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Francesco Lamendola

Per Kojve, solo un Libro ci pu salvare dalla modernit sospesa fra crisi e messianismo
Strana lettura di Hegel, quella fatta dal filosofo francese di origine russa Alexandre Kojve (Mosca, 1902 - Bruxelles, 1968), nipote del famoso pittore Vasilij Kandinskij. Una lettura che mescola al nume dellidealismo tedesco massicce dosi di marxismo, di esistenzialismo, di psicanalisi e di buddismo zen, presentandone una interpretazione alquanto originale ma, forse, pochissimo fedele alloriginale (ma non era stato proprio Hegel a prendersela, nella prima sezione della Fenomenologia dello spirito, con il realismo ingenuo, reo di non aver capito che il soggetto fonda loggetto e non viceversa?). E, tuttavia, una lettura che ha letteralmente stregato una intera generazione di intellettuali europei e specialmente francesi, tanto da aver contribuito a tracciare una nuova mappa della filosofia: da Sartre a Lacan, da Bataille a Blanchot, da Derrida a Nancy. Quando Kojve decise di tenere una serie di seminari sulla Fenomenologia dello spirito, f ra il 1933 e il 1939, presso lcole pratique des hautes tudes, la risonanza fu enorme, e non solo nellambito strettamente filosofico: ad essi parteciparono filosofi come Raymond Aron e Maurice Merleau-Ponty, ma fecero loro eco anche scrittori, sociologi, psicanalisti, tra i quali Pierre Klossovski, Georges Bataille e Jacques Lacan. Marxianamente, Kojve mise laccento sulla dialettica servo/padrone, trascurando altri aspetti, pur fondamentali, dellopera hegeliana, col risultato di dare a battesimo una versione dellhegelismo, come dicevamo, a dir poco strana, nel senso di discutibile, opinabile, soggettiva. Data da allora, forse, la moda di prendere un autore e di leggerlo in chiave moderna, facendogli dire tutto e il contrario di tutto, comunque qualcosa di molto diverso da ci che, presumibilmente, il poveretto pensava di aver detto, per quanto non sia escluso che lidea di un simile dibattito postumo sulle proprie idee potrebbe lusingare qualunque filosofo o almeno qualunque filosofo si accontenti che il suo nome vada in giro, in un modo o nellaltro, magari per mezzo di esegesi che ne travisano totalmente il pensiero. O, se non data da allora, abbastanza verosimile che una simile maniera di interpretare i filosofi abbia tratto dalla lettura hegeliana di Kojve una forza particolare e una specie di patente di nobilt: perch, a ben guardare, chi ci guadagna soprattutto linterprete, il quale, prendendo il timone di una filosofia magari giudicata un po vecchiotta, se non proprio sorpassata, riesce, senza troppo averne laria, a godere di una buona dose di luce riflessa, quale non avrebbe potuto mai sognare se si fosse affidato alla sola risorsa delle sue magre virt speculative originali. Data da allora anche una certa qual moda del pastiche, che, specialmente nella terra dorigine del surrealismo, pu sempre permettersi il lusso di giocare su due binari, quello serio e quello, appunto, surreale: il primo, perch c caso che qualcuno scopra chiss quali analogie e corrispondenze fra cose diversissime e lodi lacume e loriginalit dellesegeta; il secondo perch, male che vada, si pu sempre suggerire che, in fondo, era tutto uno scherzo: ma, come Breton insegna, si pu forse stabilire una netta linea di confine tra seriet e scherzo, tra speculazione e parodia? La realt stessa non tutta parodistica, intrinsecamente, irreparabilmente, s che, alla fine, le cose pi vere e intelligenti le dicono proprio i buffoni? E i buffoni non sono tanto pi efficaci quando non solo scherzano, ma sbeffeggiano, stralunano gli occhi, cacciano fuori la lingua e fanno gli sberleffi? Non forse questo il senso del famoso orinatoio di Marcel Duchamp, presentato al pubblico in qualit di opera darte, degno, magari, di figurare, come gi la Venere di Milo o la Primavera di Botticelli, come simbolo della propria civilt figurativa? 1

Si noti che tale , in fondo, anche la posizione di Pirandello e di molti altri intellettuali del Novecento: se la vita una commedia, una buffonata, una farsa (tragica, peraltro), non forse il pazzo, il pazzo che ride, che fa gli sberleffi, il campione della vera saggezza? Esisteva dunque, ed esiste, un retroterra culturale, se cos abbiamo ancora il coraggio di chiamarlo, pi che propizio, specialmente in Francia e specialmente a Parigi, auto-elettasi capitale dellintelligenza mondiale, per le operazioni ermeneutiche pi arrischiate e funamboliche. Nel clima delle avanguardie scatenate, quintessenza dellidea illuminista del progresso - inteso come conquista della contemporaneit che fa impallidire il passato -, la storia della cultura quella di una continua corsa verso il meglio. E in fondo, a ben guardare, c una logica in questo: dove, altrimenti, sarebbe stato possibile, a cavallo della seconda guerra mondiale, procede a una tale renovatio del pensiero hegeliano, a una rivalutazione in grande stile del pi inverosimile, strampalato sofista della filosofia moderna, che spacciava per moneta buona le sue indecifrabili fumisterie? Si cita un aneddoto significativo sulla vita del filosofo tedesco: richiesto di spiegare il senso di un passaggio dei suoi scritti, rispose al discepolo allibito: Quando scrivo, siamo solo in due a capire: il buon Dio ed io; ma dopo che li ho scritti, temo che ne rimanga uno solo, e quello non sono io. Che cosa c ancora, di Hegel, nella lettura che ne fa Alexandre Kojve? Vediamo. Per Hegel, come ogni studente di filosofia sa bene, allorigine di tutto c lIdea; e gi qui, se quello studente avesse un po di senso critico, e se i suoi professori lo incoraggiassero in tal senso, non potrebbe non farsi un paio di semplici domande: lIdea - e sia pure con la lettera maiuscola -, dunque, e non lessere, allorigine di tutto? il pensiero, allora, che crea lessere, e non viceversa? A quel punto il nostro studente comincerebbe a capire perch Maritain, lultimo Maritain (quello de Le paysan de la Garonne) negava a Fichte, Hegel e Schelling la qualifica di filosofi e li chiamava, piuttosto, ideosofi: essi, infatti, a loro volta, negano puramente e semplicemente tutto quello che, per due millenni e pi, tutti i pensatori occidentali hanno sempre considerato indiscusso e indiscutibile, la sola base possibile per una indagine razionale del reale: la priorit dellessere sul pensiero, lanteriorit dellessere al pensare. Ma andiamo avanti. Per Hegel, il processo dialettico dellIdea si articola in tre momenti (non in senso cronologico): lIdea in s o Logos, lIdea fuori di s o Natura, lIdea per s o Spirito. Lo Spirito, dunque, lIdea che diviene cosciente di s, passando attraverso il momento della negazione e del confronto con ci che era originariamente. In fondo, si tratta di una rivisitazione dellidea di Eraclito che tutto scorre: dunque scorre anche lIdea, che la base del reale. Tutto scorre, per Hegel, ma non a caso, bens secondo una logica intrinseca, poich tutto ci che reale razionale e tutto ci che razionale, reale. Nella storia umana, per esempio - che , per Hegel, essenzialmente storia di popoli: a lui poco interessa la storia dellanima individuale anche ci che sembra la negazione dellIdea, alla fine si afferma e trionfa, contro tutte le apparenze e i pronostici verosimili: questa la cosiddetta astuzia della ragione, che si serve, per realizzare i suoi fini, anche di chi non crede affatto di servirla. Qui, dunque, oltre a Eraclito, abbiamo anche Spinoza: Dio il mondo; la ragione delle cose, la ragione del mondo; non serve cercare la presenza di Dio al di sopra del mondo, Dio non fuori del mondo, lIdea che presiede al mondo e che attua il divenire del mondo. Ed un Dio razionale, come quello dei razionalisti e degli illuministi, con la sola, notevole differenza che non si distingue dal mondo stesso. Il vantaggio di tutto ci, per Hegel, che questa concezione gli consente di collocare la filosofia un bel gradino pi in su della religione, e che consente a lui stesso di assidersi in trono, se non proprio come Dio, almeno come il suo unico e legittimo profeta, dato che lui solo ha compreso che cosa sia la realt, a differenza di tutti i filosofi delle epoche precedenti, e dato che lui solo ne ha svelato perfino i piccoli trucchi, i quali non hanno segreti al suo sguardo penetrante (lastuzia della ragione!). Questa impalcatura stata rivista e ristrutturata dalla lettura di Alexandre Kojve, il quale la attualizza, ma, al tempo stesso, ne conserva e ne riafferma la caratteristica di fondo: lassoluta autoreferenzialit, la granitica certezza di aver detto una definitiva parola di verit. Kojeve sostiene che la concezione della storia di Hegel non presuppone un movimento di per s ragionevole; che la storia sia un movimento razionale, ci appare solo post factum, non tanto 2

dopo questo o quellevento, ma proprio alla fine della storia (e, di nuovo, bisogna pensare che solo Hegel, e naturalmente Kojve, possiedano un telescopio abbastanza potente per spingere il loro sguardo fin laggi). In se stesso, invece, il movimento della storia insensato e irragionevole, e vano sarebbe cercarvi, a tutti i costi, una intima razionalit. Allo stesso modo, Kojve apporta una variante sostanziale nella filosofia hegeliana: sostiene, infatti, che il soggetto hegeliano non un portatore immediato di libert e di libert - come si era fino ad allora creduto, evidentemente sbagliando, anche e soprattutto da parte degli hegeliani ortodossi, tanto di destra che di sinistra -, perch la razionalit e la libert sorgono dal loro esatto contrario: la prima da un fondamento irrazionale, mentre la seconda trae origine dallillibert, che non consiste nella scelta tra due dati, ma la negazione del dato stesso. Un Hegel molto esistenzialista, dunque, piuttosto kierkegaardiano che hegeliano: un Hegel che farebbe rivoltare il maestro nella tomba, probabilmente, dato che lintero castello delle fumisterie hegeliane si regge precisamente sulla concezione dialettica dellIdea, intesa come reale alternativa tra possibilit diverse e non come rifiuto e negazione della scelta. Un Hegel, in compenso, che poteva piacere a Heidegger e a Sartre, soprattutto a Sarte, con quella impostazione del problema della libert come una sorta di necessit, ma anche di maledizione; e che poteva piacere, e piacque infatti, ai marxisti, con quella pretesa di sapere come andr a finire la storia mondiale senza badare troppo al fatto che una simile fine della storia lesatta negazione della dialettica dellIdea, la quale continuo movimento e trasformazione e non certo un desiderio di andare a sedersi, una volta per tutte, sulla poltrona di ci che infine deve essere. Riassumendo: la storia, per Kojve, ha un senso (e fin qui, egli indiscutibilmente daccordo con Hegel). Tale senso si riveler pienamente solo alla fine di essa, mentre, al presente, la storia oscilla fra crisi ed escatologia, ovvero fra angoscia e messianismo: ed questa la caratteristica fondamentale della modernit. La storia moderna, dunque, il culmine della storia di tutti i tempi (siamo abbastanza vicini al promontorio estremo dei secoli di cui parla, con orgoglio, il futurista Marinetti). Ma come fare per riconoscere la moneta buona in mezzo a quella falsa; come fare per riconoscere i segni della storia e a distinguerli da ci che effimero, transitorio, destinato a rimanere indietro? Come capire quando la morte delluomo, di cui parlano tanti filosofi moderni da Heidegger in poi, non significa semplicemente una fine, ma la fine, la fine della storia: e come distinguere questa escatologia, vera ed autentica, da quelle false e illusorie, che gi tante volte sono state salutate, a torto, con frenetico entusiasmo o con soprassalti di terrore? Insomma: come evitare di cadere vittime di abbagli, come quello, clamoroso, in cui incorse proprio Hegel nei confronti di Napoleone, visto prima come lincarnazione dellIdea, cio dello Spirito assoluto, poi sostituito da agenti ben pi qualificati e agguerriti, a cominciare dallo Stato prussiano, lultima e definitiva parola dello Spirito quanto al divenire e al significato della storia universale? Per Kojve (che riprende da Hegel labitudine di scrivere con la maiuscola i concetti di cui non sa dare una vera spiegazione) solo il Libro ci pu salvare: non un libro qualsiasi, ma il Libro con la l maiuscola, inteso quale suprema incarnazione della saggezza. Il Libro, infatti e qui vien fuori la dimensione buddista del pensiero del Nostro non ha alcuno scopo, semplicemente . Oppure, per dir meglio come osserva Matteo Vegetti, un giovane filosofo neo-hegeliano che a Kojve ha dedicato la monografia La fine della storia esso ha ogni scopo dentro di s, dunque ha uno scopo e non ce lha (questo linguaggio allusivo ed esoterico sarebbe molto piaciuto a Hegel). Dunque, per appartenere allordine del mondo e abitare il Logos assoluto, bisogna scegliere di non scegliere. Questa la missione del Saggio (ancora con la s maiuscola), questa la sua eredit spirituale: riconciliarsi con se stesso, affidandosi al reale senza opporre resistenza. Hegel, crediamo e Kojve con lui -, incorre per in un incidente con se stesso quando afferma che ci corrisponde a un affidarsi allEssere (ILH, p. 563): perch lEssere, nella sua filosofia, viene interamente sostituito dallIdea. In compenso, il concetto della auto-riconciliazione fatto per piacere agli psicanalisti, i quali, con i marxisti e gli psicanalisti, formavano, fino a ieri, lo zoccolo duro della intellighenzia occidentale. Non sar del tutto attendibile, allora, la lettura di Hegel fatta da Kojve: in compenso, sembra costruita apposta per piacere ai pi, ritagliando scampoli di culture alla moda. 3

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