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9: Egli il Conoscitore dell'invisibile e del visibile, il Grande, il Sublime.

10: Per Lui non c' differenza tra chi mantiene un segreto e chi lo divulga, tra chi si cela nella notte e chi si muove, liberamente, in pieno giorno. 11: Ci sono [angeli] davanti e dietro [ogni uomo] e vegliano su di lui, per ordine di Allah. In verit, Allah non modifica la realt di un popolo, finch esso non muta nel suo intimo. Quando Allah vuole un male per un popolo, nessuno pu allontanarlo; n avranno, all'infuori di Lui, alcun protettore. Corano XIII

Arrivai a Malpensa con un volo della Saudi Airlines via Atene, non avevo chiuso occhio tutta la notte per godermi ogni secondo e ogni dettaglio in quellaereo che richiamava la tradizione, la religione e la diversit della terra che ospita ogni anno milioni di pellegrini da tutto il mondo. Prima del decollo recitai la preghiera del viaggio. Era tutto surreale per un ragazzo dalla mia et, nato e cresciuto in una famiglia liberale, padre socialista e madre sufi. Dalle mie parti non si usava andare alla Mecca prima dei genitori e non in giovane et, ma io lo feci, con la grazia di Dio e con laiuto e la benedizione della mia famiglia. Era un viaggio dentro di me, dentro la storia dellumanit e le sacre scritture, verso la casa ricostruita da Abramo pace e benedizione su di lui come Allah gli aveva ordinato, per essere il punto di riferimento del culto e delladorazione dellunico Creatore: 127. E quando Abramo e Ismaele posero le fondamenta della Casa, dissero: O Signor nostro, accettala da noi! Tu sei Colui che tutto ascolta e conosce!. 128. O Signor nostro, fai di noi dei musulmani e della nostra discendenza una comunit musulmana. Mostraci i riti e accetta il nostro pentimento. In verit Tu sei il Perdonatore, il Misericordioso! Corano II Il Signore gli ordin poi di chiamare le genti al pellegrinaggio: 27. Chiama le genti al pellegrinaggio: verranno a te a piedi e con cammelli slanciati, da ogni remota contrada. Corano XXII Abramo chiese: come potrei chiamare coloro che ancora dovranno nascere? A te tocca chiamarli e a me tocca fare arrivare il messaggio. E cos fu, il fiume umano non si era mai fermato, fedeli da ogni angolo del globo, di ogni colore, razza e livello sociale si sono recati qui per ripudiare il Shirk per associare altri nel culto riservato solo a Dio, per esempio profeti, santi, statue o tombe e unirsi alla nazione del Dio unico.

Mi sovvennero le storie raccontate dalle nonne sui pellegrini partiti dal Marocco a piedi verso la Mecca, sfidando i pericoli e la fatica, la fame e la sete, tutti, come me, viaggiavano dentro se stessi, lasciavano i loro cari e i loro beni dietro di s, senza sapere se li avrebbero rivisti. Molti riuscirono a compiere il quinto pilastro dellIslam e a tornare sani e salvi, alcuni no. Nonostante ci, il flusso continu, anche con il cambio dei tempi, la scoperta del petrolio e levoluzione dei mezzi di trasporto e di comunicazione, la sfida rimane grande, e assume diverse forme. Il costo del viaggio verso la Mecca per i pellegrini provenienti dallEuropa potrebbe venire quanto un Capodanno a Londra o un Natale a Sharm, ma per molti musulmani nel resto del mondo significa spendere i risparmi di una vita intera. Il ajj stato e rimarr, per tutti quelli che lo hanno vissuto, il viaggio della loro vita, un misto di fede, passione, speranza, voglia di cambiamento, ricerca del perdono e di se stessi, del confronto con gli altri, della vittoria sullego, una grande occasione per mettersi alla prova, per sottomettersi alle regole, per guardare oltre le differenze, le lingue, le razze e le nazioni, unopportunit di rieducarsi, purificarsi per poi ripartire. Nel ajj trovi il miliardario arabo seduto a terra accanto allimmigrato asiatico, vestiti nello stesso modo, obbedienti allo stesso Signore, milioni di uomini, donne e bambini che parlano oltre duecento lingue e migliaia di dialetti pregano con lo stesso imam. Ero sommerso in questo mare di amore, orgoglioso della mia appartenenza a questa grande nazione, che non ha mai smesso di crescere sin dallarrivo del profeta Mohammed, pace e benedizione su di lui. Era bello essere l, specie per un ragazzo della mia et, immigrato in un Paese cattolico. Mi ricordo ancora gli sguardi di stupore e, a volte, di piet nei miei confronti, quando occasionalmente fra una preghiera e unaltra si faceva conoscenza con il vicino di tappeto. Molti fratelli avevano unidea distorta dellItalia, per loro richiamava il Vaticano, levangelizzazione del Terzo mondo, le Crociate. Vedermi l

seduto accanto a loro, di fronte alla Kaaba ledificio quadrato coperto di nero e con scritte dorate che molti in Italia chiamano la Pietra Nera, verso la quale pregano i musulmani di tutto il mondo e che si trova nel cuore della citt della Mecca , arrivando dal paese del papa, suscitava curiosit e partivano domande del tipo: come fate a praticare lIslam nelle terre dei crociati? Vi maltrattano? Vi negano i vostri diritti? Le vostre donne possono andare a scuola con il hijab? Come si fa a vivere senza sentire lazan? Eccetera. Domande alle quali rispondevo orgoglioso della mia italianit interiore, difendevo il Paese che ha ospitato me e migliaia di musulmani, dandoci lopportunit di ricostruire una nuova vita, di lavorare, di aprire attivit, di mandare i figli a scuola. Cercavo di far loro capire che pur essendo un paese cattolico, le leggi dello Stato sono laiche ed garantita la libert di culto e di espressione. Ma in Francia vietato il hijab nelle scuole! Grazie a Dio, io non vivo in Francia rispondevo. In Italia abbiamo le suore che si coprono il capo, e lo Stato non pu discriminare, quindi ci stato garantito anche il diritto di esibire le foto nei documenti con il capo coperto. E cos via, dalla carne all al diritto di famiglia, la maggior parte dei fratelli aveva unopinione negativa sulla nostra presenza in territori non islamici, e mi trovai a difendere lItalia pur non essendo, allora, ufficialmente italiano. Contava poco, tutto mi veniva spontaneo e naturale, credevo in quanto dicevo, anche se dentro di me cominciavo a maturare un conflitto di appartenenza verso entrambi i mondi, quello occidentale, al quale appartengo, e quello islamico, il quale mi appartiene. Scoprii per la prima volta che non solo gli italiani ignoravano lIslam, ma che anche i musulmani ignoravano i valori occidentali, o perlomeno in buona parte non li condividevano. Lunica differenza stava nel fatto che i primi erano indifferenti, mentre i secondi erano entusiasti non solo di

sostenere le comunit islamiche in Occidente, ma di trasmettere il messaggio dellIslam ai non musulmani e magari convertirli. Ci tenevano tanto, fa parte della loro comprensione dellIslam, come messaggio universale, la dawa una parola araba che si usa per definire linvito allIslam per i non musulmani e linvito al corretto Islam per coloro i quali sono gi musulmani era importante quanto lo erano il digiuno e la preghiera e gli altri pilastri. Il richiamo allIslam considerato quasi il sesto pilastro, rimasi affascinato dellenergia, dalla determinazione e dal coinvolgimento di questa gente nella dawa. Ci si manifestava in ogni aspetto della loro vita, nei ristoranti che chiudono le porte ai nuovi clienti e le cui luci si abbassano durante lora della preghiera, sui taxi dove si ascoltano solamente recitazioni del Corano, nelle ronde composte dellimam del quartiere e di due agenti della polizia, negli aeroporti, nei centri commerciali, nelle scuole, sulle autostrade, e in altri luoghi dove ci simbatte in manifesti che ricordano gli hadit, i detti del profeta dellIslam. Dappertutto, insomma. Le moschee locali sono sempre impegnate in attivit dedicate ai bambini, alle donne e ai giovani, i centri di dawa specializzati nella diffusione del messaggio dellIslam fra gli immigrati di altre religioni, per lo pi ind e cristiani. Guardai lorologio, era lora del fajer, mi alzai, feci il Wodo la purificazione post preghiera e continuai a pregare nellapposita sala a bordo dellaereo, dove potevano accomodarsi almeno altri sei passeggeri. Quello spazio era stato donato dalla Saudi Airlines per alzare la parola di Allah nei cieli, o forse era stata una scelta commerciale per attirare pi pellegrini, poco importa: la zona preghiera era l, e io me lero goduta. Ormai la Kaaba era alle nostre spalle, come veniva illustrato dallindicatore satellitare che oggi si pu scaricare gratis dallApp Store, ma che allepoca era un servizio che solo la Saudi Airlines si vantava di poter offrire. Finii di pregare e lasciai il piccolo spazio ad altri, atterrammo a Milano. Erano quasi le sei del mattino, se mi ricordo bene. Cera una macchina della polizia che scortava il pullman, chiss perch, sono sicuro che questo non

avviene con tutti i voli. Al controllo passaporti notai una donna con il volto coperto, alla quale toccava farsi timbrare il passaporto. Tenevo docchio lagente per vedere come si comportava, niente, nulla. La sua espressione non cambiata come se fosse nato e cresciuto a Jeddah! Continuava a chiacchierare con il collega accanto, dal nulla era apparsa un agente donna, con il sorriso sulla faccia si avvicin alla donna con il niqb (cos si chiama ogni parte del foulard o della sciarpa che si usa come hijab, e che si gira in modo da coprire una parte del volto. Alcune sciarpe vengono cucite in modo che coprano la testa e il viso una volta indossate, tipo bandana, e si chiamano ghatwa, il burka invece un abito femminile afgano di colore azzurro composto da un cappello che si mette sulla testa e copre fino ai piedi). Lagente allung il passaporto alla collega, che fece strada alla signora coperta. Stettero qualche secondo in ufficio, poi vidi la donna musulmana uscire e andarsene verso i bagagli. Quanta professionalit, avrei voluto filmare quanto era avvenuto e trasmetterlo su tutti i canali arabi per far vedere ai musulmani come si comporta la polizia di frontiera italiana con le nostre donne. ovvio che n il poliziotto n la collega condividono le idee di quella donna, e forse a loro disgusta anche lesistenza di persone cos, ma il rispetto della divisa e dello Stato che rappresenta prevale su ogni considerazione personale. Incantato da quanto avevo visto, arrivai al controllo passaporti con il sorriso sulla faccia, lufficiale fece le necessarie ricerche, poi mi lasci passare chiamando il prossimo. Non mi fermai alla raccolta bagagli perch non ne avevo, a parte quelli di cabina. Alcune ragazze, probabilmente saudite erano salite a Jeddah con il velo, ora non lavevano pi, in fondo non tutte le donne in Arabia Saudita lo portano per motivi religiosi, ma solo per ragioni sociali e culturali. Uscii dallaeroporto, e prima di recarmi al pullman della Stazione Centrale, mi fermai per bermi un espresso. Variazione di temperatura a parte, sentii tanta energia e voglia di cambiare la mia vita e quella degli altri, mi sentivo forse come il compagno del profeta Mohammad sas unabbreviazione della frase in arabo che si dice

ogni volta che si nomina il profeta dellIslam, e che sta per Salla Allaho Alaihi Wa Sallam, la benedizione e la pace del Signore su di Lui Al-tofail Al-dawsi, quando si convert allIslam e torn alla sua gente con poca conoscenza e tanta determinazione di annunciare la parola di Dio. Mi sentivo come lui, cari italiani e non, ho appena riscoperto lIslam, non quello che credete, non una lista dei divieti e doveri, una filosofia, uno stile di vita, la via.

Dora in poi: 162. In verit la mia orazione e il mio rito, la mia vita e la mia morte appartengono ad Allah Signore dei mondi. 163. Non ha associati. Questo mi stato comandato e sono il primo a sottomettermi. Corano VI Arrivammo alla Stazione Centrale, affascinante! Forse molti non la pensano cos, ma per me lo , un edificio maestoso. Anni dopo mi trovai a paragonare la stazione di Saint Pancrass, a Londra, con quella di Milano, e mi chiesi se mai ci decideremo in Italia a valorizzare la nostra architettura. Riuscii giusto in tempo a non perdere il treno, sul quale mi trovai in uno scompartimento di seconda classe, assieme a una mamma con la sua bambina e una ragazza silenziosa immersa nelle pagine di un libro, giusto il tempo di salutare cortesemente, e mi sedetti al lato corridoio. Ebbi la stessa sensazione di ogni volta che prendevo un treno per Rimini al ritorno dallestero: mi sentii a casa. Non il mio paese, non ci sono nato e non so se rimarr a viverci per sempre, ma solo qui mi sento veramente a casa, so badare a me stesso, mi piace larchitettura, lo stile, il cibo, la gente, anche quando non piaccio io a loro.

La bimba si era addormentata lasciando alla mamma il tempo di chiacchierare con la compagnia di viaggio, e io ero mezzo addormentato. Quanta purezza danimo e di serenit mi ha portato questa esperienza. Tornai con la memoria alle foto in bianco e nero, del mio nonno alla Mecca, a torso mezzo nudo e con il classico Ihram rigorosamente, i maschi pellegrini devono compiere i riti vestiti solo con due pezzi di stoffa non cuciti tra loro, in genere in cotone e di colore bianco, dal momento in cui entrano nella zona geografica specificata dal Profeta sas, fino alla fine dei rituali che durano, nel caso dellUmra, il piccolo pellegrinaggio, circa tre ore, e quattro giorni nel caso del Haj, il grande pellegrinaggio con ricorrenza annuale. La seconda volta che ci andai, fu per portarci la nonna, e non sapete che feste per la partenza e per il rientro! Era un evento, familiari e non vennero a congratularsi e a salutare i fortunati, i prescelti di Allah per rispondere alla chiamata di Abramo. Tutte le storie e i racconti su gente che si perde, muore soffocata nellaffollamento attorno alla Pietra Nera, o di malattie stagionali, da epidemie portate da paesi lontani, non sono riuscite a scoraggiare nessuno, n a togliere la gioia dei parenti, amici e vicini di casa. I pellegrini vengono sempre accompagnati da tutti loro allaeroporto, causando un sovraffollamento dei terminali, dei parcheggi, delle strade intorno. Le autorit marocchine e di molti paesi islamici aprono terminali stagionali dedicati al flusso del ajj. Sulla strada dellaeroporto di Delhi si pu leggere lindicazione delluscita del ajj Terminal assieme ai Terminal 1 e 2! Dopo quattro o cinque settimane, i pellegrini tornano ai loro paesi. Quando tocc alla nonna e il nonno, non esistevano cellulari n Internet, le televisioni nazionali trasmettevano le preghiere, il rito del monte Arafat geograficamente situato nellemirato della Mecca, dove si svolge il rito essenziale del Haj. I musulmani credono che in quel giorno Dio si vanta dei suoi fedeli raccolti ai piedi del monte e li presenta agli angeli come prova di fallimento di Satana nel deviare il genere umano dallunico Creatore , conosciuto come lapidazione di Satana, in diretta dalla valle di Mena situata fra Arafat e la Kaaba , e tutti rimanevano incollati agli schermi con la speranza di vedere i propri cari ripresi dalle telecamere della tv saudita.

Il rientro era pi festoso ed eccitante dalla partenza, fiumi umani in attesa dellarrivo degli aerei di linea e dei voli charter, dopo aver passato la notte allaperto, in tende o nelle macchine, in piedi per ore davanti agli arrivi, tutti vogliono essere i primi a vederli uscire, tutti vogliono toccarli e abbracciarli, sentire il profumo della Mecca, e si finisce per baciare e abbracciare chiunque esca da quella porta. impressionante come la globalizzazione abbia cambiato tutto, anche il culto, ora sono un ajj si usa aggiungere questo titolo al nome della persona che ha compiuto il pellegrinaggio che rientra a casa in un paese che non il suo; nessuno mi aspettava allaeroporto, scesi e mi persi nella metropoli in mezzo a gente dogni razza, colore o religione. Sono cambiati i tempi, ma non cambiato lIslam, non si fermato il flusso, e il richiamo di Abramo continua a raggiungere sempre pi gente in tutte le lingue e gli angoli della Terra, facendo leva sulla stessa modernit e rivoluzione tecnologica che, nel cambiare gli aspetti esteriori, le usanze, gli abiti, non fa che rinforzarne lintegrit e la divinit. Negli ultimi 1400 anni, lIslam ha continuato a crescere, resistere, conquistare, sfidare, perdere una battaglia per poi stravincere e stupire, costruire e creare, rilanciare civilt sconfitte o dimenticate, liberare uomini donne, schiavi e menti e a purificare spiriti; una religione, una passione, unideologia e uno stile di vita, una filosofia e una ragione di esistere. E io ero l, seduto con la testa appoggiata al vetro, sommerso nelle mie riflessioni. Arriv il controllore, prest particolare attenzione al mio biglietto, mi ci sono abituato, per molti controllori, giovane immigrato nordafricano significa no biglietto. Mi resi conto che vi era una terza signora nel compartimento, vestita di grigio, senza bagagli, con una bottiglia dacqua gasata sul tavolino. La salutai con un sorriso mentre il controllore si rassegnava allamara realt, stavolta il marocchino di turno, che ero io, non viaggiava senza biglietto. Ma quanto tempo ci vuole per controllare un biglietto disse la nuova signora, scuotendo la testa, di colpo erano cadute le barriere e sembrava che tutti ci conoscessimo da tempo. La mamma con la bimba addormentata sulle ginocchia mi guard dispiaciuta, la ragazza silenziosa di fronte a me mi regal un sorriso, poi ritorn al suo libro.

Le mie compagne di viaggio si sentivano a disagio per come si era comportato il controllore, io invece non do pi importanza a certi comportamenti: polemizzare non porta da nessuna parte. Ho imparato a convivere con lignoranza, non c risposta migliore allignorante se non ignorarlo. Che ci vuole fare? Si sa che tanti miei connazionali viaggiano senza biglietto. Questo e razzismo, disse la mamma della bimba a volte mi vergogno di essere italiana. Ma no, anzitutto, mi permetta, questo non razzismo. Questo signore controlla i biglietti tutti i giorni e incontra alcuni extracomunitari, che per un motivo o per laltro salgono sul treno senza pagare il biglietto, a prescindere dalla mia razza, quindi, lui si accerta solo che non sia uno di quelli risposi minimizzando. Piegando il giornale che mi pareva fosse stato LUnit e piazzandolo sul tavolino, la signora in grigio si gir verso di me: Io mi chiamo Anna, e lei?. Aadil. Piacere di conoscerla, secondo me lei si sta sbagliando, dalle sue parole si percepiscono dei sensi di colpa e di rassegnazione per comportamenti dei quali non responsabile. Finch risiede regolarmente in questo Paese, ha gli stessi diritti e doveri di noi italiani, ha il diritto di non essere discriminato per le sue origini, sesso, et o disabilit, oltre a ci, un cliente delle ferrovie, e ha il diritto di essere considerato come tale. Se si arrende e si lascia trattare male, le cose non faranno che peggiorare. Restammo senza parole davanti a tanta chiarezza, non potei replicare. Anna aveva ragione, razionalmente le cose stanno cos, purtroppo non viviamo nella citt perfetta, la gente calpesta le leggi, le regole e i valori di continuo, se ne ricordano solo per convenienza e quando sono dalla parte che ne beneficia. Latmosfera si fece molto amichevole, e la signora in grigio condusse la discussione con abilit. Io ascoltavo, sorridevo, a volte non capivo, a volte

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partecipavo, tornai con i pensieri a Jeddah. Un incontro cos non sarebbe mai stato possibile: se ci fossero stati dei treni, non mi sarei mai trovato seduto con tre signore che viaggiavano non accompagnate dai mariti, dai padri o dai fratelli. Secondo molti ulema, nellArabia Saudita (il plurale di alim, sinonimo di accreditato studioso di una scienza, non per forza religiosa. Gli ulema nellIslam sunnita non hanno nessuna immunit e le loro interpretazioni e fatw sono soggette a continue critiche e revisioni a differenza degli intoccabili ayatollah sciiti), non consigliabile per le donne viaggiare da sole. Fu la prima volta che ne sentii parlare, anche perch sono stato cresciuto da una donna indipendente e ribelle, che non faceva altro che viaggiare da sola tutto il tempo, e che aveva scelto il divorzio al posto di permettere a mio padre di sposare la seconda moglie. In un attimo, mentre osservavo con quanto amore la mia compagna di viaggio coccolava la sua bambina, mi chiesi quale Dio permetterebbe che una creatura cos innocente e pura bruci allinferno solo perch nata in una famiglia non musulmana! In fondo, nemmeno la sua mamma aveva potuto scegliere, n la ragazza silenziosa immersa nel suo libro n la signora progressista! Non giusto che gli italiani vengano considerati infedeli per nascita, nessuno di loro ha potuto scegliere nel giorno in cui venuto alla luce di non essere musulmano. Quale mente malata potrebbe accettare lesistenza di un Dio che punirebbe tutti loro perch non sono morti da musulmani? Ero appena tornato dalla Mecca, riconvertito allIslam, senza una conoscenza n una preparazione ideologica sufficiente per dibattere e convincere, ma avevo tanto amore e stima per la mia gente, italiani e non, tanta sincerit e convinzione che lIslam, la totale sottomissione a Dio, la religione vera. 125. Chiama al sentiero del tuo Signore con la saggezza e la buona parola e discuti con loro nella maniera migliore. In verit il tuo Signore conosce meglio [di ogni altro] chi si allontana dal Suo sentiero e conosce meglio [di ogni altro] coloro che sono ben guidati. Corano XVI Ora ho capito il senso delle parole che mi sono state dette in Arabia, e quindi perch aspettare? Il profeta disse: considerate il livello delle persone, e parlategli nel modo che le fa ragionare.

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Da quant che vive in Italia? Parla meglio di me! mi disse la signora in grigio. Ecco, trovai loccasione per fare dawa, la prima cosa e la Niah, lintenzione: Nel tuo nome sublimo Signore, che tu mi possa essere testimone e daiuto, sto per annunciare la tua parola e invitare i tuoi servi al monoteismo, apri i loro cuori e le loro menti, e benedici questazione, povera in confronto a tutto quel che mi hai dato, amen. Non da molto. Complimenti, e ora lavora o studia? Lavoro part-time da mia sorella nel commercio, si separata da poco, quindi sono venuto a vivere con lei. Ah, non sapevo che voi musulmani vi separaste! Mi scusi, sua sorella e musulmana, vero? mi chiese la mamma. S, diciamo che da noi e pi facile sposarsi, e altrettanto facile separarci. Il matrimonio e ununione sacra, regolata da un contratto fra marito e moglie, quando vengono a mancare le condizioni della convivenza, si ricorre alla separazione per tre mesi, a condizione che si rimanga a vivere sotto lo stesso tetto, come tentativo di riconciliazione, e per verificare lo stato di gravidanza. Scaduti i tre mesi, il divorzio diventa effettivo. Per! Non sapevo che aveste una specie di codice di famiglia cos dettagliato, pensa te noi in Italia abbiamo ottenuto il diritto al divorzio circa trentanni fa! Loro hanno tutto un sistema giuridico, civile e penale, ma queste cose non le dicono i media; ci fanno vedere solo le atrocit e gli abusi commessi contro le donne, cose che fanno notizia, insomma. Lavorando alluniversit sincontrano persone veramente colte ed educate e ci si scambiano idee, non condivido tutto, ma ho rispetto e stima per la cultura islamica disse Anna, regalandomi un sorriso. Mi piaceva molto il suo modo di dire la sua senza sbilanciarsi. Stranamente, la ragazza di fronte a me continuava nel suo silenzio, divorando il suo libro.

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Signora Anna, lei insegna alluniversit? Magari, no, mi occupo della parte amministrativa. E ci sono tanti studenti musulmani? gli chiesi. Non tanti ma sempre pi, per lo meno da fuori, Indonesia, Siria, Arabia saudita. Arabia Saudita! Sto tornando proprio da l, ci sono stato in pellegrinaggio alla Mecca! Ma dai! impressionante tutta quella gente intorno alla Pietra Nera, come mai ci andato in giovane et? la mia fortuna, eravamo andati io e mia sorella a dicembre, per la Umra della fine del Ramadan, una sorta di mini pellegrinaggio. Tanti pellegrini erano giovani, a differenza di quanto pensavo, poi uno sceicco mi consigli di tornare per fare il ajj, e mia sorella mi regal il viaggio, sono stato fortunato essendo il pi giovane della mia famiglia e il primo a farlo. Congratulazioni le parole uscirono con mia sorpresa dalla bocca della ragazza silenziosa. Grazie, le dissi mi sembra che tu sappia quanto ne siamo orgogliosi e appassionati del ajj, hai tanti amici musulmani? No, ho un fratello musulmano. La notizia ci colse di sorpresa, lei era italiana, e il fratello musulmano non poteva che essere un convertito. Finora non avevo mai avuto lonore di conoscere un italiano convertito, in pi sentire questa rivelazione, nel preciso momento in cui facevo la dawa sforzandomi di far conoscere lIslam alle mie compagne di compartimento, era come un regalo del cielo. Mi rilassai, avendo trovato una mezza alleata, unitaliana del fratello convertito allIslam, ma non mi lasciai scappare loccasione per conoscere di pi, era importante per me sentire e capire, perch se era difficile per uno straniero musulmano immigrato in Italia vivere la sua diversit, era quasi impensabile che un italiano lo potesse fare. Che coraggio! Convertirsi allIslam, per amore? le chiesi.

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No, per scelta, dopo una lunga ricerca, si convert lui e anche la moglie. Uno era gi troppo, ora anche la moglie! Le vie del Signore sono infinite, ma la mente umana fatica ad accettare certe cose, Allaho Akbar, spero veramente dincontrare questa persona. Continuano a vivere in Italia, vero? le chiesi. S, siamo riminesi. La terza sorpresa. Anchio sono di Rimini le dissi, e le chiesi la cortesia di salutare il suo fratello da parte mia che, essendo appena tornato dalla Mecca, mi sarebbe piaciuto condividere con lui un po dacqua di Zamzam una fonte dacqua che sorge a pochi metri dalla Pietra Nera, i musulmani credono che Dio lavesse fatta sorgere per dissetare Hajar, moglie del profeta Abramo, pace su di lui e il loro figlio Ismaele . Ero sicuro che gli avrebbe fatto piacere, cos scrissi il mio numero di casa su un pezzo di carta. La signora in grigio ci lasci a Bologna, e nello scompartimento restammo solo io e la sorella del mio fratello italiano. Dico cos perch lIslam stabilisce un legame di fratellanza tra tutti i musulmani, un legame che si rinforza con i riti, le ricorrenze e in ogni aspetto ideologico o pratico della fede islamica, per lo pi quando si vive come minoranza dentro societ non islamiche, o si e in situazioni di vulnerabilit in situazioni di guerre o di calamit naturali. Tale legame va oltre le differenze e le distanze geografiche, culturali o etniche) Ad attendermi alla stazione cera mia sorella Nadia, sorridente e solare come al solito, contenta di essere la prima a vedermi tornare dal viaggio della vita. Pur essendo solo noi due, non poteva mancare il latte con lessenza delle rose e i datteri ad attendermi allarrivo a casa in via destra del porto. Faceva freddo, e io cominciai a soffrire i sintomi del cambiamento del clima: gonfiore alla gola, occhi rossi, stanchezza totale. Passavano le ore, e aumentavano le preoccupazioni di mia sorella, che chiamando la mamma in Marocco, le disse che si trattava di sintomi del dopo Haj, che potrebbero durare giorni. Pur essendo giovane, il pellegrinaggio richiede sforzo fisico e concentrazione, ti porta emozioni e cambiamenti in un piccolo arco di

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tempo, il corpo e la mente, finita lesperienza, richiedono tanto riposo e cura. Nadia era mangiassi, magazzino sufficiente laltro. sempre l a controllare la mia temperatura, a far s che mi port in giro nella sua macchina un paio di volte. Il era chiuso dinverno, e lei aveva poco lavoro da svolgere, per tirare avanti in attesa dellestate, come tutti i riminesi fra

Anche lei era cambiata, da quando eravamo tornati dal primo viaggio alla Mecca, aveva deciso di portare il hijab e osservare un codice di comportamento del tutto diverso da quello precedente. Per qualche giorno evit di uscire di casa, nel suo piccolo era conosciuta ed estimata, laureata in Economia e commercio. A quei tempi, ragazze immigrate come lei in Italia se ne vedevano poche, aveva raggiunto suo marito, un matrimonio finito per differenze culturali. Il suo cambiamento non era passato inosservato in una piccola citt come la nostra, ma la sua forte personalit e la sua determinazione non si sono nascoste dietro il velo. Dopo una settimana di riposo, sentii la mancanza della pista, ci passavo la maggior parte del mio tempo libero, mi allenavo seriamente e di continuo, avevo smesso solo per il viaggio. Andai a San Marino, al campo di Serravalle, era buio e faceva freddo, salutai i miei compagni di societ, lOlympus, il mio allenatore e i ragazzi di ogni et, quasi tutti sammarinesi. Il cibo e il riposo mi avevano aggiunto qualche chilo in pi, e sapevo che mi sarebbe toccato fare giri di pista per almeno una settimana prima di tornare al mio peso forma e agli allenamenti tecnici. Arrivata lora della preghiera, mi fermai e pregai sul prato, i miei compagni mi guardarono stupiti, non manc qualche commento, non me la presi perch li conosco bene, in pista ogni motivo buono per farsi due risate. Dopo lallenamento, tutti agli spogliatoi. Cominciai a spogliarmi, poi mi fermai, qualcosa non quadrava, le docce erano comuni, e quindi se fossi andato l dentro avrei commesso un haram la parola vale per ogni cosa vietata e non permessa al musulmano, non voglio usare la parola peccato per non confondere la percezione di essa nella religione cattolica , da musulmano praticante non mi permesso di esibire la parte del mio corpo

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che va dallombelico alle ginocchia se non a mia moglie o per motivi validi, come una visita medica, e non mi permesso di guardare altri uomini nudi. Che fai seduto l? mi chiese un compagno. Niente, mi cambio, poi la doccia la faccio a casa. Nadia era l ad aspettarmi, puntuale come sempre, le raccontai quanto era successo. Come al solito, trov le parole giuste per ogni circostanza: una questione di priorit, vedi cosa viene in primo luogo per te, la tua religione o lo sport e gli amici. La risposta la sai, la mia religione. Ricordati che mi avevi fatto la stessa domanda qualche settimana fa, quando avevo deciso di mettere il hijab, e la mia risposta stata la stessa. vero, lo vedi che non si tratta di donna e uomo, entrambi siamo diversi, o perlomeno ci siamo accorti ora di esserlo. Meglio tardi che mai! Meglio tardi che mai, sorellina. Il giorno dopo, evitai di andare a Serravalle e mi allenai al campo di Rimini. La sera ci sedemmo a scoprire il nuovo computer che avevamo comprato grazie a un finanziamento senza interessi. Facevamo a turni. Nadia visitava siti per il suo lavoro, posta elettronica, astrologia, io siti islamici, recitazioni del Corano, foto della Mecca, scaricando ogni software possibile e immaginabile per islamizzare il nostro nuovo computer. Nadia si stanc e and a dormire, e continuai a navigare sino al fajer lalba, ed la prima preghiera delle cinque obbligatorie ; la feci da solo, non volevo svegliarla, e tornai ad ascoltare la Radio del sublime Corano in diretta dallArabia Saudita. Le mie giornate le spendevo leggendo, andavo meno in pista, non trovavo un lavoro halal (lecito, consentito al musulmano per mantenersi con lo stipendio che ne deriva; halal si usa anche per il cibo preparato secondo il codice islamico). Spendevo ore chiuso nella mia stanza, molte cose che leggevo nei libri che mi portai da Jeddah le avevo approfondite frequentando il centro della dawa salafita a Marrakech Darul-Coran: La

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casa del Corano da bambino. Il mio insegnante di arabo ce ne parlava tanto. Uno dei miei compagni di classe ci andava per fare la preghiera durante la pausa, era un edificio rosso argilla, come il resto della citt che sorgeva dalla parte opposta alla mia storica scuola. Al piano terra vi era una libreria islamica, ci andavamo a curiosare da bambini, piena di libri, volantini, audiocassette, accessori e gadget importati dallArabia Saudita come profumi e bussole per calcolare la direzione della Mecca. Al primo piano, sulla destra, si accedeva alla zona abluzione, essenziale prima di entrare nel resto del complesso. La biblioteca, fornitissima di libri di Ibno Taimiah, Ibn al kayem, entrambi autorevoli ulema della sfera salafita, sahih al Boukhari, sahih Muslim e altre raccolte accreditate della tradizione del Profeta dellIslam, pace e benedizione su di lui, alcuni libri dei Fratelli Musulmani dEgitto, i tafassir illustrazioni del Corano , libri di storia e di astrologia e linguistica. Non avevo mai visitato in vita mia una libreria non governativa e ben fornita come quella. Nella sala principale, si recitavano le cinque preghiere, ma non quella del venerd. Il centro, infatti, era unalternativa accademica, ma non una moschea. Poi ci si divideva in piccoli gruppi di studio; i pi giovani imparavano a memoria il Corano, gradualmente, studiavano teologia, credo islamico, giurisprudenza, diritto, arabo avanzato, era una specie di Open University, un via vai interrotto di studenti e studiosi molto pi interessante e radicato dellora settimanale di religione, dove sinsegnavano cose generiche. La casa del Corano, a quanto pare, era stata fondata da un gruppo di persone, studenti e studiosi, benefattori locali in connessione con lArabia Saudita e tollerata dallallora regime sufi marocchino che voleva far leva sullesportazione della cosiddetta rivoluzione islamica degli ayatollah. Tra i fondatori cera un mio cugino, lo sceicco Abdul-Rahim Al Naboulsi, studioso e recitatore del Corano, che per anni insegn linguistica alluniversit islamica della Mecca, ora amatissimo imam a Marrakech, al punto che gli stata assegnata una scorta non per proteggerlo, ma per aiutarlo a muoversi sano e salvo in mezzo alla folla che attende le sue preghiere. Mia madre era contenta di vedermi avvicinarmi a lui e ai suoi amici della casa del Corano, mio padre invece no, temeva che mi succedesse qualcosa. Frequentare quellambiente significava, nellimmaginario collettivo, rischiare di essere arrestati e interrogati dalla polizia o dallantiterrorismo marocchino. Fatto sta che quel centro non era illegale, altrimenti ci avrebbero messo cinque minuti a chiuderlo e ad arrestare tutti coloro che

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lo frequentavano e finanziavano. Anni dopo, riuscii a capire che tale attivit non poteva che essere voluta, o per lo meno tollerata, dalle autorit, ma mio padre e le persone comuni non prendevano rischi; per lui era pi normale per un ragazzo della mia et andare in discoteca che a una madrasa la parola sinonimo di scuola, ma in Italia richiama solo scuole religiose islamiche. Sfogliando i miei libri nella mia stanza di Rimini, rinfrescai la memoria su quanto divoravo nella casa del Corano a Marrakech; mi trovai a dedicare pi tempo allo studio che allatletica, mi facevo aiutare da Internet per approfondire e discutere con studenti di sharia nel resto del mondo su Skype, Paltalk o altre forme di comunicazione sulla rete che sin da allora erano state usate dal movimento universale del risveglio islamico ALsahwa per raggirare le censure e divulgare le ideologie islamiche oltre e dentro i confini dei regimi dei paesi islamici. Nadia mi raccont di uno dei suoi clienti di Abu Dhabi. Arrivato in Italia per ordinare delle lavorazioni di Murano, le aveva chiesto di portarlo in moschea. Nadia gli disse che non cerano moschee vicine, si fece quindi volontario per promuovere il finanziamento di una moschea a Rimini, qualora le autorit locali avessero concesso i permessi necessari. Lidea era brillante, il nostro cliente era collegato a personaggi di rilievo politico sociale ed economico negli Emirati Arabi, e quindi avevamo deciso di scrivere allassessore alla cultura e a un altro assessore del Comune di Rimini una lettera per chiedere un incontro e discutere del progetto. Bast questo per fare spalancare le porte dellinferno: qualcuno aveva dato la soffiata a un giornale locale, e i nostri nomi, cognomi, lindirizzo e il numero di telefono erano nelle mani di un giornalista che, nel giro di poche ore, tent dintervistarci e pubblic la sua versione sulla prima pagina. La mattina dopo andando a comprare il pane lessi sui manifesti che Un magnate arabo finanzier la moschea di Rimini. Era semplicemente ridicolo, scorretto e ingiusto, che la lettera di due cittadini a due dei loro assessori comunali fosse finita nelle mani della stampa locale. Ci eravamo trovati di punto in bianco in mezzo alla bufera, cos avevo deciso di raccontare la mia versione dei fatti. Imparai in questo modo la mia prima lezione nellarte della comunicazione: non dovevo rispondere ingenuamente al primo che si offriva di ascoltarmi, non ero ancora a conoscenza degli equilibri di potere, di chi era pro, contro

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o indifferente, ma la lezione che imparai mi sarebbe servita negli anni a venire. Lapparente calma e ospitalit riminese nascondeva uno scenario di guerra pronta a scatenarsi contro chiunque si azzardasse ad avventurarsi nel territorio della chiesa riminese e dei satelliti della sua orbita. Una lettera di quattro righe, scritta da un fratello e una sorella con nessuna connessione politica o ideologica, mobilit la curia e i partiti di sinistra, con interviste alla gente in giro per le piazze. Era, a dir poco, troppo. In fondo, avevamo chiesto solo la cortesia di avere un punto dincontro per discutere la fattibilit, ci potevano invitare cinque minuti a un ufficio e dirci di no, o anche ignorare la lettera. Si era messo in moto un meccanismo di oppressione sistematica e disinformazione infame, mirato a soffocare il progetto della moschea prima che si materializzasse nelle menti dei riminesi e che lo accettassero. Era stato in particolare un articolo pubblicato sul Ponte a criticare la stessa fede islamica, e non il progetto in s. Secondo lautore, i musulmani riminesi, non avevano il diritto di costruirsi una moschea, perch tale diritto viene negato ai cristiani nei paesi islamici. Larticolo chiedeva testualmente di concedere ai musulmani riminesi di costruirsi una moschea se i musulmani la costruzione di una chiesa a Layoune! Erano andati cos lontani per metterci i bastoni tra le ruote, chiedendo la costruzione di una chiesa in una citt nel mezzo del deserto marocchino, dove sicuramente non vi sono cristiani, e se ci fossero non sarebbero cos tanti da necessitare di avere la loro chiesa. Ironia della sorte, lautore dellarticolo a Layoune non cera mai stato, io invece s, non solo la conosco bene, ma avevo visto di persona la chiesa cattolica che sorge in una delle sue piazze, costruita ai tempi delloccupazione spagnola, e mantenuta nel suo splendore e nel rispetto della sacralit del luogo anche sotto il governo marocchino.

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Rimasi disgustato dal tentativo di manipolare lopinione pubblica sollevando un problema inesistente, mi erano venute in mente le immagini del papa in visita al Marocco, ricevuto dal re Hassan II e applaudito da una folla allo stadio di Casablanca. Ero bambino allepoca, ma le parole di sua santit in francese me le ricordo bene. Ci aveva chiamati giovani musulmani, non potenziali terroristi! Forse allepoca sua santit non sapeva che tra quella folla venuta l a salutarlo, cerano giovani che poi sarebbero immigrati in Italia, avrebbero sposato italiane, comprato case, aperto macellerie e call center, mandato i figli a scuola, volendo per che i loro figli imparassero larabo e il Corano, e indossassero abiti bianchi il venerd alla moschea del quartiere. Queste sono le legittime aspettative di quei giovani musulmani. Quella visita del papa a Casablanca significava molto per me quando cominciai a osservare il cristianesimo dallinterno. Imparai con il tempo che i cristiani erano proprio come li descriveva il Corano oltre millequattrocento anni fa: 113. Non sono tutti uguali. Tra la gente della Scrittura c una comunit che recita i segni di Allah durante la notte e si prosterna. 114. Credono in Allah e nellUltimo Giorno, raccomandano le buone consuetudini e proibiscono ci che riprovevole e gareggiano in opere di bene. Questi sono i devoti. 115. Tutto il bene che fanno non sar loro disconosciuto, poich Allah riconosce perfettamente i devoti. Corano III

Mi ero fatto lidea che tutti gli altoparlanti alzati contro lIslam e i musulmani in Italia non avevano il minimo rispetto per la cristianit, i suoi valori e tutto quel che la rappresenta. Nel mio piccolo, non potevo cambiare il mondo, n riscrivere la storia, ma potevo accendere una candela, dire una parola, essere me stesso contro chi finge, tutto qui.

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Chiesi un confronto pubblico con lo scrittore dellarticolo del Ponte, lavevo chiamato al telefono ed ebbi con lui uno scambio di opinioni cordiali in un tentativo di calmare le acque. La mia richiesta di confronto pubblico davanti agli studenti delluniversit di Rimini fu ignorata, la polemica si era spenta gradualmente, era ovvio che non avevo il controllo della situazione, non ero nessuno, non rappresentavo nessuno, nemmeno i musulmani di Rimini mi conoscevano e nemmeno io conoscevo loro. Mi andava bene cos, avevo fatto quanto potevo fare, trovandomi, senza volerlo essere, il portavoce dellIslam per tre o quattro giorni. Mentre stavo seduto dietro il doppio vetro della mia finestra a osservare le barche nel canale, mi arriv una chiamata che avrebbe cambiato la mia vita per sempre: Assalamo alaikum, pace su di te, fratello Adel? Wa alaikum assalam, a chi devo lonore? Mashallah, come il volere di Allah, si tratta di unespressione di compiacimento e serve a ricordare al fedele che ogni bene e dono deriva dallunico creatore mia sorella aveva ragione, il tuo italiano perfetto, sono Yahya, mia sorella ti aveva incontrato sul treno qualche settimana fa. Ah mashallah, sei il fratello italiano. S, come stai, e come sta la tua famiglia? Alhamdolillah, grazie ad Allah, tutti bene, e voi? S, alhamdolillah, tutto bene. Oggi venerd, abbiamo appena finito di fare la jumaa, la congregazione del venerd durante la quale si ascolta un sermone e alla fine si prega in gruppo guidati da lui ed eravamo seduti qui con qualche fratello, pensavo che ci potremmo vedere per un t. S certo, ero un po imbarazzato per non essere stato l per il jumaa dove vi trovo? Ci possiamo vedere in moschea, sai come arrivarci? Chieder a mia sorella di accompagnarmi, dammi lindirizzo.

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Lo scrissi su un foglio di carta, e lo salutai con la promessa di vederci tra poco. La moschea non era lontana, raccontai tutto a Nadia che mi disse di stare attento. La salutai con un sorriso recitando: 51. Di: Nulla ci pu colpire altro che quello che Allah ha scritto per noi. Egli il nostro patrono. Abbiano fiducia in Allah coloro che credono. Corano IX sempre stato un piacere camminare da casa mia verso il centro di Rimini, passare vicino al grattacielo, tramite il sottopassaggio verso la stazione. Guardai alla mia sinistra, il giardinetto era in ordine, la fontana funzionava, il ristorante allangolo stava di nuovo cambiando gestione. Attraversai la strada, sulla mia sinistra splendeva la chiesa, poi corso Giovanni XXII, piazza Ferrari, il Duomo. Arrivai a una traversa di via Maurizio Brighenti, non si vedeva lombra di una moschea! Ma vidi una donna somala con il velo, che parlava alla sua bambina in italiano, qualche scritta in arabo sulla vetrina di un negozietto di circa sessanta metri quadri. Aspettai che si allontanassero dallingresso, poi aprii la porta di vetro, quasi bloccata da scarpe di ogni misura e colore, ero sicuro di essere arrivato. In un attimo, mi sentii entrare in unaltra dimensione, mi trovai nel mezzo di una piccola trib di razze miste, umili, vestite in abiti da lavoro, jeans e magliette, tranne tre di loro: uno aveva una bellissima lunga barba a met grigia, indossava un turbante verde, un rosaio, un mantello verde e un sarwal kameez lunga tunica e pantaloni comodissimi un po turco, un po indiano. Laltro signore, seduto umilmente ma osservandomi con attenzione come se mi aspettasse, indossava un turbante bianco con una perfezione millimetrica che pensavo solo il mio nonno fosse capace di fare, portava abiti arabi ma comodi, degni di un abile viaggiatore. Dalla zona abluzione usc una faccia dangelo, fresca e giovanile, sorridente e diplomatica, sul capo aveva un cappello tunisino, era senza dubbio lui, il mio ospitante, litaliano convertito, fratello della mia compagna di viaggio. Fratello Aadil, assalamo alaikom. Wa alaikom assalam, Yahia, vero? S, mashallah, non timmaginavo cos giovane, grazie di essere venuto, vieni che ti presento ai fratelli disse indicando i due uomini seduti a terra, con unespressione un po amichevole e un po diffidente.

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La moschea era allestita in un locale destinato a uso commerciale, una vetrina coperta da una tenda come quelle usati negli uffici. Il primo spazio a destra, circa dieci metri quadri, era diviso dal resto della sala da preghiera con una tenda, era la zona dedicata alle donne, unumiliante segregazione vista con occhi occidentali, a nessuno piacerebbe che la propria donna, figlia o madre si trovi a pregare insieme a decine di altre donne in un piccolo spazio, senza la libert di muoversi, dovendo sussurrare per non essere sentite, e senza nemmeno la possibilit di accompagnare i bimbi al bagno prima di chiedere il permesso. Il pavimento era coperto di un collage di tappeti di acrilico dogni colore e misura, apparentemente gli avanzi delle case di alcuni fratelli o donazioni di commercianti poco generosi. Accanto alla zona donne, vi era un mobiletto, una biblioteca che custodiva decine di libri e una ventina di copie del sacro Corano, due o tre in lingue europee. Tutto qui, era questa la casa di Dio dei musulmani, ero rimasto un po deluso, la cosiddetta moschea non era allaltezza della comunit, che di certo non era a corto di risorse, non quando si comprano costose macchine da portare gi al paese, dove quasi tutti possiedono case, ville e terreni agricoli. I fratelli si erano alzati per accogliermi sorridenti, mentre la moschea si svuotava, per molti era ora di tornare al lavoro. Yahia fece le presentazioni, di me sapeva poco, e degli altri due mi disse che uno si chiamava Jamaluddin, fratello italiano, era quello con il turbante verde, un belluomo sui quaranta, il secondo con il turbante bianco, Abdessalam, invece era francese. Non era questa lItalia che conoscevo, non mi aspettavo di fare incontri ravvicinati, nel bel centro di Rimini, con tre convertiti. Mashallah, non poteva che farmi piacere, mi dava un senso di sicurezza e consolidava la mia appartenenza a questo Paese sapere che vi erano nativi che credevano in Allah forse pi di me. Il discorso cominci con le solite frasi di rito sulla famiglia, la salute e il lavoro. Andai subito al sodo, mi congratulai con i fratelli per le loro conversioni, evitai di farli sentire a disagio, e gli parlai di quanto orgoglio e stima abbiano tutte le persone convertite allIslam nei cuori dei musulmani nativi, in quanto loro sono vicini ad Allah pi di noi, perch quella che

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hanno fatto una scelta basata sulla convinzione e sulla ricerca della verit. Sentii che il ghiaccio si era rotto, e mi trovai a parlare con entusiasmo essendo ascoltato con attenzione, dalla conversione ero passato allimpermanenza, un ragionamento anche buddista, basato sul fatto che gli esseri viventi mantengono questo stato per un periodo limitato nel tempo, questo significa che fra centanni da oggi, tutti gli uomini, donne e bambini viventi sulla terra non ci saranno pi, perci, il timore di morire che molti abbiamo non ha senso, essendo la morte lunica certezza che esista. Quando usciamo di casa la mattina per andare al lavoro, partiamo per un viaggio, raggiungiamo luniversit, ci sposiamo o mettiamo il piede in qualunque azione in teoria a tempo determinato, non si ha mai la certezza di poterla portare a termine, perch potremmo perdere la vita in un incidente stradale, per una malattia o per cause naturali. Quindi, non essendo in grado di prevedere o evitare lora in cui lasceremo questo mondo, dobbiamo prepararci a lasciarlo, questa visone della vita e morte, scomoda ma realistica, influisce sulla nostra percezione delle cose, sulle nostre decisioni quotidiane e sul nostro rapporto con gli altri. Se quando usciamo di casa lo facciamo tenendo conto che potremmo non tornarci, cambia il nostro approccio alle cose e alle persone che lasciamo dietro di noi; ci rendiamo conto, ripetitivamente, quanto amiamo i nostri genitori per esempio, perch sappiamo che potremmo non rivederli pi, e questo influisce sul nostro comportamento con loro. Ci pensiamo due volte prima di rimandare le cose e di esprimere i nostri sentimenti o giudizi. Tutti viviamo tra la paura di morire e la consapevolezza di non poterlo evitare o prevenire. I fratelli mi ascoltavano con attenzione, e mi resi conto di aver parlato pi di quanto avessi ascoltato, sembrava che il mio discorso per loro fosse nuovo, parlavo di cose che loro senza dubbio conoscevano molto pi di me, ma in modo contemporaneo e semplice. Conclusi dicendo che la vita di ognuno di noi valutata in base a quante cose abbiamo fatto per prepararci allincontro con il Signore, e non con la durata di essa.

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per questo che vuoi aprire una moschea a Rimini? mi chiese Yahia a sorpresa, sorridendo. Allora, io vengo da una cultura nella quale sostenere le moschee e dovere di ogni musulmano, Il nostro re Hassan II, quando ero ancora bambino, aveva progettato la costruzione della pi grande moschea al mondo, raccogliendo i fondi da tutti i musulmani. Allepoca avevo partecipato donando due dirhams, se pensiamo a una moschea a Rimini come un progetto impossibile, costoso e non gradito dai riminesi, e nessuno fa niente, non la costruiremo mai. S, ma agendo cos, senza il consenso di tutti i musulmani, non fai che danneggiare la nostra immagine, noi viviamo qui e non abbiamo invece un altro posto dove andare se si scagliano contro di noi. Voi immigrati invece potete sempre tornare ai vostri paesi. Le parole di Abdessalam erano dure, pesanti e ingiuste, mi fecero uscire dallincanto nel quale mi ero trovato da quando ero entrato in quel luogo, e scoprii la vera ragione di quellinvito. Non era un invito a fare conoscenza, ma era un invito a comparire davanti a un piccolo tribunale per rispondere a pesanti accuse. Il mio cervello elabor la situazione con estrema velocit, e la mia risposta fu altrettanto diretta e ferma: Potete sempre dissociarvi da me, dicendo che ho agito a nome mio e non a quello della comunit. Yahia intervenne per assorbire la tensione, ma senza uscire da quanto pareva una linea gi concordata: Siamo tutti fratelli e tu non hai fatto nulla di male, solo che hai sollevato una bufera inutile per aprire una moschea a Rimini, che in fondo esiste gi, e senza chiedere consiglio ai fratelli. Non ci voleva. Mi dispiace se la mia iniziativa vi ha causato danni, ma prima di tutto non vi conoscevo, poi non ho fatto altro che agire da cittadino libero indipendente. Se la questione avesse trovato ascolto dalle autorit ovvio che tutti ne avreste beneficiato.

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Poi chi questo miliardario wahabita che vorrebbe finanziare il progetto, e cosa vuole in cambio? chiese Abdussalam, come se non volesse che si calmasse la situazione. Whabita? Che vuol dire? la prima volta che sento chiedere a un benefattore che vuole donare una moschea cosa voglia in cambio! Perch non cominciamo dallinizio, cos vi posso rispondere con chiarezza, perch mi sembra che ci sia un problema. Il problema, mi disse Yahia che non siamo in Marocco, siamo in Italia, e sentirsi dire che una persona spenderebbe centinaia di milioni per una moschea, solleva tante domande sulle origini dei soldi e sui motivi. A me sembra che si metta in questione la stessa fattibilit del progetto. Da un punto di vista politico-morale, siete i primi a sollevare la questione relativa ai finanziamenti, e questo mi sembra un po prematuro e strano pur non avendo dubbi su da quale parte siete, ripeto, vorreste per cortesia dirmi qual il problema senza saltare i dettagli, perch veramente non vi sto seguendo! Intervenne Yahia di nuovo, spiegando che chi finanzia una moschea definisce anche le linee della sua gestione finanziaria e ideologica e quindi deciderebbe anche chi sar limam e a quale tipo di Islam ci si debba riferire. Avevo perso il filo, non capivo cosa intendessero con tipo dIslam. Chiesi spiegazioni: Quando fu costruita la moschea di Roma, finanziata in gran parte dallArabia Saudita, i fratelli si trovarono in disaccordo sulla linea ideologica della moschea, essendo frequentata da cittadini di vari paesi, alcuni temevano che i sauditi avrebbero diffuso la loro visione dellIslam che non condivisa da tutti i musulmani. Per questo volevamo accertarci che non si ripetesse la stessa cosa a Rimini, per non finire nelle mani di una gestione che favorisce una visione ai danni delle altre. Anche se il suo discorso mi sembrava prematuro e discriminatorio, cercai di non portare la discussione oltre, perch era ovvio che mi trovavo a confronto con persone che pur sapendo di cosa parlavano, mi avevano etichettato prima ancora di conoscermi, e cercai di evitare limbarazzo dicendo:

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Per quanto mi riguarda, non ho fatto altro se non chiedere un incontro con gli assessori nel tentativo di avviare il progetto della moschea. Non avevo considerato gli aspetti di cui mi state parlando, ora so che esiste una moschea e una comunit islamica con le idee chiare su quale tipo di progetto portare avanti, consideratemi uno di voi, se c qualcosa che posso fare non esitate a chiedermelo. Lo feci spontaneamente, ma in fondo era una mossa che i tre fratelli non si aspettavano. Erano preparati a dibattere per convincermi del loro punto di vista, invece mi ero ritirato chiudendo la porta e lasciando una finestra mezza aperta. Avevo imparato la mia seconda importante lezione, dopo quella di non fidarsi mai della stampa, ora so che non posso contare sulla mia stessa comunit. La consapevolezza di queste due verit mi fu di grande aiuto per tutto quel che accadde dopo. Dentro di me, sapevo quel che volevo, alzare lazan la chiamata alla preghiera a Rimini, rendermi utile nel richiamo allIslam, n pi n meno. Chi mi vede da fuori, mi giudica secondo la sua visione delle cose e non per altro, quindi per convincere gli altri a lavorare con me, o per lo meno a non mettermi i bastoni tre le ruote, mi tocca cambiare il loro arco di visione, in modo che vedano le cose come le vedo io. Davanti a me cera tanta strada da percorrere, prima di guadagnare la fiducia dei fratelli, ero pronto a fare un passo nel lungo cammino. Nello stesso tempo, avevo capito che non dovevo contare sulla loro partecipazione. Mentre parlavamo, era arrivata lora della preghiera, i fratelli insistevano che la guidassi io, in segno di benvenuto. usanza che lospite conduca la preghiera. Accettai con gratitudine, e alla fine alzai le mani al cielo e recitai una lunga invocazione che imparai alla Mecca: Signore guidaci assieme a quelli che hai guidato, e purificaci assieme a quelli che hai purificato, benedici tutto ci che ci hai donato, e allontanaci da ogni male che hai saputo, tu vinci e non puoi essere sconfitto. Alla fine, mi girai verso i fratelli, e li vidi in uno stato di concentrazione spirituale kushu impressionante. La preghiera ci aveva portati al di l della tensione e della discussione, in fondo, siamo tutti fratelli, in fondo, siamo tutti sottomessi alla volont di Allah, ogni altra cosa viene in secondo piano. Abdulsalam ci invit a bere il t nel suo camper parcheggiato a pochi metri dalla moschea, e ci offr pane e olio, risate e scherzi. Sembrava che ci

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conoscessimo da una vita, ero felice di essere l, e loro erano contenti davermi conosciuto. Li salutai con la promessa di rivederci e tornai a casa, era ora di andare a prendere la mamma allaeroporto di Milano. Strada facendo, raccontai tutto a Nadia, che condivideva la mia reazione dicendomi: Altro non puoi fare, se loro vogliono una nuova moschea solo con le loro condizioni, preghiamo Allah che ci riescano. Ora pensa a te stesso, continua i tuoi studi, sfrutta linverno perch quando arriver la stagione non avrai tempo di farlo. La mamma era contenta di vedermi, mi chiamava ajj, latmosfera in casa nostra era piena di serenit e calore familiare, uscivamo quando cera bisogno, e passavamo le nostre giornate a cucinare, davanti alla tv satellitare o al computer. Avevamo cambiato un po le nostre abitudini, la carne halal era introvabile a Rimini, quindi compravamo tanto pesce per compensare il bisogno di proteine. Tutti in casa si alzavano per la preghiera dellalba, e siccome cera poco lavoro da svolgere, spensi un po di tempo andando alla moschea. Scoprii che era poco frequentata durante la settimana. In una delle mie visite, eravamo in cinque o sei, dopo la preghiera del Maghrib il tramonto ognuno per s, non conoscevo nessuno dei fratelli, erano tunisini, marocchini e forse un egiziano. Qualcosa in me mi diceva che dovevo prendere liniziativa e parlargli, fare dawa, senza fargli sentire che dIslam pretendevo di capirne pi di loro. La loro diversit di provenienza mi aveva ispirato un soggetto, la fratellanza, li invitai e feci segno di avvicinarsi attorno a me in un circolo, come si fa nelle lezioni, e cominciai a parlargli della fratellanza nellIslam e del suo senso, del suo perch e dei suoi benefici, riferendomi sempre al Corano e alla Sunna. Fu un discorso di quindici minuti circa, sempre su cose che senzaltro molti di loro avevano sentito altrove, ma nelle moschee, e tra una preghiera e unaltra, fa sempre piacere ascoltare. Alla fine chiusi con uninvocazione, poi chiesi il permesso di andare a casa. Ero riconoscente al Signore di avermi dato il coraggio e lispirazione di tenere quella piccola lezione. Sentivo un benessere interiore mai provato prima, la dawa consolida lapprendimento e la messa in pratica dellIslam. Quando parli ad altri fratelli delle cose che hai appena imparato come se firmassi un patto pubblico, dicendo che la fratellanza dei musulmani viene

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prima di ogni considerazione etnica, razziale o sociale, e facendogli lesempio della guerra civile nel Burundi, quando Utu e Tutsi si ammazzavano a vicenda, tranne quelli musulmani, nascondevano gli uni agli altri, non potevo che metterla in pratica per primo, perch la dawa basata sullo studio, la messa in pratica di quanto hai appreso. Per esempio imparai che il fumo danneggia la salute e che non permesso ai musulmani fumare. Secondo la dawa per prima cosa devo smettere di fumare, poi parlare ad altri dei danni del fumo e aiutarli a smettere. Facendo ci, potrei subire delle conseguenze che variano a seconda dellimpegno. Nel caso del fumo, la conseguenza potrebbe essere, per esempio, perdere un amico fumatore, che preferisce stare lontano da me per non sentire le mie prediche o per non mettermi a disagio, quindi una conseguenza del mio impegno nella dawa perdere quellamicizia. Se invece un musulmano impara e non trasmette o lo fa senza essere pronto a subire le conseguenze, non mette in pratica quel che ha imparato. Ogni volta che potevo, andavo in moschea, pregavo, facevo conoscenza di nuovi fratelli o incontravo alcuni che conoscevo da tempo. A volte davo lezioni o portavo libri, audiocassette e volantini che mi venivano spedite dallArabia Saudita. Un venerd feci la Jumaa, limam era marocchino, una persona per bene, aveva imparato il Corano a memoria da quando era bambino in Marocco. Il sermone si faceva in arabo ed era tratto da un libro usato da molti imam nel Nordafrica. Tra i fedeli vi erano tanti che larabo non lo capivano, ma venivano lo stesso a celebrare la preghiera settimanale, dopo lormai rituale t nel camper di Abdulsalam. Yahia mi fece vedere una fotocopia di un volantino che avevo lasciato nella moschea durante la settimana, e mi chiese se lavessi portato io. Gli dissi di s. Sentii il clima della prima udienza, Yahia cominci con un discorso storico sulla presenza islamica a Rimini, e su come molti italiani e occidentali si erano convertiti allIslam adottando il metodo sufi, per soffermarsi poi sul fatto che gli ulema dellArabia saudita non consideravano il sufismo parte dellIslam. Abdulsalam prese poi la parola, accusandomi di essere un infiltrato wahabita, che porta avanti un tentativo di sradicare il sufismo da Rimini.

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Era la seconda volta che sentii parlare di wahabismo, era un termine nuovo, ma mi ero soffermato sulle accuse dirette e ingiustificate. I fratelli sembravano non aver dubbi, non mi sembrava il caso di difendermi, non avendo fatto nulla di male. I libri, i volantini e le cassette che portai non facevano nessun riferimento al sufismo, trattavano argomenti di base come le cinque preghiere, linvocazione del Signore (Duaa), eccetera. Ma il problema, come mi disse Jamaluddin, erano gli stessi autori. Diffondendo le loro opere su argomenti comunemente condivisi da tutte le scuole islamiche, guadagnavano credito agli occhi dei lettori che poi avrebbero adottato i loro punti di vista su argomenti contestati. Non penso che uno sceicco come Ibn taimiah abbia bisogno di volantini per avere credito agli occhi dei musulmani. Ibn taimiah e un kafir, un infedele rispose Jamaluddin in modo brusco. La definizione era inaccettabile, kafir significava infedele, attribuire a qualunque musulmano o anche a un non musulmano questo aggettivo era semplicemente inaccettabile, figuriamoci se si parla di uno dei pi grandi studiosi nella storia dellIslam. Era la prima volta nella mia vita che assistevo a tale discussione. Da bambino frequentai un corso settimanale che analizzava uno dei libri di questo grande studioso, mi sforzavo di trovare scuse per Jamaluddin, mi dicevo che forse il suo astio dipendeva dal fatto che si era convertito e non leggeva larabo, aveva imparato studiando certi libri ma non altri, ma poi chi si azzarderebbe a definire un alim (studioso) una persona cos? La discussione era finita in un nulla di fatto. Sentivo il bisogno di capire, ma non potevo che non esprimere il mio disdegno a loro tre cercando di censurare quel che si legge in moschea. Non mi sembrava corretto che agissero come certi governi del terzo mondo, ma non cera altro che potessi fare, se non andarmene promettendo che non avrei portato altro materiale wahabita, come loro lo avevano definito, in moschea. Spesi la notte a fare ricerche su Internet, cercando di capire cosa sintendesse per wahabismo, e scoprii che la parola era apparsa per la prima volta negli anni 400 del calendario islamico, durante la presenza islamica in Andalusia, in una raccolta di fatw del Nordafrica e dellAndalusia, scritta da Ahmed Alwanshrisi, intitolata: Al-miyaar.S leggeva una fatw dellallora mufti dellAndalusia e del Nordafrica Ali AlLakhmi, morto nel 478 Hijri (calendario islamico), al quale era stato chiesto se fosse lecito pregare in una moschea dei Wahabiti, una setta deviata

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dallIslam, fondata da Abdoul Wahab ibn Abderrahman Ibn Rostm. Il nome di questa setta fu adottato in riferimento al movimento riformista dello sceicco Mohammad Ibn Abdelwahab, nato nel 1115 Hijri. La prima cosa davanti alla quale mi ero fermato oltre alle date che dimostrano senzombra di dubbio che il whabismo era esistito centinaia di anni prima che il nostro sheikh nascesse; era la parola stessa: wahabi significa in arabo seguace o fedele o militante di wahab, che sarebbe stato corretto se il fondatore del movimento o il suo punto di riferimento si fosse chiamato cos (nel caso dei Bahaai, il riferimento era a Bahaauddin per esempio), invece il nome dello sceicco Mohammad, figlio di Abdelwahab. Qualunque studioso dellIslam o della storia islamica conosce limportanza e il rigore linguistico arabo in materia di religione, quindi questo errore linguistico non pu che essere rilevante, considerando inoltre che lo stesso sceicco non aveva mai fondato un movimento, tantomeno gli aveva dato il nome di wahabismo. Lo sceicco era uno studioso che si ribell allinnovazione (Bidaa) nel culto prescritto dal Profeta Mohammed, pace e benedizione su di lui, compresa ladorazione delle tombe e dei santi, il suo impegno lo port ad allearsi con lemiro di Dariaa Sheikh Mohammad Ibn Saud, e alla fondazione dello Stato Saudita moderno e indipendente dal califfato ottomano. Non sono nella posizione n ho intenzione di approfondire questo soggetto. Trattandosi di pura teologia e storia islamica, ogni musulmano ha la possibilit di approfondire e di farsi la sua opinione al riguardo, anche se ora e a termine dellesperienza dietro le quinte dellIslam italiano e che vi sto raccontando non nascondo il mio schiarimento dalla parte dellIslam definito da alcuni come wahabita, e la sua influenza sugli eventi che sto rendendo pubblici, pur essendo sempre stato rispettoso a vicino al sufismo e a ogni forma di culto di qualunque religione. Le mie ricerche mi portarono a individuare una sorta di complotto sciita nella questione. Gli ayatollah di Teheran, consapevoli di essere alla testa di una piccola minoranza, e non riuscendo a convertire i musulmani alla loro nuova religione, decisero di guadagnarsi almeno la loro stima se non la loro lealt usando la questione palestinese, con uscite mediatiche rumorose come la famosa fatw contro Salman Rushdie, screditando gli ulema sunniti, mettendo in evidenza quelli corrotti al punto di creare una generazione di musulmani sunniti senza leadership e senza rispetto verso la loro ideologia e la loro visione dellIslam, finanziando e indottrinando le minoranze sciite nei paesi islamici alla contraffatta copia persiana

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dellIslam, accusando di wahabismo i musulmani riformatori che si riconoscevano in un Islam puro come lo era stato nelle radici, nel quale la lealt rimane solo a Dio e a nessun imam, sceicco o ayatollah. Tramite il regime di Damasco, in mano a un governo Baatista alleato di Teheran, a differenza dei governi dei paesi sunniti come Egitto, Marocco, Yemen e cos via, che evitavano di ospitare studenti occidentali convertiti allIslam se non tramite i canali accademici universali, il governo siriano finanziato da Teheran offriva loro corsi gratuiti e indottrinamento sufi anti salafita e anti wahabita, che dovevano riportare nelle nostre citt, societ e moschee europee. Vi era in corso una guerra fredda tra gli ayatollah di Teheran, tramite i sufi occidentali, e gli ulema sunniti, tramite le minoranze degli immigrati musulmani, per prendere il controllo delle moschee in Occidente, una guerra in cui mi trovai costretto a partecipare, nel cuore di Rimini. Dopo il fajer, cercai di riposare un po, ma spesso le cose non vanno come vorremmo. Suon il citofono, non poteva essere che il postino o qualche corriere, invece Salve siamo dalla questura, vorremmo parlare con il signor Aadil e la signora Nadia. Un attimo che apro. Era stata la polizia! Non era opportuno fare domande al citofono, dovevo scendere per parlargli direttamente, ma prima chiesi a mia sorella se ne sapesse qualcosa. Mi disse di aprire e di invitarli a salire. Erano in due, uomo e donna che non avevo mai visto prima, di sicuro non dallufficio immigrazione, in borghese, cordiali e ciascuno con un fascicolo tra le mani. Li salutai e gli feci strada, li feci sedere e aspettai mia sorella prima di chiedergli di che cosa si trattasse. Siamo della questura di Rimini, la DIGOS, e siamo venuti per fare una chiacchierata con voi, sempre che non abbiate nulla in contrario. Ci mancherebbe, gli disse mia sorella di che cosa si tratta? Cominci lufficiale donna: Io sono di Milano e mi trovavo qui a Rimini in missione. emerso il discorso della moschea che avevate intenzione di

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aprire, e i vostri nomi sono venuti fuori, siamo qui per una visita di cortesia, non avete nulla da temere, avevamo piacere solo di fare conoscenza e discutere per linteresse comune. Dopo le solite domande, sempre cordiali, ma preparate, era evidente che la bufera sollevatasi dopo la nostra lettera agli assessori non era passata inosservata. Mentre mia sorella era impegnata nella discussione con lagente, valutavo la situazione: se sono qui, a parlarci faccia a faccia, significa che le loro indagini non li hanno portati a nessuna pista interessante, nessun collegamento con persone sospette o indagate, nessun passato politico o criminale, altrimenti non ci avrebbero contattato, allora perch sono qui? Non avevo mai avuto a che fare in passato con la polizia, e sapevo poco o nulla dalla DIGOS. Ne avevo sentito parlare in tv in rapporto alle manifestazioni violente, dei tifosi o dei centri sociali, allora perch noi? Non trovando alcuna risposta nella mia testa, avevo deciso di buttarla sul tavolo: Mi scusi se la interrompo, mi viene da chiedere, fermo restando che siete i benvenuti e che non abbiamo nulla da nascondere, perch questa visita? Abbiamo forse fatto qualcosa che non dovevamo fare? Mi piace la tua franchezza, disse luomo noi della DIGOS, a differenza di quanto si possa pensare, lavoriamo per la tutela dei diritti e delle libert di tutti i componenti della societ. Nelle ultime settimane siete venuti alla luce in seguito a uniniziativa, legittima, ma insolita nella realt riminese. Non siamo qui per dettarvi quel che dovete fare o non fare, le leggi sono chiare e potete sempre consultarvi con gli avvocati, il nostro dovere si limita a prevenire eventuali scontri e azioni criminali per consolidare la sicurezza nazionale. Il miglior modo per farlo, essendo la comunit islamica in Italia in fase di crescita, il dialogo, e il nostro dovere quello di tutelare i vostri diritti e quelli degli altri cittadini in una convivenza pacifica nel rispetto delle leggi, di rendervi consapevoli dei vostri doveri, tutto qui. Era un discorso un po idealista, non avevo mai immaginato prima che il ramo segreto della polizia italiana fosse composto da persone cos tranquille, determinate e cordiali. Lidea della visita a casa, senza invito a comparire, mi sembrata molto produttiva, senzaltro sentiranno pi di quanto avrebbero potuto sentire da due persone innocenti portate in questura per aver scritto una lettera al loro assessore chiedendo un

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incontro. Sarebbe potuta finire con una frase tipo: Voglio parlare con il mio avvocato. E avrebbe lasciato unimmagine negativa nelle nostre menti e in quelle di unintera comunit. Non solo, lufficiale donna disse a mia sorella che tenevano in conto che una donna musulmana si sarebbe sentita meno a disagio parlando con un agente dello stesso sesso, per quello lavoravano sempre in coppia quando facevano certe visite. Lincontro and avanti per oltre unora, e lo trovai pi costruttivo che parlare alla stampa o alla gente comune. La donna era intelligente, rispettosa, sembrava pi una ricercatrice sociale che un agente di polizia. Dopo che se nerano andati, tenni la bocca chiusa in attesa della reazione di mia sorella, in fondo, era colpa mia se eravamo finiti sulla stampa, e la polizia era venuta a bussarci la porta. Nadia, invece, sembrava calma, lo ero anchIo, mi guardai attorno cercando di capire che impressione avessimo fatto ai poliziotti, la nostra casa era ben arredata e in ordine, senzaltro avranno visto la Bibbia, il libro dei mormoni e la copia italiana del Corano sul mobile della tv, il decoder satellitare e il computer nella sala da pranzo, i due tappeti persiani di oltre 5.000 euro di valore, mia sorella li aveva pagati molto meno, ma locchio esperto non le pu mancare. Ma di cosa mi sto preoccupando? In fondo siamo commercianti ed normale che teniamo a casa nostra qualche tappeto di valore. Paragonandoci allimmagine comune degli immigrati, sicuramente i due agenti avranno notato che eravamo sopra la media. Mi era venuta in mente anche la macchina parcheggiata davanti a casa, poi mi sono sentito stupido: la polizia non ha bisogno di vedere una macchina parcheggiata per sapere che ne possiedi una. Sentivo il bisogno di riflettere, chiesi il permesso di uscire. Dove vai? mi chiese Nadia. Coffee shop. Ti senti in colpa? Ridendo, evitai di guardarla negli occhi mentre lei continu Non abbiamo fatto nulla di cui preoccuparci. Loro devono capire che gente siamo, hanno un lavoro da portare avanti, e stai sicuro che la loro visita in questo modo un segnale rassicurante, non di

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preoccupazione. Se continuerai su questa strada, avrai sempre a che fare con gente cos. Andai a piedi al Coffee shop, mi fermai un attimo in piazza Quattro Cavalli, era deserta e fredda. Ebbi una sensazione strana, come se stessi per fare cose pi grandi di me, avventurarmi in territori sconosciuti, mi chiesi cosa sarebbe accaduto se invece di venire a fare due chiacchiere oggi fossero venuti a portarmi, o peggio ancora, portarci via, per interrogarci in questura e magari accusarci di qualcosa. Poi scartai questo pensiero, non solo perch quel qualcosa non esisteva, ma anche perch lItalia un Paese democratico, dove non si arrestano le persone tanto per farlo. Poi tornai con la mente al tribunale dei fratelli dentro la moschea, la preoccupazione nelle loro espressioni, possibile che fosse successo tutto per caso? Non che qualcuno aveva fatto una soffiata alla polizia allarmandoli sul nostro conto? Non era da escludere, poteva essere uno degli opponenti del progetto, in fondo bastava vedere i toni delle dichiarazioni sui giornali, ma poi anni dopo scoprii cha la soffiata partii proprio dalla moschea. Erano successe troppe cose in poco tempo, al Pascucci ero arrivato al secondo caff turco, e lennesimo pensiero, per concludere che, non mi era rimasto altro da fare. Dando unocchiata ai giornali ringraziai Dio che non vi era traccia di moschea, quindi la decisione pi saggia in quel momento era di sospendere tutto, pensare alla mia famiglia e al mio lavoro da sistemare. Nei giorni successivi, oltre alle preghiere e allo studio, cercai di rendermi utile. Non avevo ancora la patente per aiutare mia sorella con la guida, quindi facevo quel che potevo, inventario, corrispondenze, pulizie in casa, colazione, eccetera. Occasionalmente feci anche qualche lavoretto part-time, evitai perfino di andare in moschea. Poi arriv la stagione, di giorno lavoravo con la famiglia, di notte facevo il portiere in un albergo. Un giorno mi era venuto a trovare un fratello dalla moschea, a chiedermi come stavo e come mai non mi fossi fatto pi vedere. Gli dissi che ero impegnato con il lavoro, ma la mia scusa non lo convinse: Detta da un altro potevo considerarla, ma detta da te, per niente. Ascolta Aadil, tu non mi conosci, ma io so molto su di te, sei un ragazzo in gamba

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che ha ricevuto unottima educazione, parli quattro lingue, e soprattutto litaliano meglio di tutti noi. Da quando sei tornato dalla Mecca sei cambiato molto e ci ha fatto piacere vederti in moschea a dare quelle lezioni. Ma tu non ceri. Le tue visite alla moschea, i libri, le audiocassette e i volantini che hai portato, le tre o quattro lezioni che hai dato erano un segnale di vitalit che mancavano alla nostra moschea da quando lavevamo fondata. Abbiamo bisogno di giovani come te, che hanno degli ideali e che non si preoccupano solo di lavorare e risparmiare soldi per portarseli al paese. Vedi, Aadil, la vita non fatta solo di soldi, vero che tutti noi siamo venuti in Italia per avere un lavoro dignitoso, ma una volta che abbiamo quello, e portiamo le nostre famiglie a vivere qui, i figli nascono qui o ci vengono a vivere a unet giovane, vanno alle scuole italiane, guardano la tv italiana e si fanno amici italiani. I genitori sono per la maggior parte impegnati al lavoro, o la madre illetterata incapace di percepire il cambio culturale e di offrire ai figli uneducazione adeguata ed equilibrata a casa. Le mamme, alla quale tocca il compito di elevare la nuova generazione, non sono in grado di dare risposte a domande sulla sessualit, sulla finanza, su Internet da un punto di vista islamico. Solo le moschee possono far leva sulla macchina mediatica e sociale che insabbia di giorno in giorno, volente o nolente, la nostra identit. Sei sicuro di quanto stai dicendo? Pensi davvero che le moschee come la nostra siano in grado di offrire lalternativa islamica? Come la nostra no, ma come dovrebbero essere s, la nostra fortuna che abbiamo a disposizione circa trenta minuti a settimana, durante i quali i fedeli si radunano e ascoltano. Se usati bene, i trenta minuti non possono fare leva sulla tv, ma possono indirizzare chi ascolta verso la ricerca personale, possono diventare un punto di riferimento periodico di tutti i musulmani. Purtroppo, visto come stanno le cose, venire in moschea diventato un rito noioso, ascoltiamo gli stessi discorsi scritti mille anni fa che non hanno nessun riferimento con la nostra quotidianit, oltre al fatto che molti fedeli che non parlano larabo non le capiscono nemmeno. Io vorrei fare tanto, ma il fatto che Yahia e gli altri fratelli non condividono il mio modo di pensare, mi hanno accusato di essere un infiltrato wahabita.

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Ti sei chiesto cosa vogliamo noi? Poi, da quando in Islam sinsegna alla gente quello che a loro piace sentire? Questa una moschea non ununiversit dove puoi scegliere cosa studiare, si trasmette la conoscenza basata sulla Sunna e il Corano, come venivano interpretati dalla maggioranza degli ulema della nazione, se a qualcuno poi non piace, libero di non venire, andare altrove o aprire unaltra moschea dove predicare il proprio punto di vista assumendosi la responsabilit morale ed economica. Le sue parole furono chiare e fondate, avevo a che fare con una persona esperta, e mi chiesi come mai non avesse preso liniziativa lui in persona invece di chiederlo a me, ma la risposta arriv subito, come se leggessi nei miei pensieri. Lo ascoltai con attenzione, anche perch non si trattava di una persona che cercava di reclutarmi dalla sua parte o di pilotare le mie azione e censurare le mie idee, il suo discorso era basato sullidea di mettermi in azione, lasciandomi la libert di decidere cosa fare o dire e quando. Vedi, Aadil, Yahia e gli altri sufi sono meno di cinque su un totale di un centinaio che frequentano la moschea. Non giusto che decidano che cosa si possa dire nei sermoni o leggere nei libri, la maggior parte dei fratelli hanno rispetto e stima agli ulema dellArabia Saudita. Tu hai la fortuna di avere iniziato il tuo percorso da l, hai un lavoro indipendente che ti d flessibilit di tempo e che ti permette di studiare, viaggiare e tenerti in contatto, inoltre parli bene litaliano, hai tutte le qualit per metterti in moto. Quando avevo la tua et volevo fare qualcosa per Allah, ma i tempi erano diversi, mi lasciai sopraffare dalla paura e sono passati gli anni, sono immigrato in Europa, in Italia, ho guadagnato soldi ma ho perso me stesso. Non devi ripetere il mio errore, affidati ad Allah, sii pronto a fare sacrifici e non te ne pentirai, anche se non otterrai risultati, rimarrai con la coscienza a posto, poi non sono io a doverti insegnare queste cose, consultati con la gente della quale ti fidi. Non cera altro da discutere, era tutto chiaro, sembrava che mi leggesse nella mente, e stava agendo in modo neutrale e sincero. La decisione non cos difficile da prendere, chi sono io per privare la dawa dal mio impegno. lIslam andr avanti con o senza di noi, se metti il monoteismo su una parte della bilancia, e il resto delluniverso sullaltra prevale quella del monoteismo. Sono grato ad Allah di essere qui e avere

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questopportunit di fare parte del mio dovere, la gratitudine si esprime con i fatti non con le parole. Allah ti aiuti. Poi se ne and, e io presi la mia decisione: sarei tornato in moschea, ma stavolta in prima linea. Dopo il lavoro di giorno, andai al mio lavoro di notte, per fortuna lalbergo non aveva camere libere, il che significava che avevo tutto il tempo che volevo per pregare. Feci la Salat (la preghiera) tutta la notte, con piccoli intervalli di riposo, di riflessione e meditazione. Psicologicamente ed emotivamente ero pronto a fare limam il venerd. Conoscevo le mie carenze, non conoscevo il Corano a memoria, ma questo si poteva risolvere, avevo scaricato un programma da Internet che mi permetteva di richiamare le Ayat (il Corano composto da 6.236 Aya, lunit pi piccola di esso) usando una parola o una frase, una specie di motore di ricerca del Corano, e cos se dovevo scrivere qualcosa che si riferisse alluscita del popolo dIsraele dallEgitto, bastava scrivere Israel Egitto uscire e mi dava tutte le ayat relative, che io conoscevo ma non a memoria e non testualmente, bastava quindi fare copia e incolla sulla bozza del sermone. Cerano programmi simili anche per la vita del profeta, pace e benedizione su di lui, la storia islamica e lo Tafsir linterpretazione del Corano , in teoria avevo bisogno di un computer collegato a Internet e di quasi due ore a settimana per preparare un sermone di circa trenta minuti. La mia seconda carenza era la recitazione del Corano, quella non si poteva risolvere con Internet o con apparecchi elettronici, dovevo migliorala imparando le regole ed evitando di recitare in pubblico le ayat che non conoscevo a memoria. Per quanto riguardava laspetto pubblico, la mia condotta era accettabile, avevo smesso di fumare e di bere da tempo, anche prima di andare alla Mecca; non avevo relazioni, n cattive amicizie, avevo un lavoro Halal e la mia famiglia diventava sempre pi conservatrice.

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Il mio impegno nella dawa mi avrebbe aiutato a migliorare gli aspetti interiori ed esteriori, avrebbe allontanato da me le persone meno rispettose dellIslam e mi avrebbe aiutato a fare nuove conoscenze. Il giorno dopo, chiesi la benedizione di mia madre e le sue preghiere, poi ne parlai con mia sorella che mincoraggi e si rese disponibile a sostenermi economicamente se avessi voluto lasciare il lavoro per dedicarmi allo studio. Lultimo passo era lIstikara (la preghiera della richiesta del consenso di Allah), la feci, poi cercai il modo migliore per avvicinarmi a Yahia e fargli la proposta, prendendo in considerazione che la visita del fratello significava che tra i fedeli cera chi mi avrebbe voluto far tornare. Lo chiamai e dopo le dovute formalit, gli dissi: Con il volere di Allah, mi farebbe piacere candidarmi volontario per il sermone del venerd in arabo e in italiano. Vorrei che ne parlassi con i fratelli e che prendeste una decisione in merito, e se dovesse essere negativa vorrei sapere le motivazioni. Tagliai corto, ero preparato a un eventuale rifiuto quanto lo ero per laccettazione, questo nasce anche dalla natura stessa della dawa: fai tutto quel che ti permesso e che ti possibile accettando i risultati, quali che siano. Davanti ad Allah, sono pari nel merito un predicatore che invita allIslam cento persone e non riesce a convincere nessuno, e un altro che invita cento e si convertono due, come ha pi merito uno che parla a cento e ne converte uno, pi di uno che parla a dieci e ne converte otto, la ricompensa proporzionata allo sforzo, non al risultato. Ancora una volta, avevo fatto quanto mi era possibile, quindi tornai alla mia vita e non ci pensai pi, finch non arriv la chiamata di Yahia dicendomi che i fratelli pensavano che la mia fosse una buona idea, compreso limam attuale, a cui farebbe piacere alternarsi e dividere il compito con un altro fratello. Giunta lora della verit, feci una chiamata a un caro amico e sceicco, gli chiesi consiglio e preghiera; mi disse che dovevo preoccuparmi di rinnovare ogni volta lintenzione, ogni cosa che facevo dovevo farla al solo fine della dawa, di richiamare la gente alladorazione del Dio unico secondo gli insegnamenti dellultimo profeta. Finch lo fai per Allah, potrai contare sul suo sostegno, se invece subentrano altre considerazioni e finalit, allora conterai solo su di essi. Parla alla gente nel linguaggio e nel modo che la fa ragionare, e trattala come vorrebbe essere trattata,

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indirizzala verso la via e non verso la tua persona, perch la via va oltre il tempo, mentre tu oggi ci sei, domani per un motivo o per laltro potresti non esserci pi. Tieni davanti agli occhi le quattro fondamenta: imparare, mettere in pratica, insegnare, essere pronti a subire le conseguenze. Sarai messo alla prova, nella tua fede, nella tua famiglia, nei tuoi beni, in te stesso, in una di queste cose, in pi duna o in tutte, pi grande il tuo impegno, pi difficile la prova. Se ti ritieni in grado di mantenere almeno la fede allora vai avanti, ma se pensi che il tuo impegno nella dawa ti faccia correre quel rischio ora che tu faccia un passo indietro. Parole sagge, ma spaventose, la via della dawa meritevole per ogni fedele, ma difficile e piena di colpi di sorpresa, ostacoli, tradimenti e fallimenti. Non solo, anche i frutti del successo e la gratitudine della gente per i quali dedichi il tuo sforzo sono irrilevanti e da non considerare. Prima di andare in moschea, ripassai le Ayat che avrei recitato nella preghiera ad alta voce, e scrissi un discorso sullinvocazione del Signore, il Duaa. Arrivai poco prima del tempo, mi sedetti in prima fila assieme ad altri fedeli, accanto a me cera limam, sorridente e tranquillo, a quanto pareva. In pochi sapevano del cambiamento in corso, un fratello tunisino, vestito rigorosamente nel rispetto della tradizione, mi mise una sedia di fronte al resto dei fratelli, mi fece segno di sedermi, poi alz lAzan, Allaho Akbar, Allaho Akbar. Nel frattempo recitai preghiere per invocare il sostegno di Allah, era un tratto del Corano che si riferiva allinvocazione del profeta Mos, pace e benedizione su di lui, prima di portare la dawa al Faraone e ai figli dIsraele: 25. Disse: Aprimi il petto, Signore, 26. facilita il mio compito, 27. e sciogli il nodo della mia lingua, 28. s che possano capire il mio dire. Corano XX Quando il fratello fin aspettai tre minuti prima di alzarmi, ora che ci penso, realizzo che a volte azioni che durano una frazione di secondo potrebbero

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influenzare nel bene o nel male unintera vita. Mi alzai a cominciai il sermone come vuole la tradizione nello stesso modo in cui lo fece il profeta, pace e benedizione su di lui, oltre mille e quattrocento anni fa. Nessun uomo nella storia di tutta lumanit ha avuto tanta influenza e goduto di tanto rispetto quanto lui, ora ero l sulle sue orme, una grande responsabilit, e un immenso onore. Dopo lintroduzione tradizionale, giunse lora del discorso. Non potevo non notare lattenzione con la quale mi seguivano Yahia, Abdulsalam e Jamaluddin, oltre ad altri tre o quattro fratelli, sentivo che ogni parola che usciva dalla mia bocca, ogni frase, ogni gesto, venivano memorizzati, analizzati e confrontati con quanto sapevano e conoscevano dellIslam. La mia prima khutba il sermone sembr diventare pi una prova orale in un colloquio da lavoro che un sermone spirituale. Mi trovai a scavalcare londa e coltivare linteresse dellaudience, invece di andare in panico. Il soggetto preparato non era abbastanza in armonia con loccasione, e mi trovai a slittare allargandomi in un discorso basato sulla discussione che ebbi con il fratello che era venuto a trovarmi per riportami in moschea. Era una pura improvvisazione sulle parole scambiate fra noi due, un soggetto vivo, che interessava tutti noi e di cui ebbi lopportunit di parlarne per circa venti minuti, dopo i quali mi sedetti per una pausa, sempre secondo la tradizione, che mi serv anche per riflettere su quanto avevo detto e curiosare tra le facce cercando di sondare gli umori. Mi alzai per la seconda parte, che pronunciai completamente in italiano, poi chiusi il sermone con una lunga invocazione che fece venire qualche lacrima negli occhi a me e ad alcuni presenti, rendendo la mia voce ancora pi profonda e filtrante. Dopo la preghiera di chiusura, mi girai verso i fedeli, il consueto silenzio regnava nella moschea. Ognuno era immerso nelle sue riflessioni su quanto era stato detto, nelle preghiere consuete o nei pensieri quotidiani. Qualcuno guardava lorologio per vedere quanto tempo gli rimaneva prima di tornare al lavoro, alcuni cominciarono a lasciare in fretta la sala, altri a controllare che il proprio figlio o figlia fosse nei dintorni. Tesi la mano sorridendo a chi venne a salutarmi e a chiedermi il mio nome e se sarei ritornato a fare la khutba il prossimo venerd. Cercai di non godermi lattimo di successo, in fondo, nulla era stato per merito mio, ero solo un fedele peccatore tra tanti. Le parole del mio amico sceicco mi passavano come un annuncio luminoso davanti agli occhi: Alla via e non

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alla tua persona. Mi alzai e chiesi cortesemente il permesso di andare, con me era uscito sorridente Yahia, mi accompagn fuori dove si svolgeva il consueto raduno dei fedeli davanti alla moschee dopo le preghiere. Mi allontanai in silenzio scambiando i saluti, e tornai al lavoro come gli altri. Strada facendo mi trovai immerso in un misto di emozioni e riflessioni, mi chiedevo se avessi fatto la cosa giusta, se sarei stato capace di portare avanti quanto fatto finora. Mi ero reso conto che da oggi non ero pi lAadil di prima, la mia vita non mi apparteneva pi. Ne ero felice, perch in sostanza non facevo altro che sottomettermi allordine globale stabilito dal Signore dallinizio dei tempi, conosciuto sotto diversi nomi e forme, ma che rimane lo stesso: la sottomissione totale e incondizionata a Colui che possiede tutto e tutti, me compreso. Il fine settimana, andai a trovare Yahia a casa sua, ogni aspetto della vita di quelluomo girava attorno alla sua religione: una famiglia romagnola convertita allIslam, giornate divise tra famiglia, studio e impegno sociale al servizio della comunit musulmana, unumilt degna dei compagni del profeta. Vidi in lui cose che fino ad allora avevo letto solo nei libri, imparai a conoscerlo e ad avvicinarmi sempre pi a lui, non si stancava mai di ascoltare e le nostre chiacchierate duravano ore, nonostante le cose che ci dividevano. Non potevo che ammirare il suo coraggio e la sua determinazione nel fare una tale scelta di vita portandola avanti con audacia, impegno e determinazione. Non avevo ombra di dubbio che era lui la persona pi adatta a essere alla guida della comunit islamica riminese, e feci di tutto in seguito per sostenerlo e per convincerlo di giocare quel ruolo. Luomo giusto al posto giusto uno dei fondamenti della politica nellIslam. Spesso nella nostra storia non stato cos, la voglia di potere ha sempre accecato gli uomini di ogni religione o razza, e i musulmani non potevano essere uneccezione. Nel caso di Yahia, le circostanze del tempo e la natura dellallora crescente comunit islamica lo mettevano in cima alla piramide: era italiano nativo, cresciuto nella provincia, aveva studiato larabo in Tunisia e quindi era vicino alla cultura e alle usanze del Nordafrica, da dove proveniva la maggior parte degli immigrati. Aveva un passato di militanza politica di sinistra, la corrente di maggioranza nella nostra provincia, ed era padre di famiglia, con un lavoro stabile e tanti contatti.

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Guardando a tutto ci, non potevo non considerare i suoi fattori limitanti, essendo una minoranza nella minoranza, i convertiti tendono a chiudersi tra di loro. Sono musulmani a tutti gli effetti, ma socialmente e culturalmente diversi dalla maggioranza dei fratelli immigrati. Yahia aveva amicizie consolidate con altri convertiti allIslam sufi, Abdelsalam, Jamaluddin e altri. Niente da rimproverare, si trattava solo di una logica sociale, ma con la quale dovevamo aver a che fare, come se non bastassero i nostri problemi esterni. Personalmente, mi trovai pi vicino culturalmente e ideologicamente ai convertiti che al resto della comunit, pur essendo marocchino. In Marocco avevo vissuto poco, cresciuto in una famiglia con padre progressista e una madre tradizionalmente sufi, in un complesso residenziale lontano trenta chilometri dal centro della citt di Agadir, che sin dal terremoto degli anni sessanta era diventata meta di turisti, residenti e professionisti europei. Yahia percepiva la mia diversit dal gruppo e mi aveva aiutato molto a coltivarla e sfruttarla. Con il passare del tempo, ci trovammo daccordo quasi su tutto a eccezione che lui era un sufi moderato e io diventavo sempre pi wahabita, come piace a molti chiamarci. Per il resto del gruppo dei musulmani convertiti sufi, composto per la maggior parte da donne, eravamo, io e la mia famiglia, pi che benvenuti. La nostra casa, non lontana dalla moschea, divent in seguito un luogo dincontro per le donne che andavano da mia sorella Noura a imparare larabo e la recitazione del Corano, o semplicemente per chiacchierare, scambiare e sperimentare ricette di cucina. Noi uomini, invece, restavamo nei dintorni della moschea, in caffetterie, parchi o andavamo a turno nelle case dei fratelli in periferia di Rimini. Yahia minvit spesso a casa sua, per lui porto tuttora un forte sentimento di stima e di ammirazione. Mi era stato raccontato che negli anni ottanta, andavano in giro per la citt a offrire un passaggio a chi voleva andare a pregare il venerd a Bologna! Lestate, invece, alcuni andavano nei campeggi e nei parchi pubblici usati dagli ambulanti abusivi di religione musulmana a offrire modeste forme di assistenza.

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Solo Allah in grado di ricompensare il loro sforzo sulla via dellIslam, e mi auguro che un giorno mi perdoneranno per avere reso pubblica questa testimonianza. Latmosfera alla nostra moschea diventava sempre pi calda e accogliente, il sermone si riferiva allattualit, spesso anche politica. Non mancava il riferimento alla Palestina e alla Cecenia, lincoraggiamento alla solidariet fra i componenti della comunit. Il mio impegno settimanale mincoraggi a studiare sempre pi, intensificare le opere del cuore (le opere di culto si dividono in quelle materiali e quelle spirituali, chiamate anche opere del cuore, per esempio la recitazione del Corano e il ricordarsi del Signore come ci stato insegnato dal profeta Mohammad, pace e benedizione su di lui), pregavo ogni ultimo terzo della notte, digiunavo periodicamente, stavo diventando unaltra persona, pi sereno, positivo e altruista che mai. Nel frattempo Yahya, Jamaluddin e Abdulsalam preparavano il colpo di Stato (lespressione fu usata da Abdulsalam). La moschea di via Bertani era ufficialmente unassociazione culturale islamica di cui il presidente era un noto giovane marocchino, allepoca attivista di sinistra, che scelse di lasciare la gestione della moschea per motivi a me sconosciuti e si dedic alla gestione del suo ristorante. Yahia sentiva il bisogno di assicurarsi il controllo sulla moschea, togliendo di mezzo lallora presidente sulle carte ufficiali, ed Emiro godente di un patto di obbedienza dietro le porte chiuse, per farlo bisognava, in poche parole, pilotare lopinione pubblica della moschea. Non mi era stato chiesto ci chiaramente, ma lo capii dalla conversazione nel camper di Abdulsalam attorno a uno dei suoi deliziosi t profumati. Yahia mi racconto la storia della fondazione della moschea, delleccezionale contributo dellallora emiro che aveva buoni rapporti con la giunta, la stampa e alcuni sindacati, fino ad arrivare allapertura del suo ristorante e al suo allontanamento dalla moschea per motivi di affari. I tre mi chiesero il mio parere sul fatto che lemiro della moschea possedeva unattivit che offriva bibite alcoliche e spettacoli di danza del ventre! Lunica certezza che avevo che non ero un mufti ( la persona alla quale viene chiesto di esprimere il suo parere, fatw, su una questione illustrata con la massima precisione; la fatw non vincolante a tutti i musulmani in

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tutti i tempi, in molti casi i governi dei Paesi musulmani nominano un mufti e si rivolgono a lui per questioni che riguardano la religione islamica e la compatibilit delle leggi con essa. Esistono anche mufti ai quali la gente si rivolge per domande personali. Va detto che il mufti pu emettere fatw errate o contestate da altri studiosi che hanno il dovere di rendere pubblica la loro opinione. La famosa fatw emessa da Khomeini non altro che un atto di terrorismo ideologico frutto di una mente malata che si credeva di essere un Dio vivente). Ero e sono tuttora un semplice musulmano peccatore che ignora la maggior parte della sua religione e che si sforza per imparare, ma secondo il mio parere il problema non era la vita privata dellemiro o la fonte del suo guadagno, bens il fatto di considerarlo un emiro in s! E di pretendere da lui di dare il buon esempio. I tre sostenevano che fosse un modo per ridare vita alla tradizione del profeta, pace e benedizione su di lui, che chiese in un Hadith (2708) ai musulmani di scegliersi un emiro (un leader), mentre si trovavano in viaggio. La mia opinione era che lhadith in questione si riferisce a piccoli gruppi in viaggio e non a una minoranza residente in un paese non islamico. Inoltre, considerando la provenienza della maggior parte dei musulmani di Rimini, usare laggettivo emiro richiama una forma di potere e un obbligo di obbedienza che non plausibile per una persona che ha semplicemente contribuito allapertura di una sala da preghiera. Detto ci, ero pronto ad aderire alla volont della maggioranza, e mi consideravo comunque al di fuori dellamministrazione. Yahia per me era la persona pi adatta alla gestione della moschea, era italiano, residente, con famiglia e lavoro stabile, oltre a essere un personaggio carismatico, rispettato da tutti, musulmani e non, ma mi accorsi che esitava proprio per il fatto di non essere arabo e per paura che molti non accettassero la sua leadership. Dal punto di vista teologico islamico, discriminazioni di ogni genere sono inaccettabili, e mi feci carico di sollevare largomento durante il sermone del venerd, per correggere le opinioni dei fedeli in merito alla questione, citando esempi dalla storia islamica ed esplorando la posizione del credo islamico sui requisiti della leadership in Islam.

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Dopo il sermone, i fedeli furono invitati a unassemblea che si sarebbe tenuta nel tardo pomeriggio per scegliere il nuovo, cosiddetto, emiro della moschea. Ero presente come ascoltatore, Yahia cercava di spiegare le motivazioni del suo colpo di Stato. Cerano molti fratelli che si trovavano in moschea per caso, alcuni avevano risposto allinvito di mangiare il cuscus. Individuai tre gruppi ideologici o scuole di pensiero che un orecchio esperto non poteva non notare. Era la prima volta che cominciai a disegnare la mappa ideologica dei musulmani della provincia di Rimini, che di seguito e dopo tanti anni trasmessi con i dovuti aggiornamenti ai servizi segreti italiani. I tre gruppi dellepoca erano in ordine dinfluenza: I sufi, rappresentati da Yahia, il nuovo e unico candidato emiro. I salafiti, rappresentati da un giovane tunisino chiamato Adel. I Tabligh, rappresentati dal fratello Murad.

Tutti scelsero Yahia come nuovo presidente dellassociazione, emiro della comunit, con tanto di patto dobbedienza, recitando mano nella mano il versetto del Corano:

In verit coloro che ti prestano giuramento [di fedelt], ad Allah che lo prestano: la mano di Allah sopra le loro mani. Chi mancher al giuramento lo far solo a suo danno; a chi invece si atterr al patto con Allah, Egli conceder una ricompensa immensa Al-Fath 10

La Aya si riferisce a un evento storico specifico e si rivolgeva alla persona del profeta, pace e benedizione su di lui, e non poteva essere riferita in alcun modo per legittimare altri patti di obbedienza! Allora, la parola bayaa (dare il patto di fedelt) mi allarm, essendo cittadino di un paese dove si prestava giuramento di fedelt solo al re una volta allanno, quando si celebrava il suo incoronamento.

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Scavando nella memoria, trovai altre forme di bayaa, quelle fatte dai membri di organizzazione segrete islamiche, meglio conosciute come Jamaat Islamyah, come i fratelli musulmani o la Jihad Islamica. Le mie riflessioni mi portavano a ununica conclusione, eravamo nel bel mezzo della confusione e dellignoranza: la comunit islamica di Rimini era lespressione della vulnerabilit stessa, e chiunque ne avesse lintenzione e i mezzi per farlo, poteva influenzarla. Era loccasione ideale per promuovere lIslam razionale, realista e integrale, quello che tanti definiscono erroneamente wahabita e al quale mi avvicinavo sempre di pi, un Islam che non riconosce frontiere n razze, che mette sullo stesso piano gli atti materiali come il lavoro, limprenditoria, la ricerca scientifica, e quelli spirituali come ladorazione, il digiuno e linvocazione. Un Islam che si pratica nelle moschee ma anche nelle scuole, nelle banche e nei centri commerciali, che promuove la pace senza trascorrere il diritto e il dovere allequilibrio militare. Questo era lIslam nel quale trovai me stesso e decisi di trasmettere ad altri, e non lIslam dei misteri custoditi da maestri immortali che camminano sullacqua e volano per aria. Navigando sui siti islamici in lingua italiana, mi trovai a leggere un controverso racconto sul presunto dono dintercessione davanti a Dio nel giorno del giudizio concesso a uno sceicco di Cipro. Mi chiesi se tale teoria fosse in linea con linsegnamento del Corano e della Sunna, ne parlai a Jamaluddin esprimendo la mia preoccupazione per la predominanza delle idee sufi sul materiale islamico in lingua italiana sulla rete, esprimendo la mia intenzione di una controffensiva, anche a costo di piratare i siti sufi.

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Mesi dopo mi accorsi della mia ingenuit, lautore del sito che volevo piratare era proprio il mio interlocutore, ed era proprio il suo sceicco di Cipro a emanare la fatw di non lasciare la moschea di Rimini in mano ai wahabiti. Alla Mecca, ne parlai con lo sceicco Jamal e lo sceicco Adel. Il loro consiglio fu di non innescare battaglie ideologiche inutili: i musulmani hanno bisogno dimparare il corretto modo per pregare e come fare labluzione invece di confrontarsi su argomenti mistici. Il consiglio finale fu quello di conquistare i cuori. I miei fratelli sufi, invece, avevano unaltra idea, dovevo allontanarmi dalla moschea e smettere di promuovere limmagine del giovane wahabita moderno! Evitando di fare i nomi per non dare lopportunit alle menti malate di cominciare la caccia alle streghe. Un fratello sufi mi disse: Limam di una moschea non deve promuovere lomosessualit?. Quando gli chiesi spiegazioni mi disse che ai fratelli non piaceva che indossassi occhiali di Dolce & Gabbana, perch i due stilisti erano gay e andavano boicottati. Stupito dalla sua interferenza inopportuna, gli dissi che non ero a conoscenza di opinioni islamiche del genere e che in ogni caso non le condividevo. Un altro mi avvicin dicendo che ai fratelli non piaceva il fatto che avessi pronunciato la parola prostituta nel sermone in moschea alla presenza di famiglie con bambini! Gli risposi che la stessa parola esiste nel Corano e nei hadith del Profeta, e che era il senso generale del discorso che contava e non le singole parole usate. Giorno dopo giorno la tensione si faceva alta, e la mia presenza in moschea metteva in evidenza la predominanza della minoranza sufi sulle altre

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correnti. Evitavo di parlare di idee wahabite in pubblico, vi era un numero sempre crescente di fratelli che avevano il piacere di stare in mia compagnia, di venirmi a trovare a casa o al negozio. In una di queste sedute, il fratello Adel vide una quantit di volantini e audiocassette che ricevevo dallArabia Saudita e che parlavano del credo islamico, del culto e dei valori, materiale prodotto in quantit enormi ed esportato in tutto il mondo facilitando lapprendimento religioso a chi ha sempre meno tempo a disposizione, cos le idee degli sheikh wahabiti entravano nelle case, nelle macchine e nelle tasche di un crescente numero di musulmani, e la cosa non piaceva agli ayatollah di Teheran e si era alleato con loro. Il fratello mi chiese come mai non distribuissi quel materiale il venerd. Gli risposi che in moschea mi consideravano un ospite e che non volevo far arrabbiare i fratelli sufi. Il venerd successivo lo vidi distribuire fotocopie di un volantino che prese da me e che raccontava la vita e le idee dello sceicco Muhammad Ibn Abdelwahab! Quel gesto scaten la rabbia dei fratelli sufi contro di me: dissero che non ero pi il benvenuto nella loro moschea come imam. Accettai la loro decisione promettendo di ridurre al minimo la mia apparizione in moschea per non creare spaccature. Un ritiro spirituale era lunica cosa di cui avevo bisogno, rimettermi in questione, purificare le mie intenzioni e stare alla larga dalla notoriet, si dice che pi piaci alle persone, pi devi preoccuparti di rimetterti in questione alla luce del Corano e della Sunna. Andavo in moschea in tarda notte, recitavo le preghiere del Kiam preghiere facoltative che si fanno nellultimo terzo della notte e me ne andavo prima che arrivassero i fedeli per la preghiera dellalba: la facevo a casa con la mia amata famiglia, il sentimento di essere libero e al di sopra della voglia di possedere aveva fatto di me una persona molto positiva e

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attraente, ma il destino mi riservava tantissime sorprese, battaglie, vittorie e sconfitte. Mentre godevo il mio sereno ritiro spirituale, in moschea arriv unaltra persona, un salafita marocchino chiamato dai fratelli per fare leva sui sufi dopo quel che era sembrato a loro una mia resa. Saaid era una persona carismatica, dalla personalit forte e combattiva, era pi socievole di me, e godeva di tanto supporto dai connazionali marocchini in zona. Molti di loro erano suoi paesani, se non parenti diretti. A differenza mia, entrava nelle loro case, parlava il loro dialetto e, pi che altro, era determinato a sradicare i sufi dalla scena. Da abile politico, era venuto a trovarmi dicendo che il mio contributo economico non era sufficiente e che dovevo aiutarlo a gestire la moschea di persona. Dopo poche settimane che recitava il sermone del venerd, era riuscito a mettere tutti contro i fratelli sufi, al punto che dovetti fare da ago della bilancia per evitare lo scontro. In occasione della nascita della mia prima nipote, invitammo tutti a mangiare e feci un discorso chiedendo a tutti di rispettare le regole e di non farsi prendere dallentusiasmo. Mentre eravamo l, entr in moschea una faccia nuova, un giovane tunisino che non si era mai visto pregare con noi prima, salutava tutti chiedendo di parlarci. Il giovane, di nome Mohammed, si present come candidato alle elezioni di un certo consiglio provinciale degli immigrati di Rimini, praticamente era venuto in moschea a cercare voti. Tenne un classico dibattito fra disinteressati, scettici e moralisti che lo accusavano di essere un opportunista.

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Lidea invece mi sembrava interessante vista la mia ultima esperienza con la stampa e con il Comune. Ascoltai con attenzione le sue promesse di un futuro migliore, di conquiste e difese dei diritti degli immigrati, mi sembrava troppo bello per essere vero, e non essendo al corrente delliniziativa gli feci qualche domanda. Quali poterri avrebbero avuto gli eletti? Quali erano i requisiti per candidarsi o votare? Era possibile presentarsi da indipendenti o bisognava far parte di una lista? A mia sorpresa, il giovane aspirante consigliere non aveva nessuna risposta alle mie domande ed era evidente che gli era stato detto di venire da noi per chiederci di andare a votare per lui in un modo o in un altro, anche promettendo cose che non poteva offrire! Un classico. Decisi quindi di rendergli la vita pi facile, facendo una domanda precisa: Visto che ci troviamo in una moschea abusiva, se verrai eletto da noi come nostro rappresentante, sarai in grado di metterci in regola? La sua risposta fu scioccante: Per mettere qualcuno in regola bisogna aspettare la sanatoria. Trattenendo il mio stupore cercai di semplificare ulteriormente la sua posizione: Va bene, mettiamola cos, se verrai eletto, potrai farti promotore del progetto della costruzione di una moschea a Rimini? La sua risposta mi conferm senza ombra di dubbio che stava cercando voti nel posto sbagliato: Sai com, bisogna stare attenti con questi discorsi, prima bisogna entrare nel consiglio poi, piano piano, al momento giusto avanziamo le nostre richieste.

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Dopo il suo autogol gli dissi: Allora non ci rimane che presentarci con la nostra lista e con il nostro programma, non vedo perch dobbiamo votare chi si vergogna di essere musulmano e chi vorrebbe servire Allah con linganno. Onestamente, non so quando e come mi fosse venuta lidea in testa, n sapevo come portarla a termine. Lunica cosa di cui ero certo, era lentusiasmo salito alle stelle, le grida di Allah Akbar, Ala Barakati Allah, le strette di mano dei fratelli, e il bentornato del fratello salafita Adel. Tornando a casa, la mia unica salvezza era stata Internet, cercai di capire quanto era possibile fare sulliniziativa del presidente della provincia di Rimini, il dottor Fabbri, un politico di classe, energetico e carismatico che fa dimenticare tutte le tristezze della politica italiana, elezioni sperimentali che costeranno sui cinquanta milioni di lire e serviranno alla sinistra per sondare le intenzioni di voto degli elettori del futuro. Era come una partita amichevole, tra lIslam politico e la democrazia italiana, ed ero pronto a scendere in campo anche se ne fossi dovuto uscire sconfitto. Prima di cominciare a formare la squadra, mi trovai a fare i conti con la morale antipolitica dei fratelli sufi, che mi diffidarono dallusare la moschea per scopi politici o di autoproclamarmi portavoce di essa. Invitai a casa mia i potenziali candidati, avevo bisogno di una persona ambiziosa in grado di farsi eleggere per dare alla nostra lista un accesso allinformazione sulla concorrenza, e non potei trovare meglio di Mohammed, laspirante consigliere che era venuto in moschea per farsi votare. Poi ci voleva un candidato donna di religione islamica che indossasse il hijab per innescare la curiosit della stampa e attirare qualche voto femminile islamico, poi ci voleva un candidato popolare con tanti

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amici, conoscenti e paesani residenti nella provincia, ma soprattutto un candidato vero, che portasse dentro di s un minimo dideologia islamica, e non potei trovare meglio del mio amico di famiglia Naji, un operaio onesto e amato, padre di due figli e radicato nella provincia grazie a un matrimonio misto con una signora riminese convertita. Di Naji mi potevo fidare, non solo per la sua onest, ma soprattutto perch era tornato allIslam da poco ed era attento al rispetto della religione in tutti gli aspetti della vita. Le mie condizioni erano chiare, per andare avanti con la candidatura. La nostra lista aveva scopi di propaganda politica e mediatica, il nostro obiettivo era di dare ai riminesi residenti e ai politici unidea su quel che erano le nostre tendenze di voto quando saremmo diventati elettori e candidati. Limportanza della religione islamica nella nostra vita era legata alla nostra capacit dintegrazione dentro un sistema politico democratico come quello italiano. Dopo lunghe trattative, tutti avevano accettato la candidatura. Il giorno dopo andai con Naji e Mohammed a presentare la lista poche ore prima della chiusura; lavevamo chiamata Attawhid, che stava sia per unificazione sia per monoteismo, ed era anche il titolo del libro pi famoso del riformatore dellIslam, lo sceicco Mohammed Ibn Abdel Wahab, da cui deriva wahabismo. Uscendo dalla provincia chiesi a Naji e a Mohamed di compiere un atto coraggioso che per risparmiarci tante complicazioni. Ero consapevole che pur esercitando la mia libert di cittadino residente in un paese democratico, agli occhi di molti non ero altro che un immigrato musulmano, e quindi un potenziale terrorista. Pur avendo sempre improvvisato tutto dal primo giorno in cui ho messo piede in moschea, fino allultimo giorno in cui lho lasciata, ero

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consapevole di essere finito pi di una volta nei radar dei servizi segreti italiani o esteri e che altre verifiche sarebbero state fatte per conoscere le mie motivazioni, risorse, alleanze o collegamenti con eventuali gruppi o personaggi dinteresse. In un modo o in un altro riuscii a convincerli a tagliare corto e ad andare a trovare chi si occupa di sicurezza nazionale e di consegnargli tutto il materiale relativo alla lista Attawhid, prima che le informazioni gli arrivassero distorte da altre fonti. Sarei andato con o senza di loro, ma ci tenevo a consolidare il rispetto dello Stato e delle sue istituzioni. Questo ideale derivava dallinfluenza wahabita sul mio percorso spirituale, cos chiamai il signore che ci venne a trovare in casa con la sua collega e gli chiesi un incontro consegnandogli copia del programma della lista, e rispondendo alle sue domande in presenza di Naji e Mohammad. Come predetto, la concorrenza non si era fatta aspettare, e Mohammed non poteva tenere la bocca chiusa, i nomi dei nuovi candidati erano arrivati alla stampa, che non aveva resistito allesca! In accordo con gli altri candidati ero il portavoce della lista, un giornalista mi chiam chiedendomi se potessi farmi intervistare, gli dissi che ero disponibile solo tramite email. Prima di finire la conversazione mi chiese se potevo confermare o meno che una delle nostre candidate indossava il burqa! Domanda alla quale avevo risposto ripetendo quanto detto prima. Non poteva andare meglio, era pi facile di quanto mi aspettassi e lindomani saremmo stati su tutti i giornali. Il giornalista pensava di avere in mano uno scoop, e mi andava bene stare al suo gioco, per cui non avevo risposto alla sua e-mail, e lui il giorno dopo pubblic lo scoop (Lista islamica della moschea, una candidata con il burqua). Bast cos poco per far passare ogni notizia in seconda, terza o quarta posizione, ignorando le-

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mail avevo dato il via ufficiale a una campagna pubblicitaria giornalistica sullIslam e i musulmani che sarebbe durata per settimane, senza costarmi una lira. A volte certe persone scelgono di non contribuire alla scrittura della storia o addirittura cercano di fermarla, cos Yhaia si fece avanti dissociandosi pubblicamente da me e da ogni iniziativa politica che diceva di nascere dalla moschea, e ci tenne a precisare che la moschea di Rimini era senza imam. Lo incontrai insieme al resto dei fratelli sufi per un caff in piazza tre martiri, allo stesso bar nel quale incontrai pochi mesi dopo un ufficiale del SISDE. Ero sorridente e felice della loro presa di distanze, mi liberarono dal peso di dovermi giustificare o consultare con persone che non condividevano le mie idee, oltre a essere una decisione che gli sarebbe costata quel che rimaneva della loro base popolare. Andai avanti con la battaglia mediatica, smentendo larticolo sul burqua su un giornale rivale al quale avevo promesso lesclusiva delle mie interviste. Enea Abati, brillante giornalista del Corriere, era il perfetto interlocutore di cui mi potevo fidare, oltre al fatto che usava le nuove tecnologie di comunicazione, come piace a me. La notizia arrivo alla Lega, che sul quotidiano la Padania critic liniziativa del dottor Fabbri e lingenuit della sinistra che ha permesso linfiltrazione di estremisti islamici nel consiglio della provincia! Mi trovai nel bel mezzo del caos della politica italiana poche ore dopo aver presentato una lista islamica in elezioni sperimentali! E come al solito, quando ti trovi attaccato dalla Lega, ti corre in aiuto anche il tuo peggior rivale.

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Alban Craja, un giovane albanese capace secondo me di vincere le presidenziali in Albania se lo volesse, italianamente elegante, a conoscenza di ogni dettaglio della politica riminese e italiana. Io di fronte a lui, ero nulla. Alban fece zittire la stampa della Lega minacciando querele, ed espresse solidariet con la lista islamica. Alban era un capo lista rivale, e quindi prima ancora di cominciare eravamo entrati nelle fase delle alleanze! Le liste erano diverse in un modo che rifletteva la diversit degli immigrati di Rimini. Alban Craja era alla testa di una lista che faceva leva sullelettore albanese, Ben Ali Naceur capo lista africana. Un po alla volta mi resi conto che il progetto del consiglio per gli immigrati era una torta che i professionisti della societ civile immigrata di Rimini intendevano dividersi, prima che scendesse in campo il guastafeste islamico. Ero stato invitato a un colloquio con la segretaria del presidente della provincia, la dottoressa Biondini. Latmosfera dentro la sede della provincia era rilassata: architettura contemporanea, tanti sorrisi e customer service. Limpiegata della reception mi fece strada verso lufficio della dottoressa, che al nome del presidente e dei consiglieri mi diede il benvenuto e rispose a tutte le mie domande. Si trattava di uniniziativa coraggiosa, una visione futuristica per linserimento degli immigrati nel tessuto politico italiano. Eleggere un organo consultativo in cui al presidente sarebbe stato concesso di assistere alle assemblee del consiglio provinciale senza il diritto alla parola. La dottoressa mi chiese di parlare della nostra visione e se avessimo delle osservazioni per arricchire liniziativa. Poi mi fece vedere uno dei volantini della lista in lingua araba e con la sigla della mezza luna verde sullo sfondo. Mi chiese di tradurre una particolare

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frase, che riassumeva i nostri obiettivi e diceva testualmente: Lotta alla discriminazione razziale e religiosa. Chiedendole cortesemente delucidazioni mi spieg che le era stato detto che la lista islamica distribuiva volantini che incitavano alla violenza e alla guerra santa contro i razzisti! Dentro di me ero sereno e mi resi conto di quanto fosse basso il livello della concorrenza, e quanto fosse facile prevedere le loro mosse. Informai la dottoressa che tutto il materiale in circolazione era stato consegnato volontariamente alla DIGOS di Rimini prima di essere distribuito. Il mio cervello stava elaborando il profilo dellautore della soffiata: non poteva che essere un arabo di basso livello scolastico in rapporti con la questura. Contro la lista Attawhid non vi era nessuna ideologia politica o religiosa, nessun idealismo, solo politica, e quindi guerra sia. Andai, accompagnato da Naji, allincontro preparatorio per la grande presentazione delle liste al super cinema di corso dAugusto, alla presenza del dottor Fabbri e della stampa nazionale. Ci accordammo sulle modalit dellincontro, lordine e i tempi degli interventi. Chiesi se fosse possibile proiettare su grande schermo le sigle delle liste al momento degli interventi individuali, lo feci per approfittare della presenza della stampa nazionale alla quale sarebbe stata incuriosita nel vedere la mezza luna esposta dietro la testa di un rappresentante dello Stato italiano. Ero sicuro che il dottor Fabbri avrebbe scusato la mia malizia, ma sapevo che da tutto questo avremmo ottenuto della pubblicit. Ero determinato a sfruttare ogni singola occasione per affermare la presenza dellIslam e dei musulmani come parte integrante della societ italiana e del suo futuro politico. Ci era stato suggerito di riempire la sala, la presentazione si doveva fare la domenica seguente, ero sicuro che le altre liste avrebbero portato una

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marea di gente. Quel che minteressava era come saremmo apparsi agli occhi della stampa e della politica. Piacere allopinione pubblica dopo l11 settembre era troppo da chiedere, anche se con mia sorpresa una coppia di anziani mi avvicin alla fine dellincontro chiedendomi per cosa ci fossimo radunati e augurandomi buona fortuna per le elezioni. Sapevo che alla stampa interessano i numeri, e che non erano in grado di distinguere tra il musulmano praticante che frequenta la moschea e voterebbe Attawhid e quello occidentalizzato con altri interessi, per cui mi bastavano una decina di fratelli militanti che sicuramente avrebbero gridato Allaho Akbar ogni volta che sarebbe stata pronunciata la parola Islam, per dare limpressione che eravamo in tanti. Non potei trovare persona migliore del mio fratello salafita Adel. Riuscii a convincerlo che partecipare alle elezioni democratiche non era haram, visto che se non lo avessimo fatto noi, lo avrebbero fatto altri che delle moschee e della loto gente erano interessati solo ai voti. Adel era entusiasta al punto di andare in giro con il volantino del Tawhid esposto sulla sua macchina. Insieme a lui mi era venuto a trovare un altro fratello salafita di nome Dawoud, italiano convertito allIslam da una confraternita sufi senegalese; dopo varie ricerche lasci il sufismo. Dawoud era puro e duro, forse anche con se stesso, e godeva di stima e di rispetto di tutti i musulmani di Rimini, perch nessuno di noi era in grado di praticare al suo livello. Mi fece delle domande sulle elezioni e perch volessi partecipare, gli spiegai le mie vere motivazioni senza mezzi termini, perch era uno di cui ci si poteva fidare. A sorpresa di tutti Daoud support la mia iniziativa, pur non avendo il diritto al voto essendo cittadino italiano. Si fece carico di girare tutta la provincia e chiedere ai musulmani di votare Al-tawhid, cominciando dai fratelli senegalesi e parlandogli nella loro lingua.

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I fratelli della moschea cominciarono a lamentarsi perch tutte le nostre riunioni si tenevano al di fuori della sede di via Bertani, nelle nostre case o sui marciapiedi, e i sufi al vertice della moschea cominciavano a perdere la loro base popolare; si era cominciato a pensare che, essendo italiani, non erano abbastanza sensibili alle aspettative degli immigrati e al fatto che per loro era importante essere ascoltati dal resto della societ. Lo feci presente a Yahia invitandolo a partecipare alla presentazione delle liste, almeno per farsi vedere dai fratelli. Il venerd prima invitai a una riunione ristretta, allinsaputa dei fratelli sufi che gestivano la moschea, per parlare di politica, un incontro che a mia sorpresa era rimasto segreto, nonostante il grande numero di partecipanti. Con laiuto del fratello Adel e del fratello Daoud, spiegai ai presenti liniziativa della provincia, soprattutto di non aspettarsi nulla da chi sarebbe stato eletto in questo consiglio, e che era per noi unoccasione per rendere la nostra presenza visibile e guadagnare un minimo di rispetto e di considerazione da parte dei politici e della stampa, dato che erano questi a influenzare lopinione pubblica negativamente su di noi. Era una logica coraggiosa, idealista e militante: votateci ma non saremo in grado di risolvere nessuno dei vostri problemi tranne quello dimmagine. Dobbiamo correre queste elezioni in modo organizzato e dignitoso, non importa vincere, ci baster aprire gli occhi degli altri su di noi, fargli capire che non li odiamo, fargli capire che siamo in grado dintegrarci, ma senza compromettere la nostra fede o la nostra identit. Andai a casa soddisfatto, il piano dei fratelli era di radunarsi in moschea domenica mattina, pregare, fare colazione e poi muoversi in gruppo verso la sala cinematografica di corso dAugusto. Chiesi loro di indossare abiti islamici e di portarsi una copia del Corano in italiano da regalare al presidente della provincia.

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Davanti alla sala, una ventina di fratelli con abiti tradizionali guidati da Adel erano l ad aspettarmi, arrivai con tutta la famiglia, tutte donne con il hijab. Eravamo riusciti a trasformare lannuncio delle liste in una giornata dellorgoglio islamico riminese, per fortuna, ci toccava parlare per ultimi, e quindi avevo tutto il tempo per improvvisare un discorso che azzerasse i punti degli altri, e ribaltasse la loro logica in presenza della stampa e della politica italiana. Era evidente che gli immigrati si erano portati dietro la politica corrotta dei paesi di origine, tutti prendevano la parola per prometter lavoro, casa, permesso di soggiorno! Insomma, ogni sorta di promessa irrealizzabile, nessuno aveva accennato allidentit o allintegrazione vera. Quando tocc a me, la mezza luna apparve sullo sfondo e le grida di Allaho Akbar partirono da ogni angolo della sala. Cominciai il mio discorso con le stesse preghiere in arabo che si recitano allinizio del sermone del venerd, ringraziando il dottor Fabbri per la sua iniziativa e ricordandogli che la storia da sempre stata scritta da uomini e donne coraggiosi. Gli regalai una copia del Corano dicendogli che era il manuale per capire lIslam e i musulmani, poi mi rivolsi alla platea ricordandogli che sarebbero stati chiamati a eleggere un organo consultivo senza poteri legislativi, e quindi non dovevano aspettarsi da noi n lavoro n case n sanatorie. Chiesi ai musulmani tra loro di superare il trauma dell11 settembre e di fidarsi dello Stato italiano, di assumersi le proprie responsabilit prima di chiedere diritti, di non pretendere di ottenere pi di quanto si possa offrire, di non chiedere il lavoro ma di crearlo, di non chiedere la casa ma di comprarla e che in cima alle nostre priorit ci sarebbe stata lapertura o la costruzione di una moschea degna della seconda religione del paese. Parole forti, improvvisate ma forti, me ne rendo conto ora, dopo tutti questi anni, e dopo aver vissuto lontano da Rimini, dalla famiglia e dalla

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gente per la quale mi battevo. Ora che sono fuori dal personaggio, mi rendo conto quanto stupore e perplessit potevano suscitare le mie uscite. Con l11 settembre dietro langolo, ero l a gridare al mondo il mio orgoglio islamico. Se sono riuscito a guadagnare la stima e il rispetto dellIslam, dei musulmani e anche solo di un singolo riminese, allora ne valse la pena il caro prezzo che pagai in seguito, e che tuttora continuo a pagare. Sapevo di poter contare sul gruppo dei fratelli venuto in mio supporto dalla moschea, dopo tutte le grida di Allaho Akbar, gli applausi del resto della platea e labbraccio del dottor Fabbri, non vi era ombra di dubbio, eravamo riusciti a rubare la scena, e la notizia non parl del consiglio provinciale per gli immigrati di Rimini, ma dellesistenza di unala politica nella moschea di Rimini. Alluscita, la lista Attawhid e i suoi supporter erano i protagonisti. Si sentivano slogan politici legati allIslam, dei fratelli musulmani, del fronte di salvezza; lentusiasmo e lorgoglio erano alle stelle, un giornalista de lUnit mi chiese se lopinione pubblica italiana era pronta ad accettare una realt come la nostra, gli risposi che era solo una questione di tempo. Yahia si congratul con me, e mi chiese di capire la delicatezza della sua posizione, essendo una figura pubblica, non poteva compromettere limmagine della moschea in unavventura politica. Che non lo e pi, gli disse stiamo vincendo. Era stata unoccasione per fare conoscenza con gli altri candidati, e per cominciare a parlare di alleanze. La stampa locale del luned fece a gara per descrivere quanto era accaduto e, per la prima volta, si lesse un cambiamento dei toni. La Padania disse che gli immigrati avevano imparato a votare e che ora volevano anche la moschea, lUnit si schier dalla parte di Fabbri, tutti ne parlavano: La

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Voce di Rimini, il Corriere e Il Resto del Carlino, oltre ai siti Internet, radio, tv locali e alcuni giornali europei. Era il momento ideale per rilasciare interviste esclusive, chiamai le redazioni di tre giornali diversi e chiesi incontri in giornata, le porte erano aperte, parlai a tutti di politica, Islam, terrorismo, immigrazione, della moschea, ed evitai di parlare di me stesso, non volevo che diventasse un successo personale, ma di ogni singolo musulmano riminese. LIslam domin il dibattito, anche con lannunciata visita di Sharon alla nostra citt per un vertice sulla pace, la prima prova per la nostra integrit politica. Rimini una citt prevalentemente turistica, organizzarci un vertice mondiale anche con personaggi controversi attirerebbe lattenzione mediatica su una citt che vive di pubblicit. Mi era stato chiesto il mio parere come portavoce di una lista islamica sulleventuale visita, la migliore risposta che potessi dare era che Rimini aveva la capacit strutturale per ospitare qualunque vertice mondiale, che le forze dellordine erano in grado di curare la sicurezza, e che ci avrebbe avuto un beneficio per la nostra economia. Dissi anche che lItalia un Paese democratico e andava garantita la libert di espressione di chi sceglieva di manifestare contro la presenza di Sharon a Rimini. Riuscii cos ad accontentare tutti, a differenza di altre liste che si dissero pronti a collaborare con le forze dellordine per smascherare eventuali infiltrati terroristi che sarebbero arrivati a Rimini per compiere attentati. Alban Kraja e Ben Al decisero di riprendersi i riflettori, e lo fecero dicendo alla stampa che la moschea non era una priorit e che i musulmani pregano anche nelle loro case. Lo stesso giorno uscirono alcune dichiarazioni da parte di assessori di sinistra favorevoli alla moschea, non

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me le feci mancare, stampai in fretta un volantino che illustrava larticolo dellassessore provinciale ai servizi sociali, commentando: La provincia riconosce il diritto dei musulmani ad avere la loro moschea, mentre un candidato al consiglio provinciale per gli immigrati di Rimini dice che la moschea non un priorit e che i musulmani possono pregare nelle loro case!. Alla fine, incollai un verso del Corano in calligrafia araba citando: Chi pi ingiusto di chi impedisce che nelle moschee di Allah si menzioni il suo nome e che, anzi, cerca di distruggerle? Per loro ci sar ignominia in questa vita e un castigo terribile nellaltra. Corano 2/114

Alcune copie distribuite fra i connazionali di Ben Ali bastarono per farlo venire in moschea a chiedere una tregua. Allincontro cerano Adel e suo fratello Murad, entrambi connazionali di Ben Ali, Alban, alcuni fratelli infuriati e Yahia, nessuno sapeva che ero io lautore del volantino. Ben Ali e chi ne condivideva le sue idee cap che la moschea non era pi un luogo dincontro e di preghiera, ma era diventata la sede di rappresentanza della comunit islamica e il centro del suo potere spirituale, politico, culturale e sociale. Il risultato delle elezioni era pi che soddisfacente, ottenemmo due seggi su undici, e riuscii a inserire la questione della moschea in testa al primo ordine del giorno della prima assemblea del consiglio, votando Alban presidente. Mi feci eleggere presidente della commissione culturale, incaricato dal consiglio per portare avanti il progetto della moschea di Rimini, in collaborazione con il presidente della comunit islamica di Rimini, Yahia,

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che in realt era solo il presidente dellassociazione a maggioranza sufi alla quale era intestato il contratto daffitto della sede di via Bertani. Accompagnato da Yahia, chiesi dincontrare Fabbri. Il presidente della provincia era sciolto e amichevole, gli chiesi scherzando quante volte avesse letto le parole moschea e Islam sulla sua rassegna stampa negli ultimi due mesi, e gli parlai per la prima volta del progetto piazza Abramo, centro multiculturale in cui una moschea, una sinagoga e una chiesa ortodossa sarebbero sorte intorno a una piazza unica.

La richiesta per la costruzione della moschea predomina sulla notizia dellinsediamento del consiglio provinciale degli stranieri di Rimini.

Dopo tanti eventi, Yahia si trov da solo a gestire una moschea frequentata da fedeli con alte aspettative, un gruppo salafita guidato da Adel cominciava a farsi sentire: la gestione pragmatica non gli andava pi bene, volevano organizzare conferenze, corsi di teologia, di arabo e di Corano, scelsero Saaid per fare limam del venerd, il che gett benzina sul fuoco.

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Lo scontro fra sufi e salafiti era imminente, e io ero contento di non prenderne parte, rimanendo amico di tutti, come mi sugger il mio sheikh saudita. Dalla DIGOS mi arriv una telefonata. Fui chiamato a un incontro in questura con un funzionario, mi disse che cera qualcuno dal ministero al quale avrebbe fatto piacere incontrarmi per approfondire alcune questioni relative alla sicurezza nazionale. Dentro di me non avevo nulla da nascondere n da temere, e se avessi potuto essere utile alla sicurezza nazionale e alla mia gente sarai stato onorato di farlo. Al bar in piazza Ferrari, incontrai il mio contatto della DIGOS accompagnato da un elegante signore, che mi salut in modo formale e si present con il nome di dottor Mauro lo chiamer cos , dicendo di essere un funzionario del ministero degli Interni, addetto alla sicurezza nazionale. Mi spieg che gli sarebbe piaciuto parlarmi in privato se non avevo nulla in contrario, cos il mio amico della DIGOS se ne and salutandomi con un sorriso e dicendo: Ti lascio in buone mani. Mi aveva lasciato con un uomo di Stato, sguardo intelligente, eleganza curata nei dettagli, fisico atletico, attenzione ai dettagli, riusciva a trasmettere confidenza a chi gli stava attorno. Lasciammo il bar per andare verso piazza Tre Martiri, il ghiaccio si era rotto, ero sicuro che sapeva tutto su di me, ma non capivo il motivo dellincontro. Mi parl della vulnerabilit dellItalia, essendo un paese al centro del Mediterraneo, e della sua importanza strategica, storica e religiosa, un discorso che era musica per le mie orecchie. Era senzaltro il primo italiano che incontrai orgoglioso del proprio paese e che ne conosceva il valore. Quando tocc a me parlare gli spiegai che noi immigrati non sentiamo

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lappartenenza allItalia perch lo Stato ci considera ancora un fenomeno e non una realt. Per quanto mi riguardava mi sentivo a casa e non avrei saputo dove andare se non avessi potuto vivere in Italia. Gli feci tanti esempi positivi sulle opportunit di vivere in un Paese democratico. Dopo tanta diplomazia dovevamo arrivare al dunque. A un certo punto mi sentii dire che lIslam era una religione di pace. Non assolutamente vero che la nostra religione la religione della pace, ma dellistinto. Se un musulmano si trova a vivere in un ambiente pacifico, il suo istinto lo porta a essere pacifico, se lo metti a vivere in uno scenario di violenza e di guerra diventer violento anche lui e, mi creda, diffidi da qualunque musulmano che le dice che lIslam e pacifico, perch o ignorante o bugiardo. La nostra conversazione dur circa unora. Ci eravamo scambiati i numeri e mi aveva chiesto di chiamarlo in qualunque momento ne avessi bisogno. Gli dissi di fare altrettanto con me. Per correttezza verso il lettore, devo precisare che molti dettagli sul mio rapporto con il dottor Mauro non verranno raccontati, n in questo libro n altrove. A mio parere, la rivelazione dellesistenza stessa di tale rapporto sufficiente per lo scopo del presente racconto. Mentre in moschea la tensione si faceva alta, Yahia veniva spesso a trovarmi dopo la preghiera, mi parlava delloffensiva di Saaid, il nuovo imam con tanta popolarit, quasi un incantatore, e dei suoi scontri con i sufi, che secondo lui non erano altro se non gli intestatari di un contratto daffitto. Lasciai che Yahia raccogliesse quanto aveva seminato quando si mise contro di me, e consolidai il mio rapporto con tutti, sufi compresi.

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In una nottata fredda mi arriv una richiesta dinformazione da parte del dottor Mauro che mi chiese se fossi a conoscenza di ronde composte da musulmani non residenti a Rimini che giravano nei bar frequentati da persone di origine islamiche, forzandoli a smettere di bere e portandoli in moschea! Gli chiesi qualche istante per verificare la notizia, lultima volta che sentii di cose del genere erano ronde estremiste nellAsia del sud, e mi sembrava impossibile che i musulmani in Italia arrivassero a tanto, anche perch molti fra loro, soprattutto a Rimini, provenivano da paesi islamici che tolleravano la vendita e il consumo degli alcolici. Dal racconto del dottor Mauro riuscii a individuare alcuni elementi che mettevano in atto una metodologia simile a quella dei Tabligh, un vasto movimento islamico mondiale che chiama alla religione mandando in giro piccoli gruppi di predicatori che ricordano ai musulmani le pratiche di base e li invitano a raggiungerli in moschea per insegnargli le preghiere e la recitazione del Corano, in modo consensuale e non violento, anzi, spesso sono loro a essere aggrediti e cacciati. Fecce una telefonata a Murad, il punto di riferimento di questa jamaa (gruppo) a Rimini. Senza fargli domande dirette gli chiesi se poteva raggiungermi a cena in casa mia, spingendolo a confermare che era impegnato con i fratelli della jamaa in giro per la citt. Feci una seconda chiamata a Yahia per accertarmi della notizia, sempre in modo indiretto. Il giorno dopo incontrai il dottore e gli spiegai ci di cui ero a conoscenza, cap limportanza dellinformazione corretta, dellonest della notizia, e apprezzai il fatto che la soffiata giunta ai servizi era stata verificata da altri fonti.

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Lo scontro a via Bertani era arrivato a livelli inaccettabili, in un incontro, Saaid e Adel mi chiesero una chiara presa di posizione, si lamentavano per il modo in cuoi Yahia gestiva la moschea e censurava le idee, ed erano giunti a una conclusione: o mettevano le mani sulla moschea o sarebbero andati altrove. Saaid era interessato in particolare al progetto di costruzione che portavo avanti come consigliere eletto e mi chiedeva aggiornamenti, sinfuri quando gli dissi che Yahia ne faceva parte ed era agli occhi delle autorit il presidente della comunit islamica, mi chiese di tenerlo fuori, cosa che non potevo e non volevo fare, anche perch in realt Yahia era lunico interlocutore a conoscenza sia della comunit sia di ci che accadeva dietro le quinte della politica riminese. Dentro di me, sentivo ancora il consiglio dei miei sceicchi in Arabia Saudita di stare vicino ai fratelli sufi e di consolidare il rapporto umano a prescindere dalle nostre differenze. Saaid invece stava per scatenare una caccia ai sufi che decisi di fermare a ogni costo, minacciai di dimettermi dal consiglio provinciale, ma poi ci ripensai quando vidi che Naji, anche lui consigliere, si era fatto influenzare da Saaid. Ne parlai con il dottor Mauro che, senza influenzare la mia decisione, mi chiese di tenerlo aggiornato. Praticamente ero testimone di un eminente scissione della comunit, almeno in due parti, e a me toccava il compito di tenere tutti insieme. Oggi che ci penso, capisco che se lavessi voluto quello sarebbe stato per me il momento ideale per strappare la moschea dalle mani dei sufi, ma non era mai stata la mia intenzione ed completamente contro la mia ideologia wahabita, che non lavora per eliminare gli altri ma per assorbirli e raddrizzare il modo nel quale praticano lIslam.

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Ancora una volta mi trovai a fare politica, ne parlai con Yahia e gli chiesi di organizzare un incontro con i fratelli sufi. Sul terrazzo di una casa di campagna, sotto le stelle, seduti su un tappeto afgano, in tutta semplicit parlammo di tutto tranne che dei nostri problemi. Abdessalam, uomo di grande esperienza, artista del profumo, a casa sua. Nella periferia riminese si sentiva una pace e una serenit che mi ricordava quanto leggevo sui tempi del Profeta, pace e benedizione su di lui, Jamaluddin, saggio discepolo del suo maestro sceicco Nazim, ero contento che la tensione tra loro due fosse diventata storia passata, e che con il tempo avessero imparato a conoscermi meglio. Quella notte incontrai per la prima volta il fratello Mohammed, convertito riminese che vive in Siria, e parla un perfetto arabo. Mi ero accorto dopo poco tempo di avere davanti a me la persona chiave nella corrente sufi riminese, e della sua esagerata wahabifobia. Mohammad cerc di provocarmi diverse volte con i suoi racconti sufi su leoni immortali guardiani delle tombe dei santi, o con le sue critiche a chi legge due parole su Internet e crede di diventare un sceicco. Ascoltavo evitando di entrare in battaglie ideologiche, mi concentrai sul problema di base, Saaid e la rivolta salafita in via Bertani. Per Abdussalam e Jamaluddin era evidente che se ne volevano stare fuori, senza per lasciare Yahia da solo. Mohammad invece mi era sembrato un integralista sufi, allo stesso modo in cui mi considerava un integralista wahabita Yahia invece riusciva a equilibrare la sua lealt al sufismo con la sua sincera voglia di rendersi utile alla comunit. Botte e risposte a parte, a mio parere gli scenari erano i seguenti:

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Il primo vedeva i fratelli sufi mantenere i loro incarichi formali, smettendo per di censurare gli altri musulmani che frequentavano la moschea: e questo significava convivere con idee anti sufi. Il secondo prevedeva le loro dimissioni lasciando decidere la maggioranza. Il terzo invitava a continuare sulla linea attuale, facendo presente a tutti quelli che non la pensavano come loro che se non erano contenti se ne dovevano andare. Yahia avrebbe scelto il terzo scenario, ma si preoccupava che unaltra moschea avrebbe portato via numeri e risorse necessarie per tenere aperta quella attuale. Ero un po deluso da questa sua preoccupazione, ma ero pronto ad assisterlo se ne avesse avuto bisogno. Gli spiegai che la relazione tra numeri ed entrate non era valida nel caso delle moschee, dove il problema vero lo spazio. Molti non venivano in moschea perch non cera il parcheggio, e nemmeno qualche centimetro quadrato per pregare. Se i fratelli salafiti avessero aperto unaltra moschea, avrebbero attirato i loro simpatizzanti, ma esisteva una fascia che avrebbe scelto di andare a pregare alla moschea pi vicina alle loro case o ai luoghi di lavoro, senza parlare di quelli a cui i salafiti non andavano gi. Mi feci carico di riferire la decisione dei fratelli sufi ai fratelli salafiti, ora la spaccatura era diventata solo una questione di tempo. In quanto a me, ero impegnato a fare dawa in unaltra moschea della quale nessuno sembrava essersi accorto. Riuscii a ottenere tramite il presidente della provincia un permesso per esercitare volontariato al carcere di Rimini, dove centinaia di musulmani formavano la maggioranza dei residenti. Trascorrevo con i detenuti poco pi di unora la settimana dentro la cappella del carcere con la croce alle mie spalle. Parlavamo di

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tutto, di religione, di sessualit, di rapporti con i cattolici, il mio scopo era dindirizzarli verso Dio e dincoraggiarli a investire il loro tempo dietro alle sbarre nella ricerca della verit, ovunque essa fosse. Parte dei detenuti si era organizzata per pregare in gruppo e recitare il Corano quando era loro permesso. Nella biblioteca vi erano alcune copie del Corano, chiesi alla direttrice dello stabilimento se potessi portare altre copie in lingua albanese, mi disse: Loro hanno pi bisogno di sapone e rasoi. Fu uno schiaffo morale, non ci avevo mai pensato, la maggioranza dei detenuti non hanno famiglie in Italia e di conseguenza non potevano ricevere gli extra. La direttrice mi aveva dato una lezione che mi porter appresso per il resto della vita. Non si vive solo di Corano. Ne parlai con i fratelli in moschea, chiedendo il loro aiuto per stabilire un continuo rifornimento ai fratelli dietro le sbarre. Il numero era alla nostra portata, se ognuno di noi avesse comprato un rasoio e una saponetta in pi! Tutti erano favorevoli, ma nessuno fece nulla. Nel mio piccolo potevo mettere un budget, ma non potevo andarci di persona periodicamente. Pensai allora a chi attacca alla Caritas, e avrei voluto vedere coloro che laccusavano di voler evangelizzare i musulmani entrare in quel carcere e sentirsi impotenti e umiliati davanti alla richiesta della direttrice. Nonostante la carenza economica, che aveva cominciato a crearmi problemi in famiglia, riuscii a partire con Mariam e la sua mamma per un lungo viaggio alla Mecca; era stata la prima e lultima volta che riuscimmo a trascorrere tempo insieme. Mentre eravamo l qualcuno si era deciso a portare la democrazia in Iraq, eravamo a Jedda ma per mia suocera era tutto Medio Oriente.

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Al nostro rientro, partimmo per una manifestazione contro la guerra, eravamo usciti con le nostre famiglie, bambini compresi, per dire no alla guerra e no al terrorismo, anche se nessuno ci credeva. In un incontro con il dottor Mauro, parlammo di cose che riguardavano la situazione di sicurezza in regione. Era evidente che gli uomini di Stato si preparavano al peggio, e io ero pronto, nel mio piccolo, a fare il mio dovere. Le prime immagini degli effetti collaterali cominciavano a circolare sulla rete, sul network jihadista di siti fantasma, forum e file sharing che nessuno poteva controllare. Il danno economico e ideologico delloffensiva jihadista in rete semplicemente incalcolabile, era proprio questa dipendenza il loro punto vulnerabile: se non li potevi fermare, li potevi ascoltare, imparare da loro e dialogare per acquisire la capacit di pensare come loro, ed eventualmente prevedere le loro mosse. LItalia rimarr una societ attraente per ogni forma di estremismo religioso, soprattutto quello islamico. Saaid e i salafiti si mossero verso lapertura di unaltra moschea. Valutando levento con il dottor Mauro, avevamo deciso che io stessi lontano dai vertici, per non compromettere la mia posizione in via Bertani. Schierarmi con i salafiti, che sono comunque pi vicini alle mie motivazioni ideologiche, significava la rottura con altre fonti dinformazione, e non era detto che il pericolo si nascondesse solo dallinterno della sfera salafita, gi sotto i riflettori di una manciata di servizi di sicurezza italiani ed esteri. Questa lettura operativa era in linea con la mia ideologia wahabita, cio di rimanere amico di tutti.

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Apro una larga parentesi per confessarmi con il lettore su quanto bolliva dentro la mia testa mentre passavo dallessere un giovane islamista che dedicava il suo tempo a riportare i suoi fratelli a Dio, a diventare anche un occhio e un orecchio dello Stato italiano in mezzo alla mia gente. La mia prima preoccupazione era che la mia eventuale collaborazione mi facesse cadere nellillecito dal punto di vista islamico, dovevo quindi trovare il modo di conoscere il parere di autorevoli ulema sulla questione. Allepoca, il governo Saudita combatteva una guerra senza quartiere contro un limitato numero di jihadisti, che partendo da uninterpretazione errata di alcuni hadith e Ayat del Corano, decisero di cacciare i crociati dalla terra di Mohammad, pace e benedizione su di lui prendendo di mira occidentali e asiatici non mussulmani che lavoravano e vivevano in quel paese. Si trattava, dal punto di vista della giurisprudenza islamica, di ospiti ai quali erano stati rilasciati permessi di soggiorno equivalenti a un patto di protezione, che gli avrebbero garantito di poter vivere senza temere nulla per la loro vita e i loro beni. Vincolato da questo patto il governo si trov ad affrontare i terroristi e ad assicurarli alla giustizia, e quindi arrivai alla conclusione che anche noi in Italia avevamo il dovere di aiutare il governo, che ci stava ospitando e permettendo di rimanere sul suo territorio, a proteggere i suoi cittadini da eventuali pericoli che derivavano dalla nostra comunit. Mi era difficile chiedere una fatw specifica in merito, perch era contro le regole del lavoro segreto. Ero riuscito, per, a parlare con un sheikh usando una storia di copertura. Formulai la domanda in modo da chiedere il parere dellIslam sulla legittimit o no di arruolarsi nei servizi di polizia di un paese non musulmano dove si vive, considerando che tale lavoro consisterebbe anche nellinfiltrarsi in organizzazioni criminali composte da persone di religione musulmana e nel passare le informazioni raccolte su di loro agli organi competenti.

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La risposta fu che non solo era possibile farlo, ma che era doveroso contribuire alla sicurezza e alla pace civile dei paesi ospitanti: il fatto che i criminali erano di religione musulmana era irrilevante, anzi, poteva essere un motivo in pi per consegnarli alla giustizia per isolarli dal resto dalla comunit. La seconda preoccupazione che avevo era che le informazioni che avrei raccolto su persone o organizzazioni islamiche potessero essere usate in modo scorretto, soprattutto considerando la fiorita collaborazione tra i servizi occidentali e quelli di paesi non democratici. Su questo punto ne parlai con il dottor Mauro che era riuscito a farmelo togliere dalla testa. La terza preoccupazione riguardava gli eventuali sensi di colpa che vengono quando si tradisce la fiducia di un fratello, e qui subentr la mia formazione spirituale razionale wahabita, grazie alla quale ero abituato a preoccuparmi solo dellinterrotta presenza di Dio con me: Egli mi sente, mi vede ed con me dappertutto in qualsiasi momento, Egli al corrente di quanto dico con le parole e anche con i pensieri, Egli mi giudica secondo le mie sincere intenzioni e non secondo le mie azioni apparenti. Perci, passare informazione su un fratello al mio contatto non era affatto un tradimento di fiducia, considerando che la mia intenzione di partenza era di ottenere quellinformazione per motivi che ritenevo leciti e al di sopra dellamicizia e del legame di sangue. Il dottor Mauro minsegn molto su quanto potevo o non potevo fare, sulla sottile linea tra lessere un cittadino qualunque e lessere un collaboratore dei servizi segreti. La cosa pi importante era la mia sicurezza personale, vi era una serie di pratiche che con il tempo diventarono il mio pane quotidiano, mi aveva insegnato limportante differenza tra i fatti e le opinioni, come comportarmi in caso demergenza, usare le allora nuove

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tecnologie di comunicazione, e soprattutto di non suggerire o aiutare in modo diretto o indiretto i soggetti a commettere reati. Un bagaglio di addestramento psicologico e professionale che mi affascin al punto da sperare che non si trattasse solo di un caso isolato, e che tutti gli uomini del SISDE con il fascicolo Islam in mano siano al livello del dottor Mauro, o anche meglio, fine della confessione.

Il fratello tunisino Adel mi chiam per dirmi che la riunione costituente della nuova moschea era in corso, elencandomi i nomi dei presenti, e rinnov linvito a raggiungerli. Mi disse testualmente: Se hai impegni di lavoro possiamo aspettare che tu finisca. Cercai di non mostrare imbarazzo, e di controllare le mie emozioni. Adel nutriva tantissima stima in me, ed era sempre stato uno dei miei pochi sostenitori, ma non potevo che ragionare con la logica delle priorit, esprimendo la mia benedizione al loro progetto e la mia disponibilit a contribuire economicamente, ma gli dissi: Solo Allah sa perch non mi possibile raggiungervi. Era lunico modo per non mentire senza dire tutta la verit. Nacque cos la seconda moschea della provincia di Rimini. Una moschea salafita, ma non del tutto jihadista. Spesso ci trovavamo in Italia a fare i conti con linfluenza dei media sullopinione pubblica, negli anni novanta circolavano notizie sugli orrendi e inspiegabili massacri dei civili in Algeria, stragi in parte attribuiti a una delle tante fermentazioni del FIS (Fronte Islamico di Salvezza), in particolare la jamaa salafita (per la dawa e il combattimento), il ripetersi di questa sigla e altre nei media aveva associato la parola salafi al terrorismo.

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Va da s che quando si legge sui giornali locali la notizia dellapertura di una moschea salafita, il solo nominarla richiama le stragi civili e le prediche del terrorismo. Quel che non accettabile vedere nei media musulmani, per lo pi sufi, fare propaganda della propria visione dellIslam screditando le altre. Chi soffre di un tumore non ha bisogno di un gustoso infuso di erbe, ma di chemioterapia, gli italiani hanno aperto le loro case a centinaia di migliaia dimmigrati di religione islamica, e hanno il diritto di conoscere la verit sui pericoli che derivano della convivenza con i musulmani comuni, e non di unlite che sa parlare litaliano, vestirsi alloccidentale e si crede portavoce di un fantasma di nome Islam moderato. Qualcuno di via Bertani si lasci andare a una campagna diffamatoria contro i fratelli salafiti, gettando ombre e dubbi sui loro finanziamenti, alludendo a legami con altri salafiti in Italia e cos via. Tutte accuse prive di fondamento, che riflettono lingenuit degli ulema sufi del regime siriano, che cercavano di sfruttare l11 settembre per diffamare chi non la pensava come loro. La nuova moschea in via di Giovanni riusc ad attirare sempre pi fedeli offrendo corsi di arabo ai bambini, seminari e letture ai grandi, collegando gran parte della realt islamica riminese con il resto dellItalia e del mondo tramite il network salafita. Il nome di essa cominciava ad apparire sulle guide internazionali e sui forum di discussioni. Pur essendo una moschea puramente salafita, il rischio dinfezione jihadista era lontano per vari motivi, tra i quali la qualit di vita nella provincia di Rimini e la stabilit sociale ed economica di chi aveva fondato la moschea. Il massimo che i jihadisti potevano ottenere era una generica condivisone di idee e mai una leale militanza.

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In accordo con il dottor Mauro, avevo deciso di rendere una visita di cortesia ai fratelli salafiti, Adel era felicissimo di vedermi. Mi fermai pochi metri vicino allentrata per la preghiera di saluto della moschea, lasciandomi osservare da quattro fratelli vestiti allafgana che non avevo mai incontrato prima. Era evidente che avevano qualcosa da dire sul mio abbigliamento, ero vestito con jeans comodi e una camicia cricket blu con bandiere di squadre sportive sulle maniche, fronte e retro. Finita la preghiera uno dei tre mi si avvicin con un coltello alla mano, singinocchi per sedersi di fronte a me e mi disse: illecito esibire la croce sugli abiti di un musulmano. Osservando il coltello nella sua mano gli chiesi: Quale croce, fratello?. Con la punta indic una toppa cucita sulla mia tasca sinistra, era la bandiera dellInghilterra. Poi, senza chiedermi il permesso, allung la mano e la ritagli, dicendomi che ora lo sapevo non e la dovevo pi indossare! La camicia mi era costata qualche decina di euro, lavevo indossata solo due volte, la prima durante un viaggio a Delhi, dove piacque a molti. Si vede che il mio fratello salafita non era dello stesso parere. Non era in ogni caso una croce di significato religioso, e comunque non ne ero consapevole. Laccaduto mi aveva dato unidea sullorientamento di alcuni fratelli che frequentavano la moschea di via de Giovanni.

Dopo una serie di complicazioni familiari ed economiche, il mio primo matrimonio fin con una separazione, e tornai a vivere dalla mamma e dalle sorelle. Sulla strada verso casa, passando per corso Giovanni XXIII, avevo visto un immobile in affitto, in mezzo ai negozi sempre pi numerosi dei

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fratelli del Bangladesh, a pochi passi dalla stazione. Continuai a camminare verso il lungomare per finire seduto comodamente con il mio caff turco speziato al Pascucci. Riflettendo sulla mia esperienza degli ultimi anni, ogni cosa che feci per Allah era andata bene, mi vennero in mente le parole del mio coetaneo sheikh in Arabia, il quale mi disse che chiunque simpegni nel portare la gente da Allah si far troppi nemici e sar messo alla prova nella sua fede, nella sua famiglia e nei suoi beni. Se a quel punto decider di tornare indietro perderebbe tutto, perfino se stesso, ma se decider di continuare manterr il merito di aver servito la sua fede e la speranza di aver accontentato il suo Dio. Non avevo dubbi su quel che volevo, Allah ha voluto che diverse persone in diverse situazioni per diversi motivi lasciassero il segno sul mio presente e sul mio futuro. Avevo riscoperto lIslam in Arabia Saudita, ispirato dallo sceicco Jamal, e quindi mi ero fatto carico di servire il richiamo ad Allah, tra musulmani e non; poi, conoscendo il dottor Mauro, scoprii un tumore che distruggeva in una frazione di secondo tutto ci che i dedicati alla dawa avevano costruito in anni. I jihadisti mi avevano messo davanti a due scelte, rinnegare lIslam per intero oppure sconfiggere loro e la loro ideologia vigliacca e assassina. Non potevo vivere lIslam a testa alta, mentre le cifre delle loro vittime continuavano a salire. Non potevo godermi una cena in pace sul tavolo della mia amata suocera, senza che il telegiornale ci ricordasse che ero un potenziale terrorista.

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Non potevo, e non ho potuto educare mia figlia a modo mio, insegnarle larabo e il Corano, larte e la cultura italiana, dandole la possibilit di usufruire dalla sua diversit e non di vergognarsene al punto di dover un giorno cambiare cognome o, peggio ancora, religione. Ogni aspetto della mia vita veniva messo e rimesso in questione per colpa di un centinaio di menti malate riuscite a diffondere la loro ideologia tramite Internet e tramite il terrore. Cos era stato per tutti i musulmani, in un modo o in un altro, tutti eravamo vittime dei jihadisti. Il mio primo incontro ravvicinato con questa setta assassina avvenne qualche anno fa tramite un sito in lingua inglese chiamato azzam.com. Da quel poco che avevo capito, Abdullah Azzam era un palestinese attivo contro linvasione sovietica dellAfghanistan. Negli anni ottanta, e mentre frequentavo la casa del Corano a Marrakech, il mio insegnante di arabo cinvit a partecipare alla preghiera del tramonto in una piccola e sconosciuta moschea nel mezzo delle vie strette della Medina. Non si trattava di una vera e propria moschea, ma era una baracca con soffitta di legno. Dopo la preghiera, due uomini vestiti con abiti afgani si alzarono per parlare ai fedeli. Con laiuto di un traduttore, ci raccontarono storie affascinanti sulla jihad contro larmata rossa. Rimasi colpito dal racconto sui musulmani arrivati da tutto il mondo, armati della loro fede oltre che di Kalashnikov e granate, che sfidavano lallora pi temuto esercito convenzionale. Erano gruppi composti da dozzine di mujaheddin e riuscivano a fermare lavanzata dei carri armati, ci raccontavano che gli angeli combattevano al loro fianco, e che ci era confermato dai soldati russi fuggiti che raccontavano ai loro comandanti di essere stati attaccati da migliaia di cavalieri vestiti di bianco e armati di fulmini!

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Il racconto finiva con un invito ad arruolarsi nella jihad! Azzam faceva lo stesso, in giro per il mondo, e addirittura nelle universit americane. Centinaia di studenti di religione islamica lasciavano gli studi nelle migliori universit del mondo e si arruolavano nella jihad in Afghanistan. Succedeva questo, sotto locchio dei servizi segreti americani, marocchini e di tutto il mondo occidentale e i suoi alleati. La prima tappa era Peshawer, in Pakistan, dove gli aspiranti mujaheddin, aiutati dal centro servizi finanziato da Bin Laden, venivano smistati verso i campi di addestramento e poi verso il fronte. Dopo la sconfitta dellarmata rossa, centinaia dei combattenti stranieri sopravvissuti si trovarono disoccupati, e dovettero ritornare ai loro paesi dorigine, con tanto di abilit combattive e ideologia globalista islamica, che addirittura considerava i governi islamici infedeli e da rovesciare. Al loro rientro trovavano galere e tortura, invece di ricompense e trofei, nacque cos il jihadismo terrorista, fatto da musulmani che odiano per primi i loro simili, portatori di diverse ideologie politiche, religiose, sociali o economiche. Quando si erano trovati faccia a faccia con la morte, solo lIslam li aveva tenuti in vita, dopo che la guerra era finita cominciarono e vedere il nemico infedele dappertutto, a volte anche in loro stessi. Dopo una serie di battaglie interne, alcuni paesi occidentali, soprattutto europei, e nel nome dei diritti umani, ospitarono i perseguitati islamisti e dettero loro rifugio politico e cittadinanza.

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Bin Laden invece trov rifugio in Sudan, poi torn in Afghanistan, assieme ad altri puri e duri, a formare il fronte mondiale per combattere i crociati e gli ebrei. Trovando rifugio nel neo emirato islamico fondato dai talebani, che non sono altro che studenti di sharia stanchi della corruzione dei signori della guerra, ma ingenui al punto di non capire che non stiamo pi vivendo ai tempi del profeta e dei suoi compagni, e che dare rifugio a ogni musulmano, pur essendo un obbligo morale, doveva essere soggetto ai cambiamenti geopolitici della nostra era e non solo di quanto sta scritto sui libri della sharia. Il nuovo fronte mondiale fece leva sul patto di sangue e di fedelt che raccoglieva gli ex mujaheddin e le nuove reclute sparse in tutto il mondo, alcuni rifugiati in Europa, in America e in Asia, e molti intrappolati dai governi dei paesi islamici, oltre alle nuove generazioni indottrinate dallIslam jihadista, per lanciare la controffensiva e restaurare il califfato islamico. Erano giunti alla conclusione che era impossibile rovesciare i regimi islamici alleati dellOccidente se non attaccando per primi lo stesso, unendo le forze di oltre un miliardo e mezzo di musulmani frustrati e sottomessi, incapaci di cambiare il loro destino e di liberarsi dalle catene della dittatura e delloccupazione delle terre dellIslam, specie quella israeliana. I nuovi pretendenti capi della nazione islamica decisero di copiare il modello di propaganda antiamericana iraniano, servito per indottrinare le masse, creando la base popolare necessaria per reclutare terroristi e per sostenerli. Gli ayatollah, che non sono altro che Ayat-ul-Shaitan versetti di satana si erano affrettati a impossessarsi della rivoluzione del popolo iraniano,

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chiamandola islamica e girandola verso un nemico teorico, il quale era lOccidente, colpevole di aver sostenuto il regime dello Shah, una scusa per indirizzare la rabbia e la frustrazione delle vittime della corruzione e della povert verso il Grande Satana e il suo figlio adottivo Israele, una rabbia che legittimerebbe chiunque facesse della sua distruzione la sua dichiarata ragione di esistere. Khomeini e i suoi fedeli erano consapevoli di non essere in grado di governare un Paese, e gestire la quotidianit del popolo iraniano in modo dignitoso non era mai stata una loro priorit, quanto lo era diffondere la loro nuova religione nei paesi islamici, specie quelli del Golfo. Erano anche consapevoli di essere ideologicamente sconfitti dagli ulema dei sunniti, e che non vi erano speranze di convertire le masse sunnite con la sola forza della fede. Ricorsero quindi allinvenzione di un Islam politico, creando un modello di repubblica cosiddetta islamica, alla testa della quale c un imam spirituale, Khomeini. Una repubblica che cominci a mettere mani e piedi dappertutto grazie al petrodollaro, usando larma della propaganda anti israeliana e pro palestinese per crearsi un minimo di simpatie in mezzo ai musulmani, per poi tentare di convertirli. Al-Qaeda si trov a fare per lo meno lo stesso, adottando una strategia ostile agli americani, in particolare accusandoli di sostenere loccupazione delle terre dellIslam e le terre sante. I primi attacchi di Nairobi e di Darul-Salam non erano stati molto popolari e i jihadisti si erano trovati a fare i conti con una controffensiva ideologica dal cuore dellIslam sunnita, rappresentata dagli ulema dellArabia Saudita, Egitto, Siria e Nordafrica, che li scredit invitando i musulmani a diffidare dalle loro idee.

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La chiamata alle armi per era riuscita a riportare qualche vecchio o nuovo combattente alle file dellannunciato Jihad, creando il nucleo operativo di un migliaio di terroristi distribuiti in primitivi campi di addestramento in Afghanistan. Per un motivo o per laltro, lamministrazione americana aveva deciso di sparare qualche missile sulle loro teste, una mossa che Al-Qaeda utilizz per apparire agli occhi della masse islamiche in veste della vittima delle nuove crociate contro lIslam. Non potendo innescare la sua guerra santa contro un nemico con il quale non aveva una vicinanza geografica, i jihadisti dovettero fare ricorso a unaltra trovata sciita: Uccidersi per uccidere. Stavolta avrebbero agito dietro le linee del nemico, una sfera allargata per includere tutti coloro che si trovavano sul territorio americano e, in seguito, in tutto lOccidente. Un allargamento legittimato grazie a una serie di ragionamenti basati su una scarsa conoscenza sia dellIslam sia dellOccidente e degli occidentali: li incriminarono per essere indiretti finanziatori delle nuove crociate. Una visione ingenua, basata su una lettura amatoriale della composizione sociale e politica dei paesi occidentali, pervenuta ai leader del nuovo fronte jihadista, che in gran parte non avevano mai vissuto in Occidente, a cura di persone che avevano vissuto in mezzo a noi per periodi limitati, da studenti o da rifugiati gi con idee estremiste. Infatti, vista la composizione sociale occidentale, in gran parte individualista, e vista lassenza del legame di sangue tribale o etnico, il debole legame di famiglia, uccidere un occidentale causa dolore e

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disdegno ma non quanto lo causerebbe uccidere un cittadino arabo o africano con migliaia di persone alle spalle che lo vorrebbero vendicare o perlomeno riterrebbero i governi responsabili della sua morte. Va da s che le conseguenze degli attacchi terroristici contro gli occidentali non raggiunsero mai il risultato valanga auspicato dagli statisti di Al-Qaeda, anzi, pi gli occidentali si trovarono in situazioni dinsicurezza, pi furono disposti ad alzare il tetto dei finanziamenti militari ai loro governi e a dargli il via libera per interventi allestero. Inoltre, gli ulema di Al-Qaeda, nel cercare giustificazioni islamiche alle loro ambizioni politiche, non tennero conto di una variante che ai tempi del profeta non esisteva: la stessa composizione sociale occidentale include non solo cristiani, ebrei o atei, ma anche musulmani, e la loro uccisione illecita anche secondo le letture pi estremiste dellIslam. Contando le vittime dell11 settembre, ve ne erano trentadue di religione islamica, oltre alle centinaia di migliaia di caduti nella guerra al terrorismo, dichiarata in risposta alloffensiva jihadista. Per quanto mi riguardava, avevo le idee chiare, i jihadisti, sia da un punto di vista universale umano sia da quello islamico, erano assassini deviati da assicurare alla giustizia. Ero giunto alla certezza che assicurare un terrorista alla giustizia era pi favorevole allIslam che convertire un infedele. E per farlo avevo bisogno di disfare e rifare la moschea di via Bertani aprendone unaltra della quale potevo avere il totale controllo, solo cos avrei potuto garantire alla maggioranza dei musulmani di Rimini un luogo di culto e magari dinsegnamento religioso per i loro bambini, isolandoli da chi voleva predicare lodio e la distruzione.

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Era giunta lora di rimettermi al lavoro, mi misi in contatto con il proprietario dellimmobile in affitto, e chiesi a Yahia di raggiungermi per visionare dei locali, facendo unofferta generosa al proprietario. Invitai Yahia a casa mia per spiegargli cosavevo in mente. La comunit era ormai costretta a scegliere tra una moschea salafita e unanima morta in via Bertani. Entrambe le moschee non erano n visibile n accessibile ai fedeli di passaggio. Se fossimo riusciti ad aprire una moschea centrale, grande e visibile, da una parte avremmo facilitato lesercizio del culto a pi fedeli, e dallaltra avremmo messo lIslam riminese nella sua reale dimensione, oltre a mettere in atto una sorta di regolamento di conti con il Comune, che continuava a ignorarci, e con chi la moschea non la voleva. Yahia rimase perplesso dal costo delloperazione, sentendomi offrire un anno di deposito a titolo di caparra, e il pagamento trimestrale in anticipo. Gli dissi che ci avremmo pensato dopo a trovare i soldi, ora bisognava giocare a carte scoperte. Io sono wahabita e lui un sufi, per entrambi eravamo musulmani sunniti, quindi se avessimo deciso di aprire una moschea sunnita, i fondatori avrebbero assunto limpegno di essere i moderatori, e dintervenire qualora una fazione avesse voluto escluderne unaltra, anche nel caso si fosse trattato di un singolo musulmano. Solo forme di culto accreditati dalla maggioranza dei musulmani sarebbero stati ammessi negli spazi comuni, e chi avrebbe sentito il bisogno di pregare Allah a modo suo, avrebbe dovuto farlo a casa propria oppure aprirsi unaltra moschea. Quanto allopinione pubblica di Borgo Marina, non vi era unaltra zona nella citt con una simile concentrazione di stranieri di religione islamica, e quindi il livello di tolleranza a qualunque aspetto della multiculturalit era

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il pi alto fra tutti i quartieri di Rimini, e nessuna mobilizzazione o raccolta di firme sarebbe riuscita a farci chiudere o spostare. In realt, le uniche elezioni dove il voto islamico avrebbe contato erano quelle del sindaco, tutte le altre richiedevano una concentrazione abitativa che a Rimini non avremmo mai avuto, e quindi aprire la moschea in quel luogo era il miglior ricatto politico a qualunque sindaco di Rimini per imboccarsi le maniche e trovare una soluzione, visto che la nostra classe politica non ci dava lo spazio adeguato per il culto nel piano regolatore per costruire la nostra moschea, li avremmo messi nelle condizioni di doverlo fare per spostarne una. Era un piano a 360 gradi, e Yahia non poteva che aderirne, anche perch sapeva che sarei partito con o senza di lui. Dovevamo allargare le discussioni a Murad, il servitore fedele della moschea di via Bertani, uomo del Tabligh a Rimini e fratello di uno dei principali fondatori della moschea salafita. Yahia volle invitare anche Mohammed, il suo amico sufi che da Damasco torn a Rimini; accettai per assicurarlo e perch non avevano la maggioranza per rimangiarsi gli accordi. Nacque cos la prima moschea fondata da un misto di tre diverse scuole islamiche, spesso in contrasto fra loro. Questo era successo perch eravamo in Italia, nel bel mezzo della formazione di una nuova societ multiculturale, che stava cambiando la vita e le abitudini degli italiani nativi, e quindi anche quella dei nuovi arrivati. Sbaglia chi crede che lIslam sia una religione rigida e compatta, la civilt islamica composta da un misto di civilt che avevano accettato lIslam, influenzandolo con la propria cultura. Le moschee della Cina non

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somigliano a quelle dellEgitto, che a loro volta si distinguono da quelle del Nordafrica, di conseguenza le moschee costruite in Europa o in America rifletteranno larchitettura locale. I preti e le suore cattoliche in tutto il mondo si vestono allo stesso modo, anche i monaci buddisti, gli imam invece mantengono i loro abiti tradizionali locali. Quindi essere musulmano non significa non mischiarsi con la cultura del Paese in cui si trova, questo avviene solo quando isolato e rigettato dalla societ, e quindi si aggrega al gruppo che lo protegge e lo adotta. Partimmo con la raccolta dei soldi, cominciai da casa mia, portai via alla mamma e alle sorelle ogni centesimo in pi che avevano e ogni bigiotteria rivendibile. Andai in moschea per annunciare la notizia durante il sermone del venerd e incoraggiare i fedeli a contribuire. Nelle mie tasche avevo parte delloro e i soldi donati dalla mia famiglia. Esibendo un bracciale doro dissi a chi mi ascoltava: In questa citt, c una ragazza madre, musulmana, e questo bracciale lunica cosa che possiede, quando le chiesi di onorare la parola di Dio contribuendo allapertura di una moschea, non ha esitato a darlo via. Ora mi chiedo, cosa siete pronti a sacrificare per il volto di Dio? Non vi sto chiedendo di fare come lei, di donare tutto quel che avete, ma vi chiedo di non darvi pace, affinch il prossimo venerd sia possibile pregare al numero 100, in corso Giovanni XXIII. Lentusiasmo sal alle stelle, un fratello chiese di mettere il bracciale di mia sorella allasta, un altro annull il suo viaggio in Marocco per donare un migliaio di euro, chi faceva il muratore si offr di lavorarci gratis, Yahia si attivo per raccogliere i soldi e farli arrivare al proprietario. Dovevo lasciarli per recarmi in India per un ultimo tentativo di rimettere in piedi il mio commercio. Yahia mi chiam non appena arrivai a Delhi per darmi la bella

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notizia: avevamo raccolto abbastanza soldi per pagare il deposito, laffitto e larredamento di base. Al mio rientro partecipai a unassemblea dei quattro soci fondatori per giurare sul Corano il rispetto degli accordi. Yahia doveva sciogliere la vecchia associazione che gestiva la sede di via Bertani, riconsegnare le chiavi al proprietario e presiedere alla nuova associazione chiamata, guarda caso, Attawhid. Murad trasfer le attivit dei Tabligh alla nuova sede, e si fece carico della gestione quotidiana, dellapertura e chiusura e delle finanze. Mohammad scelse di rimanere socio fondatore e di rendersi utile dove ce ne sarebbe stato bisogno. A me era stata affidata lala politica e ideologica della moschea con tanta libert di scelta: potevo fare limam il venerd qualora lo avessi ritenuto opportuno, scegliere il soggetto dellattualit e svolgere attivit di dawa, oltre a essere laddetto stampa. Ero consapevole che tutti questi poteri mi erano stati concessi dai fratelli sufi per rilanciare la nuova moschea ed entrare in concorrenza con i fratelli salafiti di via de Giovanni, il miglior modo per eliminare un leader di velocizzare la sua salita al governo, solo che io non ero n leader n in cerca di notoriet, il mio unico scopo era quello di servire la mia gente riportandola a Dio e proteggendola affinch non finisse nella rete dei jihadisti. Cos avevo deciso di mettere Yahia sotto i riflettori, suo malgrado. Ogni volta che parlavo alla stampa, lo definivo il presidente della comunit islamica, allo stesso tempo non mi lasciai mai chiamare limam di Rimini, bens il direttore del centro culturale Attawhid.

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Prima di dare il via alle danze, Yahia mi mise una patata bollente nelle mani, facendo credere ai fratelli trasferitisi da noi che lidea di blindare la nuova associazione era solamente mia. Yahia mi chiese dincontrarli per trovare una soluzione, per quel che mi riguardava, si trattava di troppo rumore per nulla, o quasi, e sapevo benissimo come fargli cambiare idea. Dopo averli ascoltati uno per uno ripetere i soliti discorsi di unit e di fratellanza, e che la moschea era la casa di Dio, eccetera, presi la parola spiegando che il posto doveravamo uniti non era una moschea, ma la sede di unassociazione culturale islamica che sidentificava in un progetto ideologico per la divulgazione del messaggio dellIslam in mezzo ai musulmani e ai non musulmani, oltre a farsi portavoce politica della comunit islamica di Rimini e punto di riferimento per le autorit e la cittadinanza. Tutti eravamo invitati a usufruire dei servizi sociali, di culto, di cultura e di politica che la nuova associazione offriva o intendeva offrire, chiunque si identificasse in questo progetto era il benvenuto a contribuire laddove servisse. I soci fondatori erano e sarebbero rimasti Yahia, Murad, Mohammad e il sottoscritto, chiunque avesse voluto partecipare alle assemblee e avere il diritto al voto, doveva essere musulmano sunnita, con permesso di soggiorno valido, carta di soggiorno o cittadinanza iItaliana, residente a Rimini da pi di un anno, con tre referenti non membri dellassemblea di nessunaltra associazione culturale o politica, e doveva produrre copie dei documenti didentit, codice fiscale e casellario giudiziario pulito.

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Mi guardai intorno e capii che nessuno dei presenti aveva tutti i requisiti dei quattro soci fondatori, e anche se qualcuno li avesse avuti, non era disposto a farsi davanti. In realt, le mie richieste erano servite per metterli alla prova: chi vuole veramente servire lIslam dovrebbe essere disposto a fare sacrifici enormi, se uno di loro avesse accettato le condizioni e provato a dimostrare di avere anche una parte dei requisiti, ci avrebbe confermato la sua sincera volont di servire la causa, e gli avrei dato la possibilit di partecipare alle decisioni. Per chiudere la partita, offrii a tutti la possibilit di formare una o pi associazioni, nel modo che ritenevano giusto, usando la sede senza obblighi finanziari, senza essere parte del contratto di affitto e senza interferire con la gestione del culto. Grazie allesperienza acquisita dalla lista islamica, ero riuscito a neutralizzare la stampa locale, e di conseguenza anche lopinione pubblica. I soci fondatori erano conosciuti in zona, cos i tradizionali nemici di tutto quel che era islamico si trovavano le mie risposte alle loro provocazioni pubblicate nei loro articoli, grazie anche al network di amicizie allinterno delle maggiori redazioni. La blindatura dallinterno insieme allo scudo protettivo allesterno erano il garante della stabilit e della prosperit della moschea. Ogni venerd si vedevano delle facce nuove, tra i quali i nostri fratelli del Bangladesh che si erano autotassati per finanziare la gestione della moschea. Allesterno, partecipai come consigliere agli incontri sulla sicurezza in prefettura, a cene private con imprenditori e albergatori riminesi, con gli attivisti del laboratorio occupato Paz in occasione della mobilitazione generale partita dalla moschea contro accuse di violenza fisica ai danni di

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extracomunitari, finita con un riconoscimento giuridico senza precedenti per il ruolo dellimam nella societ civile italiana, affidandomi un detenuto in attesa di giudizio. Un evento celebrato sventolando il tricolore, forse per la prima volta in Italia, sul balcone di una moschea. Durante la stessa mobilitazione la moschea vide la visita dellonorevole Bulgarelli, che aveva portato in Parlamento la nostra battaglia contro il maltrattamento di alcuni extracomunitari. Sul fronte antiterrorismo, la moschea che gestivo e quasi tutta la comunit islamica della provincia erano oggetto di un accettabile livello di controllo, senza interferire con i diritti costituzionale dei cittadini e dei residenti. Per quanto ne sapevo, il dott. Mauro era riuscito a portarmi dallessere una credibile fonte dinformazione allessere un collaboratore capace di tenerlo aggiornato ventiquattrore su ventiquattro su cosa stesse accadendo dentro la nostra moschea, nellaltra e in ogni rilevante attivit religiosa, culturale, sociale ed economica della comunit. In rete, ero vicino agli eventi, attento ai dettagli, senza compromettere la mia sicurezza. Usavo diverse identit a seconda della situazione, a volte ero collegato con due o tre allo stesso tempo, riuscii a dare la mia rispostata documentata sullattendibilit o meno di alcune minacce e ultimatum lanciati su Internet contro lItalia. Una parentesi doverosa, nessun governo occidentale era preparato a gestire il conflitto con i jihadisti nei primi anni: essendo eletti democraticamente, alcuni governi rischiavano di cadere al primo attentato in casa, per cui la pressione sui servizi segreti fu sproporzionata. Gli agenti si trovavano costretti a imparare tutto su una lingua e una cultura a molti di loro poco conosciuta, capire lIslam in tutte le sue varianti, raccogliere

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informazioni su presunti terroristi, complici, familiari o addirittura simpatizzanti di essi, nel rispetto delle leggi, e senza ricorrere alla tortura, al rapimento, alla deportazione o a qualunque mezzo illegittimo. Molta confusione era scatenata dai politici stessi che annunciavano alla stampa variazioni nellindice di terrorismo, allarmando la gente comune e scatenando una silenziosa caccia alle streghe che altro non fece se non allungare le file degli aspiranti kamikaze, senza parlare delle uscite di alcuni politici che espressero dure opinioni sullIslam. Mi auguro che lopinione pubblica italiana arriver a distinguere tra le esigenze della sicurezza nazionale e la politica, garantendo ai servizi nazionali un incondizionato schiarimento da parte di chi rischia la propria vita per preservare quella degli altri.

Imparai molto sui jihadisti, e imparai molto da chi sulla rete conduceva una battaglia come la mia, a larga scala, e con iniziative governative. Giovani studenti di sharia in Arabia Saudita partecipavano alla controffensiva anti jihadista sulla rete, i discorsi erano diversi, a un livello alto, su quei siti non si trattava di noi e di loro, non si parlava se farli tornare ai loro paesi o di vietare alle loro donne di andare in giro con il volto coperto. L si partiva dallIslam, per correggere o se necessario sterminare una frangia terrorista che, in fondo, era da sempre esistita sotto diversi nomi, forme e cause. In Occidente era facile generalizzare. E come al solito, Al-Qaeda non poteva tardare a renderci la vita difficile, anche a Rimini.

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Un gruppo di britannici di religione islamica si rese protagonista di un vigliacco attacco nel cuore della multiculturale e ipertollerante metropoli di Londra, a migliaia di chilometri da noi. Alcuni falliti e opportunisti politicanti italiani si prepararono a sferrare un altro attacco altrettanto vigliacco e crudele usando mezzi non letali contro un innocente minoranza religiosa, di cui lunica colpa era di essere della stessa fede degli attentatori di Londra, ma stavolta ne avevo abbastanza di tenere la testa bassa ogni volta che incrociavo qualcuno per strada in seguito a una strage di AlQaeda. Stavolta, avevo sia i mezzi che la responsabilit di oppormi alla vergogna dellislamofobia e della discriminazione della mia gente. Incontrai Yahia e gli parlai di ci che avevo in mente, dovevamo rispondere, azzittire e se necessario querelare chiunque avrebbe voluto approfittare degli eventi di Londra per istigare allodio religioso nei nostri confronti. Lanciammo un appello attraverso la stampa locale e in moschea a tutti i musulmani della provincia di documentare ogni abuso verbale o fisico nei loro confronti, e di comunicarlo alla direzione del centro islamico per prendere le necessarie misure legali. Chiedemmo a tutti coloro che avevano accesso ai media di far valere il senso di responsabilit sulle considerazioni politiche, e facemmo ricircolare una fatw dei tempi dell11 settembre, che raccomandava alle donne musulmane che portavano il hijab o il copri volto di evitare di uscire se non accompagnate, oppure di toglierselo temporaneamente nei casi in cui avrebbe compromesso la loro sicurezza. Parole esagerate e allarmanti? Tocc proprio a me verificarle di persona, camminando con mia madre che aveva il volto coperto nei pressi del grattacielo; mentre cercavamo di attraversare la strada, una macchina di

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fuori provincia ci tagli la strada e lautista sput dal finestrino su mia madre, poi acceler, riuscii a prendere la targa e a denunciarlo alla DIGOS. Incontrai il dottor Mauro nel tardo pomeriggio e mi sfogai in una crisi di pianto. Ero deluso perch pur facendo di tutto per contribuire alla sicurezza della mia citt e alla sconfitta del jihadismo, proprio a mia madre e in mia presenza doveva capitare. Mi dissero in casa che quella non era stata la prima volta che venivano aggredite, addirittura cera chi le fermava per strada e cercava di strappargli il copri volto. Berlusconi mand i militari per proteggere e promuovere i diritti delle donne afgane e irachene, mentre ce nerano altre che si chiudevano in casa dalla paura a pochi passi dalla caserma di via Destra del Porto. La DIGOS era venuta per un sopralluogo prima della preghiera del venerd, e si rese disponibile al mantenimento dellordine durante lo svolgimento del rito. Inoltre, eravamo stati invitati a un incontro con il questore per discutere le nostre preoccupazioni. Il sermone del venerd era stato una vera e propria dichiarazione di guerra a chi credeva di poter coltivare terreno politico calpestando la nostra dignit e compromettendo la nostra sicurezza. Dichiarai che nessun musulmano si doveva scusare per quanto era accaduto a Londra e che il sentirsi in colpa era una trappola psicologica dalla quale dovevamo uscire, anzi, dicevo che il nemico ci accumunava con i terroristi, ma eravamo divisi sul metodo. Spiegai che questa era la posizione ufficiale dellIslam, la lotta alloccupazione era doverosa oltre a essere legittima, ma andavano rispettate le regole. Rivolgendomi alla corrente politica anti islamica, promisi una lotta politica senza quartiere da parte di tutti i musulmani e di chi li sosteneva tra gli

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aventi diritto al voto, e che non avremmo permesso a nessuno di rubarci il sogno italiano. Le mie parole furono cos forti al punto che sui giornali non vi erano stati commenti n prese di posizioni se non a nostro favore. Prima di andare allincontro con il questore, ci eravamo recati presso lospedale di Riccione, in seguito a una chiamata pervenuta alla moschea che segnalava la presenza di un giovane tunisino in cura intensiva a causa di un incidente di lavoro. A volte, le moschee diventavano lunico canale per risolvere questioni umanitarie, come il rimpatrio delle salme o la sepoltura secondo il rito islamico di persone sconosciute allo Stato italiano. Questo paziente era ancora vivo, ma non aveva nessun familiare o amico in Italia con il quale entrare in contatto. Arrivammo in ospedale, sul letto era sdraiato un giovane ventenne, lavorava come muratore in nero, lincidente sul lavoro gli caus la perdita della vista. Il paziente doveva lasciare lospedale, e lunico posto dove poteva permanere in attesa di metterci in contatto con i familiari era la moschea, dentro la quale vi era una stanza/ufficio che utilizzavamo per ospitare gli imam in visita. Il problema era che non avendo il permesso di soggiorno, il ragazzo non poteva ricevere le cure necessarie e nemmeno querelare il datore di lavoro. Riuscii a individuare il suo padrone, e gli feci arrivare un messaggio chiaro: la moschea non avrebbe lasciato il ragazzo da solo, e la giustizia avrebbe seguito il suo corso. Allincontro con il questore, in presenza di due funzionari della DIGOS, parlammo della crescente islamofobia derivata dagli ultimi attentati. A quanto pareva, la controffensiva della moschea si era fatta sentire, e il

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questore ci chiedeva tra le righe, dopo aver ascoltato tutte le nostre preoccupazioni, di calmare i toni, in particolare con le dichiarazioni alla stampa. Il messaggio era arrivato, ma non potevo resistere alla tentazione di uscire da quellincontro con qualcosa di concreto, cos accennai al ragazzo vittima dellincidente di lavoro. Allinizio incontrai una comprensibile rigidit tipica degli uomini in divisa. Il questore peggior la situazione chiamando il capo ufficio stranieri e chiedendogli di raggiungerci. La dottoressa era un ufficiale molto rispettato e temuto dagli stranieri in provincia, non era opportuno seconde me chiamarla davanti a noi in quel modo, soprattutto perch ero ancora uno degli stranieri gestiti dal suo ufficio. Cos decisi di ribaltare la situazione, a suo favore, non appena si aggiunse a noi la ringraziai, di fronte al suo capo, per il modo dignitoso, umano ed efficiente con il quale si sbrigavano le pratiche degli immigrati nellufficio stranieri di Rimini. Il questore quasi salt dalla sedia per la gioia e ci disse che queste erano le storie da raccontare allopinione pubblica. Uscivamo con una promessa, che poi venne mantenuta il giorno dopo: rilasciarono infatti un permesso di soggiorno per motivi umanitari al ragazzo tunisino. Nel Ramadan successivo, Yahia era riuscito a farci assegnare un imam egiziano in visita per lItalia su iniziativa del governo egiziano, che ogni Ramadan sponsorizzava decine di imam statali accreditati da Al-Azhar, listituzione islamica pi rispettata nel mondo. Andai a prendere limam con la macchina ambasciata egiziana di Roma. Mi aspettava seduto in un ricevimento dominato da una gigantesca foto di Mubarak. Lo salutai scherzando: un piacere incontrare un imam statale,

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lui invece non vedeva lora di andarsene da quel posto e si affrett a salire sulla mia macchina ringraziando i funzionari per la loro ospitalit. Chiacchierando sulla strada di Rimini, ebbi la conferma di quanto sospettavo: limam era sufi, e questa non era la prima volta che partiva in missioni estere per divulgare la visione moderata di Al-Azhar sullIslam, ma era anche una persona adorabile e socievole, cos riuscimmo a raggiungere un accordo per non scatenare una guerra ideologica nella moschea. Arrivammo in tempo a casa mia per la rottura del digiuno. Mia sorella Nora aveva lonore di cucinare per la moschea e per limam ospite. Lo presentai ai fratelli che facevano a turno per rendergli servizio e tutti se lo velavano portare a casa, al punto che si era deciso che limam sarebbe rimasto in moschea. Un giorno limam mi chiese di organizzare un incontro riservato alle donne. Quando usc dalla sua stanza tutto quel che aveva trovato era una sedia, un microfono, una telecamera e un altoparlante. Mi chiese: Dove sono le sorelle?. Sai com, qui siamo un po wahabiti, quindi le sorelle si trovano nella loro sala al primo piano, ma grazie alla tecnologia, loro ti vedranno, ti sentiranno, e ti potranno inviare delle domande scritte alle quali risponderai usando il microfono. Lincontro dur pochi minuti, limam non era abituato a tanta rigidit nellinterpretare una religione che lui andava in giro per il mondo a insegnare da decine di anni. Ma i tempi erano cambiati, il risveglio islamico si fece strada dentro i cuori di milioni di giovani in tutto il mondo, anche tramite Internet e le tv satellitari. Prima di lasciarci, limam celebr la prima preghiera documentata da una tv nella storia della nostra regione, e la moschea di corso Giovanni divent

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in pochi mesi un punto di riferimento e un esempio da seguire per molte altre realt islamiche in Italia. Riaccompagnando limam a Roma, mi fermai sulla strada di rientro a salutare il mio amico e insegnate di mestiere, il signor Haiem, un ebreo italiano di origine libica, con il quale spendevo ore intere a parlare di tessuti, ricami, modelli e tendenze. Era il numero uno, lesempio da seguire, amava il suo mestiere, ogni cosa che toccava diventava oro, e io ero uno dei pochi ai quali dedicava cos tanto tempo. Era ebreo di religione, nordafricano di cultura, ospite illustre di serate organizzate da principi e dignitari arabi. Ogni weekend partiva per il Marocco. Mi aveva insegnato larte del mestiere, ed ero onorato di vederlo prendere il treno da Roma per spendere la giornata con me a Rimini, che era anche uno dei suoi pi forti punti di smercio. Si ferm a casa mia per il pranzo preparato da mia madre, e prese in giro mia sorella che ora non gli strinse pi la mano come faceva prima quando diceva loro che erano diventate come le nostre donne (ebree ortodosse). Stavamo seduti a scambiarci le solite battute quando venne a trovarlo un altro commerciante ebreo, che vedendomi gli chiese se fosse arrivato in un momento inopportuno. Haiem gli disse scherzando: Vieni vieni, nessun estraneo, siamo tra ebrei, ti presento Aadil. Non poteva che farmi piacere che mi considerasse uno di loro, infatti lo ero. Haiem mi chiese della moschea, gli erano arrivate voci che ero impegnato a progettarne una, e mi parlo, a mia sorpresa, di quante complicazioni avevano affrontato per aprire dei luoghi di culto ebraico a Roma; poi mi chiese i dettagli sullarchitettura del progetto. Si era scandalizzato, da vero

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artista, quando gli dissi che era secondario, e si era messo a disegnarmi nei dettagli come vanno costruite le moschee, con limmancabile mosaico sulla parete, la fontana per labluzione, la qualit del tappeto e via dicendo. Per molti pu sembrare paradossale, ma Haiem era solo un membro di una comunit religiosa che si era sempre resa disponibile a scendere in piazza in difesa del diritto dei musulmani dItalia ad avere le loro moschee. E dentro di me, come musulmano non potevo che sperare che arrivasse il giorno in cui i musulmani dItalia godessero degli stessi diritti di cui godevano i musulmani in Israele.

Dopo i successi e laffermazione della nuova moschea, si avviarono le battaglie per assicurarsene il controllo, e laccesso a un gran numero di fedeli. Mentre mi trovavo a Torino per lavoro, fui avvicinato da un alto dirigente della setta islamica marocchina chiamata Justizia e beneficenza, fondata dal controverso sceicco Abdessalam Yassin, che scrisse la storica lettera intitolata LIslam o il diluvio, indirizzata allallora re del Marocco Hassan II. Questa setta era molto radicata in Italia, godeva di libert allora non concesse, e faceva leva sul basso livello scolastico della maggior parte degli immigrati marocchini di religione islamica. Il dirigete mi fece unofferta generosa, alla quale non si poteva resistere, ma riuscii a non cadere nella trappola, cos finii sulla lista nera della setta, e ne pagai le conseguenze a livello familiare qualche anno dopo. La setta era la pi organizzata fra le realt islamiche in Piemonte. Facendo leva sulla famosa sfida del suo fondatore ai due re del Marocco, attirava simpatizzanti e militanti allinterno della comunit marocchina, composta

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da una maggioranza di immigrati provenienti da aree sottosviluppate e trascurate dai successivi governi nei lunghi anni di siccit, e di conseguenza con poca o nulla simpatia per il regime. Inoltre, la setta si presentava come alternativa allo Stato italiano nel gestire la quotidianit dei suoi aderenti: offerte di lavoro, alloggi in affitto, cooperative alimentari, assistenza medica e giuridica, matrimoni combinati, corsi di lingua araba e di religione islamica, indottrinando i suoi seguaci allobbedienza alla setta, allo sceicco Yassin e a chi lo rappresentava. Un vero Stato nello Stato, sotto gli occhi e le orecchie dei servizi segreti marocchini che ne seguivano le attivit da vicino. La setta adottava una formazione capillare, simile a quella dei fratelli musulmani in Egitto, si cominciava con le famiglie, un gruppo che parte dai due ai cinque militanti, una sezione femminile e unaltra maschile, che avevano lobbligo dincontrarsi a turno nelle reciproche case. Lincontro si chiamava aljalsah, la seduta, che cominciava con la recita del Corano, invocando Allah e recitando le preghiere trasmesse a tutti noi dal profeta Mohammad, pace e benedizione su di lui. Poi, si passava alla discussione reciproca dei pregi e dei difetti dei componenti della seduta, una tecnica psicologica per consolidare il rapporto interumano tra i presenti, oltre ad alimentare i sensi di colpa e di ripentimento; in seguito si discuteva delle ultime notizie del jamaa, del suo sacro fondatore, mettendo in evidenza sempre il presunto braccio di ferro tra lui e il regime marocchino, al fine di materializzare la leadership del fondatore e dellassemblea dei suoi collaboratori agli occhi dei seguaci. Infine si saliva al livello delle sezioni, riservato ai direttori delle sedute, dove si discuteva dello stato danimo dei militanti e simpatizzati, e si ricevono le linee guida per la mobilitazione e il controllo della struttura

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dellorganizzazione, in testa alla quale si trovava il comitato dei responsabili delle sezioni che davano vita a una specie di governo centrale guidato da una o pi persone incaricate dal consiglio della jamaa in Marocco. La setta operava tramite la sua sede intestata a unassociazione culturale islamica a pochi passi da Porta Palazzo, e controllava una serie di attivit commerciali per lautofinanziamento, sfruttando il bisogno e lignoranza letteraria, religiosa o politica di chi vi aderiva, senza parlare degli arrivisti aspiranti leader nellannunciato ritorno del Califfato, che si sarebbe instaurato sulle cenere del Regno del Marocco per poi riassorbire il resto del mondo islamico. Bisogna sottolineare labilit politica della setta nellaffermarsi agli occhi delle autorit e dellopinione pubblica italiana come promotrice di un Islam moderato e rispettoso delle leggi italiane, il che non assolutamente vero, in quanto lunica lealt dei suoi militanti al leader della jamaa e al suo piano politico, che incoraggia i membri allacquisizione della cittadinanza italiana offrendogli assistenza per ottenerla, al solo scopo di avere una lite dintoccabili attivisti liberi di muoversi in tutta Europa e che lItalia dovrebbe intervenire e assisterli tramite le sue rappresentanze diplomatiche nel caso venissero arrestati dalle autorit marocchine. La nostra moschea era attraente anche per chi era in cerca dinformazioni, servizi interni o esteri, ed era anche piena di persone che linformazione, per un motivo o per laltro, la davano volentieri. Io ero uno di quelli perch credevo nella trasparenza, e che la sicurezza nazionale comprendeva tutti coloro che vivevano, visitavano o transitavano sul territorio italiano. La nostra apertura al resto della societ ci cre tanti nemici, ma soprattutto tantissimi amici che forse vedevano in quel modello una

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speranza per la tanto voluta convivenza pacifica tra i componenti della societ. Tra questi, vi era la prestigiosa associazione Italia-Tibet, con un elegante invito lasciatoci nella buca della posta. Fui invitato alla cerimonia del mandala a Pennabilli con niente meno che il premio Nobel per la Pace, sua santit il Dalai Lama. Sul piano emotivo, tutto mi sembrava surreale, sapevo di essere un ragazzo come tanti, un po pi militante, ma non al punto di essere invitato a eventi in onore di chi era allo stesso tempo un capo di Stato e la guida spirituale di una delle pi antiche religioni del mondo. Dal punto di vista religioso, linvito mi era pervenuto come imam di una moschea, e quindi dovevo agire secondo quanto mi era consentito. Mandai una e-mail per chiedere una specifica fatw: consentito a un musulmano incontrare in veste ufficiale il leader di unaltra religione al di fuori da quelle della gente del libro (cristiani ed ebrei)? La risposta fu chiara: pur non essendo della gente del libro, consentito andare allincontro per manifestare il volto pacifico e civile dellIslam, qualora ci fossero interessi comuni. Ne parlai con Yahia, e scegliemmo Jamaluddin, il fratello sufi naqshabandi, e Abdussalam, il maestro dei profumi, una delegazione esemplare, di gente colta, diplomatica, con tanto di buone maniere e visibilmente musulmani. Chiamai la mia ex per chiederle se potevo portare Mariam con me, nella quale vedevo il futuro dellIslam italiano, essendo nata da un matrimonio misto, da una mamma convertita e da un pap attivista islamico. Volevo insegnarle il rispetto dellaltro e che rappresentasse la sua generazione, alla quale toccher subire le conseguenze delle nostre scelte ed ereditare i nostri problemi.

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Camminando verso il Teatro Vittoria di Pennabilli, un luogo incantato, riuscimmo a farci strada in mezzo a fiumi di fedeli, solari e gioiosi, o semplici cittadini orgogliosi di ospitare tale evento. Dalla mia destra arriv una folla che fece il suo ingresso dentro il teatro, in mezzo a tante divise e uomini in nero intravidi un uomo sorridente energetico e giovanile, era lui. Dopo il loro ingresso, pensai che il mio ruolo fosse finito, invece no, usc un uomo elegante a cercarmi, gli feci notare che non ero solo. Mentre ci accompagnavano verso la sala rotonda, gli uomini del Dalai Lama inclinarono la testa al mio passaggio salutandomi con il saluto dellIslam: Assalam Alaikum. Avrei voluto fermarmi e tornare da dove ero venuto, avrei voluto gridare che non ero nessuno, che non avevo mai fatto cose spiritualmente straordinarie per guadagnarmi tanto rispetto. A farmi cambiare idea fu un maresciallo dei carabinieri che mi aveva salutato anche lui in arabo, e mi aveva fatto spazio accanto ad altri ospiti in piedi in attesa del rito guidato da sua santit. E quindi era destino, Yahia mi chiese se ero sicuro che fossimo in Italia, mi fermai a pochi centimetri dallingresso. Accanto a me cera il maresciallo che ci ringraziava per essere venuti, sembrava tutto surreale. Sua santit raggiunse i suoi monaci, che non osavano alzare gli occhi per guardarlo. Il vescovo esegu il rito del Mandala, un gesto che ricordava agli esseri mortali che tutto aveva una fine (tutto quel che sulla terra destinato a perire Corano LV/26). Dopo il rito, tutti si raccolsero per una foto ricordo con il Dalai Lama, un suo addetto alla sicurezza, o forse al protocollo, gli sussurr qualcosa nellorecchio indicandomi. Sua santit mi guard negli occhi e mi fece segno di raggiungerli, mi trovai portato, o meglio, accompagnato per stare alla sua sinistra, mentre il vescovo era sulla destra. In un gesto spontaneo, forse per la differenza det, o per il rispetto al primo rappresentante di

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una grande religione, gli baciai la mano. Dopo la foto mi accorsi che sua santit non aveva mollato la mia mano, gli regalai il rosario di mio nonno e una copia di un libro dello sceicco Nazim che gli era stata portata da Jamaluddin. Eravamo rimasti dietro mentre tutti si affrettavano a camminargli vicino. Uscendo dal teatro camminammo incantati verso la nostra macchina. Ci accorgemmo che la piazza ora era piena di gente venuta ad ascoltare il Dalai Lama, che era salito accompagnato dal vescovo su un palco allestito che notai per la prima volta. Sulla scalinata vidi un altro funzionario tibetano affacciarsi cercandoci in mezzo alla folla, non appena mi vide, scese in fretta, mi prese per mano, mi fece salire sul palco e mi fece sedere alla destra del Dalai Lama. Nulla era previsto, cos mi trovai seduto sul palco accanto a una leggenda vivente, faccia a faccia con migliaia di fedeli che si rivolgevano al Dalai Lama, al vescovo di San Marino, e poi a un frate Cappuccino. A questo punto sentii la responsabilit di dover dire qualcosa, agli occhi di questa gente rappresentavo la religione di oltre un miliardo e mezzo di fedeli, cos mi girai verso chi mi sembrava essere il moderatore, e gli chiesi di darmi la parola appena possibile. Mi rispose dicendo che non era previsto il mio intervento, e io gli dissi che non era nemmeno prevista la mia presenza sul palco e che lo spettatore preferivo farlo da sotto. Cos riuscii a guadagnare qualche minuto per improvvisare un discorso, dando il benvenuto a sua santit (affermando cos sia la nostra appartenenza allItalia sia la nostra tolleranza verso il diverso), ringraziando le persone che erano venute a sentirlo, affermando che un piccolo essere come me non era degno di sedersi accanto a grandi uomini come lui. Poi, in una sorta di risposta al vescovo che cit il martirio cristiano e non quelli

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degli altri, dissi che lo spirito cristiano che aspir chi annunciava il vangelo oltre i mari dovrebbe aspiraci oggigiorno per accettare il diverso a casa nostra. Non so perch, ma parve che alla gente piacesse quanto avevo detto, oppure non si aspettava di sentirselo dire da uno come me. Qualcuno, sempre tra gli accompagnatori di sua santit, mi fece notare che egli mi stava chiedendo una stretta di mano. Afferrai la sua mano destra con la mia e mi alzai per prenderlo in braccio in un gesto che surriscald la platea. Nessun presente avrebbe mai pensato di poter testimoniare dal vivo labbraccio del Dalai Lama con un credente in Allah, nel nome del quale quattro anni prima si fece saltare per aria la statua del Buddha di Bamiyan. Alla fine fu chiesto a sua santit, al vescovo e a me di leggere preghiere per la pace. Scendendo dal palco, mi trovai sommerso da una marea di gente, tra chi mi stringeva la mano, chi mi baciava e chi si faceva riprendere con me, continuai a ripeter con emozione e lacrime agli occhi: Non ascoltate chi vuole farvi credere che vi odiamo. Mi sbrigai a raggiungere la macchina per non montarmi la testa, ricordandomi che ero solo un peccatore, mortale, e ora anche stanco dopo tutti quei colpi di scena. Yahia mi disse che non era mai successa una cosa del genere e che mai se lo sarebbe aspettato; io invece sentii che la fine del mio ruolo era vicina, ed ero pi che soddisfatto. Ora in provincia, i musulmani erano una realt attiva e visibile, riconosciuta dalla politica, dalla stampa, dallo Stato e ora anche dallopinione pubblica, tutto era pronto per andare avanti, meglio se senza di me. Ne parlai con Yahia, oltre a ci, avevo ormai tanti problemi di lavoro e dovevo dedicarmi di pi a risolverli. La mia famiglia mi consigli di andare a

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spendere un po di tempo alla Mecca, ma prima di farlo decisi di giocare la mia ultima carta: far venire il sindaco Ravaioli in moschea. Quando si vincono le elezioni con cinquecento voti di differenza, ogni singolo elettore conta, compreso leventuale voto degli immigrati di cui si stava ancora dibattendo. Ero da sempre convinto che il novanta per cento dei nostri problemi come musulmani in Italia derivasse dal fatto che non contavamo al voto, quando la natura stessa della politica italiana si basa sulla caccia ai voti. Con Ravaioli qualcosa si poteva fare: se fossimo riusciti a ospitarlo nella nostra moschea, si sarebbe creato un precedente e un riconoscimento di una situazione anomala da sanare, invece di tenere la testa nella sabbia e fare finta di non vedere, o rimandare il problema alla prossima amministrazione. Prima di partire per la Mecca convocai una conferenza stampa nella quale chiesi al primo cittadino di avere il coraggio di dire ai nostri concittadini che eravamo tutti uguali, che i musulmani sono parte della societ e non pi unondata immigratoria di passaggio; gli chiesi di prendere le difese della parte pi vulnerabile della societ e lo invitai a venirci a trovare nella nostra moschea per dimostrare allopinione pubblica che non eravamo solo un problema di sicurezza. Poi distribuii il tricolore ai negozi gestiti da musulmani in corso Giovanni, chiedendogli di esporlo senza nemmeno spiegargli il perch: era una cosa chiesta dallimam della moschea del quartiere e quindi andava fatta. Dopo dieci minuti il tricolore sventolava fuori da tutti i negozi, la cosa incurios la stampa che and a intervistare i commercianti ai quali avevo suggerito cosa dire.

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Il giorno dopo chiesi a Yahia di chiamare la segreteria del sindaco per invitarlo a venirci a trovare in uno dei venerd successivi. La conferma della visita non tardo ad arrivare, e io partii per la Mecca in ritiro spirituale, dopo tre stagioni di battaglie continue, sodisfatto di aver lasciato i riflettori ad altri. Yahia mi chiam esultante per lo svolgimento della visita, la gioia dei bambini, i palloncini rossi e bianchi, avrei voluto che anche mia figlia Mariam fosse stata fra loro. Mi ricordai come correva gioiosa assieme ai bambini musulmani delle famiglie a maggioranza sufi radunate per celebrare il Eid in un agriturismo di Santarcangelo. Come tutte le bimbe, Mariam portava il foulard in quel giorno ed era lultima volta che la vidi indossarlo. Seduto in un Internet coffe shop, a pochi passi dalla Pietra Nera, visionai le foto della visita raffiguranti il sindaco Ravaioli accompagnato da Yahia e Jamaluddin, con il Minbar del profeta dellIslam, pace e benedizione su di lui, alle loro spalle; cos la profezia si avver, con la grazia di Allah e il suo sostegno, e tuttaltro che con il nostro impegno o sforzo. Ero giunto al capolinea, Muhammad ibn Abdelwahab, lo sceicco innovatore, mi aveva insegnato a porre le fondamenta del credo, cercare di acquisire la conoscenza, metterla in pratica, divulgarla e finalmente armarsi di pazienza mentre se ne subiscono le conseguenza. Ero quindi allultima fase, ora avrei dovuto affrontare le prove pi dure, e i tradimenti pi cattivi. Tornai in Italia a Torino, cercando di rimettere la mia attivit commerciale in moto. Non avevo grosse aspettative, in fondo non ne avevo mai avute, tranne quelle per Allah.

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Lavorando con il dottor Mauro, avevo acquisito delle abilit osservative e di analisi di cui difficilmente riuscir a sbarazzare. Ovunque mi trovavo e a prescindere con chi avevo a che fare, il mio cervello elaborava con velocit linformazione e le immagini, potevo ricordarmi con maggior facilit di luoghi, nomi, numeri di targhe e marche delle macchine, comportamenti e persone sospette, oltre a far dire, nei maggiori dei casi, al mio interlocutore le cose che minteressavano sentire senza farmi scoprire. E quindi anche se ero lontano dal mio teatro dazione, il lavoro non era mancato, in modo istintivo, e senza volerlo, mi ero fatto una mappa ideologica della comunit islamica di Torino, etichettando le moschee e i luoghi dincontro, associandole le rispettive attivit economiche o sociale di chi ne era frequentatore o simpatizzante. Facevo tutto ci in modo istintivo, discreto e naturale, aiutato anche dalla divisione dellopinione dei musulmani e non musulmani sul mio conto; i pi semplicisti mi consideravano un esibizionista in cerca di fama, oppure un ingenuo che crede a Babbo Natale, quelli che mi avevano conosciuto un po da vicino si dividevano tra chi mi considerava un infiltrato terrorista o un opportunista che sventolava la bandiera dellIslam perch gli faceva comodo. Una diversit di opinioni alla quale non avevo mai prestato attenzione, usandole come coperture a seconda delle situazioni. Il rapporto con il dottor Mauro continu a distanza, la rete che avevamo creato lavorava anche senza la mia presenza fisica, anzi, ora potevo contare sui nostalgici dei miei tempi alla guida della moschea, che si tenevano in contatto per farmi tornare, oltre a quelli a cui non piacevo, che da quando ero lontano erano diventati amici.

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Tutti confermavano che vi era una mancanza di leadership, che la persona con il pi alto indice di gradimento stava diventando Murad, luomo del Tabligh, del quale ho parlato poco finora, e al quale porto un sincero sentimento di stima e di fiducia. Murad era tornato allIslam grazie al meraviglioso lavoro portato avanti dagli uomini del Tabligh in Europa. Lo avevano trasformato in una persona umile e serena, ispirava fiducia a chiunque gli passasse vicino. La sua esperienza passata gli aveva dato la capacit di capire e sentire i problemi di chi gli stava davanti, era capace di portare il messaggio dellIslam ai ragazzi con problemi di droga o con la giustizia, ai giovani immigrati lontani dalle famiglie e dal paese di origine. Murad era in grado di capire e ascoltare anche me, nonostante la complessit della mia persona. Capiva che non ero l per escluderlo, n per chiudere le porte alla sua jamaa. In unoccasione, mi era stato chiesto di uscire assieme a loro in un classico khorouj fi sabil Allah, uscita sulla via di Allah, di tre giorni, durante la quale ci saremmo aggregati ad altri fratelli in genere poco o per nulla praticanti, saremmo stati ospiti di unaltra moschea per una sorta di corso intensivo accelerato su come leggere il Corano e impararlo a memoria, come eseguire ladorazione, labluzione, come rendere servizio ai musulmani. Poi, saremmo andati a visitare i luoghi del vizio frequentati da latri musulmani non praticanti, per le strade e nei parchi, a parlargli dellIslam e dei suoi valori e a invitarli a venire in moschea ad ascoltare il Bayan, un discorso religioso, per poi essere invitati a far parte di un altro khoruj. Una semplice ed efficace macchina di Daawa, chiamata allIslam, che riusc a riportare al nostro culto centinaia di migliaia di musulmani in Europa e nel resto del mondo, oltre a convertire molti non musulmani.

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Murad non condivideva le mie idee politiche, ma apprezzava il rispetto che portavo per lui e per il suo orientamento, ed era lunico musulmano di Rimini capace di fare le cinque preghiere nella moschea, presente ogni venerd, oltre a svolgere le attivit della sua jamaa e quelle al servizio dei musulmani; era senza dubbio la controparte islamica di don Benzi. Yahia ne era consapevole, e ci teneva ad averlo vicino, anche perch Murad con la sua presenza continua tra i fedeli poteva garantire la continuit alle donazioni mensile che servivano a tenere la moschea aperta, ma i segnali che mi arrivavano da diverse fonti mi portavano a prevedere un conflitto fra Murad da una parte e Yahia e Mohammad dallaltra. Essendo militante di Al-Tabligh, Murad era pi portato a fare parte della sfera salafita vicina allArabia Saudita che a qualunque altra, per la quale ogni innovazione nel culto Bidaa era da sradicare, il che lo avrebbe portato a opporsi a uneventuale uscita allo scoperto dei sufi. Mentre mi trovavo a Torino, ebbi lopportunit di conoscere da vicino unaltra realt sufi che si potrebbe considerare moderata, una decina di fratelli italiani con le rispettive famiglie che nel corso degli ultimi ventanni si erano convertiti allIslam tramite una confraternita sufi francese. La controparte torinese contava due agenti di commercio, un ex carabiniere, un insegnante e qualche giovane studente universitario. Gente normale, tra cui alcuni tenevano la propria conversione segreta, chi per non perdere il lavoro, chi per non traumatizzare la famiglia o per altri motivi. Questa piccola associazione era legata con rapporti quasi familiari, e periodicamente andavano in Francia, specie in occasione delle feste islamiche.

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A Torino avevano un piccolo locale discreto, una zawia, angolo, dove si radunavano per invocare il nome di Allah (Zikr) e insegnarsi a vicenda le pratiche e la letteratura islamica. La preghiera del venerd la facevano a rotazione nelle diverse moschee torinesi per non lasciare scontento nessuno. Personalmente ero pi vicino al membro pi senior tra loro, che qui chiamerei con un nome di fantasia Imran. Imran aveva vissuto dallinizio la nascita della comunit islamica torinese, era vivace e socievole, conosceva tutto e tutti al punto che si era abituato alle differenze culturali tra i musulmani arabi e quelli italiani, era il mio consigliere di fiducia nel mio rapporto con i fratelli sufi di Rimini, ed era sempre del parere che i sufi non dovevano gestire le moschee per evitare divisioni e conflitti con le alte sfere. Imran era e rimarr, finch Allah gli dar vita, un saggio della comunit islamica italiana, una viva testimonianza dellevoluzione della societ moderna. Peccato che alle persone oneste e sincere come lui non verr mai dato ascolto. Assieme a lui, avevo conosciuto un giovane universitario convertito, mi aveva impressionato la sua giovane et e la sua voglia di andare alla Mecca in pellegrinaggio: lavorava part-time per pagarsi il viaggio. Insieme a Imran, incontrai decine di italiani. Il loro percorso di vita li aveva portati alla fratellanza di fede con noi immigrati, pagando le conseguenze dei nostri errori e della nostra incapacit dintegrare la nostra vita e affari religiosi nel tessuto sociale e culturale italiano distinguendole dalla nostra ignoranza e incompatibili usanze e abitudini di carattere nazionale e che non hanno nulla a che fare con il messaggio universale islamico.

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A tutti loro chiedo perdono e invoco il sostegno e la misericordia del Signore al quale hanno creduto e scelto di obbedire. Mentre stavo contando i giorni che mi separavano dal fallimento commerciale, e mi preparavo a seguire il consiglio del mio amico ebreo di Roma nel cessare attivit e trasferirmi allestero verso i mercati emergenti dellOriente, mi arriv una telefonata da parte di un personaggio di spicco della comunit del Bangladesh di Rimini, che mi chiese dintervenire per evitare la chiusura della moschea. Lautore della chiamata era una persona credibile e rispettata, che oltre a sostenere la moschea economicamente non aveva mai interferito nella sua gestione. Poche settimane prima, ero venuto a conoscenza in seguito a una richiesta di opinione, della presenza in Italia di due imam giordani ospiti di Yahia e di Mohammed; erano stati visti non solo a Rimini ma anche in giro per la regione. Dalle prime ricerche era emerso che i due imam oltre alle conferenze in moschea e agli incontri con i fedeli, avevano avviato una serie dindottrinamenti alla loro tarika (metodo) sufi in pubblico, organizzando sedute periodiche di zikr (invocazione) di gruppo e in pubblico, e attaccavano durante le loro risposte alle domande dei fedeli le scuole salafite, wahabita e del Tabligh. Dopo la loro partenza, a pochi giorni dellanniversario della nascita del profeta dellIslam, che sarebbe il Natale islamico celebrato soltanto dai sufi, Murad fece un intervento contro questa bidaa (innovazione nel culto) durante il sermone del venerd, ribadendo le posizioni di autorevoli ulema in merito alla celebrazione del Mawlid (la nascita) del profeta dellIslam, pace e benedizione su di lui.

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Secondo questa posizione, condivisa dalla maggioranza degli ulema dellIslam, il culto islamico lecito ci era stato decretato dal profeta, pace e benedizione su di lui, e tramandato dai suoi compagni (Sahaba) a chi ne aveva ereditato la loro conoscenza. Ogni innovazione, aggiunta o ritaglio a essi non consentita, secondo quanto confermato dallo stesso profeta, pace e benedizione su di lui, rivolgendosi ai pellegrini nel monte Arafat durante il suo ultimo pellegrinaggio: Oggi ho finito dinsegnarvi la vostra religione (testualmente Egli disse: Oggi vi ho completato la vostra religione che io interpreto come: Egli dichiar di aver finito di trasmettere il messaggio mandatogli da Dio, e linsegnamento su come praticarlo. Tengo a precisare che questa la mia traduzione dallarabo, perch non sono riuscito a trovare versioni italiane del discorso di Arafat). Questo sigillo, messo sulla trasmissione del messaggio divino, lascia ampio spazio alle interpretazione in materia di giurisprudenza del diritto islamico, come fece Omar Inbn Al-Khattab, uno dei successori del profeta quando decret di sospendere la pena del taglio della mano durante lanno della secita, quando i cittadini del suo Califfato potevano essere costretti a rubare per diffamarsi. Di recente, in risposta allislamofobia del dopo 11 settembre, diverse fatw permisero alle donne musulmane in Occidente che si sentivano in pericolo di vita di non indossare abiti che le distinguessero come musulmane, velo compreso. Le uniche feste rituali islamiche sono quindi Eid Al Fitr, che marca la fine del Ramadan, e Eid AllAdha, che marca la fine del ajj Il pellegrinaggio annuale commemorando il sacrificio del profeta Abramo, pace su di lui.

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Aggiungo a queste considerazioni unanalisi teologica, sostenendo che festeggiare lanniversario della nascita dei profeti e dei personaggi spirituali gli attribuirebbe con il tempo una sorta devozione divina, associandoli al Creatore. In fondo Mohammad, pace e benedizione su di lui, non fu altro che un uomo scelto per trasmettere un messaggio il cui compito fin con la sua morte: 144. Muhammad non altro che un messaggero, altri ne vennero prima di lui; se morisse o se fosse ucciso, ritornereste sui vostri passi*? Chi ritorner sui suoi passi, non dannegger Allah in nulla e, ben presto, Allah compenser i riconoscenti. Corano III Se festeggiare la nascita dei profeti fosse stato un culto, Mohammed stesso, pace e benedizione su di lui, non solo avrebbe decretato di farlo dopo la sua morte, ma avrebbe lui stesso festeggiato gli anniversari di uno o pi profeti venuti prima di lui: 163. In verit ti abbiamo dato la rivelazione come la demmo a No e ai Profeti dopo di lui. E abbiamo dato la rivelazione ad Abramo, Ismaele, Isacco, Giacobbe e alle Trib, a Ges, Giobbe, Giona, Aronne, Salomone, e a Davide demmo il Salterio. Corano IV Perci la maggioranza degli ulema si pronunciano contro la celebrazione del Mawlid, andando contro interessi economici di una stagione paragonabile a quella del Natale dei cristiani e che i sufi sfruttano per attirare masse festose verso la loro sfera, a favore anche del business che gli gira attorno. Da qui, la contro sfida di Murad aveva fatto uscire alla luce il piano di metter le mani sulla moschea centrale riminese da parte di una tarika (confraternita sufi) Giordana.

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Affrontai Yahia con queste informazioni e mi confess la sua intenzione di legare la nostra moschea con un patto di obbedienza al suo maestro giordano, e che questa era la decisione definitiva. Ricordandogli gli accordi mi disse che non sentiva pi lobbligo di rispettarli, perch io ero andato via, e che si era stancato di dover convivere con lanti sufismo: assieme ad altri fedeli sarebbe andato avanti nella pratica dellideologia sufi per far fronte allavanzata salafita. Yahia mi parl con tutta chiarezza e sincerit, anche perch era convinto che, con tutti i problemi che avevo, non potevo pi dedicarmi alla dawa, e che le mie dimissioni erano solo una questione di tempo, soprattutto dopo che mi aveva restituito la mia quota del deposito per laffitto della sede. Davanti alla sua determinazione, gli chiesi di farmi sentire la versione di Murad, che mi conferm la sua controffensiva, e si diceva pronto a prendere in mano la moschea oppure ad aprirne unaltra con il sostegno della sua jamaa. Dopo una consultazione con lo sceicco Adel in Arabia Saudita e con il mio fretello sufi Imran di Torino, decisi di tornare a Rimini per tentare di riconciliare Murad e Yahia, oppure come ultima spiaggia, mettere fine alla presenza sufi nella moschea di corso Giovanni XXIII affidandone la gestione a Murad e alla sfera dei Tabligh, che erano gli unici capaci di garantirne la continuit fra le correnti vicine alle mia visione dellIslam. Come prima cosa, subito dopo la preghiera di Al-Istikhara (la consultazione), dove sinvoca lispirazione divina nel prendere decisioni cruciali, chiesi a Yahia di farmi parlare direttamente con il suo maestro Giordano, o con il suo portavoce. Dopo aver ottenuto il loro consenso, Yahia mi dette un numero di cellulare giordano che chiamai subito registrando la chiamata con il mio computer portatile.

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Dopo i soliti convenevoli diplomatici, arrivammo al sodo: feci presente a chi era dallaltra parte della linea le diversit esistenti fra le comunit islamiche in Italia, le nostre carenze, le debolezze, i nostri nemici, chi avrebbe voluto farci chiudere le moschee, i nostri amici e che cosa volevano da noi in cambio, e la necessit di rimanere uniti sui punti essenziali condivisi. Insomma, gli parlai di cose di cui lui era senzaltro al corrente, ma lo feci sia per correttezza sia per rispetto nei confronti di un uomo di Dio, al quale si chiede fatw o consiglio. A mia sorpresa, il mio interlocutore mi rispose con lesultanza del vincitore, dettandomi cosa dovevamo o non dovevamo fare, che era giunta lora di sradicare i terroristi wahabiti dalle moschee europee, e di allevare le nuove generazioni di musulmani moderati secondo lIslam originale, e non quello esportato dai sauditi! Unaltra volta, di punto in bianco, mi ero trovato dopo tutti questi anni, dopo tutte queste battaglie a risentire le stesse cose che mi dicevano i miei fratelli il primo giorno che misi piede in via Bertani. Era evidente che ora stavo parlando con la fonte dellinsegnamento anti riformista, che avrebbe voluto trasformare lIslam da uno stile di vita, una ragione per esistere, a una pratica folclorica, piena dincensi, profumi, turbanti verdi e gente che vola per aria per partecipare alla preghiera alla Mecca e poi torna a fare colazione a casa. Mi ero stancato anchio di loro come loro di me, e quindi chi la dura la vince. Ma prima di chiudere dovevo segnare un rigore e gli feci una domanda provocatoria: Ho notato che parla al plurale, cosa intende per noi? Voi nella Tarika o voi in Giordania?

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Noi in Giordania, La Tarika e lIslam e questo un paese islamico. Quindi non ci sono wahabiti in Giordania? Ci sono certamente, ma grazie a Dio sono sempre di me Interrompendolo: Allora si preoccupi dei wahabiti della sua Giordania che ai sufi di Rimini ci penso io. E finii la conversazione, fiducioso di aver scatenato la sua rabbia contro di me; avrebbe ordinato ai suo discepoli di farmi fuori, e quindi non dovevo fare altro che aspettare. Yahia, che da sempre sventolava la bandiera dellindipendenza delle moschee italiane dalle interferenze estere, intendeva lestero wahabita, quello sufi andava bene. Il piano degli ayatollah di Teheran per impossessarsi delle menti islamiche in Europa, tramite il cavallo di Troia sufi, a quanto pare stava funzionando, e io, nel mio piccolo, non potevo che tentare di fermarlo o, perlomeno, ritardarlo. La reazione non tard ad arrivare. Durante una telefonata cordiale, Yahia mi chiese di sciogliere lassociazione firmando un accordo mandatomi via e-mail, un accordo che gli chiesi di modificare perch si trattava di una resa incondizionata: avrei dovuto sciogliere lassociazione Attawhid e indire unassemblea generale per passare la gestione a chi tra i frequentatori della nostra moschea ne avesse la voglia. Yahia, secondo le voci che mi arrivarono da Rimini, si era attivato per raccogliere il consenso di un gruppo di fedeli senza chiare orientazioni ideologiche, che avrebbe dato origine alla gestione alternativa nominandolo presidente. Mi arriv unaltra bozza di accordo alternativo: si chiedeva ai soci fondatori di dimettersi, lasciando al proprietario dellimmobile la libert di scegliere con chi stipulare un nuovo contratto, il che comportava due rischi, il primo

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era che lui scegliesse gli unici due italiani Yhaia e Mohammed, entrambi sufi , il secondo, che si levasse il dolore di essere laffittuario di una moschea, decidendo di non stipulare un nuovo contratto con nessuno di noi e chiedendoci di sgomberare la sede. Consultandomi con Murad, mi resi conto che a parte la buona volont e la voglia di tenere la moschea aperta, non aveva idea su come farlo, e quindi non mi rimaneva che il piano B, spingere Yahia e Mohammed alle dimissioni, rimanendo con Murad i firmatari del contratto di affitto. A questultimo avrei lasciato poi la gestione della moschea e me ne sarei andato per la mia strada. Rifiutate le due bozze, non ci rimaneva che incontrarci per discutere una terza via, e cos fu. Fui ospite a casa di Murad, visto che a Rimini non avevo pi un posto dove dormire, Yahia e Mohammed ci raggiunsero. Dopo le cordialit, cercai di allentare la tensione parlando dei miei problemi personali, e della necessit di partire allestero per riavviare un altro business, oppure trovarmi un lavoro che mi permettesse di vivere, cosa che in Italia non sarebbe stato facile, visto che negli ultimi dieci anni non avevo fatto altro che essere capo di me stesso. Anche se avessi scelto di fare il cameriere o le pulizie, nessuno mi avrebbe preso a lavorare, senza parlare dello stipendio, che non sarebbe bastato per mantenere tutta la mia famiglia, la quale mi avrebbe raggiunto una volta che mi fossi sistemato. Erano previsione realistiche, semplici, che poi si avverarono, ma i miei tre soci mi guardavano con stupore. Nessuno di loro poteva credere che Aadil, il commerciante generoso e disponibile ad aiutare tutti, si trovasse a dover immigrare di nuovo per guadagnarsi da vivere, ma questa era la fase finale di chi si era dedicato a invitare la gente allIslam: dopo lo studio, la messa

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in pratica, linvito di altri a esso, arriva il momento di supportare e magari superare la prova.

1. Per il Tempo! 2. Invero luomo in perdita, 3. Eccetto coloro che credono e compiono il bene, vicendevolmente si raccomandano la verit e vicendevolmente si raccomandano la pazienza. Corano CIII

Partendo da questa sura, limam innovatore, lo sceicco Mohammed Ibn Abdelwahab spieg le fondamenta del credo islamico. Imparare, mettere in pratica, divulgare e armarsi di pazienza quando si messi alla prova. Una prova che per me fu durissima, portandomi via famiglia e lavoro, ma come avevo detto in precedenza, oggi, e dopo oltre sei anni dallaccaduto, sono sempre convinto che ne valse la pena. La notizia del mio allontanamento definitivo dalla scena islamica riminese, a quanto pare, non convinse nessuno dei miei fratelli sufi. Le chiesi di rispettare i patti, e di non lasciare a Satana un posto in mezzo a noi: 82. Disse (Satana): Per la Tua potenza, tutti li travier, 83. Eccetto quelli, fra loro, che sono Tuoi sinceri servi.

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Corano XXXVIII Yahia voleva lo scioglimento, o le sue dimissioni assieme a quella di Mohammed. Al mio ultimo no allo scioglimento, Mohammed prese una penna a sfera dal taschino della camicia e la pass a Yahia. Ora era tutto chiaro, la decisione era gi stata presa oltre i confini dellItalia, e Yahia non era che un sincero servitore di Dio, dalla parte sbagliata, una parte che da sempre era orchestrata da Mohammed da dietro le quinte. Finalmente si spiegava tutto, e sarebbe stato ancora pi chiaro dopo la primavera sunnita siriana, che vide i militanti di Hezbollah, su ordine degli ayatollah di Teheran, combattere fianco a fianco con le forze di Assad contro la rivolta del popolo siriano. Prima di spingermi cos lontano in queste conclusioni in apparenza surreali, tornai con la memoria alle dichiarazioni del gran Mufti di Damasco che, consegnando le attestazioni di merito a tre studenti indonesiani prima del loro rientro in patria, raccomand loro testualmente: Ora che avete studiato le fondamenta del puro Islam, tornate e insegnate alla vostra gente quanto avete imparato, e come ultima raccomandazione e gli studenti si misero prendere appunti diffidate dai comunisti, dai laici e dai wahabiti. Fu lo stesso Hassun, un sunnita sufi affascinato degli ayatollah, a permettere ai pellegrini sciiti iraniani di venire in pellegrinaggio in Siria e compiere riti aboliti dalla fede islamica, in un tentativo di rinforzare la dipendenza siriana dal Ryal iraniano in vista della fusione geografica conosciuta come la mezza luna sciita, che avrebbe allungato i confini dellimpero persiano fino a quelli dIsraele, una mossa strategica che avrebbe messo lintero Occidente sotto ricatto, e lo avrebbe reso incapace dintervenire in caso di avanzata sciita per occupare i luoghi santi dellIslam. Yhaia e Mohammed si erano dimessi dallassociazione che gestiva la moschea di corso Giovanni XXIII, mettendo fine a un braccio di ferro tra la sfera sufi pro persica e quella wahabita.

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Dopo che se ne furono andati, Murad mi chiese che piani avessi per la moschea, e io gli risposi in tutta fiducia recitando: 55. Allah ha promesso a coloro che credono e compiono il bene di farne [Suoi] vicari sulla terra, come gi fu per quelli che li precedettero, di rafforzarli nella religione che Gli piacque dar loro e di trasformare in sicurezza il loro timore. Mi adoreranno senza associarMi alcunch. Quanto a colui che dopo di ci, ancora sar miscredente Ecco quelli che sono iniqui! Corano XXIV Prima di andarmene per la mia strada, non potevo non incontrare il dottor Mauro. Lo informai dellesito dellultimo atto. Da abile professionista aveva seguito passo per passo tutte le fasi, ma senza interferire nelle mie decisioni n influenzare le mie scelte personali, religiose o politiche. Dopo gli ultimi ritocchi per il mio ritiro dalla scena, compresa quella segreta, Mauro mi augur buona fortuna anche se, secondo lui, non ne avevo bisogno. Negli anni successivi, cercando di ricostruirmi una vita lontana dal commercio e dalle sue preoccupazioni, dalle moschee e dalle battaglie dichiarate e segrete contro il terrorismo e lignoranza, continuai a seguire tramite Internet le notizie della moschea per la quale sacrificai molto. Qualche giornalista locale era rimasto in contatto con me e pubblicava di tanto in tanto i miei commenti su quanto accadeva sulla scena islamica riminese o italiana.

La notizia del decesso del mio sceicco Jamal in Arabia Saudita mi arriv mentre mi trovavo in Egitto, era e rimarr la persona alla quale devo molto del mio cammino verso Allah. Era un ex funzionario della Saudi Airlines, cambi percorso di vita mentre si trovava in America per lavoro, dove fu avvicinato da una ronda dei fratelli del Tabligh, che lo avevano riportato allIslam. Cos, lasci un lavoro ben pagato e si dedic alla dawa costruendo una moschea in Jeddah con i soldi della sua liquidazione. Si fece carico dinsegnare il Corano e la Sunna ai giovani del quartiere, segnando per sempre la vita di centinaia di persone, compresa la mia, quella della mia famiglia e le decine di persone che erano, con la grazia di

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Allah, e non con il mio impegno, tornati ad Allah o si erano convertiti allIslam. Il mio destino mi port a cambiare interesse professionale. Trovai lavoro nella sicurezza privata dopo una serie di corsi di formazione e addestramenti paramilitari compiuti con successo. Nel mio tempo libero, e ne ho tanto, seguo corsi di Corano e di diritto islamico, mi occupo di ricerche sul terrorismo internazionale e sul fondamentalismo islamico. Anni di riflessioni, scambi di idee ed esperienze nuove mi hanno portato anche a pubblicare questa testimonianza che concludo esprimendo la mia opinione sullo stato attuale delle sedi usate per il culto islamico in Italia, meglio conosciute come moschee. Come emerge dalla lunga testimonianza che ho reso pubblica in questo libro, i luoghi chiamati moschee in Italia sono stati aperti o gestiti da persone, me compreso, incapaci o malintenzionate, al punto che mi viene da dire che vi pi ordine e disciplina in qualunque mercato del pesce nel mondo che dentro la comunit islamica italiana. Non trattandosi di luoghi di culto regolarizzati alla pari delle altre religione riconosciute dallo Stato italiano, la loro esistenza sta marcando in modo negativo la stessa identit islamica, oltre a quella italiana. Il basso livello scolastico e la scarsa formazione religiosa dei frequentanti della moschea fanno s che essi portino rispetto e credito alle parole di persone spacciate per imam, e ne traggano insegnamenti religiosi e politici che lasciano il segno sulle loro scelte di vita. In pi di unoccasione, i padri di famiglia immigrati tornano a casa dalle mogli e dalle figlie che magari non avevano mai indossato il hijab prima, e le obbligano con le buone o con le cattive a farlo, per non parlare di altri aspetti pi rigorosi del codice islamico, che in teoria si deve arrivare a mettere in pratica gradualmente, partendo da una libera scelta. Personalmente, ho saputo di un padre che port le figlie al Paese di origine e le lasci l a studiare, preoccupato per paura che diventassero troppo occidentali vivendo la loro adolescenza in Italia. Un altro ingann sua figlia

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con la scusa di una vacanza in Marocco, per poi costringerla a sposare un suo famigliare. Si trattava di prese di posizioni di persone che alla base non avevano nessuna identit integralista, e si trovavano radicalizzati nelle moschee illegali da autoproclamati imam. Le donne in questi casi vengono incoraggiate a seguire il modello della casalinga obbediente al marito o al padre. Non ha prospettive per il futuro, se non di servire in casa. Si tratta di una visione tribale estranea allIslam, che liber la donna dalla schiavit maschilista, garantendole il diritto alleredit, al divorzio e alleducazione. Oltre a rovinare le famiglie, verificai di persona il particolare interesse con il quale si lavora per radicalizzare i giovani, sottraendoli alla loro societ ospitante adottiva, e facendoli vivere in una dimensione parallela, fatta dincontri nelle case, attivit sportive sospette, lezioni di jihadismo oppure, nei miglior dei casi, di militantismo politico islamista. I pi giovani, trovandosi isolati e indottrinati, finiscono per odiare la loro societ, la vedono infedele e imperialista, che sfrutta le risorse del mondo islamico, e ora anche la forza lavoro proveniente da quei paesi, negandogli i diritti di professare la propria religione alla pari di altri componenti della societ. Da l nascono le scelte di vita radicali, su cosa studiare, che lavoro fare e con chi sposarsi, creando un candidato perfetto per le file pi violente e ostili allOccidente, pronto a immolarsi alla prima occasione. I dubbi sulle relazioni delle moschee con il terrorismo vengono rimandati regolarmente al mittente accusandolo di essere anti islamico, come se essi rappresentassero lIslam, quando non sono nemmeno in grado di rappresentare loro stessi. Non vi dubbio, da un punto di vista tecnico, storico e logico che vi un legame forte tra le moschee illegali, fuori da ogni forma di controllo, e il terrorismo. Decine di attentati sulle terre islamiche (Iraq, Afghanistan, Yemen, Algeria, Egitto, Nigeria, Indonesia e Marocco) sono stati ordinati o finanziati o eseguiti da persone che vivono in Europa, che orbitano attorno a una

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moschea illegale, alla quale si cerca di dare unimmunit religiosa per il solo fatto che porti il nome di luogo di culto. Pur non predicando direttamente la distruzione dellOccidente, di Israele e dei loro alleati, Italia compresa, questi luoghi offrono un ambiente che favorisce la diffusione delle idee integraliste nel mezzo di una comunit in preda allisolamento, ai sensi di colpa e allodio del resto della societ, creando il primo livello incriminabile davanti a una corte, ma dal quale si passa verso i pi alti arrivando alla militanza nelle file dei jihadisti. Un copione che si ripete, da qualche parte sbarca un jihadista dichiarandosi rifugiato fuggito alla tortura e alla prigionia del suo paese di origine, gradualmente si forma attorno a lui un nucleo di giovani fedeli che si mettono al suo servizio associandolo con lIslam e con limmagine del profeta e dei suoi compagni, poi si scopre che il jihadista, invece di godersi il rifugio e la libert garantitagli dallOccidente, si mette a radicalizzarne i giovani musulmani affamati di religione e di leadership. Quando infine gli viene chiesto di tornarsene da dove era venuto, si appella alle leggi infedeli per rimanere sulle terre dei crociati, accettando anche di essere difeso da avvocati o giudicato da giudici di sesso femminile. Non si mai sentito che uno di loro si dichiari prigioniero politico o si rifiuti di farsi giudicare da un tribunale infedele. Per questi miserabili vigliacchi, che incitano gli altri alla distruzione dellOccidente dove poi corrono a nascondersi, e combattono portando avanti infinite battaglie legali a spese dellinfedele contribuente pur di non essere deportati, non provo altro che disgusto e disprezzo. Voglio ricordare il detto arabo: se non ti vergogni, tutto ti permesso. Chiunque contribuisca allesistenza e alla permanenza di queste forme anomale di gestione del culto islamico, deve assumersi la responsabilit diretta o perlomeno morale della radicalizzazione delle minoranze islamiche e delle ripercussioni di essa sul resto della societ. Considerando limpatto che le cosiddette moschee in Italia hanno sulla vita non solo dei musulmani ma anche sul resto della societ, e considerando il ruolo sociale, culturale, economico e politico che esse giocano e continueranno a giocare in futuro, occorre intervenire per raddrizzarne il cammino a beneficio di tutti noi.

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Lo Stato e la societ civile italiana, secondo me, hanno una responsabilit morale, politica e storica verso lespansione del fenomeno; oramai si sa, i musulmani non si possono pi mandare indietro, e nemmeno farli vivere come cittadini di serie C. Allo stesso tempo, non ammissibile per una societ democratica e civile che si rispetti tollerare o ignorare il danno sociale e politico che causano i centri di culto clandestino, a meno che non si voglia finire nel giro di una decina di anni in una guerra civile dove le brigate verdi si scannano contro quelle azzurre, rosse e nere. Occorre adottare un approccio realistico di prevenzione e di cura, chirurgico e tempestivo, per rimettere ordine allinterno dei musulmani che si trovano sul territorio italiano, siano essi cittadini, immigrati regolari o irregolari, nel rispetto della legge e delle convenzioni internazionali. Va da s che tutto ci che sto proponendo rimane unopinione personale sulla base di unesperienza. Ho deciso di rendere pubblica una testimonianza che secondo me potrebbe servire a chi avr il bisogno o il dovere di affrontare il problema di cui ho parlato, in quanto alle intenzioni solo Dio in grado di giudicarle. Occorre, quindi, sempre secondo la mia modesta opinione, ammettere lesistenza del problema, e smettere di far finta di niente, per linteresse dellItalia e degli italiani che va oltre alla durata di una legislatura. Di seguito, tocca a chiunque condivida le mie preoccupazioni farsi avanti per quantificare il fenomeno, dobbiamo conoscere i numeri, i nomi e i luoghi del fenomeno per essere in grado di affrontarlo. Il passo successivo la prevenzione, occorre bloccare lapertura di altri centri della vergogna, e questo avverr dimostrando una fermezza nellapplicazione della legga. In parole povere, consigliabile, per chi ne avesse il potere di farlo, procedere alla chiusura di pi di un centro di culto islamico non a norma, e ce ne sono tanti, dissuadendo cos chiunque abbia in mente di avventurarsi nellapertura di altre cosiddette moschee.

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Prendendo queste misure, si affermerebbe anche il principio della sovranit dello Stato, mettendo i mussulmani davanti alle loro responsabilit senza violare i loro diritti. In una seconda fase si passerebbe alla messa in ordine delle situazioni in piedi, concedendo una specie di ultimatum per mettersi in regola con le leggi in vigore in materia di sanit, sicurezza pubblica ed anti terrorismo alle mosche gi operative. Da sottolineare la complessit della questione islam, una religione che lo stato italiano non pu trattare alla pari Dell altre confessioni riconosciute da esso, per il semplice motivo, che l'islam e di se diverso di ogni altra religione praticata sul territorio italiano. Per fare un semplice ma importante esempio, qualsiasi istituzione Islamica riconosciuta dallo stato non potrebbe avere accesso a finanziamenti, otto per mille o altro, secondo la Shariaa, e illecito finanziare qualsiasi progetto devoto al servizio della religione: Costruire moschee o scuole, con soldi provenienti da attivita economiche non lecite secondo la stessa, ad esempio il gioco dazzardo, vendita di alcolici, carne suina, musica, pornografia, cigarette, armi usati contro cvili, finanza non islamica, tutti questi sono attivita economiche lecite e regolate in italia e nel mondo occidentale, ma non secondo la shariaa, e quindi lo siano anche le tasse pagate sui guadagni che ne dervivano. Vista limpossibilita di acertarsi dalla provenienza dei fondi, e Haram illecito usarli, e i mussulmani hanno lalternativa di auto tassare i loro guadagni leciti per finanziare le loro istituzione ed attivita religiose: 172. O voi che credete, mangiate le buone cose di cui vi abbiamo provvisto e ringraziate Allah, se Lui che adorate. Corano II (Anche se la traduzione dallarabo non trasmette il senso completo di questa Aya, se puo dire che se Allah vieto ai credenti di nutrisrsi dal Haram lillecito, direttamente o indirettamente, ad esempio e vietato bere alcolici, e lo e anche il pane o il formaggio comprato con i soldi ricavati dalla vendita, transporto o somministrazione di alcolici) Occorre quindi, secondo me adottare leggi speciale, che permettano allo stato, nel rispetto Della sua laicit, di regolare il culto islamico.

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Si potrebbe far ricorso ad accordi bilaterali con i paesi islamici di provenienza della maggioranza dei mussulmani, i quali Albania, Marocco, Egitto e Tunisia oltre ad organizzazione islamiche mondiali riconosciute dalle nazione unite, oppure di paesi alleati dell'occidente e con provata disponibilit di risorse umane ed economiche come l'Arabia saudita, il Qatar e gli emirati arabi uniti, per collaborare nella creazione e gestione moschee e centri di culto nel rispetto di accordi precisi che favoriscano lo scambio culturale e scartano ogni forma di integralismo. Lo stato rappresentato dalle corrente politiche e societ civile deve farsi carico delle sue responsabilit nei confronti delle minoranze linguistiche, etniche e religiose nel rispetto degli accordi internazionali ed europei in materia, assicurando l'insegnamento delle lingue e culture di origine a cura delle scuole statali, togliendo a tante moschee clandestine una fonte importante di finanziamento oltre alla stessa ragione di esistere. data la diversit dell'islam, potrebbe essere utile dare vita ad un consiglio italiano di religione islamica sul modello francese, composto in parte da mussulmani italiani o residenti in Italia e che condividono apertamente i valori della repubblica e ripudiano ogni forma di estremismo nei confronti delle altre minoranze della societ italiana, sopratutto quella ebraica e quella omosessuale, oltre a riconoscere e sostenere il dritto di esistenza agli stati riconosciuti dalla repubblica italiana, compreso Israele, e che non portino lealt a stati ostili all'occidente, compreso l'Iran, oltre ad aderire alle convenzioni internazionali alla quale aderisce l'Italia in materia dei diritti di donne, bambini ed abolizione della pena di morte, e di non aver espresso o dato vita a supporto morale o economico a nessuna organizzazione considerata terroristica dal governo italiano. Un consiglio che potrebbe essere eletto dai stessi mussulmani, a condizione che i candidati vengono accreditati secondo quanto era stato elencato, perch i consiglio formati dai cos detti mussulmani moderati, a maggioranza non praticanti e che oltre a raccontare agli italiani ci che li piace sentire, non hanno dimostrato di essere all'altezza del loro compito. L'auspicato consiglio avrebbe il dovere di definire i requisiti necessari per svolgere in Italia la funzione dell'imam, che, secondo me, dovrebbe includere una conoscenza perfetta della lingua italiana con i rispettivi dialetti a seconda dell'assegnazione geografica del candidato, la costituzioni italiana assieme alle leggi in merito ai diritti di cittadinanza, una minima conoscenza della storia italiana e le sue componente jiodaicho

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cristiana, una profezia della lingua araba e delle scienze islamiche accreditata da istituzione europee o arabe autorevole, oltre ad essere di buon carattere e privo di ogni legame o simpatie per organizzazione terroristiche. Se si ha la consapevolezza che esiste un problema, e che i tempi per risolverlo sono piu che scaduti, si passa alla fase conclusiva reparatoria, a tal punto non contano piu le perdite, bensi i minuti per uscirne, e quindi non mancheranno proposte e prese di misure. Pur considerandomi italiano, figlio adottivo di questa grande nazione, mi sento piu coerente con me stesso nel schierarmi dalla parte degli ospiti mussulmani sopra tutto quando si tratta di ammettere le colpe. E mi viene spontaneo, ammettere le mie colpe e quelle degli altri ai quali apartengo con un legame di sangue e di fede, dicendo con tutta chiarezza, che la cominita mussulmana dItalia abbia fallito, repetutamente, e continuera farlo finche non prevalga il senso di responsabilita e di correttezza, sullarroganza e della supremazia di una nazione che crede di possedere le chiavi del paradiso, e di poter chiuderne le porte alle facce degli altri. Abbiamo fallito ad integrarci, voltando le pagine dellignoranza ed arroganza che ci eravamo portati con noi attraverso i confini, ripagando in parte il debito che tutti noi abbiamo nei confronti degli italiani, che ci hanno accolti dentro le loro case e le loro famiglie, un accoglienza che abbiamo ricambiato turbando la pace civile dellintero paese, con la micro criminalita, integralismo ed opportunismo. Abbiamo fallito a farci rispettare, ad essere ambaciatori dela nostra civilta e della nostra religione, e di maintenere lopinone publica dalla nostra parte. Abbiamo fallito nel gestire in modo independente e nel rispetto della legge i nostri luoghi di culto, a scielere democraticamente quelli che tra di noi sono piu qualificati a farlo, tenendoli sotto controllo interno prima di quello dello stato.

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Abbiamo fallito a gestire la crisi terroristica, chiudendo un occhio, o tutti i due sullevidente realta, che tutti noi eravamo in un modo o in un altro responsabili di ogni anima caduta nel nome del nostro Dio, finche non consegneremo ogni responsabile diretto o indiretto delle stragi del terrorismo islamico alla giustizia ovunque essa sia, e poco importa se altri non amettono le loro responsabilita negli straggi compiuti contro di noi. Abbiamo fallito ad avviare un servizio sociale per i piu bisognosi, mussulmani siano o no, ci ripariamo nelle nostre case dal freddo e dalla neve lasciando il compito agli angeli delle metropoli, arruolati nel nome della civilta e dei diritti, e non nel nome di un Dio. Guardiamo migliaia dei nostri connazionali e fratelli di fede sbarcare sulle coste del sud, senza mai vedere uno dei nostri imam ad aspettarli con coperte, pane e carte telefoniche, come fanno invece gli infedeli crociati della Caritas (secondo molti di noi). Ci scandalisiamo quando si espone una piccola croce dentro un aula o in ospedale, e chiudiamo un occhio sulle croce gigante nelle chiese ed oratoi dove andiamo a scroccare lavatrici ed abiti usati da portare giu nel paese. E alla fine, hanno fallito tutti coloro, me compreso, che si erano autodichiarati leader di una comunita indifinita, assente, disinformata oltre ad essere isolata ed attacata di continuo dal resto della societa e dallo stato, senza essere allaltezza di assumersi la responsabilita del compito e delle conseguenze di portarlo avanti. Chiamo tutti loro oggi a ricordare qunto disse Omar compagno e sucessore del profeta pace e benedizione su di lui: Questionate voi stessi prima di essere questionati Ibn-Asaker, Storia di Damasco. Per poi farsi da parte e lasciare spazio allanima giovane della comunita, che allItalia portono un minimo di senzo di appartenza e tante prospettive per il futuro.

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Pur essendo influenzato positivamente dallo stile di vita e del modo di pensare occidentale dentro il quale orbitavo dalla mi nascita in una famiglia liberale dove si parlava di politica mondiale a collazione, di arte islamica e di sufismo a pranzo e di musica rock o classica a cena, un influenza che poi si rinforzo nelle scuole superiori di missione estere e con la nostra immigrazione, pur essendo figlio adottivo di questa civilta alla quale appartengo senza che essa appartiene a me, imparai quando riscopri lIslam in Arabia Saudita a far convivere dentro e fuori entrambe i mondi. Percui, nel rendere publica la mia esperienza e le mie idee sulle vie di uscita, tengo a farlo su doppio binario, da una parte occidentale considerando i valori della democrazia, ugualianaza e sovranita dello stato, dallaltra parte islamica nel rispetto del Corano e della Sunna applicati con riguardo alle varianti del caso. Quando parlo di quel che, secondo il punto di vista dellislam nel quale credo, I mussulmani dovevano o no dovevano fare, lo faccio con riguardo alle fatwa e i studi di riconosciuti studiosi del Fiqh (Deritto) delle minoraza. Il diritto delle minoranza, tratta le questione riferiteli che toccano le pratiche religiose o di vita delle minoranze di religione islamiche che esercitano una permanenza temporanea, permanenete e di appartenenza a paesi di maggioranza non Islamica. Tale diritto applicato al caso Italiano, ne deriva quanto segue: Per tutti i cittadini presenti sul territorio dello stato italiano, siano questi italiani nativi convertiti, italiani per naturaisazione, residenti permanenti, temporari o illegali, Tutti questi hanno lobligo di rispettare le leggi dello stato italiano finche essi non rendono impraticabile, per esplicito divieto o come conseguenza di opera legale o illegale di alri, la pratica perosnale della religione islamica in tutti i suoi aspetti di base. Questo deriva dallobligo generale ad ogni fedele della religione islamica di rispettare i legittimi impegni stipulati con spontanea volonta:

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1. O voi che credete, rispettate gli impegni Corano V E di non compromettere lobedienza ad Allah quando si obedisce a coloro che Egli abbia creato. No vi e obedienza al creato se ne deriva una desobedienza al creatore Hadtih (Detto del Profeta Mohammed pace e benidizione su di lui), SahihAl-Jamee di Al-Albani Essendo il giuramento di fedelta alla republica Italiana fatto in persona o trasmesso dai genitori, lacettazione del visto dingresso par qualunque motivo sia, e la firma del permesso o carta di soggiorno, forme dimpegno verso lo stato Italiano e I suoi cittadini. Se invece dalla permanenza deriva un impossibilita di praticare lislam, il mussulmano deve opporsi legalmente a tale divieto oppure lasciare il paese dove li e sato impedito di esercitare la sua liberta di culto non apena li sara possibile, come veccero i primi mussulmani refugiandosi dal re cristiano dellAbesenia (Al-Habasha) su ordine del del profeta pace e bendizione su di lui, per sfugire allo sterminio sistematico che le tribu arabe della Mecca esercitavano contro di loro. 39. A coloro che sono stati aggrediti data l'autorizzazione [di difendersi], perch certamente sono stati oppressi e, in verit, Allah ha la potenza di soccorrerli; 40. a coloro che senza colpa sono stati scacciati dalle loro case, solo perch dicevano: Allah il nostro Signore. Se Allah non respingesse gli uni per mezzo degli altri, sarebbero ora distrutti monasteri e chiese, sinagoghe e moschee nei quali il Nome di Allah spesso menzionato. Allah verr in aiuto di coloro che sostengono [la Sua religione]. In verit, Allah forte e possente Corano XXII Nel caso italiano, la difesa e proporzionata allagressione, se si e stati agriditi con una legge che timpedice di vestirti in un certo modo, la difesa legittima e di opporsi alla legge in modo legale:

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194. Mese sacro per mese sacro e per ogni cosa proibita un contrappasso. Aggredite coloro che vi aggrediscono alla pari di come vi avevono agredito. Temete Allah e sappiate che Allah con coloro che Lo temono. 195. Siate generosi sul sentiero di Allah, non gettatevi da soli nella perdizione, e fate il bene, Allah ama coloro che compiono il bene. Corano II Per quel che riguarda i residenti in modo legale, si agiunge lobligo di portare rispetto alle usanze, culture e culto degli altri componenti della societa, pur non condividendone lo spirito. 7. Forse Allah stabilir amicizia tra voi e quanti fra di loro considerate nemici. Allah onnipotente e Allah perdonatore, misericordioso, 8. Allah non vi proibisce di essere buoni e giusti nei confronti di coloro che non vi hanno combattuto per la vostra religione e che non vi hanno scacciato dalle vostre case, poich Allah ama coloro che si comportano con equit. Corano LX Tale comportamento e auspicato anche quando si ha a che fare con chi e apertamente ostile nei nostri confronti, paragonabile alla situazione dellopinione publica doppo lundici settembre, oltre a diffendersi in modo legale, eravamo chiamati a scambiare il male con il bene in un tentativo di calmare gli anime: 34. Non sono certo uguali la cattiva [azione] e quella buona. Respingi quella con qualcosa che sia migliore: cosi colui dal quale ti divideva l'inimicizia, diventer un amico affettuoso. Coran XLI In terzo in ordine dimportanza, viene lobigo di essere degni ambasciatori dellislam dentro le societa non islamiche, abolendo ogni comportamento incivile che verrebbe atribuito allislam, come il maltrattamento delle done e dei bambini, luccisione degli animali fuori dei spazi destinati a farlo, alzare la chiamata alla preghiera (Al-azan) in orari non graditi al vicinato, specie allalba e tarda notte, occupare i marciapiedi o bloccare il traffico per svolgere le preghiere che attirano un alto numero di fedeli durant le notti del Ramadan, il venerdi e le due feste rituale, ricorrere a pratiche sociale abolite dal resto della societa, come la poligamia o linfabulazione,

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aprire centri di culto non autorizati, non idonei o in regola con le leggi che regolano i luoghi publicci o privati frequentati da un alto numero di persone, o con linganno dichiarando una destinazione duso diversa da quelle premeditata. Da questo deriva lonore dinvitare le persone che ne dimostrano interesse ad entrare nellislam, offrendo loro assitenza e facilitando il loro difficle cambiamento spirituale: 125. Chiama al sentiero del tuo Signore con la saggezza e la buona parola e discuti con loro nella maniera migliore. In verit il tuo Signore conosce meglio [di ogni altro] chi si allontana dal Suo sentiero e conosce meglio [di ogni altro] coloro che sono ben guidati. Corano XVI E senza constrizione ne ricatti, 256. Non c' costrizione nella religione*. La retta via ben si distingue dall'errore. Chi dunque rifiuta l'idolo e crede in Allah, si aggrappa all'impugnatura pi salda senza rischio di cedimenti. Allah audiente, sapiente. Corano II come spesso ma non sempre, avviene nei matrimoni misti tra uomini di religione islamica e di donne cattoliche, anche se lislam li permette di maintenere la loro fede. La buona condotta in agiunta allimpegno opportuno nella Dawaa, per dare vita ad un mussulmano esemplare: 33. Chi mai proferisce parola migliore di colui che invita ad Allah, e compie il bene e dice: S, io sono uno dei Musulmani? Corano XLI Questidealismo non e facile da ragiungere, mentre rimane doveroso per chi non e in grado di farlo, di non pretendere da altri di vedere nellislam cio che nemmeno lui era in grado di trovare, io ero stato incapace di portare alla fine il mio dovere da derigente di una moschea maintenendo la mi integrita famigliare, economica e sociale, percui mi ero fatto da parte, mi auguro che altri seguano il mio esempio ed abbiano il coraggio di

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ammettere la loro incompatibilita, oltre allincapacita di portare avanti lonore di servire Allah ed i suoi fedeli. Solo per tale motivo si aprono le moschee, e non per devidere lotto per mille con la chiesa cattolica. Non per ricattare sindaci, comuni e province. E nemmeno per scroccare fondi ai paesi del petro dollaro, o dalle tasche gia vuote dei lavoratori immigrati. Non per distruggere Israel e loccidente, e nemmeno per reclutare seguaci leali agli Aiato-Allah. Non per competere con chi e al potere nei paesi di origine, e nemmeno per arricchire un falso profeta che vive in una terra remota. Non e tutto quel che viene chiamto moschea lo e, quelle che vengono aperte per il solo scopo di servire lislam, sono le moschee di Allah, di cui egli stesso dice: 18. Badino alla cura delle moschee di Allah solo coloro che credono in Allah e nell'Ultimo Giorno, eseguono l'orazione e pagano la decima e non temono altri che Allah. Forse saranno tra coloro che sono ben diretti. 19. Metterete sullo stesso piano quelli che danno da bere ai pellegrini e servono il Sacro Tempio e quelli che credono in Allah e nell'Ultimo Giorno e lottano per la Sua causa?* Non sono uguali di fronte ad Allah. Allah non guida gli ingiusti. Corano IX Tutte le altre, sono moschee sataniche, santuari della discordia, simile a quelle di cui ci era stato referito: 107. Quanto a coloro che hanno costruito una moschea per recar danno, per miscredenza, per [provocare] scisma tra i credenti, [per tendere] un agguato a favore di colui che, gi in passato, mosse la guerra contro Allah e il Suo Messaggero, quelli certamente giurano: Non abbiamo cercato altro che il bene!. Allah testimonia che sono dei bugiardi

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108. Non pregarvi mai. La moschea fondata sulla devozione sin dal primo giorno pi degna delle tue preghiere. In essa vi sono uomini che amano purificarsi e Allah ama coloro che si purificano. Corano IX Si tratta qui di una moschea che era stata costruita ai tempi del profeta pace e benedizione su di lui, allopera di persone che volevano seminare la discordia e dividere i mussulmani, e non per devozione ed amore di Dio, una moschea che egli ordino di distrugerene ogni traccia per non farne diventare un precedente che altri mussulmani malintenzionati ripeteranno in futuro. In quatno ci riguarda, da questo precedente si conferma che la sacralita delle moschee non e una cosa scontata come lo e il caso per le chiese cattoliche, le sinagoghe ebraiche ed altri santuari del culto di altre religione, per un ovvio motivo, mentre in tutte le altre religioni esistono ordini religiosi che gestiscono il culto, e le respettive sedi, lislam e una religione che non ha tale aearchia, e quindi lapertura delle moschee deve essere regolata secondo la natura, la cultura e le leggi dei paesi dove si vuole aprire. E quindi qualora si crea una situazione illegale, o anche legale ma prende una piega dannosa per la societa, intervenire per chiuderla o sanarla non rapresenta a fatto un atto contro lislam come religione, e non tocca la sacralita del luogo. Se si interviene coin feremezza avremo in una ventina di anni una nuova generazione di mussulmani italiani, che integrano la loro cultura religiosa islamica dentro quella nazionale italiana per arricchendola e non distrugendola, e avremo uno stato che integra i nuovo componenti culturali dentro il resto della societa senza cancellare la loro identita ne dannegiare quella del paese ospitante, spesso mi trovo a paragonare la situazione inglese con quella italiana, immagianado uno stato democratico di readici cattolico-ebraiche riesce a maintenere la sua sovranita adottando figli di terre e culture lontane, come fecce la Regina, e quindi anche da noi, vi saranno Imam dellesercito italiano, carabinieri donne con il velo, vigili urbani con il turbante, carne halal nelle scuole e nei prigioni, ed agenti dellantiterrorismo di cognome Mohammed, Ali o Khan!

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Troppo bello per esere vero? Secondo me, e solo una questione di tempo, sta a noi scielere se vogliamo un parto naturale, cesario oppure un doloroso sanguinante aborto che metterebbe a rischio della madre Italia e del figlio islamico. Alla fine di questa lunga testimonianza, mi sono vengono in mente due episodi che ho vesuto negli ultimi anni dopo che lascai litalia, e che vorrei condividere con chi abbia avuto la pazienza, il coraggio o la gentilezza di prestarmi la sua attenzione leggendo quanto avevo scritto. Il primo accade nel 2008 mentre lavoravo come cameriere allHotel Park Plaza River Bank di Londra, spendendo lunghe ore spotando tavoloni e sedie, dividendo le sale e servendo cafe a biscotti ai partecipanti ed organizatori di conferenze ed eventi. Era un posto di lavoro che rispecchuiva la diversita di quella citta, dentro quelle mura testimoniai di tutto, convegni del ministero della giustizia dove ci era stato chiesto di svuotare un intera suit ed allestirne una saletta da preghiera islamica, visto che la magior parte dei funzionari del ministero erano di religione islamica, compreso lo stesso ministro. Mtrimoni di ortodossi ebrei dove ci era chiesto di allestire la sala ma di non entrare in cucina che era stata tappezata con carta di aluminio per non contaminare il cibo cosher, oppure di mussulmani turchi che celebravano le nozze a suono di piano, a differenza di altri asiatici che volevano che gli ospiti venivano separati dagli uomini, fiere dei corpi della polizia che incoraggiavano i giovani delle minoranze etniche ad aruolarsi, con volantini e cd illustrati da un agente donna mussulmana con il hijab, ed un collega sikh con il turbante, tutto cio era organizato dal mio manager sudafricano bianco di pelle, a testa di una squadra multietnica, multireligiosa, multinazionale che tutti contribuivano alla prosperita del paese della regina. Fu allo stesso luogo il mio primo incontro ravvicinato con niente meno che lallora primo ministro Gordon Brown, ospite di una conferenza di associazioni feminili, mi era stato chiesto di allestire un mini palco da dove Il sig. Brown parlerebbe alla platea rosa, presentato dalla presidente del convegno, il problema che dovevamo risolvere, era che il signor Brown era

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visibilmente molto piu alto della sua ospitante, e quindi dovevo mettere una rampa quando la signora presentera lospite, e toglierla velocemente prima che egli prende poizione. Essendo Il sig. Brown capo delle trouppe che combattevano I talebani in Afganistan, ero pronto ad essere sostituito da un altro collega non mussulmano per raggioni di sicurazza, o perlomeno essere oservato da vicino dalle sue guardie del corpo per evitare che la rampa spostata per fare spazio ai piedi del primo ministro non li finisce sulla testa per vendicare I fratelli Afghani! Invece nulla, una volta arrivati, I cinque guardie facevano il loro dovere senza interferire nel mio lavoro, anzi, ero anche reuscito ad avere una chiachierata con uno di loro e chiederli consigli professionali sulla mia carriera di guardia del corpo, la seconda volta che lo encontrai era tre anni dopo, mentre lavoravo al servizio clienti di un terminale Londinese, mi era stato chiesto di ricevere il Sig. Brown allingresso degli arrivi e farli strada verso lingrsso della sicurezza usato dal personale dellaeroporto, avvisai i miei collegi della sicurezza, che senza distinizioni, feccero il loro dovere come lo avrebbero fatto con chiunque altro cittadino in tranzito dalla zona libera a quella di massima sicurezza. Pur vivendo e lavorando in un paese in prima linea nell guerra al terrorismo, con vittime militari e civili anche nel cuore di londra, nessuno viola la dignita delle persone per la loro apparenza o le loro idee anche estremiste. Il secondo scenario, avenni mentre mi adestravo nelle montagne della slovenia alle techniche di scorta aramata in zone di ostilita, ero parte di un grouppo a maggioranza ex militari britanici apena tornati dallafganistan, i miei due compagni di stanza avevano lavorato in iraq per conto di multinazionali della sicurezza privata, il piu anziano di loro parlava un puo di Arabo, e ne aprofittava della mia presenza per fare pratica, prima di dormire mindico scherzando la bandiera britannica accanto al suo letto: Questa e per ricordarti che non sono americano, quindi non ti far venire starne idee in testa mentre dormo, pace fratello, Allaho Akbar

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La mattina a collazione, la signora slovena che gestiva labergo mi avvicino dicendo che era stata informata dalla direzione del campo che fra il grouppo ci sara un studente mussulmano, e che era opportuno chiedermi se volevo del cibo Halal e far in modo che nei pasti non viengono usati alcolici per non distinguermi del resto del grouppo. Nel campo, ero trattato come qualsiasi altro soldato, ero tra i piu veloci nel smontare e pulire il AK47 di fabricazione cinese, e rimetterlo funziunante come prima, cose che imparo poche mesi prima in un intensivo addestramento paramilitare nel Audafrica accredititato dai servzi di polizia dei quel paese. Rimasi colpito per come gli allenatori cessavano il fuoco quando facevo la preghiera sul prato, e gli unici commenti scherzosi erano sulla mia parte italiana, mi era stato chiesto se era vero che la bandiera dellesercito italiano in afganistan era una croce bianca su uno sfondo bianco, oltre alle solite barzellette su Berlusconi. Loro erano abituati ad associare le persone ai paesi dove sono nati oppure ci vivono da cittadini, e non alla loro religione o paese di provenienza, e mi auguro di vivere abastanza per vedere uno dei miei figli serivere nellesercito o polizia italiane, o semplciamente competere per un posto di lavoro, senza essere penalizzati dal loro cognome, o peggio ancora doverselo cambiare.

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