegazione], questione che si intreccia con quella dell'uso di tale termine in un dato momento. Quando cio, la parola si fa carico di un processo e non solo una definizione. Allora, per Susan Isaacs la parola "fantasma" indica l rapporto con gli oggetti interni introiettati e proiettati nella posizione schizoide nel momento in cui le pulsioni sessuali fanno lega con quelle alimentari. Laplanche e Pontalis fondano il fantasma con l'autoerotismo e lo legano al momento in cui le pulsioni sessuali si distaccano dal modello alimentare e abbandonano ogni oggetto naturale. Per Melanie Klein il simbolismo la base di ogni fantasma (...) lo sviluppo di ogni vita fantasmatica impedito dalla persistenza delle posizioni schizoide e depressiva. [A questo punto, dopo l'assedio mostruoso della neolingua psicoanalitica, ne capisco come prima: poco; temo che la serie successiva mi sar altrettanto oscura]. Deleuze, Logica del senso, XVI

Trentunesima serie - Sul pensiero. Trentaduesima serie - Sulle differenti specie di serie. Cedo al fantasma introiettato della mia schizoide castrazione anal-escrementizio originaria e passo. Trentatreesima serie - Sulle avventure di Alice. [da considerare che la serie intrisa di interpretazioni psicoanalitiche che ho tralasciato] In Carroll le parole esoteriche corrispondono a tre serie [sarebbero le tre serie spiegate nella serie 32, chi ha coraggio se le vada a vedere]. a) "l'impronunciabile monosillabo" che opera la sintesi connettiva di una serie; b) le parole "plhizz" o "snark" che fanno convergere e operano la sintesi congiuntiva delle due serie; c) la parola-baule "Jabberwock" la parola=x che gi da prima agiva nelle altre due e che opera la sintesi disgiuntiva di serie divergenti, facendole risuonare in quanto tali. [vedi la serie 7]. Alice vive di tre parti distinte dal luogo: la prima parte (capp. 1-3) immersa nella profondit schizoide: la caduta interminabile di Alice; la seconda (capitoli 4-7) vive del tema dell'altezza con i continui cambiamenti di statura di Alice. Il fungo opera la sintesi ambigua tra le possibilit della crescita e del rimpicciolimento; il gatto del Cheshire simboleggia invece la chiarezza delle altezze e incarna la disgiunzione nel suo presentarsi a pezzi; la terza parte (capitoli 8-12) vive di superfici frequentate da carte senza spessore. Attraverso lo specchio sembra riprendere la stessa storia, con la soppressione del primo momento e lo sviluppo del terzo; Alice la buona voce che si ritrae per i gatti, cos come il gatto del Cheshire era la buona voce che si ritraeva per lei. Lo specchio superficie pura: continuit del fuori e del dentro, dell'alto e del basso, del dritto e del rovescio, in cui lo Jabberwocky si dispiega nei due sensi contemporaneamente. Poi Alice entra nel gioco, vuole diventare regina; la voce unica e ritratta si perde nella molteplicit delle voci presenti. La parola rinvia di volta in volta a una serie unica (sintesi connettiva); a due serie convergenti (sintesi congiuntiva); a due serie divergenti (sintesi disgiuntiva). Alla fine la superficie si infrange e fanno di nuovo irruzione l'altezza e la profondit . Deleuze poi dice qualcosa per spiegare: parla della diagnosi psicoanalitica fatta su Carroll e aggiunge Non certo trattando, attraverso l'opera, l'autore come un malato possibile o reale, anche se gli si concede il beneficio della sublimazione. Non cos che psicoanalisi e l'arte possono incontrarsi, non certo facendo la "psicoanalisi" dell'opera. Per Deleuze, Carroll, in quanto grande autore, assai pi medico che malato [bella intuizione, questa; il problema che per la psicoanalisi l'uomo degno di malattia cos come per la religione degno di peccato], per poi il filosofo chiosa L'artista non soltanto il malato e il medico della societ, ne anche il perverso. Ecco. Trentaquattresima serie - Sull'ordine primario dell'organizzazione secondaria. oh no, me ne vado a elaborare il lutto. buon Ain a tutti

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