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PADRE CARLO DE CONDREN d.O.

CONSIDERAZIONI SUI MISTERI DI CRISTO

Nihil obstat. Sac. Joseph Maino Can. Theol. Mediolani - VIII Kal. Oct. MCMXXXVIII IMPRIMATUR in Curia Arch. Mediolani, die 26-9-38. Can. Cavezzali.

Dichiarazione In conformit coi Decreti di Urbano VIII, l'autore della seguente biografia del Padre Carlo de Condren dichiara che nell'usare in questo libro le parole santo, venerabile, miracolo, come pure nel riferire apparizioni e fatti prodigiosi su l'autorit umana degli storici che li narrano, non ha inteso per nulla di prevenire il giudizio detta santa Chiesa cui sottopone fedelmente ogni suo scritto ed ogni suo pensiero.

IL PADRE DE CONDREN (1588-1641) (1) Il Padre de Condren, dell'Oratorio di Francia, uno dei pi illustri rappresentanti di quella scuola cos detta francese, fu discepolo del Cardinale De Brulle e maestro del Ven. Olier. Darne una biografia non cos facile, perch ci troviamo di fronte ad un personaggio dei pi straordinari che Dio abbia dato alla sua Chiesa e al mondo. Dotato di una intelligenza potentissima e di un giudizio sicurissimo, era istruito in tutte le scienze profane, che aveva imparate come per giuoco nella sua prima giovinezza, e in tal grado che, secondo le testimonianze di un sua contemporaneo che lo conosceva bene, sarebbe stato capace di ristabilire tutte le scienze, se fossero state perdute. Era istruito pi ancora nelle scienze sacre e soprattutto nelle vie di Dio; e ci che importa di pi, venne elevato dalla grazia divina ad una santit eminente. Eppure riusc a nascondersi durante la sua vita sotto il fitto velo della pi straordinaria umilt; ma la sua morte provoc uno scoppio universale di rimpianti e di lodi, per cui il suo nome, dice il Ven. Olier, allora era su tutte le bocche. Il Card. De Brulle aveva tanta venerazione per il Padre de Condren che pi volte lo si vide inginocchiarsi e baciare la terra davanti alla porta della Sua stanza, dimodoch non si saprebbe cosa ammirare di pi tra l'umilt del santo Cardinale che dimostrava tanto rispetto per i doni di Dio e la santit dell'umile Padre la quale da un s grand'uomo veniva giudicata degna di tanta venerazione (2). San Giovanni Eudes diceva pure: Non si sono conosciuti i tesori nascosti in questo gran Servo di Dio... Dopo gli Apostoli, non forse apparso nella Chiesa un uomo che abbia avuto sui pi sublimi misteri della religione, delle conoscenze pi vaste e pi profonde (3). San Vincenzo de' Paoli diceva che non vi era un uomo simile ; e quando ne ud la morte, s'inginocchi tutto in lagrime, rimpiangendo di non averlo onorato come lo meritava. Il Padre de Condren aveva la luce dei cherubini e il fuoco dei serafini... In qualunque luogo andasse, i pi gran Servi di Dio lo cercavano come per istinto; e dopo di aver parlato con lui, ognuno riconosceva che non aveva mai udito nulla di simile. Non parlo delle scienze umane, le quali non erano state per lui che un divertimento e una ricreazione, ma della teologia soprannaturale, in cui era cos illuminato che sembrava averla imparata, come San Paolo, al terzo cielo (4). Il suo primo biografo, che era vissuto con lui in una grande intimit, scriveva: Per me, non dubito che vari Santi abbiano ricevuto grazie pi ricche che le sue, ma non ne conosco nessuno in cui io trovi una luce cos splendente e cos estesa come quella che vidi nella sua persona. Questo, potr sembrare esagerato per qualche spirito, ma sono ben sicuro che non sar tale per gli uomini dotti che hanno potuto godere dei suoi colloqui... Sembrava che quest'uomo vedesse dalla cima di un monte ci che noi non vedevamo che in una pianura, o che fosse illuminato dal sole mentre noi camminavamo al bagliore delle stelle... Gli origenisti l'avrebbero preso come una prova che le anime degli uomini un tempo fossero state degli angeli (5). Immaginatevi, scriveva un altro contemporaneo, l'intelligenza pi bella; l'anima pi nobile del mondo; possedeva tutte le arti e tutte le scienze; conosceva i segreti pi nascosti delle scienze e dei misteri della natura; non ignorava nulla di ci che gli uomini possono conoscere. Ma una testimonianza pi preziosa quella di quel suo eminente e santo discepolo che fu il Ven. Olier: Il Padre de Condren, era un perfetto modello di Ges Cristo. Poche persone conversavano con lui senza esserne soggiogate; e infatti, ha convertito una grande quantit di eretici ed ha istruito una infinit di anime... 2

Ringrazio Dio di avermi messo nelle mani di questo grand'uomo, di un uomo cos divino e tutto apostolico, il quale nel suo interiore era veramente un altro Ges Cristo (6). Dopo citata questa pagina del Ven. Olier, Enrico Brmond scriveva: Credo non si trovi nulla di equivalente a questa pagina stupenda in tutto ci che venne scritto nel secolo XVII sopra i personaggi santi di quel tempo, anche canonizzati, come Brulle, Francesco di Sales, Vincenzo de Paoli, Lallemant e gli altri. Nessuno forse ricevette lodi cos ferventi, cos ragionate e cos precise... N parlerei cos di lui Se non credessi io pure che non v' nulla al mondo di simile a quest'uomo; ch se fossi meno sicuro di lui, non avrei commesso lo sproposito di recitarne, all'inizio di questo capitolo, la prodigiosa litania di lodi che il lettore ha udita (7). Noi pure ci sentiamo un po scoraggiati iniziando questi cenni su la vita, il carattere e la dottrina del Padre de Condren; perch siamo certi che diremo sempre meno, molto meno, della realt e che riusciremo soltanto a dare di un tanto uomo un ritratto troppo imperfetto; ma qualche cosa bisogna pur tentare. Per altro ci appoggeremo su le relazioni di quelli che lo videro e lo conobbero o l'hanno studiato con vera competenza. Nascita e primi anni. Carlo de Condren nacque vicino a Soissons, il 15 dicembre 1588. Suo padre, di una delle pi nobili famiglie della Sciampagna, godeva il favore del re Enrico IV; si era convertito sinceramente dal protestantesimo, anzi era diventato piissimo e appena nacque il bambino, assieme con la moglie lo consacr al Signore; ma poi, non considerando il suo voto, destin il figlio alla carriera delle armi, perch nulla gli sembrava nobile come una tale professione. Per meglio effettuare il suo disegno diede al figlio un'educazione virile ed austera, affidandolo alla custodia dei soldati, per paura che le carezze e le canzoni delle donne lo rendessero effeminato. Sotto una disciplina cos rigorosa il fanciullo divent coraggioso, anzi, in parecchie circostanze si dimostr cos intrepido che il re medesimo ne rest meravigliato. Carlo fin dalla prima infanzia era dotato di ottime qualit naturali, bellissimo di aspetto e valente in tutti gli esercizi corporali; ma Dio gli fece doni spirituali ben pi ammirabili: una memoria portentosa, una intelligenza di una precocit incredibile. Per lui studiare era un gioco e passava senza difficolt dalla letteratura alle scienze pi astratte. Ebbe l'uso della ragione nella tenuissima et di due anni e mezzo. Lo disse poi lui medesima con una graziosa umilt: Dio mi anticip l'uso della ragione affinch mi consacrassi subito a Lui, perci mi fece la grazia di conoscerlo fin d'allora. Era convinto che Dio gli avrebbe domandato conto della sua vita fin da quell'et. Anzi, affermava che non aveva mai dimenticato nulla di quanto aveva visto o sentito fin dall'et di diciotto mesi. Avuto l'uso della ragione, subita seguendo l'impulso della grazia, rinnov la consacrazione che di lui avevano fatta i suoi genitori. Ai doni naturali Dio aggiunse i doni soprannaturali pi elevati; Carlo cresceva perci nel timore e nell'amore di Dio. Ma all'et di dodici anni ebbe la grazia di una illuminazione straordinaria; e qui meglio lasciare la parola al suo fedele biografo Amelote. Verso i dodici anni, un giorno mentre studiava solo nella sua stanza, essendo gi abituato a convertire tutte le sue letture in adorazione, ad un tratto si sent la mente tutta pervasa d'una luce straordinaria, per la quale gli apparve che la divina Maest cos immensa ed infinita che solo questo Essere puro debba sussistere e tutto l'Universo immolarsi alla di Lui gloria. Vide che Dio non ha bisogno di nessuna delle sue proprie opere; che persino il Figlio suo, il quale tutta la sua gioia, dovette sacrificargli la sua vita; solo l'annientamento di noi medesimi e di tutte le cose con Ges Cristo morente capace di onorare la divina infinit; e non l'amerebbe abbastanza chi non avesse la volont di consumarsi per Lui col Figlio suo onde attestargli il proprio amore. 3

Una tal luce era cos potente e viva, che lasci nell'anima di Carlo una impressione di morte spirituale che non si cancell mai pi. Perci si offr a Dio con tutto il suo cuore, onde essere ridotto al niente davanti a Lui e non vivere pi che in uno spirito di morte. Allora conobbe che tutto il mondo condannato, per causa dei peccati degli uomini, dei quali tutte le creature sono complici; che Dio, essendo santo, puro e giusto, ne prova una estrema avversione, e non guarda con compiacenza se non al Figlio suo e a quelli che sono animati dallo spirito di Lui... e predilige le anime che sacrificano alla sua santit ed alla sua giustizia le cose di quaggi. Si sent vivamente attratto a questo genere di vita immolata, la quale una continua e perfetta morte a tutte le cose di questo mondo, e non si compiace che in Ges Cristo... La forza di quella divina luce fece sul suo cuore un effetto che avrebbe voluto essere immolato all'istante alla gloria della Maest di Colui che penetrava sino alla divisione dell'anima sua e del suo spirito (Hebr., IV, 12). Si trov come immersa in un abisso profondo di umilt, e infiammato di un amore cos ardente per la santit e la purezza di Dio, che la forza di questa grazia gli rest presente per tutta la vita... La via in cui Dio elevava l'anima di lui e la univa a s, era lo spirito di sacrificio, l'amore della santit e della purezza divina, il desiderio del proprio annientamento in onore di queste due infinite perfezioni, la morte all'uomo vecchio e a tutto il mondo di esso, la virt di religione nella sua perfezione, l'unit di Spirito col Figlio di Dio come vittima. Era evidente che Dio l'aveva destinato ad una partecipazione interiore del Sacrificio del Figlio suo, perci lo faceva morire a s stesso e a tutte le cose del mondo prima ancora che avesse conoscenza della vita. Il santo giovinetto, trovandosi nell'abisso del suo nulla davanti alla santit di Dio e animato da un ardente desiderio di essere sacrificato alla gloria di questa divina perfezione, prov una gioia incomparabile nel considerare che il Figlio di Dio si offre sempre al Padre suo, e che i Santi nel Cielo e i Sacerdoti su la terra l'offrono pure incessantemente in onore della santit divina e di tutte le altre divine perfezioni. Conobbe che il Sacrificio di Ges Cristo la consolazione e il supplemento dello zelo di quelli che, desiderando appassionatamente di immolarsi loro stessi, si sentono incapaci di rendere a Dio col loro sacrificio; omaggi degni di Lui; e inoltre che alla santit di Dio, alla sua giustizia, alla sua indipendenza assoluta, in una parola a tutta la sua infinit, si offre una lode infinita, quando gli si offre il Figlio suo morto in Croce, protestando che non soltanto l'Universo, ma pure questo Figlio medesimo dovette essere distrutto (8) alla sua divina presenza. Comprese che nulla degno di Dio fuorch l'unico Sacrificio di Ges Cristo; che questo Sacrificio il fondamento e il sostegno della creatura nuova, il vincolo della societ del Cielo e della terra, il compimento di tutti i desideri di Dio per s medesimo e per i suoi figli, il rifugio di tutti i santi nella loro impotenza, e la sorgente inesauribile della vita eterna. In questa contemplazione amorosa delle ricchezze e della bellezza del Sacrificio di Ges Cristo, Dio gli infuse nell'anima due sentimenti santissimi, cio: un'altissima stima del sacerdozio... e una chiara illuminazione, per la quale conobbe con tutta evidenza che Dio voleva fargli una tal grazia. Sent nel pi intimo dell'anima sua una voce che gli diceva con tutta certezza: Voglio che tu sii Sacerdote... Immediatamente si prostr a terra e si offr a Dio con una tale sottomissione alla volont sua che da quel momento non ebbe mai n dubbio n esitazione rispetto alla sua vocazione. (9). La giovinezza. Carlo, bench sempre malaticcio, come per altro fu per tutto il tempo di sua vita, impar da solo la storia, le geografia, l'aritmetica, la geometria e la chimica; a 12 anni incominci 4

a studiare sotto la direzione di un maestro e fece tali progressi che a 15 anni fu accettato per i corsi di filosofia nel celebre collegio di Harcourt. Emergeva in modo straordinario sopra tutti, ma la sua umilt, la sua modestia e la sua bont allontanavano dai condiscepoli qualsiasi pericolo di gelosia. Ritornato in famiglia, dovette per ordine del padre dedicarsi alla caccia onde diventare un tiratore sceltissimo. Infatti, riusciva ammirabilmente in questo come nel maneggio delle armi e nell'equitazione; ma non pensava che al Sacerdozio, mentre il padre non pensava che all'esercito. Di nascosto del padre, Carlo con ardore incessante studiava la teologia; nel suo pagliericcio teneva nascosti i suoi libri e quando andava a caccia si ritirava nel pi folto dei boschi e studiava appassionatamente S. Tommaso e S. Agostino, oppure si abbandonava per lunghe ore alla contemplazione. Quando era l'ora del ritorno, uccideva qualche selvaggina e rientrava. Nella solitudine, su le colline, il santo giovinetto godeva nella contemplazione delizie di Paradiso; un giorno meditava su qualche perfezione di Dio, un altro su qualche mistero di Ges Cristo, un altro ancora su la virt di qualche Santo. Cos adorando e lodando Dio come scienza, come amore, come potenza, come santit o sotto qualche altro nome santissimo, conduceva una vita angelica. Talora si rallegrava della santit di Ges Cristo, talaltra della sua umilt, e cos trovava in Dio e nel Figlio di Lui una felicit incredibile. Dal fatto seguente possiamo argomentare a qual punto di unione con Dio egli fosse giunto. Una delle sue sorelle avendo scoperto parecchi suoi scritti, volle leggerli, ma essendosi accorta che era la sua confessione generale dal tempo che era uscito dal collegio, non and avanti nella lettura; ma in quelle righe che aveva lette aveva trovato un'accusa ben singolare: Carlo si accusava di aver mancato alla presenza di Dio; e ci che degno di una particolare ammirazione, otto o nove volte soltanto, in due anni e mezzo, era caduto in questa specie di colpa (10). In quel tempo gli venne manifestato l'interiore ( il cuore) del Figlio di Dio come un abisso di grazia e di santit, dove contempl l'immensa vastit delle divine disposizioni di Ges Cristo, e in Lui medesimo come nella loro sorgente quelle della Vergine santissima e di vari Santi delle quali si trov costretto d'investirsi e di rendersi perfettamente partecipe. Dio allora lo introdusse nelle vie del Sacrificio di Ges Cristo nascosto al volgo, e con una divina luce gli scopr tutti i misteri dell'antica Legge, i profondi tesori dei misteri del Figlio di Dio, le sorgenti di grazia che ne zampillano col loro corso immortale ed inesauribile, i loro segreti e le loro bellezze. Allora inoltre Dio si manifest a lui in un modo ineffabile, dimodoch, il santo giovinetto penetr nel seno di Dio con una luce purissima per la quale si trov oltremodo istruito nelle divine perfezioni. Carlo ricevette allora da Dio conoscenze vastissime ed efficacissime, le quali, sebbene non fossero ancora chiare e sviluppate come quelle che ebbe in seguito e di cui erano la semente (11), erano tuttavia splendenti e ripiene di un succo di grazia e di una santa virt. Anzi da queste prime idee egli deduceva poi quelle verit ammirabili per le quali le persone pi dotte e pi illuminate erano costrette a riconoscere che non avevano mai sentito nulla che fosse cos sublime e luminoso. Dimodoch quando doveva parlare su qualche argomento nuovo, non aveva che da guardare all' Esemplare che gli era stato mostrato sul monte (Exod., XXV, 40). Acquist tutte le sue ricchezze, non gi come gli Angeli e tutte ad un tratto, ma secondo la natura dell'uomo, crescendo sempre di luce in luce e principalmente nell'orazione mentale. Pi volte mi assicur che tutto ci che sapeva, lo aveva imparato nell'adorare Dio e i misteri di Ges Cristo; e che il mezzo infallibile di diventar dotti in questa scienza dei Santi di attenersi inviolabilmente a questa regola, di adorare con la fede Dio e il Figlio suo ed investirci col cuore delle loro divine disposizioni. La passione ch'egli aveva per lo studio si trovava estinta o persa nell'orazione... perch quando apriva i libri per darsi ad 5

uno studio pi profondo, lo spirito di preghiera lo elevava in Dio e, togliendogli il tempo e il pensiero dello studio, lo riempiva di Dottrina per una via pi santa che quella dello studio. Perci diceva che aveva sempre pregato molto e studiato poco. Prego il Lettore di rappresentarsi quest'anima pura come un Angelo in un corpo di un'ammirabile complessione, dotato di una castit pi innocente di quella d'un bambino, di una dolcezza imitata da quella di Ges Cristo, dello spirito pi bello e pi raro e tuttavia pi umile che si possa concepire... (12). Infine venne il momento decisivo; il Re voleva bene al giovine de Condren e aveva promesso di prenderlo sotto la sua protezione; ma le risposte di Carlo misero il padre in furore a segno che nella sua esasperazione per tanto tempo non volle pi vedere il figlio. Dio allora per venire in aiuto al suo fedele servo, gli mand una grave malattia che lo ridusse agli estremi. Il padre era pienamente persuaso che il suo figlio carissimo doveva morire. Carlo allora gli disse: Per necessit dovete fare a Dio il sacrificio; ebbene datemi alla Chiesa, lasciatemi diventar sacerdote, e Dio mi far la grazia della guarigione. Il padre promise: e Carlo fu guarito. In questa malattia avvenne per il giovane de Condren un fenomeno straordinario, che si era gi verificato per san Filippo Neri; erano tali i trasporti del suo ardente amore verso Dio che due costole si sollevarono sopra il suo cuore e formarono nel suo petto una deformit ben visibile. Alla Sorbona. Carlo si rivest subito dell'abito ecclesiastico e si port a Parigi onde studiare la sacra Teologia nella celebre scuola della Sorbona. Nel secondo anno degli studi venne colpito ancora da una gravissima malattia che lo condusse sull'orlo della tomba, a segno che gli vennero amministrati gli ultimi sacramenti. Il suo maestro di teologia, insigne dottore e uomo di grande santit, in una lezione tralasci il suo corso di teologia per fare il panegirico del giovine moribondo; ne espose le grazie e i meriti, dichiarando che aveva deciso di farne il suo successore nella cattedra della Sorbona con grande speranza per il bene della Chiesa; e piangendo a calde lacrime invit gli scolari a pregare perch Dio conservasse alla Chiesa un tal tesoro. Tutti si unirono nelle stesse lacrime e nelle stesse preghiere; Dio esaud queste ferventi supplicazioni e l'infermo che si riteneva prossimo a morire, in quel momento riapr gli occhi, incominci a migliorare e riprese la sua ordinaria sanit. Il Sacerdozio. Avvicinandosi il tempo della sua ordinazione sacerdotale, Condren si ritir nella solitudine in una casa di campagna fuori di Parigi e vi stette un anno intero a prepararsi nella preghiera e nella penitenza. Ordinato sacerdote il 17 settembre 1614, si prepar ancora per tre settimane a celebrare la prima santa Messa, raddoppiando le preghiere e le penitenze. Da quel momento la santa Messa era l'unico suo pensiero, il suo cielo, tutto per lui; la celebrava con straordinario fervore di carit; si sentiva che all'altare vi era un sol sacerdote e una sola vittima: Ges Cristo col suo servo fedele. Dopo la celebrazione della prima santa Messa, Condren continu gli studi per conseguire il dottorato e l'anno seguente fu riconosciuto dottore. Appena lasciata la Sorbona fece due atti notevoli. Dapprima rinunci, con atto notarile, ai suoi diritti sul patrimonio paterno, riservandosi soltanto una modica pensione per vivere poverissimamente; poi si port dal suo vescovo diocesano e prostrato ai di lui piedi si mise alla sua disposizione per lavorare nelle parrocchie povere della sua diocesi; ma il vescovo non essendo abituato a simili atti, credette che, in un giovane dottore, si trattava di 6

complimenti o di un atto di semplice creanza, e rispose in conseguenza con attestati di stima e nulla pi. Il giovine sacerdote ritorn dunque a Parigi, dove gi si era esercitato nel santo ministero e si dedic all'apostolato specialmente nelle parrocchie povere dei dintorni di Parigi, lavorando con uno zelo instancabile nella predicazione e nelle confessioni. Sentendosi inclinato alla solitudine, desider entrare nell'Ordine dei Certosini; ma dopo aver lungamente pregato, riconobbe che non era degno di stare fra quegli angeli. Pens ai Cappuccini, e si mise a frequentar la loro chiesa; ma anche qui ebbe da Dio la risposta interna che non ne era degno. Incerto sul da fare, continu a pregare e ad esercitare con fervente zelo il suo ministero. In quel frattempo, la Sorbona, perch ne aveva grande stima e venerazione, lo scelse per due esorcismi (13); e qui troviamo due fatti, che ci svelano lo spirito del giovine sacerdote. Il primo demoniaco era un disgraziato giovane il quale con la sua cattiva condotta aveva meritato di essere cos castigato; parecchi sacerdoti avevano fatto ogni sforzo per liberarlo, ma invano. De Condren dopo averlo visitato ed aver riconosciuto l'origine della possessione, incominci con la preghiera, il digiuno e la penitenza, poi protest che da s stesso non poteva far nulla, dicendo che per i suoi peccati avrebbe meritato di essere posseduto anche lui da tutti i demoni, ma che Ges era onnipotente. Rinuncio dunque a me stesso, disse, e mi investo dell'umilt del mio Salvatore; sono pi debole di Davide, ma nel nome e nella persona di Ges Cristo, combatter contro questo Golia infernale e lo vincer. Incominci gli esorcismi senza darvi nessuna pubblicit, perch il demonio cerca sempre di far fracasso e occupare di s tutto il mondo. Non badava a ci che dicesse quel maligno spirito e non gli rispondeva che queste parole: Obmutesce et discede, Taci e vattene. In pochi giorni il giovane fu perfettamente liberato; ma il demonio nel lasciarlo profer questa minaccia: Non mancher tuttavia di condurlo alla forca. Difatti poco tempo dopo quel giovane, per i suoi delitti, venne condannato alla forca. Il santo sacerdote si ricord allora di quella minaccia del demonio di cui non aveva fatto caso; corse ad assisterlo e lo convert, inducendolo ad accettare la sua condanna come una misericordia di Dio e un effetto della sua bont tanto come della sua giustizia, ed ebbe la consolazione di vederlo morire santamente. Avendo visto il buon successo di questi esorcismi, la Sorbona affid al de Condren un altro disgraziato; era questo un uomo di gran superbia, il quale era gi stato esorcizzato da altri senza nessun effetto. Carlo de Condren pens che se questo uomo venisse esorcizzato da una persona semplice ed innocente il demonio ne resterebbe umiliato e vinto. Difatti ricorse ad una tale industria; ritenendosi indegno di esercitare lui medesimo un ministero cos santo, fece venire un bimbo di cinque a sei anni e gli fece proferire le preghiere della Chiesa. Questo mezzo fu cos potente che il demonio furioso di essere cos disprezzato si abbandon ad una rabbia straordinaria, torment quell'uomo con una violenza inaudita, a segno che sembravano radunate nella di lui bocca tutte le empiet e le maledizioni dell'inferno, ma non pot resistere ed alla voce del bambino lasci libera la sua vittima. La vocazione. Il de Condren era ancora incerto su la propria vocazione; intanto il Padre de Brulle il quale lo aveva conosciuto e ne aveva grande stima, lo desiderava per la sua Congregazione dell'Oratorio, e gi da tempo d'accordo con la B. Maria dell'Incarnazione (14) pregava istantemente Nostro Signore di volergli concedere quest'anima privilegiata, e faceva pregare tutte le anime sante che vivevano sotto la sua direzione, specialmente nei conventi delle Carmelitane. Dopo tre lunghi anni Nostro Signore esaud queste preghiere. De Condren si senti ispirato di fare i Santi Esercizi all'Oratorio sotto la direzione del Brulle; i primi sette giorni 7

furono giorni di estrema aridit e oscurit interiore; nell'ottavo giorno infine, Dio con una voce chiara, gli manifest nell'interno dell'anima sua che lo voleva nell'Oratorio; ma il Padre de Brulle non gliene fece parola ancora. Pochi giorni dopo il Padre de Condren si presentava da s al Padre de Brulle e domandava formalmente di essere accettato; venne accolto nel noviziato il 17 Giugno 1617 e prese l'abito il 25 Novembre seguente. Vita nell'Oratorio. Dopo un anno di solitudine in cui si prodig nel santo ministero nella chiesa della Casa madre dell'Oratorio, il Padre de Condren, al quale il Padre de Brulle dimostrava una eccezionale, ma ben meritata fiducia, venne incaricato della fondazione di parecchie nuove case: Nevers (1618), Langres (1619), Poitiers (1621); richiamato poi a Parigi, fu direttore del Seminario, da poco fondato, di Saint-Magloire dove si formavano per il santo ministero chierici di varie diocesi di Francia. Ma infine (1625) il Padre de Brulle lo volle con s alla casa madre e lo prese per suo confessore e direttore. La vita del Padre de Condren non fu movimentata come quella del Padre de Brulle, il quale dalla divina Provvidenza si trov impiegato in opere grandiose; ma tutta si consum nell'esercizio del santo ministero, soprattutto nella direzione delle anime. Dio lo elev ad un grado sublime di vita interiore, di cui vediamo un indizio in quel complesso di sante intenzioni che venne trovato dopo la sua morte fra le sue carte, e che ci riempie quasi di stupore; cos santificava ammirabilmente in unione con Ges Cristo, tutte le azioni della giornata, dal primo svegliarsi al mattina sino al riposo della notte. Si trovano riferite anche nella Giornata cristiana dell'Olier, opera ispirata dal Padre de Condren, come riconosciuta da tutti, dove il discepolo riproduceva le lezioni del maestro. Nel 1627, su domanda della Regina madre, Maria de' Medici, il Cardinale de Brulle design il Padre de Condren per confessore di Gastone di Francia, duca di Orlans (15); era questa una mansione oltremodo difficile e delicata, perch si trattava di un giovine principe esposto a tutte le seduzioni mondane nel lusso della corte, ed inoltre per la sua posizione politica come fratello del re, il quale aveva sempre malta influenza e pi di una volta fu causa di seri imbarazzi nel regno. Il Cardinale de Brulle non vedeva nessun uomo capace come il Padre de Condren, bench giovane ancora, di adempiere un tal ufficio con la prudenza, la fermezza e il tatto necessario; assecond dunque il desiderio della Regina, dicendo che col dare il Padre de Condren dava il suo tesoro e il suo cuore. Ma per il Padre de Condren era un sacrificio eroico; uscire dalla sua cara oscurit, accettare un ufficio cos cospicuo (16) ed essere obbligato ad andare a Corte! Ci volle tutta l'autorit del Padre de Brulle per costringerlo, in virt della santa obbedienza, ad accettare. Cos un ufficio che per altri facilmente sarebbe stato oggetto di ambizione, per lui divenne oggetto di obbedienza e di mortificazione eroica. Condren Generale dell'Oratorio. Quattro anni dopo, mentre il Padre de Condren si trovava in Lorena per ottenere che Gastone si sottomettesse al Re suo fratello e al Richelieu, avvenne la morte inaspettata del Card. de Brulle, il quale lasci nella nascente Congregazione dell'Oratorio un vuoto immenso. Per non lasciar tempo alla Corte di intervenire nella elezione del successore, i Padri si riunirono in tutta fretta non appena passati 20 giorni ed elessero il Padre de Condren a Superiore generale. I voti dapprima si erano divisi fra tre altri Padri che sembravano adatti ognuno per circostanze speciali, ma questi rifiutarono per umilt; allora tutti i Padri, come 8

per divina ispirazione, si trovarono d'accordo sul nome del Padre de Condren e lo elessero all'unanimit. Il Padre Bourgoing, nella circolare in cui notificava questa elezione alle case dell'Oratorio, diceva: Dio si compiaciuto di consolare la nostra Congregazione desolata e orbata dal suo padre e capo, suscitando per reggerla un Eliseo nel quale riposa lo spirito del nostro primo Elia, vale a dire il R. Padre de Condren, dottore in Teologia, ora confessore di Monsieur, eletto superiore generale, persona di cui la conversazione tutta angelica, le disposizioni sante, i pensieri luminosi, le grazie eminenti, le virt rarissime, cos bene che possiamo dire: Mortuus est pater et quasi non mortuus; reliquit enim similem sibi post se (Eccli., XXX, 4). Chi non era contento, era il Padre de Condren; ma dopo alcuni giorni di raccoglimento e di preghiera, attese varie circostanze, si decise ad accettare; ma nel suo pensiero era un'accettazione soltanto provvisoria. Infatti, in seguito per ben tre volte tent di esonerarsi dalla sua carica, ma non vi riusc pi, e per obbedienza dovette conservarla sino alla sua morte avvenuta 12 anni dopo. Durante il suo generalato il Padre de Condren diede all'opera del Card. de Brulle, il suo perfetto concepimento; fece decretare che la Congregazione sarebbe stata un'associazione puramente sacerdotale senza voti, sotto la dipendenza dei vescovi e prese altri provvedimenti importantissimi. Particolarit da notarsi: i papi con tre brevi successivi avevano costituito il Superiore Generale dell'Oratorio, perpetuo Visitatore generale dei monasteri delle Carmelitane, circostanza che aveva Procurato al Card. de Brulle ingenti difficolt. Il Padre de Condren pens che un tal ufficio avrebbe potuto, in avvenire, diventare pericoloso e nocivo per la sua Congregazione e vi rinunci, pregando il Papa di nominare un altro Visitatore generale delle Carmelitane, e per quanto gli fu possibile esoner i Padri dell'Oratorio anche dalla direzione delle Carmelitane onde destinarli alle missioni ed alla direzione dei seminari. Ritenne poi in pace la sua carica anche perch, avendone scritto alla Ven. Agnese di Ges (17), ne ricevette l'avviso che tale era la volont di Dio. Tuttavia, in seguito, nomin il Padre Bourgoing come suo Vicario generale al quale rimise tutta la parte materiale, non riservandosi che la direzione spirituale della Congregazione, anche per aver tutto l'agio di dedicarsi alla formazione spirituale del Ven. Olier e dei suoi compagni per l'istituzione dei Seminari come diremo a pagina 63. Scritti. Il Padre de Condren non diede nulla alla stampa; ci che si ha di lui venne raccolto dai suoi discepoli; di lui direttamente non abbiamo che le sue Lettere. Le Considerazioni sui Misteri ed altri Discorsi che vennero pubblicati sotto il suo nome, sono riassunti delle sue conferenze; cos pure l'Idea del Sacerdozio e del Sacrificio di Ges Cristo . Negli scritti del Ven. Olier (Lettere, Giornata cristiana, etc.), certo parimenti che si sente il Padre de Condren medesimo; l'Introduzione alla vita ed alle virt cristiane , non che un riassunto delle istruzioni del Padre de Condren (Faillon. I, pag. 352 nota); cos pure altri scritti spirituali di quel tempo, come il Regno di Ges di san Giovanni Eudes (18). Per quale motivo il Padre de Condren non pubblic nulla e scrisse cos poco? Dapprima per umilt; diceva infatti, che bisognava pregar molto e scriver poco, e che tutti i lumi terrestri sono pieni di oscurit; ripeteva spesso che anche in queste cose vi vanit, travaglio ed afflizione di spirito: Agnovi quod in his quoque esset labor et afflictio spiritus . Forse le illuminazioni che Dio gli concedeva, erano cos immense ed elevate, che non trovava parole per esprimerle... Se Dio ci avesse fatto la grazia di farlo lavorare per il pubblico, quanti tesori per la Chiesa! (19). 9

Al Ven. Olier che gli rappresentava il gran desiderio e le preghiere di tante anime sante e di tante persone eminenti perch scrivesse per l'edificazione della Chiesa, diede questa risposta: Ges render al centuplo le mortificazioni che si fanno per Lui: e d'ordinario coloro che per amare di Ges Cristo si astengono dallo scrivere, ne ricevono in premio il dono di illuminare le anime, dono pi vantaggioso alla Chiesa che quella dei libri... gli scritti facilmente sono male interpretati e possono scandalizzare i deboli... le verit sante sono pietre preziose le quali non vanno gettate ante porcos, pane che non va dato ai cani... inconveniente che non si trova nel dono d'illuminare gli spiriti. Tuttavia, per assecondare il desiderio di molti e per paura di mancare alla volont di Dio, un giorno si era deciso a scrivere. Perci si era ritirato, col fratello servente, durante quindici giorni... Ogni mattina, si disponeva a dettare al fratello, ma dopo aver pregato, non aveva nulla da dire, e rimetteva all'indomani. L'indomani era la medesima oscurit: Nostro Signore non gli apriva la mente, ed egli dovette smettere. Talvolta a chi lo pregava di scrivere, rispondeva: Considerate che gli Apostoli non hanno scritto che pochissime lettere, ed io ne ho gi scritto pi di cento. Ma la ragione principale, dice il Ven. Olier, per la quale non scriveva, bisogna cercarla nell'ordine della divina Provvidenza. Questa aveva suscitato questo grand'uomo e l'aveva dato alla Chiesa in quel tempo di rinascita spirituale, perch fosse un perfetto modello di Nostro Signore Ges Cristo in tutta la sua vita. Perci, come il divin Maestro, illumin i suoi discepoli con i suoi colloqui. Il gran dono del Padre de Condren era quello della conversazione, ed egli l'aveva ricevuto con una abbondanza tale che passava talvolta persino quattordici ore intere nel conversare, ma cos utilmente che pochissime persone sfuggivano alla sua influenza... Per altro, la sublimit dei suoi lumi era talmente superiore alla capacit ordinaria delle menti, che era impossibile mettere in iscritto tutte le verit che diceva, tanto erano sante e sciolte dalle vie materiali di concepire o di afferrare le cose, perch egli le possedeva tutte per infusione (20). La forza dei suoi talenti, dice a sua volta Cloyseault, stava principalmente nella parola; la dottrina gli cresceva in bocca e lo spirito di Dio gli suggeriva per le Sue conferenze tale abbondanza di pensieri, che egli avrebbe voluto parlare di Dio notte e giorno; e sembrava che le bellezze del Cielo fossero annesse alle sue labbra... aveva la conoscenza della Teologia come se lavesse imparata al terzo cielo, come san Paolo; aveva ci che i dotti chiamano l'intelligenza della fede (21), vale a dire una conoscenza della medesima natura di quella degli angeli, i quali in un batter d'occhio penetrano nel seno della verit. Quante cose sapeva sui misteri di Ges Cristo e su le grazie che ne emanano! quanti tesori vedeva nelle S. Scritture!... L'avreste sentito a parlare per giornate intere che non vi sareste mai stancati; e chi l'aveva sentito non poteva a meno di esprimere la propria ammirazione... gli uni dicevano: Mai uomo ha parlato come costui; altri non un uomo ma un angelo... Una tale potenza nelle Sue parole non proveniva dalla speciale bellezza della sua dottrina, n dalla dolcezza del suo spirito, ma da una grazia affatto particolare che Dio aveva diffusa su le sue labbra, per commuovere i cuori (22). Passando una volta da Moulins, il Padre de Condren ebbe con santa Chantal lunghe conferenze di piet; fu allora che la Santa disse quelle celebri parole riferite in cento luoghi: Dio ha dato il nostro Beato Padre Fondatore (san Francesco di Sales) per istruire gli uomini, ma mi sembra che il Padre de Condren sia adatto per istruire gli Angeli; tanto pieno di lumi sublimi e spirituali. Per altro, per ispirito di carit, egli era sempre allegro nella conversazione e rallegrava tutti con motti piacevoli ed anche spiritosi; ma anche quando non parlava direttamente di Dio, le sue parole distaccavano dalle cose terrene e portavano alla piet. Nelle sue conversazioni emergevano il suo talento, la sua scienza la sua santit e quando scherzava, lo faceva con tanta innocenza e semplicit che non offendeva mai nessuno, ma divertiva tutti con grande carit. 10

Condren direttore spirituale L'attivit speciale del Padre de Condren si esercit nella direzione spirituale delle anime; un mondo di persone accorrevano a lui per trovar luce nei loro dubbi, fiducia e sicurezza nella loro ansiet e consolazione nelle loro angosce; e egli lavorava sempre pi a formare in tutte l'immagine perfetta di Ges Cristo sacrificatore e vittima. Aveva proprio ricevuto da Dio grazie speciali per una tale missione. Era un uomo di Dio, dice il Cloyseault che Dio aveva fatto per i suoi Santi e che aveva reso capace di condurre alle perfezioni le anime pi eminenti. Perci i pi gran servitori di Dio lo ricercavano, egli aveva sempre i talenti necessari per dirigere i pi santi e la sua direzione era cos retta e cos pura che bisognava necessariamente o fare grandi progressi o disprezzare affatto la grazia. Aveva il perfetto discernimento degli spiriti e delle vocazioni... Non c'era via di santificazione per quanto straordinaria ch'egli non comprendesse subito; Dio gli aveva fatto conoscere tante sorte di santit, a segno che egli pensava che il numero dei santi non fosse minore (ai suoi tempi) che nei primi secoli, sebbene fossero pi nascosti (23) . Dall'Amelote rileviamo alcune delle sue qualit come direttore spirituale (24). 1 Non si faceva mai avanti per dirigere nessuna persona; non accettava senza grandi indizi della volont di Dio; per i poveri era pi facile, ma per le persone di condizione era pi difficile e prima di accettare pregava e faceva pregare a lungo. Mentre le persone pi istruite e pi elevate dicevano che Dio l'aveva fatto nascere per questo ministero, egli diceva che nessuno ne era meno capace di lui. 2 L'unica sua intenzione nel dirigere le anime era di darle perfettamente a Dio; le offriva a Dio come Sacerdote e come Ostia, proponendosi di immolarsi con esse in un medesimo sacrificio. Non attribuiva a se stesso la qualit di Direttore; ma diceva che questa qualit apparteneva esclusivamente a Ges Cristo come maestro. Era estremamente delicato su questo punto e non mancava mai di esaminare frequentemente le sue disposizioni a questo riguardo e quelle delle persone che dirigeva; dimodoch non amava che le loro anime e unicamente per Dio. 3 Una delle sue massime favorite era che il direttore non deve mai prevalersi per il proprio interesse dell'affezione e della fiducia delle anime che dirige. E cos faceva non solo per umilt e spirito di sacrificio, ma anche per amore verso Ges Cristo. Sarebbe forse giusto, diceva, che io avesse amici che mi onorassero e mi proteggessero, mentre Ges non ebbe nessun amico, in considerazione del quale gli venisse usato il minimo riguardo? 4 Il direttore spirituale non deve considerarsi come padrone delle anime, ma unicamente come esecutore della volont di Dio; la direzione non deve essere una invenzione del nostro spirito, una comunicazione dei nostri sentimenti e delle nostre pratiche personali, n identica per tutte le anime; invece una cooperazione con lo Spirito di Dio, un servizio che si rende alla vocazione di ciascun'anima, un aiuto per confermare le persone in ci che la grazia domanda da loro, per nutrirle ed educarle, sino alla fine, nella perfezione di ci che Dio desidera da esse. 11

Il Padre de Condren aveva un'abilit ed una fedelt ammirabile nell'adempire un tal programma: Io non ho diritto, diceva, di mettere nulla del mio in un'anima: essa un Santuario dove abita Dio, e tutto quanto vi entrasse senza il suo ordine, lo profanerebbe. Tocca a Ges Cristo e a Lui solo disporre dei suoi servi, parlare ai cuori ed istruire i suoi figli; Ges li converte e li riforma come un vaso che riordina con la sua mano; ne fa nuove creature, li rigenera col suo spirito e con la sua parola; d loro orecchi e perch sentano e un cuore capace di amarlo. Tocca al Capo comunicare il movimento alle proprie membra, e se queste ricevono impressioni estranee, un disordine contrario alla natura del Cristianesimo. E con quale fedelt metteva in pratica queste massime! Aveva un dono singolare per discernere la vocazione speciale di ogni anima e si prendeva una cura particolare di dare a ciascuna le decisioni: conformi alla sua vocazione; perci prima di qualunque determinazione, prendeva tempo onde pregare e far pregare le anime medesime, perch Dio manifestasse la sua volont; non aveva mai fretta, ed qui il motivo di quella lentezza che si osservava e che da molti per insipienza si censurava in lui perch non aveva prontezza nel sciogliere le loro difficolt. Non era lentezza di spirito n di carattere, tuttaltro; ma siccome non decideva nulla col proprio giudizio, e desiderava la luce per conoscere la volont di Dio, teneva gli uomini nell'attesa finch avessero pregato abbastanza perch Dio nella sua bont, si degnasse di illuminarli. Pertanto, vedendolo sempre mirabilmente calmo, certuni si irritavano, ma egli non cedeva alle loro istanze e non dava nessuna decisione alla quale Dio medesimo non li avesse in certo qual modo preparati... Aspettava l'ora di Ges Cristo, lasciando che si pronunciasse Lui stesso nei loro cuori, senza mai usurparne l'autorit (25). Cos faceva ad onore ed imitazione di Ges Cristo; Ges Cristo, infatti, teneva sempre lo sguardo fisso su la volont del Padre suo; tanto pi dobbiamo far cos noi che siamo miserabili creature. Considerava dunque la suprema potenza di Dio, il quale solo deve disporre delle anime che ha create; la sua provvidenza la quale senza posa veglia sopra di esse e le regge; i diritti di Ges Cristo, come Maestro, Pastore e Capo di tutti i fedeli; l'esempio ch'Egli ci ha dato della sommissione agli ordini del Padre suo; e infine l'ignoranza e l'incapacit dei suoi ministri anche pi abili. Tali erano i principi della sua condotta (26). Di qui ancora la diversit delle sue decisioni, le quali, secondo i casi, sembravano contraddittorie. Il Padre de Condren sapeva adattarsi alla capacit delle anime deboli, e imitando ancora il divin Maestro, non dava loro le sue istruzioni se non gradatamente; cos pure le lasciava lungo tempo senza proporre loro cose nuove, affinch avessero l'agio di approfittar bene delle istruzioni che avevano ricevute. Parimenti, rispetto alle pratiche ed agli impieghi, non imponeva mai nulla che fosse superiore alla capacit delle anime; anzi non imponeva la sua volont, ma proponeva il suo avviso con dolcezza, con abilit e con tutto il rispetto, dimodoch il penitente vedeva lui stesso la convenienza di ci che il Padre gli suggeriva e si decideva con piena libert. Quando qualcuno ci domanda consiglio, scriveva ad un Prelato, dobbiamo investirci della sua pena e dargli il nostro avviso secondo la misura delle sue forze. Cos fa con noi il Signore medesimo, il quale ci usa riguardo per le nostre infermit e ci compatisce per la nostra debolezza. Aveva poi per massima indeclinabile di non occuparsi mai degli interessi materiali delle persone che dirigeva, ma unicamente dei loro interessi spirituali. Vari personaggi eminenti ebbero la fortuna di essere diretti dal Padre de Condren; ne citeremo alcuni. Dapprima il Card. de Brulle medesimo, il quale lo fece venire dalla casa di SaintMagloire alla casa madre di SaintHonor e lo prese per direttore. Egli vedeva in lui tanta 12

luce, tanta prudenza tanta grazia e tanta umilt, che gli obbediva come un fanciullo. Ad una persona distinta che gli chiedeva di essere diretta dal Condren, egli rispose che non era questo un uomo come gli altri, al quale Dio lasciasse la libert di tutto ci che si desiderasse da lui, e che tutto l'Oratorio obbediva al Generale, mentre il Generale obbediva al Padre de Condren (27). Inoltre era cos meravigliato delle parole che udiva da lui che spesso gli comandava di dettargliele e le scriveva in ginocchio a capo scoperto, stimandosi felice di imparare dal suo discepolo i segreti del Cielo (28). Bartolomeo Donadieu, Vescovo di Couminges, seguendo i consigli del Condren lasci la professione militare per entrare nella milizia ecclesiastica e per obbedienza al medesimo accett l'episcopato; non faceva mai nulla d'importante senza dipendere da lui e ne fu assistito sino alla sua morte, avvenuta in odore di grande santit. Il Condren convert il celebre povero prete Bernard e lo tenne sotto la direzione nei primi tempi, ma poi vedendolo chiamato ad una vita tutta speciale, per umilt gli consigli di prendere per direttore un padre Gesuita. Qui troviamo una bella applicazione pratica: il Padre de Condren vedendo Bernard ardente negli affetti, gli raccomand di dedicarsi pi che poteva alla considerazione delle verit e dei misteri; varie anime, diceva, dnno troppo all'intelligenza, mentre altre dnno troppo alla volont. Prevedeva fin dal principio, che quel santo prete dalla carit appassionata sarebbe stato trasportato nelle estasi, come avvenne poi, e questo fu un altro motivo della sua condotta (29). Lasciando da parte altri nomi illustri e santi personaggi ci limiteremo a poche anime la cui direzione ci fornir utili istruzioni. Condren e la signora Della Roche. La signora Della Roche, persona di gran piet, era afflitta da straordinarie pene interiori, e diremo, da scrupoli speciali per i quali la confessione era per lei impossibile; si figurava che non era capace di confessare i suoi peccati n di averne sufficiente contrizione, perch non Li conosceva punto come erano davanti a Dio; non avrebbe avuto difficolt di confessarsi di ogni suo peccato davanti al mondo intero, ma il suo male, diceva, era l'impossibilit di manifestare i suoi peccati nella loro reale malizia. Quando qualche confessore le diceva di tenersi in pace, ch aveva fatto abbastanza davanti a Dio, rispondeva che vedeva tutto il contrario nell'anima propria e ripeteva, tutta in lagrime, che era indegna di assoluzione. I confessori anche pi esperti non sapevano che pensarne, inclinavano, a ritenerla pazza e l'abbandonavano. Infine Dio la indirizz al Padre de Condren, il quale, avendola riconosciuta come un'anima buona, ma illusa con grande astuzia dal demonio, trov il modo di persuaderla e di guarirla perfettamente. Fatta la sua confessione, ella gli disse che non era capace di esporre meglio i suoi peccati, ma che tuttavia l'accusa non era sufficiente. Allora il Padre cos le rispose: Avete ragione di dire che non avete sufficientemente espressi i vostri peccati, perch, infatti, in questa vita impossibile rappresentarceli in tutta la loro deformit; non li conosceremo mai come sono se non nella luce di Dio; quaggi non abbiamo che la fede, la quale in verit ci convince della loro malizia infinita, ma non ce la fa vedere apertamente. Dio vi d un'impressione della deformit del peccato, per la quale vi fa sentire che maggiore, senza confronto, di quanto compaia agli occhi vostri, ma non ve ne dar la vista perfetta, n la facolt di esprimerla se non quando comparirete al suo tribunale. Lo stesso va detto pure di tutti gli altri oggetti della fede; Dio mette in noi, per verit, certi lumi che ci persuadano della loro grandezza, ma per discorrerne non ci lascia che il nostro linguaggio ordinario. Voi dovete dunque concepire i vostri peccati come la fede ve li propone; ma dovete contentarvi di dirli con le parole che la vostra bocca capace di produrre. Basta ch'io comprenda cos bene come voi medesima, che essi sono superiori a tutto ci che potete 13

dirmene; io li giudico per la fede come sono davanti a Dio. Cos l'accusa che voi ne fate nella forma che Ges Cristo ha prescritta, e il giudizio ch'io ne porto secondo verit. Da queste parole, nelle quali si ammira una grande semplicit nella fede e una logica irresistibile, quella buon'anima si trov molto sollevata; ma le restava ancora una difficolt, cio che non era degna dell'assoluzione. Se voi volete dire, replic il Padre, che non ne siete degna per non aver fatto nella vostra accusa ci che Ges Cristo domanda, vi ho spiegato come siete nell'errore. Ges Cristo, infatti, vuole s che stimiate per la fede la deformit dei vostri peccati, ma vuole pure che li esprimiate col linguaggio umano. Intendo bene tutto questo, rispose quella, eppure io mi sento sempre cos indegna dell'assoluzione che non potrei n domandarla, n acconsentire a riceverla. E' vero, figliuola mia, replic il Padre, che la confessione dei vostri peccati non vi rende degna per questo di riceverla; dopo che ci siamo disposti secondo l'ordine di Ges Cristo, l'assoluzione ancora un effetto della sua divina misericordia e non un obbligo della sua giustizia. Ma in quella guisa che non possiamo evitare la sua severit quando gli siamo disobbedienti, cos non tocca a noi prescrivere delle leggi alla sua bont quando Egli la vuole esercitare sopra di noi. Avete confessato i vostri peccati, questo un dovere che Ges Cristo vi ha imposto; ma sebbene siate indegna della sua grazia, tuttavia non tocca a voi a legargli le mani per impedire che ve la accordi. State ferma nel sentimento della vostra indegnit, ma non toccate alla suprema potenza di Dio: vero che guardando a voi medesima, non dovreste punto aspettare nessuna misericordia ma considerando la grandezza di Dio, chiunque voi siate, dovete sottomettervi alla sua volont. A questi chiarissimi ragionamenti quell'anima apr gli occhi e infine dal Padre de Condren ricevette l'assoluzione che da un anno le veniva rifiutata. Nell'ultima sua malattia, sentendosi vicina a morire, mand a pregare quel Padre di venire a visitarla. Egli vi si port subito ed essendosi informato dello stato dell'anima di lei: Sento, rispose quella, Dio oltremodo rigoroso. Egli le domand in quale disposizione si trovasse ed ella rispose: Entro nel suo rigore contro me stessa. Il Padre le parl della santit di Dio e dell'avversione che Egli prova contro la corruzione della carne in cui ci troviamo in questa vita; ed ella disse: Adoro tutto ci che Dio , e dopo qualche momento: Io mi separo dallessere di quaggi e mi ritiro nell'essere nascosto di Dio , e cos dicendo mand l'ultimo respiro. Il Padre de Condren teneva quest'anima in grande venerazione (30). Condren e un'anima mistica. Un'altra anima che dal Padre de Condren venne condotta ad un'alta santit fu una povera giovane, per nome Barbara, servente presso un onesto mercante di Compigne. Era questa un'anima privilegiata che Ges Cristo conduceva per vie elevatissime e con grazie straordinarie; animata da vivissima divozione alla Passione di Nostro Signore, alla santa Eucaristia ed alla Vergine santissima, si sprofondava in un Sommo disprezzo di se medesima. Ges le fece sperimentare i dolori della sua Passione e gli impresse anche le stimmate; intanto i suoi padroni si lamentavano perch non aveva forza per adempiere il suo servizio e minacciavano di licenziarla; ma Dio internamente la confortava. Ges Cristo le manifest l'enormit dei peccati del mondo i quali l'avevano costretto a morire su la Croce; sul Calvario ella vedeva una croce sola, ma su la terra vedeva il Salvatore crocefisso dappertutto in una moltitudine di cuori, e bruciava del desiderio di farlo rivivere in tutte le anime nelle quali lo vedeva morto; si offr dunque per soffrire per la salvezza di tutti gli uomini tutte le croci di cui sarebbe stata capace. Dio le fece intendere che voleva farne una Madre di compassione e di misericordia e che d'ora innanzi l'avrebbe ritenuta come una sua vittima, affine di ottenere incessantemente per mezzo di lei il compimento dei divini desideri della sua misericordia. Perci quando Dio voleva far risentire a certi peccatori effetti straordinari, Barbara era la 14

sua vittima d'ufficio. Vorremmo aver qui molto spazio per descrivere l'apostolato intimo che quella povera servente esercit per la conversione di molti peccatori e specialmente dei moribondi. Ci basti dire che la sua vita era un continuo martirio. Ges Cristo un giorno, dopo che da lungo tempo ella viveva in questo ufficio ammirabile di Vittima della giustizia di Dio per le anime, le fece intendere, con un certo lamento, che il possesso che voleva prendere di lei non era ancora completo e che era destinata ad un martirio ancor pi grave. Barbara trovandosi in quel momento nella chiesa di un monastero di vergini consacrate a Maria, pens sul subito che Ges Cristo volesse che entrasse come suora in quel convento; ma intese poi che non era questa la volont di Dio e si abbandon al beneplacito divino, disposta sempre a portare qualunque croce. Poco dopo si trov oppressa da una pena lentissima e spaventevole, ben superiore a tutto quanto aveva provato sino allora. Dio volle farle sperimentare, per quanto fosse possibile, il tormento dell'anima che cade nell'abisso della dannazione. Ella disse che era un genere di pena inesplicabile; tutto ci che poteva dire era questo, che Dio la stritolava come una ruota. Ad una tale pena estrema succedette in Barbara un dolce sonno dell'anima che la riconfort, ma la violenza dell'angoscia era stata cos forte che ne rest come priva di vigore e annientata, e talmente spaventata che non ardiva presentarsi al Signore n alzare gli occhi davanti a Lui. Mentre Barbara con questo stato crocifiggente di vittima serviva di strumento alla divina misericordia onde liberare dall'eterna dannazione i peccatori pi ostinati, Dio le fece comprendere che aveva qualche disegno particolare su l'anima di lei; e poich essa temeva che il suo confessore non volesse darvi la sua approvazione, Dio le disse che le voleva dare come direttore un uomo il quale l'avrebbe condotta secondo la sua santa volont, Barbara ne fece parte al suo confessore, che era un religioso molto prudente ed umilissimo, ed egli ne fu molta soddisfatto. I padroni di Barbara, i quali erano ormai persuasi che Dio voleva operare grandi cose nella loro domestica, la condussero seco in un viaggio a Parigi; Barbara essendo entrata a pregare nella chiesa di Saint-Magloire, una voce divina le disse nell'intimo dell'anima: Domanda qui l'uomo pi dotto nelle cose spirituali; quello ti aiuter e ti consoler. Si port dunque dal portinaio della attigua casa dell'Oratorio ed espose le sue domande al portinaio; questi intu subito che si trattava del Padre de Condren; ma essendo questo padre assente, chiam il Padre de Brulle, che si trovava in visita in quella casa. Barbara riconobbe subito che era un Santo, eppure non si sent di conferire con lui con tutta confidenza e cap che non era quello che Dio le aveva Promesso; il Padre de Brulle comprese pure l'imbarazzo di Barbara e l'assicur che l'indomani le avrebbe mandato un altro padre molto pi illuminato nelle vie di Dio, il quale l'avrebbe infallibilmente confortata. L'indomani appena visto il Padre de Condren, Barbara conobbe che era proprio quello che Dio le destinava. Il Padre s'inform con gran cura di tutto quanto era avvenuto in lei, e discernendo subito i disegni divini su quest'anima privilegiata, le ordin di fare ogni giorno la santa Comunione, ci che non aveva fatto ancora. Vedendo che ella aveva molto bisogno di istruzione le disse di ritornare ogni giorno, finch sarebbe rimasta a Parigi, affinch potesse darle tutti gli avvisi necessari. Nel conferire col Padre de Condren Barbara vide pure la fine di una grande afflizione che non aveva altra causa che la sua ignoranza. Ges Cristo le aveva detto che per mezzo di lei voleva nascere di nuovo e vivere nelle anime e renderla partecipe delle grazie e della qualit della Madre sua. Ella ne era spaventata, come pure il suo confessare, il quale le disse di offrirsi semplicemente a Dio come la sua piccola servente e di non pensare ad altro. Infine dopo molta esitazione rifer la cosa al Padre de Condren. Ma questi le spieg il vero senso di quelle parole: Dovete intendere, figlia mia, le disse, che il Verbo divino si incarnato una volta sola nel castissimo seno della Madre sua Maria, come nato e nasce sempre una volta sola nel seno del Padre suo; questa incarnazione 15

e questa nascita nel seno di una Madre non si compir giammai in nessun'altra creatura; come la sua nascita eterna non pu venir comunicata a nessuna creatura, fuorch alla Persona divina che sola lo genera in eterno (31). Tuttavia, avendo voluto Iddio che il Figlio suo, oltre il corpo naturale, avesse un secondo corpo il quale composto di tutta la Chiesa, la quale dall'Apostolo viene chiamata corpo e pienezza di Cristo, e i figli della quale sono le membra di Ges Cristo, in cui Egli risiede e che sono un solo Ges Cristo; ne consegue che Ges Cristo nasce ogni giorno nei suoi fedeli, in loro si forma e, ottiene il suo crescimento. Perci, in quanto deve vivere in tutti i fedeli, viene generato in essi da tutti quelli che cooperano alla loro conversione; e come san Paolo e gli Apostoli l'hanno fatto nascere in tutti quelli ai quali l'hanno predicato con efficacia, cos pure tutte le anime che davanti a Dio fanno penitenza per i peccatori, che per loro portano la croce con Ges Cristo, che espiano le loro colpe sopportando nell'innocenza le loro sofferenze davanti alla santit e la giustizia di Dio, e cos, per queste segrete vie nelle quali lo Spirito Santo le fa' camminare per vantaggio dei peccatori ostinati, li ritraggono dalla loro disgrazia e rinnovano in loro la vita del Figlio di Dio: tutte queste anime fanno nascere di nuovo il Figlio di Dio e perci dal Salvatore vengono chiamate sua Madre. Ecco il senso in cui Dio desidera che siate la Madre del Figlio suo e gli diate una nuova nascita. Sacrificatevi dunque a Lui senza timore per il compimento del suo disegno. Barbara da quel momento rimase perfettamente tranquilla e la sua vita, in una intima unione di spirito con la Beata Vergine fu una continua immolazione per i peccatori, una continua comunicazione all'anima sua del mutuo amore del Padre e del Figlio suo Ges e delle umiliazioni, degli obbrobri e dei dolori che il Figlio di Dio soffr per la salvezza degli uomini e per amore verso Dio suo Padre; e cos riceveva vive e potenti impressioni dei sentimenti intimi di Ges sofferente e delle sue disposizioni davanti a Dio per la salvezza degli uomini. Ella ringrazi il Signore per la grazia che le aveva fatta inviandole il Padre de Condren: Vi offro, diceva a Dio, vi offro l'anima mia come una vittima, con l'anima del Padre che mi avete inviato, affinch in questo incontro che avete ordinato Voi, non vi sia nulla che non sia puramente per Voi. Continu sino alla morte a portare la sua croce, senza mancare mai ai servizi che doveva prestare ai suoi padroni. Continu sempre nel suo apostolato d'immolazione e vedremo nella eternit quale moltitudine di anime ella avr salvate con la sua intercessione e il suo martirio. Barbara ricevette da Dio anche lo spirito profetico, tanto per gli interessi dei suoi padroni sui quali attir le pi copiose benedizioni spirituali e temporali, quanto per il vantaggio di certe anime impegnate in grandi delitti, delle quali conosceva lo stato non solo per divina illuminazione, ma anche per l'obbligo che Dio le imponeva di portare, essa medesima, i loro peccati ed i suoi rigorosi giudizi sopra di esse. Il Padre de Condren si portava ogni anno a Compigne per conferire con lei e con una di lei compagna di cui la virt e la grazia erano almeno uguali a quelle di Barbara. Vi era per in Barbara una cosa che non piaceva punto al P. de Condren, ed erano i fenomeni mistici esterni. Ella aveva un'unione cos intima con lo stato di Ostia di Ges per i peccati, che sovente rimaneva due o tre ore come morta . Orbene, Condren scrivendo a quel religioso che era il confessore ordinario di lei a Compigne diceva: Desidererei che Nostro Signore si compiacesse di sorreggerla di pi affinch ella non soccombesse cos per infermit e che un tale stato penoso e crocifisso in lei fosse pi nascosto nella forza di Ges Cristo, il quale sopportava tutto un mondo di dolori e un'incomprensibile estremit di sofferenze, senza tralasciare i doveri verso Dio e verso gli uomini... Vorrei che ella non ricevesse cos animalmente e cos carnalmente gli effetti e le sante comunicazioni di Dio; mi sembra infatti che la natura ed i sensi abbiano troppa parte a questi doni di Dio. Poi elevandosi ad una dottrina generale importantissima, aggiungeva: Non riceviamo mai i doni di Dio cosi puramente come Egli ce li d; e anche quando nel darceli ce li fa ricevere per mezzo del suo Spirito, sovente la nostra natura vi prende la sua parte e fa che 16

riceviamo impuramente ci che Dio ci d santamente... Dobbiamo desiderare di perdere tutto affinch Dio abbia tutto; di non essere nulla in noi, affinch Egli in noi sia tutto; desiderare di morir sempre ad ogni cosa, persino ai doni che Dio si compiace di farei, affinch Egli medesimo viva in noi dentro i suoi propri doni. Lett. X. Un giorno egli disse al Padre confessore di lei che essa aveva poco da vivere e cos avvenne. Dopo di aver conquistato a Ges Cristo una infinit di anime, da un po' di tempo non poteva pi dire nulla di se medesima se non che era ritirata nellinfinit di Dio, e mor con una pazienza ammirabile in una manifesta partecipazione dellabbandono provato dal Figlio di Dio su la Croce. Dimostr sino alla fine un coraggio affatto straordinario per sopportare i suoi dolori interiori e il rigore della divina santit; n mai si stanc di soffrire senza consolazione. Si potrebbe scrivere un volume intero, soggiungeva il Padre Amelote, per enumerare le anime straordinarie che conobbe il Padre de Condren; esse lo cercavano da ogni parte, e nei suoi viaggi Dio gli inviava sempre le anime sante dei luoghi dove passava. Disse pi volte che non vi era nei nostri tempi un minor numero di santi che nei primi secoli, sebbene non siano conosciuti (32). Il Padre de Condren e Gastone d'Orleans. Abbiamo visto che il Padre de Condren era stato costretto ad accettare l'ufficio di confessore del duca Gastone d'Orlans, fratello del Re; egli esercit la sua missione con un santo zelo e senza nessun rispetto umano. Essendo sorti gravi dissidi tra Gastone e la Corte, per ben due volte il Padre de Condren fu l'unico uomo che, superando gravissimi ostacoli, pot ricondurre Gastone alla sottomissione al Re, risparmiando cos serie difficolt anche allo Stato medesimo. Tale era per la sua umilt che quando tutto era fatto, ad altri ben volentieri, anzi volontariamente, lasciava il merito dell'opera compiuta. Tuttavia il Re e Richelieu non si illudevano e riconoscendo che tutto il merito era suo vollero farlo creare cardinale o almeno Vescovo; gli offrirono in seguito persino l'Arcivescovado di Rheims e poi quella di Lione, ma tutto fu inutile di fronte alla eccezionale umilt di quell'uomo di Dio. Il Padre de Condren ottenne buoni frutti nella sua direzione; ma il principe, bench gli portasse una sincera e fervente affezione, si lasci trascinare dalla passione per una signorina e ne ebbe anche prole. La scandalo era gravissimo, perci il Padre de Condren rinunci risolutamente al suo ufficio; ma il Re e Richielieu temendo che Gastone, se fosse abbandonato dal suo santo confessore, non avesse a far peggio, ordinarono al Padre di continuare ad assisterlo. Egli esit, ma, dopo di aver molto pregato, riconobbe che tale era la volont di Dio. Si port dunque da Gastone e gli parl con tanta forza che lo fece piangere; ma riconobbe che la colpa piuttosto che del principe era di quella signorina, la quale per ambizione aveva usato tutti gli artifizi possibili per sedurlo. Ebbe compassione del duca; ma non tralasci di prescrivergli i mezzi di riparare lo scandalo e di ritornare ad una vita cristiana; lo obblig a confessarsi pi volte senza ricevere la assoluzione; lo lasci un anno senza la comunione e gli ingiunse severissime penitenze che il principe accett ed esegu con tutta docilit; gli sugger inoltre di procurare che quella signorina entrasse in un convento; e difatti, ricevuta una dotazione dal principe, ella entr in una delle pi sante Congregazioni in cui visse lungamente, praticando tutte le virt religiose, e mor santamente. Il Padre de Condren proib anche a Gastone di riconoscere il figlio illegittimo, ci che il principe osserv anche dopo la morte di lui, sebbene essendogli morto l'unico figlio, da molti gli si facessero pressioni perch legittimasse almeno l'altro. Osserviamo questo fatto: Gastone aveva il vizio di bestemmiare; il Padre de Condren gli dichiar che per causa delle sue bestemmie non sarebbe mai re; e che Dio farebbe anche miracoli per impedirglielo. La storia nota, infatti, che la stirpe di Gastone rimase estinta, 17

mentre quella del suo fratello Luigi XIII, la quale sembrava definitivamente estinta, si rialz come per miracolo, quando, dopo ventitr anni di sterilit, Anna d'Austria mise al mondo un principe che fu poi Luigi XIV, soprannominato per questo Deodato. Condren e Amelote. Il Padre de Condren era un direttore alquanto originale; lo vediamo dal modo con cui attir a s il Padre Amelote (33). Era questo un giovane sacerdote, di gran talento, dottore della Sorbona fin dall'et di 22 anni; allora ne aveva ventisei. Il Padre de Condren giudicava che fosse adatto per appartenere a quella piccola societ che aveva formata perch fosse il fondamento dell'istituzione dei seminari di Francia. Cercava dunque di conquistarlo e gli faceva frequenti visite, affinch fosse obbligato anche lui a venire a trovarlo. Lo Amelote resisteva; anzi pi il Padre de Condren lo assediava con le sue premure, e pi egli sentiva ripugnanza per la sua persona e la sua dottrina; infine, vinto da tante insistenze, un giorno gli disse: Infine, cosa valete da me?. Condren per tutta risposta gli diede un regolamento di vita, il quale gl'imponeva il sacrificio quotidiano dei suoi gusti pi cari. L'Amelote dovette spaventarsi; dominato da un amore eccessivo allo studio, si metteva al lavoro alle quattro del mattino e continuava si pu dire sino alla sera; il regolamento, invece, presentatogli dal Condren, gli proibiva, per un anno, ogni sorta di lettura e di studio, ad eccezione di due capitoli della sacra Scrittura ogni giorno, l'uno dell'antico Testamento, l'altro del nuovo, da leggersi in ginocchio e senza commenti; adorando nel primo Dio Padre nella preparazione che fece del mondo alla venuta del Figlio suo; e nel secondo ascoltando Ges Cristo che ci istruisce Lui medesimo. Per altro, era quello il regolamento che Condren aveva prescritto ai suoi altri discepoli. Per quanto fosse cosa dura, l'Amelote si sottopose ad un tal sacrificio; ma d'allora in poi si affezion al Padre de Condren, il quale se lo teneva pure come il discepolo pi prediletto. L'Amelote, si assimil tutta la dottrina del Condren; anzi assieme col Ven. Olier, fu erede del suo spirito. Egli godette la pi intima confidenza del suo maestro, e pot conoscerne perfettamente i sentimenti e la santit; penetrava nel suo cuore e vi scopriva tali segreti che furono sempre per lui vive immagini della vita del Cielo. Ne scrisse la vita, con lo scopo di far conoscere principalmente lo spirito di quell'uomo di Dio; e il suo libro, secondo Enrico Brmond, il primo modello di ci che oggi si chiama una biografia psicologica (34). Sono persuaso, scriveva, che molti lettori non mi crederanno, perch ritenendo il Padre de Condren come una persona ordinaria, si meraviglieranno delle sue grazie straordinarie e diranno che ho scritto un romanzo pi che una storia. Ma, oltre che difficile inventare una santit cos eminente come quella che ho descritta, dichiaro che ho tra le mani memorie cos autentiche rispetto a tutte le particolarit, che non ve n' nessuna ch'io non possa giustificare... Sua sorella e il suo precettore mi hanno detto ci che hanno veduto nella sua infanzia e nella sua giovinezza; i suoi compagni di scuola, i suoi maestri e i suoi scolari di filosofia mi hanno riferito ci che avvenne durante i suoi studi: i Padri dell'Oratorio mi hanno spiegato ci che fece nella loro Congregazione; ma tutto ci non mi ha servito che per conoscere il corpo della sua vita; ho potuto conoscerne l'anima e lo spirito perch ho vissuto e conversato con lui per molti anni in una confidenza particolare... Ma ci che importava, pi che la storia delle sue azioni era il suo interiore. Un uomo cos morto ai sensi, come il Padre de Condren, e cos nascosto in Dio, non doveva essere considerato che secondo lo spirito. Ci che mi aveva incantato era il suo cuore e non ci che si vedeva all'esterno; e ci che mi rapiva non erano tanto le sue azioni come il fondo dell'anima donde emanavano. 18

Condren e Olier. L'opera che stava in cima ai pensieri del Padre de Condren come gi del Cardinale de Brulle, l'opera per la quale principalmente era stato fondato l'Oratorio, era la santificazione del Clero e a questo fine la istituzione dei Seminari in Francia. Il Padre de Condren, per ispirazione di Dio, come venne dimostrato dagli avvenimenti, intu che l'abate Olier era l'uomo a ci destinato dalla Provvidenza. Infatti la Ven. Madre Agnese di Ges (35) aveva detto all'Olier che era destinato da Dio a gettare i fondamenti dei seminari del regno di Francia. Giovanni Olier si era posto sotto la direzione di san Vincenzo de' Paoli onde prepararsi al sacerdozio e si era dedicato alle missioni; dopo ordinato sacerdote, stette ancora diciotto mesi sotto la direzione del santo Fondatore dei Preti della Missione. Dove mai, meglio che a questo puro ed ardente focolare, avrebbe potuto attingere quei lumi che pochi anni dopo avrebbe dedicati alla grande opera dei seminari? Tuttavia, per un particolare disegno di Dio, il vero maestro dell'Olir non doveva essere san Vincenzo ma il Padre de Condren; infatti questi due santi uomini furono subito in disaccordo nei consigli che davano al giovine sacerdote ancora incerto su la propria vocazione. Notiamo per che furono pienamente d'accordo nel proibirgli con la Ven. Agnese, di diventare dottore della Sorbona. Di questa decisione, disse l'Olier, sar contento per tutta la mia vita, perch la Superbia mi avrebbe perduto; cos almeno la Croce non verr defraudata dall'onore che le dovuto, quando si vedr che i popoli tireranno profitto dai discorsi di un ignorante; e se vedranno in me qualche raggio di luce, non l'attribuiranno alla scienza della scuola, ma alla misericordia di Dio (36). Sei sacerdoti animati dal desiderio di vivere nel fervore della perfezione sacerdotale, ricorrevano a questo fine alle istruzioni del Padre de Condren; uno di questi era appunto Giovanni Olier il quale manifestava pure il desiderio di entrare in qualche Congregazione religiosa. Condren lo dissuase dal farsi religioso, come pure dal dedicarsi alle missioni estere; non gli sugger neppure di entrare nella Congregazione dell'Oratorio, ma lasci che lavorasse nelle missioni nell'interno del regno. San Vincenzo aveva altre idee, voleva che l'Olier accettasse un vescovato e, contrariamente all'avviso del Padre de Condren, ve lo spingeva con forte insistenza in virt del gran bene che poteva fare a capo di una diocesi. Sebbene questo gran Santo fosse dotato di doni sublimi per l'utilit delle anime, non aveva ancora l'idea della vocazione del suo figlio spirituale, perci la sua direzione poteva diventare un ostacolo al disegno di Dio e Dio intervenne. La Ven. Agnese di Ges in principio di ottobre del 1634, Scrisse al Padre de Condren che, dovendo morire fra poco, affidava l'Olier alla sua cura e la pregava di assumerne la direzione; era questo un ordine divino, attesa la santit di Madre Agnese che, infatti, mor inaspettatamente pochi giorni dopo. Venne l'avviso dal cielo anche direttamente per il Ven. Olier. Da tempo egli era oppresso da crudelissime pene interiori e i consigli di san Vincenzo non gli procuravano pi alcun sollievo; fece allora i santi Esercizi, e Dio si degn di manifestargli, Lui medesimo, la sua volont, ma in un modo chiaro e fortissimo. Sentiamo le sue medesime parole: O mio Tutto! Tacer io quella parola che adesso ancora mi trafigge il cuore di riconoscenza? Come potrei tacerla, o fonte inesauribile di bont, misericordia incomparabile! Mentre, durante quei santi Esercizi, ero ancora tutto crucciato dal pensiero di una colpa, per la quale pensavo di essere perduto, ad un tratto una voce come quella di un potente maestro mi disse: Il Padre de Condren ti dar la pace. E una tal voce fu tanto efficace che sul subito provai una calma ed una pace inesprimibili. La tempesta che sembrava dovermi inghiottire si calm e ne fui libero per sempre (37). La missione del Padre de Condren rispetto all'Olier e alla istituzione dei seminari in Francia, sebbene nascosta e tutta interiore, nondimeno una delle parti pi importanti 19

della vita di quel santo prete... E' questa la pi feconda espressione della perfezione sacerdotale alla quale Dio si era degnato di elevarlo. Non esitava a dichiarare, lui medesimo, che la sua principale vocazione era quella nascente societ di san Sulpizio, la quale avrebbe risvegliato lo zelo nel clero ed anche nella Congregazione dell'Oratorio (38). Ci volevano, infatti, questi due insigni maestri della vita spirituale, S. Vincenzo e il Padre de Condren per formare quel gran soggetto che fu il Ven. Olier e render1o capace delle pi elevate massime della perfezione. Dio volle che il futuro Fondatore dei Seminari in Francia, venisse ad attingere la grazia della sua vocazione a quella medesima sorgente dove san Vincenzo de' Paoli ne aveva ricevuto le primizie alla scuola del Padre de Brulle Giovanni Olier, pass dunque sotto la direzione del Generale dell'Oratorio che allora era il Padre Carlo de Condren (39). Ammiriamo in questa circostanza l'umilt e il disinteresse di tre santi personaggi. Il Padre de Condren, sempre restio, nella sua umilt, ad accettare la direzione di persone importanti, non accett questo incarico rispetto all'Olier se non perch vide chiaramente che era volere di Dio. San Vincenzo non risent la minima ombra di malumore, n contro l'Olier medesimo, n contro il Padre de Condren di cui fu sino alla di lui morte, amico, confidente ed ammiratore; continu pure ad amare il Ven. Olier e a dargli i suoi consigli, lo sostenne in tutte le sue opere, ne prese le difese, con pericolo della sua vita, quando lo vide esposto alle ingiurie dei suoi parrocchiani di san Sulpizio, e infine lo assist amorevolmente nella sua morte. D'altra parte il Ven. Olier si decise a cambiare direttore perch riconobbe chiaramente la volont di Dio; ma non cess di essere un figlio divotissimo per san Vincenzo, continu a lavorare finch pot nelle missioni dei Preti della Missione, e dopo la morte di Condren non fece mai nulla d'importante senza dipendere da S. Vincenzo. Cos i Santi in ogni cosa si regolano perfettamente secondo la volont di Dio e non gi secondo l'amor proprio. Il nuovo direttore incominci col dissuadere assolutamente il Ven. Olier dall'accettare qualsiasi Vescovato, dicendo semplicemente che Dio aveva altri disegni sopra di lui, i quali, sebbene non fossero cos onorifici e splendenti come l'episcopato, sarebbero stati pi utili alla Chiesa, L'Olier venne poi nominato coadiutore del vescovo di Chlons, il quale ne faceva un gran conto per il bene della sua diocesi, ma il Padre de Condren non volle che accettasse, quantunque il decreto fosse gi firmato; e siccome quel vescovo domandava che almeno gli fosse concesso uno dei cinque compagni dell'Olier, il Padre de Condren si oppose risolutamente, sempre con le medesime parole. Ammiriamo la condotta di quest'uomo di Dio, il quale mentre ad altri insigni sacerdoti minacciava di rifiutare l'assoluzione se non avessero accettato l'episcopato, a quei suoi intimi discepoli era disposto a rifiutarla se avessero accettato, perch intuiva la diversit dei disegni di Dio sopra gli uni e sopra gli altri. Tuttavia il Padre de Condren non dava mai n all'Olier n ai suoi compagni nessuna risposta chiara; essi, sotto la sua obbedienza lavoravano con uno zelo ammirabile nelle missioni in varie diocesi di Francia; ma non sapevano dove mirasse il loro santo direttore nel quale avevano una fiducia incrollabile. Quando dopo le missioni ritornavano a lui per rendergli conto di ci che avevano fatto, onde riconoscere le colpe che potevano aver commesse e sapersi regolare per l'avvenire, egli diceva sovente: Bisogna continuare nelle missioni, poi faremo qualche cosa di meglio; e nessuno ard mai interrogarlo. Intanto si esercitavano nel ministero per essere in grado di istruire poi gli altri e si acquistavano la stima dei popoli onde avessero poi maggiore autorit nella fondazione e direzione dei seminari. Rispetto all'Olier, il Padre de Condren si prendeva cura soprattutto d'ispirargli un amore singolare per Ges Cristo nel santissimo Sacramento e una tenerissima divozione verso la Vergine. Egli era stato uno dei primi promotori di quella celebre associazione conosciuta sotto il nome di Compagnia del santo Sacramento; la quale era composta di ecclesiastici e 20

di laici di ogni condizione che in quella rinnovavano lo spirito di umilt e di carit dei primi tempi del cristianesimo; vi fece entrare subito quel suo discepolo prediletto affinch fosse animato sempre pi dallo spirito di carit, di zelo e di religione. Gli fece poi fare i santi Esercizi da solo in una casa solitaria nei dintorni di Parigi, senza dargli neppure i soggetti di meditazione; abbandonandolo completamente allo Spirito Santo, non gli fece che una visita nella quale gli insegn a vivere nell'unione con Ges Cristo. Sentiamo il Ven. Olier medesimo: Sotto la condotta dello Spirito Santo... imparai allora per la prima volta e con mia grande sorpresa che Ges Cristo realmente presente nelle anime. Fui ben contento di essere illuminato e istruito su questa verit dal mio direttore nella visita che mi fece. Questo vero, mi disse il Padre de Condren; Nostro Signore presente realmente nelle anime: Christum habitare per fidem in cordibus vestris. Per fidem, vale a dire che la fede il principio della sua dimora, e il suo divino Spirito lo forma con le sue virt, donec formetur Christus in vobis ... Poich cos, d'ora innanzi unirete tutte le vostre opere al Figlio di Dio, in qualcuna di queste tre maniere: o per sentimento, o per disposizione, o per la fede. Se avete il sentimento di Ges presente in voi, unitevi a Lui per sentimento. Se non avete nessun sentimento, unitevi a Lui con le vostre disposizioni, vale a dire, sforzatevi di avere in voi i medesimi pensieri e le medesime disposizioni ch'Egli aveva nel fare le stesse opere; e quando queste disposizioni del divin Maestro vi saranno sconosciute o che non potrete formarle nell'anima Vostra, vi unirete a Lui almeno per la sola fede, ossia, unirete in ispirito le opere vostre a quelle del Figlio di Dio che offrirete cos con le vostre. Da questi santi Esercizi il Ven. Olier ricevette un'impressione straordinaria a segno che ne sent l'influenza per tutta la sua vita. Ci che il Padre de Condren gli disse in quella visita su la vita d'unione con Ges Cristo form la massima fondamentale di perfezione che si sforz poi d'ispirare al Seminario di san Sulpizio; e per facilitarne l'uso vi introdusse la preghiera: O Jesu... veni et vive etc., che gli era stata insegnata dal Padre de Condren (40). Intanto l'Olier ed i suoi compagni andavano sempre innanzi alla cieca, eppure si avvicinava il giorno in cui Dio avrebbe richiamato a s il Superiore dell'Oratorio. Il Padre de Condren ebbe anche un colloquio con la celebre Maria Rousseau, in presenza di due pii sacerdoti; dapprima per ben due ore egli continu a parlare in modo sublime, di Dio, della bellezza e della gloria della santissima Trinit, e infine della santa Chiesa, deducendone la necessit di ristabilire lo spirito cristiano nelle parrocchie per mezzo dei seminari; e soggiunse che aveva intenzione di ritirarsi per parecchie settimane in una casa solitaria dell'Oratorio per mettere in iscritto i pensieri che Dio gli aveva dato su questo argomento. Maria Rousseau gli rispose che si affrettasse, perch non avrebbe fatto in tempo a scrivere; che avrebbe dovuto farlo molto tempo prima, ora era troppo tardi ed egli non avrebbe veduto su la terra la esecuzione del disegno che Dio gli aveva ispirato. Verso la fine poi di quell'anno (1640) le mand a dire ancora che si affrettasse; infatti il Padre de Condren mor nel gennaio seguente. Maria Rousseau. Il lettore ci perdoner se apriamo qui una parentesi per far conoscere Maria Rousseau; ma crediamo sia cosa utile perch essa fu un personaggio dei pi importanti di quel tempo. Maria de Gournay, nata da genitori di bassa condizione, venne sposata a Davide Rousseau, uno dei 25 mercanti di vino di Parigi. Donna di grande virt, si propose di imitare la Madonna nei suoi sentimenti interni, perci si dedic alla pratica della umilt e della povert. Sebbene godesse di un'onesta agiatezza, viveva miseramente, peggio che se fosse stata nel chiostro. Si studiava di comparire come una donna ordinaria del popolo 21

senza nessun'apparenza di singolare piet, mentre era sempre assorta in un'unione intimissima con Dio e si elevava ad una eminente santit. Nei vent'anni che pass nel suo negozio di vino, con tutta semplicit e senza dar nell'occhio a nessuna attendeva con grande zelo al bene spirituale dei suoi clienti a segno che convert, con le parole pi semplici e pi comuni, una moltitudine di peccatori ostinati; ma il segreto di tali conversioni stava nelle sue mortificazioni e, nella sua continua preghiera. Innamorata della santa Eucaristia, passava talvolta giornate intere senza prendere nessun altro cibo. Dopo la morte del marito, continu l'esercizio della sua professione, ma visse pi poveramente ancora e s'innalz ad una santit straordinaria. Riceveva da Dio avvisi soprannaturali e ne dava comunicazione a chi doveva, n dava altra ragione fuorch questa: Dio vuole cos. Perci ella esercit un'influenza stupenda sopra i principali personaggi di quell'epoca. Talvolta dava avvisi contrari al parere di persone molto illuminate nella divina sapienza, e l'esperienza sempre dimostrava che aveva ragione. Venne consultata non solo da molte principesse che si ritenevano fortunate di poter conferir con lei, ma anche diceva il Ven. Olier, da tutte le anime sante, le quali sono felici di poter sentire dalla sua bocca quali vie debbono seguire per andare a Dio. Non vi sono uomini apostolici, n missionari che non ricorrano alla sua direzione e che non ne restino estremamente edificati. Tra le persone importanti che la consultarono, citiamo almeno san Giovanni Eudes e il Padre de Condren; da lei venivano a prendere consigli quelle anime generose che lavoravano nelle Missioni, come nel Canada, nel Levante ecc.; persino uomini politici ricorrevano a lei e a tutti ella dava le opportune istruzioni. Insomma, diceva ancora il Ven. Olier, bisogna che tutto il bene che si fa oggi, passi, in certo qual modo, nelle sue mani. Quando si vedono quei servi di Dio e questi uomini apostolici che Dio d ora alla Chiesa di Francia, venire a consultare quest'anima santa e poi farsi un dovere di seguirne gli avvisi, ci sembra di veder la santissima Vergine quando dopo l'Ascensione di Nostro Signore governava la Chiesa e dirigeva gli Apostoli. Maria Rousseau aveva ricevuto da Dio principalmente la missione di promuovere, aiutare e condurre a termine, coi consigli, con le preghiere e con le mortificazioni, l'opera del Ven. Olier per la istituzione dei seminari e la santificazione del clero di Francia; fece molto anche per la riforma degli Ordini religiosi e quando il Ven. Olier fu Parroco di san Sulpizio lo aiut col promuovere molteplici opere per la preservazione e la santificazione delle giovani e delle donne; per la perseveranza delle traviate convertite; per il collocamento delle persone di servizio, per l'assistenza alle famiglie povere; per la confezione di biancheria per i poveri e per le chiese; istitu anche scuole di lavoro e di economia domestica per le ragazze e d'istruzione per i fanciulli. Era l'Azione cattolica moderna in pieno sviluppo. Maria Rousseau fond pure una Congregazione speciale di Suore dedicate all'istruzione gratuita delle ragazze sotto il nome di Figlie della Santissima Vergine, le quali si chiamarono poi Suore dell'Istruzione cristiana; ma erano essenzialmente al servizio della Parrocchia. Maria Rousseau diede principio a quest'opera nella sua stessa casa, ma poi essa venne trasferita in una sede propria e prosper sino alla Rivoluzione. Dio aveva promesso a Maria Rousseau che, quando avesse compiuta la sua missione, l'avrebbe fatta rientrare nella oscurit. Infatti, quando si gettarono le fondamenta della fabbrica del Seminario di san Sulpizio, ella pot ritirarsi presso le sue Suore, dove visse ancora dieci anni, non come superiora, ma come sorella maggiore, elevandosi sempre a nuova perfezione in tutte le virt. Mor in odore di santit il 4 Agosto 1660 (41). Condren d principio alla istituzione dei Seminari. Il Ven. Olier, intanto che maturava la sua vocazione, attraversava una prova durissima; agitato ancora da oscurit e desolazioni interne, negli ultimi due mesi del 1640 soffr pene 22

acerbissime, le pene tra le pi gravi che un'anima possa sopportare in questa vita. Il Padre de Condren, il direttore che era l'unico suo appoggio e l'unico suo aiuto, sembrava averlo abbandonato ed avergli ritirato la sua fiducia; ma dall'ultimo colloquio ch'ebbero assieme, il Venerabile pot comprendere che era un abbandono semplicemente apparente; il Padre infatti, gli parl a lungo di quell'Angelo dell'Apocalisse, il quale negli ultimi tempi verr col suo turibolo a gettare il fuoco del cielo su la terra (42), Angelo al quale egli l'aveva gi esortato ad aver gran divozione. Poi gli spieg che la divozione al santo Sacramento era la divozione principale del Sacerdote, che egli doveva diffonderla dappertutto, e infine gli disse queste parole: Prendete Ges infante per vostro direttore , confermando cos una pratica che gi il Ven. Olier seguiva senza avergliela manifestata. Infine, negli ultimi giorni di dicembre, il Padre de Condren fece chiamare uno dei sacerdoti di quella piccola compagnia non gi l'Olier, n l'Amelote, ma il du Ferrier, e gli spieg che le missioni non bastavano, ma che di tutta necessit bisognava lavorare a formare dei buoni sacerdoti; senza far conto dei sacerdoti gi avanzati nellet, perch, disse, non si vide mai che un cattivo prete si converta ; di qui la necessit di istituire anche in Francia i seminari, secondo le volont del Concilio di Trento. Il du Ferrier gli espose varie difficolt che sembravano insuperabili poich tutti i tentativi che da sessant'anni si erano fatti a questo proposito, erano andati a nulla. Il Padre de Condren gli dimostr che era un inganno, che nulla era pi facile che l'istituzione dei seminari e si diffuse lungamente, assicurando che Dio non avrebbe mancato di aiutare un'opera cos santa e necessaria. Soggiunse persino che bisognava far presto e incominciare subito perch lo spirito del male non avrebbe mancato di suscitare ostacoli e di far nascere torbidi per intralciare la formazione di buoni sacerdoti; infine disse che non bisognava prendere altro partito fuorch quello del Papa, ed evitare, secondo la raccomandazione di san Paolo, dispute, questioni di parole e contese (I Tim. VI, 4; Tit. III, 9). Quel colloquio memorabile dal quale nacquero i Seminari di Francia dur quattro ore; il Padre de Condren: non aveva consentito di interromperlo, neppure per celebrare la santa Messa, bench fosse ripetutamente chiamato dal fratello assistente. Infine, essendo ormai le dodici, disse al du Ferrier: Fratel Martino potrebbe perdere la pazienza; continueremo domani mattina; e and a celebrare la santa Messa, per l'ultima volta, perch l'indomani era gi colpito dalla grave polmonite che in pochi giorni lo condusse al sepolcro. Non pot pi Parlare col du Ferrier, ma i suoi intimi discepoli ormai erano chiaramente istruiti su la loro vocazione e sui disegni di Dio sopra di loro, quindi potevano immediatamente mettersi al lavoro. Il Padre de Condren gettando in tal modo per mezzo del Ven. Olier e dei suoi compagni i fondamenti dell'opera dei Seminari, e quindi di una solida rigenerazione del clero di Francia, aveva compiuto la missione per la quale Dio l'aveva inviato al mondo. Opus consumavi quod dedisti mihi ut faciam . Sopravvisse otto giorni soltanto a quel memorabile colloquio. Un po' prima di morire, come se Dio avesse voluto manifestare la grande virt del suo servo col dargli dei lumi profetici su l'avvenire, il Padre de Condren predisse con una sorprendente precisione i mali che il giansenismo avrebbe causato alla Chiesa: Ci che mi fa gemere, disse ai Padri dell'Oratorio, radunati per l'ultima volta intorno a lui, lo scisma che prevedo e che si vedr fra due anni (43). I suoi pensieri su l'istituzione dei Seminari in Francia incominciarono ad effettuarsi poco tempo dopo la sua morte, come se, per imitare pi perfettamente Nostro Signore, egli avesse voluto compiere per mezza dei suoi discepoli piuttostoch perse medesimo quell'opera che era stata l'oggetto delle sue pi costanti preoccupazioni (44). Infatti, il Ven. Olier ed i suoi compagni si riunirono assieme a Vaugirard prima della fine di quell'anno e iniziarono l'opera loro superando difficolt che sembravano invincibili; pochi anni dopo si gettavano le fondamenta dell'edificio del Seminario di san Sulpizio, si formava 23

la Compagnia dei preti di san Sulpizio, la quale non poteva bastare a soddisfare le richieste dei Vescovi e in tal modo la riforma del clero, cos ardentemente desiderata dal Card. de Brulle e dal Condren si compiva in molte diocesi. Morte del Padre de Condren. Il Padre de Condren mor il 7 Gennaio 1641; avvenuta la sua morte, tutta Parigi si commosse; il Re Luigi XIII disse che era scomparso l'uomo pi santo che egli avesse nel suo regno; la regina volle che il predicatore ordinario della Corte ne facesse l'orazione funebre; il Cardo Richelieu dichiar che era questo l'uomo pi disinteressato che avesse mai visto. Il corpo del defunto venne esposto nella Chiesa dell'Oratorio e da ogni parte si accorse a visitare la salma, per contemplare la maest che spirava dal suo volto, come per godere di quell'odore di santit e di grazia che dalle sue spoglie si diffondeva in tutti i cuori. Tutto il popolo manifestava vivamente la sua venerazione: chi si raccomandava a lui, chi gli baciava i piedi, chi si portava via qualche particella delle sue vesti, o almeno gli faceva toccare corone, medaglie ed oggetti di devozione. Laccorrere della folla fu cos enorme che fatte le esequie, non si pot portarlo al sepolcro e fu d'uopo aspettare la notte. Il suo volto che negli ultimi momenti della sua agonia era scomposto e livido, prese un aspetto vermiglio e splendente come non aveva mai avuto in vita, a segno che il Padre Bernardo, detto il povero prete, di abbiamo detto sopra, avendo rialzato le sue palpebre, ne vide l'occhio cos pieno di espressione che esclam rivolgendosi ai suoi amici stupiti a questo prodigio: Il nostro beato Padre vivente ancora! A questo proposito il prelato che fece l'orazione funebre esclam: S'ingannano; no, no, proprio morto!, questo santo uomo aveva per divisa: O disprezzo o morte... s'inginocchiano davanti a lui, gli baciano i piedi ed egli non si muove!... Chi non vede che questa una prova evidente ed invincibile che morto?. Apparizioni e miracoli. Dio lo glorific con molti miracoli, ma specialmente con miracoli spirituali; alla sua morte molte persone furono convertite ricordando i suoi avvisi mentre prima li avevano trascurati; molti furono pure liberati dallo spirito maligno che le tormentava; molte, invocandolo, si trovarono liberate da gravi pene interiori, altre per la sua intercessione ottennero la guarigione di malattie corporali. Due anime buone, bench pure e pie non vivevano tuttavia nel vero spirito del Figlio di Dio; il Padre si Present a loro onde esortarle a vivere conformemente alla vocazione cristiana. Voi siete cristiane, disse loro, ma solo per i sacramenti; non lo siete punto per la vostra vita. Qualunque cosa voi mi facciate, siete come un corpo morto se non lavorate a rianimare il vostro battesimo. Non dovete vivere nella vostra propria persona, ma dovete fare ogni cosa in unione con Ges Cristo. La sua purezza quella che dovete amare; e nello spirito col quale Egli l'ha amata, essa deve essere preziosa per voi. Insomma, dovete rinunciare a tutto ci che siete ed investirvi di tutto ci che di Ges Cristo. Un'altra volta, ad una di quelle manifest la sua propria anima e lo stato del suo interiore. Ella vide che il Padre era stato prodigiosamente ripieno delle disposizioni del Figlio di Dio, che i suoi difetti erano stati riparati dalla perfezione di Ges Cristo, che era sempre vissuto in istato di sacrificio e che avrebbe voluto immolare ogni cosa alla gloria di Dio. Egli le disse che tutti i lumi che aveva avuto su la terra non erano che tenebre a confronto di ci che vedeva allora nel seno di Dio; e ripetendo pi volte queste parole: Quanto santo Iddio! scomparve. 24

Ma coloro che meglio provarono gli effetti della sua protezione furono i suoi discepoli prediletti, Olier e i suoi compagni, i quali dovevano essere gli eredi del suo spirito e effettuare il suo disegno per i seminari. Dopo quel colloquio che abbiamo riportato sopra, il du Ferrier gli aveva inviato un biglietto per pregarlo di illuminare qualcuno di loro sopra quello che aveva incominciato a spiegare in quel giorno. Orbene, nella notte dopo la sua morte, il Padre de Condren comparve, rivestito degli abiti sacerdotali e circondato di gloria, ad uno dei compagni dell'Olier, per nome Meyster, lo liber da una pena di spirito, gli ingiunse di respingere come una tentazione il pensiero che aveva formato di separarsi dai suoi compagni, e gli dichiar che era volont di Dio che cessassero dal lavorare nelle missioni e si dedicassero senza nessuna dilazione alla formazione dei chierici in un seminario e che questa casa sarebbe benedetta da Dio; aggiunse che non dovevano far voti speciali, ma stare sottoposti all'autorit dei vescovi. Finita la sua istruzione, il Padre de Condren disse con un accento tutto celeste di ammirazione queste tre parole: Sanctus, sanctus, sanctus! e scomparve. Questa visione era la risposta al biglietto del du Ferrier, la continuazione e il compimento di quel colloquio, di cui il Meyster non sapeva ancor nulla, essendo appena ritornato a Parigi per i funerali. Al sentire quanto gli rifer il Meyster medesimo, il du Ferrier rimase sorpreso vedendo come il Padre nella sua apparizione avesse appunto ripreso l'argomento al punto in cui l'aveva lasciato con lui; ma fu soddisfattissimo perch ne venne istruito su tutto ci che desiderava sapere, e tutti i suoi compagni furono ormai pienamente sicuri di fare la volont di Dio nel lasciare le missioni per dedicarsi all'istituzione dei seminari. Il Ven. Olier ebbe anche lui un favore simile: nella medesima natte il Padre gli comparve e tra altre cose gli disse queste parole del Salvatore ai suoi discepoli: Confidite, ego vici mundum. Abbiate fiducia, ho vinto il mondo ! Il Ven. Olier aggiunse che ne ricevette altri ancora; non spieg quali fossero questi favori ma tuttavia sappiamo che il Padre de Condren gli apparve circondato di una gran gloria e gli disse che lo lasciava erede del suo spirito, con altri due di cui fece anche il nome e di questi uno era l'Amelote. Infatti per ottenere una partecipazione sempre pi abbondante allo spirito del Condren, il Ven. Olier ogni giorno, per parecchi anni, mand un sacerdote a celebrare la santa Messa su la tomba del defunto padre (45). Dopo la morte di questo grand'uomo, dice ancora l'Olier, si intende la sua dottrina molto meglio che quando era vivente; si capisce che adesso in cielo ha il dono di illuminare le menti, dono di cui durante la sua vita non godeva ancora con tanta pienezza. Nostro Signore, dopo la sua morte e la sua risurrezione fece nella mente dei suoi discepoli ci che non aveva fatto nel tempo della sua infermit nella carne, quando non usava della sua onnipotenza. Cos di questo gran Servo di Dio: sembra che nella maggior parte dei suoi discepoli si verifichi la profezia con la quale il Figlio di Dio assicurava i suoi che avrebbe mandato loro il suo Spirito,.. il quale avrebbe loro suggerito tutto ci che avevano sentito e che avrebbe spiegato ci che non avevano potuto comprendere, anzi avrebbe dato loro la scienza della voce. Infatti, dopo la morte di questo sant'uomo tutti i suoi discepoli sono andati a predicare in diversi luoghi, con una grande, efficacia; e nei sacerdoti che erano stati sotto la sua direzione si ammirato un fervore singolare con eccellenti frutti di santificazione (46). L'umilt del Padre de Condren. Il carattere speciale della santit del Padre de Condren era l'umilt; questa virt si trovava in lui in un grado inconcepibile. Egli sempre si avviliva di fronte a tutti, si teneva sempre all'oscuro e s'indignava se si vedeva onorato, persuaso che non meritava se non di essere da tutti disprezzato persino dagli stessi demoni dell'inferno; sopportava con gioia affronti, ingiurie; maltrattamenti e persino calunnie orribili che il demonio suscitava contro 25

di lui; questo fu appunto il motivo per cui durante la sua vita da molti fu poco conosciuto e onorato. Ad una persona che gli scriveva perch si giustificasse da certe accuse ingiuste, rispose: Quando avremo distrutto su la terra la bestemmia; quando avremo procurato che nessuno pi parli male di Dio o di Ges Cristo, quando avremo indotto tutti gli uomini a fare il loro dovere verso la divina Maest, e che non vi sar pi niente altro di bene a fare che di impedire che si pecchi contro di noi, allora forse potremo occuparci anche di questo... se avessimo un po di vero amore per il Signore, non penseremmo tanto a noi ed alle cose per le quali ci inquietiamo. Una signora alla quale il Padre de Condren segretamente aveva fatto del bene, soccorrendola in circostanze criticissime, lo ripag d'ingratitudine diffondendo contro di lui calunnie atroci; egli ne venne avvertito, ma non se ne cur e continu a beneficare quella persona, n volle che la propria condotta venisse giustificata. Vale meglio, disse, soffrire che giustificarsi. Quando si dice falsamente del male di noi, meglio considerare che vi in noi molto male che vero e che non conosciuto, piuttostoch perderci nel riparare quel male che ci viene attribuito falsamente. Ma il Signore si prese cura Lui stesso, di giustificare il suo Servo, per cui tutto venne al chiaro, e se n'accrebbe molto la fama della santit del Padre de Condren. Prove interiori. Mentre era superiore del Seminario di Saint-Magloire, dove faceva un bene immenso, venne sottopasto dal Signore ad Una prova terribile che dur lunghi mesi, di aridit e di oscurit di spirito. La sua intelligenza sembrava non aver pi alcuna luce, ed essere come paralizzata; eppur doveva predicare non solo in seminario ma anche al pubblico nei giorni di festa; ogni giorno doveva conferire con vari eretici ed attendere alla direzione di anime anche delicate. Supplic il Padre de Brulle di dispensarlo dalla predicazione, ma non ottenne nulla; il Brulle che conosceva la sua virt e i meriti che si acquistava in queste penosissime prove lo confortava, ma non gli toglieva nessun ufficio. Il povero Padre saliva in pulpito senza nessuna parola da dire e continuava la predica in una tale oscurit che era per lui un tormento insopportabile; mentre per si offriva al Signore per essere umiliato e confuso davanti al pubblico, gli uditori invece non si accorgevano punto di nessun imbarazzo nel predicatore e dalle sue parole ricavavano copiosi frutti: il Signore suppliva a tutto. Ma venne esposto a prove pi dure ancora; si vide assalito da orribili tentazioni contro la santa purit e molestato da abominevoli fantasie. Raddoppiava le sue mortificazioni, ma non otteneva nessun sollievo. Intanto si sprofondava pi ancora nell'umilt; ritenendo di essere il pi abbietto e schifoso degli uomini e oggetto di orrore e di avversione per il Signore e per tutti, non ardiva presentarsi davanti al santissimo Sacramento e tralasci persino, per un po di giorni, di celebrare la santa Messa. Quando non era occupato nel lavoro, stava nella sua stanza, prostrato la faccia contro terra, credendosi indegno di alzare gli occhi al cielo e di comparire alla presenza di Dio. Diceva a se stesso che non meritava di aver nella mente nulla di migliore che i mostri che lo disturbavano, che era giusto che fosse abbandonato ai demoni e che sarebbe una grazia grande se gli fosse data la libert di pensare a Dio e di amarlo almeno per un sol momento della sua vita. Quando la prova ebbe ottenuto tutti quei vantaggi che Dio voleva, il Padre de Condren fu liberato in un modo soprannaturale. Un'anima che mor poi in odore di santit, ebbe da Dio la rivelazione dello stato dell'anima di lui e delle pene estreme che soffriva, ma lo vide puro come un angelo ed ebbe l'ordine di ingiungergli di celebrare la santa Messa e di non tralasciarla per quanto se ne fosse giudicato indegno. Il Padre avendo udito da quell'anima certe particolarit che non aveva manifestate a nessuno, rimase convinto che era un avviso venuto dal Cielo, si inginocchi e lo ricevette con perfetta sottomissione. Si trov 26

pi tranquillo, non tralasci pi di celebrare la santa Messa, e si offr a Dio onde portare la sua croce finch a Lui fosse piaciuto. Il Padre de Condren sopportava per umilt ogni male che gli fosse capitato e principalmente le malattie. Un peccatore, diceva, non deve meravigliarsi di vedersi colpito da qualsiasi malattia, ma piuttosto di godere una lunga sanit e di una vita tranquilla e felice su la terra. V' molto da temere per quelli che possiedono qui la loro felicit, e invece v' molto da sperare per quelli che a questo mondo non hanno nulla di buono... E' cosa vergognosa per un cristiano, in questo mondo, star meglio di Ges Cristo; e i figli di Dio, perch in questo mondo sono forestieri, non debbono godere delle delizie e della gioia dei figli del secolo... Lasciamo ridere il mondo e piangiamo coi discepoli del Figlio. di Dio... Qui siamo in guerra, sopportiamo dunque presentemente le fatiche, le lotte della guerra; a suo tempo Dio ci dar la tranquillit della pace nel Cielo. Sentimento della grandezza di Dio. L'umilt del Padre de Condren: aveva per fondamento la sua fede vivissima nella grandezza sovreminente ed assoluta di Dio da una parte e del nulla della creatura dall'altra. Dio talmente grande, diceva, che se dovessi stare in una grotta sino alla fine del mondo per discorrere delle sue grandezze, non mi stancherei mai. Quando meditava su un tale argomento, le ore passavano per lui senza che se ne accorgesse; frequentemente vi impiegava le intere notti e lo si vedeva al mattino col volto trasfigurato come un serafino. Di fronte ad una grandezza cos inconcepibile, cos' la creatura? Un'ombra, meno ancora, un niente. Dio solo ha diritto di essere, la creatura non ha diritto di esistere, non capace di nulla, indegna di adorare il Signore e persino di stare alla sua presenza; il suo posto il nulla. Per ci il Padre de Condren stava davanti a Dio in un continuo annientamento. Ma in un tale annientamento bisogna pur adempiere i nostri doveri verso Dio, mentre ne siamo incapaci e indegni; bisogna inoltre praticare il bene e salvare l'anima nostra e non ne abbiamo la forza. E allora, ecco Ges Cristo, il nostro supplemento e la nostra forza: il nostro supplemento, perch offre alla santissima Trinit i suoi sentimenti di adorazione ecc., per supplire e coprire la nostra indegnit; la nostra forza, perch con la sua grazia ci rende capaci di qualunque opera e di qualunque sacrificio. Senza di me, ha detto Lui stesso, non potete far nulla; ma tutto posso, ha pur detto l'Apostolo san Paolo, tutto posso per la grazia di Colui che mi fortifica . Ges Cristo grande al par di Dio poich Dio, quindi tutto per noi, e in Lui riposta tutta la nostra fiducia, tutta la vostra capacit. Ges il nostro amore, la nostra lode, la nostra adorazione, anche la nostra contrizione dei nostri peccati (47). Per altro, annientamento vuol dire prostrazione ossia sottomissione assoluta della nostra persona, o meglio della nostra volont davanti a Dio; quel vuoto di noi stessi e di tutte le cose create che il Card. de Brulle richiedeva come condizione della vita di Ges Cristo in noi. Se faremo il vuoto in noi, Dio riempir delle sue grazie questo vuoto; meno vi sar del nostro in noi, e pi Ges Cristo vi abiter. Notiamo ancora che dal medesimo principio di Dio Creatore il Condren deduce 1a necessit del sacrificio; la creatura, infatti, deve al Creatore l'omaggio del suo essere. Anzi il sacrificio della creatura non sarebbe degno di Dio, perch la creatura niente; perci l'unico vero olocausto Ges Cristo, (48). Ma Ges ci consuma noi pure in Lui in un medesimo olocausto e dobbiamo fargli la donazione di noi stessi, affinch ci accolga e ci offra al Padre suo nella sua oblazione (49). 27

Inoltre qual la regola della vita e della santit cristiana? E' ancora Ges Cristo; la conformit con Ges Cristo, ecco il termometro della santit; l'imitazione di Ges Cristo per la quale Egli viva in noi e si sostituisca a noi stessi. Di qui quell'ardore insaziabile di studiare Ges Cristo, che ammiriamo nel Padre de Condren su l'esempio del Card. de Brulle; studio inesauribile per riprodurre nella loro vita le perfezioni ed i sentimenti del grande e divino esemplare. Ma Condren come Brulle studiano particolarmente l'intimo di Ges, il suo interiore come dir sopratutto il Ven. Olier, il suo Cuore diremo noi, onde conoscere i suoi sentimenti e le sue intenzioni; come possiamo osservare in queste Considerazioni (50), trascurano sino ad un certo punto le circostanze esterne e storiche dei misteri, e insistono nello studio dell'interno, del midollo, del cuore, ossia del lato permanente ed eterno dei medesimi. Si pu dire che nei misteri di Ges contemplano sopratutto il sua Cuore. Del Padre de Condren si poteva dire ci che si diceva del Card. de Brulle: Non pensava che a Ges, non parlava che a Ges o di Ges, non operava che per Ges. Tutto intraprendeva, e tutto soffriva per Ges. Voleva che ogni casa dell'Oratorio fosse consacrata a qualcuno degli stati o dei misteri di Ges. Cos consacr la casa madre in onore di tutte le grandezze che Ges acquist nel momento della sua incarnazione; un'altra al riposo ineffabile di Ges in Maria; un'altra alla sua infanzia; un'altra alla conversazione di Ges, Maria e Giuseppe. Tale era pure lo spirito del Padre de Condren. La Madre Maddalena di san Giuseppe, la quale aveva intimamente conosciuto il Brulle, diceva che il santo cardinale aveva ricevuto da Ges l'assicurazione che la sua santa e divina persona risiedeva, per presenza , nell'anima di lui e che perci egli non poteva far nulla se non per nostro Signore, n pensare e parlare se non di Lui e dei suoi misteri. Era cos pieno di Ges e cos continuamente occupato di Lui che sembrerebbe cosa incredibile a chi non lo avesse conosciuto. Il Ven. Olier diceva pure del Padre de Condren queste ammirabili parole: Egli non era che un'apparenza, una scorza... nel suo interno era un altro, era veramente l'interiore di Ges e la sua vita nascosta; dimodoch vedendo il Padre de Condren si vedeva Ges Cristo vivente nel Padre de Condren, piuttostoch il Padre de Condren vivente in s medesimo. Egli era come un'ostia consacrata: all'esterno si vedono le specie o apparenze del pane, ma dentro v' Ges Cristo. Parimenti di questo gran servo di Ges Cristo, nella sua persona risiedeva Nostro Signore il quale, lo destinava a predicare il cristianesimo e a rinnovare la primitiva purezza e piet della Chiesa; e questo ci che quel gran personaggio voleva fare nel cuore dei suoi discepoli, durante il suo soggiorno su la terra il quale rimasto sconosciuto, come il soggiorno di Nostro Signore nel mondo. Dio, di secolo in secolo, suscita uomini speciali che riempie pi singolarmente della grazia dei suoi misteri per diffonderla di nuovo nei cuori per mezzo di loro. Tale fu san Francesco d'Assisi, il quale ricevette cos pienamente lo spirito della Passione di Ges Cristo che questo spirito si riflett su la sua carne e rinnov nella Chiesa l'amor della Croce... Cos Nostro Signore mi ha fatto vedere che, volendo rinnovare nei giorni nostri la spirito primitivo della Chiesa, aveva suscitato due persone per dar principio a questo disegno, Monsignor de Brulle, perch onorasse la Incarnazione, e il Padre de Condren perch onorasse soprattutto la Risurrezione (51). Scienza soprannaturale. Rispetto alla scienza soprannaturale del Padre de Condren ed alla conoscenza straordinaria ch'egli aveva di Ges Cristo, sentiamo il Padre Amelote: Non da meravigliarsi che i professori della Sorbona ammirassero la dottrina del giovine de Condren, poich non l'aveva acquistata con lo studio, ma sembra che gli fosse stata infusa dalla grazia. Egli sapeva gi la teologia prima di entrare nella Sorbona per 28

impararla, e intendeva san Tommaso prima d'averne studiato le questioni. Quando aveva voluto leggere i santi Padri, sovente lo Spirito di Dio l'aveva prevenuto, e come se Ges Cristo fosse stato geloso che altri ne fossero stati i maestri, non appena egli apriva sant'Agostino o sant'Ilario lo attirava all'orazione con tanta forza che non gli lasciava la libert di continuare la lettura. Il giovine de Condren era istruito sul Tabor e non nella Sinagoga: il Figlio di Dio lo trattava come i Profeti ai quali si manifestava Lui medesimo e non come i Leviti ordinari, i quali non ascoltavano che i Dottori d'Israele... Mi disse con una meravigliosa umilt e riconoscenza che non avendo avuto tempo di studiare lungamente le sante Scritture, da Dio direttamente aveva ricevuto l'intelligenza delle difficolt che gli erano state proposte. Per intendere il senso letterale dei libri sacri, s'immedesimava con 1'Autore, Profeta, Evangelista o Apostolo, ed aveva una tale conoscenza pratica di tutte le disposizioni che la grazia cristiana comunica ad ogni anima secondo le circostanze, che penetrando col cuore nei sentimenti che, secondo lo spirito di Dio, lo Scrittore sacro doveva avere, egli d'un colpo scopriva il senso che cercava. Quando non poteva seguire questo metodo, perch non lo consentiva l'argomento, egli contemplava Ges Cristo e con l'intelligenza che aveva della verit, con facilit concepiva ci che era nascosto sotto le figure... In tal modo, egli conosceva Ges Cristo con una luce cos ammirabile che non aveva bisogno di impararlo per mezzo delle sante Scritture, ma piuttosto imparava le sante Scritture coi lumi che Ges Cristo medesimo gli aveva dati. Gli venne domandato un giorno perch Maria Santissima non avesse trovato nessun alloggio in Betlemme. Per rispondere a questa questione, dapprima ador l'interiore di Ges Cristo e s'invest della disposizione con cui Egli era venuto su la terra; poi ad un tratto, spieg che il Verbo, essendosi fatto carne per mettersi al posto dei peccatori, volle usare a se stesso, per ispirito di penitenza quel trattamento che i peccatori avevano meritato; non volle in nessun modo essere trattato con umanit, perch noi siamo indegni che ci venga usato qualsiasi riguardo. Poich la nostra qualit di nemici di Dio ci rende meritevoli dell'avversione delle creature, Egli aveva voluto subire nella sua innocenza, quella pena di cui la divina misericordia ci hai liberati. Appunto per questi motivi, da quel popolo che era pure il migliore che vi fosse su la terra, era stato respinto come quello che era il mallevadore per i peccatori insolvibili, il quale, non avendo trovato ospitalit presso gli uomini, dovette alloggiare tra le bestie, poich per la nostra degradazione ci siamo ridotti alla societ con gli animali. Non tutti i lettori saranno capaci di comprendere un tal metodo; perci necessario ch'io spieghi meglio la conoscenza che il Padre de Condren aveva di Dio e di Ges Cristo. Era una conoscenza cos vasta che abbracciava non solamente le materie che si trattano d'ordinario nella Teologia, ma posso dire senza esagerazione che, sopra ogni argomento in particolare, egli aveva delle vedute che avrebbero riempito dei volumi. Egli trovava una gran differenza tra le conoscenze che abbiamo di Dio come Creatore, e quelle che Egli ci d come Padre il quale ci genera per mezzo del Figlio Suo. Considerava questi due titoli di Creatore e di Padre come due mondi che contengono infinite variet. Il primo ci propone Dio in quanto esce come fuori di se stesso: l'altro ce lo rappresenta in se medesimo; il primo lo confina in qualche modo nell'opera sua, mentre l'altro lo lascia nell'infinit del suo proprio seno. Sotto il primo il Padre de Condren comprendeva i ministeri degli Angeli, e le relazioni di tutte le creature col loro Autore, riducendo al titolo di Padre l'alleanza di Ges Cristo con Dio suo capo, e l'alleanza con Lui di tutti i membri di Ges Cristo per mezzo di Ges Cristo. Oltre questa pienezza di conoscenza che aveva di Dio o del Padre, come parla comunemente san Paolo, egli aveva pure una profondissima conoscenza di Ges Cristo. Quando parlava di qualche mistero del Figlio di Dio, si capiva che lo conosceva a fondo; 29

scopriva quali erano i sentimenti intimi di Ges Cristo nelle sue azioni; spiegava i disegni pi ammirabili della sua condotta, che ordinariamente non si osservavano; concepiva come i suoi misteri fossero sorgenti di varie sorte di grazie... Era estremamente illuminato su l'interiore del Figlio di Dio penitente e crocefisso per i peccatori. Non v'era persona che non rimanesse stupita e come rapita quando parlava del sacerdozio di Ges Cristo; cosi pure quando spiegava la vita di Ges risorto. Per il mistero della Risurrezione egli aveva una divozione tutta speciale e lo onorava continuamente, perci aveva acquistato lumi rarissimi su lo stato glorioso di Ges risuscitato. Rispetto alla Chiesa aveva dei pensieri ammirabili; la considerava come il cuore di Ges Cristo e la continuazione delle virt e dei disegni del Salvatore. Insomma, il suo spirito era un abisso profondissimo tutto pieno della scienza della fede e dei santi; da questo fondo soprannaturale egli attingeva un'infinit di consigli per le anime, delle quali distingueva subito con perfetta lucidit ci che in esse poteva esservi di straordinario. Per testimonianza di uomini dottissimi, il Padre de Condren, in un attimo con la semplice luce dell'intelletto, scopriva ci che loro e gli altri studiosi non imparavano se non con la speculazione e col lavoro di tutta la loro vita (52). Spirito di orazione. L'orazione mentale era la fonte di tutta la forza del Padre de Condren, di tutta l'elevazione dei suoi sentimenti su le perfezioni di Dio, su la SS. Trinit e i misteri di Ges Cristo, di quella profondit nei pensieri che li rendeva talora quasi incomprensibili anche ai suoi pi intimi discepoli (53), persino al Ven. Olier. Per altro, la sua vita era mia continua orazione, o meglio, una contemplazione non mai interrotta. Dio si era manifestato a lui fin dall'et di due anni e mezzo e da quel tempo non toller quasi mai che egli lo perdesse di vista o lo dimenticasse neppure per un istante. In tal modo il fondo dell'anima del Padre de Condren era una continua adorazione della maest di Dio. Si presenta:va sempre davanti a Dio come una vittima annientata nella virt di religione; e per quanto ne ricevesse grazie straordinarie si conservava sempre al suo cospetto in un profondo e religioso rispetto. Di qui quell'incomparabile stima che aveva del Creatore, quell'amore per la sua santa maest e quel desiderio insaziabile d'immolarsi alla sua gloria. La sua adorazione era un atto di lode, di carit, di umilt e di sacrificio; adorava Dio non soltanto come Creatore, ma in Lui considerava con immensa tenerezza un Padre che ci ama come i suoi diletti figliuoli. Quell'uomo di Dio non si contentava nella sua orazione di adorare le perfezioni divine, ma procurava inoltre di investirsi delle disposizioni, ossia dei sentimenti di Dio, ben sapendo che dobbiamo non solo onorare la vita divina, ma imitarla e formarla in noi; e appunto in questo lavoro consisteva tutta la forza della sua orazione. Quando, per esempio, si dava alla meditazione dell'amore divino, dopo aver dato uno sguardo di contemplazione alla infinita carit di Dio, invece di fare delle considerazioni per via di speculazione, o di studio, si dava all'adorazione dell'amore che Dio porta a se stesso, e del gaudio infinito che prova nel vedersi infinitamente amabile. Con grande rispetto contemplava l'infinit di un tale amore; ne considerava santamente l'eternit, la purezza, ecc., si rallegrava della sua fecondit talmente adorabile che ha per termine in Dio stesso una persona divina e fuori crea un mondo. N si contentava di contemplare con occhi umiliati nel rispetto queste perfezioni del divino amore; ma si offriva in pari tempo a Dio perch si, degnasse imprimere nell'anima sua le disposizioni medesime della infinita carit. Vedendo come Dio ami se stesso, si applicava ad amarlo con tutte le sue forze e siccome sentiva quanto il suo amore fosse debole e insufficiente, si immergeva nell'abisso della carit di Dio stesso, si univa a Lui e l trovava la consolazione della sua impotenza, e del sua cuore voleva fare, se cos passiamo esprimerci, una sola cosa con l'infinit dell'amore divino. Oh Dio! esclamava... 30

Voi siete infinitamente amabile, ed io mi pento nel cuore un gaudio infinito vedendovi infinitamente amato da Voi stessa. Mi unisco a tutto il vostro amore, poich questo, e questo solo, possiede tutto ci che manca alla debolezza del mio amore. In tal modo, unendosi a Dio nel modo pi intimo, usciva da se stesso, cessando, per cos dire, di esistere in se medesimo per trasformarsi in Dio. Considerando inoltre la beatitudine e il riposo che Dio gode nel suo amore, si abbandonava in questa divina beatitudine, mettendo tutta la sua felicit in quella di Dio: Sono contento con Voi, o mio Dio! diceva, perch Voi siete contento nel vostro amore. poich non voglio vivere che di Voi, sar libero da qualsiasi inquietudine immergendomi nel vostro riposo e nella vostra pace. In tal modo entrava nel gaudio del suo Signore e s'inabissava nelle dolcezze, nella pace e nelle consolazioni di Dio. Cos faceva pure rispetto alle altre perfezioni di Dio come pure alle virt ed ai misteri di Ges Cristo. In qualunque meditazione, egli s'immedesimava coi sentimenti di Dio, di Ges Cristo e dei Santi; e in tal modo moriva perfettamente a se stesso e non viveva che in Ges Cristo. Non si pu immaginare quanto una tal pratica trasformi in poco tempo le anime che sanno adottarla; perch cos vedono la deformit dei loro difetti con tanta forza che li combattono con una particolare efficacia; per cui non ci meravigliamo se san Paolo la proponga ordinariamente come la pi naturale per la qualit dei cristiani. Essa ha inoltre questo vantaggio che Dio mentre se ne serve per la formazione dei pi gran Santi, l'adatta pure ad ogni sorta di anime. Difatti, che cosa mai l'orazione mentale se non un principio della vita del Cielo? E la vita del Cielo non forse Dio che possiede i suoi figli, e Ges Cristo vivente nei suoi membri? (54). Il Padre de Condren ad una unione cos intima con Dio, univa anche l'attiva cooperazione ai disegni di Lui. Considerando che Dio non rimasto rinchiuso in se stesso, ma si comunicato alle sue creature, e che Ges Cristo non visse per s soltanto, ma per Dio suo Padre e per tutti gli uomini, egli diceva che non basta formare in noi le disposizioni che abbiamo adorate in Dio; ma che dobbiamo esternarle nelle nostre azioni e contribuire a formarle negli altri. Dio infatti, non ama soltanto se stesso, ma vuole essere amato da tutti i suoi figli e vuole che tutti aiutiamo gli altri a compiere questo dovere. Non si pu esprimere come un tal genere di orazione allargasse il cuore del Padre de Condren; la rivestiva, per cos dire, delle viscere di Dio e formava il suo cuore sul modello di quello di Dio; per cui le sue intenzioni erano estesissime e niente sfuggiva al suo amore; la Chiesa Universale era il campo dove si esercitava il suo zelo, si investiva di tutti i disegni che si formavano in quella, e se non poteva sempre cooperarvi direttamente, vi consacrava almeno le sue preghiere, i suoi sacrifizi e le sue penitenze. L'orazione del Padre de Condren non era un esercizio passeggero di adorazione, di unione affettiva e di amore attiva; era uno stato abituale dell'anima sua, ma uno stato tale di contemplazione che non gli impediva di attendere a tutte le sue occupazioni. N poteva comprendere come i fastidi e gli affari di questo mondo fossero capaci di impedire il fervore dell'orazione; quanto a lui, nulla lo distraeva dall'unione con Dio neppur la malattia. Possedeva talmente se stesso, o meglio, era cos posseduto dallo Spirito Santo che sempre in tutto si muoveva sotto l'azione di questa divina Persona. Spesso era tormentato da dolori atrocissimi, eppure continuava per due o tre ore a discorrere di cose sublimi nelle sue istruzioni, e nessuno si accorgeva del suo stato, fuorch il Padre Amelote che tutto sapeva e ne rimaneva stupito. Bench fosse capace delle pi elevate speculazioni sopra qualsiasi oggetto, nella sua orazione mentale ricorreva unicamente alla fede. Adorava Dio Padre e Ges Cristo, tutti i loro misteri, le loro perfezioni e le loro virt, secondo la loro verit propria, e come sono in se stessi al di sopra di ogni intelletto, e non come poteva concepirli con la sua mente e le 31

sue forze naturali (55). L'intelletto umana, bench illuminata talvolta da qualche dono di Dio tuttavia abbassa sempre le cose divine; queste per essere comprese dalla nostra mente, debbono necessariamente essere ridotte dentro certi confini, e il loro splendore deve essere oscurato per essere adatto alla debolezza dei nostri occhi. Perci il Padre de Condren si elevava con la fede al di sopra di tutta la scienza, e senza diminuire in nulla l'immensit delle cose celesti, se le rappresentava nella loro purezza. In tal modo rendeva a Dio onori proporzionati alla sua suprema Maest, e quanto pi si applicava alla contemplazione della natura di Dio e delle sue perfezioni, della sua virt e dei suoi disegni, tanto pi gli offriva il sacrificio della sua intelligenza; assoggettandosi alla fede, non voleva veder nulla se non attraverso le tenebre di quella, annientando, per obbedienza alla testimonianza di Dio, la sua ragione e tutti i suoi lumi propri. Se Dio, diceva, mi ha dato qualche conoscenza per via di scienza, questo a favore degli altri piuttostoch per me; e sebbene ne debba approfittare per la mia condotta, tuttavia non gli domando per la mia orazione nessun'altra luce che quella con cui Egli governa tutta la sua Chiesa. E soggiungeva: E' troppo poco amare Dio come lo si conosce per mezzo di qualche gusto sensibile, o di qualche impressione ch'Egli fa nell'anima nostra... Noi dobbiamo portargli un amore che sorpassi le nostre conoscenze ed i nostri affetti. Dimodoch dobbiamo far poco caso di quelle grazie piacevoli e di quelle divozioni sensibili nelle quali certe persone pongono tutta la loro felicit, perch per trovare Dio medesimo, bisogna distaccarci da ogni sensibilit e da ogni immagine, e comportarci nell'orazione senza farne caso n prendervi gusto, come se non le avessimo ricevute (56). Che se nell'orazione a fuori provava aridit o tentazioni, non se ne curava, ma continuava a fare tutti i propri doveri senza inquietarsene; pi sperimentava la sua impotenza, e pi metteva in Dio la sua speranza. Quando a Saint-Magloire era cos duramente provato che gli sembrava di essere abbandonato da Dio, confidava nella forza di Dio, tanto come se l'avesse veduta coi suoi propri occhi, appoggiandosi su la fede e non su l'esperienza dei sensi. Preferisco, diceva, sapere per la sua promessa che Dio mi sempre presente per aiutarmi, piuttostoch vedere la mano con cui mi sorregge. I miei sensi e la mia esperienza mi possono ingannare: la sua parola infallibile. Pi la sua virt pura, e meno si frammischia con la nostra carne; pi divina, e meno siamo capaci di comprenderla. Ci basti dunque di crederla, e dobbiamo agire confidando in essa senza sentirla (57). Il Padre de Condren non voleva che l'anima si fermasse a considerare la sua forza o la sua debolezza, la luce o le tenebre che scorgesse in se medesimo; ma raccomandava soltanto di seguire la verit della fede. Non dovete pensare che siete debole, diceva ad una persona, quando vi pare di essere tale; n illudervi d'essere forte quando vi sembra che siate forte... San Pietro credeva di essere forte e rinneg il Maestro; mentre san Paolo quando si stimava debole, allora era forte... Dio solo ci giudica con verit ; e tutto ci che vi di sicuro nei giudizi che portiamo sopra di noi medesimi, questo che non dobbiamo fermarvici sopra. Qualunque sia la debolezza che sentiamo in noi, non dobbiamo diffidare della promessa di san Pietro che la virt divina ci vien data per tutto ci che riguarda la vita e la piet ; (II Petr. I, 3) cos pure quando ci sentiamo pieni di coraggio, dobbiamo approfittare dell'avviso del medesimo Apostolo il quale non vuole che camminiamo nel nostro fervore. Non dobbiamo confidare nella nostra divozione, ma nella fede, la quale ci insegna che possiamo tutto per la virt di Colui che ci fortifica. Dobbiamo dedicarci all'orazione per il principio del dovere e non per il piacere che possiamo trovarci. Il Padre de Condren disapprovava parimenti il sentimento di coloro i quali non credono di aver fatto una buona orazione se non hanno ricevuto nuove conoscenze. Questa, diceva, non divozione, ma curiosit, e non v' nulla di pi disordinato rispetto all'orazione che 32

questa falsa massima. Questo si domanda scambiare la volont con l'intelligenza, la preghiera con la studio, la carit con l'amor proprio e l'umiliazione con la superbia. La divozione non consiste punto nel piacere che risulta dai bei pensieri, ma nell'abbandonarci umilmente agli ordini di Dio, essendo fedeli nel servirlo tanto nella sterilit come nell'abbondanza. Se Dio ci d qualche lume nell'orazione, cos fa perch lo amiamo Lui stesso e non i suoi doni. Val meglio sopportare le tenebre senza stancarsi n tralasciare i doveri di orazione e di amore, piuttostoch aver la mente piena di conoscenze e insieme imbrattata dalla vanit. Anche l'altra estremit viziosa ed male tralasciare di applicare la mente al soggetto dell'orazione; bisogna evitare l'uno e laltro difetto, la curiosit e la negligenza. Non dobbiamo scoraggiarci quando ci manca la luce, n agitarci per farla nascere, n compiacercene quando la ritorna: cos non dobbiamo respingerla quando si presenta, n tener gli occhi chiusi nelle nostre orazioni, ma aprirli, con tutta riverenza, su le verit di Dio (58). Il Padre de Condren nell'orazione non aveva visioni, n provava quelle gioie che trasportano e rapiscono certe anime, eccettuato per nella sua giovent in cui, come gi si detto, la violenza dell'amore verso Dio e Ges Cristo, gli aveva sollevato due costole nel petto; mettendo in pericolo la sua vita. La fede era l'unica sua luce e l'unica sua guida, perci la sua orazione era pura e santa, libera come quella degli angeli e dei beati da ogni immagine e da ogni sensibilit. L'amore in lui era puro e santo al pari della sua orazione; siccome non proveniva da nessun sentimento straordinario, n da nessuna luce speciale, bens unicamente dalla luce infinita della fede, era puro e immenso come questa e si risolveva in un'ammirazione straordinaria della grandezza e santit di Dio, nello spirito di sacrificio, e nell'annientamento di se medesimo (59). Dottrina. La dottrina del Condren sempre quella del Brulle, ma esposta con maggior forza e maggior fervore (60), sempre il Teocentrismo (61), ma nel Brulle il teocentrismo si orienta verso l'adorazionecantico e le elevazioni, mentre nel Condren verso il Sacrifizioadorazione e l'annientamento. S. Giovanni Eudes, discepolo fedele di Brulle e di Condren si orienter invece verso l'amore. Condren completa Brulle con la dottrina del sacerdozio e del sacrificio; ha maggior tendenza a ricondurre tutta la vita spirituale al sacrificio di noi stessi in unione con quello di Ges Cristo, ossia all'annientamento di noi medesimi in unione con l'annientamento col quale Ges Cristo ha offerto l'unico sacrificio degno della maest di Dio. Brulle insisteva nel dire che Ges la nostra vita, Condren spiega meglio e dice che il nostro sacerdote, ossia il sacerdote che ci immola con Se stesso nella santit del suo sacrificio. Dio tutto, quindi dovere essenziale che, essendo noi creature, gli offriamo in sacrificio quella apparenza (62) di essere che ne riceviamo: Ges Cristo l'unica vittima degna di Dio, e innanzi tutto Egli l'Ostia del Padre. Il sacrificio di Ges Cristo l'ultimo sforzo della Sapienza divina per procurare all'Essere infinito tutta la gloria possibile. Ma Ges si offerto e si offre perch ogni creatura sia come trasfusa in Lui ed immolata con Lui. Queste verit cos sublimi, Condren le aveva intuite per ispirazione della grazia fin dall'et di 12 anni, come abbiamo esposto sopra. Dobbiamo dunque, in quanto creature, considerarci come vittime in Ges Cristo; in noi tutto deve essere ceduto a Dio, n dobbiamo riservarci nulla; annientarci in noi stessi e lasciare che Ges solo viva in noi e faccia tutto in noi. E il Padre de Condren metteva perfettamente in pratica questa dottrina sotto un certo aspetto terrificante. La sua dottrina che metteva in piena luce uno dei pi grandi aspetti del mistero dell'Incarnazione e confermava con maggior forza tutto ci che il Padre de Brulle aveva insegnato su la sublimit del sacerdozio, non era una sterile speculazione; la sua vita era il pratico 33

commento delle sue istruzioni, e tutto egli riferiva a quest'idea principale. Amava la povert, poich conviene alla vittima, la quale non deve aver nulla di proprio; osservava can tanta cura il silenzio, perch pensava al silenzio della divina vittima che taceva come un agnello sotto la mano crudele del tosatore; obbediva a tutti, sacrificando i suoi gusti e le sue comodit, perch giudicava che una vittima non appartiene pi a stessa; rifiutava di scrivere perch riteneva che unito alla vittima eterna doveva insieme con quella rimanere nascosto in Dio. Perci si lasciava condurre da tutti come se non avesse avuto volont propria; specialmente in mano ai superiori era completamente abbandonato all'obbedienza; una volta, per desiderio dell'Arcivescovo di Parigi venne inviato in missione in un piccolo paese nel quale vi erano quattrocento ugonotti, e Condren obbed, tranquillo come un angelo (63). Era cos distaccato da tutto e praticava la rinuncia a se medesimo in un modo talmente completo ed assoluto che la nostra povera natura ne rimane spaventata. Era l'uomo pi irremovibile e insieme pi flessibile: irremovibile davanti alla volont di Dio, flessibile in tutto il resto; la sua volont in mano a Dio era come una leggerissima foglia, come una piuma in balia del vento; sembrava che non avesse avuto il peccato originale tanto era perfetta ed assoluta la sua docilit alla minima ispirazione della grazia. Il Padre de Condren aveva un'idea altissima del sacerdozio; fin da giovinetto una delle attrattive dominanti della sua piet l'aveva sempre portata a considerare il sacerdote come una vittima volontaria che ad immagine di Ges Cristo, immola se stessa per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Essere sacerdote, vuol dire esercitare un ministero che nei suoi uffici comprende le divine perfezioni, cos necessariamente che impossibile che un sacerdote adempia il suo ministero senza che Dio non sia presente e non agisca in lui con maggior potenza che in nessun'altra delle sue opere. Perci chi dice sacerdozio, dice qualche cosa d'infinito (64). Essere sacerdote, vuol dire rinunciare ad ogni faccenda profana e ad ogni impegno secolare per dedicarsi al servizio dell'altare di Dio, per dare al mondo la scienza di Dio, per compiervi le sue opere, stabilirvi il suo regno, e soprattutto, per produrvi Ges Cristo, comunicarlo ai popoli e farlo vivere nelle anime... vuol dire ritirarsi dal mondo per vivere in Dio col raccoglimento e la preghiera; e in pari tempo uscire in certo qual modo di Dio, come fece Ges Cristo, onde occuparsi delle cose umane, ascoltare i peccatori, imparare il loro linguaggio, e compiere ogni cosa nella santit e nello spirito di Ges Cristo (65) . In queste Considerazioni sui misteri troviamo condensata tutta la dottrina del Brulle e della sua scuola: la grandezza di Dio e il nulla della creatura, donde la conseguenza naturale di uno spirito di religione profonda; la grandezza di Ges Cristo, le sue relazioni con l'Eterno. Padre e con noi, come nostro mediatore, nostro supplemento e l'unica via per la quale possiamo andare al Padre. Vi troviamo le principali vedute del Padre de Condren su l'Incarnazione, su la vita di Ges Cristo, la sua Morte e la sua Risurrezione; quelle vedute ch'egli esprimeva con tanta unzione nei suoi colloqui e nelle sue istruzioni, che rapivano i suoi discepoli e santa Giovanna de Chantal, ed esercitarono tanta influenza nel secolo XVII. Qui troviamo pure esposta con tanta efficacia la sostanza dell'ascetica berulliana, ossia, la vita di Ges in noi; la vita interiore la quale consiste nell'assumere i sentimenti dell'anima di Ges Cristo per assimilarceli, consumarci in Lui affinch Egli in noi faccia tutto, dimodoch sia proprio Ges il ceppo di cui siamo i rami, secondo queste sue parole: Ego sum vitis, vos palmites.

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CONSIDERAZIONI SUI MISTERI DI CRISTO


INTRODUZIONE I). Dovere di rendere omaggio al misteri di Nostro Signore Ges Cristo. II). Dobbiamo vivere della vita della fede. III). Modo di onorare i misteri nel tempo in cui la Chiesa li propone alla nostra devozione. IV). Motivi di questa condotta della Chiesa. V). Esempio, per il Venerd santo, del modo in cui va praticata la devozione ai misteri. I). Gli uomini su la terra non conoscono abbastanza l'obbligo che loro incombe di adorare i misteri del Figlio di Dio, sebbene abbiano l'esistenza, non gi per mangiare, dormire e studiare, ma unicamente per glorificare Iddio; sebbene inoltre Ges Cristo, essendosi fatto uomo, abbia lasciato loro, come oggetti della loro occupazione spirituale, non solo una s grande variet di Misteri, ma ancora tutte le divine perfezioni affinch lo spirito umano non abbia a stancarsi, poich una sola di queste adorabili perfezioni basterebbe per occupare per tutta l'eternit non solamente gli uomini ma anche gli Angeli; vediamo infatti, che Dio nel creare gli Angeli, li destin all' adorazione speciale di una sola delle sue divine perfezioni (66) nella quale sono come annientati e consumati. Orbene, noi abbiamo l'obbligo di adorare Iddio non solamente come Creatore, ma ancora e molto pi come Colui che ci ha dato Ges Cristo; perch questo dono infinitamente pi grande che non la creazione di parecchi mondi che fossero pi belli di questo. Dunque, per glorificarlo in questa qualit, abbiamo alla nostra disposizione i misteri che lo Spirito Santo ci propone. Ges Cristo nel nuovo Testamento ci porge il mezzo di adorare Iddio molto meglio che non abbia fatto Mos nell' Antica Legge. Mos, infatti, considerava Dio semplicemente come Creatore e Conservatore e lo adorava in modo Proporzionato alla natura; ma nello spirito del Vangelo, dobbiamo adorarlo nella fede, per mezzo dei misteri di Ges Cristo (67). Un cristiano pertanto che si contentasse di riferire tutte le sue azioni alla gloria di Dio, senza nessuna considerazione dei misteri di Ges, le compirebbe con poca perfezione, perch considererebbe Dio soltanto come Creatore (68). Lo Spirito Santo, invece, vuole che facciamo le nostre azioni in onore dei misteri di Ges Cristo, nei quali attingiamo grazia e forza per onorare Dio; perci vuole che facciamo tutto nel loro spirito e secondo la loro perfezione; e nella loro variet troveremo il mezzo di onorare Dio per diverse vie (69). *** II). Per intendere quanto diciamo qui, bisogna riflettere che si pu vivere in tre maniere: secondo i sensi, secondo la ragione, secondo la fede: secondo i sensi, come fanno le bestie; secondo la ragione, come fecero parecchi filosofi; secondo la fede, come devono fare i cristiani. Gli uomini hanno l'obbligo di considerar Dio secondo la ragione come Creatore e Conservatore, ma secondo la fede come Padre di Ges Cristo. Se noi vivessimo praticamente secondo la fede, vivremmo in ben altro modo, tanto rispetto a Dio come rispetto a noi ed al prossimo. Con la fede noi praticheremmo verso Dio tutti i nostri doveri, vivendo nel distacco dai sentimenti terreni e da tutte le cose di quaggi; 36

ameremmo il nostro prossimo, considerandolo non come uomo, ma come membro di Ges Cristo; seguiremmo la semplicit della fede, senza cercare tanti lumi n tante conoscenze, abbandonandoci a Ges Cristo ed ai suoi misteri, perch sarebbe meglio rimanere nella semplicit della fede piuttostoch avere delle rivelazioni, ammesso pure che non ci fosse pericolo di cadere nella superbia. Infatti, chi vede le cose per rivelazione (70), le vede fuori di Dio e le conosce nel suo proprio spirito; mentre chi le vede nella fede, le vede in Dio, senza nessuna limitazione, nella loro grandezza come sono in Dio e come le conosce Dio medesimo (71). Per altro, non occorre che un po di buona e semplice volont per dedicarci ai misteri di Ges Cristo, affinch Egli medesimo li onori in noi quanto lo merita. Ora per questo non necessario di conoscere tanto i misteri, ma basta abbandonarci semplicemente ad essi, lasciando che Dio ci conduca secondo il suo desiderio (72). *** III). Dobbiamo fare tre cose rispetto a ciascun mistero. In primo luogo desiderare e domandare di avere in noi lo spirito di quel mistero. In secondo luogo, fare tutte le nostre azioni secondo la perfezione del mistero; vale a dire con tutte le disposizioni interiori che esso richiede da noi, in conformit con quelle disposizioni che sappiamo essere state quelle di Ges Cristo; come, per esempio, nel mistero dell'Ascensione, il distacco dalle cose create, il ritiro in Dio e parecchie altre che non conosciamo perch i misteri sono infiniti. Che se noi saremo fedeli nel mettere a profitto ci che ne conosciamo, Dio ci dar lumi ancor maggiori. In terzo luogo, dobbiamo considerare il mistero come oggetto e fine della nostra adorazione durante il tempo in cui ci viene proposto dalla Chiesa; e cos durante quel tempo fare tutto in onore di quel mistero, n soltanto compiere le nostre azioni in onore del mistero, ma essere e vivere unicamente per quello. Dimodoch il mistero che onoriamo secondo i tempi liturgici, sia il principio e l'anima di tutta la nostra vita spirituale. *** IV). Per esporre qui sommariamente i nastri doveri verso i misteri di Ges, diremo che la Chiesa nel corso dell'anno, li propone alla nostra divozione per tre fini: Dapprima, perch rendiamo loro il dovuto omaggio; inoltre, perch ci rendiamo partecipi della virt e della grazia che contengono; ricevendo pure dalla loro influenza l'aiuto conveniente per la nostra infermit. In terzo luogo, la Chiesa ci propone i misteri affinch cooperiamo alla loro azione, aiutando con le nostre preghiere e le nostre opere, per quanto Dio ce ne dar il mezzo, il perfezionamento dei loro effetti in questo mando e quindi cooperiamo al loro compimento nella Chiesa di Dio; perch sino alla fine del tempo che Dio ha dato alla sua Chiesa, i suoi misteri vanno compiendosi in lei e nei suoi Santi. Perci san Paolo dice agli Efesini che Ges Cristo va compiendosi nella sua Chiesa, e noi cooperiamo alla sua perfezione e all'et della sua pienezza (IV, 12-13), questa et la sua et mistica la quale sar compiuta nel d del giudizio. E un po prima l'Apostolo parla di quella pienezza di Dio che va compiendosi in noi (III, 19). Ai Colossesi, san Paolo dice pure che nel suo proprio corpo egli d alla passione del Figlio di Dio il suo compimento (I, 24). Si potrebbero parimenti citare altri testi rispetto al compimento degli altri misteri e all'obbligo che ci incombe di cooperarvi; ma siccome 37

diremo di ciascun mistero in modo particolare, sar meglio proporre qui un esempio che si possa applicare a tutti. *** V). Nel Venerd santo, la Chiesa ci propone il mistero della Passione e morte del Figlio di Dio. In primo luogo, dobbiamo considerare come oggetto della nostra adorazione non solamente la persona di Ges Cristo, ma tutto il mistero della Passione; abbiamo quindi il dovere di adorare Dio in quanto giudica il Figlio suo, di rendere omaggio con la pi profonda umilt alla sua giustizia, ai suoi giudizi sopra di Lui, alla sua condotta ed a tutte le sue vie, in una parola a tutto ci che Dio per Ges paziente e morente. Dobbiamo pure adorare Ges Cristo nei suoi patimenti, nella sua ignominia, nella sua morte, e in tutte le altre qualit della sua Croce. In Ges Cristo dobbiamo adorare i suoi pensieri, le sue intenzioni, e tutto quanto in Lui rimane nascosto per la nostra mente. La dignit suprema del Figlio di Dio ci fa uno stretto dovere di questa adorazione, sebbene potr darsi che non ne ricaviamo forse nessun profitto (73). In secondo luogo, dobbiamo offrirci noi medesimi a Ges crocifisso, per essere investiti della sua virt e della sua grazia, vale a dire affine di renderci partecipi, per la grazia che in Ges e non per le nostre proprie forze, della sua pazienza, della sua umilt, dell'oblazione ch'Egli ha fatto della propria vita al Padre suo, del sacrificio di se stesso e della sua santa orazione. Dobbiamo assoggettarci alla potenza della sua Passione e morte e pregarlo di esercitare potentemente sopra di noi la sua santa influenza. La sua Passione fece tremare la terra, spezz le rupi, risuscit i morti, facendo sentire la sua azione nel cielo, su la terra e nell'inferno. Dobbiamo desiderare che agisca pure nell'anima nostra e invocare la sua potenza sopra di noi. Da ultimo, dobbiamo compiere in noi, come dice l'Apostolo, ci che manca alla Passione di Ges Cristo, portare nel nostro corpo la sua mortificazione (II Cor. IV, 10), e pregare fervorosamente perch Dio susciti molte anime che l'onorino in questo stato della Passione e ne operino in se medesime il compimento. Dobbiamo pure pregare per gli effetti e le intenzioni di questo mistero, offrirci a Ges crocifisso per servire e cooperare a tali effetti ed a tali intenzioni e supplicarlo che, per la sua grazia, siamo fedeli ad essi. Potremmo fare lo stesso anche per gli altri misteri. In tal modo, col fare verso di essi i nostri doveri, vi attingeremo la grazia e andremo a Dio non con le nostre proprie forze, ma seguendo quelle vie che Egli stesso ha fissate per noi. I. Del secondo avvento di Ges (Per la settimana che precede il tempo dell'Avvento) Il secondo avvento di Ges Cristo sar il sua trionfo e la sua glorificazione. Dobbiamo quindi adorare: 1. la sua potenza; 2. la pienezza della sua vita; 3. il giudizio che far di ogni cosa e di noi stessi; 38

4. il suo trionfo; 5. unirci al desiderio della Chiesa che si compia il secondo avvento di Ges. Dobbiamo in questa settimana onorare il secondo avvento del Figlio di Dio, e il giudizio finale che Egli far del mondo; non vedo nel corso dell'anno nessun tempo pi conveniente per onorare questo mistero. Cos ci prepariamo a finire bene l'anno, adorando Ges Cristo il quale viene col suo giudizio a mettere fine a tutte le cose e rendendo omaggio allultimo dei suoi misteri che si compir su la terra. Abbiamo ragione di aver un gran timore per il giudizio finale, poich sar la condanna dei peccatori; ma molto pi dobbiamo onorarlo, amarlo e desiderarlo, poich stabilir perfettamente la gloria e il regno di Dio nelle sue opere e sar il compimento di tutti i desideri che possiamo avere secondo la sua volont. Nel suo primo avvento, il Figlio di Dio usc non solo dal cielo, ma persino da se stesso, per cos dire, onde assumere la povert, le infermit e l'umiliazione degli uomini peccatori, onde sottoporsi al loro giudizio ed assoggettarsi a loro, dimenticando se stesso, o meglio, per parlare come l'Apostolo, annichilandosi per il loro bene e rinunciando per i loro interessi agli interessi medesimi della sua gloria e della sua maest. Nel secondo avvento, invece, Egli si Presenter alla vista dell'intero universo, non pi nella somiglianza del peccato e nell'infermit di questa vita mortale, ma perfettamente vivente e regnante nella maest, gloria, potenza e autorit di Dio suo Padre, nel perfetto trionfo su tutti i nemici di Dio, sul peccato e su la morte; e ci che sar molto pi ancora, nel trionfo della giustizia e dell'ira di Dio sopra gli uomini. Allora; verr, non per gli uomini, ma per Dio onde procurargli la giusta soddisfazione per tutti gli oltraggi contro la sua divina maest. Ges Cristo volontariamente si sacrific a Dio su la Croce abbandonandosi a tutto il rigore del giudizio divino: appunto per questo, Dio ha stabilito che in premio gli sia devoluto il potere di giudicare gli interessi della sua gloria e di fargli giustizia per le offese che riceve dagli uomini, a segno che non vuole pi aver nessuna relazione con gli uomini, se non per mezzo del giudizio portato da Ges Cristo. E non solo Ges Cristo sar il giudice degli angeli e degli uomini, ma inoltre Dio non sar eternamente in loro n regner nelle sue proprie opere se non secondo il giudizio di Ges Cristo. Di tutte le considerazioni che si possano fare su la grandezza di Ges Cristo come Giudice del mondo, questa, a mio avviso, la pi gloriosa per Lui. Orbene, siccome dobbiamo amare Dio pi di noi medesimi e i suoi interessi pi dei nostri, perci dobbiamo amare d'un amore tutto particolare questo secondo avvento, poich sar tutto perfetto, tutto divino, e quindi render perfettamente a Dio tutto quanto gli dovuto. *** Ma affine di rendere omaggio a questo mistero con qualche ordine e qualche distinzione, in primo luogo dovete onorare il Figlio di Dio e il suo potere di distruggere l'impero del demonio, il regno del peccato, il cielo, la terra e tutto il mondo di Adamo, questa vita e questo essere presente in cui ci troviamo quaggi. Rinunciate perci a tutte queste cose che il Figlio di Dio vuole distruggere, e supplicatelo che non aspetti il giorno del Giudizio per distruggerle in voi, ma di farlo fin d'ora, annientando nell'anima vostra tutto il mondo di Adamo (74). Chiedetegli questa grazia per l'amore del suo secondo avvento; datevi a Lui affinch vi investa della santit del suo zelo contro il mondo, e con Lui siate disposto a distruggerlo, senza mai pi attaccarvi il vostro cuore.

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Beata quell'anima nella quale il Figlio di Dio fin da questa vita esercita il suo giudizio, consumando in lei con lo zelo del suo spirito, ci che il fuoco dell'ultimo giudizio dovr un giorno annientare! In secondo luogo, adorate Ges Cristo nell'abbondanza e pienezza di vita che trovasi in Lui; dal Padre suo Egli attinge questa vita e questa potenza di vita con la quale libera l'universo dalla morte e lo rinnova in una vita migliore che non avr pi fine. Avendo tolto ai Santi la vita di Adamo, Ges Cristo, li fa vivere invece con se medesimo nel seno del Padre suo eterno ed infinito, dove essi sono fatti una medesima cosa con Lui, vivendo con Lui della stessa vita e regnando nella stessa gloria: Ges Cristo vive perfettamente in tutti; tutti in Lui e in Dio vivono con Lui in una societ ed unit perfetta, senza che la distinzione dei gradi di perfezione e di gloria impedisca una tale unit, n che questa unit impedisca la distinzione della loro gloria. Quanto ai peccatori, il Figlio di Dio dar loro una vita immortale nella loro morte eterna, nella loro disgrazia e nel loro peccato; talmente che non cesseranno mai di morire. Il peccato sempre vivr in loro; e non esisteranno che per soffrire, n quel cumulo estremo di supplizi che l'inferno potr mai annientare questa nuova vita che avranno ricevuto da Dio. Datevi a Nostro Signore per vivere fin d'ora in qualche modo della vita nuova che Egli dar agli eletti; chiedetegli che ve ne Dio lo spirito, perch questo dobbiamo riceverlo quaggi; supplicatelo perch vi tolga l'amore della vita presente e non aspetti alla vostra morte ad operare in voi qualche effetto di quella vita oltremodo amabile ed adorabile che Egli attinge nel seno del Padre e che vuole comunicare ai suoi. Pregate la Vergine, gli angeli ed i Santi che l'accompagneranno nel d del giudizio, di annientare in voi l'amore della vita presente. In terzo luogo adorate il giudizio che Ges Cristo far di ogni cosa. Dobbiamo adorarlo adesso con una cura tanto maggiore che non sappiamo di sicuro se renderemo allora a Dio l'onore, l'amore e la gloria che gli saranno dovute per questo giudizio; poich non siamo certi della nostra salvezza. Adorate in modo particolare il giudizio che far di voi qualunque sar; dobbiamo adorarlo quando pure dovesse essere un giudizio di condanna (75). Lodiamo quindi e benediciamo Dio adesso per quel giudizio che Egli far di noi; condanniamo in noi tutto quanto Egli vi condanner allora e tutto quanto vi condanna al presente. Rinunciate al vostro proprio giudizio e al giudizio degli uomini; datevi a Nostro Signore per conformarvi gi fin d'ora alla verit del suo giudizio, stimando le cose unicamente come le stima Lui, non approvando se non ci che Egli approva e condannando tutto ci che condanna. Proponete di amare per tutta la vostra vita il giudizio di Dio e adoratelo spesso per farne la regola della vostra condotta. In quarto luogo, Ges Cristo nel suo giudizio render giustizia a se medesimo e a tutti i suoi misteri: proclamer in faccia ad ogni creatura la sua Incarnazione, la sua Infanzia, la sua santa vita nascosta, la sua Passione, la sua Risurrezione e tutti gli altri misteri della sua vita, della sua morte e della sua eternit; la sua divina potenza costringer infine angeli, uomini e demoni, anche il cielo e la terra secondo la loro capacit, a rendere ai suoi misteri tutti gli omaggi che sono loro dovuti, e a portarne gli effetti, onde onorarli e glorificarli per tutta l'eternit. Dio medesimo, mediante il giudizio del Figlio suo, prender in tutte le sue opere il suo stata stabile per l'eternit, la sua gloria e il sua regno e tutto quanto dovuto alla sua divina Maest, alla Sua infinit, alla sua giustizia, alla sua misericordia e a tutte le altre divine perfezioni (76). Chiedete a Nostro Signore che fin d'ora stabilisca in voi i suoi misteri e vi stabilisca pure le sue virt; faccia regnare in voi la santissima Trinit, la carit, la misericordia di Dio, la 40

sua potenza, la sua santit e le sue altre qualit divine, alle quali ogni cosa deve stare sottoposta. Ges Cristo nel suo avvento porter in s tutti i suoi misteri e tutto quanto avvenuto nella sua vita, non gi nello stato in cui questi misteri si sono compiuti su la terra, nellumiliazione, nell'abbassamento, nella debolezza e nell'abiezione; bens nella loro dignit, nella loro gloria ed autorit sopra ogni cosa, e con un potete infinito di santificare, convertire a Dio e glorificare eternamente le anime che li adorano. Assoggettatevi alla potenza dei misteri di Ges, onde lodare e glorificare Iddio mediante la loro virt. In quinto luogo, dobbiamo darci allo Spirito Santo onde ci comunichi il desiderio del secondo avvento di Ges Cristo, come Egli lo ispira alla Chiesa; perch il desiderio e l'amore della Chiesa per questo secondo avvento sono ardenti, e il desiderio di Ges Cristo di venire per la gloria del Padre suo pi grande ancora. San Giovanni (Apoc., XXII, 7, 20) dice che il Figlio di Dio verr in fretta e presto , per farci intendere il desiderio che Egli prova di venire a stabilire il regno di Dio e ad annientare il regno del peccato; dice inoltre che lo Spirito e la Sposa dicono continuamente: venite, e che chiunque li ascolta deve pure dire: Venite. (Ibid. XXII, 17). San Giovanni con questo vuole farci capire che lo Spirito Santo il quale stato dato alla Chiesa, e la Sposa di Dio la quale questa Chiesa medesima, sono animati da un continuo desiderio dell'avvento di Ges Cristo e ne fanno continua domanda. Quel Santo Apostolo diletto di Ges d fine alle sacre Scritture con queste parole: Ges dice: s, vengo presto. Amen, venite Signor mio Ges! (Apoc. XXII, 7, 17, 20). Da ci noi intendiamo bene quale fosse in San Giovanni il desiderio e l'amore del secondo avvento del Figlio di Dio. Ma l'Apostolo San Paolo, dice inoltre che questo avvento da ogni creatura atteso con ansiet, che l'intero universo lo sospira con gemiti, e quelli che hanno ricevuto lo Spirito Santo gemono dentro di loro in questa attesa, mentre ne sopportano con pazienza la dilazione. (Rom. VIII). Nell'Epistola seconda a Timoteo, il medesimo Apostolo, in queste parole: Coloro che amano l'avvento di Ges (II Tim. IV, 8), comprende tutti i fedeli. Voi dovete essere del numero di questi, e penetrarvi di desiderio e di amore per questo secondo avvento di Ges Cristo. Nostro Signore ha voluto che tale fosse il nostro ardente desiderio e l'oggetto delle nostre domande nella preghiera, dopo la santificazione del nome di Dio; poich dopo averci obbligati a chiedere a Dio la santificazione del suo nome, ha voluto che gli domandassimo lavvento del suo regno. Chiedetegli dunque con fervore questo avvento. Supplico Nostro Signore che venga in voi e viva in voi; vi prego che questo sia il vostro principale desiderio. Terminer con queste parole di san Paolo: Vi scongiuro dinanzi a Dio ed a Ges Cristo che giudicher i vivi ed i morti, per il suo avvento e per il suo regno (II Tim IV), siate a Lui fedeli, non amate il mondo che Egli vuol distruggere, non curatevi del giudizio degli uomini perch dovranno perire, ma temete il giudizio di Dio che star in eterno; sopportate con pazienza i travagli della vita presente; sia vostro impegno di onorare sempre Dio in tutto ci che potrete, e di aspettare con amore la venuta di Ges Cristo. II. Del mistero dell'Incarnazione (Per il tempo dell'Avvento) Nel tempo dell'Avvento, dobbiamo prepararci al Santa Natale, onorare il mistero dell'Incarnazione e investirci delle disposizioni di Ges e della Santa Vergine. I.) Devozione al mistero: considerare il Decreto eterno dell'Incarnazione del Verbo, la vita del Verbo nella sua umanit; il disegna di Dio di comunicarci la sua vita. 41

II.) Imitazione di Ges Cristo il quale nella sua Incarnazione si offerto: 1 per onorare tutte le perfezioni divine; 2 per adempire verso il Padre suo tutti i nostri doveri; 3 per santificare e rivolgere alla gloria di Dio tutte le cose, specialmente tutti i pensieri e tutte le pene di tutte le anime dal principio del mondo sino alla fine. L'avvento di Nostro Signore Ges Cristo, che la Chiesa ci propone in questo tempo, ci impone diversi doveri. Oltre che ci invita a prepararci con gran cura alla venuta di Ges Cristo in noi per il santo Natale, ci obbliga a rendere i nostri omaggi e le nostre divozioni al mistero dell'Incarnazione, e ad onorare la vita del Figlio di Dio nella sua umanit, le disposizioni della sua anima santissima e quelle dello stato in cui la Vergine santissima entra in questo tempo. Durante l'Avvento dobbiamo rivolgere a questo argomento i nostri pensieri e le nostre adorazioni, se vogliamo essere partecipi della grazia e dei frutti di questo mistero. Perch Dio, ogni volta che nella sua Chiesa ci presenta i suoi misteri, intende rinnovare in lei la grazia e gli stati di quei medesimi misteri, e non mancher di mandare ad effetto il suo disegno se le anime nostre si presteranno docilmente alla sua azione. La prima cosa dunque che dobbiamo fare dopo aver adorato e onorato il mistero dell'Incarnazione e Dio che l'ha operato, di considerare le disposizioni del mistero medesimo per entrare in quelle e rimanervi come ritirati. Ora, siccome il nostro primo dovere di rendere onore ai misteri, sar bene esporre in particolare quali cose dobbiamo onorare nel mistero dell'incarnazione. Dapprima, dobbiamo onorare ed adorare il decreto con cui da tutta l'eternit la santa Trinit ordin che la seconda persona s'incarnasse per la redenzione dell'uomo. Se noi dobbiamo in generale onorare ed adorare tutti i decreti di Dio ed anche tutti i suoi disegni su le anime nostre, quali omaggi non dovremo noi rendere a questo decreto e a questo disegno di Dio, il pi grande che Egli abbia mai compiuto, tanto pi che ne contiene molti altri? Infatti, questo decreto uno solo in quanto ha per termine il mistero dell'Incarnazione del Verbo eterno, e l'esaltazione della sua santissima umanit sino alla unione personale con Lui medesimo; tuttavia comprende una infinit di altre cose che si estendono in modo generale a tutti gli uomini che vi sono e vi saranno, perch questi sono tutti congiunti fra loro e della medesima natura umana ch'Egli unisce e congiunge alla Sua persona divina. E siccome il Verbo eterno stabilisce la sua vita divina in quella umanit di cui ha fatto la scelta singolare per se medesima, Egli si propone in pari tempo di stabilire in tutti gli uomini la vita divina e di rovinare e distruggere in loro la vita di Adamo e tutto ci che lo spirito dell'uomo nel suo accecamento ricerca ed apprezza. Orbene dobbiamo con grandissimo zelo procurare che si compia un tal disegno e che questo effetto del mistero venga effettuato. Perci sar bene aver divozione per la vita del Verbo eterna nella sua umanit: vita nascosta, vita sconosciuta ed umiliata; ma vita divina, che rovina ci che i figli di Adamo ricercano e stimano, poich invece della ricchezza Egli esalta la povert, e invece dell'onore e della fama, l'umilt e la debolezza. Cos il Verbo in questo modo d principio quaggi alla sua santa vita, assumendo nell'Incarnazione uno stato di soggezione con la forma di schiavo, anzi una vita interamente contraria a quella dei figli di Adamo i quali non cercano altro che i beni apparenti e non i beni reali. La vita dunque del Verbo eterno nella sua umanit una vita divina; la vita che Egli vuole stabilire in tutti gli uomini in virt della sua Incarnazione; la vita di Dio, la quale non compatibile con la vita dell'uomo vecchio. E' necessario perci, e ben necessario, che rinunciamo a noi stessi per lasciare il posto a Dio; e dobbiamo pure essere animati da grandissimo rispetto verso tutti gli effetti che il Verbo eterno opera nella sua umanit, effetti che sono tutti divini e che Egli vuole riprodurre nelle anime che a quelli in questo tempo 42

renderanno omaggio e vi sottometteranno il loro spirito. Orbene, sebbene non conosciamo tutti questi effetti divini, n tutti i disegni di Dio in questo mistero dell'Incarnazione, tuttavia non dobbiamo tralasciare di adempiere verso di essi i nostri doveri; anzi questi doveri sano tanto pi rigorosi e importanti quanto pi le cose ci sono sconosciute attesa la loro eminenza e dignit superiori alla nostra capacit. Per questa ragione nostro dovere di dedicare un certo tempo alla venerazione di tutte queste cose, tenendo l'anima nostra in un gran rispetto davanti ad esse. Quantunque vi abbia proposto soltanto queste tre cose: il decreto eterno dell'Incarnazione, la vita del Verbo eterno nella sua umanit e il disegno di Dio di comunicare all'uomo la propria vita, non dovete limitare la vostra attenzione a queste tre cose: ma dovete estenderla a tutte quelle altre per le quali lo Spirito Santo vi ispirer capacit e devozione; e per tutto ci che non conoscete rimanere in pace nella verit di Dio. Se noi in tal modo esercitiamo la nostra devozione, oltre che seguire lo spirito di Dio nella sua Chiesa, non mancheremo di ritrarne il frutto e la grazia che ogni mistero di Dio apporta nell'anima che lo venera con zelo. Perci vi invito a darvi tutti assieme alla santissima Trinit, affinch tutti i vostri momenti siano impiegati ad onorare queste meraviglie ch'Ella ha decretato da tutta l'eternit, e che ha operato nella pienezza dei tempi; pregatela che usi, Ella medesima, di tutto ci che siete, perch la onoriate e glorifichiate in questo mistero. Ecco adunque il primo dei nostri doveri per questo tempo: adorazione, onore e rispetto verso Dio e verso il mistero. Il secondo, come gi vi abbiamo proposto in principio, l'imitazione del mistero stesso, e possiamo ridurre questa imitazione ad un punto solo: investirci delle disposizioni dell'anima santa di Ges. San Paolo ci insegna che il Figlio di Dio si offerto e consacrato all'Eterno Padre nel momento stesso dell'Incarnazione e soggiunge che per questa oblazione siamo stati tutti santificati (Hebr., X, 5). Orbene, in relazione con questa verit dobbiamo noi pure offrirci a Dio in Ges e ritirarci in Lui. E per meglio intendere ci che dobbiamo fare su questo punto, rifletteremo che il Figlio di Dio si offr al Padre suo principalmente per tre case (77): La prima, per onorare tutte le perfezioni divine, e tutto ci che Dio in se medesimo; la seconda per adempiere tutti i nostri doveri verso Dio; la terza per rivolgere alla gloria di Dio tutto quanto avviene in noi: pene, tentazioni, grazie di Dio, tutti i momenti della nostra vita, occasioni di praticare la virt, e via dicendo; per fare uso, dico, di tutte queste cose alla gloria di Dio, quantunque la maggior parte degli uomini ne facciano un uso cattivo per la propria rovina e dannazione. Orbene, rispetto al primo punto che la sua oblazione a Dio Padre per onorare le sue divine perfezioni, noi siamo in obbligo di partecipare a questa offerta onde onorare per mezzo di Ges quelle medesime perfezioni le quali sono infinite; n passiamo da noi medesimi onorarle degnamente, essendo noi povere creature limitate; Ges Cristo, invece, essendo di una capacit infinita per rendere a Dio onori infiniti e degni della propria Persona infinita, ha onorato in modo degno di Dio tutto quanto vi in Dio: purezza, santit, infinit, grandezza, onnipotenza, maest e tutte le altre perfezioni che lo spirito umano non capace di conoscere. Questo appunto ci che dobbiamo fare con Lui e ne abbiamo un vero obbligo; anzi siamo obbligati verso Dio per ci che Egli in se stesso (78), pi ancora che per i benefizi che abbiamo ricevuti e riceviamo dalla sua mano liberale. Rifugiamoci perci nella lode e adorazione di Ges Cristo e rendiamoci partecipi dei suoi sentimenti verso Dio. 43

Il secondo fine per il quale Ges offr se stesso a Dio Padre fu quello di soddisfare a tutti i nostri doveri, poich noi non ne siamo capaci, mentre i nostri doveri sono molteplici. Abbiamo doveri verso Dio per la sua dignit suprema, perch Dio; ne abbiamo inoltre perch nostro creatore, benefattore, riparatore, sovrano e padrone; ne abbiamo ancora per la nostra qualit di peccatori, e un'infinit d'altri che non siamo capaci di conoscere. Insomma i nostri debiti verso Dio sono cos infiniti che non ci sarebbe mai possibile di spiegarli e, tanto meno di soddisfarli. Perci Ges Cristo si offr a Dio onde rendergli tutto quanto gli dovuto, perch a tutto soddisfece, a tutto universalmente. Ges Cristo rese a Dio l'amore, la lode, l'adorazione, le azioni di grazie di cui gli siamo debitori; anzi soddisfece agli obblighi particolari di ciascun'anima, essendoch le une sono obbligate verso la purit di Dio, altre verso la sua potenza, altre verso il suo amore, altre verso la sua santit e cos via. Ad un tale impegno si dedic il Figlio di Dio; si invest dei doveri di tutte le creature onde soddisfarli in una maniera degna di Dio, ed anche per riparare l'infedlt di tante anime che li adempiono cos poco. Dobbiamo dunque entrare nel suo spirito e in tutte le sue disposizioni verso Dio; in Ges e per mezzo di Ges dobbiamo tributare a Dio tutti i doveri che abbiamo verso di Lui, persuasi che come non possiamo nulla da noi medesimi, tutta possiamo in Ges Cristo che rimedia alla nostra debolezza: Omnia possum in eo qui me confortat. (Philip. IV, 13). Mentre non siamo capaci di adempiere verso Dio neppure uno dei nostri doveri, in Ges Cristo possiamo soddisfarli tutti assieme. Perci sarebbe bene ogni tanto dedicare qualche tempo per metterei davanti a Dio, compiendo verso di Lui tutti i nostri doveri (di adorazione, ecc.) nello spirito di Ges Cristo. Il terzo fine per il quale il Figlio di Dio si offr al Padre suo nel primo istante della sua Incarnazione, fu quello, di fare uso di ogni cosa per la gloria di Dio. Ges Cristo, infatti, ebbe presente nel suo spirito tutto quanto avvenuto e avverr in tutte le anime dal principio del mondo sino alla fine, e fece un uso continuo di tutte le pene ch'esse portarono e porteranno, di tutte le loro tentazioni, delle occasioni di onorare Dio e di praticare la virt, delle grazie di Dio, e di tutte le altre cose che avvengono dietro il permesso di Dio; perch una delle cose che la creatura meno capace di fare appunto questa di fare buon uso di ogni cosa e di ogni evento (79). Di un tal dovere perci, il Figlio di Dio si prese Lui stesso il carico, sapendo bene che non siamo capaci di soddisfarlo, quantunque vi siamo obbligati. Per questo motivo dobbiamo ancora rifugiarsi nel suo spirito onde usar bene di tutto per Dio, come ne usa Ges Cristo medesimo. Dobbiamo fare tutto questo senza tanti sforzi di mente, ma soltanto per semplice aderenza allo spirito di Ges Cristo, con l'intenzione di fare in ogni occasione ci che Egli ha fatta. Basta formare una tale intenzione al mattino, oppure rinnovarla tre a quattro volte al giorno secondo le occasioni di soffrire che potranno presentarsi, offrendo tutta a Dio nello spirito di Ges Cristo e nelle sue intenzioni, anche le azioni indifferenti, pregando il Figlio di Dio di farne uso Lui stesso in noi per la gloria di suo Padre e la Sua. In tutto ci non abbiamo altro da fare che di aderire a Ges Cristo, e se vi siamo fedeli, sicuramente saremo da Dio benedetti. III.

Ancora sull'Incarnazione 44

L'Incarnazione La sostanza di tutti i misteri; rende divine le azioni di Ges Cristo e sante quelle dei Santi; la fonte di ogni grazia per Ges e per la Chiesa. Comunemente si considera il mistero dell'Incarnazione,e semplicemente come il concepimento di Nostro Signore Ges Cristo; dobbiamo invece considerarlo come la unione di Dio con l'uomo e dell'uomo con Dio: Verbum caro factum est; unione che non si comp per un istante soltanto, ma continuamente compiuta (80). In questo sacratissimo mistero sono da considerarsi parecchie circostanze. La prima il modo in cui dobbiamo concepirlo e l'abbiamo or ora spiegato. La seconda che questo mistero la sostanza di tutti gli altri misteri del Figlio di Dio i quali rispetto a quello non sono che accidenti; poich l'infanzia, la circoncisione, la passione e tutti gli altri sono come parti del mistero dell'Incarnazione dell'Uomo-Dio. La terza che questo mistero deifica le azioni dell'Uomo-Dio e santifica le azioni dei Santi. Per intendere questo punto, presuppongo in Ges Cristo una triplice santit: l la santit ch'egli ha per tutte le sue azioni dal primo istante dell'Incarnazione sino alt'ultimo respiro su la Croce, santit acquisita e attuale la quale non per Lui, poich Egli non crebbe nella santit per la sua dimora nella sua sacra Umanit, ma per noi e per la sua Chiesa; 2 la santit per la pienezza della grazia creata ch'Egli possedette fin dal primo istante, santit che possiamo chiamare infusa, la quale ancora tutta a vantaggio della Sua Chiesa, poich dalla sua pienezza nei tutti abbiamo ricevuto; 3 la santit ch'Egli possiede per l'unione ipostatica e come UomoDio, santit divina ed essenziale, la quale non per la Chiesa, ma soltanto per il Figlio di Dio, dimodoch questa santit quella che rende divina l'infanzia e la passione del Figlio di Dio. La quarta circostanza da considerarsi nel mistero dell'Incarnazione che questo mistero come un mare ripieno di tutte le grazie, tanto di quelle che non convenivano se non al Figlio di Dio come di quelle ch'Egli doveva comunicare alla sua Chiesa; ci appunto dobbiamo intendere per queste parole: Pieno di grazia e di verit. (Joan, I). In questa pienezza Ges Cristo 1 l'oggetto del compiacimento del Padre suo!: Filius meus dilectus in quo mihi bene compliacui (81); 2 Come Agnello di Dio, Egli l'oggetto dei rigori della giustizia del Padre, perch porta sopra di s i peccati del mondo: Agnus Dei qui tollit peccata mundi; 3 Di Ges Cristo come Figlio dell'uomo si dice pure che pieno di grazia e di verit. Plenum gratiae et veritatis , ed Egli possiede questa pienezza fin dal momento dell'Incarnazione; in tal modo questo mistero come il mare delle grazie e degli altri misteri i quali ne sono come rivoli e canali. Fin dal momento dell'Incarnazione Ges Cristo possedeva la grazia dell'infanzia, della vita pubblica, della passione. Che se mi domandate come ci fosse possibile, poich l'infanzia avvenne al suo tempo e la passione in un altro, vi risponder che veramente all'esterno queste grazie si manifestarono al loro tempo proprio, ma nell'interno Ges le possedette sempre (82). V' gran differenza tra il modo con cui il Figlio di Dio ricevette queste grazie e il modo con cui le riceviamo noi; perch Ges Cristo le ricevette per diritto naturale, per eredit, epper tutte d'un colpo fin dal momento dell'Incarnazione; mentre noi le riceviamo secondo che vi siamo disposti e secondo la relazione delle nostre disposizioni con le grazie, quindi le riceviamo a poco a poco. IV. Sul mistero dell' Incarnazione

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L'Incarnazione mistero di vita persino per Dio medesimo; - mistero universale ed eterno conseguenze pratiche. Il mistero dell'Incarnazione un mistero di vita per gli Angeli e per gli uomini, per il cielo e per la terra, di vita persino per Dio il quale mediante questo mistero ha una sorta di vita che non aveva prima, perch per l'unione ineffabile delle due nature Egli vive di una vita divinamente umana e umanamente divina. Orbene, Se Dio medesimo il quale vive da tutta l'eternit, essenzialmente vita, ogni vita, nel quale tutto vita, il quale non che vita ed sorgente di ogni vita; se Dio medesimo prende vita in questo mistero, pensate come sia davvero un mistero di vita! Prendiamo dunque anche noi vita in questo mistero, noi che per il peccato non siamo che morte e miseria, e che abbiamo tanto bisogno ed indigenza di vita. La fecondit di questo mistero, il quale riempio; tutto di vita e d vita persino a Dio, non sia sterile in noi, ma ci Dio vita in Colui che la vera vita e che nella sua santa parola d a se stesso il nome di vita: Ego sum vita (Joan., XI, 25). Vivete dunque in Ges, vivete in Maria la quale essendo Madre di Ges, pure, per questo mistero, madre di vita. Nella Chiesa di Dio parecchie feste vengono celebrate in onore di azioni del Figlio di Dio particolari, passeggere e di poca durata, come sono la Nascita, la Circoncisione, la Presentazione ed altre; ma la Solennit dell'Incarnazione invece universale, anzi eterna, perch la festa di quel mistero che la base e il fondamento i tutte le azioni e di tutti i misteri di Ges, e include uno stato permanente per sempre; Dio, infatti, finch sar Dio sar anche uomo e per sempre vi sar un Uomo-Dio, In tal modo questo mistero non solamente un mistero di vita, ma un mistero di vita eterna, ossia di una vita che non finir pi e che avendo incominciato su la terra durer eternamente in cielo. Le altre feste del Figlio di Dio si riferiscono soltanto a misteri ed azioni che avvengono su la terra. Ecco perch ho detto che questa festa per la terra e insieme per il cielo, non sala perch viene onorata anche dal cielo, ci che le comune con le altre feste del Figlio di Dio, ma pure perch contiene un mistero che dura in cielo tanto come in terra, in quanto l'unione personale dell'umanit immutabile e permanente in terra e in cielo. Orbene, questa unione personale il fondo dell'essenza di questo mistero. Prendete dunque vita e vita eterna, in questo mistero di vita immutabile ed invariabile tra la variet delle azioni e degli stati nei quali il Figlio di Dio si trovato su la terra, perch in ogni circostanza Egli era sempre Dio-Uomo. Domandiamo a Ges Cristo, per questo Suo stato tutto divino, tutto ineffabile ed invariabile, la grazia di essere noi pure stabiliti in uno stato costante, permanente ed invariabile in Lui, in mezzo a tutti i cambiamenti e a tutte le vicissitudini che dobbiamo attraversare su la terra; affinch carne prendiamo vita in questo mistero di vita, cos dallo stato immutabile di questo mistero riceviamo pure uno stato di grazia e di vita invariabile in Dio, e che l'anima nostra sia per sempre unita a Dio in omaggio, in dipendenza e nell'efficacia dell'unione indissolubile della divinit con la nostra umanit. E' questa mia delle grazie proprie ed applicate alla condizione di questo mistero, il quale un mistero di grazia, di vita e di unione per sempre; mistero, dico, di vita e di grazia increata e di unione personale con la divinit (83). V. Per la nativit di Ges Nella nascita di Ges riconoscere il dono che il mondo riceve. - Considerare: la carit dell'Eterno Padre che la dona; la carit del Figlio che si dona a noi, come Dio come uomo, 46

come infante; la carit della B. Vergine che ci dona il suo Figlio per inclinazione ispirata da Ges medesimo e dallo Spirito Santo.

Questa festa come il fondamento di tutte le altre che celebriamo in onore del Figlio di Dio; perch quantunque sia soltanto il seguito dell'Incarnazione, tuttavia per la sua nascita il Figlio di Dio incomincia ad appartenere agli uomini, a darsi ed a comunicarsi a loro, mentre per la sua Incarnazione sembrava appartenere soltanto alla sua santissima Madre; infatti l'Incarnazione viene solennizzata sotto il titolo dell'Annunciazione della Vergine. La santa Chiesa diretta dallo Spirito Santo il quale ci rivela le sue intenzioni nella celebrazione delle feste, ci insegna bene questa verit con queste parole del Profeta ch'ella prende come fondamento di questa festa: Puer natus est nobis, et filius datus est nobis, (Isaia, X, 6). L'angelo che annunzia ai Pastori la nascita di Ges manifesta loro questo punto fondamentale, dicendo: Vi reco la nuova d'una grande allegrezza; Evangelizo vobis gaudium magnum... quia natus est vobis hodie Salvator (Luc., II, 10). Ed ecco la ragione per la quale la Chiesa celebra la festa della Nativit di Ges con maggior solennit che non quella della sua Incarnazione e si rallegra di questa donazione che Dio fa al mondo, con una festa oltremodo insigne. Poich adunque il dono di Ges alla Chiesa la prima cosa che dobbiamo considerare in questa solennit, sar bene che trattiamo adesso delle disposizioni con le quali Ges ci viene dato, ossia della carit, del Padre che ci dona il Figlio suo, del Figlio che dona se stesso e della Madre che ci dona Colui che il Padre ha data a Lei. *** La carit dell'Eterno Padre nel darci il Figlio suo grandissima. Ci aveva dato tutte le cose naturali per la creazione; ci aveva dato noi stessi a noi, vale a dire un corpo ed un'anima, poich tutto viene da Lui: De plenitudine ejus omnes accepimus - Della pienezza di Lui noi tutti abbiamo ricevuto (Joan., I, 16). Ma tutti questi doni non erano degni di Lui, n conformi alla sua grandezza; donando ci invece il suo proprio Figlio ci fa un dono veramente degno di un Dio, n potrebbe farcene altro maggiore, poich un dono tratto da Lui medesimo e preso nel suo seno, dono che ci rivela in un modo ammirabile la sua carit. Perci il medesimo Figlio di Dio il quale Lui stesso questo dono, ci invita soltanto a considerare in quello la carit di Dio, con queste parole: Sic Deus dilexit mundum ut Filium suum unigenitum daret - Dio ha talmente amato il mondo che ha dato il Figlio suo unigenito (Joan., III, 16). La carit di Dio, in questo dono fatto alla terra cos grande che se conoscessimo quanto gli sia proprio di avere nel suo seno il Figlio suo, saremmo rapiti come fuori di noi stessi per l'ammirazione e lo stupore nel pensare ch'Egli mette in un seno estraneo questo Figlio diletto, lo invia alla terra, lo dona agli uomini e ce lo presenta nel presepio. Se potesse esservi per Dio qualche mortificazione, sarebbe questa la pi grande; come pure ci sembrerebbe questa la cosa pi contraria a Dio, se potessimo penetrarla. E tutte le privazioni dai parenti, dagli amici, e dai beni, hanno il loro fondamento nell'omaggio verso la donazione del proprio Figlio, che l'Eterno Padre ha fatto al mondo (84). Orbene, in questa carit dobbiamo inoltre onorare nell'Eterno Padre il potere di dare un s gran dono come il suo proprio Figlio, potere di cui vediamo l'effetto nella nascita di Ges Cristo, per la quale questo gran dono viene presentato ed esposto agli occhi del mondo. Un tal potere cos eccellente, cos degno e cos divino che non applicato ad 47

altro fuorch a dare il Verbo eterno, ed il medesimo potere col quale Egli genera il Figlio suo, dimodoch come Lui solo lo genera, cos Lui solo ha il potere di darlo. *** Il secondo punto la carit, del Figlio di Dio, e possiamo considerarla in Lui sotto tre aspetti. Dapprima Ges Dio, e come Dio ha una carit divina, increata, sostanziale ed uguale a quella del sua Eterna Padre, e per la quale Egli si dona a noi come il Padre ce lo dona. Ges inoltre uomo, e in tale qualit ha nella sua anima santa una carit creata ed infusa per la quale si dona e si comunica a noi, in conformit con la volont dell'Eterno Padre; e questa carit non , come la nostra, ristretta in intensit e in estensione. La carit di Ges Cristo, invece, grande sotto questi due aspetti: nell'intensit, poich la pi perfetta, contiene tutti i gradi di carit che possiamo avere noi, e dalla sua pienezza proviene tutta quella carit che possediamo; nell'estensione, perch universale, vale a dire comprende ciascuno di noi, dimodoch Ges Cristo si d il tutti; nella sua nascita ci tiene tutti presenti e vuole comunicarsi a tutti, desidera che lo possediamo tutti, e vuole appartenere a tutti; nella sua nascita pensa a ciascuno di noi, mentre per mezzo di essa si d a tutti. Ges infine nella nascita bambino e in questa qualit, come gli altri bambini, ha inclinazione naturale a venire al mondo e a darsi agli uomini. Ma in Ges Cristo una tale inclinazione ha delle qualit che la innalzano ben al disopra di quella degli altri bambini: I deificata, anzi pi deificata degli altri atti della mente e della volont di Ges, vale a dire dei suoi pensieri e dei suoi voleri; perch l'Incarnazione compiuta nella natura umana, quindi ci che appartiene di pi alla natura pi deificato di ci che le appartiene meno. Orbene questa inclinazione cos propria al bambino che ne inseparabile; dunque in Ges pi delicata di un pensiero, per esempio, o di un atto di volont che in Lui sia libero e che Egli potrebbe non avere; 2 santa, piena della Spirito Santo, perch lo Spirito Santo - santifica tutto ci che vi in Ges; Ges in tutto pieno dello Spirito Santo. *** Il terzo punto, che vi proponiamo nella nascita di Ges Cristo, la carit della santissima Vergine nel darci il Figlio suo, carit che possiamo considerare sotto due aspetti: In primo luogo la Vergine possiede quella carit che uno dei sette doni dello Spirito Santo e la principale della virt che riguardano Dio. Per questa carit, Maria ci dona il Figlio suo quando lo partorisce e nella nascita lo espone alla vista degli uomini, in conformit con l'intenzione del Figlio suo il quale non vuole soltanto abitare in Lei, ma inoltre per mezzo di Lei essere nostro e appartenere a noi. In secondo luogo, la Vergine ha l'inclinazione naturale di tutte le madri di mettere al mondo il frutto del loro seno; ed Ella pure in questo modo vuole darci per la nascita il suo Ges; ma una tale inclinazione nella Vergine ha qualit oltremodo elevate. Dapprima: una inclinazione eccitata dallo Spirito Santo e perci santa; lo Spirito Santo, infatti, previene ci che avviene nella Vergine; l'ha prevenuta nella concezione del Figlio di Dio: Spiritus Sanctus superveniet in te - Lo Spirito Santo scender sopra di te. . (Luc., I, 35); cos la previene anche nella nascita di Ges. Come quella divina persona ha operato il concepimento del Verbo, deve pure operarne anche la nascita, perci ispira alla Vergine questa inclinazione di mettere al mondo il suo divin Figlio. 48

Inoltre, quella inclinazione nella Vergine opera del Figlio di Dio incarnato che dimora nelle caste sue viscere, poich i medici dicono che le madri hanno questa inclinazione di mettere i loro bambini al mondo nel medesimo tempo in cui questi hanno quella di nascere. Ma ci appoggeremo su una ragione pi elevata, secondo questo principio gloriosissimo per la santissima Vergine, che Ges Cristo essendo, in Maria, il principio soprannaturale della vita della grazia, era come il cuore di Lei nella vita spirituale, anzi ne dirigeva e ordinava la vita soprannaturale; e in tal modo questa inclinazione nella Vergine di sgravarsi del suo frutto e di darlo al mondo, era opera di Ges, appunto perch Egli voleva dare se stesso a noi. In tal modo da qualunque parte consideriamo questa inclinazione, tutta santa e oltremodo degna di essere onorata. Orbene, poich Ges ci viene dato nella sua nascita, in questa festa dobbiamo eccitare in noi un gran desiderio di possederlo e offrirgli un'ardente volont di riceverlo. Poich, inoltre, una tale donazione opera dello Spirito Santo, a Lui dobbiamo ricorrere onde possedere Ges Cristo e presentargli l'anima nostra affinch vi ecciti un gran desiderio che Ges Cristo le venga dato e le appartenga, poich Lui medesimo operava questo desiderio nella Vergine. Bisogna poi riflettere che Dio richiede da noi convenienti azioni di grazie per un dono cos insigne e quindi offrirgli continui ringraziamenti per questo mistero. VI. Grandezza della nascita di Ges Grandezza della nascita di Ges: d a l'Eterno Padre il compimento della sua paternit; immette la Vergine nell'usa della sua maternit; onora la generazione eterna del Figlio di Dio; cambia la terra in un cielo, anzi fa scendere il cielo su la terra. Gli Angeli e Ges. Ges nasce per farci nascere ad una nuova vita e per onorare il Padre il quale resta, disonorato dalle nascite degli uomini. *** Nella divina nascita di Ges dobbiamo considerare le grandezze che l'accompagnano. La prima questa, che per questa nascita la paternit dell'Eterno Padre riceve il suo compimento: questa parola Padre, non dice soltanto generazione, ma inoltre include un certo potere ed una certa autorit che il Padre, prima dell'Incarnazione, non aveva sul proprio Figlio; perch nella eternit vi sono processioni, ma non v' dipendenza. Nel mistero dell'Incarnazione vi l'uno e l'altro: processione, poich Colui che incarnato il Figlio medesimo dell'Eterno Padre; dipendenza, perch essendo uomo, dipende dal Padre, e il Padre si compiace di dargli nel Profeta Isaia un nome che indica una tale dipendenza: Servus meus es tu; Tu sei il mio servo (XLI, 9). Questo mistero perci, mentre completa la paternit del Padre, in pari tempo d un conveniente compimento al suo potere ed alla sua autorit. Prima della Incarnazione, infatti, il Padre aveva bens potere su le cose create, su gli uomini, su la grazia; ma tutto questo, che cosa era mai? Tutte queste cose non potevano dare ad una sovranit infinita il suo compimento, per questo effetto non ci voleva meno dell'Incarnazione che ha dato al Padre sovranit e autorit sul suo unigenito Figlio. La seconda grandezza ed eccellenza di questo mistero quella di aver stabilito la santa Vergine nella sua maternit divina, immettendola nell'uso di questa maternit. E' vero che 49

dal primo istante dell'Incarnazione, Maria era Madre di Dio, avendo concepito il Figlio medesimo di Dio, ed essendo sicura di partorirlo e di darlo al mondo; tuttavia Ella non aveva ancor l'uso di questa maternit, perch non aveva ancora autorit sopra il Figlio di Dio e non l'ebbe se non dopo la nascita di Ges. La terza grandezza; l'onore che questo mistero rende alla nascita eterna ed alla filiazione eterna del Figlio di Dio. Per intendere meglio questo privilegio, dobbiamo considerare che Dio vuole essere da noi onorato non solo con pensieri conformi alle sue grandezze, ma ancora per vari stati che rendono omaggio a tutti i suoi attributi e a tutto ci ch'Egli , come vediamo negli Angeli, tra i quali i Cherubini onorano la sua scienza e i Serafini il suo amore. Orbene, prima della nascita di Ges, su la terra non vi era nessuna filiazione che onorasse la divina ed eterna filiazione, e nessuna nascita che onorasse la nascita eterna del Figlio di Dio; ci si compiuto in questo mistero. La quarta grandezza di questo mistero di aver cambiato la terra in un cielo, e di aver tratto gi il cielo su la terra. In cielo gli angeli inferiori, dipendono dagli angeli superiori e ricevono le illuminazioni, dall'Angelo pi elevato, il quale tutto riceve immediatamente da Dio. Con questa nascita, invece, tutto cambiato e tutto quell'ordine viene sconvolto; il cielo viene spopolato e gli angeli scendono su la terra a dipendere dal Figlio di Dio, vengono a cercare e a prendere tutto da Lui; il Figlio di Dio li ha attirati e portati con se stesso come nel cielo il primo motore nel suo movimento attira e porta con s gli altri cieli. In tal modo possiamo dire con tutta verit che il cielo ormai sulla terra: Et cum iterum introducit Primogenitum in orbem terrae, dicit: Et adorent eum omnes Angeli Dei - Quando introduce il Primogenito nel mondo, dice: Lo adorino tutti gli angeli di Dio. ( Hebr. I, 6). Con quanta cura l'Eterno Padre ha voluto che fosse onorato il Figlio suo! Gli angeli lasciano il cielo per venire su la terra; e la terra che fa mai essa per onorare il Figlio di Dio il quale tuttavia tutto per lei? La terra non la conosce; vengano ad adorarlo soltanto alcuni re stranieri e pochi pastori; per dir tutto in una parola, solo il cielo lo conosce. Dobbiamo considerare il grande onore e la eccellentissima adorazione che gli Angeli rendono al Figlio di Dio, e insieme l'impressione che il Figlio di Dio esercita sopra di loro. Gli Angeli adorano Dio in due maniere; attivamente, con l'umiliarsi davanti a Lui; passivamente, vale a dire ricevendo le sue impressioni, Patientes divini: dice san Dionisio. Orbene, a mio avviso, non si pu mettere in dubbio che vari Angeli abbiano adorato il Figlio di Dio in queste due maniere: attivamente, col riconoscere la sovranit di questo bambino che nasce, sottomettendogli tutte le loro corone e confessando la loro dipendenza universale da Lui; passivamente, col ricevere dal Figlio di Dio l'impressione di una adorazione passiva, adorazione che durer eternamente e che perci oltremodo superiore alle nostre, le quali non sono che passeggere, adorazione infine che gli angeli porteranno sempre con s (85). Dobbiamo pure considerare in questa nascita, i favori, le grazie ed i doni che gli angeli ricevettero dal Figlio di Dio. Furono due gli ingressi segnalati del Figlio di Dio; il primo quando venne al mondo apportandovi le sue grazie; l'altro quando, nella sua Ascensione, entr nei cieli per gli uomini: Asceso in alto... distribu doni agli uomini (Ephes., IV, 8). Nella sua Ascensione Egli fece agli uomini i suoi doni ; ma allora era gi conosciuto. Nel suo primo ingresso, invece, gli uomini lo ignoravano; soltanto gli angeli lo conoscevano, epper quale abbondanza di grazie non dovettero ricevere? Orbene, adesso, siccome Ges venendo al mondo ha una vita nuova, cos vuole che noi pure abbiamo una nuova vita. Ges Cristo nato, e vuole farci rinascere ad una vita 50

migliore; dunque nostro dovere di disporci a ricevere questa vita, di sospirare verso di essa, e di chiederla con fervente preghiera. Noi abbiamo bisogno della grazia, anche per fare buon uso della grazia stessa, come venne dalla Chiesa definito contro alcuni eretici. Perci onde far buon uso della grazia sostanziale che ci vien data in questo tempo, vale a dire, di Ges Figlio unigenito di Dio, del quale san Paolo ha detto: Ut gratia Dei pro omnibus gustaret mortem (86) (Hebr. II, 9), abbiamo bisogno della medesima grazia sostanziale del medesimo Ges; una delle grazie che dobbiamo domandargli in questo tempo, appunto quella di far buon uso di Lui che ci vien dato dal Padre affinch ne usiamo per crescere nella virt e nella perfezione. Non senza un gran disegno n senza un motivo particolare che il Figlio di Dio venuto su la terra per via di nascita. Ha voluto con questo mezzo onorare il Padre suo in riparazione del disonore che gli causano tutte le nascite degli uomini. Nostro Signore supplisce a tutti i nostri doveri verso il Padre suo, questa una delle sue qualit pi insigni; orbene, tra i nostri doveri verso il Padre, abbiamo anche quello di onorarlo con la nostra nascita, ma invece la nostra nascita lo disonora, poich tutti nasciamo nel peccato originale il quale ci rende nemici di Dio e offende la sua maest. Ges Cristo con la sua nascita supplisce il nostro dovere, poich la sua nascita santa: Quod nascetur ex te sanctum (Luc., I, 35), quindi onora grandemente Iddio e l'onora per tutte le nostre nascite. Per questo beneficio gli renderemo, nella sua nativit, qualche onore particolare. VII La santa infanzia di Ges Tre parti nell'infanzia di Ges: la prima, nel seno della Vergine, stato di schiavit; la seconda, a Betlemme, stato di umiliazione e d'impotenza; la terza, in Egitto, stato di esilio. La Chiesa sembra proporre alla nostra venerazione l'Infanzia di Ges per tutto il tempo dall'Avvento sino alla Settuagesima; e quantunque ci rappresenti vari misteri in questa infanzia che ne contiene parecchi, tuttavia, per darei maggior facilit di occuparci in un tale soggetto durante tutto questo tempo, mi sembra utile dividere la santa infanzia di Ges in tre parti che possiamo onorare in tre tempi diversi. La prima l'infanzia di Ges nel seno della sua santa Madre, e possiamo onorarla durante tutto il tempo dell'Avvento; la seconda l'infanzia di Ges fuori del seno della Madre sua, ma tutto avvolto in fasce, e possiamo onorarla dalla Nativit sino alla Epifania; la terza il suo soggiorno in Egitto e l'onoreremo nel suo esilio dall'Epifania sino alla Purificazione. Il primo stato di Ges infante uno stato di cattivit, perch Ges rinchiuso nella Madre sua come un povero prigioniero senza poter far uso dei suoi sensi, ci che contiene una grande privazione. E' vero che questa la condizione di tutti i bambini, ma essi non la sentono e non ne soffrono, perch non ne hanno coscienza; Ges, invece, godeva pienamente della conoscenza, perci una tale cattivit cos lunga, di nove mesi, fu per Lui molto penosa. Vi qui una bella lezione per noi che siamo cos impazienti talvolta per la privazione di cose minime, proviamo tanta difficolt nel privarci di qualche curiosit o nel mortificare la nostra lingua con un opportuno silenzio, o risentiamo con tanta inquietudine l'assenza di qualche consolazione sensibile che Dio si compiace di toglierci. Quel primo stato di Ges Bambino deve essere per noi un motivo di gran confusione, poich ne imitiamo cos poco 51

gli esempi; e per onorarlo, sar bene fare col proposito di imitarlo piccoli atti di mortificazione come quelli che abbiamo accennati. *** Nella santa infanzia, di Ges nel suo soggiorno a Betlemme, dobbiamo con gran divozione onorare l'abbassamento del Figlio di Dio che vediamo adagiato sul fieno e la paglia, poich fu questa la prima dimora, il primo ricovero che gli venne offerto dalla terra. Dobbiamo considerare tre dimore del Figlio di Dio: la prima, nel seno del Padre suo: Unigenitus qui est in sinu Patris (Joan., J, 18), dimora adorabile e degna di Lui; la seconda, nel seno della Vergine, dimora venerabile e dolce per Ges; la terza, nel presepio, in cui giace su un po di fieno e di paglia: Posuit eum in Praesepio (Luc., II, 7), dimora questa, umile ed austera, nella quale il Figlio di Dio travasi tanto pi umiliato ed abbassato quanto pi essa sproporzionata con le altre due dimore. Dal Figlio di Dio in questo stato impariamo ad umiliarci anche noi, poich incomincia cos presto ad abbassarsi per noi, e sforziamoci di onorarlo, di imitarlo e di accompagnarlo in un abbassamento cos profondo. Questo stato pure uno stato di impotenza, perch Ges stretto nelle fasce, non pu muoversi, n camminare, n parlare. Bisogna, andare in Egitto: Ges lo sa bene, ma non pu dirlo, n pu andarvi; bisogna che un angelo scenda a dirlo a Giuseppe e che Maria vi porti Ges. Insomma, in questo stato che dura pi di un anno, non v' che impotenza. Onde onorare, in questo tempo, un tale stato d'impotenza di Ges infante, dobbiamo metterci noi stessi in uno stato di impotenza di peccare e di fare il male; e questa impotenza morale dobbiamo chiederla al Figlio di Dio per l'efficacia della sua impotenza naturale, la quale cos universale in questo secondo stato della sua infanzia. *** Rispetto alla terza parte dell'infanzia di Ges nella sua dimora nell'Egitto, dobbiamo considerarla come un esilio. Infatti, la fuga di Ges Cristo in Egitto per la: persecuzione di Erode va considerata come un esilio ed un'espulsione per il Figlio di Dio dalla terra santa e dal popolo di Dio. Se il Figlio di Dio dovesse dimorare nell'universo, la sua dimora dovrebbe essere il cielo perch il luogo pi santo; ma poich Ges Cristo si compiaciuto di scegliere la terra, e di onorarla della sua presenza, giusto che risieda almeno nella parte pi santa della terra; orbene la parte pi santa in tutta la terra la Giudea, quella terra dove sta il popolo di Dio, nella quale soltanto Dio conosciuto, l'unica che onori Dio e sia dedicata al suo culto. Difatti, Ges Cristo in quella prende nascita e la sceglie per s; e tuttavia poco tempo dopo ne cacciato, viene esiliato, e fugge per rifugiarsi in una regione idolatra, in una terra straniera dove dimora in mezzo ad un popolo che non conosce Dio. La Giudea apparteneva a Ges Cristo pi che ai giudei; Ges vi aveva diritto perch era stata data ai Giudei solo in vista di Lui e perch Egli doveva nascere da loro; i Giudei non la possedevano che per Lui, dimodoch in ogni maniera essa apparteneva a Ges. E difatti, i Giudei non l'avevano acquistata nel modo in cui di solito si acquistano le altre terre; non l'avevano posseduta per le loro proprie forze; Dio medesimo l'aveva designata e ne aveva dato loro il possesso, per una via non ordinaria, bens tutta straordinaria, con miracoli continui ed una particolare assistenza, con la forza e la potenza de1suo braccio. Non la possedevano dunque se non in vista del Figlio di Dio e per accoglierlo, e tuttavia appena vi mette il piede, eccolo espulso e cacciato in esilio in un paese straniero. E' 52

questo un punto estremamente notabile; nel quale dobbiamo molto ammirare ed adorare la condotta dell'Eterno Padre sul proprio Figlio, perch la fuga di Ges va considerata non gi semplicemente come avvenuta in occasione della persecuzione di Erode, ma come permessa e ordinata dall'Eterno Padre, il quale vuole onorare se stesso per mezzo di questa umiliazione e di questo abbassamento. Noi, per le nostre colpe eravamo esiliati e cacciati lontano da Dio, dalla sua grazia e dalla sua santit; e Dio vuole che il suo divin Figlio subisca su la terra, una specie di esilio e di bando, onde liberarci noi e in pari tempo onorare Se stesso, mentre i peccatori con il loro esilio lo disonorano. Infatti, i nostri esili dalla grazia e dalla santit disonorano Dio, e il Figlio di Dio sopporta quell'esilio dalla terra santa e dal popolo di Dio onde onorare il Padre suo per noi. VIII Umiliazioni di Ges nella sua infanzia Umiliazione di Ges nella sua infanzia: la piccolezza del suo corpo; la sua indigenza; la sua soggezione, tutta a gloria di Maria; la sua inazione. Come nel sacro mistero dell'Incarnazione, cos in quello di Ges Infante troviamo grandezze e abbassamenti; abbiamo esposto alcune delle sue grandezze per quanto possiamo conoscerle quaggi; dobbiamo ora esporre i suoi abbassamenti come sono visibili in questo mondo. Ne noteremo quattro principali. *** La prima umiliazione nella santa Infanzia di Ges la piccolezza del suo corpo durante tutto questo stato, essendosi il Figlio di Dio abbassato sino a prendere nel primo momento in cui si fatto infante, un corpo cos imperfetto secondo la natura, Il primo Adamo venne creato e formato da Dio nello stato di uomo adulto e pot subito agire in modo perfetto. Il secondo Adamo avrebbe potuto, Lui pure, venire al mondo in un tale stato; avrebbe potuto assumere la nostra natura, nel suo stato perfetto e non nello stato d'infanzia e d'imperfezione rispetto alla grandezza conveniente per il corpo; eppure ha voluto prenderla nel suo primo stato, come si trova nel principio della sua ordinaria esistenza, e in tal modo ha innalzato l'infanzia a questa grandezza di essere il primo stato che abbia posseduto Dio in quella maniera elevata e singolare per la quale si compiaciuto di darsi alla natura umana. *** La seconda umiliazione l'indigenza e la dipendenza. Un piccolo infante non pu da s applicarsi a cosa alcuna: ha le braccia, ma non pu muoverle; le gambe, ma non pu camminare; la lingua, ma non pu parlare; in una parola, incapace di fare qualsiasi uso della vita ragionevole, dipende da altri, abbisogna di tutti in tutto ci che gli necessario. Orbene, il Figlio di Dio prese anche queste qualit dell'infante con l'unirsi alla nostra natura in questo stato; perci quando fu tempo di fuggire in Egitto non poteva parlare, n camminare, n muoversi, n fare qualsiasi uso della vita ragionevole, quantunque interiormente avesse l'uso perfettissimo della ragione.

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Ma questo abbassamento di Nostro Signore quello che perfeziona la Santa Vergine nella sua divina maternit, perch il divin Infante da Maria dipendente, di Maria abbisogna continuamente, ed ella lo deve assistere in tutti i piccoli bisogni dell'infanzia; Maria lavora onde prestargli aiuto in tutto ci che gli necessario. Nella nostra vita sia interiore come esteriore abbiamo da sopportare piccoli travagli; dovremmo spesso offrirli per Ges Cristo in onore del lavoro e delle fatiche della santa Vergine per servirlo durante quel tempo che ne fu dipendente ed indigente; lavoro e fatica che dnno alla sua dignit di Madre il suo compimento e la sua perfezione, come i nostri travagli ci stabiliscono e ci perfezionano in quella dignit che il Figlio di Dio nella sua bont vuole che formiamo in noi col nostro stato (87). *** La terza umiliazione la soggezione; perch quantunque all'et di due anni, il Figlio di Dio non si trovi pi in una indigenza e dipendenza come prima, tuttavia soggetto come gli altri infanti alla autorit ed alla direzione della madre sua. Stupenda meraviglia! Colui che dirige gli Angeli, soggetto alla direzione della Vergine! Colui dal quale dipendono gli Angeli, vuole nelle sue azioni dipendere dalla Vergine, assoggettandosi alla sua autorit! E questa soggezione per la quale Ges obbedisce a Maria, la eleva a questa grandezza di aver la direzione del Figlio di Dio e in pari tempo anche la nostra direzione, talmente che Ges ci dirige e ci conduce anche per mezzo dalla propria soggezione alla direzione della sua Santa Madre (88). Come Ges potente nella sua impotenza, cos dirige le anime nel sottoporsi alla direzione di una sua creatura. *** La quarta umiliazione l'inutilit. Ges durante la sua infanzia non fa nulla di straordinario, nessun miracolo, nessun'azione grandiosa, quantunque sia venuto su la terra per fare cose oltremodo grandi, degne ed eccellenti; in quel tempo pare non vi pensi, non facendo nulla, a nostra conoscenza, che corrisponda ad un tal fine. In tal modo possiamo proprio dire del secondo Adamo in un senso vero, ci che Dio per derisione disse del primo: Ecco Adamo diventato come uno di noi (Gen., III, 22), poich non compare in nulla maggiore di un infante ordinario. Tali le umiliazioni di Ges Infante! Ci invitano ad umiliarci ancor noi, sino alle cose pi basse, a renderci dipendenti da tutti, ad assoggettarci a qualunque persona, e soprattutto a sottometterci alle regole ed alle condizioni della sua grazia, in onore della sua volontaria soggezione alle qualit della nostra natura persino nell'infanzia. IX Nella festa dell' Epifania Regalit d Ges Cristo - per la sua divinit - per la sua qualit di Redentore - per i suoi meriti. - Omaggi che dobbiamo rendergli. - Adorare Ges, unirci ai magi. Uniformandoci alle intenzioni della Chiesa, dobbiamo durante questa ottava, adorare Nostro Signore nella sua qualit di Re, poich viene riconosciuto come tale dai re medesimi. Tre cose gli conferiscono questa sovranit e dignit.

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1 - La sua umanit, essendo congiunta con la divinit, partecipa ai diritti di questa, quindi merita di essere adorata da tutte le creature, le quali le sono soggette per il diritto di creazione. 2 - La sua qualit di Redentore ci assoggetta totalmente a Lui e, in pi della creazione, gli d potere assoluto sopra gli uomini; n dobbiamo dimenticare queste parole di san Paolo: Non appartenete a voi stessi, poich siete stati comprati a caro prezzo (I Cor., VI, 19, 20). Talmente che per il merito del suo prezioso sangue, noi siamo in modo assoluto la sua propriet, e dobbiamo accettare volentieri questa soggezione, non facendo mai nessun'azione se non in qualit di schiavi di Ges, redenti dalla sua passione e morte. 3 - Le sue opere gli dnno un nuovo titolo di sovranit e di potere sopra di noi, poich con quelle ci ha conquistati; epper l'Eterno Padre ci ha dati a Lui in propriet come premio. Non v'era infatti nessuna azione del Figlio di Dio, neppure tra le pi naturali della sua infanzia, neppure un batter d'occhio n un palpito del cuore, che non meritasse il Regno dei cieli, il quale contiene tutte le cose create. Che se per le nostre azioni quando siano fatte in istato di grazia e con le condizioni del merito, Egli ci dona se stesso con la gloria e la felicit eterna, quanto pi le sue opere dovettero meritare di aver come premio le sue creature? *** Considerandolo ed adorandolo come nostro re, noi gli siamo debitori di tre cose che i re ricevono dai loro sudditi: L'omaggio, il quale contiene due cose: riconoscere che tutto quanto abbiamo ci viene da Lui, e obbligarci a tutto riferire a Lui, protestando di non voler usare di nulla se non per il suo servizio; ma poich la nostra fragilit non ci consente di obbligarci a tanto per voto o giuramento, abbiamo il dovere di fargli almeno professione di fedelt, la quale consiste in una ferma volont di conservarci sempre verso di Lui in uno stato di fedelt e di docilit, facendogliene la promessa con tutto il nostro potere. Ai re si dnno le chiavi delle citt; in conformit con un tal dovere, daremo a Ges un potere assoluto sul nostro cuore, non volendo ormai che vi entri nessun pensiero senza il suo permesso, senza il salvacondotto della sua grazia e del suo spirito. In questo mistero sono da considerarsi due sorte di conoscenza quella conoscenza e manifestazione che Dio d di s al mondo, e quella che gli uomini devono avere di Dio. La prima, va venerata, l'altra va ricercata; la prima, dobbiamo adorarla nella persona di Ges Infante che si manifesta ai magi; l'altra, dobbiamo desiderarla, unendoci ai magi, e dedicando tutte le facolt dell'anima nostra a conoscere Ges per adorarlo. X Su la medesima festa dell' Epifania Ges infante inizia la conversione dei gentili; eppure in uno stato d'impotenza, di dipendenza Dio Maria e da Giuseppe, e di indigenza; fa risentire anche ai magi le sue privazioni. - Conseguenze pratiche per noi.

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E' cosa ammirabile che Dio abbia operato la conversione dei gentili per mezzo dell'impotenza e dell'umiliazione, ed questo un effetto della sua Onnipotenza. Al mistero della santa Infanzia, infatti, siamo particolarmente debitori della nostra conversione, poich i magi furono rappresentanti a delegati della gentilit. Perci adorarono Ges infante anche per noi; in nome nostro contrattarono alleanza con Lui sebbene fosse in uno stato di privazione e non lasciasse comparire in nulla la sua grandezza e maest. Vi sono tre punti da onorare in questo stato di privazione del Figlio di Dio: l Egli impotente, non potendo muoversi, Lui che la virt eterna per la quale Dio ha creato il mondo. 2 sottoposto all'autorit ed alla direzione della Madre sua e di san Giuseppe, Lui che la sapienza eterna per la quale tutte le cose sono dirette e governate. - 3 E' indigente ed ha bisogno di un po' di latte per nutrirsi, Lui che la pienezza di tutte le creature (89). Orbene, Ges predilige queste sue privazioni con tanto amore che ne fa subire gli effetti anche ai re magi; avevano fatto un viaggio cos lungo, avevano lasciato con tanta generosit le loro terre ed il loro regno, perci meritavano bene, ci sembra, che Ges, sospendendo la sua impotenza, rivolgesse loro almeno qualche parola di conforto. Tuttavia Ges non lo fa, e li lascia ai suoi piedi senza far capire in nessun modo che gradisca le loro adorazioni. Questo sia di conforto per l'anima che non riceve nessuna consolazione nell'orazione quantunque faccia con vera fedelt tutto quanto pu; onori con questa privazione quella di cui Ges infante ci d l'esempio e quella che fa subire a questi santi re. I misteri di Nostro Signore sona sorgente per noi di quelle cose medesime di cui sono la privazione; cos la sua morte sorgente di vita; parimenti la sua impotenza per noi una sorgente di virt e di forza per operare; la sua dipendenza deve essere la nostra direzione; la sua indigenza per noi pienezza ed abbondanza di grazie, e nelle sue privazioni dobbiamo appunto cercare queste grazie, desiderando di essere partecipi persino della sua impotenza, della sua dipendenza e della sua indigenza (90). Il Figlio di Dio rimane umiliato persino nella sua manifestazione gloriosa, poich, Lui che Dio, ridotto in tale stato che si deve domandare dove , ed ha bisogno delle sue creature per farsi conoscere. Dobbiamo desiderare di aver parte nel mistero della santa Epifania e chiedere questa grazia a Nostro Signore per tre motivi: 1 per questo mistero Egli incomincia a darsi a noi; 2 per questo mistero d principio alla nostra conversione; 3 il mistero cui la santa Vergine partecipa di pi. XI Nella festa della Purificazione della santa Vergine Sublimit di questo mistero nel quale, con la B. Vergine, intervengano le tre persone divine. - Umilt della Vergine e nostri doveri verso di Lei. - Intenzioni di Ges Cristo: si offre per soddisfare la divina giustizia, per essere consumata in Dio per essere consumata in noi. - Conseguenze pratiche per noi. Il mistero che la Chiesa ci propone nella Purificazione della Santa Vergine contiene tante meraviglie ed eccellenze che dovremmo inabissarci nella sua contemplazione piuttostoch tentare di parlarne. Infatti, non comprende soltanto il Figlio di Dio e la sua santa Madre, ma anche tutte tre le divine persone: l'Eterno Padre vi ha parte in quanto accoglie il Figlio e la Madre che si offrono a Lui; il Figlio in quanto si offre e si sacrifica al Padre suo, e lo 56

Spirito Santo come Colui che conduce al tempio il Figlio e la Madre e come il fuoco che consuma il sacrificio che Ges fa di se medesimo al Padre. La santa Vergine vi ha parte, ella pure, come associata a tutti i misteri del Figlio suo. Ma professando pure una venerazione generale per tutti questi punti, ci limiteremo a trattare dell'umilt della Vergine nella sua Purificazione e delle intenzioni per le quali il Figlio di Dio si offr all'Eterno Padre. *** La prima cosa che propongo alla vostra meditazione, l'umilt e l'annichilamento della Vergine, disposizione che non dobbiamo considerare in lei come una semplice virt per la quale si umilia nella verit del suo nulla al cospetto di Dio e nelle disposizioni convenienti davanti a Lui; dobbiamo contemplare invece una tale umiliazione nella Vergine come un'operazione dell'Onnipotenza di Dio su l'anima santa di Lei e come una partecipazione della condotta dell'Eterno Padre sul Figlio suo Ges Cristo nostro Signore. L'Eterno Padre volle che la Vergine nell'anima sua fosse partecipe del modo in cui Egli trattava il Figlio suo; ci si vede in tutti i misteri e in tutte le feste che vengono celebrate dalla Chiesa, ma in modo singolare in questo mistero della Purificazione, in cui la Vergine viene spogliata della gloria a Lei dovuta in qualit di Madre di Dio, e abbassata nell'umiliazione propria della creatura peccatrice. Una tale umiliazione della Vergine non va chiamata soltanto abbassamento e umilt, ma piuttosto annientamento, poich un abbassamento conforme a quello del Figlio di Dio, del quale dice san Paolo che Annichil se stesso, Exinanivit (Philip., II, 7). Avendo noi riconosciuta la via di Dio su la Vergine, dobbiamo adempiere i nostri doveri, e il primo quello di adorare la condotta di Dio su l'anima santa di Lei e la sua azione che invece di esaltarla e glorificarla, la umilia e per cos dire l'annienta, Dobbiamo poi dimostrare alla santa Vergine una grande e profonda venerazione per questa via che Dio tiene sopra di Lei e deve essere questo uno degli oggetti dei nostri pensieri e della nostra devozione in questa festa. Dobbiamo pure in questa solennit domandare molte grazie a Maria, secondo le intenzioni del Figlio suo tanto per le anime in particolare, come per tutta la Chiesa in generale; perch questa una delle feste in cui la Vergine pi generosa e pi facile a comunicarci le sue benedizioni, essendo come spogliata dei suoi diritti per arricchire noi, a guisa di una buona madre che preferisce essere povera piuttosto che vedere i suoi figli nella necessit. *** Passiamo ora alle intenzioni del Figlio di Dio. La prima intenzione di Ges Cristo nell'offrirsi al Padre suo, fu di soddisfare alla divina giustizia per il peccato dell'uomo e di sottoporsi a tutto il rigore con cui questa giustizia infinita lo doveva colpire Lui solo, infatti, era capace di sopportare il furore e l'ira di Dio corrucciato contro la terra. Orbene, dobbiamo investirci noi pure dello zelo da cui Egli era animato perch la giustizia di Dio fosse soddisfatta e pagata per tutti i peccati commessi contro la divina maest, anche per i peccati pi segreti. Perci dobbiamo offrirci noi stessi a Dio e rifugiarci in Ges Cristo onde subire tutta la pena e tutto il rigore di cui Dio vorr gravarci per soddisfare alla sua giustizia, perch siamo debitori verso questa divina perfezione come verso tutte le altre, tutto in Dio essendo egualmente infinito. Il Figlio di Dio si offr al Padre suo onde subire gli effetti della sua divina giustizia nella sua passione e morte e tutto abbracci per la gloria di Dio e la soddisfazione perfetta della giustizia di Dio; non siamo capaci, da noi medesimi, di pagare a Dio la pena dovuta 57

neppure per un pensiero inutile, neppure per uno solo; perci il Figlio di Dio prese sopra di s i nostri debiti e li pag all'Eterno Padre, soddisfacendolo in tutto e per tutto. *** La seconda intenzione di Ges Cristo fu quella di essere consumato in Dio. Per intendere questa, bisogna dare uno sguardo ai sacrifizi dell'antica Legge, i quali venivano offerti a Dio con la perdita del loro essere che restava distrutto; cos avveniva per gli olocausti i quali erano offerti a Dio in onore e riconoscimento della sua dignit infinita, e venivano perci bruciati e consumati interamente nel fuoco dimodoch, in attestato della grandezza di Dio, non ne avanzava nulla. Queste vittime tutte consumate, non erano altro che la figura di Ges Cristo, e onoravano Dio unicamente perch rappresentavano il grande ed adorabile sacrificio che Ges Cristo avrebbe fatto di se medesimo e di tutte le cose al Padre suo. Quantunque tutti i sacrifici fossero la figura di Ges Cristo, tuttavia gli olocausti lo erano in modo tanto pi perfetto che meglio rappresentavano la sua consumazione in Dio, perch Egli si offr la Dio come un intero e perfetto olocausto, di cui non avanz nulla che non fosse consumato nella fornace ardente della divinit. Orbene, dobbiamo noi pure, offrirci e darci a Dio con questa intenzione di Ges Cristo, affinch Egli ci consumi interamente in se stesso e col proposito di perderci tutto ci che siamo, singolarmente tutto ci che avanza dell'uomo vecchio in noi, in onore di Dio, della sua grandezza e della sua santit, come Ges Cristo perdette in Dio la personalit e le qualit umane. Non sarebbe stato ragionevole che il Figlio della Vergine, essendo stato sacrificato a Dio, fosse stato consumato da altro fuoco che da Dio medesimo; solo dalla divinit doveva essere consumato; cos pure Dio medesimo deve essere il fuoco che consumi in s e per l'azione sua, tutto ci che siamo, la nostra vita, le nostre qualit, il nostro spirito e tutto quanto ne dipende. *** Ges Cristo infine si offr al Padre suo con l'intenzione di essere non solo consumato in Dio, ma pure consumato in noi, vale a dire onde essere in noi, tutto, come un altro noi medesimi: per tenere in noi tutto il posto che vi occupiamo noi medesimi; per perfezionare in noi e condurvi a compimento la sua grazia, il suo spirito e i suoi misteri; per appropriarsi le qualit della creatura e in pari tempo trasformarle e consumarle nelle sue qualit e propriet divine. In tal modo Ges Cristo non soltanto consumato in Dio come nostro Capo, ma lo pure nei suoi membri nei quali si stabilisce per essere di nuovo consumato, essendolo gi nella propria persona. E' questo il fine al quale dobbiamo tendere insieme con Lui; dobbiamo cedergli di buon cuore tutto ci che siamo, affinch Egli possa effettuare il suo disegno di essere in noi tutto, al posto di noi stessi; e la nostra intenzione deve essere quella di ricevere tutte le sue operazioni che consumino in noi non soltanto i vizi e le imperfezioni, ma pure le grazie ed i favori che da Dio riceviamo; dobbiamo lasciare che il Figlio di Dio operi in noi il distacco non solo dai nostri difetti, ma anche dai favori soprannaturali, affinch Lui solo viva e regni in noi, ed occupi il posto che noi teniamo in noi medesimi (91); dimodoch in una parola, Ges sia tutto in ogni cosa , secondo queste parole di san Paolo: Omnia in omnibus. (I Cor XV, 28).

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XII Sul medesimo argomento Quando Ges si umilia, il Padre suo lo esalta, in questo mistero lo glorifica per mezzo di san Simeone. - Onorare in questo santo vegliardo: il suo desiderio di veder Ges; la grazia di averlo trovato; la luce che gli venne comunicata; tre cose che dobbiamo imitare e tre grazie che dobbiamo domandare.

Nostro Signore Ges Cristo col rivestirsi della nostra natura, non solamente volle abbassarsi nello stata d'impotenza e di debolezza dell'Infanzia ed in quella condizione di schiavo che naturale all'uomo, secondo queste parole di san Paolo: Exinanivit semetipsum formam servi accipiens. Annichil se stesso prendendo la forma di schiavo (Philipp.,.II, 7); ma di pi fin dalla sua santa infanzia volle essere trattato come uno schiavo, col subire l'umiliazione di essere riscattato nel tempio e per giunta a vil prezzo. Ma siccome in tutte le occasioni in cui Ges Cristo si abbassa, lo vediamo sempre manifestato e glorificato, cos in questo mistero lo vediamo annunciato ed esaltato da san Simeone. Dio cos permise, tanto per animarci a seguire l'esempio di questo Santo, come per onorare l'umiliazione del Figlio suo. Orbene, tre cose dobbiamo onorare in questo santo vecchio: l il gran desiderio con cui sospirava di veder Ges Cristo, desiderio che, ci sembra, fosse quello che lo tratteneva in questa vita, poich appena vide il Salvatore esclam: Nunc dimittis; 2 la grazia ed il favore di avere trovato Ges; 3 la luce interiore che gli venne comunicata, per la quale in questo annichilamento riconobbe la grandezza e la maest del Messia, luce di grazia oltremodo pi elevata di quella della natura e della fede. Dobbiamo imitare questo santo vegliardo nel suo desiderio di vedere il Figlio di Dio, n dobbiamo stare su la terra se non per questo, perch certo che se non lo troviamo in questo mondo, non lo troveremo punto nella gloria. Dobbiamo inoltre chiedere a Dio quella luce di grazia che Egli diede a san Simeone per conoscere Ges, ed anche il desiderio di cercarlo, perch da noi stessi, senza la grazia, non possiamo n cercarlo n trovarlo, tanto meno conoscerlo e riceverlo. Rivolgiamoci pure alla santa Vergine, perch avendolo dato in braccio a san Simeone, pu darlo anche a noi se ci presentiamo a Lei. XIII Dignit del sacrificio della santa Umanit di Ges Cristo (92) L'altare in cui viene sacrificato l'umanit di Ges il Verbo, il tempio il seno del Padre, il fuoco che lo consuma lo Spirito Santo. - Altezza dell'oblazione di Ges Cristo: infinita; profondit: abbassamento di Ges nel caricarsi dei peccati del mondo; lunghezza: in ispirito di eternit, senza limiti per quanto di Ges; larghezza: ad omnes e per tutti i peccati. - Atti pratici. 59

La santa Umanit di Ges Cristo, per l'unione ipostatica sussiste nel Verbo divino, perci il Verbo l'altare sul quale viene sacrificata e offerta per noi. Il tempio dove si compie questo sacrificio il seno dell'Eterno Padre, perch in quello risiede il Verbo: Unigenitus qui est in sinu Patris (Joan., I, 18). Il Verbo, per prendere la natura umana non ha abbandonato il seno del Padre. Il fuoco che consuma questo sacrificio lo Spirito Santo, perch Ges Cristo viene sacrificato nel fuoco dell'amore di Dio onde offrire alla maest del Padre la dovuta riparazione per l'offesa del peccato. Adorate l'Eterno Padre come principio e fine del sacrificio di Ges Cristo: come principio, essendo Padre della vittima; come fine, poich a Lui viene offerta. Adorate l'alleanza e la relazione della Umanit di Ges Cristo con la santissima Trinit: col Verbo divino Ella congiunta nell'unit della persona divina; Col Padre ha relazione di filiazione; con lo Spirito Santo ha relazione di principio, perch il Figlio principio dello Spirito Santo. San Paolo (Ephes., III, 18) domanda che gli sia dato di conoscere l'altezza, la profondit, la lunghezza e la larghezza della carit di Ges Cristo; io domander a Dio che ci faccia conoscere l'altezza, la profondit, la lunghezza e la larghezza dell'oblazione del Figlio suo; sono quattro cose che vi propongo da considerare e da adorare. *** L'altezza dell'oblazione di Ges Cristo infinita, poich Colui che si offre Dio. In essa non vi nulla di basso n di terreno, tanto nei motivi e nelle intenzioni come nel fine; tutto vi celeste e divino. Non dobbiamo cercarne le cause ed i motivi nella bassezza dell'uomo: l'uomo non ha nulla di amabile. Qui tutto proviene dalla bont di Dio, il quale ama le cose quantunque non siano amabili in se medesime (93), e nell'amarle le rende degne di amore e le trae dal nulla. Tra l'amore di Dio e il nostro v' questa differenza, che Dio ama per pienezza di bont e noi per indigenza. Noi cerchiamo sempre qualche compiacenza o utilit nell'oggetto cui ci affezioniamo; Dio invece ama per comunicare la sua bont. Le intenzioni di Ges Cristo nella sua oblazione non sono gi precisamente di salvar l'uomo; comprendono, vero, la Redenzione; ma lo scopo principale dell'oblazione di Ges di rendere alla maest di Dio il dovuto onore e di soddisfare alla sua giustizia. Cos l'ultimo suo fine la gloria del Padre suo; Ges non considera che il Padre, non fa nessuna azione, neppure un passo nella sua vita, n ci comunica la minima grazia, se non per Lui (94). Cos pure dell'amore che dobbiamo portare al prossimo; quanto pi questo amore sar perfetto, tanto pi il prossimo scomparir nel nostro pensiero; tanto pi lo ameremo quanto meno considereremo i suoi propri interessi, perch allora non lo ameremo che per Dio e in Dio, n in alcun modo ci fermeremo in lui stesso. *** La profondit dell'oblazione di Ges Cristo sta in questo, che Egli si sottopose al peso di tutte le brutture dei peccati degli uomini, umiliazione ed abbassamento di una profondit infinita; e non solo ne porta il peso, ma, come dice san Paolo: Factus est peccatum (95). *** 60

La lunghezza della sua oblazione infinita, perch non solo si offre per tutto il tempo di sua vita, ma l'anima sua disposta ad offrirsi per tutta l'eternit, a soffrire e stare nella sua infanzia e nelle sue privazioni per tutta l'eternit; non Lui che mette un termine ai suoi travagli, poich si offre per soffrire eternamente. Dio, al quale devesi prestare soddisfazione eternit, perci richiede una soddisfazione eterna; l'anima di Ges dunque in uno stato, in una disposizione che corrisponde all'eternit di Dio. E le anime buone debbono investirsi di una simile disposizione rispetto ai patimenti ed alle privazioni, poich se Dio volesse che i patimenti e le privazioni fossero eterne, non avremmo nessun diritto di desiderare il contrario (96). *** La larghezza dell'oblazione di Ges pure infinita, perch si estende ad omnes, a tutti; Ges si offre universalmente per tutti gli uomini, per i giusti e per i reprobi, per i peccati degli uomini e per altrettanti peccati quanti se ne potrebbero commettere e quanti ne potrebbe inventare la malizia del demonio, e per altrettante creature quante Dio ne potrebbe ideare. In relazione a quanto abbiamo detto sopra, dobbiamo formare tre atti principali: il primo di adorazione a Ges Cristo nella sua oblazione; il secondo di supplicazione perch si degni di rendere le anime fedeli che si trovano nella sua Chiesa partecipi degli effetti della sua oblazione; il terzo sar un atto di donazione di noi stessi a Lui perch comprenda anche noi nella sua oblazione e ci offra al Padre suo. XIV La vita nascosta del Figlio di Dio (97) Ci che non conosciamo in Ges Cristo molto pi divino ed adorabile di ci che conosciamo. Adorare l'Eterno Padre e rivolgerci allo Spirito Santo. Prerogative della vita nascosta in Ges: uno stato perpetuo; la porzione di Dio, a Lui tutto riservata; il riposo di Dio; l'oracolo in cui Ges vede la volont del Padre e trova la regola del suo operare; comprende tutta la sua vita, la quale piena di misteri a noi sconosciuti. Abbiamo un gran dovere di onorare tutti quei misteri del Figlio di Dio che dalla Chiesa vengono preposti alla nostra divozione; ma siamo pure in obbligo di adorare anche quelli che non conosciamo. Siccome poi quei misteri di Ges che sono nascosti e segreti, sono molto pi divini ed adorabili, noi dobbiamo pure regolare la nostra divozione secondo la loro grandezza. Non trovo tempo che sia pi adatto per onorare la vita nascosta del Figlio di Dio, se non quello che va dalla Purificazione sino alla Quaresima; mi sembra, infatti, che la Chiesa allora ci presenti Ges in uno stato sconosciuto, poich non ci parla in nessun modo di ci che fece in Egitto e a Nazaret, n di ci che ne fu di Lui dopo la sua oblazione al Tempio. Dovendo trattare di questo santo mistero, occorre che ci rivolgiamo all'Eterno Padre affinch si degni essere la nostra guida in questa divozione. Dobbiamo adorarla mentre d alla terra il Piglio suo, ma tuttavia si riserva per se medesimo in Lui qualche cosa a cui il mondo non ha parte. Dobbiamo adorarlo ancora mentre conosce, ama e onora in Ges Cristo una tal vita nascosta agli uomini e persino agli angeli, e renderei partecipi di questi omaggi del Padre verso il Figlio suo, se pure lecito un tal linguaggio. Dobbiamo inoltre rivolgerci allo Spirito Santo il quale essendo un medesimo Dio col Padre, conosce tutto quanto riguarda Ges Cristo ed i suoi misteri. Dobbiamo infine rivolgerci anche alla santa Vergine la quale, bench non avesse la comprensione perfetta 61

di questo mistero, sapeva tuttavia che nel Figlio suo vi era una vita segreta e nascosta e le rendeva grandi omaggi. Orbene, questo mistero di Ges Cristo ha le sue particolari prerogative, come per altro tutti gli altri misteri. *** La prima prerogativa questa, che questo stato perpetuo in Ges Cristo. Gli altri misteri del Figlio di Dio come, per esempio, la sua infanzia, durarono soltanto per qualche tempo, poich Ges stato infante e non lo pi; ma la vita nascosta, in Ges, sempre vi e sempre vi sar; e il Figlio di Dio sempre continuer a vivere in una sorta di vita nascosta e sconosciuta alla terra ed anche agli Angeli del cielo. Gli Angeli, infatti, conoscono questa vita per mezzo del lume della gloria; tuttavia non la vedono in tutta la sua estensione, ma la conoscono senza comprenderla interamnte, perch solo Iddio la conosce nella sua sublimit, eminenza e dignit; dimodoch neppure nello stato della gloria ne avremo la comprensione perfetta. Perci adunque vedete quanto sia perpetuo in Ges Cristo questo stato, poich persino per tutta l'eternit vi saranno in Lui dei segreti che non saranno manifesti se non a Dio solo, e che neppure il lume della gloria potr raggiungere. *** La seconda prerogativa questa, che una tal vita la porzione di Dio, ossia la parte riservata in Ges a Dio solo. E' un mistero di cui il godimento riservato tutto a Dio. Gli altri misteri del Figlio di Dio che vennero compiuti su la terra, furono per gli uomini i quali vi ebbero una parte importante, come la sua Incarnazione e la sua Nativit, poich s'incarn per gli uomini e per loro nacque su la terra. Ma questa sorta di vita nascosta in cui Ges Cristo sempre vive, non che per Dio solo; la parte di Dio la sua propriet e la sua eredit. Dio, quando cre il mondo, diede all'uomo tutto quanto vi era nel paradiso terrestre; tuttavia riserv per s l'albero della scienza del bene e del male e proib ai nostri progenitori di toccarvi. Cos nel dare il Figlio Suo al mondo, si riserv per s solo questa sorta di vita nascosta nell'anima santa di Ges e nella sua umanit; le creature non vi avranno mai nessuna parte, perch tutta per Dio. *** Terza prerogativa del mistero della vita nascosta di Ges: essa il riposo di Dio. In nessun altro mistero il Padre ha preso il suo riposo in Ges Cristo come in questo che tutto suo; perch la vita nascosta di Ges Cristo come il santuario dove riposano il Padre e lo Spirito Santo, dimodoch il Padre compreso in questo mistero in quanto ne gode e vi riposa, il Figlio vi pure compreso in quanto lo opera e lo compie, e lo Spirito Santo come nel suo santuario. Dimodoch dobbiamo considerare questa mistero sotto questo aspetto e rendergli i nostri omaggi in questa maniera. E' dunque questa la terza prerogativa di questa mistero, vale a dire che Dio Padre e il suo Spirito in quello riposano e godono le loro migliori delizie. *** Ma voglio aggiungerne una quarta ed questa, che il Figlio di Dio in quella vita cos segreta e sconosciuta agli uomini conosce gli ordini di suo Padre. Nel Vangelo, parlando delle sue opere, dice che non pu far nulla se non lo vede fatto dal Padre suo (Joan., VIII, 29); e in altro luogo dice ancora che nessuno conosce il Padre fuorch il Figlio e nessuno conosce il Figlio fuorch il Padre (Matt., XI, 27). 62

Ne consegue che questa scienza Ges la impara nella sua vita nascosta, poich non che per Lui solo; l i disegni e le volont di Dio gli vengono manifestati, perch fissando la sguardo nel Padre suo, lo guarda in una maniera nascosta e sconosciuta a qualsiasi creatura, la conosce per intero e fa tutto ci che lo vede operare. Nell'Antico Testamento, Dio, quando voleva rivelare agli uomini la sua volont, si manifestava e faceva udire la sua voce in quella parte del tempio dove era il propiziatorio; l era l'oracolo in cui Dio esprimeva le sue volont. Orbene, con maggior ragione possiamo dire che la vita nascosta di Ges Cristo era il vero oracolo dove Egli veniva a conoscenza della volont, dei disegni e delle intenzioni del Padre. E da queste prerogative ne consegue una quinta, cio che Ges in quella sua vita nascosta trovava la regola e la direzione per tutte le opere che compiva su la terra. *** Dobbiamo infine notare anche questo, che la vita nascosta di Ges Cristo non un mistero particolare, ma un mistero in certo qual modo universale che comprende tutti gli altri misteri e tutte le opere di Ges. Infatti, tutto quanto vi in Ges Cristo nascosto; anche i suoi misteri che ci sono pi manifesti, comprendono ancora una infinit di cose che rimangano nascoste allo spirito umano ed angelico. Ges nato su la terra, ecco un mistero conosciuto per la fede, ma comprende in s molte cose che non sono conosciute che da Dio. Parimenti il Figlio di Dio parlava su la terra e il popolo udiva le sue parole; ma vi erano in quelle una infinit di sensi che da Dio solo erano conosciuti e che non erano intesi n dagli uomini, n dagli angeli. Insomma, tutto ci che Ges ha fatto, tutti i suoi mistri, le sue parole, le sue azioni, tutto fa parte della sua vita nascosta; in Lui tutto nascosto e sconosciuto, ci che ci fa un dovere di onorarlo col massimo zelo secondo l'eccellenza che si comprende in un tal mistero. Orbene, siccome questo mistero differente dagli altri, dobbiamo pure onorarlo in una maniera differente; essendo al disopra dello spirito creato, va pure adorato ed onorato per soggezione ed annientamento di spirito. E' uno stato nascosto in Ges e aperto solo a Dio, perci non dobbiamo desiderare di averne conoscenza n di avervi parte, ma per adorarlo dobbiamo rifugiarci nella verit di Dio. Questa vita nascosta di Ges ci che Dio apprezza e considera di pi nel Figlio suo, perch la riguarda immediatamente ed tutta per Lui e riservata a Lui solo. Non abbiamo nessun diritto di onorare un mistero cos sublime se non ci spogliamo del nostro spirito e delle nostre disposizioni per investirci. dello spirito di Dio e delle disposizioni dell'Eterno Padre rispetto a questo stato di Ges, ci che dobbiamo fare con gran cura. In quella guisa che siamo obbligati ad amar Dio pi di noi stessi, cos siamo obbligati ad essere contenti che una cosa appartenga a Lui pi che se appartenesse a noi; orbene questo mistero essendo tutto suo senza che noi vi abbiamo parte, tanto pi siamo in obbligo di rendergli omaggio quanto pi tutto proprio di Dio; dobbiamo infatti essere a Dio pi che a noi medesimi, e a ci che a Lui appartiene pi che a ci che nostro. Soprattutto dobbiamo aver cura e stare attenti che il nostro spirito sia annientato davanti a queste cose senza aver la pretesa di comprenderle. Anche nella gloria non comprenderemo umanamente le cose di Dio; ed questo un punto da notarsi bene; la maggior parte, infatti, di coloro che discorrono del godimento di Dio nella gloria credono che esso avverr quando Dio aprir il nostro spirito perch possa vederlo Lui e le sue meraviglie; ma tutt'al contrario, allora invece Dio chiuder il nostro spirito, trasformandolo 63

e consumandolo nel suo, dimodoch vedremo una medesima cosa con Dio, perch il nostro spirito proprio sar annientato, perduto ed inabissato in quello di Dio, il quale ci sar dato tutto. In una parola si entra nella gloria col perdere tutto l'essere umano onde essere rigenerati nell'essere divino. XV Per la Domenica di Quinquagesima Perch Dio tollera che sempre vi siano al mondo anche i cattivi. - Atti pratici. Sembra che non vi sia tempo propizio per considerare ci che il mondo rispetto a Dio, come questi tre giorni in cui il mondo con le sue dissolutezze sembra voler tutto attribuire a se stesso. Ora per il mondo intendo non gi il cielo e la terra, ma la societ dei cattivi di cui il capo il demonio, quel mondo di cui parla Nostro Signore quando dice: Non pro mundo rogo - Non prego pel mondo. (Ioann., XVII, 9). Questa societ ci sar sempre sino al giorno del giudizio, e sempre perseguiter l'altra societ, quella dei buoni di cui il Capo Ges Cristo; e Ges Cristo lascia fare per la sua maggior gloria e per il compimento della perfezione dei suoi servi. Queste due societ sempre vi furono su la terra, ebbero principio con Caino ed Abele e furono sempre frammischiate assieme. Ges Cristo tollera dunque la societ dei cattivi, la sopporta con pazienza, e dice che non prega per il mondo. Perci non possiamo domandare a Dio che distrugga completamente questa societ, ma piuttosto che fiacchi l'impero del demonio e ne liberi molte anime per tirarle a s. Adoriamo la santa Trinit mentre, nella sua provvidenza, sopporta e tollera la societ dei cattivi e si serve delle loro persecuzioni per la perfezione dei suoi eletti. Preghiamola perch strappi molte anime d mondo; perch rovini e renda vani i disegni di Satana, n permetta ai cattivi di perseguitare i buoni, se non quanto sia conveniente per la sua gloria e per il vantaggio dei suoi. Adoriamo Ges Cristo come nemico del mondo, come crocifisso dal mondo, e come Colui che va rovinando la societ dei mondani. Da ultimo onoriamo la santa Vergine ed i Santi, domandando loro la forza per combattere il mondo e la grazia per fare un buon uso delle sue persecuzioni. XVI Per il giorno delle Ceneri Il Battesimo di Ges. - Atto di adorazione al Padre, a Ges Cristo, allo Spirito Santo. Questi quattro giorni in cui la Chiesa si dispone ad onorare i quaranta giorni in cui il Figlio di Dio stette ritirato nel deserto, vanno per dovere dedicati alla preparazione con cui Nostro Signore si dispose ad entrare nel deserto; orbene, Ges Cristo si dispose alla penitenza ed al ritiro nel deserto, per mezzo del suo battesimo; n vi tempo, nel corso dell'anno che sia pi propizio per onorare questa circostanza. 64

Il battesimo del Figlio di Dio ben differente dal nostro: il nostro un battesimo di santificazione, perch ci purifica dalla macchia del peccato originale; mentre il battesimo di Ges lo carica dei nostri peccati. Come il battesimo ci riveste di Ges e della sua santificazione, cos il battesimo di Ges lo riveste delle nostre miserie e lo copre delle nostre iniquit. Adoriamo Dio Padre che ci dona il Figlio suo e per questo battesimo gli impone il carico dei peccati di tutti gli uomini. Doniamoci a Lui, perch siamo suoi e gli apparteniamo poich ci dona il Figlio suo e ci libera dal peso dei nostri peccati. Adoriamo Ges che accetta i peccati degli uomini, e doniamoci a Lui per portarne il peso con Lui fino a quando gli piacer. Infine, adoriamo lo Spirito Santo che tratta e dirige Ges in conformit con lo stato in cui si ridotto accettando il peso dei nostri peccati; lo Spirito Santo, infatti, da quel momento lo tratta come obbligato alla penitenza e il Vangelo dice che lo caccia nel deserto. Preghiamolo che ci tratti, noi pure, come peccatori e ci faccia abbracciare la penitenza. XVII Il ritiro di Ges Cristo nel deserto Due motivi di solitudine in Ges Cristo: la sua dignit e il carico dei nostri peccati; il rito del capro emissario nell'Antica Legge. Umiliarci per i nostri peccati, non solo secondo la conoscenza che abbiamo della loro deformit, ma con egli occhi della fede, la quale ci rivela che la nostra miseria infinitamente pi grande di ci che possiamo intendere; come peccatori siamo indegni di stare con la gente del mondo. - Entriamo nel deserto con Ges e con i suoi sentimenti. Dobbiamo conformare le nostre divozioni alle intenzioni della Chiesa ed onorare secondo i tempi i diversi stati della vita del Figlio di Dio ch'ella ci propone. In questi giorni ci propone Ges nel suo ritiro nel deserto, dobbiamo dunque adorarlo nella sua solitudine. In Ges vi sono due cause che sembrano obbligarlo alla solitudine. La prima la sua dignit di Figlio di Dio; in tale qualit non dovrebbe convivere con le creature, le quali sono troppo vili ed abiette; non dovrebbe aver nessuna compagnia fuorch quella di se medesimo n altra dimora che il seno del Padre. Questa solitudine sarebbe una solitudine di esaltazione e di dignit. Ma ve n' un'altra per cui Ges si trova ora nel deserto, la quale affatto contraria a quella, ed alla quale pure obbligato in quanto carico dei nostri peccati; in tale qualit costretto dallo Spirito Santo ad evitare la convivenza con gli uomini e a nascondersi come indegno di dimorare con loro, portando cos l'umiliazione dovuta ai nostri peccati; ed questa la causa per la quale Ges va nella solitudine. Questa ritiro del Figlio di Dio era figurato nell'Antica Legge della cerimonia del capro emissario. Il sommo pontefice confessava sulla testa di un capro la iniquit del popolo, vale a dire sopra di quella dichiarava i peccati che si commettevano pi ordinariamente. Questo animale, caricato in tal modo dei peccati del popolo, veniva con maledizioni ed imprecazioni, come indegno di essere sacrificato su l'altare, scacciato dal tempio e condotto nel deserto; da quel momento era sempre abominevole, e chi gli dava da mangiare o lo toccava, restava scomunicato per una giornata fintantoch non avesse lavato le proprie vesti. Questa figura venne adempita nella Persona di Nostro Signore, quando gli Ebrei lo crocifissero fuori della citt, extra castra come dice san Paolo (Hebr. 65

XIII, 13), il quale per l'intelligenza di questo passaggio ci richiama al ricordo di quella cerimonia. Si pu dire inoltre, che Nostro Signore viene dallo Spirito Santo cacciato nel deserto come obbligato all'umiliazione e alla penitenza per i peccati del mondo dei quali il peso gli era stato imposto dal battesimo di san Giovanni. Dobbiamo dunque adorarlo nel deserto dove dimora in istato e in ispirito di profonda umiliazione, come esigevano tutti i nostri peccati. Dobbiamo pure offrirci anche noi per subire l'umiliazione e la confusione che ci dovuta perch siamo peccatori. Orbene questa confusione per i nostri peccati possiamo portarla in due maniere: 1 nel nostro proprio spirito, con l'abbassarci ed umiliarci secondo la conoscenza che abbiamo delle nostre colpe; questa sorta d'umiliazione non molto perfetta, perch non vediamo punto i nostri peccati come sono nella loro realt; 2 noi ci umiliamo per, i nostri peccati al cospetto di Dio, quando con gli occhi della fede consideriamo la nostra miseria, la quale infinitamente pi grande di quanto possiamo intendere; in questo modo dobbiamo umiliarci, tanto come i nostri peccati sono deformi gravi agli occhi di Dio (98). Come peccatori siamo indegni non solo di vivere con gli uomini, ma ancora di essere portati dalla terra, anzi se non fosse per il sangue di Ges Cristo, ogni creatura sarebbe in dovere di dannarci se lo potesse. Rispetto al nostro prossimo, tanto siamo obbligati ad amarlo a motivo del sangue del Figlio di Dio, altrettanto saremmo obbligati ad odiarlo e a, procurarne la dannazione, se non fosse quel medesimo sangue. Dobbiamo dunque anche noi ritirarci nel deserto con Ges Cristo in una profonda; umiliazione per i nostri peccati, riputandoci indegni di vivere con gli altri e disposti ad essere trattati come peccatori, quindi disprezzati ed umiliati. Ges Cristo nel deserto non solo umiliato, ma soffre ed privo di tutto. Il Vangelo dice che esuriit, donde rileviamo che non fu esente dalla pena e dalla fatica del digiuno, e che se la grazia l'esent dalla necessit di prendere cibo, non imped che ne avesse bisogno e che sentisse la molestia della fame. Egli inoltre fu in uno stato di aridit e di privazione, anzi esposto persino alle tentazioni del demonio. Ad imitazione di Ges Cristo dobbiamo per tutta la Quaresima desiderare di essere in istato di pena e di privazione piuttostoch di abbondanza e di consolazione. XVIII Ritiro in onore di quello di Ges nel deserto Quattro circostanze nel ritiro di Ges nel deserto: la sua separazione dal mondo; la sua docilit alle mozioni dello Spirito Santo; i suoi colloqui col Padre; la tentazione del demonio e il trionfo di Ges. l giorno, unirci alle azioni di grazie di Ges per i grandi beni che abbiamo ricevuti dal Dio. 2 giorno, unirci alla penitenza di Ges, considerando gli otto enormi danni che il peccato ci cagiona. 3 giorno, unirci alla compunzione del Cuore di Ges 4 giorno, unirci alle principali disposizioni con cui Ges accetta di essere giudicato su la terra. 66

5 giorno, unirci alla disposizione con cui Ges accetta la sua Passione, e morte, accettando anche noi la nostra morte! 6 giorno, adorare la gloria di Ges nel deserto; proporci di distaccarci dal mondo e di desiderare la gloria eterna. 7 giorno, adorare Ges che nel deserto si prepara all'adempimento della sua missione; onorare e stimare la nostra vocazione, per cinque motivi. 8 giorno, adorare Ges che nel deserto pratica le virt dei tre voti religiosi, e imitarlo. 9 giorno, adorare Ges nella sua vita divina, nel deserto, e proporci di vivere con Lui. 10 giorno, adorare Ges quando esce dal deserto disposto a dar subito principio all'adempimento di tutto ci che il Padre gli ha manifestato in quel ritiro; rinnovare i proponimenti, del principio della nostra conversione. Per un ritiro di alcuni giorni nella Quaresima bisogna prendere come soggetto fondamentale lo stato di solitudine di Nostro Signore Ges Cristo; questo stato, infatti, la viva sorgente di tutte le grazie che Ges Cristo vuole impartire alle anime religiose che entrano in questa santa conformit con Lui mentre era ritirato nella solitudine del deserto, e si sforzano di imitare le occupazioni ed i santi esercizi dell'anima sua, onorando particolarmente, in questi giorni di salute, tutto quanto avveniva in Lui stesso. A questo fine si possono considerare quattro principali circostanze di quel divino ritiro di Ges. La prima la sua separazione, rispetto alla quale dobbiamo notare che Ges si priva volontariamente della compagnia della persone pi amate e in particolare della sua carissima Madre, ci che ci viene indicata da san Marco con queste parole misteriose: Egli stava con le bestie (I, 13). In onore di questa privazione volontaria nel Figlio di Dio, dobbiamo ogni giorno fare il proponimento di separarci e privarci dalle cose di nostra propria soddisfazione, e desiderare di tener compagnia al nostro buon Maestro, il quale non ha sdegnato la compagnia delle bestie per meritarci non solo la compagnia degli angeli, ma pure la fortuna di godere della sua divina presenza, non gi per un po di tempo soltanto, ma per l'eternit: Dove sono io, ivi sar ancora colui che mi serve (Jo., XII, 26). *** La seconda circostanza notevole nella solitudine del Figlio di Dio questa che entra nel deserto e vi passa tutti i giorni sotto la direzione dello Spirito Santo, direzione degna di molta considerazione. Lo Spirito Santo non esercita sopra di Ges una direzione soltanto esteriore che si fermi alle azioni esterne, ma una direzione interiore per la quale dispone santamente tutti i pensieri, le intenzioni, i movimenti e le applicazioni dell'anima di Ges. Inoltre un'azione rigorosa poich san Marco dice che lo Spirito Santo lo cacci nel deserto, expulit (I, 12); e questo ci rivela un gran segreto della condotta del Padre sopra il Figlio suo, insegnandoci che lo tratta come un delinquente criminoso perch carico dei peccati del mondo. Noi pure dobbiamo sottometterci a questa triplice azione dello Spirito Santo: esteriore, affinch ci diriga e governi in tutte le nostre azioni esterne e dia loro l'ornamento della modestia e dell'umilt; interiore, affinch disponga di tutti i movimenti dell'anima nostra e infonda in noi sentimenti degni di essergli presentati. Infine dobbiamo sottometterci alla sua azione rigorosa, poich non solo siamo carichi di peccati, ma tante volte pur troppo, per le nostre frequenti ricadute, ci siamo separati da Dio ed abbiamo meritato la giusta collera della sua divina giustizia. *** La terza cosa che dobbiamo fare di considerare attentamente ci che avviene nel Figlio di Dio cos ritirato nella solitudine e ad imitazione della Santa Vergine conservare nel 67

nostro cuore le segrete meraviglie che avvengono in quel deserto; gli ammirabili colloqui tra il Padre e il Figlio, la fedelt ed ubbidienza del Figlio nell'eseguire con puntualit tutti gli ordini del Padre suo, e l'amore ardente del Padre c del Figlio per la nostra salvezza. Per rispetto e riverenza verso queste divine persone, dobbiamo sforzarci di impiegare questo santo tempo in ogni sorta di esercizi di piet associandoci alla solitudine di Ges, unendo le nostre preghiere, le nostre pene, i nostri pensieri ed i nostri cuori tiepidi e freddi al Cuore divino ed infiammato di Ges ed ai suoi santi esercizi, affinch si compiaccia di supplire col suo fervore alla nostra tiepidezza. Proponiamoci inoltre l'esempio di quella santa amante (Santa Maria Maddalena), la quale ai piedi di Ges che il suo amore, ascolta con grande attenzione la parola di vita che il Verbo divino fa risuonare nell'intimo dell'anima sua; e sforziamoci di risentire e gustare quanto Dio sia soave e dolce per coloro i quali, con un generoso disprezzo delle cose di quaggi, lo cercano in tutta verit. *** La quarta circostanza la lotta e il trionfo del Figlio di Dio, dove notiamo tre cose degne di considerazione. La prima che Egli trattiene la sua divina potenza e lascia alla spirito tentatore la libert di trasportarlo e di tentarlo. La seconda la condotta ammirabile con la quale respinge tutti gli assalti e gli sforzi del nemico. La terza il suo trionfo e la gloriosa vittoria che riporta sul demonio. Approfittiamo per nostro vantaggio di queste tre cose: 1 Non facciamoci meraviglia se siamo assaliti da questo spirito prevaricatore, poich abbiamo in noi molte cose che ci espongono a continue tentazioni; 2 rivestiamoci delle armi con le quali il nostro gran Duce gli ha resistito, ne ha dissipato tutte le insidie e respinto tutti gli assalti; 3 eccitiamo in noi una gran confidenza di riportare la vittoria sul nostro gran nemico, poich Ges l'ha vinto, disarmato, legato e soggiogato con la sua onnipotenza, affinch noi potessimo godere delle spoglie del demonio e per tutta l'eternit essere soci del trionfo del nostro Salvatore.

Primo giorno Il primo giorno sar dedicato e consacrato ad una riconoscenza intima e cordiale per tutti i benefizi che abbiamo ricevuti dalla divina maest, come la creazione, la conservazione, la redenzione e tutti i doni della natura e della grazia. A questo effetto ci assoceremo a tutte le disposizioni interiori di Ges nel deserto verso il Padre suo, ch'Egli ringraziava in nome nostro per tutti i favori generali e particolari che da tutta l'eternit ci vennero destinati con tanta abbondanza. In questa giornata ci umilieremo spesso per aver avuto cos poca riconoscenza per tanti benefizi, per averne usato cos poco ed averli spesso reso inutili. Faremo frequenti propositi di impiegarli meglio, ricordandoci che sono talenti che il Padre di famiglia ci mette nelle mani perch li facciamo fruttificare, che ne domander un conto rigorosissimo, e castigher severamente le negligenze e le ingratitudini di coloro ai quali avr dato con tanta abbondanza e liberalit tutto quanto era loro necessario per la sua gloria e per la loro salvezza. Secondo giorno Questo giorno sar tutto in onore dello stato di penitenza del Figlio di Dio, in cui noteremo varie circostanze degne di considerazione. La prima lo zelo per distruggere il peccato e entrare in tutte le vie di penitenza onde prestare alla giustizia di Dio una piena 68

soddisfazione e togliere completamente il regno del peccato. In secondo luogo questo stato di penitenza di un merito infinito, poich Ges Dio e la sua penitenza tutta divina. Uniamoci dunque a Ges penitente, facciamo per sempre divorzio dal peccato e usiamo a questo fine di questi potenti motivi: l Il peccato ci separa da Dio; 2 ci priva dei suoi doni principali; 3 ci rende suoi nemici senza nessuna speranza di riconciliazione (99); 4 ci rende meritevoli del rigore della sua giustizia; 5 ci toglie la qualit di figli di Dio e ci rende schiavi di Satana; 6 mentre eravamo templi consacrati alla divinit, fa di noi la dimora delle serpi e dei dragoni; 7 oscura, cancella e distrugge quella immagine di Dio impressa in noi e segno della nostra servit verso Dio, e ci segna invece col carattere della bestia, il quale ci separa per sempre da Dio; 8 infine, ci che spaventevole, il peccato dovr sempre tener nel peccatore il posto di Dio; mentre Dio doveva regnare in lui per sempre con le sue misericordie, vi regner, invece, con la sua giustizia, tenendolo come incatenato nei vincoli infiammati e maledetti del peccato. Terzo giorno Questo giorno sar dedicato ad onorare i vari atti di penitenza di Ges nel deserto, come il digiuno, la fame, la sete, le ingiurie dell'aria, il freddo, e via dicendo. Ma rifletteremo principalmente quanto gli atti di contrizione che vi fece fossero meritori ed efficaci al cospetto di Dio Padre che li accoglieva in odore di soavit. A questo effetto, mi sembra che potremo rendere un particolare omaggio a quella espressione che la Spirito Santo pose in bocca a Davide, quando questo profeta, parlando del Figlio di Dio, lo chiam uomo contrito e pieno di cordiale compunzione. Uniamoci dunque al cuore contrito ed umiliato di Ges e preghiamolo che ci Dio la grazia di fare in questa giornata frequenti atti di contrizione; che trafigga la nostra carne con un santo timore : Confige timore tuo carnes meas (Ps. CXVII, 120): che ci imprima nell'intimo dell'anima un vivissimo odio delle nostre colpe passate, ed uno zelo ardente contro noi stessi onde lavoriamo a distruggere in noi tutto ci che non viene da Lui; infine che ripari o conservi in noi ci che Lui stesso vi ha messo. Quarto giorno Sar dedicato a tutte le disposizioni di Ges nel deserto rispetto al giudizio che dovr subire in questo mondo. Ges cos disposto a questo proposito che poco tempo dopo dir queste ammirabili parole che a Lui si riferiscono: Il Figlio dell'uomo non venuto per giudicare il mondo ma per salvarlo (Joan., XII, 7). Ges Cristo considera dunque se stesso davanti a Dio come dovendo un giorno essere giudicato, e accetta questo giudizio con tre intenzioni principali: di obbedienza, di amore, e di perfetto sacrificio di se stesso. Entriamo col Figlio di Dio in questi tre sentimenti in preparazione al nostro giudizio: accettiamo fin d'ora con ubbidienza il giudizio che Dio far di noi e della nostra condotta nel tempo e nell'eternit; eccitiamo in noi il desiderio di amare questo giudizio che sar sempre giusto ed equanime, e accettiamone con amore tutte le condizioni e decisioni. 69

Facciamo a Dio insomma, un assoluto sacrificio di tutti i nostri interessi e per rispetto di questo giudizio che sar decisivo per la nostra eternit, fin d'ora giudichiamoci noi stessi; riconosciamoci davanti a Dio colpevoli e delinquenti, perci accettiamo di essere trattati in tale qualit anche in questo mondo. Ch se saremo stati in tal modo giudicati dagli uomini e ci saremo giudicati nella nostra propria coscienza, eviteremo quel giudizio di condanna che dal giudice supremo verr pronunciato nell'altro mondo contro tutti coloro che non saranno stati giudicati in questo (100). Quinto giorno Sar consacrato alle disposizioni di morte di Ges nel deserto. Durante questo tempo in cui separato dalle persone che gli sono pi familiari, Ges sembra anticipare il tempo e l'ora della sua morte in cui sar abbandonato dai suoi. Fin da ora accetta non solo di essere abbandonato alla morte ed al potere dei suoi nemici; ma pure, ci che degno di essere profondamente meditato, accetta di essere abbandonato dal Padre suo, di subire 1a maledizione dovuta al peccato, e di presentare con la sua morte una perfetta soddisfazione alla giustizia di Dio offeso dalla iniquit del mondo. Procureremo in questo giorno di metterci rispetto alla nostra morte nelle seguenti disposizioni: 1 - di accettare la nostra morte come l'effetto dei nostri peccati; 2 - di accettarla come un mezzo di separarci interamente dalle creature, desiderando di fare volontariamente adesso ci che saremo costretti di fare un giorno per forza senza riguardo n ritardo; 3 - di accettare fin d'ora la morte con tutte quelle circostanze che Dio decider per noi, in onore del Figlio di Dio che non ha punto scelto, Lui stesso, n la sua croce, n la sua morte, ma tutto ha lasciato alla perfetta disposizione del Padre suo; 4 - di rendere omaggio a tutti i desideri e a tutte le oblazioni che la nostra divina vittima fa al Padre suo rispetto alla sua morte, sebbene veda e conosca pienamente quanto sar rigorosa; il divino amore di cui infiammato e lo zelo ardente che lo consuma di distruggere la nostra morte con la sua, e di divenire nella sua morte medesima il principio della nostra vita e della nostra eternit beata, sono cos pressanti che tutti gli istanti sono per Lui una noia ed una vera pena, finch non abbia perfettamente compiuto, con la morte su la Croce, l'opera del Padre suo. Procureremo in questo giorno di fare parecchi atti in anticipazione dell'ora della nostra morte, .come di fede, di speranza, ecc. Adoriamo Ges abbandonato su la Croce e preghiamolo che ci assista; adoriamolo debole e circondato d'infermit, e preghiamolo che ci fortifichi per quel terribile passaggio. Domandiamo fin d'ora a Ges che diffonda nel nostro cuore la grazia della sua morte, per la quale mortifichi in noi l'uomo vecchio e le sue inclinazioni affinch d'ora innanzi siamo uniti con Lui su la Croce, e in tal modo non viviamo pi per noi stessi, ma viva in noi Ges Cristo. Sesto giorno Questa giornata sar in onore dello stato di gloria e della vita gloriosa di Ges nel deserto. Bench un tale stato sia nascosto e che questo divino Sole, velato dalla nube della sua santa umanit, non compaia punto su la terra; tuttavia anche in quel deserto tetro e oscuro Ges sempre lo splendore del Padre, la luce increata, l'immagine del Dio invisibile e la figura della di Lui sostanza; sempre quel sole che illumina la celeste Gerusalemme e che deve con la sua presenza dissipare su la terra tutte le tenebre del peccato; sempre quel volto adorabile che i serafini pi elevati desiderano di contemplare; sempre Colui, 70

insomma, che la sorgente di tutte le grazie e di tutta la gloria del cielo e dell'eterna felicit e perci vuol essere il premio di tutti i suoi eletti. Consideriamo dunque bene, con gli occhi della fede, questa pienezza della grazia in Ges nel deserto, questa gloria nascosta che l'anima sua beata possiede per la unione ipostatica e che ne fa una viva fonte di gloria per tutti i santi. Ammiriamo la gloria di Ges e adoriamolo come fonte di gloria; animiamoci da un profondo disprezzo per tutto ci che ci impedisca di giungere a possederlo; confondiamoci perch siamo cos facilmente impediti e trattenuti dalle cose di quaggi; pensiamo all'eternit, alla felicit e al gaudio dei cittadini della celeste Gerusalemme, affinch lavoriamo senza intermissione allacquisto del bene supremo e non abbiamo altro desiderio fuorch di possedere Dio e di essere da Lui posseduti per tutta l'eternit. Settimo giorno Sar dedicato ad onorare la missione e predestinazione eterna di Ges.Considereremo l'Uomo-Dio che nel deserto si dedica all'opera assegnatagli dal Padre. Onde eseguire perfettamente tutto quanto compreso nella sua missione, Egli dovr manifestare il Padre suo agli uomini ed attirarli alla unit divina con le parole, le opere ed i miracoli; e inoltre dovr chiamare ed eleggere dodici apostoli perch siano come le trombe del suo Vangelo; perci si ritira nel deserto per quaranta giorni nei quali si dedica alla preghiera perch si compia un'opera cos importante. Dobbiamo particolarmente rendere omaggio alla fedelt di Ges rispetto alla sua missione, poich questa il fondamento della nostra vocazione. Dobbiamo onorar molto la nostra vocazione per parecchie ragioni: 1 perch Dio Padre, mentre predestinava il Figli suo da tutta l'eternit, ci predestin tutti insieme con Lui, dimodoch la nostra predestinazione compresa nella predestinazione eterna di Ges; 2 perch per essa diventiamo templi viventi dello Spirito Santo e gli siamo consacrati con i voti della nostra professione; - 3 perch per essa siamo strettamente legati con Ges Cristo e schiavi del suo amore e inoltre siamo in grande abbondanza partecipi delle sue grazie e dei suoi meriti; - 4 perch una grazia segnalata che va attribuita, non gi ai nostri meriti, ma alla pura liberalit e bont di Dio; - 5 perch dobbiamo dimostrarci oltremodo riconoscenti verso Dio per i mezzi coi quali ci ha chiamati al suo servizio. Dobbiamo quindi usare di tutti questi motivi, onde essere animati da una grande stima per la nostra vocazione e da una viva e profonda riconoscenza verso il Signore per un s gran beneficio. Ottavo giorno Sar dedicato ad onorare la pratica di tutte le virt di cui Ges ci d l'esempio nel deserto. Tutte nel deserto risplendono in Ges Cristo nostro Signore, ma principalmente quelle alle quali siamo obbligati per il vincolo dei santi voti e dapprima quella pronta ed esatta obbedienza per la quale Ges osserva un perfetto silenzio; ha tante parole di vita e di verit da annunciare al mondo, eppure per umilt in questi quaranta giorni non dice parola. Pratica pure una perfetta povert, poich manca persino del necessario ed lontano da quelli che potrebbero provvedere alle sue necessit; gli angeli destinati al suo servizio lo lasciano nella privazione di tutto, sino al termine del suo digiuno affinch pratichi la virt della povert. Nel deserto poi sempre la viva sorgente della purit degli angeli; sempre l'Agnello che alle vergini d in abbondanza questa grazia e questa 71

privilegio, conserva loro la stola dell'innocenza e della purit ed eternamente le rivestir di quella dell'immortalit. In questa giornata procureremo di rinnovare in noi tutti quei buoni sentimenti che Dio, nei primi tempi della nostra vocazione, si compiacque di infondere nella nostra anima rispetto ai nostri voti ed alla pratica di essi. Riconosceremo che questa grazia ci venne meritata dal Figlio di Dio e faremo tre atti di contrizione per averla tante volte trascurata; invocheremo pure l assistenza dei Santi ed in particolare del nostro padre san Benedetto. Pregheremo questo Santo che rinnovi in noi quella grazia che ci ha ottenuta, come fondatore e istitutore del nostro santo Ordine; a mezzo suo ci offriremo a Dio affinch ci disponiamo alla pratica perfetta dei nostri voti e di tutte le osservanze regolari, considerandolo come nostro Padre, il quale vuole formare in noi tutte le disposizioni e tutto il fervore dell'anima nostra nella pratica dei nostri voti. Nono giorno Giorno dedicato e consacrato alla vita divina di Ges nel deserto. A questo proposito lo considereremo da una parte sottoposto a tutte le umiliazioni ed infermit umane, e dall'altra vivente di una vita divina e libera da tutte queste umiliazioni o debolezze. In onore di questa vita per cui vive e riposa nel seno di suo Padre, e che Egli diffonde in abbondanza nella sua sacra umanit, dobbiamo desiderare per noi un rinnovamento di vita con una partecipazione a questa vita cos sublime e santa alla quale Egli ci invita, assicurandoci che venuto su la terra appositamente per comunicarcela: Ego veni ut vitam habeant (Joan., X, 10). Perci chiama, se stesso col nome di Vita, e in altro luogo; per mezzo dell'Apostolo, ci d questi ammonimenti: Procuriamo di lasciare coraggiosamente tutto il legame che abbiamo con la vita dell'uomo vecchio, la quale piuttostoch vita morte continua, e animiamoci dal desiderio di legarci a Ges come vita e principio della vita della grazia di cui dobbiamo vivere, e secondo la quale la nostra conversazione deve essere tutta celeste poich la nostra vita nascosta in Dio con Ges Cristo (101). Decimo giorno Sar dedicato a tutti i santi pensieri, a tutti i propositi e a tutte le determinazioni di Ges in fine del suo ritiro nel deserto; appena ne uscito subito si mette ad eseguire con tutta prontezza e perfezione tutto quanto il Padre gli ha manifestato. Ges, infatti, poco tempo dopo dir: La mia dottrina non mia, ma del Padre mio che mi ha mandato (Joan., VII, 16). In onore di questi propositi di Ges, rinnoviamo tutti e tre quei santi desideri e propositi cui ci siamo legati ed obbligati nei santi voti con la promessa di una vera ed intera conversione che abbiamo fatta a Dio al cospetto di tutta la corte celeste e in faccia a tutta la Chiesa. Consideriamo attentamente ci che si contiene in una promessa cos solenne e rigorosa, e procuriamo d'investirci di queste tre disposizioni: l di lavorare senza posa a distruggere in noi tutta la perversit e sregolatezza che insensibilmente si insinuata in tutte le nostre affezioni ed azioni; 2 formiamo in noi il desiderio, come ci raccomanda San Paolo, di risuscitare in tutti quei buoni pensieri e santi desideri che Dio si era compiaciuto di darci nel principio della nostra conversione; 3 prendiamo una ferma e perfetta risoluzione di convertirci a Dio con tutto il nostro cuore, e siccome non siamo capaci di risuscitare in noi forza e coraggio sufficienti per adempiere questa risoluzione, rivolgiamoci 72

allo Spirito Santo pregandolo che ci rivesta di forza, di coraggio, di luce e di una ferma costanza, affinch possiamo adempiere irrevocabilmente tutti i proponimenti che Dio ci ha ispirati principalmente in questi dieci giorni di ritiro. Perci non sar fuor di posto farne un piccolo riassunto onde presentarlo alla divina Maest. Inoltre, sar bene fissare per ogni mese un giorno in cui rinnoveremo tutte le nostre risoluzioni, affinch, dimostrando cos la nostra fedelt e il nostro desiderio di una vera conversione, noi ci attiriamo le benedizioni che il Padre vuole, per mezzo del Figlio suo, compartirci quaggi con le sue grazie e in cielo nella sua gloria. XIX Della penitenza Pregi della Penitenza. - Tre motivi di far penitenza: la giustizia di Dio; la Passione di Ges Cristo; la carit verso Dio e verso noi stessi. - In che consiste la vera penitenza. Nella Quaresima la Chiesa vuole disporci, ci sembra, a far penitenza; perci sar bene dedicare alla pratica di questa santa virt un giorno alla settimana. Non v'ha dubbio che la grazia dell'innocenza sia Preziosissima e che perderla sia la peggiore delle disgrazie; ma la penitenza ha pure i suoi vantaggi particolari. L'innocenza uno stato in cui si gode maggior unione e familiarit con Ges, mentre la spirito di penitenza porta maggior rigore. La spirito di penitenza una spirito oltremodo santo; dobbiamo averne gran desiderio e domandarla istantemente a Ges. La penitenza una virt propria dell'uomo, la sua propriet essenziale nella grazia; e come propria dell'uomo in quanto creatura, essere ragionevole, cos proprio del cristiano essere penitente. La grazia della penitenza non fu concessa agli angeli; caddero e non si pentirono, non fecero penitenza. Vi propongo tre motivi che ci impongono di fare penitenza: 1. - Il primo la giustizia divina, la quale ci obbliga a far penitenza per tre ragioni; dapprima perch dobbiamo amare la giustizia di Dio e desiderare che si compia in noi. Dobbiamo amarla, perch Dio stesso; le perfezioni di Dio non sono altro che Dio medesimo, e quindi dobbiamo considerarla come un bene suprema, e quantunque non sembri essere tale, la nondimeno in quanto ella Dio. La seconda la sovranit ed autorit della giustizia divina: sopra di noi, perci dobbiamo esserle ubbidienti. Ora la giustizia di Dio esige che il peccato riceva il suo castigo e che la maest di Dio offesa sia soddisfatta con una pena conveniente. Quando facciamo penitenza noi pratichiamo l'obbedienza verso la divina giustizia, perch perseguitiamo ci che odiato da Dio, cio il peccato che si trova in noi e prendiamo il partito di Dio, contro di noi medesimi. La terza il timore della giustizia di Dio, perch non lascia impunita nessuna offesa; se noi non la esercitiamo da noi stessi sopra di noi medesimi, si eserciter lei stessa; se non l'esercitiamo in questo mondo con la penitenza, si eserciter con la dannazione. Eccovi tre atti che dobbiamo fare verso la giustizia divina: amore, obbedienza e timore ; la penitenza ci unisce a Dio e ci riveste della giustizia. II. - Il secondo motivo di far penitenza la Passione di Nostro Signore, della quali siamo eredi. Ges con la pratica delle virt le ha tutte deificate, e cos l'umilt, la carit e le altre virt sono divine dopo che sono state praticate dal Figlio di Dio. Cos pure Ges ha elevato la penitenza ad una dignit tutta divina e la dobbiamo considerare nella persona di 73

Ges Cristo, poich noi siamo suoi figli, ma figli da Lui concepiti nel dolore, poich su la Croce ci ha generati. III. - Il terzo motivo di far penitenza la carit: questa virt ha un doppio oggetto: Dio e noi. Orbene, se amiamo Dio dobbiamo perseguitare e vendicare in noi ci che gli fa ingiuria e sradicare tutte le imperfezioni che in noi gli dispiacciono; e se ci amiamo noi medesimi secondo Dio, dobbiamo sforzarci di purificarci dai peccati, ci che si fa con la penitenza. Sar bene trattenerci di questo soggetto con Ges nell'orazione e domandare a Lui ed alla santa Vergine qualche favore onde disporci alla penitenza. *** Vediamo ora in che consiste la penitenza. Il vero spirito di penitenza consiste in modo particolare nel restituire a Dio quanto gli togliamo col peccato; e siccome ogni volta che pecchiamo ci separiamo assolutamente da Lui ed incontriamo un nuovo obbligo della morte eterna, cos con la penitenza dobbiamo restituirci intimamente a Dio e morire: a noi stessi, alla vita di Adamo e a tutte le cose del mondo presente, altrettante volte quante dallo stato di peccato ci siamo condannati alla morte eterna; dobbiamo domandare a Ges che, redimendoci dal peccato e dal potere del demonio, non permetta pi che apparteniamo a noi medesimi; ma che tutto quanto siamo sia confiscato a suo profitto. Domandiamogli che non abbiamo mai pi la pretesa di appropriarci per amor proprio l'uso di noi medesimi; bens, che per questa considerazione noi intimamente ci abbandoniamo a Dio e a Lui lasciamo la propriet e l'uso di tutto quanto vi in noi, poich per il peccato abbiamo perduto ogni diritto sopra di noi e su le cose di questo mondo. Dobbiamo dunque rinunciare ad ogni pretesa tanto sopra di noi medesimi come su le cose di questo mondo ed entrare interamente nella morte dello spirito di penitenza; questo appunta ci che l'apostolo desiderava ed augurava per s e per i Galati, con queste parole: Vivo ego, jam non ego, vivit vero in me Christus; Vivo non gi io: ma vive in me Cristo (Galat., II. 20). Il vero senso di queste parole questo: il peccato ci ha privati di qualsiasi diritto e di ogni potere di vivere, e ci merita la morte eterna; san Paolo augura per s e per tutta la Chiesa, che rinunciamo alla morte del peccato ed alla nostra propria vita per vivere nella vita di Dio; e non solo che viviamo in questa vita divina, ma unicamente per questa vita, che la nostra propria vita ne sia interamente distrutta e sia invece perfettamente stabilita in noi la vita medesima di Ges. In tal modo i nostri peccati non devono mai portarci allo scoraggiamento e tanto meno alla disperazione, poich non sono un ostacolo alla sguardo benigno di Ges sopra di noi, purch vogliamo convertirci a Lui; i peccati in tal caso avranno soltanto l'effetto di far s che Egli cambi di condotta rispetto a noi e ci tratti con maggior rigore; ed ci che dobbiamo desiderare, poich il peccato ci obbliga a stare in uno stato continuo di sacrificio e di morte per Dio. XX Sul Santissimo Sacramento di Ges Crocefisso (102) Per il gioved santo.

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Nel Gioved santo, Ges Cristo, usa della sua potenza e del suo eterno sacerdozio per rendere glorioso il suo corpo prima di esporlo ai tormenti della Passione. - Dobbiamo far vivere Ges in noi, e vivere in Ges e in tutti i suoi misteri. - Differenza tra la Passione di Ges e il mistero di Ges crocifisso. - Tre disposizioni di Ges in croce: non si lascia distrarre dai suoi patimenti; nei suoi patimenti non guarda che Dio; non vuole uscire dai suoi patimenti fuorch per il sacrificio. - Nel Sacrificio della croce si verificano quattro cose che si trovano nei sacrifizi antichi; Ges in croce sacerdote, immola se stesso e ci sacrifica tutti nella santit medesima del suo sacrificio. Questo giorno di grandissima importanza e merita di essere molto onorato. In questo giorno, infatti, Ges si separ dai suoi apostoli, quanto alla sua presenza corporale e sensibile; e quantunque si mostrasse ancora a loro dopo la sua morte, non comparve pi nella sua vita mortale ma in una vita immortale e risuscitata; dimodoch in questo giorno il Figlio di Dio prepar gli apostoli alla privazione di quella presenza sensibile nella quale l'avevano posseduto per tre anni. Ma lasciandoli in questa maniera Ges don loro se stesso in altro modo, perch si don loro secondo lo spirito e nell'intimo della loro anima. Perci, spesso aveva detto che era necessario si separasse da loro secondo la sua presenza corporale, affinch imparassero a possederlo secondo il suo spirito e nel fondo della loro anima. Per questo appunto Ges stabil il mistero del Santo Sacramento, onde insegnarci a desiderarlo noi pure e possederlo in questa maniera dove non c'entrano i sensi, ma lo possediamo nella verit della fede. In questo giorno, inoltre, il Figlio di Dio come eterno sacerdote dell'Altissimo, consacr se stesso per la prima volta nel Santissimo Sacramento e pose la sua santa umanit nel seno di Dio. Usando sopra di se stesso del potere del suo sacerdozio eterno, mise il suo corpo nel godimento della gloria prima di darlo alla morte. E Ges, in certo qual modo, obbligato ad amare questo ministero, il quale gli procur in tal modo prima della sua Passione il godimento della sua gloria e del seno del Padre suo: quindi lodevolissima la pratica della Chiesa, la quale espone in questo giorno il Santissimo Sacramento, per invitarci tutti a rendere grazie a Ges Cristo perch ha dato cos al suo corpo il godimento della gloria prima di abbandonarlo ai santi patimenti della sua Passione (103). A mio avviso, non abbiamo assolutamente da fare, a questo monda, se non due cose: che Ges viva in noi e che noi viviamo in Lui. Infatti, noi dobbiamo vivere in tutto ci che Ges e in tutti i suoi misteri: cos dobbiamo vivere nella sua umilt, nella sua pazienza e in questo spirito accettare tutto quanto vi Dio soffrire in queste virt, in omaggio a Ges umiliato. E non solo dobbiamo in questo modo vivere nella pazienza e nell'umilt di Ges e nei suoi patimenti, ma dobbiamo pure essere e vivere nel Verbo incarnato, in Ges risuscitato, distaccandoci da tutte le cose sensibili e visibili, onde essere viventi con Lui e ritirati nel seno del Padre suo come Lui lo per lo stato della sua vita risuscitata. Dobbiamo far vivere Ges in noi, e per questo necessario che moriamo a tutto ci che siamo, e a tutto ci che in noi della vita di Adamo. Nella seconda Epistola ai Corinzi l'Apostolo dice che Ges morto affinch quelli che vivono, non vivano pi per loro stessi ma per Colui che morto per loro (V, 15). E' certo che il peccato ci ha privati di tutti i diritti che avevamo di vivere, dimodoch non abbiamo pi diritto di vivere di una vita che sia propria di noi stessi; perch la morte di Ges non ci ha punto restituito il potere di vivere in tal modo, ma al contrario ci ha obbligati ancora pi rigorosamente a morire a tutto ci che siamo; se ci comportiamo diversamente, usurpiamo i diritti che Ges si acquistati sopra di noi in virt della sua morte. Neppure delle vie di Dio, per quanto siano sante, la creatura pu usare per vivere in se medesima; anche nelle vie di Dio non dobbiamo vedere che Dio solo, affinch Lui medesimo viva nelle sue vie; n dobbiamo vederci noi stessi in quelle, se non per entrare nella morte che lo spirito di Dio richiede da noi. 75

*** Quanto ai patimenti di Ges, molte cose sarebbero da dire, ma non siamo degni di parlarne. Quando si parla del mistero della Passione non la medesima cosa come parlare di Ges Crocifisso. Nella Passione di Ges, infatti, si trovano varie persone: dapprima la santissima Vergine, poi i giudei, gli uomini e i demoni pure, e si pu dire che tutti fanno morire Ges e lo crocifiggono secondo i disegni di Dio; tutti cospirano alla sua morte, o in buona o in cattiva maniera (104). In Ges Crocefisso, invece, vi sono tre cose soltanto: Dio, lo Spirito Santo e la persona che soffre. Dio vi come Dio di patimento, Dio di ira che d libero corso a tutto il suo furore - l'espressione usata dalla Scrittura - persino sopra Ges. Dio sul Calvario come un Dio che affligge Ges, in tal modo che su la Croce Ges non vede il Padre come suo Padre amantissimo nel seno del quale riposa eternamente, ma come il suo Dio di patimento e non come un Dio di beatitudine. Ges in questo stato soffre senza nessuna consolazione e non ne ricerca punto perch lo Spirito Santo che trovasi su la Croce lo fa soffrire con ispirito di eternit; ed ci che chiamano lo spirito della Croce. Il Figlio di Dio stette su la Croce soltanto tre ore, tuttavia non pensava punto ad essere liberato dai suoi patimenti quando queste tre ore fossero passate; ma era pienamente disposto a soffrire finch Dio avesse voluto, n ricercava punto consolazione nei suoi patimenti. Beate quelle anime che soffrono in tal modo con Ges, senza cercare nessuna consolazione! *** In Ges Crocifisso notiamo tre disposizioni alle quali poco pensiamo e che vanno molto onorate, Dapprima Ges, su la Croce, soffre senza applicarsi a ci che patisce; il suo patire non lo distrae punta; come la sua umanit non ha personalit propria, cos Egli soffre divinamente, n pu soffrire in altra maniera, dimodoch nei suoi patimenti non vede che Dio e non soffre se non in Lui. Mi sembra che noi pure dobbiamo soffrire in questo modo; infatti, la ragione per la quale le anime per lo pi si abbandonano all'impazienza quando hanno da sopportare qualche piccola pena, questa che per l'ordinario noi non soffriamo che in noi medesimi e nel nostro amor proprio; e siccome il patimento ha in se stesso qualche cosa che molto assorbente perch penoso, cos se non abbiamo cura di soffrire in Ges non faremo nulla di buono. E' vero che non siamo, come era Ges, privi della nostra personalit umana; tuttavia dobbiamo rinunciare effettivamente a questa nostra personalit onde soffrire unicamente in Ges e per la virt del suo santo Spirito. Nostro Signore medesimo diceva agli Apostoli che senza di Lui non potevano far nulla; secondo questa parola del Figlio di Dio, vero che se non dimoriamo in Lui non possiamo nulla; perci non possiamo soffrire nessuna pena, per quanto minima, se non possediamo lo spirito di Ges. Guardiamoci dunque dal dire che da noi medesimi possiamo sopportare qualche cosa, mentre ne siamo punto incapaci. Potremo forse, a dire il vero, soffrire qualche cosa per noi stessi e per amor proprio, ma per soffrire santamente necessario che soffriamo nella virt di Ges e non gi nella nostra e per questo dobbiamo uscire dalle nostre vie proprie e di quelle del peccato per entrare nella santit delle vie di Ges Crocefisso (105). 76

*** Seconda disposizione di Ges su la Croce. Egli non soffre che da parte di Dio. E' vero che gli uomini lo fanno soffrire molto: Pilato lo condanna e i soldati della guardia romana lo mettono in croce; tuttavia in tutte queste cose Ges non vede che Dio; sa che Lui permette che le creature lo trattino cos e perci nell'orto dice a San Pietro: Non berr io il calice datomi dal Padre? (Joan., XVIII, II). Questo ci dimostra che Ges non vedeva che Dio in tutti i patimenti che gli uomini gli infliggevano, e insegna a noi che dobbiamo far cos noi pure quando Dio si compiace che siamo umiliati e disprezzati dalle creature o che si faccia contro di noi qualche giudizio temerario; n dobbiamo mai considerare tali cose come provenienti dagli uomini. E' certo, infatti, che non v' creatura n demonio che ci possa nuocere se Dio non lo permette; perci quando ci accadono tali spiacevoli incidenti, dobbiamo sopportarli con pazienza, poich Dio medesimo permette che le cose vadano cos e che le sue creature ci trattino in tal modo, quantunque non ci dia maggior luce. N dobbiamo cercare di togliere dal loro accecamento le creature che ci molestano, ma lasciarle nelle loro tenebre, poich Dio stesso le lascia in quelle. E sebbene ci sembri talvolta che le creature ci facciano soffrire contro l'ordine di Dio, tuttavia certissimo che Dio lo vede e lo tollera; e poich tollera che siano trattati cos, pure ragionevolissimo che anche noi tutto sopportiamo in ispirito di pazienza (106). *** Terza disposizione di Ges Crocefisso, che va molto onorata: Egli non vuole uscire dai suoi patimenti se non col sacrificio. Gli antichi sacrifizi contenevano quattro cose: l'immolazione, l'uccisione, la consumazione e la Comunione. Orbene Ges su la Croce si sacrific al Padre suo in questo modo: l Si immol alla sua giustizia per i peccati degli uomini e di fatti subiva il rigore del Padre e ne sentiva l'abbandono; soffriva ci che dovremmo soffrir noi. In croce Ges era pure Sacerdote dell'Altissimo e per la virt del suo sacerdozio si sacrific a Dio. 2 Venne ucciso per la rabbia e il furore dei suoi nemici. 3 Venne consumato dall'ardore del suo amore. 4 Anche i suoi carnefici comunicarono al suo sacrificio, poich parecchi di loro si convertirono ed ottennero la loro grazia per il merito di quel sangue prezioso che avevano versato. E per finire dove abbiamo incominciato, dobbiamo molto onorare in Ges la sua qualit di sacerdote; perch per la virt del suo Sacerdozio ci sacrific tutti al Padre suo nella santit medesima del suo sacrificio. Questo ci fa un dovere di abbandonarci interamente a Lui affinch usi sopra di noi del suo potere sacerdotale e ci sacrifichi a Dio per la virt del suo eterno sacerdozio. Dobbiamo pure offrirci a Lui come quelle vittime che venivano offerte a Dio, e immolarci alla sua grandezza. Dobbiamo stare sotto la mano di Dio come Isacco sotto la mano di Abramo. Quanto all'uccisione, avverr alla nostra morte, e l'accetteremo in sacrificio; dobbiamo essere ben contenti e desiderare di restituire a Dio la nostra vita, e di lasciare questo mondo, poich non questa la nostra vera e propria dimora, e Ges vuole distruggerla un giorno onde restituirla perfettamente a Dio. Noi pure dobbiamo aver un tale desiderio e volere che il mondo sia distrutto e tutto reso a Dio. In questi giorni dobbiamo fervorosamente adorare gli ultimi momenti della vita di Ges. Oggi potete adorare la sua qualit di Sacerdote dell'Altissimo nel Santissimo Sacramento. Questa sera, verso le nove, onorerete i suoi santi patimenti, poich in quell'ora Egli vi 77

diede principio. Verso la mezzanotte, onorerete il suo arresto poich crediamo che quell'ora venne catturato. Da ultimo, supplico Ges di attirarvi alla divozione verso i suoi santi patimenti; di farvi grazia di adorarli ed imitarli nel poco tempo che avanza di questa settimana, confermarvi nella grazia dei suoi misteri, di perfezionarvi nella santit delle sue vie, e darvi la sua santa benedizione; ne lo supplico con tutto il mio cuore. Veni, Domine Jesu; etc. (107). XXI I dolori di Ges nell' Orto degli Ulivi Per il Gioved Santo

in la di di

Nell'Orto Ges soffr tutti i tormenti della Passione. - Cause dell'agonia di Ges: la vista dei suoi patimenti, dalla quale deriv per Lui una sofferenza inconcepibile; la vista dei peccati passati, presenti e futuri, dei quali si vedeva carico davanti all'Eterno Padre come se fossero stati suoi; il rigore del giudizio di Dio in tutta la sua estensione e in tutto il suo furore, il quale da nessuna creatura fu mai portato nella sua integrit fuorch da Ges Cristo - come mai Ges non fu annientato e separato da Dio sotto un tal peso quarta causa dell'agonia di Ges, il peso di tutte le pene sopportate dagli uomini sino alla fine del mondo. La Passione di Ges non si tutta compiuta sul Calvario; ci che si fatto in un luogo non avvenuto nell'altro; una parte avvenne nel palazzo di Anna e di Caifa dove Ges fu schiaffeggiato; unaltra in casa di Pilato, dove venne flagellato e coronato di spine. Per altro, Ges nella sua Passione non sopport ogni sorta di pene nel medesimo tempo; quando era flagellato non era coronato di spine; quando portava la sua croce, non era crocefisso e via dicendo. Ma nell'Orto degli Ulivi Ges nell'anima sua sopport tutta intera la Passione; e i dolori che sub in quel luogo furono eccessivamente gravi poich lo ridussero in agonia; nell'Orto lo vediamo in una debolezza, in un accasciamento tale che cadde per ben tre volte su la propria faccia e venne ridotto ad un estremo non ma visto, a quel sudore di sangue, caso strano, che non accadde mai a nessun uomo. Neppure su la Croce si vide in Ges una tristezza pari a quella che lo assal nell'Orto e che lo costrinse a lamentarsi con queste parole: Tristis est anima mea usque ad mortem - L'anima mia afflitta fino alla morte. (Matth., XXVI, 38 ). Credo che abbia sofferto in questo mistero molto pi che in tutti gli altri luoghi della Passione; e lo intenderemo facilmente riflettendo su le cause dei suoi dolori in quell'agonia. *** Ges soffr dapprima per la vista dei suoi patimenti; se li rappresent nella sua mente e li vide pi perfettamente che non sarebbero stati in se stessi e nell'intenzione dei Giudei e di coloro che lo dovevano tormentare; i pensieri ch'Egli ebbe allora su le sue pene furono tali che sorpassarono il mistero medesimo (108), e lo fecero soffrire nell'anima con un tal eccesso che sud sangue ed acqua. Nella sua Passione i Giudei lo faranno patire; ma nell'Orto Lui stesso fa soffrire se stesso; anzi qui soffre per certi strazi che non gli causeranno dolore nella sua Passione come per il colpo di lancia che non gli verr dato se non dopo la sua morte. 78

Su la Croce Ges parla ad alta voce, consola la madre sua e san Giovanni; ma nell'Orto bisogna che un angelo venga dal cielo a confortarlo. Certi santi ebbero una tal grazia per meditare la Passione di Ges che ne portarono persino i segni nel loro corpo, come san Francesco; quanto maggiore dovette essere questa grazia in Ges Cristo, poich tutte le grazie della compassione dei Santi non sono che un effetto di quella? Abbiamo il dovere di essere devoti all'agonia di Ges nell'Orto, poich quella che ci merit la grazia dell'orazione e della meditazione su la sua Passione. *** La seconda causa dei dolori del Figlio di Dio nell'Orto fu la rappresentazione che Egli fece nella sua mente di tutti i peccati del mondo, passati, presenti e futuri. Fu questo un dolore inconcepibile perch i peccati sono il male vero, quindi la vista di un semplice peccato veniale era per Ges in quella sera un dolore infinitamente pi grande che il pensiero di tutto ci che doveva soffrire da parte degli uomini durante l'intera Passione. Quale dovette dunque essere la sua angoscia nel vedersi carico non solo dei peccati veniali, ma pure di tutti i peccati mortali e dei delitti pi orribili che siano mai stati commessi dagli uomini, comprese anche quelle cose di cui si servono per offendere Dio come il tempo, la luce, l'assistenza medesima di Dio (109). E tutti quei peccati Ges li portava, li confessava a Dio e se ne vedeva carico davanti al Padre suo come se fossero stati peccati suoi propri. Di questo mistero abbiamo una figura nell'Antico Testamento, nella cerimonia del capro espiatoria. Si conduceva un capro alla porta del Propiziatorio, e il Sommo Sacerdote metteva le mani sul capo di questo animale confessando tutti i peccati che il popolo poteva aver commessi. Poi questo capro veniva condotto con una corda nel deserto fuori della compagnia del popolo, affinch fosse divorata dalle fiere; l'uomo che lo aveva condotto via rimaneva scomunicato per una giornata e doveva lavare le sue vesti, prima di ritornare nel popolo. Tutto questo venne adempito in Ges, perch Egli quello che confessa i nostri peccati e ne porta il carico; l'uomo che rimaneva scomunicato per una giornata raffigurava il popolo giudaico, e per questa giornata si intende tutta la durata del tempo sino alla fine del mondo i Giudei saranno miserabili sino alla fine dei tempi, ma infine si convertiranno laveranno le loro vesti nel sangue dellAgnello. Abbiamo dunque qui anche una profezia della conversione dei Giudei prima dell'ultimo giudizio. Abbiamo un gran dovere di essere devoti ai dolori di Ges nell'Orto, poich vi abbiamo tutti la nostra parte. Si pu credere che coloro i quali assistettero alla morte di Ges e si convertirono, come Longino e il Centurione, per tutta la vita conservarono vivissima la memoria della piaga del costato e delle altre che fecero nel corpo di Ges e ne fecero l'oggetto della loro amorosa divozione; dobbiamo imitarli ed aver noi pure una gran divozione alle piaghe di Ges, perch quantunque non le abbiamo inflitte materialmente a Ges, tuttavia l'abbiamo tutti veramente crocefisso coi nostri peccati: san Paolo appunto dice che coloro che peccano crocefiggano Ges. Infatti, Ges Cristo vide in ispirito tutti gli uomini che mai vi furono e vi saranno e si vide crocefisso da loro, e per una impressione particolare dello Spirito Santo, in quelle tre ore dell'Orto port tutti i peccati del mondo e ci fu per Lui un tormento gravissimo, poich un sol peccato era per Lui, come abbiamo detto, un dolore pi grave di tutti i tormenti esterni della Passione. Ogni peccato era per Ges una piaga mortale. *** 79

In terzo luogo, nell'Orto Ges soffr perch port sopra di s tutta l'estensione e tutto il rigore del giudizio di Dio in furore, ci che la pena pi terribile di tutte, alla quale non paragonabile nessun peccato e nessun inferno, perch, in fin dei conti, il peccato, per quanto possa essere grave, non pu mai essere che un niente (110). Per meglio intendere la grandezza di quel patimento di Ges, dovete sapere che Dio, come tutto amore e misericordia pure tutto collera e furore; ci che Dio , non lo per met, ma tutto intero e infinitamente. In tal modo, Dio consumava infinitamente Ges Cristo nel furore della sua ira e del suo giudizio e mai nessuna creatura port n porter il giudizio di Dio nella sua integrit, perch nessuna creatura porter mai Dio secondo tutto ci che Egli . (111). Neppure le anime dannate portano il giudizio di Dio, ma ne portano solo qualche effetto; il Demonio, lui pure, ne porta soltanto qualche effetto, e sebbene paventi estremamente il giorno del giudizio, tuttavia non che debba ricevere immediatamente da Dio il suo giudizio, perch l'Umanit santa di Ges sar quella che pronuncer il giudizio e lo pronuncer non gi come in se stesso, ma soltanto nei suoi effetti. Orbene, se l'effetto del giudizio causa una paura gi cos spaventevole, quanto sar terribile ci che Ges Cristo port, poich infatti port il giudizio di Dio secondo tutto quanto esso in se stesso, in tutta la sua integrit ed estensione. Questo ci viene spiegato dal Profeta Davide in questo versetto: Super me confirmatus est furor tuus; et omnes fluctus tuos induxisti super me (Ps. LXXXVII, 8); ci che significa: Il tuo furore si aggrav sopra di me; e nel tuo furore mi rovesciasti addosso tutti i flutti della tua ira . Tali parole spiegano bene, a mio avviso, l'estremo rigore che Ges Cristo subiva per la grandezza infinita di quel giudizio che lo investiva e infinitamente lo consumava. Ges Cristo nella sua Passione sub due giudizi: quello di Dio prima, e poi quello di Pilato che fu un effetto della potenza del giudizio di Dio. Perci quando Pilato disse a Ges: Non sai ch'io ha il potere di crocifiggerti o di liberarti ?, il divin Salvatore rispose: Non avresti potere alcuno sopra di me, se non ti fosse stato dato dall'alto (Joan., XIX, 10). Questo ci dimostra che Ges stava tutto intento a quel giudizio di Dio del quale portava in se stesso il peso; appunto per questo non rispondeva a Pilato se non con poche parole. E' questo pure il motivo per cui Ges Cristo stette sempre in silenzio nella sua Passione, quella sua grande attenzione a portare il giudizio di Dio nel suo furore. Qui sarebbero da farsi due questioni; come mai un tal furore di Dio: l non separava Ges Cristo da Dio; 2 non annientava la sua umanit? Risponder dapprima alla seconda, perch la ragione ne evidente. Dobbiamo riflettere che in Dio v' una doppia potenza, una interna, esterna l'altra. Per la sua potenza esterna, Dio operava sopra Ges Cristo, per l'altra lo sosteneva. Orbene, l'umanit di Ges Cristo non ha altro sostegno che la sussistenza e l'esistenza del Verbo, e con quel grande rigore, Dio lo consumava (ossia lo elevava alla pi sublime trasformazione ) in Se medesimo in tutto ci che Egli era e secondo tutto ci che in Se stesso. Perci questa azione di Dio non poteva annientare quella umanit, ma invece la consumava maggiormente in Dio. Per altro se Ges non fosse stato consumato che nell'amore di Dio, non lo sarebbe stato se non alla maniera dei Serafini i quali lo sono per una operazione di amore; ma bisognava che Ges Cristo fosse consumato in tutto ci che Dio era, perch fosse in tutto simile a Lui. L'altra questione, ossia come quel grande rigore, non allontanasse punto Ges Cristo da Dio, essa pure si risolve agevolmente. Le perfezioni divine hanno tra loro una unit infinita, perci una non si separa dall'altra, ma al contrario si compiono tutte l'una nell'altra, e in tal modo sono in Dio (112). 80

Quanto a questa sorta di sofferenza, siamo ben sicuri che non vi avremo mai parte alcuna; possiamo soltanto adorarla da lontano come una cosa che Ges Cristo port in se medesimo. *** La quarta sorta di patimenti che il Figlio di Dio sopport nell'Orto fu questo: Egli fu partecipe di tutte le croci e di tutte le pene che gli uomini tutti portarono e porteranno, ed Egli port tutto questo peso immane. In tal modo Ges nell'anima sua fu crocifisso con san Pietro e san Andrea, bruciato con san Lorenzo, scorticato con san Bartolomeo, e cos di tutti gli altri tormenti che furono sopportati dai Martiri; e non soltanto i martiri ma anche tutte le altre sorte di pene che noi portiamo nell'anima nostra, anche quelle che ci causiamo a noi medesimi con le nostre imperfezioni. E Ges ha portato tutte queste pene molto pi perfettamente di noi, poich le ha santificate e ne ha fatto uso per Dio. Tra i Santi mai nessuno ha risentito i patimenti di Ges come Lui ha provato le loro pene. Come mai potremmo immaginarci quali pene abbia sopportato Ges Cristo in quelle tre ore, noi che giudichiamo tanto insopportabile la geenna anche di un sol martire, se riflettiamo che Egli prese sopra di s i tormenti di tutti i martiri e le pene di tutte le creature? Le nostre pene sarebbero tutte di nessun valore se Ges Cristo non le avesse santificate in se stessa. Tutta la loro santit viene unicamente da questo; e quando noi sentiamo qualche afflizione, bene pensare che il Figlio di Dio l'ha portata prima di noi e cos offrirla a Lui, pregandolo che renda sante in noi le nostre pene come le ha santificate in se stesso. Ed ecco il frutto principale che nella nostra divozione dobbiamo ricavare da quei patimenti di Ges nell'Orto. Dobbiamo poi aver gran cura di domandare a Dio che si degni dare a Ges Cristo molte anime che onorino i suoi patimenti; e inoltre darci noi stessi a Lui in ispirito di umilt onde onorarli noi pure in terra, in quel modo ch'Egli vorr, sino a che possiamo onorarli pi perfettamente in cielo.

XXII Su la sepoltura di Ges Per il Sabato santo. Il corpo di Ges nella tomba sempre fonte di vita, adorarlo e domandargli che faccia morire in noi la vita peccaminosa; imitarne lo stato di morte con la mortificazione - Adorare l'anima santa di Ges liberata dal carcere del corpo. *** Il corpo del Figlio di Dio nel sepolcro non meno adorabile n meno sorgente di grazie che quando era pieno di vita; in questo stato di morte ancora fonte di vita; perch la virt e la dignit del corpo del Figlio di Dio non provengano dallanima sua, ma dal Verbo, il quale unito ipostaticamente all'anima e al corpo, e non ne punto separato dalla morte. 81

Noi abbiamo due sorte di vita, una animale e naturale, l'altra che ci siamo acquisita col peccato, il quale stabilisce in noi una specie di vita che ha funzioni e qualit dipendenti dal peccato. Il Figlio di Dio morto appunto per farci morire a questa vita del peccato, e nella sua morte dobbiamo attingere la grazia per morire al peccato e distruggere in noi questa vita che ne l'effetto. Dobbiamo adorare il corpo di Ges morto e giacente nel sepolcro e domandargli che faccia morire in noi, la vita peccatrice, e quindi formare un fermo proposito di liberarci dalle inclinazioni del peccato e di lavorare ad estinguerne la vita nell'anima nostra. Sar bene considerare lo stato del corpo di Ges Cristo morto, nel sepolcro. E' privo dell'uso dei sensi: se contempliamo gli occhi del Figlio di Dio che sono chiusi, ne tireremo grazia per mortificare i nostri, e cos degli altri sensi, anche dei sensi interni; perch nel corpo morto non agiscono pi n l'immaginazione n le altre facolt dell'anima. Cos dobbiamo essere non soltanto mortificati, ma morti ad ogni cosa che non sia Dio. Dobbiamo pure adorare l'anima santa del Figlio di Dio liberata dal carcere del corpo; ella puramente spirito ed agisce in questo stato molto pi degnamente e spiritualmente che quando si aiutava con gli organi del corpo; dobbiamo domandarle la grazia, affinch possiamo far vivere in noi lo spirito di Ges Cristo, pregando Ges che ci distacchi dalle cose sensibili e corporali e ci faccia gustare le cose spirituali. Se avessimo un po di questo spirito di vita di Ges Cristo, tutte le cose di quaggi sarebbero per noi insopportabili, e proveremmo una continua avversione per quelle cose che ci dilettano secondo la carne. Perci dobbiamo fare un fermo proponimento di guardarci bene dal minimo attacco a qualunque cosa di questo mondo. Sar bene ancora adorare l'anima del Figlio di Dio nell'atto in cui riprende il suo corpo e lo riempie di vita. Si riunisce di nuovo a Lui senza perdere nulla delle condizioni che aveva acquistate con la sua separazione; ma elevando ed esaltando il suo corpo e comunicandogli le sue perfezioni, lo rende impassibile, glorioso ed immortale; cos pure le anime nostre, nella risurrezione generale, non si abbasseranno punto per unirsi al nostro corpo, ma lo riempiranno delle proprie qualit e condizioni. XXIII Su la Risurrezione di Ges Per il santo giorno di Pasqua Il tempo della Risurrezione particolarmente santo perch Ges risorto pi santo che negli altri stati della sua vita, poich ritorna nel seno del Padre, prendendo una vita tutta contraria alla vita terrena. - Applicazioni pratiche: avversione al mondo presente ed alla carne, maggiore intimit con Ges e desiderio del Paradiso. Questo giorno deve essere per noi pi santo di quello di ieri; e quello di domani pi santo ancora di quello d'oggi; e quantunque ci debba essere vero per tutti i giorni della nostra vita, perch siamo in dovere di progredire ogni giorno nella Santit, tuttavia vi sono nell'anno certi tempi in cui richiedesi da noi maggior santit che negli altri. Orbene tra tutti i tempi dell'anno, quello della Risurrezione il pi santo, perch Ges Cristo in uno stato pi santo che in tutti gli altri stati della sua vita. Per questo mistero, infatti, Ges ritorna nel 82

seno del Padre suo; questa la dimora pi santa ch'Egli possa avere. Per parlare propriamente, santit non vuol dire altro che separazione dalle cose di quaggi e unione con Dio, perci intendiamo come Ges Cristo per la sua Risurrezione sia entrato in uno stato di santit pi grande di prima. Infatti, Ges risorto maggiormente separato dal mondo, poich non porta pi la somiglianza del peccato (Rom. VIII, 3); non pi sottoposto all'uso delle creature necessarie per la vita umana, come, per sua degnazione, vi era soggetto prima della sua morte. E' inoltre pi appropriato a Dio poich ritorna nel seno di Dio, e nella sua umanit entra in possesso del godimento di quella gloria che aveva presso il Padre suo prima ancora della creazione del mondo. Il Figlio di Dio ebbe parecchi luoghi di ritiro su la terra: stette ritirato nove mesi nel seno della sua immacolata Madre, poi quaranta giorni nel deserto; e tutte queste dimore erano sante perch Ges Cristo era santo, sebbene il demonio che stava nel deserto per turbarlo non fosse santo; anche la dimora nel seno della Vergine era santa, perch Ges Cristo era santo dovunque si trovasse, e perch la Vergine pure era santa. Ma la dimora in cui Ges Cristo si ritirato nel giorno della sua Risurrezione ben pi santa ancora, perch Egli ritornata nel seno del Padre suo e nei quaranta giorni in cui rimane in terra Egli vi adorato dagli Angeli nella sua gloria, e la terra un Paradiso. Nostro Signore Ges Cristo in questo mistero non solo separato dal mondo di quaggi ed ritirato in Dio; ma inoltre prende una vita nuova opposta e contraria al mondo ancor pi di quella che conduceva su la terra. Infatti, prima non era in uno stato cos contrario, come nella Risurrezione, al mondo presente e a tutto ci che della vita di Adamo in noi (come sono i nostri difetti naturali e le nostre inclinazioni ), neppure su la Croce e nel sepolcro perch su la Croce Egli era in similitudinem carnis peccati (Rom. VIII, 3), portava la somiglianza del peccato. Nel sepolcro poi aveva per la carne di Adamo, nel suo corpo una semplice opposizione di privazione ( in quanto che il suo corpo era privo della vita somigliante a quella di Adamo); ma nella Risurrezione ha una opposizione di contrariet a tutto l'essere dell'uomo vecchio. Orbene, l'opposizione di contrariet dappi di quella di semplice privazione, in quella guisa che vi maggior opposizione tra il fuoco e l'acqua fredda che non tra il fuoco e l'acqua tiepida, Abbiamo il dovere di renderci partecipi di queste tre disposizioni di Ges Cristo: l - La grazia che Ges Cristo ci dona in questo tempo tende a separarci dal mondo presente pi che la grazia che ci dona nei misteri della sua Croce e della sua morte. Il mondo s'inganna enormemente quando crede che l'Avvento e la Quaresima siano tempi pi santi di questo. L'Avvento e la Quaresima, infatti, sono tempi di penitenza e di preparazione per ricevere da Nostro Signore le grazie che vuole darci in questo tempo della sua Risurrezione, il quale tempo di abbondanza e di raccolto. In questo si manifesta la pazzia del mondo, mentre vuole che il tempo il quale serve di preparazione per ricevere la perfetta santit sia pi santo di quello in cui quella santit ci viene data. Questo ci fa pure intendere che quando consideriamo la Risurrezione di Ges Cristo come uno stato pi conforme al nostro stato presente ed alle nostre inclinazioni naturali che non lo stato della Passione o degli altri misteri di Ges Cristo, cadiamo in un grossolano inganno. 2 - In questo tempo pi che in nessun altro dobbiamo essere contrari al mondo, alla nostra carne ed alle nostre imperfezioni, se vogliamo risuscitare con Ges Cristo, partecipare alla sua vita nuova e seguire l'istinto della grazia della Risurrezione. E' questa una obbligazione generale di tutti i cristiani in forza del battesimo; perch, come c'insegna 83

san Paolo, tutti sono morti e furono seppelliti con Ges Cristo nel loro battesimo, e tutto questo non tende che a farli camminare nella via nuova di Ges Cristo risorto. Infatti, noi dobbiamo odiare con vivissimo orrore questo mondo e la nostra propria carne, considerando questo mondo come una cosa cos contraria a Ges risorto che Egli lo vuole bruciare, e desiderando con Lui che venga bruciato quando a Lui piacer. E parimenti dobbiamo considerare la nostra carne come una cosa che Ges Cristo vuol distruggere onde renderla partecipe della sua nuova vita; perch cosa mostruosa che l'anima nostra sia risuscitata e che la nostra carne rimanga in uno stato di morte, che la grazia della Risurrezione vivifichi l'anima nostra senza vivificare il nostro corpo. Bisogna dunque sopportare questo mondo con pazienza ed anche il nostro corpo, poich anche Ges Cristo cos li port, ma non con compiacenza. Alla nostra carne dobbiamo concedere il necessario ma non la soddisfazione. Vi sono pochissimi cristiani, i quali non abusino della grazia della Risurrezione, e ordinariamente ne abbiamo maggior bisogno che non di quella della Croce. La divozione a Ges crocefisso ordinariamente per la maggior parte dei cristiani pi utile che la divozione a Ges Cristo risuscitato, perch quando si adora Ges risorto si pi facilmente esposti alle illusioni dello spirito maligno che quando si adora Ges Crocefisso; poi certo che per usar bene della grazia della Risurrezione, bisogna aver ricevuto la grazia della Croce e della morte di Ges Cristo ed averne usato con fedelt. San Paolo dice che Caro concupiscit adversus Spiritum; La carne ha desiderio contrario alla Spirito (Gal., V, 17), vale a dire che quando siamo risuscitati in ispirito con Ges Cristo e che siamo animati dallo spirito della Risurrezione, ossia quando lo Spirito Santo, per il quale Ges risorto, ci d le inclinazioni medesime di Ges risuscitato, allora il nostro spirito ha una vivissima opposizione e contrariet contro la nostra carne e la sopporta con gran pena. S. Bernardo ha detto cose bellissime su questo punto. La pi grande penitenza in questo mondo, dice quel gran Dottore, per un uomo santo quella di portare il proprio corpo. Chi cos parlava era proprio animato dalle inclinazioni di Ges risorto. 3 - Dobbiamo inoltre ritirarci in Dio con Ges Cristo. Certe anime, in questo tempo, hanno la santa usanza di onorare col loro ritiro annuale, il ritiro di Ges nel seno del Padre suo. Ges Cristo poi durante questi quaranta giorni istru i suoi apostoli, per la loro condotta particolare come per la direzione della Chiesa, pi che nei tre anni che aveva passato con loro nella sua vita mortale. Perci in questo tempo ognuno deve istruirsi con Ges, non solamente per l'anno corrente, ma per tutta la vita. In questo tempo dobbiamo parlare pi spesso con Ges e praticare con Lui una pi intima familiarit, salvo sempre il rispetto che dobbiamo portargli. Nostro Signore, in questi quaranta giorni in cui conversava, con gli apostoli onde istruirli, considerava la terra come un luogo di passaggio dove non dimorava se non per misericordia; noi pure, se vivessimo proprio secondo la grazia della Risurrezione, considereremmo questo mondo e le nostre case come luoghi di passaggio e ne terremmo il nostro cuore completamente distaccato. Infine, come Ges aveva una potente inclinazione ad ascendere al cielo dovremmo noi pure vivere quaggi in una sorta di inquietudine, in un vero ed ardente desiderio di essere lass con Ges Cristo, sospirando che Egli distrugga in noi tutto quanto avanza dell'uomo vecchio, onde siamo perfettamente rivestiti dell'uomo nuovo. XXIV Sul mistero della Risurrezione 84

Onorare tre cose nello stato di Ges risorto: la separazione effettiva dalle cose terrene; il suo ritiro in Dio; la consumazione della sua umanit in Dio. - Tre motivi per noi di distaccarci da ogni cosa di quaggi: la giustizia di Dio; la morte di Ges Cristo; la malignit del demonio. Nel Figlio di Dio risuscitato abbiamo da onorare particolarmente tre cose. La prima la separazione da tutte le cose della terra, perch quantunque nella sua vita Egli ne fosse separato per l'affetto e la disposizione interiore, vi era tuttavia sottoposto per le condizioni della natura. Ma dopo La Risurrezione, quantunque dimorasse ancora su la terra per quaranta giorni, ne era infinitamente alieno. Dobbiamo adorare questa separazione nel Figlio di Dio come adoriamo tutti i suoi misteri; e per imitarla dobbiamo avere distacco ed avversione per tutte le cose create. Tre cose ci portano all'attacco alle creature: la prima la natura medesima, perch nasciamo e viviamo inclinati per le condizioni della nostra natura, alle cose di questo mondo; la seconda il peccato per il quale l'uomo medesimo ha rovinato se stesso separandosi da Dio che doveva essere il suo ultimo fine; la terza la curiosit. Queste tre cause d'inclinazione alle cose create, dobbiamo superarle e vincerle. *** La seconda cosa che dobbiamo adorare in Ges Cristo risuscitato il suo ritiro in Dio perch nel suo stato glorioso Ges non si soltanto separato dalle creature, ma si tutto dedicato a Dio e ritirato in Lui. Anche per noi, l deve essere il nostro ritiro col Figlio di Dio; anzi l deve essere la nostra vita; perci san Paolo dice: Mortui estis, et vita vestra abscondita est cum Christo in Deo; Siete morti e la vostra vita nascosta con Cristo in Dio (Colos., III, 3). *** La terza la consumazione e trasformazione della santa umanit di Ges in Dio. Dobbiamo considerare tre motivi che ci obbligano ad un gran distacco da tutte le cose di quaggi. La prima la giustizia di Dio, secondo la quale non abbiamo nessun diritto alle creature, poich era ben ragionevole che l'uomo, essendosi fatto nemico di Dio per il peccato, fosse privato di quelle cose che Dio aveva create e gli aveva date perch ne usasse. Cos dobbiamo usare delle creature, ma non cercare in esse godimento n soddisfazione, e sempre con la dovuta soggezione alla divina giustizia per la quale, se ne saremo zelanti, ci sentiremo indegni di usare di qualsiasi bene di questo mondo. Il secondo motivo la morte di Ges Cristo, perch se ne saremo eredi, come dobbiamo esserlo, vivremo su la terra in una disposizione di morte la quale implica privazione di tutte le cose sensibili. Il terzo motivo questo, che le creature sono in qualche maniera alla disposizione del demonio e sotto il suo potere, ed egli ce le propone perch ne godiamo; cos le propose al Figlio di Dio: Haec omnia tibi dabo (Matth., IV, 9). E ordinariamente si serve per questo della concupiscenza, e a questa dobbiamo rinunciare per fare delle cose create un uso santo. XXV Esercizio interiore per il giorno di Pasqua

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Ges risorto rimane quaranta giorni su la terra ma in istato glorioso; distaccarci dalla terra per approfittarne della grazia della Risurrezione; imitare il raccoglimento di Maria e dei discepoli. - Dalla Pasqua all'Ascensione onorare tre grandezze di Ges Cristo: la sua vita nuova; il suo stato di trionfo; la sua regalit. - Esercizio di Piet per la settimana di Pasqua: nel Sabato Santo, onorare l'anima di Ges che d principio al suo trionfo - Alla Domenica adorare la Santa Trinit mentre opera il mistero della Risurrezione; al luned, adorare Ges nella sua vita nuova; al marted, onorare le sue apparizioni; al mercoled, la sua vita nascosta; al gioved, i suoi viaggi; al venerd, la sua regalit. La nostra divozione verso Ges Cristo deve essere differente secondo la diversit dei suoi stati e dei suoi misteri, i quali sono fecondi di molti effetti di grazia e di misericordia sopra di noi. Orbene, tra questi stati, due sono particolarmente notevoli: il suo stato di patimento nella sua Passione, e il suo stato di gloria nella sua Risurrezione. Il mistero della Risurrezione cos ripieno di meraviglie che sarebbe pi conveniente adorarlo ed ammirarlo in silenzio, che spiegarne qualche particolarit, essendoch un mistero del cielo e non della terra. Ges Cristo rimane ancora su la terra per qualche tempo dopo la sua Risurrezione, conversa coi suoi discepoli e fa molte cose proprie degli abitanti della terra; ma tutto in un modo affatto divino; non pi come sottoposto alle miserie umane, ma in conformit col suo stato glorioso e con la sua vita nuova e immortale, e pertanto in una maniera contraria alla nostra bassezza ed indegnit. Per disporci a rendere omaggio a Ges risorto, dobbiamo unirci al rifiuto che Ges oppose a santa Maddalena quando questa, in un'estasi ed in un eccesso d'amore, voleva baciargli i piedi, e persuaderci che l'attacco a noi stessi ed alle cose della terra il principale ostacolo alla grazia della Risurrezione. Ad esempio della santissima Vergine, dei discepoli, e delle pie donne che cercano Ges, ritiriamoci nel silenzio, lontano dal rumore e dagli interessi mondani, e affinch possiamo per questo silenzio rendere omaggio a Ges Cristo risorto, riflettiamo che il tempo dalla Pasqua all'Ascensione ci vien dato come una grazia speciale, affinch onoriamo tre grandezze del Figlio di Dio. La prima la sua vita nuova, la quale ci merit una nuova grazia ed una vita nuova, non pi secondo i difetti della vita primitiva che ricevemmo da Adamo, ma secondo l'esempio che Ges Cristo, il quale la nostra vita, ci diede durante la sua vita su la terra. Per la Risurrezione ci vengono applicate tutte le grazie ch'Egli ci merit nella sua vita mortale, perci dobbiamo adorare la vita nuova di Ges Cristo, la quale gli d il potere di vivere non solo in se stesso, ma pure in noi che siamo i suoi membri. Aspiriamo a questa vita e ripudiamo l'altra; abbandoniamoci a questo potere di Ges risuscitato. La seconda lo stato di trionfo di Ges Cristo; perch quanto pi gli obbrobri, le umiliazioni, le calunnie e le i ignominie erano sconvenienti per la sua grandezza. santit e sovranit, tanto pi Egli compare vittorioso (non gi per Lui, ma per noi) del mondo, del peccato, della morte, del demonio e dell'inferno. Adoriamo questa potenza in Ges risorto e abbandoniamoci a Lei; preghiamolo affinch per questa potenza, Egli trionfi in noi di tutto quanto vi trovi che si opponga al suo trionfo ed alla sua vittoria. La terza grandezza ed eccellenza di Ges Cristo risorto questa, che Egli deve essere riconosciuto come Re. Bench, fin dal principio del mondo, per la sua divinit, Egli sia stato riconosciuto come tale da tutte le creature e che gli sia stato dato il titolo di Re anche durante la sua vita e persino su la Croce, Ges prende possesso del suo regno soltanto 86

nella Risurrezione; allora il Padre lo immette nella pienezza della sua regalit; allora Ges riconosce come il Padre gli conceda questo favore, e gli assoggetti il cielo, la terra e l'inferno, perch regni sopra tutte le cose. Adoriamo Ges risorto, nella sua qualit di Re; animiamoci dal desiderio che tutto sia sottoposto al suo regno, e preghiamolo in particolare di distruggere in noi il regno del peccato, onde stabilirvi il suo regno, secondo quella domanda che Lui stesso ci ispira: Adveniat regnum tuum! In tutti i giorni della Pasqua fino all'Ascensione si pu dedicare qualche po di tempo ad onorare questi tre titoli del Figlio di Dio nella sua Risurrezione, almeno due o tre volte al giorno; particolarmente al mattino, affinch passiamo la nostra giornata nella dipendenza e soggezione che dobbiamo avere verso Ges Cristo vittorioso, il quale la nostra vita e il nostro Re. Ma siccome questo mistero comprende in abbondanza misteri e circostanze notevoli, sar bene fissare per ogni giorno della settimana qualche particolarit nella quale adoriamo le azioni, la vita, le parole ed i divini stati di Ges risorto; appunto a questo fine la Chiesa, diretta dallo Spirito Santo, ci propone una successione di settimane e di giorni per glorificare Ges nella sua Risurrezione; e noi dobbiamo assoggettarci a questo ordine che Dio medesimo osserv fin dalla creazione del mondo, poich volle dedicarvi sei giorni, mentre avrebbe potuto creare tutto in un momento. Osserviamo, passando, che in cielo gli eletti adorano Dio, i suoi misteri e le loro dipendenze, in un medesimo momento e con un solo atto di amore e di godimento; e questo atto tanto pi sar puro e semplice quanto pi l'anima su la terra sar stata fedele a rendere a Dio i suoi omaggi per vie diverse. Esercizio per il Sabato santo Incominceremo col sabato. In questo giorno adoreremo l'anima di Nostro Signore mentre d principio al suo trionfo, entrando nell'esercizio della potenza delle sue vittorie. Mentre i Giudei credono che stia morto nella sua tomba, e lo calunniano come un impostore, Ges Cristo forza le porte dell'inferno e vi incatena il forte armato, libera i cattivi e li associa al suo trionfo come trofei di vittoria. Adoriamo Ges insieme con questi suoi santi compagni e a loro esempio animiamoci dal desiderio della sua presenza, pregandolo che spezzi le catene dei nostri peccati e delle nostre perverse abitudini, rendendoci schiavi del suo amore e un giorno soci della sua gloria. Per la Domenica Adoreremo la santissima Trinit mentre opera questo mistero: nel Padre adoreremo la potenza e il disegno eterno di risuscitare il suo benamato Figlio. In Ges Cristo, adoreremo il gran desiderio che il suo corpo e l'anima sua vengano riuniti per la Risurrezione; perch se i nostri Corpi e le nostre anime, i quali sono uniti per un vincolo cos fragile e cos facile a rompersi, tanto sentono e paventano la loro separazione, quanto pi doveva Ges Cristo ricercare la riunione della sua anima e del suo corpo, i quali erano uniti assieme per un vincolo cos divino che durer eternamente, atteso principalmente che in Lui non v'era nessuna causa di disunione? Adoriamo pure l'opera della Spirito Santo in questa unione e rendiamo omaggio in modo particolare a ci che avviene nel momento di questa riunione. 87

Preghiamo il Padre che risuscita il Figlio suo, che lo glorifichi per mezzo della Risurrezione; domandiamo a Ges Cristo, per la riunione dell'anima sua col suo corpo, che ci riunisca e ci incorpori a Lui; supplichiamo lo Spirito Santo che rinnovi in noi la grazia di questo mistero, che ci spogli dello spirito di Adamo, dello spirito del mondo e del nostro spirito proprio, onde rivestirci di Ges Cristo risorto. Rivolgiamoci alla santissima Vergine Madre di Dio, desiderando ed implorando con Lei questa nostra unione con Ges. Preghiamola che faccia vivere Ges Cristo in noi, perch questo il suo disegno, e ci assoggetti alla potenza di Ges risorto. Per il Luned Adoriamo Ges risorto, nella sua vita tutta nuova; rendiamo i nostri omaggi a questa vita conveniente alla sua grandezza, libera dalle bassezze della sua vita mortale, eppure fondata su gli abbassamenti di questa sua vita passibile e mortale, poich Ges non sarebbe risuscitato se non fosse morto, non avrebbe avuto la gloria del trionfo se non fosse stata schiacciato dalla rabbia dei suoi nemici; n ci darebbe grazia e forza nelle nostre tentazioni e nelle nostre tribolazioni se non le avesse sperimentate. Non sarebbe coronato di gloria se non fosse stato coronato di spine, n sarebbe esaltato alla destra del Padre suo, se non fosse stato ignominiosamente inchiodato su la Croce; per mezzo della Croce Egli sale al cielo, ma nella Croce acquista la potenza di farci ascendere anche noi lass, dopo di Lui. Adoriamo la gloriosa sua umanit non pi soggetta agli obbrobri ed alle ignominie, ma potente per tutta l'eternit e in possesso di tutti i privilegi che le sono dovuti in virt della sua unione con la divinit; quanto pi di questi privilegi ha sopportato una privazione oltremodo penosa e rigorosa, tanto maggiore l'abbondanza con cui li riceve, non solamente per s, ma per farne parte anche ai suoi eletti. Per il Marted In questo giorno adoreremo le apparizioni e manifestazioni di Ges risorto, onde renderci forti nella fede nella realt della sua Risurrezione. La Risurrezione il fondamento di tutte le grazie che Ges ci comunica per tutto quello che ci merit durante trentatr anni. Infatti, se Ges non fosse risuscitato, la nostra speranza sarebbe vana. Possiamo dunque adorare dapprima l'amore e la carit di Ges Cristo, il quale si manifesta a molti che durante la Sua Passione si erano nascosti, l'avevano abbandonato ed avevano dubitato. Egli li previene, li consola, li illumina, li rianima, li infiamma e li conferma nelle fede, parla loro parecchie volte in vari incontri e sotto varie apparenze, e vuole che lo guardino, lo osservino e lo tocchino; mangia persino nella loro presenza e dimostra che proprio Lui stesso. Infine li costituisce testi di questa gran mistero e affida loro la disposizione dei suoi tesori e delle sue grazie. Per il Mercoled Questo giorno sar dedicata ad onorare la vita nascosta di Ges durante quaranta giorni; quantunque questa vita non sia penosa per Lui, per una vita di privazione, poich Egli non ancora in possesso di quella pienezza di gloria che deve ricevere dal Padre suo quando lo far sedere sul suo proprio trono. Dobbiamo dunque adorare Ges 88

risorto, mentre si assoggetta a questa dilazione; poteva istruire i suoi Apostoli in un momento, eppure ha voluta impiegarvi quaranta giorni. Adoreremo tutti gli atti di Ges verso il Padre suo durante questo tempo e in questa giornata ci raccoglieremo ogni tanto, per onorare il divino ritiro del Figlio di Dio in questo nuovo stato. Per il Gioved Onoriamo, in questo giorno, i viaggi di Ges Cristo, e particolarmente quello che fece coi suoi discepoli di Emmaus. Adoriamo le sante istruzioni di Ges Cristo mentre si accosta a loro, li interroga e risponde alle loro domande, manifesta loro le sue verit, dispone i loro cuori ad accogliere la manifestazione della sua Risurrezione e infine si fa conoscere, dando loro, secondo l'opinione pi comune, il suo corpo e il suo sangue sotto le specie del pane da Lui consacrato. Adoriamo il Figlio di Dio nella sua qualit di Sacerdote e doniamoci a Lui in questo suo stato; umiliamoci davanti a Lui per la nostra mancanza di disposizioni quando ci accostiamo al Santissimo Sacramento; preghiamolo che operi in noi quell'effetto che oper nel cuore di quei due discepoli, cio una fede viva, un amore perfetto e una gran diligenza nel ricercare la sua gloria e nel manifestare agli altri la verit della sua Risurrezione. Per il Venerd Adoreremo Ges Cristo nel suo nuovo regno: renderemo omaggio ai segni della sua regalit i quali, quanto pi gli hanno attirato disprezzo e umiliazioni, tanto pi ora lo innalzano e tanto pi esaltano il suo trionfo. Adoriamo le piaghe di Ges che sono i segni del nostro riscatto; per queste piaghe e per il suo sangue Egli ha ottenuto grazia per noi. Adoriamo queste piaghe che sono il terrore dell'inferno e 1a condanna dei cattivi. Domandiamo a Ges Cristo che queste sacre piaghe ora siano i canali delle sue grazie sopra di noi, preghiamolo che le imprima in noi, guarisca le nostre piaghe per mezzo delle sue e per l'apertura di queste sue sacratissime piaghe ci introduca nella beatitudine eterna. XXVI Su la Santissima Trinit Siamo indegni di offrire i nostri omaggi al mistero della santa Trinit e non dobbiamo n possiamo farla se non per mezzo di Ges Cristo. - E' il mistero pi proprio di Dio e pi separato dalla creatura; inoltre la nostra vocazione cristiana di rendergli gloria, perci nostro dovere di aver una divozione speciale a questo mistero. - Nostra dignit come cristiani; come comportarci onorando questo mistero. - In primo luogo unirci a Ges Cristo, perch unicamente in Lui possiamo offrire qualche omaggio che sia gradito alla S. Trinit; la S. Trinit principio e fine di tutti gli altri misteri; il battesimo ci stato conferito in nome della S. Trinit, e la grazia del cristianesimo deriva da Dio in quanto trino nelle persone, non solo nel suo principio ma anche nella sua continuazione; per onorar Dio nella sua unit, dobbiamo rinunciare alla nostra volont per non aver pi che la sua. In secondo luogo, per onorare la societ che Dio gode in se stesso, rinunciare al nostro spirito proprio 89

e amare il prossimo anche pi di noi stessi; inoltre promuovere la gloria della S. Trinit e domandare a Ges dei cuori che onorino le tre persone divine. Il mistero della santissima Trinit cos santo, cos divino, cos augusto e cos sublime che la creatura per se stessa non ha n diritto n potere di rendergli i suoi omaggi. Ges Cristo solo degno per se stesso di rendere a Dio gli omaggi che merita per la sua santissima Trinit. Prima dell'Incarnazione questo mistero era coperto e velato per tutti; che se un piccolo numero di profeti con la luce dello spirito di Dio, ne scoprirono qualche indizio, ci non fu che in vista e in considerazione del mistero dell'Incarnazione, il quale rese la terra degna in qualche modo di aver relazione con un mistero cos elevato. Infatti, dopo che il Verbo eterno si fu fatto uomo e che per la sua unione con la nostra umanit ci ebbe attirati in Lui e nel suo spirito, allora Dio incominci non solo a rivelare questo divino mistero, ma pure ad obbligarci a rendergli grandi omaggi, di cui non siamo capaci se non per mezzo del Verbo incarnato e nel Verbo incarnato. Perci abbiamo grandi doveri verso Ges Cristo e dobbiamo usare fedelmente di un mezzo cos degno come il Figlio medesimo di Dio, per il fine cos sublime di onorare degnamente il mistero della santa Trinit. Ges Cristo solo il nostro vero tesoro nel quale possiamo attingere tutta la capacit di onorare un s adorabile mistero. *** La prima ragione che ci obbliga alla divozione verso questo augusto mistero, questa, che il mistero pi separato dalla creatura e pi proprio di Dio. Tutti i misteri di Ges Cristo, come l'Incarnazione, la Nativit, la vita nascosta di Ges Cristo, anche la sua Risurrezione e la sua Ascensione al cielo, hanno la loro fonte nel mistero della SS. Trinit, ma vennero tutti operati per il nostro bene e il nostro vantaggio, o per la glorificazione della santa umanit di Ges Cristo; per altro questi misteri non aggiungono nulla a Dio, non lo rendono n pi grande, n pi santo n pi glorioso, perch Dio sempre uno e sempre quello; non pu acquistare nulla, non pu perdere nulla. Ma la generazione del suo Verbo nel suo proprio seno e la processione del suo Spirito Santo, ecco ci che lo rende santo, glorioso, pieno di maest e di compiacenza in se stesso e fa ch'Egli Dio. In una parola, in questo mistero sono comprese tutte le sue divine ed infinite perfezioni, e vi rinchiusa la sua divinit. Che se Dio potesse cessare per un sol momento da questa divina, immutabile ed eterna opera della generazione del suo Verbo e dalla processione dello Spirito Santo, nel medesimo istante non sarebbe pi Dio; perch in questo mistero e non altrove sta la sua grandezza, la sua potenza, la sua divinit. Solo questo mistero rende Dio infinitivamente beato senza che nulla lo possa commuovere; solo in se medesimo Egli pu compiacersi, essendo Lui solo la sua propria gloria e la sua propria soddisfazione. Per questo primo punto abbiamo doveri inesprimibili ed infiniti verso questo mistero, perch dobbiamo pensare unicamente agli interessi di Dio e non ai nostri. Che se riconosciamo gli obblighi che abbiamo verso Dio per i misteri di Ges Cristo che ci glorificano, quale riconoscenza non dovremo sentire e professare verso questo mistero che non solo ci glorifica, ma la gloria e la beatitudine di Dio medesimo? E' questo ci che fanno i Santi ed i Beati nel cielo, ed ci che dobbiamo fare anche noi su la terra, cio adorare la santa Trinit come fonte non solo della nostra gloria, ma pure della Sua propria gloria; e siamo pi tenuti a Dio perch Egli la sua propria felicit ed il suo proprio compiacimento, che non perch ci rende beati in se stesso. *** 90

La seconda ragione, per la quale dobbiamo onorare ed amare questo adorabile mistero, l'elezione che Dio nell'ordine della sua sapienza, ha fatto di tutti i cristiani, per costituirli in uno stato che si riferisce a questo mistero. Per intendere questo, bisogna considerare la condotta di Dio nella santificazione dei suoi eletti e le vie differenti ch'Egli segue sopra di loro; perch Egli santifica gli angeli in una maniera e gli uomini in un'altra. E in ci sta la gloria e la manifestazione della sua potenza, che abbia vie cos differenti per farsi onorare in modi differenti da un medesimo spirito. Dio adunque nella sua bont elegge le anime di tutti i cristiani per santificarle e rendersele gradite per la virt salutare ed efficace del mistero della santa Trinit, dimodoch la sorgente della santit e della perfezione della Chiesa sta in questo mistero; e per farci intendere questo suo disegno, Dio dispone che riceviamo la grazia del battesimo e del cristianesimo in virt di questo mistero, poich siamo battezzati in nome delle tre persone divine. Gli Angeli furono da Dio santificati per le perfezioni della sua divina Essenza, perci riferiscono se stessi a Dio considerato nelle particolari perfezioni alle quali furono da Dio dedicati; i serafini, per esempio contemplano ed adorano Dio nel suo amore increato. Parimenti tutti i cristiani i quali sono consacrati e santificati nel nome delle tre persone della santissima Trinit, debbono essere l'ordine o la gerarchia applicata a rendere omaggio a questo mistero, e ad adorare le processioni eterne che esistono nell'essenza divina. Giudicate perci quale cura non deve essere la nostra di onorare questo mistero e di dedicarci a lui. Questo dovere non soltanto un dovere generale, come per altro siamo obbligati in ogni maniera verso gli altri misteri; ma un dovere speciale, trattandosi di quel mistero verso il quale siamo debitori di tutto quanto abbiamo, poich non siamo su la terra che per onorarlo. Infatti, il carattere speciale della grazia dei cristiani e della loro gloria nel cielo, deve essere questo: che si riferiscano a Dio nell'atto in cui genera il suo Verbo e d origine allo Spirito Santo; questo deve essere il nostro distintivo, come gli angeli sono distinti secondo le varie perfezioni della divina Essenza, alle quali sono applicati. Ecco la scelta e l'elezione che Dio ha fatto di noi dopo il mistero dell'Incarnazione; Ges solo ci ha meritata una tal grazia ed una tale dignit, e prima ch'Egli ce l'avesse meritata, non solo eravamo incapaci di rendere a Dio i nostri omaggi, ma saremmo stati riprensibili davanti a Dio e respinti, se ci fossimo ingeriti da noi medesimi in una cosa cos elevata e cos santa. Il Figlio della Vergine, il quale tiene il primo posto in questa gerarchia dedicata a rendere omaggio alla santa Trinit, ce ne ha fatto un dovere, attirandoci a s e costituendoci suoi membri. *** Ci rimane da vedere come dobbiamo comportarci in questa dignit per conservarla e camminare in una via di Dio cos elevata. In primo luogo, non dobbiamo soltanto alzare gli occhi sui cori degli angeli di cui abbiamo detto, per modellarci su la loro fedelt verso Dio e su la loro rettitudine nella loro gerarchia; ma dobbiamo soprattutto tenere gli occhi fissi sul nostro Capo Ges Cristo Nostro Signore, affinch nel suo spirito siamo veramente devoti a questa mistero e la nostra divozione ne sia degna, perch nulla di ci che procede da noi degno di Dio, n la sua Maest pu accettare cosa che proceda dal nostro spirito. Perci dobbiamo rifugiarsi nello Spirito di Ges Cristo, nelle sue disposizioni, negli omaggi che rende la questo adorabile mistero, affinch ci consacriamo a lui e ci applichiamo ad 91

onorarlo. Rispetto ad un mistero cos augusto non dobbiamo avere altri sentimenti fuorch quelli di Ges, perch in questa divozione non deve esservi nulla di nostro. Anzi non dobbiamo neppur rifugiarci in tal modo in Ges Cristo, se non per sommissione a Dio, e per zelo della sua gloria, riconoscendo la nostra indegnit e la misericordia di Dio il quale si degna con ineffabile bont di accettar tanto da noi. L'Eterno Padre, infatti, approva la nostra elevazione versa questo mistero: il Figlio di Dio, la rende degna e la stabilisce Lui stesso in noi, affinch rendiamo a Dio omaggi degni di questo mistero infinito; lo Spirito Santo la rende efficace affinch, essa onori Dio in modo degno di Lui e gli guadagni anime che onorino la santa Trinit. Il mistero della santissima Trinit troppo sublime perch dedichiamo a solennizzarlo un giorno soltanto all'anno; c quantunque la Chiesa ci proponga una festa particolare in suo onore, non ha l'intenzione di limitare a questa giornata le nostre divozioni ed il nostro dovere verso la santissima Trinit. E' questo il pi grande e pi santo fra tutti i misteri della nostra santa fede; perci non sarebbe ragionevole che, mentre gli altri hanno una ottava per la loro solennit, quello della santissima Trinit non avesse per s che una giornata sola nel corso dell'anno; poich persino tutta la nostra vita deve essergli consacrata. Se la Chiesa ci propone un giorno speciale per onorarlo, ci semplicemente perch ci ricordiamo di adempiere sempre il nostro dovere. E' questo il mistero che per il primo venne predicato dagli Apostoli e onorato nella primitiva Chiesa con la maggior venerazione. La santa Trinit principio e fine di tutti gli altri misteri; da Lei derivano la Pentecoste e tutte le altre feste che celebriamo nel corso dell'anno; e ne pure il fine, perch Ges Cristo all'onore della santa Trinit indirizz tutte le sue azioni; tutto ci che fece e pat, tutto fu ad onore della santissima Trinit e per questo fine ci diede il suo spirito. Perci a questo mistero deve essere consacrata tutta la nostra vita; in suo onore dobbiamo compiere tutte le nostre azioni e divozioni; ricordandoci che siamo stati battezzati in questo mistero, e che la grazia del cristianesimo viene da Dio come Padre, Figlio e Spirito Santo. Nel battesimo Dio ci santifica applicandosi Lui stesso, alle anime nostre, secondo le sue distinzioni personali: il Padre viene in noi come Padre, il Figlio come Figlio, lo Spirito Santo come Spirito Santo. Ges Cristo dice che suo Padre e Lui dimorano nell'anima di colui che osserva la sua parola. La continuazione della grazia della stessa natura che la sua prima produzione, come la conservazione dell'esistenza una creazione continuata, poich la continuazione della grazia mette Dio in noi (113). Tuttavia non riceviamo Dio in quella maniera che da tutta l'eternit Padre, Figlio e Spirito Santo; bens come Egli tale nel tempo (114), vale a dire che riceviamo il Padre come contemplando il Figlio suo incarnato), riceviamo il Figlio come uscente dal Padre suo per venire ad abitare nella natura umana, secondo la sua parola medesima: Uscii dal Padre e venni nel mondo (Joan., XVI, 28). Riceviamo lo Spirito Santo come inviato e dato agli uomini per la loro santificazione. Questo ci servir per intendere i Padri quando dicono che il battesimo Mysterium fidei; mistero della fede, non solo perch la grazia quella che ci introduce nella chiesa, e neanche perch la fede nei catecumeni era confermata dal battesimo; bens perch nel battesimo riceviamo in noi la santissima Trinit, e con Lei tutti i misteri della nostra santa Religione. Nel battesimo, infatti, riceviamo Dio Padre in quanto invia il Figlio suo per la salvezza degli uomini; il Figlio con tutte le grazie che ha dato agli uomini tutte le azioni che ha compiute per la nostra salvezza; e lo Spirito Santo con tutte le comunicazioni di se stesso che ha fatto alla sua Chiesa.

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Una tale santificazione ci appropria e consacra a Dio come Padre, Figliuolo e Spirito Santo; fa che noi siamo in Dio e Dio in noi; ci apre il seno di Dio e ci manifesta ci che Dio vi teneva nascosto sino all'avvento del Figlio suo nel mondo. E' questa una grazia particolare alla Chiesa cristiana, e quantunque Dio abbia santificato delle anime anche prima della venuta di Ges Cristo, non le ha santificate nel nome del Padre. Neppure gli angeli nella loro prima santificazione vennero santificati in questa maniera. Non tratto qui la questione se, dopo l'Incarnazione, gli angeli abbiano partecipato a questa grazia, e se il cristianesimo abbia portato qualche cambiamento nel loro stato, ci che molto pi probabile; dico soltanto che non ebbero una tal grazia nella loro prima santificazione. Dobbiamo spesso pensare a questa grazia, a questo favore singolare che Dio ci ha fatto, e riconoscere quanto ne eravamo indegni; perci dobbiamo ringraziarne Dio con intima e profonda gratitudine, ed essere fedeli ad osservare il dovere che ci imposto di onorare la santissima Trinit. E poich ne siamo indegni come creature e come uomini, dobbiamo abbandonarci a Ges Cristo, rinunciando a noi stessi e diventando suoi membri; non abbiamo altro mezzo. Ges Cristo, infatti, ci vien dato da Dio a questo fine, e parimenti lo Spirito Santo. Tutte le opere di Dio e tutte le sue comunicazioni non hanno altro scopo (115). Dio non d il Figlio suo agli uomini se non per essere onorato prima da Lui, poi da noi; non invia il suo Spirito Santo se non per darci il mezzo di onorare la S. Trinit; l'Incarnazione non stata compiuta se non per mettere il Figlio di Dio in uno stato in cui potesse rendere onore a questo mistero. La Risurrezione non altro che il Figlio di Dio che si ritira a vivere in questo mistero e prendervi la sua vita gloriosa; l'Ascensione Ges Cristo che si ritira nella Divinit. Il Santo Sacramento un'ostia immolata in onore della santissima Trinit; tutti i misteri di Ges Cristo sono mezzi che ci vengono dati per onorare la Trinit, e fonti di grazia e di spirito per glorificarla. In tutte le altre feste noi attingiamo la benedizione di Dio per adorare questo mistero. Ma per onorarlo perfettamente dobbiamo pure rendergli l'omaggio dell'imitazione. *** Per onorare Dio nella sua unit, dobbiamo rinunciare alla nostra volont, dimodoch non abbiamo pi nessuna volont nostra, ma unicamente la sua. Dobbiamo ancora liberarci dalla molteplicit e dall'attivit del nostro spirito onde renderci partecipi della semplicit dello spirito di Dio; e rinunciare a noi stessi e ai desideri di fare la nostra volont, in tal modo che siamo pronti a fare la volont di tutte le creature piuttosto che la nostra. Infatti, non possibile che siamo uno con Dio n onoriamo la sua unit senza rinunciare interamente a noi stessi ed alla nostra propria volont. Per essere animati dal vero spirito del Cristianesimo, non dobbiamo avere altra volont fuorch quella di Dio e non far mai altra volont che la sua. Nel caso poi che non conosciamo la volont di Dio, meglio far quella di qualche creatura piuttosto che la nostra; perch la nostra propria volont deve talmente essere morta che sebbene noi vedessimo che gli altri fossero attaccati alla loro propria volont, non dovremmo perci fare la nostra per distruggere quella degli altri. Non ragionevole che noi confermiamo la nostra propria volont per distruggere quella degli altri; ma sempre meglio far quella degli altri piuttosto che la nostra, quando, si intende, non conosciamo la volont di Dio. Che se Dio con qualche segno ci manifesta la sua volont, allora dobbiamo fedelmente adempierla; e nel far cos saremo perfettamente uniti a Lui, cos come i Santi in cielo sono sempre perfettamente uniti a Dio, poich non fanno mai che la volont di Lui perch la conoscono, anzi la veggono chiaramente. Anche i Santi 93

su la terra fanno sempre, essi pure, la volont di Dio quando viene loro manifestata; e quando non la conoscono, fanno quella degli altri piuttostoch la loro propria. Ora, essendo Voi da Dio riuniti in un sol monastero, dovete tutti avere una volont sola, cio la volont di Dio, ed essere tutti perfettamente uniti in Dio. Ges Cristo ha domandato al Padre suo per noi che fossimo. tutti una stessa cosa in Lui, vale a dire, che avessimo tutti con Lui la medesima volont, il medesimo spirito, il medesimo sentimento. *** In secondo luogo, per onorare la societ delle divine persane, dobbiamo, rinunciare perfettamente al nostro spirito onde non aver pi che lo spirito di Dio. Cos pure dobbiamo essere perfettamente devoti al prossimo, a tal segno che non desideriamo mai avere n possedere nulla che non vogliamo sia interamente proprio anche al prossimo. Quanto a me, non voglio aver nessuna grazia di Dio, n qualsiasi altro bene che non appartenga a tutte le anime pi ancora che a me stesso; e prego Nostro Signore che sia davvero cos, e che io sempre appartenga al prossimo pi che a me medesimo. Tutti dobbiamo essere cos disposti; per ci Ges Cristo disse nel Vangelo: (Matth., V, 41,42) Se uno ti sforzer a correre per un miglio, va con esso per altre due miglia. D a chiunque ti chiede, a chi ti chiede qualche cosa d ancora due volte di pi ; e ci per insegnarci che dobbiamo appartenere al nostro prossimo molto pi che a noi medesimi, perch in tal modo onoreremo la societ delle divine persone in Dio (116). Dobbiamo inoltre aver un gran desiderio di rendere omaggio alla santissima Trinit tutta intera, e pregare Ges Cristo che ci doni dei cuori che adempiano questa dovere. Infatti domandargli dei cuori che adorino la santa Trinit cosa a Lui pi gradita che domandargli dei cuori che servano la sua Chiesa ed istruiscano il prossimo, perch Ges Cristo ama la santa Trinit pi che la sua Chiesa (117). Doniamoci dunque a Lui per questo e preghiamolo che ci ritiri nel suo spirito, affinch adempiamo i nostri doveri verso questo santissimo ed adorabilissimo mistero, e ci non per noi, ma unicamente in vista di Lui solo. XXVII Sul Santissimo Sacramento Obbligo di aver divozione al SS. Sacramento. - 1 - In questo Sacramento si contengono tutti i misteri di Ges, ed egli maggiormente nostro. - 2 - Qui Ges ci vien dato, non pi nella somiglianza della carne, ma nella somiglianza di Dio. - 3 - Ges nell'ostia consacrata tiene il posto della sostanza, cos Egli deve essere la nostra sostanza. - 4 - Si serve degli accidenti del pane per operare nelle anime effetti divini; cos se ci diamo interamente a Lui, operer tanti effetti di grazia e santit in noi e negli altri per mezzo nostro. - 5 - Prende come in prestito le propriet del pane onde poter esser mangiato; cos vuol vivere in noi. - 6 - Sembra rinunciare ai suoi privilegi per adattarsi al luogo e al tempo; cos vuole che noi pure, cediamo tutto a Lui. - 7 - In questo Sacramento Ges tutto a Dio e tutto alle anime, cos anche noi dobbiamo essere interamente a Dio e al prossimo. - Doveri verso il Santissimo Sacramento: adorare; offrire Ges Sacramentato a Dio; domandare a Dio tutto ci che gli domanda Ges nel SS. Sacramento. Sebbene la festa del Santissimo Sacramento non sia cos importante come quella della santa Trinit e che l'Eucaristia non sia un mistero cos santo come quello della Trinit, poich questo Dio in se medesimo e l'Eucaristia soltanto un'ostia degna di essere offerta a Dio; tuttavia se consideriamo gli obblighi che abbiamo di applicarci al mistero del 94

Santissimo Sacramento, vedremo che, in certo qual modo, sono maggiori di quelli che ci fanno un dovere di onorare e venerare gli altri misteri. Nella festa della Trinit, adoriamo Dio ritirato in se stesso ed grande misericordia da parte sua di permettercelo. Ma nell'Eucaristia Egli si espone a noi affinch lo adoriamo; ci obbliga ad onorarlo e a mettere a profitto la sua presenza; esce, per cos dire, di se stesso per venire a darci le sue grazie, si espone alla nostra vista ed alla nostra divozione. Senza dubbio, noi siamo grandemente obbligati a ringraziar Dio perch ha voluto che il mistero dell'Eucaristia fosse compiuto nei nostri tempi, ma, saremo grandemente colpevoli se non ne ricaveremo quei frutti che Dio desidera da noi. Dio ci giudicher non solo per la mancanza di rispetto e di amore ai suoi misteri, ma anche per l'uso che ne avremo fatto; perci ci domander un conto oltremodo rigoroso del mistero eucaristico nel quale trovansi riuniti assieme tutti i misteri di Ges Cristo. Il Santo Sacramento contiene tutti i misteri della vita del Figlio di Dio e in questo mistero Egli si d a noi pi interamente che in nessun altro dei suoi stati; perci dobbiamo raccogliere tutta la divozione che vorremo avere per tutti i suoi altri stati per dedicarla all'adorazione del santo Sacramento. *** Infatti, se consideriamo il Figlio di Dio nella sua eternit, vediamo che in quella si trova ritirata, per la sua grandezza, nella sua santit e maest e in una stata cos elevato che la creatura non pu parteciparvi. Se lo guardiamo nell'alto dei cieli, lo vediamo lass separato dalla terra e ritirato nella sua gloria nel seno del Padre suo, dimodoch non possiamo avervi accesso. Se anche la consideriamo quando era pellegrino su la terra, quantunque si facesse vedere alle sue creature e si donasse ad esse, tuttavia non si donava in una maniera cos intera ed assoluta come nel Sacramento dell'altare. Su la terra, infatti, Ges Cristo vero, era esposto alla vista degli uomini, i quali ne vedevano le azioni e ne udivano le parole, ma non era su la terra per darsi alle loro anime, n per entrare nella loro coscienza, n per incorporarsi con loro e fare con loro una medesima cosa. Nel santo Sacramento invece, presente non solo affinch godiamo della sua presenza, n solo perch semplicemente lo adoriamo in questo stato; ma inoltre per donarci tutto ci che Egli , i suoi misteri, i suoi stati, le sue virt, le sue perfezioni e tutto quanto si comprende in Lui. Ges Cristo nel santo Sacramento presente nella pienezza di tutti i suoi misteri e per comunicarceli; il suo scopo, entrando nell'ostia, di non uscirne mai senza essersi dato a qualche anima, non essendovi potenza alcuna che legittimamente ne lo possa trarre, fuorch la santa comunione; Egli mette se stesso nell'ostia affine di darsi interamente a noi, volendo che tutto quanto Egli sia nostro e che noi siamo una medesima cosa con Lui. Non v' dunque altro stato in cui Ges Cristo ci venga comunicato cos interamente come in questo, poich qui lo possediamo molto meglio di quelli che la videro nella sua umanit passibile e mortale; questi infatti non godevano i suoi misteri se non successivamente, gli uni dopo gli altri; qui invece, quando riceviamo la santa comunione, noi godiamo di tutti i suoi misteri assieme, e non gi soltanto all'esterno come coloro che videro Ges, ma dentro la nostra coscienza e l'anima nostra. *** Un'altra cosa da notarsi questa, che nel santo Sacramento dell'altare, il Figlio di Dio non ci viene pi dato nella somiglianza della carne del peccato, nella quale, come dice San Paolo, si trovava sulla terra, bens nella forma e somiglianza di Dio stesso. Su la terra Egli comparve in una maniera adatta alla creatura abbassata ed avvilita, nella qualit di una vita umana accomodata all'incapacit dell'uomo; adesso, nel Santo 95

Sacramento presente in una maniera propria di Dio, proporzionata alla sua grandezza e maest, degna della gloria del Figlio unigenito di Dio; perch vi stando nel seno del suo Eterno Padre (118). Su la terra, stava nell'umiliazione, nel disprezzo e in mezzo alle ingiurie delle creature; nel Santo Sacramento invece presente in tutta la gloria di Dio, nella sua potenza, nel suo Essere, nella sua eternit, infinit, grandezza, immensit, e in tutto ci che di pi grande, santo ed adorabile passiamo adorare in cielo, Perci dobbiamo presentarci davanti al Santissimo Sacramento con una riverenza ancora maggiore di quella che gli avremmo dimostrato se l'avessimo visto camminare e conversare su la terra; perch in quella stato non era ancora come adesso consumato in Dio, n ritirato nel di Lui seno e nella gloria del Padre suo, ma in mezzo all'umiliazione ed all'ignominia degli uomini, e nella somiglianza della carne del peccato. Qui, invece, non pi cos, ma tutto ritirato in Dio: Dio il suo riposo, la sua dimora, il suo trono, il suo centro; Dio lo circonda e lo investe da ogni parte; qui Ges Cristo vive in tutte le qualit e propriet della divinit. Giudicate perci quale profonda adorazione gli sia dovuta, Se noi consideriamo Ges Cristo nell'Ostia soltanto con gli occhi del corpo, certo vi vedremo ben poca cosa; ma se lo guardiamo con gli occhi della fede, vi troveremo grandezze incomprensibili ed inesplicabili, poich vi l tutto Dio, e tutto Ges Cristo vi contenuto nella sua gloria e nel suo splendore, anzi Dio medesimo nell'Ostia il trono e la gloria di Ges Cristo. *** Terza cosa da notarsi la maniera in cui Ges Cristo dimora nelle specie sacramentali; perch vi sorregge gli accidenti del pane e del vino senza la loro sostanza; il pane e il vino, infatti, non vi sono pi, ossia perdono la loro sostanza naturale e il loro sostegno, affinch il corpo del Figlio di Dio sia al loro posto, dimodoch i1 Figlio di Dio il sostegno di questi accidenti e impedisce che svaniscono. Parimenti, Ges Cristo deve essere la nostra sostanza; noi pure dobbiamo perderci felicemente in Lui dimodoch non abbiamo altra sostanza che Lui stesso, il quale deve essere il nostro sostegno e il nostro tutto; non dobbiamo appoggiarci sopra nessuno in questo mondo, ma Ges Cristo deve essere tutto noi stessi, dobbiamo essere perfettamente trasformati in Lui, consumati ed inabissati in Lui. Ges deve sorreggerei nelle vie di Dio; ch se non ci sorregge Lui, senza nessun dubbio perderemo la vita della grazia per inanizione e cadremo nel peccato. Ges deve essere il nostro appoggio e sorreggerci come sorregge le specie del pane e del vino nel S. Sacramento; e noi dobbiamo abbandonarci nelle sue mani, a guisa di questi accidenti, con l'intenzione di non essere nulla da noi medesimi, ma che in noi Egli sia tutto. *** Un'altra casa da notarsi ancora rispetto al Figlio di Dio in merito alle specie sacramentali l'uso divino ch'Egli ne fa nelle anime: per mezzo di quelle Egli esercita la sua azione nello spirito e nel cuore di colmo che le ricevono, e vi opera effetti di una meravigliosa santit. Parimenti, se noi ci abbandoneremo veramente a Ges Cristo, Egli per mezzo di noi stessi operer grandi effetti di grazia e di santit; se invece noi ci serviremo di noi stessi, ne useremo male, contro il disegno di Dio e per la nostra propria rovina; mentre se noi ci daremo nel completo potere del Figlio di Dio, Egli far di noi un uso divino e operer per mezzo nostro effetti ammirabili di grazia e di santit come di orazione rispetto a Dio e di 96

mortificazione rispetto a noi ed alla nostra carne, vale a dire, compir in nei per mezzo nostro delle opere e delle azioni contrarie all'Adamo vecchio ed alla vita terrena. Ges Cristo operer pure per mezzo nostro effetti di grazia rispetto al prossimo; se ci terremo come semplici strumenti nelle sue mani, serviremo molto alla santificazione del prossimo. Perci dobbiamo rimetterci interamente nelle sue mani, conservandoci nella sua dipendenza ed alla sua disposizione come gli accidenti del pane che non hanno nessun potere se non per la divina potenza di Ges. *** Considerate inoltre come nel Santo Sacramento il Figlio di Dio prende come in prestito le propriet del pane onde poter essere mangiato; e con ci ci insegna che vuole pure appropriarsi tutta la capacit e tutta la propriet che noi abbiamo di operare e di agire interiormente verso Dio, ed anche la potenza che abbiamo di operare esternamente, affinch Lui medesimo operi in noi tutte le funzioni, e che prenda persino possesso della capacit che abbiamo di vivere su la terra (119), affinch Egli viva in noi al posto di noi stessi, e insomma che Egli faccia in noi tutto, tutto ci che siamo capaci di fare come creature, che viva in noi, patisca in noi, pratichi in noi la virt, affinch in vita e in morte Egli in noi sia tutto e faccia tutto per mezzo di noi, al posto di noi medesimi (120). *** Ges Cristo nel Santo Sacramento trovasi estremamente umiliato nel circondarsi di specie cos fragili e vili come quelle del pane e del vino, e nel prendere in prestito le qualit del pane per comunicarsi a noi, Lui che per la sua grandezza cos sproporzionato con una tale piccola specie. Nostro Signore Ges Cristo, infatti, ora gode di tutte le propriet di Dio, quindi invisibile, e perci per Lui una grande umiliazione prendere in prestito la visibilit del pane e appropriarsela, affinch per questo mezzo possiamo in certo qual modo vederlo, Ges, nella sua sostanza, sta nell'invisibilit di Dio, perci non pu cadere sotto il nostro sguardo; n possiamo toccarlo, perch Egli possiede tutte le qualit degli spiriti e del corpo glorioso: la chiarezza, la sottigliezza, l'agilit e l'impassibilit. Parimenti, nella sua sostanza, non pi sottoposta n al tempo n al luogo: il suo luogo proprio l'immensit di Dio, ed Egli ora in tutta l'eternit di Dio. Orbene vediamo che nel Santo Sacramento Egli rinuncia per cos dire a questi privilegi; abbassandosi ed umiliandosi sino ad essere circondato e rinchiuso da un'ostia cos piccola e da accidenti cos meschini. Qui si assoggetta pure al tempo, poich si sottopone al tempo che l'ostia durer, e vi dimorer fintantoch gli accidenti non saranno corrotti; cos Egli prende in prestito tutte quelle qualit basse ed umili della creazione, che a motivo della sua grandezza infinita non ha nella sua sostanza, affine di comunicarsi a noi e di dare tutto se medesimo alle anime nostre. Questa ci obbliga infinitamente a cedere tutta a Lui, poich Egli vuole appropriarsi tutto, e ad abbandonarci interamente a Lui poich ha voluto darsi tutto nelle nostre mani, rendendosi, per il nostro bene, visibile e palpabile. *** Altra disposizione in Ges Cristo nel Santo Sacramenta: non appartiene pi a se stesso, ma tutta a Dio e tutta alle anime nostre. A Dio tiene rivolti tutti i suoi pensieri e tutte le sue intenzioni, e si offre in continuo sacrificio, tutto consumata per la gloria di Dio. Si d pure tutto alle anime senza nessuna riserva e sebbene non tutte le anime vengano a riceverlo ogni giorno, Egli non tralascia di dimorare nell'Ostia, sempre pronto a darsi in ogni istante. 97

Perci dobbiamo sempre aver la volont di riceverlo; ma dobbiamo pure essere con Lui animati dalle medesime sue disposizioni, unirci al suo Sacrificio, sacrificandoci interamente con Lui e per mezzo di Lui: a Dio rivolgere tutti i nostri pensieri, tutte le nostre intenzioni e tutti i nostri propositi, appartenendo in tutta a Lui e in nulla a noi medesimi. Inoltre, con Ges Cristo ancora dobbiamo donarci in tutto al nostro prossimo, poich non abbiamo nulla che non sia anche propriet del prossimo in virt del dono che Nostro Signore gli fa di se medesimo: c'incombe pertanto la stretto dovere di essere pronti a servire il prossimo e a darci interamente a tutti, perch tutti siamo membri gli uni degli altri, quindi tutto comune fra noi, senza che possiamo riservarci nulla; e nel nostro cuore dobbiamo sempre essere disposti e pronti a dimenticare noi medesimi e a sacrificarci per gli altri. Animiamoci dunque con Ges Cristo da tutte queste disposizioni. Consacriamoci a Lui per onorarlo nel suo stato sacramentale e preghiamolo di prendersi, Lui medesimo, pieno padronanza sopra di noi e di appropriarsi tutto ci che siamo, affinch viva ed agisca in noi invece di noi medesimi. *** Credo bene spiegare gli atti che dobbiamo fare durante il tempo che passeremo davanti al Santo Sacramento esposto; possono ridursi a tre: adorazione, oblazione, domanda. Il primo l'adorazione, la quale deve essere rivolta a tutto quanto compreso nel Santo Sacramento; l infatti si trovano tutti i misteri di Dio e di Ges Cristo: il Padre nell'atto di generare il Figlio suo il Padre e il Figlio nell'atto di dare origine allo Spirito Santo, la Spirito Santo come mutuo amore delle due prime persone e un medesimo Dio con loro. Nel santo Sacramento troviamo tutte le perfezioni divine, e Dio in tutte; dimodoch l vi tutto quanto Dio , la sua potenza, la sua purezza, la sua santit, la sua grandezza, la Sua infinit, insomma tutto quanto v' in Dio e tutto quanta Egli opera in se medesimo, come abbiamo detto. Pertanto dobbiamo prendere per soggetto di adorazione, in questo Sacramento, tutto ci che Dio , le sue processioni eterne, le sue perfezioni, il suo Essere; la sua vita e tutto ci ch'Egli in se medesimo; dobbiamo inoltre adorare tutti gli effetti di queste medesime perfezioni, gli effetti della sua purit, della sua santit, della sua potenza, ecc., vale a dire adorare Dio in quanto per le sue perfezioni compie opere o misteri che a Lui si riferiscono in tale maniera, o come onnipotente, o come la purezza medesima, la grandezza, la santit, e cos degli altri attributi. L'eternit non baster per adorare tutto quanto si contiene nel santo Sacramento, poich Dio tutt'intero vi compreso; perci dobbiamo dedicarci molto adesso alla adorazione, poich tale il disegno di Dio e di Ges Cristo. Ges rimase appunto sulla terra a questo fine, perch la creatura gli rendesse i suoi omaggi per tutto ci che Egli per tutto ci che ha fatto; pertanto, il primo dei nostri doveri l'adorazione. Il secondo atto l'oblazione, ossia l'offerta a Dio del santo Sacramento, perch non contiene solamente ci che dobbiamo onorare ed adorare, ma anche il mezzo di poter compiere le nostre adorazioni in una maniera, degna di Dio. In questo Sacramento noi troviamo tutto ci che dobbiamo a Dio, A Dio, infatti, dobbiamo l'amore; orbene nell'offrirgli il Santo Sacramento, noi gli offriamo non gi: un amore creato, un amore qualsiasi, ma l'amore increato che in Nostro Signore Ges Cristo, l'amore del cielo e della terra, degli angeli e degli uomini, l'amore e il compiacimento dell'Eterno Padre. 98

A Dio dobbiamo la lode; orbene, nello offrirgli il Santo Sacramento, noi gli offriamo non gi una lode limitata e ristretta nella comprensione dello spirito umano, ma gli offriamo la lode eterna e l'espressione di tutte le sue grandezze, ossia il suo unigenito Figlio per il quale Egli esprime tutto ci che Egli da tutta l'eternit; il Figlio di Dio in questo Sacramento si offre, Lui medesimo, al Padre suo per essere la sua lode su la terra. Infine, tutto quanto vorremmo offrire a Dio e di cui non abbiamo da noi stessi il potere e la possibilit, lo troveremo in questo Santo Sacramento, nel quale Ges Cristo ci ha lasciato se stesso con tutto ci che Egli e con tutte le sue disposizioni verso Dio; in tal modo vi troveremo lode, amore, adorazione, ed anche contrizione per i nostri peccati; in una parola, tutto Ges Cristo, il quale per Dio deve essere ogni cosa. Io credo che sant'Ignazio martire, in questo senso dicesse che Ges Cristo era il suo Amore; perch chiamando Ges Cristo con questo nome, non solo intendeva che il Figlio di Dio era l'oggetto dei suoi affetti, ma pure ch'Egli era il suo amore verso Dio; poich Ges Cristo non solamente ama Dio, ma l'Amore medesimo. Questo punto pi difficile ad intendersi che gli altri; ma basta che ne facciamo buon uso, e tributiamo a Dio, per mezzo del Santo Sacramento, tutto quanto gli dobbiamo. Dobbiamo dunque offrirlo a Dio e in pari tempo offrirci noi pure unendoci all'oblazione ed al sacrificio che il Figlio di Dio vi fa di se medesimo, entrando in Lui in quanto amore, lode, la nostra contrizione e il nostro odio al peccato, rivestendoci di tutte le sue disposizioni di riverenza, di adorazione e di sommissione e cos delle altre e soprattutto nel suo spirito di orazione. Il terzo atto di domandare a Dio tutto quello che Ges Cristo gli domanda nel Santo Sacramento. Uno dei nostri principali doveri verso i misteri di Dio e di Ges Cristo, lo zelo della gloria e del trionfo di ciascuno dei detti misteri. Orbene Cristo nel Santo Sacramento infiammato di un tal zelo e ne dobbiamo essere animati noi pure con Lui. L Egli prega continuamente per il trionfo su la terra di tutti gli stati della sua vita, delle sue virt e delle sue perfezioni; dobbiamo dunque noi pure pregare con Lui per le medesime intenzioni; dobbiamo pregarlo Lui medesimo, in quanto risiede nel Santo Sacramento per effettuarle nelle anime in cui trova questo zelo. XXIII Esercizi interiori per la festa e l'ottava del Santissimo Sacramento Ges vuole che onoriamo anche il suo riposo nel SS. Sacramento. - Considerare per ogni giorno dell'ottava una qualit di Ges Cristo da onorare e una virt da praticare. - Ges Cristo: Dio, Redentore, Re e giudice, Sacerdote, Vittima. Pastore, Luce e Capo, Pane. Virt: Fede, Speranza, Obbedienza e Contrizione, Castit, Mortificazione, Carit, Umilt, Povert. *** Dio, rispetto alla creazione dell'universo, non si contentato che lo onoriamo per le divine operazioni ed i prodigi della sua onnipotenza nell'opera dei sei giorni, ma ci invita pure ad onorare con un omaggio particolare anche il suo riposo, ossia a santificare il giorno in cui termin quella grand'opera. Con maggior ragione possiamo dire che Ges Cristo non solo desideri che ammiriamo le meraviglie da Lui operate nell'ordine della natura come in quello della grazia durante la sua vita su la terra, ma vuole inoltre che rendiamo omaggio al suo riposo ed alle divine qualit che la fede presenta alle nostre adorazioni nel Santissimo Sacramento dell'Altare, in cui dobbiamo contemplarlo ritirato nella sua santit, e lodarlo in silenzio. A questo fine, per ogni giorno di questa ottava, vi 99

proporremo da meditare una qualit di Ges Cristo, e una virt da praticare, onde ricevere i divini effetti di questo inestimabile mistero. Primo giorno DIO. - Nel Santo Sacramento sta Ges Cristo, Dio consustanziale e coeguale al Padre secondo la natura divina. Quel medesimo che riposa nel seno del Padre, ed lo splendore del Padre, il suo Verbo, la sua immagine, quel medesimo che adorato dagli angeli nel cielo, riposa pure in questo adorabile mistero e sta nascosto sotto le specie del pane e del vino. FEDE. - Per onorarlo in questo stato, gli diremo con gli apostoli: Domine, adauge nobis fidem; Signore, accrescete in noi la fede . Faremo atti di fede su le diverse circostanze di questo Sacramento; ora in forma di adorazione, ora in forma di oblazione di noi medesimi alla sua suprema potenza, altre volte come atti di amore verso una tale infinita bont, col proponimento di amarlo sopra ogni cosa e di procurare in ogni cosa la sua maggior gloria. Secondo giorno REDENTORE. - Con profonda ed intima devozione veneremo una seconda qualit di Ges Cristo nel Santissimo Sacramento, quella di Salvatore e Redentore. Ha conquistato questa qualit coi suoi travagli, coi suoi dolori, con l'effusione del suo sangue e la sua morte. A Lui apparteniamo come schiavi, ed Egli ha diritto di disporre di noi a suo piacimento. In questo giorno ci faremo un dovere di presentarci sovente a Lui come schiavi; lo ringrazieremo di averci liberati dalla schiavit del peccato; lo pregheremo di dominare e ridurre in schiavit tutte le nostre passioni e la nostra volont ribelle; l'adoreremo come nostro supremo liberatore e gli offriremo tutto il bene che facciamo merc la Sua grazia; protesteremo di amarlo con tutto il nostro cuore, in riconoscenza dell'amore che ci ha portato sino a dare per redimerci la sua vita, la quale vale di pi dell'eternit degli angeli e degli uomini. SPERANZA. - Onde renderci partecipi dei frutti della Redenzione, in questo giorno faremo frequenti atti di speranza ad esempio di Giobbe: Credo quod Redemptor meuus vivit, reposita est haec spes mea in sinu meo; Credo che il mio Redentore vivo, e nel mio seno conservo questa speranza . E con Davide: Ges! Voi, la mia speranza fin dai miei teneri anni, e sino all'estrema vecchiaia! - Quando pure tutti gli eserciti nemici mi assalissero, non avr paura nel combattimento; in Lui sperer; quando mi assalir lo scoraggiamento, gli dir: Signore, in Voi ho posto la mia speranza (Ps., III; XXI; LXXII; LXXVII). E con gli Apostoli, sul mare: Signore, salvateci, ch periamo. Terzo Giorno RE E GIUDICE. - Onoreremo Ges Cristo nella sua qualit di Re e di Giudice, Egli sta nel Santissimo Sacramento come nel suo trono regale e nel suo tribunale donde vede tutto e regge il cielo e la terra; penetra sino in fonda delle coscienze e tutto giudica nella sua verit. Riconoscendo in Ges Cristo queste due qualit, e rallegrandoci della sua gloria nascosta che si manifester un giorno per gaudio dei buoni e cruccio dei cattivi, 100

faremo un atto di contrizione per aver cos spesso ostacolato in noi il regno di Ges Cristo, col lasciarvi regnare l'amore del mondo, delle creature e di noi medesimi. Invocheremo frequentemente la potenza con cui Ges Cristo vuole, per questo mistero, regnare Lui solo in noi, dicendogli: Adveniat regnum tuum! Stabilite per sempre in me il vostro regno! O Ges, mio Signore! Quando vi cercavano per farvi re, vi nascondevate; ma adesso Voi vi presentate a noi su l'altare, affinch vi riconosciamo e vi accettiamo come nostro vero ed unico re, affinch paventiamo i vostri giudizi e lavoriamo ad emendarci delle nostre colpe quotidiane. OBBEDIENZA E CONTRIZIONE. Faremo in questa giorno frequenti atti di obbedienza e di contrizione. Domanderemo perdono di tutte le nostre disobbediente; considerandone le pi notevoli per eccitare in noi un gran pentimento dei nostri peccati e delle nostre ingratitudini verso la bont infinitamente amabile dei nostro Re e Giudice. Gli diremo con Davide: Non entrare in giudizio col tuo servo, o mio Signore (Ps. CXI, II); e col pubblicano: Dio abbiate piet di me peccatore (Luc., XVIII, 13). Faremo il proponimento di obbedire sempre al nostro divin Re con puntualit e perfezione, in tutti i suoi comandamenti e in tutte le sue sante volont, tenendo scolpite nel nostro cuore queste parole di Samuele a Saulle: L'obbedienza pi gradita a Dio che tutte le vittime . (I, Reg., XV, 21). Quarto giorno SACERDOTE. - Considereremo Ges Cristo nella sua qualit di Sommo Sacerdote, perch ne adempie la funzione in questo mistero. Nel Santissimo Sacramento Ges prega per noi, presenta a Dio i nostri bisogni temporali, e spirituali; ce ne ottiene i favori e ce ne impartisce le grazie; l Egli il nostro mediatore vuole che l'offriamo ogni giorno su l'altare a questo fine. Come c'insegna san Pietro, Ges ci fa quattro grandi favori; per la sua virt siamo una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo di acquisto (I Petr., n, 9), affinch possiamo esaltare le sue meraviglie. Deponiamo dunque nelle mani di Ges Cristo tutti i nostri bisogni, affinch interceda per noi e ci Dio le sue grazie onde viviamo di una vita che corrisponda alla dignit della nostra vocazione. CASTITA' - Rinnoveremo il voto di castit per il quale i religiosi, secondo il pensiero di un Dottore della Chiesa, vengono chiamati Sacerdotes Christi, Sacerdoti di Cristo. Ecciteremo in noi una vera detestazione di tutto quanto sia avvenuto nella nostra mente, nel nostro cuore e nel nostro corpo contro la purit alla quale siamo obbligati. Procuriamo di avere una grande stima della dignit del nostro stato per il quale siamo consacrati a Dio che ci rivolge queste parole: Siate santi perch sono santo (Lev. XI, 43); Siate perfetti come perfetto il 'Vostro Padre celeste (Matt., V, 48). Preghiamo Ges perch ci distacchi dalla terra, ci confermi nel suo servizio, e per l'effusione del suo prezioso sangue, ci purifichi di tutti i nostri peccati, affinch lo serviamo in santit e giustizia tutti i giorni della vostra vita. Quinto giorno VITTIMA. - Contempliamo Ges nella sua qualit di Vittima e di Agnello di Dio che porta i peccati del mondo. 101

Ges ha tutte le qualit del vero Agnello: innocente, umile, dolce, paziente, semplice e pacifico. Procuriamo, come ci avverte san Paolo, di presentargli i nostri corpi e i nostri cuori come vittime viventi per Dio, sante e a Dio gradite (Rom. XII, I) per mezzo di Ges Cristo, e morte a se medesime e al mondo. - Sacrifichiamo a Dio un sacrificio di giustizia; offriamogli un cuore contrito ed umiliato; presentiamo alla sua divina maest un sacrificio di lode, l'incenso delle nostre ferventi preghiere e l'olocausto delle nostre azioni di grazie. MORTIFICAZIONE. - A questo effetto, praticheremo le mortificazioni interiori alle quali siamo tenuti per la nostra santa professione. Penseremo seriamente a queste parole di Ges Cristo: Chi vuol venire al mio seguito, rinunci a se stesso, porti la sua, croce e mi segua (Matth., XVI, 24). Se il grano di frumento non muore e non marcisce, non fruttificher; ma se marcisce, porter molto frutto (Joan., XII, 24). Faremo in questo giorno una piccola raccolta delle nostre pi notevoli immortificazioni; sono questi gli animali che dobbiamo sacrificare; presentandoli a Dio con umilt e contrizione, le immoleremo con la spada dello spirito e della parola di Dio facendo un fermo proponimento di non pi commetterle; invocheremo il fuoco sacro affinch consumi queste disgraziate vittime che sono le nostre immortificazioni e le nostre perverse abitudini. Ci metteremo risolutamente al lavoro per distruggere quanto ci rimane della vita di Adamo, per morire a noi stessi e portare la mortificazione di Ges nel nostro corpo e nel nostro cuore affinch possiamo dirgli con Davide: Per amor vostro mortifichiamo ogni giorno le nostre viziose inclinazioni, e siamo considerati come pecore da macello (Ps., XLIII, 22). Cos, ci mortifichiamo, accettando le mortificazioni che ci provengono dal nostro prossimo, dai nostri superiori, eguali ed inferiori. Sesto giorno PASTORE. - Consideriamo in Ges Cristo le qualit del buon Pastore, Principe dei pastori e Vescovo delle anime nostre. Nel Santissimo Sacramento Ges compie i tre uffici del vero Pastore: 1 - D la sua vita per il suo gregge: Fate questo in memoria della mia morte ; rinnova il dono della sua vita che ci ha fatto su la Croce e ce ne applica i meriti; il medesimo sangue viene effuso, e la terra dei nostri cuori deve essere innaffiata, purificata, santificata, consacrata e immolata dalla preziosa effusione di quel sangue del quale una minima goccia sarebbe sufficiente per salvare tutti i mondi possibili. 2 - Ges nel SS. Sacramento adempie il secondo ufficio del buon Pastore, cio regge e conduce il suo gregge, con l'adorabile cura che si prende delle anime nostre e con la sua santissima ed ammirabilissima Provvidenza, poich dal Santissimo Sacramento frequentemente e fortemente ci attira al suo servizio, con la dolce catena dell'amore; ci allontana dalle occasioni di peccato; ci svela le insidie del lupo infernale; ci porge una infinit di mezzi per perfezionarci, vincolarci sempre pi alla sua grazia, assoggettarci alla sua direzione e lasciarci reggere e condurre da Lui, affinch possiamo dire con Davide: Il Signore mi governa, nulla mi mancher . (Ps., XXII, 1). 3 - Il terzo ufficio del buon Pastore che Ges esercita nel Santissimo Sacramento, quello di aver cura dei bisogni e del nutrimento del suo gregge. Ges nutre le sue pecorelle col suo proprio sangue, dice un Dottore; ci pasce, esternamente con la sua parola e internamente con la sua grazia. Ci gener e ci partor su la Croce; mentre le madri generano nel loro seno, Ges Cristo ci gener nel proprio Cuore, siamo quindi figli del suo Cuore ed Egli ci nutre col sacratissimo sangue del suo Cuore medesimo. 102

CARITA' - In questo giorno praticheremo in modo speciale la virt della carit la quale viene chiamata il vincolo della perfezione; riconosceremo l'amore Infinito del Padre verso il Figlio e del Figlio verso il Padre, e considereremo due ammirabili effetti di questo mutuo amore: 1 il dono del suo benamato Figlio che Dio fa al mondo; 2 il dono che Ges fa alle anime di Se medesimo, dei suoi patimenti, dei suoi meriti, delle sue grazie e dei suoi sacramenti, e per riconoscenza dei tre uffici del buon Pastore ch'Egli esercita verso di noi come abbiamo spiegato, gli offriremo tre atti di amore. Il primo atto di amore sar in azione di grazie perch ha dato la sua vita per noi unicamente e puramente per amore; a Lui quindi offriremo il nostro essere, la nostra vita, tutto ci che siamo ora e tutto ci che saremo in avvenire, affinch di tutto Egli disponga secondo la sua santa volont. Il secondo atto di amore sar in riconoscenza della cura con cui ci ha cercato quando eravamo dispersi, e ci ha trovato quando eravamo perduti: Andai errando qual pecora smarrita; cerca il tuo servo, o mio Si gnore (Ps. 118, 176). Detesteremo il regno dell'amor proprio in noi e la direzione del nostro spirito proprio, onde sottoporci perfettamente alla direzione di Ges Cristo, affinch l'amore di Ges ci conduca e ci regga in tutto e dappertutto e sia il principio di ogni nostro movimento e di tutte le nostre azioni. O Ges! Siate il Dio, il Re e la luce dei nostri cuori! Il terzo atto di amore verso il buon Pastore... qui Pascit me a juventute mea il quale non si contentato di darci il latte delle sue grazie, ma vi aggiunge anche il vino che genera i vergini e ch'Egli ci ha preparato con l'ardente amore che ci porta, sar un desiderio infiammato d accostarci degnamente a questo divin Sacramento e di rinunciare a tutte le delizie della terra per inebriarci di questo vino cos squisitamente saporito. Settimo giorno LUCE E CAPO. - Ammiriamo Ges Cristo come nostra Luce e nostro Capo. Poich la nostra vera Luce, in questo giorno lo pregheremo frequentemente, dicendo con Davide: Illuminate, o Signore, le mie tenebre (Ps., XVII, ;29). Dissipate le nostre tenebre, o Signore dei lumi; noi vogliamo che siate la nostra luce e il nostro sole; dirigete spesso sopra di noi i raggi dei vostri favori; guardate con piet e compassione le nostre miserie e rimediatevi con la vostra grande misericordia. Fate, con il vostro sguardo benigno, che la terra delle anime nostre produca non solamente buoni desideri, ma buone opere e opere di luce con vera purezza e rettitudine di cuore in tutte le nostre azioni ed intenzioni. Ges Cristo pure il nostro Capo e noi siamo le sue membra. Dobbiamo dunque essere disposti: 1 ad unirci intimamente a Lui come al nostro Capo, paventando soprattutto di essere membra separate e marce. 2 a ricevere la vita della grazia che Ges Cristo Nostro Signore vuol diffondere in noi come nelle sue membra: Vivo ego, iam non, ego, vivit vero in me Christus; 3 a dipendere in tutto dal nostro Capo, affinch Ges sia il principio di tutta la nostra attivit. UMILTA' - In conseguenza di queste verit, ei disporremo in questo giorno alla pratica della vera umilt, desiderando che la virt di Ges si stabilisca ed abiti in noi. Adoreremo frequentemente il Cuore cos umile di Ges Cristo, considerando le varie umiliazioni che sopport su la terra, come il disprezzo con cui veniva offeso con gli atti e con le parole, la sua umiliazione nel lavare i piedi degli apostoli, ecc. Ecciteremo in noi un profondo stupore vedendo come venga umiliato nel Santissimo Sacramento dal disprezzo che molti fanno della sua persona, e dalle irriverenze di quelli che si avvicinano alla sua grandezza. 103

Faremo atti di umilt e prostrazioni interne ed esterne, onde offrire a Ges ammenda onorevole per tutte le irriverenze che nel corso di nostra vita abbiamo commesse alla sua presenza, e gliene chiederemo umilmente perdono. Pregheremo gli angeli che Lo assistono in questo divino mistero, di adorarlo e rendergli omaggio e gloria per noi, ripetendo tre volte a questa intenzione il Gloria Patri etc. Ottavo giorno PANE. - Nel gioved, giorno dell'Ottava, onoreremo Ges Cristo come il nostro pane: Pane del cielo, Pane di vita, Pane di Dio, Pane vivo: chi ne manger, vivr eternamente. La ringrazieremo per questa liberalit di voler essere il nostro pane; gli diremo che ci disponga a ricevere questo pane e ce ne renda degni. Ricorderemo con gran timore questa sentenza di san Paolo: Chi mangia (questo pane): e beve (questo calice) indegnamente, si mangia e beve la propria condanna (I Cor., XI, 27). POVERTA' - In questo giorno ci animeremo alla pratica della virt della povert, poich, giusto il pensiero di sant'Agostino, siamo poveri mendicanti alla porta di quel gran Padre di famiglia che Ges Cristo. Domandiamo dunque il nostro pane; riconosciamo la nostra povert poich siamo privi di ogni virt. Ascoltiamo questo gran re, il quale invita tutti gli infermi, i deboli e i poveri a questo banchetto; rivestiamoci dell'abito nuziale onde esservi ammessi; ma prima di rivestircene, necessario spogliarci di ogni attacco a noi medesimi ed alle creature, onde siamo nel numero di coloro dei quali disse Ges Cristo: Beati i poveri di spirito, perch di questi il regno de' cieli . (Mt, 5, 3). Infine preghiamo Ges Cristo che ci rivesta delle sue virt affinch partecipiamo degnamente a questa sacra mensa e ne riceviamo gli effetti. La conclusione di questo esercizio sar un fermo proposito di metterci a servire il Signore, e di camminare degnamente nella sua presenza con fedelt alla grazia della nostra vocazione, seguendo con docilit ci che Dio diceva ad Abramo: Cammina alla mia presenza, e sii perfetto (Gen., XVII, 1): APPENDICE I Abbiamo visto nella vita del Padre de Condren, dice il Padre Amelote, tante cose ammirabili... ma confesso che non v' nulla nella sua vita che mi sembri cos santo come i voti di servit e di vittima. Non sono questi una semplice professione di qualche virt, ma una raccolta e un ammirabile complesso di tutta la santit, dove si scorgono tutti gli sforzi delle virt di religione, di amore, di obbedienza e di zelo. Appena un Angelo incarnato potrebbe concepire qualche cosa di pi perfetto. E' questo uno dei pi belli spettacoli della grazia, che si possa immaginare (Amelote. Lib. II, cap. XXXI). Questi voti ricordano quello di perfezione emesso da santa Teresa, ma sono pi estesi, e sono un tal vincolo cos straordinario che spaventano la nostra povera natura. Nelle anime privilegiate che fanno simili voti, bisogna ammettere una particolare ispirazione di Dio, con una speciale azione della grazia e insieme una grande lucidit della coscienza per non cadere nello scrupolo. La, formula usata dal Padre de Condren ci far intendere la natura e l'estensione di questi voti (121). I. Voto di servit 104

Formula usata dal P. de Condren. Pensieri su la creazione; doveri della creatura. Doveri verso Ges Cristo. - Condren servo di tutti. 1 Vi adoro, mio Dio e mio Salvatore Ges, e adoro tutto quanto avvenuto ed avverr in Voi, dal momento del vostro concepimento sino a tutta l'eternit. Adoro i vostri pensieri, i vostri affetti, le vostre parole, le vostre azioni, i vostri patimenti, e il vostro riposo. Adoro tutto ci che in Voi vi di Dio, dalla vostra eterna predestinazione sino alla infinit durata della vostra esistenza. Tutto onoro in Voi, anche con lo stato e le funzioni della mia vita. 2 - Mi consacro tutto a Voi, col proposito di appartenervi in tal modo ch'io non possa pi ritrattare la mia parola. Mi impegno di appartenervi fin da questo momento e per sempre, in modo cos assoluto che non voglio pi avere la libert di disporre di me in nessuna cosa senza di Voi, sia che vi piaccia di farmi conoscere la vostra volont o che me la teniate nascosta. Aderisco in ogni maniera a tutti i vostri disegni conosciuti e sconosciuti, e ad essi mi abbandono con tutto il cuore. 3 - Intendo fare questo atto come vostra creatura e secondo tutta l'estensione dei doveri della creatura verso di Voi, poich siete un solo Dio col Padre vostro, e con Lui avete sopra di me tutti i diritti divini. 4 - Intendo di fare questo atto nello spirito e secondo la condizione di schiavo e di vittima, e, se vi degnate di permettermelo, anche come vostro membro. 5 - In tutte queste qualit di creatura, schiavo, vittima e membro , mi sottopongo a Voi secondo tutto il potere che mi avete dato di disporre di me stesso; e a Voi assoggetto l'anima mia con tutte le sue facolt, la mia carne, le mie ossa, e infine tutto ci che sono e tutto ci che dipende dal mio potere. 6 - Questa oblazione di me stesso, intendo farvela per Dio; tutto quanto vi prometto, voglio sia per la sua gloria e per i suoi interessi. Perci non voglio pi vivere che per Lui solo, per onorare le sue perfezioni, imitare la sua santit, sottomettermi alle sue sante volont e dedicarmi a quelle opere che si compiacer di affidarmi. 7 - Mi dono a Voi in questo modo, o mio Salvatore Ges, per costituirmi per sempre in tutta quella dipendenza che mi possibile verso di Voi, nella vostra qualit di Verbo di Dio, suo Figlio e suo Cristo e secondo tutte le vostre dignit. 8 - Mi voto in tutti questi termini anche per la Chiesa vostra Sposa, affine di onorarla, amarla e servirla, tanto nel suo corpo intera, come nelle sue parti, procurando con tutto il mio potere la sua gloria ed il suo vantaggio. 9 - Mi voto pure con tutto il mio cuore per la Congregazione dell'Oratorio, che voglio sempre considerare come mia Madre e mia Signora, obbedirla, servirla e dedicarmi con tutte le mie forze ai suoi interessi, senza ch'io possa mai sciogliermi da una tale assoluta dipendenza. 10 - Inoltre, mi consacro a Dio, nelle medesime condizioni, per essere servo di tutte quelle persone che si rivolgeranno a me, e per dedicarmi a tutte quelle cose di religione che si presenteranno, trattandole secondo le vostre intenzioni e nel vostro spirito; e se mi fosse possibile, in quella maniera medesima in cui fareste Voi stesso. 11 - Mi voto infine per essere soggetto a Ges Cristo secondo i doveri di creatura, come servo, come vittima, e come uno dei suoi membri; per Dio, per il Figlio suo, per la Chiesa, per la Congregazione e per tutti coloro che Dio, nella sua provvidenza, mi invier, e per gli affari che mi saranno proposti; per oppormi in ogni cosa al peccato, a me stesso, al demonio, al mondo, alla carne, alla pigrizia, all'orgoglio, alla vanit, all'amore delle cose di quaggi ed alla concupiscenza degli occhi. 105

Voto alla Vergine 1 - Mi dono e mi voto a Dio per essere pure vostro schiavo; o santissima Vergine, in quanto posso appartenervi e dipendere da Voi nella vostra qualit di Sposa e Madre di Dio Arca della Spirito Santo e Regina del Cielo; in una parola secondo tutte le vostre dignit, i vostri meriti, il vostro potere, e secondo tutto ci che vi in Voi. 2 - Voglio che tutto ci ch'io sono sia consacrato in omaggio, onore e soggezione verso tutta ci che siete Voi, secondo tutti i diritti che la vostra grandezza possa conferirvi sopra uno schiavo che intende essere a voi soggetto in ogni modo possibile; 3 - Allo scopo di unirmi a tutti i vostri sentimenti verso Dio Ges Cristo e la Chiesa, di contribuire a tutto quanto potr conoscere esservi gradito e di cooperare, secondo tutte le mie forze, a tutto quanto si riferir al vostro onore ed alla vostra gloria. *** Il Padre Amelote, per dare la spiegazione di questi voti riferiva i sentimenti del suo Maestro su la dipendenza della creatura rispetto a Dio, ricavandoli da un manoscritto e dalle istruzioni del detto Padre. Il Figlio di Dio, venuto a noi per fare di noi delle creature nuove; ma non ci dispensa dai doveri, che ci incombono in forza della nostra creazione. Quantunque ci doni una nuova nascita, non esclude la riconoscenza che gli dobbiamo per la nostra nascita naturale. Ges Cristo non distrugge la natura, ma la perfeziona e la santifica. Lui medesimo si dedicata ai doveri della creatura verso il suo Autore e ci ha meritato la grazia di soddisfarli bene anche noi. Dobbiamo considerare che da noi stessi siamo niente e che da tutta l'eternit eravamo sepolti nel nulla, senza che niente fosse capace di farcene uscire. Mentre l eravamo invisibili ad ogni sguardo, l'occhio di Dio ci fiss, e la sua voce che chiama ci che non come se esistesse, ci trasse fuori dalla tenebre della nostra origine, onde farci godere i raggi della sua luce. Questo primo effetto della sua bont fu onorato di molte grazie. Dio, non solamente ci fece dal nulla, ma ci elesse tra una infinit di creature. In una moltitudine innumerevole di idee che aveva nella sua mente, scelse la nostra onde farci partecipi dei suoi tesori. Egli aveva presenti una infinit di altre creature che gli sarebbero state pi fedeli di noi; tuttavia il suo amore ci prefer a quelle, e ci form con le sue divine mani; a preferenza delle altre delle quali nessuna risent la liberalit e la potenza di queste divine mani. Noi siamo tenuti ai nostri genitori i quali sono i ministri e non gli autori del nostro essere, n hanno potuto fare la scelta della nostra persona, ma ne sono stati solamente i depositari; quanto pi saremo debitori verso Dio, il quale ci ha tratti dal nulla, ci ha dato l'esistenza nel seno delle nostre madri, e scegliendoci per pura bont tra le migliaia di esseri che ha lasciato seppelliti nella possibilit, ha voluto che fossimo questa sostanza e questa particolare persona che siamo? Senza dubbio non possiamo a meno di stimarci fortunati di essere ci che Egli ha voluto che fossimo; e appunto di questa prima necessit dobbiamo fare una virt, virt di sottomissione e di obbedienza. Non pu esservi per noi maggior motivo di riconoscenza che di essere debitori di tutto ci che siamo unicamente alla sua volont, e saremmo troppo ingrati se non fossimo contenti della sua divina liberalit verso di noi. Se il niente fosse capace di eleggere qualche cosa, non eleggerebbe se non ci che viene eletto dal 106

Creatore; cos di noi, adesso che sperimentiamo i suoi favori, dobbiamo conformarci ai suoi disegni e dargli il nostro consenso in una cosa che non in nostro potere di evitare. L'elezione di Dio non si rifer soltanto al nostro essere, ma ne comprese pure tutte le qualit e tutte le circostanze. La sua provvidenza scelse il corpo che abbiamo, tanto come l'anima; la sua suprema potenza ci form la statura e la fisionomia, ci costitu nello stato della nostra sanit debole o robusta, ci fece svelti o lenti, allegri o malinconici; determin le qualit del nostro spirito e del nostro temperamento. La sua provvidenza non si ferm alla nostra persona, ma ordin tutto quanto a quella si riferiva: per la sua cura siamo nati dai nostri genitori; persino il tempo in cui viviamo, venne fissato dalla sua volont. A noi incombe il dovere di stare sottoposti ai suoi ordini; se non fossimo contenti dei beni che ci ha assegnati, faremmo ingiuria alla sua divina sapienza. Non tocca al vaso di creta dire al vasaio: perch mi avete fatto come sono ? (Rom. IX, 20). Pertanto non tocca ad esso gloriarsi degli ornati che lo abbelliscono. All'artefice va data tutta la gloria dell'opera sua; e poich, tanto nel nostro essere come nella nostra nascita, non v' nulla che non abbiamo ricevuto dalla mano di Dio, non possiamo gloriarcene come se non l'avessimo ricevuto (1 Cor., IV, 7). Dopo che Dio incominci a farci del bene, la sua bont non si stanc n si stanca mai; ma ad ogni istante ci d quel medesimo essere che ci diede in principio. Noi abbiamo una pendenza continua verso la nostra origine e da noi stessi ricadiamo incessantemente nel nulla dal quale siamo usciti. Bisogna che quella medesima potenza la quale ce ne trasse, continui a sorreggerci; per le nostre forze non possiamo conservare la nostra sussistenza, ma ne siamo unicamente debitori alla virt di Colui che ci diede l'esistenza. Dimodoch Dio non ci ha creati soltanto una volta, ma tutta la nostra vita non che una creazione continua e perpetua. Amiamo dunque e benediciamo quella felice condizione alla quale ci troviamo ridotti tanto per la infinit di Dio e per la sua bont come per la necessit del nostro essere, di non poter neppur per un istante, uscire dalle mani di Dio. Contentiamoci con la nostra libera volont di essere ci che siamo per necessit, desiderando con tutto il cuore di vivere e riposare incessantemente nelle sante e divine mani del nostro Creatore. L'amore del nostro Dio non si contenta di crearci continuamente, ma si unisce a noi in tutti i nostri atti, ci muove e dirige la nostra mano. Come se non avesse niente a fare fuorch di eseguire i nostri desideri, sempre pronto a prestare il suo concorso nelle nostre minime azioni. Che se Dio si riposasse, se cessasse di accompagnare la creatura nell'esercizio della sua attivit, di colpa essa si troverebbe paralizzata e inattiva. Il sole si ferma di contro a Gabaon quando Dio cessa di muoverlo; il fuoco di Nabucodonosor perde il suo calore, quando Dio cessa di riscaldarlo. Tutte le cose rimarrebbero prive di energia e l'intero universo resterebbe senza movimento, se il suo Autore cessasse di muoverlo e di partecipare a tutta la sua azione. Stiamo dunque fermi, concludeva il Padre de Condren, nella Volont di non mai far nulla se non con Dio e nella maniera che vuole Lui; la sua azione sia la vita e il principio di tutta la nostra attivit (122). Se non si trattasse che di riconoscere che siamo creati da Dio e di ringraziarlo accettando e riconoscendo i suoi doni, il voto del Padre de Condren sarebbe stato di una esecuzione facilissima. Ma il Padre de Condren nella creazione considerava il fine che in essa il Creatore si proposto; questo fine non potendo essere altro che Dio stesso, Egli 107

ordina a tutti gli esseri creati di seguire le sue intenzioni. I doni, infatti, non si possono legittimamente impiegare se non secondo il disegno di colui che li ha fatti; orbene, il dono dell'essere con tutte le facolt che ne sono l'ornamento non ci stato fatto se non perch ne usiamo per la gloria di Colui che ha creato tutte le cose per se medesimo. Perci col voto di compiere esattamente tutti i doveri che incombono alla creatura, il Padre de Condren si obbligava a non vivere mai che per il suo Autore ed a possedere i beni unicamente secondo la di Lui divina volont. Specificando ancor meglio queste verit universali, il Padre de Condren soggiungeva che l'uomo essendo creato ad immagine di Dio, questa qualit richiede che non solamente agisca per Dio come per il suo fine, ma che ne imiti la vita e la santit considerandolo come suo esemplare... Non siamo soltanto immagini di Dio, diceva, ma immagini che Dio ha consacrate a se stesso con la sua presenza, dimodoch non basta imitarlo; bisogna inoltre farlo abitare in noi, lasciarlo agire in noi, e come dice l'Apostolo glorificarlo e portarlo nel nostro corpo. *** Il Padre de Condren fu indotto a fare il suo voto di servit, specialmente da due motivi. Il primo fu l'esempio di Ges Cristo stesso, il quale sebbene la sua nascita eterna non fosse compatibile con le qualit di servo di Dio poich ne era il Figlio, n la dignit della sua persona gli consentisse di abbassarsi in una condizione che risentisse del peccato ovvero della bassezza della creatura, volle nondimeno per umilt vivere nell'abbassamento della servit. Non potendo avere n lo stato, n la natura della servit, ne prese almeno la forma; e non solo la forma, ma anche i sentimenti e gli affetti. Ges Cristo volle assoggettarsi al Padre suo come se non ne fosse stato il Figlio; port la croce e la pena dei nostri peccati come se non fosse stato impeccabile; si abbass ai piedi dei suoi discepoli come se non fosse stato il Padrone di tutto il mondo. L'esempio in Ges Cristo di un tale abbassamento cos contrario alla sua dignit, spinse il Padre de Condren ad impegnarsi con un voto, e quindi con una vera obbligazione ed una professione particolare, a quello stato di servit in cui gi ci troviamo in virt del nostro essere come semplici creature, e in forza delle nostre colpe come peccatori. L'altro motivo fu la grandezza di Ges Cristo, Ges Cristo per la sua grandezza, per molti titoli, ha diritto di padronanza e di sovranit sopra di noi; perci il Padre de Condren volle obbligarsi per voto a quella servit che era gi dovuta a Ges per la nostra Redenzione ed altri titoli. Con questo voto intendeva di darsi a Ges Cristo, affine di stare per mezzo di Lui, sempre sottomesso in ogni cosa a Dio Padre. Si obblig ad obbedire a Ges Cristo, in tal modo che Egli esercitasse sopra di lui, a suo piacimento, il potere di vita e di morte e promise di non mai contraddire la volont di Ges in qualunque momento Egli volesse usare di un tal potere. Accett tutti gli impieghi e tutte le obbligazioni che il suo Maestro si degnasse di imporgli; si offr per subire tutte quelle croci e quelle pene che si compiacesse di imporgli, Pronto inoltre a rimettere ad ogni momento nelle sue mani tutte le grazie e tutti i talenti che gli avesse affidati. N richiedette alcuna ricompensa per i suoi servizi, perch, diceva, ad uno schiavo non dovuto nessun premio. Dal voto di servit, proveniva nel Padre de Condren quella cura instancabile, di parlare di Ges Cristo e di stabilire il suo regno nelle anime; quel grande impegno di adorarne tutti i misteri e di studiarne ai suoi piedi tutte le intenzioni; quel rispetto incomparabile per tutte le parole di Ges Cristo e per tutto il Vangelo; quella divozione cos particolare per la dignit Regale di Ges e la sua sovranit sopra tutte le cose.

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Per amore del suo gran Maestro aveva, esteso il suo voto di servit anche alla Santissima Vergine Madre di Ges, perch Ges medesimo, bench fosse il Dio di questa creatura, volle esserle soggetto. In considerazione ancora del suo voto, si era sottoposto alla Chiesa, come alla Sposa e al corpo del suo Signore, come quella che risplende coi raggi del suo Sposo ed partecipe della dignit di Lui; si deve pertanto prestare la stessa ubbidienza alla Chiesa come a Ges. Da quel voto ancora proveniva nel Padre de Condren quell'ardore continuo di procurarsi la conoscenza delle grandezze della Santissima Vergine; quel rispetto e quell'amore incomparabile che le portava, e quello zelo ammirabile per il suo servizio. *** In onore, inoltre, del suo Re divino, per imitare le qualit di servo che Ges aveva preso nella sua famiglia, specialmente con l'abbassarsi a lavare i piedi dei suoi Apostoli, il Padre de Condren si rese servo della sua Congregazione. E infine, ad imitazione del Figlio di Dio il quale prest i suoi servizi a tutti senza distinzione, anzi diede persino la sua vita in ispirito di servit, per tutti gli uomini, si era obbligato con quel voto a servire tutte le anime che la provvidenza di Ges gli avesse inviate. Il Padre de Condren era sempre pronto al servizio di chiunque gli si fosse presentato e si abbandonava a tutti, dedicando il suo tempo tanto ad un fanciullo o ad una povera donnicciuola come ai pi gran personaggi. Non dimostrava mai la minima noia per le importunit anche pi indiscrete, n si lamentava per le perdite di tempo che gli causavano, n mai licenziava nessuno per liberarsene; e tutto in adempimento del suo voto di servit. Molti gli rappresentavano che doveva essere pi prudente per meglio usare del suo tempo e dare udienza a tutti, ma coi dovuti riguardi. Egli tutto ascoltava con grande umilt, poi rispondeva che non aveva diritto di fare in queste cose nessun atto di autorit. Sono il servo di tutti, diceva, ognuno ha perci diritto di comandarmi e non posso rifiutare nulla a nessuno. Accadde talvolta che, mentre si metteva in viaggio, gli si presentava qualcuno per parlargli, ed egli differiva ad altro tempo la partenza, senza dimostrare la minima contrariet; diceva poi sorridendo che non gli era mai possibile di fare la sua volont. Non avrebbe licenziato un fanciullo, neppure per dare udienza ad un principe; n si faceva mai schiavo di nessuno, ricordando che il suo Padrone Ges Cristo l'aveva riscattato a gran prezzo, come dice San Paolo, perci doveva ben guardarsi dal farsi schiavo degli uomini (I Cor., VII, 23). (Amelote, ibid., cap. XXIII). II. Voto di vittima Le vittime nell'Antico Testamento destinate al sacrificio; spiegazione e applicazione. Spirito di sacrificio nel Padre de Condren; umilt; divozione agli attributi di Dio. Estensione del suo voto di vittima. Ecco ora il punto nel quale consisteva una delle pi grandi divozioni del padre de Condren, e nel quale fin dalla sua infanzia era manifesto che Dio voleva arricchirlo delle grazie pi singolari. Dopo essere stato dai suoi genitori votato a Dio come una vittima, ed essere stato dotato, fin dai suoi primi anni, dello Spirito di sacrificio infuso nell'anima sua, 109

arrivato alla maturit dell'et e del giudizio si consacr lui medesimo a Dio ed offr se stesso a Ges Cristo per essere con Lui una medesima ostia per la gloria del Padre. Con questo voto si sottopose alle leggi prescritte dallo spirito Santo per le vittime, e non potendo osservarle alla lettera, form almeno 1'intenzione di adempierne il mistero; ossia il significato. I Giudei usavano condurre alla porta del Tabernacolo gli animali destinati al sacrificio. L un sacerdote li accoglieva in nome di Dio; e dopo, non era pi lecito n condurli al pascolo con gli altri greggi, n usarne per faccende secolari; venivano custoditi presso il tempio, n si poteva ammazzarli fuorch all'altare. Il Padre de Condren, conoscendo perfettamente i riti dell'antica Legge, e in quelli meglio ancora lo spirito che il corpo, e la verit meglio che le ombre, aveva studiato il significato di questa figura. Convinto che le parole della sacra Scrittura sono ripiene di misteri, ne intravedeva parecchi sotto quella porta del Tabernacolo; ma ve n'era uno sul quale volentieri si soffermava pi a lungo. Considerava la porta del Tabernacolo come il confine tra il Cielo e la Terra, come l'Orizzonte che divideva l'uno dall'altra. Il Cielo era rappresentato dal santuario nel quale entravano solamente i Sacerdoti, i quali erano gli Angeli del Signore; l non avevano accesso n la carne n il sangue; i sacrifizi vi erano interamente spirituali. Il cortile, nel quale stava la moltitudine del popolo ed era esposto all'aria, nel quale venivano immolate le ostie sanguinose, significava il mondo e lo stato presente in cui viviamo. La porta che divideva queste due parti del Tempio era Ges Cristo, per mezzo del quale si entra nella casa di Dio; quando si va verso di Lui, si lascia il mondo dietro a s e non si guarda pi che al Cielo. Il Padre de Condren si avvicin dunque in ispirito a colui che nel Vangelo disse: Io sono la porta, chi entra per me, sar salvo (Joan., X, 9). In Ges Cristo e come vivente in questo suo Capo, egli fece il suo voto di vittima, attraversando questo mondo senza guardarlo, per non guardar pi che Dio attraverso Ges Cristo. Entrando cos nel Santuario, fece la professione delle vittime, obbligandosi a non mai servire a ministeri profani, a non pi vivere della vita dei secolari, a non avere altra eredit che la Religione e il servizio di Dio, e a morire in sacrificio quando a Dio fosse piaciuto. La bellezza del voto di vittima non consiste solo nella promessa che contiene, ma anche nel suo spirito. Infatti, non v' quasi santit pi eminente di quella d'un uomo il quale sia morto al mondo e debba continuamente essere rivolto a Dio. Tutto nel Padre de Condren era animato dalla virt di religione, non solo le sue azioni pi importanti e il complesso della sua vita, ma anche le sue occupazioni pi ordinarie; non tollerava che vi fosse in se medesimo n un pensiero n una parola che non mirasse al sacrificio. Nel suo interiore tutto era lode e amor di Dio; le sue conversazioni col prossimo, non erano che carit; e sia che per ispirito di carit rallegrasse gli altri col dire cose amene o facesse discorsi di solida istruzione, tutto tendeva a portare le anime a Dio e a farne ostie vive con Ges Cristo. Il suo zelo per la gloria di Dio era cos ardente che per attestarne la grandezza era sempre disposto a sacrificare la sua vita, offrendosi senza posa a perderla nello spirito di Ges Cristo agonizzante su la Croce. E non era soltanto disposto a morire in tale maniera, ma ne aveva un ardente desiderio, il quale frequentemente traspariva dal lamentarsi che faceva perch ci che gli mancava, in questo mondo, diceva, era di aver persone che lo crocifiggessero. In realt, era sempre afflitto da gravi e continue croci sia interiori sia esterne; ma il desiderio che aveva di perdere la vita in sacrificio gli faceva trovar leggiere tutte le croci che non gli davano la morte. Avrebbe voluto essere privo di ogni cosa, e nessuna perdita gli sembrava sensibile, perch desiderava sempre di perdere tutto; pertanto, qualsiasi 110

perdita particolare gli sembrava cosa da nulla. Quando confortava qualche anima capace di una vera piet, la portava sempre a sacrificare a Dio le cose di cui si trovava privata; gli sembrava che non si potesse nulla rimpiangere a questo mondo fuorch di non essere inchiodato su la Croce con Ges Cristo. Una volta mentre gli si facevano pressioni straordinarie perch accettasse un beneficio ecclesiastico, rifiut costantemente e disse al suo confidente: Non voglio altro beneficio che la Croce. Non era mai cos allegro come quando aveva l'occasione di offrire qualche sacrificio a Dio. Se incontrava qualche ostacolo in qualche suo disegno o nelle sue opere, non si turbava menomamente, ma tutto accettava in ispirito di sacrificio e diceva che amava tanto gli impedimenti quanto le cose medesime . Una delle sue massime era questa: per quanto vi siano talvolta degli ostacoli che ci impediscono di fare ci che avevamo disegnato, nulla al mondo potr mai impedirci di unirci con Ges Cristo. Ch se certi ostacoli ci tolgono qualche opera buona, ci dnno il mezzo di fare di questa medesima azione un sacrificio e quindi ci uniscono meglio ancora a Ges Cristo . Non v' nulla di pi morto che una vittima, e non si pu veder nulla che sia cos tranquillo e cos libero come uno spirito il quale, con la spada della mortificazione interiore, immola veramente tutti i suoi atti e tutti i suoi sentimenti. La grazia pi speciale del P. de Condren era di annientarsi davanti agli uomini, di essere niente tanto nel suo proprio sentimento come in quello degli altri. Quando abbordava qualcuno, la sua prima intenzione era di distruggere se stesso nello spirito di esso e di stabilirvi unicamente Ges Cristo. Non ardirei dire sino a quale eroismo lo spingeva questa grazia del sacrificio. Nell'anima dei Santi vi sono certi segreti che non saranno scoperti al mondo se non da Colui che lo giudicher; bisogna aspettare che nel suo d Egli dissipi le nostre tenebre con la sua luce e metta in evidenza le intenzioni dei cuori; allora sar il perfetto panegirico dei suoi servi e ognuno ricever la propria lode vera e perfetta. Dallo spirito di vittima proveniva nel Padre de Condren quella gran divozione con cui venerava certe perfezioni di Dio, come l'infinit, la santit, la suprema indipendenza, la giustizia; a queste, diceva, e particolarmente dovuto il sacrificio. Da quel medesimo spirito derivavano pure in lui quegli incomparabili lumi sul Sacerdozio e le sue funzioni. Per altro, e ci dava una vasta estensione alla sua grazia, egli si era offerto a Dio in qualit di vittima, non soltanto per adempire verso di Lui i suoi doveri personali, ma si era votato anche per la gloria della santissima Vergine, per la Chiesa, per la sua Congregazione e per tutte quelle anime e tutte quelle opere che Dio si fosse compiaciuto di affidargli. Rispetto alla santissima Vergine, avrebbe desiderato di portarne la divozione sino ai confini del mondo... non potendo tanto, ne parlava almeno a tutti quanti era possibile, come una Vittima che volentieri avrebbe dato la sua vita a Dio in onore della santissima Sposa del Padre, Madre del Figlio. Per la Chiesa era infiammato di un amore tutto particolare, ed era solito dire che dobbiamo amarla come l'am Ges Cristo. Infatti, Ges Cristo l'am con una carit cos tenera che lo indusse ad uscire persino dal seno del Padre suo e a dare il suo sangue per averla in isposa; noi pure dobbiamo amarla con lo stesso ardore e con lo stesso zelo per servirla. Soprattutto per la Santa Sede professava non solo il massimo rispetto ma una vera tenerezza. Onorava il Clero come l'Ordine perpetuo, sul quale Ges Cristo stabil la Sua Chiesa e desiderava d'immolarsi per tutti i Sacerdoti. Teneva poi in una particolare considerazione lo spirito apostolico, il quale risiede tutto nel Capo della Chiesa e di cui 111

Ges Cristo comunica qualche particella a certe anime per suscitare nuove grazie, ovvero per ristabilirne altre le quali sono decadute e come rovinate. Noi ammiriamo Abele, Abramo, Jefte, Davide... ma quanto pi dobbiamo ammirare il Padre de Condren, il quale non fece soltanto l'offerta a Dio delle cose pi care, ma durante la sua vita gli sacrific tutti i suoi desideri, tutte le sue affezioni tutte le sue comodit, tutti i suoi amici, tutto il suo onore, tutta la sua scienza, tutte le sue grazie, e non ebbe mai desiderio pi ardente che di essere annientato per la gloria del suo Dio! (Amelote, cap. XXXIV) III. Voto di vivere come membro di Ges Cristo (123) Cosa sia vivere della vita di Ges Cristo. - Il P. de Condren viva immagine di Ges. - Vita intima e nascosta di Ges; come la imitava il Condren. - Vita esteriore e conosciuta di Ges; imitazione. Meditando la sublime teologia del grande san Paolo, il Padre de Condren aveva imparato che l'unione con Ges Cristo ci rende partecipi delle sue grazie e delle sue dignit, e che essendo noi stato seppelliti insieme con Lui, - tutte le nostre qualit primitive sono svanite nel suo sepolcro, perci non siamo pi n della Giudea, n della Grecia, n servi, n liberi... Tutti siamo uno solo in Ges Cristo (Galat. III, 28). Spiegava che essendo noi rivestiti del Figlio di Dio siamo seme di Abramo , non solo dell'Abramo figurativo, ma dell'Abramo nuovo ossia di Dio Padre, e che perci siamo figli di Dio, sebbene non si vegga ancora ci che saremo (I Joan., III, 2), vale a dire che la nostra nobilt non compare quaggi nella sua pienezza e maest. Mentre gi possediamo questa illustre qualit di figli di Dio, noi aspettiamo di godere della nostra eredit in solidariet con Ges Cristo. Essendo pertanto destinati a regnare col nostro Capo e ad assiderci con Lui sul trono della sua gloria, siamo impegnati con ogni sorta di obbligazioni, a vivere come visse Lui stesso e ad assimilarci, come vuole l'Apostolo, i sentimenti medesimi di Ges Cristo. (Philipp. II, 5). In conformit con questa dottrina di san Paolo, il Padre de Condren si obblig col suo voto a vivere come deve vivere un membro di Ges Cristo . Per questo intendeva, con san Paolo, vivere, non per se medesimo, ma per il Figlio di Dio ; non soltanto servire Ges Cristo con una divozione particolare, ma investirsi di tutte le sue disposizioni e di tutti i suoi sentimenti. Era questo ci che chiamava fare professione di Ges Cristo , e riteneva che fosse questa la pi sublime professione che si potesse fare in questo mondo. Era questo il voto che lo teneva talmente applicato a Ges Cristo che ne adorava senza posa tutti i misteri, ne meditava tutte le parole, ne seguiva fedelmente tutti i passi, insomma non lo perdeva mai di vista. Era poco per lui tener gli occhi dell'anima sua sempre fissa su le azioni di Ges Cristo e stare attento alle sue parole; penetrava inoltre nel suo Cuore e nel suo spirito e sia che giungesse a conoscere le sue intenzioni o meno, vi si univa con la fede e si sacrificava nella loro verit quale in se stessa. E' qui il luogo di far notare il carattere proprio di questo gran servo di Dio e chiamarlo con il suo vero nome secondo il suo spirito e la sua grazia particolare. Egli era propriamente una immagine, un ritratto dell'interiore di Ges Cristo ; si poteva dire che l'Eterno Padre l'aveva fatta nascere in questi tempi per rappresentarci un'idea della spirito e della vita del Figlio suo. In Ges Cristo vi sano due vie di grazia, e come due gradi ben differenti (124). 112

Dapprima, Ges Cristo, essendo Dio e la divinit abitando in Lui corporalmente , come dice san Paolo, comunicava alla sua umanit le inclinazioni divine, in modo tale che anche la vita umana in Lui era una perfetta imitazione della vita di Dio. Inoltre essendosi ridotto nella somiglianza della nostra carne e portando il peso dei nostri peccati, si era abbassata sino ad adempire i nostri doveri, e viveva quindi nell'umilt, nella penitenza, nel sacrificio e in tutti gli obblighi dei figli degli uomini. Il Padre de Condren chiamava il primo stato col nome di via divina, e il secondo con quello di via umana. Diceva che san Giovanni aveva avuta gran parte al primo, e san Paolo l'aveva avuta grandissima al secondo. San Giovanni considerava Ges Cristo piuttosto nella grandezza del Padre suo; san Paolo, nella nostra bassezza. In san Giovanni, Ges Cristo seguiva piuttosto i movimenti della sua divina generazione: in San Paolo si sottometteva a quelli della sua nascita umana; in san Giovanni si manteneva pi propriamente nella dignit della sua persona; in san Paolo operava di pi nella bassezza della nostra natura (125). I.) Faremo qui qualche applicazione rispetto alle particolarit di quel primo stato della vita di Ges. Se l'Eterno Padre aveva arricchito la anima di Ges di tutti i tesori della sapienza e della scienza infusa, era certo perch Ges era la persona del Verbo. I titoli di Legislatore, Dottore, Giudice di tutte le creature, non richiedevano minor luce per adempierne le funzioni; e una tal luce era dovuta in modo particolare alla sua qualit di Figlio di Dio, come necessario ornamento della sua grandezza infinita. Il Padre de Condren che Ges si era compiaciuto di formare come un ritratto di ci che vi era nell'anima sua divina, venne proporzionatamente insignito dei pi grandi lumi che, a mio giudizio, si siano visti da lungo tempo nelle anime pi illustri; queste conoscenze per erano per lui un aiuto ed un appoggio per la piet, ma non costituivano la piet medesima, n la giustizia. E' dunque necessario considerare gli altri raggi della Divinit in Ges Cristo onde riconoscere tutte le bellezze della sua immagine. *** Ges Cristo viveva di una vita cos santa e ritirata in Dio suo Padre, che sebbene si sentissero le sue parole e si vedessero le sue azioni, mai nessuno spirito creato pot penetrare nella profondit della sua unione con Dio. Questa intimissima unione del Cuore di Ges con la Divinit, era ci che il Padre de Condren chiamava la vita nascosta del Salvatore, e non trovava nulla nell'anima divina di Ges che fosse pi adorabile che questa incomparabile unit di spirito col Padre suo (126). Il Padre de Condren con tutto il suo cuore amava Ges in questo stato; non solo dedicava vari tempi per celebrare feste in onore di questa vita nascosta di Ges, ma s'investiva continuamente delle disposizioni intime e nascoste dell'anima divina del divin Maestro tutta occupata di Dio; e per la fede si attaccava a ci che gliene era sconosciuto pi che a ci che poteva scrutarne coi propri lumi. Mi dono a Voi, a mio Signore Ges, diceva spesso, per entrare nella vostra santit che ben al disopra di ogni pensiero, nel vostro amore che sorpassa ogni scienza, nelle vostre sante intenzioni quali sono in Voi medesimo sebbene io non sia capace di concepirle. Come vi loda, vi adora, vi ama l'anima santa di Ges, cos meritate, a mio Dio, di essere lodato, adorato ed amato e cos io pure in lei vi lodo e vi amo nella sua lode e nel suo amore. *** 113

La vita nascosta di Ges Cristo non consisteva soltanto nella inconcepibile sublimit delle sue virt che eccedevano ogni pensiero sia umano sia angelico, ma pure nella intima conversazione non mai interrotta con Dio suo Padre. Questa conversazione, in Ges, era cos attenta e cos assidua, che, sebbene Egli non mancasse in nulla a ci che doveva rispetto alle cose esteriori e adempisse ogni cosa con tutta perfezione; tuttavia le opere che compiva tra gli uomini considerate in se medesime, gli sembravano tutte niente in confronto della grandezza del Padre suo; e cos pure l'intero universo: Ges vedeva come il Padre suo fosse infinitamente adorabile ed amabile, perci ai suoi occhi il mondo intero era meno di una goccia di rugiada e del movimento di una bilancia. Il Padre de Condren, con la debita proporzione era sempre animato da simili disposizioni; si tratteneva con le persone di questo mondo, ma in pari tempo l'anima sua era cos ripiena di ammirazione per Dio e le sue verit, che tutto quanto faceva e il mondo intero gli sembravano un'ombra e un sogno; viveva in ispirito in un altro mondo, e la sua vera vita non compariva agli occhi della gente. *** Ges Cristo alla vista della santit e della purezza del Padre suo era cos santo e cos puro che non vi era nulla che fosse libero dal mondo e dalle creature come il suo spirito. Non aveva nessun attacco n agli uomini, n alle sue opere, n alle sue grazie, n alla penitenza che faceva per noi, n alla sua Croce; in una parola, non aveva attacco a niente di creato, ma Dio solo ed alle sue sante volont. Cos il Padre de Condren, specchiandosi in questa sublime santit del suo Maestro, si santificava con Lui perch Dio santo ; e considerando con Ges Cristo quanto il Padre sia applicato a se medesimo e distaccato dalle sue propri opere, si univa con tutto il cuore alla purezza interiore di Ges Cristo... sempre disposto a tutto sacrificare e ad annientare anche se stesso in onore della santit divina. *** Come Dio sussiste in se medesimo e basta a se stesso, dimodoch nulla gli necessario, n gli Angeli, n gli uomini; cos Ges Cristo trovava nel Padre suo la piena soddisfazione di tutti i suoi affetti, perci sempre desiderava di privarsi di ogni cosa per possederlo Lui solo. Cos per il Padre de Condren Dio era tutto, Dio era il suo unico tesoro; e egli guardava cos poco alle creature che non v'era oggetto al mondo che per lui non fosse noioso. Dio, diceva, il mio Mondo, il mio Cielo, il mio Sole, la mia Luce, il mio Fuoco, la mia Terra, il mio Padre, la mia Vita, il mio Riposo ed ogni cosa. *** Dio vive in una beatitudine cos perfetta che nulla sarebbe capace di turbarla o d'interromperla; parimenti Ges Cristo, vivendo secondo lo spirito del Padre suo, sebbene fosse afflitto da tanti mali, sebbene il grido dei nostri peccati, come dice la Scrittura, gli causasse un estremo dolore, nondimeno non perdeva nulla della sua pace, anzi soffriva i suoi maggiori patimenti con un intimo sentimento di felicit. Cos il nostro Padre, mirando la calma del Figlio di Dio e il continuo gaudio del di Lui Cuore, si era nutrito della medesima pace, e qualunque cosa avesse a soffrire, tutto sopportava con Ges in ispirito di beatitudine. Non v' nulla che abbatta il corpo, come le malattie, soprattutto quando sono acute; non v' nulla che accasci lo spirito come le calunnie e gli affronti, o i rigori che Dio esercita su le anime; eppure in mezzo a tali 114

avversit il Padre de Condren era sempre allegro e felice. Quando sono pi allegro diceva un giorno per un motivo di grande carit, allora sento maggior dolore. Nei suoi travagli si univa al gaudio di Ges Cristo, per vivere nello spirito di beatitudine del suo Maestro, ma inoltre per non dar dispiacere agli altri, o cagionar loro qualche dolore, procurando invece di rallegrare e consolar tutti con la sua piacevole conversazione. Era sempre di buon umore, a segno che non sembrava che soffrisse mai nessuna croce; le sue afflizioni interne ed esterne, bench gravissime, stavano nascoste sotto la dimostrazione di una continua allegria. *** La brevit della nostra vita e la nostra dipendenza dal tempo sono per noi, diceva il Padre de Condren, una gran causa d'impazienza, mentre Dio, perch eterno, n si stanca; n si impazienta per nulla. Davanti a Lui, tutte le cose del mondo passano; Egli sopravvive a quelle che muoiono, e quelle che sono future sono gi presenti alla sua eternit. Cos il passato per Lui non si perde, perch Egli ha tutto in s; del presente nulla gli manca perch Egli infinito; il futuro per Lui non lontano, perch la sua eternit comprende anche quello; perci Dio vive in una pazienza impenetrabile e in una longanimit ammirabile. In Ges Cristo, per la luce con la quale conosceva tutte le cose e per l'impressione che Dio suo Padre faceva in Lui del suo spirito di pazienza pacifica e tranquilla, l'anima era libera di quella agitazione per la quale noi ci disgustiamo di ci che abbiamo, oppure desideriamo con passione ci che non possiamo avere. La medesima eternit per la quale Dio infinito senza variazione, e per la quale tutte le sue perfezioni sono eterne come Lui, costituiva il Figlio di Dio nella disposizione di fare sempre tutto per il Padre suo; e quantunque sapesse che non doveva sempre vivere nella carne, rimaneva tuttavia nelle cose anche temporali con uno spirito di eternit. Nell'anima sua Ges era disposto a soffrire nella penitenza per distruggere i peccati del mondo, senza mai cessare; a continuare in tutti i secoli le sue umiliazioni; a prolungare senza fine l'esercizio di tutte le virt. Cos lo Spirito di Dio, perch eterno, ispira un istinto di perpetuit anche a coloro i quali, sotto la sua mozione, non hanno da compiere che azioni di poca durata . Il Padre de Condren non insegnava soltanto tali verit, ma vi conformava i suoi sentimenti e la sua condotta; e su l'esempio che contemplava in Dio, come per la sua unione con Ges Cristo, viveva in una pazienza cos ammirabile che nulla mai lo turbava, n la moltitudine delle occupazioni, n la vivacit del suo spirito. Univa il suo cuore con l'Eternit, come vuole san Bernardo, e diventava come Eterno... La sua unione con la longanimit di Dio per mezzo di Ges Cristo, mi fece sovente ammirare, tanto bene come qualsiasi altra della sua virt, l'espressione della vita divina nell'anima sua. Lo vidi colpito da gravi malattie, in mezzo a gravi persecuzioni ed oltraggi, in preda ad afflizioni di spirito che non si possono esprimere, e in tutto questo, lungi dal dare il minimo lamento, si offriva invece a Dio per soffrire sino alla fine del mondo. Non praticava nessuna virt, senza l'intenzione di continuarla per sempre se fosse stato possibile. Non domandava mai la fine di un male violento, n pensava a difendersi contro qualsiasi calunnia, non si muoveva per liberarsi da nessuna oppressione; in tali umiliazioni trovava la sua delizia e si univa a Ges Cristo, accettando, che avessero pure da durare per sempre. II.) L'altro aspetto della vita di Ges ( la sua vita esteriore) pure di una vastissima estensione; comprende, infatti, tutti i suoi misteri, le sue virt, i suoi costumi, le sue intenzioni, le sue disposizioni. Il Padre de Condren era cos esercitato in tutte queste cose 115

che, ripensandoci, mi sembra che questa vita di Ges Cristo non fosse semplicemente in lui una grazia, ma come una nuova natura. Perch Ges Cristo si era fatto infante, ed aveva espresso il desiderio che i suoi membri diventassero come infanti, egli continu, per molti anni, a domandare a Dio linfanzia spirituale, si raccomand a questo effetto a tutte le anime sante che conosceva, e si mise, con una cura speciale a studiare l'indole dei bambini. Infine egli acquist questa grazia con tale perfezione che una delle cose pi meravigliose nella sua vita era di vederlo da una parte estremamente illuminato ed elevato nello spirito, e dall'altra perfettamente bambino. Era di una semplicit oltremodo ingenua, e di una prontezza ammirabile nel fare tutto quanto si desiderava da Lui; trattava il mondo come se lo ignorasse ed era sempre gaio e piacevole; coi bambini, giocava con tutta semplicit ed era con loro umile a segno che talora domandava in certe cose il loro parere e si assoggettava al loro sentimento. Uno dei grandi esempi che ci ha lasciato il Figlio di Dio l'umilt, perci il Padre de Condren praticava questa virt come abbiamo visto in un grado cos eminente che sempre desiderava di annientarsi nello spirito di tutti quelli che lo vedevano; e non solo si abbassava al di sotto degli uomini, ma in qualche occasione s'abbass persino al disotto delle bestie. Questo santo uomo, dice il Ven. Boudon, trovandosi in viaggio fu costretto a passare la notte in una specie di canile; avendovi visto un po di paglia, la prese onde riposarsi, ma essendosi accorto che doveva servire ad un cane che stava in quel locale, la lasci all'uso di quell'animale, perch riteneva di essere per i suoi difetti e i suoi peccati, al disotto anche dei cani (127). Non basterebbe un capitolo nuovo, ci vorrebbe un altro libro per ripassare tutta la vita di Ges Cristo e spiegare con quale perfezione fosse riprodotta nel suo Servo (128). Bisognerebbe far passare tutte le et del Figlio di Dio, penetrare nel segreto dei suoi misteri; fermarsi sopra tutte le sue virt; poi ripassare tutta la vita del Padre de Condren per specificare le particolarit alle quali egli estendeva il suo voto di vivere come un membro di Ges Cristo. In una parola, non vedeva mai nulla nel suo divin Capo, che non si credesse in dovere di formare in se medesimo; contemplando in Ges Cristo la pazienza, la castit, la dolcezza, la carit, lo zelo, la religione, i patimenti, il disprezzo del mondo, il desiderio di un'altra vita, ed altri sentimenti in qualsiasi maniera, non si contentava di ritenere queste perfezioni del suo divin Maestro come oggetto delle sue adorazioni; bens le considerava come regola della propria condotta, come leggi alle quali di tutta necessit doveva conformare la sua vita (129). Perci al vedere il Padre de Condren si sarebbe potuto giudicare di aver sotto gli occhi il ritratto del Figlio di Dio; e nel considerare la bont, la franchezza, la modestia, la libert di spirito del discepolo, si sarebbe potuto farsi un'idea con le dovute proporzioni, di ci che la persona del Maestro doveva essere. La maggior parte di coloro i quali si studiano di imitare il divin Modello prendono come esemplare qualcuna delle sue azioni, ma il nostro Padre intendeva studiarle ed imitarle tutte. Anzi non considerava Ges Cristo solamente come un esemplare ed un modello sul quale dovesse formarsi tutta la sua vita, ma come un albero nel quale era innestato e per la vitale influenza del quale doveva portare tutti i suoi frutti. In tal modo era morto all'uomo vecchio per non vivere che dell'uomo nuovo; si era separato dall'ulivo selvatico per incorporarsi all'ulivo domestico; insomma, non viveva lui stesso in se medesimo; in lui viveva Ges Cristo, ed egli riteneva come una necessit di adempiere in se stesso ci che dice san Paolo, che il Figlio di Dio deve in noi essere tutto. Omnia et in omnibus Christus (Colos., III, 11) (130).

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APPENDICE II Sentimenti del Padre de Condren in morte La morte. - Deformit del Peccato. Fiducia nei meriti di Ges Cristo - Condren sotto l'impressione della santit e della giustizia di Dio. - Sua santa morte. *** Il Padre de Condren era stato soprannaturalmente avvertito della prossimit della sua morte ed aveva rinnovato frequentemente la sua intenzione di accettare la morte, nella disposizione di una Vittima sacrificata a Dio. Ma quando, nei primi giorni del gennaio 1641 cap che aveva poco da vivere, ne fu ricolmato di gioia e pens di rinnovarsi nei sentimenti di profonda umilt, di compunzione, di riconoscenza e di confidenza in Dio. Procur soprattutto di riaccendere nel suo cuore il fuoco celeste dell'Altare e port il suo spirito di sacrificio all'ultima sua perfezione. Si inabiss in un profondo annientamento di se stesso, si invest dell'infinit di Dio, della sua santit, della sua giustizia, unendosi intimamente a Ges Cristo morente su la Croce e immolato nella santa Eucaristia, e si dispose al sacrificio non solo con perfetta rassegnazione, ma con uno spirito di felicit e con una gioia tale che mai l'uguale si era vista in lui; gli sembrava che non potesse esservi per la creatura maggior fortuna che quella di essere immolata per il suo Dio. Per altro, il Padre de Condren nelle sua ingiustizia nell'uomo peccatore, il rifiutarsi la sua morte aveva reso la morte non solo santa, ma divina, e che perci non dobbiamo temerla, ma amarla. Pertanto, lungo dal cedere all'orrore naturale che essa ci ispira, dobbiamo invece considerarla con intimo compiacimento come la cosa pi consolante e pi desiderabile. Non aspett l'ultima malattia per disporsi alla morte, ma vi era sempre preparato. I suoi abituali sentimenti di obbedienza verso il suo Creatore, di servit verso il suo Signore, e di vittima verso il suo Dio lo obbligavano ad aver sempre l'anima sua nelle sue mani per cederla al primo cenno. Persuaso come era, che non apparteneva a se stesso, ma che teneva la vita soltanto in deposito e che per il peccato abbiamo meritato la morte, come mai avrebbe potuto ritenere, anche per un solo istante, un bene che non gli apparteneva? Poich l'uomo nasce colpevole, diceva, deve sempre stare nell'attesa del suo supplizio e considerarsi come un delinquente contro il quale la condanna a morte gi stata pronunciata. Non v'ha nulla di pi umiliato di uno che si trova in una simile condizione. Non ha pi diritto a nulla, n ai beni, n all'onore, n alla vita; non pu lamentarsi di nulla, per quanto possa essere disprezzato; non pu aspettarsi che obbrobrio e dolore. Ecco lo spirito in cui dobbiamo passare tutti i giorni della nostra vita. La nostra condanna alla morte gi stata pronunciata dalla bocca di Dio medesimo contro noi tutti nella persona del nostro primo padre. Se rispettiamo il Giudice supremo e ci conserviamo nello stato in cui ci ha ridotti quella irrevocabile sentenza, ci considereremo sempre come vittime della Giustizia divina e scacceremo dal nostro cuore ogni desiderio delle cose di quaggi, tanto della vita, come dell'onore. Noi siamo davanti a Dio nella condizione di un ministro reale condannato alla morte ed alla confisca dei beni per diritto di lesa maest, al quale il re, senza fargli grazia, concedesse a proprio piacimento una dilazione nell'esecuzione della condanna e intanto gli accordasse l'uso dei suoi beni. Se questo ministro fosse un uomo retto, vivrebbe in una 117

continua confusione per il suo delitto, e aspettando ogni giorno la morte, non mancherebbe intanto di adempiere esattamente quegli uffici che il principe si degnasse ancora di affidargli. Cos di noi; il nostro supplizio differito, n sappiamo per quanto tempo, ma inevitabile; dobbiamo dunque tenerci sempre pronti, ma intanto vivere e lavorare unicamente per l'interesse di Colui che ormai il vero padrone della nostra vita e dei nostri beni. Considerava dunque come una grande ingiustizia nell'uomo peccatore, il rifiutarsi a subire la pena dei suoi delitti; accettarla, invece, secondo le intenzioni del suo Creatore e Signore, era ai suoi occhi un obbligo stretto e salutare. In tal modo, diceva, la morte cessa di essere ci che , per diventare il ristabilimento dell'ordine e la riconciliazione dell'uomo con Dio. Accettata in questo modo, la morte un gran vantaggio per il cristiano perch mette fine alle sue colpe. Se i reprobi fossero illuminati da una vera luce amerebbero pure la morte come un favore per la loro eternit, perch fermerebbe il corso dei loro peccati; i quali, senza questa barriera, li precipiterebbero in una dannazione ancor pi spaventevole (131). Ma, se i peccatori non riconoscono il vantaggio della morte neppure per i propri interessi, i figli di Dio ne stimano il Prezzo per l'interesse del loro Padre Iddio; poich vedendo con un'odiosa esperienza, che non passano giorno senza peccare, siccome non v' male che per loro sia insopportabile come la offesa di Dio, sono persuasi, con san Paolo, che la morte per loro un guadagno (Philipp., I, 21) perch un gran lucro evitare l'accrescimento del peccato. Ad un tale orrore del peccato per il quale sospirava la dissoluzione del suo corpo, si aggiungeva nel Padre de Condren il desiderio della vita nuova, il quale con incredibile ardore riattivava la sua brama di giungere a quel termine che l'ingresso in quella vita felice. Egli viveva sempre in questo pensiero che, essendo per il battesimo divenuto una nuova creatura, per lui non v'era nulla a questo mondo, ma tutto per lui era nel seno dell'Eterno Padre, dove la sua vita era nascosta con Ges Cristo. Questo spirito della vita divina dal quale era tutto pervaso, lo portava a considerarsi in questo mondo come in un esilio, dove non trovava nulla che potesse distrarlo dal pensiero della sua diletta patria, nulla che potesse tentarlo, n rendergli sopportabile la vita, fuorch l'obbedienza al suo Creatore e la speranza di soffrire su la terra per il servizio del suo Dio e d'immolarsi ad ogni momento per la di Lui gloria. Viveva dunque come morto a tutto ci che non era la vita in Dio con Ges Cristo. Ogni giorno al santo altare si offriva con Ges Cristo per subire un giorno nella realt questa tanta sospirata separazione da tutto quanto creato. L'augusto Sacramento, centro e dimora ordinaria del suo cuore, dove sempre vedeva la divina vittima sotto le immagini della morte, accendeva in lui lo zelo di perdere la propria vita in onore della santit del suo Dio; e una tale disposizione cos perfetta, la quale era stata quella di quasi tutta la sua vita, si faceva sempre pi intensa, via via che si avvicinava il termine in cui il Signore avrebbe effettivamente accettato la sua immolazione. *** Essendosi aggravato nell'ultimo di dicembre, consider il fuoco della febbre che lo consumava come quello che doveva immolarlo alla divina giustizia, e vi si offr con tutto il suo cuore come una vittima meritevole dell'esecrazione degli angeli e degli uomini. Compreso da un orrore vivissimo per i suoi peccati, si riteneva indegno di appartenere a Ges Cristo, ma si conservava fermo in una perfetta fiducia, la quale, sollevando il peso 118

della sua umilt, lo portava a ritirarsi in ispirito nell'interiore di Ges Cristo per finire la Sua vita nelle medesime sante disposizioni in cui Ges Cristo medesimo l'aveva terminata. Considerando che Ges si era offerto al Padre suo in azione di grazie per il bene da Lui fatto a tutte le creature, anche alle pi perverse, si persuase che doveva unirsi al Salvatore per adempiere questo dovere verso Dio, e sebbene vedesse che, per la violenza del male, aveva poco da vivere, tuttavia impieg una intera giornata nelloffrire i suoi ringraziamenti alla divina bont. Ripass dunque con amore e viva riconoscenza, come per altro era solito fare i doni che aveva ricevuti dalla liberalit del Signore; e per ciascuno in particolare, ringrazi con grande effusione di cuore, col desiderio, se fosse stato possibile, di annientarsi davanti a Dio onde attestargli la sua gratitudine. Tuttavia, convinto che la creatura incapace di glorificare degnamente il suo Autore, fece ricorso al suo ordinario supplemento, cio a Ges Cristo, e per sdebitarsi verso la Maest infinita offr il sangue e la morte di Ges e la riconoscenza del di Lui divin Cuore. *** Dopo il dovere dell'azione di grazie si rese partecipe di un'altra disposizione di Ges Cristo, dell'odio del peccato. In tutta la sua vita, era sempre stato animato da questo sentimento; anzi nella formula dei suoi voti di servit si era espressamente offerto al Signore per opporsi in ogni maniera al peccato. Quando commisi qualche peccato, diceva in un piccolo scritto per suo uso particolare, ebbi la volont (132), per l'intima malizia del mio cuore, di distruggere Dio e ridurlo al nulla per quanto fosse stato in mio potere; e sebbene sia impossibile che l'Eterno perisca, n che soffra mai il minimo danno, tuttavia il veleno nascosto nelle mie offese ebbe tanta malignit da prendersela con l' Essere e la vita divina. E' indubitabile che coi miei peccati cospirai contro la vita del mio Dio. Ho dunque piantato un pugnale mortifero nel mio proprio seno e nel seno di tutti gli esseri possibili, poich mi sono inoltrato a distruggerli sin nella loro prima sorgente. N il mio furore si contentato di volerli spogliare del loro essere creato; ho esteso la mia crudelt persino su quell'essere sopraessenziale che possiedono nella divina Essenza. Dimodoch, se fosse stato in mio potere, avrei prevenuto persino la loro idea e tutta la loro possibilit; e mi sono reso colpevole di un attentato cos vasto e immenso ogni volta che mi sono lasciato trascinare al peccato (133). E concludeva che nell'universo, dal Creatore sino all'ultimo degli esseri, non v'era nulla che non gridasse vendetta contro di lui. Perci quando si preparava alla confessione, soprattutto nella sua ultima malattia, si considerava come citato davanti al tribunale divino, dalla sua propria coscienza, da tutte le creature e dal loro Autore medesimo; e l, vedendosi carico di delitti in mezzo a tutti i suoi accusatori, confessava che nessuna cosa creata poteva preservarlo dagli estremi castighi. Si riconosceva debitore, verso la divina giustizia per innumerabili capi, tutti compresi nel peccato; compariva dunque davanti a quella come distruttore di tutte le opere di Dio, incendiario di tutto l'universo, assassino di tutti gli angeli e di tutti gli uomini, non soltanto come parricida, ma come deicida, come inabissato in una incomprensibile malizia, come debitore infinitamente insolvibile e incapace di evitare i tormenti dell'inferno, come degno dell'esecrazione e dell'estrema vendetta di tutte le creature, maledetto, detestabile, e votato per sempre ai pi spaventosi castighi... (134). S'intende agevolmente quali sentimenti di dolore e di contrizione tali pensieri dovessero eccitare nell'anima del Padre de Condren, e si capisce inoltre perch si era costituito schiavo e vittima di tutti. Il suo interiore era un abisso di tristezza, di angoscia, di timore, di umiliazione e di confusione, il quale richiamava, sino a un certo punto, ci che aveva 119

provato la vittima divina nell'Orto degli Ulivi e su l'altare del suo sacrificio. Era uno spezzamento di tutto il suo essere, una dissoluzione di ci che vi era di pi intimo in lui; ci che gli faceva considerare come un'ombra il fuoco medesimo che gli divorava il cuore e le viscere e che, lui medesimo, chiamava un principio del purgatorio. Tuttavia, in mezzo ad un tale supplizio per il quale un'anima meno pura e meno generosa sarebbe caduta nella disperazione, il suo coraggio e la sua speranza non vennero mai meno. Anzi si offriva a Dio per sopportare il suo supplizio sino alla fine del mondo, e frequentemente ripeteva queste umili e forti parole: Io spero dalla bont di Dio che non mi mander in inferno. Ho questa fiducia nella sua infinita misericordia e nei meriti del sangue del Figlio suo, che si contenter di relegarmi, in purgatorio sino alla fine del mondo e, vedendo l'enormit dei miei delitti, ne lo ringrazierei come di una grazia grande. Ecco quello che sono, diceva, per i miei peccati, ma ci che pi stupendo, se posso avere qualche zelo che Dio sia vendicato della mia empiet, ricorrer alla ignominia e al supplizio di Ges Cristo, il quale, per la sua infinita capacit, solo ha il potere di rendere a Dio ci che ho voluto rapirgli. In tal modo, da una parte con un vero sentimento del suo stato di peccatore, si teneva sempre in ispirito davanti al terribile tribunale di Dio, e sotto il peso dell'accusa della sua propria coscienza considerata come il Procuratore di Dio e di tutte le creature; ma dall'altra teneva fisso il suo sguardo sopra il Figlio di Dio, e vedendo che Lui stesso s'era posto nello stato di peccatore, anzi s'era fatto peccato, come dice San Paolo, e quindi ne aveva espiato tutta la malizia ed estinto tutti i debiti, si abbandonava ad una perfetta fiducia nei meriti di Lui. Animato pertanto da una profonda umilt e da una ferma fiducia nei meriti di Ges Cristo, desider di fare davanti a tutti la sua confessione generale, perch voleva essere coperto di obbrobri e di confusione, e un oggetto di confusione da parte di tutte le creature. Ma i Padri dell'Oratorio si opposero al suo proposito. Domand allora perdono a tutti i Padri di non averli serviti come vi era obbligato dai suoi voti di servit e di vittima, dichiarando che si era sempre considerato come lo schiavo e la vittima carica dei peccati di tutti i membri dell'Oratorio. Siccome da ogni parte, anche dalla Corte si chiedevano sue notizie, e venivano a visitarlo persone altolocate: Il mondo ci cerca troppo, diceva gemendo, bisogna lasciarlo... Tempus est ut finem accipiat peccatum ; tempo che il peccato abbia fine. Era questo uno dei grandi motivi per i quali aveva sempre ardentemente desiderato la morte. Finch sar al mondo, diceva, il pungolo del peccato sempre mi punger con le sue punte maligne, n perder la sua forza se non dopo la mia morte. Allora soltanto il regno onnipotente di Ges Cristo si stabilir nell'anima mia senza resistenza; allora non peccher pi. E soggiungeva: Desidero lasciar tutto, rinunciare a me stesso, dimenticare tutti i miei bisogni; onde non pensi pi che a Dio e a darmi tutto a Lui. Essendo certo, per gli avvisi soprannaturali che aveva ricevuti, che fra poco tempo sarebbe avvenuta la sua liberazione, non vedeva senza dispiacere gli sforzi dei Padri per procurare la sua guarigione o almeno prolungare la sua vita. E' ingiusto, diceva, che sia cos ben trattato un peccatore il quale non merita che l'inferno, e quando gli si portava del cibo: Ah, Signore! esclamava, quando sar ch'io vivr di Voi solo!... No, non voglio la vita se non alla medesima condizione con cui l'ha ricevuta il Figlio di Dio, cio per sacrificarla alla gloria del Padre suo. Nella vigilia dell'Epifania, vedendo che peggiorava sempre pi, i Padri gli proposero di ricevere il santo Viatico; avrebbe preferito riceverlo nella festa medesima dell'Epifania, ma assecond subito il desiderio dei Padri, dicendo per che sarebbe per lui una gioia grande morire proprio nel giorno di questa solennit, affinch, se Dio gli usasse misericordia potesse andare in Paradiso a celebrare il mistero della regalit di Ges Cristo. 120

Ricevuto il corpo santissimo di Ges, stette a lungo chiuso nell'intimit col suo Signore; solo lo Spirito Santo sa cosa sia avvenuto in quell'ultima comunione tra Ges Cristo e il suo fedele sacerdote. Dopo il ringraziamento, domand perdono di nuovo alla comunit e comparve cos trasfigurato che non sembrava pi vivere su la terra. Ma non fu la dolcezza di un amore sensibile che purific e perfezion la sua virt, bens un sentimento sempre pi profondo della santit divina. Pregate Dio, disse al Padre che lo assisteva, perch converta oggi il pi grande dei peccatori. Dopo aver servito il Signore, con grande fedelt fin dalla sua infanzia, il Padre de Condren, imitando l'umilt di san Paolo, si professava il pi grande dei peccatori, perch considerava in se stesso quel fondo di corruzione e di malizia che abbiamo ereditato da Adamo e che ci rende capaci dei pi gravi peccati. Cos sant'Agostino domandava perdono a Dio anche dei peccati che non aveva commessi. Il Padre de Condren domandava di essere liberato da quel fondo di malignit che rimane in noi sino all'ultimo respiro, quindi domandava di morire al corpo del peccato. Pochi momenti dopo esclam: Sono ridotto ad una tale estremit che, non solamente debbo domandar perdono a Dio, ma a tutte le creature. Infatti, era in quel momento profondamente colpito dal disordine del peccato; gli sembrava che l'intero universo avesse il diritto di armarsi contro di lui per tirar vendetta delle sue offese, stimandosi colpevole verso tutte le creature. Si vedeva citato da ciascuna di esse davanti al tribunale di Dio, e gli sembrava sentirle che gli ridomandassero il loro Dio per ogni qualvolta glielo aveva rapito con le sue colpe; dimodoch aveva bisogno di tutta la forza della grazia per non soccombere all'eccesso della sua contrizione e all'estremit cui si trovava ridotto. Essendo estremamente abbattuto da tali interiori angosce, domand il Sacramento dell'Olio Santo, al quale si prepar con un nuovo atto di detestazione di ogni sua colpa, unendosi pi intimamente al Figlio di Dio morente su la Croce e al suo spirito di morte al peccato e a tutte le cose di quaggi, ed anche al suo desiderio di andare a godere di Dio suo Padre. I Padri inginocchiati attorno al suo letto lo pregarono di benedirli, ed egli, con grande affetto, lo fece, dicendo: Veni Domine Jesu, et vive in his famulis tuis in plenitudine virtutis tuae, et dominare adversae potestati, qui vivis et regnas in saecula saeculorum. Venite, o Signore Ges, a vivere in questi Vostri servi nella pienezza della Vostra virt, e dominate su le potenze avverse, Voi che vivete e regnate nei secoli dei secoli . Sentendosi pi vicino a morire, disse a chi lo assisteva: Sento in me, oltre la mia malattia, un fuoco divorante che mi consuma; e se continua, non posso durarla tanto. Mi sembra che sia il fuoco del giudizio di Dio che incomincia a fare il suo ufficio. Ma pure non si lamentava e ben lungi dall'implorare che cessasse il suo supplizio, si offriva a Dio per subirlo, se tale era la sua volont, sino alla fine del mondo. Quanto pi il suo stato era penoso, tanto pi si ammirava la sua dolcezza e la sua pazienza. Consolava quelli che vedeva afflitti per la sua vicina morte, e conversava con altrettanta libert di spirito quanto con effusione di cuore con quelli che avevano la fortuna di avvicinarlo. Al vederlo si sarebbe creduto che non sentisse le sue sofferenze. Intanto mancava continuamente; avendogli detto il medico che la sua morte ormai era vicina, si diede subito alla preparazione immediata per il gran passaggio. Dapprima si un con gran rispetto e raccoglimento al Figlio di Dio e adorando profondamente l'obbedienza ch'Egli dimostr verso il Padre suo con l'assoggettarsi alla morte della Croce, fece un atto di accettazione della sua propria morte nel medesimo spirito, e un atto di rassegnazione all'ordine di Dio rimettendogli la sua vita per obbedienza. 121

In secondo luogo si un di cuore al suo buon Maestro Per adorare ed amare in Lui e per mezzo di Lui la divina giustizia, e per sopportare tutto quel rigore che ella si compiacesse di esercitare sopra di lui. Da ultimo, egli fece a Ges Cristo l'offerta di tutto se stesso per entrare, per la di Lui virt, nell'uso di tutti i lumi che Egli gli aveva dato quando assisteva i moribondi, e temendo di non averne approfittato, lo preg con tutto il suo cuore di supplire ai suoi difetti. Soggiunse che per essere ben preparati a morire, bisogna essere distaccati dal mondo, dal peccato e da se medesimo. Mi pare, disse con una ingenuit da bambino, che ho sempre amato la gloria di Dio pi che la mia salvezza; ma non mi fido di questa disposizione, perch, con tutto questo, non ho mai fatto nulla di bene. Uno dei Padri, vedendolo ormai in agonia, gli propose di andare a celebrare per lui la messa per gli agonizzanti, ma egli rispose: Io non merito un tal riguardo, vi prego di celebrare la messa di questo giorno secondo l'intenzione della Chiesa, e di domandare a Dio il regno perfetto di Ges Cristo in tutte le anime ed anche nella mia. Cos da buono e fedele servo, non voleva nessun riguardo per se medesimo, ma voleva che sopra ogni cosa si considrassero unicamente la gloria di Dio e la sua santa volont. Contento di immolarsi alla Maest divina e di dipendere unicamente dalla sua misericordia sembrava aver timore che la potenza della preghiera obbligasse la divina giustizia ad essere meno rigorosi con lui. Un'ora prima di morire, rinnov ancora la sua confessione e le sue disposizioni alla morte soprattutto quella del sacrificio di se medesimo. Ripet inoltre quel suo memorabile atta di speranza: Spero che Dio, nella sua misericordia infinita e per riguardo al sangue del Figlio suo, mi far la grazia di non mandarmi in inferno. Confido che si contenter di condannarmi alle pene del Purgatorio sino alla fine del mondo, e nel d del giudizio servir ad esaltare la sua misericordia era confondere Giuda e l'Anticristo, perch essendomi salvato, per la fiducia nei meriti di Ges Cristo! io che sono un peccatore s abominevole, li convincer d'infedelt alla grazia, perch non avranno sperato in Colui che mi ha salvato dai loro supplizi. Come mai avrebbe potuto scendere pi al basso con l'umilt, ed elevarsi pi in alto con la speranza! Oltre i dolori della malattia e ci che chiamava il fuoco del giudizio di Dio egli soffriva ancora nel suo spirito angosce affatto misteriose: La mano di Dio mi ha toccato, esclamava poca prima di morire. E difatti, Dio lo faceva partecipare alla tristezza mortale del Figlio suo sotto il peso dei nostri peccati, e al suo abbandono su la Croce in mezzo alle grida di tutti i peccati del mondo, dai quali era circondato e come investito. Le mie afflizioni sono cos grandi, diceva, che non le domando al Signore; volendo dire che sebbene fosse disposto a chiedere a Dio ogni sorta di patimenti per onorare la divina giustizia, quelli che risentiva in quei momenti erano tali che non avrebbe ardito portare a tali estremi il suo desiderio di soffrire. Tuttavia la grazia di Nostro Signore Ges Cristo fu cos forte per dargli il coraggio di elevarsi al disopra di se medesimo, ch'ei disse con la certezza di una santa vittoria: Sono disposto a portarle per tutta la mia vita ! Ci che faceva sopra di lui un'impressione cos terribile era il pensiero della santit, della purit, e, della giustizia di Dio, che egli si teneva continuamente presenti nell'anima sua; non poteva pi sopportare se stesso n questo mondo, e in tal modo Dio lo purificava dalle minime macchie. Si pu dire con tutta verit che il Padre de Condren non mor per l'esaurimento della natura, n per la violenza della malattia; ma come una vittima della giustizia e della santit di Dio venne consumato dal peso e dall'azione di Dio in quanto santo e severo contro la 122

carne e lo stato di peccato. La forza di queste divine perfezioni crocifiggenti gli fece proferire queste parole, le quali per altro gli erano sempre sembrate le pi belle che siano mai uscite dal cuore dell'uomo: Chi mi dar che sia adempita la mia richiesta, e che Dio mi conceda ci che aspetto? E che colui che ha incominciato, Egli stesso mi riduca in polvere, sciolga la sua mano, e mi finisca? Ed abbia io questa consolazione, che nell'affliggermi col dolore, non mi risparmi, ed io non contraddica alle parole del Santo (Job. VI, 8-10). Qui si vede l'ultimo sforzo di un'Ostia umile e religiosa, la quale non brama nulla pi appassionatamente che di perdere la sua vita per la gloria del Dio santo che ne richiede il sacrificio; brucia del desiderio di onorare la giustizia e la santit di Dio con tutti i dolori possibili; la sua pi grande felicit di non esser risparmiata. Che se rimpiange qualche cosa, unicamente che per qualche sua resistenza, nella sua debolezza, all'azione divina, Dio non possa esercitare pienamente sopra di lei tutto il rigore della sua giustizia; e appunto perch dalla violenza della morte venga consumata una tale ribellione interiore, ella desidera cos ardentemente che si compia la sua immolazione. Pochi momenti prima dell'ultimo respiro, esclam ancora: Ecco una nuova afflizione di spirito! Infatti, Dio gli faceva risentire gli estremi rigori della sua santit; lo schiacciava in certo qual modo sotto il peso del peccato, imprimendo in lui gli ultimi tratti della sua divina purezza. A chi lo osservava con occhio esperto egli appariva come una viva immagine di Ges Cristo accasciato dal dolore sopra il legno del suo sacrificio. Durante la sua vita, il Padre de Condren aveva sempre onorato in una. maniera particolare Ges agonizzante su la Croce; nella sua morte Dio gli fece la grazia di una partecipazione non comune a questo stato di Ges. In tali estremi egli esclam: Domine, propitiaberis peccato meo, multum est enim (Ps., XXIV, II): Signore, mi perdonerete il mio peccato, perch grande. Un Padre sent l'ispirazione di dirgli: Padre mio, abbandonatevi a Dio, ed egli con una voce forte e distinta, coi sentimenti di una vittima che s'immola in pace, con un coraggio fermo ed una grande pienezza di amore e di fiducia, rispose: S, mi abbandono a Dio! In manus tuas commendo spiritum meum ! e cos dicendo spir. Oh preziosa vittima, esclama qui il Padre Amelote, che nei tormenti della Croce e nel veemente assalto delle estreme impressioni della santit di Dio sopra di lei sotto il colpo della morte, mentre si trova schiacciata dai divini rigori e sprofondata nell'abisso dell'indegnit e della opposizione dei peccatori a Dio, rimane irremovibile in un'eroica fiducia, e dal Purgatorio delle operazioni del Dio infinitamente giusto e santo, passa nella consumazione del suo gaudio e della eterna felicit! (Cfr. Amelote cap. XLII - XLV, Pin. pag. 316-342). APPENDICE III Alcune massime del Padre de Condren Quanto pi soffriva o nel corpo o nell'anima, tanto pi si sforzava di comparire allegro, per evitare, diceva, di far parte agli altri della mia pena e di comunicar loro il mio male. Che necessit, se soffro io, di far soffrire anche gli altri?. Quando Dio permetteva che incontrasse ostacoli nei suoi disegni, tanto si compiaceva degli impedimenti quanto dei buoni successi: perch, diceva, dobbiamo amare la volont di Dio, per Lui e non per noi. Diceva che dobbiamo studiare gli uomini per fare tutto il contrario di ci che fanno la maggior parte di loro: Talvolta necessario, diceva, che siamo umiliati nella nostra 123

comunit come nelle nostre persone; e bisogna star bene in guardia onde non imitare certe persone di comunit le quali sopportano con una certa pazienza le offese che si fanno loro personalmente, ma sono intimamente sensibili a quelle che si fanno alla loro comunit e non si risolvono a perdonarle, anzi, ci che peggio, fanno consistere in questo la loro piet e il loro zelo. Bisogna amare e servire la Chiesa pi che qualsiasi Ordine o Comunit particolare. La nostra prima ed essenziale vocazione quella di essere cristiani e figli della Chiesa. Umiliamoci sempre pi che possiamo, diceva, ch in questo non potremo n sbagliare n commettere eccessi. Quando vedeva che qualcuno si rallegrava per qualche buon successo, diceva: Bisogna tener da conto la gioia per i cattivi successi, perch allora ne avremo bisogno. Allorch qualche persona si metteva sotto la sua direzione, procurava sempre di annientarsi nello spirito di quella, onde stabilirvi il Figlio di Dio; e dopo, esaminava sovente se ella si attaccasse a lui, affine d'impedirlo, perch, diceva, non bisogna avere nessun attacco fuorch a Dio solo. Dobbiamo vivere, diceva, secondo la fede, e non gi secondo i nostri sensi, n secondo il nostro spirito, n tanto meno secondo lo spirito del mondo. Tutte le cose, considerate in se stesso, diceva, sono niente, n dobbiamo stimarne alcuna se non secondo ci che rispetto a Dio. Quando incontriamo impedimenti nel servizio di Dio, dobbiamo cambiarli in mezzi; dimodoch se non possiamo usarne per compiere le opere che desideriamo, ci servano se non altro per praticare l'umilt, la pazienza e la carit; cos saranno sempre un mezzo per servir Dio, se non in un modo, almeno in un altro che sar forse pi gradito al Signore e pi utile per la nostra salvezza o per quella del prossimo. Era pronto sempre a servire il minimo dei membri di Ges Cristo senza badare a se stesso, e a servire a Dio per qualunque cosa che da Lui gli venisse presentata, per quanto fosse penosa. Dio non volle dare il Figlio suo al mondo, diceva, se non dopo che il mondo lo avesse desiderato per quattromila anni, ed avesse sperimentato durante venti secoli che non poteva n osservare la legge n liberarsi dal peccato, e che aveva bisogno di uno spirito nuovo onde resistere al male e portarsi al bene. In questo, Dio ci fa vedere che, per darci la sua grazia, vuole che riconosciamo la nostra miseria. Bisogna proprio che sia ben grande la nostra indegnit, poich il Figlio di Dio dovette col suo sangue comperare per noi il minimo buon pensiero. Quando manchiamo alle nostre risoluzioni, non dobbiamo meravigliarcene; poich siamo peccatori, e Dio non obbligato a darci la sua grazia affinch le osserviamo. Tale e tanta la nostra infermit, che non basta che Dio ci dia il pensiero del bene; necessario che da Lui ne riceviamo la volont e l'adempimento; inoltre ci necessaria anche la perseveranza sino al termine della nostra vita. Spesse volte noi ci condanniamo noi stessi, quando Dio maggiormente ci giustifica; e quando ci riteniamo pi giusti, allora Dio pi spesso ci condanna. La superiorit non , come pensa il mondo, n un vantaggio n un'autorit; ma considerata cristianamente, non altro che una servit che ci obbliga a servire gli altri, a pensare a loro pi che a noi medesimi, e a portare la loro croce. L'autorit che la superiorit sembra darci, non per sottomettere gli altri a noi, bens per sottometterli a Dio, alla sua volont e al suo regno, e per sottometterci anche noi a Lui, onde regni in noi tutti. E' ben ragionevole che pratichiamo qualche ossequio verso Nostro Signore e che frequentemente ci ricordiamo di Lui, poich su la Croce ci teneva sempre presenti nella sua santa mente, e che i suoi dolori non lo distraevano punto dal pensare a noi. 124

Quando Dio ci cre, ben sapeva che ci dava questo o quel carattere, questo o quel temperamento; e lo fece di proposito, perch fosse per noi un motivo di disgustarci di noi medesimi, una necessit di ricorrere a Lui e una persecuzione domestica che ci facesse soffrire in noi medesimi, per la sua gloria; perci dobbiamo sapere che ci domander conto del profitto che ne avremo ricavato. Bisogna saper sopportarci noi stessi prima di essere capaci di portare la Croce di Ges Cristo nelle pene e persecuzioni che ci possono capitare dal di fuori. Non lasciate l'orazione, sebbene vi troviate difficolt; se Nostro Signore vorr che facciate un po di penitenza nella meditazione, non avrete perduto il vostro tempo. D'altronde, Dio merita bene che ci scomodiamo un po per trattenerci con Lui, quantunque ci sembrasse cosa noiosa passare un po di tempo alla sua presenza. Il rispetto umano spesso ci costringe a sprecare il nostro tempo in certe compagnie sgradevoli e noiose; sarebbe cosa indegna non fare per Dio ci che facciamo per vili nature. Nella persona dei poveri dovete vedere Ges Cristo di cui sono le membra, ed avere l'intenzione di servirlo Lui medesimo in quelli. Non v' nessuno di questi poveri il quale non abbia un angelo sceso dal cielo apposta per servirlo su la terra, e quest'angelo si stima beato di avere una tale occasione di servire il Figlio di Dio; voi dovete pure rendervi partecipi dello zelo e della gioia degli angeli nel servire alle membra di Ges Cristo. Ges Cristo deve esserci mille volte pi caro che noi medesimi e che ogni altra cosa; non dobbiamo vivere e operare se non per Ges Cristo; non dobbiamo considerare in nulla la creatura, e meno ancora noi medesimi. Se non faremo conto di essere interamente per Ges Cristo e nulla per noi; di amare il suo spirito e non la nostra volont, di ricercare con tutto il nostro cuore la soddisfazione di Dio e non la nostra, vale a dire, che Dio sia contento e non gi siamo contenti noi, non faremo tanti progressi alla sua scuola. Persuadetevi che facciamo giudizi temerari e falsi non soltanto rispetto al prossimo, ma spesso anche contro Dio; mentre crediamo che ci abbia abbandonato quando invece pensa maggiormente a noi, e che ci castighi quando esercita maggiormente le sue misericordie sopra di noi. Non dovete meravigliarvi che Nostro Signore ci imponga delle sofferenze spirituali, poich Egli pure ha voluto subirle con molto maggior rigore. E' sempre un grandissimo onore rassomigliare a Lui; portare l'immagine della sua passione sempre un vantaggio, un favore, una grazia in questa vita e una gloria per l'altra. Il maggior guadagno che possiamo fare in questo mondo di soffrire per Dio, e la peggior disgrazia che ci possa capitare di far soffrire gli altri. La prima cosa la porzione di Ges Cristo; l'altra quella dei demoni e Dio vi preservi e preservi anche me da una simile disgrazia. Soffrire per Dio, secondo l'Apostolo san Paolo, una dignit eminente, dignit sconosciuta al mondo perch superiore al mondo, ma Dio l'esalta sino al cielo. Bench i nostri peccati meritassero la dannazione, tuttavia non meritavano la morte del Figlio di Dio e le sue pene interiori; dobbiamo adunque a Dio una riconoscenza infinita, perch si degn di castigare le nostre colpe in Ges Cristo piuttostoch in noi medesimi, tanto per la sua gloria che viene soddisfatta dai patimenti del Figlio suo, quanto per il nostro bene, perch ne siamo giustificati; ma siamo anche pi obbligati ad amarlo ed adorarlo, come pure a portare un amore speciale con tutto il nostro cuore alla santissima Umanit del Figlio di Dio, perch si offerta con tanta carit onde portare il peso di un tale rigoroso giudizio. Noi sperimentiamo sovente che abbiamo dei pensieri di umilt; e dopo, commettiamo molti atti di vanit, e sovente molti pensieri di amor di Dio i quali sono seguiti da molti atti di amor proprio. Se crediamo con facilit ci che vediamo o che sentiamo in noi, 125

facilmente ci persuaderemo di essere pieni di Dio e della sua grazia, mentre saremo pieni di noi stessi. Poco importa che siamo in un luogo, o in un altro, poich Dio dappertutto, e il Figlio suo manda in tutte le parti del mondo il suo Spirito e la sua Chiesa, e che in ogni luogo del mondo abbiamo egualmente accesso al cielo e possono venire a noi Nostro Signore ed i suoi santi. Importa molto, invece, che stiamo l dove ci mette la volont di Dio che tutto dispone. Non abbiamo nessun diritto di essere in qualsiasi luogo su la terra, se non per la grazia di Nostro Signore Ges Cristo, il quale ci prepara il possesso di quel luogo che ci merit col suo sangue. Il peccato, infatti, ci ha privati del diritto di essere al mondo, e ci condanna a stare eternamente nell'inferno. Se la Redenzione del Figlio di Dio non impedisse l'effetto presente del peccato onde darci il tempo di far penitenza, non avremmo altra dimora che l'inferno; e quello deve renderei tanto pi fedeli nel vivere secondo la grazia e lo spirito del Figlio di Dio e in quel luogo dove ci pone la disposizione divina. Prima dell'Incarnazione, i Santi ed i popoli ricevevano la conoscenza della volont di Dio per mezzo degli angeli; adesso invece, perch Dio si fatta uomo e che gli uomini sona diventati le sue membra ed i suoi ministri, dalla loro bocca dobbiamo imparare le volont divine, con una divozione maggiore di quella con cui gli antichi patriarchi ascoltavano gli angeli, onorando cos la bont per la quale Dio si fatto uomo e non angelo, ed ha voluto insegnarci a compiere la nostra salvezza, non gi per mezzo dell'angelo, ma per mezzo dell'uomo. Non dobbiamo erigerci delle statue nei cuori altrui, i quali dovrebbero per giustizia tenerci in abominazione, se conoscessero le nostre colpe. Meno vi sar del vostro nella vostra condotta, e pi vi sar della virt di Ges Cristo; quanto meno avremo motivo di fidarci di noi stessi, tanto pi dovremo dipendere da Lui e ricorrere al suo aiuto. Se noi saremo niente, Lui sar tutto; perch non mancher mai di aiutarci in ci che ci comander; riempir del suo ci che mancher del nostro. Tutti dobbiamo portare la nostra croce con Ges Cristo e lavorare per la sua Chiesa sino alla fine. La maggior fortuna che possiamo desiderare secondo Dio in questo mondo quella di morire su la Croce riservando, il nostro riposo per l'eternit. Ho paura talvolta che vogliamo trovare troppo presto il riposo; perch il pi gran timore che possiamo avere di non essere trovati degni di soffrire o di lavorare per la gloria di Ges Cristo. Se fossimo veramente santi, saremmo pi esposti alla contraddizione del mondo; se vivessimo nella perfetta santit di Ges Cristo, gli uomini di questo secolo non potrebbero sopportarci, come non possono soffrire Ges Cristo; perch non avendo noi nulla dello spirito del mondo non troverebbero in noi nessuna soddisfazione. Quanto a me, diceva, nella sua umilt, debbo molto umiliarmi, perch ho tanto poco sofferto sinora. Credo con certezza che se fossi stato migliore, gli uomini non mi sarebbero stato cos favorevoli... Vedo bene che ci che mi manca di pi in questo mondo, di aver gente che mi voglia crocifiggere. La contraddizione e l'afflizione sono cose comunissime nel mondo. Ma usarne bene, sopportarle con carit, umilt, pazienza e le altre disposizioni del Figlio di Dio, questo un dono della grazia che rarissimo e che va estremamente desiderato. Tutto il nostro impegno deve essere quello di soffrire nello spirito di Ges Cristo, nella sua carit nella sua dolcezza. Chi ne porta la Croce con un altro spirito, gli fa ingiuria e ne profana la Croce; inoltre gli offre il suo sacrificio con un fuoco profano, ci che nella legge antica meritava la morte. E' una gran colpa, pur troppo comune tra i cristiani, quella di respingere nella sua realt quella Croce che adorano nella sua immagine. Se amiamo soltanto l'immagine della Croce, saremo pure cristiani soltanto in effigie, perch, ne avremo soltanto la somiglianza esterna. 126

Indice
Il Padre de Condren Introduzione alle Considerazioni Considerazione I. - Del secondo avvento di Ges II. - Del mistero dell'Incarnazione III. Ancora sull'Incarnazione IV. - Sul medesimo mistero V. - Per la Nativit di Ges VI. - Grandezze della nascita di Ges VII. - La santa Infanzia di Ges VIII. - Umiliazione di Ges nella sua Infanzia IX - Della festa dell'Epifania X. - Per la medesima festa XI. - Per la festa della purificazione XII. Sul medesimo argomento XIII. - Dignit del Sacrificio della santa Umanit di Ges XIV. - La vita nascosta di Ges XV. Per la Domenica di quinquagesima XVI. - Per il giorno delle ceneri XVII. - Il ritiro di Ges nel deserto XVIII. - Ritiro in onore di quello di Ges. XIX. - Della Penitenza. XX. - Sul s. Sacramento di Ges Crocefisso XXI. - I dolori di Ges nell'Orto XXII. - Su la sepoltura di Ges XXIII. - Su la Risurrezione di Ges XXIV. -Sul mistero della Resurrezione XXV. - Esercizio interiore per il giorno di Pasqua XXVI. - Su la ss. Trinit XXVII. - Sul s. Sacramento XXIII. - Esercizi interiori per la festa e l'ottava del ss. Sacramento. APPENDICE I I - Voto di servit II - Voto di vittima III - Voto di vivere come un membro di Ges Cristo APPENDICE II Sentimenti del padre de Condren in morte APPENDICE III Alcune massime del P. de Condren 127

NOTE

(1) (I) Opere consultate e citate in questi cenni biografici: Amelote: La vie du Pre Charles de Condren, 1657; Faillon: Vie de M. Olier, 3 vol., 1873; Pin: Vie du P. Charles de Condren, 1858: Houssaye: Le Pre de Brulle, 1874; Cloyscault: Recueil des vies de quelques Pretres de l'Oratoire, 1724; Perraud: L'Oratoire de France etc, 1866; Brmond: Histoire littraire du sentiment religieux etc. t. III, 1935; Dictionnaire pratique, II, col. 385-388, Articolo sul Padre de Condren del dottissimo Padre Molien, dell'Oratorio di Francia. (2) Cloyseault, Vies etc. I pag. 216 (3) Pin, Vie du P. de Condren, pag. 397 (4) Giry - Vies des Saints, 7 gen (5) Amelote. (6) Memorie di Olier - Faillon l, pag. 152-153 (7) Op. cit. vol. III, pag. 295 (8) Distrutto nella sua umanit con la morte su la Croce (9) Amelote, Vita ecc. - cap. VIII. - Brmond citando questa pagina la chiama un documento di un pregio unico, degno di essere pareggiato tanto al racconto che Sant' Agostino ci ha lasciato della sua propria conversione, quanto al manoscritto trovato nelle vesti di Pascal dopo la di lui morte. (Pag. 341). (10) Cloyseault, pag. 188 (11) L'Amelote afferma qui che riferisce ci che seppe direttamente dal Padre de Condren medesimo (12) Amelote, cap. XII (13) Si vede che allora le possessioni diaboliche erano pi frequenti. (14) Al secolo la Signora Acarie; cugina e discepola del Brulle, lo aiut molto nella fondazione in Francia dei monasteri delle Carmelitane; entr poi nel Monastero di Parigi, come suor conversa, sotto il nome di Maria dell'Incarnazione (15) Monsieur, fratello del Re. (16) Infatti, Luigi XIII, in seguito, per i servizi resi allo Stato dal Padre de Condren in questo ufficio, si proponeva di farlo creare cardinale, ma dovette desistere di fronte alla sua decisa opposizione. 128

(17) Vedi infra pag. 63 e seg. (18) Cfr. Cloyseault, pag. 256. San Giovanni Eudes (1601-1680), entr nella Congregazione dell'Oratorio sei anni dopo il Padre de Condren e ne usc due anni dopo la di lui morte. Stette quindi 18 anni col Padre de Condren, ne ud le istruzioni e le conferenze e ne sub molto l'influenza. Si form alla scuola dei due primi Generali dell'Oratorio. (19) Prefazione all'Edizione delle sue Lettere, dell'anno 1643 (20) ) Faillon .. I pag. 150, 151, 152 (21) Il Padre de Condren parlava dei misteri della fede con tanta chiarezza, che sembrava averne la visione piuttostoch la fede. Sembrava, dice Amelote, un uomo venuto dal paese della verit; pareva che toccasse col dito ci che proponeva alla nostra fede; a segno che talvolta diceva scherzando che non sapeva se avesse la fede, poich la dottrina di Ges Cristo gli sembrava tanto evidente che gli pareva di vederla coi propri occhi, p. 498 - Parlava dei Misteri della fede, diceva un contemporaneo, con tanta sublimit che trascinava all'ammirazione, e con tanta chiarezza che per gli uditori non rimaneva nessuna oscurit. - Cfr. Perraud, pago 202. (22) Cloyseault pag. 297-298 (23) Op. cit. . pag. 298 (24) Cfr. Amelote, Libro II, cav. XXI (25) Amelote - ibid. - cap. XXII, XXIII (26) Amelote ibid. (27) Il Generale dell'Oratorio allora era appunto il Card. de Brulle (28) Cloyseault, ibid (29) Il Padre de Condren aveva poca simpatia per i fenomeni mistici straordinari come le estasi, ecc. In questi stati non ammirava se non ci che propriamente mistico, cio l'incontro di Dio con noi nel pi intimo dell'anima. (Brmond, pag. 411). Cfr. pi avanti a pag. 59. (30) Amelote - Libro II, cap. XXVI (31) Il Verbo incarnato nato una sola volta, e unicamente da Maria Vergine, come nell'eternit nasce una sola volta, e unicamente dallEterno Padre. (32) Amelote ibid, cap. XXVII (33) Dionisio Amelote aveva appena trentadue anni quando mor il Padre de Condren. Entr poi anche lui, molti anni dopo, nella Congregazione dell'Oratorio; fu molto perseguitato dai Giansenisti e mor in et di 70 anni nel 1679. 129

(34) pag. 287 (35) ) La Madre Agnese di Ges, religiosa dell'Ordine di San Domenico, del monastero di Langeae, dichiarata venerabile dal Papa Pio VII il 17 marzo 1808, aveva ricevuto dalla Madonna l'incarico di pregare e far penitenza onde ottenere la santificazione dell'Olier al quale comparve due volte mentre era ancora vivente. Mor nell'et di 32 anni il 19 ottobre 1634 (36) Faillon, I pag. 156 (37) Faillon (38) Perraud pag. 193... Faillon, I, 140 (39) Cfr. Faillon, I pag. 136 (40) O Jesu vivens in Maria, veni et vive in famulis tuis in spiritu sanctitatis tuae, in plenitudine virtutis tuae, in perfectione viarum tuorum, in comunione mysteriorum tuorum, dominare omni adversae potestati, in spiritu tuo, ad gloriam Patris. Amen. Questa preghiera, dice il Ven. Olier, contiene tutte le domande che si possono fare a Nostro Signore per la perfezione dell'anima nostra. Dapprima lo preghiamo di vivere in noi, non solo secondo la sua potenza ordinaria come fa in tutti i cristiani, ma nella pienezza della sua forza, per t'intera distruzione in noi dell'uomo vecchio e lo stabilimento del suo impero nei nostri cuori... Gli domandiamo inoltre che viva in noi nella perfezione delle sue vie, vale a dire che ci animi dai pi perfetti sentimenti del suo amore, e ci riempia delle pi pure disposizioni del suo Spirito come sono quelle di vittima per la gloria di Dio. E' questo il capolavoro e la perfezione della religione, la professione che Nostro Signore fece quando entr nel mondo... Aggiungiamo: nella santit del vostro Spirito, e ci significa che lo Spirito Santo ci distacca da ogni creatura e ci applica a Dio solo, ed questo propriamente il senso della parola santit. Infine, lo preghiamo di vivere, regnare e dominare in noi per la virt del suo spirito, su tutte le potenze avversarie come sono la carne, il mondo e il demonio. Questa preghiera, con qualche modificazione quella che si recita ogni giorno in tutti i Seminari che in qualche modo hanno lo spirito di quello di san Sulpizio. Vedi Tanquerey, Prcis de thologie asctique et mystique , n. 1590 e seg. Faillon, I pag. 159-160. (41) Cfr. Faillon, I, 24, 340, 368, 370; II, 383, 408; III, 89 (42) Cfr. Apoc. VIII, 3-5. (43) Perraud, pag. 198-199 (44) Id. pag. 202 (45) Ibid. pag. 353-354. Uno dei personaggi pi elevati della Corte era dedito alla vanit ad onta delle esortazioni del Padre de Condren; ma l'indomani della morte di lui, si sent commosso dalle parole che ne aveva tante volte sentite e che allora gli sembravano noiose; a tal segno che proruppe in lagrime, si convert, si dedic alle pratiche di piet e sino alla morte fu per la Corte un edificante modello di ogni virt (Ibid.. pag. 372), (46) Faillon. I. pag. 298 130

(47) Vedi Consideraz. XXVII sul Santissimo Sacramento, pagine ammirabili che non si possono abbastanza meditare (48) Cfr. sopra pag. 14; 15; (49) Cfr. pagg. 226 e 285 (50) Cfr. specialmente Consid. I, II, V, VI, VII, XI, XIV, XVIII, XX, XXI, XXV (51) Faillon, II, pag. 209, 236-237 (52) Le cose riferite dal Padre Amelote per quanto siano meravigliose, non si possono mettere in dubbio; cosa riconosciuta da tutti che il Padre de Condren fu un uomo superiore e assolutamente straordinario sotto ogni rapporto Cfr. Brmond. Pag. 125. (53) L'Amelote riferisce di aver sentito dal Padre de Condren certe verit che non riesci a comprendere se non dopo vent'anni di riflessioni e soggiungeva: Ora mi sembra di intenderle con la grazia di Dio; ma non ardisco dire ch'io le comprenda perfettamente p. 476. Quanto a me, dice l'Olier, posso dire che dopo la sua morte ho compreso molte cose che egli mi aveva dette e che allora non aveva potuta intendere. Quei lumi non avevano fatto impressione su la mia mente, la quale era chiusa alle cose sante; dopo la sua morte, vi hanno penetrato vivamente, l'hanno illuminata, e ora fanno ch'io concepisca agevolmente ci che allora consideravo come favole e invenzioni dello spirito umano (Faillon, pag. 372). (54) Amelote, pag. 483 (55) Amelote, pag. 488 (56) L'Amelote osserva che il Padre de Condren nei primi tempi amava Dio con una certa impurit, perch lo amava troppo sensibilmente; in seguito il suo amore era pi santo perch meno sensibile. pag. 485 (57) Pag. 490. (58) Id. pag. 492-493 (59) Cfr. Amelote, Libro II, cap. XVIII e XIX (60) Cfr. Brmond - pago 346, 370. Molien. Diction. pratiqu. II, col. 388; III, col. 64. (61) Teocentrismo (per opposizione ad antropocentrismo) quell'attitudine che considera Dio come centro di ogni cosa e quindi d la preponderanza ai diritti di Dio sui nostri interessi anche spirituali, alla gloria di Dio su la nostra salvezza; cos ha fatto Ges Cristo, il quale nel Pater noster rivolge la nostra preghiera, nelle prime tre petizioni, alla gloria di Dio, e soltanto nella seconda parte ci fa domandare le grazie che ci occorrono. Brulle diede un gran rilievo al Teocentrismo; di qui la grande importanza che diede alla virt di religione ed alla considerazione della grandezza di Dio 131

(62) L'essere della creatura a confronto dell'Essere di Dio un'ombra (63) Houssaye, II, pag. 208, 209 (64) Amelote, cap. IX (65) Condren, Lett. VI (66) Non gi una perfezione sola per tutti gli angeli assieme, ma una perfezione o per ciascuno o almeno per ciascun coro (67) Poich siamo elevati all'ordine soprannaturale della grazia, dobbiamo adorare Iddio non soltanto come Autore della natura ma pi ancora come Autore della grazia e del mistero dell'Incarnazione. Ora, il grande ed unico mezzo di adorare Iddio Ges Cristo nei suoi misteri (68) Le nostre azioni, perch abbiano la perfezione che Dio richiede nell'ordine della grazia, debbono essere riferite, con l'intenzione, a Ges Cristo nei suoi misteri e in tal modo portar l'impronta di Ges Cristo, poich l'Eterno Padre non si compiace se non nel suo Figlio e in quelli che sono uniti a Lui nel medesimo spirito. Nel Libro della grazia speciale di santa Metilde troviamo questa rivelazione: L'anima, dice Ges Cristo, offerisca a Dio Padre tutti i suoi desideri, le sue intenzioni e le sue preghiere in unione coi miei desideri e le mie preghiere. Tale offerta salir verso Dio e sar gradita come non formando pi che una sola cosa con la mia, come vari profumi gettati assieme nel fuoco non producono che un sol fumo che va diritto al Cielo. Ogni orazione offerta in unione con la mia, ascendendo a somiglianza di prezioso incenso, sar graditissima a Dio. Ogni altra orazione, bench penetri il Cielo, non avr lo stesso valore se non sar unita alla mia. L'uomo similmente faccia ogni fatica e tutte le sue opere in unione con le mie fatiche e le mie opere, dalla quale unione saranno talmente nobilitate le sue opere, come se il rame liquefatto con l'oro si venisse a cangiare del tutto nella nobilt dell'oro (Libr. III, capitolo XIV). (69) In ciascuno dei suoi misteri Ges ci ha lasciato qualche virt da imitare e ci ha meritato la grazia per praticarla: per esempio, nel mistero della Nativit Ci ha dato l'esempio dell'umilt e in pari tempo ci ha meritato la grazia per essere uniti. Cos pure ci ha meritato la grazia di onorare Iddio secondo lo spirito del mistero che adoriamo, e quindi per diverse vie. Nella Nativit onoriamo Dio in un modo, nella Passione in un altro, e cos nella Risurrezione e nell'Ascensione (70) Per rivelazione privata (71) Nell'esilio di questa vita, dice il Padre Giraud, noi possediamo un vero e reale principio dello stato divino dei Beati; noi pure vediamo Dio ed ogni cosa nella luce di Dio. E questa luce che soprannaturalmente ci rischiara la medesima luce celeste. I Beati vedono Dio nello stesso modo in cui Dio vede se medesimo. (s. Th.). Noi pure vediamo Dio in quel modo medesimo in cui Dio vede se stesso. I Beati vedono Dio in una luce che Dio medesimo, e noi pure vediamo Dio e le cose di Dio in una luce che Dio stesso, perch la grazia e la gloria appartengono al medesimo ordine e al medesimo genere; la grazia non altro che un principio, in noi, della gloria. (s. Th. II II q. XXIV, a. 3) (Giraud. Sacerdote e Ostia, Trad. ital. Pag. 448-449). 132

La fede, essendo una virt soprannaturale, una partecipazione della conoscenza che Dio ha di se medesimo; quindi d alla nostra mente una forma divina; un pregio incomparabile di cui non abbiamo coscienza come non abbiamo coscienza della grazia. ma tuttavia reale. Vari teologi sono d'avviso che anche le rivelazioni private possono essere oggetto di fede teologale; si vede che il Padre de Condren teneva la sentenza opposta, per la quale l'atto di fede prestato ad una rivelazione privata dall'anima che la riceve, dato che venga certamente da Dio, non un atto di fede teologale, ma un semplice atto di fede umana o di sommissione a Dio. - Cfr. Sauv. Carte des ames etc. pago 131132. (72) Per considerare i misteri di Ges Cristo e ricavarne profitto, non ci vuole tanto talento n tanta scienza; basta la fede e un po di buona e semplice volont. Bisogna poi tener conto dell'azione dello Spirito Santo che abita in noi per le grazie e non vi rimane inattivo. (73) Dobbiamo adorare Ges Cristo perch tale il nostro imprescrittibile dovere, e non per nostra soddisfazione (74) Vale a dire ogni affetto alle cose di quaggi personificate in Adamo, nostro padre secondo la carne (75) E' questo un sentimento di eroico abbandono alla suprema padronanza di Dio e all'assoluta equit della sua giustizia. Confessiamo che estremamente difficile metterci nella disposizione di accettare, adorare e amare il giudizio che Dio far di noi, quando pure dovesse essere una sentenza di condanna. Ci vorrebbe tutto il concetto che il Padre de Condren aveva della grandezza di Dio e del nulla della creatura. N si dica che sottometterci ad un tale giudizio sarebbe accettare il peccato come la sua causa; perch una tale disposizione cos perfetta suppone nell'anima che ne capace un distacco assoluto da ogni cosa creata, un timore profondo di Dio, anzi un vero amore di Dio sopra ogni cosa e pertanto una assoluta lontananza dal peccato. (76) Dio sempre stabile allo stesso modo, n sar punto pi perfetto nella sua immutabilit dopo il giudizio finale.. Siccome noi proiettiamo, per cos dire, in Dio le nostre idee umane, ci sembra che talora si riposi, a guisa di un operaio quando ha finito il suo lavoro. Perci la Sacra Scrittura, la quale si esprime in modo umano, dice che si ripos nel settimo giorno dopo la creazione. Con un antropomorfismo di tal genere, il Padre de Condren dice che dopo il giudizio Dio prender in tutte le sue opere il suo stato stabile, in quanto non avr pi da governare questo basso mondo pieno di vicissitudini e di agitazioni per causa della libert umana; quaggi poi tutte le cose sono provvisorie rispetto a Dio secondo le nostre idee umane. In realt, soltanto le creature si muovono e si agitano, mentre Dio rimane imperturbabile nella sua immutabilit e semplicit; le cose, da tutta l'eternit, sono ordinate dalla sua onnipotente volont con un atto unico e semplicissimo, e nel tempo avvengono nel modo da Lui preveduto eternamente. Col giudizio finale il nostro ordine di cose avr il suo compimento e diventer stabile: chi sar salvato, sar salvato eternamente, e chi sar dannato sar irrevocabilmente dannato per tutta l'eternit. Cos le creature del nostro mondo, angeli e uomini, parteciperanno in certo qual modo all'immutabilit di Dio e la gloria di Dio sar definitivamente stabilita. (77) Il Padre de Condren, come il Card. de Brulle, insiste con ispeciale compiacenza su la prima oblazione che Ges fece di se stesso all'Eterno Padre, nel primo momento dell'Incarnazione e ne deduce belle istruzioni pratiche su la nostra unione con Ges Cristo nostro mediatore e supplemento 133

(78) Per quanto siano gravi ed essenziali i nostri doveri verso Dio considerato come nostro Creatore e sommo Benefattore, sono pi gravi ancora e pi essenziali i doveri che abbiamo verso di Lui considerato in se stesso nella sua suprema grandezza e nelle sue infinite perfezioni (79) Ges Cristo nel primo istante dell'Incarnazione ebbe presenti, con la scienza infusa, tutti gli uomini da Adamo sino all'ultimo che vivr su la terra; si appropri, per cos dire, tutte le occasioni di far bene che Dio diede o dar a questa moltitudine di anime, tutto santific con la sua intenzione e tutto rifer alla gloria dell'Eterno Padre. (80) Il concepimento di Ges avvenne in un istante, ma l'unione ipostatica permanente, e sotto questo aspetto dobbiamo considerare e venerare l'Incarnazione, non soltanto in fieri, ma in esse, come mistero permanente (81) Questi il mio Figlio, il diletto nel quale io mi sono compiaciuto (Matth., III, 16); parole dell'Eterno Padre dopo il battesimo di Ges (82) Ges Cristo in tutte le circostanze della sua vita non acquist il minimo grado di grazia e di santit, neppure nei disagi della sua infanzia e nei dolori della sua passione e morte; nel primo istante aveva gi tutta la santit che avrebbe poi manifestata in questi misteri (83) Questo numero un riassunto, quasi con le medesime parole, dell'Opuscolo XXV (Edizione 1666) del Card. de Brulle (Discorso alle Carmelitane di Caen su la Festa dellAnnunciazione); per cui probabile che sia stato attribuito erroneamente al Padre de Condren. Per altro la dottrina del Brulle quella del Condren (84) In omaggio ed imitazione della, generosa carit con cui l'Eterno Padre ci dona il suo unico Figlio, dobbiamo noi pure rinunciare ad ogni persona o cosa creata. Ammirabile esemplare per la nostra vita spirituale! (85) Il Padre de Condren insegna qui che certi Angeli vennero allora costituiti Adoratori eterni di Ges, ossia in uno stato di adorazione permanente, per cui adorano il Figlio di Dio non solo con gli atti, ma anche col loro stato, come i cherubini, a cagione d'esempio, adorano Dio con la loro scienza. (86) Onde la grazia di Dio gustasse la morte . - Tale il senso che il Padre de Condren seguendo il Card. De Brulle dava a questo testo, prendendo la parola gratia al nominativo secondo tutti i vecchi commentatori latini e una parte dei codici greci. - Cfr. Grandezze di Ges. Discorso II, Traduzione ita1. pag. 50. (87) Come la cura che Maria ebbe del divino Infante la perfezion nella sua dignit di Madre, cos l'attenzione che portiamo ai nostri doveri di stato ci perfeziona noi pure nel nostro stato e ci fa meglio rassomigliare ad Essa. (88) Col suo divino esempio, con la grazia che ci ha meritata in questo mistero e con le grazie che la sua santa Madre ci ottiene (89) Nel quale tutte le creature trovano, la abbondanza di ogni bene. 134

(90) Ossia di aver parte alle grazie che ci ha meritato con questi suoi abbassamenti (91) Il Padre de Condren esige il distacco non solo dalle cose terrene, ma anche dai doni soprannaturali di Dio (grazie mistiche, consolazioni spirituali); e infatti i doni di Dio non sono Dio medesimo mentre la perfezione consiste nel distacco completo da ogni cosa che non sia Dio. (92) Il Padre de Condren, in questa Considerazione, non tratta specificamente del Sacrificio della Croce, ma in generale del Sacrificio continuo della santa Umanit di Ges Cristo in tutto il tempo di sua vita. Ges, infatti, si offri in sacrificio al Padre suo, per noi e per tutti i fini della Redenzione, sin dal primo istante dell'Incarnazione quando disse: Ecce venio; la sua oblazione continu sino alla morte in croce, la quale, secondo il disegno dell'Eterno Padre, doveva essere il prezzo della nostra Redenzione e il vero Sacrificio della divina Vittima, Anche in Cielo Ges continua la sua oblazione. I pensieri che il Padre de Condren espone sommariamente nella 1.a parte di queste Considerazioni, si trovano spiegati con abbondanza di prove scritturali nell'Opera sul Sacerdozio di Ges Cristo, del medesimo autore. (93) Pensiero di gran conforto per noi, povere creature e per giunta peccatori: Dio ci ama per sua pura bont e non perch trovi in noi qualche amabilit. Se vi in noi qualche cosa che attiri l'amore di Dio, come la grazia santificante, Dio medesimo la pone in noi onde poterci amare degnamente. (94) Ges anzitutto ebbe l'intento di procurare la gloria del Padre suo; anche nella Redenzione del genere umano, il suo primo scopo non fu la nostra salvezza, ma la gloria dell'Eterno Padre: prima il Padre, poi gli uomini (95) (Dio) fece per noi peccato Colui che non conobbe peccato. - II Cor., V, 21 (96) Non ci sembra possibile spingere pi innanzi il sentimento dell'assoluta padronanza di Dio. (97) Non si tratta qui della vita di Ges a Nazaret, ma della sua vita intima e segreta, conosciuta solo dalla SS. Trinit (98) Nella compunzione per i nostri peccati, dobbiamo considerarli non come li vediamo noi, ma come li vede Dio. Delicta quis intelligit, diceva Davide nel Salmo XVIII, I peccati chi li conosce?, ed aggiungeva: Mondatemi, o Signore, dalle mie colpe occulte. Ges Cristo solo comprende quanto sia enorme e grave agli occhi di Dio la malizia del peccato. - Cfr. pag. 290-292 (LAgonia nell'Orto) e sopra pag. 48. (99) Se non fossero i meriti di Ges Cristo, per quanto da noi, dopo il peccato non vi sarebbe speranza di riconciliazione (100) Contro coloro che non avranno esercitato nella propria coscienza un giudizio severo contro se medesimi (101) Cfr. Ephes. IV, 21 e seg.; Colos., III, 3, 9; Philipp. XII, 20 (102) Il Padre de Condren non tratta qui del SS. Sacramento dell'Eucaristia o dell'altare ma del SS. Sacramento di Ges Crocifisso . Infatti, dopo di aver accennato all'istituzione 135

del Sacrificio della Messa, discorre dei sentimenti di Ges Cristo in Croce. Perch in qual senso d a Ges Crocifisso questo titolo di SS. Sacramento? Qualche autore dottissimo e profondo conoscitore del Padre de Condren, d'avviso che la parola Sacramento qui sia sinonimo di Ostia, per cui il significato sarebbe: Ges Crocefisso Ostia santissima del Padre; e un tal senso giustissimo. Ma non improbabile che il Padre de Condren prenda qui l'espressione Sacramento nel suo senso generale di segno di una cosa sacra. In questo senso sant'Agostino chiama il sacrificio visibile sacramento del sacrificio invisibile perch non istituito se non per significare o esprimere il sacrificio invisibile e interno dell'anima. Il Padre de Condren insiste su questo pensiero in vari luoghi della Idea del Sacerdozio e del Sacrificio di Ges Cristo. (II Parte, cap. I; III Parte, cap. I; e cap. IX. In questo senso Ges Crocefisso davvero un Sacramento perch ci manifesta l'amore infinito del Padre che lo sacrifica per noi, e l'amore immenso del suo Cuore per il quale Egli stesso si sacrifica in tal modo per la gloria del Padre e la nostra salvezza. Ci che si vedeva sul Calvario non era il vero Sacrificio, il quale era tutto nel Cuore adorabile di Ges, ma ne era soltanto l'espressione esterna. In questo senso pure Monsignor Gay chiamava Ges, il Sacramento di Dio, perch ci rivela l'amore del Padre. (Elevazione 55a) V. S. Th. III, quaest. 40, art. I; e quaest. 82, art. 4. (103) Ges Cristo, nell'ultima cena, operando per la prima volta la consacrazione, si immol misticamente in rappresentazione anticipata della sua immolazione cruenta che sarebbe avvenuta l'indomani sul Calvario; offr dunque in sacrificio all'Eterno Padre la sua umanit, e l'Eterno Padre accett nel suo seno questa santa umanit in sacrificio di odore soavissimo, Infatti, per la consacrazione, il corpo santissimo di Ges, bench fosse ancora passibile e mortale, trovavasi sotto le specie del pane e del vino affrancato dalle condizioni materiali dei corpi terrestri e in una condizione che teneva di quelli dei corpi gloriosi, perci si poteva dire che era nel godimento della gloria. Tale il pensiero del Padre de Condren. Ci troviamo qui davanti ad una questione discussa tra i teologi e su la quale la Chiesa non ha dato nessuna decisione. Ugo da san Vittore fu di parere che Ges Cristo, come aveva dato al suo corpo la sottigliezza nella sua nascita verginale, come l'aveva reso invisibile quando i Giudei lo volevano lapidare e glorioso nella Trasfigurazione, cos lo re. se impassibile nell'ultima cena. San Brunone fu del medesimo sentimento; infatti, nella sua Esposizione su l'Epistola di san Paolo, al c. XI della I ad Cor., cos fa parlare Nostro Signore agli Apostoli nell'ultima Cena: - Ci che prima era pane, ora il mio corpo il quale sar dato alla morte per voi, bench ora ve lo porga impassibile ed immortale . San Tommaso invece adott l'opinione contraria e insegn che Ges Cristo diede il suo corpo agli Apostoli nello stato in cui si trovava allora, perci passibile e mortale (III, quaest. 81, art. 3); ma soggiunge: impassibili tamen modo crat sub specie sacramenti, quod in se erat passibile, sicut invisibiliter quod in se erat visibile. Il Padre de Condren segu l'opinione di Ugo da san Vittore; in altro luogo espose il medesimo sentimento: Ges Cristo esercit la funzione del suo sacerdozio prima della sua morte nell'istituire il sacrificio della santa Messa, e ci per anticipazione e secondo quella sua divina potenza che i teologi chiamano di eccellenza; molte ragioni provano che mentre allora esercitava la funzione di un sacerdozio fondato su la potenza della sua vita immortale e gloriosa, Egli pose pure il suo corpo e il suo sangue gloriosi sotto le apparenze del pane e del vino, offrendoli a Dio nel Sacrificio eucaristico. In questa circostanza us della sua potenza straordinaria e comp questo mistero. per anticipazione (Ide du Sacerdoce etc., Parte II, cap. VI): Il ven. Olier pure dello stesso sentimento, soprattutto per ragioni mistiche. - Cfr. Crm. de la grand'messe, I liv., chap. V; 2 liv. chap. IV, Icard, Doctrine de M. Olier, pag. 141. 136

(104) Parola profondamente vera; sono causa della morte di Ges non solo i cattivi, i carnefici che lo crocifiggono, ma in buona maniera anche tutti quelli che lo amano poich Egli muore per sa1varli e santificarli, anche Maria Vergine poich dal merito della morte di Ges derivano tutte le sue grandezze. (105) Dobbiamo sopportare le nostre sofferenze, non gi per amor proprio e per motivi naturali, ma con l'intenzione rivolta a Ges Crocefisso e perci con la sua grazia, senza della quale non possibile la vera pazienza cristiana (106) Il Padre de Condren metteva sempre in pratica, lui per il primo, le massime di perfezione che inculcava agli altri. Accadde bene spesso che certe persone malintenzionate si rivolgevano a lui col proposito di ingannarlo; Il Padre de Condren se n'avvedeva subito, e conosceva benissimo il mezzo di smascherarle, ma non voleva usarne, dicendo che Ges Cristo aveva ben voluto essere ingannato da Giuda, e perci non era ragionevole pretendere che tutti gli uomini siano fedeli a noi, poich non siamo stati fedeli a Dio. Un libertino diffondeva sul conto di lui delle favole ridicole, e nondimeno veniva a trovarlo e ipocritamente tanto lo onorava quanto lo diffamava di nascosto. Qualcuno che conosceva tutto se ne mostr indignato; ma il buon Padre, il quale si accorgeva di ogni cosa, rispose: Ahim! siamo ben pi ridicoli ed impertinenti noi davanti a Dio che qualunque persona possa esserlo davanti a noi, eppure Dio ci sopporta e ci fa del bene. Bisogna che Dio sia la regola della nostra pazienza. Considerate come tratta i suoi nemici: chi mai darebbe al Gran Turco i paesi che questo principe possiede, se ne avesse ricevuto tanti oltraggi come Dio? Questo principe (infedele) ha cacciato Dio dai suoi Stati, eppure Dio non cessa di conservargli la sua potenza e la sua grandezza: cos dobbiamo vivere. Amelote, Vita ecc. (pagg. 666-672). (107) Vedi nota 40, il testo di questa preghiera. (108) Ges Cristo nell'Orto si rappresent cos vivamente i tormenti che doveva subire che vide in essi eccessi di atrocit che non possiamo sospettare; perci soffr allora pi ancora che nella realt materiale dei supplizi quali gli vennero inflitti dai Giudei. (109) Ges soffr nella Sua agonia anche per le circostanze che aggravano il peccato (110) Il peccato in se stesso l'atto di una creatura, mentre la giustizia di Dio infinita (111) Nessuna creatura potr mai essere capace di subire l'impressione di qualsiasi attributo di Dio in tutta la sua estensione e integrit; perch la creatura sempre limitata, mentre ogni attributo di Dio infinito. (112) L'Umanit di Ges si consumava sotto il peso inconcepibile del furore della divina giustizia, ma si consumava tutta in Dio; perci pi si consumava, e pi si univa a Dio, quindi maggiormente veniva sorretta dal Verbo, nel quale unicamente esisteva e sussisteva. Pertanto non poteva restare annientata; mentre l'azione esterna di Dio la colpiva cos fortemente che umanamente avrebbe dovuto annientarla, l'azione interna del Verbo maggiormente la sorreggeva. In Ges Cristo poi era conveniente che si trovasse l'espressione di tutti gli attributi di Dio, anche della giustizia e non solo del suo amore come nei Serafini. - Come mai Ges Cristo, in forza di quel gran rigore della divina giustizia, non venne separato da Dio? In quella guisa che in Dio sono compatibili attributi disparati, come la giustizia e la misericordia tutt'e due infinite, cos in Ges. Cristo si 137

conciliavano la santit perfetta e la responsabilit di tutti i peccati degli uomini. Per altro, il carico dei peccati era in Ges, diremo, tutto esterno, carico che Ges aveva assunto per amore verso il suo Eterno Padre; pertanto Egli non cess mai, neppure quando esclamava su la Croce: Ut quid dereliquisti me? di essere il Figlio santo e diletto in cui il Padre infinitamente si compiaceva. (113) La grazia ci viene continuata nella stessa maniera con cui ci viene data, epper in nome della santissima Trinit. Con la grazia, inoltre le tre persone divine dimorano in noi. (114) Il Padre de Condren esprime qui un pensiero molto profondo: La SS. Trinit viene a dimorare in noi per la grazia, non gi come esiste in s stessa nell'eternit, ma secondo le sue relazioni con noi, nel tempo, in virt del mistero dell'Incarnazione. La nostra grazia deriva tutta dal Verbo incarnato, per cui possiamo dire che la SS. Trinit viene in noi attraverso il mistero del Verbo Incarnato. Cfr. Preghiere della S. Messa, Parte I, n. I. (115) Tutte le opere di Dio hanno per fine la gloria della santissima Trinit (116) Il Padre de Condren, ad esempio del Card. de Brulle suo maestro, si eleva sino alle sublimi profondit della santissima Trinit a cercare l'esemplare della vita cristiana; ammiriamo come dal mistero di un solo Dio in tre persone egli tragga un'ascetica rigorosa per la rinuncia alla nostra propria volont, la pratica della carit verso il prossimo, il disinteresse e la morte dell'egoismo. (117) Bella parola, ma evidente. Ges ama i suoi Apostoli che tanto l'hanno glorificato ed hanno fatto per Lui inauditi sacrifizi; ama i Martiri che hanno dato per il suo nome il loro sangue e la loro vita, ama tanti Santi che gli hanno fatto onore nel mondo, ama di un amore incomparabile la sua santissima Madre; eppure tutto questo amore un'ombra a confronto dell'amore che porta alla SS. Trinit. Ges ama ogni oggetto secondo il merito di esso, ora la SS. Trinit merita un amore infinito. Onde renderci ragione dell'ascetismo rigoroso di varie massime di vita cristiana che il Padre de Condren esponeva in questa Considerazione, sar bene osservare che lo proponeva in un monastero, come risulta dal contesto. (118) Il Padre de Condren svolge pi a lungo questo pensiero nell' Idea del Sacerdozio e del Sacrificio di Ges Cristo. (2a parte, cap, VII) Ges Cristo nell'Ostia consacrata presente con quella vita gloriosa che ha nel seno del Padre; ora, questo seno adorabile del Padre, trovasi dovunque sia presente il Figlio suo immortale e glorioso. (119) Dobbiamo abbandonare a Ges Cristo non solo la nostra attivit spirituale, ma anche tutta la nostra attivit naturale, dimodoch Egli sia il principio e il fine di tutto quanto facciamo liberamente anche nell'ordine naturale e tutto sia da Lui santificato; ogni nostra volont, ogni nostra intenzione sia diretta a Lui (120) Ges Cristo sia sostituito a noi e faccia tutto ci che facciamo con la nostra libert; cos sar interamente padrone di noi e potremo dire con tutta verit come san Paolo: Vivo non ego, vivit vero in me Christus . Mirabile indirizzo per le grazie che dobbiamo domandare ed i proponimenti che dobbiamo fare nell'azione di grazie dopo la santa Comunione. (121) Il Ven. Olier, il quale, ad imitazione del Card. de Brulle e del Padre de Condren, aveva fatto lui pure i voti di servit e di vittima dopo un anno di preparazione, cos ne 138

spiega la natura: Essere servo di un padrone, vuol dire fare ogni cosa secondo la sua volont; ma la servit verso Ges Cristo richiede una dipendenza di corpo e di spirito che si estende sino alle cose minime... Non credevo possibile una tale soggezione; solo lo spirito del mio divin Padrone ora me la fa praticare... Il voto di servit... richiede inoltre una fiducia e un abbandono assoluto nelle mani di questo benedetto e fedele Padrone, il quale tutto sapiente, tutto potente e tutto buono e con le sue perfezioni supplisce al nostro accecamento, alla nostra impotenza e al nostro amor proprio. (Faillon, 1. pag. 346-347). Lo spirito di servit a Ges Cristo ed alla Chiesa esige l'obbedienza ai membri della Chiesa... la povert, perch tutto ci che il servo acquista lo acquista per il suo signore; la umilt... l'amore ai patimenti... non essendosi pena... n disprezzo, n contraddizione che un servo non debba sopportare, fosse anche da parte del padrone medesimo, onde procurare gli interessi del padrone, ricevendone in pace ano che i maltrattamenti, e sforzandosi con tutta umilt di riconquistarsene il cuore. Dallo spirito di servit nasce quello di vittima che comprende le disposizioni di morire a se stesso per non vivere che per Dio solo, nell'attesa dell'ora e dell'occasione di sacrificarsi a Lui per il bene della Sua Chiesa... Le ostie antiche essendo destinate al sacrificio, non conservavano la vita se non per l'ora del sacrificio, quindi non vivevano pi se non per morire... Cos (per lo spirito di servit e di vittima) d'uopo aver perduto la cura del proprio corpo, l'amore delle propria sanit ed ogni attacco alla vita. (Ibid. IIII pag. 194195). (122) Amelote, cap. XXXII (123) Riportiamo questo capitolo della Vita scritta dall'Amelote non tanto a gloria del Padre de Condren, quanto perch vi si trova esposta la pratica principale dell'ascetica berulliana che consiste nella imitazione della vita e dei sentimenti di Ges Cristo. (124) Ossia due aspetti nella sua vita: l'aspetto intimo interiore, e l'aspetto esterno umano. (125) Si potrebbe dire, per maggior chiarezza, che san Giovanni si attaccava di pi alla natura divina di Ges e lo manifestava di pi come Dio, mentre san Paolo si attaccava di pi alla sua natura umana, lo considerava di pi nella sua umanit, per la quale ci redense e si sacrific per noi. (126) Cfr. Considerazioni su la Vita nascosta di Ges Cristo , cap. XIV (127) Pin. Vita. pag. 299 (128) E' da deplorarsi che il Padre Amelote non abbia scritto questo libro; ne avremmo imparato come fanno certe anime sante ad imitare la vita di Ges in tutti i suoi particolari. (129) Dal Card. De Brulle il Padre De Condren aveva imparato quest'arte di studiare ed imitare la vita di Ges Cristo. E' pregio dell'opera riportare quanto diceva del Card. de Brulle uno dei suoi primi discepoli: Il nostro maestro trovava tanto piacere nel pensare al Figlio di Dio che, per onorarne tutti i misteri nei loro particolari, faceva come l'anatomia in tutti gli stati della vita di Ges Cristo. Ecco quanto ci insegn e pratic, lui stesso, in tutta la sua vita: Onorare i primi atti di Ges, la prima elevazione dell'anima sua a Dio suo Padre, la prima effusione del suo Cuore verso gli uomini, i suoi primi sguardi su la Vergine, i suoi primi vagiti infantili, la prima goccia del suo sangue nella Circoncisione, la sua prima predicazione, il primo istante della sua vita gloriosa, ecc. Onorare le sue ultime azioni, l'ultimo suo passo su la terra... Onorare tutte le sue et; tutti i periodi della sua vita... tutti i 139

palpiti del suo Cuore, tutti i movimenti del suo corpo, tutti gli affetti dell'anima sua. Onorarlo in tutti i luoghi dove stato o passato. Brmond, pag. 77. (130) Dopo aver letto questo capitolo, non c' pi da meravigliarsi se il Ven. Olier diceva: Il Padre de Condren non era che un'apparenza; in lui vi era l'interiore di Ges Cristo con la sua vita nascosta; dimodoch era piuttosto Ges Cristo vivente nel Padre de Condren che il Padre de Condren vivente in se medesimo . Cos si diceva anche del Card. de Brulle. Tale era pure la pratica ordinaria di san Vincenzo de Paoli, discepolo, lui pure del Brulle; si legge nella sua vita che in ogni circostanza diceva a se stesso: Cosa farebbe Ges Cristo se fosse qui al mio posto ? e in tutto si regolava con questo sentimento, gli occhi sempre fissi su questo divino modello. (131) Il Padre de Condren parla qui non dei dannati, ma dei peccatori viventi ancora in questo mondo senza volont di emendarsi. Ci sembrerebbe difficile proporre a tali cristiani un simile sentimento. Per altro, un peccatore che ne fosse capace, avrebbe ci pare, un grado di fede non trascurabile con un principio di distacco dal peccato e di timore dell'inferno; e sarebbe quindi vicino a concepire un sentimento di vero pentimento, almeno di attrizione. (132) S'intende di una volont implicita contenuta nella natura medesima del peccato (133) Tutto questo si pu dire di qualsiasi peccatore, anche per un peccato veniale avvertito, contro la volont di Dio (134) Umilt sommamente ammirabile in un uomo cos santo, il quale, si pu ben pensarlo, non aveva mai commesso colpa grave.

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