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La filosofia Open Source:

una risposta alla globalizzazione


[da “Il Pensiero Mazziniano”, anno LX, numero 2 – maggio-agosto 2005, pp. 187-195]

Negli ultimi anni il mondo dell’Information Technology è stato oggetto di grande attenzione da
parte delle scienze sociali. In particolare il dibattito intorno all’utilizzo “libero” del software 1 per il
funzionamento dei computer ha provocato una vera e propria rivoluzione2, che ha determinato
vantaggi quali la riduzione dei costi delle licenze, la flessibilità delle soluzioni, l'indipendenza dai
fornitori, etc. In effetti “Il fatto che tanta attenzione sia dedicata a un particolare fenomeno legato al
mondo dell’informatica e non strettamente connesso con l’utenza popolare, come è il caso Internet,
è indice di novità non ristretta all’ambito tecnico, ma legata a un ambito più vasto, l’ambito delle
innovazioni culturali”3. Se da un lato la ricerca Open Source ha dato ottimi risultati nell’informatica,
ora c’è chi pensa di utilizzare lo stesso metodo anche in altri campi, quali l’economia, la medicina,
la politica.
Tuttavia “quello che era cominciato come un dibattito tecnico sul modo migliore di correggere
gli errori dei software si è trasformato in un dibattito politico sulla proprietà della conoscenza e su
come essa è usata. Da un lato c'è chi crede nella libera circolazione delle idee, dall'altro chi
preferisce definirle proprietà intellettuale”4. Il dibattito si sposta quindi su un piano più ideologico,
con il tentativo da parte di molti di impossessarsi delle scoperte del movimento Open Source e più
in generale del software libero.

Breve storia dell’Open Source

La storia del "Sofware Libero" risale agli albori dell'era informatica. In principio tutto il software
era "pubblico". Negli anni '60 si diede il via alla vendita dei primi computer commerciali su larga
scala. Questi erano accompagnati da software "pubblico" che poteva essere liberamente scambiato
tra gli utenti. Era disponibile il codice sorgente e poteva essere modificato e adattato a piacere.
Dieci anni più tardi la situazione cambiò radicalmente.
“l’Open Source non è un fenomeno recente, anzi, l’Open Source è stato il primo modus operandi
dell’informatica. Il software nacque come Open Source negli storici laboratori che per primi si
occuparono di informatica: i Bell Labs, lo Xerox Park, il IA Lab del MIT, Berkeley. Allora non c’era
bisogno di porre distinzioni tra le licenze di software o la distribuzione degli eseguibili piuttosto che dei
sorgenti, ciò che veniva creato diventava patrimonio della comunità. Non si trattava di una scelta politica,
la libera distribuzione era frutto della constatazione che il software cresce in stabilità, prestazioni,
funzionalità se può essere interamente compreso e modificato dai suoi utenti. Il software era un prodotto
scientifico, come la matematica e la fisica, e come tale veniva trattato.5”

Con la crescita delle prestazioni dei computer e con la conseguente crescita del numero di cose
che le macchine potevano fare il software aumentò in complessità e in quantità. I computer
venivano utilizzati da sempre più aziende diverse per svolgere compiti sempre più differenziati. Una
frazione sempre minore di utenti scriveva software. Diventò allora economicamente interessante
sviluppare programmi "chiusi" per poi venderne la licenza d'uso.
Nel 1984 l'informatico Richard Stallman6 lasciò il suo lavoro al Massachusetts Institute of
Technology (Mit) per dare vita al progetto GNU 7 per la creazione di un sistema operativo libero.
Nel 1985 venne alla luce la Free Software Foundation (FSF) una organizzazione senza fini di lucro
per lo sviluppo e la distribuzione di software libero. La fondazione fu creata per finanziare il
progetto stesso, pubblicarne le licenze e favorire in generale sviluppo e diffusione del software
libero. L'obiettivo era creare software di alta qualità che fossero allo stesso tempo aperti a tutti.
Nacque così la General Public License (GPL), una “licenza liberale” (licenza di tipo copyleft)
che si poggiava sull’idea del “permesso d’autore”8. In pratica il permesso d'autore consisteva col
dare a chiunque il permesso di eseguire, copiare e modificare il programma e distribuirne versioni
modificate, ma senza dare la possibilità di aggiungere delle restrizioni al programma stesso. In
questo modo, le libertà essenziali che definivano il "free software" (software libero) venivano
garantite a chiunque ne disponeva una copia, e diventavano diritti inalienabili. In effetti affinché un
permesso d'autore risultasse efficace, era essenziale che anche le versioni modificate fossero
“libere”. In seguito si svilupparono altre licenze di tipo copyleft che avevano come punto in comune
la libera distribuzione del codice, ma che differiscono sulla gestione delle modifiche, sul
l’ereditarietà delle licenza e la compatibilità con il software proprietario9.
Nel 1991, mentre il progetto GNU proseguiva il suo sviluppo uno studente finlandese, Linus
Torvalds decise per hobby di creare un sistema operativo autonomo. Torvalds distribuì il proprio
lavoro tramite Internet e ricevette immediatamente un ampio riscontro positivo da parte di altri
programmatori, i quali apportarono nuove funzionalità e contribuirono a correggere errori
riscontrati. Nacque così Linux, il quale fu distribuito fin da subito con una licenza liberale10.

Open Source o Free Software?

Agli inizi degli anni '90, l'idea delle licenze liberali era rappresentata soprattutto da Richard
Stallman e dalla sua FSF. Dobbiamo infatti alla “Free Software Foundation” (FSF) la definizione di
software libero e delle quattro libertà che questo garantisce. Nel Software Libero la licenza esiste
solo per garantire maggiori diritti all'utente, pur generalmente entro alcuni limiti, ed in particolare
con il software libero si ha:

• Libertà di eseguire il programma, per qualsiasi scopo.


• Libertà di studiare come funziona il programma e adattarlo alle proprie necessità.
• Libertà di ridistribuire copie in modo da aiutare il prossimo.
• Libertà di migliorare il programma e distribuirne pubblicamente i miglioramenti, in modo tale
che tutta la comunità ne tragga beneficio.

Tuttavia la causa del Free Software incontrava enormi difficoltà nel convincere la maggior parte
delle compagnie produttrice di software proprietario di adottare i principi del software libero.

Il motivo è da ricercarsi nella matrice ideologica del movimento,. La FSF patrocina il Free Software
per sancire la prevalenza del diritto della libertà di utilizzare, modificare, distribuire ciò che è un prodotto
dell’ingegno, sul diritto di proprietà dell’autore del medesimo. Tale posizione è stata tacciata, siamo in
America, di “comunismo”, anarchia” e anche di istigazione alla “pirateria” dai sostenitori del diritto di
proprietà sul software.11

Per questo motivo Bruce Perens, Eric S. Raymond, e altri coniarono il termine Open Source e
diedero vita nel 1997 in California a un’associazione non-profit, la “Open Source Initiative” (OSI).
Raymond sapeva che la parte più visibile e più organizzata della cultura hacker da cui provenivano
tutti i programmatori, primo fra tutti lo stesso Richard Stallman, è sempre stata sia molto fanatica
sia molto anticommerciale, ma:

Nella cultura hacker è sempre esistita un'ala più moderata, meno provocatoria e più vicina al mercato.
I più pragmatici erano fedeli non tanto a un'ideologia quanto piuttosto a un gruppo di tradizioni
informatiche basate sul lavoro dell'open source e antecedenti alla FSF. […] Il pragmatico apprezza
strumenti e giocattoli efficaci più di quanto disdegni la commercialità, e riesce a utilizzare anche
software commerciale d'alta qualità senza alcun problema ideologico. Al contempo, l'esperienza dell'open
source gli ha fatto apprendere standard tecnici di una qualità che ben pochi software “chiusi” possono
eguagliare.12
Raymond mentre analizzava lo sviluppo del sistema operativo Linux comprese come il principio
“più teste lavorano meglio di una soltanto” fosse alla base del modo di produzione del software
libero. Egli mostrava come il modo di produzione del software libero era di tipo “a Bazaar”, in altre
parole identificava la comunità Linux come “un grande e confusionario bazaar, pullulante di
progetti e approcci tra loro diversi (efficacemente simbolizzati dai siti contenenti l'archivio di Linux
dove apparivano materiali prodotti da chiunque)”. Il tipo “a Bazaar è in netta contrapposizione a
quello tipico del software Closed Source, indicato come “a Cattedrale” proprio della maggior parte
del mondo commerciale e caratterizzato dal lavoro di un team relativamente ristretto e chiuso con
poche occasioni di interazione con l’utenza finale se non dopo il momento del primo rilascio
definitivo13.
Col tempo la scelta a favore dell'Open Source da parte di alcune importanti imprese del settore
(Netscape, IBM, Sun) facilitarono l'accettazione del movimento Open Source presso l'industria del
software, facendo uscire l'idea della "condivisione del codice" dalla cerchia ristretta nella quale era
rimasta relegata fino ad allora.

Oltre il software: cultura libera versus cultura proprietaria

L’Open Source sta uscendo dal mondo dell’informatica proponendo un’alternativa vera e propria
al sistema di produzione capitalistico, senza ovviamente avere la volontà di soppiantarlo
completamente. L’intento, infatti, non è quello di distruggere il sistema stesso, ma di creare delle
diverse opportunità di produzione-consumo.

Come il movimento del software libero ha costruito un’economia basata su tale software, la gente del
Brasile, e di altre parti del mondo, va costruendo un’economia basata sulla cultura libera, in concorrenza
con la cultura proprietaria attualmente dominante, e se forse riuscirà a sostituirla, senza dubbio saprà
modificarla.14

L’OpenCola è stato il primo prodotto di consumo Open Source sviluppato al di fuori


dell’informatica.

Anche se inizialmente era solo uno strumento promozionale per spiegare i programmi Open Source,
la bevanda ora vive di vita propria. L'omonima società di Toronto è diventata più nota per questa bevanda
che per il software che voleva promuovere. Laird Brown, capo stratega dell'azienda, ne attribuisce il
successo a una diffusa sfiducia verso le grandi multinazionali e "la natura proprietaria di quasi tutto ciò
che ci circonda"15.

Chiunque può produrre la bevanda, modificarne e migliorarne la ricetta, a condizione che la


nuova formula rimanga di dominio pubblico. OpenCola è un caso fortunato e non pone alcuna reale
minaccia ad altri prodotti commercializzati (come la Coca Cola o la Pepsi)16.
Anche altrove si sta usando il modello dell'Open Source per sfidare gli interessi consolidati.

Ogni volta che acquistate un cd, un libro o una lattina di Coca-Cola pagate per avere accesso alla
proprietà intellettuale di qualcun altro. Con i vostri soldi acquistate il diritto ad ascoltare, leggere o
consumare i contenuti, ma non a rimaneggiarli o a farne delle copie e redistribuirle. Non sorprende,
allora, che le persone attive nel movimento dell'open source si siano chieste se i loro metodi non
funzionassero anche con altri prodotti. Finora nessuno ne è certo, ma ci stanno provando in molti17.

Nella musica, nella pubblica amministrazione, nella medicina18, ora c’è chi pensa di usare lo
stesso metodo di condivisione. Il movimento per i "contenuti aperti" è ancora all'inizio ed è difficile
prevedere fin dove arriverà. Tuttavia la battaglia per la “condivisione” dei contenuti aperti è
solamente all’inizio.
All’interno della comunità del software libero esistono due veri e propri movimenti politici: il
movimento pro Open Source e quello a favore del Software Libero, che si possono definire come
due correnti di pensiero nell’ambito di una stessa cultura. Dal punto di vista pratico, tuttavia, non
esistono differenze sostanziali fra programmi Open Source e software libero. La differenza
fondamentale tra i due movimenti, al contrario, si trova nei loro valori, nel modo diverso
di guardare il mondo.
L'ispirazione democratica della filosofia Open Source è stata già più volte sottolineata, e
sicuramente ad essa si accompagna una carica contestataria verso il software proprietario e più in
generale contro un modello economico neoliberale. Ma questo non significa che sia possibile
parlare di vero e proprio cybercomunismo o comunismo informatico come molti hanno suggerito. In
effetti si è tentato di leggere in chiave comunista la possibilità di creare, condividere, modificare e
scambiare software in modo completamente libero fra tutti gli utenti ma in realtà il termine
“comunismo” richiama una concezione, un movimento o un sistema che tende a realizzare
l'eguaglianza sociale attraverso la totale comunione delle risorse e dei beni, un obiettivo che centra
poco con la reale volontà di condivisione (e non comunione) rispetto all’abolizione della proprietà
privata (vero obiettivo finale del comunismo). Il tentativo fatto da alcuni di politicizzare la filosofia
Open Source si può leggere quindi come lo sforzo di dare nuova linfa a teorie “rivoluzionarie” che
con la globalizzazione hanno perso ormai quel fascino che in passato muoveva gli animi di milioni
di persone.
L’ideologia che sta alla base dell’Open Source è unicamente e specificamente Open Source ed
esprime una carica innovativa e uno spirito solidaristico che la rendono alternativa a una concezione
monopolistica del mercato e rivalutativa della persona come soggetto del mercato. E' una filosofia
che è volta a riconoscere il giusto rapporto qualità/prezzo, stimolare la libera concorrenza, proporre
un'alternativa a monopoli proprietari, favorire la cooperazione.
Comunque sia i sostenitori del Free Software sia quelli dell’Open Source combattono un nemico
comune: il software proprietario, quello il cui utilizzo, ridistribuzione o modifica sono proibiti o
richiedono un permesso. Per Raymond “la cultura open source possiede una serie di usi e costumi
sulla proprietà, elaborati ma essenzialmente non dichiarati. Essi stabiliscono a chi e in quali
circostanze sia consentito modificare il software, e (soprattutto) chi abbia il diritto di ridistribuire
nuovamente le versioni modificate alla comunità”19. Inoltre per Raymond le analisi di Locke sul
concetto di proprietà20, che risulta “virtualmente identica alla teoria del diritto consuetudinario sulla
proprietà terriera d'origine angloamericani”, possono essere applicate anche al mondo della
“noosfera” (ovvero lo spazio di sviluppo di tutti i programmi informatici)21. Quindi per i “guru” del
movimento del software libero la concezione della libertà è legata più al mito americano della
“frontiera” piuttosto che alla comunione dei beni vaticinata dai movimenti radicali di estrema
sinistra (in questo caso i cybercomunisti).
Sul concetto di proprietà può venire in aiuto l’analisi mazziniana. Mazzini, a differenza di
Marx22, vede la proprietà come parte integrante della natura umana:

Non bisogna abolire la proprietà perché oggi è di pochi; bisogna aprire la via perché i molti possano
acquistarla.
Bisogna richiamarla al principio che la renda legittima, facendo sì che il lavoro solo possa produrla.23

Nella concezione mazziniana la proprietà è legittimata solamente attraverso il lavoro, in altre


parole “chi lavora e produce, ha diritto ai frutti del proprio lavoro: in questo risiede il diritto di
proprietà”24. In effetti per Mazzini la proprietà deve essere innanzitutto “condivisa” affinché sia più
accessibile a un numero sempre maggiore di uomini attraverso il lavoro che essi compiono. Egli
afferma che invece di richiedere l'abolizione della proprietà bisogna modificare certe finalità per
mettere l'ordinamento economico in armonia con le grandi idee del sacrificio, di uguaglianza, di
progresso umano e sociale.
Le distorsioni delle società capitalistiche stanno nel fatto che la proprietà è privilegio di pochi ma
non per questo la proprietà perde il carattere di elemento stimolatore del progresso. Di conseguenza
la concezione mazziniana della proprietà si avvicina maggiormente a quella della filosofia Open
Source in quanto entrambe sostengono una volontà di “condivisione della proprietà” favorendo la
cooperazione fra le persone. Come sottolinea bene Raymond “Con un po' d'incoraggiamento, ogni
utente è in grado di diagnosticare problemi, suggerire soluzioni, aiutare a migliorare il codice in
maniera impensabile per una persona sola”25. In effetti la condivisione del pensiero “sorgente” è
possibile se avviene all’interno di veicoli comunitari, prima fra tutte le comunità virtuali e le
associazioni sparse in Internet.
In ogni modo, sia il movimento dell’Open Source, sia quello del Free Software non negano in
primis il concetto di proprietà privata. Invece che sostenere l’abolizione della proprietà privata
(come sostengono i fautori del cybercomunismo), sono fautori della condivisione.
Se poi andiamo ad analizzare le licenze che sono state proposte in questi anni in ambiente Free
Software e Open Source si può notare come tutte hanno in comune il riconoscimento del lavoro
dell’utente-programmatore. Compilando e migliorando il software l’utente ne diviene
automaticamente possessore.
In questo modo si realizza una vera e propria alternativa al sistema capitalistico. In effetti, il
singolo utente-programmatore si sente in “dovere” di comunicare le scoperte e le migliorie eseguite
sul codice di programmazione a tutta la comunità. Il fine di tutto questo è il continuo “progresso”
del software nel suo complesso.
Lo stimolo per dare gratuitamente ad altri il proprio lavoro è legato quindi ad una cultura che si
contrappone al mondo della produzione per puro interesse economico. In effetti secondo Raymond
la filosofia Open Source è vicina ad una cultura del dono dove “lo status sociale viene determinato
non da quel che si controlla ma da quel che si regala”26 anche se poi per le persone che aderiscono a
questa metodologia è possibile che si ottenga anche una compensazione monetaria per il lavoro
svolto laddove non vanifichi la libertà degli altri nell’utilizzare e/o modificare il prodotto realizzato.

Conclusioni: possibili contaminazioni e sviluppi

In questo breve saggio ho illustrato che cosa sia il metodo Open Source e il movimento ad esso
connesso. Ovviamente per l’analisi completa dell’argomento, rimando ad altri lavori ben più
minuziosi, mentre la tesi suggerita in queste poche righe è la “contaminazione” fruttuosa che si
potrebbe realizzare fra la filosofa Open Source da una parte e il mazzinianesimo o più in generale il
neorepubblicanesimo dall’altra. Con questo non voglio sostenere che la filosofia Open Source e la
teorica mazziniana siano figlie della stessa riflessione; al contrario la filosofia Open Source come
ho già avuto modo di affermare resta unicamente e specificamente Open Source.
Questo tentativo di analisi deve essere interpretato da una parte come un suggerimento di
“lettura” in chiave mazziniana del movimento connesso all’Open Source per comprendere meglio le
dinamiche inerenti allo sviluppo del movimento stesso; dall’altra il tema del superamento
dell’attuale sistema produttivo capitalistico mondiale sembra ormai ineludibile e la via della
“condivisione” che ricalca il modulo associazionistico mazziniano andrebbe seriamente
approfondita27. Ed è per questo che l’Open Source può venire d’aiuto anche per risolvere questioni
inerenti la politica e l’economia mondiale, sempre più in debito d’ossigeno nel dare risposte
concrete alle problematiche causate dalla globalizzazione.

Alessio Sfienti
Sitografia:

www.apogeo.com

www.opensource.org

www.softwarelibero.it

www.stallman.org/
1
NOTE

Il software è, com'è noto, l'elemento immateriale che permette ai computer di funzionare e agli utilizzatori di ottenere, dal
loro uso, un vantaggio costituito dalla possibilità di utilizzare una grande capacità di calcolo per la soluzione di problemi di
vario tipo. Quando si acquista un software non si acquista un programma ma, in maniera più ristretta, la licenza d'uso di
quel programma, licenza che permette l'installazione del software in una o più postazioni informatiche (computer). Si parla
per questo di software closed source. Il free software è invece un software caratterizzato dalla possibilità di usufruire del
“codice sorgente”, ovvero dalla possibilità di studiarlo, modificarlo e distribuirlo; tutto ciò per il semplice motivo che
software libero (perché free sta per libero e non per gratuito; infatti, quando si parla di software libero, solitamente si fa
riferimento ad una questione di libertà e non di prezzo.) significa essenzialmente libertà per l'utilizzatore, condivisione delle
informazioni, collaborazione sia per la sua produzione che per il suo mantenimento.
2
Il termine rivoluzione viene usato qui nell’accezione proposta da Thomas Kuhn: mutamento nel paradigma scientifico di
produzione di teorie e contenuti (cfr. T. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino 1969).
3
N. Bassi, Open Source. Analisi di un movimento, Apogeo, Milano 2000, p. XI.
4
G. Lawton, L'avanzata del copyleft, in “Internazionale”, n. 427, 2003
5
N. Bassi, Open Source. Analisi di un movimento, Op. cit., p. XI.
6
Cfr. S. Williams: Codice Libero. Richard Stallman e la crociata per il software libero, Apogeo, Milano
2003. Si veda anche il sito personale di Stallman all’indirizzo http://www.stallman.org/
7
GNU è il progetto di viluppo di un sistema operativo completo, compatibile con un altro sistema operativo ,UNIX, ma
distribuito con una licenza permissiva, con tutti gli strumenti necessari altrettanto liberi. GNU è un acronimo ricorsivo per
contemporaneamente collegarsi e distinguersi dal sistema operativo UNIX, ovvero "GNU's Not UNIX".
8
In realtà si tratta di un gioco di parole, che qui viene reso con “permesso di autore”: copyright (diritto di autore) è formato
dalle parola “copy” (copia) e “right” (diritto, ma anche destra), opposto di "left" (sinistra, ma anche lasciato).
9
Per una lista completa di tutte le licenze che possono essere utilizzate si veda la pagina
http://www.opensource.org/licenses/
10
Cfr. L. Torvarlds e D. Diamond, Rivoluzionario per caso, Garzanti, Milano 2001
11
N. Bassi, Open Source. Analisi di un movimento, Op. cit. p. 21.
12
E. S. Raymond, Colonizzare la Noosfera, versione del 1998, scaricabile direttamente dal sito www.apogeo.com
13
Cfr. E. S. Raymond, La cattedrale e il Bazar, versione del 1998, scaricabile direttamente dal sito www.apogeo.com
14
L. Lessig, The People Own Ideas, in “Technology Review”, giugno 2005
15
G. Lawton, L'avanzata del copyleft, Op. cit.
16
Purtroppo però l'industria della OpenCola ha successivamente attuato un nuovo piano strategico preferendo non
pubblicare più sul proprio sito informazioni riguardo la prima bibita Open Source. L'azienda è poi fallita e ad oggi nessuno
produce direttamente una bevanda con tale ricetta.
17
G. Lawton, L'avanzata del copyleft, Op. cit.
18
Cfr. Medicina aperta, in “Internazionale”, n. 548, 2004
19
E. S. Raymond, Colonizzare la Noosfera, Op. Cit.
20
Locke sosteneva che la proprietà era un diritto naturale per gli individui e ogni uomo poteva generare un proprio
patrimonio, aggiungendo valore, con il suo lavoro, alla materia libera in natura. Locke inoltre vedeva nel lavoro uno
strumento da sfruttare per creare proprietà che, a sua volta, diventava un segno di supremazia nei confronti degli altri. - Cfr.
John Locke, Due trattati sul governo col Patriarca di Robert Filmer, a cura di L. Pareyson, Torino 1948.
21
Più in generale si potrebbe parlare di cyberspazio “per indicare l’intero universo dell’informazione accessibile dalle reti
di computer” (E. Pedemonte, Personal Media, Bollati Boringhieri, Torino, 1998, p. 196).
22
Sullo scontro teorico Mazzini-Marx si veda la bella edizione curata da Salvo Mastellone del volume di Giuseppe Mazzini,
Pensieri sulla democrazia in Europa, Feltrinelli, Milano 1997.
23
G. Mazzini, Dei doveri dell’uomo, [1860], Milano, Rizzoli, 2002, p.87.
24
G. Santonastaso, Giuseppe Mazzini, Centro Napoletano di Studi Mazziniani, Napoli, 1971², p. 170.
25
E. S. Raymond, La cattedrale e il Bazar, Op. Cit.
26
E. S. Raymond, Colonizzare la Noosfera, Op. Cit.
27
In questo modo si potrebbero creare soluzioni per risolvere i problemi delle teorie neorepubblicane di fronte all’economia
globale (cfr. T. Casadei, Un nodo irrisolto del neorepublicanesimo: la questione economica, in “Il Pensiero Mazziniano”,
LV, Nuova serie, luglio-settembre 2000, n. 3, pp. 140-153.

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