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Phila: i volti dell'affetto in Grecia
Fausto Montana
Nessuno sceglierebbe di vivere senza amici, neppure se avesse tutti gli altri beni messi insieme.
Il desiderio di amicizia rapido a nascere, l'amicizia no.
L'amico un altro se stesso.
(Aristotele, Etica a Nicomaco 8, 1155a 5-6; 1156b 31-32;1166a 31)
Sono affermazioni di Aristotele, tratte dal libro VIII dell'Etica Nicomachea, una delle tre grandi
summae della speculazione aristotelica sul problema dell'ethos, il comportamento, la morale.
La complessit del metodo speculativo di Aristotele non escludeva il ricorso ai toni incisivi
dell'aforisma, nitida cesellatura che scaturisce dall'unione di pregnanza concettuale e brevit espressiva.
Cos capita a volte, leggendo Aristotele, di essere guidati per sentieri irti di concatenazioni logiche
lunghe e complesse, che poi d'improvviso, a una svolta, si aprono in radure limpide e piane, cristalline
epifanie del pensiero.
1. Il lessico greco dell'amicizia.
1i io e iiio sono le parole greche impiegate da Aristotele, nei passi citati sopra, per intendere
amico e amicizia. Il significato delle due coppie di termini, quella greca e quella italiana, nel caso
degli aforismi aristotelici collima perfettamente. Tuttavia, il parallelismo non funziona altrettanto bene
in molti altri casi, perch il ventaglio semantico della famiglia lessicale greca coniata sulla stessa radice
di i io pi articolato e complesso di quanto non accada in italiano per le parole amico e affini.
Il Dictionnaire tymologique de la langue grecque di Pierre Chantraine (vol. IV, Paris 1980, pp.
1204-1206), alla voce i io, rubrica tymologie, ci informa che Non c' niente di paragonabile a[lla
radice] ii (o iio) nelle altre lingue indoeuropee. L'etimologia del vocabolo dunque Ignota.
Questa esclusivit della radice greca ii nell'ambito delle lingue indoeuropee spiega la sua diversa
configurazione semantica rispetto al latino amicus e all'italiano amico. Seguiamo ancora Chantraine
nella definizione del significato pi antico, diciamo originario, di i io. Come sostantivo, il termine
esprime propriamente non una relazione sentimentale, ma l'appartenenza a un gruppo sociale. Il
linguista prosegue riferendo la tesi sostenuta da un suo illustre collega, mile Benveniste, nel
Vocabulaire des institutions indo-europennes (Paris 1969): la parola si applica indifferentemente
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all'una o all'altra di due persone impegnate in vincoli di ospitalit: l'ospite che riceve il iio dello
straniero accolto, e viceversa. L'accezione arcaica del termine si colloca dunque nel contesto di una
dinamica sociale specifica e ben definita: l'iniziativa di formalizzazione contrattuale delle relazioni
interpersonali da parte di individui appartenenti a comunit diverse, dunque stranieri fra loro, in
un'epoca nella quale il diritto internazionale era alquanto lacunoso e precario, se non del tutto
inesistente.
Chantraine articola poi in due distinte accezioni fondamentali il significato di i io quando
impiegato come aggettivo. La prima accezione, di senso passivo, amato, diletto, caro, detto di
persone o cose fin dal miceneo. La seconda accezione, di senso attivo, meno frequente e
prevalentemente poetica, amante, benevolo, detto di persone o di cose almeno a partire da Omero.
A questo punto il linguista recupera e sviluppa la tesi dell'originario significato sociale del termine: i l
valore affettivo della parola secondario, bench molto antico (cfr. mic. piropatara) [NB: secondario
in senso linguistico e dunque temporale, non quantitativo]; quando l'uso di i io fu esteso ai
congiunti che vivono presso il focolare del capofamiglia (sposa, figli, genitori), da quel momento il
termine comport l'idea di affetto e di amicizia, da cui iio [nel significato di] amato, caro e
benevolo. Questi significati, detti passivo e attivo, si spiegano bene con l'ambivalenza originaria
di questa parola. Dunque, l'argomento che persuade Chantraine della bont della tesi di Benveniste
sull'originario uso di i io nell'ambito dei rapporti arcaici di ospitalit, il significato speculare della
parola (avere qualcuno come amico/ essere amico di qualcuno), perfettamente idoneo a esprimere
una relazione interpersonale volontariamente e consensualmente fondata sulla garanzia della
reciprocit.
Chantraine conclude l'esame delle accezioni aggettivali ricordando l'uso omerico di i io a esprimere
il possesso inalienabile di persone o cose in espressioni come i iov q op, il proprio cuore, oq p
i io, il proprio padre, i io ti oo, le proprie vesti: un uso che si concilia bene con il
significato passivo del termine e con la dinamica dei rapporti di ospitalit individuata da Benveniste.
Il carattere semantico di cui la radice ii veicolo si dirama ulteriormente nei numerosi derivati di
iio. Vediamone i principali. Anzitutto iioq, amicizia, o meglio affetto, tenerezza che
Chantraine descrive come fondata sui legami dell'ospitalit, del sangue o del cameratismo e tale che
presuppone spesso una comunit concreta; dopo Omero, il sostantivo vale anche unione
sessuale. Quindi troviamo iiio, amicizia, inclinazione, amore, ma anche passione amorosa,
innamoramento in senso erotico. Il verbo denominativo iit o restituisce dilatata l'intera gamma delle
gradazioni semantiche contenute nella radice: prediligere, amare; poi baciare, abbracciare e dunque
unirsi carnalmente, avere rapporti erotici; e infine amar (fare), avere l'abitudine (di fare). Dal
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verbo si genera una cospicua serie di derivati, di significato prevalentemente erotico: iiqo ,
iiq op, iiqq e cos via, sino a i iqo, il bacio, sia quello affettuoso scambiato fra parenti o
amici, sia quello tenero o appassionato degli innamorati. Ricorderei ancora un'autentica curiosit
lessicale: il sostantivo i ipov, il cui significato di filtro magico, pozione, giunto sino alle lingue
moderne e all'italiano, si origina da quello di mezzo o espediente per farsi amare.
Non si pu non ricordare infine che la radice di i io funge nel greco antico, come del resto in quello
moderno, da comodo elemento combinatorio nella generazione di un'infinit di composti, come primo
o come secondo elemento della parola, a indicare il rapporto preferenziale nei confronti di una persona
o un oggetto, in una pittoresca galleria di vizi e virt improntati a propensione, affetto, predilezione,
attrazione, amore, attaccamento morboso, fissazione maniacale. Rende bene l'idea dell'entit di questo
fenomeno linguistico osservare che nel Vocabolario della lingua greca di Franco Montanari i
composti inizianti per iio occupano da soli una quindicina di pagine. Si va dal miceneo piropatara,
cio iioopo, colui che ha caro suo padre, all'omerico iiotivo, che ha caro lo straniero;
da iioypo, amante della campagna, a iio ooo, che ama la sapienza; da iio pyupo,
avido di denaro, a iit oipo, affezionato ai compagni; da iio|i vuvo, amante dei pericoli,
a iio qo, amico o fautore del popolo; da iio i|o, che ha la mania dei processi, a
iio io, che aspira agli onori e quindi ambizioso; da oioiiq, che s'innamora di
ragazzini, e oio iio, che ama i propri figli, a toiiq , amato dagli di, ma anche che ama
gli di.
2. Esempi di phila nella letteratura greca.
Quali riflessi ha nella letteratura greca il ventaglio di significati della radice ii? Tentiamo di
rispondere all'interrogativo scegliendo qualche esempio, tra gli infiniti possibili, da alcuni generi
rilevanti della letteratura greca delle et arcaica e classica: l'epos, la poesia elegiaca e il teatro tragico.
Iniziamo con due passi dell'Iliade. L'amicizia pi densa di implicazioni e di conseguenze nell'intreccio
del poema indubbiamente quella che unisce Achille e Patroclo. La morte in battaglia di Patroclo per
mano di Ettore rappresenter il fattore decisivo per il ritorno di Achille sul campo. Omero definisce a
pi riprese il loro rapporto come quello fra toipoi, compagni, cio propriamente il legame che si
instaura fra pari, all'interno di una lite sociale di marca aristocratica: un legame fondato sulla
condivisione di valori e interessi comuni, che poi si formalizza in codice di comportamento improntato
a leale e solidale assistenza reciproca e pu tradursi in attaccamento cameratesco, in sentimento di
affettuosa affinit e persino, talvolta, in intima attrazione, a livello spirituale e non solo. Si tratta delle
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situazioni tipiche dell'eteria politica (si pensi alla poesia di Alceo e di Teognide) e del taso femminile
(a tutti verr in mente Saffo).
Ora, i passi dell'Iliade nei quali compaiono simultaneamente Achille e Patroclo sono molto interessanti
per una valutazione dell'uso arcaico dell'aggettivo iio: osserviamo infatti una compresenza di
accezioni diverse, che vanno dal significato possessivo, tipicamente omerico, a quello di amico in
quanto ospite, a quello di amico in quanto caro, oggetto dell'affetto personale e delle attenzioni
pi intime e riposte, fino alla tenerezza e all'attrazione di tipo omoerotico. Vediamo due esempi.
Il primo tratto dal IX libro dell'Iliade, che ha per argomento l'ambasceria ad Achille. L'eroe greco,
infuriato con Agamennone, si trattiene presso la sua tenda e consola il proprio animo esacerbato
cantando e accompagnandosi con la lira. Patroclo gli sta seduto davanti e ascolta in silenzio. A un tratto
sopraggiungono tre eroi greci, Odisseo, Aiace e Fenice, inviati dall'assemblea dei capi per trattare il
ritorno in battaglia di Achille. L'eroe li accoglie con queste parole (IX 197-198):
Salve: ecco guerrieri amici (iioi ovpt) che giungono, c' n' davvero bisogno;
costoro, bench io sia adirato, mi sono carissimi tra gli Achei ( A_oiov iiooi)
dopodich li accoglie ospitalmente all'interno della tenda offrendone loro ogni comfort e ordina a
Patroclo di predisporre il necessario per un improvvisato simposio (202-204):
Poni nel mezzo un cratere pi grande, figlio di Menezio,
mesci vino pi puro, da' la sua coppa a ciascuno:
qui sotto il mio tetto ci sono gli uomini pi cari che io abbia (iiooi ovpt).
rimarchevole l'insistenza sulla caratterizzazione congiunta, per cos dire circolare, di questi ospiti
come i ioi, e come i ioi degni della massima cura ospitale. Ed altrettanto degno di nota che la voce
narrante prosegua subito dopo osservando (205):
Disse cos, Patroclo obbediva al caro amico (iio... toipo).
In tal modo la pi antica idea di iii o, quella connessa con l'accoglienza ospitale, si sposa, nello spazio
di pochi versi, all'accezione che potremmo definire socio-politica, quella connessa cio con
l'appartenenza alla medesima t oipi o; e al tempo stesso, considerata la storia personale a tutti nota
di Achille e di Patroclo, inevitabile che l'aggettivo i io si colori di una terza accezione, e cio in
senso affettivo, assumendo un connotato molto prossimo alla nostra idea di amicizia, tenerezza,
intimit sentimentale.
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Il secondo esempio iliadico integra il precedente. All'inizio del XVIII libro dell'Iliade Achille riceve la
notizia della morte di Patroclo per mano di Ettore. L'eroe invaso da una disperazione devastante; si
cosparge il capo e il corpo di cenere, e poi dice il poeta (26-27)
nella polvere, grande, per tutta la sua statura,
giacque, e sfigurava i capelli, strappandoli con le proprie mani (i iqoi... _tpoi : valore
possessivo di iio).
Teti, la madre divina dell'eroe, raggiunta dalle grida del figlio fino negli abissi marini, congedandosi
allarmata dalle compagne le informa che andr a vedere la sua creatura (iiov t|o). Nel toccante
colloquio della madre col figlio, questi si sfoga (79-82):
Madre mia, tutto questo di certo me l'ha fatto Zeus;
che piacere pu esservi ormai per me, ora che morto il mio amico (iio... toipo),
Patroclo, quello che onoravo al di sopra tutti i compagni,
anzi alla pari di me?
Pi avanti Achille chiamer la propria patria iiqv... opi o (101) e uov... iiov il proprio
cuore (113) e di nuovo, nel verso subito successivo, si riferir a Patroclo con la metonimia
familiarmente affettuosa i iq |toiq , il caro capo. Ancora una volta, osserviamo la compresenza in
pochi versi di una variet di accezioni di iio, a dimostrazione non soltanto della stratificazione
linguistica caratteristica della poesia omerica, ma anche del complesso e variegato profilo semantico del
termine.
Altri esempi sono offerti dalla cosiddetta silloge teognidea, cio la raccolta di componimenti elegiaci
trasmessa in alcuni manoscritti medievali sotto il nome del poeta Teognide di Megara, vissuto nel VI
secolo a.C. Si tratta di componimenti destinati ad allietare, con accompagnamento musicale, i momenti
simposiali dell'eteria aristocratica in greco heteria cui Teognide stesso aveva accesso. Pertanto vi
troviamo rispecchiati i valori civili, morali e militari coltivati dall'lite sociale e, fra questi, una certa idea
di amicizia, analoga a quella che gi abbiamo osservato nell'Iliade fra Achille e il iio t oi po
Patroclo. Come dicevamo, per i membri dell'eteria la iii o rappresenta il legame di reciproca lealt fra
pari, individua la relazione privilegiata a livello sociale (pi che sul piano personale), insomma un
modo di esprimere la coesione del gruppo come valore assolutamente vincolante e inviolabile. La
tenuta della lealt dei iioi garanzia che l'area del privilegio che essi condividono non ceda a
contaminazioni o corruzioni provenienti dall'esterno. Questa concezione esclusiva ed elitaria
emerge chiaramente fin dai primi componimenti della silloge attribuita a Teognide. In uno di questi, il
poeta si rivolge al giovane Cirno per eleggerlo a destinatario dei propri insegnamenti sull'etica del
gruppo (27-38):
Poich provo affetto per te, ti insegner quelle cose che anch'io,
Cirno, dagli uomini buoni imparai fin da bambino.
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Seguono alcuni precetti relativi alla necessit di buone frequentazioni sociali, suggellati da questa
clausola:
Impara queste cose e frequenta i buoni: un giorno dirai
che io consiglio bene gli amici (oioi iioioiv).
In un'altra elegia, Teognide lamenta con Cirno la promiscuit dei ceti sociali che impera nella citt,
impedendo ormai di riconoscere i nobili dalla plebaglia (61-68):
Non farti amico nessuno di questi cittadini...
a parole mostrati amico (i io) di tutti,
ma in realt non mescolarti ad alcuno di essi...
perch altrimenti avrai modo di conoscere l'animo di questi miserabili,
come non esista lealt alcuna nelle loro azioni,
ma amino (t i iqoov) intrecciare inganni e raggiri (cio sono i ioi dell'inganno) ...
Dal corpus teognideo potremmo ricavare un vero fiore di raccomandazioni aforistiche sull'amicizia,
perlopi basate sul precetto di non fidarsi di ognuno ma scegliere i propri amici con sapiente prudenza,
anzi con cautela diffidente e circospetta. Ecco una scelta di massime:
vv. 91-92:
Uno che parla in un modo, ma ha un pensiero doppio, costui un cattivo
compagno: sarebbe meglio averlo nemico, piuttosto che amico.
vv. 101-102:
Nessuno ti persuada a divenire amico di un plebeo,
Cirno: che vantaggio c' ad avere come amico una persona spregevole?
vv. 640-643:
Non puoi riconoscere la persona benevola e quella nemica,
finch non incappi in una seria difficolt.
Accanto al cratere, son molti a diventare iioi toipoi;
nelle difficolt ne restano pochi.
Talora emerge un altro precetto ricorrente nell'etica arcaica di matrice aristocratica, cio l'invito ad
augurare il massimo bene agli amici e il male peggiore ai nemici (337-340):
Zeus mi conceda di ripagare gli amici che mi vogliono bene (ov... iiov... oi t iituoiv),
Cirno, e di avere la meglio sui miei nemici.
Avrei l'impressione di essere un dio in mezzo agli uomini,
se la morte mi cogliesse con i conti in regola.
Un'attenzione particolare merita la rielaborazione teognidea di un altro motivo tradizionale, espresso
nella forma del paradosso: l'uomo in grado di saggiare l'autenticit dell'oro, ma non quella dei suoi
simili. In altri termini, viene pessimisticamente negata la possibilit di smascherare la slealt,
specialmente quando essa si camuffi sotto i lineamenti dell'amicizia (119-128):
Il flagello dell'oro o dell'argento falso tollerabile,
Cirno, ed facile smascherarlo per chi ne esperto.
Ma se un uomo amico nasconde nel petto una mente
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bugiarda e ha dentro un cuore ingannevole,
ebbene questo il dio lo ha reso particolarmente insondabile ai mortali,
ed la cosa pi difficile da riconoscere.
Infatti non si pu conoscere la mente dell'uomo e della donna,
prima di averne fatto prova come si fa con le bestie da soma,
n si pu congetturare come andranno le cose:
spesso le apparenze portano a ingannarsi.
Il motivo recuperato da autori diversi, fra i quali il tragediografo Euripide nel secondo episodio della
Medea, laddove la protagonista conclude la sua tagliente requisitoria contro il marito Giasone, che l'ha
da poco ripudiata, con questa riflessione (502-521):
Coraggio, converser con te come se fossi una persona cara (iio)
(...)
Ora, dove andr? A casa di mio padre?
Ma l'ho tradita, insieme alla mia patria, per te.
Allora presso le disgraziate figlie di Pelia? Mi darebbero certo
una bella accoglienza, in casa di coloro cui uccisi il padre! 505
Le cose stanno proprio cos: ai cari di casa mia (oi... oi|otv iioi)
sono divenuta avversa, coloro cui non dovevo
fare del male me li sono resi nemici per fare piacere a te.
Proprio in cambio di questi benefici
mi hai resto beata agli occhi di molte donne greche; e certo ho in te 510
uno sposo mirabile e fedele, povera me,
se me ne andr in esilio da questa terra, cacciata via,
priva di cari (i iov), io sola con i figli soli:
no, davvero una bella onta per lo sposo novello,
che vaghiamo mendicando i tuoi figli ed io, che sono stata la tua salvezza. 515
O Z e u s , p e r c h p e r l ' o r o h a i f o r n i t o a g l i e s s e r i u ma n i
i n d i z i c e r t i d i q u a l e s i a a d u l t e r a t o ,
e p e r g l i u o mi n i n o n v ' a l c u n c o n t r a s s e g n o n a t u r a l e s u l c o r p o
g r a z i e a l q u a l e s i p o s s a r i c o n o s c e r e i l ma l v a g i o ?
E il coro commenta:
Terribile l'ira e difficile da curare, 520
quando i cari vengono a contesa con i cari (oov iioi iioioi ouoioo tpiv).
Euripide innesta sul tema della iii o il motivo dell'insondabilit dell'animo umano. Per acquistare la
iii o di Giasone, di cui si era sinceramente innamorata, Medea ha rinunciato al rapporto di iii o con
i propri congiunti tradendone gravemente la fiducia (ha assecondato Giasone a danno del padre e, per
favorire la fuga dell'eroe, ha fatto morire il fratello): ora, inaspettatamente, Giasone l'ha ripudiata,
rivelandosi ingrato e insieme incurante del fatto che lei a questo punto resti priva di qualsiasi i io,
sola al mondo. Bench Euripide utilizzi un linguaggio affine a quello teognideo ad esempio nella
ripresa del motivo topico dell'oro adulterato la riflessione sulla iii o s'inserisce in un quadro
concettuale pi ampio e di respiro universale rispetto a quello chiuso e ristretto dell'eteria aristocratica.
In questo quadro dilatato, il termine fa valere tutta la propria complessit semantica. Medea parla di
iii o intendendo il naturale rapporto di affetto con il padre e i fratelli; riferendosi all'amore concepito
per Giasone; alludendo alla perduta ospitalit a Iolco, in Tessaglia, dove ha fatto morire
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proditoriamente il re Pelia; infine, lamentando la privazione totale di i ioi, la donna implica un'idea di
amicizia come disponibilit solidale al soccorso, ospitalit nel senso arcaico. Al termine dell'episodio, il
coro stigmatizza il tradimento della iii o con un giudizio estremamente severo (655-662):
non la citt, non uno degli amici
ti compianger mentre subisci
la pi spaventosa delle sciagure.
Muoia miseramente colui che ammette
di non onorare i propri cari dopo averne dischiuso 660
il puro serrame del cuore: a me
mai sar caro.
Non per niente, la iii o il tema centrale dell'episodio immediatamente successivo, dove a Medea si
offre l'occasione fortuita di garantirsi una via di scampo ad Atene, ospite del re Egeo. In una strofe del
terzo stasimo, il coro assumendo un punto di vista capovolto rispetto a quello dello stasimo
precedente commenta il patto di ospitalit stipulato dall'ignaro Egeo con la futura infanticida con
queste parole (846-855):
Come la citt
dei sacri fiumi, la terra
che d protezione agli amici
ospiter l'assassina dei figli,
l'empia, insieme con gli altri? 850
3. Aristotele: Phila amare, pi che essere amati.
In conclusione, ritorniamo brevemente all'VIII libro dell'Etica Nicomachea di Aristotele, da cui
abbiamo tratto alcuni aforismi L'opera fa parte degli scritti riconducibili, per via diretta o indiretta, al
maestro del Peripato e consiste in una raccolta di lezioni che Aristotele tenne probabilmente ad Atene,
durante il suo secondo soggiorno nella citt, fra il 335 e il 323 a.C.: il periodo aureo del suo impegno
teoretico e didattico, che s'interromper soltanto alla morte di Alessandro Magno, quando ad Atene si
scatena una violenta reazione antimacedone: allora i legami di vecchia data del filosofo con la dinastia
regale della Macedonia lo inducono ad allontanarsi dalla citt e a ritirarsi nei possedimenti della madre
a Calcide, nell'isola Eubea. Vi morir di malattia l'anno seguente, il 322, a 62 anni di et.
La riflessione aristotelica sull'amicizia posteriore di un secolo alla prima rappresentazione della
Medea di Euripide, ma si pu affermare che l'universo concettuale che per Euripide ruotava attorno
all'idea di iiio in Aristotele conosca sostanzialmente i medesimi punti di riferimento. Il filosofo
costruisce un articolato impianto teorico inteso a sussumerne la pluralit di significati. Egli distingue
tre cause di iiio: l'utile, il piacere e il bene; ne individua il fine nella realizzazione di un equilibrio
(iooq) fra due individui, ammettendo espressamente l'amicizia fra diseguali, accanto a quella
ritenuta pi stabile e sincera fra uguali. Estende il concetto dal rapporto fra individui a quello fra
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membri della stessa famiglia (sovrapponendolo cos al legame di sangue) e alla relazione fra membri di
una stessa comunit e, dunque, della polis. 1iii o i l vi n c o l o f o n d a t o s u l l a f i d u c i a
l e a l e e s i n c e r a , presupposto condiviso delle amicizie personali, dei legami affettivi familiari (sia
naturali sia acquisiti), della coesione interna alla comunit sociale e allo Stato.
Questa potenza della iii o, che abbraccia le relazioni dell'individuo a partire dalla sua dimensione
privata fino a quella pubblica e collettiva, riconosciuta dal filosofo nel carattere attivo e transitivo
dell'amare: la iii o, sostiene, (1159a 26-27)
pare consistere pi nell'amare (iitiv) che nell'essere amati (iitiooi).
Il rigore dell'argomentare filosofico richiede che l'affermazione sia suffragata da una prova logica. E
colpisce come all'esigente e severo raziocinio del filosofo basti, una volta tanto, l'evidenza irrefutabile di
un'argomentazione puramente empirica, e cio l'esempio toccante fornito dal gratuito amore materno
(1159a 27-33, trad. Carlo Natali):
segno [della natura attiva del iiti v] il fatto che le madri provano piacere nell'amare: infatti
alcune danno i loro figli ad allevare e continuano ad amarli, sapendo di loro, senza cercare di
essere amate in contraccambio, se entrambe le cose non sono possibili; ma sembra che a loro
basti sapere che stanno bene e li amano, anche se quelli, per ignoranza, non ricambiano affatto
con l'amore che si deve a una madre.

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