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L

























































Scienze della Terra
Rodomontano


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1-1
Sommario



1 Reticolato geografico
1.1 Riferimenti geografici
1.2 Coordinate geografiche: latitudine e longitudine
2 Elementi di Geodesia
2.1 Le dimensioni della Terra: misura di un arco di meridiano
2.2 La forma: schiacciamento polare
2.3 Lellissoide
2.4 Coordinate geocentriche e geografiche
2.5 Gravimetria
2.6 Il geoide
2.6.1 Deviazioni della verticale
2.6.2 Anomalie gravimetriche
3 Moti della terra
3.1 Moto di rotazione
3.1.1 Prove del moto di rotazione
3.1.1.a Esperienza di Guglielmini
3.1.1.b Esperienza di Foucault
3.1.2 Conseguenze del moto di rotazione terrestre
3.1.2.a Alternarsi del d e della notte
3.1.2.b Le forze dinerzia: forza centrifuga e forza di Coriolis
3.1.2.c Forza centrifuga e schiacciamento polare
3.1.2.d Forza di Coriolis e legge di Ferrel
3.1.3 Durata del moto di rotazione: il giorno
3.2 moto di rivoluzione
3.2.1 Prove del moto di rivoluzione
3.2.1.a Parallasse annua
3.2.1.b Diversa durata del giorno solare
3.2.1.c Aberrazione delle stelle fisse
3.2.2 Conseguenze del moto di rivoluzione: alternarsi delle stagioni
3.3 Moto doppio conico dell'asse e precessione degli equinozi
3.3.1 Conseguenze della precessione
3.4 Durata del periodo di rivoluzione: l'anno
3.5 moti minori millenari
3.5.1 Movimento di rotazione della linea degli apsidi
3.5.2 Variazione dell'eccentricit dell'orbita
3.5.3 Variazione dell'inclinazione dell'asse
3.5.4 Nutazioni
3.6 moto rispetto al centro galattico
4 La Misura del Tempo
4.1 Il calendario
4.2 Fusi orari
4.3 Linea di cambiamento di data
5 LOrientamento
5.1 Orizzonte e punti cardinali
5.2 Orientamento diurno
5.3 Orientamento notturno
5.4 Declinazione magnetica

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5.5 Determinazione delle coordinate geografiche
5.5.1 Latitudine di notte
5.5.2 Latitudine di giorno
5.6 Longitudine
6 La luna
6.1 laspetto fisico
6.2 Moto di rotazione
6.3 Sistema Terra-Luna
6.4 Moto di rivoluzione e fasi lunari
6.5 Mese sidereo
6.6 Mese sinodico e ciclo delle lunazioni (Metone)
6.7 La luna e le maree
6.8 Mese draconico, retrogradazione dei nodi ed eclissi
6.8.1 Eclisse di Luna
6.8.2 Eclisse di Sole (occultazione)
6.8.3 Il ciclo delle eclissi (Saros)
6.9 Librazioni
6.10 L'orbita della luna intorno al sole
6.11 Ipotesi sull'origine della luna
6.11.1 Ipotesi della fissione
6.11.2 Ipotesi della cattura
6.11.3 Ipotesi dellaccrescimento
6.11.4 Ipotesi dellimpatto meteorico
7 Petrologia
7.1 Minerali e rocce
7.2 Cenni di cristallografia
7.3 Cenni di mineralogia
7.3.1 Polimorfismo ed isomorfismo
7.4 I Silicati
7.5 Le rocce: classificazione
7.6 Rocce ignee o magmatiche
7.6.1 Rocce intrusive (Plutoniti)
7.6.2 Rocce effusive (Vulcaniti)
7.6.3 Rocce ipoabissali (ipoabissaliti)
7.6.4 Caratteristiche chimico-fisiche dei magmi
7.6.4.a Magmi acidi o sialici (silice > 65%)
7.6.4.b Magmi basici o femici (silice < 52%)
7.6.4.c Magmi intermedi o neutri (silice 52% - 65%)
Approfondimento
7.6.5 Differenziazione magmatica: serie di Bowen
7.6.5.a Serie discontinua
7.6.5.b Serie continua
7.6.6 Genesi ed evoluzione del magma: magma primario e magma anatettico
7.7 Le rocce sedimentarie
7.7.1 Rocce sedimentarie clastiche o detritiche
7.7.1.a Degradazione o alterazione di una roccia preesistente
7.7.1.b Fenomeni di degradazione fisica
7.7.1.c Fenomeni di degradazione chimica
7.7.1.d Erosione
7.7.1.e Trasporto dei clasti
7.7.1.f Sedimentazione

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7.7.1.g Diagenesi o Litificazione
7.7.2 Classificazione delle rocce clastiche
7.7.2.a Le ruditi (o psefiti)
7.7.2.b Le areniti o arenarie (o psammiti)
7.7.2.c Le peliti (o lutiti)
7.7.3 Piroclastiti
7.7.4 Rocce sedimentarie di deposito chimico
7.7.5 Rocce sedimentarie organogene
7.7.5.a Calcari organogeni
7.7.5.b Selci organogene
7.7.5.c Fosforiti
7.7.5.d Carbone e petrolio
7.8 Le rocce metamorfiche
7.8.1 La temperatura ed il grado metamorfico
7.8.2 Lazione della pressione: la scistosit
7.8.3 Tipi di metamorfismo
7.8.3.a Metamorfismo di carico
7.8.3.b Metamorfismo regionale
7.8.3.c Metamorfismo di contatto o termico
7.8.3.d Metamorfismo dinamico o cataclastico
7.8.4 Classificazione delle rocce metamorfiche
8 Sismologia
8.1 I terremoti
8.2 Le onde sismiche
8.2.1 Onde longitudinali
8.2.2 Onde trasversali
8.2.3 Le onde di superficie
8.2.3.a Onde di Love
8.2.3.b Onde di Rayleigh
8.2.4 Fenomeni di rifrazione e riflessione
8.2.5 Le oscillazioni libere
8.3 Sismografi
8.4 Scale sismiche
9 Vulcanologia
9.1 Vulcanesimo effusivo
9.2 Vulcanesimo esplosivo
9.3 Le eruzioni centrali: gli edifici vulcanici e la classificazione di Lacroix
9.3.1 Gli edifici vulcanici
9.4 Le eruzioni lineari o fissurali
9.5 Formazione del magma
9.6 Vulcanesimo secondario
9.7 Distribuzione geografica dei fenomeni vulcanici e sismici
9.8 Struttura interna della terra
9.8.1 Metodi di indagine
9.8.1.a Dati sismici e le superfici di discontinuit
9.8.2 La struttura interna della Terra
9.8.2.a La crosta
9.8.2.b Il Mantello
9.8.2.c Il nucleo
9.8.3 Il calore terrestre
9.8.4 Il magnetismo terrestre

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9.8.5 Paleomagnetismo
10 Geodinamica
10.1 Lattualismo
10.2 Le teorie orogenetiche: isostasia e geosinclinali
10.3 Wegener e la deriva dei continenti
10.4 Indizi per una teoria geodinamica globale
10.4.1 Discordanze dei dati paleomagnetici
10.4.2 Coincidenza tra aree sismiche e vulcaniche
10.4.3 Scoperta di ipocentri profondi: il piano di Benioff
10.4.4 Hess e lespansione dei fondali oceanici
10.5 Teoria della tettonica a zolle
10.5.1 I margini divergenti
10.5.1.a Le dorsali oceaniche
10.5.1.b Le fosse tettoniche
10.5.2 margini convergenti
10.5.2.a Convergenza litosfera oceanica - litosfera continentale
10.5.2.b Convergenza litosfera oceanica - litosfera oceanica
10.5.2.c Convergenza litosfera continentale - litosfera continentale
10.5.3 margini trasformi
11 Atmosfera e Meteorologia
11.1 Troposfera
11.2 Stratosfera
11.3 Mesosfera
11.4 Termosfera
11.5 Esosfera
11.6 Radiazione solare, bilancio termico e isoterme
11.7 Pressione atmosferica e isobare
11.8 I venti
11.9 Circolazione generale dell'atmosfera
11.10 Umidit dell'aria e precipitazioni
11.11 Nefoscopia
11.12 Perturbazioni atmosferiche




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1 Reticolato geografico

1.1 Riferimenti geografici
Al fine di individuare un punto sulla superficie terrestre in maniera univoca si utilizza un sistema di
riferimento, analogo al sistema di assi cartesiani con il quale misuriamo le coordinate di un punto
sul piano. Gli assi di riferimento (analoghi all'asse delle ascisse e delle ordinate) sono stati
convenzionalmente fissati nell'equatore e nel meridiano di Greenwich.
- L'equatore il cerchio massimo ottenuto dall'intersezione della superficie terrestre con un piano
passante per il centro della terra e perpendicolare all'asse di rotazione terrestre. Tutti gli infiniti
piani che intersecano la superficie terrestre parallelamente al piano equatoriale individuano
altrettante circonferenze, di raggio via via minore man mano che ci avviciniamo ai poli, dette
paralleli.
- intersecando la superficie terrestre con dei piani contenenti l'asse di rotazione terrestre si
ottengono infinite circonferenze passanti per i due poli geografici. Ciascuna met di tali
circonferenze congiungenti il polo Nord al polo Sud detta meridiano. Convenzionalmente il
meridiano fondamentale di riferimento quello che passa per l'osservatorio astronomico di
Greenwich.
L'insieme dei meridiani e dei paralleli forma una griglia detta reticolato geografico.

1.2 Coordinate geografiche: latitudine e longitudine
Come in un sistema di assi cartesiani possiamo individuare in modo univoco un punto sul piano
attraverso due numeri detti coordinate che esprimono la distanza del punto (misurata
perpendicolarmente agli assi) dagli assi x ed y di riferimento, cos sulla superficie terrestre
possiamo calcolare la posizione di un punto tramite le sue coordinate geografiche, la sua distanza
cio dagli assi geografici di riferimento (equatore e meridiano di Greenwich). Le coordinate
geografiche prendono il nome di latitudine e
longitudine. Trovandoci su di una superficie sferica,
latitudine e longitudine non si misurano in unit di
misura di lunghezza (m km etc), ma attraverso unit
di misura di ampiezza, cio in gradi e sottomultipli
(1 = 60' ; 1' = 60'') Cos la latitudine () di un punto
P la distanza angolare del punto dall'equatore
misurata lungo l'arco del meridiano passante per P
(cio misurata perpendicolarmente all'equatore). In
altre parole l'angolo sotto il quale viene visto dal
centro della terra l'arco di meridiano che congiunge
P all'equatore. La longitudine () del punto P
invece la distanza angolare del punto P dal
meridiano di Greenwich, misurata lungo l'arco di
parallelo che passa per P (cio misurata
perpendicolarmente al meridiano di Greenwich. In
altre parole l'angolo sotto il quale viene visto dal centro della terra l'arco di equatore che
congiunge il meridiano di Greenwich al meridiano passante per P. Normalmente sulla superficie
terrestre vengono segnati solo i paralleli ed i meridiani di grado, cio quelli che distano un grado
l'uno dall'altro(meridiani e paralleli sono per infiniti).
I paralleli di grado sono 89 a Nord dell'equatore (il polo Nord un punto) e 89 a Sud dell'equatore
(il polo Sud un punto) per un totale di 179, equatore compreso. I meridiani di grado sono
naturalmente 360. La latitudine va dunque da 0 (equatore) a 90 Nord (polo Nord) e 90 Sud (polo
Sud). La longitudine va da 0 (Greenwich) a 180 Est (antimeridiano di Greenwich) e 180 Ovest
(antimeridiano di Greenwich). Dando la sola latitudine non si individua un punto, ma un intero


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parallelo (tutti i punti che compongono un parallelo possiedono infatti la medesima latitudine).
Dando solo la longitudine si individua un intero meridiano. Dando latitudine e longitudine si
individua il punto di intersezione tra parallelo e meridiano.

Elementi di Geodesia
2-1

2 Elementi di Geodesia

La Geodesia la disciplina che studia la forma e le dimensioni della Terra.
Possiamo far risalire a Pitagora (570-490 ca a.C.) lidea della sfericit della terra, come
conseguenza di speculazioni teoriche sulla perfezione della forma sferica (sembra comunque che gli
Egizi ne fossero a conoscenza parecchi secoli prima). Successivamente, da Eudosso di Cnido (408-
355 ca a.C.) fino ad Aristotele (384-322 a.C.), si accumularono numerose evidenze tese a
confermare sperimentalmente tale ipotesi. Famose, e ancor oggi citate, sono:
- una nave in avvicinamento compare allorizzonte mostrandoci prima lalbero e poi lo scafo
- laltezza della stella polare sullorizzonte aumenta mentre ci dirigiamo verso nord
- la porzione di orizzonte visibile aumenta con laltezza dellosservatore (quota)
- lombra proiettata dalla terra sulla luna durante uneclissi sempre una circonferenza (se la terra
fosse un disco, nei casi in cui fosse disposta obliquamente rispetto ai raggi solari la sua ombra
sarebbe unellisse).
-
2.1 Le dimensioni della Terra: misura di un arco di meridiano
Per i greci la sfericit della terra divenne un fatto talmente scontato che giunsero addirittura a
stimarne la circonferenza. La prima stima delle dimensioni terrestri viene infatti fatta risalire ad
Eratostene (Cirene 273 - Alessandria 192 a.C.), il quale determin la lunghezza della circonferenza
terrestre misurando l'ampiezza dell'arco di
meridiano che univa Alessandria ad Assuan
(l'antica Siene). Eratostene aveva notato che
durante il solstizio d'estate a mezzogiorno i
raggi solari risultavano perpendicolari a Siene,
mentre ad Alessandria producevano ombra.
L'inclinazione o dei raggi solari rispetto alla
verticale di Alessandria fu misurata da
Eratostene in 1/50 di angolo giro.
Poich tale angolo evidentemente uguale
all'angolo al centro che sottende l'arco di
meridiano che unisce Alessandria a Siene e la
distanza tra le due citt era allora stimata in 5.000 stadi egiziani (il valore forse non era
estremamente accurato poich era fornito dai bematisti, corrieri che venivano pagati a passo (bema
= 0,74m)), una semplice proporzione permette di calcolare la lunghezza dell'intera circonferenza,
pari a 50 volte 5.000 stadi (250.000 stadi, valore sorprendentemente vicino alle stime attuali 1
stadio alessandrino = 184,8 m). Il metodo di Eratostene fondamentalmente usato ancora oggi.
Esso pone per dei problemi per quel che riguarda l'accuratezza e l'attendibilit nella misura delle
lunghezze (gli angoli si misurano con estrema precisione). Si pensi ad esempio che nel 1527 J.
Fernel, medico di corte del re di
Francia, valut la distanza tra
Parigi ed Amiens contando il
numero di giri effettuati dalle
ruote della sua carrozza,
ottenendo una misura del grado
di meridiano di 111 km. La
misura delle lunghezze giunse ad
una precisione accettabile con
l'introduzione del metodo della
triangolazione. Nel 1617


Elementi di Geodesia
2-2
l'olandese Willebrord Snell (Snellius, ) pubblic i risultati del primo rilevamento geodetico (1615)
eseguito con tale metodo (proposto verso la fine del '500 da Brahe), in cui ottenne come lunghezza
del grado di meridiano 55.100 tese (circa 107,4 km).
Il metodo si basa sulla individuazione sulla superficie terrestre di una catena di triangoli aventi
vertici e lati in comune, costruiti in modo da raccordare gli estremi A e G dell'arco di meridiano. Si
esegue con grande precisione la misura di un solo lato (base geodetica) di cui si determina anche
l'orientamento rispetto al meridiano, mentre tutti gli altri lati si ricavano dalle misure degli angoli
(molto pi semplici e precise da effettuare rispetto alle misure di distanza), utilizzando le usuali
regole della trigonometria. La misura dell'arco AG si ottiene come somma delle proiezioni dei lati
dei triangoli sul meridiano stesso.

2.2 La forma: schiacciamento polare
Fino alla met del Seicento si riteneva che la terra fosse perfettamente sferica. Ci comportava che
la misura di un arco di meridiano di 1 poteva essere effettuata a qualsiasi latitudine, fornendo
sempre il medesimo risultato. I primi dubbi sul fatto che la terra fosse una sfera perfetta sorsero in
seguito ai risultato conseguiti nel 1671 dall'astronomo francese J. Richer. Nell'ambito delle attivit
promosse dalla Acadmie des Sciences di Parigi, Richer si era trasferito nell'isola di Cayenne nella
Guyana francese, per osservare in contemporanea con Gian Domenico Cassini (Cassini I), rimasto a
Parigi, un'opposizione di Marte. Lo scopo della duplice osservazione era di determinare (essendo
nota la distanza tra i due punti di osservazione) la parallasse del pianeta e quindi il valore dellUnit
Astronomica (sapendo che Marte dista dal Sole 1,52 UA quando in opposizione dista dalla terra
1,52 1 = 0,52 UA). Ma Richer scopr che in Guyana, a 5 di latitudine nord, il pendolo che si era
portato da Parigi per la misura del tempo ritardava di circa 2,5 minuti al giorno. Richer spieg il
fenomeno ipotizzando che la terra non fosse perfettamente sferica, ma rigonfia nelle zone
equatoriali. Venuto a conoscenza del fenomeno, Newton, che in quel periodo lavorava alla sua
teoria della gravitazione, intu che l'effetto sul pendolo poteva essere spiegato con una diminuzione
locale del valore dell'accelerazione di gravit g. Il periodo di oscillazione di un pendolo di
lunghezza l infatti pari a
g
l
T t 2 =
In effetti la diminuzione che il valore di g manifesta mentre ci si avvicina all'equatore dovuta a
due componenti:
a) aumento della forza centrifuga, legato all'aumento della distanza D dall'asse di rotazione
b) diminuzione della forza gravitazionale, legata alla maggior distanza R dal centro della terra
L'accelerazione di gravit g infatti il risultato della
composizione di due vettori: l'accelerazione centrifuga
(a
c
= e
2
D) e l'accelerazione dovuta alla sola forza di
attrazione gravitazionale o newtoniana (a
N
=
GM
R
2
). Se
ipotizziamo che la terra si possa comportare almeno
parzialmente come un fluido, la forza centrifuga, il cui
valore cresce costantemente dai poli (dove nulla, D =
0) all'equatore (dove assume il valore massimo (D = R),
deve averla deformata, provocando un rigonfiamento
all'equatore ed una depressione ai poli. Il raggio
terrestre non deve quindi essere costante alle varie
latitudini e con esso anche l'arco di meridiano di 1. In
base a considerazioni teoriche Newton era dunque
convinto dello schiacciamento polare della terra, mentre
in Francia Cassini sosteneva che la terra fosse protuberante ai poli. Ora, poich si pu dimostrare
che se la terra rigonfia all'equatore un grado di meridiano assume il suo valore massimo nelle zone

Elementi di Geodesia
2-3
polari, per diminuire man mano che ci spostiamo verso le basse latitudini, la questione poteva
essere risolta misurando e confrontando archi di meridiano di egual ampiezza misurati a diverse
latitudini.
Per poter ottenere dati conclusivi l'Accademia delle Scienze invi due spedizioni a misurare un
grado di meridiano al polo e all'equatore, dove le eventuali differenze sarebbero state sicuramente
evidenti. Il risultato conferm lipotesi di Newton e verso la seconda met del 700 venne
definitivamente accettata lidea dello schiacciamento polare della terra.
Uno dei compiti fondamentali della geodesia dunque descrivere la forma di tale sfera deformata.
Se ipotizziamo che la terra si comporti come una sfera fluida in equilibrio sotto l'azione delle forze
ad essa applicate (gravitazionali e centrifughe), la sua superficie dovrebbe disporsi sempre
perpendicolarmente alla risultante di tali forze (gravit), in modo tale che non si produca nessun
lavoro netto che possa ulteriormente modificarne la forma (un movimento perpendicolare alla forza
non compie infatti lavoro). Tale superficie teorica pu essere calcolata e prende il nome di sferoide.

2.3 Lellissoide
Per ragioni di praticit lo sferoide viene sostituito con un ellissoide di rotazione che ha gli stessi
semiassi (a e b) dello sferoide. Si trova infatti che lellissoide coincide con lo sferoide, con
differenze nel raggio che non superano i 14 metri). Poich dunque per i calcoli l'ellissoide risulta
pi semplice, si convenuto di assumere quest'ultimo come superficie teorica di riferimento per
rappresentare la forma della terra. Lequazione che lega il raggio dellellissoide alla latitudine
geocentrica

c

c
c
e
b
R

=
2 2
cos 1

Dove b il semiasse minore, mentre il rapporto tra le dimensioni reciproche dei due semiassi
espresso da un parametro detto eccentricit e, per il quale vale la relazione
2
2 2
2
a
b a
e

= oppure
a
c
e =
dove c la distanza tra il fuoco ed il centro (r
max
r
min
= 2c)
Il rapporto tra le dimensioni reciproche dei due semiassi pu essere espresso anche attraverso lo
schiacciamento polare o (o ellitticit o ellissoidicit), per il quale vale la relazione
o =
a b
a

E semplice verificare come tra schiacciamento polare ed eccentricit sussista la seguente relazione
e
2
= 2o - o
2

2.4 Coordinate geocentriche e geografiche
La relazione che descrive lellissoide non pu
essere utilizzata direttamente per calcolare la
distanza di un punto P dal centro della terra o la
lunghezza di un arco di meridiano, in quanto noi
non misuriamo la latitudine geocentrica (
c
), ma
la latitudine geografica o geodetica (
g
), cio
l'angolo che la verticale del luogo (direzione del
filo a piombo) forma con il piano equatoriale.
Possiamo comunque calcolare quale sarebbe la
direzione della verticale teorica sull'ellissoide di
riferimento (conoscendo lequazione di una
curva possibile determinare lequazione della
retta tangente in un punto e di conseguenza

Elementi di Geodesia
2-4
lequazione della retta ad essa perpendicolare). Nota la direzione della verticale teorica possibile
determinare la relazione tra latitudine geocentrica e latitudine geografica ellissoidica. Si pu
dimostrare che tra latitudine geocentrica e geografica esiste la seguente relazione
( )
c g
e = tan 1 tan
2

Si noti comunque che la verticale ellissoidica solo teorica in quanto non coincide necessariamente
con la verticale vera (filo a piombo). Ci dovuto all'esistenza di disturbi gravitazionali locali
(anomalie gravimetriche), legati alla non omogenea distribuzione delle masse terrestri, che
producono deviazioni sul filo a piombo.
Trovata lequazione che descrive lellissoide in funzione della latitudine geografica possibile
utilizzarla per fissare in modo univoco le dimensioni dell'ellissoide di riferimento. Per far ci
necessario determinare il valore di almeno due parametri. In genere viene determinato il valore del
semiasse maggiore (a) e dello schiacciamento polare (o).
La determinazione di tali parametri pu essere fatta confrontando misure di lunghezza di archi di
meridiano fatte a latitudini geografiche diverse.
In effetti per ottenere risultati attendibili necessario effettuare molte misurazioni. Ci dovuto al
fatto che nelle relazioni utilizzate per i calcoli compaiono, come si detto, le latitudini geografiche
ellissoidiche (riferite alla verticale teorica sull'ellissoide), mentre noi misuriamo le latitudini
geografiche astronomiche (l'altezza delle stelle sull'orizzonte riferita alla verticale vera). Poich
d'altra parte le deviazioni del filo a piombo rispetto alla verticale teorica ellissoidica si
distribuiscono casualmente sia in eccesso che in difetto, in un numero elevato di misurazioni le
deviazioni assumono carattere di errore accidentale, eliminabile con opportuni procedimenti
statistici di calcolo.

Lo schiacciamento o pu essere calcolato anche con misure gravimetriche. In questi ultimi anni si
sono ottenuti risultati di elevata precisione nella misura dello schiacciamento utilizzando il
fenomeno di precessione dei satelliti artificiali Il rigonfiamento equatoriale disturba
gravitazionalmente le orbite dei satelliti artificiali. Ci produce un momento torcente che
tenderebbe a far coincidere il piano orbitale con il piano equatoriale. Poich il momento angolare
del satellite si conserva, il risultato un moto di precessione, un progressivo spostamento del punto
di intersezione dell'orbita del satellite con il piano equatoriale. La misura di tale spostamento tra due
successivi passaggi di un satellite all'equatore fornisce una misura piuttosto precisa dello
schiacciamento polare o.

Con lo scopo di promuovere le ricerche sulla forma e le dimensioni della Terra, nel 1861 venne
fondata l"Associazione Internazionale per la Misura del Grado" trasformatasi poi nell'"Unione
Geodetica e Geofisica Internazionale" (IUGG).
Nel 1924 la II
a
Assemblea Generale dell'IUGG decise di assumere convenzionalmente come
ellissoide internazionale di riferimento quello calcolato da Hayford (a = 6.378.388; o = 1/297).
Nel 1967 l'IUGG propose un nuovo ellissoide, detto ellissoide di riferimento 1967 con a =
6.378.160 e o = 1/298.25, ma l'ellissoide di Hayford resta ancor oggi diffusamente utilizzato nelle
applicazioni geodetiche. L'Istituto Geografico Militare utilizza invece per la cartografia 1:100.000
l'ellissoide di Bessel.

2.5 Gravimetria
Essendo l'ellissoide una superficie teorica equipotenziale possibile calcolare in modo preciso il
valore del campo gravitazionale teorico ad essa associato. Il valore dell'accelerazione di gravit
teorica sull'ellissoide detto gravit normale .



Elementi di Geodesia
2-5

L'accelerazione di gravit g misurata, in onore di Galileo, in gal. 1 gal = 1 cm/s
2
. Le misure di
gravit possono essere assolute o relative: con le misure assolute si determina direttamente il valore
di g in un certo luogo, con le misure relative (molto pi semplici da effettuare) si ottiene il rapporto
o la differenza di gravit tra un luogo ed un altro di cui si possieda una misura assoluta.
Le misurazioni assolute di gravit si eseguono essenzialmente utilizzando il pendolo (
g
l
T t 2 = ) o
sfruttando la legge di caduta dei gravi (
2
2
1
gt s = ). Le misure relative si eseguono tramite
gravimetri, i quali ci forniscono il valore di g utilizzando la relazione tra forza-peso P e massa m (P
= mg). Un gravimetro in pratica costituito da una massa m sostenuta da una molla. Dopo esser
stato tarato in un luogo di cui sia nota la gravit assoluta, il gravimetro misura le differenze di peso
P (e quindi di g) che la massa m (considerata costante) manifesta in luoghi diversi rispetto al luogo
di taratura.
Le misure gravimetriche cos effettuate forniscono valori di gravit effettivi, determinati sulla
superficie fisica della terra. Per poter essere confrontati con i valori della gravit normale teorica
devono essere corretti per tener conto dell'altezza, della distribuzione locale delle masse (rilievi e
avvallamenti), della loro densit etc. Le correzioni da apportare ai valori misurati per ottenere i
valori teorici (normali) vanno sotto il nome di riduzione all'ellissoide.

2.6 Il geoide
L'ellissoide evidentemente una rappresentazione geometrica della terra che non tiene conto delle
irregolarit della crosta terrestre. Se i valori di g opportunamente ridotti coincidessero ovunque con
i valori normali della gravit in modulo e direzione allora l'ellissoide rappresenterebbe, anche
fisicamente, una superficie equipotenziale. Poich ci non avviene deve esistere una superficie
equipotenziale fisica della gravit ridotta, che Gauss e Bessel chiamarono 'superficie matematica
della terra' e alla quale venne in seguito (Listing, 1873) dato il nome di geoide.

La forma del geoide non viene calcolata direttamente, ma se ne calcolano le differenze rispetto
all'ellissoide di riferimento. Gli scostamenti che il geoide manifesta rispetto all'ellissoide sono dette
onde geoidiche. Se lacqua degli oceani potesse comunicare attraverso i continenti essa si
disporrebbe secondo la superficie del geoide, dandocene una rappresentazione concreta (essendo un
fluido lacqua presenta neccessariamente una superficie equipotenziale).
I procedimenti utilizzati per la determinazione della forma del geoide sono essenzialmente due: il
primo (Villarceau - 1873) utilizza le deviazioni della verticale, il secondo (Stokes - 1849) si avvale
della determinazione delle anomalie gravimetriche. In entrambi i casi si eseguono confronti tra il
vettore (gravit normale) ed il vettore g. Nel primo caso si valutano le differenze nella direzione,
nel secondo le differenze in modulo.

2.6.1 Deviazioni della verticale
Si definisce deviazione della verticale l'angolo che la verticale forma in un punto con la normale
all'ellissoide (verticale teorica). Il metodo richiede che venga determinata la verticale di un punto A
e le sue coordinate astronomiche con grande precisione. Si ipotizza poi che in tale punto (punto di
emanazione o punto entrale) la verticale (normale al geoide) coincida con la verticale all'ellissoide.
Nel 1930 l'IUGG, adott come formula per la gravit normale la seguente
) 2 sen 10 9 , 5 sen 10 2884 , 5 1 ( 049 , 978
2 6 2 3
g g
+ =



Mentre insieme all'ellissoide 1967 venne proposta come Formula della gravit 1967:
) 2 sen 10 8 , 5 sen 10 3024 , 5 1 ( 032 , 978
2 6 2 3
g g
+ =


Elementi di Geodesia
2-6
Tramite triangolazione si passa da A ad un punto B di cui si calcolano le coordinate in funzione di
A. Si misurano infine le coordinate astronomiche (geografiche) di B. Le differenze A e A tra
coordinate ellissoidiche (calcolate) ed astronomiche (misurate) permettono di risalire all'angolo che
la normale all'ellissoide forma con la verticale fisica (deviazione della verticale). Con opportuni
procedimenti di calcolo poi possibile trasformare tali misure in un dislivello h tra la superficie del
geoide e dell'ellissoide. Il procedimento della deviazione della verticale, fondandosi sulle
triangolazioni, non pu essere esteso alle regioni oceaniche.


2.6.2 Anomalie gravimetriche
Il metodo che utilizza le anomalie gravimetriche di applicazione pi semplice e non presenta le
limitazioni del precedente. Esso consiste nel calcolare la differenza tra i valori di gravit misurata
ed opportunamente ridotta all'ellissoide (g), con i valori di gravit normale ().
Ag = g -
Le differenze trovate Ag vengono dette anomalie gravimetriche e permettono di risalire agli
scostamenti tra ellissoide e geoide, attraverso la relazione di Stokes. Le onde geoidiche presentano
rispetto all'ellissoide un'ampiezza massima dell'ordine di 100 m.

Moti della Terra
3-1

3 Moti della terra

3.1 Moto di rotazione
La terra ruota attorno al proprio asse in circa 24 ore con un movimento antiorario se osservato dal
polo Nord Celeste (proiezione lungo l'asse terrestre del polo Nord terrestre sulla volta celeste). Il
movimento avviene cio da W verso E.

3.1.1 Prove del moto di rotazione
Oggi possiamo facilmente verificare direttamente tale rotazione attraverso l'osservazione da un
satellite in orbita. In passato sono stati invece effettuati esperimenti per dimostrare indirettamente
l'esistenza di tale moto. I pi famosi si devono a G.B. Guglielmini (1691) e J.B. Foucault (1851).

3.1.1.a Esperienza di Guglielmini
Lasciando ripetutamente cadere un grave dalle torri di Bologna
Guglielmini verific che esso non cadeva lungo la verticale
individuata dal filo a piombo, ma sistematicamente spostato
verso Est. Se individuiamo con A il punto di partenza del grave
in cima alla torre e con B il punto a terra che si trova sulla
perpendicolare di A, facile verificare che se la terra ruota A
deve muoversi ad una velocit lineare maggiore di B. Trovandosi
infatti ad una maggior distanza dallasse di rotazione terrestre
(D
A
> D
B
) la velocit lineare di A (V
A
= e D
A
) maggiore della velocit lineare di B (V
B
= e D
B
).
In altre parole quando la terra ha effettuato in 24 ore una rotazione completa A deve aver percorso
una circonferenza maggiore di B nello stesso tempo (24 ore). Per il principio di inerzia il grave
lasciato cadere da A deve conservare anche mentre cade la velocit iniziale che caratterizzava la
cima della torre e giungendo a terra si trover un po' pi avanti (nella direzione del moto di
rotazione terrestre) di B che ruota pi lentamente. Poich il corpo cade sempre spostato verso Est
rispetto alla perpendicolare ci dimostra che la direzione di rotazione della terra da Ovest verso
Est.

3.1.1.b Esperienza di Foucault
Il piano di oscillazione di un pendolo ha la caratteristica di mantenere invariato il suo piano di
oscillazione rispetto all'universo (stelle fisse).
Foucault appese un pendolo alla cupola del Pantheon a Parigi e lo fece oscillare in modo che la sua
punta tracciasse un solco sulla sabbia disposta sul pavimento
dell'edificio. Con il passare del tempo il piano di oscillazione
ruotava . Non potendo trattarsi di una effettiva rotazione del
piano di oscillazione del pendolo, l'unica spiegazione
possibile rimaneva una rotazione della terra intera e quindi
del pavimento sul quale il pendolo stava lasciando le sue
tracce.
Se l'esperimento venisse condotto ai poli il piano di
oscillazione eseguirebbe una apparente rotazione completa di
360 in 24 ore. All'equatore non si avrebbe alcuna rotazione,
mentre a latitudini intermedie in 24 ore la rotazione sarebbe
minore di 360, tanto minore quanto minore la latitudine.
Se la latitudine pari a , il piano di oscillazione del pendolo
compie in 24 ore una rotazione pari a 360 sen , con una
velocit angolare di 15 sen gradi all'ora. Per compiere
Moti della Terra
3-2
quindi una rotazione completa (giorno pendolare) di 360 impiega

( )

sen
sen
h
h o
o
24
15
360
/
=





3.1.2 Conseguenze del moto di rotazione terrestre

3.1.2.a Alternarsi del d e della notte
La rotazione della terra espone evidentemente la sua superficie ad un continuo cambiamento di
condizioni di illuminazione rispetto alla luce proveniente dal sole. Poich la terra ruota da Ovest
verso Est, il sole sembra sorgere ad Est, effettuare un movimento apparente di salita lungo un arco
di circonferenza sulla volta celeste, per poi ridiscendere e tramontare ad Ovest. Quando il sole
raggiunge il punto pi alto della sua traiettoria apparente si dice che si trova in culminazione
(mezzogiorno solare). Il sole in culminazione su di un punto della superficie terrestre quando sta
transitando esattamente sopra il meridiano passante per il luogo.
Il sole sufficientemente distante dalla terra da poter considerare i suoi raggi paralleli tra loro. In tal
modo la terra risulta costantemente divisa in due parti uguali, una illuminata ed una oscura, da un
cerchio massimo detto circolo di illuminazione. In realt, a differenza della luna, dove la mancanza
di atmosfera produce una netta separazione tra ombra e luce, sulla terra il circolo di illuminazione
non netto. I fenomeni di rifrazione e di diffusione della luce solare prodotti dalla presenza
dell'atmosfera terrestre, producono una zona di penombra, detta crepuscolo. In altre parole i raggi
solari che in assenza di atmosfera sfiorerebbero solamente la superficie terrestre senza colpirla,
vengono deviati e vanno ad illuminare parzialmente una piccola porzione della zona in ombra,
producendo l'illuminazione tipica dell'alba e del tramonto.


3.1.2.b Le forze dinerzia: forza centrifuga e forza di Coriolis
Un osservatore solidale con un sistema in moto accelerato, qual appunto un sistema in rotazione,
non verifica il principio di inerzia, nel senso che sperimenta fenomeni in disaccordo con esso. I
sistemi in moto accelerato sono perci detti sistemi non inerziali. In essi, corpi apparentemente non
soggetti a forze, manifestano accelerazioni.
In realt si pu dimostrare che la comparsa di tali accelerazioni legata al particolare sistema di
riferimento considerato ed esse non esisterebbero se il sistema fosse fermo o si muovesse di moto
rettilineo uniforme. Paradossalmente in un sistema accelerato l'inerzia di un corpo si manifesta
come una accelerazione apparente. Per questo motivo tali accelerazioni apparenti vengono attribuite
a forze fittizie dette forze d'inerzia. Le forze dinerzia, come le accelerazioni ad esse correlate, sono
grandezze vettoriali.













Moti della Terra
3-3

Generalit sui corpi in rotazione (Approfondimento)
Dato un corpo rigido in rotazione attorno ad un asse, tale che, dopo un intervallo di tempo At esso abbia ruotato di un
angolo Au, si definisce velocit angolare istantanea il limite per At 0 del rapporto tra la variazione dell'angolo di
rotazione (espresso in radianti) e l'intervallo di tempo At (derivata dello spostamento angolare rispetto al tempo)
dt
d0 0
e =
A
A
A
t
lim =
0 t

Si conviene inoltre di associare a tale grandezza scalare un
vettore
r
parallelo all'asse di rotazione e con il medesimo verso
che avrebbe il moto di avanzamento di una vite (destrorsa) che
ruoti nello stesso senso del corpo considerato. In tal modo, detto
r
r il vettore distanza che congiunge un punto P del corpo con un
punto qualsiasi dell'asse di rotazione, sempre possibile
calcolare la velocit lineare
r
v del punto P come il prodotto
vettoriale
v r

= . e ed in modulo v r = e o sen
dove o l'angolo (convesso, minore di 180) compreso tra i due vettori, cosicch r
sin o la proiezione di r sulla retta perpendicolare che congiunge il punto P
all'asse di rotazione e rappresenta dunque la distanza di P dall'asse. Nel caso
della terra facile verificare che, utilizzando il raggio terrestre, la velocit lineare di
un punto a latitudine pari a
e o e cos = = r sen r v

Si
rammenti che il prodotto vettoriale

A B .
uguale ad un vettore

C che ha per modulo (AB


sin o), pari allarea del parallelogramma avente
per lati i vettori A e B (dove o langolo
convesso), direzione perpendicolare al piano
individuato dai due vettori, mentre il verso
dato dalla regola della mano destra (se le dita
della mano destra accompagnano la rotazione
di

A verso

B lungo langolo o, il pollice


esteso individua il verso del vettore

C).

3.1.2.c Forza centrifuga e schiacciamento polare
La pi comune forza d'inerzia la forza centrifuga che si manifesta su corpi ancorati ad un sistema
in rotazione. Un osservatore solidale con un riferimento rotante (una giostra ad esempio) si sente
spinto verso l'esterno in direzione normale all'asse di rotazione. Tale sensazione un effetto
dell'inerzia che tenderebbe a far muovere l'osservatore di moto rettilineo uniforme rispetto al
sistema esterno fisso, lungo la direzione tangente al suo moto rotatorio.
Leffetto pi evidente della forza centrifuga lo schiacciamento delle regioni polari ed il relativo
rigonfiamento equatoriale. Il fenomeno si produce infatti per la maggior forza centrifuga cui sono
sottoposte le regioni equatoriali rispetto a quelle polari, in virt di una maggior distanza delle prime
dall'asse di rotazione. Si pu dimostrare che tale forza proporzionale ad una accelerazione
(accelerazione centrifuga) che vale
( )

a r v
c
= . . = . e e e
Con v velocit lineare di rotazione del punto. E' facile verificare che laccelerazione centrifuga
sempre diretta in senso radiale.

3.1.2.d Forza di Coriolis e legge di Ferrel
Nel caso il corpo possieda una velocit propria v
p
rispetto al sistema in rotazione, oltre alla forza
centrifuga, compare una seconda forza fittizia, detta forza di Coriolis (1835).
Anche in tal caso si pu dimostrare che tale forza proporzionale ad una accelerazione
(accelerazione di Coriolis) che vale

a v
Cor p
= . 2e



Moti della Terra
3-4
Tale forza fittizia costringe il corpo in movimento a deviare rispetto alla sua direzione iniziale. Gli
effetti di tali deviazioni sono particolarmente evidenti per corpi debolmente vincolati alla superficie
terrestre, come velivoli.
Le deviazioni prodotte dalla forza di Coriolis sono descritte dalla legge di Ferrel. La legge di Ferrel
(1860 circa) afferma che un corpo in movimento sulla superficie terrestre, subisce una deviazione
rispetto alla sua direzione iniziale, verso destra nell'emisfero boreale e verso sinistra nell'emisfero
australe. La legge di Ferrel governa il movimento delle masse d'aria (venti) e delle masse d'acqua
(correnti marine) costringendole a ruotare in modo caratteristico nei due emisferi.
Per comprendere la legge di Ferrel necessario aver chiari i seguenti concetti:
a) La velocit lineare di rotazione dei diversi punti della superficie terrestre non costante. I punti
pi rapidi sono quelli che appartengono all'equatore (essendo quelli pi distanti dall'asse di
rotazione; V = e D). Man mano che procediamo verso i poli incontriamo paralleli di raggio
minore, i cui punti, essendo pi vicini all'asse di rotazione, sono sempre pi lenti.
b) Quando un oggetto si trova su di un punto della superficie terrestre ruota assieme ad essa con la
stessa velocit. Nel momento in cui l'oggetto abbandona la superficie terrestre continua per
inerzia a mantenere la velocit di rotazione del punto dal quale era partito.

Immaginiamo ora un aereo che si alzi in volo da un punto A sull'equatore e che proceda lungo un
meridiano verso un punto B posto pi a Nord. L'aereo si sposta verso punti della superficie terrestre
che stanno ruotando verso Est pi lentamente di quanto per
inerzia non stia facendo lui (V
A
> V
B
) . In tal modo L'aereo si
trova a precedere in direzione Est i punti della superficie
terrestre che sta sorvolando. Ci equivale ad una deviazione
verso destra del velivolo.
Allo stesso modo se l'aereo da A si alza in volo verso un punto
C posto sullo stesso meridiano ma in direzione Sud nell'emisfero
australe, esso si trover ad essere pi veloce dei punti che
sorvola (V
A
> V
C
), precedendoli sempre in direzione Est. Ma in
questo caso ci equivale ad una deviazione verso sinistra del
velivolo.
Se ora immaginiamo che il velivolo parta da B o da C e si diriga
verso il punto A sull'equatore, esso parte da punti aventi una
velocit di rotazione verso Est minore del punto di arrivo. Il
velivolo trovandosi cos a sorvolare punti della superficie
terrestre via via pi rapidi si trova in ritardo rispetto al moto di
rotazione terrestre, spostato cio in entrambi i casi verso Ovest.
Ci equivale ad una deviazione verso destra nell'emisfero
boreale e verso sinistra nell'emisfero australe.
In realt la forza di Coriolis produce deviazioni laterali solo quando il movimento avviene lungo un
meridiano. Si pu infatti dimostrare che negli altri casi compaiono anche delle deviazioni verticali
(verso lalto o verso il basso). In particolare se il corpo si muove lungo lequatore la forza di
Coriolis si manifesta unicamente in direzione verticale.









Moti della Terra
3-5

La forza di Coriolis in dettaglio (Approfondimento)
Per una trattazione pi dettagliata e precisa degli effetti della forza di Coriolis
necessario determinare caso per caso la direzione del vettore accelerazione con le
regole del prodotto vettoriale.
Possiamo in generale affermare che tale forza si manifesta su tutti i corpi in
movimento rispetto alla superficie terrestre, con l'eccezione dei casi in cui i vettori
v e

e hanno la stessa direzione (in caso di parallelismo l'angolo compreso tra i
vettori nullo ed essendo sin 0 = 0, anche il prodotto vettoriale si annulla). Casi del
genere si hanno quando un corpo si muove lungo la verticale in corrispondenza dei
poli (ad esempio un grave che cade sopra un polo) o quando un corpo parte
dall'equatore con direzione tangente al meridiano. Quando un corpo si muove rispetto
alla superficie terrestre possiamo distinguere due casi:
a) movimento tangenziale (parallelo alla superficie)
b) movimento radiale (perpendicolare alla superficie)

1) Movimento tangenziale
Nel caso di un movimento tangenziale facile
verificare che l'angolo o tra i vettori v e

e
coincide con l'angolo di latitudine del corpo. L'accelerazione di Coriolis presenta
in tal caso modulo pari a
a v
Cor
= 2e sen
Per la regola del prodotto vettoriale essa
sempre perpendicolare al piano individuato dai
due vettori v e

e . Consideriamo ora il caso
generale in cui la direzione del vettore velocit
formi un angolo | qualsiasi con il meridiano
passante per il luogo. Possiamo allora
considerare le componenti della velocit lungo
il meridiano (v cos|) e lungo il parallelo (v sin|) La componente lungo il meridiano
produce solo una deviazione laterale, mentre la componente lungo il parallelo
produce sia una deviazione laterale che una deviazione verticale. Per rendercene
conto rappresentiamo il moto di un corpo che si muova tangenzialmente ad un
parallelo che non sia l'equatore, in direzione est. Come si pu osservare
laccelerazione di Coriolis risulta in questo caso perpendicolare all'asse di rotazione. E' dunque possibile scomporre il
suo effetto sul moto del corpo in una componente tangenziale, che lo devia verso destra, e in una componente verticale
che, in questo caso, lo devia verso l'alto.
Naturalmente se il corpo si
muove lungo un parallelo in
direzione Ovest la
componente orizzontale
diretta sempre verso la sua
destra (in questo caso
verso il polo nord) mentre
la componente verticale
diretta verso il basso. La
componente verticale
tanto maggiore quanto pi
la direzione del vettore
velocit si scosta dalla
direzione del meridiano
passante per il luogo e, a
parit di inclinazione,
diventa via via maggiore
scendendo in latitudine. In
particolare un corpo che parta dall'equatore con un qualche angolo rispetto al meridiano presenta solo una componente
verticale che diventa massima quando il suo moto tangente all'equatore.
In definitiva un corpo che si muova verso est subisce oltre ad una deviazione laterale anche una deviazione verso l'alto
(e pesa quindi meno di un corpo fermo), mentre un corpo che si muova verso ovest subisce anche una deviazione verso
il basso (e pesa quindi di pi di un corpo fermo).










Moti della Terra
3-6

2) Movimento radiale
Nel caso di un movimento radiale (caduta di un grave, proiettile
lanciato verticalmente) facile verificare che l'angolo o tra i vettori
v e

e coincide con la colatitudine, cio con l'angolo complementare
all'angolo di latitudine. Se dunque = 90 - o, l'accelerazione di
Coriolis presenta in tal caso modulo pari a
a v v
Cor
= = 2 2 e o e sen cos
E' semplice verificare che, per la regola del prodotto vettoriale,
l'accelerazione di Coriolis in questo caso sempre tangente al
parallelo passante per il luogo e diretta verso est. Si noti come il
parallelo passante per il luogo non un cerchio massimo e la sua
direzione non quella est-ovest, ma deviata verso nord.

3.1.3 Durata del moto di rotazione: il giorno
Il tempo impiegato dalla terra per compiere una rotazione intorno al proprio asse detto giorno. La
durata del giorno risulta diversa se si prende come punto di riferimento esterno per misurare la
rotazione una stella o il sole. Essendo molto distante, una stella rappresenta un buon punto di
riferimento, potendo essere considerata ferma rispetto alla terra (stella fissa). Il tempo impiegato
affinch una stella fissa ritorni in culminazione su di un dato meridiano misura dunque la durata di
un'effettiva rotazione di 360 della terra intorno al proprio asse. Il giorno cos misurato detto
giorno sidereo e dura circa 23 ore e 56 minuti (23
h
56
m
4,0989
s
= 86.164,0989 s).
In realt il giorno sidereo pu ritenersi costante solo in prima approssimazione e per intervalli di
tempo sufficientemente piccoli. La terra sta infatti impercettibilmente rallentando. Le stime pi
recenti forniscono una variazione della velocit angolare della Terra pari a 4 ore ogni 700 milioni di
anni. Si ritiene che il motivo pi probabile di tale rallentamento sia da ricercare nellazione frenante
delle maree. La terra starebbe trasferendo momento angolare alla luna, la quale sta aumentando
progressivamente la sua distanza al ritmo di 3,7 0,2 m/secolo



Nonostante il giorno sidereo sia una misura relativamente esatta della durata della rotazione
terrestre, tutte le attivit umane sono regolate sulla posizione del sole e non delle stelle.
Se dunque misuriamo il tempo necessario affinch il sole culmini per due volte consecutive sullo
stesso meridiano (intervallo di tempo tra due mezzod) si ottiene il giorno solare, pari a circa 24
ore.

Il fatto che circa 350 milioni di anni fa il giorno durasse 22 ore stato confermato dallanalisi dei resti fossili di alcuni
coralli del periodo Devoniano (345 - 400 milioni di anni fa). Tali fossili presentano, come daltra parte alcuni coralli
odierni, anelli di accrescimento annuali e sottoanelli giornalieri. Ma mentre i coralli attuali mostrano 365 sottoanelli
per anno, i coralli del Devoniano ne mostrano 400 per anno. Poich il periodo di rivoluzione della terra
relativamente costante, lanno presentava allora lo stesso numero di ore (365 x 24 = 8760), ma, essendo formato
da 400 giorni, ogni giorno doveva essere costituito da 8760/400 ~ 22 ore.

Moti della Terra
3-7
Il sole non si pu per considerare fisso rispetto alla terra, poich mentre la terra compie una
rotazione intorno al proprio asse, essa si sposta contemporaneamente sulla sua orbita di un tratto di
circa 1 grado rispetto al sole. (la terra impiega infatti circa 365 giorni a compiere una rivoluzione di
360 intorno al sole con una velocit angolare di circa 1 al giorno. Pi precisamente impiega un
anno sidereo, pari a 31.558.150 secondi, a compiere una rivoluzione intorno al sole rispetto alle
stelle fisse).
Una volta che la terra ha dunque compiuto, dopo 23
ore e 56 minuti, una rotazione completa attorno al
suo asse, non trova il sole nuovamente in
culminazione, essendosi spostata in senso antiorario
rispetto ad esso di circa un grado. Per ritrovare
nuovamente il sole in culminazione la terra deve
dunque ruotare ancora di un angolo pari al suo
spostamento rispetto al sole, compiendo una
rotazione complessiva di 361.
Poich la terra impiega circa 24 ore per compiere
una rotazione di 360 intorno al suo asse, la sua
velocit angolare di rotazione sar di 360/24
h
pari
15 gradi all'ora. Per coprire un grado impiegher
quindi un quindicesimo di ora pari a 4 minuti circa.
In realt il giorno solare non ha sempre la stessa
durata costante di 24 ore. Infatti in perielio la terra
si sposta pi velocemente intorno al sole e quindi in
24 ore si sposta rispetto al sole di un tratto
leggermente superiore ad 1. La velocit di
rotazione terrestre invece costante e per compiere
un po' pi di 1 di rotazione al fine di riavere il sole
in culminazione impiegher un po' pi di 4 minuti.
Il giorno solare in perielio un po' pi lungo di 24
ore. Per ragioni opposte il giorno solare in afelio
raggiunge la sua durata minima, inferiore alle 24
ore. Il valore di 24 ore che noi utilizziamo rappresenta il giorno solare medio media dei 365 giorni
solari. L'ora rappresenta convenzionalmente 1/24 del giorno solare medio, il minuto 1/60 dell'ora
ed il secondo 1/60 del minuto.



Composizione dei moti orbitali (Approfondimento facoltativo)
Le velocit angolari seguono delle regole di composizione identiche a quelle utilizzate per comporre le velocit
lineari.
Si pensi ad esempio ad unautovettura A che si muova a 50 km/h verso unautovettura B, la quale si avvicini a sua
volta a 30 Km/h. Il risultato il medesimo se si considera una delle due autovetture ferme e laltra con una velocit
pari a (50 - (-30) = 80 Km/h. Nel caso in cui lautovettura B si stia allontanando nella stessa direzione di A, la sua
velocit relativa risulta pari a (50 - 30 = 20 km/h). Si noti come i valori delle velocit abbiano segno concorde se il loro
verso il medesimo, discorde se il verso contrario. In modo analogo possiamo comporre i moti orbitali.
Se erot e eriv sono rispettivamente la velocit di rotazione e di rivoluzione della terra rispetto alle stelle fisse, allora la
velocit di rotazione della terra rispetto al sole pu ottenersi componendo i due movimenti e sar pari a (erot - eriv).
Essendo entrambi i moti diretti (antiorari) il loro segno sar concorde.
e e
t t t
rot riv
sid sid sol
G A G
= =
2 2 2

da cui si ricava che il giorno solare (medio, perch la velocit orbitale media)

G
A G
A G
sol
sid sid
sid sid
=

=
31558150 861641
31558150 861641
86400
. . . ,
. . . ,
. s


Moti della Terra
3-8

3.2 moto di rivoluzione
La terra possiede un moto di rivoluzione intorno al sole con movimento antiorario per un
osservatore posto al polo nord celeste, che compie in circa 365 giorni e 6 ore. Il piano individuato
dall'orbita terrestre detto eclittica. L'asse di rotazione terrestre inclinato di 66 33' rispetto
all'eclittica e di 23 e 27' (il valore esatto 23 26 21,4) rispetto alla perpendicolare all'eclittica.
Durante il suo moto di rivoluzione intorno al sole l'asse terrestre pu essere considerato, in prima
approssimazione, fermo o, per meglio dire, esso si muove intorno al sole mantenendo inalterata la
sua orientazione rispetto alle stelle fisse (si usa dire che durante il moto di rivoluzione lasse
terrestre rimane sempre parallelo a se stesso).

3.2.1 Prove del moto di rivoluzione

3.2.1.a Parallasse annua
Come abbiamo gi visto, le stelle pi vicine alla terra sembrano oscillare rispetto a quelle pi
distanti (considerate fisse) a causa della diversa posizione di osservazione che la terra assume
durante il suo moto di rivoluzione. Langolo di oscillazione tanto minore quanto pi distanti sono
gli astri osservati.

3.2.1.b Diversa durata del giorno solare
Abbiamo gi visto come il giorno solare abbia una lunghezza diversa come conseguenza della
differente velocit di rivoluzione della terra lungo la sua orbita. Tale fenomeno pu dunque essere
portato come prova del moto di rivoluzione terrestre.

3.2.1.c Aberrazione delle stelle fisse
Fenomeno scoperto da J. Bradley nel 1728 per il quale tutte le stelle, indipendentemente dalla loro
distanza, vengono osservate in una posizione diversa da quella effettiva a causa del moto di
rivoluzione della terra. Il fenomeno pu essere in prima approssimazione spiegato (come fece lo
stesso Bradley) nellambito della meccanica classica, supponendo che la velocit della luce si
componga vettorialmente con la velocit della terra (la relativit speciale ha in realt dimostrato che
la velocit della luce una costante di natura e non pu comporsi con altri moti relativi). Cos
facendo si trova che tutte le stelle oscillano intorno alla loro posizione vera di 20,5 secondi di
grado, quantit definita angolo di aberrazione.

Angolo di aberrazione (Approfondimento)
Supponiamo che una stella si trovi in S e che la linea visuale che congiunge S alla Terra in T formi un angolo u con il
vettore v, velocit orbitale della terra. Il risultato ovviamente il medesimo se pensiamo la terra ferma e la stella
soggetta ad un vettore controverso -v. Tale vettore pu essere scomposto in una componente radiale (v cosu), che non
modifica la posizione della stella, e in una componente trasversale (v sinu) che modifica le coordinate celesti della stella.
Infatti tale componente trasversale, componendosi con il vettore velocit della luce c, produce un vettore risultante c. In
tal modo la luce della stella sembra provenire da un direzione diversa e la sua posizione apparente sulla sfera celeste
viene ad essere S. con una variazione di un angolo o delle coordinate celesti effettive.
Langolo o che la direzione vera forma con la direzione apparente, detto angolo di aberrazione, tale che
tan o
u
=
v sin
c

Prendiamo ora in considerazione una stella la cui direzione formi un angolo con il piano delleclittica ( = latitudine
eclitticale della stella). Possiamo facilmente osservare come la componente trasversale assuma i valori massimi in A e
B, dove u = 90 ( v sin90 = v) ed i valori minimi in C e D, dove u = ( v sin).
Se ne deduce che ogni stella presenta sempre lo stesso angolo massimo di aberrazione (per u = 90), detto costante di
aberrazione, che vale
tan o =
v
c


Moti della Terra
3-9

Poich la velocit media di rivoluzione della terra v = 29,785 km/s e la velocit della luce c = 299.792,458 km/s, la
costante di aberrazione vale o = 20,5 (lIAU Unione Astrofisica Internazionale fornisce per lanno 2000 il valore o =
20,495520 1 10
-6
). La velocit media di rivoluzione si pu calcolare assumendo lorbita terrestre come circolare, con
raggio pari alla distanza media Terra-Sole (R = 1 UA, pari al semiasse maggiore a = 1,4959787 10
8
km) ed il periodo di
rivoluzione P pari ad 1 anno sidereo (31.558.150 s)
v
a
P
=
2t

oppure utilizzando la 3^ legge di Keplero
( )
P
G M M
a
S T
2 3
4
=
+
t
ed esprimendo
il periodo in funzione della velocit media
(relazione precedente) si ottiene
( )
v
G M M
a
S T
=
+

In definitiva ogni stella presenta
unoscillazione annua massima di circa 41
( 20,5) intorno alla sua posizione vera (il
vettore v si orienta infatti in senso opposto ogni 6 mesi) ed una oscillazione minima, orientata perpendicolarmente a
quella massima, il cui valore dipende ovviamente dalla latitudine eclitticale . Se dunque o = 20,5 la costante di
aberrazione e la latitudine eclitticale, ogni stella descrive nel periodo di un anno unellisse (ellisse di aberrazione) di
semiassi o e o sin. Per le stelle che giacciono sul piano delleclittica lellisse degenera in un segmento di ampiezza 2o,
mentre per le stelle perpendicolari al piano delleclittica lellisse diventa una circonferenza di raggio o.


3.2.2 Conseguenze del moto di rivoluzione: alternarsi delle stagioni
Il fatto che sui due emisferi terrestri (boreale e australe) si alternino diverse stagioni meteorologiche
una delle conseguenze principali del moto di rivoluzione della terra. In realt il moto di
rivoluzione non l'unico responsabile di tale fenomeno. Ad esso contribuisce anche la particolare
inclinazione dell'asse terrestre ed il fatto che l'asse mantiene inalterata la sua orientazione rispetto
alle stelle fisse.
Se infatti l'asse fosse perpendicolare all'eclittica e non inclinato i due emisferi verrebbero raggiunti
per tutti i 365 giorni dell'anno dalla stessa quantit di radiazione solare e sarebbero caratterizzati da
un'unica stagione uniforme.
Il moto di rivoluzione fa si che l'asse terrestre formi con la direzione dei raggi solari angoli diversi
man mano che la terra procede lungo il suo cammino intorno al sole. In tal modo i raggi solari
giungono con inclinazione diversa sui due emisferi nei vari periodi dell'anno creando le condizioni
per il prodursi di diverse condizioni climatiche. Per descrivere il fenomeno con maggior dettaglio
possiamo individuare 4 punti fondamentali dell'orbita in relazione agli angoli formati dall'asse con
la direzione dei raggi solari.


Moti della Terra
3-10


A) punto in cui minima l'inclinazione dell'asse rispetto ai raggi solari (66 33'). Lemisfero
boreale e pi esposto alla radiazione solare.
B) punto in cui massima l'inclinazione dell'asse rispetto ai raggi solari (113 27' = 90 + 23 27').
L'emisfero australe pi esposto alla radiazione solare.
C) e D) punti intermedi in cui i raggi solari risultano a 90 rispetto all'asse terrestre. I due emisferi
risultano egualmente esposti ai raggi solari.

Esaminiamo ora in dettaglio le condizioni di illuminazione dei due emisferi nei quattro punti
precedentemente individuati.

A) SOLSTIZIO D'ESTATE
La terra raggiunge tale punto poco prima di giungere in afelio. L'afelio viene raggiunto il 4 luglio,
mentre il punto di minima inclinazione dell'asse rispetto ai raggi solari viene raggiunto il 21 giugno,
detto solstizio d'estate.


Durante il solstizio d'estate i raggi solari risultano perpendicolari (sono allo zenit), a mezzogiorno,
sul parallelo di 23 e 27' di latitudine nord. Tale parallelo detto tropico del Cancro. I raggi solari
risultano inoltre tangenti ai due paralleli che si trovano a 66 e 33' di latitudine Nord e Sud, detti
rispettivamente Circolo polare artico e antartico.
Durante il solstizio
d'estate tutti i punti a
Nord del circolo
polare artico (calotta
polare artica)
rimangono illuminati
dal sole per 24 ore,
mentre tutti i punti a
Sud del circolo
polare antartico
(calotta polare
antartica) rimangono
al buio per 24 ore.
La data del solstizio di giugno in realt oscilla tra il 20 ed il 22 giugno e quella dellafelio tra il 4 ed il 5 luglio a
causa del meccanismo del calendario, che alterna anni civili di 365 giorni ad anni di 366.

Moti della Terra
3-11
Il circolo di illuminazione individua un piano inclinato di 23 e 27' rispetto all'asse terrestre e taglia
in parti diseguali tutti i paralleli che vanno dall'equatore ai due circoli tranne l'equatore, che viene
diviso in due parti uguali. Nell'emisfero boreale sar maggiore il tratto di parallelo illuminato
rispetto a quello oscuro, mentre il contrario avverr nell'emisfero australe. Ci comporta che la
durata del d sar maggiore rispetto a quella della notte nell'emisfero boreale, minore in quello
australe, eguale all'equatore.

Poich i paralleli sono tagliati dal circolo di illuminazione in parti tanto pi disuguali quanto pi ci
avviciniamo ai circoli polari, la differenza di durata tra il giorno e la notte si far tanto pi
accentuata quanto pi ci sposteremo verso i poli.
In tale situazione si verifica un periodo caldo nell'emisfero boreale (estate boreale) ed un periodo
freddo nell'emisfero australe (inverno australe).
Riassumendo l'estate dunque legata al fatto che il polo nord in questo periodo inclinato verso il
sole ed i raggi solari risultano perci maggiormente concentrati nell'emisfero boreale (a
mezzogiorno il sole risulta pi alto
sull'orizzonte rispetto a quanto accade
d'inverno). Inoltre quanto pi un
raggio solare giunge inclinato sulla
superficie terrestre tanto minore sar la
quantit di energia ceduta per unit di
superficie, sia perch si diluisce su di
una superficie maggiore, sia perch
deve attraversare un tratto pi spesso
di atmosfera.
Inoltre l'emisfero boreale risulta riscaldato dal sole per un numero di ore pi elevato rispetto
all'emisfero australe (il d pi lungo).


B) SOLSTIZIO D'INVERNO
Quando dopo circa 6 mesi la terra si trova in prossimit del perielio (che raggiunge il 3 gennaio),
l'asse terrestre, essendosi mantenuto parallelo si trova avere la massima inclinazione (113 e 27')
rispetto ai raggi solari. E' il polo sud questa volta a puntare verso il sole. La terra si trova in solstizio
d'inverno (22 dicembre).

I raggi del sole
sono
perpendicolari
al tropico del
Capricorno
(2327' di
latitudine Sud) e
nuovamente
tangenti ai
circoli polari. Le
condizioni di
illuminazione
risultano essere
perfettamente
capovolte

A causa del meccanismo del calendario, anche la data del solstizio di dicembre oscilla tra il 20 ed il 22 dicembre,
mentre quella del perielio tra il 3 ed il 4 gennaio.
Moti della Terra
3-12
rispetto al solstizio d'estate. Nell'emisfero Nord si produce una stagione fredda (inverno boreale),
mentre nell'emisfero Sud una calda (estate australe).Poich l'estate boreale cade in afelio essa
leggermente pi lunga e meno calda dell'estate australe (la terra infatti pi distante dal sole e si
muove pi lentamente).L'inverno boreale, cadendo invece in prossimit del perielio , leggermente
pi tiepido e pi corto di quello australe. Il fatto che l'inverno e l'estate cadano attualmente in
prossimit dell'afelio e del perielio assolutamente casuale. Le posizioni dei solstizi ( e degli
equinozi) sono infatti destinate a mutare gradualmente e con regolarit rispetto all'orbita terrestre. Il
solstizio destate coincideva con lafelio intorno al 1250 d.C. (coincidenza apsidi - solstizi), mentre
gli equinozi verranno a coincidere con gli apsidi (equinozio di primavera in perielio) verso il 6500
d.C.

C - D EQUINOZI
Gli equinozi occupano una posizione intermedia tra i punti solstiziali, tale per cui i raggi solari
risultano perpendicolari all'asse terrestre e giungono quindi (a mezzogiorno) perpendicolarmente
all'equatore. Il calore solare viene ad essere quindi egualmente distribuito sui due emisferi. Il
circolo di illuminazione coincide con i meridiani, passa per i poli e taglia tutti i paralleli in due parti
uguali. Il d dura 12 ore, come la notte. Lequinozio di primavera viene raggiunto il 21 marzo
(19/21), mentre Lequinozio di autunno il 23 settembre (22/24). La linea degli equinozi risulta
pertanto perpendicolare allasse terrestre.
Naturalmente mentre la terra si muove lungo la sua orbita anche l'inclinazione dei raggi solari
rispetto al suo
asse e quindi alla
sua superficie si
modifica con
regolarit. Il sole
che a
mezzogiorno si
trova allo Zenit
al tropico del
Cancro durante
il solstizio
d'estate, con il
passare dei
giorni si trover
allo Zenit (sempre a mezzogiorno) su paralleli di latitudine via via inferiore, fino a raggiungere
l'equatore durante l'equinozio d'autunno, per poi scendere fino al tropico del Capricorno sul quale
giunger allo Zenit durante il solstizio d'inverno.
Qui sembrer fermarsi per riprendere il suo moto in senso contrario. Il fatto che ai due tropici il sole
dia l'impressione di fermarsi per poi tornare indietro ha dato il nome ai solstizi (sol stare). Il nome
degli equinozi deriva invece dal fatto che quando il sole si trova allo zenit all'equatore il d e la notte
hanno la stessa durata (aequus nox).

Risulta evidente che il sole non potr mai trovarsi allo zenit al di fuori delle latitudini comprese tra i
due tropici. Ci dipende dall'inclinazione attuale dell'asse terrestre. Se l'asse fosse ad esempio
inclinato di 30 rispetto alla perpendicolare all'eclittica, allora anche i tropici verrebbero a trovarsi a
30 di latitudine nord e sud, mentre i circoli si abbasserebbero a 60 N e S.

I due tropici ed i due circoli polari suddividono la terra in cinque zone dette zone astronomiche o
climatiche. La zona compresa tra i due tropici ( l'unica zona della terra dove il sole giunge allo zenit
a mezzogiorno per due volte all'anno) detta zona torrida. Tra i tropici ed i circoli vi sono le due

Moti della Terra
3-13
zone temperate (australe e boreale). Al di sopra dei circoli vi sono le due calotte: calotta polare
artica e antartica.

3.3 Moto doppio conico dell'asse e precessione degli equinozi
Come si visto, durante il moto di rivoluzione, l'asse di rotazione tende a mantenere inalterata la
sua orientazione. Ci dovuto al fatto che la terra gira attorno al proprio asse e, come tutti i
giroscopi (trottole), si oppone ad ogni sollecitazione che tenda a modificarne l'assetto di rotazione
(il momento angolare una quantit vettoriale e si mantiene costante in modulo, direzione e verso).
La luna, il sole ed i pianeti esercitano per sulla terra un'attrazione gravitazionale che risulta
maggiore sul rigonfiamento equatoriale, dove presente un eccesso di massa, rispetto ai poli. Tale
attrazione tenderebbe a raddrizzare l'asse portandolo a 90 rispetto al piano dell'eclittica. Il risultato
di tali forze su di un sistema rotante, qual la terra, quello di produrre una rotazione dell'asse il
quale, facendo perno sul centro della terra, descrive due coni aventi vertice al centro della terra.
Poich lequatore celeste perpendicolare allasse terrestre, anchesso
esegue il medesimo movimento, cambiando lentamente lorientazione
rispetto alle stelle fisse. Anche la linea degli equinozi, che essendo
lintersezione dellequatore celeste con il piano delleclittica risulta essere
sempre perpendicolare allasse terrestre, ruota rispetto alle stelle fisse con la
stessa velocit dellasse terrestre. Tale rotazione oraria della linea degli
equinozi nota come precessione degli equinozi. La precessione si
completa in un periodo di circa 26.000 anni, detto anno platonico.


3.3.1 Conseguenze della precessione
1) I punti equinoziali stanno lentamente scivolando in senso orario sulleclittica attraverso le
costellazioni zodiacali. Tenendo conto che una costellazione dello zodiaco ha unampiezza di
30, gli equinozi (ed i solstizi) percorrono ciascuna costellazione in 1/12 di anno platonico, pari
a circa 2.150 anni. Se lequinozio di primavera cadeva 2000 anni fa nella costellazione
dellAriete, oggi cade nei Pesci. Ma in generale tutti i segni zodiacali sono slittati rispetto alle
posizioni che avevano quando nata lastrologia (senza che gli astrologi abbiano mostrato di
accorgersene).
2) Tra 13.000 anni circa lasse terrestre, avr compiuto mezzo giro e non punter pi verso la stella
polare, ma verso Vega nella costellazione della Lira, che dista ben 47 dalla polare.
3) I punti equinoziali (e quindi le stagioni) cambiano la loro posizione rispetto allorbita terrestre.
Attualmente gli equinozi si trovano circa a met strada tra afelio e perielio (apsidi), ma
lentamente li raggiungeranno. Questo terzo punto verr ripreso in seguito, dopo che avremo
discusso dei movimenti delleclittica rispetto alle stelle fisse (moti millenari).

Moti della Terra
3-14


3.4 Durata del periodo di rivoluzione: l'anno
Viene definito anno il tempo necessario affinch la terra completi il suo moto di rivoluzione intorno
al sole. Anche in questo caso la durata dell'anno dipende dal punto di riferimento considerato.
Rispetto ad una stella fissa noi misuriamo l'anno sidereo. Esso misura una effettiva rivoluzione di
360 intorno al sole ed ha una durata di 365 giorni 6 ore e 9 minuti circa (365
d
6
h
9
m
10
s
=
365,25636 giorni solari medi = 31.558.150 s).
Come al solito noi usiamo per misurare il tempo rispetto al sole. Il tempo necessario affinch la
terra riassuma la stessa posizione rispetto al sole detto anno solare o tropico. Esso misura in
pratica l'intervallo di tempo tra due equinozi o due solstizi dello stesso segno (ad esempio il tempo
necessario affinch la terra ritorni all'equinozio di primavera).
A causa del fenomeno della precessione l'anno tropico risulta circa 20 (20
m
25
s
) minuti pi breve
dell'anno sidereo e pari a circa 365 giorni 5 ore e 49 minuti (365
d
5
h
48
m
45
s
= 365,24219 giorni
solari medi = 31.556.925 s).
Durata dellanno tropico (Approfondimento)
Sia eriv la velocit angolare orbitale della Terra rispetto alle stelle fisse e eeq la velocit angolare della linea degli equinozi
rispetto alle stelle fisse. Possiamo considerare ora la velocit relativa della Terra rispetto alla linea degli equinozi, come
differenza delle due velocit precedenti (eT - eeq). Possiamo cio pensare che i punti equinoziali siano fermi rispetto alle
stelle fisse e che la Terra si muova rispetto alle stelle fisse con una velocit comprendente anche quella della linea degli
equinozi. La Terra impiega un anno tropico (Atr) a percorrere unorbita rispetto ai punti equinoziali. Possiamo pertanto
scrivere
e e
t t t
riv eq
sid plat tr
A A A
=
|
\

|
.
|
|
=
2 2 2

( )
( )
s m h
plat sid
plat sid
tr
A A
A A
A 45 48 5 365 = s 925 . 556 . 31 24219 , 365
25 , 365 770 . 25 25636 , 365
25 , 365 770 . 25 25636 , 365
d
= =
+

=

=
In realt il valore dellanno tropico cos ottenuto (365,24219 gsm) un valore medio (anno tropico medio). Infatti la durata
dellanno tropico dipende dal punto dellorbita che si prende come riferimento ed il suo valore ad esempio diverso se lo si
misura rispetto allequinozio di primavera o allequinozio dautunno o ad uno dei due solstizi. La causa di tali differenze va
ricercata nel fatto che la terra non completa la sua orbita quando ritorna allo stesso equinozio o allo stesso solstizio (per il
moto di precessione di tali punti) ed il tratto parziale di orbita che ha percorso viene compiuto in tempi differenti in relazione
alla diversa velocit con cui si muove nei diversi punti della sua orbita. Attualmente la durata dellanno tropico rispetto ai
diversi punti equinoziali e solstiziali pari a

Anno Tropico
Equinozio Primavera 365,24233
Solstizio Estate 365,24161
Equinozio Autunno 365,24207
Solstizio Inverno 365,24275

Media 365,24219

Approfondimento
Il fenomeno della precessione fu scoperto da Ipparco di Nicea nel 139 a.C., osservando che le longitudini eclitticali
delle stelle erano tutte aumentate di una stessa quantit (circa 2) rispetto ai valori misurati nella prima met del III
sec. a.C. (280 ca) da Aristillo e Timocari. Poich la longitudine eclitticale la distanza angolare di una stella rispetto
al punto (equinozio di primavera), Ipparco ne dedusse che tale punto si era spostato nellarco di 144 anni di circa
2 = 7200 (circa 50 allanno). La velocit angolare di precessione rispetto alle stelle fisse (precessione generale)
pari, secondo recenti stime dellUnione Astrofisica Internazionale (IAU) a circa 50 291 , " ( 50 290966 , ") per
anno giuliano (365,25 giorni solari medi) per lanno 2000 (il segno meno indica un movimento retrogrado).
La precessione generale generata dalleffetto del sole (precessione solare - 34,6/y), della luna (precessione lunare
- 15,8 /y) e dei pianeti in senso diretto (precessione planetaria 0,12/y). Leffetto cospirante del sole e della luna si
dice precessione lunisolare.
Il periodo necessario affinch la linea degli equinozi compia una rotazione completa di 360 (= 1.296.000 ) rispetto
alle stelle fisse sar quindi pari a circa 26.000 anni (intervallo di tempo noto come anno platonico).
P
y
eq
= ~
1296 000
50 291
. . "
, "/
25.770 anni

Moti della Terra
3-15

3.5 moti minori millenari
Come stato gi anticipato le interferenze gravitazionali degli altri pianeti sulla terra producono
altri fenomeni, tra i quali ricordiamo:

3.5.1 Movimento di rotazione della linea degli apsidi
lorbita terrestre un ellisse e le posizioni assunte dagli altri pianeti rispetto ad essa tendono a
modificarne sia l'eccentricit che lorientamento rispetto alle stelle fisse. Come conseguenza delle
perturbazioni gravitazionali planetarie essa ruota in senso antiorario, facendo perno sul sole, in circa
111.500 anni.
Se lorbita rimanesse ferma
rispetto alle stelle fisse, un punto
equinoziale (o solstiziale) la
percorrerebbe completamente in
circa 26.000 anni. Ma lorbita
terrestre, e con essa la linea degli
apsidi, va incontro alla linea degli
equinozi e ne abbrevia in questo
modo il periodo di rotazione
rispetto alleclittica a circa 21.000
anni. In altre parole gli equinozi (e
naturalmente anche i solstizi)
impiegano circa 21.000 anni a
percorrere tutta lorbita (ad
esempio da perielio a perielio) e come conseguenza le stagioni sono destinate a manifestarsi in punti
via via diversi dellorbita. Avevamo infatti gi avuto modo di dire che lestate boreale cade oggi in
prossimit dellafelio solo casualmente. Essa sta infatti lentamente scivolando in senso orario
sullorbita, come daltra parte fanno tutte le stagioni.
In prima approssimazione la linea degli equinozi si sovrappone alla linea degli apsidi ogni 21.000
anni circa e le stagioni si ribaltano ogni 10.500 anni. In altre parole dopo 10.500 anni circa lasse si
trova ad aver compiuto mezzo giro rispetto al sole e le condizioni termiche risultano completamente
invertite (l'estate boreale si avr non pi in prossimit dell'afelio ma del perielio). Poich intorno al
1250 d.C. il solstizio destate coincideva con lafelio (coincidenza apsidi - solstizi) e la linea degli
equinozi compie un quarto di giro ogni 5.250 anni circa (21.000/4) gli equinozi verranno a
coincidere con gli apsidi (equinozio di primavera in perielio) verso il 6500 d.C.

3.5.2 Variazione dell'eccentricit dell'orbita
Attualmente la differenza tra la distanza afelio-sole e la distanza perielio-sole di circa 5 milioni di
chilometri. Tale differenza una misura dell'eccentricit dell'orbita. Se infatti essa si riducesse a
zero l'ellisse si ridurrebbe ad una circonferenza, se aumentasse l'ellisse si farebbe pi eccentrica.
Tale distanza destinata a mutare da un minimo di 1 milione di chilometri ad un massimo di 14
milioni di chilometri. Il ciclo (ad esempio dal valore minimo per ritornare al valore minimo) si
completa in 92.000 anni.

3.5.3 Variazione dell'inclinazione dell'asse
L'asse terrestre varia la sua inclinazione rispetto alla perpendicolare all'eclittica da un minimo di 22
ad un massimo di 2420' in un periodo di 40.000 anni circa. Naturalmente al variare
dell'inclinazione dell'asse deve variare di conseguenza la latitudine di tropici e circoli.




Moti della Terra
3-16
3.5.4 Nutazioni
Il movimento doppio conico dell'asse non regolare, ma si attua con piccole ondulazioni dette
nutazioni (Bradley - 1736). Ciascuna nutazione si completa in 18,6 anni ed dovuta alle
perturbazioni gravitazionali prodotte dalla rotazione oraria (retrograda) della linea dei nodi lunari.


La nutazione comporta una modificazione periodica delle coordinate
celesti analoga a quella prodotta dallaberrazione. Anche le date degli
equinozi e dei solstizi subiscono delle oscillazioni come conseguenza
della nutazione. A volte si fa riferimento ai solstizi e agli equinozi medi,
la cui data pi facilmente calcolabile, non essendo influenzata dalla
nutazione.


3.6 moto rispetto al centro galattico
In realt la terra segue il sole nel suo movimento di rivoluzione intorno al centro galattico con una
velocit stimata di circa 250 km/s, per cui la sua orbita assume la forma di una spirale che si avvita
intorno al sole.



Lasse terrestre descrive intorno alla sua posizione media un ellisse di semiassi 9,21 e 6,86 (ellisse di nutazione)
che si sovrappone al moto principale di precessione, generando unoscillazione periodica.

Misura del tempo
4-1
4 La Misura del Tempo

4.1 Il calendario
L'anno tropico non un multiplo esatto del giorno solare medio e non inizia quindi in alle ore 0 del
1 gennaio, ma alle 5 e 49 minuti del 1 gennaio. Per evitare questo inconveniente stato introdotto
l'anno civile di 365 (o 366) giorni. Naturalmente assieme all'anno civile deve essere introdotto un
meccanismo, detto calendario, in grado di recuperare periodicamente le frazioni di giorno non
calcolate nell'anno civile, pena il progressivo sfasamento tra anno civile e tempo astronomico.
Uno dei primi calendari utilizzati a questo scopo il calendario giuliano, introdotto sotto Giulio
Cesare nel 45 a.C. Il calendario giuliano prevede un anno civile di 365 giorni ed un recupero delle
circa 6 ore non contate ciascun anno, ogni quattro anni con l'introduzione di un anno di 366 giorni.
Il giorno in pi veniva aggiunto tra il sesto ed il settimo giorno prima di marzo e chiamato bis
sextum, da cui bisestile. Lanno giuliano dura quindi mediamente 365,25 giorni solari medi. L'anno
tropico non dura per esattamente 365giorni e 6 ore, ma 365 giorni 5 ore e 49 minuti. Il calendario
giuliano, recuperando invece 6 ore, contava circa 11 minuti in pi all'anno (11
m
15
s
) e ciascun
giorno bisestile introdotto portava uno sfasamento di circa 44 minuti rispetto al tempo astronomico.
Verso il 1500 il tempo civile aveva accumulato uno sfasamento di circa 10 giorni rispetto al tempo
astronomico. Nel 1582 il calendario venne perci riformato sotto papa Gregorio XIII. Vennero
dapprima soppressi i 10 giorni in pi che si erano accumulati (si pass dal 4 ottobre del 1582 al 15
ottobre del 1582) ed il calendario giuliano venne sostituito dal calendario gregoriano, lo stesso che
attualmente utilizziamo.

Poich si calcola che gli 11 minuti contati in pi ogni anno sfasano il calendario giuliano di circa 3
giorni ogni 400 anni, il calendario gregoriano introduce un nuovo meccanismo per eliminare
appunto 3 giorni ogni 400 anni. Tale meccanismo prevede che tutti gli anni secolari aventi le prime
due cifre divisibili per 4 continuino ad essere bisestili, mentre gli anni secolari con le prime due
cifre non divisibili per quattro non siano pi bisestili (mentre lo erano nel calendario giuliano.
Cos il 1600 fu bisestile, mentre il 1700, il 1800 ed il 1900 videro soppressi il loro giorno bisestile.
In tal modo dal 1600 al 1900, in un periodo di 400 anni sono stati soppressi 3 giorni bisestili. Il
2000 sar nuovamente bisestile. Poich ogni 400 anni vi sono 303 anni composti di 365 giorni e 97
anni bisestili di 366 giorni, lanno gregoriano ha una durata di
365 303 366 97
400
365 2425 365 5 49 12
+
= = ,
d h m s

ed quindi circa 27 secondi pi lungo dellanno tropico. Poich il giorno solare medio formato di
86.400 secondi, il calendario gregoriano produce uno sfasamento rispetto al tempo astronomico di 1
giorno ogni 86.400/27 = 3.200 anni circa.

4.2 Fusi orari
In una certa localit mezzogiorno quando il sole culmina sul meridiano del luogo, raggiungendo il
punto pi alto della sua traiettoria apparente. Ora, poich il moto apparente del sole da Est ad
Ovest, quando il sole in culminazione su di un punto A della superficie terrestre, non pu essere
contemporaneamente in culminazione su di un punto B che si trovi su di un altro meridiano rispetto
ad A (cio che abbia una diversa longitudine). In altra parole il sole non pu essere ad esempio
contemporaneamente in culminazione a Venezia e a Milano. Ne consegue che quando a Venezia
I Francescani ottennero dal Papa di non eliminare i primi 10 giorni di ottobre per poter celebrare la festa di San
Francesco (4 ottobre). Nella notte tra il 4 ed il 5 mor ad Alba in Spagna Santa Teresa dAvila, che si celebra pertanto
il 15 ottobre. La riforma fu adottata inizialmente solo dagli Stati italiani, da Spagna e Portogallo. In Francia avvenne
nei giorni 9-20 dicembre 1582, in Austria 6-17 gennaio 1584, in Inghilterra 2-14 settembre 1752 (11 giorni). I paesi
ortodossi si adeguarono nel XX secolo, ultima la Grecia che elimin 13 giorni tra il 15 febbraio e il 1 marzo del 1923.
Lunione Sovietica nel 1918.
Misura del tempo
4-2
mezzogiorno, a Milano, che si trova pi ad ovest, il sole deve ancora giungere in culminazione e
mancher perci qualche minuto a mezzogiorno. Per evitare l'inconveniente che luoghi diversi (con
diversa longitudine) all'interno di uno stesso stato presentino ore differenti, si convenuto di
dividere la superficie terrestre in 24 spicchi aventi dei meridiani come confini ed un'ampiezza
longitudinale di 15 l'uno. Tali spicchi sono detti fusi orari e tutte le zone comprese all'interno di
uno spicchio hanno convenzionalmente la stessa ora del meridiano passante per il centro del fuso.
Ad esempio per l'Italia il meridiano centrale del fuso quello che passa per Monte Mario nei pressi
di Roma. Quando il nostro orologio segna mezzogiorno (ora legale a parte) in realt mezzogiorno
solare solo sul meridiano centrale. L il sole effettivamente in culminazione, mentre a Venezia,
che si trova leggermente pi ad est il sole gi stato in culminazione e la sua ora effettiva (solare)
di mezzogiorno e qualche minuto, mentre ad Aosta, per ragioni opposte non ancora mezzogiorno.
In effetti i confini dei fusi non seguono perfettamente l'andamento dei meridiani, ma vengono
opportunamente modificati in modo da seguire i confini politici degli stati. Naturalmente questo non
possibile per stati molto estesi in longitudine come gli Stati Uniti o la Russia, dove si costretti ad
usare pi di un fuso. Il primo fuso convenzionalmente quello in cui il meridiano centrale coincide
con il meridiano fondamentale passante per Greenwich. Quando ad esempio il sole in
culminazione si Greenwich in tutto il primo fuso mezzogiorno, mentre nel secondo fuso ad est di
Greenwich sono le 13, nel terzo le 14 e cos via.

4.3 Linea di cambiamento di data
Poniamo ora che a Greenwich siano le 10 del 6 marzo e immaginiamo di muoverci molto
velocemente verso Est con un aviogetto. Mentre attraverseremo i fusi verso Est dovremo far
avanzare le lancette dell'orologio, spostandole verso le 11, le 12 e cos via fino a che, giunti
all'antimeridiano di Greenwich (13 fuso) sposteremo le lancette alle 22 del 6 marzo. Proseguendo
verso est il viaggiatore raggiunger il fuso delle 24, il cui meridiano centrale detto linea di
mezzanotte (LM). Attraversandolo il viaggiatore sposter il suo orologio dalle 24 del 6 marzo alle 1
del 7 marzo. Immaginiamo ora un altro viaggiatore che stia compiendo anch'egli molto velocemente
il giro del mondo ma verso Ovest, partendo da Greenwich il 6
marzo ore 10. Mentre attraversa i fusi verso ovest egli dovr
portare indietro le lancette dell'orologio alle 9 di mattina del 6
marzo, alle 8, alle 7 e cos via finche, raggiunta la linea di
mezzanotte sposter le lancette dall'una del 6 marzo alle 24 del 5
marzo. Cos i due viaggiatori incontrandosi alla linea di
mezzanotte provenienti da parti opposte, si troverebbero
d'accordo sull'ora ma non sul giorno. Per evitare tale
inconveniente il XIII fuso, che contiene l'antimeridiano di
Greenwich, viene diviso dal 180 meridiano in due parti aventi
stessa ora, ma date diverse. Qualunque sia l'ora sul mezzo
spicchio ad ovest dell'antimeridiano, sul mezzo spicchio ad est
la stessa ora del giorno precedente. In definitiva esistono due
meridiani in cui le date cambiano in modo opposto: la linea di mezzanotte (la data aumenta verso
est) e la linea internazionale di cambiamento di data (LCD, la data diminuisce verso est). In ogni
momento la terra dunque divisa in due zone aventi date diverse (a est della LCD vi sempre la
data inferiore). Naturalmente quando il sole in culminazione su Greenwich la linea di mezzanotte
coincide con la linea di cambiamento di data e tutti i luoghi presentano la stessa data (attraversando
contemporaneamente le due linee la data dovrebbe sia aumentare che diminuire e quindi non varia).
Per evidenti ragioni di opportunit la LCD passa sempre attraverso l'oceano e nei pochi casi in cui
incontrerebbe qualche isola, viene fatta deviare.

Orientamento
5-1


5 LOrientamento

5.1 Orizzonte e punti cardinali
Orientarsi significa individuare sull'orizzonte i 4 punti cardinali. L'orizzonte la circonferenza che
delimita la porzione visibile all'osservatore della superficie terrestre, separandola dalla volta celeste.
Lorizzonte geometrico dipende dallaltezza h (in metri) dellosservatore rispetto al suolo. Il raggio
dellorizzonte geometrico (in metri) approssimativamente pari a 3570 . h .


Lorizzonte sensibile in realt leggermente pi ampio a causa dei fenomeni di rifrazione della luce
che permettono al nostro occhio di ricevere immagini situate anche oltre lorizzonte geometrico.
L'EST il punto dell'orizzonte dal quale sembra sorgere il sole nei giorni equinoziali , detto anche
oriente o levante. L'OVEST, o occidente o ponente, il punto dell'orizzonte dove sembra
tramontare il sole nei giorni equinoziali. Nei giorni non equinoziali il sole sorge e tramonta
leggermente pi a Nord durante l'estate boreale e leggermente pi a sud durante l'inverno boreale.
L'angolo che i raggi del sole formano con il piano equatoriale nei giorni non equinoziali detto
declinazione solare. I valori della declinazione solare per ogni giorno dell'anno (in pratica la
latitudine alla quale il sole risulta allo zenit a mezzogiorno) sono riportati negli annuari
astronomici. Ponendosi con la destra ad est e la sinistra ad ovest il NORD risulta posto esattamente
dinanzi all'osservatore, mentre il SUD si trova alle sue spalle.

5.2 Orientamento diurno
Per orientarsi si pu dunque indicativamente osservare il punto in cui sorge o tramonta il sole.
Nell'emisfero boreale inoltre possibile individuare il sud dalla posizione del sole a mezzod
(naturalmente se ci troviamo tra equatore e tropico del Cancro necessario che il sole non stia
culminando in un punto pi a Nord). Per un osservatore posto nell'emisfero australe la posizione del
sole in culminazione indica naturalmente il Nord.




Un altro metodo pratico per orientarsi con il sole in qualunque ora del giorno disporre la lancetta delle ore verso il
sole, individuare l'angolo che essa forma, in senso orario, con la direzione delle 12 e tracciarne la bisettrice. Al
mattino la bisettrice indica il Sud, al pomeriggio il Nord. Un secondo metodo prevede di puntare la lancetta delle ore
verso il sole. Il Nord viene indicato dalla direzione che la lancetta delle ore avrebbe dividendo l'ora (misurata da 1 a
24) per due. Un terzo metodo utilizza un bastone piantato verticalmente sul terreno. Mentre il sole si sposta da Est ad
Ovest l'ombra del bastone si sposta da ovest ad est. Dopo aver atteso un certo intervallo di tempo affinch divenga
evidente uno spostamento dellombra sul terreno, la retta che congiunge i due vertici dell'ombra del bastone individua
la direzione Est-Ovest.

Dimensione dellorizzonte geometrico (Approfondimento facoltativo)
Se R il raggio medio terrestre (6.371 km), h laltezza dellosservatore e
d la visuale dellosservatore, tangente allorizzonte, per il teorema di
Pitagora potremo scrivere
( ) d R h R
2
2
2
= + e quindi d h Rh
2 2
2 = +

essendo h << R, potremo trascurare h
2
rispetto a 2Rh. Si avr pertanto
d Rh
2
2 ~ e quindi
d Rh R h h h ~ = = = 2 2 2 6371000 3570 . . .

Orientamento
5-2
5.3 Orientamento notturno
Di notte ci si pu orientare con la stella polare la quale indica il polo Nord celeste con circa 51' di
scarto. ( La stella polare l'ultima stella del timone del piccolo carro, individuabile prolungando
l'asse anteriore del grande carro di circa tre volte la sua lunghezza). Nell'emisfero australe
possibile orientarsi individuando la stella o Octantis che indica il Sud con circa 1 di scarto.
Essendo per o Octantis poco luminosa si cerca in genere la costellazione Croce del Sud che per
dista 30 dal Polo Sud.

5.4 Declinazione magnetica
Naturalmente ci si pu orientare con la bussola, la quale tuttavia non indica il polo Nord geografico,
ma il polo Nord magnetico, il quale si trova attualmente a circa 75 N e 100 W in una delle isole
Regina Elisabetta (Canada), mentre il polo Sud magnetico si trova a circa 68 S e 140 E circa.
In effetti non si tratta di veri e propri punti, ma di zone di estensione variabile, che mutano la loro
posizione con il tempo. Evidentemente solo per un osservatore posto sul meridiano di 100 W (e sul
suo antimeridiano) l'ago della bussola indica contemporaneamente il polo nord geografico ed il polo
nord magnetico.
In tutti gli altri casi l'ago della bussola punta verso il polo nord magnetico e non verso quello
geografico. La direzione individuata dall'ago (che punta verso il Nord magnetico) forma in tal caso
con la direzione individuata dal meridiano passante per il luogo (che punta verso il Nord
geografico) un angolo detto declinazione magnetica.
La declinazione magnetica pu essere occidentale o orientale e varia da luogo a luogo. Conoscendo
la declinazione magnetica di una certa localit possibile individuare con esattezza, tramite una
bussola, il polo nord geografico.

5.5 Determinazione delle coordinate geografiche
5.5.1 Latitudine di notte
Durante la notte la latitudine pari all'angolo che la visuale
verso la stella polare forma con il piano dell'orizzonte. In
altre parole possibile calcolare la latitudine di un luogo
semplicemente misurando l'altezza della stella polare sul
piano dell'orizzonte.
Nello schema la latitudine del punto A rappresentata
dall'angolo o. E' facile osservare che i due angoli | sono
uguali in quanto corrispondenti, mentre i due angoli o sono
uguali in quanto entrambi complementari di angoli
corrispondenti (le due rette parallele sono 2 raggi
provenienti dalla stella polare, uno passante per il centro
della terra, uno passante per il punto A. La retta incidente
coincide con il raggio terrestre passante per A).
E' facile convincersi che pi ci spostiamo verso nord
(maggior latitudine) pi la stella polare ci appare alta sul
piano dell'orizzonte, mentre pi ci si sposta verso l'equatore pi la stella si abbassa sul piano
dell'orizzonte (al polo Nord (latitudine 90) la stella si trova allo zenit, a 90, mentre all'equatore
(latitudine 0) i suoi raggi giacciono sul piano dell'orizzonte.







Orientamento
5-3

5.5.2 Latitudine di giorno
Durante le ore diurne, nei giorni equinoziali, la latitudine pari al complemento a 90 dell'altezza
del sole sul piano dell'orizzonte a mezzogiorno. In altre parole una volta misurato durante un giorno
equinoziale l'angolo che i raggi solari formano a mezzogiorno con il piano dell'orizzonte
necessario sottrarlo a 90
per ottenere la latitudine
del luogo.
Nello schema o
rappresenta la latitudine
di A, mentre
| rappresenta l'altezza
del sole sul piano
dell'orizzonte. I due
angoli o sono uguali
perch corrispondenti,
mentre i due angoli | sono uguali perch complementari di angoli corrispondenti ( le due rette
parallele sono due raggi provenienti dal sole, uno passante per il centro della terra, uno passante per
il punto A. La retta incidente coincide con il raggio terrestre passante per A).
Nei giorni non equinoziali necessario conoscere il valore della declinazione solare del luogo. Il
valore dell'angolo di declinazione va aggiunto all'angolo di latitudine precedentemente calcolato in
primavera estate, mentre va tolto in autunno inverno. Tale correzione evidentemente necessaria
per riportare il sole in posizione equinoziale.


5.6 Longitudine
E' possibile calcolare la longitudine possedendo un orologio sincronizzato sull'ora di Greenwich.
Ricordando infatti che il sole impiega 1 ora per percorrere 15 di longitudine possibile tradurre
differenze di tempo tra l'ora locale e l'ora di Greenwich in differenze di longitudine.
Ad esempio se il nostro orologio ci informa che a Greenwich sono le 10 e 30 mentre il sole si trova
in culminazione sul nostro meridiano, possiamo dedurre che il sole arriver in culminazione a
Greenwich tra un'ora e mezza. Greenwich si trover quindi ad Ovest del nostro meridiano ad una
distanza di 22 30', distanza che il sole copre appunto in un'ora e mezzo (15 + 7 30'). La nostra
longitudine sar pertanto 2230' E. In generale quando l'ora locale maggiore di quella di
Greenwich il luogo si trova ad Est di Greenwich, quando minore il luogo si trova ad Ovest.



La Luna
6-1
6 La luna

Generalit
La luna possiede una massa pari ad 1/81 circa di quella terrestre (M
L
= 7,3483 10
22
kg) ed una
raggio medio di 1738 km. La sua densit di 3.3 kg/dm
3
contro i 5.5 kg/dm
3
. La forza di gravit
1/6 di quella terrestre.

6.1 laspetto fisico
La superficie lunare presenta grandi distese scure chiamate mari (costituite da estese pianure
coperte da una polvere soffice che riflette meno la luce solare, detta regolite). I rilievi lunari visti
dalla terra si presentano invece pi luminosi e sono costituiti da catene montuose e dai bordi rialzati
di crateri (alcuni vulcanici, altri da impatto meteorico). Sulla superficie lunare si notano inoltre dei
solchi che possono arrivare a parecchie decine di km di lunghezza e a profondit fino a 500 m. La
loro origine incerta (fessure dovute all'antico raffreddamento ed alla relativa contrazione della
crosta; canali scavati dalla lava; fratture (faglie) legate ai movimenti successivi della crosta lunare).
Sulla luna assente sia l'acqua che l'atmosfera, poich la piccola velocit di fuga caratteristica della
luna ha permesso a queste molecole di perdersi nello spazio, vincendo la gravit lunare
(probabilmente quando la luna era molto pi calda e tali molecole possedevano energie cinetiche
piuttosto elevate). L'assenza di acqua ed atmosfera ha impedito che la superficie lunare subisse
fenomeni erosivi paragonabili a quelli terrestri, in tal modo la crosta lunare conserva praticamente
intatto l'aspetto fortemente craterizzato prodottosi miliardi di anni orsono al momento della sua
formazione. L'assenza di atmosfera fa inoltre s che non si abbiano fenomeni crepuscolari (il circolo
di illuminazione netto). L'albedo (frazione della luce totale riflessa da un corpo) lunare solo del
7%, contro quella della terra che del 35%. In altre parole la terra (a causa delle superfici acquee,
dei ghiacciai, delle nubi) riflette, per unit di superficie, una quantit di luce solare incidente cinque
volte superiore a quella riflessa dalla luna ed appare dunque dallo spazio molto pi brillante.

6.2 Moto di rotazione
La luna ruota attorno al proprio asse da Ovest ad Est in circa 27 giorni terrestri (un giorno lunare
dura 27 giorni terrestri). Il periodo di oscurit e quello di luce sono quindi molto lunghi. Se a ci si
aggiunge l'assenza di atmosfera, di nubi, acqua e copertura vegetale si comprende come
l'escursione termica (differenza di temperatura tra il giorno e la notte) sia molto elevata. La
temperatura diurna pu infatti raggiungere un centinaio di gradi C, mentre di notte si pu arrivare a
150 C sotto zero.

6.3 Sistema Terra-Luna
In prima approssimazione la luna percorre unorbita ellittica intorno alla terra, in senso antiorario se
osservata dal polo nord celeste. La terra occupa naturalmente uno dei due fuochi dellellisse. Il
punto di minima distanza Terra-Luna detto perigeo (da centro a centro 356.410 km), mentre il
punto di massima distanza prende il nome di apogeo (da centro a centro 406.697 km).
La distanza media di 384.400 km.
1.1 Approfondimento facoltativo
La forza di gravit di un corpo celeste di massa M e raggio R pu essere espressa in rapporto alla gravit terrestre
(ponendo cio la gravit terrestre pari a 1) mediante la seguente relazione
( )
M M
R R
T
T
/
/
2

che si ottiene facendo il rapporto tra la forza gravitazionale misurata nei due sistemi. Essendo il raggio medio
terrestre (RT) pari a 6371 km e la massa terrestre (MT) pari a 5,9742 10
24
kg
La Luna
6-2




Aristarco e la prima misura della distanza della Luna (Approfondimento facoltativo)

La prima stima della distanza della luna si deve ad Aristarco di Samo (III sec. a.C.), famoso soprattutto per la sua ipotesi
eliocentrica, in seguito abbandonata in favore del geocentrismo tolemaico.
Nellunica opera pervenutaci, Sulle dimensioni e distanze del Sole e della Luna, Aristarco afferma correttamente che
quando la luna ci appare illuminata per met essa deve necessariamente trovarsi al vertice dellangolo retto di un
triangolo rettangolo, ai rimanenti vertici del quale si trovano Terra e Sole. Aristarco valuta in 87 (un angolo retto meno
un trentesimo di
quandrante) langolo o
compreso tra le visuali che
dalla Terra portano alla
Luna e al Sole. In termini
trigonometrici ci significa
che langolo | = 3 e che il
rapporto tra la distanza
Terra-Luna (DL) e la
distanza Terra-Sole (DS)
pari al seno di |.
D
D
sin
L
S
= = 3
1
19

In realt al tempo di
Aristarco non erano ancora
disponibili tavole
trigonometriche (la
trigonometria nasce con
Ipparco di Nicea verso la seconda met del II secolo a.C) ed egli dimostra che il rapporto deve essere compreso tra 1/18
e 1/20. Il risultato assolutamente corretto dal punto di vista formale, ma il valore dellangolo o ottenuto da Aristarco
inferiore al valore reale (89 51 10) per la evidente difficolt di misurare un angolo cos prossimo ad un angolo retto. Il
valore corretto dellangolo porta ad un rapporto tra le distanza pari a circa 1/390.

In realt la massa della Luna non del tutto trascurabile rispetto alla massa della Terra ed quindi
solo una grossolana approssimazione affermare che la Luna ruota intorno alla Terra. Pi
correttamente entrambe ruotano intorno ad un baricentro comune che si trova allinterno della
Terra, circa 1700 km sotto la sua superficie. Per questo motivo Terra e Luna possono essere
considerate un sistema gravitazionale doppio.



6.4 Moto di rivoluzione e fasi lunari
Il piano dell'orbita lunare non coincide perfettamente con il piano dell'orbita terrestre o eclittica (sul
quale giace anche il sole), ma inclinato rispetto ad esso di circa 5 (5 8 43).
Il moto di rivoluzione lunare fa s che essa cambi continuamente la sua posizione relativa rispetto al
sole ed alla terra. Si individuano usualmente 4 posizioni fondamentali:


Distanza del baricentro Sistema Terra-Luna
(Approfondimento facoltativo)

Il baricentro divide la distanza Terra-Luna in due parti
inversamente proporzionali alle due masse. Detta DT/L la
distanza media tra il centro della Terra ed il centro della Luna, DT
la distanza media del baricentro dal centro della Terra e DL la
distanza media del baricentro dal centro della Luna, si avr
M D M D
T T L L
=

ed essendo ovviamente DT/L = DT + DL

D
M
M M
D
T
L
T L
T L
=
+
=

+
~
/
,
, ,
. .
7 3483 10
5 9742 10 7 3483 10
384400 4671
22
24 22
km

La Luna
6-3

a) congiunzione La luna si trova tra il sole e la terra
b) opposizione La terra si trova tra la luna ed il sole
c) quadrature sono le due posizioni intermedie tra congiunzione ed opposizione. Luna terra e
sole formano i vertici di un triangolo rettangolo.
Le posizioni di congiunzione ed opposizione prendono il nome di sizigie o sigizie. In effetti tali
termini non si riferiscono solo alle posizioni della luna rispetto al sole ed alla terra ma a possibili
posizioni reciproche di qualsiasi corpo del sistema planetario rispetto al sole. Naturalmente in
ognuna di queste posizioni possibile osservare la luna diversamente illuminata dal sole. Le diverse
condizioni di illuminazione osservabili dalla terra sono dette fasi lunari.
a) quando la luna si trova in congiunzione noi osserviamo la met non illuminata della luna. La
fase lunare detta di luna nuova o novilunio. Durante il novilunio la luna sorge, culmina e
tramonta con il sole.
b) quando la luna in opposizione osserviamo la met illuminata della luna. La fase lunare detta
di luna piena o plenilunio. Durante il plenilunio la luna sorge quando tramonta il sole, culmina a
mezzanotte e tramonta al sorgere del sole.
c) quando la luna si trova nelle due quadrature l'emisfero lunare che noi osserviamo risulta per
met illuminato e per met oscuro. Le due fasi lunari sono dette primo quarto e ultimo quarto.
La porzione della luna non illuminata dal sole dovrebbe risultare perfettamente oscura. In realt
essa debolmente illuminata dalla luce del sole riflessa dalla terra. Tale debole chiarore detto luce
cinerea. La corretta interpretazione di tale fenomeno si deve a Leonardo da Vinci. Dalla fase di
novilunio a quella di plenilunio si ha luna crescente. Nella fase contraria si ha luna calante.


6.5 Mese sidereo
La durata del periodo di rivoluzione ancora una volta diversa a seconda che prendiamo come
punto di riferimento una stella fissa o il sole. Il tempo necessario affinch la luna compia una
rivoluzione completa di 360 intorno alla terra, ritornando nella stessa posizione rispetto ad una
stella fissa detto mese sidereo. Esso ha una durata di circa 27,32 giorni terrestri (27
d
7
h
43
m
11,5
s
= 27,321661 gsm = 2.360.591,5 s) La luna ruota intorno al suo asse impiegando lo stesso tempo che
impiega a compiere una rivoluzione intorno alla terra. La conseguenza di tale curiosa coincidenza
che la luna rivolge sempre la stessa faccia alla terra. Lemisfero nascosto della luna si presenta pi
ricco di crateri di piccole dimensioni, mentre sono praticamente assenti i grandi mari che
caratterizzano lemisfero rivolto verso la terra. Questultimo, a causa dellattrazione gravitazionale
terrestre, risulta inoltre leggermente pi protuberante.



La Luna
6-4
6.6 Mese sinodico e ciclo delle lunazioni (Metone)
Il mese sinodico o lunazione il tempo necessario affinch la luna raggiunga nuovamente una fase
lunare dello stesso segno. Ad esempio l'intervallo di tempo tra due lune piene consecutive. In altre
parole il mese sinodico rappresenta il tempo necessario perch la luna raggiunga nuovamente la
stessa posizione relativa rispetto al sole ed alla terra. Il mese sinodico dura circa 29,53 giorni
terrestri (29
d
12
h
44
m
2,9
s
= 29,530589 gsm = 2.551.442,9 s, oltre due giorni in pi rispetto al mese
sidereo. Ci dovuto al fatto che mentre la luna compie il suo moto di rivoluzione intorno alla terra,
quest'ultima compie un tratto della sua orbita intorno al sole, cambiando perci la sua posizione
rispetto ad esso.
Poich il mese sinodico dura 29,53 giorni, un anno
non contiene un numero intero di lunazioni. In un
anno giuliano si possono susseguire 12 lunazioni
complete (354,367 gsm) con l'avanzo di circa 11
giorni. Di conseguenza le fasi lunari non si ripetono
ogni anno alla stessa data, ma solo ogni 235
lunazioni, corrispondenti a circa 19 anni tropici.
Tale ciclo detto ciclo aureo o di Metone
(astronomo greco del V sec. a.C.)


6.7 La luna e le maree
A causa del suo moto di rivoluzione intorno alla
terra la luna non sorge, culmina e tramonta sempre
alla stessa ora tutti i giorni, ma con circa 50 minuti
di ritardo ogni giorno. In altre parole la terra
completa una rotazione intorno al suo asse rispetto
alla luna in 24
h
e 50
m
circa (giorno lunare).

La luna la principale responsabile (assieme al
sole) dei fenomeni mareali che interessano lidrosfera (ma anche latmosfera e in misura molto
minore la stessa crosta terrestre).
Si gi detto che gli effetti mareali
sono dovuti alla diversa attrazione
gravitazionale cui sono sottoposti
punti diversi di uno stesso corpo.
Lidrosfera, pensata per semplicit
come un guscio sferico di spessore
uniforme, si deforma sotto lazione
della luna assumendo la forma di
un ellissoide di rotazione
(ellissoide di marea) avente lasse
maggiore orientato lungo la
direzione Terra-Luna. In tal modo,
osservando il sistema Terra-Luna
dal polo nord celeste, possiamo
individuare 2 zone di alta marea in

In realt il ciclo di Metone non preciso poich 19 anni
tropici contengono 19 x 365,24219 = 6939,6016 giorni
solari medi, mentre 235 mesi sinodici sono composti da 235
x 29,530589 = 6939,6884. Vi una differenza di poco pi di
2 ore (2
h
5
m
) che dopo 11 cicli e mezzo circa ( ~ 219 anni),
sfasa il ciclo di 1 giorno.

1.2 Approfondimento facoltativo
Se la velocit angolare orbitale della Luna rispetto alle stelle fisse pari a
e
L
sid
M
=
360
e la velocit angolare di rotazione della Terra rispetto alle stelle
fisse pari a
e
rot
sid
G
=
360
, allora la velocit di rotazione della terra rispetto
alla Luna in moto di rivoluzione intorno ad essa sar pari a
e e
t t t
rot L
sid sid L
G M G
= =
2 2 2

dove GL il tempo necessario affinch la terra compia una rotazione
rispetto alla Luna. E, riordinando

G
M G
M G
L
sid sid
sid sid
=

=
23605915 861641
23605915 861641
89 428 3
. . , . ,
. . , . ,
. , secondi


La Luna
6-5
corrispondenza dei punti in cui la luna allo zenit e al nadir e due zone di bassa marea nei punti
intermedi, dove la luna appare sullorizzonte, in procinto di sorgere o di tramontare.
Lasse maggiore dellellissoide di marea tende a rimanere sempre allineato con la luna, cosicch la
Terra compie una rotazione rispetto ad esso in un giorno lunare (24
h
50
m
). In altre parole, basse ed
alte maree si alternano ogni quarto di giorno lunare (6
h
12,5
m
).
Le forze che generano le maree si determinano a causa del non perfetto equilibrio esistente tra forze
centrifughe e gravitazionali nei vari punti della Terra. Tale equilibrio esiste solo al centro della
Terra, ma non alla sua superficie, dove la forza gravitazionale pu risultare maggiore (nei punti pi
vicini alla luna) o minore (nei punti pi distanti) rispetto alla forza centrifuga.



Lazione mareale della Luna circa 2,2 volte pi intensa di quella del Sole. Quando la Luna si trova
in sizigie gli effetti mareali dei due astri si combinano e le alte maree presentano le massime
ampiezze (maree di sizigie), mentre quando la Luna si trova in quadratura leffetto mareale del Sole
indebolisce quello della Luna, senza peraltro annullarlo (maree di quadratura).

Determinazione dellaccelerazione mareale (Approfondimento facoltativo)
Terra e Luna si attraggono con una forza pari a F G
M M
d
g
L T
=
2
dove d la distanza che separa i rispettivi centri. La
Terra dunque sottoposta ad una accelerazione in direzione della Luna pari a a
F
M
G
M
d
g
g
T
L
= =
2
che si esercita sul
suo baricentro. Poich la Terra non cade sulla Luna e la loro distanza media rimane, almeno in prima approssimazione,
costante, il sistema Terra-Luna deve essere in equilibrio dinamico. Ci significa che il moto di rotazione del sistema
intorno al baricentro comune genera una accelerazione centrifuga esattamente uguale allaccelerazione gravitazionale
centripeta. Ma essendo la terra rigida tutti i suoi punti si muovono in modo solidale con il baricentro e possiedono quindi
la stessa accelerazione centrifuga, pari a a a G
M
d
c g
L
= =
2
, sempre diretta in senso opposto alla direzione della
Luna.
Dunque, mentre la forza centrifuga identica in tutti i
punti, la forza gravitazionale esercitata invece
diversa in intensit e in direzione, a causa della
differente distanza dal centro della Luna. Le forze
mareali sono la risultante di tali forze applicate e si
manifestano evidentemente in tutti i punti in cui tale
risultante diversa da zero e quindi in tutti i punti che
non siano il centro della terra, dove la forza
gravitazionale esattamente controbilanciata dalla
reazione centrifuga. Se R il raggio terrestre e d la
distanza tra i baricentri della Terra e della Luna,
laccelerazione gravitazionale nei punti in cui la Luna
allo zenit e al nadir vale
( )
a
GM
d R
g
L
=

2

e quindi laccelerazione mareale in grado di produrre le alte maree
La Luna
6-6
( )
a a a
GM
d R
GM
d
M g c
L L
= =


2 2


( )
( )
a GM
d d R dR
d R d
M L
=
+

2 2 2
2
2
2


e nellipotesi che il raggio terrestre R sia trascurabile rispetto alla distanza d Terra-Luna (R<<d e R
2
<<d
2
)
a
GM R
d
M
L
=
2
3
Si pu dimostrare che nei punti intermedi, di bassa marea, laccelerazione mareale , in modulo,
esattamente la met che nei punti di alta marea, mentre la direzione dei vettori centripeta, essendo orientata verso il
centro della Terra. Gli effetti mareali del Sole sono meno intensi di quelli lunari. Per confrontare gli effetti mareali dei due
astri, determiniamo il rapporto tra le rispettive accelerazioni mareali
( ) ( )
GM R
d
GM R
d
M M
d d
L
L
S
s
L S
L S
3 3 3
25 33
10 13
3
7 348 10 1989 10
3 844 10 1 496 10
218 :
/
/
, / ,
, / ,
, = =


~
6.8 Mese draconico, retrogradazione dei nodi ed eclissi
Essendo l'orbita lunare inclinata di circa 5 (5 8 43) rispetto all'eclittica, la luna compie met del
suo percorso di rivoluzione sopra il piano dell'eclittica e met sotto. I due punti di intersezione, in
cui la luna attraversa il piano dell'eclittica sono detti nodi e la linea che li congiunge detta linea
dei nodi. La linea dei nodi rappresenta l'intersezione tra il piano dell'eclittica ed il piano dell'orbita
lunare.
La linea dei nodi (intersezione del piano dell'orbita lunare con l'eclittica) ruota, in senso opposto al
movimento di rivoluzione lunare (e terrestre), compiendo una rotazione completa in senso orario
rispetto alle stelle fisse in 18,6 anni (retrogradazione o regressione dei nodi). In altre parole i nodi
vanno incontro alla luna, la quale ritorna pertanto ad un nodo dello stesso segno (ad esempio il nodo
ascendente) un po' prima di aver compiuto una rivoluzione completa di 360 rispetto alle stelle
fisse.
Ricordando che il tempo necessario per compiere una rivoluzione completa rispetto alle stelle fisse
definita mese sidereo (27,32166 giorni solari medi = 27
d
7
h
43
m
12
s
), la luna compier un'orbita
rispetto ad un nodo in un tempo inferiore. Tale intervallo di tempo detto mese draconitico o
draconico (27,212220 gsm = 27
d
5
h
5
m
35,8
s
= 2.351.135,8 s). La rotazione dellorbita lunare,
misurata dalla regressione dei nodi, muta periodicamente linclinazione dellorbita lunare nei
confronti del piano equatoriale. Cos langolo che il piano dellorbita lunare forma con il piano
equatoriale va da un massimo di 28 35 (23 26 + 5 9), quando orbita lunare ed equatore sono
inclinati in senso opposto rispetto alleclittica (A), ad un minimo (dopo 9,3 anni) di 18 17 (23 26
- 5 9), quando orbita lunare ed equatore sono inclinati nello stesso senso rispetto alleclittica (B).
La Luna
6-7
La Luna pu dunque giungere allo zenit solo su regioni comprese tra le latitudini di 28 35 N e S
(ed in certi anni solo su regioni comprese tra le latitudini di 18 17 N e S).
La regressione della linea dei nodi porta periodicamente questi ultimi ad occupare le posizioni di
sizigie. Quando ci avviene si producono le condizioni necessarie al manifestarsi del fenomeno
delle eclissi. Infatti quando la Luna si trova contemporaneamente in sizigie e in uno dei due nodi,
Luna Sole e Terra si trovano ad essere allineati. Nel caso l'allineamento sia perfetto si parla di
eclissi totali, nel caso ci non avvenga e la luna in sizigie si trovi solo nelle vicinanze di un nodo si
possono produrre eclissi parziali.
In realt leclisse un fenomeno per cui un astro entra nel cono d'ombra di un altro. Sono dunque
propriamente eclissi solo quelle di luna, mentre le eclissi di sole sono in effetti occultazioni (per cui
un astro passa davanti ad un altro e lo occulta).

6.8.1 Eclisse di Luna
Quando la luna si trova in opposizione e in un nodo essa destinata a scomparire completamente
nel cono d'ombra della terra. Naturalmente durante le eclissi di luna, la luna si trova sempre in
plenilunio.

Quando la luna attraversa il cono d'ombra l'eclisse visibile da tutto l'emisfero terrestre notturno.
Poich lombra della Terra quasi 3 volte pi grande della Luna, uneclissi totale di Luna pu
durare oltre 100 minuti. Affinch si produca un'eclisse di luna necessario che la luna ed un nodo si
trovino contemporaneamente in opposizione. Se la linea dei nodi fosse ferma rispetto alle stelle
fisse, i nodi si verrebbero a
trovare in opposizione ogni
sei mesi (alternativamente il
nodo ascendente e
discendente) e potrebbero
pertanto verificarsi non pi
di due eclissi lunari all'anno.
Poich la linea dei nodi si
muove di moto retrogrado di
circa 20 all'anno, i nodi si
presentano in opposizione
con periodicit leggermente
inferiore ai 6 mesi e quindi a
volte possono presentarsi le
condizioni per eclissi lunari
anche tre volte all'anno.


6.8.2 Eclisse di Sole (occultazione)
L'eclisse o occultazione solare si produce ogniqualvolta la luna ed un nodo si trovano in
congiunzione. La luna in grado di oscurare il sole in quanto possiede lo stesso diametro apparente
della nostra stella.
Nel caso per in cui la luna si trovi in apogeo e la terra in perielio, il diametro apparente del sole
risulta maggiore di quello lunare e si producono le cosiddette eclissi anulari, in cui un anello
luminoso del disco solare compare dietro al bordo lunare.

La Luna
6-8
Essendo il cono d'ombra della luna molto meno esteso di quello terrestre, le eclissi solari sono
visibili sono in una stretta area ampia da 200 a 300 km (zona di totalit) che si sposta da ovest verso
est per migliaia di chilometri, attorniata da una vasta zona di penombra. Per un osservatore che si
trovi a percorrere il diametro di tale zona
oscura l'eclisse pu durare fino a 7
m
30
s
.
A differenza delle eclissi lunari, le eclissi
solari possono verificarsi ai due passaggi
consecutivi della luna in prossimit di un
nodo in congiunzione. Per questo motivo si
possono avere fino ad un massimo di 5
eclissi di sole all'anno. In un anno si
verificano un minimo di due eclissi
(entrambe di sole) ed un massimo di 7 (5 di
sole e due di luna; eccezionalmente 4 di sole
e 3 di luna). Le eclissi solari sono dunque in
assoluto pi frequenti. Ma relativamente ad
un osservatore particolare risultano pi
frequenti le eclissi di luna in quanto visibili
sempre da tutti gli osservatori dell'emisfero
notturno. L'intervallo di tempo medio che
separa due eclissi solari totali osservabili da
una particolare regione terrestre di circa 360 anni.

6.8.3 Il ciclo delle eclissi (Saros)
Mediamente si verificano da 2 a 7 eclissi all'anno. I Caldei avevano scoperto che le eclissi si
ripetevano con la stessa successione ogni 223 lunazioni pari a 18 anni circa (18 anni e 10-12 giorni,
a seconda del numero di anni bisestili presenti). Tale intervallo di tempo noto come ciclo di Saros.
In tale periodo si susseguono 71 eclissi, 43 di sole e 28 lunari.

La Luna
6-9


6.9 Librazioni
Si detto che poich la rotazione e la rivoluzione lunare hanno la stessa durata di circa 27 giorni, la
luna rivolge sempre la stessa faccia alla terra. In realt noi possiamo vedere circa il 59% della
superficie lunare. Ci dovuto ad oscillazioni periodiche della Luna dette librazioni, descritte per la
prima volta da Galileo e da lui definite titubazioni. Le librazioni si distinguono in vere e apparenti.

a) Le librazioni vere o fisiche sono dovute allattrazione che la terra esercita sul rigonfiamento
equatoriale della luna e ad irregolarit nel moto di rotazione lunare.
b) Le librazioni apparenti o geometriche si possono suddividere in
- librazioni in longitudine - dovute al fatto che mentre il moto di rotazione della luna
avviene a velocit costante, in modo regolare ed uniforme, il moto di rivoluzione pi
veloce in perigeo e pi lento in apogeo. In tal modo noi possiamo scorgere di volta in
volta una piccola fetta di superficie lunare normalmente non visibile, alternativamente ad
est e ad ovest ( 7,5). Il risultato che la luna, vista dalla terra sembra produrre lievi
oscillazioni attorno al suo asse, paragonabili a quelle di una testa che dice di no.
- librazioni in latitudine - dovute al fatto che lasse di rotazione lunare inclinato di 6
41 rispetto alla perpendicolare allorbita della luna. Poich lasse mantiene costante la
sua orientazione rispetto alle stelle fisse (come avviene anche per lasse terrestre), di
conseguenza durante il suo moto di rivoluzione la luna ci mostra alternativamente il suo
polo nord ed il suo polo sud ( 6,7). Il risultato che la luna, vista dalla terra sembra
produrre lievi oscillazioni paragonabili a quelle di una testa che dice di si.

- librazioni parallattiche o diurne - dovute al fatto che la distanza Terra-Luna non
trascurabile rispetto alle dimensioni della terra. Osservando la luna quando sorge e
Ciclo di Saros e mese anomalistico (Approfondimento facoltativo)
Il ciclo di Saros misura il periodo di tempo necessario affinch luna, terra e nodi ritornino in una stessa posizione
rispetto al sole. Ricordando che un'eclisse si produce quando la luna si trova contemporaneamente in sizigie e in un
nodo, il tempo necessario affinch tale situazione si ripeta nuovamente si determina calcolando il minimo comune
multiplo tra il mese draconico ed il mese sinodico. Tale intervallo di tempo risulta essere di circa 6585 giorni solari
medi e 8 ore, corrispondente a 242 mesi draconici e a 223 mesi sinodici.
Il ciclo non in realt preciso, infatti
242 * 27,212221 = 6585,357

223 * 29,530589 = 6585,321
La differenza (circa 52
m
) fa si che alcune eclissi vadano lentamente sparendo dal ciclo e se ne inseriscano di nuove.
Il ciclo di Saros dura
- 18 anni 10 giorni e 8 ore circa (con 5 anni bisestili)
- 18 anni 11 giorni e 8 ore circa (con 4 anni bisestili)
- 18 anni 12 giorni e 8 ore circa (con 3 anni bisestili, evento raro che si pu verifica a cavallo di un anno secolare non
bisestile) .
La linea che congiunge apogeo e perigeo (linea degli apsidi lunari) si muove in modo concorde al movimento di
rivoluzione lunare, compiendo una rotazione completa rispetto alle stelle fisse in 8,85 anni. In altre parole la luna
dopo aver completato una rivoluzione di 360 rispetto alle stelle fisse, partendo ad esempio dall'apogeo, non si ritrova
dopo un mese sidereo in apogeo poich quest'ultimo nel frattempo si allontanato.
L'intervallo di tempo tra due passaggi successivi della luna in perigeo detto mese anomalistico e dura 27,554551
giorni solari medi = 27
d
13
h
18
m
33,2
s
= 2.380.713,2 s)
Dopo un Saros le eclissi si presentano non solo nello stesso ordine, ma anche con lo stesso aspetto in quanto il ciclo
di Saros risulta essere un multiplo, anche se meno preciso, del mese anomalistico (239 x 27,55455 = 6585,537). Le
eclissi si presentano pertanto approssimativamente con la luna alla stessa distanza dalla terra.
I Greci chiamarono exeligmos un ciclo di 3 Saros, pari a 669 lunazioni, che corrisponde ad un numero di giorni
approssimativamente intero (19.755,964 gsm). Dopo 3 Saros le eclissi si ripresentano quindi quasi nello stesso
momento della giornata (con unora di anticipo circa)

La Luna
6-10
tramonta e si trova appena sopra lorizzonte ci poniamo alle due estremit di una base
parallattica costituita approssimativamente dal diametro terrestre e ci ci consente di
scorgere 1 di superficie lunare.

6.10 L'orbita della luna intorno al sole
Per un osservatore esterno al nostro sistema planetario la luna non compie delle ellissi intorno alla
terra, ma segue la terra nella sua orbita ellittica intorno al sole, disegnando intorno ad esso una
traiettoria appena ondulata (epicicloide). L'orbita lunare possiede la notevole caratteristica di
presentare sempre la concavit rivolta verso il sole




6.11 Ipotesi sull'origine della luna
I campioni lunari prelevati dalle missioni Apollo hanno indicato che la luna si formata 4,5 miliardi
di anni fa, contemporaneamente dunque alla terra ed al resto del sistema solare. L'analisi chimica
dei campioni ha inoltre dimostrato che esistono alcune differenze sostanziali rispetto alla terra. La
luna possiede infatti una quantit minore di elementi volatili (K, Na, B etc) mentre
particolarmente ricca di sostanze non volatili o refrattarie (Al, Ca, Th, Lantanidi). Tuttavia rocce
terrestri e rocce lunari presentano lo stesso rapporto fra l'isotopo leggero dell'ossigeno (
16
O) e gli
isotopi pesanti (
17
O e
18
O). Ci fa ritenere che si siano formate nella stessa regione del sistema
solare, poich il rapporto tra gli isotopi dell'ossigeno molto diverso nelle meteoriti, soprattutto in
quelle che provengono da regioni lontane del sistema solare. Sulla base di tali risultanze possiamo
analizzare le diverse ipotesi che nel tempo sono state avanzate sull'origine del nostro satellite.

6.11.1 Ipotesi della fissione
Proposta inizialmente da George Darwin, figlio di Charles, prevede che dalla terra allo stato
primordiale semifluido si sia staccata una porzione di magma, a causa del rapido moto di rotazione.
Molti scienziati ritengono infatti che inizialmente la terra avesse un periodo di rotazione
estremamente breve dell'ordine di qualche ora. Da allora ad oggi la terra avrebbe rallentato la sua
velocit di rotazione, frenata dall'attrazione gravitazionale della luna. Una variante successiva
dell'ipotesi della fissione prevede che la terra abbia addirittura aumentato inizialmente la sua
velocit di rotazione a causa dello sprofondamento del materiale metallico verso il centro durante il
processo di formazione del suo nucleo. L'aumento di velocit avrebbe generato la forza centrifuga
necessaria al distacco del materiale destinato a formare il nostro satellite.
L'ipotesi della fissione spiegherebbe perch la luna presenta una densit media inferiore a quell a
terrestre. Infatti la luna si sarebbe formata da materiale terrestre superficiale, pi leggero di quello
che occupa gli strati terrestri pi profondi.
Ma non in grado di giustificare:
- l'inclinazione del piano dell'orbita lunare rispetto all'eclittica
- la diversa composizione chimica evidenziata dalle recenti missioni spaziali
- l'attuale valore del momento angolare del sistema Terra-Luna. Infatti se la luna si fosse staccata
dalla terra il momento angolare attuale del sistema Terra-Luna dovrebbe essere uguale a quello
della terra prima del processo di fissione, ma il momento angolare attuale del sistema Terra-Luna
notevolmente inferiore a quello richiesto dalle teorie della fissione per giustificare il distacco.
La Luna
6-11

6.11.2 Ipotesi della cattura
Secondo tale ipotesi la luna sarebbe un corpo formatosi in un'altra zona del sistema solare e
catturato gravitazionalmente mentre passava casualmente accanto alla terra. Tale ipotesi presenta il
vantaggio di poter spiegare la diversa inclinazione dell'orbita lunare e la sua diversa composizione
chimica, ma si tratta di un'ipotesi altamente improbabile. Un corpo celeste che passasse infatti
casualmente vicino alla terra dovrebbe possedere una traiettoria ben precisa per essere catturato.
Anche lievi differenze porterebbero ad un impatto o ad una spinta gravitazionale con sorpasso
(effetto fionda, simile al cosiddetto gravity assist sfruttato dalle sonde interplanetarie).

6.11.3 Ipotesi dellaccrescimento
Secondo tale ipotesi la luna si sarebbe formata attraverso un processo analogo a quello attraverso il
quale si form il nostro pianeta. In altre parole il materiale meteorico inizialmente presente
sull'orbita terrestre si sarebbe condensato a formare un pianeta doppio. In tal caso per la struttura
interna e la composizione chimica della luna dovrebbero essere analoghe a quelle terrestri. Tale
ipotesi non spiega dunque perch la luna possieda un nucleo metallico cos piccolo (o forse
addirittura inesistente, vista la sua densit media cos ridotta - 3,3) e le sue rocce presentino
abbondanze chimiche cos diverse.

6.11.4 Ipotesi dellimpatto meteorico
Secondo tale ipotesi (Hartmann e Davis - 1975; R.A. Daly 1946) la luna si sarebbe formata a causa
di un impatto della terra con un gigantesco meteorite. L'enorme quantit di detriti scagliati in orbita
si sarebbero poi aggregati a formare la luna. Recentemente tale ipotesi sta trovando un certo
consenso in quanto permette di giustificare numerosi evidenze osservative che gli altri modelli non
sono in grado di spiegare. Possiamo infatti ipotizzare che
- durante l'impatto il nucleo metallico, pi pesante, del meteorite si sia fuso con la terra, mentre
solo i materiali pi leggeri siano andati a formare i frammenti dai quali si condens la luna.
- il meteorite avesse una composizione inizialmente simile a quella terrestre (stessa composizione
isotopica dell'ossigeno), ma durante l'impatto l'enorme liberazione di energia abbia consentito
solo agli elementi meno volatili di partecipare alla costituzione del nostro satellite.
- l'impatto sia avvenuto non centralmente, ma secondo un angolo tale da imprimere alla terra un
moto di rotazione molto rapido, tale da giustificare il suo elevato momento angolare.


Petrologia
7-1
7 Petrologia

7.1 Minerali e rocce
La petrologia la scienza che studia e descrive la struttura e la genesi delle rocce. Le rocce sono
aggregati di uno o pi minerali, formatesi attraverso processi di natura diversa, legati
essenzialmente a fenomeni geologici che richiedono milioni di anni per completarsi. I minerali sono
sostanze inorganiche, allo stato solido, caratterizzate da una composizione definita e rappresentabili
quindi attraverso una caratteristica formula chimica. Quasi tutti i minerali sono inoltre caratterizzati
da una struttura molecolare rigorosamente ordinata, detta struttura cristallina ed i solidi che la
possiedono si presentano come cristalli, figure geometriche caratterizzate da facce, spigoli e vertici.
Alcuni minerali presentano invece una struttura molecolare caotica e disordinata, detta struttura
amorfa. Ad esempio il biossido di silicio (SiO
2
) pu formare bei cristalli regolari e trasparenti di
quarzo, mentre quando si presenta in struttura amorfa forma minerali variamente colorati (per la
presenza di impurezze) noti come agata, onice, selce, corniola a seconda della genesi e del colore.

7.2 Cenni di cristallografia
Le particelle che formano un cristallo, atomi o molecole che siano, risultano disposte ai vertici di
una specie di reticolato ordinato che si ripete in modo omogeneo lungo le tre direzioni dello spazio.
Il cristallo pu infatti essere pensato come la ripetizione periodica nello spazio di una struttura
geometrica elementare. Tale struttura prende il nome di cella elementare. Ciascuna cella elementare
viene caratterizzata da particolari elementi di simmetria. Gli elementi di simmetria si definiscono
come i luoghi geometrici rispetto ai quali si verifica il ripetersi di una faccia, di uno spigolo o di un
vertice, come conseguenza di una trasformazione spaziale. Sono possibili tre tipi di trasformazioni
spaziali che individuano altrettanti elementi di simmetria:
- la rotazione attorno ad un asse (asse di simmetria A)
- la riflessione su di una superficie (piano di simmetria P)
- l'inversione rispetto ad un punto (centro di simmetria C).
Ad esempio se un cristallo si ripresenta uguale (invarianza) dopo ogni rotazione di 180 intorno ad
un asse, si dice che possiede un asse di simmetria binario (A
2
). Un cristallo pu essere
caratterizzato da un certo numero di assi di simmetria (i quali possono essere binari, terziari,
quaternari e senari), un certo numero di piani di simmetria ed eventualmente un centro di simmetria.
Quando esiste il centro di simmetria coincide sempre con il baricentro del cristallo. Il centro di
simmetria un punto che divide a met segmenti che uniscono elementi equivalenti del cristallo (ad
esempio due vertici o due facce opposte). L'insieme degli elementi di simmetria di un cristallo
definiscono il suo grado di simmetria. Minerali diversi possono presentare lo stesso grado di
simmetria e vengono per questo raggruppati in una stessa classe di simmetria. Sono note 32 classi
di simmetria.
Le 32 classi di simmetria sono raggruppate in 7 sistemi cristallini, sulla base della contemporanea
presenza di alcuni elementi di simmetria tipici. Ad esempio tutte le classi che presentano un solo
asse quaternario vengono raggruppate nel sistema tetragonale, quelle che presentano un solo asse
ternario nel sistema trigonale etc. A differenza dei solidi amorfi, i solidi cristallini sono anisotropi
rispetto ad alcune loro propriet. In altre parole esistono alcune propriet vettoriali (conducibilit
elettrica, conducibilit termica, sfaldabilit etc) la cui misura d valori diversi a seconda della
direzione lungo la quale vengono misurate.





Petrologia
7-2
7.3 Cenni di mineralogia
I minerali sono composti per il 98% da 8 elementi chimici.
L'Ossigeno l'elemento pi abbondante nei minerali (47% in peso e ben 93% in volume). Segue il
Silicio (27,3%), l'Alluminio (8,1%), il Ferro (5,1%), il Calcio (3,6%), il Sodio (2,5%), il Potassio
(2,5%), il Magnesio (2,1%). Tutti gli altri costituiscono solo l'1,8%.


7.3.1 Polimorfismo ed isomorfismo
Alcuni minerali in condizioni termodinamiche differenti possono cristallizzare in strutture reticolari
diverse. Il fenomeno noto come polimorfismo. Ad esempio il carbonato di calcio (CaCO
3
) in
condizioni di elevata pressione cristallizza come aragonite, mentre a pressione atmosferica
cristallizza come calcite. Nel caso il polimorfismo interessi sostanze allo stato elementare si parla di
allotropia. Il carbonio presenta ad esempio 3 forme allotropiche: grafite, diamante, fullerene.

E' evidente che la presenza di una forma polimorfa piuttosto che un'altra pu fornirci utili
informazioni sulle condizioni e l'ambiente di formazione di una roccia.
Nei minerali di interesse petrologico di grande importanza il fenomeno dell'isomorfismo. Si
dicono isomorfogeni o vicarianti gli elementi che, presentando raggi ionici simili, possono
facilmente sostituirsi nel reticolo cristallino senza che questo modifichi il suo grado di simmetria. Si
ammette che affinch 2 ioni possano reciprocamente sostituirsi in un cristallo il loro raggio ionico
non debba differire per pi del 15%.
I pi diffusi ed importanti fenomeni di vicarianza si hanno tra
Na
+
(0,97 ) e Ca
2+
(0,99 )
Fe
2+
(0,74 ), Mg
2+
(0,66 ) , Fe
3+
(0,64 )
Al
3+
(0,51 ) e Si
4+
(0,42 )
In pratica ci consente a sostanze chimiche diverse di cristallizzare nella stessa classe cristallina.
Se gli ioni hanno dimensioni molto diverse, come accade ad esempio per Ca
2+
e Mg
2+
, allora
formano un sale doppio in cui essi sono presenti in proporzione stechiometrica. Ne un esempio il
minerale dolomite CaMg(CO
3
)
2
Quando invece gli ioni presentano dimensioni simili allora possono
formare composti isomorfi. Le famiglie isomorfe costituiscono in genere una serie continua di
composti in cui gli ioni vicarianti si trovano in tutti i rapporti. Per indicare una serie isomorfa gli
elementi vicarianti vengono scritti tra parentesi tonde e separati da una virgola.
Ad esempio (Fe,Mg)CO
3
non rappresenta un sale doppio, ma una serie isomorfa che comprende
composti in cui il Ferro ed il Magnesio si trovano in tutti i rapporti compresi tra i due estremi puri,
costituiti dalla magnesite MgCO
3
e dalla siderite FeCO
3
. Nel caso gli elementi vicarianti presentino
carica diversa, come accade per Na
+
e Ca
2+
, necessario che in un altro nodo del reticolo si
verifichi una contemporanea sostituzione compensatrice: in genere Si
4+
con Al
3+
.
E' ci che accade in moltissimi silicati. Ad esempio nei plagioclasi in cui si ha la sostituzione
doppia

Na
+
Si
4+
Ca
2+
Al
3+

La serie isomorfa dei plagioclasi va dall'albite Na[AlSi
3
O
8
] all'anortite Ca[Al
2
Si
2
O
8
]. La formula
generale pertanto (Na,Ca)[Al(Al,Si)Si
2
O
8
] (si noti che nella formula gli elementi vicarianti sono
posti tra parentesi tonde e vengono separati da una virgola). I plagioclasi, come tutte le serie
I fullereni sono molecole sferoidali cave contenenti un numero pari di atomi di carbonio uguale o superiore a 32. Il
loro nome deriva da quello dellarchitetto americano R. Buckminster Fuller che ide cupole geodetiche che
presentavano lo stesso principio costruttivo. Tutti i fullereni sono costituiti da 12 pentagoni e da un numero variabile
di esagoni (gi Eulero nel 700 aveva dimostrato che uno sferoide chiuso deve soddisfare tale caratteristica). I due
fullereni pi stabili sono costituiti da 60 e 70 atomi di carbonio. Il fullerene con 60 atomi noto anche come
buckminsterfullerene ed del tutto simile ad un pallone da calcio. I fullereni si formano nei vapori della grafite.

Petrologia
7-3
isomorfe, possono essere descritti come soluzioni solide costituite da miscele omogenee dei
composti puri che possono mescolarsi in qualsiasi proporzione (altri esempi di soluzioni solide sono
le leghe metalliche). La maggior parte dei minerali che formano le rocce appartengono alle seguenti
classi di composti chimici:
1) SILICATI - Possono essere pensati come sali dell'acido ortosilicico (H
4
SiO
4
), in cui gli idrogeni
vengono sostituiti in proporzioni diverse dai metalli citati in precedenza (SiO
4
4-
anione silicato). I
silicati costituiscono da soli pi dell'80% della crosta terrestre.
2) CARBONATI - Sono i sali dell'acido carbonico (H
2
CO
3
). Tra i carbonati pi diffusi vi
sicuramente il carbonato di calcio, che va a formare le rocce calcaree. (CO
3
2-
anione carbonato)
3) OSSIDI e IDROSSIDI - Composti di metalli pi ossigeno (ematite Fe
2
O
3
) e metalli pi ossidrili
(brucite Mg(OH)
2
)
4) SOLFURI - Sono i sali dell'acido solfidrico (H
2
S) (pirite FeS
2
, blenda ZnS) (S
2-
anione solfuro).
5) SOLFATI - Sono i sali dell'acido solforico (H
2
SO
4
) (solfato di calcio biidrato o gesso
CaSO
4*
2H
2
O) (SO
4
2-
anione solfato)
6) ALOGENURI O ALOIDI - Sono sali degli acidi alogenidrici (HBr, HCl, HF) (cloruro di sodio
NaCl).

7.4 I Silicati
Come si detto i silicati rappresentano il gruppo di minerali pi diffuso e pi ricco di variet
diverse.
La struttura chimica di base che entra nella composizione di tutti i silicati uno ione con 4 cariche
negative costituito da un tetraedro avente il Silicio al centro legato attraverso 4 legami covalenti a 4
atomi di Ossigeno disposti ai vertici. (SiO
4
4-
)(il Silicio infatti ibridato sp
3
). I tetraedri di silicio
possono presentare ossigeni in comune ed essere quindi uniti per uno o pi vertici.
Le cariche negative residue vengono neutralizzate dai cationi metallici, con estesi fenomeni di
vicarianza. La parziale sostituzione del Silicio con l'Alluminio d luogo agli allumosilicati (o
alluminosilicati o silicoalluminati).
I minerali ricchi di Silicio ed Alluminio sono detti sialici (da Silicio e Alluminio). I cationi che pi
frequentemente si trovano nel loro reticolo sono Na
+
e K
+
(elementi alcalini). I silicati sialici
tendono a presentare peso specifico e punto di fusione relativamente bassi e colore chiaro.
I silicati poveri di alluminio presentano in genere cationi Ca
2+
Fe
2+
Mg
2+
(Ferro e alcalino terrosi) e
sono per questo detti femici (da Ferro e Magnesio). I silicati femici tendono a presentare peso
specifico e punto di fusione relativamente alti e colore scuro.
In base alla disposizione reciproca assunta dai tetraedri si dividono i silicati in 6 gruppi.

A) Silicati a tetraedri isolati (nesosilicati, dal greco nesos = isola) in cui le cariche negative sono
neutralizzate da ioni metallici positivi che si alternano ai tetraedri. Ricordiamo le olivine (o
perdoto), silicati di Fe e Mg, ad alto peso specifico, di colore verde scuro, componenti
essenziali delle rocce magmatiche basiche. Come vedremo successivamente il termine basico
non ha in petrologia lo stesso significato che presenta in chimica, ma si riferisce al basso
contenuto in silice. Nesosilicati sono anche i granati costituenti di molte rocce metamorfiche,
anch'essi presenti in natura in serie isomorfe.
B) Silicati a gruppi di due tetraedri (sorosilicati, dal greco soros = gruppo) Due tetraedri
presentano un atomo di ossigeno in comune. Sono tipici sorosilicati gli epdoti.
C) Silicati con tetraedri legati ad anello (ciclosilicati) Si formano per unione ciclica di 3,4 o 6
tetraedri con due ossigeni in comune ciascuno. Ricordiamo le tormaline ed il berillo (che nelle
Le olivine sono miscele isomorfe dei due termini puri Forsterite Mg
2
[SiO
4
] e Fayalite Fe
2
[SiO
4
] e presentano
quindi formula generale (Mg,Fe)
2
[SiO
4
].
Petrologia
7-4
variet acquamarina e smeraldo viene usato come gemme), silicati di alluminio che
caratterizzano rocce ignee estremamente acide (ricche di silice) come le pegmatiti.
D) Silicati con tetraedri legati in catene singole o doppie (inosilicati, dal greco inos = catena) Sono
costituenti essenziali di moltissime rocce ignee e metamorfiche neutre e basiche. Si dividono in
anfiboli, a catena doppia e pirsseni, a catena semplice. Nella struttura ad anelli degli anfiboli
trovano posto gruppi ossidrili OH
-
.
E) Silicati con tetraedri a strati (fillosilicati - dal greco fillon = foglia) Ciascun tetraedro presenta i
3 ossigeni di base in comune con altri tetraedri a formare uno strato. Pi strati si sovrappongono
a formare una struttura a sandwich in cui si alternano ioni metallici e ioni ossidrili. Anche dal
punto di vista macroscopico si presentano come minerali sottilmente stratificati facilmente
sfaldabili in lamine. Ricordiamo i serpentini ed il talco, minerali tipici di rocce metamorfiche
basiche che si formano per alterazione metamorfica dagli anfiboli e dai pirosseni. Le miche (dal
latino mica = briciola), silicati trasparenti nelle variet muscovite (mica bianca, tipica di rocce
ignee acide) e biotite (mica nera, tipica di rocce ignee basiche). Le miche si ritrovano in granuli
minuscoli, insieme ad altri silicati a formare particolari rocce sedimentarie dette argille. Altri
fillosilicati presenti nelle argille sono la montmorillonite e la caolinite (che derivano
dall'alterazione chimica dei feldspati e dei plagioclasi (i principali tectosilicati).
F) Silicati con tetraedri legati per i 4 vertici (tectosilicati - dal greco tectonich (techne) =
architettura) Si formano quando ciascun tetraedro presenta 4 ossigeni in comune con altri
tetraedri. In tal caso si produce un reticolato tridimensionale in cui il rapporto tra atomi di
ossigeno e di silicio di 2:1 e la carica residua nulla. Nel caso non vi siano altri elementi nel
reticolato il minerale corrisponde al quarzo (biossido di silicio cristallino), costituito da un'unica
molecola tridimensionale che occupa tutto il cristallo. Il quarzo il minerale pi abbondante
della crosta terrestre. Si trova in quasi tutte le rocce ignee e metamorfiche, in particolar modo in
quelle acide. Granuli di quarzo si trovano anche in molte rocce sedimentarie, soprattutto nelle
arenarie. In tutti gli altri tectosilicati alcuni atomi di silicio al centro dei tetraedri sono sostituiti
da atomi di Alluminio che formano cos tetraedri AlO
4
5-
(L'alluminio un elemento del III
gruppo A con nox +3, a differenza del Silicio che, appartenendo al IV gruppo A, presenta nox
+4). Si manifestano perci delle cariche negative nel reticolato che vengono neutralizzate dalla
presenza di ioni metallici (soprattutto Na
+
, K
+
e Ca
2+
) che trovano posto in "tasche" che si
formano nell'edificio cristallino. Tra i tectosilicati pi importanti ricordiamo i feldspati (dal
tedesco feld = campo e spat = sasso; costituenti fondamentali delle rocce ignee acide e neutre) e
i feldspatoidi. I feldspati si suddividono in feldspati potassici, come l'ortoclasio K[AlSi
3
O
8
] e
feldspati sodico-calcici, come i plagioclasi (albite e anortite). I feldspatoidi sono tectosilicati
sottosaturi in silice.


I pi importanti feltspatoidi sono la nefelina Na[AlSiO
4
] e la leucite K[AlSi
2
O
6
] La scarsezza di silice che
caratterizza tali tectosilicati pu essere evidenziata osservando come la formula della nefelina possa essere
ricavata sottraendo due molecole di silice all'albite, mentre quella della leucite possa essere ricavata
sottraendo una molecola di silice all'ortoclasio.

Petrologia
7-5



7.5 Le rocce: classificazione

Le rocce vengono classificate in relazione al processo attraverso il quale si sono formate in 3
gruppi:
Rocce ignee o magmatiche - formatesi attraverso un processo di raffreddamento e solidificazione di
una massa fusa di composizione prevalentemente silicatica detta magma.
Rocce sedimentarie - si formano per deposizione e compattazione di materiali che possono
provenire dalla degradazione di rocce preesistenti (detriti o clasti), da resti di organismi viventi,
dalla precipitazione di composti chimici sciolti in acqua.
Rocce metamorfiche - si producono attraverso processi di profonda alterazione strutturale di rocce
preesistenti legati a modificazioni delle condizioni termodinamiche (in genere forti aumenti di
temperatura e pressione).
Tra le tre classi di rocce esiste uno scambio dinamico. Rocce metamorfiche si possono infatti
formare a partire da rocce magmatiche e sedimentarie (e anche da rocce metamorfiche di tipo
diverso). Rocce sedimentarie possono costituirsi a partire dalla disgregazione di rocce di una
qualsiasi delle suddette classi. Infine un qualsiasi tipo di roccia pu subire un processo di fusione
che la trasforma in un magma in grado di solidificare in rocce ignee. Tale complessa catena di
interconnessioni chiamata ciclo delle rocce o ciclo litogenetico. Il riconoscimento di una roccia e
la sua conseguente classificazione richiedono essenzialmente la determinazione del tipo di tessitura
(forma, dimensioni ed orientazione della grana) e dei rapporti quantitativi tra i minerali che la
compongono (determinazione del modo della roccia). L'analisi modale pu essere effettuata ad
occhio per rocce a grana grossa o osservando al microscopio sezioni sottili (intorno ai 30 micron)
per rocce a grana fina. Nel caso di rocce a grana finissima o addirittura a struttura amorfa
necessario ricorrere ad un'analisi chimica. In tal caso si ottiene una composizione in ossidi e
minerali semplici che, confrontata con modelli convenzionali, permette di ottenere una
composizione mineralogica teorica o virtuale sotto forma di minerali standard, detta norma.

7.6 Rocce ignee o magmatiche
Il magma da cui prende origine tale gruppo di rocce costituito da una miscela di silicati in cui si
trovano disciolti diversi elementi e composti gassosi (H
2
, HCl, Cl
2
, F
2
, HF, H
2
S, SO
2
etc). In realt
al di sopra di una certa temperatura (1300-1400C) i gli ioni SiO
4
4-
si muovono liberamente nel
magma senza essere in grado di stabilire legami permanenti con gli ioni metallici e quindi la
Rapporto Si/O nei silicati (Approfondimento facoltativo)
Il rapporto numerico Silicio/Ossigeno nei silicati si determina assegnando valore 1 ad ogni atomo di ossigeno non
condiviso ed il valore 1/2 ad ogni atomo di ossigeno condiviso tra due atomi di silicio.

Nesosilicati - tetraedri isolati, nessun ossigeno condiviso rapporto Si/O = 1:4.

Sorosilicati - 1 ossigeno condiviso, rapporto Si/O = 1:3,5 = 2:7

Ciclosilicati - 2 ossigeni condivisi, rapporto Si/O = 1:3

Inosilicati - Pirosseni, 2 ossigeni condivisi, rapporto Si/O = 1:3 = 2:6 (motivo base a 2 tetraedri)
Anfiboli, met atomi con 2 ossigeni condivisi Si/O = 1:3
met atomi con 3 ossigeni condivisi Si/O = 1:2,5
in totale Si/O = 2:5,5 = 4 :11 (motivo base a 4 tetraedri)

Ciclosilicati - 3 ossigeni condivisi Si/O = 1:2,5 = 4 :10 (motivo base a 4 tetraedri)

Tectosilicati - 4 ossigeni condivisi Si/O =1:2

Petrologia
7-6
presenza di silicati in queste condizioni solo virtuale. Solo quando la temperatura comincia a
scendere si possono formare le molecole dei primi minerali, naturalmente quelli a pi elevato punto
di solidificazione (silicati femici). I gas, detti anche componenti volatili o agenti mineralizzatori,
mantengono il magma ad una pressione molto elevata che ne facilita la risalita qualora si apra una
fessura nella crosta terrestre. Inoltre rendono il magma molto fluido favorendo il processo di
cristallizzazione dei minerali. Il magma si trova racchiuso in camere magmatiche, talvolta di
dimensioni imponenti, all'interno della crosta terrestre, ad una profondit che pu variare da qualche
km a qualche decina di km. Se il magma solidifica in profondit all'interno della crosta terrestre in
condizioni di pressione elevata si formano le rocce magmatiche intrusive (o plutoniche), se invece
la solidificazione avviene una volta che il magma fuoriuscito e quindi in condizione di bassa
pressione si formano le rocce magmatiche effusive (o vulcaniche). Se infine il magma risale fino a
profondit non troppo elevate e solidifica in condizioni di media pressione si generano rocce
magmatiche ipoabissali (o filoniane)

7.6.1 Rocce intrusive (Plutoniti)
Se la solidificazione avviene in profondit, in presenza della componente volatile, attraverso un
processo di lento raffreddamento, tutti i minerali hanno l'opportunit di cristallizzare pi o meno
regolarmente. Ne risulta una roccia costituita interamente da cristalli dei vari minerali, distinguibili
ad occhio nudo. Le rocce intrusive presentano perci una tipica struttura olocristallina. I primi
minerali che cristallizzano hanno la possibilit di assumere il proprio abito cristallino e vengono
perci detti idiomorfi, mentre i minerali che solidificano a temperature pi basse si adattano a
riempire gli spazi rimasti e vengono detti allotriomorfi.

7.6.2 Rocce effusive (Vulcaniti)
Se il magma, dopo essere risalito, solidifica in superficie attraverso un rapido processo di
raffreddamento e degasamento che lo priva della componente volatile, solo i minerali altofondenti
(a pi elevato punto di fusione), che si sono potuti solidificare in precedenza, potranno formare
cristalli evidenti (fenocristalli), gli altri minerali formeranno una matrice microcristallina, costituita
da cristalli invisibili ad occhio nudo, o, addirittura, un solido amorfo. Tale struttura, tipica del
porfido, detta struttura porfirica, caratterizzata da alcuni fenocristalli immersi in una pasta di
fondo microcristallina o amorfa. In alcuni casi, quando il raffreddamento particolarmente rapido,
le rocce effusive possono dar luogo a strutture particolari, come nel caso delle ossidiane, in cui tutti
i minerali si sono bloccati nella struttura completamente caotica che caratterizza i fluidi,
producendo un solido perfettamente amorfo o "vetroso". Un altro caso particolare quello delle
pomici, in cui un degasamento particolarmente rapido ha prodotto una struttura spugnosa.

7.6.3 Rocce ipoabissali (ipoabissaliti)
Si tratta di rocce che si producono a causa della parziale risalita di masse magmatiche di piccole
dimensioni che vengono iniettate in zone relativamente superficiali della crosta terrestre.
Nonostante non subiscano degassamento tali rocce presentano una struttura porfirica simile a quella
delle rocce effusive a causa del veloce raffreddamento legato alle piccole dimensioni che
caratterizzano tali intrusioni superficiali.

7.6.4 Caratteristiche chimico-fisiche dei magmi
I magmi possono presentare caratteristiche diverse e quindi, durante il processo di solidificazione,
possono dare origine a rocce con diversa composizione mineralogica.
Il criterio fondamentale attraverso il quale si classificano i magmi e le rocce che da essi traggono
origine, tiene conto essenzialmente del diverso contenuto in silice totale, sia quella che nelle rocce
si trover sotto forma di silicati ("silice legata") , sia quella che si trover sotto forma di "silice
libera" a formare il quarzo. Maggiore il contenuto in silice di un magma (e delle rocce da esso
derivate) e pi il magma viene classificato come "acido". In tal caso i termini "acido", "basico" e
Petrologia
7-7
"neutro" non hanno nulla a che vedere con il pH del magma, ma rimandano al fatto che i silicati
possono essere pensati come derivati dell'acido silicico. La silice ha un punto di fusione
relativamente basso e la sua presenza nel magma tende a renderlo maggiormente viscoso e poco
fluido. Questo il motivo per cui i magmi acidi sono caratterizzati da temperature inferiori e da una
maggior viscosit rispetto ai magmi basici (poveri in silice).

7.6.4.a Magmi acidi o sialici (silice > 65%)
Sono caratterizzati da una percentuale di silice totale superiore al 65%. Contengono soprattutto
silicati di Alluminio (da cui la denominazione di "sialici"), come i feldspati di Potassio (ortoclasio),
i plagioclasi sodici (albite) e naturalmente un elevato contenuto in quarzo. Si tratta di silicati di
basso peso specifico (2.7-2.8 gr/cm
3
) e di colore tendenzialmente chiaro. Tali magmi risultano
piuttosto viscosi e relativamente poco caldi (600-800 C) per la presenza di un'elevata percentuale
di silice. Consolidandosi producono rocce ignee dette anch'esse sialiche o acide o persiliciche. Le
rocce sialiche vengono raggruppate in due famiglie principali, quella dei graniti (intrusive) e quella
dei porfidi o rioliti (corrispondenti effusivi dei graniti). In altre parole porfidi e graniti derivano da
uno stesso tipo di magma che produce rocce strutturalmente diverse in relazione alle modalit di
raffreddamento.

7.6.4.b Magmi basici o femici (silice < 52%)
Sono caratterizzati da una percentuale in silice inferiore al 52%. E' completamente assente la silice
libera in grado di cristallizzarsi in quarzo. Sono invece presenti soprattutto silicati di Ferro e
Magnesio (da cui il termine "femico" o "mafico" con cui sono indicati), come gli anfiboli, i
pirosseni, le olivine e i plagioclasi calcici (anortite). Si tratta di minerali pesanti (3.2-3.3 gr/cm
3
) e
di colore tendenzialmente scuro. Tali magmi risultano piuttosto fluidi e sono caratterizzati da
temperature relativamente alte (intorno ai 1200 C). Consolidandosi producono due famiglie di
rocce ignee, dette anch'esse basiche o femiche o iposiliciche. Ricordiamo i gabbri (intrusive) ed i
loro corrispondenti effusivi, i basalti. Esistono anche delle rocce dette ultrafemiche costituite quasi
completamente da olivina (detta anche perdoto), con un contenuto in silice inferiore al 45%. Sono
le peridotiti (intrusive) ed i loro corrispondenti effusivi, le picriti.

7.6.4.c Magmi intermedi o neutri (silice 52% - 65%)
Sono caratterizzati da una percentuale di silice compresa tra il 65% ed il 52%. Hanno una
costituzione mineralogica intermedia tra le due precedentemente descritte con una prevalenza di
plagioclasi sodico-calcici. Consolidandosi
producono rocce ignee dette anch'esse
neutre o mesosiliciche. Ricordiamo le
dioriti ed i loro corrispondenti effusivi, le
andesiti.

Approfondimento
Lo schema a sinistra permette di ottenere la
composizione mineralogica percentuale per le
principali famiglie di rocce ignee.
(%in volume)
Mg
Mg
Fe
Fe
Mg
Fe
VULCANITI
(effusive)
PLUTONITI
(intrusive)
M
i
c
h
e
Anfiboli
Olivine
Pirosseni
(calc ici)
(sodici)
Plagioclasi
Ortoclasio
Quarzo
0% 100%
Pic rite
Basalto
Andesite
Porfido
(Riolite)
Peridotite
Gabbro
Diorite
Granito
50%

Petrologia
7-8
Lo schema relativo alle rocce ignee pi diffuse, appartenenti alla cosiddetta serie alcali-calcica (o calcalcalina). E'
infatti possibile classificare le rocce ignee in funzione del rapporto tra silice ed ossidi alcalini e alcalino terrosi in due serie
magmatiche principali: alcali-calcica e alcalina. Uno stesso magma pu infatti produrre (per processi di differenziazione
magmatica di cui parleremo successivamente) rocce diverse per contenuto in silice, ma con un rapporto relativamente
costante tra silice ed ossidi alcalini e alcalino terrosi. La serie calcalcalina presenta un rapporto silice/ossidi alcalini pi
elevato rispetto alle rocce appartenenti alla serie alcalina.
Quando in una roccia ignea il rapporto tra ossidi alcalini (K
2
O Na
2
O) e la silice (SiO
2
) supera un certo valore, nella
roccia non si formano feldspati, ma feldspatoidi. Le rocce magmatiche appartenenti alla serie alcalina sono dunque
sottosature in silice e hanno tutte la caratteristica di non presentare silice libera sotto forma di quarzo.
Nel 1967 Streckeisen ha proposto un metodo di classificazione modale delle rocce ignee, accettato dall'Unione
Internazionale delle Scienze Geologiche (IUGS - International Union of Geological Sciences), fondato sulla % in volume
di quarzo (Q), dei feldspati alcalini (A) dei plagioclasi (P), dei feldspatoidi (F) dei minerali colorati o femici o mafici (M)
presenti in una roccia.
Se una roccia ignea presenta una percentuale di minerali colorati
superiore al 90% (Indice di colore - IC > 90) viene classificata come
ultrafemica (ultramafiti). Le ultramafiti vengono poi classificate in
funzione del minerale femico predominante (pirosseniti, peridotiti etc).
Se la percentuale dei minerali colorati inferiore al 90% si valutano le
percentuali relative degli altri minerali, riportate a 100. Tenendo per
presente che quarzo (Q) e feldspatoidi (F) non sono mai presenti
contemporaneamente in una stessa roccia ignea, sar sufficiente
valutare le percentuali dei minerali del gruppo QAP o,
alternativamente, FAP.
La classificazione si effettua quindi entrando in un diagramma doppio-
triangolare o nel settore superiore o nel settore inferiore. A titolo di
esempio riportiamo qui a destra il triangolo superiore che permette di
classificare rocce prive di feldspatoidi. Le tre linee tratteggiate
individuano un granito che, tolti i minerali femici descritti attraverso il
suo indice di colore, presenta un 40% di feldspati alcalini, un 50% di
quarzo ed un 10% di plagioclasi.

I tre tipi di magmi precedentemente descritti non formano
rocce in modo uniforme all'interno della crosta terrestre.
Mentre infatti le rocce caratterizzate da chimismo
intermedio sono pochissimo rappresentate e si producono
in situazioni geologiche particolari, le rocce acide
costituiscono la maggior parte delle rocce intrusive (circa
il 95% del totale) mentre i magmi basici pi fluidi,
arrivano pi facilmente in superficie, formando il 90-95%
delle rocce effusive. La loro distribuzione risulta inoltre diversa. Mentre i graniti formano la
maggior parte della crosta continentale andando a costituire enormi corpi intrusivi detti plutoni, i
basalti formano immense colate che
costituiscono la crosta oceanica.
Spiegare la difforme distribuzione
delle rocce ignee e la genesi del
magma dal quale si sono formate
costituisce uno dei problemi
maggiormente dibattuti dai geologi e
non ancora completamente risolto.
Presupposto ad ogni tentativo di
interpretazione sono gli studi condotti
in laboratorio sulle modalit di
solidificazione del magma.

7.6.5 Differenziazione magmatica:
serie di Bowen
Le prime ricerche, ancor oggi
fondamentali, sui processi di
raffreddamento e cristallizzazione di
F
P
F
Quarzolite
D
io
r
it
i
G
a
b
b
r
i
Monzogabbri
Monzodioriti
S
i
e
n
i
t
i
T
o
n
a
l
i
t
i
G
r
a
n
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t
i
a
lc
a
l
i
n
i
G
r
a
n
o
d
i
o
r
i
t
i
Graniti
Monzoniti
P
80
60
40
20
80
60
40 20
Q
A
80 60
40
20
P
Q
A

P
L
A
G
I
O
C
L
A
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I
R
o
c
c
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e
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R
o
c
c
e
b
a
s
i
c
h
e
R
o
c
c
e
a
c
i
d
e
Quarzo
Mic a bianc a
(muscovite)
(Feldspato potassic o)
Ortoclasio
Serie continua Serie disc ontinua
(Feldspato c alcic o)
Albite
(Feldspato sodic o)
Anortite
Mica nera
(biotite)
Anfiboli
Pirosseni
Olivine

Petrologia
7-9
un magma furono condotte a partire dal 1915 da N.L Bowen nel laboratorio di geofisica di
Washington. Bowen scopr che quando un magma viene raffreddato solidificano per primi i
minerali femici, caratterizzati da un pi elevato punto di fusione, mentre i silicati tipici delle rocce
acide solidificano per ultimi. Il processo detto di cristallizzazione frazionata. Durante il processo
di solidificazione il magma dunque formato da una frazione solida (pi basica del magma di
partenza), immersa in una frazione liquida detta fuso, (pi acida del magma iniziale). Bowen
dimostr inoltre che se i minerali che cristallizzano per primi rimangono a contatto con il fuso,
mentre la temperatura scende, essi reagiscono nuovamente con i componenti del fuso per dare un
minerale diverso, stabile alle nuove condizioni di temperatura. In tal modo al decrescere della
temperatura la composizione mineralogica della frazione solidificatasi del magma cambia, per
adattarsi alle mutate condizioni termodinamiche. Tale processo detto differenziazione magmatica.
In definitiva la differenziazione magmatica si attua mediante una serie di reazioni attraverso le quali
i minerali formatisi a temperatura superiore e non pi in equilibrio chimico-fisico con la massa
liquida circostante, vengono sostituiti da minerali diversi, stabili a temperature pi basse. Bowen
individu due serie di reazioni che avvengono nel magma contemporaneamente ed in modo
indipendente l'una dall'altra e che comportano entrambe la sostituzione di minerali basici (silicati di
metalli alcalino-terrosi (Ca e Mg) e di ferro) con minerali acidi (silicati di metalli alcalini (K e Na)).
7.6.5.a Serie discontinua
Chiamata cos perch si producono famiglie di silicati differenti. Dapprima cristallizzano i minerali
femici, come l'olivina. Poi questa reagisce con il fuso per dare origine ai pirsseni e, con processo
analogo si formano gli anfiboli e la mica nera (biotite). I silicati che si formano a temperature
inferiori, come gli anfiboli e le miche, inglobano nella loro struttura ossidrili, gruppi chimici che
non sono stabili ad elevate temperature.
7.6.5.b Serie continua
Chiamata cos perch si producono silicati appartenenti alla sola famiglia dei plagioclasi (serie
isomorfa). Inizialmente si formano i plagioclasi basici, ricchi di Ca (metallo alcalino-terroso), come
l'anortite. Poi, a temperature pi basse si formano plagioclasi contenenti, oltre al calcio, percentuali
via via pi elevate di sodio (plagioclasi sodico-calcici). Finch, alle temperature pi basse, si
formano solo i plagioclasi di Na (metallo alcalino) come l'albite.


7.6.6 Genesi ed evoluzione del magma: magma primario e magma anatettico
Il processo di differenziazione descritto dalle serie di Bowen ci permette dunque di avanzare alcune ipotesi
sull'evoluzione dei corpi magmatici. Possiamo infatti presumere che un magma basico sia in grado di
Fasi di raffreddamento magmatico (Approfondimento facoltativo)

a) Fase ortomagmatica
Le due serie di Bowen coprono un intervallo di temperatura che va dai 1200 C ai 750 C. Questa fase detta
ortomagmatica, porta alla formazione del 90% dei composti cristallini.
b) Fase pegmatitica
Il fuso rimasto contiene il residuo mineralogico delle due serie di Bowen: essenzialmente feldspato potassico
(ortoclasio), mica bianca (muscovite), quarzo e spesso anche molti minerali rari e preziosi (topazi, smeraldi,
acquamarine, tormaline etc). Il fuso residuo si inoltre notevolmente concentrato di composti volatili e risultata
quindi estremamente fluido e mobile. Per questa sua caratteristica si intrude facilmente nelle rocce circostanti
andando a raffreddarsi prevalentemente in formazioni allungate (filoni). Le rocce che cos si formano prendono il
nome di pegmatiti, caratterizzate dalla presenza di cristalli di dimensioni a volte gigantesche (qualche decimetro).
Questa fase di raffreddamento prende il nome di fase pegmatitica. ( 750 C - 374 C).
c) Fase idrotermale
Sotto i 374 C (temperatura critica dell'acqua = temperatura sopra la quale l'acqua non pu esistere allo stato liquido,
qualsiasi sia la pressione alla quale viene sottoposta) il vapore d'acqua diventa liquido (essendo sottoposto a
pressioni molto superiori a quella atmosferica) e da origine a soluzioni calde fortemente acide dette soluzioni
idrotermali. Da queste soluzioni in via di raffreddamento si possono quindi separare l'una dopo l'altra le sostanze
disciolte. Buona parte dei minerali metalliferi (pirite - FeS
2
, blenda - ZnS, galena - PbS, calcopirite - CuFeS
2
etc). Di
origine idrotermale sono anche i giacimenti argentiferi e i filoni auriferi.

Petrologia
7-10
evolversi fino a produrre una roccia sialica, mentre non possibile per un magma acido produrre una roccia
femica. Molto schematicamente possiamo ipotizzare che nel caso in cui un magma basico si raffreddi
rapidamente esso generer una roccia la cui composizione chimica rispecchier quella del magma da cui
deriva. Nel caso in cui viceversa il raffreddamento avvenga lentamente il magma potr subire, per cause
diverse, fenomeni di frazionamento che, separando la parte solida pi basica dal fuso pi acido, permetter a
quest'ultimo di generare rocce sialiche.
La differenziazione in senso acido non avviene solo per il frazionamento di un magma in via di
raffreddamento. Secondo i geologi altrettanto importante dovrebbero essere i processi anatettici di fusione
parziale di una roccia (anatessi = processo di fusione di una roccia all'interno della crosta). Infatti quando
una roccia raggiunge per cause diverse (aumento di temperatura, diminuzione di pressione, presenza di
acqua) il punto di fusione, i primi minerali a fondere sono quelli acidi. Se il primo fuso acido che si forma
viene separato dal resto dei minerali altofondenti basici esso, raffreddando, pu produrre una roccia sialica.
In relazione alla loro genesi i geologi distinguono essenzialmente due tipi di magmi: magma primario e
magma anatettico.
Secondo tale distinzione il magma primario o peridotitico, fonte prima di tutti i diversi tipi di magma,
costituito dal magma ultrafemico che compone la parte pi superficiale del mantello terrestre, a diretto
contatto con la crosta terrestre sovrastante. Tale magma avrebbe subito una progressiva acidificazione fino a
produrre la maggior parte delle rocce che compongono la crosta continentale. Esperienze di laboratorio
hanno ad esempio confermato che il primo fuso che si ottiene dal riscaldamento della peridotite ha una
composizione essenzialmente basaltica.
Le rocce che costituiscono la crosta oceanica basaltica si producono dunque grazie alla fusione parziale della
peridotite superficiale del mantello, che alimenta una lenta ma continua emissione di magma femico in
corrispondenza di grandi fratture della crosta oceanica, dette dorsali. Tale magma, estremamente caldo e
fluido, arriva facilmente in superficie in tali zone di frattura, andando a costituire la maggior parte delle rocce
effusive.
Il magma anatettico si formerebbe invece per fusione parziale dei componenti bassofondenti sialici delle
rocce che costituiscono la crosta continentale. Tale magma, fortemente viscoso per la bassa temperatura (600
- 800C) e per la forte presenza di silice, tende a muoversi con difficolt, raffreddandosi in loco con
formazioni di plutoniti. Si tratta naturalmente di una schematizzazione piuttosto rigida che ammette
numerose varianti ed eccezioni, ma che ha il pregio di giustificare in modo semplice il fatto che la maggior
parte delle rocce effusive sia femica, mentre le rocce intrusive sono per lo pi acide.
Magmi sintettici o ibridi, formatisi per contaminazioni dei due magmi precedenti sono rari e localizzati in
zone geologiche particolari.

7.7 Le rocce sedimentarie
Ricoprono buona parte della superficie terrestre (75% circa), formando tuttavia uno strato
estremamente sottile. Le rocce sedimentarie si formano dall'accumulo, dalla compattazione e dalla
successiva cementificazione di materiale incoerente di origine prevalentemente inorganica, in
ambiente quasi sempre subacqueo. In alcuni casi durante la compattazione si producono
modificazioni chimiche del sedimento che pu in tal modo modificare in parte la sua composizione
mineralogica, attraverso un processo detto di metasomatismo. La classificazione pi semplice delle
rocce sedimentarie si fonda sulla natura e sull'origine del materiale che costituisce il sedimento,
distinguendole in clastiche o detritiche, di deposito chimico e organogene.

7.7.1 Rocce sedimentarie clastiche o detritiche
Le rocce detritiche si producono per degradazione o alterazione di rocce preesistenti, con
formazioni di frammenti rocciosi, detti clasti. Nel processo di formazione di tali rocce si
distinguono tipicamente 5 fasi, delle quali le ultime due sono comuni anche agli altri tipi di rocce
sedimentarie:
degradazione erosione trasporto sedimentazione diagenesi.

7.7.1.a Degradazione o alterazione di una roccia preesistente
Consiste in un complesso di fenomeni fisici e chimici legati per la maggior parte alla presenza degli
agenti atmosferici. Quando per cause diverse rocce che si sono formate in profondit vengono in
Petrologia
7-11
superficie, si trovano esposte a condizioni chimico-fisiche completamente diverse da quelle in cui si
sono formate. E' perci naturale che molti minerali che le compongono non siano pi stabili e
subiscano una serie di modificazioni che tendono ad adattarli alle nuove condizioni
termodinamiche.
Si soliti distinguere i fenomeni di degradazione di tipo chimico da quelli di tipo fisico, anche se le
rocce sono sottoposte ad entrambi contemporaneamente.

7.7.1.b Fenomeni di degradazione fisica
- Il crioclastismo rappresenta lo sgretolamento della roccia causato dall'aumento di volume (9%)
dell'acqua che congela nei pori e nelle fessure della roccia.
- Il termoclastismo costituisce lo sgretolamento della roccia in conseguenza di forti sbalzi
termici che provocano continue dilatazioni e contrazioni differenziali tra le zone pi superficiali
e quelle profonde, e tra i minerali a diverso coefficiente di dilatazione.
- L'aloclastismo un'alterazione della roccia legata alla formazione ed alla crescita di cristalli
salini nelle fessure rocciose, depositati dal processo di evaporazione dell'acqua in cui si
trovavano in soluzione.
- Le rocce argillose o contenenti argilla sono sottoposte a continue dilatazioni e contrazioni che
tendono a frantumarle, quando i minerali argillosi assorbono acqua (adsorbimento) e la
riperdono (essicazione), variando di conseguenza il loro volume.

7.7.1.c Fenomeni di degradazione chimica
- Idrolisi - Poich i silicati possono essere considerati sali formati da un acido debole (l'acido
ortosilicico) e da ioni metallici provenienti da basi forti (metalli alcalini e alcalino-terrosi), in
soluzione acquosa presentano un certa tendenza a produrre idrolisi basica. Il processo porta alla
separazione degli idrossidi metallici (NaOH, KOH, Ca(OH)
2
, Mg(OH)
2
) dagli idrosilicati di
alluminio, che sono acidi molto deboli. Poich questi ultimi costituiscono in pratica i minerali
argillosi il processo detto di argillificazione. Dall'argillificazione dei feldspati si libera il
quarzo
eventualmente
presente nella
roccia, il quale
stabile e rimane
inalterato sotto
forma di minuscoli cristalli che conservano il loro aspetto vitreo e trasparente e che vanno a
costituire la frazione silicea del terreno, particolarmente abbondanti nei terreni sabbiosi. In
seguito gli idrossidi possono eventualmente reagire con l'anidride carbonica sciolta nell'acqua
per dare carbonati e bicarbonati (KOH + CO
2
KHCO
3
). Nei terreni sottoposti a forte
dilavamento ed in climi molto caldi il processo di argillificazione pu procedere ulteriormente
con la decomposizione anche dei minerali argillosi in idrossidi insolubili di Alluminio (bauxite -
Al
2
O
3
*nH
2
O) e di Ferro (limonite - Fe
2
O
3
*nH
2
O ed ematite -Fe
2
O
3
), che possono formare
vasti depositi conferendo al terreno un colore bruno rossiccio o giallastro (suoli lateritici). Ad
esempio la caolinite (principale fillosilicato del caolino) pu trasformarsi in gibbsite (o
idrargillite - Al(OH)
3
), uno dei minerali che compongono la bauxite.

- Idratazione - Alcuni minerali sono in grado di legarsi con deboli legami polari all'acqua, la
quale viene incorporata come costituente in un nuovo reticolo cristallino. Cos l'anidrite
Un tipico processo di argillificazione si ha a carico del feldspato potassico
(ortoclasio) che si trasforma in caolinite, un minerale tipico delle argille.

4K[AlSi
3
O
8
] + 6H
2
O Al
4
[(OH)
8
Si
4
O
10
] + 4KOH + 8SiO
2

ortoclasio caolinite idrossido silice

Al
4
[(OH)
8
Si
4
O
10
] + 2H
2
O 4Al(OH)
3
+ 4SiO
2

caolinite gibbsite

Petrologia
7-12
(CaSO
4
) si trasforma in gesso (CaSO
4
*2H
2
O), l'ematite in limonite. L'idratazione porta
naturalmente ad un aumento del volume dei minerali.
- Ossidazione - L'ossigeno atmosferico in grado di ossidare parecchi ioni metallici. Ad esempio
il ferro ferroso (Fe
2+
) in ferro ferrico (Fe
3+
), lo Zolfo 2- in Zolfo 4+ (o Zolfo 6+). L'ossidazione
riveste particolare interesse proprio nel caso dello Zolfo e del Ferro, trasformando sali insolubili
come i solfuri di Ferro in composti solubili come i solfati o parzialmente solubili come gli ossidi
di ferro. Un esempio di ossidazione si ha nell'alterazione lateritica a carico dei silicati ferrosi
(olivine e pirosseni):

- Solubilizzazione - Alcuni minerali possono essere portati in soluzione dall'acqua pura (NaCl,
CaSO
4
, CaSO
4
*2H
2
O), altri, come il carbonato di Calcio (CaCO
3
) vengono sciolti dall'acqua
contenente CO
2
. La CO
2
reagisce infatti con l'acqua per dare acido carbonico, il quale, a sua
volta reagisce con il carbonato di calcio per dare bicarbonato di calcio, sale solubile in acqua.
Quest'ultimo un processo che assume proporzioni impressionanti a carico di rocce interamente
calcaree, dando luogo al fenomeno del carsismo., dove corsi d'acqua sotterranei sono in grado di
scavarsi un letto tra le rocce formando caverne e grotte per chilometri.
H
2
CO
3
+ CaCO
3
Ca(HCO
3
)
2

7.7.1.d Erosione
Una volta che la roccia stata alterata i frammenti rocciosi possono essere erosi o rimossi ad opera
degli agenti geomorfologici. Con tale termine si indicano tutti quegli agenti in grado di modificare
l'aspetto della superficie terrestre come il vento, le precipitazioni, i corsi d'acqua, il moto ondoso e
le correnti marine, i ghiacciai e la stessa gravit. Naturalmente l'erosione avviene pi facilmente
sulla roccia gi degradata, ma pu avvenire, anche se con maggior difficolt e lentezza anche su
rocce non degradate.

7.7.1.e Trasporto dei clasti
Una volta rimossi, i frammenti rocciosi vengono trasportati dagli stessi agenti responsabili del
processo erosivo per tratti pi o meno lunghi. I maggiori responsabili del trasporto dei clasti sono
senz'altro i corsi d'acqua, dove i frammenti rocciosi possono essere portati per lo pi in sospensione.


7.7.1.f Sedimentazione
Quando la forza di trasporto diminuisce o cessa, i frammenti rocciosi si depositano, o meglio,
sedimentano. Come abbiamo gi detto la maggior parte della sedimentazione avviene in ambiente
subacqueo.
In genere sedimentano per primi i clasti di dimensioni maggiori e poi, via via quelli pi piccoli. Il
processo di sedimentazione produce strati di sedimenti, spesso con caratteristiche diverse, per
struttura, colore e a volte anche per composizione chimica. La stratificazione una caratteristica
peculiare delle rocce sedimentarie, che le rende facilmente distinguibili dalle altre rocce.
Inoltre assieme ai clasti si mescolano inevitabilmente resti di organismi morti che spesso si
conservano all'interno della roccia come fossili. Solo le rocce sedimentarie presentano fossili.
L'analisi delle caratteristiche litologiche (tipo e struttura dei sedimenti) e paleontologiche (tipo di
fossili) permette di risalire all'ambiente di sedimentazione (marino, fluviale, morenico, costiero,
desertico etc) e spesso anche alle condizioni climatiche in cui avvenuta la sedimentazione (ad
esempio climi aridi possono produrre arenarie ed evaporiti, climi umidi sono testimoniati dalla
presenza di carbone).

4CaFe[Si
2
O
6
] + 4CO
2
+ O
2
Fe
2
O
3
+ 4CaCO
3
+ 8SiO
2

pirosseno ematite

Petrologia
7-13
7.7.1.g Diagenesi o Litificazione
La semplice sedimentazione di materiale incoerente non in grado di produrre una roccia. Sono
necessari dei processi di costipamento e di cementazione dei clasti, che producono la vera e propria
litificazione, il passaggio cio da un materiale sciolto ad una struttura rocciosa.
Il costipamento consiste nella progressiva diminuzione di volume degli strati pi profondi per
compressione da parte dei sedimenti che si vanno via via accumulando in superficie.
La cementazione consiste nella precipitazione dei sali disciolti nell'acqua che impregna i sedimenti,
man mano che questa viene eliminata dal processo di costipamento. Si tratta quasi sempre di
CaCO
3
e di SiO
2
, che si depositano tra gli interstizi saldando insieme i clasti. In alcuni casi, durante
il processo di diagenesi si possono produrre delle vere e proprie reazioni chimiche tra i sali disciolti
nell'acqua e i minerali che compongono i clasti con formazione di nuovi composti chimici. Tale
processo noto come metasomatismo. Un tipico esempio di metasomatismo dato dalla formazione
delle Dolomiti. La dolomia, il minerale di cui sono composte, infatti un carbonato doppio di calcio
e magnesio (CaMg(CO
3
)
2
) formatosi a partire da sedimenti calcarei di origine organica (gusci di
molluschi) per apporto di Mg presente nell'acqua marina.

7.7.2 Classificazione delle rocce clastiche
La classificazione delle rocce clastiche si basa sulla dimensioni dei clasti e non sulla loro
composizione chimica. In esse si possono trovare una gran variet di minerali, ma i principali
costituenti sono i minerali argillosi ed il quarzo, entrambi provenienti dall'alterazione chimica dei
silicati ed il calcare.

7.7.2.a Le ruditi (o psefiti)
sono costituite da clasti con dimensioni superiore ai 2 mm. Le ruditi sono spesso indicate con il
nome di conglomerati. Se i clasti che li formano possiedono spigoli vivi, i conglomerati sono detti
brecce. Se invece sono stati arrotondati dall'azione del trasporto fluviale o glaciale sino a diventare
ghiaie, i conglomerati che ne derivano prendono il nome di puddinghe (dall'inglese pudding =
budino).

7.7.2.b Le areniti o arenarie (o psammiti)
sono composte da clasti le cui dimensioni sono comprese tra 1/16 di mm e 2 mm, le dimensioni
tipiche della sabbia. Le areniti costituite prevalentemente di granuli di quarzo sono dette
quarzareniti. Nel caso siano presenti in quantit rilevante anche altri minerali si parla di calcareniti,
grovacche (se presente anche argilla) e arcose (se presente feldspato).


7.7.2.c Le peliti (o lutiti)
sono costituite da granuli di dimensioni inferiori ad 1/16 di mm. Si dividono in siltiti (silt = limo,
melma) con granuli compresi tra 1/16 e 1/256 di mm e argilliti , con granuli inferiori ad 1/256 di
mm. Le peliti sono costituite per lo pi da minerali argillosi (su buona parte dei fondali oceanici si
depositano solo argille).
Quando un'argillite contiene una quantit di calcare compreso tra il 35% ed il 65% viene detta
marna. Le marne venivano un tempo estratte e macinate per produrre cemento (oggi si mescolano
argilla e calcare nella quantit desiderata).

Il diametro dei sedimenti condiziona la velocit di sedimentazione. Cos i clasti pi grossolani
vengono trasportati solo da acque a carattere torrentizio, da frane o da ghiacciai, mentre le sabbie
possono essere trasportate anche dal vento o da acque fluviali. Argille e silt rimangono in
sospensione a lungo e decantano con estrema lentezza solo quando l'acqua perfettamente calma.
Cos i sedimenti pi grossolani sedimentano prima, mentre quelli pi fini arrivano a sedimentare
solo nelle calme acque dei laghi, delle paludi o in mare aperto.
Petrologia
7-14

7.7.3 Piroclastiti
Le rocce piroclastiche o piroclastiti vengono comunemente classificate come rocce detritiche, anche
se non derivano da processi di degradazione di rocce preesistenti, ma dall'accumulo in ambiente
subaereo o subacqueo di polveri e lapilli vulcanici. Tra le pi tipiche piroclastiti vi sono i tufi.

7.7.4 Rocce sedimentarie di deposito chimico
Si formano per precipitazione chimica di sostanze disciolte nelle acque. Le cause della
precipitazione possono essere diverse. Tra le pi frequenti vi l'evaporazione dell'acqua che,
eliminando il solvente, aumenta la concentrazione dei soluti fino a raggiungere il punto di
saturazione, il raffreddamento delle acque termali che produce una diminuzione nella solubilit dei
sali (la solubilit dei sali aumenta all'aumentare della temperatura).
Quando i sali disciolti nell'acqua iniziano a precipitare, per evaporazione o per raffreddamento
dell'acqua, si depositano sempre con una certa successione che dipende dalla diversa solubilit.
Il carbonato di calcio il primo sale a precipitare, seguito dal gesso, dall'anidrite, dal cloruro di
sodio e dal cloruro di K.
Essendo poco solubile e precipitando per primo il carbonato di calcio forma la maggior parte delle
rocce di deposito chimico.
Nelle acque costiere dei mari caldi, surriscaldate dal sole, pu precipitare formando minuscole
sferette calcaree, dette ooliti o pisoliti (se di dimensioni maggiori), la cui forma forse causata dai
moti di rotolamento sul fondo durante il processo di accrescimento. In ambiente continentale rocce
calcaree di deposito chimico si formano facilmente quando l'acqua proveniente da sorgenti termali
si raffredda. Tipiche concrezioni calcaree spugnose si producono inoltre dalla nebulizzazione
dell'acqua in corrispondenza di cascate. Ne un esempio il travertino (lapis tiburtinus = pietra di
Tivoli), un calcare bianco cariato prodottosi milioni di anni fa dalle cascate dell'Aniene ed utilizzato
per costruire la maggior parte dei monumenti romani. Appartiene ai calcari di deposito chimico
anche l'alabastro calcareo che si produce per deposizione dall'acqua satura di bicarbonato che
gocciola dalle pareti delle grotte, formando vari tipi di concrezioni tra cui le stalattiti (sul tetto) e le
stalagmiti (sul pavimento). Quando in un bacino poco profondo l'acqua evapora completamente o
quasi completamente oltre al carbonato precipitano anche tutti gli altri sali secondo la sequenza gi
vista, detta serie evaporitica. Tali rocce sono dette evaporiti. I giacimenti evaporitici hanno una
certa importanza economica perch sono spesso fonte di sali potassici utilizzabili come concimi.
Anche la silice, in soluzione in acque marine, pu precipitare chimicamente producendo selci di
deposito chimico, come il calcedonio e l'ople. Possono infine essere considerate rocce di deposito
chimico anche quelle prodotte dall'alterazione chimica dei silicati presenti in rocce ignee o
metamorfiche, con produzione di argilliti, bauxiti, lateriti etc. Quando tali sedimenti rimangono in
loco e non vengono asportati, sono classificati come rocce residuali.

7.7.5 Rocce sedimentarie organogene
Sono rocce formatesi in seguito all'attivit di organismi viventi. La gran parte di queste rocce si
forma in ambiente marino. Qui vivono un gran numero di specie animali e vegetali in grado di
estrarre dall'acqua del mare calcare o silice, che utilizzano per la costruzione di scheletri e
rivestimenti (gusci e conchiglie). Alla loro morte, mentre la sostanza organica va rapidamente in
decomposizione, le loro strutture di sostegno possono facilmente depositarsi ed accumularsi
producendo sedimenti in grado di litificare.
I pi diffusi sono senz'altro i calcari organogeni.

7.7.5.a Calcari organogeni
Tra questi ricordiamo i calcari organogeni neritici che si formano in acque basse (ambiente
neritico) per l'attivit di esseri viventi benthonici (benthos = esseri viventi fissi sul fondo o in grado
di eseguire piccoli movimenti). Tipici sono gli accumuli di gusci di molluschi che spesso
Petrologia
7-15
rimangono in parte ancora visibili all'interno della roccia (calcare fossillifero) e i calcari di
scogliera, prodotti dall'attivit costruttrice di celenterati (coralli e madrepore) che vivono fissati alle
scogliere. Delle trasformazioni metasomatiche di alcuni di questi calcari in dolomie abbiamo gi
detto. Meno frequenti sono i calcari organogeni pelagici che si formano in acque profonde
(ambiente pelagico) per la sedimentazione dei microscopici gusci calcarei di organismi planctonici
(plancton = esseri viventi, per lo pi unicellulari che vivono in sospensione, trasportati
passivamente dall'acqua), quali i foraminiferi (protozoi unicellulari).


7.7.5.b Selci organogene
Si formano per lo pi in ambiente pelagico per l'accumulo dei resti silicei di organismi plantonici
come i radiolari (protozoi unicellulari) e le diatomee (alghe unicellulari). Selci organogene si
possono formare anche per l'accumulo degli scheletri silicei di alcune spugne (poriferi). In genere le
selci organogene si trovano a formare straterelli all'interno di rocce calcaree.

7.7.5.c Fosforiti
Le fosforiti sono rocce costituite prevalentemente da fosfati, mescolati spesso con calcare, che
derivano dall'accumulo di resti scheletrici di vertebrati o da enormi depositi di escrementi
(coprliti) di uccelli marini (guano del Per e del Cile) che contengono anche nitrati e sono
utilizzati come concime.

7.7.5.d Carbone e petrolio
In condizioni particolari la sostanza organica pu conservarsi e concentrarsi in grandi accumuli
producendo dei depositi che possono in ultima analisi essere considerati vere e proprie rocce
organogene. I vari tipi di carbone, ad esempio, si producono a partire da grandi masse di organismi
vegetali sepolte, dopo la loro morte, in paludi ed acquitrini. L'acqua stagnante povera di ossigeno
sottrae la materia organica alla decomposizione aerobia (ossidazione). In queste condizioni la
materia organica subisce una serie di trasformazioni chimiche sostenute dall'attivit di organismi
anaerobii che la impoveriscono gradualmente di ossigeno ed idrogeno, senza intaccare i legami C-C
ricchi di energia. La cellulosa, costituita da molte molecole di glucosio (C
6
H
12
O
6
), aumenta in tal
modo la sua percentuale relativa di carbonio, trasformandosi lentamente in carbone.

cellulosa torba lignite litantrace antracite

I diversi tipi di carbone rappresentano stadi evolutive diversi, caratterizzati da una percentuale di
carbonio via via maggiore e quindi da poteri calorici via via pi elevati.
Un altro esempio dato dal petrolio e dalle sostanze ad esso affini (asfalti, bitumi, metano etc), le
quali si ritiene prendano origine in acque costiere marine (vaste lagune e golfi protetti dal moto
ondoso) dove scarsa la circolazione idrica e limitato il ricambio di ossigeno, mentre notevole
l'apporto di sedimenti in sospensione da parte dei fiumi.
In tali condizioni, i numerosissimi organismi animali e vegetali che vivono in tali zone, alla loro
morte, si depositano sul fondo e vengono rapidamente seppelliti dai sedimenti e sottratti alla
decomposizione. Con il tempo i processi di alterazione anaerobia trasformano lentamente tale
sostanza organica in idrocarburi. Affinch si formi il petrolio (naftogenesi) necessario che i
sedimenti organici vengano seppelliti da almeno 1000 - 1500 m di spessore, venendosi a trovare a
temperature e pressioni piuttosto elevate. Una volta formatisi gli idrocarburi tendono a migrare
verso l'alto, filtrando attraverso rocce porose (calcari fessurati e arenarie). La risalita pu essere
per ostacolata dalla presenza di eventuali strati rocciosi impermeabili (argille, marne) che
intrappolano cos gli idrocarburi nelle sottostanti rocce permeabili. Tali rocce impregnate di
idrocarburi si dicono rocce serbatoio, mentre le rocce sovrastanti sono dette rocce di copertura.

Petrologia
7-16

7.8 Le rocce metamorfiche
Le rocce metamorfiche derivano da cambiamenti nella composizione chimica e nella struttura di
rocce preesistenti quando queste vengono sottoposte a drastiche modificazioni nelle condizioni di
temperatura e/o pressione. Una roccia sempre costituita da un'associazione di minerali stabili alle
condizioni di temperatura e di pressione alle quali la roccia si formata. Se essa viene sottoposta a
condizioni termobariche differenti i suoi minerali tendono a modificarsi verso una nuova
associazione mineralogica in equilibrio con le nuove condizioni di temperatura e pressione.
Nella maggior parte dei casi il metamorfismo interessa masse rocciose superficiali, formatesi in
condizioni di temperatura e pressione ordinarie, che, sepolte sotto migliaia di metri di sedimenti,
vengono sottoposte ad un aumento di temperatura e di pressione. In questo caso il metamorfismo si
dice prgrado. Nei rari casi in cui una roccia sia sottoposta a temperature inferiori a quelle che
hanno caratterizzato il suo processo di formazione, il metamorfismo si dice retrgrado.

Il metamorfismo comporta una riorganizzazione degli atomi all'interno dei diversi minerali con
formazione di nuove specie chimiche e con la produzione, qualora inizialmente assente, di una
struttura cristallina. Tutte queste modificazioni avvengono per senza che la roccia passi allo stato
fuso, nel qual caso si produrrebbe una nuova roccia magmatica. La ricristallizzazione metamorfica
facilitata dalla presenza di acqua e di composti allo stato aeriforme in genere.

7.8.1 La temperatura ed il grado metamorfico
I fenomeni metamorfici richiedono comunque che la roccia raggiunga temperature minime di 100 -
150C. All'aumentare della temperatura aumenta anche il grado metamorfico e, naturalmente, il
grado di ricristallizzazione della roccia.

Bassissimo grado 200 - 350C
Basso grado 350 - 500C
Medio grado 500 - 650C
Alto grado 650 - 800C
Altissimo grado > 800 C

Nel metamorfismo di altissimo grado o ultrametamorfismo l'aumento di temperatura tale da
arrivare alla fusione parziale della roccia. In questo caso la frazione mineralogica pi acida della
roccia metamorfica fonde per prima con formazione di un fuso acido che contiene frammenti solidi
pi basici della roccia di partenza. Se, come spesso accade, il fuso acido che si forma raffredda in
loco, si produce una roccia formata da porzioni di roccia metamorfica rimasta solida (paleosoma) e
porzioni di roccia ignea appena formatasi (neosoma). A tali rocce miste si dato il nome di
migmatiti. Esse presentano spesso venature bianche parallele o chiazze bianche di neosoma sul
paleosoma pi scuro. L'ultrametamorfismo sfocia nell'anatessi, con formazione di un magma
anatettico e non sempre facile distinguere nettamente i due fenomeni

7.8.2 Lazione della pressione: la scistosit
La pressione che agisce sulle rocce pu presentare due componenti:
a) una pressione di carico esercitata dal peso delle rocce sovrastanti, il cui valore dipende
naturalmente dalla densit delle rocce. Si assume in genere per il gradiente barico un valore
intorno a 25 - 30 Kg/cm
2
ogni 100 m di profondit. La pressione di carico di tipo idrostatico.
Ci significa che essa agisce sulle rocce in tutte le direzioni (principio di Pascal).
b) una pressione orientata esercitata dai movimenti crostali orizzontali responsabili dei fenomeni
orogenetici. Tale pressione, agendo in una direzione determinata, in grado di condizionare la
tessitura della roccia metamorfica che si sta formando. Questo avviene quando la roccia di
partenza costituita da minerali come le miche, gli anfiboli ed i pirosseni che possono
Petrologia
7-17
cristallizzare in lamine o aghetti. Durante il processo di cristallizzazione di tali minerali, questi
si dispongono prevalentemente in direzioni ortogonali al vettore pressione cui sono sottoposti e
tra loro paralleli. Si formano cos delle striature colorate (superfici di scistosit) che danno un
aspetto caratteristico a molte rocce metamorfiche. La roccia assume in tal caso una tipica
struttura scistosa.

7.8.3 Tipi di metamorfismo
Le rocce metamorfiche possono derivare oltre che da altre rocce metamorfiche, anche da rocce
sedimentarie (para-metamorfiti) e da rocce ignee (orto-metamorfiti). Si distinguono 4 tipi di
metamorfismo: di carico, regionale, di contatto (o termico), dinamico (o cataclastico).

7.8.3.a Metamorfismo di carico
Si produce quando masse rocciose sprofondano entro la crosta terrestre subendo un aumento di
pressione per il peso dei sedimenti sovrastanti e di temperatura che cresce con la profondit,
secondo il gradiente geotermico (3 ogni 100 m). Se le rocce che sprofondano sono sedimentarie, si
passa gradualmente dalla diagenesi al metamorfismo di basso grado e non sempre possibile fare
una distinzione netta tra i due fenomeni.

7.8.3.b Metamorfismo regionale
E' legato ai grandi movimenti crostali ed tipico delle zone dove due frammenti di crosta terrestre
si scontrano e si corrugano a formare montagne. All'interno ed in profondit nelle catene montuose
vi sono grandi estensioni di rocce metamorfiche.

7.8.3.c Metamorfismo di contatto o termico
Si produce quando le rocce si trovano in contatto con intrusioni magmatiche. Le rocce circostanti
(rocce incassanti) subiscono un aumento di temperatura a causa del calore emanato dal magma che
si raffredda. In tal modo le intrusioni ignee sono sempre circondate da aureole di rocce
metamorfiche (contattiti) il cui grado metamorfico diminuisce man mano che ci allontaniamo dal
corpo magmatico.

7.8.3.d Metamorfismo dinamico o cataclastico
Si produce in corrispondenza di grandi fratture della crosta terrestre (faglie), dove due frammenti
crostali si spostano parallelamente con verso opposto. Lungo la superficie di contatto (superficie di
faglia) tra le due masse rocciose in scorrimento reciproco l'attrito libera enormi quantit di calore.
Le rocce vengono frantumate e profondamente alterate. Si formano rocce metamorfiche tipiche
chiamate miloniti.

Metamorfismo termico, di contatto e dinamico sono fenomeni molto frequenti, ma
quantitativamente poco significativi. Essi generano infatti solo una piccola percentuale delle rocce
metamorfiche, la gran parte delle quali si produce invece in conseguenza dei fenomeni tettonici
collegati al metamorfismo regionale.


7.8.4 Classificazione delle rocce metamorfiche
La classificazione delle rocce metamorfiche piuttosto complessa e non ha trovato ancora l'accordo
di tutti gli specialisti. In generale essa tiene conto sia del tipo di rocce di partenza che delle
condizioni termobariche raggiunte. La classificazione complicata dal fatto che rocce diverse
possono trasformarsi in una stessa roccia metamorfica.
Una classificazione ancora molto usata quella proposta dal petrologo finlandese Penti Eskola
(1915) che raggruppa insieme in una stessa facies metamorfica rocce diverse per composizione
chimica e mineralogica, ma formatesi all'interno di un medesimo intervallo termobarico. Ciascuna
Petrologia
7-18
facies definita da particolari e caratteristiche associazioni di minerali (paragenesi), detti minerali-
indice. In altre parole ciascuna facies viene associata alla presenza di minerali caratteristici
(minerali-indice), stabili a particolari condizioni termodinamiche. Ciascuna facies prende il nome
da una roccia particolarmente rappresentativa, ma comprende naturalmente rocce molto diverse per
composizione chimica e mineralogica.


Zeoliti
Eclogiti
Cornubianiti
Granuliti
Anfiboliti
Scisti
verdi
Scisti blu
c ondizioni
termobaric he
inesistenti
Profondit
(km)
Temperatura (C)
30
20
10
0
1000 800 600 400 200 0
Pressione
(kbar)
10
5
0
gradiente
geotermico




All'interno di ciascuna facies si esegue poi una classificazione in base alle caratteristiche
mineralogiche della roccia. A titolo esemplificativo diamo alcune sequenze di trasformazioni
metamorfiche, facendo riferimento ad alcune rocce di partenza particolarmente diffuse.

1) Argilliti Argilloscisti Filladi Micascisti Gneiss (paragneiss)
Le argilliti (formatesi in genere da miscele sedimentarie di argilla e sabbia in diverse proporzioni) al
crescere del grado metamorfico si trasformano in argilloscisti, rocce compatte dalla tipica tessitura
scistosa legata alla formazione di piani di minerali micacei che ne causano la sfaldabilit lungo
piani paralleli. Un gruppo particolare di argilloscisti sono le ardesie, impiegate in montagna come
tegole per coperture di edifici.
Le facies metamorfiche (Approfondimento facoltativo)
Le facies del metamorfismo regionale.
Come abbiamo detto si tratta del metamorfismo per cos dire classico, che si produce in corrispondenza dello
sprofondamento di masse rocciose all'interno della crosta, con progressivo riscaldamento e compressione (sia di
carico che tangenziale), con formazione di caratteristiche rocce scistose (scisti cristallini). All'aumentare del grado
metamorfico si susseguono le facies degli Scisti verdi (basso grado), delle anfiboliti (medio grado) e delle granuliti
(alto grado). Le tre facies caratteristiche del metamorfismo regionale si dispongono in pratica lungo il gradiente
termico e barico normale all'interno della crosta terrestre. Le situazioni di bassa temperatura ed alta pressione
(facies delle scisti blu o scisti a glaucofane) e di altissima pressione (facies delle eclogiti) rappresentano situazioni
particolari e meno frequenti.
Le facies del metamorfismo di contatto
Il metamorfismo di contatto produce una facies metamorfica che va dal basso all'alto grado, ma sempre con
pressioni relativamente basse (le intrusioni magmatiche sono sempre relativamente superficiali) e sempre di tipo
idrostatico. Si formano tipiche rocce compatte, olocristalline, ma a grana molto fine, che vengono raggruppate nella
facies delle Cornubianiti (o Hornfels)

Le facies del metamorfismo di carico
Quando la diagenesi inizia a sfociare nel metamorfismo di bassissimo grado, in assenza di pressioni tangenziali si
formano rocce classificate nella facies delle zeoliti.
Le diverse facies vengono rappresentate in un diagramma Pressione-Temperatura in funzione della profondit

Petrologia
7-19
Al crescere del grado metamorfico le argilloscisti si trasformano in filladi, con struttura
microcristallina (i cristalli non sono ancora visibili ad occhio nudo). Tutte le filladi hanno un aspetto
sericeo perch la superficie di sfaldatura sempre rivestita di miche. Se le argille di partenza
contenevano una qualche percentuale di materia organica, questa, dopo aver subito un processo di
carbonizzazione, cristallizza in grafite dando alle filladi un intenso colore nero. Tipiche sono le
lavagne. Argilloscisti e filladi sono caratterizzate da un metamorfismo di basso grado (facies degli
scisti verdi)

I Micascisti sono rocce metamorfiche scistose di medio grado in cui le miche ed il quarzo
cominciano a formare cristalli visibili ad occhio nudo (facies delle anfiboliti). I micascisti si
possono infine trasformare in rocce metamorfiche di alto grado con struttura cristallina
perfettamente evidente, paragonabile a quella di un granito, e simili a questo come composizione
mineralogica, dette gneiss (paragneiss). Negli gneiss troviamo gli stessi minerali tipici del granito
(quarzo, feldspato e miche) stirati per a formare striature parallele chiare e scure (facies anfiboliti).

2) Granito Gneiss (ortogneiss)
Il granito, e le rocce ignee acide in generale, possono trasformarsi per metamorfismo di alto grado
in gneiss, spesso indistinguibili da quelli che si formano a partire da rocce pelitiche.

3) Calcari Marmi
Il termine "marmo" utilizzato commercialmente per indicare la maggior parte delle rocce
lucidabili. In senso stretto il marmo una roccia microcristallina a tessitura saccaroide (simile allo
zucchero) derivato da calcari metamorfosati. Particolarmente pregiato il marmo di Carrara.
Se il calcare iniziale contiene dei minerali argillosi (marne) questi si trasformano in miche
producendo rocce con una tipica struttura scistosa, dette calcescisti (metamorfismo regionale) o
dando luogo a rocce compatte dette calcefiri per metamorfismo di contatto.

4) Arenarie Quarziti
Le quarziti sono rocce microcristalline, non scistose, costituite quasi interamente da minuscoli
cristalli di quarzo.

5) basalti scisti verdi (serpentiniti)/scisti blu anfiboliti
Le rocce magmatiche basiche si trasformano per metamorfismo di basso grado in scisti verdi per la
presenza di serpentino, un fillosilicato che d alla roccia la tipica colorazione verde e la
caratteristica tessitura scistosa e in scisti blu, per la presenza di glaucofane, un anfibolo di colore
blu.
Per metamorfismo di grado medio-alto si passa poi alle anfiboliti, caratterizzate dalla presenza di un
anfibolo di colore verde scuro, l'orneblenda.

5) peridotite talcoscisti / serpentiniti
Le rocce ultrafemiche si trasformano per metamorfismo di basso grado in talcoscisti e serpentiniti,
caratterizzati rispettivamente dalla presenza del talco e del serpentino, due fillosilicati tipicamente
metamorfici.

Sismologia
8-1

8 Sismologia

La sismologia la scienza che studia la genesi e le modalit di propagazione delle onde sismiche,
improvvise vibrazioni della terra note come terremoti.
8.1 I terremoti
Un terremoto o sisma dunque un'oscillazione delle masse rocciose prodotta da una brusca
liberazione di energia meccanica.
Le cause di un terremoto possono essere diverse. Un sisma pu ad esempio accompagnare eruzioni
vulcaniche, il crollo di grotte sotterranee e, ultimamente, anche esplosioni provocate artificialmente,
ma la maggior parte dei sismi di origine tettonica, legata cio al movimento relativo dei
frammenti in cui suddivisa la porzione la crosta terrestre, le cosiddette placche crostali o zolle.
I terremoti di origine tettonica, di cui ci occuperemo, sono quindi sempre associati ad enormi
sistemi di fratture o faglie che interessano la crosta terrestre e la porzione pi superficiale del
mantello, entrambe comprese in un'unica struttura rigida, indicata con il nome di litosfera. Sulla
litosfera si esercitano forze immani che possono agire in direzioni diverse, provocando
compressioni, trazioni e, pi spesso, dislocazioni. In ogni caso, quando una forza agisce su di una
roccia questultima si pu comportare in modo diverso in relazione all'intensit della forza, al tipo
di roccia ed alla profondit alla quale si trova.
- Se la forza poco intensa la roccia si comporta in modo elastico, deformandosi e riprendendo la
propria forma al cessare della spinta.
- Se la forza supera una certa intensit la roccia si comporta come un corpo plastico,
deformandosi in modo irreversibile.
- Se infine la forza diventa molto intensa la roccia si comporta come un corpo rigido,
fratturandosi con produzione di un piano di faglia lungo il quale avviene un movimento relativo
delle due porzioni rocciose. Una volta ritrovato l'equilibrio, se le forze continueranno ad agire, i
due blocchi rocciosi accumuleranno lungo il piano di faglia energia elastica. La tensione
aumenta fino al punto in cui la resistenza per attrito, che immobilizza la frattura, non pi in
grado di equilibrare le forze che tendono a far slittare i blocchi rocciosi ed essi scattano
improvvisamente diventando il punto di origine di un terremoto. Tale punto detto ipocentro
del sisma. L'energia elastica si libera all'improvviso sotto forma di vibrazioni, dette onde
sismiche, che si propagano sotto forma di superfici sferiche in espansione, concentriche ed
aventi come centro l'ipocentro. Secondo stime recenti, il tempo medio di ricarica di una faglia,
affinch si produca un nuovo terremoto di 50-200 anni. In alcuni casi le faglie continuano a
scivolare lentamente, producendo vibrazioni percepibili solo dagli strumenti.

La probabilit che una forza produca faglie e che in seguito si accumuli fino a produrre periodici
scivolamenti dipende, a parit di intensit dal tipo di roccia e dalla profondit a cui essa agisce. Le
rocce magmatiche hanno ad esempio un comportamento pi rigido rispetto alla maggior parte delle
rocce sedimentarie, diventando cos pi facilmente sedi di eventi sismici. Inoltre se una roccia si
trova a profondit maggiori l'aumento di pressione e di temperatura che ne consegue tende ad
accentuare progressivamente il comportamento plastico della roccia, la quale diviene cos sempre
pi malleabile. Si ritiene che al di sotto di una certa profondit tutte le rocce evidenzino un
comportamento totalmente plastico, tale da non permettere la produzione di sismi. Non si
conoscono attualmente ipocentri di terremoti con profondit maggiore di circa 700 km. Il punto
sulla superficie terrestre che si trova sulla verticale dell'ipocentro detto epicentro. ed ,
evidentemente, il primo punto della superficie terrestre raggiunto dalle onde sismiche.



Sismologia
8-2
8.2 Le onde sismiche
In relazione alle forze agenti sulle masse rocciose si producono a livello dell'ipocentro due tipi
fondamentali di onde sismiche: onde di compressione o longitudinali e onde di taglio o trasversali.


8.2.1 Onde longitudinali
Le onde longitudinali producono sulle rocce che attraversano dei movimenti di compressione e
rarefazione. In altre parole le rocce vengono sollecitate lungo la stessa direzione in cui si propaga
l'onda (assomigliano in questo alle onde sonore) e le particelle vibrano avanti e indietro nella
medesima direzione di propagazione. Sono le onde pi rapide che raggiungono quindi per prime
l'epicentro. Per questo motivo sono indicate come onde primarie o primae o, semplicemente, onde
P. La loro velocit varia da 5,5 a 11,5 km/s, in relazione alla densit ed alla rigidit delle rocce che
attraversano. Come tutte le onde longitudinali possono propagarsi sia nei solidi che nei fluidi
(liquidi e gas). Come conseguenza della loro natura longitudinale le onde P sono percepite sulla
superficie terrestre come onde sussultorie. Una volta giunte in superficie possono propagarsi anche
attraverso l'atmosfera generando onde acustiche di frequenza, in alcuni casi, avvertibile dall'uomo
sotto forma di boati. In altri casi producono onde acustiche al di sotto della soglia di udibilit umana
(infrasuoni), ma percepibili da alcuni animali.

8.2.2 Onde trasversali
Le onde trasversali costringono le particelle rocciose a muoversi in direzioni perpendicolari rispetto
alla direzione di propagazione dell'onda (assomigliano in questo alle onde elettromagnetiche). Sono
pi lente rispetto alle onde longitudinali ed arrivano all'epicentro con un ritardo che dipende
naturalmente dalla profondit dell'ipocentro. Anche per esse la velocit di propagazione dipende
dalle caratteristiche di elasticit e di densit della roccia attraversata. A parit di caratteristiche la
loro velocit e poco meno della met delle corrispondenti onde primarie. Arrivando sempre dopo le
onde primarie vengono dette onde secondarie o secundae o, semplicemente, onde S. Possono
propagarsi solo nei solidi mentre la loro energia viene rapidamente assorbita dai fluidi, dove non si
propagano. Questa caratteristica viene utilizzata per evidenziare la presenza di strati rocciosi allo
stato fluido o plastico all'interno della terra. Essendo la vibrazione di tali onde perpendicolare alla
direzione di propagazione, tali onde vengono avvertite sulla superficie terrestre come scosse
ondulatorie.



Velocit delle onde sismiche (Approfondimento facoltativo)
La velocit delle onde sismiche aumenta al crescere della rigidit e diminuisce allaumentare della densit del
materiale.
a) Maggiore la rigidit pi intense sono le reazioni del materiale allo sforzo applicato. Le particelle che
costituiscono il mezzo si comportano infatti come dei minuscoli oscillatori armonici e sono in tal modo soggette
ad una maggiore forza di richiamo (legge di Hooke) che le costringe ad oscillare pi rapidamente.
b) Maggiore la densit (e quindi la massa di ciascun oscillatore elementare per unit di volume) e maggiore
linerzia del mezzo (un oscillatore di massa maggiore si mette in moto con maggior difficolt)
Lelasticit di un mezzo omogeneo ed isotropo viene definita tramite due parametri: il modulo di incomprimibilit k ed
il modulo di rigidit . Il modulo di incomprimibilit misura lelasticit di volume, cio la tendenza di un corpo a subire,
se sottoposto a forze di compressione idrostatica, una variazione di volume (ma non di forma). Il modulo di rigidit
misura lelasticit di forma, cio la tendenza di un corpo a subire, se sottoposto a forze di taglio (una coppia di forze
uguali e contrarie che agiscano tangenzialmente), una variazione di forma (ma non di volume).
Se la densit del mezzo, la velocit di propagazione delle onde longitudinali VL e trasversali VT
rispettivamente

+
=
3
4
k
V
L
e

=
T
V .
Per i liquidi = 0 e quindi la velocit delle onde trasversali in essi nulla.

Sismologia
8-3
8.2.3 Le onde di superficie
L'interazione delle onde P ed S con la superficie terrestre produce un terzo tipo fondamentale di
onde, dette onde superficiali o lunghe o, semplicemente, onde L. Le onde L partono dall'epicentro
con una velocit che risulta circa il 90% di quella delle onde S ed arrivano perci ai sismografi per
ultime.
Vi sono due tipi principali di onde superficiali: le onde di Love e le onde di Rayleigh.

8.2.3.a Onde di Love
Le onde di Love muovono il suolo orizzontalmente, parallelamente alla superficie terrestre, ma
perpendicolarmente alla direzione di avanzamento dell'onda. Sono dunque onde superficiali
trasversali.

8.2.3.b Onde di Rayleigh
Le onde di Rayleigh muovono il suolo come le particelle d'acqua all'interno di un'onda marina
secondo orbite ellittiche, aventi l'asse maggiore parallelo alla direzione di propagazione e quello
minore perpendicolare alla superficie terrestre.

8.2.4 Fenomeni di rifrazione e riflessione
Per poter visualizzare graficamente le onde sismiche che si
formano nell'ipocentro si usa riunire in una superficie
(superficie d'onda o fronte d'onda) tutti i punti che ad un certo
istante si presentano con la medesima fase. La propagazione
delle onde viene rappresentata mediante il movimento
espansivo di tali superfici d'onda. La direzione di propagazione
delle onde in ciascun punto della superficie coincide con la
normale alla tangente alla superficie in quel punto ed individua
i raggi sismici. Le onde sismiche nascono dall'ipocentro come
superfici sferiche (onde sferiche) che presentano direzione di
propagazione radiale secondo semirette uscenti dall'ipocentro.
Le superfici d'onda non conservano tuttavia questa forma e le
relative direzioni di propagazione subiscono di conseguenza delle modificazioni a causa della
diversa densit degli strati rocciosi che vengono attraversati. I raggi sismici sono infatti l'analogo
dei raggi luminosi nella propagazione delle onde elettromagnetiche e come questi subiscono
fenomeni di riflessione e di rifrazione attraversando le superfici di separazione tra mezzi a diversa
densit in cui londa viaggi a differente velocit.
Cos un'onda sismica che giunga sulla superficie che separa strati rocciosi con diverse
caratteristiche con un opportuno angolo di incidenza i genera un'onda riflessa ed una rifratta.
Naturalmente l'angolo di incidenza i
deve essere uguale all'angolo di
riflessione o (legge della riflessione),
mentre il raggio rifratto ubbidisce alla
legge di Snell

2
1
v
v
r sen
i sen
=
dove v
1
e v
2
sono rispettivamente la
velocit di propagazione dell'onda
incidente e dell'onda rifratta
direzione di
propagazione
superficie
d' onda

Sismologia
8-4
Poich la velocit di propagazione di un'onda sismica aumenta in genere con la profondit della
roccia attraversata, l'angolo di rifrazione r sar maggiore dell'angolo di incidenza quando l'onda
penetra verso linterno della terra. Le onde sismiche che si dirigono verso le zone pi profonde del
globo terrestre subiscono due tipi di deviazioni per rifrazione:
a) una deviazione continua che incurva la loro traiettoria formando una concavit verso la
superficie terrestre, causata dal progressivo aumento della densit delle rocce con la profondit.
b) una deviazione netta e vistosa in corrispondenza delle superfici di separazione tra gli strati
interni in cui suddivisa la terra, in corrispondenza dei quali si producono bruschi cambiamenti
di densit e di rigidit delle rocce e quindi di velocit delle onde sismiche.
Un esempio di tale comportamento si ha nella
formazione della cosiddetta zona d'ombra, una
fascia circolare che avvolge la terra, compresa
tra 11.600 km e 16.000 km dall'epicentro (tra
105 e 142 circa) in cui praticamente non
arriva alcuna onda P. Le onde P che penetrano
nel nucleo terrestre subiscono infatti due vistose
rifrazioni (una in entrata ed una in uscita) che
causano una netta variazione di direzione.
L'analisi di questa zona d'ombra permise al
sismologo inglese R.D. Oldham di prevedere
nel 1906 l'esistenza del nucleo terrestre e di
stimarne la profondit. Nel 1914 Beno
Gutenberg calcol con precisione la profondit
del nucleo terrestre, fissandola ad un valore (2900 km) ancor oggi accettato.
La superficie di separazione tra mantello nucleo nota come discontinuit di Gutenberg.
In modo analogo nel 1936 la sismologa danese Inge Lehmann dimostr l'esistenza a circa 5000 km
di profondit di una superficie di separazione (discontinuit di Lehmann) che divideva il nucleo in
due porzioni, una pi esterna che si ritiene essere allo stato liquido ed una pi interna allo stato
solido. Oltre a subire rifrazioni le onde sismiche subiscono anche riflessioni sulle superfici di
discontinuit che separano strati rocciosi a diversa densit. Nel 1909 il sismologo jugoslavo
Mohorovi
(
cic' riusc ad esempio ad individuare la superficie di separazione tra crosta e mantello
studiando il ritardo con cui giungevano ai sismografi le onde sismiche riflesse rispetto a quelle
dirette. La superficie di separazione tra crosta mantello nota come discontinuit di Moho.












(142)
(105)
Zona
d' ombra
ipocentro
16.000 km
11.600 km
Zona
d' ombra
Mantello
Nucleo

ipocentro
Moho
sismografo

Sismologia
8-5
onde riflesse
PcP
Nuc leo
interno
PKiKP
P
PPP
PP
P
ipoc entro
Mantello
Nuc leo
esterno
Nucleo
interno
PKIKP
PKP
P
ipocentro
Mantello
Nucleo
esterno
onde rifratte




8.2.5 Le oscillazioni libere
Esiste infine un ultimo tipo di vibrazione sismica a bassissima frequenza associata a terremoti di
intensit particolarmente elevata. Quando la terra colpita da un sisma particolarmente intenso essa
vibra per parecchie ore come una campana, percorsa da onde stazionarie che possiedono periodi di
qualche decina di minuti. Tali vibrazioni continuano liberamente per molte ore (in alcuni casi anche
per giorni) anche dopo che il sisma terminato, con una frequenza che dipende esclusivamente
dalle caratteristiche elastiche e meccaniche del supporto vibratile (in questo caso il globo terrestre).
Per questo motivo sono state chiamate oscillazioni libere o eigen-vibrazioni (eigen in tedesco
significa "proprio" "caratteristico").

Le oscillazioni libere
Le oscillazioni libere sono analoghe alle vibrazioni stazionarie che si producono in uno strumento a corda pizzicato.
Una corda di chitarra di lunghezza L e' vincolata, e' cio fissa in due punti (il ponte ed il capotasto) che ne condizionano
la vibrazione. I due punti vincolati non sono naturalmente in grado di vibrare e devono quindi necessariamente
coincidere con due nodi. Lungo una corda in vibrazione troviamo infatti dei punti in cui l'oscillazione e' massima (ventri e
creste) e punti in cui e' nulla (nodi). Ora, affinch due nodi coincidano con i punti vincolati necessario che nella corda si
formino un numero intero di mezze lunghezze d'onda. In questo modo in essa si possono produrre solo alcune
caratteristiche lunghezze d'onda. Possiamo affermare che data una certa lunghezza della corda di un particolare
strumento essa possiede un caratteristico spettro discontinuo (a righe). Quando la corda contiene mezza lunghezza
d'onda la frequenza corrispondente e' detta fondamentale, mentre le frequenze superiori sono dette armoniche. Il timbro
del suono, che identifica uno strumento permettendo di distinguere due note uguali emesse da strumenti diversi, e'
determinato dalla sovrapposizione della vibrazione fondamentale con un certo numero di armoniche, tipiche di quel dato
strumento. Il timbro di uno strumento e' l'analogo in acustica dello spettro a righe di una sostanza in spettroscopia.
Terminologia sismica
I complessi fenomeni di riflessione e di rifrazione che subiscono le onde sismiche all'interno della terra rendono
particolarmente complessa la lettura e l'interpretazione dei sismogrammi. Per distinguere i diversi percorsi effettuati
dalle onde sismiche i sismologi usano alcuni simboli convenzionali. Le onde rifratte dal nucleo esterno vengono
indicate con il simbolo K (in tedesco kern = nucleo), mentre quelle rifratte dal nucleo interno vengono indicate con I.
Le onde riflesse dal nucleo esterno sono indicate con c, mentre quelle riflesse dal nucleo interno vengono indicate con
. Le onde P riflesse dalla superficie terrestre vengono indicate con PP. Se subiscono due riflessioni vengono indicate
con PPP e cos via (naturalmente esistono onde riflesse SS, SSS etc).

Sismologia
8-6
periodo 25 minuti
nodo
nodo
nodo
periodo 35 minuti
(armoniche)
periodo 54 minuti
nodo
nodo
(vibrazione sferoidale fondamentale)
modo S


L'esistenza delle oscillazioni libere, fu teoricamente prevista nel 1882 dal matematico inglese Horace Lamb, il quale
dimostr che una sfera elastica percossa pu produrre solo due tipi di vibrazioni: vibrazione sferoidale (modo S) e
vibrazione torsionale (modo T). Nel modo S la superficie terrestre oscilla alternativamente in senso radiale. Nel modo
fondamentale (o modo del pallone da calcio) la terra si allunga e si accorcia alternativamente lungo l'asse polare, mentre
le zone equatoriali eseguono un
movimento opposto (come una palla
che rimbalza). I nodi sono
rappresentati da due paralleli. Nel
1911 Love calcol che una sfera di
acciaio delle dimensioni della terra
doveva possedere un periodo di
vibrazione fondamentale (il tono pi
grave) di circa 60 minuti. Oggi si
potuto verificare che il periodo della
vibrazione S fondamentale di 54
minuti (mentre le varie armoniche
presentano periodi inferiori). La
differenza rispetto a quanto previsto da
Love evidentemente dovuta alle
caratteristiche di elasticit e di non
uniformit della struttura terrestre. Nel
modo T la terra oscilla
alternativamente in senso tangenziale. Nel modo fondamentale i due emisferi si torcono alternativamente in direzioni
opposte ed esiste un'unica superficie nodale che taglia l'equatore.
Tali vibrazioni vennero studiate per la prima volta in modo dettagliato con il grande terremoto del
Cile nel 1960 che fece "suonare" la terra per molti giorni. L'analogia delle oscillazioni libere con le
righe spettrali, che consentono di individuare la struttura chimica di una sostanza, talmente stretta
che lo studio dell'interno della terra, effettuato tramite l'analisi delle eigen-vibrazioni, prende il
nome di spettroscopia terrestre. Qualsiasi deviazione dalle condizioni di sfericit, elasticit ed
omogeneit della terra produce una scomposizione delle righe spettrali. In altre parole esiste una
struttura fine dello spettro terrestre strettamente correlata alle sue asimmetrie ed in generale ad ogni
scostamento dalle condizioni di idealit. Anche in tal caso abbiamo una sorprendente analogia con
gli spettri elettromagnetici: la formazione di una struttura fine dello spettro infatti l'esatto
equivalente dell'effetto Zeeman, dove le righe elettromagnetiche di emissione di una sostanza
chimica vengono separate dall'azione di un campo magnetico. L'ellitticit della terra, la particolare e
non omogenea distribuzione delle terre emerse, la struttura interna stratificata sono alcune tra le
principali cause, responsabili della struttura fine dello spettro vibrazionale terrestre. In conclusione,
allo stesso modo in cui uno spettro elettromagnetico a righe talmente caratteristico di una sostanza
chimica da permettercene l'individuazione in modo univoco, lo spettro vibrazionale terrestre
potrebbe fornirci molte informazioni sulla struttura del nostro globo.


nodo
nodo
nodo
(armonica)
nodo
(vibrazione torsionale fondamentale)
modo T
Sismologia
8-7
8.3 Sismografi
I sismografi sono strumenti che registrano l'intensit delle vibrazioni sismiche. Per costruire un
sismografo necessario riuscire ad identificare un sistema di riferimento che possa essere ritenuto
in quiete rispetto al suolo che sta vibrando. Il problema stato risolto applicando il principio di
inerzia. In pratica un sismografo, nella sua struttura essenziale, costituito da un corpo sospeso,
sufficientemente massiccio da mantenere per inerzia il suo stato di quiete anche durante un
terremoto, nonostante le vibrazioni del terreno, delle pareti e del supporto stesso al quale appeso.
Se si fissa alla massa sospesa un pennino esso potr registrare le oscillazioni del terreno su di un
rotolo di carta il quale, fissato al terreno, vibrer con esso.
In realt ogni stazione sismologica deve possedere almeno tre sismografi disposti lungo i tre assi
cartesiani, due che registrino le oscillazioni orizzontali nelle direzioni X ed Y ed uno che registri le
oscillazioni verticali nella direzione Z. Naturalmente gli apparecchi odierni, pur basandosi sempre
sul medesimo principio sono estremamente pi sofisticati, arrivando a poter registrare oscillazioni
del suolo dell'ordine di 10
-8
cm. La distanza dell'epicentro dalla stazione sismografica si calcola in
base al ritardo con il quale le onde S giungono alla stazione rispetto alle onde P. Tale ritardo risulta
infatti proporzionalmente maggiore, per distanze pi elevate. I grafici che mettono in relazione la
distanza dall'epicentro con l'entit del ritardo delle onde S sono detti dromcrone.
Naturalmente tale metodo non permette di individuare anche la direzione di provenienza delle onde
sismiche. Una sola stazione sismica solo in grado di determinare la circonferenza, avente come
raggio la distanza calcolata, sulla quale si trova l'epicentro. Per individuare in modo univoco
l'epicentro necessario utilizzare i dati provenienti da almeno tre stazioni sismiche. L'epicentro
viene determinato come punto di intersezione delle tre circonferenze, calcolate da ciascuna delle tre
stazioni. Siano ad esempio A, B e C tre stazioni sismiche, le quali abbiano misurato una distanza
dall'epicentro, rispettivamente, D
a
, D
b
ed D
c
, l'epicentro si
trover nel punto E. Il metodo descritto permette di individuare
l'ipocentro (e quindi l'epicentro) di terremoti superficiali. Per
trovare l'ipocentro di terremoti profondi il metodo
essenzialmente analogo, ma necessario in questo caso tener
conto che le onde sismiche variano la loro velocit
attraversando strati a densit diversa. Diventa quindi
necessario confrontare ed elaborare i dati di un maggior
numero di stazioni sismografiche al fine di determinare le
velocit di propagazione (che per gli strati superficiali sono
note).

8.4 Scale sismiche
L'intensit di un terremoto viene stimata in base agli effetti da esso provocati, attraverso la Scala Mercalli.
La scala Mercalli, introdotta nel 1902 dal sismologo e vulcanologo italiano G. Mercalli (1850 - 1914), una
scala empirica e soggettiva. L'attribuzione di un certo grado di intensit ad un terremoto dipende infatti per
molti versi dal giudizio e dall'esperienza di colui che valuta gli effetti del terremoto. E' inoltre difficilmente
applicabile in luoghi deserti in cui gli effetti del sisma non sono verificabili su edifici e manufatti. Inoltre
Distanza dellepicentro (Approfondimento facoltativo)
Siano infatti Vp e Vs le velocit di propagazione delle onde P e delle onde S, t
P
e t
S
i tempi impiegati a coprire la
distanza D che separa l'epicentro dal sismografo sar allora t
D
V
P
P
= e t
D
V
S
S
= il ritardo delle onde S rispetto
alle P (t
S
- t
P
) sar allora
t t
D
V
D
V
DV DV
V V
D
V V
V V
S P
S P
P S
S P
P S
S P
= =

=


e la distanza dell'ipocentro sar pari a
D
t
V
V V
S P
=
A
A


Sismologia
8-8
sismi della stessa intensit possono a volte provocare effetti diversi in relazione al tipo di terreno e di
fabbricati. Inizialmente la scala Mercalli prevedeva una suddivisione in 10 gradi, indicati con numeri romani.
Si va dal I grado in cui il sisma "avvertito da pochissimi", al II grado avvertito solo "da poche persone in
quiete" e cos via attraverso una descrizione delle reazioni di animali e persone al sisma ed un'analisi dei
danni subiti dagli edifici al crescere dell'intensit delle scosse. In seguito i gradi vennero portati a 12 e la
scala venne adattata alle caratteristiche costruttive ed alla struttura del terreno proprie di regioni diverse. In
tal modo oggi esistono diverse varianti della scala Mercalli, ciascuna ottimizzata per luoghi geografici
differenti (in Europa occidentale molto usata la scala MCS o Mercalli-Cancani-Sieberg). Nonostante la
scala Mercalli risulti in definitiva, per le ragioni gi esposte, poco obiettiva, continua ad essere usata, sia
perch rende immediatamente evidenti gli effetti del sisma, sia perch tutti i terremoti avvenuti in epoche
passate sono stati tutti classificati secondo tale scala ed in molte regioni del globo non esistono, ancor oggi,
sismografi in grado di effettuare rilevazioni di tipo oggettivo. Quando possibile comunque preferibile
usare la Scala Richter, introdotta nel 1935 dal sismologo statunitense Charles F. Richter. La scala Richter
una scala oggettiva i cui gradi sono legati da una relazione matematica all'ampiezza delle onde registrate dai
sismogrammi. La scala Richter detta anche Scala delle magnitudo. La magnitudo (M) di un sisma il
logaritmo decimale della massima ampiezza d'onda sismica (espressa in micron), registrata da un sismografo
posto a 100 Km dall'epicentro.
M = log a con a = ampiezza massima in
cos un terremoto di zero gradi di magnitudo corrisponde ad onde sismiche con ampiezza massima di 1
micron, un sisma di 1 grado ad onde di ampiezza massima di 10 micron e cos via. Quindi per ogni aumento
di un grado Richter l'intensit del terremoto aumenta di un fattore 10. Un terremoto di 6 grado 1000 volte
pi intenso di uno di 3 grado. In teoria la scala Richter non ha limiti superiori, anche se in pratica vi un
limite nella resistenza delle rocce sottoposte a pressione. In questo secolo per sono stati classificati solo un
paio di terremoti con magnitudo 8,9 , per cui si usa suddividere la scala in 9 gradi (da 0 a 9). Fino al 3
grado siamo nel campo dei microsismi, non avvertiti dall'uomo. Al di sopra del 6 grado i danni cominciano
ad essere notevoli. Oggi esistono strumenti in grado di registrare magnitudo negative (-1, -2 ...).
Naturalmente non tutte le stazioni sismografiche si trovano a 100 km dall'epicentro. Per questo motivo lo
stesso Richter propose una formula modificata in modo da consentirne l'utilizzo anche a stazioni sismiche
poste a distanze diverse dall'epicentro.
M = log a + C
.

log d + D
dove C e D sono parametri variabili da luogo a luogo che dipendono dalla natura del terreno e dal
coefficiente di elasticit delle rocce, mentre d la distanza in gradi dall'epicentro (1 ~ 111 Km).
Conoscendo la magnitudo di un terremoto possibile stimare in modo approssimato l'energia elastica
liberata. La formula di conversione usata per l'Italia la seguente (con l'energia E espressa in erg):
log E = 9.15 + 2.15 M

Vulcanologia
9-1
9 Vulcanologia

La vulcanologia quella branca della geologia che studia l'attivit vulcanica o vulcanismo,
analizzando le cause e le modalit delle eruzioni vulcaniche, le strutture da esse prodotte e la loro
distribuzione geografica. L'attivit vulcanica pu essere definita come la fuoriuscita, con modalit
differenti, di quella complessa miscela di minerali e gas allo stato fuso, chiamata magma.
Il magma fuoriesce sia perch risulta meno denso delle rocce circostanti, ma soprattutto perch alle
temperature che lo caratterizzano i composti volatili in esso presenti producono enormi pressioni.
Quando il magma trabocca in superficie la sua composizione chimica risulta differente, soprattutto
per l'intenso degassamento cui sottoposto. Alla nuova miscela che si forma viene dato il nome di
lava. Normalmente la lava non l'unico prodotto dell'attivit vulcanica, ad essa si accompagnano
spesso prodotti piroclastici e gas.
Tra i fattori che determinano le caratteristiche di un'eruzione vi sono: la composizione chimica del
magma, la temperatura del magma e la quantit di gas disciolti.
Per quanto riguarda la composizione chimica del magma si gi visto come sia soprattutto la
percentuale di silice che determina la viscosit del magma. I magmi basici, poveri in silice, sono pi
fluidi dei magmi acidi, ricchi in silice. Si ritiene che ci sia legato al fatto che durante il processo di
raffreddamento i tetraedri di SiO
4
4-
formano lunghe catene che ostacolano lo scorrimento del
magma. Per quel che riguarda la temperatura del magma, evidente che un suo aumento non fa che
elevare l'energia cinetica media delle particelle, le quali vincono cos pi facilmente le forze di
attrazione reciproca rendendo il magma pi fluido. Infine i gas disciolti aumentano la fluidit del
magma (abbiamo gi visto che in questo modo facilitano anche il processo di cristallizzazione nelle
rocce ignee intrusive). Ma la loro presenza condiziona la modalit dell'eruzione principalmente per
altri motivi. Quando infatti il magma raggiunge una zona prossima alla superficie terrestre passa
rapidamente da condizioni di elevata pressione a condizioni di pressione molto prossime a quella
atmosferica. Ci provoca, come si gi detto un rapido degassamento, in quanto i gas non riescono
pi a rimanere disciolti nel magma (legge di Henry) a pressioni esterne cos basse. Inoltre, non
appena liberatisi, si espandono notevolmente. Ora, i magmi basaltici, molto fluidi, permettono ai
gas in espansione di risalire e di liberarsi con relativa facilit, mentre i magmi acidi, piuttosto
viscosi, ostacolano la fuoriuscita dei gas. Cos i gas, imprigionati nella massa magmatica,
aumentano rapidamente la loro pressione fino a produrre dei fenomeni esplosivi che frantumano le
rocce superficiali ed eiettano frammenti lavici di diverse dimensioni, detti piroclasti. Il materiale
piroclastico viene classificato in base alle sue dimensioni in ceneri (< 2 mm), lapilli (2 6 mm) e
bombe vulcaniche (> 6 mm).
In definitiva dunque, mentre il magma basico tende a produrre tranquille colate che possono correre
per chilometri prima di fermarsi (vulcanesimo effusivo), il magma acido produce eruzioni pi o
meno violente di tipo esplosivo (vulcanesimo esplosivo). Esistono comunque situazioni intermedie
in cui fenomeni effusivi si alternano ad eventi esplosivi.

9.1 Vulcanesimo effusivo
La lava il tipico prodotto dei fenomeni effusivi. Quando le fluide colate basaltiche iniziano a
raffreddare, sulla loro superficie si forma una crosta sottile e liscia che viene trascinata dalla massa
fusa sottostante. Tale lava detta con termine hawaiano "pahoehoe" (pronuncia pa-oi-oi),
letteralmente "sulla quale si pu camminare scalzi" (ovviamente dopo che si raffreddata
completamente). Un tipo particolare di lava pahoehoe la lava a corda, che si forma quando il
flusso della colata basaltica rallenta e la superficie liscia superficiale, ancora plastica, si corruga
come una tenda raccolta sul lato di una finestra. Quando lava basaltica fuoriesce dai fondali
oceanici, l'enorme pressione esercitata dai 2/3000 m d'acqua sovrastanti, impedisce un
degassamento rapido e l'eruzione avviene molto tranquillamente. A contatto con l'acqua la lava si
raffredda bruscamente formando una tipica crosta vetrosa continuamente rotta da nuove bolle
Vulcanologia
9-2
di lava che fuoriescono. La colata appare infine come un ammasso di sfere schiacciate e
saldate tra loro, denominate pillow lava (lava a cuscini). Le eruzioni sottomarine si rendono
evidenti in superficie solo quando la colonna d'acqua sovrastante non supera i 200 m. In tal caso,
l'interazione tra acqua e magma, non pi frenata dalla pressione idrostatica, provoca violente
esplosioni che si manifestano in superficie come gigantesche nubi di vapori bianchissimi.
Se la lava invece pi viscosa, la superficie solidificatasi della colata si rompe in frammenti
taglienti, assumendo un aspetto scabroso e accidentato, che gli hawaiani indicano come lava "aa",
letteralmente sulla quale non si pu camminare a piedi scalzi. Un tipo particolare di lava "aa" la
lava a blocchi che si produce quando il magma particolarmente viscoso e la crosta superficiale
della lava si frantuma in grossi blocchi spigolosi. Le lave dellEtna sono spesso di questo tipo con il
fronte delle colate che prende l'aspetto di una massa di macerie in lenta avanzata.

9.2 Vulcanesimo esplosivo
In genere qualsiasi colata lavica preceduta da fenomeni esplosivi pi o meno intensi, che segnano
il momento in cui inizia un'eruzione. Nel caso di magmi acidi molto viscosi tali fenomeni possono
essere prevalenti ed estremamente intensi.
Uno dei fenomeni esplosivi pi violenti si produce quando l'enorme pressione prodotta dalle bolle
di gas imprigionate nei magmi acidi in vicinanza della superficie terrestre, supera la resistenza del
materiale sovrastante. I gas surriscaldati, in rapidissima espansione trascinano via brandelli di roccia
e lava polverizzata in minutissime goccioline. Si forma una gigantesca nube incandescente, detta
nube ardente, in grado di muoversi a velocit superiori ai 100 km/h e con un potere distruttivo
incredibile. Nel 1902 una nube ardente prodotta dal vulcano Pele, un piccolo vulcano della
Martinica (Piccole Antille) raggiunse in pochi minuti la cittadina di St Pierre, a 9 km di distanza,
radendola al suolo ed uccidendo tutti i suoi 28.000 abitanti.
Altri fenomeni esplosivi sono quelli che si producono quando l'acqua di falda entra in contatto con
il magma o con le rocce fortemente surriscaldate da questo. Il passaggio istantaneo dell'acqua allo
stato di vapore pu produrre un'eruzione idromagmatica o freatomagmatica di grande violenza.
A fenomeni esplosivi particolari possono essere ricondotte caratteristiche strutture vulcaniche note
come diatremi o neck. Si tratta di antichi condotti vulcanici riempiti di breccia, materiale frantumato
e strappato alle pareti del condotto durante una fuga esplosiva di gas da una camera magmatica
molto profonda. Il materiale portato in superficie proviene dalla base della crosta o addirittura dalla
superficie del mantello. I diatremi sono luoghi privilegiati per studiare la composizione chimica
delle rocce ultrafemiche (kimberliti) che si trovano a gran profondit. I pi famosi diatremi sono
quelli di Kimberly, in Sud Africa. Oltre alle kimberliti essi sono ricchi di diamanti che si originano
ad almeno 100 - 120 chilometri sotto la superficie terrestre. Solo a queste profondit infatti si
raggiungono le pressioni necessarie per cristallizzare il carbonio sotto forma di diamante.

Le eruzioni possono avvenire da una fessura estesa della crosta terrestre e vengono perci dette
eruzioni lineari o fissurali, oppure da un condotto sfociante in un punto e vengono in questo caso
dette eruzioni centrali.

9.3 Le eruzioni centrali: gli edifici vulcanici e la classificazione di Lacroix

9.3.1 Gli edifici vulcanici
Quando il magma giunge in superficie in un punto preciso, i prodotti vulcanici (lava e materiale
piroclastico) tendono a raccogliersi intorno allo sbocco del condotto, formando edifici di forma in
genere conica detti vulcani (dall'isola Vulcano, nelle Eolie, mitica sede della fucina del dio
omonimo). Tipicamente in un vulcano possibile riconoscere un condotto di alimentazione (camino
vulcanico) che mette in comunicazione un serbatoio di magma (bacino o camera magmatica) con
una o pi aperture esterne (bocche magmatiche o crateri). La fuoriuscita e l'accumulo dei prodotti
Vulcanologia
9-3
vulcanici intorno al cratere producono edifici vulcanici, la cui forma e struttura dipende in gran
parte dal tipo di magma che li alimenta.

Gli edifici vulcanici possono esseri ricondotti a tre strutture fondamentali:
3.1.a I coni di piroclasti formati di soli materiali piroclastici e quindi in seguito ad una attivit
prevalentemente esplosiva. Presentano generalmente una forma conica piuttosto regolare. Dato che
il materiale piroclastico incoerente ha un angolo di riposo piuttosto elevato, (tra i 30 ed i 40) sono
tra gli edifici vulcanici pi ripidi. I coni di cenere in genere presentano pendii pi dolci rispetto ai
coni in cui prevalgono lapilli e scorie pi grossolane.
Si tratta generalmente di edifici vulcanici di modeste dimensioni, spesso inferiori ai 300 m.

3.1.b Gli strato-vulcani sono edifici vulcanici costituiti da un'alternanza di piroclastiti e colate
laviche. La loro formazione legata ad un succedersi di fasi effusive ed esplosive. Molti tra i pi
suggestivi edifici vulcanici della terra sono di questo tipo, come il Fujiyama, il Vesuvio, l'Etna, lo
Stromboli e Vulcano. In genere quando prevale l'attivit effusiva i fianchi risultano meno ripidi
(come avviene nell'Etna), mentre quando prevale l'attivit esplosiva i fianchi risultano pi ripidi (
come nel Vesuvio). Spesso in questi vulcani si aprono bocche laterali avventizie, a causa
dell'ostruzione della bocca principale, per cui si originano in alcuni casi veri e propri vulcani
multipli, in cui si affiancano diversi edifici vulcanici. Un'altra caratteristica comune a molti strato-
vulcani la presenza alla loro sommit di una cavit particolarmente ampia detta caldera (in
spagnolo, "pentolone"). La maggior parte delle caldere si forma quando il soffitto della camera
magmatica, parzialmente svuotata, cede. In altri casi viene prodotta da esplosioni che aprono grandi
voragini alla sommit dell'edificio vulcanico. All'interno della caldera si possono riformare uno o
pi edifici vulcanici. In tal caso si forma un tipo particolare di strato-vulcani, i cosiddetti vulcani a
recinto, di cui il Vesuvio un tipico esempio, in cui un avvallamento separa il cratere pi interno di
nuova formazione dal bordo pi esterno della caldera.
Molte caldere ormai inattive sono state in seguito riempite d'acqua con formazione di laghi
vulcanici, riconoscibili dalla caratteristica forma circolare (Bolsena, Vico, Nemi, Bracciano e il
Crater Lake nell'Oregon).

3.1.c I vulcani a scudo sono edifici vulcanici prodotti quasi esclusivamente da processi effusivi, di
lava basaltica molto calda (1200 C) e fluida, con esplosioni molto rare. Il magma molto fluido
scorre velocemente formando edifici vulcanici dalla forma larga e piatta. Presentano fianchi con
piccole pendenze, mai superiori ai 15. Tra di essi troviamo i pi grandi vulcani del mondo, come il
Mauna Loa ed il Mauna Kea nelle isole Hawaii.

3.2 La classificazione di Lacroix
In base alle modalit con cui si manifestano i processi eruttivi le eruzioni vengono suddivise in 4
tipi fondamentali, classificati in ordine di acidit crescente del magma, secondo l'ormai classico
schema proposto dal geologo francese A. Lacroix, all'inizio del secolo.

3.2.a Eruzioni di tipo hawaiano
Caratterizzati da effusioni di lava basaltica fluida. Sono praticamente assenti i fenomeni esplosivi.
Formano edifici vulcanici a scudo. A volte i gas raggiungono pressioni sufficienti a formare fontane
di lava alte fino a 300 m. Nei crateri la lava fluida pu ristagnare formando veri e propri laghi di
lava.

3.2.b Eruzioni di tipo stromboliano
Il prototipo di tali vulcani lo Stromboli, nell'omonima isola siciliana delle Eolie. I vulcani
caratterizzati da attivit stromboliana presentano una lava solo leggermente viscosa che ristagna nel
cratere, ricoprendosi di una crosta solida. I gas si liberano al di sotto della crosta con relativa facilit
Vulcanologia
9-4
e la mandano in frantumi con esplosioni di lieve entit ad intervalli di tempo piuttosto brevi (da
pochi minuti a poco pi di un'ora), con formazione di fontane di lava spettacolari. Esaurita la spinta
dei gas la lava torna a ristagnare.


3.2.c Eruzioni di tipo vulcaniano
Prendono il nome dall'isola di Vulcano nelle Eolie. Sono caratterizzate da una lava pi acida e
quindi pi viscosa, di tipo andesitico. I gas si liberano con maggior difficolt e la lava all'interno del
cratere fa in tempo a formare un tappo solido di notevole spessore. I gas impiegano molto tempo
prima di raggiungere la pressione necessaria per far saltare il tappo e quando ci avviene
l'esplosione violentissima, tanto da distruggere a volte l'estremit superiore dell'edificio vulcanico.
Dal cratere si alza una grande nube dalla caratteristica forma di fungo, di colore scuro per la grande
quantit di materiale piroclastico in sospensione. Casi particolari, particolarmente violenti, di
eruzioni vulcaniane vengono considerate le eruzioni di tipo vesuviano e quelle di tipo pliniano, che
alcuni autori classificano per in modo autonomo.
- Le eruzioni di tipo vesuviano sono caratterizzate da un'esplosione talmente violenta che il
camino magmatico superiore viene rapidamente svuotato. Altra lava risale velocemente dalle
zone profonde espandendosi violentemente in superficie in un'enorme nube "a cavolfiore" di
goccioline minutissime.
- Le eruzioni di tipo pliniano (descritte per la prima volta da Plinio il Giovane, che ebbe
occasione di assistervi in occasione dell'eruzione del Vesuvio del 79 d.C.) sono ancora pi
violente. Il materiale vulcanico (lava polverizzata, gas e piroclasti) viene letteralmente sparato
attraverso il condotto con una velocit iniziale superiore a quella del suono. La colonna sale
verticalmente per qualche decina di chilometri prima di perdere energia ed espandersi in una
grande nuvola a forma di pino marittimo.

3.2.d Eruzioni di tipo peleano
Prendono il nome dal vulcano Pele nell'isola di Martinica, nelle Indie Occidentali, la cui eruzione
del 1902 distrusse la citt di St Pierre. L'attivit eruttiva di tipo peleeano sostenuta da una lava
particolarmente acida e viscosa che arriva in superficie gi praticamente solidificata e viene spinta
fuori dal cratere sotto forma di vere e proprie torri di roccia alte qualche centinaio di metri.
Nell'eruzione del Pele si era formata in una decina di giorni una colonna rocciosa che ostruiva il
cratere alta 250 m. Dalla base delle "torre" si liberano periodicamente nubi ardenti che rotolano per
le pendici dell'edificio vulcanico.

Naturalmente non tutte le eruzioni avvengono esattamente con le modalit sopra descritte, nella
maggior parte dei casi ogni eruzione presenta sia una iniziale fase esplosiva che una successiva fase
effusiva. L'intensit e la durata delle due fasi per diversa in relazione al tipo di eruzione e spesso
ciascun evento eruttivo di uno stesso vulcano pu presentarsi con caratteristiche differenti. La
classificazione appena proposta ha dunque solamente un valore indicativo.

9.4 Le eruzioni lineari o fissurali
Le eruzioni vulcaniche da un camino centrale sono certamente le pi familiari, ma la maggior parte
del materiale magmatico fuoriesce da fratture lineari della crosta terrestre. Invece di portare alla
formazione del tipico cono vulcanico, il materiale emesso si distribuisce ai due lati della fessura
formando ampie colate che ricoprono migliaia di km
2
, dette plateaux. La maggior parte di queste
Secondo la ricostruzione fattane, l'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. si concluse dapprima con la deposizione su di una
vasta area delle pomici e delle ceneri. In seguito, quando l'acqua di falda raggiunse la camera magmatica, si ebbe una
seconda violentissima esplosione freatomagmatica che lanci nuovo materiale piroclastico su tutto il golfo, provocando
la distruzione di Pompei. La citt di Ercolano venne invece distrutta qualche giorno dopo da un fenomeno diverso: venne
infatti sepolta da una colata di fango o lahar, termine con cui viene indicato lo scivolamento lungo le pendici di un
vulcano di ceneri impregnate di acqua.
Vulcanologia
9-5
eruzioni produce lave basaltiche molto fluide provenienti direttamente dal mantello. Attualmente
non vi sono fessure attive sui continenti, ma solo sui fondali oceanici.
Si tratta di enormi fratture, in rilievo rispetto ai fondali tanto da formare vere e proprie catene
montuose, note come dorsali oceaniche (la pi importante quella medio-atlantica). Dalla sommit
delle dorsali sgorga continuamente lava basaltica.
Ma in passato tali fessure hanno formato enormi plateaux, tuttora riconoscibili all'interno
delle aree continentali, come il Plateau del fiume Columbia (1/2 milione di Km
2
per uno spessore di
1200 m) o il Plateau del fiume Paran, tra Brasile ed Uruguay ( 1 milione di km
2
per uno spessore
di 500 m).
Anche i vulcani islandesi sono di questo tipo. D'altra parte l'Islanda un affioramento della dorsale
medio atlantica.

Eruzioni fissurali di tipo acido non sono mai state osservate in epoca storica, ma certo che esse
sono avvenute in passato. Quando l'eruzione fissurale alimentata da un magma particolarmente
sialico si forma un particolare tipo di nube ardente in cui i lapilli e le ceneri tenute in sospensione
dai gas sono costituiti in gran parte da minuscoli frammenti di vetro fuso. Quando queste nubi si
depositano formano particolari piroclastiti, dette ignimbriti (o tufi saldati). Esempi ne sono la
piattaforma porfirica atesina, il vasto tavolato di porfido che fa da basamento ai massicci dolomitici,
prodottosi da grandi fessure circa 250 milioni di anni fa e la pi recente ignimbrite campana, che
ricopre l'intera pianura campana, tra Napoli e Caserta, prodottasi circa 35.000 anni fa, in seguito ad
una nube ardente fuoriuscita da alcune fessure apertesi nell'area dei Campi Flegrei.


9.5 Formazione del magma
Oltre all'aumento di temperatura vi sono altri due fattori che possono concorrere a determinare la
fusione di una roccia con formazione di un magma: la pressione e la presenza di acqua.
Poich infatti una roccia fondendo si dilata, un aumento di pressione esercitato dall'esterno agisce in
senso contrario (principio di Le Chatelier), inibendo il processo di fusione. Per questo motivo rocce
profonde, sottoposte ad enormi pressioni risultano solide pur possedendo temperature che ne
consentirebbero la fusione a pressione atmosferica. Tale comportamento consente ad esempio di
spiegare il motivo per il quale il mantello peridotitico che si trova allo stato solido pu iniziare a
fondere quando viene riportato in superficie a causa della distensione crostale che si produce a
livello delle dorsali medio- oceaniche. L'acqua pu infine facilitare la fusione, diminuendo il punto
di fusione. Vedremo che si ritiene che ci accada proprio a livello delle dorsali e nei cosiddetti punti
di subduzione, dove due frammenti crostali si scontrano ai margini tra continente ed oceano.

9.6 Vulcanesimo secondario
Quando la solidificazione del magma nella camera magmatica si sta per concludere ed il processo si
avvia verso la fase idrotermale, possono emergere in superficie soltanto soluzioni idrotermali e
vapori caldi. La molecola d'acqua come tale, pu esistere solo fino ad una temperatura di circa
370C. oltre la quale si scinde in ioni ed entra nella composizione degli anfiboli e dei fillosilicati
come ossidrili. Oltre i 700C diventa impossibile la stessa presenza dell'ossidrile e nessuno dei
silicati che cristallizzano a temperature elevate possiede l'ossidrile nella sua struttura.
Quando dunque viene raggiunta una temperatura di 200-300C, viene espulsa dal sottosuolo tutta
l'acqua che, assieme ad elementi come il boro e lo zolfo, non hanno trovato posto nei reticoli
cristallini dei silicati. Spesso l'acqua di origine magmatica si unisce con l'acqua di origine freatica
(acqua di falda). Tali manifestazioni sono dette fumarole. Si distinguono le fumarole calde (da 90 a
300C) dalle fumarole fredde (sotto i 90C).

Vulcanologia
9-6
6.1 Fumarole calde Sono esempi di fumarole calde le solfatare, getti di vapore surriscaldato (130-
165C) contenente acido solfidrico. L'acido solfidrico viene ossidato dall'ossigeno atmosferico ad
acido solforico e zolfo elementare che cristallizza incrostando le superfici circostanti. Famosa la
solfatara di Pozzuoli (nel complesso dei Campi Flegrei, in Campania). Ad attivit fumarolica vanno
associati anche i soffioni boraciferi di Larderello in Toscana. Si tratta di getti di vapore con acido
borico ad alta temperatura (120 - 210C) che, sospinti da pressioni elevate (1 - 6 atm), possono
innalzarsi fino a 15-20 metri dal suolo.

6.2 Fumarole fredde Producono solo vapor d'acqua e anidride carbonica, la cui temperatura
raramente si avvicina ai 100C. Fumarole fredde particolarmente ricche di anidride carbonica sono
le mofete, di cui si hanno esempi nei Campi Flegrei.

Altri due fenomeni associati in prevalenza alle manifestazioni del vulcanismo secondario sono le
sorgenti termali ed i geyser.

6.3 Le sorgenti termali possono prodursi semplicemente per contatto dell'acqua con rocce
profonde, pi calde di quelle superficiali per il normale gradiente geotermico. Il fenomeno per
particolarmente accentuato in aree vulcaniche. Si tratta di acque particolarmente ricche di minerali
in soluzione e con temperature che possono andare dai 20 ai 70C.

6.4 I Geyser sono getti intermittenti di acqua calda che possono innalzarsi per decine di metri.
Provengono da cavit sotterranee, poste a qualche centinaio di metri di profondit, in cui l'acqua
profonda, sottoposta al peso della colonna d'acqua sovrastante, raggiunge temperature di ebollizione
molto superiori ai 100. Quando viene raggiunta una temperatura sufficientemente elevata da
vincere la pressione idrostatica il geyser entra in attivit. Il pi famoso l'Old Faithful nel parco
nazionale di Yellowstone in U.S.A. Ma se ne trovano altri in Islanda, nella Nuova Zelanda, nelle
isole Azzorre.

9.7 Distribuzione geografica dei fenomeni vulcanici e sismici
Non tutte le regioni della terra sono interessate in egual misura dai fenomeni vulcanici e sismici.
Tuttavia la loro distribuzione non casuale. Inoltre molto spesso le aree interessate da fenomeni
sismici sono anche sede di attivit vulcanica. Il motivo di tale coincidenza e della loro particolare
distribuzione va ricercato nella dinamica crostale, descritta dalla teoria della tettonica a placche, di
cui avremo in seguito modo di parlare. Per ora ci limiteremo ad indicare le zone in cui si trovano
concentrati la maggior parte dei fenomeni vulcanici e sismici, le quali coincidono con i confini dei
frammenti crostali.
7.1 Dorsali medio-oceaniche Si tratta di quelle aree rilevate presenti sui fondali oceanici
caratterizzate da attivit basaltica effusiva

7.2 Cintura di fuoco
circumpacifica
con tale nome si fa
riferimento alla
fascia che borda le
coste orientali e
occidentali
dell'oceano
pacifico, dove sono
concentrati il 60%
dei vulcani attivi ed
il 70% dei terremoti

Vulcanologia
9-7
verificatisi nel nostro secolo.

/.3 Sistema alpino-himalaiano
Nella figura la linea pi scura individua i principali confini tra i frammenti crostali, i quali
coincidono con le regioni a pi elevata attivit sismica e vulcanica.


9.8 Struttura interna della terra

9.8.1 Metodi di indagine
Lo studio della struttura interna della terra complicato dal fatto che ci possibile avere una
conoscenza diretta solo dei suoi strati pi superficiali, mentre dobbiamo accontentarci di dedurre la
natura degli strati pi profondi tramite una serie di conoscenze indirette.
Le conoscenze dirette si avvalgono di alcune trivellazioni di pozzi, scavati sia per l'estrazione del
petrolio che per scopi scientifici. In tal modo si arrivati comunque ad una profondit massima di
una quindicina di chilometri. Altre conoscenze dirette derivano dal materiale che viene effuso dalle
dorsali oceaniche, dallo studio delle rocce che sono state sollevate durante i movimenti orogenetici
che hanno portato alla formazione delle montagne. Le rocce pi profonde oggi note si ritiene siano
le kimberliti, che si trovano nei diatremi diamantiferi, arrivate in passato in superficie da profondit
di 100 - 200 km, grazie a violente eruzioni di tipo esplosivo.

9.8.1.a Dati sismici e le superfici di discontinuit
La via principale attraverso la quale si ottengono informazioni indirette sulla struttura profonda
della terra l'analisi dei tracciati delle onde sismiche prodotte artificialmente o provocate
naturalmente dai terremoti. Muovendosi all'interno della terra le onde sismiche (P ed S) possono
subire una serie di riflessioni, rifrazioni e variazioni di velocit in funzione della diversa densit,
temperatura e dello stato fisico (liquido o solido) che caratterizza i diversi strati profondi. In
generale le onde sismiche accelerano mentre si propagano in profondit. Inoltre mentre le onde P si
propagano attraverso una roccia qualunque sia il suo stato fisico, le onde S si bloccano in presenza
di strati allo stato liquido. I geologi hanno cos osservato che le onde sismiche subiscono fenomeni
di riflessione e rifrazione particolarmente evidenti in corrispondenza di alcune superfici
concentriche che si trovano a profondit diverse. Inoltre in corrispondenza di tali superfici le onde
sismiche subiscono delle brusche variazioni di velocit che testimoniano il passaggio repentino da
uno strato ad uno con diverse caratteristiche fisiche. A tali superfici che separano la terra in strati
concentrici caratterizzati da un diverso stato chimico fisico stato dato il nome di superfici di
discontinuit.

La prima di queste superfici, oggi nota come 'Moho', venne scoperta nel 1909 dal geofisico
iugoslavo Mohorovicic a qualche decina di chilometri di profondit. In corrispondenza della Moho
le onde sismiche subiscono una brusca accelerazione nella direzione del centro della terra.
La Moho separa lo strato pi superficiale della terra, detto crosta, dallo strato sottostante, pi
denso, detto mantello. La Moho non si trova a profondit costante. Essa presente ad una
profondit che va da 0 a 10 km sotto i fondali oceanici, mentre si trova a 30 - 40 km sotto i
continenti, con l'eccezione delle grandi catene montuose, al di sotto delle quali arriva ad una
profondit di 70 - 80 km. Nel 1914 B. Gutenberg scopr un'altra importante discontinuit a 2900 km
di profondit, oggi conosciuta come discontinuit di Gutenberg, che non lasciava passare le onde
S. Al di sotto della Gutenberg dunque il materiale deve essere allo stato fluido, perlomeno nelle sue
regioni pi superficiali. La Gutenberg divide la porzione centrale della terra, detta nucleo, dal
mantello. Con riferimento alla probabile composizione chimica dei tre strati principali in cui
suddivisa la terra si usano ancora spesso i termini coniati da Suess nel 1885. SIAL (silicati di
Vulcanologia
9-8
alluminio) per la crosta, SIMA (silicati di magnesio) per il mantello e NIFE (leghe di nichel e ferro)
per il nucleo. I geologi ritengono che la densit dei materiali di cui sono composti i vari strati cresca
a partire da un valore di 2.7 kg/dm
3
per le rocce crostali (valore rilevato direttamente) fino a
raggiungere valori di 12 - 13 kg/dm
3
nel nucleo. Tali dati sono naturalmente compatibili con la
densit media terrestre, pari a circa 5,5 kg/dm
3
, con le densit calcolate sulla base della velocit di
propagazione delle onde sismiche alle diverse profondit e con le densit dei diversi composti
chimici, misurate in laboratorio.

9.8.2 La struttura interna della Terra
I dati sismici pi recenti hanno permesso di giungere ad una conoscenza pi dettagliata di crosta,
mantello e nucleo, con la scoperta di discontinuit minori e di importanti strutture probabilmente
legate alla dinamica crostale superficiale.

9.8.2.a La crosta
La struttura della crosta non omogenea ed necessario effettuare una distinzione tra crosta
continentale e crosta oceanica.
- La crosta continentale pi spessa, ma meno densa di quella oceanica. Al di sotto di un velo di
rocce sedimentarie formata da due strati. Uno pi superficiale di tipo granitico (strato del
granito) ed uno pi profondo, di rocce metamorfiche, detto impropriamente strato del basalto. I
due strati sono separati da una discontinuit secondaria detta di Conrad.
- La crosta oceanica pi sottile, ma pi densa, costituita da basalti ricoperti da un velo di rocce
sedimentarie. A differenza della crosta continentale che in alcuni punti risulta vecchia di 3 - 4
miliardi di anni, non esiste crosta oceanica pi vecchia di 200 - 250 milioni di anni. La crosta
oceanica pi recente quella che si trova in prossimit delle dorsali, mentre la sua et cresce
allontanandosi da esse.

9.8.2.b Il Mantello
Una discontinuit minore, posta a circa 700 km di profondit (discontinuit di Repetti) separa il
mantello in mantello superiore e mantello inferiore. Mentre il mantello superiore sarebbe costituito
da silicati di ferro e magnesio ultrafemici (peridotiti), il mantello inferiore potrebbe essere formato
dagli stessi elementi strutturati in minerali pi compatti e densi, come ossidi e solfuri di ferro
magnesio e silicio (in tal caso alcuni vorrebbero mantenere il termine SIMA per il mantello
superiore, introducendo il termine OSOL per il mantello inferiore). Lo strato pi superficiale del
mantello, subito sotto alla Moho, fino ad una profondit media di circa 100 km, composto di
peridotiti allo stato solido. I geofisici chiamano tale strato 'LID' (coperchio). La crosta ed il LID,
bench separati dalla Moho, formano una struttura rigida, solidale, di grande importanza nella
dinamica crostale, detta litosfera. Al di sotto della litosfera, tra i 100 ed i 250 km di profondit, si
trova uno strato peridotitico in cui la velocit delle onde sismiche decresce e che i geofisici
chiamano L.V.L. (low velocity layer) o strato a bassa velocit.
Si ritiene infatti che le particolari condizioni di temperatura e di pressione esistenti a quelle
profondit abbiano portato la peridotite molto vicina al punto di fusione. Le rocce si
comporterebbero perci come un fluido molto viscoso o come un solido malleabile, in grado di
deformarsi senza spezzarsi e, ci che pi qui interessa, di muoversi per convezione da punti pi
caldi verso punti pi freddi. Tale strato conosciuto anche come astenosfera (dal greco asthens =
debole, ad indicare la non rigidit delle rocce). Ma sullo spessore da attribuire all'astenosfera non vi
ancora accordo tra i geofisici.
Secondo le ipotesi attuali la litosfera pi leggera galleggerebbe letteralmente sulla sottostante
astenosfera e verrebbe da questa trascinata grazie ai movimenti convettivi che la caratterizzano.



Vulcanologia
9-9
9.8.2.c Il nucleo
Anche il nucleo presenta al suo interno una superficie di discontinuit a circa 5000 km di profondit
(discontinuit di Lehmann) che lo divide in nucleo esterno e nucleo interno.
Il nucleo esterno come abbiamo gi detto allo stato fuso, mentre al di sotto della Lehmann
l'enorme pressione riporta il materiale allo stato solido. La densit passa dai 9 -10 kg/dm
3
del
nucleo esterno ai 13 kg/dm
3
del nucleo interno. Sulla composizione chimica del nucleo sono state
fatte molte ipotesi, da quella classica di una lega di ferro-nichel, in accordo con la composizione
delle sideriti, a quella che prevedeva l'esistenza di materia allo stato degenere, simile a quella
presente nelle stelle, con i protoni e gli elettroni strettamente impacchettati, senza possibilit di
formare atomi di elementi distinti.
Attualmente i geofisici sono d'accordo sulla natura metallica del nucleo, ma gli esperimenti di
laboratorio evidenziano che il ferro da solo o una lega di ferro-nichel verrebbero eccessivamente
compressi dalle pressioni esistenti al centro della terra, raggiungendo dei valori di densit
incompatibili con quelli ottenuti dai dati sismici. Si ritiene perci probabile l'esistenza , assieme al
ferro, di elementi pi leggeri. Il Silicio, per la sua abbondanza relativa nell'universo, sembra essere
il candidato migliore. Altri elementi possibili potrebbero essere lo zolfo e l'ossigeno.

9.8.3 Il calore terrestre
Dalle misure eseguite si potuto constatare che, a parte gli strati pi superficiali della crosta
terrestre che risentono della temperatura esterna, la temperatura cresce in media di 3C ogni 100 m
di profondit. Si ritiene comunque che tale gradiente geotermico non possa mantenersi costante fino
a grandi profondit, poich in tal caso al centro della terra verrebbero raggiunte temperature stellari,
dell'ordine dei 200.000C. Secondo la maggior parte dei geofisici invece la temperatura al centro
della terra non sarebbe superiore ai 4.000 - 5.000 C. Per molto tempo si ritenuto che la fonte
principale dell'energia termica irradiata dal nostro pianeta fosse di origine primordiale, derivando
dalla conversione di energia cinetica in calore durante il processo di accrescimento meteorico della
terra 4,5 miliardi di anni fa. Oggi si ritiene invece che la maggior parte del calore terrestre (circa il
70%) sia prodotto dal decadimento dei materiali radioattivi presenti nella crosta e nel mantello.
Dalle analisi di laboratorio risulta che le rocce granitiche sono molto pi ricche di elementi
radioattivi rispetto alle rocce basaltiche per cui i graniti producono 6 volte pi calore dei basalti.
Ci porterebbe a concludere che il flusso termico (il flusso termico medio della terra di 0,06
W/m
2
) dovrebbe essere superiore a livello della crosta continentale granitica rispetto alla crosta
oceanica basaltica. In realt il flusso che si misura nei due casi simile. Si ritiene che ci sia dovuto
al fatto che il calore prodotto dal mantello sotto la crosta oceanica venga portato in superficie in
modo pi efficiente di quello prodotto dal mantello sotto la crosta continentale.
I geofisici ritengono che il fenomeno sia da collegarsi all'esistenza di enormi correnti convettive che
rimescolano lentamente l'astenosfera all'interno del mantello, facendo risalire materiale pi caldo
verso la litosfera sovrastante. I motivi per cui tali movimenti convettivi sarebbero pi intensi sotto
la crosta oceanica, non sono per ancora chiari.

9.8.4 Il magnetismo terrestre
Come sappiamo la terra si comporta come se al suo interno esistesse un enorme magnete al suo
centro, inclinato di circa 11 rispetto all'asse di rotazione, in modo che i poli geografici non
coincidono con i poli magnetici. L'esistenza di questo presunto magnete, per quanto suggestiva
priva di qualsiasi fondamento scientifico, infatti all'interno della terra sussistono temperature ben
superiori al cosiddetto punto di Curie delle principali sostanze ferromagnetiche (Ferro 768 C,
Magnetite Fe
3
O
4
525C, Nichel 358C), oltre il quale nessun materiale in grado di rimanere
magnetizzato. Il campo geomagnetico fu descritto per la prima volta in termini matematici da Gauss
nel 1839. Secondo tale modello il campo viene espresso come somma di una serie di componenti
diverse, di cui la componente dipolare la pi intensa. Lasse di tale dipolo, detto asse
Vulcanologia
9-10
geomagnetico, inclinato di 11,5 rispetto allasse di rotazione ed incontra quindi la superficie
terrestre in corrispondenza dei poli geomagnetici N (78,5 N 69 W) e S (78,5 S 111 E).
I poli magnetici reali non corrispondono a quelli teorici (a causa dellinflusso delle componenti non
dipolari) e cambiano di posizione nel corso degli anni.
Il campo geomagnetico in ogni punto della superficie terrestre viene descritto tramite tre parametri
(elementi magnetici):
- la declinazione magnetica, pari all'angolo tra la direzione del nord geografico e la direzione del
nord magnetico;
- l'inclinazione magnetica, pari all'angolo che un ago magnetico libero di ruotare sul piano
verticale forma con la superficie terrestre;
- L'intensit del campo misurata in gauss o in Tesla (in effetti ci che viene misurato non
lintensit H, ma linduzione B. L'intensit del campo si misura infatti in oersted o in A m
-1
)).
Gli studi finora compiuti hanno dimostrato delle variazioni secolari di tutti e tre questi parametri.
Ad esempio l'intensit media del campo, che attualmente di circa 0,5 gauss, sembra diminuire
regolarmente del 5% circa al secolo. Oggi non esiste ancora una teoria organica in grado di spiegare
in modo completo l'origine e la natura del campo magnetico terrestre. Scartata, per i motivi gi visti,
l'ipotesi dell'esistenza di una barra magnetica all'interno della terra, i geofisici ritengono che vi
siano buone probabilit di costruire una teoria soddisfacente a partire dall'ipotesi della dinamo ad
autoeccitazione.
Il principio di funzionamento di una dinamo basato sul fatto che se un conduttore di corrente
viene mosso in un campo magnetico, si produrr in esso una corrente elettrica per induzione. Ora,
se supponiamo che la terra contenga al suo interno del materiale conduttore in movimento (e ci
perfettamente compatibile con l'esistenza di un nucleo metallico allo stato fuso) e che
originariamente si sia trovata immersa in un campo magnetico esterno, ad esempio quello solare,
allora possibile che al suo interno si sia generata una corrente elettrica indotta. Ma una corrente che
si muove in un conduttore produce a sua volta un campo magnetico. In tal modo si pu pensare che
la corrente indotta nel nucleo terrestre in movimento da un campo magnetico esterno abbia poi
prodotto il campo magnetico terrestre. A sua volta il campo magnetico terrestre pu continuare ad
alimentare la corrente indotta all'interno del materiale conduttore che si trova nel nucleo, se questo
si mantiene in movimento, finendo in tal modo per mantenere costantemente attivo il campo
magnetico stesso.
E' abbastanza semplice immaginare che i movimenti nel materiale del nucleo, necessari per
autoalimentare la dinamo interna alla terra, si producano grazie a movimenti convettivi nel nucleo
esterno fuso. Pi difficile spiegare come il campo magnetico dipolare abbia potuto nel passato
invertire bruscamente la sua polarit.
Molte informazioni sul comportamento del campo magnetico terrestre in epoche geologiche ci
provengono dalla scoperta del magnetismo fossile o paleomagnetismo.

9.8.5 Paleomagnetismo
Viene definito paleomagnetismo il fenomeno per il quale alcune rocce sono in grado di registrare al
loro interno la direzione che aveva il campo magnetico al momento della loro formazione. Ci
dipende dalla presenza in tali rocce di minerali magnetizzabili, come ad esempio la magnetite.
Il fenomeno riveste particolare importanza per le rocce ignee. Quando infatti la temperatura di un
magma scende al di sotto del punto di Curie, i
minerali magnetizzabili si orientano secondo la
direzione delle linee di forza del campo
magnetico esistente in quel momento
(magnetizzazione termorimanente). E' possibile
anche un'altra forma di magnetizzazione
residua, che riguarda le rocce clastiche quando
al loro interno si depositano particelle di

Vulcanologia
9-11
minerali magnetizzati (magnetizzazione detritica rimanente). Lo studio dei dati paleomagnetici
effettuati su rocce di tutto il mondo ha permesso di ottenere fondamentali risultati per quel che
riguarda il comportamento del campo magnetico nel passato, evidenziando fenomeni di migrazione
dei poli e addirittura repentine inversioni del campo magnetico stesso.
I dati sperimentali pi spettacolari che dimostrano in modo inequivocabile le ripetute inversioni del
campo magnetico terrestre sono stati ottenuti ai lati delle dorsali medio oceaniche. Infatti man mano
che le lave basaltiche vengono eruttate dalle dorsali si magnetizzano secondo la direzione del
campo magnetico. I geofisici hanno cos scoperto che ai lati delle dorsali esistono fasce
simmetriche, disposte parallelamente a destra e a sinistra della dorsale, a polarit alterna.
Tali inversioni avvengono all'incirca ogni 500.000 - 600.000 anni, senza che per ora si riesca a
trovare una spiegazione soddisfacente del fenomeno.
La scoperta dell'esistenza di bande magnetizzate in senso opposto ai lati delle dorsali ebbe
comunque importanti ripercussioni, in quanto costituiva una prova importante a favore della teoria
di Hess (1962) dell'espansione dei fondali oceanici. E, come avremo modo di vedere, tale teoria
uno dei pilastri sui quali poggia la moderna teoria globale della tettonica a zolle.

I dati paleomagnetici portarono importanti conferme anche alla teoria della deriva dei continenti,
una teoria geodinamica che ha in qualche modo aperto la strada alle ipotesi della tettonica a zolle.
Le indagini paleomagnetiche eseguite su rocce coeve (aventi la stessa et) di continenti diversi,
hanno infatti evidenziato l'esistenza di registrazioni del paleonord magnetico discordanti, come se
per ciascun continente a quel tempo esistesse un nord diverso. Il dato era chiaramente assurdo e
l'unico modo per venirne a capo era di ammettere che i continenti nel frattempo si erano mossi
rispetto alla posizione che avevano al momento in cui le rocce avevano registrato la direzione del
campo magnetico. Analisi di questo tipo hanno addirittura permesso di ricostruire molti dei
movimenti compiuti dai continenti, confermando sostanzialmente la teoria della loro deriva.

Atmosfera e Meteorologia
10-1

10 Geodinamica

10.1 Lattualismo
La geodinamica si occupa di tutti i fenomeni geologici connessi alle grandi trasformazioni della
crosta terrestre. Oggi appare scontato che la crosta terrestre non sia sempre stata quale ora la
vediamo, ma la nascita dell'idea di un'evoluzione geologica relativamente recente. Le teorie
scientifiche pi accreditate fino a tutto il '700 erano il fissismo ed il catastrofismo. che disegnavano
un mondo statico, in cui gli unici mutamenti possibili avvenivano attraverso repentine catastrofi.
Il primo germe di un'idea evolutiva in geologia si trova in "Principles of Geology" (1830 - 1833),
dove Charles Lyell enuncia il principio dell'attualismo, secondo il quale le cause che hanno
modificato la crosta terrestre durante la sua storia sono le stesse che operano attualmente. Gli effetti
grandiosi che noi osserviamo non sarebbero dunque dovuti a catastrofi, ma al fatto che tali
processi, pur agendo in modo talmente lento da non essere percepibili in tempi brevi, hanno avuto a
disposizione tempi lunghissimi per prodursi. La teoria di Lyell afferma implicitamente che i tempi
geologici dovevano essere enormemente pi lunghi di quanto allora si potesse immaginare e che la
terra aveva subito una lenta evoluzione geologica che continuava impercettibilmente ad agire.
Nonostante le forti critiche subite, il principio dell'attualismo divenne un punto fermo della scienza
geologica ed ebbe tra l'altro notevole influenza sulle teorie evolutive darwiniste. E' cos che dalla
seconda met dell'ottocento in poi si susseguirono diverse teorie tese a dar ragione delle principali
strutture della crosta terrestre in termini di una lenta evoluzione crostale. Inizialmente i geologi si
interessarono principalmente ai processi di formazione delle catene montuose.

10.2 Le teorie orogenetiche: isostasia e geosinclinali
Le prime teorie orogenetiche ipotizzavano che le catene montuose si fossero formate in seguito al
raffreddamento ed alla conseguente contrazione della crosta terrestre. Le catene montuose
sarebbero, secondo tale ipotesi dei corrugamenti superficiali della crosta, paragonabili a quelli che
percorrono la buccia di una mela messa in forno. Tale teoria venne presto scartata poich non
permetteva di giustificare il fatto che le catene montuose non si trovavano in realt distribuite
uniformemente sulla crosta terrestre, come ci si sarebbe dovuto aspettare da un raffreddamento
omogeneo.
Maggior successo ebbe la teoria dell'isostasia, proposta da Airy nel 1855. Secondo tale teoria le
catene montuose potrebbero sorgere grazie ad una serie di lenti movimenti verticali della crosta
terrestre. La teoria prevede che la crosta, pi rigida e leggera, 'galleggi' sul sottostante mantello
plastico, pi pesante. Tale modello viene, nelle sue linee fondamentali, accettato ancor oggi, anche
se non per spiegare i processi orogenetici. Esso permette di dar ragione di numerosi movimenti
verticali della crosta, innalzamenti o
sprofondamenti, misurati a carico di
estese regioni.
Il modello attuale dell'isostasia prevede
che la litosfera continentale sialica possa
essere descritta tramite una serie di
blocchi rigidi giustapposti che
galleggiano sulla sottostante astenosfera,
pi pesante e plastica. Pi alto il
blocco sopra la superficie (rilievo),
maggiore la parte di esso che
sprofonda nell'astenosfera, in modo
analogo a quanto avviene per un iceberg
che galleggia nell'acqua.

Atmosfera e Meteorologia
10-2
L'equilibrio isostatico di tali blocchi pu essere modificato in vari modi ed i blocchi reagiscono
muovendosi verticalmente per ristabilire l'equilibrio.
Cos i paesi bassi e la penisola scandinava sono sprofondati durante le glaciazioni per il peso dei
ghiacci, mentre ora si stanno lentamente risollevando, alla velocit di 2 cm l'anno, per ristabilire
l'equilibrio isostatico, in modo del tutto simile a quanto avviene quando una nave si libera del suo
carico ed una porzione maggiore di essa emerge dall'acqua. Si calcola che la penisola scandinava
debba alzarsi di altri 200 m prima di raggiungere nuovamente l'equilibrio isostatico.
In modo analogo si ritiene che il materiale progressivamente eroso dai rilievi e che va sedimentando
nelle zone pi depresse, provochi uno sprofondamento di queste ultime (subsidenza) ed un
innalzamento dei rilievi diventati pi leggeri.


Nel 1873 Dana introduce l'ipotesi che le catene montuose si producano per sollevamento di una
geosinclinale. La teoria della geosinclinale ha avuto notevole fortuna ed sostanzialmente accettata
ancor oggi, anche se viene ritenuta una teoria parziale che necessita di essere inserita in una teoria
organica e completa della dinamica crostale. Essa nasce per cercare di giustificare la presenza di
sedimenti marini di ambiente neritico (di acque basse) in strati di parecchie centinaia di metri di
spessore, elevatisi sopra il livello del mare a formare imponenti rilievi (un esempio sono le
dolomiti).
L'unica spiegazione possibile era che esistessero delle vaste depressioni dei fondali oceanici, dette
appunto geosinclinali, prossime alle coste, dove si depositavano enormi quantit di sedimenti, con il
contemporaneo e progressivo abbassamento del fondale marino per subsidenza da carico. Il modello
aveva per qualche difficolt a spiegare in che modo tali sedimenti, dopo essersi formati, potessero
essere corrugati fino a diventare grandi rilievi.


10.3 Wegener e la deriva dei continenti
Tra il 1910 ed il 1929 prende corpo una teoria geodinamica rivoluzionaria, che ebbe un fortissimo
impatto sull'opinione pubblica dell'epoca, la teoria della deriva dei continenti. Sulla base di una
serie di evidenze di cui parleremo in seguito, il geofisico tedesco Alfred Wegener propose che circa
200 milioni di anni fa tutte le terre emerse fossero state unite in un unico enorme supercontinente,
detto Pangea, circondato dall'unico oceano allora esistente, detto Panthlassa. Circa 180 milioni di
anni fa la Pangea avrebbe iniziato a fratturarsi in blocchi leggeri di SIAL, galleggianti sul
sottostante SIMA.
La prima frattura, prodottasi in senso E - W, avrebbe aperto la Pangea in un continente
settentrionale detto Laurasia ( da Laurenziano e Asia - Laurenziano detto lo scudo Canadese che
Gravimetria ed isostasia (Approfondimento)
La gravimetria misura il valore della accelerazione di gravit 'g' sulla superficie terrestre. I dati gravimetrici sono utilizzati
ampiamente dai geofisici per studiare la distribuzione e la densit delle rocce all'interno della terra.
I geofisici riscontrano numerose differenze tra la gravit misurata e quella prevista teoricamente che interpretano come
conseguenza di anomale distribuzioni delle masse rocciose al di sotto della superficie terrestre.
Se i valori misurati e corretti (riduzione allellissoide) risultano maggiori del valore atteso si parla di anomalie
gravimetriche positive, se risultano minori si parla di anomalie gravimetriche negative.
I geofisici mettono in relazione le anomalie negative con l'esistenza in profondit di un difetto di massa, cio di una
concentrazione anomala di rocce leggere, mentre le anomalie positive sono evidentemente legate ad un eccesso di
massa. Pu essere ora interessante vedere come la teoria dell'isostasia nacque in seguito all'osservazione di alcune
anomalie gravimetriche.Tra il 1840 ed il 1850 il geografo G. Everest dirigeva il primo rilevamento topografico dell'India.
Per ottenere misure pi accurate vennero utilizzati due metodi indipendenti.Uno consisteva nel normale utilizzo di
strumenti topografici e di misure di triangolazione. L'altro si basava su misure astronomiche e consisteva nel determinare
la distanza tra due punti in riferimento all'altezza della stessa stella sul piano dell'orizzonte. Quando tali misure venivano
fatte in prossimit dellHimalaya, i due metodi davano risultati in netto contrasto. Venne proposto che la differenza fosse
dovuta all'attrazione gravitazionale dell'Himalaya sul filo a piombo, che avrebbe reso imprecise le misurazioni
astronomiche. L'effetto deviante dell'Himalaya venne calcolato, ma risult eccessivo. Il mistero venne risolto con
l'introduzione dell'ipotesi dell'isostasia la quale suggeriva che l'Himalaya possedesse delle profonde radici sialiche che,
affondando sul mantello sottostante, provocavano un'anomala concentrazione di rocce leggere. La deviazione del filo a
piombo da parte dell'Himalaya doveva essere perci meno intensa di quella inizialmente calcolata.
Atmosfera e Meteorologia
10-3
si trova nella regione di S. Lorenzo), comprendente l'attuale America del Nord e l'Eurasia ed uno
meridionale, detto Gondwana (dal nome di un'antica regione dell'India), comprendente l'America
del sud, l'India, l'Australia e l'Antartide. I due continenti si sarebbero separati per l'aprirsi di un
braccio di mare chiamato Ttide (da Thetis, dea greca del mare). Successivamente, con l'apertura
dell'oceano Atlantico i continenti avrebbero lentamente raggiunto le posizioni attuali. Wegener
spiegava la deriva con l'effetto centrifugo prodotto dalla rotazione terrestre, idea attualmente
abbandonata.
Wegener riteneva inoltre possibile spiegare la formazione delle catene montuose con l'effetto
prodotto dall'attrito del bordo continentale contro il mantello simatico. La teoria di Wegener venne
accolta con grande scetticismo dal mondo accademico ed in molti casi apertamente derisa,
soprattutto per la difficolt nel trovare un meccanismo in grado di giustificare in modo
soddisfacente il movimento dei continenti. Al giorno d'oggi la deriva appare un fatto accertato e la
teoria di Wegener ha trovato posto all'interno di una teoria geodinamica complessiva, la teoria della
tettonica a zolle.
Vi sono diverse evidenze a favore della deriva, esposte a suo tempo dallo stesso Wegener:

3.1 - prove morfologiche
Le coste occidentali africane combaciano con buona approssimazione con le coste orientali
americane. In realt le coste sono state continuamente modificate dal gioco congiunto dell'erosione
marina e della sedimentazione fluviale. Una corrispondenza assai migliore della linea di costa si
ottiene disegnando i confini dei continenti a qualche centinaio di metri sotto il livello del mare,
dove finisce la piattaforma continentale ed inizia la scarpata oceanica (i continenti continuano
infatti con lieve pendenza al di sotto del livello del mare per un tratto pi o meno esteso al di l
della linea di costa, formando un bordo sottomarino detto piattaforma continentale, poi
improvvisamente si produce una brusca variazione di pendenza, detta scarpata oceanica, che
sprofonda fino a collegarsi con le pianure abissali a 4000 - 5000 m di profondit). Bullard, agli
inizi degli anni '60, dimostr che la corrispondenza tra i continenti risultava migliore a livello dei
loro margini sommersi.


3.2 - Prove paleontologiche
Alcuni fossili di organismi viventi assolutamente non in grado di attraversare un oceano, sono stati
rinvenuti in sud Africa ed in Sud America. Un esempio particolarmente interessante dato dall'area
di diffusione del rettile 'mesosaurus'.


3.3 - Prove geologiche
Se costruiamo un puzzle non sufficiente che i pezzi si incastrino, necessario che appaia anche un
disegno con senso compiuto. Nel caso della deriva dei continenti il 'disegno' che deve apparire
rappresentato dai tipi di rocce e dalle fasce montuose osservabili in corrispondenza delle zone
costiere dei diversi continenti. Effettivamente sono stati rinvenuti strati sedimentari e catene
montuose che terminano lungo una costa e ricompaiono con caratteristiche analoghe sull'altra costa
al di l dell'oceano Atlantico.. Ad esempio gli Appalachi degli Stati Uniti orientali continuano con
caratteristiche simili in Groenlandia e nell'Europa settentrionale.

3.4 - Prove paleoclimatiche
Antichi conglomerati di origine morenica (tilliti) indicano che tra 200 e 300 milioni di anni fa coltri
di ghiacci coprivano la parte meridionale dell'America del Sud, dell'Africa, dell'India e
dell'Australia, regioni queste ultime che attualmente si trovano in zone tropicali. Wegener sugger
correttamente che riaccostando tali regioni e spostandole verso sud si poteva ottenere un'unica
grande calotta glaciale in corrispondenza degli attuali sedimenti glaciali. In modo analogo, molte
Atmosfera e Meteorologia
10-4
regioni che attualmente si trovano a latitudini piuttosto elevate si sarebbero trovate un tempo pi a
sud, vicine ai tropici, in condizioni adatte alla formazione dei grandi giacimenti di carbone che oggi
vi si trovano.

Nonostante il gran numero di prove portate a favore della deriva l'ipotesi di Wegener venne rifiutata
dalla gran parte del mondo accademico, soprattutto perch non era allora disponibile alcun serio
meccanismo in grado di spiegare il movimento dei continenti.

10.4 Indizi per una teoria geodinamica globale
Tra gli anni '30 e '40 alcuni autori (Daly, 1933 - Perekis, 1935 - Grigg, 1939) iniziarono ad
intravedere la possibilit che alla base della dinamica crostale vi fossero enormi correnti di
convezione all'interno del mantello simatico.
Negli anni successivi poi, emersero altre e maggiori prove a favore della deriva continentale.

10.4.1 Discordanze dei dati paleomagnetici
Decisive furono le misurazioni paleomagnetiche effettuate agli inizi degli anni '50 su rocce coeve di
continenti diversi. Essendosi infatti formate nello stesso periodo, tali rocce avrebbero dovuto
indicare lo stesso paleonord magnetico, mentre i dati paleomagnetici risultavano in aperta
contraddizione, mostrando rocce di continenti diversi che indicavano ciascuna un diverso
paleonord. Si trattava di un risultato palesemente assurdo e l'unico modo di risolvere l'enigma era di
ipotizzare che, dopo aver registrato l'unico paleonord presente al momento della loro formazione,
tali rocce avessero subito un movimento di traslazione assieme ai continenti in cui si erano formate.
Muovendo i continenti in modo tale che i dati paleomagnetici di rocce coeve risultassero indicare
un unico polo nord magnetico fu quindi possibile ricostruire l'antica distribuzione delle terre
emerse. In modo analogo, i rilievi paleomagnetici eseguiti su rocce di et diversa permisero in
seguito di ricostruire con grande accuratezza i movimenti di deriva dei continenti.

10.4.2 Coincidenza tra aree sismiche e vulcaniche
Iniziarono inoltre ad emergere altri fatti che richiedevano sempre pi di essere collocati in un
modello geodinamico organico, in grado di collegare fenomeni apparentemente slegati, ma di cui si
intuiva l'unitariet. Si inizi ad esempio a notare la coincidenza tra aree sismiche e vulcaniche, la
quale suggeriva un legame tra eruzioni, terremoti e margini crostali in movimento.

10.4.3 Scoperta di ipocentri profondi: il piano di Benioff

Nel 1955 H. Benioff scopr come gli ipocentri dei terremoti, normalmente situati nei primi 100 km
di profondit, facessero eccezione in prossimit della costa pacifica del continente asiatico. In
Particolare Benioff dimostr che essi risultavano sempre pi profondi man mano che si procedeva
dal limite esterno dell'arco insulare giapponese verso il continente asiatico fino ad una profondit
massima di 700 km, disponendosi su di una ideale superficie inclinata di circa 45, in seguito detta
piano di Benioff.


10.4.4 Hess e lespansione dei fondali oceanici
In quegli stessi anni le datazioni radiometriche misero in evidenza che le rocce ai lati della dorsale
medio atlantica sono relativamente giovani, mentre la loro et cresce man mano che ci si avvicina
alla costa americana ed africana, fino ad una et massima di circa 200 milioni di anni. Misure di
paleomagnetismo effettuate sulle rocce basaltiche effuse ai lati della dorsale medio atlantica
dimostrarono infine agli inizi degli anni '60, la presenza delle fasce simmetriche a polarit
magnetica alterna. Alla luce di tutti questi dati nel 1962 Hess propose la sua teoria dell'espansione
dei fondali oceanici, secondo la quale il magma basaltico proveniente dal mantello, in risalita a
Atmosfera e Meteorologia
10-5
livello della dorsale medio atlantica, solidificandosi, formava nuova crosta oceanica e spingeva
quella vecchia verso il bordo dei continenti. Il fatto poi che non esistesse crosta oceanica di et
superiore ai 200 milioni di anni portava ad ipotizzare l'esistenza di un qualche meccanismo in grado
di riassorbire la crosta oceanica pi vecchia a livello del margine continentale.
Finalmente nel 1967 venne elaborata una teoria geodinamica complessiva in grado di riunire in uno
schema unico e coerente tutti i contributi parziali emersi negli anni precedenti. Il modello della
tettonica a zolle o a placche venne abbozzato da Parker e Mc Kenzie, ma fu sviluppato ed
approfondito in seguito, fino alla sua forma attuale, da un gran numero di studiosi.

10.5 Teoria della tettonica a zolle
Secondo tale teoria la litosfera non sarebbe formata da uno strato roccioso continuo, ma sarebbe
frammentata in diversi pezzi a forma di calotta sferica, dette placche o zolle, 6 maggiori e diverse
minori. Le zolle combaciano tra loro incastrandosi come in un mosaico, ma si muovono le une
rispetto alle altre, trascinate dai movimenti di convezione presenti nella sottostante astenosfera,
sulla quale praticamente galleggiano. Ciascuna zolla pu essere costituita di sola litosfera di tipo
oceanico, di sola litosfera di tipo continentale o di porzioni di diversa grandezza di litosfera dei due
tipi. In altre parole i margini delle zolle possono correre attraverso i continenti, attraverso gli
oceani o, come avviene nella maggior parte dei casi, al confine tra oceani e continenti. Nel loro
movimento reciproco le zolle possono presentare un moto di allontanamento, di avvicinamento o di
scorrimento laterale. Le principali interazioni tra le zolle avvengono quindi lungo i loro margini ed
dunque lungo di essi che si verifica la maggior parte dell'attivit sismica, vulcanica ed orogenetica
del nostro pianeta. In relazione al movimento reciproco delle zolle i margini si classificano in:
- Margini divergenti o costruttivi, in corrispondenza dei quali due placche si allontanano
lasciando spazio alla risalita di magma dal mantello a formare nuova crosta;
- Margini convergenti o distruttivi, in corrispondenza dei quali due zolle si avvicinano
provocando la distruzione di crosta;
- Margini trasformi o conservativi, in corrispondenza dei quali due zolle scivolano lateralmente
l'una rispetto all'altra.

10.5.1 I margini divergenti
Sono sede di moti convettivi di risalita a livello dell'astenosfera. Il materiale caldo scontrandosi con
la litosfera diverge sottoponendola ad enormi trazioni che finiscono per spaccarla e allontanarne i
lembi. Sono margini divergenti le dorsali oceaniche e le fosse tettoniche.

10.5.1.a Le dorsali oceaniche
costituiscono delle catene di rilievi larghe fino a 1500 km, alte fino a 2000 m, con una lunghezza
totale di circa 70.000 km. Costituiscono un sistema continuo che attraversa tutti gli oceani.
Nell'oceano Atlantico e nell'oceano Indiano la dorsale percorsa longitudinalmente da una frattura
profonda (Rift Valley). Da tale frattura sono effuse ogni anno quantit enormi di lave basaltiche
provenienti dal mantello. Il sistema delle dorsali non si sviluppa secondo una linea continua, ma
attraverso una spezzata, nella quale tratti rettilinei di dorsale sono interrotti e spostati da fratture
ortogonali (faglie trasformi). Probabilmente le faglie, che risultano pi accentuate alle basse
latitudini, sono prodotte dalle tensioni differenziali che sulla litosfera esercita la diversa forza
centrifuga esistente alle diverse latitudini. In alcuni casi le dorsali affiorano in isole vulcaniche,
come accade per l'Islanda, le Azzorre, S. Elena, e Tristan da Cunha.
Si calcola che la dorsale medio atlantica (di gran lunga la pi studiata) produca nuova crosta
oceanica, sostenendo in tal modo l'espansione dei fondali, alla velocit media di circa 5 cm l'anno.
Gli edifici vulcanici che si formano lungo la dorsale contribuiscono certamente ad innalzarla al di
sopra del livello dei fondali oceanici, ma si ritiene che la causa principale della sua posizione
elevata vada attribuita al magma in risalita. Trattandosi di un materiale molto caldo e quindi meno
denso delle rocce circostanti, la dorsale tende a "gonfiarsi" e a galleggiare sul sottostante mantello.
Atmosfera e Meteorologia
10-6
Man mano che ci si allontana dall'asse della dorsale, la litosfera oceanica di recente formazione si
raffredda e si contrae, attraverso un processo detto di subsidenza termica. Sono necessari circa 100
milioni di anni affinch i processi di raffreddamento e contrazione si completino. Al termine di
questo periodo, rocce che facevano inizialmente parte di un grande sistema montuoso sottomarino,
vanno a costituire i fondali oceanici.





Tale fenomeno di contrazione crostale viene invocato anche per spiegare l'esistenza sui fondali
oceanici dei guyot, monti sottomarini dalla cima piatta, spesso incrostati alla loro sommit di
coralli. La presenza dei coralli, che non vivono a profondit inferiori ai 50 m, porta necessariamente
a concludere che i guyot devono essersi trovati in passato molto pi vicini alla superficie oceanica
di quanto non siano ora. Si ritiene infatti che i guyot siano i resti di vulcani originatisi in prossimit
delle dorsali, emersi dal mare come isole vulcaniche ed in seguito erosi ed appiattiti dall'azione del
moto ondose. Infine con l'espansione e la contrazione del fondale oceanico sono costretti a
sprofondare.
Se lo sprofondamento del guyot sufficientemente lento, i coralli che vivono lungo i bordi dell'isola
vulcanica hanno il tempo di crescere verso l'alto formando un anello circolare. Si ritiene che tale sia
il meccanismo di formazione degli atolli corallini.




L'espandimento dei fondali oceanici legato ai margini divergenti in grado di spiegare anche altre
strane strutture osservabili sui fondali oceanici, come gli allineamenti dei vulcani sommersi.
Atmosfera e Meteorologia
10-7
Si scoperto ad esempio che l'allineamento delle isole Hawaii prosegue verso nord con una serie di
vulcani sommersi fino alle isole Midway e poi ancora fino alle Aleutine. La datazione radiometrica
ha inoltre messo in evidenza che l'isola pi meridionale dell'arcipelago delle Hawaii la pi
giovane, mentre man mano che ci si sposta verso nord l'et delle isole e dei successivi vulcani
sottomarini aumenta progressivamente. I geofisici ritengono che si tratti di uno dei rarissimi casi di
vulcanesimo prodottosi al di fuori dei margini crostali ed indicato con il termine di hot spot o punto
caldo. Secondo tale ipotesi i punti caldi sarebbero sostenuti da correnti convettive ascendenti,
concentrate in un flusso cilindrico detto plume o pennacchio. L'allineamento degli edifici vulcanici
sottomarini e la loro et in progressione potrebbe dunque spiegarsi supponendo che la placca
pacifica si stia muovendo sopra un punto caldo relativamente stazionario. L'et di ogni edificio
vulcanico indicherebbe perci il momento in cui esso si trovava sopra il punto caldo. Dati recenti
indicano che al largo della costa meridionale dell'ultima isola dell'arcipelago delle Hawaii si stia
formando un nuovo edificio vulcanico. Tra non molto tempo, geologicamente parlando, un'altra
isola si aggiunger dunque all'arcipelago.

10.5.1.b Le fosse tettoniche
Non tutti i margini divergenti sono antichi come la dorsale medio atlantica e non tutti si trovano in
mezzo all'oceano. Si ritiene ad esempio che il Mar Rosso sia una zona di recente apertura di un
margine divergente. L'Arabia si sta infatti muovendo verso nord-est, separandosi dall'Africa. Il Mar
Rosso ci mostra in qualche modo come doveva essere l'oceano Atlantico circa 200 milioni di anni
fa.
Quando una corrente convettiva divergente si forma sotto una zolla continentale questa, sottoposta
ad un'enorme trazione, destinata a fratturarsi producendo tipici sistemi di faglie a gradinata, con
formazione di una fossa tettonica. Anche al centro di una fossa tettonica si trova una caratteristica
depressione che la percorre longitudinalmente, detta rift valley.



Esempi di fosse tettoniche sono in Europa la valle del Reno, in Africa il grande sistema che parte
dalla valle del Giordano in Libano e proseguendo lungo il Mar Morto ed il Mar Rosso arriva fino
alla regione di grandi laghi dell'Africa orientale, per una lunghezza complessiva di circa 5000 km.
Se il flusso convettivo astenosferico permarr l'Africa sar destinata ad aprirsi. La rift valley
diventer uno stretto braccio di mare, come l'attuale Mar Rosso, per trasformarsi in milioni di anni
in un oceano come quello atlantico.




Atmosfera e Meteorologia
10-8
10.5.2 margini convergenti
Poich lungo i margini divergenti si forma nuova litosfera e la superficie della terra rimane costante,
altra litosfera deve necessariamente venir distrutta da qualche altra parte. Ci accade dove le zolle si
scontrano. La collisione di due zolle produce risultati diversi a seconda del tipo di litosfera
coinvolta nel processo. In tal modo si possono distinguere sostanzialmente tre tipi di margini
convergenti.

10.5.2.a Convergenza litosfera oceanica - litosfera continentale
La litosfera oceanica pi densa e sottile si infila sotto la litosfera continentale pi spessa e leggera
con un movimento detto di subduzione. Penetrando nell'astenosfera la placca che sprofonda
comincia a riscaldarsi, in parte per l'enorme attrito prodotto ed in parte per il gradiente geotermico.
In tal modo la litosfera oceanica perde gradualmente rigidit fino ad essere completamente
riassorbita dall'astenosfera ad una profondit di circa 700 km. Il piano di subduzione della litosfera
oceanica che sprofonda stato individuato attraverso la rilevazione degli ipocentri dei sismi
associati allo sprofondamento della placca e corrisponde al gi citato piano di Benioff. Nel punto in
cui la crosta oceanica si incurva verso il basso si origina uno sprofondamento del fondale marino
che si manifesta come una stretta e lunga fossa oceanica. Le fosse oceaniche sono le zone pi
profonde degli oceani, con una larghezza variabile tra i 100 e i 200 km, una lunghezza di migliaia di
chilometri ed una profondit di 10 - 13 km. Esse corrono in genere parallelamente alla costa
continentale che circonda l'oceano Pacifico (fossa delle Marianne, fossa delle Aleutine etc.).
Penetrando nell'astenosfera la placca oceanica comincia a fondere. Il magma che si forma meno
denso e meno basico del mantello circostante, a causa del processo di fusione parziale e
dell'infiltrazione di acqua. Per questo motivo esso inizia a risalire lentamente verso la superficie. La
maggior parte di esso resta imprigionato all'interno della crosta continentale, dove si raffredda e
forma rocce intrusive. In parte per arriva alla superficie producendo eruzioni vulcaniche sostenute
da magma di tipo andesitico. Si ritiene ad esempio che la catena delle Ande si sia formata proprio in
questo modo. Catene montuose di questo tipo, associabili all'attivit vulcanica legata alla
subduzione della litosfera oceanica sono dette archi magmatici.



L'intera struttura conosciuta come sistema arco - fossa. Altri esempi di archi magmatici sono la
Catena delle Cascate e la Sierra Nevada negli Stati Uniti occidentali. L'erosione continentale intanto
accumula enormi quantit di sedimenti soprattutto a livello della fossa, che si comporta quindi come
Atmosfera e Meteorologia
10-9
una geosinclinale. In seguito l'avvicinamento delle due zolle comprime e solleva i sedimenti fino a
formare delle catene montuose che si fondono con gli archi magmatici, in un processo di orogenesi.
Le rocce sedimentarie pi profonde subiscono intensi processi metamorfici e spesso contengono
caratteristici brandelli strappati alla crosta oceanica in subduzione, noti come ofioliti.



10.5.2.b Convergenza litosfera oceanica - litosfera oceanica
Quando le due zolle che convergono sono entrambe di litosfera oceanica, una delle sue entra in
subduzione. Anche in questo caso si forma un tipico sistema arco - fossa. Ma l'arco magmatico
invece di impostarsi in corrispondenza del bordo continentale come nel caso precedente, sorge dal
fondale oceanico, formando caratteristiche ghirlande di isole vulcaniche, in genere a poca distanza
dalla costa. Tipici esempi sono gli arcipelaghi delle Aleutine in Alaska, le Kurili a nord-est del
Giappone, l'arcipelago giapponese, le isole della Tonga, le Filippine, il gruppo Sumatra - Giava e,
fuori dal Pacifico, le grandi Antille.
Tra l'arco magmatico e la costa si forma un breve braccio di mare, poco profondo, detto bacino
marginale o di retroarco. Col passare del tempo, mentre l'arco cresce in altezza per l'attivit
vulcanica, il processo di erosione accumula sui due lati (bacino marginale e fossa) notevoli quantit
di sedimenti. I sedimenti sono destinati ad essere compressi, deformati e metamorfosati
dall'enorme compressione prodotta dalle due placche in avvicinamento. Se lo scontro tra le zolle
prosegue l'arco insulare destinato ad addossarsi al continente formando una catena costiera.
Con modalit diverse ma simili, questi primi due tipi di convergenza litosferica finiscono per essere
responsabili di fenomeni orogenetici ai margini dei continenti. I geologi ritengono oggi che i
continenti si siano progressivamente accresciuti ai loro bordi mediante successive deposizioni
orogenetiche, in seguito erose.
In tal modo i continenti sono oggi formatasi da porzioni di litosfera ormai completamente saldate
tra loro e spianate dall'erosione, chiamate cratoni, bordati dalle fasce orogenetiche o orgeni,
associati ai sistemi arco - fossa. I cratoni sono regioni stabili , pressoch prive di attivit sismica e
vulcanica. A loro volta si suddividono in scudi e tavolati.



Gli scudi sono costituiti da vaste aree leggermente convesse formati da rocce intrusive e
metamorfiche molto antiche di cui non si pi in grado di ricostruire la storia. Intorno agli scudi si
Atmosfera e Meteorologia
10-10
depositano tavolati di rocce sedimentarie, al di sotto dei quali si ritrovano comunque le antiche
rocce degli scudi.
Gli scudi principali sono quello canadese, lo scudo siberiano, brasiliano, australiano, centro
africano.

10.5.2.c Convergenza litosfera continentale - litosfera continentale
Se il processo di avvicinamento prosegue entrambi i due tipi di convergenza finora esposti sono
destinati a consumare tutta la litosfera oceanica, con relativa chiusura di un bacino marino e
successivo scontro di due porzioni di litosfera continentale. In tal caso le due zolle continentali,
avendo la stessa densit non entrano in subduzione, ma collidono provocando un raccorciamento
crostale ed un corrugamento. Si formano in tal modo le catene montuose interne. Si ritiene che una
collisione di questo tipo tra l'India e l'Asia abbia originato la catena Himalayana. Collisioni
analoghe hanno prodotto altri sistemi montuosi come le Alpi, gli Appalachi negli Stati Uniti
orientali e gli Urali in Russia. Localmente lo scontro di due zolle continentali pu portare a
fenomeni di raddoppio crostale, con una zolla che si incastra sotto l'altra senza peraltro riuscire ad
immergersi nel mantello, come sembra essere avvenuto per l'altopiano Himalayano.




10.5.3 margini trasformi
Quando le placche scivolano lateralmente l'una rispetto all'altra si producono margini trasformi o
conservativi. La maggior parte dei margini trasformi interessa la litosfera oceanica, ma alcune,
come la faglia si San Andreas in California, si trovano all'interno di continenti.
Lungo la faglia di San Andreas la placca pacifica, alla quale appartiene la penisola della California,
si sta spostando verso nord-ovest rispetto alla placca nord americana che si sposta verso sud-est. Se
Atmosfera e Meteorologia
10-11
il movimento continuer, tra milioni di anni la California sar un'isola al largo del Pacifico e potr
forse, alla fine, raggiungere l'Alaska o la Russia.
Atmosfera e Meteorologia
11-1




11 Atmosfera e Meteorologia

L'atmosfera l'involucro gassoso che avvolge la terra, trattenuto dalla gravit. L'atmosfera
costituita da una miscela di gas che diventa sempre pi rarefatta con l'altezza. Anche il rapporto tra i
diversi gas si fa differente in quota. Si calcola che pi del 99% della massa gassosa sia contenuta
nei primi 40 km di atmosfera.

Lo studio della porzione pi bassa dell'atmosfera si esegue principalmente tramite palloni o aerei
opportunamente attrezzati. Al di sopra dei 30 - 35 km l'aria talmente rarefatta da non riuscire pi a
sostenere palloni e sonde, per cui si deve ricorrere a razzi. Continua ad esservi per una certa
difficolt ad ottenere dati accurati di quella parte di atmosfera compresa tra i 35 e i 160 km, poich
si tratta di quote troppo alte per aerei e palloni e troppo basse per porvi in orbita satelliti. I dati in
nostro possesso per tale intervallo di altezza sono stati per lo pi raccolti dai satelliti durante la
fase di attraversamento.

Il limite superiore dell'atmosfera puramente convenzionale. Alcuni autori lo pongono a 1500 km,
altri a 2500 km, altri ancora a 5000 km. Si potrebbe affermare che l'atmosfera termina quando la sua
densit diventa uguale a quella dello spazio interplanetario, ma si tratta di un dato non costante che
risente dell'attivit solare e dell'intensit del vento solare.
Una prima grande suddivisione separa l'atmosfera in bassa atmosfera o omosfera (fino a 100 km di
altezza) e alta atmosfera o eterosfera (oltre i 100 km di altezza).

L'omosfera detta cos perch la sua composizione chimica uguale in ogni sua parte. In altre
parole i diversi gas che compongono il miscuglio gassoso mantengono inalterate le proporzioni
reciproche, anche se naturalmente si fanno sempre pi rarefatti con l'altezza. La sostanziale
costanza nelle percentuali gassose dell'omosfera legata ai fenomeni di rimescolamento che la
caratterizzano.

L'eterosfera invece presenta una stratificazione dei diversi gas secondo il diverso peso molecolare.
La sua composizione chimica risulta perci diversa di quella della omosfera.

L'omosfera costituita da un miscuglio di gas chiamato aria.
L'aria secca composta per il 78% di azoto, per il 21% di ossigeno, per lo 0,03% di anidride
carbonica e da piccolissime quantit di gas rari (0,01% in totale) come argo neon, elio, krypton,
xeno idrogeno etc.
L'aria contiene inoltre quantit variabili di pulviscolo atmosferico, proveniente sia da fonti naturali
(sferule vetrose provenienti dallo spazio, polveri vulcaniche, spore batteriche e granuli di polline)
che da fonti artificiali legate alle attivit antropiche (prodotti della combustione incompleta di legna,
petrolio, carbone etc). Il pulviscolo atmosferico riveste una importanza particolare nei processi di
condensazione dell'acqua. Esso va a costituire infatti i nuclei di condensazione, attorno ai quali si
formano le gocce d'acqua. Se non vi fosse il pulviscolo atmosferico i fenomeni meteorologici si
svolgerebbero con modalit differenti.

Infine l'aria contiene percentuali variabili di vapor acqueo. La sua concentrazione cresce
normalmente con la temperatura dell'aria. A 30 C si possono avere fino a 30 g di vapore per m
3

d'aria.
Atmosfera e Meteorologia
11-2

Un'ulteriore suddivisione dell'atmosfera viene fatta in funzione dell'andamento della temperatura al
crescere della quota. La temperatura presenta infatti delle progressive ed alternate variazioni in
aumento ed in diminuzione all'aumentare dell'altezza, con caratteristiche inversioni termiche a certe
quote.
Ciascuna inversione termica segna il passaggio da uno strato a quello successivo.

L'omosfera viene in tal modo suddivisa, in base al suo comportamento termico in troposfera,
stratosfera e mesosfera.

11.1 Troposfera
La troposfera lo strato a contatto con la superficie terrestre con spessore che varia da un minimo di
6 - 8 km sopra i poli, fino ad un massimo di 18 km all'equatore, a causa della rotazione terrestre. Il
termine deriva dal greco "tropos", rivolgimento, poich in essa sono comuni movimenti di masse
d'aria sia orizzontali (venti) che verticali (correnti ascendenti e discendenti), che ne fanno la parte
meglio rimescolata di tutta l'atmosfera. La troposfera quindi sede di tutti i fenomeni
meteorologici.
La troposfera trasparente alla luce visibile, mentre opaca alla radiazione infrarossa, che assorbe
soprattutto per la presenza del vapor acqueo e dell'anidride carbonica.
Per questo motivo essa non viene riscaldata dall'alto, ma dal basso. Dalla superficie terrestre che
riemette l'energia solare assorbita sotto forma di radiazione termica (radiazione di corpo nero, con
un massimo di emissione nell'infrarosso). Il processo noto come effetto serra e risulta tanto pi
intenso quanto maggiore e la percentuale di acqua e di anidride carbonica.
Questo comporta che la temperatura sia massima a contatto con la superficie terrestre e diminuisca
con l'aumentare dell'altezza secondo un gradiente medio di 0,6C ogni 100 m di altezza.
La diminuzione di temperatura si arresta ad una certa altezza per ricominciare a crescere. In
corrispondenza di tale inversione termica, detta tropopausa, si fa convenzionalmente terminare la
troposfera. L'inversione termica viene raggiunta a circa - 60C (- 50/-70C).
Curioso il fatto che la tropopausa risulti pi fredda sopra l'equatore che sopra i poli, a causa della
sua maggior altezza sopra di esso.

11.2 Stratosfera
Sopra la tropopausa inizia uno strato relativamente tranquillo detto stratosfera, che si estende fino
ai 50 km circa di altezza. Possiede la stessa composizione chimica della troposfera, ma di gran
lunga pi rarefatta. Il pulviscolo, l'anidride carbonica e il vapor acqueo sono praticamente assenti,
anche in rare occasioni si possono osservare, ad un'altezza di circa 20-30 km, delle sottili nubi
iridescenti dette nubi madreperlacee, formate probabilmente da minuscoli aghi di ghiaccio. Essendo
praticamente assente qualsiasi moto turbolento all'interno dell'aria questa tende a stratificare.
All'interno della stratosfera, tra i 20 e i 30 km di altezza presente il cosiddetto strato di ozono o
ozonosfera. L'ozono (ossigeno molecolare triatomico) si produce dalla interazione della radiazione
ultravioletta con l'ossigeno biatomico.

30
2
20
3


L'ozono risulta inoltre opaco alla radiazione ultravioletta. L'assorbimento di tale radiazione da parte
dello strato di ozono, oltre a contribuire ad eliminare una radiazione altamente energetica e quindi
pericolosa per la vita sulla terra, provoca un aumento dell'energia cinetica media delle particelle ed
un conseguente aumento della temperatura.
Ci spiega perch la stratosfera risulta pi calda al suo limite superiore che a quello inferiore.
Atmosfera e Meteorologia
11-3
L'aumento di temperatura raggiunge un massimo a circa 50 km di altezza dove si possono
raggiungere temperature di circa una quindicina di gradi (0 / +17C). Dopo i 50 km la temperatura
ricomincia a scendere. L'inversione termica, detta stratopausa, segna il limite di separazione tra la
stratosfera e l'involucro superiore, la mesosfera.

11.3 Mesosfera
Qui la temperatura ricomincia a scendere fino alla mesopausa posta a circa 90 km, dove viene
raggiunto il minimo assoluto di temperatura, intorno ai - 80C (- 70/- 90C). Anche in questo caso
si ritiene che ci sia dovuto al fatto che tale strato riscaldato dal basso, cio dagli strati caldi
dell'alta stratosfera.
Attorno ai 70-80 km di altezza si possono talora osservare, al crepuscolo d'estate, le sottili e brillanti
nubi nottilucenti. La maggior parte delle meteore si disintegrano nella mesosfera.
Oltre la mesopausa la temperatura ricomincia a crescere e linversione termica segna praticamente il
confine tra omosfera ed eterosfera.

Come abbiamo gi detto nell'alta atmosfera i gas tendono a stratificarsi secondo il loro peso
molecolare.
Tra i 100 e 200 km predomina l'azoto molecolare.
Tra i 200 e i 1100 km prevale l'ossigeno monoatomico prodotto dalla scissione dell'ossigeno
molecolare da parte della radiazione solare.
Tra i 1100 e i 3500 km abbiamo uno strato di elio.
Sopra i 3500 km si trova l'idrogeno.

Dalla mesopausa in poi la temperatura cresce essenzialmente per assorbimento diretto della
radiazione solare. l'eterosfera viene in pratica riscaldata dall'alto, in modo analogo a quanto avviene
per la stratosfera. In base al suo comportamento termico l'eterosfera viene suddivisa in termosfera
(o ionosfera) ed esosfera.

11.4 Termosfera
Nella termosfera la temperatura aumenta notevolmente fino a raggiungere a circa 500 km di altezza
un valore massimo intorno ai 1500- 2000C. Si tratta di temperature cinetiche in quanto i gas sono
troppo rarefatti per produrre fenomeni sensibili di propagazione del calore. Se ponessimo un
termometro al riparo dai raggi diretti del sole esso segnerebbe temperature molto inferiori agli 0C,
in quanto gli scambi di energia tra le molecole dell'aria ed il termometro sarebbero estremamente
improbabili.

11.5 Esosfera
Oltre i 500 km la temperatura si stabilizza intorno ai valori massimi raggiunti. Al di sopra di tale
altezza viene posta l'esosfera che arriva fino al limite esterno dell'atmosfera.

Oltre che in base al suo comportamento termico, l'eterosfera pu essere descritta anche in relazione
alla sua struttura elettrica.
La radiazione solare, soprattutto quella ad alta energia, come i raggi X ed i raggi cosmici (i quali
per non hanno esclusivamente origine solare), in grado di rompere legami chimici, producendo
elementi allo stato atomico, e di strappare elettroni con formazione di particelle cariche o ioni.
Mentre nella bassa atmosfera che sufficientemente densa, tali particelle ritornano presto neutre
tramite interazioni reciproche, nella alta atmosfera ci non avviene. L'alta rarefazione, riducendo la
probabilit delle interazioni (il cammino libero medio delle particelle molto elevato), consente a
molte particelle ionizzate di sopravvivere per periodi pi lunghi.
Atmosfera e Meteorologia
11-4
La presenza di particelle ionizzate inizia al di sopra degli 80 - 90 km ed aumenta progressivamente
fino a raggiungere un massimo intorno ai 300 km (2 ioni ogni 1000 particelle) per poi diminuire.
Per indicare tale fenomeno stato introdotto il termine di ionosfera. La ionosfera coincide grosso
modo con la termosfera.

La presenza di tali ioni hanno una grande importanza pratica poich vengono usati come strati
riflettenti per le onde elettromagnetiche usate nelle radiocomunicazioni.
Sono stati individuati 4 strati riflettenti:

- Strato D (60 - 80 km) riflette le onde lunghe
- Strato E (90 - 120 km) riflette le onde medie
- Strato F
1
(200 - 250 km) riflette le onde corte
- Strato F
2
(400 - 500 km) riflette le onde cortissime
Tali strati non sono in grado di riflettere le onde ancor pi corte utilizzate per le trasmissioni
televisive, le quali necessitano quindi di ripetitori a terra.

Sopra i 500 km quasi tutte le particelle sono ionizzate, ma l'atmosfera talmente rarefatta che il loro
numero per unit di volume di gran lunga inferiore a quello che, sia pure in piccola percentuale,
forma la ionosfera. La grande rarefazione di tali ioni ne accresce enormemente la vita media, cos
che essi non si muovono di moto casuale, ma vengono deviati dalle linee di forza del campo
magnetico, andando a formare quella che viene chiamata magnetosfera.

La magnetosfera a sua volta immersa nel vento solare (un flusso di elettroni e protoni). Il vento
solare non in grado di penetrare la magnetosfera, ma interagisce con essa deformandola e
facendole assumere la caratteristica forma a goccia. La magnetosfera viene cio compressa dalla
parte del sole, mentre nella direzione opposta si allunga fino ad una distanza di un migliaio di raggi
terrestri.

Negli anni '50 sono infine state scoperte all'interno della magnetosfera delle zone di particelle
ionizzate con un contenuto energetico molto superiore a quello delle particelle che costituiscono il
resto della magnetosfera. Queste particelle sono confinate a formare due anelli concentrici che
lasciano scoperti i poli, dette fasce di Van Allen.

- La prima, spessa circa 1500 km, incentrata attorno ai 3000 km di altezza. E' pi stabile e sembra
costituita essenzialmente da protoni.
- La seconda, spessa circa 6000 km, incentrata intorno ai 25000 km di altezza. E' meno stabile e
sembra costituita essenzialmente da elettroni.

Non vi ancora una spiegazione soddisfacente circa l'origine delle fasce di Van Allen.

Il fenomeno pi spettacolare associato alla magnetosfera sicuramente la formazione delle aurore
polari. Si tratta della comparsa nel cielo notturno, a latitudini intorno ai 65 (sia nord che sud), di
archi luminosi, che cambiano rapidamente di colore. Tali fenomeni sembrano essere associati ai
brillamenti solari che generano variazioni nell'intensit del vento solare. In tal modo le particelle
cariche, costituenti il vento solare, vengono catturate dal campo magnetico terrestre e nelle aree
polari, dove le linee di forza si infittiscono e sono dirette perpendicolarmente alla superficie
terrestre, cadono verso terra eccitando gli atomi che incontrano. Gli atomi eccitati ritornano poi allo
stato fondamentale emettendo le loro caratteristiche righe spettrali. I colori tipici delle aurore polari
sono infatti il rosso ed il verde dell'ossigeno atomico e varie tonalit di azzurro dovute all'azoto
molecolare.

Atmosfera e Meteorologia
11-5
11.6 Radiazione solare, bilancio termico e isoterme
La quantit di energia solare che arriva su un cm
2
di superficie terrestre al minuto, al limite
superiore dell'atmosfera detta costante solare e vale 2 cal/cm
2
min (2 langley).
Le percentuali di radiazione assorbita e riflessa costituiscono il cosiddetto bilancio termico:

il 20% viene assorbito dall'atmosfera
il 30% viene riflesso dall'atmosfera nello spazio
il 50% raggiunge la superficie terrestre.

L'assorbimento causato, come abbiamo gi visto, essenzialmente dall'ozono, dall'anidride
carbonica e dal vapor acqueo.
La riflessione causata essenzialmente dalle nubi e dal pulviscolo atmosferico.

In realt anche la superficie terrestre riflette radiazione, circa il 5%, che sommato al 30% riflesso
dall'atmosfera, porta l'albedo terrestre al 35%.

Naturalmente tutta l'energia assorbita dall'atmosfera e dalla superficie terrestre si trasforma in
calore, che la terra nel suo complesso riemette nello spazio circostante sotto forma di radiazione
termica. Se ci non avvenisse la terra sarebbe destinata a raffreddarsi o a surriscaldarsi
progressivamente.

Il bilancio termico costruito evidentemente su valori medi. Le regioni polari ricevono ovviamente
molto meno calore di quello che riescono a dissipare. Il contrario avviene per le regioni
intertropicali. Il bilancio energetico risulta effettivamente in pareggio solo per le regioni che si
trovano intorno al 33 parallelo.
Naturalmente il bilancio viene riequilibrato dai movimenti di masse d'aria e d'acqua calde dalle
regioni equatoriali alle regioni polari e fredde nella direzione opposta.

La temperatura atmosferica al suolo viene misurata nelle stazioni meteorologiche con un
termometro a mercurio posto in una capannina meteorologica, situata in un luogo aperto ad
un'altezza di circa 1 m dal suolo per non essere riscaldata direttamente dal terreno. La capannina
viene inoltre di pinta di bianco per riflettere il pi possibile i raggi solari e presenta pareti a persiana
per favorire la circolazione dell'aria.
Il termometro in grado di registrare sia la temperatura minima che la massima della giornata.
Facendo la media tra la temperatura minima e quella massima di un determinato giorno si ottiene la
temperatura media diurna.
La temperatura media mensile si ottiene come media delle temperature medie diurne di tutti i giorni
di un determinato mese. Infine facendo la media delle medie mensili si calcola la temperatura
media annua.
Congiungendo con una linea punti della superficie terrestre che presentano la stessa temperatura
media (di un certo mese o di un certo anno) si ottengono delle isoterme. Le isoterme vengono
costruite dopo aver eliminato l'effetto della differenza di altitudine delle diverse localit.

Fattori che determinano la temperatura
La temperatura di un luogo dipende fondamentalmente dalla latitudine. Infatti muovendoci
dall'equatore verso i poli i raggi solari arrivano sulla superficie terrestre con sempre minor
inclinazione con il risultato che la stessa energia radiante si distribuisce su di una superficie
progressivamente maggiore.
Se non vi fosse dunque nessun altro fattore ad influenzare la temperatura le isoterme seguirebbero
fedelmente l'andamento dei paralleli.

Atmosfera e Meteorologia
11-6
Ci non si verifica essenzialmente a causa di una ineguale distribuzione dei mari e delle terre
emerse. Infatti l'acqua caratterizzata da un calore specifico pari a circa 2,5 volte quello della terra.
In altre parole l'acqua si riscalda e si raffredda molto pi lentamente di quanto non facciano le aree
continentali. Inoltre mentre assorbe calore l'acqua evapora ed il processo di evaporazione assorbe
calore (calore latente) senza che aumenti la temperatura.
In tal modo la presenza di acqua tende a mitigare il clima, abbassando le temperature dei mesi caldi
e restituendo il calore nei mesi freddi.

L'osservazione di una carte delle isoterme annue permette di verificare tale ipotesi, infatti:
- l'isoterma pi elevata (equatore termico) non coincide con l'equatore geografico ma presenta una
latitudine media di 5N, per la presenza di una maggior percentuale di terre emerse nell'emisfero
boreale.
- Le isoterme dell'emisfero australe risultano pi regolari di quelle dell'emisfero boreale poich
corrono per lo pi attraverso gli oceani.
- Le isoterme modificano il loro percorso, deviando rispetto ai paralleli, ogni qualvolta incontrano
una terra emersa. (flettono verso nord).

11.7 Pressione atmosferica e isobare
La terra attrae gravitazionalmente il suo involucro gassoso. La forza con cui terra e atmosfera si
attraggono non altro che il peso dell'atmosfera. La forza che l'atmosfera esercita su ciascun cm2
della superficie terrestre detta pressione atmosferica.
Si definisce pressione atmosferica normale o standard quella esercitata dall'atmosfera a 45N, 0C,
0 m s.l.m., in assenza di umidit (aria secca).
Essa vale 1 atm = 1033 g/cm
2


Nel sistema cgs la forza si misura in "dine" , il cui simbolo "dyn" (1 dina = forza necessaria per
imprimere ad una massa di 1 g una accelerazione di 1 cm/s
2
). Se sottoponiamo 1033 g
all'accelerazione di gravit "g" = 986 cm/s2) otteniamo una forza di 1.013.000 dine

F = m a = 1033
*
986 = 1.013.000 dine

In meteorologia si usa come unit di misura della pressione il "bar" pari a 1.000.000 dine/cm2.
La pressione normale vale perci 1,013 bar o 1013 millibar (mb).

La pressione atmosferica varia con la quota, l'umidit e la temperatura dell'aria.

Effetto della quota
Poich alzandoci in quota diminuisce lo spessore di gas atmosferici che ci sovrasta, la pressione
diminuisce con l'altezza.
Il ritmo di diminuzione naturalmente pi elevato inizialmente, essendo la bassa atmosfera pi
densa rispetto all'alta atmosfera. Per lo stesso motivo la pressione atmosferica diminuisce con
l'altezza pi rapidamente nelle zone di alta pressione rispetto alle zone di bassa pressione.

Effetto dell'umidit
A parit di temperatura, l'aria umida pi leggera dell'aria secca. Sappiamo infatti dalle leggi che
descrivono il comportamento dei gas che uno stesso volume di una qualsiasi miscela di gas alla
stessa temperatura contiene sempre lo stesso numero di molecole. Ora, se una percentuale maggiore
di queste molecole costituita da vapor acqueo, il peso complessivo diminuisce in quanto l'acqua
ha un peso molecolare inferiore (18) rispetto a quello dell'ossigeno molecolare (32) e dell'azoto
molecolare (28).
Atmosfera e Meteorologia
11-7

Effetto della temperatura
L'aria calda pi leggera dell'aria fredda per due ragioni:
1) Secondo quanto previsto dalla legge di Gay-Lussac, all'aumentare della temperatura qualsiasi gas
si espande e di conseguenza diminuisce la sua densit.
2)All'aumentare della temperatura aumenta la quantit di vapor acqueo che un medesimo volume di
aria pu contenere. L'aria calda tende perci ad essere pi umida e per questo pi leggera.

La distribuzione della pressione sulla superficie terrestre, ridotta al livello del mare, evidenziata
tramite linee che congiungono punti aventi la stessa pressione, dette isobare.

Le isobare appaiono come linee curve chiuse irregolari concentriche. Si possono determinare due
casi:

A) Le isobare racchiudono altre isobare caratterizzate da valori via via crescenti. Le zone cos
delimitate si dicono zone di alta pressione o anticicloniche.

B) Le isobare racchiudono altre isobare caratterizzate da valori decrescenti della pressione. Le zone
cos delimitate vengono dette zone di bassa pressione o cicloniche.
Una certa area non pu essere comunque definita di alta o bassa pressione se non relativamente ad
un'altra.



11.8 I venti
La differenza di pressione esistente tra un'area ciclonica ed una anticilclonica tende ad essere
compensata da un movimento orizzontale di masse d'aria, le quali si spostano dalla zona di alta
pressione verso la zona di bassa pressione.
Nelle zone di alta pressione l'aria fredda e asciutta, pi pesante, tende infatti a scendere ed a
divergere al suolo, venendo poi richiamata dalle zone di bassa pressione, dove l'aria calda ed umida
tende a salire, creando una depressione al suolo.



Atmosfera e Meteorologia
11-8
Se la terra non ruotasse i movimenti dei venti seguirebbero esattamente la direzione del vettore
gradiente barico che congiunge il centro delle zone di alta pressione al centro delle zone di bassa
pressione.



In realt i venti sono soggetti alla forza di Coriolis, per cui nell'emisfero boreale escono dalle zone
di alta pressione, deviando verso destra con movimento antiorario, secondo quanto previsto dalla
legge di Ferrel. Vengono poi richiamati dalle zone di bassa pressione, che imprimono loro un
movimento antiorario. E' proprio il movimento vorticoso con cui i venti entrano nelle zone di bassa
pressione che ha meritato loro il nome di zone cicloniche.



Naturalmente nell'emisfero australe la situazione capovolta ed i venti escono dalle zone di alta
pressione con movimento antiorario ed entrano nelle zone di bassa pressione con movimento orario.
In realt i venti non si dispongono mai perfettamente lungo le isobare, ma le tagliano con un angolo
che dipende dall'attrito che la massa d'aria produce con la superficie terrestre e che tende a
contrastare l'adattamento dei venti alle isobare.
Infatti se i venti si formano sopra i mari, dove l'attrito minore, tagliano le isobare con
un'inclinazione di 10 circa, mentre sopra i continenti l'angolo pu arrivare a 30-40.

Tale comportamento viene riassunto dalla legge di Buys-Ballot, una legge empirica usata un tempo
dai naviganti, secondo la quale, nel nostro emisfero, avendo il vento alle spalle, la zona di alta
pressione si trova sempre a destra.

Fino a qualche tempo fa si riteneva che la circolazione osservata nella bassa troposfera si
completasse in quota, nella alta troposfera, con dei venti di ritorno che chiudevano il movimento
formando le cosiddette celle di Hadley.



Atmosfera e Meteorologia
11-9


Oggi tale ipotesi stata profondamente modificata, poich le osservazioni in quota hanno
confermato l'esistenza di tali venti di ritorno solo in casi particolari, per alcuni venti locali e
periodici.

Tipici esempi di venti locali sono le brezze di mare e di terra, legati al diverso comportamento
termico dei mari e delle terre ed agli squilibri barici che ne derivano. Durante il giorno infatti la
terra si riscalda pi rapidamente del mare diventando sede di una bassa pressione che richiama aria
dal mare (brezza di mare). Durante la notte le condizioni bariche si capovolgono poich la terra,
raffreddandosi pi rapidamente diventa sede di una zona di alta pressione che spinge aria verso il
mare ancora caldo (brezza di terra).
Fenomeni analoghi si hanno con le brezze di monte e di valle, in cui di giorno si presenta un
riscaldamento pi rapido delle cime montuose rispetto alle vallate sottostanti, con formazione di una
brezza che soffia da valle verso il monte (brezza di valle). Di notte si produce invece una brezza
opposta che dal monte scende a valle (brezza di monte).

Contrasti barici analoghi, ma di proporzioni molto maggiori, che interessano cio aree geografiche
molto pi vaste, possono produrre importanti movimenti di masse d'aria classificati come venti
periodici. I venti periodici spirano in modo caratteristico solo in certe stagioni dell'anno. Ne sono un
esempio i monsoni che d'estate soffiano dall'oceano Indiano verso l'Asia, portando aria calda ed
umida (stagione delle piogge), mentre d'inverno soffiano, freddi ed asciutti, dal continente verso
l'oceano.
I dati pi recenti a disposizione sembrano per escludere una semplice interpretazione termica dei
monsoni, visti come brezze di enormi proporzioni. Non essendo stata riscontrata in quota la
presenza di contro-monsoni a chiudere la cella di Hadley, si ritiene oggi pi probabile una
interpretazione dinamica, legata alla circolazione atmosferica generale.

11.9 Circolazione generale dell'atmosfera
La circolazione generale dell'atmosfera legata all'esistenza di imponenti sistemi di venti costanti
che mantengono approssimativamente inalterate la loro direzione ed il loro verso durante tutto
l'anno.
La dinamica di tali venti risulta peraltro diversa nella bassa e nell'alta troposfera, sebbene vi sia uno
stretto collegamento tra i due sistemi.

1) Circolazione nella bassa troposfera
Atmosfera e Meteorologia
11-10
La struttura e la dinamica di tale circolazione legata all'esistenza, in ciascun emisfero, di 2 zone di
basse pressioni e 2 zone di alte pressioni, che si alternano dall'equatore ai poli seguendo
l'andamento dei paralleli, a circa 30 di distanza l'una dall'altra. Per l'emisfero boreale la situazione
la seguente:

a) Basse pressioni equatoriali (da 5S a 5N), prodotte essenzialmente dalla gran quantit di
radiazione solare ricevuta durante tutto l'anno.

b) Alte pressioni subtropicali (intorno ai 30N), di origine non termica ma dinamica, legate alla
circolazione in quota, nell'alta troposfera.

c) Basse pressioni subpolari (intorno ai 60N), anche queste di origine dinamica, legate alla
circolazione in quota.

d) Alte pressioni polari (sopra il polo Nord), originate essenzialmente dalle basse temperature
polari.

Nell'emisfero australe la situazione speculare.









Le 4 fasce a condizioni bariche alterne ed opposte generano 3 sistemi di venti costanti su ciascun
emisfero.
a) Gli Alisei, che prendono origine dalle alte pressioni subtropicali e soffiano verso le basse
pressioni equatoriali. Essendo deviati verso destra, gli alisei provengono da nord-est e sono per
questo detti venti orientali.
Atmosfera e Meteorologia
11-11
b) I venti occidentali, che prendono sempre origine dalle alte pressioni subtropicali, ma vengono
attirati dalle basse pressioni subpolari. Anch'essi deviati verso destra, soffiano da sud-ovest. Sono i
venti che interessano le nostre latitudini.
c) i venti polari, che prendono origine dalle alte pressioni polari e si dirigono verso le basse
pressioni subpolari, proveniendo, come gli alisei, da nord-est.


Nelle zone equatoriali dove gli alisei boreali si incontrano con gli alisei australi, l'aria calda sale
verticalmente, mentre lungo le fasce subtropicali dei due emisferi l'aria scende verticalmente. Sono
le zone dette delle "calme equatoriali" e delle "calme subtropicali", temute un tempo dai velieri
che potevano rimanervi bloccati per settimane.

2)Circolazione nell'alta troposfera
Un tempo si riteneva che nell'alta troposfera esistessero dei venti di ritorno in corrispondenza dei tre
sistemi di venti al suolo, in modo da chiudere la circolazione con la formazione di tre grandi celle di
Hadley per emisfero.
In realt sopra i 4-5 km la circolazione dei venti risulta in qualche modo semplificata.
Salendo in quota si trovano infatti una zona di basse pressioni sopra i poli ed una fascia di alte
pressioni poco sopra l'equatore (intorno ai 15N).
Si ritiene che tale inversione barica sia da collegare al fatto che salendo in quota la pressione
atmosferica diminuisce pi rapidamente nelle zone di alta pressione (dove la maggior parte dei gas
sono compressi al suolo) rispetto a quelle di bassa pressione.
Ci produce in quota un vento che soffia dalle alte pressioni subequatoriali verso le basse pressioni
polari. Tali venti vengono deviati verso destra dalla forza di Coriolis, senza risentire dell'attrito
della superficie terrestre. Raggiungono perci l'equilibrio quando si dispongono parallelamente alle
isobare, le quali, nell'alta troposfera corrono in pratica parallelamente ai paralleli. Si formano cos
dei venti occidentali in grado di effettuare l'intero giro del globo.

Tali venti raggiungono velocit elevatissime, dell'ordine di 2-300 km/h, intorno ai 30 e 60 di
latitudine, formando due veri e propri fiumi d'aria, la cui velocit decresce dal centro verso
l'esterno.
Tali venti, detti correnti a getto o jet-stream, furono scoperti per la prima volta durante la II guerra
mondiale, quando gli aerei americani in volo ad alta quota verso ovest, ne vennero investiti subendo
forti rallentamenti.

Atmosfera e Meteorologia
11-12
La corrente a getto pi a nord si trova sopra il fronte polare (la superficie di separazione tra l'aria
fredda polare e quella calda delle basse latitudini, detta aria tropicale). Essa detta corrente a getto
del fronte polare o GFP.

La corrente a getto pi a sud detta invece corrente a getto subtropicale o GST.
In corrispondenza dei due getti vi sono due bruschi salti nel livello della tropopausa, la quale passa
da 15 a 13 km a livello del getto subtropicale e da 10 ad 8 km a livello del getto subpolare.


Le correnti a getto presentano variazioni stagionali in latitudine, altezza e velocit. Le moderne
teorie sulla circolazione generale dell'atmosfera ritengono che i principali fenomeni che si
producono al suolo, come ad esempio l'evoluzione delle perturbazioni atmosferiche alle medie
latitudini sia da ricondurre alla dinamica delle correnti a getto.

Alla dinamica del getto subpolare sembrano in particolare legate le due fasce di alte e basse
pressioni che si formano al suolo in corrispondenza dei 30 e 60 di latitudine.
Sembra infatti che il getto subpolare sia il pi instabile e sia soggetto periodicamente a perdere il
suo andamento rettilineo per formare dei meandri, detti onde di Rossby, che si insinuano sempre
pi profondamente verso nord e verso sud.
Il fronte polare che separa l'aria calda delle medie latitudini dall'aria fredda polare, segue nella bassa
troposfera l'andamento sinuoso del getto sovrastante. In tal modo delle cellule di aria calda si
insinuano alle alte latitudini, mentre l'aria fredda polare viene spinta pi a sud. Superato un certo
livello le anse si strozzano lasciando sacche di aria calda verso i 60 e sacche di aria fredda verso i
30.

Atmosfera e Meteorologia
11-13


La corrente a getto riprende ora il suo aspetto rettilineo originario, ma l' immissione di aria fredda
polare verso le basse latitudini e di aria calda tropicale alle alte latitudini, produrrebbe a cadute
d'aria dal lato equatoriale e ad ascese d'aria dal lato polare. Si verrebbero in tal modo a creare le
fasce anticicloniche subtropicali e cicloniche subpolari.

11.10 Umidit dell'aria e precipitazioni
La quantit di vapor d'acqua presente nell'aria pu essere misurata attraverso due parametri:
l'umidit assoluta (U.A.) e l'umidit relativa (U.R.).

- L'umidit assoluta la quantit di acqua, espressa in grammi, presente in un m
3
di aria (g/m
3
).
Tale quantit variabile e dipende dalla temperatura dell'aria. Maggiore la temperatura, maggiore
la quantit d'acqua che pu essere presente nell'aria.
Ad esempio a 10 C un metro cubo d'aria pu contenere al massimo 9,4 g di vapore (naturalmente
ne pu contenere anche meno), mentre a 30C la quantit massima di vapore sale a 30 g/m
3
.
Quando l'aria contiene la massima quantit di vapore consentita dalla temperatura a cui si trova, si
dice satura.
Normalmente piuttosto raro che l'aria sia satura di vapor d'acqua. Quando ci avviene, tutta
l'umidit in eccesso destinata a condensarsi formando corpi nuvolosi o nebbie.

- l'umidit relativa il rapporto tra la quantit di vapor d'acqua effettivamente presente in un certo
volume d'aria e la massima quantit che lo stesso volume d'aria potrebbe contenere a quella
temperatura.
Se ad esempio a 30C sono presenti 3g di vapor d'acqua per m
3
d'aria, contro i 30 g che la stessa
aria potrebbe contenere se fosse satura, l'umidit relativa del 10% (3/30).
Ma se gli stessi 3 g fossero presenti in un m
3
d'aria a 10C, l'umidit relativa salirebbe oltre il 30%
(3/9,4).

Le variazioni di umidit relativa si possono quindi produrre per:
a) variazione della quantit di vapor d'acqua presente per unit di volume d'aria;
b) variazione della temperatura dell'aria.

Atmosfera e Meteorologia
11-14
Quando, per uno dei due motivi suesposti o per una combinazione di entrambi, l'umidit relativa
raggiunge il 100%, inizia il fenomeno della condensazione.
Data una massa d'aria con una certa umidit relativa, detto punto di saturazione o punto di
rugiada la temperatura alla quale l'umidit relativa raggiunge il 100%.

Se il punto di rugiada si trova sopra lo 0C allora la condensazione d luogo a minuscolo goccioline
di acqua (20 - 50 ), che si formano intorno ai nuclei di condensazione offerti dal pulviscolo
atmosferico.
Se il punto di rugiada si trova sotto lo 0C si formano microscopici cristalli di ghiaccio.

Le dimensioni ed il numero di goccioline che si condensano per unit di volume dipende dal tipo di
nuclei di condensazione presenti nel pulviscolo. I nuclei pi efficaci nel favorire la condensazione
sono quelli che portano cariche elettriche, anche parziali, essendo fortemente igroscopici.
La completa mancanza di nuclei di condensazione porta al fenomeno della sovrasaturazione. Si
tratta di un fenomeno piuttosto raro, ma sembra che le precipitazioni pi violente siano da imputarsi
alla formazione di nubi sovrasature.

Le goccioline che formano le nubi cadono verso il basso con velocit ridottissime. Esse sono infatti
rallentate dall'attrito con l'aria e dalla spinta idrostatica legata al principio di Archimede.
Si calcola che una goccia di 20 cada, nell'aria immobile, con una velocit di 72 m/h.
Ma normalmente in una nube sono presenti correnti ascensionali che impediscono la caduta di tali
goccioline , tenendole in sospensione.

Affinch una nube produca una precipitazione necessario che le microscopiche goccioline o i
minuscoli cristalli di ghiaccio si uniscano a formare particelle di dimensioni tali da non poter pi
essere sostenute dall'aria. Una goccia di pioggia ha un diametro compreso tra un decimo di
millimetro e qualche millimetro.
Il processo di fusione delle goccioline detto coalescenza ed favorito dai moti convettivi
ascensionali dell'aria all'interno delle nubi. La continua agitazione cui sono sottoposte le goccioline
ne facilit infatti l'incontro e la fusione.

Quando i moti convettivi all'interno della nube sono particolarmente intensi, le gocce possono
essere portate pi volte nelle regioni pi elevate del corpo nuvoloso, dove la temperatura inferiore
agli 0C. Qui si formano dei nuclei di ghiaccio che ricadendo nelle parti pi basse della nuvola si
ricoprono di un ulteriore velo d'acqua. Il processo pu ripetersi pi volte con la conseguente
deposizione di diversi strati ghiacciati concentrici che troviamo a caratterizzare i chicchi di
grandine.

La formazione dei corpi nuvolosi e delle nebbie avviene per immissione di ulteriore umidit grazie
all'evaporazione di una superficie liquida o, pi frequentemente, per una diminuzione della
temperatura all'interno di una massa d'aria che in tal modo raggiunge il punto di rugiada.

Il raffreddamento di una massa d'aria pu avvenire per contatto dell'aria con una superficie fredda,
per mescolamento con una massa d'aria pi fredda o in seguito ad un movimento di ascesa con
relativa espansione adiabatica. Naturalmente i diversi meccanismi di raffreddamento possono agire
anche congiuntamente.

- La modalit di gran lunga pi frequente attraverso la quale si formano i corpi nuvolosi la risalita
di aria calda nelle zone di bassa pressione. L'aria, scaldata dalla superficie terrestre, si espande e,
diventata pi leggera, inizia a salire. Durante l'ascensione l'aria si raffredda sia perch viene a
contatto con masse d'aria che a quote superiori sono pi fredde, sia perch salendo viene a trovarsi a
Atmosfera e Meteorologia
11-15
pressioni inferiori ed perci costretta ad espandersi a spese della sua energia interna (espansione
adiabatica).

- In altri casi una massa d'aria in movimento orizzontale costretta a risalire semplicemente per la
presenza di rilievi montuosi o in seguito all'incontro di una massa d'aria pi fredda e densa che le si
incunea sotto. In tal modo si raffredda sia per contatto con la superficie pi fredda che per
l'espansione adiabatica dovuta alla risalita.

Gradiente adiabatico secco ed umido
Finche la temperatura della massa d'aria in risalita rimane inferiore al punto di rugiada l'umidit
relativa risulta inferiore al 100%. Non producendosi condensazione durante la risalita la
diminuzione di temperatura risulta molto efficiente. Essa segue il cosiddetto gradiente adiabatico
secco (cio in assenza di condensazione) che prevede una diminuzione di 1C per ogni 100 m di
altezza.

Una volta raggiunto il punto di rugiada inizia il fenomeno di condensazione con liberazione di
calore latente. Il calore latente che si libera rende meno efficiente la diminuzione di temperatura
prodotto dal movimento ascensionale dell'aria che risulta essere di 0,6C per ogni 100 metri di
altezza, valore conosciuto come gradiente adiabatico umido (cio in presenza di condensazione).





Effetto Fhn
L'effetto Fhn esemplifica molti dei concetti suesposti. Il termine deriva dal nome del
vento caldo e asciutto proveniente da Sud che in primavera spesso scioglie
anticipatamente le nevi delle vallate svizzere ed austriache, dopo aver scavalcato le Alpi.
Si tratta comunque di un fenomeno comune a tutti i venti che investono rilievi montuosi
dopo essersi caricati di vapor d'acqua in regioni pi calde ed umide.
Mentre risale il versante sopravvento la massa d'aria si espande raffreddandosi secondo
il gradiente adiabatico secco fino ad una certa quota dove, raggiunto il punto di rugiada,
continua la risalita, con formazione di corpi nuvolosi e precipitazioni, secondo il
gradiente adiabatico umido.
Giunta in cima la massa d'aria, scaricata gran parte della sua umidit, ormai asciutta e
scende lungo il versante sottovento comprimendosi e riscaldandosi secondo il gradiente
adiabatico secco lungo tutto il suo percorso.
In tal modo la discesa risulta essere termicamente pi efficiente della risalita ed il vento
risulta, a parit di quota, pi caldo nel versante in discesa che in quello in salita.

Atmosfera e Meteorologia
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11.11 Nefoscopia
La nefoscopia quella parte della meteorologia che studia e classifica le nubi in base alla loro
forma, alla loro altezza ed alla loro dinamica.
In generale le nubi si possono dividere in due grandi classi: stratiformi e cumuliformi.
Le nubi stratiformi sono poco spesse e molto estese in senso orizzontale, mentre le nubi
cumuliformi sono in genere molto estese in senso verticale e dalla forma massiccia e globulare.

Le nubi vengono poi classificate in funzione della loro altezza nella troposfera in nubi alte (sopra i
6000 m, tipici sono i cirri), nubi medie (tra i 2500 e i 6000 m) , nubi basse (sotto i 2500 m) e nubi a
sviluppo verticale (sono i cumulonembi che possono attraversare l'intera troposfera).

Non tutte le nubi possono dare precipitazioni. In genere producono pi facilmente precipitazioni le
nubi a grande sviluppo verticale e quelle che presentano la base a quote non molto elevate.
La distribuzione delle precipitazioni sulla superficie terrestre viene rappresentata tramite le isoiete.
Le isoiete sono curve che uniscono punti della superficie terrestre che presentano la stessa piovosit
media (annua o mensile) espressa in mm di pioggia caduta.

La nebbia pu essere considerata una nube stratiforme che si produce al suolo. Essa si forma
quando una massa d'aria calda e umida si raffredda a contatto con la superficie terrestre.

11.12 Perturbazioni atmosferiche
Le precipitazioni non sono quasi mai legate a situazioni meteorologiche strettamente locali, ma
sono di solito distribuite su di un vasto territorio in cui il tempo perturbato.
Come abbiamo gi avuto modo di dire le perturbazioni si formano in corrispondenza delle zone di
bassa pressione dove l'aria sale e l'umidit condensa. Nelle zone di alta pressione il tempo tende
invece ad essere bello, poich l'aria scendendo in grado di assorbire l'eventuale nuvolosit.
Le zone perturbate sono dunque zone cicloniche, ma la dinamica dei cicloni delle medie latitudini o
extratropicali completamente diversa da quella dei cicloni tropicali e verr perci trattata
separatamente.

A) Perturbazioni delle medie latitudini (cicloni extratropicali)
Per comprendere la dinamica delle perturbazioni delle medie latitudini necessario introdurre il
concetto di massa d'aria e di fronte.
In meteorologia una massa d'aria una porzione di troposfera estesa orizzontalmente anche
qualche migliaio di chilometri la quale, avendo stazionato a lungo sopra una certa regione, ha
acquistato particolari caratteristiche di temperatura, umidit e densit che tende a mantenere anche
quando si sposta e viene a contatto con masse d'aria di origine e caratteristiche diverse.
Le masse d'aria che si originano alle alte latitudini vengono dette artiche o polari, mentre quelle che
si originano alle basse latitudini vengono dette tropicali.

Le superfici di confine che separano masse d'aria a densit differenti, una delle quali pi calda e,
come spesso avviene, pi umida sono chiamate superfici frontali. L'intersezione della superficie
frontale con la superficie terrestre viene detta fronte, anche se il termine viene spesso usato come
sinonimo di superficie frontale.
Il fronte in realt non una linea netta, ma una fascia larga qualche chilometro. Ma a livello di una
carta geografica, i fronti vengono segnati in modo soddisfacente con delle linee.

La superficie frontale non mai verticale, ma sempre lievemente inclinata verso la massa d'aria pi
fredda cosicch quest'ultima forma una specie di cuneo a terra al di sopra del quale si trova l'aria
calda.

Atmosfera e Meteorologia
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In relazione al tipo di movimento reciproco che caratterizza le masse d'aria si distinguono 4 tipi di
fronte: stazionario, caldo, freddo e occluso.

a) Fronte stazionario
Si produce un fronte stazionario quando le masse d'aria scorrono lateralmente l'una rispetto all'altra.
In tal caso il fronte non si muove e viene perci detto stazionario. Sulle carte geografiche il fronte
stazionario viene cos rappresentato





In effetti il fronte stazionario rappresenta pi una situazione ideale che una realt, poich
normalmente le masse d'aria tendono a muoversi perpendicolarmente al fronte, provocandone lo
spostamento in un senso o in un altro. A seconda della direzione del movimento si pu distinguere
un fronte caldo ed un fronte freddo.

b) Fronte caldo
Si produce quando la linea del fronte si muove in modo tale che l'aria calda occupa
progressivamente regioni precedentemente occupate dall'aria fredda. Il fronte caldo viene
rappresentato cos



Il fronte viene detto caldo poich le zone interessate dal passaggio di questo fronte vedono alzarsi la
temperatura.
Mentre il cuneo di aria fredda si ritira, sospinto dall'aria calda, quest'ultima risale lungo la superficie
frontale, si raffredda per espansione adiabatica e per contatto con l'aria fredda ed inizia a formare
caratteristici corpi nuvolosi di tipo stratiforme. Le precipitazioni che ne seguono sono anch'esse
caratteristiche, in genere con piogge di intensit moderata, ma di grande durata.

Atmosfera e Meteorologia
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b) Fronte freddo
Si produce quando la linea del fronte si muove in modo tale che l'aria fredda viene ad occupare
l'area che prima occupava l'aria calda. Il fronte caldo viene rappresentato sulle carte in questo
modo:




La particolare dinamica dei fronti freddi fa si che il cuneo freddo che avanza costringa l 'aria calda
ad impennarsi anzich scivolare dolcemente sopra la superficie frontale. Contemporaneamente la
superficie frontale tende ad incurvarsi a causa del maggior attrito che la massa d'aria fredda che
avanza trova a contatto con la superficie terrestre, rispetto all'attrito prodotto in quota.

L'aria calda sale cos quasi verticalmente, producendo corpi nuvolosi caratteristici di tipo
cumuliforme.
Anche le precipitazioni sono tipiche, prevalentemente con piogge molto intense, acquazzoni, ma di
breve durata.




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11-19

c) Fronte occluso
Si produce un fronte occluso quando un fronte freddo raggiunge un fronte caldo (il fronte freddo
in genere pi rapido del fronte caldo poich proviene da latitudini maggiori e la forza di Coriolis, a
parit di altre condizioni proporzionale al seno della latitudine).
Il fronte occluso viene rappresentato sulle carte in questo modo



Il tempo provocato da un fronte occluso in genere associato all'aria calda compressa e costretta a
salire tra le due masse d'aria fredda, con formazione di una zona ciclonica. Le formazioni nuvolose
sono pi complesse, generalmente di tipo cumuliforme. Le precipitazioni sono piuttosto intense e di
breve durata.



Sulle carte il fronte occluso sempre associato al fronte freddo e caldo che si stanno unendo ed alla
zona di bassa pressione che si costituita.

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11-20


I fronti come sono stati finora descritti influiscono continuamente sulle condizioni meteorologiche
delle medie latitudini, essendo associati con sistemi di basse pressioni detti cicloni extratropicali.
Questi cicloni sono fenomeni discontinui. In altre parole iniziano a formarsi quando un fronte
freddo si avvicina ad un fronte caldo e si esauriscono pian piano con la formazione del relativo
fronte occluso, il quale torna poi a diventare un fronte stazionario quando la zona di bassa pressione
si dissolta.
Durante la loro evoluzione tali cicloni non stazionano su di una stessa regione, ma si muovono da
ovest ad est interessando regioni diverse.

Sviluppo ed evoluzione dei cicloni extratropicali
Secondo il modello classico i cicloni extratropicali si formano in conseguenza di modificazioni
nella dinamica della corrente a getto subpolare e del fronte polare ad essa associato.
Abbiamo gi detto che il fronte polare separa le masse d'aria tropicali, associate ai venti occidentali,
dalle masse d'aria polari, associate ai venti polari.
Fintantoch la corrente a getto subpolare rimane relativamente rettilinea e costante anche il fronte
sottostante non subisce variazioni e pu essere descritto come un fronte stazionario. con un'attivit
ciclonica praticamente assente.

La formazione di increspature ne fronte polare responsabili della successiva formazione delle zone
cicloniche si ritiene sia da mettere in relazione con brusche accelerazioni del getto sovrastante.
Questi punti in cui la velocit del getto aumenta sono detti massimi del getto. L'accelerazione del
getto produce una rarefazione in quota che richiama aria dal basso creando una zona di bassa
pressione al suolo. In altre parole sotto ciascun massimo del getto si forma in corrispondenza del
fronte polare una zona di bassa pressione.

Al suolo tale zona di bassa pressione richiama aria fredda da nord e aria calda da sud, con classico
movimento antiorario. Si forma cos un fronte caldo ad est ed un fronte freddo ad ovest che
increspano il fronte polare.

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11-21



Man mano che il fenomeno procede le masse d'aria in movimento assumono il tipico aspetto dei
venti antiorari che entrano nelle zone cicloniche.
Il ciclone ha a questo punto un diametro tipico che va dagli 800 ai 1600 km.
Il fronte freddo avanza pi rapidamente dando luogo ad un fronte occluso. La completa occlusione
determina infine la scomparsa dell'increspatura del fronte polare che aveva dato luogo alla
perturbazione. Vengono infine ripristinate le condizioni del fronte stazionario e torna il bel tempo.

I cicloni delle medie latitudini si presentano in genere in gruppi di 4 o 5 chiamati famiglie di cicloni,
con una vita media di 6-7 giorni. Il grado di maturit dei cicloni di una stessa famiglia aumenta da
Ovest verso Est. In altre parole il ciclone pi ad Ovest si trova allo stadio iniziale, mentre il ciclone
pi ad est avr ormai raggiunto lo stadio di completa occlusione.



Poich i massimi del getto si muovono all'interno della corrente da ovest verso est con una velocit
di circa 40 - 50 km/h, essi trascinano le famiglie di cicloni ad essi associate nella stessa direzione e
con la stessa velocit. In realt le famiglie cicloniche non risultano quasi mai rigorosamente
Atmosfera e Meteorologia
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disposte secondo i paralleli da ovest ad est. A seconda infatti che il massimo del getto ad esse
associato stia risalendo o scendendo un'onda di Rossby, la direzione sar SW NE o NW SE.

Inoltre la latitudine medie di tali famiglie cicloniche varia durante l'anno con lo spostarsi dell'asse
del getto pi a nord o pi a sud, in relazione al movimento apparente del sole tra i due tropici. Cos
l'Europa meridionale viene investita d'inverno dalle famiglie cicloniche che si spostano a sud
assieme al getto subpolare. Mentre d'estate, quando l'asse del getto torna pi a nord, portando il
cattivo tempo sull'Europa settentrionale, l'Europa meridionale viene investita dalle alte pressioni
subtropicali, che nelle nostre zone prende il nome di anticiclone delle Azzorre.

B) Perturbazioni delle basse latitudini (cicloni tropicali o intertropicali)
Il concetto di perturbazione atmosferica cos come viene intesa alle nostre latitudini privo di
significato nella fascia intertropicale.

I cicloni tropicali, noti anche come tifoni o uragani, sono infatti perturbazioni violentissime, ma di
ampiezza limitata, avendo un diametro che pu giungere al massimo a circa 500 km.
Si sviluppano sempre sopra gli oceani, nella zona delle calme equatoriali, dove si incontrano gli
Alisei provenienti dai due emisferi, in corrispondenza di masse d'aria particolarmente calde ed
umide.
A differenza dei cicloni delle medie latitudini non presentano superfici frontali e non sono associati
a veri e propri anticicloni.
Si ritiene che sia proprio l'incontro degli Alisei a generare le condizioni necessarie al prodursi di tali
perturbazioni.
I cicloni tropicali sono caratterizzati da una differenza di pressione tra il centro e la periferia
elevatissima, dell'ordine di 50 - 60 mb. Tale enorme gradiente barico in grado di far raggiungere
ai venti velocit di 2-300 km/h.
Man mano che i venti si avvicinano verso il centro del ciclone con tipico moto a spirale, vengono
letteralmente aspirati verso l'alto dalla fortissima depressione presente al centro.
Durante la risalita l'umidit si condensa dando origine ad un muro cilindrico di cumulonembi alto
fino a 12 km, il quale racchiude una zona circolare di circa 20 km di diametro, detta occhio del
ciclone, in cui l'aria, perfettamente calma e senza copertura nuvolosa, scende lentamente
scaldandosi. All'interno dell'occhio del ciclone non piove ed possibile vedere il sole.

Un ciclone tropicale pu essere definito come una efficientissima macchina termica, alimentata
dall'enorme quantit di calore latente liberata durante la condensazione. La liberazione di calore
latente riscalda infatti ulteriormente l'aria, accelerandone il moto ascensionale.
L'energia messa in gioco in un giorno da un ciclone di medie dimensioni dell'ordine di 10
12
kwh,
pi di quanto l'uomo riesca a produrre in tutto il mondo nello stesso arco di tempo.

Dal mare, dove si forma, il ciclone migra, sospinto dagli Alisei verso NW. Una volta raggiunta la
terraferma il ciclone perde rapidamente forza, sia perch viene meno la fonte di aria calda e umida,
sia per il maggior attrito che i venti sviluppano con la superficie terrestre.
La forza distruttiva di un ciclone enorme. Il suo effetto devastante dovuto oltre che alla enorme
velocit dei venti, anche alla brusca diminuzione di pressione. Sugli edifici, specialmente se porte e
finestre sono chiuse, il brusco sbalzo barico causa una violentissima spinta verso l'esterno, in grado
di far letteralmente volare i tetti.
Tenendo presente che la differenza di pressione tra esterno ed interno di circa l'8% (60 mb su 760
mb) e che la pressione normale e di circa 1 kg/cm
2
, la spinta verso l'esterno sar di circa 0,08
kg/cm
2
, pari a 800 kg/m
2
. Ci significa che su un tetto di 100 m
2
agisce una spinta di circa 80
tonnellate.

Atmosfera e Meteorologia
11-23

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