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Universit degli Studi di Milano Sede di EDOLO Corso di Laurea in

Valorizzazione e Tutela dell'Ambiente e del Territorio Montano

Appunti delle lezioni del corso di ALPICOLTURA


Fausto Gusmeroli

Indice

PARTE I Elementi di Geobotanica 1. Ecomorfologia delle piante .. 2. Distribuzione geografica delle piante .. 3 9

3. Ecologia delle piante 15 4. Vegetazione e aggruppamenti vegetali .... 23 5. Dinamica della vegetazione . 32

PARTE II I pascoli 1. Dinamica delle vegetazione nelle fasce subalpina e alpina . 38 2. Le principali fitocenosi delle fasce subalpina e alpina. 46 3. Prerogative foraggere dei pascoli 55 4. Utilizzazione del pascolo .... 70 Allegato 1 .. 90

PARTE I Elementi di Geobotanica


La Geobotanica lo studio delle piante e della vegetazione nella loro situazione nella biosfera. Questo studio pu avvenire a tre livelli (floristico, vegetazionale e paesaggistico), che vanno a costituire le rispettive branche della Geobotanica idiobiologica, della Fistosociologia e della Sinfitosociologia, queste ultime due raggruppate nella Geobotanica simbiologica. Nellambito della Geobotanica idiobiologica si possono distinguere due discipline, la Floristica e la Corologia, la prima deputata alla compilazione delle flore, la seconda alla definizione degli areali geografici. Essendo strettamente collegate, le due discipline sono spesso riunite e identificate come Corologia. Anche la Fitosociologia (o Fitocenologia) comprende due discipline, luna, la Fitocenografia, di carattere essenzialmente analitico, finalizzata alla descrizione degli aggruppamenti vegetali, laltra, la Sintassonomia, di carattere prevalentemente sintetico, votata allordinamento sistematico degli aggruppamenti. Le tre branche della Geobotanica, pur operando in campi ben distinti, sono tra loro integrate. La corologia, in particolare, rappresenta una premessa indispensabile alla fitosociologia e questa alla sinfitosociologia. A sua volta, la sinfitosociologia (o Fitosociologia seriale) rappresenta la base per la Geosinfitosociologia o Ecologia del paesaggio, branca che di recente ha avuto molto sviluppo, tanto da divenire disciplina autonoma. Nei capitoli seguenti saranno illustrati i principi generali della corologia (capitoli 1, 2 e 3) e della fitosciologia (capitoli 4 e 5), in riferimento soprattutto alle piante vascolari (cormofite) e alla vegetazione dei pascoli.

1. Ecomorfologia delle piante


1.1. Lhabitus Lelemento pi appariscente delladattamento di una pianta allambiente rappresentato dallhabitus, ossia dalla sua forma complessiva determinata dalle dimensioni, dal portamento, dalla consistenza, dalle caratteristiche delle foglie e dalla durata del ciclo biologico. Essendo una aspetto delladattamento, lhabitus correlato alle condizioni climatiche e microclimatiche, allo sfruttamento dello spazio, alla competizione e alla difesa contro le avversit. Il comportamento cespitoso e prostrato delle specie dei pascoli , ad esempio, un fattore di adattamento allerbivoria, come la perdita delle foglie in molte piante e cespugli lo nei riguardi del superamento della stagione avversa. A propria volta, lhabitus influenza il microclima e la formazione delle comunit vegetali. In un bosco convivono normalmente piante di aspetto molto eterogeneo, che si strutturano in strati di differente altezza, utilizzando al meglio lo spazio e modificando le condizioni di illuminazione, temperatura e umidit allinterno e nelle vicinanze del popolamento stesso. Specie anche molto distanti tra loro tassonomicamente possono mostrare il medesimo tipo di habitus e di ecologia. Il fenomeno detto convergenza adattativa o eco-morfologica. Daltro canto, specie di gruppi sistematici vicini possono assumere aspetto molto diverso. Allorch la convergenza morfologica riguarda specie di aree geografiche separate, ma simili ecologicamente, si ha parallelismo eco-morfologico e le specie sono dette parallele. Come non tutte le piante ad ecologia simile convergono necessariamente su un habitus, a dimostrazione che ladattamento non si basa esclusivamente sulla morfologia, cos uno stesso habitus pu accomunare piante di ambienti 3

differenti. Si parla in tal caso di pseudoconvergenza o pseudoparallelismo. Numerosi sono gli esempi, in particolare nellambito delle graminacee e delle conifere che, pur vivendo in una pluralit di ambienti, esibiscono tutte un aspetto tipicamente xeromorfo (abbondanza di tessuti meccanici, foglie strette e dure, spesso ridotte e sempreverdi nelle conifere). Tre caratteristiche concorrono in particolare a definire lhabitus di una specie: la durata della vita, la forma di crescita e la forma biologica. 1.2. Durata della vita La durata della vita condiziona la tolleranza al clima ed ha perci un notevole significato ecologico. Rispetto ad essa le piante possono essere classificate in annuali, bienni e perenni. Le piante annuali e bienni sono esclusivamente erbacee. Le annuali sono quelle che concludono il ciclo vitale entro lanno, le bienni presentano la fase vegetativa al primo anno e la riproduttiva al secondo. Le annuali sono indicate come stagionali nel caso in cui la vita si prolunghi per qualche mese, effimere se limitata a poche settimane. Sono piante scarsamente dotate contro le avversit ambientali, dalle quali si difendono con una veloce crescita e rapido passaggio alla fase riproduttiva, in maniera da superare la stagione critica allo stato di seme. Propagandosi solo per via sessuale e dovendo affrontare la concorrenza delle piante poliennali, producono semi molto longevi e in grande copia, che vanno a costituire nel terreno le cosiddette banche di semi. Chenopodium album, ad esempio, una tra le pi comuni infestanti dei seminativi, ha semi in grado di sopravvivere per parecchi decenni. Le piante perenni sono alberi, arbusti, suffrutici ed erbe con ciclo biologico superiore ai due anni. Occupando per lungo tempo lo spazio hanno forte competitivit e possono evitare di produrre i semi con cadenza annuale. Hanno tuttavia maggiore necessit di mettere in atto delle strategie per superare la stagione avversa, gli eventi meteorologici critici che si presentano a cadenza pluriennale e i danni provocati dalluomo e dagli animali. Il meccanismo pi comune per sopravvivere nella stagione avversa la dormienza. Le erbe possono inoltre perdere totalmente o parzialmente la porzione epigea e proteggere la parte rimanente con i detriti vegetali. Il terreno, lacqua (nelle piante acquatiche) e la coltre nevosa concorrono a proteggere gli apparati ipogei. 1.3. Le forme di crescita Le forme di crescita non tengono conto del presumibile significato adattativo dellhabitus, ma solo di caratteri morfologici e fenologici, che vengono organizzati in modo gerarchico. Gli schemi pi generali e usuali trovano impiego nella Fitosociologia formazionistica (si veda il capitolo successivo) per la descrizione dei tipi fisiognomici della vegetazione (formazioni vegetali). Nella classificazione di Beard, una delle pi note, sono identificate anzitutto cinque forme di crescita, in funzione essenzialmente della dimensione delle piante. Ogni forma poi suddivisa in relazione principalmente a caratteri fogliari: 1. Alberi Grandi piante legnose, di altezza normalmente maggiore di tre metri. Sono suddivise in: Aghifoglie (per lo pi Conifere) Latifoglie sempreverdi (la maggior parte con foglie di grandezza media) Sclerofille sempreverdi (foglie pi piccole e dure) Latifoglie decidue (perdita delle foglie in inverno nella zona temperata, nella stagione arida in quella tropicale) Alberi spinosi (in molti casi con foglie composte decidue) 4

Alberi a rosetta (non ramificati, con una corona di grandi foglie, palme e felci arboree).

2. Liane Comprendono piante legnose ed erbacee 3. Arbusti Piante legnose di altezza inferiore di norma a tre metri Aghifoglie Latifoglie sempreverdi Latifoglie decidue Sclerofille sempreverdi Arbusti a rosetta Arbusti a fusto succulento (piante grasse) Arbusti spinosi Suffrutici (la parte distale del fusto erbacea e pu degenerare nella stagione sfavorevole) Arbusti nani (arbusti striscianti, pi bassi di 25 cm) 4. Epifite Piante che crescono interamente sopra la superficie del suolo o sugli alberi delle regioni tropicali umide 5. Erbe Piante prive di fusto lignificato perenne epigeo Felci Graminoidi (graminacee ed altre piante di aspetto simile) Forbie (erbe a foglia larga) In alta montagna e nei pascoli predominano le piante a cespo, a rosetta e a cuscinetto, di cui si riportano disegni esemplificativi in figura 1.1. Tali forme sono quelle che meglio si adattano alle difficili condizioni ambientali daltura, come specificato pi avanti. 1.4. Le forme biologiche Secondo la definizione di Pignatti, per forma biologica si intende un tipo morfologico che pu essere riconosciuto, pur con qualche variazione, in diversi gruppi vegetali, indipendentemente dalla loro appartenenza tassonomica. A differenza delle forme di crescita, le forme biologiche sono stabilite in relazione al significato ecologico dellhabitus e dunque tendono a mettere in rilievo aspetti ecologici pi che una semplice descrizione morfologica. Il primo inquadramento generale di forme biologiche, ancora oggi largamente applicato, quello di Raunkiaer (1934), impostato sulladattamento al clima espresso dalla posizione delle gemme rispetto al suolo, ossia alla strategia seguita dalla pianta per proteggere le gemme durante la stagione critica (linverno nelle zone a clima temperato o freddo, il periodo arido nelle zone subtropicali e tropicali). Le categorie di Raunkiaer sono cinque, con sottocategorie equivalenti alle forme di crescita. Lo schema dunque misto. Le cinque categorie principali sono le seguenti (si veda anche la figura 1.2): 1. Fanerofite (P)

Gemme portate su germogli ad altezza superiore a 30 cm dal suolo e dunque sottoposte ai rigori del clima. Le gemme sono protette da foglie trasformate, dette perule, che cadono in primavera lasciando cicatrici ravvicinate che formano sul ramo caratteristiche zone circolari (indicano il limite della crescita annuale). Comprendono alberi, arbusti maggiori, liane legnose, epifite, grandi piante erbacee tropicali perenni. Sono previste diverse forme di crescita.
.

Fig. 1.1 Principali forme di crescita delle piante dalta montagna (da Risigl e Keller, 1990).

Piante a rosetta

Piante a cuscinetto (pulvini)

Piante a cespo

Fig. 1.2 Forme biologiche di Raunkiaer (da Pignatti, 1995) 1 = Fanerofita 2a e 2b = Camefite 3 = Emicriptofite (a = rosulate; b = subrosulate; c = scapose) 4 = Geofite (a = rizomatose; b = bulbose) 5 = Terofite

2. Camefite (Ch) Gemme portate vicine al suolo, ad altezza inferiore a 30 cm, su germogli circondati da rami e foglie. Comprendono arbusti minori, suffrutici e piante erbacee perenni che nella stagione avversa mantengono integra la porzione epigea, spesso protetta dal manto nevoso. Sono ripartite in quattro sottocategorie: suffruticose, passive (fusto sottile e flaccido ricadente al suolo), attive (come le precedenti, ma con fusti rigidi) e a cuscinetto. Intermedie tra le Camefite e le Fanerofite sono le Nanofanerofite (NP), categoria nella quale si collocano gli arbusti nani. 3. Emicriptofite (H) Gemme portate a livello della superficie del suolo. Comprendono piante erbacee perenni e bienni, con le parti superiori che si deteriorano con il freddo, proteggendo con i loro detriti ed eventualmente con lausilio del manto nevoso, le gemme. Sono suddivise in scapose, scapolorosulate e rosulate, a loro volta ripartite in stolonifere e non stolonifere. 4. Geofite (G) Gemme portate su organi ipogei (rizomi, bulbi, tuberi, radici). Comprendono piante erbacee perenni che spesso perdono la parte epigea durante la stagione critica. Si articolano in quattro sottocategorie: rizomatose, tuberose caulinari, tuberose radicali e bulbose. Alle Geofite possono essere ricondotte anche le Idrofite (I) e le Elofite (He) . Le prime sono piante acquatiche che proteggono le gemme nellacqua o nel suolo del fondale; le seconde sono piante acquatiche tipiche delle paludi, di consistenza e struttura simile ormai alle terrestri, con la parte basale sommersa in acqua e il fusto e il fiore emersi. 5. Terofite (T) Sono le piante annuali, che concludono il ciclo vitale allapprossimarsi della stagione avversa, superandola allo stato di seme che, per il basso contenuto in acqua, particolarmente resistenti al freddo invernale. Lo stadio di gemma eliminato. Le frequenze percentuali con cui le diverse forme entrano a formare la flora di un territorio, o di una vegetazione, ne rappresenta lo spettro biologico. Raunkiare ha stimato lo spettro normale della flora mondiale, ossie le frequenze medie delle varie forme biologiche sul pianeta. Lo spettro composto per quasi la met da Fanerofite, per circa un quarto da Emicriptofite ed un quarto da Terofite, Camefite e Geofite nellordine. Il confronto dello spettro di un territorio con lo spettro normale fornisce utili indicazioni di carattere ecologico per quel territorio. Lelemento principale di variazione dello spettro il clima. Il parallelismo talmente evidente da poter classificare i climi in funzione delle forme dominanti. Si riconoscono cos tre climi principali: il clima delle Fanerofite, nelle zone equatoriali e tropicali umide; il clima delle Terofite, nelle zone desertiche tropicali e subtropicali aride; il clima delle Emicriptofite, nelle zone temperate e temperato-fredde. A questi se ne pu aggiungere un altro, quello delle Camefite, nelle regioni pi fredde poste generalmente oltre il limite delle nevi perenni. Le Camefite mostrano tuttavia un altro massimo nelle aree caldo-aride subdesertiche. Un duplice picco contraddistingue anche le Geofite, uno nelle regioni con lunga stagione arida, laltro in quelle non aride con lungo inverno. LItalia si trova circa al confine tra la fascia arida subtropicale e quella umida temperata, con prevalenza a sud di Terofite, progressivamente sostituite al centro e al nord dalla Emicriptofite (Tab. 1.1). Lo stesso gradiente lo si pu osservare sul piano locale procedendo con la quota altimetrica. Oltre allo schema di Raunkiaer esistono altri inquadramenti biologici (Ellenberg e MllerDombois; Schmithsen; Vareschi; Box), elaborati successivamente nel tentativo di superare leccessiva generalizzazione che si ha considerando la sola posizione delle gemme. Questi sistemi non hanno per avuto grande successo, in ragione essenzialmente della loro complessit. Pi di 7

recente sono stati sviluppati approcci non pi a carattere deterministico, ma statistico, basati sullanalisi di singoli caratteri morfologici (altezza della pianta, superficie delle foglie, lunghezza degli organi fotosintetici etc.). 1.5. Adattamenti delle piante alle condizioni di vita in quota Al crescere della quota altimetrica le condizioni ambientali divengono progressivamente pi severe. Il clima caratterizzato vieppi da bruschi cambiamenti, con temperature rigide (diminuzione della temperatura media dellaria di circa 0.5-0,6 C ogni 100 m, maggiore in primavera ed in estate e minore in inverno), lunghi e frequenti periodi di gelo, elevate precipitazioni, maggiore ventosit, minore umidit e pressione atmosferica, forti escursioni termiche, irraggiamento complessivo e nellultravioletto pi intenso ma inferiore nello spettro fotoattivo, a causa della maggiore copertura nuvolosa. Lattivit biochimica dei suoli rallentata e la pedogenesi procede molto lentamente, ostacolata spesso anche dallinstabilit dei versanti e dai continui apporti superficiali di materiali rocciosi. Ne consegue per le piante un accorciamento della stagione vegetativa (circa una settimana ogni 100 m), una riduzione di tutti i processi vitali, una crescita lenta, una scarsa capacit di utilizzo delle riserve per la fase riproduttiva ed un ritardo nella maturazione sessuale.

Tab. 1.1 Spettro biologico delle regioni italiane (%) (da Pignatti, 1995)

Pr. Trieste Friuli Veneto Trentino A. A. Lombardia Piemonte-V. A. Liguria Emilia R. Toscana Marche Umbria Lazio Abruzzi e M. Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna ITALIA (N) (%)

Numero specie 1703 2397 2750 2551 2800 2931 2997 2377 2826 2101 1935 2513 2428 2428 2092 2279 2325 2488 2028 5811

T 29.8 21.1 23.9 20.1 23.1 22.4 26.7 28.3 30.7 29.7 30.1 33.1 29.2 33.9 37.8 34.1 34.3 38.5 39.9 1456 25.1

I 2.1 2.7 3.1 2.6 3.2 2.9 1.8 3.1 2.7 1.5 2.3 2.7 1.4 2.2 1.9 1.5 1.4 2.4 2.8 132 2.3

He 0.4 0.5 0.4 0.3 0.4 0.4 0.3 0.5 0.4 0.2 0.2 0.3 0.3 0.3 0.2 0.3 0.2 0.4 0.3 15 0.3

G 14.1 13.4 12.7 12.6 12.4 12.1 13.1 13.6 14.1 13.8 13.1 13.3 13.1 13.1 13.5 13.2 13.5 12.3 12.2 695 12.1

H 38.5 47.1 45.3 49.1 46.5 47.3 41.5 40.4 37.5 39.2 40.2 35.6 41.1 34.1 30.2 35.9 34.1 28.1 28.1 2421 41.7

Ch 4.9 6.5 6.7 7.1 6.5 7.2 7.6 4.6 6.2 6.5 5.6 6.3 6.7 6.9 6.6 5.7 6.7 8.2 7.1 597 10.3

NP 2.6 2.6 2.4 2.7 2.5 2.6 2.9 2.5 3.5 2.2 2.3 2.5 2.6 2.7 2.8 2.4 2.9 3.6 3.5 211 3.6

P 7.7 6.1 5.6 5.6 5.5 5.2 5.8 6.5 5.8 6.9 6.5 6.2 5.9 6.8 6.9 6.9 6.7 6.7 6.3 284 4.9

Molteplici sono dunque gli adattamenti morfologici e fisiologici imposti alle piante di montagna. Tra i primi si possono ricordare la formazione di una spessa cuticola esterna di protezione dai raggi UV, un aumento degli stomi delle foglie (in maggioranza stomi sulle due pagine), la formazione di stoloni, gemme, ricacci e rosette di foglie per la riproduzione vegetativa e un apparato radicale pi sottile, esteso fino a cinque volte tanto quello delle piante di valle. A livello fisiologico si osserva anzitutto un aumento di efficienza dellapparato fotosintetico (fino al 40% in pi delle piante di valle) determinata da un miglioramento degli scambi gassosi, insensibilit dei processi fotosintetici alle gelate notturne e capacit di produrre sostanza organica durante la fotosintesi in un ampio range di temperatura. Si ha inoltre una maggiore resistenza ai danni da gelo e da caldo eccessivo, una temperatura di congelamento delle foglie inferiore, possibilit di crescita e attivit metabolica a basse temperature e la prevalenza della moltiplicazione per via vegetativa su quella sessuale e, per questultima, dellautofecondazione anemogama sullimpollinazione incrociata ed entomogama.

2. Distribuzione geografica delle piante


2.1. Gli areali Larea entro la quale una specie diffusa in modo stabile costituisce il suo areale. Il concetto pu essere esteso anche ai ranghi tassonomici di genere e famiglia, esprimendo in tali evenienze la distribuzione complessiva rispettivamente delle specie o dei generi che li compongono. Entro lareale la specie non necessariamente presente ovunque, ma pu essere pi o meno abbondante e discontinua. Il luogo geografico in cui lentit osservabile si identifica come stazione. Forma e dimensione dellareale sono determinate da fattori intrinseci alla specie, che ne fissano la capacit competitiva, e da fattori esterni, come ostacoli geografici (un oceano, una catena montuosa, un deserto etc.), elementi climatici, fattori pedologici e biotici (patogeni, fitofagi, impollinatori). Occorre inoltre considerare anche fattori storici di carattere bioevoluzionistico ed ecologico che hanno agito nel passato. La conoscenza dellareale non dunque fine a s stessa, ma fornisce informazioni ecologiche che, unitamente ai dati genetici, aiutano a chiarire lorigine della specie, la sua storia e laffinit con altri elementi. Quando non diversamente specificato, lareale geografico, ad indicare la distribuzione completa della specie. Se invece si riferisce ad una porzione particolare dellareale geografico, appellato come regionale o territoriale. Poich le distribuzioni di molte specie sono state ampliate dalluomo, si contrappone inoltre un areale primario, naturale, a un areale secondario, di origine antropica. Unulteriore classificazione si pone nei confronti dello sviluppo, che pu essere continuo o disgiunto a seconda che interessi ununica area o pi aree non comunicanti, indicate appunto come disgiunzioni. Quando queste hanno superficie circa equivalente sono dette parziali; quando sono chiaramente diverse, la pi estesa rappresenta lareale principale, le altre sono areali secondari. Pinus cembra, ad esempio, ha come areale principale la regione Siberiana e come areali secondari Alpi e Carpazi, dove si rinviene in piccoli distretti. Se molto ridotte, le disgiunzioni sono interpretabili come aree relitte e la relativa popolazione a sua volta un relitto geografico. Le disgiunzioni hanno cause storiche, derivano cio da avvenimenti del passato di natura evoluzionistica ed ecologica. I pi importanti sono senzaltro i fenomeni di natura geologica, come lorogenesi e la deriva dei continenti, in grado di modificare la geografia delle terre emerse, creando fratture nella continuit del territorio. Rilevanti sono stati anche i grandi mutamenti climatici, responsabili ad esempio delle disgiunzioni delle specie artico-alpine avvenute nel Quaternario, mentre sono cause del tutto secondarie la dispersione a distanza di semi da parte di migratori e le speciazioni analoghe in punti distanti tra loro. Esistono specie ad areale molto piccolo, ridotto talvolta ad una singola montagna, una vallata, unisoletta o altro e specie che, al contrario, abbracciano il territorio di pi continenti o tutto il 9

pianeta. Alle prime attribuito il nome di specie endemiche, alle seconda di specie cosmopolite. Gli endemismi possono derivare o da contrazioni di precedenti areali pi ampi o da ostacoli fisici alla diffusione della specie. Appartengono al primo tipo i cosiddetti neoendemismi, originatisi nel Pleistocene e nel post-glaciale, al secondo gran parte dei paleoendemismi, risalenti al Terziario e ad epoche ancora precedenti. Tra i paleoendemismi si riconoscono i relitti tassonomici, specie rimaste isolate sotto il profilo sistematico (lesempio emblematico Ginkgo biloba, la sola specie sopravvissuta della famiglia delle Ginkgoaceae, diffusa nel Mesozoico). Gli endemismi sono molto comuni nelle isole e sui complessi montuosi, dove lestremo isolamento favorisce la speciazione ed ostacola la dispersione delle unit di neo-formazione. Le flore delle isole oceaniche, in particolare, ne risultano dottissime (circa il 90% per le Hawaii), grazie anche alla natura vulcanica che limita una copertura massiccia di vegetazione, allentando la competizione. Le specie cosmopolite possono essere primarie, come Deschampsia caespitosa e Luzula campestris per citare due specie dei pascoli, o pi spesso secondarie, propagate cio volontariamente o incidentalmente dalluomo, come le prative Dactylis glomerata e Plantago major. Il cosmopolitismo per altro raro a livello specifico, pi frequente salendo la scala tassonomica. Solo per i neoendemismi ad areale piccolo abbastanza agevole identificare il centro di origine di un taxon, coincidendo in pratica con lattuale distribuzione. Diversamente occorre disporre di una buona documentazione fossile. Con una certa approssimazione (e un certo rischio di errore) si pu considerare come regione di origine il centro di distribuzione, vale a dire larea nella quale il taxon pi articolato (maggior numero di taxa subordinati o maggiore variabilit nel caso di specie). Ci per altro, pi che attestazione di origine, segnale di una lunga permanenza. Un altro criterio quello del numero di ploidia, applicabile sia al rango di specie, sia di genere. Poich le piante poliploidi sono dotate di maggiore vitalit e adattabilit, tendono ad occupare le aree periferiche degli areali, evidenziando un gradiente di ploidia coincidente con il verso di diffusione del taxon. Il centro di origine indica il clima e lambiente a cui la specie geneticamente adattata. Le specie che si irradiano spontaneamente ad un territorio estraneo al loro areale sono dette avventizie. La maggior parte di esse sono effimere e i pochi anni scompaiono. Alcune invece possono trovare condizioni analoghe a quelle del luogo di origine e si stabiliscono in maniera definitiva. Questi elementi naturalizzati divengono a volte talmente invasivi da comprimere la stessa flora autoctona. Valga per tutte lesempio di Robinia pseudoacacia, importata dallAmerica secoli addietro e diffusasi rapidamente in molti paesi europei. Fra le avventizie naturalizzate vi sono le infestanti delle colture, propagate involontariamente dalluomo con le colture stesse. Avventizie particolari sono le specie eterotopiche, la cui presenza in una stazione pi o meno isolata garantita dal continuo apporto di seme dallareale principale. 2.2. Il fenomeno della vicarianza Le situazioni disgiuntive favoriscono la formazione di nuove specie (speciazione allopatrica). Il processo graduale e passa attraverso il rango di sottospecie. Le nuove entit sono dette vicarianti geografiche. In senso meno restrittivo sono considerate vicarianti anche specie che, pur non essendosi generate per speciazione allopatrica, hanno distribuzione distinta e affinit sistematica. Si parla invece pseudovicarianza ove sussistono rapporti di poliploidia tra le entit. In tal caso probabile che allorigine vi sia stata una speciazione simpatrica e la separazione geografica si sia avuta successivamente. Le vicarianti geografiche sono molto diffuse sulle isole e nelle montagne, per le isole a causa della separazione geografica di popolazioni simpatriche, per le montagne a causa dellisolamento prodotto dalle forti variazioni climatiche e delle successive evoluzioni delle specie cos separate. In montagna frequente la vicarianza in rapporto allaltitudine. Per le Alpi si pu ricordare Anthyllis alpestris, una leguminose dei pascoli che vicaria A. vulneraria. Le vicarianti strette, essendo omocariotipiche, possono essere interfertili e dal loro contatto si possono quindi generare ibridi. Un 10

esempio Platanus hybrida, il platano usato nei parchi e nelle alberature stradali, i cui genitori sono Platanus occidentalis (il platano nordamericano) e Platanus orientalis (il platano mediterraneo). Oltre alla vicarianza geografica si ha anche una vicarianza ecologica. Diversamente dalle vicarianti geografiche, che sono ecologicamente affini, le vicarianti ecologiche hanno ecologia differente, pur avendo areali del tutto, o quasi, coincidenti ed elevata somiglianza tassonomica. Questa vicarianza si pu manifestare rispetto ai pi disparati fattori ambientali (pedologici, climatici, antropici) e pu essere etereocariotipica o omocariotipica. Nel primo caso scaturisce da una radiazione adattativa dovuta ad una speciazione improvvisa per poliploidia (solo nelle Angiosperme; nelle Gimnosperme la poliploidia pressoch assente) e se ne pu ricostruire la discendenza in base al grado di ploidia. Nel secondo caso sembra esservi una qualche forma di isolamento geografico temporaneo o una speciazione simpatrica graduale a partire da ununica specie progenitrice per linsorgenza di un qualche meccanismo di isolamento riproduttivo. Vicarianti ecologiche sono le due specie di rododendro presenti nelle Alpi, Rhododendron ferrugineum e R. hirsutum, luno acidofilo, laltro basifilo, nelle quali uno sfasamento del periodo di fioritura determina una separazione riproduttiva (sfasamento per altro solo parziale, dato che si hanno piante ibride). Altri esempi alpini, sempre legati allacidit del suolo, sono Carex curvula e C. rosae, Genziana kochiana e G. clusii. Allorch la vicarianza geografica riguarda specie a differente ecologia, si ha una duplice vicarianza, geografica ed ecologica. Nella catena alpina lesempio classico quello di Achillea nana e A. clavenae, specie molto simili, rispettivamente salicicola del settore occidentale e calcofila dellorientale, con una sovrapposizione nel settore centrale.

2.3. I corotipi Specie ad areale simile sono indicate come geoelementi e possono essere aggregate a formare delle categoria corologiche, o corotipi, che ne esprimono quindi in maniera sintetica e ordinata la distribuzione geografica. I corotipi prendono normalmente il nome della regione geografica corrispondente e non tengono conto, almeno nellimpostazione tradizionale, dellecologia. La loro definizione si basa sulla similitudine tra gli areali, valutata fino ad ora essenzialmente a vista. Ci ha favorito una certa soggettivit nella proposizione dei corotipi. Nel momento in cui saranno disponibili informazioni georeferenziate, si potranno adottare criteri pi oggettivi e puntuali, ricorrendo a metodologie statistiche multivariate (clustering). Tra i corotipi della flora italiana, si possono citare: 1. Atlantiche Specie con areale che gravita verso le coste atlantiche europee, a bioclima umido e oceanico. Sono piuttosto rare in Italia. Pi comuni sono le specie Subatlantiche, distribuite in quasi tutta lEuropa sino alla Siberia occidentale. 2. Centro-europee Specie dei boschi di latifoglie dellEuropa centrale, a clima temperato, abbondanti soprattutto nel nord Italia. 3. Sud-europee montane Specie dei sistemi montuosi sud-europei di origine terziaria (Pirenei, Alpi, Carpazi, Balcani, Appennini etc.), diffuse anchesse prevalentemente nellItalia settentrionale. 4. Endemiche alpiche Elementi esclusivi o quasi dellarco alpino, raramente irradiantisi in stazioni isolate di altri sistemi montuosi sud europei. Comprendono poco meno di 300 specie, oltre la met delle 11

quali accantonate in singole vallate o massicci. Le zone pi ricche di endemismi sono le Alpi Marittime e la Liguria Occidentale, lInsubria e le Dolomiti. 5. Endemiche centro-mediterranee Elementi esclusivi della penisola appenninica, spesso con irradiazioni nelle isole e in altri territori circoscritti, dove costituiscono numerosi endemismi locali. 6. Mediterranee Specie ad areale proteso verso il bacino del Mediterraneo. Si distinguono in Stenomediterranee, diffuse solo lungo le coste del bacino e alle zone pi calde, nellarea dellulivo, Mediterraneo-montane, esclusive dei monti, Eurimediterranee, che irradiano nelle zone pi calde dellEuropa media fino al limite della coltura della vite e MediterraneoAtlantiche, presenti anche sulle coste atlantiche. 7. Pontiche Specie orientali, con baricentro nelle regioni a Nord del Mar Morto (Pontus euxinus), particolarmente Ucraina e Pannonia, a clima continentale-steppico. Orientali sono anche le specie Illiriche, ma sono limitate alla ex-Jugoslavia. 8. Turaniane Specie orientali con areale esteso dal Mediterraneo orientale allAsia anteriore. 9. Eurasiatiche Specie delle zone temperate dellEurasia, legate essenzialmente al bosco mesofilo di latifoglie. Clima pi rigido richiesto dalle specie appartenenti al gruppo delle Eurosiberiane, distribuite principalmente in Siberia, ma presenti anche nellItalia settentrionale. 10. Paleotemperate Raggruppamento numeroso di specie delle regioni temperate del vecchio continente, ossia Eurasia, Africa settentrionale ed Etiopia soprattutto. 11. Circumboreali Elementi montani molto numerosi delle zone temperate e fredde dellemisfero boreale, ossia Eurasia, Nordamerica e pi raramente Africa settentrionale. 12. Artico-alpine Specie ad areale relitto delle zone artiche e dei massicci montuosi delle aree temperate boreali (Alpi, Carpazi, Caucaso, Montagne rocciose, spesso Hymalaja etc.). Sono componenti tipici delle praterie sopra il limite climatico degli alberi, delle paludi alpine, macereti e ghiaioni, vallette nivali e creste ventose. A questi si devono aggiungere i gruppi delle Cosmopolite, Subcosmopolite e Avventizie, di cui si gia trattato in precedenza. Come gi per le forme biologiche, la ripartizione percentuale della flora di un certo territorio tra i diversi corotipi conduce allo spettro corologico. Il corogramma invece la rappresentazione cartografica dei corotipi realizzata mediante isopore, linee concentriche che racchiudono le aree in cui presente la medesima percentuale di specie del gruppo considerato. Dati biologici e corologici mettono nellinsieme in luce le relazioni della flora con lambiente: i primi con le condizioni climatiche, i secondi con le origini e le vicende storiche. Lo spettro corologico delle regioni italiane illustrato nella tabella 2.1.

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Tab. 2.1 Spettro corologico delle regioni italiane (%) (da Pignatti, 1994)

Eurimediterranee

MediterraneoMontane

Settentrionali

Steno mediterranee

Pr. Trieste Friuli Veneto Trentino A. A. Lombardia Piemonte-V. A. Liguria Emilia R. Toscana Marche Umbria Lazio Abruzzi e M. Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna

0.7 2.8 3.3 4.1 3.4 3.8 3.7 5.3 3.9 3.9 3.9 4.0 5.3 5.5 3.5 5.3 6.1 7.6 7.1

5.2 2.4 3.8 1.5 2.6 3.2 13.9 12.9 17.2 12.8 11.4 18.5 12.9 20.6 25.4 20.0 23.1 29.4 28.9

17.9 11.8 12.1 9.8 10.7 10.7 12.6 15.2 13.7 16.4 16.9 14.8 15.2 15.4 17.5 16.2 15.3 14.8 16.1

4.3 3.3 2.7 2.5 2.7 3.6 4.1 6.4 3.8 4.8 4.5 4.7 3.4 5.5 5.2 6.1 6.2 5.4 4.1

37.6 32.9 30.8 32.0 30.5 29.7 25.6 27.8 26.0 29.2 30.3 25.8 27.8 24.2 22.7 25.0 22.3 16.8 17.2

2.9 2.8 3.5 2.6 3.8 4.3 4.3 3.2 5.0 3.6 3.0 4.3 3.1 4.0 3.7 3.7 3.6 4.2 5.5

3.8 14.5 13.8 17.2 15.4 14.6 10.7 7.5 6.5 6.6 6.7 5.0 7.5 4.2 1.6 3.7 3.5 1.1 0.9

10.1 14.9 14.3 16.7 14.9 14.4 10.8 8.4 9.4 8.4 8.5 7.3 8.4 6.3 5.0 6.3 6.0 3.7 4.1

2.4. I regni floristici La distribuzione della flora sul pianeta porta allindividuazione di regni o imperi fitogeografici, caratterizzati da affinit floristica e da taxa endemici. Ogni regno suddiviso in regioni, quindi in province, settori e distretti. Un regno contraddistinto soprattutto da endemismi a livello di famiglie e genere, la regione a livello di genere e specie, le altre suddivisioni a livello di specie. Lomogeneit floristica tende naturalmente a crescere scendendo nella scala gerarchica. Queste ripartizioni hanno essenzialmente rilevanza storico-evoluzionistico, mentre non hanno significato ecologico. Esse sono il risultato dei grandi mutamenti climatici verificatisi a partire dal Paleozoico, in particolare nellarco temporale dellultimo milione di anni, interessato da notevoli variazioni climatiche. La loro identificazione non agevole, potendo discendere da svariati criteri, nessuno dei quali assolutamente oggettivo e rigoroso. Tutti gli esperti concordano per altro nel riconoscere sei regni floristici: olartico, paleotropicale, neotropicale, capente, australiano e antartico (Fig. 2.1). Come si pu osservare in figura 2.2, lItalia compresa nel regno olartico, nelle regioni mediterranea e circumboreale (o eurosiberiana), il cui confine coincide approssimativamente con il 13

Cosmopolite 15.0 12.3 13.6 11.1 13.5 13.1 12.3 11.3 13.4 12.3 12.5 14.1 11.3 12.6 13.5 12.0 11.9 15.9 14.3

Eurasiatiche

Orofite sudeuropee

Endemiche

Atlantiche

corso del fiume Po. Si hanno tre province floristiche: lappenninica e la sardo-corsa nella regione mediterranea, la centroeuropea nella regione circumboreale, le prime due suddivise rispettivamente in quattro e due settori, la terza racchiusa in uno solo (settore alpico). Numerosi distretti compongono i settori. La zona centroeuropea caratterizzata da clima pi freddo e umido; quella mediterranea pi calda e secca, con marcata aridit estiva. Questa complessa articolazione fitogeografica indice di grande ricchezza floristica. Con le sue 5.599 specie citate nella Flora dItalia del Pignatti, delle quali 692 endemiche (220 nelle Alpi), il nostro paese detiene il primato in Europa, con pi della met del patrimonio floristico continentale, stimato in 11.000 specie. Comprendendo anche le entit introdotte dalluomo e ormai inselvatichite, il contingente nazionale salirebbe secondo Conti et al. (2005) a 6.711 specie.

Fig. 2.1 Regni floristici del pianeta e regioni del regno olartico (da Ubaldi, 1997) 1 = Regno olartico (1a = Regioni circumboreali; 1b = Regione sino-giapponese; 1c = Regione nordamericana atlantica; 1d = Regione delle montagne rocciose; 1e = Regione mediterranea; 1f = Regione macaronesiana; 1g = Regione irano-turanica; 1h = Regione saharo-arabica; 1i = Regione madreana) 2 = Regno paleotropicale 3 = Regno neotropicale 4 = Regno australiano 5 = Regno capente 6 = Regno antartico

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Fig. 2.2 Ripartizione floristiche in Italia (da Ubaldi, 1997). (Non sono evidenziate le enclave eurosiberiana dellAppenino tosco-emiliano e mediterranea del Garda). 1 = Settore alpino della provincia centroeuropea 2 = Settore nordappenninico della provincia appenninica 3 = Settore centroappenninico della provincia appenninica 4 = Settore meridionale della provincia appenninica 5 = Settore siciliano della provincia appenninica 6 = Settori sardo e corso della provincia sardo-corsa

3. Ecologia delle piante


3.1. La distribuzione delle specie lungo i gradienti ambientali La possibilit delle piante di insediarsi in un certo ambiente dipende dai fattori ecologici che lo caratterizzano. Si tratta di variabili abiotiche (chimiche e fisiche) e biotiche legate al clima, al suolo, alla presenza delluomo e delle altre forme viventi. Questi fattori devono permettere lo svolgimento 15

delle diverse fasi del ciclo biologico. sufficiente che uno solo di essi non sia idoneo per decretare lesclusione della specie. Le esigenze ecologiche delle piante non sono puntuali, bens intervallari. Vale dunque la legge di tolleranza di Shelford (1913), che si pu considerare unestensione della legge del minimo di Liebig della nutrizione vegetale (1840). Secondo Shelford, ogni organismo manifesta per ciascun fattore di sviluppo e crescita un intervallo di tolleranza, o nicchia ecologica, compreso tra un valore minimo ed un valore massimo, al di fuori del quale lorganismo non pu esistere. La compatibilit della specie entro lintervallo di tolleranza, o, come si dice in ecologia, la sua funzione di risposta lungo il gradiente ambientale, non lineare o monotonica, bens unimodale, rivela cio un massimo nella zona centrale. La funzione approssimativamente Gaussiana (Fig. 3.1), dunque descritta da tre parametri: la moda, il corrispondente valore massimo e la deviazione standard. Nella terminologia ecologica, i tre parametri sono indicati rispettivamente come optimum, abbondanza massima e tolleranza. La funzione non una probabilit di distribuzione, ma, come detto, una risposta della specie ad un parametro ambientale. E in termini statistici una regressione, dove labbondanza della specie la variabile dipendente e il fattore ecologico lindipendente. La sua equazione, adeguata al simbolismo ecologico, : Ey = c exp [-(xi u)2/2t 2]
con: Ey = abbondanza attesa x = valore della variabile ambientale exp = esponenziazione con base dei logaritmi naturali (circa 2.718)

Fig. 3.1 Funzione di risposta unimodale delle specie a un gradiente ambientale (da Ter Braak end Prentice, 1988) u = optimum ecologico t = tolleranza c = abbondanza massima

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Fig. 3.2 Curve unimodali delle abbondanze di quattro specie lungo un gradiente ambientale (da Ter Braak end Verdonschot, 1995)

Le specie tendono a separare le loro nicchie, allo scopo soprattutto di minimizzare la competizione1. Se la separazione netta, lungo il gradiente ambientale ricorrono successive sostituzioni di specie. Di conseguenza, anche la composizione delle comunit biotiche cambia lungo i gradienti in accordo con funzioni unimodali. Le successioni che ne derivano rappresentano i cosiddetti coenoclini. Alcune specie possono preferire condizioni ecologiche estreme e i loro optima possono cadere al di fuori della regione ambientale esplorata. In tal caso le relative funzioni di risposta osservate non sono unimodali, ma monotoniche, decrescenti o crescenti, come per la prima specie raffigurata nel diagramma di figura 3.2. Se si considerano contemporaneamente due o pi gradienti ecologici, la distribuzione della specie approssima generalmente la curva Gaussiana lungo ciascun fattore, costituendo nellinsieme una superficie di risposta Gaussiana sul piano definito dai gradienti stessi (Fig. 3.3). I fattori ecologici non agiscono per altro separatamente, ma in modo congiunto. Linterazione pu influire sia sullintervallo di tolleranza, ampliandolo o comprimendolo, sia sulloptimum. Inoltre, il modello Gaussiano solo approssimativo, anche se uneccellente approssimazione. Non sono comunque rari esempi di risposte bimodali e asimmetriche dovute al fatto che la nicchia determinata dai processi fisiologici e non pu pertanto essere abitualmente osservata nel mondo reale, dove le specie coesistono nelle comunit. Le piante, cio, non sono distribuite semplicemente in accordo con le loro tolleranze fisiologiche, ma sono alterate dalla competizione con altre specie e da altri processi interni alla comunit. Quella che si osserva dunque la nicchia reale o ecologica, solitamente pi ristretta di quella fisiologica o fondamentale rilevabile in condizioni di laboratorio. Infine, optima e limiti di tolleranza possono essere differenti per la stessa specie a seconda della funzione fisiologica o dello fase di crescita considerate (germinazione, fioritura etc.). Limpedimento di talune funzioni non significa automaticamente lesclusione della pianta da quellhabitat. Ad esempio, nellimpossibilit di passare alla fase riproduttiva sessuale, la permanenza pu essere garantita dalla riproduzione vegetativa o dal continuo apporto di semi dallesterno.

In maniera generale la competizione quella situazione nella quale differenti organismi sono costretti per sopravvivere ad attingere alle medesime (e limitate) riserve materiali o energetiche. La conseguenza il processo di selezione, ossia la sopravvivenza delluno a scapito dellaltro.

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Fig. 3.3 Superficie di risposta Gaussiana che mostra la relazione unimodale tra il valore di abbondanza di una specie e due variabili ambientali (da Ter Braak end Prentice, 1988)

3.2. Le piante come indicatrici ecologiche Normalmente, gli intervalli di tolleranza di una specie sono variabili: larghi per alcuni fattori, pi severi per altri. Un parametro ambientale presente con valori che non rientrano nella nicchia della specie detto limitante, mentre considerato determinante se presente con valori compatibili, ma nei cui confronti la specie ha tolleranza ristretta. I fattori limitanti sanciscono lesclusione della pianta da un habitat, quelli determinanti sono invece i pi importanti per la sua distribuzione. Si riconoscono perch piuttosto stabili negli habitat della pianta. Ovviamente, le specie che possiedono tolleranza elevata per tutti i principali fattori (specie euriecie) hanno maggiore valenza ecologica e dunque una distribuzione pi ampia. Le specie, invece, di modesta tolleranza per uno o pi fattori (specie stenoecie) tendono ad avere distribuzione pi ristretta e si prestano pertanto ad essere utilizzate quali indicatrici ambientali o bioindicatrici. Vi sono sia specie indicatrici di singoli fattori, sia specie indicatrici di insiemi o ambienti. Pi specie con le medesime esigenze formano un gruppo ecologico. Questo pu, a sua volta, essere costituito da indicatrici di fattori o di ambienti. In base alla distribuzione delle specie nei vari ambienti sono stati proposti da Ellenberg e, successivamente, da Landolt, i cosiddetti valori indice o bioindicatori. Quelli di Ellenberg sono stati elaborati per la flora centroeuropea e poi estesi anche a Polonia, Ungheria e al Mediterraneo; quelli di Landolt limitati alla flora svizzera e validi dunque per ambienti alpini e subalpini. Gli indici di Ellemberg riguardano sei fattori, tre climatici (luce, temperatura e continentalit) e tre edafici (umidit, acidit e nitrofilia), valutati su una scala empirica da 1 a 9, ad eccezione dellumidit, espressa su scala 1-12 (i valori 10, 11 e 12 sono riservati alle piante che vivono immerse in acqua, parzialmente o completamente). Gli indici di Landolt comprendono otto fattori (quelli di Ellemberg, pi granulometria e humus), valutati su una scala da 1 a 5 (Tab. 3.1). Ellemberg aggiunge anche indicazioni sulla salinit del substrato (quattro categorie) e sulla tolleranza ai metalli pesanti (due categorie); Landolt sulla salinit (due categorie) e sulle forme biologiche e di crescita (12 categorie). I bioindicatori non si basano sulle esigenze fisiologiche delle specie, ma sulle frequenze nellambiente. Se due specie hanno valore di temperatura 3 e 4, non si pu quindi concludere che luna ha minori esigenze termiche dellaltra, ma soltanto che, se osserviamo due siti in cui compare alternativamente una sola delle due specie, probabile che luno sia pi arido dellaltro. Altra 18

conseguenze che gli indici valgono solo per le piante nelle comunit naturali, ossia soggette alla competizione: piante in coltura pura possono manifestare un comportamento diverso. In linea di massima, quanto pi una specie avr valori indice estremi, tanto pi varr come indicatrice ecologica. Nella tabella 3.2 sono riportati gli indici di Landolt per le principali specie pascolive della montagna alpina. Con lo stesso criterio dei valori indice, altri autori hanno caratterizzato le specie rispetto al grado di adattamento al disturbo (indice di Emerobia) e rispetto al valore foraggero, inteso come valore pabulare della pianta allo stato verde e naturale. Lindice di Emerobia, che varia su una scala da 1 a 10, stato introdotto da Kovarik calcolando la frequenza percentuale delle specie nei diversi tipi di ambiente, dal pi naturale al pi antropizzato. Gli indici foraggeri pi noti sono quelli di Daget et Poissonet, di De Vries, di Klapp, di Knapp e di Sthlin, (si veda il capitolo relativo alle prerogative foraggere dei pascoli).

Tab. 3.1 Indici ecologici di Landolt

Indice di umidit del suolo (F) 1 = suolo molto arido 2 = suolo arido 3 = suolo da moderatamente arido ad umido 4 = suolo da umido a molto umido 5 = suolo intriso o sommerso Reazione del suolo (R) 1 = suolo molto acido, pH 3.0-4.5 2 = suolo acido, pH 3.5-5.5 3 = suolo poco acido, neutro, poco alcalino, pH 4.5-7.5 4 = suolo ricco di basi, suolo alcalino, pH 5.5-8 5 = suolo generalmente calcareo, pH > 6.5 Nitrofilia (N) 1= suolo molto povero 2 = suolo povero; 3 = suolo da moderatamente povero a ricco 4 = suolo ricco; 5 = suolo eccessivamente ricco (specie nitrofile) Humus (H) 1 = suolo privo di humus 2 = suolo povero di humus 3 = suolo con un tenore medio di humus, soprattutto a mull 4 = suolo ricco di humus (mull, moder, humus grezzo) 5 = suolo ricco di humus grezzo, torba Tessitura ed aerazione (D) 1 = ambienti rupestri (rocce, pietraie, muri) 2 = terreni ghiaiosi, pietrosi 3 = terreni sabbiosi ben aerati 4 = terreni limosi, pi o meno ben aerati 19

5 = terreni argillosi o torbosi, poco aerati Intensit luminosa (L) l = stazione molto ombreggiata, richiesta < al 3% dell'ill. max (specie steno-sciafile ) 2 = stazione ombreggiata, richiesta tra i13% e il 10% (euri-sciafile) 3 = stazione in penombra, richiesta superiore al 10% 4 = stazione in piena luce, specie che sopportano tempor. la penombra (euri-eliofile ) 5 = stazione in piena luce, specie che non sopportano l'ombra (steno-eliofile) Temperatura (T) l = piante tipiche delle regioni alpine, ambienti freddi (steno-microterme) 2 = piante delle regioni subalpine, ambienti temperato-freddi (euri-microterme) 3 = piante delle regioni montane a larga distribuzione (euriterme) 4 = piante delle regioni collinari, ambienti temperato-caldi (euri-termofile) 5 = piante delle regioni meridionali, ambienti caldi (steno-termofile) Continentalit (K) 1 = piante di regioni a clima oceanico 2 = piante di regioni a clima suboceanico 3 = piante di regioni a clima diverso, ma non troppo continentale 4 = piante di regioni a clima relativamente continentale 5 = piante di regioni a clima continentale

Tab. 3.2 Indici di Landolt per le principali specie dei pascoli alpini

F Graminaceae Agrostis alpina Agrostis rupestris Agrostis schraderana Agrostis tenuis Anthoxanthum alpinum Avenella flexuosa Briza media Calamagrostis arundinacea Calamagrostis villosa Cynosurus cristatus Dactylis glomerata Deschampsia caespitosa Festuca halleri Festuca rubra (gruppo) Festuca tenuifolia (gr. ovina) Festuca vallesiaca Festuca varia Festuca violacea Nardus stricta Ph1eum alpinum Poa alpina 2 2 3 3 3 2 2 3 3 3 3 4 2 3 2 1 2 3 3 3 3

R 4 2 2 2 2 2 3 2 2 3 3 3 2 3 1 3 2 2 2 3 3

N 2 2 2 2 3 2 2 2 2 3 4 4 2 3 2 2 2 3 2 4 4

H 3 3 3 3 3 4 3 3 4 3 3 3 3 3 3 2 2 3 3 3 3

D 4 4 2 4 4 4 4 3 4 4 4 5 4 4 3 3 3 4 4 4 4

L 5 5 4 3 4 2 4 3 3 4 3 3 4 4 3 4 5 4 4 4 4

T 1 1 2 3 3 3 3 3 2 3 4 3 2 2 4 4 2 2 2 2 2

K 4 4 2 3 3 2 3 3 3 3 3 3 4 3 2 5 4 4 3 3 3 20

Poa annua Poa trivialis Poa violacea Cyperaceae Carex curvula Carex ferruginea Carex fusca Carex leporina Carex pallescens Carex pilulifera Carex sempervirens Eriophorum angustifolium Luzula alpino-pilosa Luzula lutea Luzula multiflora Leguminosae Anthyllis vulneraria Lathyrus montanus Lotus alpinus Trifolium alpinum Trifolium radium Trifolium pratense Trifolium repens Trifolium thalii Altre specie Achillea millefolium Aconitum napellus Alchemilla alpina (gruppo) Alchemilla vulgaris (gruppo) Arnica montana Campanula barbata Campanula scheuchzeri Carum carvi Cerastium alpinum Crocus albiflorus Epilobium angustifolium Gallium pumilum Gentiana kochiana Gentiana clusii Gentiana punctata Gentiana purpurea Geum montanum Helianthemum nummularium Helianthemum olenadicum Hieracium auricula Hieracium pilosella Hypericum maculatum Hypericum perforatum Leontodon helveticus

3 3 2 2 3 4 3 3 3 2 5 3 2 3 1 2 3 2 3 3 3 3 2 4 3 3 3 3 3 3 2 2 3 2 2 2 3 3 3 1 2 3 2 4 2 3

3 3 3 2 4 2 2 2 2 3 2 2 2 2 3 2 3 2 4 3 3 4 3 3 2 3 2 2 3 3 2 4 2 3 2 5 1 2 2 4 5 2 3 3 3 2

4 4 3 2 3 2 2 3 3 2 2 2 2 2 2 2 3 2 3 3 2 3 3 4 2 3 2 2 3 3 2 2 4 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 4 3 2

3 3 3 3 3 5 4 4 3 3 4 3 4 4 3 3 3 3 3 3 4 3 3 4 3 3 4 4 3 3 4 2 3 3 3 3 3 3 3 3 3 4 3 4 3 4

4 4 4 3 4 5 5 5 4 3 5 2 4 5 3 4 3 4 4 4 5 4 4 4 4 4 4 4 3 4 4 3 3 3 4 3 4 4 4 3 2 5 4 5 5 4

4 3 4 5 4 4 3 3 3 4 5 5 4 3 4 2 4 4 4 3 4 4 4 3 4 3 4 4 4 4 5 3 4 4 4 5 4 4 4 5 5 4 4 3 3 4

3 3 2 1 2 2 3 3 3 1 2 1 1 3 4 3 1 2 2 3 3 2 3 3 2 4 2 2 2 3 1 3 3 4 2 2 2 2 2 4 1 3 3 2 4 2

3 3 4 4 3 3 3 3 2 4 3 2 3 3 4 3 3 3 3 3 3 3 3 2 3 2 3 3 3 3 4 3 3 4 3 4 3 2 3 4 4 3 4 3 3 3 21

Leontodon hispidus Ligusticum mutellina Myosotis alpestris Phyteuma betonicifolium Phyteuma hemisphaericum Phyteuma scheuchzeri Polygonum bistorta Polygonum viviparum Potentilla aurea Pteridium aquilinum Rumex alpinus Soldanella alpina Soldanella pusilla Solidago virgaurea Veratrum album Specie arbustive Calluna vulgaris Cytisus scoparius Erica carnea Juniperus nana Rhododendron ferrugineum Thymus serpillum (gruppo) Vaccinium myrtillus Vaccinium uliginosum Vaccinium vitis-idaea

3 3 3 3 3 2 4 3 3 3 4 4 4 3 4 3 2 2 2 3 2 3 5 3

3 3 3 2 l 3 3 3 2 2 3 3 2 3 3 1 2 4 2 2 3 1 1 3

3 3 3 2 2 2 4 2 2 2 5 3 2 3 3 1 3 2 2 2 2 2 2 2

3 3 3 4 4 2 4 4 2 4 4 4 4 4 4 5 4 4 3 5 3 5 5 4

4 4 3 4 4 l 4 4 4 4 4 4 4 4 5 4 4 3 3 4 3 4 5 4

4 4 4 3 4 4 3 4 4 3 4 4 5 2 4 3 3 3 4 3 4 2 3 4

3 2 1 2 l 3 3 2 2 3 2 2 1 4 2 3 4 3 2 2 3 3 2 2

3 3 3 3 3 4 3 3 3 3 3 2 l 3 3 3 2 4 4 2 3 3 3 3

3.3. Le strategie vitali secondo Grime Nellambito dei diversi fattori ecologici che agiscono sulle piante, Grime rivolge la propria attenzione a due componenti fondamentali: il disturbo e lo stress. Si ha disturbo allorch un fattore esterno provoca danni alla comunit vegetale, determinando distruzione della fitomassa (taglio, pascolo, incendio, azione antropica in generale). Si ha invece stress nel caso in cui i fattori ambientali vadano a compromettere in qualche misura la produttivit (stress idrico da aridit, stress termico da freddo e cos via). La presenza contemporanea di elevato stress ed elevato disturbo rende lambiente del tutto inospitale ai vegetali. Le altre tre possibili combinazioni dei due fattori inducono invece una serie di adattamenti fisiologici, morfologici e demografici correlati, che definiscono le tre strategie vitali descritte da Grime e le corrispondenti categorie di specie, come descritto nel prospetto seguente: Disturbo basso + Stress basso = Specie competitive (C) Disturbo basso + Stress alto = Specie stress tolleranti (S) Disturbo alto + Stress basso = Specie ruderali (R) Le specie competitive sono quelle che richiedono abbondanti risorse e sono in grado di sfruttarle meglio delle altre in virt di una serie di adattamenti specifici (rapido e forte sviluppo dellapparato fogliare, esteso apparato radicale e cos via). Le specie ruderali sono quelle capaci di rigenerare rapidamente dopo un episodio distruttivo, sfruttando rizomi, banche semi ricche e altro. Le specie 22

stress tolleranti sono quelle in grado di sopravvivere anche in condizioni di scarse risorse, grazie ad una notevole efficienza e capacit di colonizzare ambienti preclusi ad altre specie (terreni salati, instabili, deserti etc.). Accanto alle tre categorie fondamentali possono essere individuati tipi intermedi di strategie vitali risultato dellincrocio di livelli moderati di stress e disturbo (CS, CSR, RS, CR). Vi unaltra modalit per rappresentare le strategie vitali che fa riferimento alla riproduzione (r) o allaccumulo di biomassa (K), inversamente correlati. Il metodo stato sviluppato originariamente per gli animali, ma poi stato ampiamente applicato anche ai vegetali. Le specie a strategia r sono in genere elementi di habitat instabili e poveri di specie, poco speciliazzate e ubiquitarie. Di esse fanno parte molti elementi pionieri dellambiente sinantropico (Amarantus retroflexus, Chenpodium album, Digitaria sanguinalis Solanu nigrum, Stellaria media etc.). Sono quasi eclusivamente annuali, di dimensioni ridotte, con ciclo vitale relativamente breve ed elevato tasso di riproduzione. Il rapporto tra sforzo riproduttivo e sforzo di mantenimento alto. Le specie a strategia K crescono invece in ecosistemi pi maturi e strutturati, dova le dimensioni della popolazione sono prossime al valore del carico portante dellhabitat. Sono generalmente specie longeve e a taglia elevata, con livelli riproduttivi moderati. Esponenti tipici sono le piante forestali pi comuni. Mettendo in relazione le categorie CSR e le strategie rK (Fig. 3.4), si nota che le specie ruderali seguono un gradiente di disturbo crescente, occupando la parte sinistra dellasse rK, mentre le stress tolleranti si dispongono nella parte destra, indicando una graduale diminuzione delle risorse disponibili. Nella parte centrale si ha la gaussiana delle competitive.

4. Vegetazione e aggruppamenti vegetali


4.1. Le comunit biotiche La vegetazione la copertura vegetale della terra, risultato della distribuzione e della combinazione delle piante nei diversi luoghi determinata dai fattori ecologici, biotici e abiotici. Westhoff (1970) la definisce come una massa di individui vegetali coerenti con il posto nel quale sono cresciuti e nella disposizione spaziale assunta spontaneamente. Pur comprendendo il concetto di coordinamento, la vegetazione non unentit uniforme, ma risulta composta da diverse unit (comunit biotiche) riconoscibili dalla maggiore omogeneit interna. Questa strutturazione fa si che

Fig. 3.4 Frequenza delle categorie CSR sullasse r-K (da Grime, 1978)

r Gradiente di disturbo e di risorse

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la vegetazione fornisca informazioni di carattere ecologico molto pi attendibili e circostanziate di quanto possibile con il semplice studio delle flore. Analizzare una vegetazione significa anzitutto individuare e descrivere le comunit biotiche che la costituiscono. Ci si pu realizzare con due diversi approcci: quello formazionistico, il pi antico, pi semplice e grossolano, e quello fitosociologico, pi moderno, pi complesso e dettagliato. Nel primo le unit vegetazionali sono individuate fondamentalmente su base fisionomica, ossia in ordine allaspetto complessivo dato dallaltezza, dalla densit, dal portamento, colore, forma e dimensioni delle foglie etc., ossia, in buona sostanza, in riferimento alle forme di crescita e biologiche delle specie dominanti. Negli studi fitosociologici, le comunit sono definite su base floristica, ossia in rapporto alle specie presenti e ai loro equilibri quantitativi. La formazionistica mette dunque in evidenza delle comunit fisionomiche o formazioni, entit piuttosto ampie, cui vengono a corrispondere i cosiddetti biomi, i pi grandi tipi di ecosistemi generalmente concepiti. I biomi sono riferiti allinsieme delle forme di vita (vegetale e animale) e indicano vaste aree geografiche con ben definiti caratteri macroclimatici e vegetazione morfologicamente simile. Esempi sono la Tundra, la Steppa, la Taiga, i Deserti, la Savana etc. La fitosociologia porta invece allidentificazione delle associazioni (o fitocenosi, anche se questo termine indicherebbe pi correttamente esempi concreti di associazione), molto pi specifiche ed informative dal punto di vista ecologico2. Le associazioni sono aggregazioni di specie che assumono un carattere di quasi organismo, di cui sono state date numerose definizioni nelle quali elementi comuni sono il predominio degli esseri autotrofi, la fissit ad un substrato e un forte grado di coordinazione tra i singoli individui sul piano tassonomico, spaziale, temporale e fisiologico. Secondo Braun-Blanquet, il padre della fitosociologia moderna, lassociazione un aggruppamento vegetale pi o meno stabile ed in equilibrio con il mezzo ambiente, caratterizzato da una composizione floristica determinata, in cui certi elementi quasi esclusivi (specie caratteristiche) rivelano con la loro presenza unecologia particolare ed autonoma. Pi modernamente (e meno rigidamente), lassociazione intesa come entit dalla composizione floristica statisticamente ripetitiva, definita non tanto da specie caratteristiche quanto da un complesso di pi generiche specie preferenziali o preferenti, cui vengono a corrispondere puntuali aspetti strutturali, ecologici e di qualit dei rapporti con altre comunit. Questa nuova concezione, favorita dallo sviluppo dei metodi di elaborazione numerica, riserva priorit alla significativit statistica delluniformit floristica, la quale dipende dallinsieme delle specie pi che da elementi esclusivi. 4.2. Gli aggruppamenti fisionomici Le formazioni sono costituite, come detto, su osservazioni fisionomiche, completate spesso anche da elementi di tipo climatico e, pi di rado, floristico, avvicinando in tale evenienza lapproccio formazionistico a quello fitosociologico. Lo studio formazionistico oggi quasi abbandonato. Rimane per nel linguaggio corrente luso della terminologia relativa agli aggruppamenti e la corrispondente suddivisione del territorio in zone e fasce bioclimatiche. Le zone risultano dalle successioni delle formazioni lungo gradienti geografico-climatici individuati sul piano cartografico: da nord a sud, dalla costa allinterno e cos via. Le fasce, o piani, seguono invece i gradienti climatici altimetrici e possono essere suddivise in orizzonti. La stratificazione altitudinale della vegetazione rappresenta senza dubbio laspetto pi macroscopico del paesaggio delle zone montuose. Per le Alpi italiane essa coincide con la successione vegetazionale delle regioni europee osservabile a livello del mare procedendo da sud a nord. Ci accade perch vi un certo parallelismo nella variazione delle temperature e delle precipitazioni con laltitidune e la latitudine. La stratificazione si pu pertanto definire sia in
Il termine associazione si deve ad Alexander Humboldt, il quale, nel 1806, parla di piante che si riuniscono in societ come le formiche e le api.
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riferimento allescursione altimetrica, ossia a fattori topografici, sia alla latitudine, ossia a fattori geografici, secondo il seguente parallelismo: Fascia Nivale Fascia Alpina Fascia Subalpina Fascia Montana Fascia Submontana = = = = = Zona Nivale Zona Boreale superiore e Alpica Zona Boreale inferiore e superiore Zona Medioeuropea e Subatlantica Zona Illirica

Le fasce (il termine preferibile a quello di piani e orizzonti, usati con troppa ambiguit) submontana e montana sono caratterizzate dai boschi di latifoglie, che raggiungono circa i 1000 m di quota. La fascia subalpina dominata dalle foreste di aghifoglie, il cui limite superiore si colloca attorno ai 2200 m. La fascia alpina contraddistinta nella parte inferiore dagli arbusteti di ericacee, superiormente dalle praterie, che possono spingersi fin verso i 2800 m. Nella fascia nivale, infine, la vegetazione diviene rada e frammentaria, fino a ridursi a popolamenti discontinui di briofite e tallofite. La vegetazione matura tipica di una fascia o zona chiamata zonale, mentre si usa il termine extrazonale per indicare nuclei isolati di tale vegetazione in fasce diverse. Lattributo azonale accompagna invece gli aggruppamenti ad ampio spettro climatico non vincolati a specifici distretti. In merito alle comunit fisiognomiche, sono qui appresso elencate quelle pi comuni nel comprensorio alpino italiano: 1. Foresta di latifoglie decidue Comunit arboree a foglie caduche della fascia submontana e montana. 2. Foresta boreale di conifere o Taiga Formazione di conifere delle zone a clima continentale, nella fascia subalpina. 3. Brughiera Popolamento di arbusti di piccola taglia, generalmente di ericacee nelle zone a clima continentale della fascia alpina, di ericacee e ginestre in quelle a clima pi atlantico. 4. Megaforbie Comunit di erbe nitrofile delle schiarite boschive nella fascia montana e subalpina. 5. Prateria o tundra alpina Formazione erbacea a larga prevalenza di emicriptofite nelle zone a clima continentale della fascia subalpina e alpina. 4.3. Le associazioni Le prerogative florisitiche delle unit vegetazionali sono indagate per mezzo di rilievi fitosociologici. Questi consistono nellelenco delle specie presenti e nellattribuzione di indici di abbondanza/dominanza, completati talvolta anche da indici di sociabilit, che esprimono il modo con cui gli individui della specie si aggregano tra loro (caratteristica molto legata allhabitus della specie). I rilievi identificano i cosiddetti popolamenti elementari, tratti di vegetazione con omogenea distribuzione delle specie, cui viene necessariamente a corrispondere uniformit ecologica. Le associazioni derivano dallunione di pi popolamenti. Esistono sempre differenze tra i popolamenti, dato che il profilo floristico muta sempre nello spazio e nel tempo. Le associazioni sono dunque 25

definite come modelli statistici, aggregando i popolamenti che presentano allincirca i medesimi caratteri floristici e ricavando le frequenze delle specie. Lassociazione contraddistinta da un consistente gruppo di specie distribuite pi o meno congiuntamente in ciascun popolamento. Tali specie, dette discriminanti, sono esplicative delle differenze ecologiche e corologiche tra unassociazione e laltra. Le altre entit, prive di queste prerogative, sono dette compagne o indifferenti. Le specie discriminanti possono essere ripartite in preferenziali, differenziali e caratteristiche. Le prime sono quelle presenti nellassociazione con frequenze maggiori che in ogni altro aggruppamento e sono dette elettive nel caso in cui il divario decisamente elevato. Le differenziali distinguono lassociazione da qualsiasi altra presa singolarmente, ossia in un confronto binario. Esse non sono quindi esclusive dellassociazione e variano di numero secondo il confronto effettuato. Le caratteristiche sono invece pi o meno fisse ed esclusive e sono quelle che meglio corrispondono alle condizioni ambientali. Possono essere territoriali o assolute, nel caso in cui differenzino lassociazione da tutte le altre presenti in un certo territorio considerato oppure siano limitate ad una sola associazione (o quasi) in tutto lareale geografico. Le caratteristiche assolute esistono in pratica solo per categorie vegetazionali pi ampie dellassociazione (insiemi di associazioni) e per le associazioni di ambienti estremi e endemiche legate ad ambiti molto ristretti. Entro le specie caratteristiche altres in uso distinguere tra caratteristiche locali, regionali e parziali. Una caratteristica locale unentit fedele allassociazione solo nella sua area di sovrapposizione con quella dellassociazione. Una caratteristica regionale ha fedelt in tutta larea di distribuzione dellassociazione, ma ha un areale pi grande di quello dellassociazione. Una caratteristica parziale possiede invece unarea di distribuzione interna allareale dellassociazione, che pu essere anche pi ampio di quello della specie. La sua fedelt allassociazione non ha pertanto alcuna limitazione geografica. La superficie minima entro la quale lassociazione pu giungere a svilupparsi in maniera completa ne rappresenta il minimo areale. Si determina in base alla curva area/specie, ottenuta censendo le specie in porzioni di superficie gradualmente crescenti, fino a ritrovare gran parte delle specie che compongono la fitocenosi. Il minimo areale tende ad aumentare con la complessit della vegetazione. Per la vegetazione italiana, oscilla da 1 m2 nelle comunit di muschi e licheni a 100150 m2 in quelle forestali. Il rilievo fitosociologico deve essere fatto su una superficie maggiore del minimo areale. La vegetazione tende a rispondere con una certa discontinuit alle variazioni continue dellambiente. Ogni associazione ha un optimum ecologico, tuttavia si espande anche alle aree circostanti, rimanendo relativamente stabile. Essa costituisce infatti un sistema con elevata omeostasi, che entro certi limiti riesce a bilanciare le variazioni dei fattori ambientali ma, quando questi limiti vengono superati, si trasforma in unaltra associazione. Il concetto di variabilit discreta della vegetazione assunto in particolare dalla scuola fitosociologica europea. La scuola americana invece pi propensa a considerare la vegetazione come un continuum, caratterizzata da variazioni graduali. Come spesso succede, entrambe le posizioni hanno fondamento: come vero che nella vegetazione si riconoscono comunit ben distinte, che lasciano intendere unorganizzazione di tipo discreto, altrettanto vero che tra una comunit e laltra si possono osservare espressioni intermedie (ecotoni), indice di dinamismi di tipo continuo.

4.4. Sintassonomia e nomenclatura fitosociologica Come i popolamenti sono riuniti a formare le associazioni, cos queste possono essere raggruppate, sempre in funzione delle affinit floristiche, in complessi pi ampi, allo scopo di ottenere quello schema gerarchico che rappresenta la sistematica delle vegetazione o sintassonomia. Pur avendo analogie con la tassonomia delle specie vegetali, la sintassonomia se ne discosta per non essere fondata su basi filogenetiche (non potrebbe), ma ecologiche. 26

Lassociazione la categoria o rango di base, lequivalente della specie nella classificazione tassonomica. A partire da essa sono stabilite categorie superiori e inferiori. I ranghi superiori sono lalleanza, lordine e la classe, dette categorie fondamentali e la suballeanza, il sottordine e la sottoclasse, indicate come categorie accessorie. Ranghi inferiori sono la subassociazione, la variante e la facies. Una tipo di vegetazione di qualsiasi livello gerarchico detto genericamente syntaxon. Per la definizione dei syntaxa superiori sono richieste, oltre alle specie caratteristiche territoriali, anche specie caratteristiche assolute, tra le quali possono figurare anche le specie disgiunte. Il significato ecologico dei syntaxa superiori via via pi generico, in parallelo con la valenza ecologica progressivamente pi ampia delle rispettive specie caratteristiche. Tra i syntaxa inferiori, la subassociazione data da un gruppo di popolamenti distinti da tutti gli altri dellassociazione da un buon numero di specie differenziali. Nella variante le specie differenziali sono meno numerose, mentre prendono il sopravvento entit compagne specifiche. Essa pu essere subordinata direttamente allassociazione o differenziarsi nellambito di una subassociazione. La facies costituita da un gruppo di popolamenti dellassociazione ad elevata abbondanza di una specie e pu evidenziarsi nellambito dellassociazione stessa, della subassociazione o della variante. Subassociazioni e varianti stanno generalmente ad indicare situazioni di contatto tra due associazioni, come del resto le categorie accessorie rispetto alle fondamentali superiori. La ricorrenza delle specie caratteristiche, di qualsiasi tipo, nel syntaxon di appartenenza non geograficamente uniforme. In alcuni siti dellareale si possono pertanto avere fitocenosi povere di specie caratteristiche e in altre fitocenosi ben espresse. Il riconoscimento di un syntaxon e il suo posizionamento in un rango sintassonomico sono resi espliciti a livello nomenclaturale. Il codice internazionale (Barkman et al., 1986) stabilisce ladozione di una nomenclatura latina. Il nome del syntaxon deriva da quello di una o due delle specie pi rappresentative, con lepiteto specifico, quando indicato, trasformato al genitivo. E inoltre aggiunto il nome dellautore e dallanno di pubblicazione. Nel caso delle associazioni si usano solitamente due specie, la prima scelta tra quelle diagnostiche pi importanti (differenziali o caratteristiche), la seconda tra le pi abbondanti (specie che determina la fisionomia della fitocenosi). Solo varianti e facies sono indicate con espressioni informali del tipo variante, o facies, a, completate rispettivamente dal nome della specie differenziale pi importante o della pi abbondante. Per evitare confusione, sono sempre precedute dal nome dellassociazione di appartenenza, come anche nel caso della subassociazione. Lappartenenza alla categoria sintassonomica espressa da un suffisso, ovviamente diverso per ogni rango, che accompagna il nome del genere. I suffissi sono i seguenti: Classe: Ordine: Alleanza: Associazione: Subassociazione: -etea -etalia -ion -etum -etosum

A titolo esemplificativo si riporta il prospetto sintassonomico di una subassociazione del Caricetum curvulae, lassociazione di prateria naturale pi comune della fascia alpina: CARICETEA CURVULAE Braun-Blanquet 1948 Caricetalia curvulae Br.-Bl. 1926 Caricion curvulae Br.-Bl. 1925 Caricetum curvulae Rbel 1911 Hygrocurvuletosum (Braun 13) Br.-Bl. 1949

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Tab. 4.1 Esempio di tabella fitosociologica: associazione Valeriano-Seslerietum Ubaldi 74 (Bromion erecti W. Hoch 26) (da Ubaldi, 1997)

4.5. La tabella fitosociologica Il nome del syntaxon non costituisce di per s una diagnosi della vegetazione cui riferito, non evocando generalmente in modo esauriente neppure la semplice fisionomia. La rappresentazione puntuale data unicamente dalla tabella fitosociologica, che documenta le caratteristiche floristiche della fitocenosi raccogliendo i rilievi nei popolamenti elementari, floristicamente simili, che la compongono. Nella tabella (si veda un esempio in tabella 4.1), le specie sono riportate con i 28

rispettivi indici di abbondanza-dominanza, le rispettive presenze (numero di rilievi dove ricorrono) e le classi di presenza. Le specie sono ordinate in maniera da mettere in evidenza le caratteristiche di associazione e dei ranghi superiori. Per ogni rilievo sono inoltre indicati i dati stazionali (altitudine, inclinazione ed esposizione) e la ripartizione negli strati. Gli indici di abbondanza-dominanza (pi correttamente sarebbero indici di abbondanzacopertura) pi utilizzati sono quelli della scala di Braun-Blanquet, che risulta cos articolata: + classe 1 classe 2 classe 3 classe 4 classe 5 individui molto poco abbondanti; copertura inferiore 1% individui abbastanza abbondanti; copertura 1-5% individui molto abbondanti; copertura 5-25% qualunque numero di individui; copertura 25-50% qualunque numero di individui; copertura 50-75% qualunque numero di individui; copertura 75-100%

Pignatti propone una scala leggermente modificata, di sola copertura, molto usato in Italia in campo applicativo, dove i range dellindice nella successione delle classi da 1 a 5 diventano: 120%; 20-40%; 40-60%; 60-80%; 80-100%. Si tratta dunque di una scala di pi agevole impiego, ma meno precisa per le specie con bassa copertura. Berkman et. al. e Van der Maarel adottano invece scale di maggior dettaglio, con un numero superiore di classi. Circa le classi di frequenza, queste sono cos definite: classe I classe II classe III classe IV classe V specie presente fino nel 20% dei rilievi specie presente nel 20-40% dei rilievi specie presente nel 40-60% dei rilievi specie presente nel 60-80% dei rilievi specie presente nel 80-100% dei rilievi

Tanto pi i rilievi sono numerosi, quanto pi la tabella significativa: cinque-dieci rilievi sono ritenuti i minimi significativi per vegetazioni piuttosto uniformi. Tabelle molto grandi sollevano problemi di spazio. In tale evenienza si pu ricorrere alla tabella sintetica, che riporta semplicemente le classi di frequenza. Pi tabelle sintetiche formano una tabella sinottica, utile per confronti. Unaltra soluzione, meno estrema, la combinazione caratteristica specifica, definita come un insieme specifico completo, comprendente tutte le specie discriminanti (caratteristiche e differenziali) e le specie compagne cosiddette costanti, ossia ad elevata frequenza (maggiore del 40%, o del 60% secondo Braun-Blanquet). Con le specie discriminanti, esse vengono talvolta indicate come diagnostiche. Raabe invece propone una combinazione caratteristica nella quale non si distingue tra specie discriminanti e compagne, ma sono considerate semplicemente le pi frequenti, numericamente pari al numero medio di specie per rilievo. Laddove una specie compaia nella tabella con elevata frequenza (classi IV-V) e con valori di abbondanza/dominanza superiori alla classe 3 della scala di Braun-Blanquet detta dominante. appellata invece subdominante se le frequenze sono pi basse e i valori di ricoprimento sono elevati in meno della met dei rilievi. Le entit (evidentemente compagne) appartenenti alla classe I sono dette sporadiche o accidentali. Ai fini di una valutazione sintetica di una tabella assumono rilevanza due caratteristiche: lomogeneit e lomotonia. La prima manifestazione della variabilit sintassonomica, la seconda fitocenotica, ossia di composizione specifica tra i rilievi. Si ha omogeneit perfetta quando non esistono specie discriminanti che consentono di distinguere i rilievi. La presenza di tali specie introduce elementi di eterogeneit che, oltre una certa soglia, possono consigliare di scindere la tabella in pi associazioni. La scelta rimane in parte soggettiva, bench il ricorso a tecniche di analisi statistica multivariata la renda in qualche misura meno arbitraria. Lomotonia cresce invece con il grado di somiglianza tra i rilievi stessi (o, se si preferisce, diminuisce leterotonia). Tabelle 29

perfettamente omogenee (prive di specie discriminanti) possono pertanto avere gradi diversi di omotonia, collegati a differenze nei contingenti delle specie compagne. Lomotonia pu essere influenzata anche dalle modalit di esecuzione dei rilievi fitosociologici: ad esempio, rilievi geograficamente vicini e troppo sovradimensionati rispetto allareale minimo tendono ad innalzarla. Tabelle omotone hanno meno specie sporadiche o di bassa frequenza rispetto a tabelle eterotone. In altri termini, lomotonia cresce con laumento delle classi di presenza alte (V in particolare) e diminuisce con laumento delle classi basse (I in particolare).

Fig. 4.1 Transetto in un querceto submontano e istogramma di una peccata alpina (da Ubaldi, 1997)

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Fig. 4.2 Spettro biologico secondo Raunkiaer e spettro corologico della vegetazione dellAlpe Mola (Edolo-Brescia) (da Gusmeroli e Pozzoli, 2003)

Geofite 7.8% Terofite 0.5% Camefite 12.5% Fanerofite 0.2%

Nanofanerofite 5.1%

Emicriptofite 73.9

Mediterranee 1%

Orofile 31%

Cosmopolite 6% Endemiche 8% Eurasiatiche 23%

Boreali 30%

Atlantiche 1%

Il grado di omotonia si pu stimare con vari indici, spesso impropriamente utilizzati per misurare lomogeneit sintassonomica. Uno dei pi semplici lindice di eterogeneit di Klement: H = N/n,
con: N = numero di specie della tabella n = numero medio di specie per rilievo

Si reputano omogenee le tabelle con valori dellindice compresi tra 2 e 3. Fuori da questo intervallo sono ritenute eterogenee. In realt, lindice stima anzitutto lomotonia, che, come visto, pu corrispondere o meno allomogeneit sintassonomica. Oltre alle tabelle di associazioni si possono produrre anche tabelle riassuntive dei syntaxa superiori. Queste riguardano ovviamente territori ampi e sono costituite da pi associazioni che, per ragioni di spazio, sono rappresentate per mezzo delle classi di presenza, eventualmente ridotte alla combinazione caratteristica specifica. Come nella tabella di associazione, le specie sono ordinate in maniera da metter in evidenza i gruppi di specie caratteristiche dei vari ranghi. 4.6. Caratterizzazione strutturale e biologica dellassociazione

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La tabella fitosociologica mostra la composizione specifica e la collocazione sintassonomica dellassociazione. Pu essere utile evidenziare anche dei caratteri strutturali e biologici, che completano la conoscenza della fitocenosi sotto il profilo ecofisiologico. Questi si possono desumere a partire dalla tabella per mezzo di apposite elaborazioni sintetiche. La struttura dellassociazione ne rappresenta il modello di distribuzione nello spazio. Vi una distribuzione verticale ed una orizzontale. La prima, pi correttamente definita stratificazione, la distribuzione delle piante, considerate nella loro forma di crescita, in senso verticale, ossia nei quattro strati di diversa altezza e densit: arboreo, arbustivo, erbaceo e muscinale. Si esprime come altezza e percentuale di ricoprimento di ciascun strato rispetto alla superficie del terreno. Si pu raffigurare con istogrammi o transetti (si veda un esempio nella figura 4.1). La struttura orizzontale il modo con il quale la fitocenosi occupa la superficie di terreno a sua disposizione. In base ad essa si identificano comunit continue, discontinue, lineari, puntuali etc. La sua costruzione necessita di informazioni sulla sociabilit delle specie ed altri dati relativi alla forma e sviluppo delle comunit. I parametri biologici pi importanti sono: 1. Tessitura la distribuzione percentuale (spettro) della vegetazione nelle forme biologiche delle piante, indipendentemente dagli strati. Si ottiene come media ponderata sulle abbondanze e si rappresenta mediante istogrammi, o grafici a torta (esempio di figura 4.2). 2. Struttura corologica Riguarda lappartenenza delle specie a rispettivi corotipi. Si pu determinare sulla scorta della sola presenza delle specie o, meglio, tenendo conto delle abbondanze (spettro ponderato). Si rappresenta mediante istogramma o diagramma a torta (es. di figura 4.2). 3. Biodiversit specifica E espressa dalla semplice ricchezza floristica (RF = numero di specie) della tabella e/o da altri indici pi complessi che tengono conto anche delle abbondanze. Tra questi i pi comuni sono lindice di Shannon (H = - pi log2 pi, con pi ricoprimento dell iesima specie) e lindice di Equiripartizione (J = H/log2 RF).

5. Dinamica della vegetazione


5.1. Le successioni Pur potendo raggiungere, almeno in linea teorica, situazioni di relativa stabilit, la vegetazione appare nella realt in continua trasformazione, in risposta a quelle che sono le modificazioni dei fattori biotici e abiotici che la controllano. Le cause del dinamismo possono essere autogene o allogene. Le prime sono determinate dalla vegetazione stessa e sono pertanto naturali. Consistono in variazioni a carico del terreno e del microclima. Le seconde sono indotte da fattori esterni, sia naturali, come alluvioni, smottamenti, interramenti dei bacini, incendi, fitofagie, parassitosi etc., sia artificiali, come il taglio del bosco, il pascolo, lo sfalcio, diserbi e cos via. In figura 5.1 presentata la situazione relativa alla vegetazione pascoliva. Le variazioni della vegetazione sono dette fluttuazioni quando non portano ad una trasformazione stabile della fitocenosi, come nel caso della stagionalit, ossia delle trasformazioni legate al ciclo vegetativo annuale. Sono invece indicate come successioni allorch le alterazioni

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sono permanenti. In tal caso, le associazioni che si susseguono nel tempo sono dette stadi e compongono una successione dinamica3. Le successioni possono essere studiate direttamente per mezzo di quadrati permanenti di superficie 1-100 m2 in funzione del tipo di vegetazione, o indirettamente, ricostruendole a partire da osservazioni sulle diverse associzioni, di differente et, presenti in un territorio in modo frammentario o lungo specifici gradienti ecologici. Una successione progressiva o normale quando procede verso gradi maggiori di complicazione strutturale, fitomassa e produzione di materia organica, regressiva o degradativa se segue il percorso inverso. Mentre le successioni normali sono lente, graduali e prevedibili e avvengono senza interferenze esterne, le regressive sono caratterizzate il pi delle volte da passaggi molto bruschi e non cos scontati e si innescano per cause distruttive esterne (incendi, frane, interventi antropici o altro), definite come disturbo nel linguaggio ecologico. Possono per altro anche essere graduali e prevedibili, come quelle che si realizzano nel bosco messo a pascolo, dove si susseguono stadi a bosco rado e a prateria.

Fig. 5.1 Fattori determinanti la vegetazione pascoliva

Topografia Clima Terreno

VEGETAZIONE PASCOLIVA

Modalit di pascolamento

Interventi agronomici

Il termine serie, spesso utilizzato come sinonimo di successione, riguarda pi propriamente la distribuzione spaziale di comunit, non levoluzione temporale, e si riconduce dunque allambito disciplinare della sinfitosociologia o fitosociologoca seriale. Una serie, o sigmeto, o sinassociazione, definit da tutte le associazioni legate tra loro da rapporti dinamici (sia di tipo evolutivo, sia regressivo) presenti in una tessella o unit ambientale (land unit o environmental unit). La tessella (piccola tessera) una porzione di territorio, pi o meno vasta, ecologicamente omogenea e dunque che ha un solo tipo di vegetazione potenziale. Essa lunit di base del mosaico che costituisce il paesaggio vegetale. Le diverse tesselle (o serie di vegetazione, o sigmeti) legate da rapporti catenali compongono il geosigmeto o geoserie, cio lunit di paesaggio vegetale, ambito di studio della Geosinfitosociologia o Fitosociologia catenale.

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Fig. 5.2 Andamento teorico di una dinamica progressiva primaria: in ascissa il tempo, in ordinata le variazioni sulla vegetazione (struttura, composizione floristica etc.)

Una seconda discriminazione tra successioni primarie e secondarie. Le une prendono avvio in substrati geologici vergini, privi di vegetazione e procedono senza disturbo antropico in parallelo allevoluzione del suolo. Le altre sono ricostituzioni spontanee conseguenti alla distruzione di una fitocenosi naturale o allabbandono di una vegetazione antropogena. Anche le rispettive vegetazioni prendono il nome di primaria e secondaria. In base alla quantit di acqua che il suolo pu mantenere, le successioni possono infine essere distinte in mesarche o climatofile, idrarche o edafoigrofile e xerarche o edafoxerofile. Nelle dinamiche mesarche, che si impostano su suoli in moderato pendio, lelemento dominante quello climatico; nelle altre, osservabili rispettivamente in zone acquatiche o palustri di compluvio e in ambienti secchi di cresta o in forte acclivit, quello idrico. Poich in un paesaggio si ha normalmente un mosaico di tipi vegetazionali a diverso significato dinamico, risulta utile distinguere la vegetazione reale da quella originaria e da quella potenziale. La vegetazione reale quella che si osserva in un dato momento, presente o passato. Loriginaria la vegetazione antica, naturale, che si aveva prima dellinnesco di dinamiche regressive. La vegetazione potenziale, infine, quella verso cui tende il processo evolutivo naturale o secondario nelle situazioni alterate dalluomo qualora si interrompessero le azioni di disturbo. Questa vegetazione pu essere identica o differente da quella originale: dipende dal tempo di riferimento, dal livello di alterazione dellambiente e dalla resilienza del sistema, ossia dalla sua capacit intrinseca di ritornare alla situazione originaria. Naturalmente, in tempi brevi molto probabile che la vegetazione potenziale sia diversa dalloriginale, risentendo ancora degli scompensi provocati dal disturbo, mentre in tempi lunghi aumentano le possibilit di ripristino della copertura originaria, soprattutto laddove le modificazioni ecologiche non sono state profonde. Per quanto riguarda la resilienza, essa elevata nei sistemi con risorse scarse e forti vincoli, contraddistinti da elevata biodiversit, come ad esempio le praterie alpine, in cui i terreni sono poco fertili e le condizioni climatiche molto severe. Viceversa, modesta nei sistemi ricchi e con poche costrizioni, a scarsa biodiversit, come sono ad esempio le formazioni nitrofilo-ruderali delle zone a clima temperato.

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5.2. Il climax Le dinamiche progressive non sono infinite, ma hanno uno stadio conclusivo, cui tendono: il climax o vegetazione climatogena o climacica. Le successioni seguono dunque la cosiddetta curva di accrescimento sigmoide definita dallequazione logistica, modello di tutti i fenomeni biologici che comportano una saturazione. Nel caso della vegetazione, la saturazione riguarda il flusso di specie che entra nel sistema, grazie al quale si originano i successivi stadi, fino a che non vi sono pi specie in grado di competere con quelle gi insediate. Nella prima fase dinamica (Fig. 5.2), corrispondente alla colonizzazione delle rocce da parte degli aggruppamenti pionieri, levoluzione blanda, causa la lentezza con cui lambiente si modifica. Negli stadi intermedi la progressione si fa pi rapida, perch le condizioni ambientali diventano pi favorevoli: il suolo pi consistente e fertile e vi maggior disponibilit idrica. La fase terminale, infine, contraddistinta da un rallentamento dei cambiamenti ambientali e floristici, che introduce alla situazione climacica di stazionariet. In realt la curva logistica fornisce una rappresentazione soddisfacente soltanto rispetto agli scambi di materia ed energia. Nei confronti delle specie (numero, distribuzione spaziale, rapporti di dominanza) il processo non in realt continuo, ma costituito da fasi, che corrispondono ai vari stadi delle successioni. Le discontinuit sono ascrivibili ad alcuni elementi del sistema, quali lomestasi e la resilienza. Nella concezione classica del monoclimax, la vegetazione climatogena rappresenta lespressione di massima biomassa (crescita quantitativa), diversit (crescita qualitativa) (in termini di diversit floristica non cos, dato che spesso il climax impoverito rispetto a stadi precedenti) e complessit per quel clima, ossia di massimo sfruttamento per lo spazio, la luce, lacqua e tutti gli altri fattori necessari alla vita delle piante. Di conseguenza, sono anche massime lomeostasi e la resilienza del sistema. Il climax rappresenta, perci, la vegetazione zonale caratteristica di una determinata fascia bioclimatica ed definita, per tale ragione, climax climatico. I climax di questo tipo nelle diverse fasce altitudinali sono i seguenti: Fascia Submontana: Fascia Montana inferiore: Fascia Montana superiore: Fascia Subalpina inferiore: Fascia Subalpina superiore: Fascia Alpina inferiore: Fascia Alpina superiore: Fascia Nivale: Orno-Ostrietum Querco-Frassinetum e Fagetum silvaticae Piceetum montanum Piceetum subalpinum Rhodoro-Vaccinietum laricetosum e cembretosum Rhodoro-Vaccinietum Caricetum curvulae (zolle chiuse) Caricetum curvulae (zolle aperte) e comunit di licheni

Il climax climatico tuttavia piuttosto teorico, concepibile in pratica unicamente nelle successioni mesarche. In quelle idrarche e xerarche leffetto delle precipitazioni naturali alterato dai fenomeni di scorrimento o accumulo idrico. Pi pragmaticamente, dunque, secondo la teoria dei policlimax, si riconosce anche agli stadi ultimi di queste successioni la dignit di climax, definendoli in tal caso climax edafici. Laddove i fattori edafici sovrastano il macroclima fino ad annullarne ogni influsso, si ha una associazione azonale. Si pu inoltre parlare anche di climax microclimatici/topografici, in relazione allesposizione dei versanti o alla morfologia della superficie del suolo. Le fitocenosi di questo tipo sono dette extrazonali, ci che presuppone lesistenza altrove di una zonalit. I concetti di zonalit, azonalit e extrazonalit sono applicati anche, come gi rilevato in precedenza, alla vegetazione in senso pi generale. Non di rado accade che la dinamica progressiva si blocchi, per cause naturali, a stadi strutturalmente pi semplici del climax. Molto importanti per diversificare la vegetazione e la flora di un territorio, questi stadi sono indicati come vegetazione durevole e si osservano prevalentemente in ghiaioni, macereti, dirupi e altri a ambienti instabili o particolari. Un esempio classico quello del Papaveretum rhaetici sui macereti dolomitici, stadio che invece di evolversi nel Seslerio35

semperviretum diviene stabile a causa del continuo apporto di nuovo materiale. Quando il blocco dinamico dovuto a fattori antropici si parla di disclimax. La cessazione del disturbo pu indirizzare di nuovo la successione verso il climax, ma, come gi detto in precedenza, ci non scontato. Dove i substrati sono stati profondamente alterati e degradati si possono instaurare progressioni diverse, come accade ad esempio nei suoli delle foreste tropicali messi a coltura che, a seguito della distruzione dellhumus, desertificano. La distanza di una vegetazione dalla condizione climacica pu essere assunta come misura della sua naturalit. Ovviamente, questa tanto pi elevata quanto meno la vegetazione disturbata. Esistono in letteratura geobotanica varie scale di naturalit, tra le quali molto in uso la seguente a sei valori: 0 = Naturalit nulla Ambienti artificiali privi di vegetazione naturale (centri urbani, cave, strade etc.). 1 = Naturalit molto bassa Popolamenti sinantropici pressoch privi di naturalit (coltivi, aree ad insediamenti sparsi). 2 = Naturalit bassa Popolamenti a scarsa naturalit (incolti, primi stadi di colonizzazione di coltivi abbandonati, pascoli). 3 = Naturalit media Popolamenti seminaturali (stadi di incespugliamento, macchia a gariga secondaria etc.). 4 = Naturalit elevata Popolamenti subnaturali prossimi allo stadio climax, dal quale si distinguono soprattutto per aspetti strutturali piuttosto che floristici (boschi cedui). 5 = Naturalit molto elevata Popolamenti allo stadio climax o molto prossimi ad esso.

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Landolt E., 1977. kologische Zeigerwerte zur Schweizer Flora. Verff. Geobot. Inst. ETH, Stftung Rbel, Zrich, H. 64. 208 pp. Pirola A., 1970. Elementi di fitosociologia. CLUEB Bologna. Pignatti S., 1952. Introduzione allo studio fitosiologico della pianura veneta orientale con particolare riguardo alla vegetazione litoranea. Arch. Bot., 28, 265-329. Pignatti S., 1982. Flora dItalia. Edagricole Bologna, I-II-III. Pignatti S., 1994. Ecologia del paesaggio. UTET , 228 pp. Pignatti S., 1995. Ecologia vegetale. UTET, 531 pp. Raabe E.W., 1950. ber die Charaktesristische Arten-Kombination in der Pflanzensoziologie. Schr. Nat. Ver. Schleswig-Holst, 24(2), 8-14. Risigl H. e Keller R., 1990. Fiori e ambienti delle Alpi. Atri Grafiche Saturnia Trento, 148 pp. Ter Braak C.J.F., Prentice I.C., 1988. A theory of gradiente analysis. Advances in Ecological research, 18, 271-317. Ter Braak C.J.F., Verdonschot P.F.M., 1995. Canonical correspondence analysis and related multivariate methods in acquatic elology. Aquatic Sciences, 57, 255-289. Ubaldi D., 1997. Geobotanica e Fitosociologia. CLUEB Bologna, 360 pp. Westhoff V., 1970. Vegetation study as a branch of biological acience. Misc. Papers Landbouwhogeschool Wageningen, 5, 11-30.

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PARTE II I pascoli
Lattivit alpicolturale sulle Alpi si svolge in prevalenza nel dominio territoriale compreso tra i 1500 e 2700 m s.l.m., ossia nelle fasce altitudinali subalpina e alpina. A partire dalle dinamiche vegetazionali che, spontaneamente o a causa dellattivit pastorale, si svolgono in questi ambiti (capitolo 1) sono presentate le principali formazioni forestali, arbustive e di prateria che compongono il mosaico della vegetazione (capitolo 2), esplorando poi le prerogative foraggere dei pascoli (capitolo 3), le loro funzioni e la loro utilizzazione (capitolo 4).

1. Dinamica della vegetazione nelle fasce subalpina e alpina


1.1. Le dinamiche progressive primarie Le principali dinamiche progressive primarie che si svolgono nel territorio interessato dallattivit alpicolturale, vale a dire nelle fasce subalpina e alpina, sono schematizzate nelle figure 1.1, 1.2 e 1.3. Nel segmento inferiore della fascia subalpina, il clima favorevole consente alla vegetazione la massima stratificazione. In condizioni naturali, tutte le compagini erbacee colonizzatrici dei vari ambienti tendono verso la peccata subalpina, che rappresenta il popolamento climatogeno. Nella sezione superiore e nella parte inferiore della fascia alpina, la stagione vegetativa risulta accorciata e levoluzione si arresta allo stadio di brughiera, con eventualmente una rada copertura di alberi di larice e pino cembro nelle sezioni pi basse. Si tratta della comunit climatogena del rododendreto, composta da ericacee e pochi altri elementi. Altre compagini arbustive (alnete e ginepreti) e la prateria a Festuca varia possono assumere in questo dominio carattere di durevolezza. Nella fascia alpina superiore, lulteriore inasprirsi delle condizioni climatiche impedisce la crescita anche delle piante arbustive. La vegetazione, con la sola eccezione delle comunit microarbustive a Loiseleuria procumbens dei dossi ventosi, esclusivamente di tipo erbaceo e ha come climax, tanto nei substrati silicei, quanto in quelli calcarei, il Caricetum curvulae. La progressione pu essere, in talune circostanze, molto lenta o arrestarsi a stadi durevoli, come nel caso dellElynetum sui dossi ventosi della montagna calcarea, o di Festucetum variae e Festucetum halleri sui versanti meglio esposti della montagna silicea, o ancora dei Salicetum nelle vallette lungamente innevate. Le dinamiche tendono in generale ad essere pi rapide nei substrati silicei, dato che la vegetazione climatogena espressione di terreni maturi e acidificati. Sulle rocce carbonatiche, il passaggio dal Seslerio-semperviretum al Caricetum curvelae piuttosto teorico, legato com allacidificazione, lentissima, della matrice per azione della vegetazione e del dilavamento dei cationi da parte delle acque meteoriche. Queste successioni fondamentali sono accompagnate da altre minori, tra le quali occorre ricordare quelle di tipo fortemente idrarco che avvengono nelle aree inondate o palustri. Dopo gli stadi pionieri, diversificati in funzione dellaltimetria e dello stato idrico, le linee evolutive confluiscono nellassociazione di torbiera del Caricetum fuscae. Il progressivo interramento del substrato per deposizione naturale di torba conduce poi a popolamenti sempre meno igrofili, quindi alla prateria vera e propria ed al climax.

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Fig. 1.1 Principali dinamiche progressive primarie nella fascia climacica della vegetazione legnosa (fasce subalpina e alpina inferiore). (Rielaborazione da Credaro e Pirola, 1996). (Le frecce in grigio riguardano solo la fascia subalpina inferiore)

Rocce

Pietraie

Greti

Vegetazione rupicola

Galeido-Rumiceto

Epilobieto di Fleischer

Prateria con Festuca varia

Alneto verde Rododendreto

Ginepreto con Calluna e Uva orsina

Pecceta subalpina

Fig. 1.2 Principali serie progressive primarie nella fascia climacica della vegetazione erbacea su rocce silicee (fascia alpina superiore) (rielaborazione da Credaro e Pirola, 1996)

Rocce

Pietraie

Vallette nivali

Vegetazione rupicola

Oxirieto e Androsaceto

Politricheto

Stadio ad Agrostis tenella

Luzuleto alpino

Saliceto erbaceo

Prateria con Festuca varia

Igrocurvuleto

Saliceto erbaceo con Alchemilla

Prateria a Festuca di Haller

Prateria a Carice ricurva

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Fig. 1.3 Principali dinamiche progressive primarie nella fascia climacica della vegetazione erbacea su rocce carbonatiche (fascia alpina superiore)

Rocce

Pietraie

Vallette nivali

Vegetazione rupicola

Thlaspietum rotundifolii

Arabidetum coeruleae

Firmeto

Elineto

Saliceto retusoreticulato

Seslerieto-Sempervireto

Prateria a Carice ricurva

1.2. Le dinamiche regressive e progressive secondarie Come gi segnalato, fattori esterni alla vegetazione possono impedire le progressioni naturali, innescando dinamiche secondarie regressive o progressive. Lintervento umano indubbiamente il principale tra questi fattori. Il suo effetto spesso talmente marcato ed esteso da alterare completamente gli equilibri del sistema, trasformando il paesaggio vegetale naturale in un paesaggio artificiale, dove i popolamenti spontanei sono sostituiti da comunit antropiche. Nelle fasce subalpina e alpina, lazione trasformatrice delluomo si fissata essenzialmente alle necessita dellattivit pastorale ed consistita nella riduzione della vegetazione forestale e arbustiva a beneficio di quella foraggera. Gran parte delle fitocenosi erbacee di questi domini sono pertanto di origine antropica e la loro permanenza subordinata al passaggio delle mandrie e delle greggi. Con la crisi della pratica alpicolturale di questi ultimi decenni ed il conseguente abbandono o sottoutilizzo di molte superfici pascolive, alle dinamiche regressive si sono affiancate dinamiche progressive di ricostituzione della copertura naturale. La vegetazione osservabile oggi in questi ambienti dunque il risultato di azioni, contrastanti, di disturbo antropo-zoogeno e di rinaturalizzazione, come schematizzato in figura 1.4. I principali tipi regressivi collegati allattivit pastorale sono le comunit a Nardus stricta, quelle pingui appartenenti allalleanze del Poion alpinae e quelle nitrofile delle zone ad accumulo organico. Nelle fasce subalpina e alpina inferiore, in capo alla dinamica vi la regressione, brusca o graduale, della vegetazione legnosa ad opera delluomo o del pascolamento, cui segue la 40

colonizzazione erbacea. Nella fascia alpina superiore tutto limitato ad una evoluzione dello strato erbaceo. In ogni caso, laspetto finale della prateria il frutto dellinterazione tra le caratteristiche pedo-climatiche e la pressione animale, che si esplica attraverso le azioni di prelievo alimentare, fertilizzazione e calpestio. Laddove la pressione blanda, la fiosionomia del manto erboso non si scoster molto da quella originaria, distinguendosi essenzialmente per una maggiore abbondanza di specie pastorali. Dove sar sufficientemente equilibrata, le specie pabulari prenderanno decisamente il sopravvento e si affermeranno gli aggruppamenti pingui del Poion alpinae. Dove infine elevata, gli esiti saranno diversificati: nei substrati poveri e xerici si avranno facies pi o meno impoverite a Nardus stricta e altre specie eliofile e acidofile (il nardo la specie alpina in assoluto pi resistente al triplice effetto del prelievo, calpestio e acidificazione del suolo); nei substrati fertili e idratati avranno il sopravvento le compagini nitrofile. Per quanto concerne le successioni progressive, dato che le condizioni climatiche molto severe prevalgono in termini ecologici sulle condizioni edafiche, normalmente esse si concludono con il ripristino della vegetazione originaria. Solo per gli aggruppamenti nitrofili e per quelli pi degradati a Nardus stricta, i cui determinismi ecologici poggiano rispettivamente sullaccumulo di azoto e una marcata acidificazione e costipazione del terreno, il ritorno alla naturalit pu essere pi problematico, se non altro in tempi brevi. I dinamismi secondari progressivi sono schematizzati nella figura 1.5. Levoluzione pu arrestarsi, in funzione della quota altimetrica, allo stadio erbaceo o proseguire fino alla stratificazione completa. La prima situazione riguarda i pascoli in stretto collegamento con il Caricetum curvulae e le praterie naturali durevoli. La cessazione del disturbo comporta semplicemente larretramento o la scomparsa del contingente floristico zoogeno, composto soprattutto da specie a portamento ridotto e foglie orizzontali, a vantaggio di quello naturale. Dove, invece, la vegetazione primaria era pi strutturata, agli aggruppamenti erbacei rinaturalizzati seguono le formazioni arbustive ed eventualmente quelle arboree. In ogni caso, la fisionomia terminale dipender dagli habitat, cos come la durata dellevoluzione, che sar pi breve al crescere dellaltimetria. La progressione strutturale secondaria si svolge con modificazioni pi o meno consistenti della composizione floristica. Nella prima fase erbacea i mutamenti sono pi evidenti nei substrati umidi e fertili e alle quote inferiori, dove lutilizzazione pastorale era ecologicamente dominante sui fattori pedologici. Favorite dalla competizione per la luce, sinsediano cos, in sostituzione delle specie pascolive a portamento ridotto e foglie orizzontali, piante erbacee a portamento elevato e foglie inclinate. Nelle matrici pi secche e magre, invece, le comunit pastorali sono essenzialmente condizionate dai fattori edafici e dunque la sospensione dellerbivoria e la conseguente competizione per la luce avranno meno ripercussioni sulla fitocenosi, la quale continuer ad essere composta da individui di bassa taglia. Leventuale successiva invasione delle piante arbustive ed arboree, unita al continuo accumulo di una lettiera scarsamente decomponibile, imporr in tutte le situazioni nuovi equilibri nello strato erbaceo, con arretramento delle specie eliofile ed avanzamento di quelle sciafile ed oligotrofiche. La dinamica accompagnata da una semplificazione complessiva, molto pronunciata nelle situazioni estreme. Gli strati superiori tenderanno, a loro volta, ad essere dominati da poche entit specializzate, secondo equilibri fissati dalle condizioni edafiche e climatiche. Sono soprattutto specie a foglie sempreverdi, con rapporto radici/gemme alto e stabile, ridotta attitudine fotosintetica, indice di crescita basso e continuo della biomassa, caratteri che testimoniano ladattabilit alla scarsit di nutrienti e lelevata capacit di sfruttamento degli stessi. Al fattore luce, determinante nei primi stadi dellabbandono, si sovrappone, dunque, il fattore disponibilit di nutrienti, che diviene gradualmente pi decisivo in parallelo al rallentamento della velocit di degradazione di una lettiera sempre pi fibrosa, lignificata e acidificata negli strati superficiali.

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Fig. 1.4 Equilibri vegetazionali nelle fasce subalpina e alpina

Bosco Brughiere Praterie naturali

Antropizzazione Rinaturalizzazione Praterie zoogene

Fig. 1.5 Dinamiche secondarie nelle praterie delle fasce subalpina e alpina (da Gusmeroli, 2002)

Fascia subalpina inferiore


Pingui e Nitrofili Nardeti

Fascia subalpina superiore


Pingui e Nitrofili Nardeti

Prat. erbe alte

Prat. erbe basse

Prat. di erbe alte

Prat. di erbe basse

Arbusti nani

Arbusti nani

Arbusti nani

Arbusti nani

Alneta

Rododendreti

Alneta

Pecceta subalp.

Pecceta subalp. Foreste rade

Rododendreti Mugete Ginepreti

Fascia alpina inferiore


Nardeti

Fascia alpina superiore


Stadi a nardo delle praterie naturali

Praterie di erbe basse

Praterie naturali Caricetum curvulae Festucetum halleri Elinetum Seslerio-C. sempervirentis Festucetum variae Caricetum firmae

Arbusti nani

Rododendreti extrasilvatici Ginepreti

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1.3. Effetti dellabbandono dei pascoli sullambiente Le dinamiche secondarie innescate dallabbandono del pascolo comportano, naturalmente, una serie di conseguenze per lambiente, alcune negative, altre positive. Una prima conseguenza negativa riguarda la biodiversit. La perdita delle comunit zoogene e la confluenza delle serie evolutive verso i popolamenti climatogeni o durevoli si risolvono in una semplificazione del mosaico vegetazionale, ossia in un abbassamento della diversit ecologica e paesaggistica, che compromette la ricchezza di micro-habitat per le specie vegetali e animali. La diversit di ecisistemi infatti prerogativa degli ambienti parzialmente antropizzati, dove alle comunit climatogene si aggiungono quelle antropogene. Sulla biodiversit specifica vegetale gli effetti sono meno univoci. Nelle situazioni pedoclimatiche pi estreme, dove simposta una vegetazione terminale di tipo erbaceo e la pressione animale non solitamente elevata, la diversit specifica, sia in termini di numerosit, sia di equilibrio tra i componenti, non cambia significativamente o, tuttal pi, si riduce leggermente per la perdita degli esponenti zoogeni. Negli habitat meno difficili, dove la complicazione strutturale superiore, nelle prime fasi erbacee il contingente floristico si amplia, segnalando linstabilit del popolamento, quindi tende ad assottigliarsi e sbilanciarsi maggiormente, poich i pochi elementi arbustivi e/o arborei acquistati colonizzano quasi tutto lo spazio, senza per compensare in termini numerici il forte impoverimento di specie erbacee. Certamente, nei riguardi di altri aspetti della biodiversit vegetale, le dinamiche possono essere differenti. Se, ad esempio, si prende in considerazione la ricchezza di forme biologiche di Raunkiaer, un aspetto che si pu definire di biodiversit funzionale, le comunit strutturalmente pi evolute mostrano uno spettro pi variegato, con alte partecipazioni di camefite e nanofanerofite a fianco delle emicriptofite, assolutamente dominanti nelle formazioni erbacee, ci che potenzia la loro strategia adattativa, rendendole meno vulnerabili ai mutamenti climatici. Ancora diverso sarebbe, verosimilmente, il discorso rispetto ad altre forme di strategia adattativa delle specie vegetali. Nel diagramma di figura 1.6 sono riportati i valori degli indici di biodiversit specifica e funzionale rilevati in alcuni tipi vegetazionali delle fasce alpine e subalpine, ordinati secondo un gradiente di disturbo atropozoogeno. Oltre agli effetti appena illustrati relativi alle dinamiche secondarie, si pu anche notare leffetto deprimente di una pressione pastorale elevata, sebbene nellindagine non siano compresi i popolamenti nitrofili di massimo degrado. Una seconda conseguenza negativa dellabbandono dei pascoli coinvolge il paesaggio. Oltre alla perdita di manufatti e segni legati alla cultura contadino-montanara, che sono parte integrante del paesaggio alpino inteso in senso lato, le successioni secondarie sono causa di deterioramento del valore estetico della copertura vegetale. La struttura, le forme e le tonalit cromatiche tipiche del paesaggio pastorale, frutto dellintercalare di comunit erbacee, arboree ed arbustive, ne sono infatti in parte compromesse. Anche laddove simpostano formazioni erbacee durevoli, queste sono normalmente di aspetto (colore e struttura) meno gradevole delle cotiche pascolate razionalmente. Un terzo riflesso negativo legato alla chiusura dello spazio, che da un lato penalizza laccessibilit e fruibilit del territorio e dallaltro aumenta i rischi dincendio. Questo in relazione tanto con la strutturazione arbustiva e arborea, quanto con linfittimento del sottobosco non pi pascolato. Un quarto elemento negativo si riferisce alla fauna selvatica di interesse venatorio. Sono ormai dimostrate le correlazioni positive tra il pascolo e la presenza e consistenza di molte specie avicole e ungulate. Nei comprensori abbandonati, queste faticano a trovare adeguate fonti alimentari e tendono cos a regredire, rischiando in certi casi lestinzione (es. pernice bianca). Infine, un ultimo inconveniente, seppur temporaneo, riguarda il maggior rischio di slavine. Nelle cotiche abbandonate la biomassa erbacea si alletta e favorisce lo scorrimento della neve. Pi in generale, occorre sottolineare come dopo unazione disturbatrice, il ritorno alla naturalit passi spesso attraverso fasi intermedie caratterizzate da eventi catastrofici, pericolosi soprattutto per i territori sottostanti. 43

Fig. 1.6 Indici di biodiversit specifica (sopra) e funzionale (sotto) della vegetazione di una malga in funzione del disturbo antropo-zoogeno (Alpe Mola- Edolo-Brescia) (da Gusmeroli e Pozzoli, 2003)

3.5 Indice di Shannon 3 Indice di Shannon 2.5 Equitability 2 1.5 1 0.5 RhodoretoVaccinietum Alnetum viridis Festucion variae Caricion fuscae Eu-Nardion Poion alpinae

1.2 1 0.8 0.6 0.4 0.2

Ricchezza floristica (x 100)


0

Gradiente di utilizzazione pastorale

2.2 2 Indice di Shannon 1.8 1.6 1.4 1.2 1 0.8 0.6 0.4 RhodoretoVaccinietum Alnetum viridis Festucion variae Caricion fuscae Eu-Nardion Poion alpinae Ricchezza di forme (x 10) Indice di Shannon Equitability

4.5 Equitability e Ricchezza di forme biologiche 4 3.5 3 2.5 2 1.5 1 0.5 0

Gradiente di utilizzazione pastorale

Tra gli effetti positivi dellabbandono dei pascoli si pu segnalare in primo luogo la massimizzazione dellattivit fotosintetica e della biomassa, implicita nel ritorno della vegetazione climatogena. In secondo luogo la riduzione dei coefficienti di deflusso delle acque e quindi dei rischi di erosione superficiale del suolo. Questo, come dimostrato dagli studi riportati in tabella 1.1 e in figura 1.7, si verifica sia dove la prateria si stratifica, sia dove rimane allo stato erbaceo. E tuttavia necessario precisare come in generale nel piano altitudinale della foresta di aghifoglie la 44

Equitability e Ricchezza floristica

migliore protezione contro lerosione sia assicurata dal bosco aperto. Qui, lazione di intercettazione delle precipitazioni, propria della componente legnosa, completata da quella di consolidamento del suolo, specifico della coltre erbosa. Nel bosco chiuso, privo o quasi di cotica, per azione della lettiera si forma uno strato pedologico superficiale ad humus acido, molto incoerente e dunque poco efficace contro la forza di gravit. La massa legnosa, gravando con il proprio peso, accentua qui ulteriormente il rischio di frane.

Tab 1.1 Coefficienti medi percentuali di deflusso idrico in diversi tipi di vegetazione (da Bunza, 1978, 1984, 1989)

Arbusti nani Bosco di aghifoglie e misti Ontani verdi Associazione di erbe alte Prato Pascolo Inerbimento artificiale Terreno nudo

10% 15% 16% 30% 43% 52% 64% 85%

Fig. 1.7 Quantit di particelle solide trasportate dalle acque di scorrimento superficiale nel periodo maggio-ottobre in una prateria a Nardus stricta pascolata in modo intensivo, in modo estensivo e abbandonata (da Gusmeroli,)

40.0 Materiale raccolto (g) 35.0 30.0 25.0 20.0 15.0 10.0 5.0 0.0 I II III IV V VI Anno di prova
Intensivo
Estensivo Indisturbato

45

In definitiva, vi convenienza, anche da un punto di vista ambientale, a mantenere le superfici pascolive. Allo scopo, in questi ultimi decenni stata proposta lapplicazione di carichi animali minimali, finalizzati espressamente ad una gestione conservativa dello spazio. Questi carichi corrispondono allincirca al 50-75% degli ottimali e dovrebbero controllare, con leventuale ausilio di periodici interventi di lotta alle specie infestanti (lotta meccanica e fuoco controllato), linvasione delle specie erbacee e legnose. Rimangono in ogni caso fondamentali le modalit con le quali sono governate le cotiche.

2. Le principali fitocenosi delle fasce subalpina e alpina


2.1. Inquadramento generale Un inquadramento sintetico delle principali formazioni fitocenotiche delle fasce altitudinali subalpina e alpina offerto dal prospetto di tabella 2.1. Non sono riportate n le comunit pioniere, n quelle umide, n quelle delle vallette nivali, rocce, ghiaioni e di modesta rilevanza in termini di superficie. Le compagini sono distribuite in funzione dellappartenenza alla vegetazione climatogena, ad altri popolamenti naturali, pi o meno stabili, o alla vegetazione antropica. Le comunit per le quali la classificazione sintassonomica controversa sono state trattate secondo gli schemi pi abituali o pi funzionali alla semplicit e al carattere generale dellesposizione.

Tab. 2.1 Schema dinquadramento delle principali fitocenosi delle fasce subalpina e alpina

Fascia alpina superiore

Climax climatico Prateria a Carex curvula


(Caricetum curvulae)

Altri popolamenti naturali

Praterie antropiche

Fascia alpina inferiore

Brughiera ad arbusti Nani


(Rhodoro-Vaccinietum extra-silvaticum)

Pr. basifile a Carex firma (Caricetum firmae), Sesleria varia (SeslerioCaricetum sempervirentis), Festuca violacea (Festuco-Trifolietum thalii) Stadi a Nardus stricta e Elyna miosuroides (Elynetum). delle pr. naturali. Pr. acidofile a Festuca halleri (Festucetum halleri) e Festuca Pascoli a Nardus stricta scabriculmis (Festucetum variae). (Nardetum alpigenum). Lande ad Azalea alpina (Loiseleurietum-Catrarietum) e Ginepro e Uva ursina (Junipero-Arctostaphyletum)

Fascia subalpina Foreste rade a conifere e arbusti nani superiore

Fascia subalpina inferiore

Pascoli a Nardus stricta Pr. a Festuca scabriculmis (Nardetum alpigenum), (Festucetum variae). pingui (CrepidoLanda a Ginepro e Uva ursina (Rhodoro-Vaccinietum Festucetum rubrae) e (Junipero-Arctostaphyletum) cembretosum) nitrofili (Rumicetum alpini Boscaglia a Pino mugo e Poo supinae(Rhodoro-Vaccinieutum Chenopodietum b.h.). Foresta di Abete rosso mugetosum; Mugo-Rhododendretum hirsutum; Mugo-Ericetum). (Piceetum subalpinum) Prati a Trisetum Cespuglieti ad Alnus viridis flavescens (Alnetum viridis). (Trisetetum flavescentis)

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2.2. La vegetazione forestale La vegetazione forestale occupa la sola fascia subalpina. Sono presenti cinque aggruppamenti naturali principali, due dei quali costituiscono il climax e tre che assumono il significato di comunit durevoli. I due popolamenti climatogeni sono riconducibili alle associazioni del Piceetum subalpinum, nel segmento inferiore, e del Vaccinio-Rhododendretum ferruginei, subassociazione cembretosum, nel superiore4. Entrambi appartengono allalleanza del Vaccinio-Piceion, suballeanza del RhododendroVaccinion ed hanno notevoli affinit floristiche, specialmente nello strato arbustivo, costituito essenzialmente da ericacee (rododendro rosso, mirtilli, uva ursina, brugo) e pochi altri elementi. Maggiori differenze si riscontrano nelle componenti arborea ed erbacea. Lo strato arboreo dominato dallabete rosso (Picea excelsa) nel Piceetum subalpinum, dal pino cembro (Pinus cembra) e dal larice (Larix decidua) nel Vaccinio-Rhododendretum ferruginei cembretosum. Questo distingue nettamente la fisionomia delle due compagini, conferendo nellun caso il tipico aspetto di foresta chiusa e scura, con sottobosco ridotto spesso alla sola coltre muscinale, nellaltro di foresta aperta e luminosa, con sottobosco pi ricco e articolato, suscettibile di trasformarsi in una vera e propria cotica erbosa se sottoposto a pascolamento. La vicinanza sistematica lascia naturalmente intendere contatti dinamici tra i due aggruppamenti. Sono le condizioni climatiche che, regolando laccumulo di sostanza organica nel suolo e la sua evoluzione, favoriscono o meno lespansione dellabete rosso a scapito dei pi pionieri ed eliofili pino cembro e larice. Penetrazioni di queste specie nella peccata sono pertanto piuttosto comuni, a seguito soprattutto di interventi distruttivi e di diradamento, naturali o artificiali, della copertura arborea. Tra le due specie esiste una forte competizione. Avendo maggiore capacit colonizzatrice e maggiore esigenza di luce, il larice si insedia per primo, originando popolamenti puri o quasi che, sui versanti meglio esposti e nei siti interessati da periodiche distruzioni, possono anche assumere carattere di stabilit. Di norma, tuttavia, soprattutto in condizioni climatiche pi severe, come quelle dei versanti a settentrione e delle stazioni pi elevate, viene gradualmente affiancato dal pino cembro, con formazione dunque di popolamenti misti o, talvolta, di cembrete in purezza. In linea di massima, unalta partecipazione di larice indica situazioni giovanili o degradate; viceversa, unalta partecipazione di pino cembro espressione di maturit e naturalit.
Tab. 2.2 Schema sintassonomico (o sinottico) della vegetazione forestale della fascia subalpina

VACCINIO-PICEETEA Braun-Blanquet 1939 Vaccinio-Piceetalia Br.-Bl. 1939 Vaccinio-Piceion Br.-Bl. (1938) 1939 Rhododendro-Vaccinion Br.-Bl. 1939 (suballeanza) Piceetum subalpinum Br.-Bl. 1936 Vaccinio-Rhododendretum ferruginei Br.-Bl. 1927 cembretosum Pallmann e Haffter 1933 mugetosum Br.-Bl. 1939 Pino-Ericion Br.-Bl. 1939 Mugo-Rhododendretum hirsutum Br.-Bl. 1939 Mugo-Ericetum Br.-Bl. 1939
Per linquadramento delle comunit a pino cembro si fatto riferimento a Pallmann e Haffter, i quali riconducono tutti i tipi di bosco dominati dalla specie in ununica associazione. Altri autori propongono nomenclature e attribuzioni diverse e pi articolate. Per le Alpi italiane, in particolare, Sburlino et al (2006) distinguono tre associazioni: LariciPinetum cembrae, Cotoneastro interegerrimae- Pinetum cembrae e Pinetum cembrae, con subassociazioni e varianti. La prima rappresenta le pinete mesofile dei substrati acidi, la seconda quelle termo-xerofile dei medesimi substrati e la terza le cembrete delle matrici basiche.
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La vegetazione durevole rappresentata dalle formazioni del pino mugo (mughete). Questa pianta pu mostrare portamento eretto-arboreo (Pinus mugo subs. uncinata), formando boschi aperti e luminosi, o portamento prostrato-arbustivo (Pinus mugo subs. mugo), costituendo basse e fitte boscaglie. Vi si possono riconoscere tre aggregazioni. Una, collegata strettamente al bosco di pino cembro e larice, la subassociazione mugetosum del Vaccinio-Rhododendretum ferruginei, che sostituisce la subassociazione cembretosum nei tratti di versante disturbati dallaccumulo di neve o da slavine, o posti su matrici superficiali e aride, poco adatte alle altre conifere. Dove il vincolo ecologico rappresentato dalle condizioni edafiche, tuttavia sempre possibile la progressione dinamica verso la vegetazione climatogena. Gli altri due aggruppamenti sono pi legati ai substrati e detriti carbonatici, sui quali operano unimportante azione di consolidamento. MugoRhododendretum hirsutum ha maggior carattere pioniero e gravita preferenzialmente sui pendii a settentrione dellorizzonte superiore. Mugo-Ericetum si imposta pi in basso, a cavallo con la fascia montana, dove entra in contatto con il bosco a pino silvestre, condividendone gran parte del corredo floristico. Le rispettive specie accompagnatrici, ossia il rododendro irsuto (Rhododendron hirsutum) e lerica erbacea (Erica carnea), unitamente ad altri esponenti erbacei, distinguono i due tipi di mugheta, la cui permanenza subordinata allinstabilit e scarsa propensione evolutiva dei substrati. Lo schema sintassonomico dei cinque popolamenti nemorali riportato in tabella 2.2. 2.3. La vegetazione arbustiva La vegetazione arbustiva si rinviene nella fascia alpina inferiore e nella subalpina. Si hanno quattro fitocenosi principali: Vaccinio-Rhododendretum ferruginei extrasilvaticum, LoiseleurioCetrarietum, Junipero-Arctostaphyletum e Alnetum viridis. Le prime due sono rispettivamente climax e stadio durevole della fascia alpina inferiore, la terza stadio durevole della fascia subalpina, con propaggini in quello alpina, e la quarta lo della sola fascia subalpina. Dal punto di vista sistematico, Vaccinio-Rhododendretum ferruginei, Loiseleurio-Cetrarietum e JuniperoArctostaphyletum sono collocate nella classe Vaccinio-Piceetea, mentre Alnetum viridis fa parte di Betulo-Adenostyletea (Tab. 2.3)5. La subassociazione extrasilvaticum del Rhodoro-Vaccinietum cos definita perch strettamente coordinata con lomonima compagine forestale della fascia subalpina, ma del tutto priva di copertura arborea. Si esprime pienamente sui versanti esposti a nord, ombrosi, freschi e lungamente innevati. Rispetto alle facies arborate subalpine tende ad avere maggiore ricoprimenti di specie delle praterie acidofile e di specie arbustive indicatrici di clima pi rigido, come Vaccinium uliginosum e Loiseleuria procumbens, in sostituzione degli elementi tipici della foresta subalpina, come Rosa pendulina, Lonicera coerulea e altre. Nei distretti carbonatici, il rododendro ferrugineo sostituito dallirsuto, ma la brughiera pura piuttosto sporadica, confluendo rapidamente nella boscaglia di pino mugo, che ha la medesima ecologia. Nelle matrici silicee, sui crinali e dossi battuti dal vento, dove la coltre nevosa non permane neppure in inverno, si determinano condizioni di microtermia, gelo invernale, eliofilia e disseccamento estivo proibitive per il rododendreto6. In sua vece si imposta il LoiseleurioCetrarietum, microarbusteto dominato dallazalea nana (Loiseleuria procumbens), piccola pianta a
Alcuni autori collocano Loiseleurio-Cetrarietum Br.-Bl. 1926 nella classe Caricetea curvulae, considerandola una subassociazione del Caricetum curvulae (subs. loiselerietosum) o associazione indipendente (Loiseleurio-Caricetum curvulae). La coltre nevosa altera sensibilmente le condizioni di luce e di termia a livello del suolo. Uno strato di un metro rappresenta uno schermo luminoso pressoch invalicabile ed un isolatore termico estremamente efficace. Sotto di esso la vegetazione permane in condizioni di bassissima luminosit o di buio assoluto e gode di temperature prossime agli zero gradi che le consente attivit metabolica.
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spalliera capace di sopportare temperature bassissime ( 60C) e la forte traspirazione indotta dal vento. Una consistente comunit lichenica (principalmente generi Cladonia e Cetraria) accompagna larbusto, soprattutto alle quote superiori, mentre il corteggio vascolare ridottissimo. Nella fascia ecologica di transizione tra i domini del rododendreto e del loiseleurieto, la brughiera pu assumere caratteri intermedi tra le due fitocenosi, per altro di scarso significato sintassonomico, nei quali divengono maggiormente rilevanti arbusti secondari, in particolare lempetro o erba moretta (Empetrum ermaphroditum). Junipero-Arctostaphyletum lassociazione della brughiera a Ginepro nano (Juniperus nana o montanus). Essa rappresenta il contraltare dei rododendreti, sia extrasilvatici che arborati, ponendosi come climax edafico sui pendii pi caldi, illuminati e meno innevati. La dominanza di uva ursina (Arctostaphylos uva-ursi) contraddistingue le stazioni pi elevate e xeriche, mentre quelle meno secche e basse tendono ad avere maggiore partecipazione di brugo (Calluna vulgaris). Ginepro e uva ursina formano spesso uno mantello denso e continuo, frammisto a poche specie erbacee e al mirtillo rosso (Vaccinium vitis-idaea), decisamente pi xerofilo degli altri mirtilli. Nella fascia subalpina possibile la loro strutturazione a bosco, alla stregua dei rododendreti. LAlnetum viridis (alneta), ossia il cespuglieto ad ontano verde (Alnus viridis), la vegetazione dominante nelle aree di compluvio, interessate da scorrimenti ed accumuli nevosi, su suoli umidi e profondi, ricchi di nutrienti, pi spesso di natura silicea. Grazie allelevata elasticit del legno e alla ramificazione aperta, larbusto possiede spiccata resistenza ai carichi nevosi e alle slavine, che gli consente di dimorare laddove ci impedito ad altre piante legnose. Il popolamento tipicamente azonale. Vallette incassate, scoscendimenti detritici bagnati, schiarite fresche e margini del bosco sono i suoi ambienti di elezione. La simbiosi radicale della pianta con batteri azotofissatori migliora la fertilit dei substrati, agevolando la crescita di altri arbusti (salici in particolare) e alte erbe (grandi felci, stellarie, aconiti, seneci, cavolacci e cos via). Lalneta ostenta cos un aspetto lussureggiante, lasciando spazio nelle chiarie a comunit nitrofile di megaforbie, comparabili per taluni aspetti a quelle delle zone di riposo delle malghe.

Tab. 2.3 Schema sintassonomico della vegetazione arbustiva della fascia subalpina e alpina

VACCINIO-PICEETEA Braun-Blanquet 1939 Vaccinio-Piceetalia Br.-Bl. 1939 Vaccinio-Piceion Br.-Bl. (1938) 1939 Rhododendro-Vaccinion Br.-Bl. 1939 (suballeanza) Vaccinio-Rhododendretum ferruginei Br.-Bl. 1927 extrasivaticum Pallm. E haffter 1933 Juniperion nanae Br.-Bl. 1939 Junipero-Arctostaphyletum (Br.-Bl. 1926) Haffter 1939 Loiseleurio-Vaccinion Br.-Bl. 1926 Loiseleurio-Cetrarietum Br.-Bl. 1926 BETULO-ADENOSTYLETEA Br.-Bl. 1948 Adenostyletalia Br.-Bl. 1931 Adenostylion alliariae Br.-Bl. 1925 Alnetum viridis (Rbel) Br.-Bl. 1918

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Tab. 2.4 Schema sintassonomico delle principali praterie calcofile della fascia alpina

ELYNO-SESLERIETEA Braun-Blanquet 1948 Seslerietalia variae Br.-Bl. 1926 Seslerion varie Br.-Bl. (1925) 1926 Caricetum firmae (Kerner) Br.-Bl. 1927 Seslerio-Caricetum sempervirentis Br.-Bl. 1926 Caricion ferrugineae Br.-Bl. 1931 Festuco (violaceae)-Trifolietum thalii (Rbel) Br.-Bl. 1926 Oxytropo-Elynion Br.-Bl. 1948 Elynetum (Brockm.-Jer.) Br.-Bl. 1913

2.4. Le praterie calcofile Le praterie calcofile si impostano sulle matrici carbonatiche della fascia alpina. La loro permanenza strettamente dipendente dalle condizioni di alcalinit e, secondariamente, di aridit. Poich, per effetto dellattivit radicale della vegetazione e della lisciviazione delle basi e apporti di ioni idrogeno da parte delle acque meteoriche i suoli tendono spontaneamente ad acidificarsi, le fitocenosi calcofile vanno ad ordinarsi in successioni dinamiche progressive che hanno come stadi finali le praterie acidofile. Il pascolamento accelera il processo. Questi aggruppamenti non sono dunque mai climatogeni, ma in circostanze particolari, come quando apporti di materiali solidi rinnovano continuamente lo strato superficiale del terreno, la loro evoluzione impedita e possono dunque presentarsi come stabili. Le principali associazioni, tutte appartenenti allalleanza di Seslerietalia variae, sono: Caricetum firmae, Seslerio-Caricetum sempervirentis, Festuco (violaceae)-Trifolietum thalii e Elynetum (Tab. 2.4). Caricetum firmae (firmeto) laggruppamento pi pioniero, proprio dei suoli ancora molto grezzi e poveri di sostanza organica. Segue direttamente gli stadi a zolla aperte prodotti dallazione stabilizzante dei ghiaioni calcarei da parte principalmente del camedrio (Dryas octopetala) e in seconda battuta di salici, saxifraghe e silene. La carice rigida (Carex firma) domina largamente la fitocenosi, costituendo cuscinetti molto compatti, con le radici in stretto contatto con la roccia sottostante e talvolta caratteristica conformazione a scala. Laccompagnano, oltre alle specie pioniere, elementi gi meno frugali, come Anthyllis vulneraria subsp. alpestris, Astragalus australis, Festuca quadriflora, Genziana clusii, Helianthemum oleandicum, Minuartia verna e altri. Levoluzione naturale del firmato, almeno nei distretti meno estremi, il Seslerio-Caricetum sempervirentis (seslerieto), che la prateria per antonomasia dei substrati carbonatici. Le due specie caratteristiche ne esprimono bene le prerogative ecologiche: Sesleria varia esponente calcofilo, mentre Carex sempervirens lo si ritrova comunemente anche nei consorzi acidofili. Ci sta ad indicare ancora unappartenenza alla successione basifila, ma anche un certo distacco dalle condizioni edafiche alcaline. I rigogliosi selerieti ricoprono infatti stazioni pianeggianti, soleggiate, ben protette dalla coltre nevosa e sufficientemente provviste di acqua, prolungate anche a quote basse entro le pinete meno chiuse, tutte situazioni propizie alla maturazione e allapprofondimento dei suoli. Il corteggio floristico ne trae grande giovamento, tanto da risultare tra i pi variegati tra le praterie alpine. In esso sono gi annoverati elementi calcifughi propri delle comunit silicicole. Al crescere della disponibilit idrica, quindi soprattutto nei climi piovosi e in siti depressi, conche e canaloni, il seslerieto viene sostituito dal Festuco (violaceae)-Trifolietum thalii. Il popolamento ha condizioni edafiche pi mature, che ne giustificano la maggior dotazione di elementi acidofili e una mesofilia pi pronunciata. Nelle stazioni pi esposte e ventose, dove si riduce la protezione della coltre nevosa, il seslerieto sfuma invece nellElynetum, associazione che 50

indica ancora un terreno pi evoluto, ma in condizioni microclimatiche pi severe. A distribuzione frammentaria e analogo ecologicamente al microarbusteto ad azalea nana, fatto salvo una maggiore predilezione per substrati pi maturi e altimetrie superiori, il popolamento ha come aspetto peculiare Elyna myosuroides, ciperacea resistentissima al gelo e di grande ampiezza ecologica rispetto allacidit della matrice ( la specie erbacee alpina in assoluto pi adattabile). Tratti floristici di particolare interesse naturalistico sono la stella alpina (Leontopodium alpinum), il garofano dei ghiacciai (Dianthus glacialis) e la gramignola alpina (Chamaeorchis alpina). Nella successione basifila, lelineto pu derivare direttamente dallo stadio pioniero a Dryas octopetala o dal firmeto, mentre la sua evoluzione verso la prateria acidofila pu essere impedita dalle condizioni stazionali estreme determinate dal vento, in particolare sulle cenge e creste. Nellambito delle fitocenosi calcofile descritte si riconoscono alcune facies a carattere sporadico e frammentario. Si pu ricordare quella a Carex rupestris del firmeto nelle localit pi esposte e ventose, o quella a Carex ferruginea, alternativa del seslerieto sui pendii freschi, umidi e lungamente innevati. Altre varianti sono introdotte dal pascolamento, come le facies a Nardus stricta nei quartieri intensamente calpestati, o quelle a Horminum pyraenaicum nei luoghi ad accumulo di nitrati. 2.5. Le prateria naturali acidofile La prateria acidofila sincontra come vegetazione climacica nella fascia alpina superiore e come vegetazione durevole, talvolta con prerogativa di climax edafico, in tutta la fascia alpina e nellalta fascia subalpina. La fitocenosi climatogena quella del Caricetum curvulae; le altre sono principalmente il Festucetum halleri e il Festucetum variae. Il prospetto sinottico (Tab. 2.5) evidenzia la comune collocazione delle compagini nellalleanza di Caricetalia curvulae. Caricetum curvulae (curvuleto) la prateria acidofila naturale pi estesa nellarco alpino. In forma di zolle aperte si ritrova gi nella fascia nivale, ma nella fascia alpina superiore che il popolamento trova le condizioni ottimali di sviluppo, specialmente sui pianori e i dorsali della montagna silicea arrotondati dai ghiacciai quaternari, su terreni relativamente profondi, acidi, ricchi di humus e a buon tenore idrico. Ha un caratteristico color ocra conferitole da Carex curvula, la specie nettamente dominante che ha le foglie disseccate e arricciate in punta a causa di una parassitosi fungina (Chlatrospora elynae). Dato che nellassociazione tendono a confluire tutte le comunit della fascia alto alpina (ipotesi questa, per altro, oggi messa un po in discussione), il corteggio floristico pu essere abbastanza diversificato, rivelandone la genesi. Si possono cos distinguere espressioni di piena maturit (subs. typicum), da aspetti pi umidi di contatto con le formazioni nivali (subs. hygrocurvuletosum) o, viceversa, da espressioni pi xeriche collegate alla brughiera ad azalea nana (subs. cetrarietosum o loiseleurietosum) o allelineto (subs. elynetosum).

Tab. 2.5 Schema sintassonomico delle principali praterie acidofile naturali delle fasce subalpina e alpina

JUNCETEA TRIFIDI Klika e Hada 1944 (CARICETEA CURVULAE Braun-Blanquet 1948) Caricetalia curvulae Br.-Bl. 1926 Caricion curvulae Br.-Bl. 1925 Festucetum hallery Br.-Bl. 1926 Festucion variae Br.-Bl. 1925 Festucetum variae (Brockm.-Jer. 1907) Br.-Bl. 1949

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Festucetum hallery e Festucetum variae si sostituiscono al curvuleto come vegetazione stabile nei distretti pi bassi, aridi e illuminati. Festucetum hallery il meno xerofilo e termofilo dei due. Tipico delle Alpi interne a clima continentale, rigoglioso, ricco di specie e di notevole valore foraggero, grazie allelevata dotazione di leguminose (vari trifogli e ginestrino) e composite. Festucetum variae (varieto) si impone, invece, dove le condizioni ecologiche divengono estreme, abbracciando sia la fascia alpina che la subalpina e ponendosi dunque come alternativa anche alla brughiera di ginepro e al bosco nelle situazioni stazionali pi problematiche, dove riveste unimportante funzione consolidatrice. Circoscritto alla parte meridionale delle Alpi, il popolamento ha scarsa rilevanza pastorale, in particolare allorch la dominanza della Festuca scabriculmis (festuca del gruppo varia) si fa, come spesso accade, quasi assoluta. Sui pendii pi scoscesi, i grossi cespi della graminacea si dispongono a file, determinando una caratteristica struttura a balze o gradoni. Le specie compagne possono essere numerose e diverse, data la notevole escursione altimetrica della fitocenosi. Il varieto ha una compagine analoga per esigenze ecologiche e per profilo floristico sui substrati carbonatici. Si tratta del Laserpitio-Avenetum pratensis, associazione anchessa dellalleanza del Festucion variae, caratterizzata da Laserpitium hallery e Avena pratensis in sostituzione della festuca. 2.6. I pascoli Nellambito delle praterie sottoposte a pascolamento occorre distinguere le praterie naturali antropizzate dalle vere e proprie formazioni secondarie, ricavate dalla distruzione del bosco e della brughiera. Assai differenti sono infatti le modificazioni floristiche introdotte. Le praterie naturali, salvo situazioni sporadiche di intenso sfruttamento, subiscono alterazioni minime, conservando lappartenenza al syntaxon originario, o delineando al pi, laddove il contingente pastorale diviene significativo, stadi, varianti o subassociazioni specifiche, come ad esempio per la subassociazione nardetosum del curvuleto. Le praterie secondarie rappresentano invece aggruppamenti assolutamente nuovi, in tutto subordinati alle modalit ed intensit del pascolamento. Esse sono pertanto identificate come i pascoli per antonomasia.

Tab. 2.6 Schema sintassonomico dei principali pascoli delle fasce subalpina e alpina

NARDO-CALLUNETEA Prsg. 1949 Nardetalia Oberdorfer 1949 Nardion strictae Br.-Bl. 1926 Nardetum alpigenum Br.-Bl. 1949 MOLINIO-HARRHENATHERETEA Txen 1937 (HARRHENATHERETEA Br.-Bl. 1947) Harrhenatheretalia elatioris Pawlowski 1928 Poion alpinae Oberd. 1950 Crepido-Festucetum rubrae Ldi 1948 (Poo alpinae-Prunelletum vulgaris Oberd. 1950) CHENOPODIETEA Br.-Bl. 1951 Onopordetalia Br.-Bl. e Txen 1943 Chenopodion subalpinum Br.-Bl. 1949 Rumicetum alpini Beger 1922 Poo supinae-Chenopodietum boni-henrici Br.-Bl. 1949 52

Nelle fasce subalpina e alpina si incontrano in pratica solo pascoli spontanei (non inerbiti artificialmente) permanenti. Sono compresi quattro tipi principali: le formazioni a Nardus stricta (nardeti), quelle pingui e quelle nitrofile. I nardeti non hanno trattamento omogeneo da parte dei fitosociologi. Le classificazioni pi usate per le Alpi sono quelle proposte da Oberdorfer e da Ellmauer e Grabherr. Il primo autore li riconduce tutti allassociazione del Nardetum alpigenum, classe di Nardo-Callunetea, mentre Ellmauer e Grabherr li suddividono in base alla quota altimetrica e alle relazioni sindinamiche in due classi: Calluno-Ulicetea per le formazioni pi basse a ingressione con le brughiere e Juncetea trifidi (o Caricetea curvulae) per quelle pi elevate a ingressione con le praterie primarie. Qui viene seguita limpostazione, pi semplice, di Oberdorfer. I pascoli pingui e nitrofili si riconducono rispettivamente alle associazioni del Crepido-Festucetum rubrae, classe Molinio-Harrhenatheretea e del Rumicetum alpini e Poo-supinae-Chenopodietum boni henrici, classe Chenopodietea. Linquadramento sistematico delle tre formazioni illustrato in tabella 2.6. Per estensione e frequenza, Nardetum alpigenum detiene indiscutibilmente il primato tra i pascoli della catena alpina. La sua fisionomia ha come elemento peculiare Nardus stricta, graminacea cespitosa e gregaria a elevata capacit di concorrenza, grande adattabilit e ampi limiti ecologici. In condizioni naturali essa subisce laggressivit della altre specie spontanee e solo di rado e su brevi tratti in pendio in matrici grossolane e povere riesce ad imporsi, andando a costituire nardeti primari. Nelle superfici pascolive, invece, prende facilmente il sopravvento, avendo notevole resistenza al calpestio, al compattamento del suolo, allacidit e alla temporanea saturazione idrica del substrato ed essendo poco appetita al bestiame ( consumata dai bovini solo in fase giovanile). Sfruttamenti intensivi e irrazionali possono cos condurre a nardeti estremamente impoveriti e degradati, mentre con carichi pi equilibrati e corretti le cotiche conservano maggiore diversit e valore foraggero. Il corteggio floristico, oltre che della pressione zoogena, risente ovviamente anche delle linee dinamiche di collegamento con la vegetazione originaria, ci che consente di distinguere numerose subassociazioni, varianti e facies. Crepido-Festucetum rubrae sostituisce i nardeti nei distretti pianeggianti o in leggero declivio della fascia subalpina, su suoli profondi, fertili, ben umificati e idratati, dove una pressione zoogena ben bilanciata assicura buone restituzioni organiche senza compromettere pi di tanto la ricchezza floristica. Il manto erboso compatto e lussureggiante, provvisto di un nutrito gruppo di specie foraggere graminacee (part. Festuca gr. rubra, Phleum alpinum, Poa alpina), leguminose (Trifolium pratense, T. repens e altri trifogli) e di altre famiglie (Achillea millefolium, Alchemilla spp., Crepis aurea, Leontodon spp., Taraxacum officinale e altre), che ne fanno il pascolo pi produttivo e nutriente. Nel caso in cui i carichi animali diventino eccessivi, laggruppamento si deteriora, sfumando progressivamente nella vegetazione nitrofila. Lassociazione pi comune, espressione di massimo degrado zoogeno del pascolo, Rumicetum alpini (Romiceto). Caratteristica delle aree di riposo e sosta del bestiame, ha come elemento ecologico determinante lelevata concentrazione edafica di azoto nitrico-ammoniacale derivato dalle deposizioni organiche animali, non smaltibili con i processi di ossidazione delle microflore terricole. Il carico azotato fortemente selettivo per le piante. La compagine si presenta pertanto molto depauperata, dominata talvolta in modo quasi esclusivo dal romice alpino (Rumex alpinus). La monotonia del romiceto interrotta da poche altre specie nitrofile, in particolare il senecio alpino (Senecio cordatus), lo spinacio selvatico (Chenpodium bonus-henricus), il cirsio spinosissimo (Cirsium spinosissimum), gli aconiti (Aconitus spp.). Sporadicamente, questi elementi possono prendere il sopravvento, determinando associazioni caratteristiche, ma di estensione sempre molto modesta. Tra queste la pi diffusa il Poo supinaeChenopodietum boni-henrici, che ricorre nelle immediate adiacenze dei muri delle malghe, nei siti molto calpestati. Nel Romiceto si sviluppano facilmente elementi fungini e parassiti animali pericolosi per la salute del bestiame e delluomo.

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Tab. 2.7 Schema sintassonomico dei prati stabili montani

MOLINIO-HARRHENATHERETEA Txen 1937 (HARRHENATHERETEA Br.-Bl. 1947) Harrhenatheretalia elatioris Pawlowski 1928 Harrhenatherion elatioris Br.-Bl. 1925 Harrhenatheretum elatioris Br.-Bl. 1919 Triseto-Polygonion bistortae Br.-Bl. 1947 Trisetetum flavescentis (Schrter) Brockm. Jer. 1907

2.7. I prati Il taglio ha un forte effetto selettivo sulla vegetazione, escludente per tutte le specie legnose e stimolante per le erbacee capaci di riprodursi vegetativamente mediante stoloni, rizomi o germogli secondari. Come il pascolamento, determina dunque la formazione di comunit erbacee stabili (disclimax). Queste tendono ad essere molto simili tra loro, anche laddove dislocate in ambienti vegetazionali diversi, a dimostrazione di come il complesso dei fattori antropici, e tra essi in particolare il ritmo dei tagli e la fertilizzazione, prevalga sui fattori naturali. Solo lidromorfia del suolo rivela un certa influenza. Si spiega cos perch nella fascia subalpina si osservi una sola associazione prativa, il Trisetetum flavescentis. Il popolamento per altro qui presentato con laltra comunit tipica dei prati di monte, ma delle basse quote e del fondovalle: lHarrhenatheretum elatioris. Lo stretto collegamento, sottolineato anche dalla comune appartenenza allordine di Harrhenatheretalia (Tab. 2.7), ne giustifica infatti la trattazione congiunta. Trisetetum flavescentis (Triseteto) aggruppamento mesofilo che ha nellavena bionda (Trisetum flavescens) lelemento fisionomico caratteristico. Ad esso si uniscono soprattutto Agrostis tenuis, Alchemilla vulgaris, Carum carvi, Crocus albiflorus, Polygonum bistorta, Trollius europaeus e Viola tricolor. Agrostis tenuis e, ancor pi, Polygonum bistorta possono essere molto abbondanti su suoli freschi e poco drenati, che si imbevono di acqua nella stagione primaverile in concomitanza dello scioglimento della neve e delle abbondanti piogge. In condizioni di maggiore aridit e su suoli ben drenati, sono agevolate altre specie, come Achillea millefolium. Arrhenatheretum elatioris (Arrenatereto) popolamento pi termofilo, di ambienti a ciclo vegetativo pi lungo, terreni pi profondi e a maggiore disponibilit idrica. Componente distintiva principale avena altissima (Arrhenatherum elatius), che sovrasta qui o sostituisce completamente lavena bionda. Altre entit indicatrici sono la salvia dei prati (Salvia pratensis), nei terreni asciutti e la coda di volpe (Alopecurus pratensis), nei terreni umidi, oltre a Crepis biennis, Galium mollugo, Geranium pratense, Pastinaca sativa e altre ancora. I due popolamenti condividono un ampio contingente di specie, le pi significative in termini di biomassa e di valore foraggero e maggiormente legate alle pratiche colturali. Tra le graminacee si possono citare Anthoxanthum odoratum, Cynosurus cristatus, Dactylis glomerata, Festuca pratensis, Holus lanatus, Lolium perenne, Poa pratensis e Poa trivialis; tra le leguminose Trifolium pratense, Trifolium repens e Lotus corniculatus; tra le altre famiglie Cerastium holosteoides, Heracleum sphondylium, Pimpinella major, Rumex acetosa, Silene vulgaris e Taraxacum officinale. Con utilizzazioni intensive, soprattutto alti apporti azotati, alcune di queste specie tendono a dominare le cenosi, banalizzandole e privandole delle specie caratteristiche, rendendo cos disagevole il loto inquadramento fitosociologico. In condizioni idriche estreme, le cotiche di entrambe le associazioni assumono fisionomie di transizione verso le praterie naturali aride (festuceti e brometi) e umide (molinieti e cariceti). 54

3. Prerogative foraggere dei pascoli


3. 1. Il problema dellassunzione selettiva La conoscenza delle prerogative foraggere delle fitocenosi pascolive, tanto in termini di produzione, quanto di qualit nutrizionale in senso lato, rappresenta un elemento cardine per assicurare una buona copertura dei fabbisogni nutritivi del bestiame e per una gestione razionale del pascolo. Queste prerogative andrebbero riferite alla biomassa effettivamente assunta dagli animali che, come noto, non coincide mai con quella offerta, a causa del carattere selettivo dei prelievi. A titolo esemplificativo si riportano in tabella 3.1 i dati di un lavoro effettuato in una malga trentina, dove traspare chiaramente la disparit di consumo delle specie componenti la cotica: alcune, come Agrostis tenuis, Phleum alpinum, Poa alpina, Trifolium pratense e T. repens sono prelevate in abbondanza, altre, in particolare Nardus stricta e Deschampsia caespitosa, sono quasi del tutto trascurate. Oltre che nei confronti delle specie, lazione selettiva si esplica anche entro la pianta, in modo particolare nel bestiame ovi-caprino, ma, seppur in misura minore, negli stessi bovini, nonostante unanatomia dellapparato boccale meno idonea. La biomassa prelevata pu essere determinata ricavando lenergia consumata dagli animali a partire dalle loro prestazioni produttive (latte, carne, lana etc.), oppure, in maniera meno precisa, ma molto pi semplice, misurando la biomassa prima e dopo il pascolamento e calcolando per differenza lingerito. I numerosi fattori intrinseci (specie, razza, et, stato fisiologico e sanitario etc.) ed estrinseci (condizioni climatiche, stato delle cotiche, carichi istantanei e modalit di pascolamento) che interferiscono con lattivit alimentare al pascolo attribuiscono tuttavia al dato un significato circoscritto, utile pi per esprimere valutazioni sulla gestione della cotica che non per caratterizzarla.

Tab. 3.1 Confronto tra contributi specifici e composizione floristica dei prelievi da parte di bestiame bovino in un pascolamento estensivo (indice di utilizzazione del 35%) in Malga Juribello (Trento) (Clementel e Orlandi, 2001).

Contributo specifico (%) Festuca rubra Agrostis tenuis Anthoxantum alpinum Poa alpina Phleum alpinum Alchemilla vulgaris Leontodon hispidus Carex sempervirens Trifolium pratense, T. repens Ranunculus acris Potentilla aurea Avenella flexuosa Geum montanum Nardus stricta Deschampsia caespitosa Altre 22 6 7 2 3 6 3 2 2 2 1 1 2 12 14 14

Composizione floristica dei prelievi (%) 27 10 9 5 5 5 4 3 4 2 1 1 1 1 1 22

Utilizzazione specifica (%) 43 58 45 88 58 29 47 53 70 35 35 35 18 3 3 55 55

Necessariamente, dunque, la potenzialit foraggera viene di norma riportata allintera biomassa aerea presente che, pur con i limiti citati, rappresenta un dato oggettivo e dunque confrontabile. A parit di altri fattori, esso sar tanto pi prossimo allingerito quanto pi il coefficiente di utilizzazione della biomassa sar elevato, come avviene in situazioni di pascolamento intensivo; viceversa, sar tanto pi distante con coefficiente basso, tipico del pascolamento estensivo, dove gli animali possono selezionare molto i prelievi. Tra i molteplici elementi che condizionano quantit e qualit nutritiva della biomassa, occupano un ruolo preminente il profilo floristico e lo stadio di sviluppo della cenosi. Il potenziale foraggero varia infatti da specie a specie e la sua espressione muta rapidamente con lo sviluppo fenologico delle piante. Ne consegue una spiccata variabilit spaziale e temporale, luna subordinata al complesso di relazioni che legano le comunit vegetali ai fattori climatici ed edafici, laltra alla successione e sovrapposizione dei cicli biologici delle specie componenti il popolamento. 3.2. Produzione La capacit produttiva di una cotica pu essere espressa dal picco di biomassa aerea, ossia dalla produzione primaria netta riferita alla sola frazione epigea (qui comunque indicata come PPN, anche se questa riguarderebbe tutta la biomassa prodotto, ipogea ed epigea), caratteristica fondamenale di ogni ecosistema correlata alla quantit di energia fissata dalle piante. Nelle praterie della montagna alpina, gli estremi di variazione produttiva sono rappresentati da valori di circa 0,5 e 6,5 t ha-1 di s.s. Tra i fattori ambientali che sostengono tale variabilit, quelli cui si riconosce maggiore incidenza sono la temperatura dellaria, la fertilit del suolo e il suo stato idrico. Da unindagine condotta dallIstituto Sperimentale per lAssestamento Forestale e lAlpicoltura di Villazzano (TN) negli anni 1994-2002 su 70 stazioni delle Alpi Centrali italiane per altro emerso un ruolo secondario del fattore idrico, spiegabile con il fatto che, sui rilievi alpini, lumidit si rivela limitante solo nelle postazioni in forte declivio, con esposizione a meridione e nelle vallate interne, caratterizzate da una relativa scarsit di precipitazioni estive. Nello studio, il fattore temperatura stato compreso nel fattore altimetria, in ragione del parallelismo che esiste tra le due variabili (per le Alpi Centrali italiane, per ogni aumento di 100 m di quota si stima una riduzione di 0,56 C della temperatura media annua). La fertilit della matrice stata invece espressa attraverso lindice ecologico N di Ellenberg, su una scala 1-9. Lindice stato definito come media degli indici delle specie componenti, ponderando sulle percentuali di ricoprimento. Le correlazioni delle due variabili con la PPN sono risultate entrambe altamente significative (Fig. 3.1). Nellinsieme si evidenziata una riduzione di 0,27 t ha-1 di s.s. ogni 100 m di aumento di quota ed un incremento di 0,89 t ha-1 di s.s. per ogni punto dellindice N. Le diverse tipologie di pascolo, avendo differenti ecologie, hanno ovviamente mostrato comportamenti peculiari. I mesobrometi (Mesobromion), essendo concentrati nelle sezioni pi basse ed asciutte, hanno dato produzioni correlate con la sola fertilit del terreno e comprese fra 1,3 e 5,6 t ha-1 di s.s. I seslerieti (Seslerion albicantis), gi maggiormente dispersi nella fascia soprastante la vegetazione arborea, ma strettamente vincolati a substrati calcarei, sottili, acclivi e ben esposti, sono parsi pi correlati allaltimetria che non allindice N, con produzioni oscillanti da 0,4 a 2,2 t ha-1 di s.s. Nardeti (Nardion), poieti (Poion) e altre tipologie minori, essendo meno zonali delle comunit precedenti, hanno rivelato un parallelismo pi esteso e marcato tra biomassa e quota altimetrica, mentre nei confronti del fattore edafico si evidenziata laffinit dei nardeti per i substrati pi poveri e dei poieti per quelli pi fertili, senza per altro azzerare le correlazioni con lindice N. I livelli di biomassa sono risultati compresi, nellordine, in 0,3-2,5 e 1,0-4,1 t ha-1 di s.s. Come si pu notare, la variabilit fitocenotica ragguardevole, ma altrettanto, se non di pi, lo quella entro le fitocenosi, in particolare in quelle a determinismo antropico, meno vincolate alle fasce altitudinali e a specifiche situazioni ecologiche e dunque pi inclini ad estendersi in ambiti variegati sotto il profilo pedo-climatico. 56

Fig. 3.1 Rette di regressione della produzione in sostanza secca su altitudine (sopra) e indice N di Ellemberg (sotto) in pascoli delle Alpi Centrali Italiane

6
y = -0 ,0 0 2 7 x + 6 ,7 7 6 R 2 = 0 ,5 2 8 **

4
s.s. (t ha )
-1

0 1000

1200

1400

1600

1800

2000

2200

2400

a ltitu d in e (m s .l.m .)

6
y = 0,890x - 1,571 R 2 = 0,417 **

4
s.s. (t ha )
-1

0 2 3 4
indice N
mesobrometi

seslerieti

poeti

nardeti

altre tipologie

57

La funzione di regressione della produzione sulle due variabili risulta altamente significativa e di discreto valore predittivo (R2 = 0,582**) ed assume la seguente forma: y = 0,184 a + 54,973 b + 304,86 dove : y = produzione in kg ha-1 di s.s. a = altitudine in metri b = indice N di Ellenberg La PPN tuttavia una misura puntuale, utile quindi in termini relativi, ossia per un confronto tra le fitocenosi, ma non del tutto soddisfacente ai fini della pianificazione del pascolo, per la quale occorre conoscere landamento della biomassa nellarco della stagione. A livello di singola specie, questo andamento vede una continua crescita dalla ripresa vegetativa fino allo stadio di inizio senescenza della pianta, cui segue la fase di declino. I ritmi di crescita mutano naturalmente da specie a specie. Nella vegetazione polifita, landamento il risultato della sovrapposizione dei cicli dei diversi elementi componenti e varia pertanto con il tipo di popolamento. Vi inoltre la difficolt a definire le fasi di sviluppo fenologico della comunit, dato che le specie, anche per ragioni di competizione, tendono a separare i loro cicli. I pastoralisti francesi hanno dato una soluzione al problema dimostrando lesistenza di una stretta relazione tra sviluppo fenologico delle specie e somme termiche su base 0C, calcolate a partire dallo scioglimento della neve (il decorso della temperatura infatti il principale fattore di regolazione dei fenomeni vitali delle piante: germinazione, fioritura, fruttificazione). Essi hanno quindi proposto di esprimere landamento produttivo in funzione di queste termiche, ricavando lo stadio di sviluppo del popolamento come media aritmetica tra i gradi-giorno corrispondenti allo stadio fenologico delle specie pi rappresentative (una quindicina sono sufficienti). Essi hanno anche evidenziato come dette relazioni mutino per territorialmente con il clima, ci che impone una calibrazione per aree omogenee, oltre che per tipo di pascolo. Per le Alpi Centrali Italiane sono disponibili al momento i modelli elaborati dallIstituto Sperimentale per lAssestamento Forestale e per lAlpicoltura di Villazzano (TN) per pascoli di media quota e dalla Fondazione Fojanini di Studi Superiori di Sondrio per pascoli di alta quota (Tab. 3.2 e Fig. 3.2). Naturalmente essi sono tanto pi attendibili quanto pi le condizioni nelle quali si applicano sono analoghe a quelle in cui sono stati costruiti. Inoltre, sono condizionati da effetti dannata legati ai decorsi meteorologici, che possono innalzare o abbassare le curve, lasciandole tuttavia pressoch inalterate nella forma, salvo nelle stagioni del tutto anomale. Per svincolarsi dalleffetto dannata sufficiente esprimere la funzione in termini di percentuale della PPN. Una misura della biomassa in uno qualsiasi degli stadi di sviluppo della fitocenosi allora sufficiente per ricostruire la curva dei valori assoluti. Le relazioni tra fasi fenologiche delle specie e somme termiche sono indicate in allegato 1. Le curve ribadiscono come al crescere della quota si accorci il ciclo vegetativo, si raggiunga pi precocemente il picco produttivo e si inneschi pi rapidamente il processo di senescenza. Nella fascia alpina il vertice di biomassa secca raggiunto gi a 540 gradi-giorno nel curvuleto e 690 nel nardeto, mentre nel nardeto subalpino ne occorrono 1.200. In termini di energia netta i massimi sono leggermente anticipati, in misura decrescente con la quota: nellordine 520, 665 e 1.100 gradigiorno. Le PPN medie corrispondenti sono di 0,88, 1,60 e 1,85 t ha-1 s.s. come biomassa e circa 820, 1.350 e 1.270 UFL ha-1 come energia netta.

58

Tab. 3.2 Funzioni di crescita quantitativa (biomassa ed energia) in tre fitocenosi pascolive espresse come percentuali della PPN in funzione delle somme termiche (da Gusmeroli et al., 2005)

Biomassa secca (t ha-1 di s.s.) Nardeto subalpino Nardeto alpino Curvuleto Y = 6,673 + 0,0439x 5,489e-05x2 + 2,742e-08x3 5,219e-10x4 (r2 = 0,755) Y = 18,320 + 0,345x 0,0003x2 (r2 = 0,852) Y = + 1,912 + 0,366x 0,0003x2 (r2 = 0,804)

Energia netta (UFL ha-1) Y = 172,158 + 2,281x 0,001x2 (r2 = 0,987) Y = 32,431 + 0,394x 0,0003x2 (r2 = 0,888) Y = + 15,695 + 0,32x 0,0003x2 (r2 = 0,780)

Fig. 3.2 Modelli di sviluppo ricavati dalle funzioni di cui alla tabella 3.2

59

3.3. Metodi di stima della produzione La valutazione della produzione di un pascolo operazione pi complessa di quella di un prato, in ragione della numerosit dei tipi, della variabilit spaziale, della discontinuit delle cotiche e delle difficolt operative. A maggior ragione, dunque, lispezione di tutta la superficie praticabile solo in caso di piccole superfici e diviene ineludibile il ricorso a campionamenti. Come per qualsiasi altra rilevazione, il problema del campionamento riguarda la dimensione, il numero, la forma e la distribuzione delle aree o unit di campionamento. Dimensione e numero sono strettamente legate tra loro. Il criterio guida principale di ottenere una varianza minima e una distribuzione regolare (simmetrica) dei dati. Dal punto di vista teorico, maggiore precisione assicurata da unit piccole e numerose. Vi sono tuttavia dei limiti legati rispettivamente allaumento dellincidenza degli effetti di bordo e allonerosit della gestione. Aree troppo piccole non controllano inoltre bene le specie meno abbondanti. Viceversa, unit troppo grandi richiedono tempo aggiuntivo per le rilevazioni senza un proporzionale ritorno dinformazione. Lincremento delle dimensioni delle unit riduce la varianza e, quindi, consente teoricamente di ridurre il numero delle repliche. Questo vantaggio pu tuttavia essere vanificato dal notevole aumento dei limiti di confidenza della media che si ha quando i gradi di libert sono pochi (t di Student). La soluzione ottimale si stabilisce dunque aumentando la dimensione delle aree e riducendo il loro numero fino a che non emergono effetti negativi sulla precisione. Larea ottimale, in particolare, pu essere identificata sperimentalmente con il metodo delle parcelle nidificate. La laboriosit ne limita per altro fortemente luso, per cui normalmente si adottano soluzioni standard eventualmente adattate alla realt specifica. Al riguardo assumono importanza, con il tipo di vegetazione, la quantit e lomogeneit della biomassa, al cui crescere diminuisce lerrore sperimentale o, se si vuole, migliora la precisone delle osservazioni. La bont del campionamento altres influenzata dalla forma delle unit. Entit lunghe e strette hanno coefficienti di variazione minori quando posizionate lungo il gradiente di eterogeneit. Laddove il gradiente non noto, meglio usare forme isodiametriche (quadrato o cerchio). In merito alla distribuzione delle unit, quando possibile opportuno rispettare il criterio della casualit, che consente lutilizzo di test statistici. Si possono eseguire campionamenti completamente casuali, sistematici, stratificati e cos via in relazione allambiente e alle finalit del lavoro. Circostanze particolari possono per altro orientare la scelta verso procedure non casuali, che precludono per lapplicazione dei test statistici. Il sistema di campionamento deve naturalmente tenere conto anche delle modalit con le quali si stima o misura la quantit di biomassa. Le procedure, non diversamente da altri tipi di vegetazione, si possono suddividere in dirette, indirette e miste, con laggiunta di specifici metodi basati sui rilievi floristici. 1. Metodi di rilevamento diretto della biomassa Stimano la produzione per mezzo della raccolta, pesata ed essiccazione della biomassa nelle aree campione, di varia forma ed estensione, sottratte al pascolamento mediante recinzioni o dispositivi mobili (gabbie di esclusione). Se le misurazioni sono replicate e sufficientemente accurate, si possono evidenziare scarti di lievissima entit. Hanno il vantaggio di poter misurare lintera biomassa o di ripartire questa per specie, gruppi di specie, massa viva e necromassa etc., secondo le necessit. La ripartizione fatta a tavolino, di norma sul materiale verde. La raccolta della biomassa si pu eseguire mediante falciatrici, tosaerba o falcetti, in rapporto alle condizioni logistiche e allaltezza del manto erboso. Nelle praterie alpine, il metodo dimostratosi efficace nel controllare adeguatamente la variabilit, senza appesantire eccessivamente il lavoro, consiste, secondo i pastoralisti di Villazzano, nel taglio mediante tagliabordi elettrico di sei strisciate lungo le linee di massima pendenza, di dimensione (0.10 x 15) m. Lerrore si mantiene ad un livello di 10%, alla soglia di probabilit statistica del 95%. Altre modalit, come quelle suggerite nei metodi di Caputa e di Corrall-Fenlon studiati per il 60

pascolo turnato, prevedono tradizionali parcelle sfalciate con falciatrice o falcetti. Altre ancora, piccoli quadrati di lato 1 m o altra dimensione o altra forma, tagliati con falcetto o tosaerba. Per quanto riguarda le frequenze di taglio, se lobiettivo si riduce alla stima della biomassa in un dato momento, chiaramente sufficiente un solo intervento. Se si desidera invece costruire delle curve di crescita, occorre ripetere i tagli a cadenze prefissate, di norma settimanali (le curve di cui alla figura 3.2 sono state costruite in questo modo, mediando su tre-cinque anni di osservazione). La massa raccolta pu essere pesata per determinare il peso fresco o verde. Questo include lacqua inter e intra-cellulare e lumidit esterna dovuta al vapore di condensazione e alle precipitazioni e risulta quindi molto variabile, influenzato com dallo stato di umidit delle piante e dalle condizioni atmosferiche. preferibile pertanto misurare il peso secco, ricorrendo allessiccazione in stufa del materiale. Lessiccazione fatta a temperature di 60 o 105 C. La temperatura superiore pu determinare perdite di ammoniaca e carboidrati, soprattutto su materiale giovane: dunque consigliabile solo quando non vengano effettuate analisi chimiche. 2. Metodi di rilevamento indiretto della biomassa A differenza dei precedenti, sono sistemi dindagine non distruttivi, che non compromettono quindi la vegetazione. Si rivolgono a caratteristiche diverse dalla quantit di biomassa, ma ad essa correlate e pi facilmente e speditamente misurabili. I risultati sono ovviamente meno precisi, ma sono possibili molte ripetizioni nello spazio e nel tempo. sempre per altro indispensabile la taratura con una procedura diretta. Tra le varie metodologie, le pi note e applicate nei pascoli alpini sono quattro. La pi pratica e semplice la stima a vista, dove loperatore apprezza la biomassa senza il supporto di alcuna attrezzatura. La bont dei risultati subordinata alla capacit estimativa del soggetto, che va affinata, oltre che con la taratura, con un adeguato periodo di addestramento. Una seconda modalit estimativa fa riferimento allaltezza dellerba, misurata con appositi strumenti (regoli ed erbometri) costituiti normalmente da unasta graduata lungo la quale si muove un cursore di varia forma e dimensione. Laltezza correlata alla biomassa in maniera diversa secondo il tipo di fitocenosi. A titolo del tutto indicativo, ogni cm di coltre erbosa matura oltre i 3 cm basali di stoppie equivale ad una produzione di 100 kg di s.s. ha-1. La distribuzione della massa lungo il profilo non per altro uniforme, ma tende a concentrarsi nelle parti basse, dove la coltre pi fitta. Tra i metodi non distruttivi quello che concilia meglio precisione, semplicit e rapidit. Una terza procedura di rilevamento fa riferimento alle modificazioni di capacitanza di un sistema (capacimetro) introdotto nellerba, funzione dellarea totale delle foglie e dei fusti insistenti sulla superficie intorno allo strumento. Le interferenze della struttura, della composizione floristica, dello sviluppo fenologico, del tasso di umidit e della quota di necromassa impongono unaccurata taratura delle apparecchiature nelle diverse situazioni fitocenotiche. Queste apparecchiature, come del resto anche gli erbometri, forniscono dati meglio correlati alla biomassa secca che non alla verde. Lultima metodica, di pi recente introduzione, impiega misure di riflettanza fornite da spettroradiometri a terra o anche immagini satellitari. Si basa sulla relazione che lega la risposta spettrale delle piante alla concentrazione di biomassa. La taratura anche qui indispensabile. 3. Metodi di rilevamento misti (Il doppio campionamento) Prevedono simultanee rilevazioni dirette e indirette, nellintento di compendiare la precisione delle prime e la rapidit delle seconde. Si effettua un doppio campionamento casuale. Il primo piuttosto numeroso e serve a stimare indirettamente (a vista, o con un altro dei metodi descritti) la biomassa (o delle parti che interessano). Il secondo campionamento, di piccole dimensioni, realizzato tra i siti del primo campionamento (sottocampione) e serve a misurare la biomassa con metodo diretto (raccolta e pesatura). Si pu ricavare cos la retta di regressione dei pesi 61

misurati (y) in funzione di quelli stimati (x) e la retta usata per predire i valori di y in tutti gli altri siti del campionamento ampio. Una prima stima della media complessiva (My) allora derivata: My = my + b (mx mx)
dove: my = media dei pesi misurati del sottocampione mx = media dei pesi stimati con metodo indiretto mx = media dei pesi stimati con metodo diretto b = coefficiente per la regressione dei minimi quadrati di My su mx mx

La varianza di My :

v (My) = s2y.x/n + (sy2 s2y.x)/n


dove:

s2y.x = devianza residua divisa per i GDL del sottocampione (n-1) n = numerosit del sottocampione n = numerosit del campione

Quindi:

s2y.x = n[yi (a + bxi)]2/(n 1) s2y = n(yi my)2/(n 1)


dove :

yi = misura iesima di peso diretto; my = media dei pesi diretti

La varianza si riduce, naturalmente, allaumentare delle dimensioni del campione e del sottocampione (vedi formula), ma incrementano i costi. Esistono delle formule che in base ai costi delle rilevazioni e alla variabilit delle misurazioni forniscono il rapporto ottimale tra n e n. Questo rapporto tender a diminuire al ridursi dello scarto tra le rilevazioni dirette e indirette. 4. Metodi basati sui rilievi floristici Sono noti due metodi di stima della biomassa a partire dai rilievi floristici, basati luno sugli indici ecologici di Landolt, laltro sugli indici foraggeri. Entrambi conducono ovviamente a risultati approssimativi, che ne suggeriscono un uso prudente ad integrazione e complemento di altri sistemi pi solidi. Il metodo derivato dagli indici ecologici stato proposto dai ricercatori dellIstituto di Alpicoltura di Villazzano (TN) per i pascoli delle Alpi Centrali Italiane, non concimati chimicamente. La biomassa, espressa in q ha-1 di s.s., calcolata sulla seguente equazione di regressione multipla: Y = -89.11 + 19.801 XF + 21.333 XT
in cui: XF = Indice di umidit della cotica XT = Indice di temperatura della cotica

Il metodo degli indici foraggeri stato elaborato da Daget e Poissonet e prevede il calcolo del cosiddetto valore pastorale. Questo non altro che lindice foraggero della comunit riportato a 100. Gli indici variano su una scala 0-5, mentre i contributi specifici o produttivi sono rilevati con un apposito procedimento messo a punto dai due autori. La formula del valore pastorale dunque la seguente:
in cui: CSi = Contributo specifico iesima specie ISi = Indice specifico iesima specie

VP = 0,2 x CSi x ISi

La biomassa, espressa come PPN in termini di unit foraggere latte (UFL), si ricava moltiplicando il VP per un coefficiente di conversione kVP: 62

Tab. 3.3 Rette di regressione dei parametri bromatologici in funzioni delle somme termiche in tre fitocenosi pascolive (da Gusmeroli e al., 2005) (Le funzioni in corsivo non sono statisticamente significative)

Nardeto subalpino Y = 13,501 0,00285x Protidi grezzi (% s.s.) (r2 = 0,755) Y = 44,253 + 0,00577x NDF (% s.s.) (r2 = 0,605) Y = 26,858 + 0,00638x ADF (% s.s.) (r2 = 0,810) -1 Energia netta (UFL kg s.s.) Y = 0,801 0,00011x (r2 = 0,840) Non determinata Ceneri (% s.s.) Calcio (% s.s.) Fosforo (% s.s.) Y = 1,045 0,00008x (r2 = 0,138) Y = 0,173 0,00001x (r2 = 0,073)

Nardeto alpino Y = 20,052 0,011x (r2 = 0,888) Y = 56,858 + 0,01224x (r2 = 0,462) Y = 29,797 + 0,00084x (r2 = 0,003) Y=0,83160,0000014x (r2 = 0,003) Y = 3,9528 0,00112x (r2 = 0,003) Y = 0,248 + 0,00008x (r2 = 0,395) Y = 0,183 + 0,00012x (r2 = 0,515)

Curvuleto Y = 22,64 0,015x (r2 = 0,836) Y = 50,264 + 0,00722x (r2 = 0,205) Y = 23,306 + 0,00603x (r2 = 0,400) Y = 0,9398 0,0001x (r2 = 0,400) Y = 5,5588 0,0017x (r2 = 0,348) Y = 0,501 + 0,00033x (r2 = 0,480) Y = 0,257 + 0,00013x (r2 = 0,313)

UFL = VP x kVP Sullattendibilit dei risultati incide principalmente il coefficiente di conversione, che in assenza di pi precise informazioni locali si pu indicativamente fissare in: 66 UFL ha-1 anno-1 nella fascia montana 55 UFL ha-1 anno-1 nel la fascia subalpina inferiore 44 UFL ha-1 anno-1 nella fascia subalpina inferiore 36 UFL ha-1 anno-1 nella fascia alpina inferiore 15 UFL ha-1 anno-1 nella fasci alpina superiore In modo estensivo, il metodo pu essere applicato anche a partire da indici foraggeri diversi da quelli proposti da Daget e Poissonet (De Vries, Klapp, Knapp, Sthaelin etc.), modificando opportunamente, in funzione della scala, il coefficiente 0,2. altres possibile utilizzare parametri floristici differenti dal contributo produttivo (indici di abbondanza, percentuali di ricoprimento etc.), quali derivano ad esempio da rilievi fitosociologici. 3.4. La qualit nutritiva Mentre, come visto, la produzione influenzata sensibilmente dalle condizioni edafiche e climatiche, il valore nutritivo del pascolo, pur denunciando una certa variabilit fitocenotica, ha come prima fonte di variazione il ciclo vegetativo. Anche per i parametri nutritivi occorre dunque rifarsi, anzitutto, alla relazione con la sinfenologia, espressa attraverso le somme termiche. A differenza della biomassa, le variazioni qualitative assumono forma lineare (Tab. 3.3 e Fig. 3.3). Le variazioni vanno tutte nella direzioni di un progressivo peggioramento con il procedere della stagione. Ci dipende anzitutto dalla diminuzione del rapporto foglie/steli e allaumento e lignificazione della fibra nei tessuti, che accompagnano la crescita delle piante fin dai primi stadi e diventano molto pronunciati in corrispondenza della fase riproduttiva di senescenza. Il polifitismo 63

Fig. 3.3 Diagrammi delle funzioni significative di tabella 3.3

64

non modifica questo andamento, ma attenua e regolarizza le variazioni, separando, per quanto possibile, i cicli delle specie. Le rette di regressione del tenore in protidi grezzi si rivelano di altissimo valore predittivo (coefficiente di determinazione attorno al 80% in tutti i tipi). Le concentrazioni del nutriente e la variabilit lungo il ciclo vegetativo aumentano con la quota altimetrica. In corrispondenza della PPN i tenori si posizionano attorno al 15% e 12.5% s.s. nelle fitocenosi alpine del curvuleto e del nardeto e al 10.5% s.s. in quella subalpina. Le regressioni degli altri parametri risultano di minore valore predittivo e non cos omogenee tra le tipologie, pur in una sostanziale concordanza nei trend. In alcuni casi non sono raggiunte soglie di significato statistico. Anche per la concentrazione energetica emerge la superiorit delle cotiche a maggiore altimetria. In riferimento alla PPN, si passa da valori sempre superiori a 0,80 UFL kg-1 di s.s. nella fascia alpina a valori inferiori a 0,70 nella subalpina. I parametri fibrosi evidenziano invece una situazione contrastante: ADF appare superiore nel nardeto subalpino, mentre NDF nelle cotiche alpine. Per quanto riguarda gli elementi minerali, con il procedere della stagione calano i contenuti complessivi e peggiora notevolmente il rapporto calcio/fosforo. Il curvuleto mostra concentrazioni nettamente superiori al nardeto per ambedue gli elementi.

Tab. 3.4 Fattori che influenzano lappetibilit del foraggio nel pascolo (+ positivamente; negativamente) (mod. da Vallentine, 1990).

Caratteri chimici delle singole specie Contenuto in protidi e zuccheri Contenuto in fibra e lignina Contenuto in sostanze tanniche Contenuto di sostanze tossiche Caratteri fisici delle singole specie Umidit delle foglie Dimensioni delle foglie Rapporto foglie/steli Presenza di spine e altri ostacoli al prelievo Abbondanza di fioritura Fattori fitocenotici Avanzamento ciclo vegetativo Presenza specie aromatiche Presenza foraggere scadenti Combinazioni specie complementari Fattori ambientali Imbrattamento con deiezioni Attacco di parassiti Superficie manto vegetale bagnato da rugiada Temperatura aria Et e abitudini dellanimale Carico animale

+ + + + + + + 65

3.5. Lappetibilit Nella valutazione delle prerogative foraggere del pascolo non si pu trascurare lappetibilit, la cui rilevanza si pone in relazione con la possibilit di selezione che il bestiame ha nelle condizioni di utilizzo diretto della fitomassa. Lappetibilit una qualit di difficile stima. Gi a livello di singola specie risulta condizionata da una quarantina di sostanze chimiche e da molteplici caratteri fisici della pianta, che si modificano continuamente con lo sviluppo fenologico. Per alcune specie pu inoltre mutare con let dellanimale, con labitudine al pascolamento e con le condizioni meteorologiche. A livello di comunit il tutto ulteriormente complicato, oltre che dalla diversit e dai rapporti quantitativi specifici, dal carico animale e altri fattori fitocenotici. In tabella 3.4 riportato un elenco ordinato delle principali variabili coinvolte. Prescindendo dai fattori ambientali, lappetibilit pu ritenersi in linea di massima calante con lavanzare del ciclo biologico della cenosi, in parallelo con il peggioramento dei parametri nutritivi e fisici delle principali piante componenti. Questo trend generale, correlato semplicemente alla combinazione specifica, pu tuttavia venire alterato in particolari situazioni floristiche. Un primo caso quello di popolamenti che vedono presenze significative di specie molto aromatiche (ombrellifere, achillea, romici, plantago e altre), ricche di metaboliti secondari (composti solforati volatili, composti fenolici e sesquiterpeni), che esercitano effetti attrattivi o dissuasivi nei confronti degli animali. In piccola dose, queste migliorano generalmente lappetibilit, ma se abbondanti possono conferire al foraggio eccessivo aroma, poco gradito al bestiame. Un secondo caso si ha laddove ricorrono specie molto scadenti dal punto di vista pastorale. Spesso, queste sono del tutto rifiutate negli stadi maturi, mentre sono consumate in fase giovanile. Lesempio pi emblematico quello di Nardus stricta, assunto dai bovini solamente prima dellemissione della spiga. Con il passaggio alla fase riproduttiva diviene duro e legnoso, ci che azzera del tutto la sua appetibilit. Allorch il ricoprimento elevato, la spigatura comporta un drastico crollo di appetibilit nellintera fitomassa. Tutte le specie, graminacee in particolare, mostrano questo andamento, ma nelle buone foraggere il processo meno repentino e marcato. 3.6. Gli indici foraggeri e il valore pastorale Per una stima sintetica e approssimativa della qualit del pascolo si pu ricorrere, in alternativa alle complesse e laboriose analisi bromatologiche, agli indici foraggeri, gi introdotti a proposito della misurazione della produttivit. La loro estrema semplicit consente applicazioni piuttosto interessanti ed estese. In particolare si prestano per la caratterizzazione di cotiche, circuiti di foraggiamento e spazi pastorali, fornendo dati relativamente stabili nel tempo, perch poco condizionati dagli andamenti meteorologici, a differenza di quanto succede con le analisi bromatologiche. Attraverso il valore pastorale sono inoltre utilizzati, come visto, per la stima del potenziale trofico delle cotiche. Gli indici foraggeri si riferiscono alle specie allo stato naturale, ossia entro le fitocenosi. Non sono validi n in coltura pura, n su materiale essiccato o comunque manipolato. Esistono numerosi indici proposti da diversi autori, indici che tuttavia non sono del tutto omogenei tra loro, ci sia nei criteri con cui sono stabiliti i valori, sia nelle scale di misurazione, sia nel significato stesso del parametro. Per quanto riguarda i criteri dattribuzione dei punteggi, nella maggior parte dei casi sono adottati valori fissi per ogni specie. Fanno eccezione gli indici di bont di Sthlin, che mutano in funzione della fenologia e della percentuale con la quale la specie concorre a formare la biomassa. Correttamente, Sthlin tiene conto della variabilit di valore nutritivo e appetibilit che accompagna il ciclo di sviluppo delle piante e del fatto che in associazione i rapporti quantitativi tra le specie ne possono, come gi sottolineato, modificare il gradimento. Il metodo di Sthlin presenta dunque il vantaggio di una maggiore precisione, a fronte per di una maggiore laboriosit. 66

Fig. 3.4 Andamento del valore pastorale in due fitocenosi pascolive in funzione delle somme termiche (da Gusmeroli e Della Marianna, non pubblicato) Curvuleto: Y = 58,33 0,0069 x Nerdeto alpino : Y = 17,89 + 0,0427 x 4,40e-0,5 x2 (r2 = 0,328) (r2 = 0,152)

70 60 50 40 30 20 10 0 0 200 400 600 800 1000 1200 Somme termiche (C) Nardeto alpino Curvuleto

In ordine alla scala, Sthlin adotta valori compresi tra 300 e 100, con i punteggi negativi ad indicare tossicit, i positivi pabularit crescente. Klapp, come Sthlin anchegli della scuola tedesca, propone una scala da 1 a 8, con il valore negativo attribuito sempre alle specie dannose, zero a quelle prive dinteresse pastorale e valori positivi per la pabularit. La scuola olandese di De Vries e collaboratori considera invece un intervallo da 0 a 10, mentre quella francese di Delpech e Daget e Poissonet da 0 a 5. Infine, anche rispetto al significato del parametro vi di nuovo una certa contrapposizione tra la scuola tedesca e le altre. Secondo Klapp e Sthlin, lindice, derivando dalle scelte dellanimale, rende esplicito fondamentalmente il grado di appetibilit della specie. Per De Vries e gli autori francesi, esso riassume invece una qualit globale, combinazione di molteplici variabili: velocit di crescita, valore nutritivo, appetibilit, sapore, assimilabilit, digeribilit e altro. Dal momento che le esigenze nutrizionali e il comportameto alimentare del bestiame variano con la specie, lindice si lega necessariamente al tipo di animale considerato, che , per tutti gli autori, il bestiame bovino. Solo Gusmeroli et al. propongono degli indici per il bestiame caprino, al momento per altro per un numero limitato di specie. Fondandosi (con la sola eccezione dellindice di Sthlin) su una relazione fissa con le specie, gli indici foraggeri non sono in grado di tenere conto, se non per la componente che riguarda la sola successione delle specie, della variabilit temporale che contraddistingue valore nutritivo e appetibilit delle cotiche. Ci appare evidente osservando le funzioni di valore pastorale illustrate in figura 3.4. Nella compagine del curvuleto, il modello pu essere assunto come lineare, mentre nel nardeto meglio approssimato da una curva unimodale ed pertanto rateizzato alla stregua delle funzioni produttive. Nella formazione a Carex curvula, landamento dellindice dunque comparabile a quello dei parametri nutrizionali, con una significativa tendenza al peggioramento nello sviluppo della stagione. Per il nardeto, la situazione simile a quella della biomassa, con un decorso dapprima crescente e poi decrescente. Il picco, pari a 25,6, raggiunto a 500 gradi-giorno di somma termica, con largo anticipo dunque sulla massima disponibilit di materia ed energia.

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3.7. Lingestibilit e il problema delligestione Il contrastante andamento della produzione e dei parametri nutritivi rende problematica lindividuazione del momento ottimale di utilizzazione del pascolo, obbligando ad un compromesso tra lesigenza di massimizzare il rendimento quantitativo e quella di conservare una buona qualit al foraggio. Questo momento si colloca quindi prima, o in prossimit, del raggiungimento della PPN espressa come energia netta. Pi sar anticipato, migliori saranno il valore nutritivo e lappetibilit del foraggio, a scapito della sostanza secca ed energia offerte per unit di superficie. Naturalmente, dato che la razione composta esclusivamente o in larga misura dal pascolo, non opportuno anticipare troppo lutilizzo, perch si avrebbero eccessivi squilibri nei rapporti tra i nutrienti (part. eccesso proteico e carenza di fibra, ma anche squilibri minerali). La flessibilit della scelta in linea generale superiore nelle cenosi di bassa quota, dove la variabilit pi graduale e la fase di picco produttivo pi appiattita e prolungata. Laltitudine, comprimendo il ciclo vegetativo, obbliga ad una maggiore tempestivit. Un elemento decisivo nel fissare il momento ottimale di utilizzazione lingestibilit del foraggio. Allorch lanimale non ha possibilit di scelta, il consumo volontario notoriamente condizionato dallingombro ruminale. Lingombro, che influenza la velocit di degradazione e il turn-over ruminale, a sua volta correlato (positivamente) al contenuto in pareti cellulari, ossia alla frazione neutro detersa della fibra. In presenza di elevate concentrazioni di NDF, il tempo di ruminazione si dilata proporzionalmente in ragione dellesigenza di ridurre la dimensione delle particelle dingesta mediante una pi accurata masticazione. Con foraggi maturi, esso pu superare le 10 ore giornaliere, limitando cos il tempo disponibile per il pascolamento attivo. Naturalmente, lingestibilit risente anche di altri fattori nutritivi, in particolare di squilibri e/o carenze nei contenuti energetici, proteici e minerali (fosforo in particolare), anche se sono soprattutto le elevate concentrazioni di fibra acido detersa (ADF) e di lignina (ADL) che possono limitare lattivit ruminale e i processi digestivi. La loro relazione con il parametro tuttavia meno rigida e non facilmente modellizabile. Meglio definito il rapporto con la digeribilit dellalimento, a sua volta determinata essenzialmente dal contenuto di lignina. Le due variabili manifestano un legame positivo molto stretto, seppur variabile con le specie: merita al riguardo di essere segnalata, a parit di digeribilit, la superiore ingestibilit delle leguminose nei confronti delle graminacee. Riprendendo dunque i dati precedenti di NDF, possibile costruire per i tre popolamenti le rette di regressione dellingestibilit in funzione delle somme termiche, utilizzando unequazione elaborata dai ricercatori della Cornell University, che calcola il consumo volontario massima teorico del foraggio per il bestiame bovino nellipotesi che la dieta sia costituita dal solo alimento esaminato (Fig. 3.5). Analogamente al valore nutritivo, anche lingestibilit cala progressivamente con lavanzare della stagione, in coerenza con il peggioramento cui vanno incontro le specie, soprattutto le graminacee, nel passaggio alla fase riproduttiva. Essa risulta inferiore nelle cenosi della fascia alpina, assumendo in corrispondenza del picco energetico valori di circa 2,43 kg di s.s. per 100 kg di peso vivo animale nel nardeto subalpino, di 1,85 nel nardeto alpino e di 2,23 nel curvuleto. Nellipotesi di una bovina del peso di 600 kg, lingestibilit massima sarebbe dunque rispettivamente di 14,6 kg, 11,1 kg e 13,4 kg di s.s. In linea teorica, dunque, anticipando leggermente lutilizzo del pascolo rispetto alla PPN energetica, si dovrebbe riuscire ad assicurare una buona ingestione, quantomeno nelle situazioni della fascia subalpina. Nella pratica, invece, difficilmente i bovini adulti riescono a prelevare quei 15 kg di s.s. che sono indicati come fabbisogno medio giornaliero di una lattifera. Normalmente si fatica a raggiungere i 12-13 kg. Lingestione diviene cos il vero fattore limitante le prestazioni produttive delle bovine al pascolo. Come noto dalla scienza dellalimentazione, lingestione controllata non solo da fattori di carattere nutrizionale, precisamente dalla capacit dingestione dellanimale e dallingestibilit dellalimento, ma anche da fattori estranei a questi, che condizionano la disponibilit dellalimento e la sua accessibilit. Questi fattori extra-nutrizionali, pur avendo un loro peso anche nel 68

razionamento in stalla, assumono particolare rilevanza al pascolo, dove i margini di controllo da parte delluomo sono ridotti. Il problema non dunque di carattere nutrizionale, ma riguarda la possibilit che ha lanimale di raccogliere il foraggio. Questa dipende da numerose variabili, le pi rilevanti delle quali sono la quantit di erba offerta agli animali, la sua appetibilit e la struttura del manto vegetale. Nel caso di pascolo libero, dove gli animali fruiscono di ampie superfici e quindi

Fig. 3.5 Andamento dellingestibilit massima (kg s.s. per 100 kg di peso vivo) in tre fitocenosi pascolive in funzione delle somme termiche (da Gusmeroli et al., 2005) Nerdeto subalpino : Nerdeto alpino : Curvuleto:
3 2.7 Kg s.s. / 100 Kg di p. v. 2.4 2.1 1.8 1.5 1.2 0 300 600 900 1200 1500 1800 2100 Somme termiche (C) Curvuleto Nardeto alpino Nardeto subalpino

Y = 2,677 0,00027 x Y = 2,092 0,00036 x Y = 2,391 0,00031 x

(r2 = 0,626) (r2 = 0,436) (r2 = 0,204)

Fig. 3.6 Relazione tra ingestione e altezza dellerba nei bovini e negli ovini con pascolo libero (da Delagarde et al., 2001)

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Fig. 3.7 Relazione tra ingestione e offerta di erba nei bovini con pascolo controllato (da Delagarde et al., 2001)

lofferta di alimento praticamente illimitata, lingestione dipende soprattutto dalla struttura della coltre erbosa, in particolare dalla sua altezza. Nella giornata, infatti, laltezza media della copertura rimane pressoch costante e gli animali tendono a consumare gli strati pi superficiali e fogliosi. La relazione (Fig. 3.6) vede dapprima un aumento pressoch lineare dellingestione con laltezza, cui segue un rallentamento via via pi marcato. Quando laltezza della copertura oltrepassa i 20 cm, si pu avere una netta caduta dei prelievi, causa il forte calpestio e limbrattamento dellerba con le deiezioni. Nel caso di pascolo controllato, la superficie messa a disposizione contingentata, in maniera da forzare il bestiame a consumare anche gli strati pi bassi e meno pregiati del manto. Lingestione viene cos a dipendere essenzialmente dalla quantit di erba offerta (prodotto tra la superficie per capo e la biomassa). Come in precedenza, landamento della relazione esponenziale (Fig. 3.7), con asintoto attorno ai 18 kg di s.s., soglia prossima alla capacit dingestione di una bovina a met lattazione. Allaumentare dellofferta migliora anche la qualit nutritiva del foraggio ingerito, sempre in ragione del consumo preferenziale degli strati superiori, pi fogliosi, della copertura. Se, viceversa, lofferta diminuisce, tanto pi gli animali sono forzati a consumare anche gli strati bassi e ricchi di steli. Per quanto riguarda lappetibilit, la sua influenza sullingestione tender ad accentuarsi al diminuire della quantit di foraggio offerta. Potr pertanto essere trascurabile quando la disponibilita elevata, via via pi decisiva in situazioni di progressiva carenza. Definire una relazione rigorosa tra le due variabili per altro estremamente complicato, soprattutto perch, come detto, lappetibilit di difficile valutazione.

4. Utilizzazione del pascolo


4.1. I pascoli come sistemi multifunzionali 70

Con la crisi zootecnica e la disaffezione verso la pratica alpicolturale, il pascolo ha visto sminuire la sua tradizionale e primaria funzione produttiva. Certamente, nei sistemi zootecnici montani le praterie forniscono ancora un contributo prezioso per lalimentazione estiva del bestiame domestico, di quello bovino in particolare, concorrendo ad abbattere i consumi energetici e i costi per la produzione di carne e latte. Non pu neppure essere ignorato il ruolo di traino per lintero comparto lattiero-caseario svolto dai prodotti di malga che, con le loro prerogative organolettiche, uniche e inimitabili, ampliano e qualificano lofferta di alimenti tipici, assicurando ritorni dimmagine di sicuro interesse. Ci nonostante, lincidenza dellalpicoltura nei sistemi zootecnici alpini si considerevolmente ridotta. Labbandono dei pascoli ha tuttavia messo in evidenza altre funzioni, di carattere extraproduttivo, non meno rilevanti, che oggi richiamano lattenzione dellintera collettivit. Si tratta della salvaguardia della biodiversit vegetale e animale, della protezione dei versanti, della fruibilit turistica del territorio e, non ultimo, della conservazione di unidentit storico-culturale delle comunit locali. Come gi accennato, lalpicoltura mantiene anzitutto aperto e ordinato lo spazio, contrastando lavanzata del bosco e della brughiera. Ne derivano benefici in termini di fruibilit turistica, in virt dellaumento del valore estetico del paesaggio, della durata dellinnevamento utile ai fini sciistici e delle opportunit per attivit escursionistico-ricretive estive, agevolate e promosse queste anche dalle strutture recettive e dal richiamo esercitato da una realt ricca di fascino come la malga. Le praterie ampliano inoltre il mosaico delle specie e delle comunit che costituiscono il sistema vegetale, diversificando gli habitat e modificando favorevolmente la presenza della fauna selvatica. Il manto erboso pascolato trattiene meglio di una cotica indisturbata la coltre nevosa, riducendo i rischi di slavine, sempre elevati su pendii scoscesi. Anche i piccoli movimenti superficiali di terra sono ostacolati dalle opere diffuse di regimazione delle acque, comunemente attuate dai pastori, come del resto gli incendi, che trovano nelle radure erbose efficacissimi elementi tagliafuoco. Infine, il mondo pastorale conserva un prezioso scrigno di esperienze e di abilit materiali, di valori e di segni identitari su cui si costruita la storia delle comunit alpine. Lespletamento di queste molteplici funzioni, o quantomeno di alcune di esse, condizionata non poco dalle modalit con le quali il pascolo gestito. In passato, in regime di autarchia alimentare, lobiettivo primario degli operatori era di sfruttare quanto pi possibile la terra, cos da attenuare la cronica penuria di foraggio. La rusticit e la modesta produttivit del bestiame consentivano carichi elevati anche nei distretti pi decentrati e impervi e frequenti erano le situazioni di sovrasfruttamento. Oggi, in epoca di apertura ai mercati ed elevati fabbisogni nutritivi degli animali, la preoccupazione spostata sul livello di ingestione e la qualit della razione, cui si fa fronte ricorrendo ad integrazioni con concentrati e addensando gli animali nei quartieri pi fertili e comodi. Ad esempio, nelle malghe lombarde i carichi medi per unit di superficie pascolata sono saliti nel trentennio 1970-2000 da 0,39 a 0,54 UBA ha-1, malgrado una riduzione complessiva del 14.6% nel numero di capi monticati e le maggiori esigenze nutritive degli stessi. Nei distretti pi vocati sono cos sempre pi frequenti i fenomeni di sovrapascolamento, aggravati nelle loro ripercussioni sulla vegetazione dagli incrementi di deposizioni organiche indotte dalluso dei concentrati. Nelle sezioni marginali viceversa favorito il ritorno della vegetazione legnosa, con erosione pi o meno definitiva di superficie produttiva. Nellinsieme, i sistemi pascolivi sono dunque ancora interessati da un preoccupante degrado. Alla radice di questo stato di cose vi sono senzaltro fattori di carattere economico, sociale e culturale (perdita di competitivit del sistema pastorale, carenze di personale, allentamento dei legami con la tradizione e cos via), tuttavia non si pu escludere anche una mancanza di preparazione e una scarsa consapevolezza da parte delle maestranze circa i criteri per una gestione multivalente dei pascoli.

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Fig. 4.1 Evoluzione delle biodiversit specifica nelle cotiche erbose in funzione della fertilit/produttivit e delle frequenze delle perturbazioni

Fertilit del suolo (Produttivit)

Frequenze perturbazioni

4.2. Lindice di utilizzazione del pascolo Si gi avuto modo di sottolineare come solo una frazione della biomassa venga prelevata dagli animali al pascolo. Questa frazione, espressa percentualmente, rappresenta lindice di utilizzazione del pascolo (IUP). Lindice condizionata dal carico di bestiame, dalla disponibilit, appetibilit e valore nutritivo del foraggio e dalle modalit di pascolamento. Tende a crescere con il carico, con la qualit del pascolo e passando da sistemi di governo vaganti a sistemi controllati e a diminuire con la disponibilit di erba (si veda a questo proposito il grafico di figura 3.7). Da soglie del 20-30% o meno nei sistemi liberi, con carichi blandi e scarso pregio pabulare delle cenosi si pu salire al 7080% e oltre nei sistemi controllati, con carichi elevati, alta qualit del foraggio e cotiche basse. Una opportuna calibrazione dellindice fondamentale per una corretta gestione delle cotiche. Esso infatti interferisce con la biodiversit specifica, con il livello di ingestione alimentare e la qualit dei prelievi. Sulla biodiversit specifica, leffetto pu essere derivato dai modelli di Grime 72

relativi alla fertilit dei suoli e alle frequenze del disturbo (Fig. 4.1): la diversit tender dapprima ad aumentare rapidamente con lindice, per poi declinare lentamente. La relazione con lingestione difficilmente delineabile, coinvolgendo molteplici fattori, tra cui le modalit di pascolamento ed il carico istantaneo. Quella con la qualit dellerba assunta pu essere invece ricavata in base alla pabularit delle specie (Fig. 4.2). Fino ad un certa soglia di sfruttamento (punti A, B, C delle curve), tanto maggiore quanto maggiore il valore foraggero del pascolo, la qualit dei prelievi si mantiene pressoch costante Quindi inizia a declinare, sempre pi rapidamente, sino al punto di massimo utilizzo (punti A, B, C), anchesso funzione del valore foraggero della copertura. Questi andamenti si spiegano naturalmente con la capacit che hanno gli animali di selezionare le assunzioni, capacit notoriamente molto spiccata nei brucatori, come i caprini, ma tuttaltro che trascurabile anche nei pascolatori, come ovini e bovini. Il punto di flesso delle curve coincide approssimativamente con il consumo delle migliori foraggere, quello di massima utilizzazione con lo sfruttamento completo della frazione commestibile. Il primo rappresenta una soglia di convenienza nutritiva, oltre la quale iniziano a calare appetibilit e valore nutrizionale dellingerito, ma che pu comportare prelievi troppo modesti e selettivi. Il secondo indica invece il limite cui si pu spingere lo sfruttamento della cotica nellintento di salvaguardarne o migliorarne le prerogative agronomiche (massimo consumo di mediocri foraggere, massimo calpestio di specie invadenti, massima fertilizzazione, ossia massimo controllo delle specie non pabulari e massima sollecitazione dei ritmi produttivi delle specie foraggere). Naturalmente, a questo estremo vi il rischio di prelievi troppo severi, con innesco di fenomeni degenerativi da sovrapascolamento e bassa qualit nutritiva delle assunzioni. Nellambito della medesima fitocenosi, i punti della curva possono variare in rapporto a numerosi fattori, tra cui, in particolare, lo sviluppo fenologico delle specie, che li pu posticipare (fasi giovanili) o anticipare (fasi senili).

Fig. 4.2 Indice di utilizzazione del pascolo (IUP) e qualit dei prelievi alimentari (QP)(da Gusmeroli, 2002)

QP Pascolo di elevata qualit

Pascolo di media qualit Pascolo di bassa qualit

A'

C'
IUP

Punti di inizio consumo specie scadenti

Punti di massimo utilizzo

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Tab. 4.1 Profili floristici (ricoprimento percentuale), indici foraggeri e indici di utilizzazione del pascolo consigliati per le praterie in Alta Valtellina (da Gusmeroli, 2002)

PratiPascoli Ricoprimento Specie rifiutate Ricoprimento Specie scadenti Ricoprimento Specie discrete Ricoprimento Specie buone Ricoprimento Specie ottime Indice foraggero (Klapp-Staehlin) IUP consigliato

Praterie Praterie Praterie Praterie Curvuleti Prat. a Nardeti Pascoli nitrofile umide inarbust. calcofile F. hallery pingui

13 10 8 24 43 4.7 67-77

8 52 3 15 14 3.3 29-60

4 80 5 5 6 1.7 11-16

44 18 2 18 6 2.1 24-38

19 24 13 24 14 3.2 38-57

6 15 9 56 12 4.6 68-79

8 26 33 18 12 3.4 33-66

7 41 17 20 16 3.4 36-52

7 12 14 28 38 5.0 66-81

Il livello ideale di utilizzazione cade quindi tra questi due estremi e pu essere individuato sulla scorta del profilo floristico della cotica o anche con il metodo del valore pastorale o degli indici di bont delle specie, controllando ed eventualmente correggendo il dato in base alla fragilit della copertura vegetale e del suolo (si introducono allo scopo dei coefficienti di riduzione). Con questo criterio sono stati ad esempio proposti gli indici di cui alla tabella 4.1, relativi alle tipologie di pascolo del comprensorio dellAlta Valtellina. Come si nota, picchi elevati sono consigliati solo in cotiche di notevole qualit agronomica. Su coperture meno pregiate e pi naturali gli indici sono posizionati su valori decisamente inferiori. Spostandosi, in ogni tipologia, verso i limiti superiori della forbice si antepone lazione di controllo delle cattive foraggere alla qualit e quantit dei prelievi e alla salvaguardia della biodiversit specifica e dellintegrit fisica dei suoli. Aumentano pertanto i pericoli di cadute di ingestione e di qualit della razione, compattamento e denudamento dei suoli, degrado ammoniacale nelle compagini pingui e sovrasfruttamento delle specie pabulari in quelle magre. Vanno evitati in modo particolare in due circostanze: in primo luogo nelle praterie floristicamente degradate per eccesso di sfruttamento o di accumuli organici, dove necessario un passaggio leggero e precoce, eventualmente abbinato ad interventi agronomici specifici; in secondo luogo nelle praterie primarie della fascia alpina: firmeti, seslerieti e curvuleti. Le difficili condizioni climatiche ed edafiche rendono queste compagini facilmente diradabili ed esposte a rotture ed erosione, specialmente sui pendii scoscesi. I consorzi calcofili sono inoltre molto ricchi di specie e comprendono spesso elementi rari, che potrebbero essere danneggiati da un pressione pastorale eccessiva. Un pascolamento estensivo risulta utile qui per sollecitare, attraverso la fertilizzazione, la maturazione dei suoli e il consolidamento delle cotiche, migliorando la capacit di infiltrazione dellacqua meteorica nel profilo e riducendone la velocit e di deflusso. Indici di utilizzazione spostati verso lestremo inferiore della forbice sono invece favorevoli per lalimentazione, la biodiversit e la protezione dei suoli, a scapito della lotta alle specie invasive. Offrendo scarsa resistenza al ritorno delle specie spontanee, possono condurre alla formazione di strutture a mosaico e allabbassamento della qualit pastorale delle coperture. Dalla produttivit e dallindice di utilizzazione ottimale del pascolo possibile stabilire il carico di bestiame sostenibile: 74

Biomassa x IUP CS = ---------------------------------------------------------------------Fabbisogno nutritivo giornaliero x Giorni di permanenza I fabbisogni animali possono essere desunti dai noti criteri della scienza dellalimentazione (per i bovini adulti si pu indicativamente assumere un fabbisogno giornaliero di 15 kg di s.s.). 4.3. I sistemi di pascolamento Si gi anticipato come lindice di utilizzazione del pascolo abbia stretti legami con le modalit di pascolamento. Varie sono le tecniche applicabili: 1. Pascolamento turnato Gli animali sono confinati in lotti di pascolo, utilizzati in successione fino alla completa utilizzazione della biomassa. 2. Pascolamento guidato come il turnato, ma procede senza recinti, sotto la guida del pastore. 3. Pascolamento a rotazione (Rotational grazing) Si ha quando la ricrescita dellerba dopo il pascolamento consente il riutilizzo dei lotti. 4. Pascolamento razionato (Daily rotational grazing o Strip grazing) Si ha quando il foraggio offerto agli animali sufficiente a soddisfare le loro esigenze per lintera giornata o parte di essa. 5. Pascolamento libero o continuo (Continous stocking) Il pascolo non suddiviso in lotti e gli animali possono dunque utilizzare liberamente e in modo continuo lintera superficie. Per le prime quattro tecniche si pu parlare genericamente di pascolamento controllato o disciplinato. Lindice di utilizzazione della biomassa tende ad essere elevato e allerba sono concessi lunghi periodi di crescita indisturbata, che ne migliora la produzione. Il pascolamento libero invece un pascolo brado, dove le defogliazioni sono meno intense, ma gli intervalli tra i prelievi sono molto ravvicinati, ci che penalizza la biomassa prodotta. Nel contesto dei pascoli subalpini e alpini, caratterizzati di norma da eterogeneit, irregolarit di offerta trofica e presenza di specie poco pabulari, si dimostra normalmente svantaggioso, tranne che in situazioni particolarmente propizie di giacitura dei terreni e di valore foraggero delle cotiche, oppure su aree molto estese e degradate, con animali molto rustici. Diversamente determina tutta una serie di effetti negativi sugli animali e sulle cotiche. Tali effetti consistono in: 1. Assunzioni alimentari ridotte Il tempo dedicato allattivit locomotoria (che nel pascolamento libero pu essere di parecchie ore al giorno) in misura pi o meno ampia sottratto allattivit alimentare. Oltre a ridurre il tempo di pascolamento attivo, il bestiame si trova inoltre frequentemente a pascolare ove lo sviluppo del manto erboso, in altezza e densit, incompleto, ci che penalizza ulteriormente lingestione. 2. Elevato dispendio energetico connesso allattivit locomotoria 75

La deambulazione comporta alti consumi energetici, soprattutto nelle bovine adulte: 0,24 UFL al km per spostamenti orizzontali e 0,17 UFL per 100 m di dislivello. Nelle condzioni ordinarie dei pascoli si pu assumere un equivalente in latte di 0,4-0,7 litri e pi per km di cammino, secondo le condizioni ambientali (quota altimetrica, acclivit del terreno, ostacoli fisici etc). Considerando che una bovina pu percorrere in una giornata anche 7-8 km e pi di cammino, si pu facilmente intuire quale possa essere la portata del danno economico. Particolarmente penalizzate sono le buone lattifere, nelle quali il ricorso alle riserve corporee pu divenire ingente, con negativi riflessi sul peso vivo, sullo stato sanitaria e su quello riproduttivo. 3. Accentuazione degli squilibri nutritivi della razione La razione di solo pascolo denuncia ordinariamente qualche sbilanciamento nutritivo, in particolare nei rapporti tra proteina, fibra e concentrazione energetica nei foraggi troppo giovani o troppo vecchi. Tali squilibri sono aggravati dallutilizzo intempestivo dellerba: il consumo precoce delle buone foraggere incrementa la densit nutritiva e proteica della dieta di inizio stagione; il consumo tardivo delle specie di minor valore pabulare rende invece quella di tarda stagione voluminosa, poco appetita e poco digeribile. 4. Spreco di foraggio Vi tra i pastori il detto che gli animali mangiano con cinque bocche, ad indicare lo spreco di erba conseguente allazione di calpestio degli zoccoli. Per la bovina adulta, la superficie calpestata ammonta a 60 m2 per km di cammino. Spreco va anche ritenuto lo sfruttamento intempestivo del pascolo, pregiudizievole per lespressione di tutto il potenziale foraggero. 5. Sentieramenti ed erosione Nelle zone di maggior transito animale il suolo si compatta, divenendo asfittico e la copertura erbosa si pu deteriorare fino a scomparire. Il degrado frutto sia del calpestamento diretto (nei bovini la pressione meccanica varia da 1,2 a 3 kg cm-2, negli ovini da 0,8 a 1), sia dallo scivolamento dello zoccolo nelle aree a giacitura pi sfavorevole. Si possono cos formare dei camminamenti che, nei versanti pi impervi, seguono le curve di livello e raccogliendo lacqua di scorrimento superficiale possono degenerare in veri e propri fenomeni erosivi. 6. Deterioramento floristico del pascolo Ha quattro cause. La prima connessa al compattamento del suolo, che determina danni allapparato fogliare e radicale delle piante, particolarmente evidenti nelle aree di concentrazione degli animali e in substrati umidi e plastici. Le buone foraggere riducono laccrescimento e tendono ad affermarsi infestanti stolonifere, rizomatose e a rosetta. Una seconda causa discende dalla spinta selezione nei prelievi operata dagli animali. Potendo circolare liberamente, gli animali vanno infatti a scegliere le specie pi gradite, che sono recise ripetutamente e in fase precoce, a danno dei ricacci e della fase riproduttiva. Al contrario, la flora indesiderata consumata solo in minima parte e in tempi successivi, quando ha gi accumulato sufficienti scorte al colletto e nelle radici e ha gi prodotto i semi. Una terza causa legata alla diminuzione dellindice di utilizzazione del pascolo. La biomassa residuale, allettandosi sotto il peso della neve e decomponendosi, former nellinverno uno strato di materiale piuttosto compatto e continuo, deleterio per lemergenza primaverile delle specie pregiate. Unultima causa consiste nellazione di veicolamento e diffusione tramite le feci e gli zoccoli dei semi delle specie dannose e limpossibilit a fertilizzare in modo corretto e omogeneo le superfici.

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7. Danni a fitocenosi di valore naturalistico Nei periodi siccitosi, gli animali possono visitare le zone umide (Erioforeti, Cariceti, Tricoforeti, Molinieti). Sono, queste, ecosistemi di elevato valore naturalistico, con specie vegetali e animali tipiche. Attraverso deposizioni di torba, tendono lentamente ad interrarsi, evolvendo verso situazioni pi xeriche, con riduzione della biodiversit e della variet del paesaggio. Il bestiame accelera il processo, traendo oltretutto poco giovamento dal consumo di specie di scarso significato foraggero. 8. Interazioni negative con la fauna selvatica Esistono rischi di competizione alimentare con gli ungulati selvatici e, per gli ovi-caprini, anche di ibridazioni e trasmissione incrociata di malattie. Le frequentazioni ed i passaggi in aree ecotonali possono arrecare disturbo ai tetraonidi (gallo cedrone in modo particolare) in fase di riproduzione e schiusa delle uova. I soli vantaggi che si possono riconoscere al pascolamento libero sono la semplificazione gestionale e lalleggerimento del carico lavorativo, vantaggi, per altro, talvolta aleatori. La dispersione degli animali pu complicare infatti loperazione di raggruppamento della mandria per la mungitura, soprattutto nelle malghe estese, impervie e poco servite da viabilit interna. I limiti intrinseci rendono il pascolo libero incompatibile con una gestione razionale delle superfici pascolive, imponendo di fatto ladozione di sistemi controllati. Questi consentono di soddisfare meglio gli obiettivi specifici della multifunzionalit, ossia, in concreto: Massimizzazione dei livelli di ingestione dellanimale. Massimizzazione del rendimento energetico della razione in termini di latte e carne. Conservazione o miglioramento della qualit foraggera delle cotiche e della loro biodiversit specifica. Controllo del calpestio, dei sentieramenti e dei fenomeni di erosione superficiale. Recupero di eventuali fitocenosi degradate. Salvaguardia delle formazioni vegetali di valore naturalistico. Contenimento dellavanzata della brughiera e del bosco. Limitazione delle interferenze negative con la fauna selvatica.

4.4. Pianificazione del pascolo Ladozione di sistemi controllati che realmente possano raggiungere gli obiettivi su elencati esige una pianificazione molto accurata e attenta del pascolo, pianificazione che trova la sua espressione in uno strumento guida che il piano di pascolamento. La stesura di un piano necessita della disponibilit di informazioni relative alla vegetazione, ai suoli, alla topografica del territorio, alla situazione logistica della malga e al bestiame. Si tratta, in concreto, di effettuare tre tipi di indagini preliminari (Fig. 4.3). 1. Indagine vegetazionale Ha lobiettivo di identificare le tipologie di pascolo, caratterizzandole sotto il profilo naturalistico e agronomico. Si effettuano anzitutto dei rilievi floristici, secondo il metodo fitosociologico (approccio pi naturalistico) o secondo quello fitopastorale (approccio pi agronomico). Le fitocenosi sono caratterizzate per mezzo di indici ecologici, indici foraggeri, fenologia e produzione. Le informazioni sono normalmente riassunte in carte tematiche.

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Fig. 4.3 Strutturazione del piano di pascolamento

INDAGINI PRELIMINARI

VEGETAZIONE
- Tipologie di pascolo - Caratterizzazione ecologica - Caratterizzazione agronomica

GEO-PEDOLOGIA
- Attitudine al pascolamento

ASPETTI ZOOTECNICI E LOGISTICI


- Bestiame - Strutture e infrastrutture

INDICE DI UTILIZZAZIONE DEL PASCOLO ELEMENTI DEL PIANO


- Carico teorico animale - Organizzazione della mandria - Tempo di permanenza nei lotti di pascolo - Numero, disegno e utilizzo dei lotti - Processione di utilizzo dei lotti

2.

Indagine geo-pedologica Si prefigge di descrivere i suoli nella loro tipologia, fertilit, idromorfia, acclivit e stato della superficie rispetto alla presenza di pietre, rocce affioranti, fenomeni erosivi e di dissesto. Le informazioni conducono alla stesura di una carta dellattitudine dei terreni al pascolamento. Indagine agro-zootecnica Serve a rilevare la viabilit interna allalpe, i fabbricati, le risorse idriche, i punti dabbeverata, la consistenza e la tipologia del bestiame.

3.

Lo studio della vegetazione e dei suoli comporta un lavoro materialmente e concettualmente impegnativo, realizzabile in tempi non brevi, a costi non trascurabili e con competenze specifiche. In sua assenza si deve fare affidamento unicamente sulle conoscenze dei pastori, fonti bibliografiche e rapidi sopralluoghi in campo, con un marcato abbassamento della qualit dei risultati. Carte tematiche circostanziate non sono realizzabili; tuttal pi si pu tentare, con lausilio dei dati relativi allacclivit, allesposizione e allaltimetria reperibili nella cartografia tecnica, di disegnare mappe della vegetazione a carattere fisionomico e mappe dei suoli circoscritte alle 78

evidenze superficiali (impietramenti, fenomeni erosivi, acque di scorrimento) e da queste ricavare informazioni di valore indicativo sulla produttivit, qualit e fenologia del pascolo e dellattitudine al pascolamento. Sono queste le informazioni necessarie a definire lindice di utilizzazione del pascolo, dal quale poi possibile derivare gli elementi concreti che caratterizzano il piano. 4.5. Elementi del piano di pascolamento Gli elementi che definiscono il piano di pascolamento sono: il carico animale, lorganizzazione della mandria, il tempo di permanenza nei lotti di pascolo, il loro disegno e la processione di utilizzo. 1. Carico teorico di bestiame Pu essere determinato con la formula gi introdotta per il calcolo del carico sostenibile, considerando naturalmente come biomassa quella complessiva della malga, come indice di utilizzazione del pascolo quello medio ponderato tra le varie tipologie fitocenotiche e come tempo di permanenza la durata della stagione di monticazione. Mentre i fabbisogni nutritivi animali e i giorni di monticazione possono essere fissati con buona precisione e sicurezza, la biomassa e lindice di utilizzazione del pascolo non sono di agevole definizione. A complicare le cose intervengono infatti complesse interazioni tra fattori ambientali e gestionali, oltre a fluttuazioni stagionali legate agli andamenti meteorologici. Ci rende il dato del carico teorico di valore assolutamente indicativo. 2. Organizzazione della mandria La buona disciplina alpicolturale esige che la mandria sia suddivisa anzitutto per categorie danimali (bovini, ovini, caprini, equini, suini), perch diverso il comportamento al pascolo e diverse sono le richieste alimentari. Dove i bovini sono in numero consistente e vi sono condizioni favorevoli, consigliabile un ulteriore frazionamento tra bestiame produttivo e improduttivo, cos da permettere una razionalizzazione del lavoro ed un miglior soddisfacimento dei fabbisogni delle bovine in lattazione. 3. Tempo di permanenza della mandria nei lotti di pascolo Dal tempo di permanenza della mandria nei lotti dipendono le dimensioni dei lotti stessi e lassembramento degli animali. Tempi lunghi approssimano la situazione del pascolo libero, con le relative ripercussioni sugli animali e la sulla vegetazione. Tempi brevi assicurano elevati indici di utilizzazione, elevati livelli di ingestione e maggiore costanza nel razionamento, tanto in termini quantitativi, quanto qualitativi, dato che per effetto della selezione operata dagli animali diminuisce progressivamente la qualit dei residui (diminuzione dei contenuti in principi nutritivi e aumento della fibra). La loro maggiore efficienza traspare immediatamente nella buona costanza secretoria del bestiame da latte, contrapposta a oscillazioni pronunciate nel passaggio da un lotto allaltro quali si hanno con tempi lunghi. In questultima circostanza, la produzione complessiva di latte diminuisce e gli animali sono costretti a continui processi di mobilitazione e ricostituzione delle riserve corporee, necessari a compensare le fluttuazioni alimentari, con un abbassamento del rendimento produttivo della razione. Nella migliore tradizione pastorale, nel classico metodo delle mandrature o stabbiature, si adottavano tempi di permanenza di mezza giornata, che permettevano tra laltro di far succedere nello stesso giorno pasti in zone magre e pasti in zone pingui, offrendo agli animali una dieta costante ed equilibrata. Il fabbisogno lavorativo per la sorveglianza e per il governo del bestiame era ragguardevole, ma i risultati erano certamente positivi anche per il pascolo, che veniva utilizzato e fertilizzato in modo uniforme. Oggi si preferiscono tempi di occupazione 79

superiori e, quando non stabulato, il bestiame viene di norma mantenuto negli stessi recinti di pascolamento anche per il pernottamento (pascolo integrale), semplificando il lavoro dei pastori. Tempi di permanenza di 2-3 giorni si possono ritenere un buon compromesso tra le esigenze tecniche e quelle lavorative. La permanenza non va in ogni caso intesa in modo rigido, anche solo in ragione della variabilit stagionale. Il corretto sfruttamento della cotica va sempre anteposto al rispetto del tempo prefissato. Non si deve aver timore a modificare la sosta della mandria ogni qualvolta ci andasse a giovamento della vegetazione. Con un andamento meteorologico secco, ad esempio, conveniente non spingere troppo il pascolamento nei pendii scoscesi, perch si agevolerebbero lirraggiamento e lerosione del suolo. In aree meno impervie e con tempo umido si pu, viceversa, prolungare la permanenza. 4. Numero, disegno e utilizzo dei lotti Per ragioni di organizzazione del lavoro conveniente organizzare i lotti di pascolamento in modo da avere il medesimo tempo di permanenza in ognuno di essi, calibrando opportunamente le superfici in base alle disponibilit di biomassa e ai fabbisogni della mandria. Si viene cos a determinare il numero complessivo dei lotti come: NL = (Giorni di monticazione Giorni per utilizzo ricacci) / Tempo di permanenza Se la mandria formata da pi gruppi danimali, occorrer in primo luogo decidere se questi gruppi sfrutteranno i medesimi comparti, in tempi successivi (pascolamento in successione leaders-followers), oppure se ad ognuno saranno riservati comparti esclusivi. Nella prima ipotesi la sequenza seguir le necessit nutritive e limportanza economica dei gruppi. Essa rappresenta senzaltro il sistema di utilizzazione pi efficiente, sia perch privilegia gli animali pi esigenti, che pascoleranno sempre comparti vergini, con tempi di permanenza brevi e consumo quindi delle parti pi pregiate della cotica, sia perch consente una migliore utilizzazione della biomassa. Unico inconveniente potrebbe essere il maggior rischio di contaminazione di parassiti gastro-intestinali da un gruppo allaltro. La seconda ipotesi lascia invece la possibilit di selezionare quadranti di pascolo pi idonei per composizione floristica, qualit foraggera, clivometria e dislocazione geografica alle necessit dei vari gruppi e alla comodit delluomo, ma meno efficace nel soddisfare le richieste nutritive del bestiame e nel garantire elevati indici di utilizzazione del pascolo. Circa lacclivit, si dovr tenere presente che le bovine adulte pascolano bene, senza arrecare danni alle cotiche, fino a pendenze del 4045%, i giovani bovini fino al 60% e gli ovi-caprini fino al 80%. Inoltre occorrer impostare tanti piani di pascolamento quanti sono i gruppi. Con tempi di permanenza ridotti, che impongono superfici limitate, occorre prestare attenzione ai fenomeni di competizioni tra gli animali. Nei bovini, questi si manifestano con iniziali scontri fisici e successive posture di minaccia/sottomissione gi a distanza di 4-8 m, in funzione dellarea disponibile e della scala gerarchica. La competizione, il cui significato etologico quello della difesa del territorio, disturba lattivit alimentare ed fonte di stress e, come tale, ha contraccolpi sulla sfera produttiva, riproduttiva e sanitaria del soggetto. Le superfici dei lotti non dovranno perci essere inferiori a 50 m2 UBA-1. Considerando la produttivit dei pascoli, si possono indicare come valori di riferimento superfici di 100-400 m2 UBA-1 giorno-1. Altre utili regole pratiche sono le seguenti: Sfruttare il pi possibile ostacoli naturali del territorio (corsi dacqua, boschi, morene etc.) per separare i comparti. Evitare unit di forma troppo allungata e stretta, causa deccessivo calpestio e disturbo tra gli animali, specialmente con tempi di permanenza brevi.

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Assicurare in ogni lotto la presenza dacqua per le abbeverate, escludendo lutilizzo diretto di zone a ristagni idrici, pozze, fossi e laghetti. Inserire in ogni lotto zone idonee al riposo del bestiame, laddove questo non sia stabulato. In alternativa si pu praticare la classica mandratura, nella quale il riposo avviene in specifiche aree. Queste riceveranno elevate restituzioni di fertilit e andranno pertanto turnate danno in anno per evitare linvasione della flora ammoniacale. Prevedere in ogni sezione specifici punti per la mungitura meccanica. Se posizionati sul confine tra lotti, questi potranno servire pi comparti. Escludere dal pascolamento le aree interessate da fenomeni erosivi e le zone umide (Erioforeti, Cariceti, Tricoforeti, Molinieti).

5. Processione nellutilizzo dei lotti Stabilito il reticolo dei lotti e il tempo doccupazione in ognuno di essi, il piano di pascolamento si completa con la definizione dellordine con il quale i lotti stessi sono utilizzati. La processione ha come obiettivo di utilizzare la fitomassa ad un corretto stadio di maturazione, Tale obiettivo non facilmente raggiungibile, specialmente in malghe a modesto sviluppo altimetrico e uniformit di esposizione, ove la fenologia tende ad essere contemporanea. Vi inoltre la difficolt a identificare questo momento ideale, data la ricchezza floristica delle cotiche. In assenza di un quadro fenologico dettagliato, si deve fare affidamento, ancora una volta, sullesperienza degli operatori e su qualche valutazione di carattere geografico. Assumono rilievo, in particolare, laltimetria e lesposizione, essendo strettamente correlate alle condizioni termiche e allirraggiamento. Ad ogni incremento di 100 metri di quota si calcola una diminuzione di temperatura media di 0.56C, ci che fa dellaltimetria il principale elemento di scalarit fenologica. I versanti esposti a settentrione ricevono da otto a dieci volte meno calore di quelli a meridione, ci che induce un ritardo fenologico di qualche settimana. La presenza di zone di interesse faunistico potrebbe suggerire restrizioni temporali allutilizzo di alcuni comparti, come nel caso delle aree di riproduzioni del gallo cedrone, che andrebbero sottratte al pascolamento fino circa alla met di agosto, per evitare danni alle uova e alla prole. Un esempio di piano di pascolamento riportato in figura 4.4. 4.6. Cura e miglioramento del pascolo Se ladozione di adeguati carichi animali e una buona disciplina di pascolamento sono i cardini per la conservazione e il miglioramento della qualit pabulare delle praterie, interventi pi specifici ne costituiscono il necessario o utile complemento. Alcuni di questi, come la pulizia dalle pietre, la regimazione delle acque e la fertilizzazione organica dovrebbero essere pratiche abituali di buon governo del pascolo. Altri, pi mirati, hanno invece significato particolare e vanno effettuati unicamente laddove se ne ravveda un reale bisogno. Si tratta delle pratiche di lotta alle infestanti, concimazione minerale e calcitazione. Oltre al costo, le difficolt tecniche di esecuzione e limpatto ambientale che ne possono talvolta sconsigliare la messa in atto, la loro efficacia spesso vanificata dalla cattiva gestione degli animali. Spietramenti La pulizia del pascolo dalle pietre affioranti operazione senzaltro utile per ridurre le tare, incrementando di conseguenza la superficie produttiva e facilitando il pascolamento e la deambulazione degli animali. Non presenta controindicazioni di sorta, se non di natura economica. Le pietre possono trovare utile impiego nella realizzazione di muretti di divisione dei lotti di pascolamento, manutenzione di sentieri e altro. 81

Fig. 4.4 Piano di pascolamento Alpe Meriggio-Campo Cerv (Albosaggia-Sondrio) (da Gusmeroli et al, 1997)

Regimazione delle acque Piccoli interventi di regimazione sono plausibili nelle sezioni di pascolo sommerse saltuariamente dallacqua e per questo soggette a degrado floristico e fisico e sottratte temporaneamente al pascolamento. Non sono invece ammissibili nelle aree paludose, in ragione, come gi detto, del grande interesse naturalistico che queste rivestono. Le opere si devono uniformare a criteri di semplicit e di basso impatto ambientale. Ci porta ad escludere drenaggi sotterranei e interventi volumetricamente rilevanti. Dove vi fossero carenze dacqua per il bestiame, la regimazione pu integrarsi con lapprovvigionamento idrico di cisterne, acquedotti e pozze dabbeverata. Fertilizzazione organica La conservazione e il miglioramento del pascolo sono in stretta relazione con la regolare distribuzione delle deiezioni animali. Labilit del pastore sta proprio nel saper dosare queste restituzioni di fertilit che, per i principali elementi della nutrizione vegetale, si aggirano per lazoto al 70-80%, in funzione della sostanza secca ingerita dallanimale e dei contenuti azotati degli alimenti, per il fosforo al 65-75% e per il potassio al 90-95%. Un capo bovino adulto defeca giornalmente 10-12 volte ed urina mediamente 9-10 volte, producendo circa 30 kg di deiezioni solide e 15 kg liquide. Larea di deposizione di 0,4 m2 per le 82

urine e 0,09 m2 per le feci, ma leffetto della fertilizzazione si estende allintorno, seppur con minor efficacia, su di una superficie ampia 2-3 volte tanto. I pastori di un tempo calcolavano che con la mandratura una bovina, in una notte, fosse in grado di fertilizzare adeguatamente 10 m2 di pascolo. Nellarea di deposizione la concentrazione di azoto molto elevata, decisamente superiore alle necessit delle piante: per le feci di 650-850 kg ha-1, per le urine 350-450. Nelle prime il nutriente presente in forma prevalentemente organica, dunque a lento rilascio e relativamente utilizzabile dalle piante; nelle escrezioni liquide al 70-80% ureico, quindi maggiormente e pi rapidamente disponibile per lassorbimento radicale. La quota di azoto catturato dalla vegetazione rimane in ogni caso modesta, sia in ragione delle perdite per volatilizzazione, lisciviazione e denitrificazione cui soggetto lelemento, sia per lepoca di deposizione che raramente coincide con la massima richiesta da parte delle piante. La frammentazione e dispersione delle mete che residuano sul pascolo buona pratica, perch favorisce la distribuzione dei nutrienti, prevenendo la crescita delle specie ammoniacali e riducendo le tare. Loperazione va eseguita con tempestivit, appena le mete sono indurite. Laddove la mandria viene stabulata per la mungitura e/o il pernottamento, occorrer invece provvedere allo spargimento del letame o del liquame, rispettando i criteri di carattere tecnico-agronomico validi per i prati. Lotta alle infestanti Motivi ecologici circoscrivono oggi la lotta alla flora indesiderata ai soli mezzi meccanici e agronomici. Lo sfalcio pu risultare utile per controllare quegli elementi erbacei che non sono componenti specifiche delle cotiche prative, come romici, seneci, ortiche, felci e cos via. Con forti infestazioni il taglio va ripetuto 2-3 volte lanno e per diversi anni. La sua azione si potenzia se viene abbinato lingresso degli animali che, con il loro calpesto, creano condizioni svantaggiose per molte infestanti. Anche lasportazione dellerba residuale a fine stagione pratica raccomandabile, utile altres a prevenire i movimenti nevosi. Per le specie arbustive, il contenimento ha oggi senso solo se linvasione di modesta entit. Occorre provvedere allestirpazione o al taglio, senza escludere a priori anche luso del fuoco controllato. Nel caso del Rododendro e dellOntano verde, sufficiente la semplice recisione delle radici a 8-10 cm di profondit, in maniera da provocarne il marciume; per il Ginepro basta la semplice asportazione della parte aerea, poich le conifere non ricrescono. I costi della lotta meccanica, in relazione anche alla lentezza della risposta sono, non di rado, proibitivi. Per alcune infestanti erbacee dei suoli poveri e acidi, pi efficaci ed economiche si rivelano le pratiche agronomiche della concimazione e della calcitazione, ma senzaltro pi interessante il pascolamento ovi-caprino. Le capre, in particolare, consumano molte piante erbacee di scarso valore foraggero (Molinia spp., Deschampsia caespitosa, Carex spp., Juncus spp., Eriophorum spp., Festuca varia, Pulsatilla spp., Luzula spp., Rumex spp., Nardus stricta, Gentiana spp., Cardus spp, Cirsium spp., Ranunculus spp., Peucedanum ostruthium), felci e piante legnose. Naturalmente gli animali racimolano anche specie buone foraggere e possono danneggiare le rinnovazioni dei boschi, quindi vanno opportunamente guidati. Sempre sui pascoli magri possono fornire ottimi esiti anche gli ovini. Addensandosi molto, riescono a fertilizzare intensamente e a rompere la cotica con gli zoccoli aguzzi, stimolando la reintroduzione di specie foraggere pi pregiate. In certe condizioni e soprattutto nelle aree di mandratura gli effetti possono essere straordinari, anche su specie legnose. Nei distretti in forte pendio occorrer naturalmente non esagerare nel carico, onde evitare linnesco di processi erosivi. Anche il bestiame bovino pu essere impiegato per il recupero di cotiche degradate, sia magre che eutrofizzate, forzando il consumo delle specie erbacee indesiderate, prestando per attenzione a non penalizzare troppo lingestione e la qualit dei prelievi. Rispetto al bestiame ovi-caprino, tuttavia, i bovini sono pi esigenti, pi impegnativi, meno rustici e meno duttili.

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Concimazione minerale La concimazione dei pascoli riguarda di norma solo azoto e fosforo; il ricorso al potassio si giustifica solo nelle situazioni, molto rare, di evidente carenza. Lelevato valore ecologico dellambiente alpestre, le difficolt logistiche, la ridotta stagione vegetativa, la modesta produzione di biomassa sono tutti fattori che suggeriscono da un lato di limitare gli interventi alle aree che effettivamente possono rispondere alle applicazioni e nelle quali la fertilizzazione organica deficiente, dallaltro di moderare i dosaggi. Lazoto promuove il recupero del pascolo sollecitando soprattutto i ritmi vegetativi delle graminacee buone foraggere, mentre il fosforo stimola maggiormente le leguminose. Il costo della pratica del tutto accessibile, quantomeno nelle realt dove la distribuzione pu essere meccanizzata. Per la concimazione azotata si pongono le seguenti regole: utilizzare i normali formulati semplici adatti alle colture foraggere; intervenire immediatamente dopo lo scioglimento della neve, in fase di ripresa vegetativa; non oltrepassare la dose di 60 kg ha-1di azoto lanno, riducendo i quantitativi allaumentare delle restituzioni animali e negli ambienti meno favorevoli (acclivit e altimetria elevate, scarsit di umidit); abbinare la calcitazione (ma non in contemporanea) nei terreni molto acidi e la concimazione fosfatica in quelli poveri di fosforo. Per la concimazione fosfatica si deve invece: intervenire solo nel caso di reale carenza del substrato, allorch cio la dotazione sia inferiore alle 25-30 ppm di anidride fosforica assimilabile; somministrare preferibilmente in autunno, oppure immediatamente dopo lo scioglimento della neve; non oltrepassare la dose di 50-60 kg ha-1 lanno di anidride fosforica; abbinare la calcitazione nelle matrici molto acide. Calcitazione Le praterie giacenti su matrici silicee tendono ad essere molto acide. Questa situazione deprime lo sviluppo delle piante a causa si fenomeni di tossicit radicale, rallentamento del biochimismo del suolo e del turnover della sostanza organica, immobilizzazione di vari nutrienti ed in particolare del fosforo. Si ha cos una selezione delle specie in favore di cattive foraggere ed in particolare del Nardo. La correzione del difetto dunque essenziale per il recupero delle praterie dominate da questa specie. Lintervento si esegue con una calcitazione, nel rispetto dei seguenti criteri: intervenire in fase di riposo vegetativo, possibilmente in autunno; usare formulati in polvere a base di carbonato di calcio; somministrare indicativamente 15-20 q ha-1 di carbonato per alzare di un punto il pH; se possibile far seguire allapplicazione unerpicatura che favorisca lapprofondimento dellammendante nel profilo del terreno. Per i costi economici valgono le considerazioni esposte per la concimazione minerale.

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ALLEGATO 1
Relazioni tra fasi fenologiche delle specie e somme termiche in tre fitocenosi pascolive (da Orlandi et al., 1997; Gusmeroli e Della Marianna, non pubblicato)

Codificazione delle fasi fenologiche (scala CEMAGREF) Fase I II III IV V VI VII VIII IX GRAMINOIDI ripresa vegetativa Levata spigatura 50 % inizio fioritura piena fioritura maturazione lattea maturazione cerosa maturazione piena fine vegetazione ALTRE SPECIE ripresa vegetativa (2-3 foglie) 4 foglie fino a bottoni fiorali bottoni fiorali apparizione primi fiori massimo dei fiori aperti fiori appasiti inizio formazione frutti massimo dei frutti maturi fine vegetazione

Nardeto subalpino I Achillea millefolium Agrostis tenuis Anthoxanthum alpinum Arnica montana Avenella flexuosa Carex sempervirens Carlina acaulis Festuca rubra Galium anosophyllum Genziana acaulis Geum montanum Helinathemum nummularium Leontodon hispidus Lotus corniculatus Luzula campestris Nardus stricta Pedicularis tuberosa Phyteuma betonicifolium Phleum alpinum Poa alpina Potentilla aurea Ranunculus montanus Soldanella alpina Trifolium alpinum Trifolium pratense Trifolium repens 140 145 115 155 200 85 160 105 70 35 65 160 145 100 150 160 175 175 80 80 80 50 15 235 155 120 II 350 340 160 360 400 140 590 300 230 50 160 220 270 175 210 270 265 225 320 200 150 80 25 315 245 230 III 610 800 210 525 600 215 920 540 390 85 205 360 405 275 280 400 350 550 535 365 230 135 40 400 405 415 IV 765 930 295 625 775 315 1200 730 560 140 235 635 540 400 350 540 420 680 680 545 320 225 60 500 620 610 V 915 1060 405 710 890 440 1430 860 705 230 260 760 685 550 450 690 490 755 815 670 420 330 95 595 720 765 VI 1230 1300 545 810 980 625 1560 970 840 345 310 835 800 740 580 850 565 825 990 730 540 480 140 705 845 910 VII 1670 1365 665 920 1075 840 1660 1065 1005 590 445 940 910 935 685 980 675 1000 1110 770 665 690 185 850 985 1050 VIII 1835 1460 785 1050 1180 1040 1775 1150 1265 895 680 1085 1015 1175 915 1095 850 1200 1205 850 810 955 240 1050 1175 1180 IX 1920 1600 885 1280 1290 1230 1970 1300 1640 985 775 1230 1095 1455 1110 1190 1200 1330 1290 920 1055 1160 300 1300 1390 1320

90

Nardeto alpino I Anthoxanthum alpinum Arnica montana Avenastrum versicolor Carex curvula Carex sempervirens Cardamine resedifolia Gentiana acaulis Gentianella ramosa Geum montanum Leontodon helveticus Ligusticum mutellina Nardus stricta Phleum alpinum Phyteuma hemisphaericum Poa alpina Potentilla aurea Ranunculus montanus Ranunculus pyreneus Sempervivum montanum Silene rupestris Solidago virgaurea Trifolium alpinum 62 89 59 25 29 35 38 370 35 157 104 67 116 80 42 27 30 4 66 70 52 42 II 78 189 143 58 71 65 67 460 75 177 97 144 221 175 125 131 60 55 150 170 135 118 III 133 325 280 81 90 105 110 542 140 253 173 251 355 291 219 163 80 73 211 260 214 171 IV 159 406 414 131 134 162 151 620 145 296 228 351 485 335 336 223 107 83 334 339 359 219 V 226 491 469 151 153 248 200 714 161 358 324 429 530 400 391 321 176 123 413 468 480 314 VI 296 590 542 208 234 251 226 812 226 434 441 555 640 520 489 427 316 169 522 606 654 409 VII 372 690 639 274 300 335 280 884 281 492 520 657 769 610 580 506 421 183 642 670 726 503 VIII 478 802 725 372 410 412 422 911 366 600 586 761 853 685 657 596 510 315 728 753 804 590 IX 645 888 875 543 610 472 595 950 466 661 740 875 939 779 757 675 605 426 859 830 946 723

Curvuleto I Agrostis rupestris Anthoxanthum alpinum Avenastrum versicolor Carex curvula Cardamine resedifolia Gentiana acaulis Gentiana punctata Geum montanum Homogyne alpina Leontodon helveticus Ligusticum mutellina Luzula alpino-pilosa Luzula lutea Nardus stricta Phleum alpinum Phyteuma hemisphaericum Poa alpina Potentilla aurea Ranunculus montanus Ranunculus pyrenaeus 90 25 70 20 25 40 51 15 61 61 66 60 60 89 73 60 61 73 42 10 II 195 60 161 50 60 70 87 42 70 112 117 80 80 154 158 144 128 147 60 20 III 336 95 253 58 97 97 146 63 156 168 152 85 100 231 257 224 199 150 82 35 IV 443 161 408 107 164 120 264 100 219 254 196 137 109 298 419 328 323 155 170 60 V 558 196 528 157 188 157 277 138 310 337 302 250 178 400 548 397 430 222 183 82 VI 660 335 596 215 276 208 339 215 385 441 428 297 284 509 661 536 536 317 236 150 VII 718 402 693 316 400 275 395 292 434 535 499 267 325 623 734 612 616 405 310 206 VIII 781 498 772 406 476 418 501 377 520 589 573 393 401 730 778 705 691 553 432 248 IX 784 549 919 598 666 470 633 547 659 656 683 476 577 826 830 822 763 726 543 338

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Sibbaldia procumbens Soldanella spp. Trifolium alpinum

50 15 81

90 20 128

150 30 151

270 42 212

364 61 310

426 115 413

440 169 511

475 257 611

608 394 736

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