Você está na página 1de 253

Bruno Camaioni

RIASSUNTO DE I PROMESSI SPOSI


di Alessandro Manzoni

con commento estetico e morale

Anagogica Opere di Bruno Camaioni

Notizie sull'autore
Bruno Camaioni nato a Grottammare (AP) nel 1917, si laureato in Lettere all'Universit di Roma nel 1940, ha insegnato in varie citt italiane, ed era preside di un liceo classico quando andato in pensione. Ha scritto diverse opere (poesie, romanzi, studi sul Manzoni, opuscoli su argomenti religiosi ecc.) che non ha mai pubblicato, facendole circolare solo tra parenti, amici e conoscenti. Uno di costoro, ritenendo che esse siano interessanti e anche formative per i valori che inculcano, ha preso l'iniziativa di metterle man mano in rete, affinch chiunque le possa leggere liberamente e senza spese. Solo la sua autobiografia, scritta per insistenza dei figli, non sar per ora resa nota, per ovvi motivi di discrezione. Dopo la sua morte anch'essa sar messa in rete, per chi vorr conoscere meglio quest'uomo che intendeva restare ignorato.

Note sul diritto d'autore


Delle opere pubblicate di Bruno Camaioni ne consentita la copia e la distribuzione gratuita, su qualsiasi supporto, preservandone l'integrit (inclusa la presente dicitura) e citandone l'autore. Opere attualmente disponibili in rete (anche attraverso eMule): Il Problema del Male - Riflessioni Eremita a Orgosolo - Romanzo L'Aiuola Contesa - Romanzo Riassunto de "I Promessi Sposi" - Riassunto con commento estetico e morale (*) I Personaggi de' "I Promessi Sposi" (*)

Opere depositate ad aprile 2005 e novembre 2005 (*).

RIASSUNTO DE I PROMESSI SPOSI


di Alessandro Manzoni

con commento estetico e morale

II Edizione riveduta e corretta Giugno 2005

PREFAZIONE
Questo libro nato nella scuola e mira a essere utile soprattutto agli studenti; ci non esclude che esso possa riuscire vantaggioso a tutti coloro che vogliano approfondire la loro conoscenza del romanzo, il quale ormai universalmente riconosciuto, oltre che opera sublime di poesia, anche autorevole testo di lingua e libro di riflessione morale e religiosa, e quindi mezzo di arricchimento spirituale e di formazione interiore; la mia opera mira a facilitare a studenti e a non studenti la lettura e il godimento del capolavoro manzoniano, di comprensione non facile per chi non abbia un po di cultura. Una lettura attenta del romanzo vale ad aprire le menti, specie dei giovanetti, ai seri problemi dellesistenza, e a infondere nel loro animo il concetto che la vita per tutti un impegno che va preso con fiducia , ma anche con alto senso di responsabilit. Il Manzoni in questopera ci ha dato la risposta cristiana al problema della vita e del dolore umano, il quale viene interpretato religiosamente come mezzo di purificazione e di intima elevazione. E questa concezione cristiana della vita lAutore non ce la inculca per mezzo di esortazioni oratorie, ma con la forza misteriosa che si sprigiona dallintreccio, dai personaggi e dagli episodi, pervasi da un potente afflato poetico e religioso. Siccome il libro vuol riuscire utile innanzi tutto agli studenti, di ogni capitolo si fatto un sunto breve ma sufficiente per avere unidea adeguata di tutta la trama; al sunto intercalato, dove occorre, un sobrio commento critico, di carattere estetico, storico e morale, allo scopo di mettere in risalto le peculiari bellezze del romanzo, e anche (perch no?) notare qualche punto meno felice, poich non si pretender davvero che in tutta lopera il Manzoni tocchi invariabilmente le vette della poesia o anche solamente dellarte. Fu detto che anche lottimo Omero qualche volta sonnecchia; lo stesso pu dirsi del Nostro, e questa ammissione non toglie nulla alla sua grandezza, da tutti oggi riconosciuta. Naturalmente questi riassunti non mirano affatto a sostituire la lettura del capolavoro, indulgendo alla pigrizia mentale di qualche studente, ma solo a guidare lo studio del romanzo, allo scopo di renderlo, s, pi facile, ma anche pi profondo e perci pi proficuo. A me basta la soddisfazione di aver fatto opera utile e, forse, anche di aver detto qualcosa di nuovo nel vasto e rigoglioso campo dellesegesi manzoniana. Ma questo vedr chi vorr dedicare alla mia fatica uno sguardo non frettoloso. Voglio sperare che ci avvenga.

VITA E OPERE DI ALESSANDRO MANZONI


Alessandro Manzoni nacque a Milano il 7 marzo 1785 dal conte Pietro e da Giulia Beccarla, figlia di Cesare Beccarla, famoso illuminista italiano, autore del celebre trattato Dei delitti e delle pene, con cui demol i pregiudizi giuridici e psicologici che erano alla base della tortura e della pena di morte. Il matrimonio dei genitori non era stato felice, anche perch il padre era pi anziano della madre di ben 25 anni, e pi ancora per lincompatibilit dei due caratteri: il padre, uomo pacifico, amava la vita ritirata e la quiete della campagna, mentre la madre, donna molto intelligente e irrequieta, desiderava brillare nei salotti mondani della capitale lombarda. Perci Alessandro fu messo in collegio sin dal 1791, prima a Merate presso i Padri Somaschi, dove rest fino al 1796, quindi a Lugano (Canton Ticino) presso il Collegio S.Antonio, tenuto anchesso dagli stessi religiosi. Il ragazzo pass quivi due anni, poi altri tre a Milano, nel Collegio Longone (o dei nobili), tenuto dai Padri Barnabiti. Nel 1801 Alessandro usc definitivamente dal collegio e visse a Milano, affidato alle cure di una zia, mentre la madre, separata legalmente dal marito sin dal 1792, era andata a convivere a Parigi col conte Carlo Imbonati; il padre poi viveva preferibilmente in villa, come allora si diceva, e si curava poco delleducazione del figlio. Questi, a Milano, frequent soprattutto Francesco Lo Monaco, Vincenzo Cuoco e il Monti, ma si diede anche al gioco, dal quale fu poi allontanato dal Monti, che egli ammirava moltissimo. Nel 1801 il giovinetto compone il Trionfo della Libert, poemetto di quattro canti in terzine, dedicato appunto al Monti. Il sedicenne poeta, fervido di spiriti rivoluzionari, si scaglia in esso contro i tiranni (il Pontefice in Roma, i Borboni a Napoli e in Sicilia ecc.) e contro la superstizione che il principale puntello della tirannide. Tra il 1803 e il 1804 compone quattro Sermoni in versi sciolti, nei quali satireggia la corruzione contemporanea, la goffa albagia dei nuovi arricchiti, la smania dilagante di comporre versi, indice di decadimento del gusto. Queste satire, anche se rozze, gi mostrano nel giovane diciannovenne linteresse per i problemi morali e una certa seriet di intenti. Nello stesso anno 1803 compone lAdda, una specie di epistola metrica, indirizzata al Monti, in cui lo stesso fiume Adda personificato si rivolge al Cantor di Basville, invitandolo a soggiornare sulle sue rive, dove era appunto situata la villa del Manzoni, nei pressi di Lecco. Dallottobre 1803 al marzo successivo il Poeta soggiorna a Venezia, dove si innamora di una donna pi anziana di lui, la quale saggiamente lo invita a riprendere gli studi. Nel 1805 mor a Parigi il conte Carlo Imbonati, lasciando erede universale dei propri beni la madre di Alessandro, la quale accompagn in Italia le ceneri del Conte, ma torn ben presto a Parigi, portando questa volta con s il figlio, che

inizi, per cos dire, una nuova vita nella citt dei lumi, accanto alla diletta madre. Alla madre dedica il carme consolatorio In morte di Carlo Imbonati, scritto verso la fine del 1805 e pubblicato a Parigi lanno successivo, nel quale immagina che il morto Conte (gi cantato a 11 anni dal Parini nellode LEducazione) gli appaia in una visione notturna e lo esorti ad amare la poesia e ad apprezzare soprattutto la dignit morale. In questo carme non c ancora vera poesia, ma gi si sente un anelito morale che prelude alle opere maggiori. Il 17 marzo del 1807 muore a Milano il padre, ed egli giunge troppo tardi per raccoglierne lultimo respiro; lanno successivo, il 6 febbraio, sposa a Milano Enrichetta Blondel, non ancor diciassettenne, di famiglia protestante di Ginevra, per cui il matrimonio viene celebrato secondo il rito calvinista. Quindi gli sposi si recano a Parigi, dove nasce la primogenita Giulia (che andr poi sposa a Massimo DAzeglio), prima di ben nove1 figli, di cui per solo due, Enrico e Vittoria, sopravvivranno al padre. A Parigi il Manzoni conobbe e frequent gli uomini pi illustri di quel tempo, e si leg in intima amicizia con Claudio Fauriel, insigne storico e letterato, il quale ebbe grande importanza nella sua formazione storica, critica e artistica. Il 1810 lanno della cosiddetta conversione del Manzoni, che trascinato dallesempio della moglie, la quale aveva abiurato il Calvinismo per abbracciare il Cattolicesimo; in seguito a ci il matrimonio dei giovanissimi coniugi fu ricelebrato secondo il rito cattolico. Non forse ozioso osservare che la primogenita Giulia, nata nel dicembre del 1808, era stata battezzata nella Chiesa cattolica; ci vuol dire che sin dalla fine di quellanno qualcosa stava maturando in casa Manzoni nei riguardi della religione. Nellagosto del 1810 il Manzoni torna definitivamente a Milano, e lascia nella metropoli francese quellaria di scetticismo e di razionalismo che vi aveva per tanti anni respirato. Da questo anno in poi tutta la produzione letteraria del Nostro, come anche la sua vita privata, sar ispirata a un profondo convincimento religioso. Diamo perci uno sguardo alla produzione poetica anteriore al 1810, per citare quelle opere cui non abbiamo ancora accennato. Ricordiamo innanzi tutto i sonetti: Ritratto di s stesso (1801) che ci d limmagine fisica e morale del Manzoni sedicenne; A Francesco Lo Monaco (1801) in cui accenna alle dolorose vicende dellesule lucano, suo amico, che era scampato per caso al supplizio, dopo aver preso parte alla rivoluzione napoletana del 1799; Alla sua donna (1802) in cui dichiara alla sua amata che, per lei, egli divenuto schivo di ogni bassezza, per rendersi degno del celeste e puro foco che gli occhi di lei hanno acceso nel suo petto. Siccome siamo sicuri della data di composizione di questo sonetto, esso non pu essere stato ispirato dalla dama veneziana, come

I figli di Enrichetta furono in realt 10, se si conta una bambina, Luigia M.Vittoria, nata il 5-91811 e morta lo stesso giorno.

pensa il De Gubernatis, ma da quellangelica Luigina, giovinetta genovese, della quale Alessandro si innamor appunto nel 1802, e per la quale serb vivissimi sentimenti di devozione. Probabilmente per la stessa ragazza (sorella del marchese Ermes Visconti) il Manzoni scrisse unode, di cui si ignora la data (1804?), che comincia col verso: Qual su le Cinzie cime. Sicuramente del 1802 invece il sonetto Alla Musa, in cui allimberbe poeta balena vivo il miraggio della gloria letteraria per cui egli formula laugurio che, se non raggiunger la cima e cadr lungo lerta, Dicasi almen: Su lorma propria ei giace! Queste fiere parole vennero poi riportate tali e quali nel Carme in morte di Carlo Imbonati al verso 206. Con molta probabilit del 1804 il Frammento di unode alle Muse, in cui il Poeta esprime ancora il suo anelito alla gloria poetica e letteraria, confessando che nove fanciulle dimmortal bellezza gli hanno preso il cuore, il quale per ancora incerto chi di esse seguire, cio a quale genere di poesia dedicarsi. Rimane da accennare al poemetto mitologico Urania (scritto a Parigi tra il 1806 e il 1809, anno in cui fu pubblicato a Milano), ultima concessione del Manzoni al gusto classicheggiante e allinflusso del Monti. Il componimento, di stampo neoclassico, di poco anteriore al poemetto Le Grazie del Foscolo, con il quale ha qualche identit di concetti. Attraverso le parole di consolazione che la musa Urania rivolge al poeta Pindaro, sconfortato per essere stato vinto nella gara olimpica dalla giovinetta Corinna, il Manzoni esalta la funzione civilizzatrice delle Grazie e delle Muse, volta a ingentilire i rozzi costumi degli uomini. LAutore stesso era molto malcontento dei suoi versi, come scrisse al Fauriel in data 6 settembre 1809, poich essi mancavano di qualsiasi interesse; e confessava allamico: ne far forse di peggiori, ma di uguali mai pi. Solo per scrupolo di completezza, accenniamo al carme in endecasillabi sciolti A Parteneide (1809 - 1810 ?) in cui, rispondendo al poeta danese Baggesen, il quale lo aveva invitato a tradurre in italiano il suo poema idillico in dodici canti, intitolato appunto Parteneide, scritto in tedesco e gi tradotto in francese dal Fauriel, il Manzoni loda metaforicamente la bellezza dellopera segnalatagli, ma si esime per il momento dallaccettare lincarico, non ritenendosi ancora preparato a un siffatto lavoro, mentre altre opere incalzano nel suo spirito e urgono per venire alla luce. In effetti il Nostro, dopo il ritrovamento della Fede sincera, era tutto preso da un profondo travaglio interiore, e si sentiva tuttaltro che disposto a dar veste italiana a dei pensieri altrui ormai ben lontani dal suo nuovo sentire. Infatti dal 1810 al 1812 il Manzoni non scrive alcunch, tutto preso dal faticoso compito, che egli sente come un dovere morale, di rivedere tutta la sua cultura illuministica e neoclassica alla luce della sua nuova coscienza religiosa, illuminata da un Cattolicesimo puro e sereno, e nello stesso tempo severo e integrale. Egli anela a una poesia pi viva e pi vera, non mirante al solo diletto, proprio e altrui, ma a una presa di coscienza delle grandi verit della vita e della storia, dellindividuo e della societ; egli per non trova subito la sua nuova strada, irretito com ancora dalla tradizione letteraria, dalla quale non riesce a liberarsi del tutto. Ma il travaglio interiore non tard a dare i suoi frutti.

Traendo appunto ispirazione dalla Fede, rifioritagli nel cuore fervida e pura, il Manzoni scrisse, tra il 1812 e il 1815, quattro Inni Sacri in questo ordine: La Risurrezione, Il Nome di Maria, Il Natale, La Passione; invece La Pentecoste, in cui lAutore tocca la vetta della sua poesia religiosa, fu pubblicata nel 1822. Gli Inni Sacri avrebbero dovuto essere almeno dodici, a celebrazione delle principali feste religiose, ma il Nostro fece bene a non scriverne altri, poich non avrebbe potuto far altro che ripetersi e decadere quindi da quella sublime vetta poetica toccata con La Pentecoste. Infatti, oltre questi cinque inni, abbiamo solo un frammento intitolato LOgnissanti e un altro ancora sul Natale (del 1833) che evidentemente il Poeta voleva rifare, non soddisfatto della prima stesura; ma oramai la sua vena era esaurita ed egli non fece ulteriori tentativi in questo campo. Riguardo alla sua vita esteriore abbiamo ben poco da dire, poich il Manzoni era alieno dalla vita pubblica, dalla quale lo stornava anche la sua malferma salute. Quindi c ben poco da ricordare, allinfuori delle date di nascita dei suoi numerosi figli, delle date di morte di ben sette tra essi, 2 della data di morte della sua diletta Enrichetta (25 dicembre 1833) e della seconda moglie, Teresa Borri vedova Stampa (1861) , che egli aveva sposato nel 1837. La vita del grande Poeta fu disseminata di lutti, tra cui la perdita delladorata madre (1841), tutti sopportati con cristiana rassegnazione. Pur cos provato dal dolore, egli segu sempre con intima trepidazione le sorti dellamata Patria, che volle libera e indipendente; perci nellaprile del 1814 sottoscrisse la protesta dei Milanesi contro il Senato del Regno Italico, il quale voleva chiedere alle Potenze vittoriose su Napoleone lelezione di Eugenio Beauharnais a re dItalia, mentre il Manzoni e gli altri firmatari volevano che fossero convocati i comizi elettorali, soli rappresentanti legittimi della Nazione, perch decidessero la forma istituzionale dello Stato. Di questo periodo la canzone Aprile 1814 in cui, esprimendo un severo giudizio sul governo francese, fautore di libert a parole ma di fatto oppressivo e predatore, auspica che le Potenze vincitrici ascoltino la voce degli autentici rappresentanti del popolo italiano, che anela alla libert e allindipendenza. Ma purtroppo i voti del Poeta non furono ascoltati in alto loco, ed egli, amareggiato per i tristi fatti che seguirono, non ebbe neppure lanimo di correggere e abbellire i suoi versi, i quali risentono in verit della tradizione classicheggiante e dei fremiti misogallici dellAlfieri. Perci la canzone pu considerarsi un abbozzo piuttosto che un frammento. Nellanno successivo grandi speranze il Manzoni ripose nel tentativo di Gioacchino Murat di unificare lItalia contro le mire annessionistiche degli Austriaci; infatti abbiamo un frammento di canzone (5 aprile 1815) intitolata appunto Il proclama di Rimini: solo questo animoso principe, dice in sostanza lAutore, pu con laiuto di Dio ridurre a unit le disperse forze degli Italiani,
2

I figli morti al Manzoni furono a rigore 10, se contiamo, oltre a Luigia M.Vittoria (per la quale v.nota a pag. 5), anche le due gemelle avute dalla seconda moglie, delle quali una nata morta, laltra vissuta poche ore.

come fece Mos con il popolo ebreo, poich Dio stesso infonde ardore e forza in chi combatte per la libert della sua terra. Ma purtroppo anche questa generosa speranza svan in pochi giorni, e il frammento fu pubblicato solo nel 1848, assieme con lode Marzo 1821, la quale fu scritta in occasione dei moti piemontesi di quellanno, che fecero sperare ai patrioti lombardi labolizione dellodioso confine del Ticino e lunificazione delle due regioni. Il fausto evento si verificher solo nel 1848, ma purtroppo per pochi mesi, in seguito alla prima guerra dellindipendenza nazionale. Prima di parlare delle tragedie, accenniamo a un componimento ironico, Lira di Apollo , che il Manzoni scrisse, per s e per gli amici, nel 1818, entrando nella polemica suscitata nel 1816 dalla pubblicazione della Lettera semiseria di Crisostomo di Giovanni Berchet, la quale costitu, per cos dire, il manifesto del romanticismo milanese, cui aderiva il nostro Poeta. Egli immagina in questode che Apollo scenda dal cielo, irritatissimo contro Milano che vuol distruggere; ma per fortuna il dio viene placato, con un linguaggio riboccante di mitologia, dal nostro Poeta che lo convince a punire solo il sacrilego Crisostomo; e la condanna sar davvero terribile: gli sia eternamente interdetto luso della retorica e della mitologia classica! Santi Numi, egli spacciato! esclama esterrefatto lAutore, mentre sul volto del dio spunta il sorriso della vittoria. Dal 1816 al 1819 il Manzoni lavor alla sua prima tragedia, Il Conte di Carmagnola, in endecasillabi sciolti, pubblicata a Milano nel 1820. In essa viene introdotto per la prima volta il coro (La battaglia di Maclodio), ben diverso da quello delle tragedie greche, in cui rappresentava un personaggio collettivo che recitava cantando e danzando, e interveniva anche nel dialogo; il coro manzoniano il commento lirico-morale dellazione, da parte dellAutore; un cantuccio dove egli possa parlare in persona propria per sfogare i suoi sentimenti, onde respingere meglio la tentazione di introdursi direttamente nellazione e di prestare arbitrariamente i propri sentimenti ai vari personaggi, che egli invece si sforza di collocare in una prospettiva storica e il pi possibile obbiettiva. La tragedia narra la drammatica vicenda del capitano di ventura Francesco Bussone, conte di Carmagnola, il quale dopo essere stato al servizio del Visconti pass al soldo dei Veneziani, sconfiggendo i Milanesi nella battaglia di Maclodio (1427); ma caduto in sospetto della Serenissima per aver liberato i prigionieri, fu arrestato e condannato a morte innocente, almeno per quanto pensa lAutore. In questa tragedia il Poeta affronta il tema del dolore e dellingiustizia degli uomini, e d a esso la soluzione cristiana della rassegnazione e del perdono: il Conte va incontro alla morte sereno, fidando in Dio, e con dolci parole damore inculca il sentimento del perdono nei cuori esacerbati della moglie e della figlia. Nel 1819 il Manzoni pubblica la prima parte delle Osservazioni sulla morale cattolica per confutare lo storico ginevrino Sismondi, il quale aveva attribuito alla morale cattolica la colpa della decadenza italiana. Lopera per non fu completata; solo nel 1855 lAutore aggiunse una vasta appendice al capitolo terzo,

col titolo:Del sistema che fonda la morale sullutilit in cui confuta lutilitarismo del filosofo inglese Bentham. Dal 1820 al 1822 il Poeta lavora alla composizione della tragedia Adelchi, pubblicata a Milano nel 1822. Largomento tratto dal crollo del dominio longobardo in Italia per opera dei Franchi (anni 772 - 774). La rivalit politica tra Carlo, re dei Franchi, e Desiderio, re dei Longobardi, inasprita dal ripudio, da parte del primo, della sposa Ermengarda, figlia di Desiderio e sorella di Adelchi; Carlo scende in Italia, vince i Longobardi alle Chiuse di Val di Susa, insegue i fuggitivi tra la gioia degli oppressi Italiani. Ma il Poeta, nel primo coro (Dagli atrii muscosi, dai fori cadenti) li disillude, affermando che i Franchi non sono venuti a liberarli, ma a conquistare terre e sudditi: non potranno essere liberi, gli Italiani, se non quando impugneranno essi stessi le armi per operare il proprio riscatto. Mentre leroico Adelchi muore nel vano tentativo di difendere Verona (qui il Poeta si allontana dalla verit storica, perch Adelchi fugg a Costantinopoli a implorare soccorso), linfelice Ermengarda (o Desiderata) si spegne rasserenata nel convento, dove volontariamente si chiusa per trovare pace al suo travaglio interiore, acuito dalla sempre viva passione amorosa. Lamore per Carlo, anche se misconosciuto e ferito dal superbo ripudio, non si mai sopito nel suo animo tenero a appassionato, che pur tra le preghiere e i pii canti delle vergini torna con accorata nostalgia ai giorni felici passati a fianco di Carlo. Ma la fede in Dio le fa alfine dimenticare ogni affetto terreno nellabbandono allamore eterno di Dio. Nel secondo coro della tragedia (Sparsa le trecce morbide ) il Poeta ci rappresenta liricamente i sentimenti che travagliavano lanimo di Ermengarda, che la provvida sventura ascrisse tra quanti subiscono ingiustizie e violenze, per farla partecipe della salvezza eterna che Dio ha promesso agli umili e a quelli che soffrono per Lui. LAdelchi da tutti i critici riconosciuta tragedia meglio riuscita della precedente, sia per la trama pi intensamente drammatica, sia per i caratteri pi poeticamente efficaci e rilevati, sia per il sentimento religioso che pi profondamente la pervade. Circa la vita esteriore del Manzoni, ricorderemo che nellottobre del 1819 egli si rec a Parigi con tutta la famiglia, sperando, con la mutazione del clima e delle condizioni di vita, un qualche giovamento ai disturbi nervosi che lo affliggevano, provocandogli delle vertigini, che lobbligavano talora a passare intere giornate inoperoso; ma ritorn a Milano nellagosto del 1820, non certamente guarito della sua nevrosi la quale lo torment per tutto il resto della vita. Un altro viaggio di tutta la famiglia Manzoni avvenne verso la met di luglio del 1827, subito dopo la pubblicazione del romanzo: ne fu meta Firenze, dove voleva risciacquare i suoi cenci nellArno; e nel viaggio di andata pass per Genova. E ora diciamo poche parole sul capolavoro manzoniano, dando le notizie essenziali sulla sua composizione e pubblicazione. Il Manzoni comincia a scrivere il romanzo il 24 aprile 1821 e lo conduce a compimento il 17 settembre 1823; il manoscritto, che reca il titolo Fermo e Lucia , dato a leggere a pochi amici intimi, tra cui il Grossi e il Fauriel. Verso la fine del 1824 il Manzoni inizia, presso la tipografia V.Ferrario di Milano (che aveva gi stampato le due tragedie),

10

la stampa del romanzo che intanto, durante la ricopiatura del manoscritto, aveva assunto il titolo Gli Sposi Promessi; ma questo titolo non resister fino al termine della stampa, che fu lunga e laboriosa, soprattutto perch lAutore, insaziabile limatore della sua opera, apportava continue modifiche al testo anche sulle bozze di stampa. Sicch quando finalmente il romanzo vide la luce, nel giugno del 1827 (perci questa prima edizione fu poi detta ventisettana), in tre tomi, con la data 1825-1827, aveva gi sul frontespizio il glorioso titolo definitivo I Promessi Sposi. Ma cominci quasi subito la correzione del romanzo, specialmente dal punto di vista linguistico, in preparazione di una seconda edizione dellopera, cui prelude il viaggio a Firenze. Per solo nel 1840-42 fu pubblicata la seconda edizione del romanzo, in Milano, presso la tipografia Guglielmini-Radaelli, a fascicoli illustrati con disegni del Gonin, con aggiunta, in appendice, La storia della colonna infame, scritta nel 1829. Questa breve monografia rievoca la storia di un processo, celebrato durante la peste di Milano del 1630, contro due presunti untori, Guglielmo Piazza e Giangiacomo Mora, i quali, sottoposti alla tortura, pur essendo innocenti, ammisero le accuse e furono perci giustiziati; la casa del Mora venne demolita e sullarea rimasta libera fu eretta una colonna a eterna infamia del suo nome. Il Manzoni, con unattenta disamina dei documenti processuali, perviene alla conclusione che, anche con i rozzi e inadeguati ordinamenti giudiziari del tempo, i giudici non potevano giungere alla condanna di due innocenti, se non fossero stati travolti dalla passione e dallodio generale contro gli untori, da cui il loro giudizio fu traviato, rendendoli per cos dire ciechi davanti alle evidenti prove dellinnocenza dei due imputati. Tanto sono funesti i pregiudizi uniti alle pressioni popolari! La famosa ode Il cinque maggio 1821 fu composta dal 17 al 19 luglio di quellanno, cio subito dopo la pubblicazione, fatta dalla Gazzetta di Milanoil 16 di quel mese, della notizia della morte di Napoleone, avvenuta a SantElena appunto il 5 maggio 1821. Il Manzoni fu cos colpito dalla notizia, che in meno di tre giorni compose e corresse, senza pi ritoccarla, questa poesia, che usc per le stampe lanno successivo a Lugano. Il Poeta immagina la vita del grande esule nella piccola isola sperduta nellAtlantico: il Bonaparte oppresso dai ricordi di una vita titanica, di contro alla forzata inerzia del presente; egli sarebbe preso dal pi cupo abbattimento, se la Fede, non mai spenta nel suo cuore e ora rifiorita nella sventura, non lo consolasse avviandolo pei floridi sentier della speranza, innalzandolo ai pensieri celesti: anche il grande Corso, come Ermengarda, rigenerato nella sventura, purificato dal dolore. Il 23 marzo 1848 il Manzoni, che nel 1838 non aveva accettato unonorificenza austriaca, firma lindirizzo dei Milanesi a Carlo Alberto per sollecitarne lintervento in difesa dei Lombardi insorti, e pubblica, come appunto si detto, lode Marzo 1821 assieme al frammento Il proclama di Rimini , per giovare alla causa nazionale con le sue ardenti parole, non potendo farlo col braccio. Per il figlio Filippo, il pi giovane dei figli maschi, partecipa attivamente alla lotta delle Cinque Giornate e, fatto prigioniero, viene tradotto

11

in Austria, con grave apprensione del padre, ed in seguito liberato solo in cambio degli ostaggi austriaci rimasti in mano agli insorti milanesi. Nel 1845 il Manzoni aveva pubblicato la dissertazione, cominciata sin dal 1828, Del romanzo storico e in genere dei componimenti misti di storia e di invenzione, in cui lAutore, severo critico della sua stessa opera, condanna in sede teorica le opere letterarie che si compongono di storia e di fantasia, perch costituiscono un genere ibrido che contiene in s insanabili contraddizioni. Merita un cenno anche il dialogo Dellinvenzione, composto nel 1841, e influenzato dalla filosofia del suo grande amico Antonio Rosmini. In esso il Manzoni afferma che lartista trova (dal latino inventio=trovamento) non crea loggetto della sua opera; e per capire dove lidea era prima di venirgli in mente, egli deve risalire, consapevolmente o no, al Dio creatore del tutto. Pur in mezzo a una certa aridit di argomentazione, spira nel dialogo un profondo senso religioso, assieme al riconoscimento della saggia guida della filosofia. Dopo il 1846 e fin quasi alla morte il Manzoni particolarmente preso dal problema della lingua, sul quale aveva cominciato a scrivere, ancor prima del romanzo, un libro, condotto poi innanzi assai lentamente per eccesso di scrupolo, e lasciato poi incompiuto e inedito; fu pubblicato solo nel 1923 dal Bulferetti col titolo Sentir messa, derivato, un po artificiosamente, dalla citazione con cui lAutore inizia la trattazione, la quale mira a dimostrare che la lingua italiana deve essere quella delluso toscano. Nelle opere del 1846 e successive sul problema della lingua italiana (varie lettere e relazioni che non il caso di citare) il Manzoni precisa che la lingua italiana deve essere il fiorentino delle persone colte, lingua che praticamente egli aveva adottata nel suo romanzo e imposta universalmente nella penisola con la persuasione della sua grande arte e con limmenso successo del suo capolavoro. Anche in tal modo, cio unificando la lingua in tutte le regioni italiane, egli contribu efficacemente allunit nazionale, della quale fu considerato meritatamente un paladino, per cui grati nel 1859 andarono a fargli visita i due massimi artefici del nostro Risorgimento, il Cavour e il Garibaldi. E quando finalmente, con la seconda guerra dindipendenza, la Lombardia unita al Piemonte, il Nostro nominato senatore del Regno e, nonostante gli acciacchi dellet, si reca a Torino nel giugno del 1860 a prestare il giuramento di rito; torna nella capitale sabauda nel febbraio del 1861 per partecipare alla storica seduta in cui fu proclamato il Regno dItalia, e di nuovo nel dicembre del 1864 per votare a favore del trasferimento della capitale a Firenze, come buon auspicio per il raggiungimento di Roma, verso la quale la tappa di Firenze era considerata solo come un avvicinamento. Per i suoi meriti politici e letterari gli fu anche assegnata una pensione nazionale, come in seguito sar fatto per il Carducci. Il grande poeta e romanziere si spense il 22 maggio 1873 a Milano, che dieci anni dopo gli dedic un monumento in Piazza San Fedele. Oltre che al problema della lingua, il Manzoni si dedic anche alle ricerche storiche, e in questo campo citiamo il Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia, steso verso la fine del 1821, quando lavorava al compimento dellAdelchi, la cui trama si rif appunto alla fine della

12

dominazione dei Longobardi nel nostro Paese. Fu pubblicato postumo nel 1889 il Saggio comparativo su la rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del 1859, in cui il Manzoni dimostra che la rivoluzione italiana fu pi legittima di fronte alla storia e al diritto, e anche pi feconda di risultati, perch fondata organicamente sullunit delle aspirazioni di tutto un popolo, mentre quella francese nel suo svolgimento tumultuoso degener assai presto nel dispotismo, tradendo cos gli ideali originari. Il Manzoni a buon diritto ritenuto il nostro pi grande scrittore romantico; e del Romanticismo egli fu anche un teorico, dato che la sua natura meditativa lo portava ad approfondire tutti i problemi e gli indirizzi con i quali la sua attivit artistica lo portava a contatto. Del 1823 lo scritto Sul Romanticismo. Lettera al marchese Cesare dAzeglio, in cui afferma che il nuovo indirizzo ha una parte negativa, su cui tutti gli assertori di esso sono concordi, nel condannare la mitologia, limitazione servile dei classici, le regole pseudo-aristoteliche sullunit di tempo e di luogo; e una parte positiva, sulla quale lAutore ammette che c una certa disparit di vedute e dintenti, ma aggiunge che tutti i romantici sono daccordo che la poesia deve proporsi per oggetto il vero e deve essere quanto pi possibile popolare, per interessare il maggior numero di persone, e non soltanto i dotti e i letterati, come purtroppo avveniva per la produzione artistica del neoclassicismo. Riguardo alle composizioni poetiche, dobbiamo dire che la vena della poesia, dopo la mirabile Pentecoste (1822) e il non meno mirabile coro La morte di Ermengarda, dello stesso anno,si esaur nel Manzoni quasi completamente; in data posteriore abbiamo il gi citato Natale del 1833 in cui, ricordando quel doloroso giorno in cui mor la sua diletta Enrichetta, canta non pi linno di gioia, ma linno di adorazione verso il Fanciul severo che viene in questo mondo a piangere e a morire, e col suo esempio ci insegna ad accettare il dolore, legge della vita cristianamente intesa; ma linno un semplice frammento, sul quale cecidere manus3, come appunto scrisse in calce al foglio lo stesso Autore. Abbiamo anche accennato al frammento dellinno sacro Ognissanti di cui il Poeta invi quattro strofe alla scrittrice francese Luisa Colet: in esse vuol significare che nelle nascoste virt dei pii solitari, le quali al mondo sembrano sterili, c tanto merito quanta bellezza c in quel fiore che spiega solo davanti a Dio la pompa del pinto suo velo; che spande ai deserti del cielo gli olezzi del calice e muor. Sono dei bei versi e forse gli ultimi del grande Poeta, se vero che furono scritti nel 1847, come assicur la seconda moglie del Manzoni. Precedentemente

= caddero (stanche ) le mani.

13

abbiamo (del 1832?) delle Strofe per una prima Comunione che egli non seppe rifiutare allinsistenza di qualche amico, quando ormai lispirazione poetica si era esaurita, e dalla sua penna non pot uscire che una mediocre poesiola doccasione; e infine ricordiamo un breve epigramma Per la morte dellamico Vincenzo Monti (1828), nel quale manda il suo estremo vale allestinto a cui larg Natura/Il cor di Dante e del suo Duca il canto!Evidentemente il sentimento dellamicizia e lammirazione sincera facevano velo al giudizio del Manzoni, che perci i posteri non hanno condiviso. Tale la personalit e lopera del Manzoni, che tutti concordemente giudicano grande poeta, insigne patriota, mirabile esempio di virt civiche e di devozione alla sua fede religiosa, cui conform con rigoroso impegno tutta la sua esistenza, che fu lunga, interiormente travagliata e disseminata di domestici lutti, ma sempre ispirata allideale cristiano, che egli aveva assunto come norma di arte e di vita dopo il suo ritorno sincero e fervido alla Fede.

14

NOTA CRITICA SU I PROMESSI SPOSI


Circa il giudizio dei critici sul romanzo diremo poche notizie essenziali. A tutti noto che non sempre un capolavoro riconosciuto come tale al suo apparire; e a questa sorte non si sottrasse punto quello manzoniano. Infatti, quando il romanzo apparve, in tre volumi, nel 1827, mentre il Goethe riconosceva subito la sua grandezza (questo libro ci fa passare di continuo dalla tenerezza allammirazione, e dallammirazione alla tenerezza), il Leopardi (il quale per in una lettera confessava di averne sentito leggere solo alcune pagine) sosteneva che esso valeva poco e che le persone di buon gusto lo trovavano molto inferiore allaspettazione. Certamente alla serenit di giudizio del grande Recanatese fu di ostacolo il suo cupo pessimismo, che irrideva a ogni idealismo (e nel romanzo troviamo lideale calato nel reale, secondo una felice espressione di Francesco De Sanctis) e particolarmente alla concezione della Provvidenza divina che veglia sulle sorti umane, mentre lui era convinto che uno spietato destino di infelicit incombe sui miseri mortali, e che il dolore umano non ha alcuna giustificazione n causale n finalistica. E avendo lui saputo o intuito, dalle poche pagine sentite leggere, che lispirazione cristiana pervade tutta la trama del romanzo, si pu capire come non abbia voluto neppure leggerlo tutto, per valutarlo pi serenamente, e si sia lasciato andare con leggerezza a quellaffrettato giudizio negativo. Se non ci meraviglia troppo lopinione del Leopardi, per le predette considerazioni, non potremmo dire lo stesso del giudizio espresso da Luigi Settembrini nelle sue Lezioni di Letteratura Italiana, perch evidentemente dato dopo maturo esame e, per cos dire, ex cathedra, data la sua qualit di paludato docente universitario. Egli afferma addirittura che I Promessi Sposi sono il libro della reazione e che il Manzoni, anche involontariamente, viene a consigliare la sommessione nella servit, la negazione della patria e di ogni generoso sentimento civile. Evidentemente il Settembrini non ha compreso lintimo senso della storia manzoniana, che invece una condanna della tirannide nellanelito verso la libert nella giustizia, sia per i singoli cittadini sia per le nazioni tutte. Ben diverso invece il giudizio di Francesco De Sanctis, il quale afferma che il motivo ispiratore del romanzo una concezione eminentemente patriottica, democratica e religiosa. Il De Sanctis aveva compreso appieno il significato profondo dellopera manzoniana, mentre il Settembrini era stato fuorviato da pregiudizi e dalle sue idee anticlericali. 4

Un riconoscimento del valore morale ed estetico della verit manzoniana si ebbe da parte di Giuseppe Verdi il quale, parlando un giorno del nostro Autore, cos si espresse: Quelluomo ha scritto un libro vero quanto la verit. Oh se gli artisti potessero capire una volta questo vero, non vi

15

Un esempio tipico dei contrastanti giudizi sul romanzo lo troviamo nella critica di Benedetto Croce il quale, riprendendo un giudizio, limitativo del valore dellopera, espresso da Giovita Scalvini nel 1829, dice testualmente: In quel romanzo non si fa sentire nella sua forza o nel suo libero moto nessuno di quelli che si chiamano gli affetti e le passioni umane; per cui il romanzo da lui definito opera oratoria e non poetica. Ma lo stesso Croce, dopo pi maturo esame, smentisce il suo avventato giudizio in un saggio pubblicato sullo Spettatore Italiano nel maggio del 1952, nel quale afferma: Per parte mia, soglio rileggere questo libro periodicamente e ne traggo sempre commozione e conforto, e sempre rinnovata ammirazione per la perfezione della sua forma. Dopo aver accennato a questo ben chiaro mea culpa del Croce (sono sue precise parole), aggiungiamo soltanto che gli altri massimi critici del Manzoni sono Luigi Russo, Attilio Momigliano, Giuseppe Petronio, Piero Nardi e Cesare Angelini, i quali ci hanno dato anche dei pregevoli commenti de I Promessi Sposi. Molti critici si sono chiesti se i protagonisti del romanzo siano proprio gli sposi promessi o qualche altro; per il Momigliano, per esempio, la vera protagonista del capolavoro manzoniano la Divina Provvidenza, mentre per il Russo il protagonista vero il sentimento, lo stato danimo dello scrittore, cos come protagonista immanente in ogni pagina del romanzo il Seicento, questo secolo pieno di violenza, boria, vanit e ribalderia. Nella vivace e verace rappresentazione di questo secolo pomposo e ipocrita, prepotente ed egoista, si svolge tutta la polemica politica, civile e sociale del Manzoni, che con la sua opera educ intere generazioni allavversione per il dominio straniero e allamore per una societ libera e giusta, fraterna e solidale, ordinata con leggi sagge, eque e ragionevoli. Se si seguisse la legge cristiana, sembra dirci il Manzoni, la realizzazione di una tale societ non sarebbe unutopia.

sarebbero pi musicisti dellavvenire e del passato; n pittori veristi, realisti, idealisti; n poeti classici e romantici; ma poeti veri, pittori veri, musicisti veri.

16

INTRODUZIONE DE I PROMESSI SPOSI


Il Manzoni premette al primo capitolo del romanzo una introduzione, in cui riporta un brano del manoscritto secentesco che egli finge di aver ritrovato e di voler pubblicare cos com, poich la storia in esso narrata gli sembra degna di essere conosciuta. Accintosi alla copiatura del manoscritto, a un certo punto si inceppa davanti a una parola indecifrabile, per cui deve necessariamente interrompere. La pausa lo induce a riflettere meglio sul da farsi, ed egli si domanda: Quando avr sostenuto leroica fatica di trascrivere e pubblicare questa storia, si trover poi chi sar disposto a leggerla? Essa veramente bella, ma lo stile barocco in cui scritta talmente tronfio e sciatto, che difficilmente ci sar uno disposto a sostenere leroica fatica di leggerla. Perci lasciamola stare, e buon per me che mi sono interrotto appena al principio e non ho perduto il mio tempo in questa laboriosa e vana copiatura. Per, mentre sta per riporre il manoscritto, prova rincrescimento che una storia cos interessante debba rimanere sconosciuta; e allora si domanda: Perch, invece di ricopiarla, non la riscrivo in stile moderno? Certamente non fo torto a nessuno, poich il manoscritto anonimo. La decisione subito presa, perch appare del tutto logica e opportuna. Ed ecco lorigine del presente libro, esposta con uningenuit pari allimportanza del libro medesimo.Queste argute parole dellAutore ci fanno capire, un po in enigma, che la storia del manoscritto mera invenzione, che cio il manoscritto non esiste e che la trama del romanzo stata immaginata dal principio alla fine dal Manzoni. Sappiamo per che egli fu indotto a scriverlo dalla lettura di una grida spagnola del 15 ottobre 1627, nella quale il governatore di Milano don Gonzalo Fernandez de Cordova minaccia le massime pene contro i prepotenti che commettono oppressioni, concussioni e atti tirannici, come per esempio che seguano o non seguano matrimoni e inoltre che quel prete non faccia quello che obbligato per lufficio suo ecc. Questa grida, letta in unopera di Melchiorre Gioia, dette al Manzoni, secondo quanto ci conferma il figliastro Stefano Stampa, la prima idea del romanzo. Tuttavia non tutti i critici sono convinti che il manoscritto anonimo sia una pura invenzione. Il Getto, per esempio, sostiene che il Nostro deve aver letto lHistoria del Cavalier Perduto del vicentino Pace Pasini, pubblicata a Venezia nel 1644, poich in questa storia trova molte somiglianze sostanziali e formali con lintroduzione barocca stilata con tanta bravura dal Manzoni. La mia modesta opinione che, se anche il Nostro abbia conosciuto la detta opera (cosa tuttaltro che certa), non ne ha ricevuto che qualche spunto marginale, per cui essa non pu davvero dirsi (come qualcuno ha sostenuto) la fonte del romanzo. Comunque, per noi molto pi importante vedere per quali motivi lAutore sia ricorso allespediente del rinvenuto manoscritto. Essi possono essere due: in primo luogo, per dare un sapore storico a tutto il racconto, secondo le esigenze del romanzo storico, che il Manzoni sentiva impellenti; in secondo luogo, per un motivo prettamente artistico, cio mettere tra

17

s e il lettore un terzo personaggio, come un alter ego, che gli permettesse di fare le sue osservazioni o esprimere i suoi sentimenti in modo pi discreto o pi arguto, come dietro a un comodo paravento. Certamente, questo pretesto dellanonimo scrittore non era affatto necessario, n per fini storici n per esigenze artistiche, ma nessuno pu affermare che esso sia del tutto inutile e vano. Abbiamo detto che il Manzoni, dopo un po dincertezza, decise di pubblicare lopera in lingua moderna, cio in lingua viva. Oggi per noi questo concetto di lingua viva abbastanza ovvio e chiaro, ma al tempo in cui il Manzoni scriveva, i letterati non erano affatto daccordo sul concetto di tale lingua n sulluso di essa negli scritti letterari. Infatti da una parte cerano i puristi, riuniti nellAccademia della Crusca, che pretendevano una lingua aulica, cio arcaica, sul tipo di quella che era stata usata dai grandi scrittori italiani dal Trecento al Cinquecento; mentre i novatori volevano un linguaggio vivo, vicino a quello effettivamente parlato. Ma parlato da chi e dove? A questo riguardo non tutti erano concordi; e il Manzoni decise saggiamente e praticamente la controversia adottando il linguaggio fiorentino parlato dalle persone colte; detto linguaggio, soprattutto per merito della grande notoriet del romanzo, divenne in breve tempo la lingua nazionale italiana, universalmente riconosciuta e adottata; per cui il Manzoni pu essere giustamente chiamato, dopo Dante, il secondo Padre della nostra lingua, colui che lha resa veramente popolare, avvicinando dun colpo e arditamente la lingua scritta a quella parlata.

18

CAPITOLO I
Il Manzoni comincia il romanzo con la descrizione della regione dove si svolger la trama dellazione: una zona molto familiare allAutore, che possedeva presso Pescarenico, sulla riva sinistra del lago di Lecco, una villa chiamata Il Caleotto, dove era solito passare ogni anno parecchi mesi di villeggiatura. Siamo sulle rive del braccio meridionale del lago di Como (braccio chiamato anche lago di Lecco), il quale si restringe appunto a Lecco, in modo da sembrare fiume, e poi si riallarga nel lago di Garlate, finch si restringe ancora e definitivamente, ricostituendo il fiume Adda, che poi con lucido serpeggiamento scende a gettarsi nel maestoso Po. LAutore descrive particolarmente il territorio di Lecco, formato da una breve costiera in lieve pendio, e poi da colline e valloncelli che si appoggiano alle falde di due monti contigui, il San Martino e il Resegone. Sulla riva sinistra del lago e sulle alture sono sparsi i villaggi, di cui uno quello abitato dagli sposi promessi, cio Renzo o Lorenzo Tramaglino e Lucia Mondella. Questo paesetto in collina, ma non molto distante da Pescarenico, villaggio di pescatori sul lago, dove si trova anche un convento di Cappuccini. Il paesetto degli sposi affidato alla cura spirituale di don Abbondio, il quale si fatto prete senza vocazione, per seguire lintenzione dei genitori e anche per entrare in una casta privilegiata, in cui avesse da poter vivere con un certo agio e tranquillamente, essendo appunto difeso dal prestigio, allora altissimo, del clero. Don Abbondio ci appare subito come un egoista, che pur di non correre pericolo lui, pronto a venir meno ai suoi doveri pi sacrosanti. Egli non cattivo, ma si preoccupa solo di s stesso, e per tutta la vita ha solo badato a costituirsi un tenore di vita comodo e sicuro. Questo sistema, realizzato con assidua cura, un po il suo capolavoro, una specie di metodo filosofico del viver tranquillo, del quale fiero, perch lo ritiene eccellente e infallibile; e non si perita di prendersela con i suoi confratelli che seguono ben altro sistema, che cio si espongono a disagi e pericoli per aiutare il prossimo. Il motto del nostro curato invece questo: evitare ogni contrasto, cedere nei contrasti che malauguratamente non si son potuti evitare. I suoi colleghi, zelanti per il bene delle anime, sono per lui degli irrequieti ambiziosi, della gente senza prudenza e senza umilt, mentre lui attua veramente il dettame evangelico! Don Abbondio ha ormai organizzato la sua vita in un sistema di abitudini che per lui rappresentano come una seconda natura. Tra queste care abitudini c la passeggiata vespertina che, tempo permettendo, gli fa acquistare, col moderato esercizio fisico, un discreto appetito per la cenetta allietata da un vino squisito, che gli concilia un gradevole sonno sino allindomani. Domani poi la giornata ricomincer secondo lo schema abituale, che a don Abbondio, uomo pacifico, non ingenera affatto noia, ma anzi infonde una tranquilla sicurezza di lieto benessere. Ma ecco che questo quieto

19

sistema di vita in un batter docchio viene travolto nellinfausto vespro del 7 novembre 1628. Quella sera, tornando bel bello dalla passeggiata verso casa, incontra due bravi che gli ordinano, pena la morte, di non celebrare, n lindomani n mai, il matrimonio tra Renzo e Lucia. I bravi erano soldati privati dei nobili e dei ricchi signori i quali se ne servivano, oltre che per difesa, anche e soprattutto per imporre la loro volont superba e capricciosa, specialmente nelle campagne, dove lautorit governativa era del tutto inefficace o addirittura inesistente. I governatori spagnoli avevano emanato delle gride (cio bandi o decreti che venivano gridati dai banditori nelle vie e nelle piazze) severissime contro questi soldatacci fuorilegge, ma senza nessun effetto, perch tutta la nobilt, che era poi la classe dirigente, era coalizzata nelleludere la legge, in quanto tutti i nobili signori, compresi i senatori e i magistrati, avevano pi o meno sfacciatamente i loro bravi, vestiti e protetti dalle loro sgargianti livree. Il Manzoni riporta alcuni squarci delle gride del tempo, in cui i governatori, dopo aver sciorinato tutti i loro titoli nobiliari, tuonano contro i bravi, comminando nei loro riguardi le pene pi gravi e pi arbitrarie; ma questi ripetuti decreti servivano solo a dimostrare pomposamente limpotenza dei loro tronfi e plurititolati promulgatori. Don Abbondio, davanti allinaspettato ordine, rimane come fulminato. Che fare? Egli vorrebbe guadagnar tempo, rispondendo in modo evasivo, ma i due loschi figuri esigono una chiara e impegnativa risposta da riportare al loro padrone, lillustrissimo signor don Rodrigo! Disposto sempre allobbedienza balbetta il povero curato, e i due si allontanano soddisfatti, mentre il malcapitato vorrebbe, ora che ha ingoiato il rospo, trattenerli per trattare spiegare Ma quelli lo piantano in asso, e il poveretto torna a casa stralunato e balordo, per cui la serva, a vederlo con quel viso, si accorge subito che accaduto qualcosa di grave. Incalza perci il padrone con le sue domande, e il curato, dopo essersi difeso sempre pi debolmente, finisce per rivelare il penoso e pericoloso segreto, facendo per giurare solennemente a Perpetua (questo il nome della domestica) di non fiatare minimamente sulla cosa, dato che i bravi avevano imposto il pi assoluto silenzio. Il dialogo tra il prete e la serva vivacissimo, e ci mostra la grande abilit della donna la quale riesce ben presto ad aver ragione della paura gelosa del suo padrone, il quale ha ancor presenti davanti agli occhi i due bravacci che gli avevano minacciosamente comandato: E soprattutto non dica a nessuno di questo avviso, che gli abbiamo dato per il suo bene. Sarebbe come fare quel tal matrimonio! Ma il fatto sta, come acutamente osserva il Manzoni, che forse non era minore il bisogno di don Abbondio di confidarsi con qualcuno, che la curiosit di Perpetua di sapere che cosa fosse successo al padrone. Perpetua una zitella di oltre quarantanni, curiosa e ciarliera ma non priva di un certo buon senso, che ci tiene a far credere che non si voluta mai sposare, pur avendo avuto tanti buoni partiti, mentre le maligne comari andavano dicendo che

20

non aveva mai trovato un cane che lavesse voluta. Ma a parte questa comprensibile suscettibilit di zitella, non le manca certo lintelligenza e il senso pratico delle cose, come si rileva dal dialogo. Infatti a un certo punto, nella foga del discorso, inavvertitamente tocca un tasto falso, affermando che, se vuol sapere laccaduto, non per ciarlarne in giro, perch essa sa tenere il segreto. Qui don Abbondio le d sulla voce: Brava! come quando Evidentemente in altre occasioni ella non aveva saputo affatto conservare il segreto; ma labile serva non si scompone per tanto poco e corre subito ai ripari, trovando questa volta il tasto giusto e infallibile: Se voglio sapere, perch le voglio bene e voglio aiutarla, e magari darle un consiglio. E il consiglio che essa d, anche se rigettato sprezzantemente dal padrone, invece ottimo, lunico che don Abbondio potesse prendere, se non voleva fare n il vigliacco (obbedendo a puntino a don Rodrigo) n leroe (compiendo ugualmente il suo dovere di sacerdote). Perpetua infatti gli consiglia di rivolgersi allarcivescovo cardinal Federigo Borromeo, che tutti dicono un santo e anche un uomo di polso, il quale sa difendere i suoi curati. Ma don Abbondio, accecato dalla paura, le grida iroso: Quando mi fosse toccata una schioppettata, il Cardinale me la toglierebbe? La serva per prontamente lo rimbecca: Eh! le schioppettate non si danno via come confetti! Il can che abbaia non morde, dice in sostanza Perpetua; saggio pensiero che ritroveremo, con altre parole, in bocca allo stesso cardinal Borromeo; il che dimostra che il buon senso comune si ritrova sia nei dotti sia negli indotti, ma la paura e legoismo possono farlo obliterare o sparire del tutto, come appunto in don Abbondio. In questo primo capitolo possiamo gi ammirare lironia manzoniana, soprattutto quando parla dei soldati spagnoli quali insegnavano la modestia alle fanciulle e alle donne del paese, per dire che le seducevano o tentavano con ogni mezzo di conquistarle, accarezzavano le spalle di qualche padre o marito, cio picchiavano e malmenavano quei poveri padri o mariti che cercavano di difendere le loro donne dai loro turpi disegni, e, sul finir dellestate, non mancavan mai di spandersi nelle vigne, per diradar luve, e alleggerire a contadini le fatiche della vendemmia, per significare che la truppa prepotente saccheggiava letteralmente i vigneti, frustrando crudelmente le ansie e le lunghe fatiche di quei disgraziati coltivatori: questo era il dominio spagnolo in Italia!

21

CAPITOLO II
Il capitolo comincia con un ricordo storico, con evidente intento ironico: si dice che il Principe di Cond abbia dormito profondamente la notte precedente la battaglia di Rocroi; ma ci avvenne perch, oltre ad essere molto stanco, egli aveva dato tutte le disposizioni per il giorno seguente, cio aveva gi preparato il suo piano di battaglia, del quale, possiamo intuire, era anche molto soddisfatto; invece don Abbondio sapeva soltanto che il giorno seguente ci sarebbe stata la battaglia, cio lo scontro con Renzo. Dopo questo umoristico confronto tra il grande condottiero francese e il vile prete della sua storia, il Manzoni continua dicendo che il poveraccio spese gran parte della notte a preparare il suo piano di battaglia: indurre Renzo, con delle scuse plausibili, ad aspettare un po di tempo, poich tra cinque giorni cominciava lAvvento Ambrosiano, tempo proibito per le nozze, le quali automaticamente sarebbero state rimandate a dopo lEpifania. Dopo aver in qualche modo definito i pretesti da tirare in ballo per convincere il giovane ad aspettare, il curato pot finalmente chiudere occhio; ma che sonno! che sogni! Sonno agitato e interrotto, sogni arruffati e paurosi, accompagnati da incubi, che si susseguirono fino al mattino, allorch il poveretto si alz e, confermatosi nel suo piano, si mise ad aspettare Renzo con timore e nello stesso tempo con impazienza, perch non vedeva lora di liberarsi da quel noioso pensiero. Renzo poteva avere circa ventanni: aveva perduto i genitori in tenera et, ma aveva imparato bene il mestiere di filatore di seta e si poteva considerare, per quei tempi, quasi di condizione agiata, perch possedeva una casa e un poderetto, che coltivava lui stesso quando il filatoio restava chiuso. Era stato educato cristianamente, aveva una fede viva e uno schietto senso della giustizia; era insomma un bravo giovane, onesto e capace operaio, per di pi parsimonioso e tanto innamorato della sua Lucia, cui si voleva legare per sempre davanti allaltare. Era finalmente giunto il giorno tanto desiderato! Vestito in gran gala, si present per tempo al curato, per sapere lora precisa della messa di nozze. Ma don Abbondio fece finta di cascar dalle nuvole, come se non si fosse stabilito nulla, e disse che per quel giorno era impossibile, perch si dovevano ancora espletare molte formalit. Impastocchiando pretesti e citando articoli del Diritto Canonico, riesce a convincere Renzo che non tutto era in regola riguardo ai documenti e alle pubblicazioni, che perci bisognava aver pazienza ancora per qualche giorno, e precisamente per una settimana. Renzo esce dalla canonica piuttosto irritato, e si avvia di mala voglia (per la prima volta!) verso la casa della fidanzata, per comunicare la triste e inaspettata notizia; ma per la strada incontra Perpetua, e subito la ferma per cercare di sapere da lei qualcosa di pi, perch sospetta che sotto ci sia qualcosa di diverso da quello che il curato gli ha voluto far credere. E non si sbaglia: Perpetua, pur non spiattellando tutta la cruda verit, con delle allusioni anche troppo evidenti gli fa

22

capire che ci sono dei prepotenti, degli uomini senza timor di Dioe che mala cosa nascer povero Renzo ha gi intuito la dura realt e, deciso a saper tutto, torna indietro senza farsi scorgere dalla donna, sorprende il curato ancora nel salotto e con un fare deciso e minaccioso lo costringe a rivelare il nome del prepotente che non vuole che lui sposi Lucia. Quando lo sa, esce furioso dalla casa di don Abbondio, col cuore in tumulto, che in quel momento non batteva che per lomicidio: avrebbe voluto andare al palazzotto del birbone e strozzarlo; ma era difficile penetrare in quella bicocca allora immaginava di prendere il suo schioppo, appostarlo in un luogo solitario, stenderlo al suolo con un colpo e poi correre a mettersi in salvo in territorio veneto il confine era vicino Ma che sarebbe stato di Lucia?... A questo pensiero le bieche fantasie disparvero; ma che fare intanto? come opporsi al turpe capriccio del signorotto? come sposare la sua Lucia a onta delle minacce del potente e della vilt del parroco? Con in testa questi dolorosi pensieri giunge alla casa della promessa sposa, e sente subito il vocio proveniente da una stanza del primo piano: l si erano date convegno le parenti e le amiche intorno a Lucia, la quale si vestiva per la cerimonia delle nozze sotto le mani esperte e amorevoli della madre. Renzo, cos turbato comera, non volle presentarsi a quella folla; perci, avendo trovato nel cortiletto della casa una ragazzetta che plaudente gli veniva incontro, le diede lincarico di avvertire Lucia, in segreto, che lui laspettava nella stanza del pian terreno. Bettina (cos si chiamava la ragazzina) esegu per benino la sua ambasciata; Lucia scese subito a basso, e vedendo il volto rabbuiato di Renzo comprese subito che era accaduto qualcosa di veramente grave. Lo sposo la informa brevemente dellaccaduto, e lei, udendo il nome di don Rodrigo, esclama: Fino a questo segno! Da queste parole Renzo comprende che c stato qualche precedente, e lo vuol sapere, ma Lucia pensa prima a congedar le amiche, onde restar soli. Lascia quindi lo sposo in compagnia della madre, sopravvenuta nel frattempo, sale al piano di sopra e, atteggiando il viso a naturalezza, annuncia alle donne che il curato malato e perci il matrimonio rimandato. Le comari sciamano via, ma qualcuna pi sospettosa, per accertarsi della cosa, si reca addirittura alla canonica, dove Perpetua dalla finestra risponde che il curato a letto con un febbrone. Lucia, alla fine di questo capitolo, viene sobriamente descritta dallAutore sia nel fisico che nel morale. Essa era vestita attillatamene con un busto di broccato a fiori e una gonna di filaticcio di seta, fittamente pieghettata; due calze vermiglie e due pianelle di seta a ricami completavano il suo ornamento di nozze. I neri e lunghi capelli erano spartiti nel mezzo da una sottile scriminatura e si ravvolgevano sulla nuca in molteplici trecce, tenute in ordine da molti spilloni dargento che formavano come i raggi di unaureola, secondo il costume brianzolo. Intorno al collo portava una collana di granati, alternati con bottoni doro filigranato. Le maniche del busto erano, secondo la moda dallora, staccate e allacciate con bei nastri. Del viso di Lucia il Manzoni accenna solo ai lunghi e neri sopraccigli e alla bocca che sapriva al sorriso; per il resto dice semplicemente che essa era dotata di una modesta bellezza, e soprattutto era

23

adorna di pudore e di riservatezza, oltre che di una profonda religiosit, con un carattere dolce ma inflessibile contro il male e i suoi adescamenti. Il Nostro non indugia affatto nella descrizione fisica della sposa, n analizza il suo amore per Renzo; ma con discreti accenni ci fa capire che il suo affetto per lui era grande e puro, e aspettava di essere consacrato davanti allaltare per diventare santo e completo. Anche lamore di Renzo era scevro di ogni bassezza, perch egli era un giovane onesto, educato nella morale cristiana; il suo cuore era schietto e alieno dalla violenza, ma al sentire che don Rodrigo voleva strappargli Lucia per i suoi turpi piaceri, non batt che per la vendetta e per lomicidio. Subito per egli si riscosse inorridito da queste idee sanguinarie; e per fortuna aveva peccato solo nella fantasia e quasi senza avvedersene, tanto il suo animo era esasperato per linfame soverchieria. A questo proposito il Manzoni osserva molto opportunamente: I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi. Questa osservazione morale suona come severo monito per tutti coloro che, direttamente o indirettamente, corrompono o abbrutiscono o comunque depravano lanimo altrui; grave la loro responsabilit, se non davanti agli uomini alla cui giustizia si pu facilmente sfuggire, certamente davanti a Dio, giudice infallibile. E inversamente si pu dedurre dalle parole del Manzoni grande il merito di coloro che, con le parole o con le opere o con lesempio, tendono a migliorare lanimo degli altri. Tra questi benemeriti della societ un posto preminente spetta allAutore, il quale con il suo romanzo ha elevato il livello morale di tanti lettori, inculcando nel loro cuore sentimenti di giustizia e di carit cristiana.

24

CAPITOLO III
Lucia, congedate le donne, rifer alla madre e allo sposo che, qualche tempo prima, don Rodrigo in compagnia di un altro signorotto (era il degno cugino conte Attilio) aveva cercato di fermarla con parole lusinghiere, mentre lei, tornando dalla filanda verso casa, era rimasta indietro alle compagne; ma lei senza dargli minimamente retta aveva raggiunto in fretta le altre operaie, mentre don Attilio sghignazzava e laltro diceva: Scommettiamo. Il giorno dopo i due si erano trovati allo stesso punto della strada, ma Lucia era al sicuro in mezzo alle compagne; per fortuna quel giorno era lultimo del lavoro alla filanda, e Lucia, come prima pot, raccont tutto al suo confessore Padre Cristoforo, cappuccino del convento di Pescarenico, situato a circa due miglia dal villaggio degli sposi. Padre Cristoforo aveva consigliato alla ragazza di rimanere in casa, per non farsi pi vedere da colui, di pregare e di affrettare le nozze, nella speranza che don Rodrigo si dimenticasse presto di lei, come di un capriccio passeggero. Ma purtroppo i fatti smentivano questa speranza. Lucia termina il doloroso racconto nelle lagrime, mentre lo sposo, vinto dallira, lancia improperi contro lavversario, stringendo il manico del suo coltello e gridando: Questa lultima che fa quellassassino! Ma viene finalmente calmato dalla promessa sposa con queste semplici ma ispirate parole: Il Signore c anche per i poveri; e come volete che ci aiuti, se facciam del male? Agnese, pi esperta, propone di ricorrere a un uomo di legge; lei ne conosce uno di Lecco, soprannominato Azzecca-garbugli, il quale ha saputo trarre tante persone da impicci anche peggiori. Gli sposi accettano fiduciosi il consiglio, e Renzo, presi i quattro capponi destinati al pranzo delle nozze (perch avverte Agnese non bisogna mai andare con le mani vuote da quei signori!) si reca a Lecco per consultarsi con lavvocato. Il Manzoni fa a questo unacuta osservazione: le povere bestie, che Renzo portava in mano, venivano scosse e sballottate dal braccio del giovane, il quale camminava come fuor di s, tutto agitato da tante passioni, di cui gli innocenti polli sopportavano il contraccolpo; ma i capponi intanto e qui notiamo lamaro umorismo dello Scrittore singegnavano a beccarsi luno con laltro, come accade troppo sovente fra compagni di sventura. Giunto al borgo (Lecco nel Seicento era ancora un modesto centro abitato), Renzo trova facilmente la casa dellavvocato e viene introdotto nel suo studio, uno stanzone polveroso con pochi vecchi mobili, nel quale il tavolo di lavoro ingombro di allegazioni, di suppliche, di libelli, di gride, tutto per in un disordine indescrivibile. Il dottore accoglie bonariamente il suo cliente, poich questa era la sua tattica ipocrita, e Renzo, nella sua semplicit campagnola, volendo subito venire al nocciolo della questione, chiede senzaltro se, a minacciare un curato, perch non faccia un matrimonio, c penale. Lavvocato, che ha frainteso, credendo che la prepotenza Renzo labbia fatta e non subita, si fa

25

molto serio, e risponde che il reato grave, contemplato in cento gride, di cui una proprio dellanno prima, che gli vuol mostrare per impressionarlo maggiormente. Per trovarla cacci le mani in quel caos di carte, rimescolandole dal sotto in su, come se mettesse grano in uno staio e trovatala finalmente, la lesse con molta enfasi e grave significazione al suo cliente. Ma vedendo che questi, invece di spaventarsi per le terribili pene comminate (pena pecuniaria e corporale, ancora di relegazione e di galera e fino alla morte, allarbitrio dellEccellenza Sua cio il Governatore o del Senato) quasi se ne rallegra, pensa che sia un delinquente matricolato che si ride delle gride, e perci gli dice: Vi siete per fatto tagliare il ciuffo. Avete avuto prudenza: per, volendo mettervi nelle mie mani, non faceva bisogno. Bisogna sapere che allora tutti i bravi e i delinquenti in genere portavano una lunga zazzera, onde servirsene come di una maschera, per non farsi riconoscere, quando attuavano i loro colpi. Normalmente la portavano raccolta sotto una reticella, donde la liberavano al momento dellazione. I governatori di Milano avevano tuonato con le loro gride anche contro i ciuffi, sperando cos di sterminare i facinorosi dogni specie, e se lerano presa anche con i barbieri che lasciassero ai loro clienti i capelli pi lunghi dellordinario (pena di cento scudi o di tre tratti di corda da essere dati loro in pubblico, et maggiore anco corporale, allarbitrio come sopra) come se i poveretti potessero ottenere quello che la forza pubblica era impotente a imporre. Comunque dalle parole dellavvocato Renzo capisce lequivoco in cui egli caduto, e si affretta a chiarirlo, dicendo che non stato lui a minacciare il curato lui non fa di queste cose, n ha mai portato il ciuffo ma quel prepotente di don Rodrigo A questa rivelazione il dottore va in bestia, e sdegnato caccia via in malo modo il povero Renzo al quale fa anche restituire gli sventurati capponi, con cui il malcapitato torna al suo villaggio pi sconvolto e amareggiato che mai, intuendo pressa poco il motivo per cui lavvocato si era a un tratto inalberato nelludire il riverito nome del signorotto. Nel frattempo, nella casetta di Agnese, Lucia ha esposto ldea di avvertire dellaccaduto il padre Cristoforo; ma come fare? Mentre pensano al modo, viene fra Galdino, un laico cercatore cappuccino, per la solita cerca delle noci, con cui allora facevano olio (commestibile per condimento). Lucia pensa subito di servirsi del frate converso per avvertire il suo confessore, e perci d una bella quantit di noci, affinch fra Galdino possa tornar presto al convento; ch altrimenti, dovendo andare in giro ancora per un bel po, per riempire le sue bisacce, probabilmente si sarebbe dimenticato dellambasciata, con tutte le chiacchiere che avrebbe fatte e intese nella varie case Infatti al cercatore piaceva discorrere, e spesso ripeteva un fatto miracoloso, avvenuto in un convento di cappuccini in Romagna, anche perch lepisodio edificante era molto adatto a suscitare la generosit dei benefattori. E quel giorno lo raccont ad Agnese. In quel convento di Romagna dunque viveva un santo frate, chiamato Padre Macario. Costui un giorno, passando per il campo di un benefattore del convento, vide che si accingeva a sradicare un grande noce che non dava mai frutto. Il frate lo preg di risparmiare

26

lalbero, perch lanno successivo avrebbe portato pi noci che foglie; e cos fu. Per il buon uomo che aveva promesso al convento una met del raccolto del noce mor prima di poterlo bacchiare, e quando il frate cercatore si present al figlio, un cinico scapestrato, per avere la parte pattuita, fu cacciato via con parole di scherno. Ma il Signore lo pun per il suo irreligioso egoismo; infatti un giorno, avendo gozzovigliato con amici dello stesso pelo, dopo aver raccontato il fatto ridendo della bella pretesa dei frati, volle mostrar loro quel gran mucchio di noci, ma trov un gran mucchio di foglie secche. Gran lezione eh! E il convento soggiunse fra Galdino invece di perderci ci guadagn, perch, dopo il duplice miracolo, tutti furono pi generosi, tanto che un benefattore, mosso a piet del frate torzone, che ogni giorno vedeva tornare al convento tutto curvo sotto il peso, regal al convento un asino, e cos il povero fraticello cess di far lui il somaro. Agnese, non sufficientemente colpita dalla morale dellepisodio, quando vide Lucia dar tutte quelle noci, fece un viso di rimprovero, e quando il cercatore fu uscito, esclam: Tutte quelle noci, in questanno! Lucia le disse il motivo della generosa offerta, che la madre approv pienamente, aggiungendo: E poi tutta carit che porta sempre buon frutto. Agnese infatti, dice a questo punto il Manzoni, coi suoi difettucci era una gran buona donna, e si sarebbe, come si dice, buttata nel fuoco per quellunica figlia, in cui aveva riposta tutta la sua compiacenza. Intanto torn Renzo tutto indignato, e non si rasseren neppure al pensiero che il padre Cristoforo si sarebbe adoperato per loro, tanto era sconvolto e amareggiato dallumana ingiustizia; sicch egli non ha fiducia nel soccorso del frate, e sente pi che mai forte la tentazione di farsi giustizia da s. La giornata, che doveva essere di festa e di gioia, finisce per il giovane nel pi cupo sconforto, mentre le donne hanno molta fiducia nellazione del Padre.

27

CAPITOLO IV
Il mattino del giorno successivo, 9 novembre 1628, allo spuntar del sole, padre Cristoforo, avvertito da fra Galdino, usc frettoloso dal convento per salire alla casetta di Agnese. La scena naturale era lieta: cielo nitido, monti che si stagliavano nellazzurro intenso del cielo, vigne e campi coltivati ai lati della via, e una brezzolina autunnale che asciugava la guazza notturna e investiva gradevole il viso del viandante mattutino. E la tipica estate di San Martino; ma lo spettacolo umano su quella lieta scena naturale era tuttaltro che lieto: mendichi macilenti, di cui alcuni spinti a elemosinare dallincipiente carestia, contadini che lavoravano la terra senza lusata letizia, che seminavano con risparmio e a malincuore, come chi arrischia cosa che troppo gli preme, fanciulli scarni; anche le vacche erano magre, per la penuria dei pascoli, dovuta alla persistente siccit. La triste scena umana accresceva la mestizia del frate, il quale presentiva che a Lucia era successo qualcosa di grave. A questo punto il Manzoni traccia una breve biografia di Padre Cristoforo, che allora era vicino ai sessantanni. Prima di entrare nellOrdine dei Cappuccini si chiamava Ludovico, ed era figlio unico di un ricco mercante di tessuti, il quale a una certa et aveva lasciato il commercio trovandosi bastevolmente ricco e non avendo bisogno di guadagnare ancora. Stranamente, da quel momento cominci a odiare la sua precedente attivit, a vergognarsene come di una turpe macchia da dimenticare, dato che non la si poteva cancellare, non riflettendo mai osserva argutamente lAutore che il vendere non cosa pi ridicola che il comprare. I suoi amici e ospiti dovevano mettere una grande attenzione per evitare ogni minimo accenno diretto o indiretto al mestiere precedente del padrone di casa, che intanto si era dato a vivere da gran signore, facendo impartire al figlio uneducazione cavalleresca, senza badare a spese, in emulazione con i nobili della citt. Ma in tal modo lex-mercante amareggiava s e gli altri, vivendo nel perpetuo sospetto che essi ricordassero quello che lui era stato e ridessero di lui, mentre il fondaco, le balle, il libro, il braccio, gli comparivano sempre nella memoria, come lombra di Banco a Macbeth, anche tra la pompa delle mense e il sorriso dei parassiti. Tra questi un tale, un brutto giorno, stuzzicato durante il banchetto dallanfitrione in mezzo allallegria generale, si lasci scappare: Eh! io fo lorecchio del mercante! Lui stesso rimase colpito dalla parola che gli era sfuggita, e tent invano di riavviare la conversazione che era stata troncata in un silenzio imbarazzante; tutti i convitati allibirono scandalizzati, scorgendo la faccia scura del padrone di casa; lallegria fin per quel giorno in un silenzio glaciale, e lautore dello scandalo se ne and mortificatissimo e da quel giorno non fu pi invitato. Quando il padre mor, Ludovico era ancora giovinetto; educato signorilmente, voleva stare con i figli dei nobili, alla loro pari; ma questi, pieni dellorgoglio di casta, lo consideravano al di sotto, anche se era forse pi ricco di loro.

28

Sicch Ludovico dovette ingoiare molti amari bocconi e, fattosi giovane, con un grande desiderio di rivalsa cominci a competere con i rampolli della nobilt in lusso, cavalli, carrozze, banchetti, festini e numero di bravi, profondendo a piene mani il suo pingue patrimonio, pur di apparire pi di loro. A poco a poco cominci a competere con loro in cose pi gravi e pericolose, emulandoli in potenza oltre che in ricchezza, e si mise ad attraversare i loro disegni, a contrastare le loro prepotenze, a farsi difensore e paladino delle vittime di quelli. Ma per opporsi alla loro prepotenza, doveva necessariamente usare anche lui la violenza, linganno, lagguato, e circondarsi di bravi tra i pi ribaldi e sfegatati; gli era giocoforza, come ben dice lAutore, vivere coi birboni per amore della giustizia. Una tale vita non poteva davvero soddisfare il suo animo schietto e avverso allingiustizia; sicch scontento di s e disgustato di tutto, aveva pi di una volta pensato a farsi frate. Un grave incidente gli fece realizzare questa idea, che altrimenti sarebbe forse rimasta una fantasia per tutta la vita. Un giorno, accompagnato da due bravi e dal suo maggiordomo Cristoforo, si incontr per strada con un signorotto molto prepotente e superbo, da cui era odiato e che egli ricambiava di ugual sentimento, sebbene non avesse ancora avuto a contrastare con lui, giacch osserva argutamente il Manzoni uno dei vantaggi di questo mondo, quello di poter odiare e di essere odiati, senza conoscersi. Nellincontrarsi, il burbanzoso signore pretendeva che Ludovico coi suoi si scansasse dal marciapiede verso il centro della strada, per far passare lui e il suo seguito di quattro bravi, mentre Ludovico credeva suo diritto non lasciare il marciapiede e non cedere il passo al nobile, per il fatto che camminava rasente al muro (e questo, secondo una consuetudine, lo autorizzava a non staccarsi dal detto muro davanti a chicchessia). In breve dalle minacce si passa agli insulti, e da questi alle armi, e la battaglia coinvolge, coi padroni, i loro bravi. Ludovico, che in quanto a numero si trovava in netto stato dinferiorit, pensava pi che altro a difendersi e a disarmare lavversario principale, il quale invece cercava di ucciderlo a tutti i costi; a un certo punto il signorotto, vedendo il nemico gi ferito, gli si scaglia addosso per finirlo con un gran fendente, ma il fedele Cristoforo si para in sua difesa, ricevendo lui il colpo mortale. Allora Ludovico non ci vide pi, e istintivamente trafisse a sua volta lavversario. I bravi delle due parti fuggirono, per non dover rendere conto alla giustizia, mentre Ludovico fu accompagnato a un vicino convento, dove venne raccomandato ai frati dai soccorritori, che avevano simpatia per lui, quale paladino della povera gente contro i prepotenti signorotti. Guarito delle ferite, egli pens seriamente allindirizzo da dare alla sua vita, e decise fermamente di farsi frate, per riparare il mal fatto a due famiglie con tutta una vita di penitenza e di opere buone. La richiesta fu accolta, perch la sua decisione era sincera e profonda, e non presa per timore o per altra considerazione umana. La giustizia umana non perseguit lomicida che si era volontariamente chiuso nel saio, anche perch egli era scusato dalla legittima difesa; inoltre in quei tempi il farsi frate appariva riparazione soddisfacente per qualsiasi reato, come lesilio per gli Ateniesi.

29

Prima di partire da quella citt, per raggiungere la sede del suo noviziato, Ludovico volle chiedere perdono al fratello dellucciso, il quale accett latto di riparazione, che volle pubblico e solenne, pensando che nellumiliazione del frate avrebbe ripreso aire il suo prestigio e avrebbe trovato uno sfogo il suo sdegno superbo; quindi invit alla cerimonia tutta la parentela, perch godesse anchessa di quella soddisfazione comune. Fra Cristoforo (che aveva assunto questo nome per ricordare il maggiordomo morto per lui) quando scorse, nel palazzo del signore,quel grandapparato e ne intu lo scopo, rimase turbato; ma fu solo un momento, poi pens che lumiliazione era per lui pi che meritata, e chiese perdono con tanta sincera umilt e con un dolore cos vivo per il male commesso, che tutti i presenti, a cominciare dal fratello dellucciso, ne restarono commossi e piamente edificati. E quella che, nelle intenzioni del padrone di casa, doveva essere una manifestazione di orgoglio e un accrescimento di prestigio mondano, divenne una predicazione di umilt e di amore cristiano. Lo stesso fratello dellucciso, come afferma il Manzoni, fu da quel giorno pi posato e pi affabile. Fra Cristoforo, invitato insistentemente ad accettare qualcosa (era stato preparato per loccasione un sontuoso rinfresco per gli invitati) chiese che gli dessero in elemosina un pane, in pegno di perdono; del quale una parte mangi e una parte conserv in un cofanetto, per ricordo del suo peccato e della doverosa espiazione, a cui tutta la vita era stata dedicata. Riguardo al ministero al quale si dedic una volta consacrato sacerdote, lAutore dice che egli, oltre a compiere scrupolosamente tutti gli incarichi che gli venivano affidati dai superiori, e a sottoporsi volentieri a quanto era imposto dalla regola dellOrdine, non mancava mai di compiere altri due uffizi che si era imposti da s: appianare contrasti e proteggere oppressi. A questi compiti egli era portato dalla sua natura impetuosa e onesta, che non poteva sopportare ingiustizie e prepotenze, quella natura per la quale, quando era ancora Ludovico, si era imbarcato in tante lotte contro i signorotti della sua citt. Allora per combatteva con le stesse armi del nemico, con le armi della forza e della violenza; ora invece il frate lottava con armi ben diverse, fornite dalla fede e dalla cristiana fortezza, e accanto allumilt, alla carit e al perdono metteva in opera anche il consiglio, la prudenza e lammonizione talora vibrata e irruente. Perci non c da meravigliarsi se, alla chiamata di Lucia, corre sollecito alla sua casetta, presago di andare a sentire qualche tristo accidente; anche perch verso Lucia, di cui era da tempo direttore spirituale, egli portava una paterna sollecitudine, non scevra di ammirazione per la sua anima santa e pura, che lui aveva contribuito a rendere cos eletta.

30

CAPITOLO V
Padre Cristoforo, entrato nella casetta di Agnese, dopo un semplice e cordiale saluto chiede cosa successo; Lucia in lagrime, tanto il turbamento di quellanimo semplice e inesperto del male; per cui la madre fa la sua dolorosa relazione, ascoltando la quale il frate non trattiene il suo doloroso stupore misto di indignazione. Quandebbe udito tutto, esclam con tono di affettuosa piet: Poverette! Dio vi ha visitate. Parole semplici, ma pregne di significato: nella prima esclamazione si avverte tutta la partecipazione intima e sentita al loro dolore, la comprensione della loro pena; le parole successive esprimono la valutazione cristiana del dolore, considerato appunto una visita di Dio, quindi come una cosa non da odiare, ma piuttosto da amare, non da fuggire, ma piuttosto da ricercare, o almeno da accettare con fiduciosa rassegnazione. Infatti il dolore, che conseguenza del peccato, oltre che mezzo di espiazione, per il cristiano anche un efficace strumento di perfezionamento morale e di elevazione interiore. Esso , per cos dire, come il fuoco impetuoso che raffina il nobile metallo. Dopo quelle parole sgorgategli dal cuore, fra Cristoforo si concentra, pensando al modo migliore di aiutare le poverette. Metter vergogna o anche fare paura a don Abbondio, con ammonizioni e minacce spirituali? Fatica sprecata: quale paura potrebbe essere per lui equivalente a quella di una schioppettata? Scrivere allArcivescovo? Ci vuol tempo; e intanto, se don Rodrigo passava alluso della forza, come resistergli? Nemmeno i suoi confratelli di Pescarenico sarebbero stati tutti dalla sua parte, e tanto meno quelli di Milano, perch don Rodrigo e i suoi parenti di Milano facevano gli amici del convento, i fautori dei Cappuccini; e probabilmente gli altri frati lo avrebbero tacciato di irrequieto e turbolento, se non addirittura di amante dei contrasti e attaccabrighe! Insomma, dopo aver riflettuto un po, il partito migliore gli sembr quello di andare addirittura dal signorotto, per cercare di smuoverlo dal suo turpe capriccio, con le preghiere o anche con le minacce, spirituali e temporali, qualora non avesse voluto ascoltare le suppliche. Era una cosa ben difficile che un prepotente di quella fatta si arrendesse a preghiere disarmate, ma valeva la pena tentare; se non altro, il colloquio gli sarebbe servito per sondare le intenzioni di don Rodrigo, per scoprire fino a che punto fosse intestardito. Quando il frate, avendo ormai preso la decisione, alz il viso per comunicarla alle donne, vide Renzo che era giunto da qualche minuto, ma era rimasto silenzioso in disparte per non disturbare il Padre il quale, a testa china, ponderava i pro e i contro dei vari partiti. Dopo il cordiale saluto del frate, il giovane si lasci scappare delle parole amare contro gli amici del mondo, i quali prima, allorch non cera pericolo in vista, gli promettevano di sostenerlo contro chiunque, pronti anche a eliminare il suo eventuale avversario mentre ora, saputo che il nemico don Rodrigo, si ritiravano pavidi Ma vedendo il volto del Padre rabbuiarsi a queste parole, Renzo comprese subito che esse non erano davvero degne di un cristiano, e confuso cercava di mutarne il

31

senso, ma invano. Fra Cristoforo lo redargu aspramente, ammonendolo che con questo suo comportamento vendicativo egli rischiava di perdere il solo Amico che poteva e voleva aiutarlo ma doveva confidare in Lui e in Lui solo, deponendo ogni odio e ogni proposito di vendetta. Renzo, pentito delle sue idee di violenza, promette di fidare nel Signore e di farsi guidare dal suo ministro; e allora le donne, anchesse gravemente turbate dalle irose parole del giovane, traggono un respiro si sollievo. Quindi il frate espone il suo disegno e subito si congeda dai suoi protetti, avendo fretta di tornare al convento. Giunse infatti in tempo per cantar sesta coi confratelli, e immediatamente, dopo aver pranzato, si mise in cammino verso il palazzotto di don Rodrigo, distante circa quattro miglia da Pescarenico. Ledificio sorgeva alla sommit di un poggio, ed era di costruzione cos massiccia da assomigliare a una bicocca. Lo si raggiungeva per mezzo di una strada a chiocciola che aggirava il colle, e aveva sul davanti unampia spianata. Ai piedi dellaltura si aggruppavano delle misere casupole abitate dai contadini del signorotto, i quali erano abituati alle armi non meno dei bravi e dovevano considerarsi, per cos dire, le sue truppe di riserva. Sui due battenti del portone del palazzotto erano inchiodati, con lali aperte, due grandi avvoltoi, simbolo evidente delle abitudini fiere e rapaci del padrone. Quando il frate arriv sulla spianata, vide il portone chiuso, e arguendo che il signore stava ancora pranzando, si disponeva ad aspettare; ma uno dei due bravi di guardia, che in qualche occasione si era ricoverato in convento essendo braccato dai birri, lo invit pressantemente a venir pure avanti, picchiando nello stesso tempo alluscio. Venne ad aprire un vecchio servitore, che fungeva da cerimoniere, il quale, vedendo che limportuno era il frate, smise subito di borbottare, acquiet i cani e introdusse lospite, ma non pot tenersi dallesprimere la sua meraviglia per la presenza del religioso in quella casa: Lei qui? Sar per far del bene Del bene se ne pu far per tutto. Da queste poche parole comprendiamo che il vecchio servo un bravuomo, lunico di quella casa, tollerato l, come spiega lAutore, per due soli motivi: perch aveva una sviscerata devozione al casato, avendo servito il padre di don Rodrigo, che era un valentuomo, e perch aveva una gran pratica del cerimoniale, per cui nei giorni di ricevimento diventava persona importante e indispensabile. Il servitore condusse il frate sino al locale attiguo alla sala del convito e quivi, essendosi proprio in quel momento aperta la porta, il cappuccino fu scorto da don Attilio mentre voleva ritirarsi per non disturbare a quellora; ed essendo stato invitato con insistenza dal conte, dovette entrare suo malgrado, pur comprendendo che non era quello il momento adatto per espletare la sua missione. Fatto sedere accanto al padrone di casa, il frate gli disse sommessamente che desiderava parlargli, con suo comodo, di una questione importante; e don Rodrigo lo assicur che avrebbero parlato in seguito, ma che intanto accettasse da bere. Davanti allinsistenza del signore, fra Cristoforo, cui conveniva compiacerlo in quanto fosse possibile, accett il vino offertogli, che cominci a centellinare, per mostrare che non aveva alcuna fretta.

32

Al banchetto partecipavano, assieme a don Rodrigo e al conte Attilio, che sedevano fianco a fianco su un lato lungo della tavola, il podest di Lecco e lavvocato Azzecca-garbugli, che si fronteggiavano ai lati corti della mensa rettangolare, mentre di fronte ai due cugini stavano due convitati oscuri, come dice il Manzoni, cio due parassiti, invitati per far numero, il cui compito era solo quello di mangiare e di magnificare cibi e bevande assieme allopulenza del nobile convitante, e inoltre di sorridere e approvare ogni cosa che dicesse un commensale, a cui un altro non contraddicesse. Mentre il frate, seduto accanto a don Rodrigo ma un po discosto dalla tavola, sorbiva calmo il suo calice, si riaccese la disputa che, allingresso del Padre, si era momentaneamente placata. Essa verteva su un punto di cavalleria: un nobile di Spagna aveva inviato recentemente una sfida a un cavaliere milanese; il latore del cartello, non trovando in casa lo sfidato, rimise il foglio, senza chiedergliene il permesso, nelle mani del fratello del destinatario, il quale, ritenendosi offeso da questa mancanza di riguardo, diede per tutta risposta delle sonore bastonate allincauto ambasciatore il quale questa volta, contrariamente al noto proverbio, port la pena della sua missione. Don Attilio, nella sua burbanza nobiliare e anche per un tantino di orgoglio milanese nei riguardi del portatore e del cavaliere, che erano spagnoli, sosteneva che quelle legnate erano legittime, anzi sacrosante; il Podest, nella sua prosopopea di leguleio e anche di funzionario legato, per interessi se non pure per nascita, agli Spagnoli dominatori, affermava che lazione del cavaliere milanese era abominevole e contraria a tutte le regole della cavalleria e del diritto internazionale, perch la persona dellambasciatore -jure gentium- sacra e inviolabile. Siccome la disputa si riscaldava sempre pi, e don Attilio, nella foga incontrollata del discorso, non si teneva dalloffendere ormai apertamente il Podest, il quale evidentemente non era di estrazione nobiliare, don Rodrigo, per sopire la discussione, propose di deferire la contesa a un arbitro, cio al padre Cristoforo. Questi si schermisce allegando la sua incompetenza in materia di cavalleria, ma dinanzi alle ripetute insistenze del padrone di casa, dice che il suo modesto parere che non ci dovrebbero essere n sfide n duelli n bastonate. Questa opinione suscit lincredulit e la delusione generale, e soprattutto lironia del Conte, il quale tacci il frate di ingenuit e di scarsa conoscenza del mondo; ma don Rodrigo,volendo evitare che la contesa si riaccendesse, perch a lui premeva non alienarsi lamicizia del Podest, cio la benevola connivenza della massima autorit governativa del territorio di Lecco, incaric scherzosamente lavvocato, che per difendere ogni assunto era una cima, di giustificare il parere del frate. Il dottor Azzecca-garbugli, chiamato in causa, rispose cerimoniosamente che il parere del Cappuccino non era adeguato a una disputa cavalleresca, pur avendo il suo peso dal punto di vista religioso; secondo lui il frate aveva voluto, con una battuta scherzosa, togliersi dallimpaccio di dare una sentenza in una materia lontana dal suo ministero. Allora don Rodrigo, sempre allo scopo di stornare il discorso da quellargomento scottante, accenn alla guerra che si stava combattendo per la successione al ducato di Mantova, aggiungendo che a Milano

33

correvano voci di accomodamento. Ma purtroppo anche a questo proposito si riaccende lantagonismo ideologico fra il Conte e il Podest; infatti questi nega ogni possibilit di accordo, sostenendo di essere ben informato, in quanto amico intimo del capitano spagnolo comandante la guarnigione di Lecco, il quale a sua volta una creatura del Primo Ministro di Madrid, nientemeno che il conte dOlivares, detto il Conte duca. Don Attilio a sua volta sostiene che ogni giorno a Milano gli capita di parlare con personaggi molto pi altolocati e informati di un semplice capitano di guarnigione, e pu quindi assicurare che sono avviate trattative, specie per opera del Papa In un batter docchio la disputa si rinfocola e rischia di arrivare a un punto di rottura, ma don Rodrigo d docchio al cugino, facendogli capire che, per amor suo, cessi dal contraddire il Podest; e solo allora questi, avendo campo libero, pot tessere una sperticata lode del Conte duca, irridendo alle mene di quel povero Cardinale di Richelieu che silludeva di poter competere con un Olivares. Don Rodrigo, per mettere fine a questo elogio che non piaceva al cugino, il quale ormai non stava pi alle mosse e gli faceva gli occhiacci, propose di fare un brindisi in onore del Conte duca. Il Podest accolse la proposta con orgoglio ed entusiasmo, perch dice ironicamente il Manzoni tutto ci che si faceva o si diceva in onore del Conte duca, lo riteneva in parte come fatto a s. E volle lui stesso esprimere nel brindisi i voti dei presenti, mentre il dottore si assunse il compito di tessere lelogio del vino anzi del nettare di don Rodrigo. Ma le parole laudative dellavvocato, il quale a un certo punto afferm che la carestia era bandita per sempre dal palazzo del signor don Rodrigo, richiamarono lattenzione e il discorso su questo doloroso argomento. Qui tutti erano daccordo che la penuria era causata dai fornai e dai cinici incettatori di derrate, contro i quali bisognava agire subito. Ma anche a questo proposito si riaccende la contesa tra il Conte e il Podest: il primo grida che bisogna impiccarli senza misericordia e senza formalit, il secondo chiede dei buoni processi (cio con la tortura e le altre belle garanzie legali); finch il padrone di casa si alza e chiede licenza agli ospiti di appartarsi per il colloquio che aveva promesso al Padre.

34

CAPITOLO VI
Condotto il visitatore in unaltra stanza, senza invitarlo ad accomodarsi, e quindi mostrando chiaramente lintenzione di spicciarsi, don Rodrigo con tono duro e imperioso chiese: In che posso obbedirla? Al tono sgarbato della voce del suo interlocutore, che contrastava fortemente con la gentilezza manierata della formola, fra Cristoforo si sent come sferzato, e stava per rispondere per le rime, quando si ricord per chi e per che cosa stava l, e propose di essere il pi umile, il pi calmo e il pi prudente possibile, per cercare di convincere con le buone il signore a desistere dal non certo onorevole impegno. Per si accorse subito che il proposito era oltremodo difficile, perch il suo interlocutore cercava di offenderlo, per far degenerare il colloquio in contesa, onde far perdere le staffe al frate e quindi avere il pretesto di metterlo alla porta prima che potesse venire al nocciolo della questione. Infatti, avendo fra Cristoforo fatto appello allonore e alla coscienza del signore, in difesa di una ragazza perseguitata, questi con tono risentito rispose che non aveva alcuna intenzione di confessarsi da lui, e in quanto allonore, lui ne era il solo geloso custode, e chiunque ardisse occuparsene sarebbe stato da lui considerato come il peggiore nemico di esso. Fra Cristoforo ingoia loffesa e, raddoppiando la circospezione, rinnova le preghiere e le suppliche in nome di Dio, per quel Dio, al cui cospetto dobbiamo tutti comparire; ma il signorotto lo interrompe brusco, dicendo che non tollera uno che gli viene a fare la spia in casa. Queste parole ingiuriose fecero venir le vampe sul volto del frate; eppure, con un supremo sforzo di autocontrollo, egli riusc a contenersi e, senza raccoglier loffesa, a insistere nella preghiera di lasciar in pace la ragazza, accennando ancora alla responsabilit che il signore aveva davanti a Dio e alla Sua giustizia, anche se poteva eludere la legge umana. Allora don Rodrigo, con insinuazione maligna, disse che se cera qualche ragazza che gli premeva, andasse a fare le sue confidenze a qualche altro, e non infastidisse pi a lungo un gentiluomo; e fece atto di andarsene. Ma fra Cristoforo, senza mostrarsi offeso, rispose che quella ragazza gli stava a cuore spiritualmente non pi di lui stesso, e torn a pregarlo con accorata insistenza. A questo punto don Rodrigo, volendo farla finita, ben sapendo che, alla sua proposta, il frate non avrebbe pi saputo dominarsi, disse al suo interlocutore di convincere detta ragazza a venire spontaneamente nel suo palazzo, mettendosi sotto la sua protezione, cos nessuno avrebbe pi osato importunarla A queste parole il frate non riusc pi a trattenere il suo sdegno lungamente represso; ogni proposito di calma e di pazienza fu dimenticato, e anche il suo aspetto esteriore fu trasformato: il viso si accese, gli occhi lampeggiarono, il busto si fece eretto, e con fiera positura egli rispose che la ragazza era sotto la protezione di Dio e sicura dalle sue grinfie. Dicendo queste parole assunse il tono di sfida, di accusa e di minaccia proprio degli inesorabili

35

profeti dellAntico Testamento (con la prosopopea di Nathan dice il Manzoni), e aggiunse alzando la voce: Lucia sicura da voi: ve lo dico io povero frate; e in quanto a voi, sentite bene quel chio vi prometto. Verr un giorno Don Rodrigo, preso da spavento per linfausta profezia che si annunziava, la tronc immediatamente, investendo il Cappuccino con le minacce e gli insulti pi volgari e truculenti: Escimi di tra piedi, villano temerario, poltrone incappucciato ringrazia il saio che ti copre codeste spalle di mascalzone, e ti salva dalle carezze che si fanno ai tuoi pari, per insegnar loro a parlare. Esci con le tue gambe, per questa volta; e la vedremo. Con questultima frase mostr di accettare in pieno la sfida a proposito di Lucia, per cui il suo possesso diventava per lui, da quel momento, anche un punto di onore. Fra Cristoforo ricevette gli improperi senza scomporsi, non rispondendo nulla, perch ormai ogni parola era inutile, e la sua missione era fallita: di questo soltanto era addolorato e profondamente amareggiato, non dei brucianti insulti, che sembrava non lo riguardassero, perch tutta la sua vita era associata allidea di umiliazione e abnegazione di s stesso. Mentre usciva per la porta indicatagli con cenno imperioso dal padrone di casa, vide il vecchio servitore che si ritirava lungo il muro, evidentemente per non farsi scorgere dal signore. Quindi, accompagnando il frate alluscita, gli disse in gran mistero, e chiedendo il segreto, che aveva qualcosa da comunicargli in merito allargomento del colloquio, e che sarebbe andato al convento non appena avesse appurato che cosa di preciso si stava preparando contro Lucia, perch qualcosa in aria cera di sicuro. E soggiunse: Mi tocca a vedere e a sentir cose! cose di fuoco! Ma io vorrei salvar lanima mia. Fra Cristoforo lo benedisse e lo preg di andare al convento lindomani per rivelargli tutto ci che si stava tramando; quindi usc da quella casa con questo pegno di assistenza che il Signore gli aveva concesso proprio in quel luogo, dove meno se lo sarebbe aspettato; e questo addolc alquanto la sua amara delusione. A proposito del vecchio servitore, il Manzoni accenna al problema morale posto dal suo comportamento verso il proprio padrone: gli era lecito origliare, per conoscere lo scopo della visita del Cappuccino? E noi potremmo anche chiederci: gli era lecito fare la spia, attraversare i disegni del padrone, contravvenendo al dovere della fedelt? Questioni importanti dice lAutore ma che il lettore risolver da s, se ne ha voglia. Il Manzoni per, mentre sembra volersene lavare le mani, ci mette sulla buona strada della soluzione di questo problema morale, quando dice che ogni regola ha la sua eccezione. Infatti il servo agiva a fin di bene: egli aveva saputo qualcosa a proposito di Lucia, che cio si tramava contro linnocente per insozzarne la purezza; aveva intuito che il frate era venuto per quella cosa, e volle accertarsene tendendo lorecchio al buco della serratura; avutane la certezza, si mise subito a disposizione del frate per salvare quella poveretta insidiata dal suo padrone. Sentiva di doverlo fare per coscienza, mentre il dovere di fedelt in questo caso non lo vincolava pi, poich nessuno pu essere tenuto a essere collaboratore o connivente con gli operatori di iniquit. Infatti la morale cristiana ci insegna che non dobbiamo pi ubbidire ai superiori quando ci

36

comandano cose ingiuste o cattive; e in tal caso siamo anche sciolti dal vincolo di fedelt, anche se avessimo esplicitamente giurato di essere fedeli e ubbidienti. Mentre il frate si batteva per la causa di Lucia nel palazzotto di don Rodrigo, nella casetta di Agnese si ventilava un altro progetto: il matrimonio di sorpresa. Lesperta vedova assicur la figlia e il futuro genero che, se si presentavano al parroco con due testimoni e pronunciavano una certa formula, con cui dichiaravano la loro volont di essere marito e moglie, il matrimonio era valido come se lavesse celebrato il Papa. I promessi sposi rimasero meravigliati e quasi increduli, ma Agnese conferm la cosa anche con un esempio, accaduto in paese molti anni prima; sicch Renzo abbracci il partito con entusiasmo, perch il progetto gli sembrava a tutta prima facile e sbrigativo. Lucia invece non sembrava affatto convinta. Il suo ragionamento era semplice ma inoppugnabile: se la cosa lecita, perch non dirlo al Padre? se lecita non , non dobbiamo farla. Agnese ribatt che mai avrebbe dato un consiglio contro la legge di Dio; certo quel tipo di matrimonio era come uneccezione alla regola generale, ma non era colpa loro se la via normale era loro preclusa; la colpa era del curato che non voleva fare il suo dovere, per obbedire a un prepotente senza timor di Dio Renzo, ormai tutto preso dallidea, pens subito ai testimoni e al modo dintrodursi nella casa del curato, poich questo gli sembrava il punto pi difficile, dato che don Abbondio se ne stava tappato in casa, certamente anche per il sospetto che i due promessi potessero ricorrere alla via eccezionale del matrimonio clandestino. Le tribolazioni aguzzano il cervello, osserva il Manzoni, aggiungendo che Renzo il quale, fino a quel giorno, non aveva avuto occasione di aguzzare il suo, non essendosi mai trovato in circostanze critiche, in questa situazione difficile aveva escogitato un piano davvero magistrale. Sapeva che Tonio, un suo amico, doveva a don Abbondio 25 lire per fitto di un campo, e pens che, se il debitore si fosse presentato di prima sera alla porta della canonica per pagare quella somma, sarebbe stato certamente introdotto, nonostante il sospetto del parroco, poich la sua ben nota avidit non avrebbe voluto perdere la buona occasione, a lungo aspettata. Con Tonio poteva entrare anche un altro, come accompagnatore, dato che portava quel denaro; e dietro i due avrebbero potuto insinuarsi, data loscurit, i promessi sposi. Per concertare meglio il piano di azione col suo principale collaboratore, Renzo and a casa sua, e lo trov che si accingeva a desinare, per cui lo invit a cenare con lui allosteria, per non disturbare il resto della famiglia; proposta tanto pi gradita, in quanto la carestia si faceva gi sentire nella povera casa di Tonio, e la piccola polenta di gran saraceno, appena scodellata sulla taffera di faggio, non avrebbe potuto saziare la fame della numerosa famiglia. Una volta allosteria (luogo di delizie per gli abitanti del paesello, i quali per si erano disavvezzati ad essa a causa della penuria), dopo aver mangiato quello che trovarono e scolato un boccale di vino, Renzo espose il suo piano che il compagno accolse con entusiasmo e gratitudine: si trattava di pagare il debito, che don Abbondio gli rinfacciava in ogni incontro, e di riavere la collana doro della moglie, pretesa come pegno dal parroco, che evidentemente non accordava fiducia alle sue

37

pecorelle, la quale sarebbe stata barattata in altrettanta polenta, per sfamarsi almeno per qualche mese. Per il secondo testimone Tonio propose il fratello Gervaso, in verit un po tonto; ma gli avrebbe insegnato lui ben bene il da farsi Renzo torn a casa della fidanzata, contento di aver avviato il suo progetto in modo cos favorevole. Ma cera ancora una difficolt, come fece giustamente rilevare Agnese: Perpetua avrebbe fatto entrare i due fratelli, latori della somma; ma avrebbe fatto entrare i due promessi? anzi avr ordine di tenerli ben lontani!... Il giovane si trov impicciato davanti a questa difficolt, ma la brava Agnese disse che aveva trovato lei il mezzo per distrarre la serva del curato: si sarebbe trovata l come se fosse di passaggio, e dopo averla salutata, mentre apriva ai due testimoni, le avrebbe toccato un tasto a cui era molto suscettibile, una certa corda che avrebbe sicuramente dato il suo suono: bastava accennare dubitativamente ai matrimoni che lei diceva di aver rifiutati! Renzo ringrazi con trasporto la futura suocera: Benedetta voi! lho sempre detto che siete nostro aiuto in tutto. Restava per unultima e pi grave difficolt, che frustrava tutte le precedenti brillanti soluzioni escogitate dai due, alleati alla buona riuscita dellimpresa: Lucia restava ferma nel suo diniego! Le sue parole erano accorate ma salde nel suo proposito: Ah Renzo! non abbiam cominciato cos. Io voglio esser vostra moglie, ma per la strada diritta, col timor di Dio, allaltare. Lasciamo fare a Quello lass. Non volete che sappia trovar Lui il bandolo daiutarci, meglio che non possiam far noi, con tutte codeste furberie? E perch far misteri al padre Cristoforo? Mentre la madre e il fidanzato cercavano invano di convincerla, si sent il calpestio dei sandali e il fruscio del saio del frate, che stava giungendo frettoloso; per cui azzittirono, e Agnese preg sommessamente la figlia di non dir niente al Padre, della cosa.

38

CAPITOLO VII
Il padre Cristoforo, dice il Manzoni, giungeva come un bravo capitano che, perduta senza sua colpa una battaglia, non perde la testa, ma si reca con prontezza l dove il bisogno lo chiama. Con poche parole informa dellessenziale i suoi cari protetti: Non c nulla da sperare dalluomo: tanto pi bisogna confidare in Dio: e gi ho qualche pegno della sua protezione. Le donne accolsero con dolente rassegnazione la triste notizia, ma Renzo fu sopraffatto dallira, e voleva sapere, il poveretto, quali ragioni aveva portato, quel cane, per sostenere la sua turpe pretesa Come se i prepotenti dovessero dire i motivi delle loro azioni ingiuste e violente. Fra Cristoforo non si sdegn per questo scatto del giovane, il quale era fuori di s; sapeva ben mettersi nei suoi panni, e lo compativa con tutto il cuore; ma lo esort affettuosamente ad avere pazienza e fiducia nel Signore, a concederGli il tempo che si voleva prendere per far trionfare la giustizia. Quindi si conged dopo aver pregato Renzo di andare lindomani al convento (o di mandare, in caso di impedimento, qualche persona fidata) per sapere che cosa bisognasse fare, in base alle notizie che lui stesso sperava di ricevere. Uscito dalla casetta, si affrett verso il convento, per giungervi prima dellimbrunire, onde non meritare qualche punizione che potesse limitare, il giorno dopo, la sua libert di movimento, della quale aveva assoluto bisogno per agire efficacemente in difesa di Lucia. Costei, partito il Padre, subito parl con fiducia del pegno a cui il frate aveva accennato, per aiutarli, e disse che bisognava fidarsi di lui, perch non prometteva invano; ma Agnese replic che doveva essere ben misera cosa, una cosa campata in aria, perch altrimenti il Padre avrebbe dovuto precisarla meglio o almeno dirla a lei in disparte. Renzo poi fu travolto dallira, che davanti a fra Cristoforo aveva a stento trattenuta, e come fuor di s andava gridando che lavrebbe trovato lui il mezzo di risolvere la cosa e liberare nello stesso tempo il paese tutto, avesse pur mille diavoli in corpo quel dannato Lucia, a queste parole ben troppo chiare, ebbe un sussulto di orrore che la paralizz per qualche momento, ma poi vinse il suo terrore, e cercava di far tornare Renzo in s, ma infine il pianto le imped di continuare. Anche Agnese si adoperava per calmare il giovane; ma si vedeva che la sua paura non era tanto per lomicidio in s, per la responsabilit di Renzo davanti a Dio, quanto per il pericolo insito nella sua realizzazione e per le conseguenze che ne deriverebbero davanti alla giustizia umana. Alla figlia invece faceva orrore lazione in s e la grave offesa della legge di Dio, che legge di perdono e di amore. Agnese invita Renzo a riflettere che il proposito truce non facilmente realizzabile: Non vi ricordate quante braccia ha al suo comando colui? E quandanche Dio liberi!... contro i poveri c sempre giustizia. Davanti al reiterato proposito del fidanzato di uccidere quel cane assassino, per poi mettersi in salvo oltre il confine, accompagnato dalle benedizioni della

39

gente, Lucia trova la forza di parlare, e si esprime con molta fermezza: lei si era promessa a un giovane timorato di Dio; ma uno che avesse commesso unoffesa cos grave contro la legge divina, fosse anche al sicuro da ogni vendetta o giustizia degli uomini, non lavrebbe mai sposato! E bene! grid Renzo col viso pi che mai stravolto io non vavr; ma non vavr neanche lui. Io qui senza voi, e lui a casa del La ragazza, udendo queste terribili parole, torn alle suppliche, al pianto, e infine si gett in ginocchio davanti allo sposo, scongiurandolo di non farla morire di angoscia. Ma Renzo che probabilmente, pur nella furia dellira, intuiva di poter approfittare della paura di lei per indurla al matrimonio clandestino, con voce dura le disse: Che bene mi volete voi?... Non vho io pregata, e pregata, e pregata? E voi: no! no! Lucia questa volta vinta, e risponde immediatamente che sarebbe andata dal parroco, anche subito se lo voleva, purch tornasse quello di prima; davanti alla promessa della sposa lira di Renzo sboll quasi a un tratto, e Agnese fu doppiamente contenta, e per Renzo tornato finalmente in s, e per Lucia che si era infine convinta. E probabilmente anche la ragazza non era del tutto scontenta di essere stata costretta ad acconsentire, perch amava Renzo, e purtroppo il matrimonio clandestino era ormai lunico mezzo per diventare subito sua moglie. Intanto si era fatta notte, e Renzo lasci la casetta delle sue care donne. Il giorno seguente ci torn di buonora, per prendere gli ultimi accordi con Agnese, in quanto Lucia rimaneva del tutto passiva allelaborazione del piano, pur promettendo che avrebbe fatto tutto quello che occorreva, nel modo migliore che saprebbe. A Pescarenico, per ricevere eventuali avvisi da padre Cristoforo, Renzo non volle andare, sia perch doveva ancora accudire allaffare, sia perch temeva che il Padre gli potesse leggere in viso la novit che si preparava per quella sera. Sicch Agnese decise di mandare Menico, un lontano nipote di circa dodici anni, ragazzo molto sveglio e da poterci fare affidamento. Lo chiese ai genitori, gli fece fare unabbondante colazione, e quindi lo mand al convento, ammonendolo di restare sempre l a disposizione di fra Cristoforo, senza andare al lago a veder pescare o per giocare lui stesso a rimbalzello, che era la sua specialit. Poh! zia; non son poi un ragazzo. In queste parole Menico mostra una seriet superiore alla sua et; egli si sente investito di un compito importante e delicato, e se ne vuol mostrare degno; rassomiglia un po a Bettina la quale, allorch fu pregata dallo sposo di recare quellambasciata segreta a Lucia, si affrett a eseguirla col massimo impegno, lieta e superba davere una commissione segreta per la sposa. Per tutta la mattinata per si videro ronzare intorno alla casetta di Agnese dei viandanti sconosciuti i quali, passando a passo lento davanti alla porta di strada, gettavano qua e l degli sguardi esplorativi. Uno poi, vestito da mendicante, ma non rifinito n cencioso come i suoi pari, entr addirittura nella casetta, con la scusa di avere un po di carit; ricevuto un pezzo di pane, si attard a fare domande indiscrete alle quali Agnese, per nulla ingenua, rispose evasivamente o al contrario delle verit. Mentre se ne andava, finse di sbagliar uscio e imbocc quello che dava alla scala; richiamato prontamente indietro e indicatagli la porta

40

giusta, se ne usc scusandosi con unumilt affettata, che stentava a collocarsi nei lineamenti duri di quella faccia. Per capire chi fossero il finto mendico e gli altri spioni, dobbiamo tornare un poco indietro nel racconto, cio al momento in cui don Rodrigo, fremente dira e dorrore, vide allontanarsi dalla sua casa laborrito frate. Per cercare di calmarsi, camminava a passi concitati su e gi per la stanza, tappezzata dei ritratti dei suoi antenati: un capitano, terrore dei nemici ma anche dei propri soldati; un magistrato, terrore dei litiganti e degli avvocati; una matrona, terrore delle sue cameriere; perfino un abate, terrore dei suoi monaci; insomma tutta gente che aveva incusso paura e la spirava ancora dai visi accigliati. Tanto pi il puntiglioso signore si arrabbiava con s stesso, per non aver reagito convenientemente contro lardire del frate, che aveva osato inveire contro di lui con laspetto di un profeta biblico. Ma pure, ripensando a quellinizio di profezia (Verr un giorno), si sentiva accapponare la pelle, preso da un misterioso spavento, e in certi momenti pensava anche di rinunciare e alla vendetta e alla passione sensuale, che ormai diventava tormentosa. Per farsi passar la mattana, usc a passeggio con un buon seguito, quindi si rec in una casa di amici, dove fu ricevuto con molto rispetto, e torn al palazzotto molto tardi. Era ad attenderlo il malefico cugino, il quale cominci a punzecchiarlo circa la scommessa (doveva pagare una grossa somma, se per il giorno di San Martino 11 novembre la ragazza non fosse gi in suo possesso) e circa la visita del frate il quale, secondo lironico don Attilio, avrebbe niente di meno convertito quel libertino di Rodrigo. Questi tronc con aria di sfida quei frizzi molesti, dicendo che la data di San Martino avrebbe deciso della scommessa, che lui era pronto a raddoppiare, tanto era sicuro di vincerla; il che lasci tra incredulo e attonito il conte, ignaro di quanto si stava tramando. La mattina seguente dice il Manzoni don Rodrigo si dest don Rodrigo, vale a dire con la sua albagia, e con la passione pi viva che mai: le ubbie, le paure per quellesordio di profezia del maledetto frate erano svanite col sonno e coi sogni della notte, e lui si sentiva forte e pi sicuro che mai. Chiam il fedele (tale lo credeva) luogotenente, il Griso, un assassino il quale aveva ottenuto limpunit indossando la sua livrea e mettendosi al suo incondizionato servizio, e gli comand che entro quella giornata (era il 10 novembre) o meglio prima dellalba dellindomani, la ragazza che lui sapeva doveva trovarsi gi nel palazzo. Ed ecco il Griso iniziare immediatamente lopera di ricognizione del terreno in cui avrebbe dovuto operare la notte successiva, e credette bene di poterlo fare meglio sotto mentite spoglie; ecco i suoi degni accoliti gironzolare, quali onesti viandanti, intorno alla povera casetta, per rendersi conto della sua posizione. Espletata la fase esplorativa, si passa a quella operativa: il piano del ratto viene congegnato in ogni particolare tra il Griso e il suo padrone, che gli raccomanda pressantemente, facendolo responsabile, di usare ogni rispetto alla ragazza, di non torcerle un capello. Il vecchio servitore, che stava allerta, riusc infine a sapere quello che si preparava per la notte quando questa era ormai vicina, ma non volle mancare al suo impegno, e uscito con la scusa di prendere una boccata daria, corse al

41

convento a portarne lavviso al Padre, mentre gi unavanguardia del corpo di spedizione era andata ad appostarsi in un casolare abbandonato, appena fuori del paese e non distante dalla casetta di Agnese. Pi tardi sarebbe partito il grosso della truppa con il Griso, e infine fu condotta al casolare una bussola per trasportare la prigioniera. Quando furono tutti riuniti nella base di partenza, il Griso ne mand tre allosteria del villaggio in ispezione, per vedere se ci fossero novit da segnalare, e avvertire quando tutti gli abitanti fossero a letto. Mentre i tre birboni giungevano allosteria e si postavano, uno alla porta a spiare e due dentro a giocare alla morra, Renzo si rec dalle donne, per dire che andava allosteria con Tonio e Gervaso, per offrire loro la cena, come aveva promesso: loro si tenessero pronte e si facessero coraggio, specie Lucia. Quando il giovane giunse allosteria coi suoi ospiti, trov il bravo (travestito) che sbarrava spavaldamente met porta, e per non attaccar lite, dato che aveva ben altro a cui pensare in quel momento, si adatt a entrare di traverso, come fecero i suoi due amici. Dentro poi vide laltra bella coppia, che smisero subito di giocare per squadrarlo fieramente. Parve a Renzo che i tre compagnoni si scambiassero uno sguardo dintesa, per cui sinsospett, ma non sapeva che cosa pensare di quei forestieri. Comunque prese posto con i suoi accompagnatori, e alloste, che si era presentato per servirli, chiese sottovoce chi fossero quei signori; quegli rispose di non conoscerli, mentre sapeva benissimo che erano bravi di don Rodrigo, anche se senza livrea e apparentemente disarmati. Quando poi loste fu tornato in cucina per prendere le vivande, uno dei bravacci gli si accost e gli chiese con fare poco cerimonioso chi fossero i nuovi venuti, e naturalmente venne subito accontentato. A questo proposito lAutore mette in luce il diverso modo di comportarsi delloste, il quale affermava a ogni pi sospinto di essere amico dei galantuomini, ma in realt usava molto maggior compiacenza con quelli che avessero riputazione o sembianza di birboni. Purtroppo il mondo va cos anche oggi! Quando Renzo, dopo aver cenato con poco appetito, usc dallosteria, si accorse con allarme che i due bravi che aveva lasciati dentro si erano messi invece a seguirlo; allora si ferm deciso, per vedere una buona volta che cosa volessero. Ma quelli, che avevano avuto lintenzione di sorprenderlo e di conciarlo ben bene, secondo le istruzioni del padrone al Griso nel caso che fosse loro capitato nelle mani, visto che il giovane sera accorto di loro, si fermarono indecisi, quindi pensarono bene di rinunciare al loro progetto, per non guastare per caso il piano principale con la loro estemporanea iniziativa. Infatti nel villaggio cera ancora molta gente in giro, e la situazione non era propizia alla realizzazione del loro proposito, che pur avrebbe potuto procurar loro un lauto premio dal signore. Allorch Renzo con i testimoni giunse alla casetta della fidanzata, costei si trovava in tale stato di prostrazione morale e di spavento, che era decisa a soffrire ogni cosa pur di non acconsentire a quanto aveva pur promesso; ma quando tutti si avviarono senza alcuna esitazione, non seppe opporsi, n dire alcunch, e anche lei si mosse con gli altri come uninsensata. Presero per i campi, per non attraversare il paese, volendo evitare di esser visti da alcuno, e dalle viottole sbucarono nei pressi della canonica. Qui si divisero: avanti Tonio e Gervaso (che

42

non sapeva far nulla da s, - osserva umoristicamente il Manzoni e senza il quale non si poteva far nulla), Agnese un po pi indietro, per impadronirsi di Perpetua non appena fosse apparsa sulla porta, i promessi ancora pi indietro, nascosti dallangolo delledificio. Al picchio di Tonio, Perpetua si affacci alla finestra, chiedendo chi fosse a quellora; Tonio si fece riconoscere, aggiungendo che doveva parlare col curato. E ora da cristiani questa? disse bruscamente la donna Tornate domani. Allora Tonio disse che aveva riscosso proprio allora venticinque lire e veniva a pagare il suo debito; per, se lora era indiscreta, se ne andava a casa, ma il curato avrebbe dovuto poi pazientare ancora un bel po, perch quei soldi gli servivano per tante cose, e prima di tutto per mangiare: per questo era venuto pur a quellora tarda, ch altrimenti non avrebbe resistito alla tentazione di investirli in farina. Allora Perpetua, cadendo nella trappola, lo preg di aspettare, finch andava a riferire al padrone. Si poteva scommettere che costui, cos avido di denaro, non si sarebbe fatto sfuggire il debitore volenteroso; perci Agnese si avvicin ai due fratelli e cominci a ciarlare con Tonio, fingendo di essersi imbattuta con lui tornando dal villaggio vicino. I due promessi sposi rimasero soli dietro la cantonata, e Lucia, appoggiata al braccio dello sposo, tremava come una foglia, sia per quello che stava per fare, che la sua coscienza non poteva approvare, sia per il fatto di trovarsi, per la prima volta, tanto familiarmente sola con lui, mentre pur sperava di diventare sua moglie entro pochi minuti. Ma non erano le nozze che lei aveva sognato!

43

CAPITOLO VIII
Perpetua and a riferire al padrone, immerso nella lettura di un panegirico di San Carlo; anche lui brontol che lora era indiscreta, ma aggiunse subito che non bisognava lasciarsi sfuggire la buona occasione, che chi sa quando si sarebbe ripresentata. Quando la serva scese e apr luscio per far entrare i due fratelli, Agnese la salut e aggiunse che veniva dal paesetto vicino, e che aveva fatto tardi proprio per difenderla dalle calunnie delle pettegole, poich una donna di quelle che non sanno le cose, e vogliono parlare sosteneva che lei era rimasta zitella, perch non aveva mai trovato uno che la volesse. Questa corda aveva larghe risonanze nellanimo di Perpetua, la quale subito abbocc lamo e singolf, appartatasi con lamica, nel racconto dettagliato di tutti i partiti che le si erano presentati e che lei aveva puntualmente rifiutati. Sicch ad Agnese non fu difficile, nel fervore del racconto, allontanarla sempre pi dalla porta e condurla in un punto della strada da dove non si poteva pi vedere luscio della canonica. Allora la donna toss forte, come era stato convenuto, e Renzo e Lucia si affrettarono a entrare e raggiungere i due che si erano attardati nella scala. Arrivati tutti sopra, Tonio entr nello studio di don Abbondio col fratello; i due promessi rimasero fuori, accostati al muro, nella penombra: immaginate il gran battere del cuore di Lucia! Consegnate che ebbe le berlinghe, che il curato cont e ricont osservandole a una a una nel timore che ce ne fosse qualcuna falsa, il villano scarpe grosse e cervello fino non si accontent di riavere la collana della moglie, ma pretese anche la ricevuta del pagamento: non si sa mai! Mentre don Abbondio, pur borbottando, scriveva la quietanza, i due fratelli, ritti davanti al tavolo, gli chiudevano la visuale; in questo punto Renzo e Lucia entrarono in punta di piedi nella stanza e si nascosero dietro ai testimoni. Tutto stava riuscendo a pennello, secondo i piani. Allorch il curato, finito di scrivere il foglietto, alz la testa e stese la mano per consegnarlo a Tonio, questi e il fratello si scostarono lateralmente, e in mezzo a loro apparvero a un tratto i due promessi! Renzo non perse tempo, e pronunci subito la sua formula: Signor curato, in presenza di questi testimoni, quest mia moglie. Ma Lucia aveva appena cominciato a dire timidamente le sue parole sacramentali, che don Abbondio, reagendo immediatamente dopo il primo sbalordimento, la invest e, per cos dire, la imbacucc col tappeto del tavolo che aveva ghermito in furia, rovesciando sul pavimento tutto ci che cera sopra, compresa la lucerna che subito si spense immergendo nelle tenebre quella scena tragicomica. Mentre il curato usciva a salvamento, sempre gridando aiuto, e si barricava in una stanza pi interna, invocando Perpetua a squarciagola, nello studio la scena era indescrivibile, tra Renzo che cercava di calmare e indurre alla ragione il parroco, dopo aver tentato invano di bloccarlo, Lucia che, mortificatissima, pregava il fidanzato di tornare a casa, Tonio che cercava di ripescare la sua ricevuta, caduta a terra nella ressa, e infine Gervaso che gridava e saltellava come un ossesso. A

44

questo punto lAutore fa unacuta riflessione: Renzo sembra loppressore, perch s introdotto con linganno in casa altrui; don Abbondio appare la vittima, sorpresa in casa propria mentre badava pacificamente ai fatti suoi; nella realt invece le posizioni dovevano essere esattamente invertite; e conclude amaramente: Cos va spesso il mondo Don Abbondio, vedendo che Renzo non si ritirava, ma insisteva a bussare alla porta della stanza nella quale si era chiuso a chiave, pens bene di aprire la finestra e di gridare aiuto verso la piazzetta, nella speranza che qualcuno lo udisse. Lo ud infatti il sagrestano Ambrogio il quale, svegliato dalle sgangherate grida, si affacci al finestrino del suo bugigattolo, e vedendo che era il curato a invocar soccorso, non se la sent di accorrere lui solo, ma ritenne pi sicuro radunar molta gente; corse perci mezzo vestito al campanile e, afferrata la corda della campana pi grossa, cominci a sonare a martello con tutta la forza che gli dava lo spavento. A questo punto la scena si amplia e si complica, diventando uno spettacolo corale, nella cui descrizione il Manzoni manifesta la sua grande abilit di arguto narratore, con un racconto veramente affascinante, e dicastica evidenza, di questa notte deglimbrogli e dei sotterfugi. Noi cercheremo di sintetizzare il vivace racconto. Innanzi tutto dobbiamo tornare un po indietro, per vedere che cosa hanno fatto nel frattempo i bravi incaricati del rapimento di Lucia. I tre di essi che avevano passato la serata allosteria, quando videro le strade deserte, fecero un giretto per il paese per accertarsi che tutti gli usci fossero chiusi, quindi tornarono in fretta al casolare dove fecero la loro relazione al Griso. Questi, che per la bisogna si era vestito da pellegrino, subito si mise in marcia alla volta della casetta, seguito da tutti i suoi uomini. Giunto alluscio di strada, picchi con lintenzione di presentarsi come un pellegrino sperduto, che chiedeva ricovero per quella notte. Nessuno risponde; allora si forza la porta, si invade il cortiletto, si bussa alluscio di casa. Siccome anche questa volta nessuno risponde, dato che gli abitanti erano usciti per la loro spedizione poco prima dellarrivo degli invasori, il Griso fa forzare anche questa porta, e penetrano tutti nella casetta, eccetto due lasciati di guardia alluscio di strada. Frugano nelle stanze terrene: niente! Si precipitano per le scale, entrano nelle stanze del primo piano: nessuno! Frugano dappertutto, mettendo ogni cosa sottosopra: niente! Il Griso desolato. Intanto Menico giunge trafelato per recare alle donne e a Renzo, da parte di Padre Cristoforo, lavviso di lasciare immediatamente la casa e di rifugiarsi al convento; fa per picchiare alla porta di strada, ma essa cede e si spalanca da sola; mentre era esitante, viene afferrato dai due manigoldi l postati, i quali gli intimano di non fiatare: lui invece caccia un urlo per lo spavento. I birboni gli tappano subito la bocca e lo minacciano col coltellaccio, ma proprio in quel momento risuonano i rintocchi della campana a martello. Chi in difetto, in sospetto: i due malandrini, pensando che si suoni lallarme contro di loro, rimangono attoniti, e quasi senza accorgersene lasciano andare il ragazzo, il quale fugge verso il campanile, dove avrebbe certamente trovato qualcuno. Trov infatti

45

Renzo, Lucia e Agnese, che ai rintocchi pensarono bene di lasciare la casa del curato per tornare in fretta alla loro, prima che giungesse gente. Riconosciutili al chiaro di luna, Menico, con la voce alterata dallo spavento, disse loro di non andare a casa, che era invasa, ma di recarsi subito al convento, dove fra Cristoforo li attendeva. I poveretti capirono subito pi di quanto il ragazzo avesse detto, e senza frapporre indugio presero per i campi in direzione del luogo indicato. Nella casetta di Agnese, i lugubri rintocchi avevano seminato lo scompiglio tra i bravi, che subito batterono in ritirata, la quale si sarebbe mutata in rotta senza lautoritario intervento del Griso che svergogn un po i suoi uomini che si erano fatti prendere dal panico. Intanto la gente cominci ad accorrere verso il sagrato, e i primi giunti diedero una voce al campanaro per sapere che fosse successo. Ambrogio, visto che erano accorsi gi parecchi, lasci la corda della campana e dallinterno corse ad aprire la porta della chiesa. Ai soccorritori disse che era stata assalita la casa del curato; sicch tutti si rivolsero verso di quella, e si meravigliarono non poco nel vederla chiusa e silenziosa. Dentro, don Abbondio stava rimproverando la serva, la quale con la sua imprudenza e leggerezza laveva esposto a s gran pericolo; quando si sent chiamare a voce di popolo, si affacci e disse: Non c pi nessuno: vi ringrazio: tornate pure a casa. Quindi richiuse la finestra e non si fece pi vedere. Mentre la gente, brontolando a voce pi o meno alta, si allontana sparpagliandosi, giunge uno tutto trafelato, il quale annuncia con voce rotta che la casa di Agnese Mondella invasa da gente armata: si decide di correre in aiuto. Trovano la casetta vuota, ma con le tracce fresche dellinvasione, e pensando che le due donne siano state rapite, si propone di eseguire subito una battuta nei dintorni per raggiungere i rapitori. Ma mentre ci si raccoglie e ci si prepara a partire, esce uno a dire che Agnese e Lucia si son messe in salvo. La vaga notizia subito creduta, perch rispondente al desiderio e allinteresse di ciascuno, e ben presto la schiera dei villani si disperde, tornando ognuno volentieri alla propria casa, senza doversi battere con malfattori armati di tutto punto, mentre loro non avevano altro che forconi e qualche vecchio fucile quasi inservibile. In questo frattempo Renzo, Agnese, Lucia e Manico (Tonio e Gervaso erano frettolosamente tornati a casa loro) si erano allontanati di un buon tratto dal villaggio, per cui rallentarono il passo, e Agnese volle sapere da Renzo comera andata. Quindi si fecero ripetere meglio da Menico che cosa gli aveva detto il Padre e che cosa aveva visto nella loro casetta; e nel sentirlo rabbrividirono tutti, specie Lucia, ed ebbero per il ragazzo parole di affettuoso ringraziamento per quanto aveva fatto per loro. Regalatolo generosamente, lo rimandarono a casa, affinch i suoi genitori non stessero pi in ansia per lui, a quellora ormai tarda. Essi invece ripresero la strada verso il convento, e dopo poco ci arrivarono. Dentro la chiesa del convento, lasciata socchiusa, vegliavano in attesa fra Cristoforo e il laico sagrestano, il quale per era preoccupato per questa infrazione alla Regola, secondo la quale a quellora dovevano essere gi coricati, e chiusa la porta della chiesa. Quando poi, con Renzo, vide entrare le due donne, fra Fazio (cos si chiamava il sagrestano) non si tenne pi, ed espresse al confratello il suo

46

scandalo per questo fatto enorme: stare di notte in chiesa con donne! Fra Cristoforo, dimenticando in quel momento che il laico non conosceva il latino, rispose semplicemente: Omnia munda mundis. Risposta molto pertinente: ogni azione pura per chi la compie con purezza dintenti, cio non bisogna badare alle apparenze, ma alla sostanza di un fatto, e soprattutto alle intenzioni con cui lo si fa. Il sagrestano per non sapeva il latino; ma proprio questa ignoranza comp il miracolo di mettere a tacere fra Fazio. Egli infatti pens che in quelle arcane parole ci fosse la risposta a tutti i suoi dubbi, e sacquet rinunciando a fare altre obiezioni. Fra Cristoforo, vedendo che i suoi protetti erano in salvo, ne ringrazi Dio con loro, quindi preg anche per chi li aveva condotti a quel duro passo, perch essenza del Cristianesimo appunto lamare quelli che ci perseguitano, pregando il Signore per la loro conversione. Dopo aver pregato tutti in ginocchio con molta commozione, si alzarono, e il frate disse che per loro aveva trovato un ricovero temporaneo, poich sperava che tra poco sarebbero potuti tornare con sicurezza alle loro case. Le donne si sarebbero recate a Monza, dove il guardiano dei Cappuccini, per il quale consegnava loro una lettera, avrebbe procurato loro un rifugio sicuro e onorato; Renzo invece doveva proseguire per Milano, per recapitare unaltra lettera di fra Cristoforo al padre Bonaventura da Lodi, cappuccino del convento di Porta Orientale, il quale si sarebbe occupato di lui, procurandogli possibilmente anche da lavorare. Oltre alle due lettere, il buon Padre aveva anche pensato ai mezzi per il loro viaggio: alla foce del torrente Bione avrebbero trovato un barcaiolo che li traghetterebbe alla riva opposta del lago, dove avrebbero trovato un barrocciaio che li trasporterebbe direttamente a Monza, e li accompagnerebbe anche al convento dei Cappuccini. Tanto aveva saputo organizzare in poche ore la paterna sollecitudine del santo frate! Tanto pu la carit! Durante lattraversamento del lago, che in quel punto stretto e sembra fiume, la commozione con la nostalgia attanagli i poveri fuggitivi, e soprattutto Lucia, che rivolse un accorato addio ai suoi monti, al suo lago, ai torrenti rumorosi, al paesello natio che era tutto il suo mondo, alla sua casa dove tante volte aveva atteso con trepido desiderio la consueta visita del suo promesso sposo, alla casa stessa di Renzo, dove gi sarebbe dovuta andare ad abitare per un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa, alla chiesa, dove il suo animo si era tante volte rasserenato nella preghiera e nella meditazione, dove col solenne rito del matrimonio il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto. Ma questi mesti e pur soavi pensieri, che dallAutore sono espressi con impareggiabile afflato lirico, terminano con una certezza, la dolce certezza del cristiano: si abbandona il dolce nido e le care abitudini, ma Dio dappertutto e non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una pi certa e pi grande.

47

CAPITOLO IX
Quando la barca urt alla riva opposta, Lucia si riscosse da quella specie di nostalgico e accorato incantamento, asciug le lagrime che le avevano rigato le gote e, scesa con gli altri dal battello, riprese il triste viaggio notturno verso Monza col biroccio che trovarono pronto per loro. Il biroccio o barroccio, adoperato ancor oggi nelle campagne specialmente nellItalia meridionale, una rustica vettura senza molle, che serve per il trasporto delle derrate; quindi per i profughi il viaggio fu molto disagevole, essendo sballottati per diverse ore sopra quel rigido carretto, su quelle strade disuguali e piene di buche. Cera inoltre la paura di fare qualche brutto incontro, con malandrini o briganti o addirittura con i bravi di don Rodrigo. E vero che questi si erano ritirati precipitosamente al palazzotto, ma i poveri fuggitivi non lo sapevano, e temevano sempre di essere inseguiti da essi. Finalmente, poco dopo lalba, giunsero a Monza, e dopo essersi rifocillati in unosteria si recarono al convento dei Cappuccini, senza Renzo che era gi ripartito per Milano. Il padre guardiano, quando ebbe letto lindirizzo della lettera a lui consegnata, riconobbe subito la calligrafia dellamico Cristoforo, ed ebbe unesclamazione di lieta sorpresa; ma mentre leggeva il contenuto della missiva, il suo volto assumeva un atteggiamento ora afflitto ora sdegnato; finito di leggere, dopo aver rivolto in disparte poche domande ad Agnese, disse che lunica soluzione del loro caso era di ricorrere alla Signora, per pregarla di accoglierle nel suo monastero, dove sarebbero state molto sicure. Ottenuto il consenso delle interessate, si mosse verso il monastero indicato, dopo aver pregato le donne di seguirlo a debita distanza, per non far ciarlare la gente. Il buon frate voleva evitare, anche presso qualche spirito meschino, leventuale scandalo di farsi vedere in giro con donne: egli era convinto che bisogna evitare non solo il male, ma possibilmente anche lapparenza del male, la quale potrebbe dare a qualcuno delle cattive suggestioni. E vero che omnia munda mundis, come aveva detto padre Cristoforo, ma quando possibile bisogna evitare di scandalizzare qualche spirito impressionabile anche con la semplice apparenza del male. Durante il cammino le donne chiesero al barocciaio, che faceva loro da guida, chi fosse la Signora. Il bravuomo rispose che era una suora, non ancora badessa e neppure priora, essendo ancora molto giovane, ma di grande influenza sia dentro che fuori il convento, poich era figlia del principe X, feudatario di Monza, anche se attualmente risiedeva a Milano. Aggiunse che questa nobile famiglia era oriunda dalla Spagna dove son quelli che comandano; e concluse il suo vivace ragguaglio con queste rassicuranti parole: e perci, se quel buon religioso l, ottiene di mettervi nelle sue mani, e che lei vaccetti, vi posso dire che sarete sicure come sullaltare. Giunti che furono al monastero di clausura dove si trovava la Signora, il Guardiano and solo a implorare la grazia e, ottenutala, introdusse le donne, dopo

48

aver congedato il barocciaio, pregandolo di ripassare al convento tra un paio di ore a prendere la risposta per il padre Cristoforo. Agnese e Lucia ringraziarono con tutto il cuore il bravo carrettiere per quanto aveva fatto per loro, senza voler accettare alcun compenso. Infatti quel mattino, allorch Renzo, appena smontati allosteria, cerc di fargli accettare del denaro come mancia per il suo fastidio, egli ritir in fretta la mano poich, come dice il Manzoni, mirava a unaltra ricompensa, pi lontana, ma pi abbondante. Lo stesso aveva fatto, la sera prima, il barcaiolo di Pescarenico, il quale ritir la mano, quasi con ribrezzo, come se gli fosse proposto di rubare. Tutte due erano stati plasmati dallardente carit di fra Cristoforo; il Manzoni, presentandoceli cos semplici e generosi, ci vuol quasi insegnare che tra gli umili popolani spesso ci sono esempi luminosi di virt cristiana, mentre purtroppo difficile trovarne fra i ricchi e i potenti. Sembra leco della terribile affermazione di Cristo nel Vangelo: E pi facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli. Quando Lucia, assieme alla madre e al padre guardiano, entr nel parlatorio del monastero, si meravigli molto di non vedervi nessuna suora, ma poi, osservando meglio, si accorse che una monaca stava ritta dietro una specie di finestra protetta da una doppia grata. La ragazza non era mai stata in un monastero, per cui provava un senso di soggezione, misto a una certa curiosit. A questo punto lAutore delinea il ritratto fisico della Signora con molta sobriet, dicendo che la suora, la quale poteva avere circa 25 anni, faceva a prima vista unimpressione di bellezza, ma duna bellezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi, scomposta. Si notava subito che non era molto ligia n alla lettera n allo spirito della Regola che pur aveva abbracciata: infatti dalla bianca benda frontale usciva su una tempia una ciocca di capelli, e il saio era attillato e non a sacco come prescritto dal regolamento. Ma soprattutto i gesti e le parole dimostravano una monaca singolare: altera, inquieta, tormentata da qualche pensiero segreto, da qualche gran passione inconfessabile. Gli occhi soprattutto dimostravano i torbidi sentimenti del suo animo: si fissavano talora in viso alle persone, con uninvestigazione superba; talora si chinavano in fretta come per cercare un nascondiglio. Ora sembrava che implorassero piet, ora dimostravano un astio feroce; ora, fissandosi come distratti, facevano intravedere il travaglio dun pensiero nascosto, duna preoccupazione familiare allanimo, e pi forte su quello che gli oggetti circostanti. Anche i moti delle labbra erano, come quelli degli occhi, subitanei, vivi, pieni despressione e di mistero. Ma ci che impression maggiormente Lucia, pudica e riservata comera, fu il tono spregiudicato delle domande della Signora, non frenata neppure dalla presenza di un provetto cappuccino. Avendo ella saputo da costui che la giovane era dovuta fuggire dal suo paese per sottrarsi alla persecuzione di un cavaliere prepotente, chiese addirittura a Lucia se questo cavaliere era un persecutore odioso. La domanda rivelava una certa torbida curiosit e, per cos dire, un dubbio maligno, che tolsero a Lucia ogni franchezza, per cui non pot che balbettare qualche parola di risposta. Allora Agnese, venendo in aiuto della povera impacciata, si affrett a dire che la figlia era promessa a un bravo giovane

49

della loro condizione, timorato di Dio e ben avviato, ma quel cavaliere aveva impedito il matrimonio minacciando il curato La Signora interruppe la mal cauta con un atto altero e iracondo, dicendo che i genitori hanno sempre una risposta da dare in nome dei loro figlioli! A questo punto Lucia si fece coraggio, anche per non far pensare male della mamma, e conferm che prendeva quel giovane di sua spontanea volont, e che avrebbe voluto piuttosto morire anzich cadere nelle mani di quel signore che la perseguitava, al quale perdonava tuttavia di cuore tutto il male che le aveva fatto Alle parole di Lucia lira della Signora si raddolc, e disse che aveva gi pensato come poterle allogare nel monastero, finch ne avessero avuto bisogno. Siccome la fattoressa (la donna di fiducia che manteneva i contatti del monastero con lesterno e ne curava gli interessi) aveva maritata sua figlia, le due donne avrebbero occupato la stanza lasciata da quella, e fatto quei pochi servizi che colei ordinariamente eseguiva. Ne doveva parlare alla madre badessa, ma dava comunque la cosa per fatta, data la sua influenza presso la superiora. Quindi accomiat il Guardiano, licenzi Agnese, ma ritenne Lucia, perch voleva conoscere pi dettagliatamente la sua storia, per appagare la propria curiosit morbosa; e i suoi discorsi dice il Manzoni divennero a poco a poco cos strani che, invece di riferirli, noi crediam pi opportuno di raccontar brevemente la storia antecedente di questa infelice. Diciamo subito che, per la storia della Signora, il Manzoni ha tenuto presente un personaggio storico, suor Virginia de Leyva, ma ha lavorato anche con libera fantasia; fra laltro ne ha posticipato le drammatiche vicende di alcuni decenni, per cui la Monaca di Monza un tipico personaggio misto di storia e di immaginazione. Essa, secondo lAutore, era lultima figlia di un principe di origine spagnola, uno dei pi ricchi e influenti signori di Milano, e anche feudatario della citt di Monza e del suo territorio. Costui aveva destinati alla vita religiosa i cadetti delluno e dellaltro sesso, per lasciare secondo la consuetudine del maggiorasco o maggiorascato tutta la propriet al primogenito destinato a conservar la famiglia, a procrear cio dei figlioli, per tormentarsi a tormentarli nella stessa maniera. Perci ella era ancora nel seno della madre, che la sua condizione era gi irrevocabilmente stabilita. Quando nacque, le misero nome Gertrude, una santa dalti natali, e i primi suoi giocattoli furono bambole in abito monacale. A sei anni fu chiusa, per educazione e ancor pi per istradamento alla vocazione impostale, nel monastero di Monza, abbastanza lontano dalla famiglia, ma nello stesso tempo tale da offrirle ogni comodit e distinzione, essendo il genitore come abbiamo detto signore feudale di quella citt. La badessa e alcune monache faccendiere, alle quali era gradita la prospettiva di avere una principessa tra di loro, e quindi la protezione dei suoi potenti parenti, accettarono ben volentieri lincarico di farla diventare suora con la minor possibile cognizione di ci che faceva. Quindi fecero di tutto per farle piacere quella vita: carezze e moine, chicche a non finire, posto distinto a tavola e in camerata, trattamento speciale in tutto. Ma purtroppo assieme a Gertrude erano l educate altre fanciulle, generalmente di famiglia borghese, che

50

non erano affatto destinate al chiostro; esse non invidiavano la loro compagna, per quanto costei magnificasse loro il suo futuro di madre badessa, perch nutrivano ideali ben diversi: alle immagini maestose, ma circoscritte e fredde, che pu somministrare il primato in un monastero, contrapponevan esse le immagini varie e luccicanti, di nozze, di pranzi, di conversazioni, di festini, come dicevano allora, di villeggiature, di vestiti, di carrozze. Queste immagini splendenti e suggestive scossero e ben presto fugarono le idee precedenti di Gertrude, e a poco a poco anche per lei la vita mondana acquist un fascino irresistibile. Che dire poi quando, varcate le soglie delladolescenza, alle fantasticherie mondane si aggiunsero le vive esigenze del cuore e i primi turbamenti della pubert! Gertrude ormai comprendeva benissimo che non era nata per farsi suora, che non aveva la minima vocazione per la vita claustrale; ma come opporsi ai genitori, come negare al padre quel consenso che egli teneva per certo? Solo la religione, se fosse stata da lei sentita veramente, avrebbe potuto darle la forza di abbracciare, senza disperarsi, una vita di rinuncia e di mortificazione; ma la religione che avevano insegnata a Gertrude, sia a casa che in convento, era puramente formale e decorativa, una larva come laltre che pullulavano nella sua fervida fantasia Questa larva tuttavia si levava talora minacciosa nellanimo instabile delladolescente, e allora ella pensava che fosse una colpa opporsi alla volont dei suoi genitori, per vivere una vita pi piacevole, in mezzo ai pericoli e alle tentazioni del mondo; in quei momenti la ragazza sentiva come un complesso di colpa, ed era disposta a espiare il suo peccato di desiderio vestendo spontaneamente labito monacale. Si approfitt di uno di questi momenti di turbamento e scrupolo religioso, prodotto, come ho detto, dal complesso di colpa insinuatole da chi ne aveva interesse, per farle sottoscrivere la domanda, diretta al Vicario delle monache, di essere esaminata sulla vocazione, onde poter prendere il velo: era il primo passo formale sulla via del chiostro. Ma la domanda non era giunta ancora allecclesiastico cui era diretta, che la poveretta se nera gi pentita amaramente. Che fare? Consigliatasi con alcune compagne, con cui da qualche tempo osava confidarsi, scrisse una lettera al principe suo padre, per informarlo che non si sentiva pi inclinazione per la vita monacale. Fatta recapitare la lettera per vie traverse, cominci ad aspettare con trepidazione la risposta, che non giunse mai; sennonch dopo alcuni giorni la badessa la chiam nella sua cella e, con aria di mistero, le parl di una gran collera del principe per il suo fallo, cui alluse con un senso di orrore; aggiunse che per, pentendosi e portandosi bene in futuro, poteva sperare il perdono. La giovinetta intese, e non os domandar pi in l. Avrebbe dovuto ribellarsi, dir le sue buone ragioni, combattere contro la coalizione ipocrita e brutale della famiglia e del monastero; ma come avrebbe potuto? Siccome lesame della vocazione da parte del sacerdote incaricato doveva avvenire almeno un anno dopo la presentazione della domanda, e dopo che la ragazza avesse dimorato almeno un mese fuori del monastero, venne finalmente il giorno che Gertrude fu riportata in famiglia, a Milano, per trascorrervi il periodo di tempo prescritto. Ma la pi amara delusione laspettava: in casa fu considerata

51

come una rea, una reietta, un disonore della famiglia; un anatema misterioso pareva che pesasse sopra di lei. Altro che festini, ricevimenti, conversazioni e le altre cose meravigliose che aveva fantasticate in convento! Non usciva di casa mai, neppure per la messa, che le facevano ascoltare da una grata aperta su una chiesa attigua. E anche la servit la trattava con distacco e freddezza, obbedendo a precisi ordini del principe; e quanto pi la ragazza sentiva bisogno di affetto e di confidenza, e magari ne mendicava, tanto pi si vedeva allontanata e dimenticata, come se fosse unestranea appena tollerata. Solo un paggio mostrava per Gertrude un certo timido rispetto, una certa muta simpatia, che poteva essere o diventare amore. Latteggiamento del ragazzo non sfugg certamente a Gertrude, che da quel momento si sent pi forte, pi sicura, pi tranquilla, come colei che credeva di aver trovato quello che tanto affannosamente bramava. Il padre sospett che sotto questo mutamento di umore ci doveva essere qualcosa; fu raddoppiata allora la vigilanza, e purtroppo un giorno la ragazza fu sorpresa mentre scriveva una lettera al paggio. Il foglio le fu tolto di mano da una cameriera che la spiava, e portato al principe. Il cuore di Gertrude era in tumulto, agitato da un misto di rabbia, vergogna e paura. La punizione fu dura e immediata: essere rinchiusa nella sua stessa camera, sotto la guardia di quella cameriera odiosa, che diveniva cos la sua carceriera e la sua aguzzina, rinnovandole ogni momento con la sua stessa presenza lacerba memoria del fallo, che le parole con cui il padre aveva accompagnato la pena avevano ingigantito, infondendole un senso di rimorso e di terrore quasi per cosa irreparabile. Il paggio fu subito cacciato dal palazzo, e per monito solenne il principe gli son due schiaffi nel congedarlo, onde togliere al ragazzo ogni tentazione di vantarsi della piccola avventura o anche semplicemente di farne parola. Dopo quattro o cinque giorni di duro e assoluto isolamento, che parvero alla ragazza uneternit popolata di incubi paurosi, la poveretta non ne poteva pi, e dovette capitolare. Alla sua et sentiva un bisogno prepotente di vedere altri visi, di sentire altre parola, desser trattata diversamente. Inoltre la larva della religione, risvegliata e resa formidabile dal senso di colpa, le imponeva ora di abbracciare la clausura proprio per espiazione del suo terribile fallo: linnocente letterina al principe azzurro dei suoi sogni si era trasformata nella mente della poverina, per la malefica e interessata suggestione esterna, in una colpa vergognosa e quasi mostruosa! Allora si decise: riprese la penna fatale e scrisse al padre, chiedendo accoratamente perdono e dicendosi pronta a fare tutto ci che a lui piacesse disporre. Con la resa incondizionata di Gertrude termina questo capitolo, nel quale delineata in maniera davvero icastica e impressionante la spietata figura del padre, che con arte mefistofelica costringe la povera figliola, non ancora quindicenne, a prendere il velo che aborriva. Eppure cos agendo egli credeva di provvedere nel miglior modo al decoro del suo nobile casato, che doveva apparire a tutti onorato e degno di stima: ecco la tipica ipocrisia di quel secolo corrotto, che mirava solo alle apparenze esteriori.

52

CAPITOLO X
In questo capitolo il Manzoni continua e porta a termine, cio al drammatico epilogo che gi sintravede dalla fine del capitolo precedente, la penosa storia di Gertrude, vittima della volont del padre, il quale a sua volta era vittima dei pregiudizi del tempo e di una falsa visione del prestigio della sua nobile famiglia. La narrazione dettagliata dei fatti, ora dolorosi ora orribili, della cosiddetta Monaca di Monza, costituisce una vistosa digressione nelleconomia del romanzo; ma non si potrebbe dire che sia una digressione oziosa e neppure eccessiva. E una storia umana, che necessaria per comprendere il personaggio nella sua complessa psicologia e anche nei suoi tragici errori, e nello stesso tempo ci offre un esempio fedele dellipocrisia e della tirannide, anche domestica, del Seicento, secolo fastoso e farisaico. In tutto il racconto si avverte la nota dolente che domina nellanimo dellAutore: egli non scusa Gertrude, ma sente per lei una grande piet cristiana, perch comprende che, per opporsi al sopruso paterno, ella avrebbe dovuto possedere una forza di volont non facile a trovarsi in una ragazza di quindici anni; linfelice avrebbe, s, potuto trovare un aiuto o un rifugio nella fede, ma purtroppo questa non era in lei radicata, e non costituiva quindi un punto di forza, ma piuttosto di debolezza, perch, se la religione faceva sentire la sua voce, era la voce quasi superstiziosa dello scrupolo e del terrore dellaldil, che rafforzavano il complesso di colpa cos abilmente inculcatole e dal padre e dalle suore. Perci latto di accusa il Manzoni lo formula soprattutto contro il principe-padre il quale, pur non dicendo mai esplicitamente alla figlia che doveva farsi monaca, tuttavia inesorabilmente, con arte perfida e costanza degna di miglior causa, la sospinge verso la clausura perpetua, ritenendo in tal modo di assolvere un suo preciso dovere, quello cio di salvaguardare lindivisibilit del patrimonio, onde tutelare il decoro del casato, basato allora soprattutto su una solida propriet immobiliare. La divisione della propriet familiare fra tutti i figli avrebbe, secondo il pregiudizio del secolo, non solo frantumato lasse ereditario, ma rovinato il prestigio del casato. Ma torniamo al racconto della dolente vicenda. Quando il principe ricevette la lettera della figlia, e ne lesse il contenuto, i suoi occhi lampeggiarono di una mal contenuta gioia, che a noi ripugna, ed egli cap subito che bisognava approfittare immediatamente e sino in fondo di quella s favorevole disposizione danimo, di quel cedimento ottenuto con la dura reclusione e con la minaccia, ventilata in aria, di qualcosa di ancor pi terribile. La ragazza si trovava dice lAutore con fine osservazione psicologica in uno di quei momenti, frequenti nellanimo giovanile, in cui un poco dinsistenza basta a ottenere ogni cosa che abbia apparenza di bene e di sacrificio. Questi slanci della generosit dei giovani, che dovremmo solo ammirare e rispettare quasi con venerazione, sono invece egoisticamente e astutamente, se non perfidamente, aspettati e sfruttati da gente

53

senza coscienza, per compromettere e legare per sempre una persona incauta e inesperta, che ancora non conosce le trappole del mondo. Gertrude, ammessa alla presenza del genitore, non seppe far altro che gettarsi alle sue ginocchia invocando il perdono; ma il principe, volendo battere ben bene il ferro mentrera caldo, rispose ruvidamente che il perdono bisognava meritarlo. Il suo fallo era tale, e qui si mise a insistere su di esso ingigantendolo, che il rimedio poteva essere uno solo: il chiostro. Se pure egli in passato avesse avuto intenzione di maritarla, ora lei stessa ci aveva posto un ostacolo insormontabile con la sua condotta irresponsabile e scandalosa; e il suo onore di cavaliere non gli avrebbe mai e poi mai consentito di regalare a un galantuomo una signorina che aveva dato un tal saggio di s. Nel sentire queste parole la povera ragazza era letteralmente annientata; allora il principe, sicuro di aver ottenuto leffetto voluto, addolc alquanto la voce, per dire che ora lei stessa comprendeva che la vita del secolo era troppo piena di pericoli Gertrude annu singhiozzando: Ah s! Tanto bast; il padre prese questo s, di valore tanto limitato e contingente, per una decisione ferma e definitiva di prendere il velo, e subito mise in moto un meccanismo diabolico per realizzare al pi presto il suo antico disegno, senza dar tempo e modo alla figliola di poterci ripensare. Chiama immediatamente la moglie e il primogenito, allo scopo di partecipare loro la sua gioia per la risoluzione di Gertrude, e intanto la ribadisce come una decisione spontanea e irrevocabile: risoluta di prendere il velo. La figliola avrebbe voluto spiegarsi, restituire al suo s il suo vero valore, di riconoscimento del suo errore e di promessa di comportarsi in avvenire con pi saggezza; ma la persuasione del principe pareva cos intera, la sua gioia cos gelosa, la benignit cos condizionata, che Gertrude non os proferire una parola che potesse turbarle menomamente. E proprio cos: le persone scaltre e spregiudicate spesso ci mettono davanti al fatto compiuto, approfittando della nostra timidezza o distrazione, facendo poi credere che non hanno fatto altro che eseguire il nostro volere! Per non perdere neppure un attimo di tempo, il principe, con la scusa di fare una bella passeggiata in carrozza, propose di andare senzaltro a Monza, per presentare alla madre badessa del convento la richiesta formale di accettazione nellOrdine. Naturalmente la principessa e il principino si mostrarono entusiasti della proposta, ma avendo Gertrude mostrato una certa perplessit, il padre le chiese, con atto di grande degnazione, se voleva andare quel giorno o lindomani. Qui si nota la raffinata astuzia del principe, il quale non chiede alla figlia se vuole andare e quando vuole andare, ma la mette ancora una volta davanti alla decisione gi presa, dandole solo la possibilit di una breve dilazione. Gertrude naturalmente si prese quel piccolo respiro; ma intanto restava deciso, per la sua stessa scelta, che lindomani sarebbe andata a fare la sua richiesta solenne al monastero; e per dare alla cosa una sanzione di irrevocabilit, il principe mand subito un corriere ad annunciare alla badessa la loro visita per il giorno dopo: ormai non ci si poteva pi tirare indietro.

54

Intanto si fece sapere alla parentela che la ragazza si era rimessa dalla indisposizione (cos era stata motivata e coonestata la sua relegazione) e contemporaneamente aveva definitivamente chiarito la sua decisione di prendere il velo; e i parenti vennero in frotta a fare il loro dovere, congratulandosi con lei e con la famiglia per il duplice fausto avvenimento. Sicch Gertrude, a ogni complimento che accettava, non faceva che ribadire implicitamente ma solennemente limpegno per il chiostro davanti a tutti i parenti. La poverina si vedeva sempre pi compromessa, ma non ebbe, per abile macchinazione paterna, in tutto il resto della giornata un solo attimo di tregua, onde pensare ai casi suoi, per vedere che cosa si potesse tentare per fermare quella macchina fatale, che si era messa in moto cos accelerato e inesorabile per schiacciarla: eppure lei non si sentiva di essere stritolata! Ma il principe non lasci la presa sulla disgraziata figliola e, nel bel mezzo delle visite, si rec direttamente dal vicario delle monache, per concertare la data dellesame della vocazione della figlia e, comera da aspettarsi data la fretta paterna, fu fissato il dopodomani: le maglie della rete si erano ormai strette intorno alla povera vittima, e il padre aguzzino teneva saldamente in mano le corde dellinesorabile trama. Alla sera Gertrude, dovendo andare a letto, volle almeno prendersi una soddisfazione, che certamente non le avrebbero negato in quella giornata in cui sembrava essere venuta cos in auge, anche se in realt era la vittima; volle cio sbarazzarsi dellodiosa cameriera che era stata la causa della sua prigionia, e per parecchi giorni era diventata la sua arcigna guardiana. Naturalmente fu subito accontentata, e fu assegnata al suo servizio una donna attempata, molto affezionata alla famiglia, che era stata gi governante del principino, nel quale aveva riposte tutte le sue compiacenze. Ma ottenuto lallontanamento di colei, la ragazza si meravigli di trovare cos poca soddisfazione in questa vendetta che pure aveva cos ardentemente covato. Il giorno dopo dovette alzarsi presto per prepararsi al gran viaggio: la cameriera la prepar nellabito, quindi il principe la lavor nellanimo. Le disse e ripet che tutto sera fatto per sua libera scelta, e che ora bisognava continuare con franchezza e disinvoltura la strada intrapresa; quindi aggiunse: La badessa vi domander cosa volete: una formalit. Potete rispondere che chiedete dessere ammessa a vestir labito in quel monastero, dove siete stata educata cos amorevolmente. Finalmente si part; ma durante la strada da Milano a Monza pi volte il padre torn sullargomento, ripetendo a Gertrude la suddetta formula di risposta, onde scolpirgliela bene in mente. Al monastero laccoglienza fu solenne, e davanti allingresso si era anche riunita una folla acclamante il principe, feudatario della citt. Tutte le suore erano a riceverlo, con la badessa in testa. Dopo i saluti e i convenevoli, la badessa chiese a Gertrude che cosa desiderasse l, dove nulla poteva esserle negato; la poveretta stava per recitare le parole di risposta imparate ormai a memoria, allorch scorse, tra le educande presenti, una sua compagna che con latteggiamento ironico del viso sembrava dicesse: ah! la c cascata la brava. In un attimo si sent rimescolare il sangue in un impeto di ribellione, e cerc una risposta qualsiasi,

55

meno impegnativa; ma scorgendo il cipiglio del padre, che esprimeva impazienza e minaccia, si sent venir meno il coraggio, e pronunci precipitosamente la formula insegnatale: capitol ancora una volta. La badessa disse che non poteva darle subito laccettazione ufficiale, perch secondo la regola la domanda doveva essere approvata dal Capitolo delle consorelle; tuttavia Gertrude non poteva dubitare dellesito della votazione, tanta era la stima che l si aveva di lei e della sua famiglia. Quindi, dopo essersi congratulata della santa risoluzione, che per loro costituiva un onore e una gioia, invit il principe in disparte nel parlatorio, per eseguire unaltra formalit: avvertire il genitore della postulante che, qualora in qualche modo forzasse la volont della figlia, incorrerebbe nella scomunica pi grave Lei non pu dubitare rispose untuosamente il principe, e la reverenda madre si ritenne paga. In questo incontro salta agli occhi lipocrisia dei due personaggi, degni rappresentanti di quel secolo farisaico, i quali, pur conoscendo benissimo la verit, cio lindegna coercizione della povera ragazza, fingono di ignorarla, e credono di mettersi la coscienza a posto ricorrendo a dei miseri sotterfugi. Il giorno dopo una pi difficile prova attendeva linfelice Gertrude: lesame della sua vocazione da parte dellecclesiastico incaricato. Il padre non manc di catechizzarla ben bene, inculcandole le risposte pi appropriate alle probabili domande dellesaminatore. Soprattutto per le raccomand di rispondere con sicurezza e con pronta franchezza, ch altrimenti avrebbe fatto sorgere qualche dubbio nellanimo di quelluomo dabbene e allora egli, per tutelare il suo onore di gentiluomo, perch non si credesse che coartasse la volont della figlia, sarebbe stato costretto a rivelare, suo malgrado, tutta la faccenda del paggio da cui aveva avuto origine la sua risoluzione per il chiostro. Davanti a questa prospettiva orribile e vergognosa lanimo della povera ragazza rifuggiva terrorizzato; sicch non le rimaneva altra alternativa che continuare a mentire sino alla fine, sino al doloroso epilogo della clausura. Lesame dunque si svolse cos come il principe desiderava, e linquisitore fu prima stanco dinterrogare dice amaramente il Manzoni che la sventurata di mentire. Ottenuto il parere favorevole del vicario delle monache, nel monastero di Monza si pot tenere il solenne Capitolo che doveva decidere dellaccettazione o meno della domanda di Gertrude. Ma lesito di questa votazione non preoccupava affatto il principe, che aveva in quel consesso delle zelanti e influenti collaboratrici; comera da prevedersi, si ebbe la maggioranza dei due terzi, richiesta dalla Regola per lammissione della candidata. Ora rimaneva lultimo atto del dramma: la sposina, come veniva chiamata allora la ragazza che stava per monacarsi, sotto la guida di una dama, che chiamavasi madrina, doveva visitare le chiese, i palazzi, i monumenti, i santuari, le ville, insomma le cose pi notevoli della citt, per vedere a che cosa rinunciava per sempre. Alluopo Gertrude dovette scegliere la madrina; e il non sapersi esimere da questa scelta fu un modo di ribadire indirettamente le sue catene, una conferma del suo proposito. Scelta la madrina, cominciarono le visite e le scarrozzate; ma il continuo girovagare non dava alla misera alcun sollievo, anzi

56

acuiva la sua sofferenza la vista di quel mondo per lei cos allettante, ma dal quale ella era inesorabilmente esclusa. Era insomma un vero supplizio di Tantalo; tanto che lei medesima, stanca di quel lungo strazio, chiese allora dentrar pi presto che fosse possibile nel monastero. Figurarsi se non fu subito accontentata! Il principe era fiero e soddisfatto; per la figliola cominciava un nuovo calvario. Fece il noviziato, dodici lunghi mesi di rodimento, dopo i quali doveva fare la professione solenne dei voti; ormai come poteva tirarsi indietro? Conveniva, o dire un no pi strano, pi inaspettato, pi scandaloso che mai, o ripetere un s tante volte detto; lo ripet, e fu monaca per sempre. A questo punto il Manzoni osserva che Gertrude, se si fosse rifugiata nella religione, avrebbe potuto vincere le inappagate passioni del suo animo, lenire il suo risentimento, e fare di necessit virt; insomma avrebbe potuto essere una monaca santa e contenta, comunque lo fosse divenuta. Ma purtroppo la religione non era da lei sentita se non, talora, con terrore quasi superstizioso, per cui non le poteva dare nessun aiuto per vincere la sua disperazione; linfelice, dibattendosi sotto il giogo, ne sentiva maggiormente il peso, mentre avvertiva in cuore un acre impeto di ribellione. Vedeva il fiore della sua giovinezza sfiorire sotto il saio, la sua bellezza appassire ignorata tra le gelose e tetre mura di un convento, e restare per sempre frustrato lardente desiderio di amore e di tenerezza che le divampava nel cuore. In tal modo il suo animo, fondamentalmente buono, si pervertiva paurosamente: odiava la famiglia, che laveva cos brutalmente immolata sullaltare dellinteresse economico e del malinteso decoro esteriore, odiava le suore, che in gran parte avevano collaborato allopera perfida e insidiosa, odiava le educande, che un giorno si sarebbero goduto quel mondo a lei interdetto. Cos visse alcuni anni, lunghi e tristi anni, in un rammaricho incessante per tutto ci che le era stato spietatamente e subdolamente tolto: giovinezza, bellezza, piaceri, amore. Soprattutto amore, di cui il suo animo era assetato al punto da non far caso allabisso che lo separa dalla passione sensuale che spesso lo contrabbanda; bastava unoccasione, perch linfelice cadesse vittima di questa passione travolgente, e loccasione per sua disgrazia si present. Uno scellerato giovane, che aveva la casa attigua al monastero, e da una finestrina aveva pi volte notato Gertrude che gironzolava oziosa e triste nel sottostante cortile, os un giorno rivolgerle la parola. La sventurata rispose dice laconicamente lAutore; e in queste poche ma doloranti parole espresso pietosamente lepilogo indegno del dramma di unanima sacrificata allo stolto pregiudizio del prestigio nobiliare. Il dramma osceno e fosco sottinteso; il Manzoni non dice di pi di Gertrude, come Dante non dice di pi di Francesca. Quel giorno pi non vi leggemmo avante; pietoso riserbo che obbedisce a un profondo sentimento morale e religioso. Lo spirito cristiano del nostro Autore rifugge dalla descrizione compiaciuta del peccato, poich nessun vantaggio ne pu derivare allopera darte n dal punto di vista estetico n dal punto di vista etico; e ben fece egli a tagliare quelle pagine che nella prima stesura del romanzo aveva dedicato alla narrazione alquanto dettagliata della tresca della monaca con Egidio, come viene chiamato lempio

57

giovane. Il suo nome storico invece Giampaolo Osio, il quale fu in seguito giustiziato per la sacrilega e scellerata relazione con suor Virginia de Leyva, che il nome storico della manzoniana Gertrude. Costei, purtroppo, dopo la grave caduta, si macchia addirittura di un delitto: abyssus abyssum invocat. Una conversa, addetta al servizio di Gertrude, si era accorta di quanto avveniva di irregolare, e un giorno, essendo da lei bistrattata pi del solito, si lasci scappare una parola che lei sapeva e avrebbe parlato a tempo debito. La peccatrice da quel momento non prese pi pace; e per non esporsi allonta delleventuale rivelazione della sua colpa, daccordo con Egidio, fece uccidere la poveretta, la quale venne nottetempo seppellita nello stesso orto del monastero, in una fossa abilmente camuffata. Nessuno seppe dare una spiegazione plausibile della sparizione della conversa; si fecero ricerche nel suo paese natale e in altri posti,ma con nessun esito. Corsero varie dicerie, finch, avendo una suora detto che forse si era rifugiata in Olanda (la quale, come paese protestante, accoglieva ospitalmente chi mancava ai voti religiosi, che invece era perseguitato nei paesi cattolici), corse tale voce e fu da tutti ritenuta vera. Ma non certamente da Gertrude, che aveva continuamente davanti agli occhi il fantasma delluccisa, in atteggiamento orribile di condanna, mentre al suo orecchio sembravano risonare, continuamente giorno e notte, le sue spietate parole di accusa. Ora, rosa incessantemente dal tarlo del rimorso, avrebbe dato chi sa che cosa per averla, quella immagine, viva davanti a s, dovesse ella pur fare la completa rivelazione delle sue turpitudini davanti a tutti! Quando Lucia fu ricoverata nel monastero, era passato circa un anno da quel delitto che non dava requie allanimo della Signora, la quale ci assicura il Manzoni fu indotta a proteggere la povera perseguitata, oltre che da altri ovvi motivi, come ragioni di prestigio e opportunit di obbligarsi il Guardiano dei Cappuccini, anche perch provava un certo sollievo nel far del bene a una creatura innocente. Dunque nel suo cuore era ancora avvertita laspirazione al bene: non poteva ancora dirsi irrimediabilmente perduta, anche se ancora avvinta dalle dure e pesanti catene del peccato.

58

CAPITOLO XI
Al principio di questo capitolo il Manzoni ci descrive linglorioso ritorno dei bravi al palazzotto di don Rodrigo: questi birboni delusi e mortificati, che tornano a mani vuote da un colpo cos meticolosamente preparato e ritenuto cos sicuro, sono appropriatamente assomigliati a un branco di segugi che , lasciatasi scappare una bella lepre, tornano mogi mogi verso il loro padrone furibondo. In verit il signorotto, che ignorava ancora il bellesito dellimpresa, non era ancora furioso, ma si poteva scommettere che lo sarebbe diventato allannuncio del risultato; e in quei momenti nessuno di quei malandrini invidiava la posizione preminente del Griso, che avrebbe dovuto recargli la deludente notizia. Don Rodrigo dunque, in una stanza del piano di sopra, la quale godeva di ampia vista, camminava nervosamente avanti e indietro, in unattesa piuttosto ansiosa, e ogni tanto guardava fuori dalla finestra, per vedere se i suoi uomini fossero di ritorno. Il suo animo era un po preoccupato per il rischio dellimpresa, che era la pi grossa che finora avesse osato; ma si rassicurava pensando che il podest era un amico, per cui Agnese e Renzo non avrebbero potuto ottener nulla dalla giustizia, caso mai fossero ricorsi alla legge. Anche gli avvocati, come il nostro Azzecca-garbugli, erano tutti legati a lui da interessi vari, e certamente nessuno di loro avrebbe assunto la difesa di quei villani; dellarrabbiato frate non si preoccupava un gran che, anche se non gli era uscito del tutto dalla memoria quel minaccioso esordio di profezia E appunto per scacciare queste preoccupazioni poco allegre, concentrava il pensiero sulloggetto delle sue brame, pensava alle lusinghe e alle parole che avrebbe adoperato per calmare la ragazza e ridurla alle sue voglie, e gi pregustava il piacere della conquista. Ma ecco finalmente che i suoi fidi sono di ritorno: don Rodrigo ha un balzo: dallalto scruta al chiaro di luna i suoi uomini: li conta; ci sono tutti, anche il Griso, ma non c la bussola, Lucia non c. Come una furia scende a pianterreno per riceverli come si meritano, e investe in malo modo il suo luogotenente scornato, presentatosi a fare la relazione della sciagurata impresa. Il Griso per si difende bene: essere trattati cos dopo aver fatto il proprio dovere e dopo aver arrischiato la vita in una pericolosa spedizione! Il padrone allora si calma e vuol sentire com andata. Ascoltato larruffato rapporto, sospetta subito che ci sia sotto una spia. Il Griso non lesclude, ma dice che ci devessere anche qualcosaltro, che per ora non sa spiegarsi. Il padrone alla fine, per risarcirlo delle gratuite offese e dei cocenti insulti con cui lo aveva accolto, lo loda per il suo zelo e per come si era comportato, e gli ordina per il giorno dopo di mandare due bravi al villaggio, per intimare al console (una specie di delegato del podest di Lecco) di non far deposizione dellaccaduto, per quanto aveva cara la speranza di morir di malattia, e due altri a guardar che nessuno si avvicinasse al casolare, dove era rimasta la bussola, la quale sarebbe stata recuperata la notte successiva, per non

59

destar sospetto; lui stesso poi, con alcuni dei pi abili e destri, doveva cercar di sapere che cosa di preciso fosse accaduto nel villaggio in quella strana notte. La mattina seguente, giorno di San Martino, mentre il Griso era gi allopera, i due nobili cugini sincontrarono, e il conte Attilio con aria di trionfo ricord la scommessa. Don Rodrigo rispose che era pronto a pagare, ma che non era quello che lo preoccupava per il momento; e raccont tutto laccaduto al degno cugino, il quale espresse subito il sospetto che cera lo zampino del frate nella faccenda, e volle perci sapere il tema del colloquio avuto con lui. Avutone un sommario ragguaglio, si disse molto meravigliato che avesse lasciato partire quel mascalzone incappucciato senza caricarlo di bastonate; comunque sincaric lui di sistemarlo per le feste, in un modo o nellaltro, per mezzo del Conte zio, membro influente del Consiglio Segreto. Questo conte Attilio, nella sua burbanza nobiliare, aveva proprio un debole per le bastonate da appioppare alla gente comune; tuttavia quel giorno egli, solitamente cos sventato e ridanciano, si mostr seriamente interessato ai casi del cugino, anche se sotto i baffi rideva del suo clamoroso smacco, che gli aveva pure fruttato dei bei soldi. Fu tanto servizievole verso di lui, che si disse disposto a render visita al Signor Podest, per tenerlo buono buono in quelle circostanze, e anche per cancellare ogni suo eventuale risentimento per le stoccate del conte, poich questo risentimento poteva ora danneggiare gli affari del caro cugino. Per il Griso e suoi accoliti non fu davvero difficile raccapezzare che cosa fosse accaduto nel villaggio degli sposi nella nottata precedente; troppe erano le persone che sapevano qualcosa, e non tutte sapevano tacere. Perpetua, per quanto Don Abbondio le comandasse di non fiatare, era troppo stizzita contro Agnese, che laveva infinocchiata in quel modo, per non lasciarsi sfuggire qualche parola sul tentativo degli sposi e soprattutto sullipocrisia di quella brava vedova; Gervaso aveva un gran voglia di parlare, perch gli sembrava di essere diventato finalmente una persona importante, avendo partecipato a una spedizione clandestina, e non bastavano le minacce di pugni da parte del fratello, per tappargli del tutto la bocca; Tonio stesso dov pur dire alla sua Tecla dove fosse andato a quellora tarda, e la moglie non era muta come il marito lavrebbe voluta in quella circostanza (e in chi sa quantaltre!). Chi non pot parlare affatto fu Menico, perch i genitori, spaventati oltremodo che il ragazzo avesse collaborato a mandare allaria un piano di don Rodrigo, lo tennero per pi giorni chiuso in casa; ma poi essi stessi si lasciarono scappare che gli sposi e Agnese si erano rifugiati a Pescarenico. Quello che per la gente del villaggio appariva inspiegabile era il fatto del pellegrino: due paesani lo avevano visto, quindi non potevano aver sognato; ma chi poteva essere? cosa era venuto a fare? come mai si trovava con i malandrini? che fine aveva fatto? Si traevano varie ipotesi, taluna anche abbastanza azzeccata, ma la cosa rimaneva tuttavia misteriosa; per il Griso invece era quello il dato pi certo, di cui pot servirsi come punto di partenza per spiegare agevolmente ogni altra notizia che pot raccattare qua e l, onde cucirne una relazione per il suo

60

padrone, abbastanza compiuta e convincente, che pareva escludere, cosa per lui confortante, lipotesi di un tradimento di qualcuno dei suoi fidi servitori. Quando don Rodrigo ricevette le notizie recate dal Griso, nel sentire che i due promessi erano fuggiti insieme a Pescarenico dopo il fallito tentativo alla casa del curato, pens che certamente erano andati a mettersi sotto la protezione del frate, ed ebbe unesplosione dira contro padre Cristoforo, per la gelosia che in quel momento lo rodeva nel saperli insieme. Siccome questo pensiero lo tormentava, sped il fedel Griso a Pescarenico, per sapere dove fossero i due colombi, e per vedere che cosa si poteva fare ancora. La sera stessa il suo luogotenente gli pot portare la notizia che le donne si erano rifugiate a Monza, mentre Renzo aveva proseguito il cammino alla volta di Milano. La certezza che Renzo si era separato dalla fidanzata calm alquanto la sua gelosia, ma non acquiet affatto la passione principale, nella quale ora entrava anche un puntiglio di onore, come una sfida contro il frate, da cui non poteva lasciarsi vincere, se non voleva perdere la faccia. Il Manzoni si sofferma, in una pagina di bonaria lepidezza, a spiegarci come mai il Griso abbia potuto a Pescarenico, nel regno spirituale del frate, pescare cos presto le notizie che gli interessavano. Il passo comincia con un tono disteso: Una delle pi gran consolazioni di questa vita lamicizia; e una delle consolazioni dellamicizia quellavere a cui confidare un segreto. Chi confida una cosa gelosa, raccomanda il silenzio; ma generalmente esso non inteso in senso assoluto, ch altrimenti la consolazione si arresterebbe al confidante, il che non giusto, ma nel senso di non riferire la notizia se non ad amico ugualmente fidato, e imponendogli la stessa condizione di serbare il segreto, il quale diventa in breve, come si dice, il segreto di Pulcinella. Gli amici poi non sono a coppie isolate, come i colombi, ma generalmente ognuno ne ha parecchi, e ci sono degli uomini privilegiati aggiunge argutamente lAutore che li contano a centinaia; cos il segreto gira vorticosamente per questa interminabile catena dellamicizia, e giunge prima o poi anche alle orecchie, molto attente, di colui al quale, chi ha confidato per primo la delicata notizia, non avrebbe voluto mai e poi mai che giungesse. Ma per ottener con certezza questo risultato, avrebbe dovuto lui per primo privarsi della dolce consolazione di confidare un segreto. Sta dunque il fatto che il buon barocciaio, tornando verso sera a Pescarenico, simbatt in un amico fidato, al quale, cos parlando e senza vanto, confid il servizio che aveva reso a quei poveretti per preghiera del santo frate; e da amico fidato ad amico fidato, la notizia giunse poche ore dopo a don Rodrigo, portata dal diligente Griso il quale credeva che finalmente la faccenda fosse, almeno per lui, chiusa. Ma il suo padrone non si d ancora pace: vuol sapere in quale monastero di Monza ricoverata Lucia, e che cosa si pu tentare per rapirla; e ne incarica ancora una volta il suo caporalaccio. Questi per inaspettatamente tentenna: in quella citt egli aveva suscitato molti odi, per avervi commesso molti reati, tra cui un omicidio, per il quale sulla sua testa pendeva una taglia di ben cento scudi, somma allettante anche per qualche collega della malavita che cos poteva anche guadagnarsi limpunit Propone insomma di mandare un altro. Don Rodrigo esce addirittura dai gangheri per limprovvisa vilt delluomo tutto suo, e lo

61

rampogna con acerbo sarcasmo: Tu mi riesci ora un can da pagliaio che ha cuore appena davventarsi alle gambe di chi passa sulla porta! Il Griso, punto sul vivo, non pu tirarsi indietro, e lindomani parte per questa terza esplorazione, apparentemente con faccia allegra e baldanzosa, ma bestemmiando in cuor suo Monza e le taglie e le donne e i capricci dei padroni. Non va solo, ma con due dei suoi migliori uomini, che gli guardino le spalle, e si avanza cauto e sospettoso nella citt in cui non spira buonaria per lui, come il lupo che, cacciato dalla fame, lascia i boschi montani e si avventura nellaperta pianura, avvicinandosi allovile ben custodito, incerto tra lardore della preda e il terrore della caccia. Mentre il Griso svolgeva a Monza la sua missione esplorativa, don Rodrigo pensava come potesse impedire a Renzo di tornare in paese e di riunirsi con la sua fidanzata: si poteva, per mezzo del podest, dare un significato sedizioso al tentativo in casa del parroco, e spiccare quindi contro di lui un bel mandato di cattura, che lo dissuadesse dal tornare dalle sue parti; ma poi pens che non gli conveniva rimestare quella faccenda, alla quale era connesso il suo tentativo di ratto, che poteva quindi venire in luce e comprometterlo. Decise perci di parlarne col suo avvocato, il degno dottor Azzecca garbugli, perch trovasse lui qualche garbuglio, qualche cavillo, qualche trappola per rovinare definitivamente il povero fuggitivo, che turbava ancora i suoi sonni. Ma proprio nel momento in cui il signorotto pensava al modo di compromettere Renzo con la giustizia con qualche denuncia menzognera, proprio costui si adoperava inconsciamente a servirlo meglio di qualunque avvocato, rimanendo preso in Milano nelle trappole della legge. Abbiamo detto che il giovane, la mattina di San Martino, riprese a piedi, da Monza, il cammino verso la metropoli lombarda, triste e sconsolato per la dolorosa separazione da Lucia, che chi sa quando sarebbe finita. Per la strada (circa dieci miglia) ogni tanto lo riprendeva la rabbia contro chi era la causa di tutti i suoi guai; ma poi si ricordava della promessa e della preghiera che aveva fatto col frate nella chiesa del convento, e allora si pentiva della sua ira e tornava a perdonare il suo nemico: tanto che osserva bonariamente il Manzoni in quel viaggio, ebbe ammazzato in cuor suo don Rodrigo, e risuscitatolo, almeno venti volte. Quando fu vicino alla citt, vide levarsi dalla pianura, isolata, la gran mole del duomo, considerato allora giustamente lottava meraviglia del mondo, e rimase l incantato a guardarlo; poi, avvicinandosi di pi, vide campanili, torri e cupole, finch sbocc nei pressi delle mura. Qui chiese rispettosamente a un viandante, che veniva in senso opposto, quale via dovesse prendere per andare al convento dei cappuccini dove sta il padre Bonaventura. Nella sua ingenuit il montanaro pensa che a Milano ci sia un solo convento di Cappuccini, come dalle sue parti, e che tutti conoscano il padre Bonaventura, come appunto a Pescarenico e dintorni non cera nessuno che non conoscesse fra Cristoforo. Il bravuomo a cui Renzo si rivolse, pazientemente chiese in quale convento fosse quel frate; e avendogli il giovane, per tutta risposta, mostrata la lettera di padre Cristoforo, che nel recapito aveva scritto Porta Orientale, disse che fortunatamente quel convento era molto vicino, e gli indic con garbo e chiarezza la strada da seguire.

62

Renzo rest molto ammirato della cortesia dei cittadini verso i campagnoli, non immaginando di essere giunto a Milano in una circostanza tutta speciale, un giorno in cui le cappe sinchinavano ai farsetti, cio in cui la borghesia e anche la nobilt solitamente cos prepotente e boriosa avevano gran paura dei popolani, che sembravano essersi scatenati con furia improvvisa e selvaggia. Si meravigli anche che, entrando da porta Orientale, i gabellieri non lo avessero fermato, poich aveva sentito tanto parlare degli interrogatori e delle perquisizioni a cui dovevano sottostare le persone che venivano dalla campagna, per poter entrare in citt. Ma la sua meraviglia crebbe ancor pi quando vide per terra una striscia di polvere bianca, che sembrava neve, ma neve non poteva essere di certo; aveva laspetto di farina, ma Renzo non poteva credere che in tempo di carestia gettassero la farina; palpatala, si accert che era farina davvero, e non si raccapezzava come potessero sciuparla cos: era forse entrato nel paese della cuccagna, mentre da loro gi si lesinava il pane di granturco? Che dire poi quando, un po pi avanti, vide a terra addirittura dei pani, bianchissimi, di quelli che non mangiava se non nelle grandi ricorrenze! La grazia di Dio non va sprecata: quindi, chinatosi a raccoglierli, se ne mise due in tasca e uno sotto i denti, ch il lungo cammino gli aveva risvegliato un discreto appetito. Facendo ci pens tra s: se trovo il padrone, glieli pagher. Mentre sgranocchiando quel pane saporito avanzava verso linterno della citt, vide venire un uomo con un sacco di farina sulle spalle, una donna con la sottana rimboccata in alto e tutta piena di farina, e un ragazzo con in testa un paniere troppo pieno di pagnotte, per cui ogni tanto ne cadeva qualcuna. Da questa vista Renzo ebbe finalmente la chiave del mistero del pane e della farina seminati per terra; cap immediatamente che quello era un giorno di conquista, vale a dire che ognuno pigliava, a proporzione della voglia e della forza, dando busse in pagamento. Per amore di verit, bisogna pur dire che Renzo non ne fu affatto scontento; ci non fa meraviglia: egli era tanto amareggiato contro la societ ingiusta e sopraffattrice, dominata dai prepotenti, che vedeva di buon occhio ogni sconvolgimento che potesse in qualche modo mutarla; e poi era convintissimo che incettatori e fornai fossero la causa della penuria, per cui si faceva bene a strappar loro con la violenza quello che essi non volevano cedere a prezzo ragionevole. Se le autorit non provvedevano, il popolo doveva provvedere da solo. In mezzo a questi pensieri giunse al convento, dove il portinaio gli disse che il padre Bonaventura non era in casa, e lo invit ad aspettarlo in chiesa, dove potrebbe fare un po di bene con la preghiera. Renzo si dirige verso la chiesa, volendo dare ascolto al buon consiglio, ma poi ci ripensa: vuol dare prima unocchiata al tumulto. Si ferma su due piedi, aguzzando gli occhi verso il brulicho lontano e tendendo contemporaneamente lorecchio al confuso rumore. Il vortice attrasse lo spettatore. Con questa frase lapidaria il Manzoni scolpisce la scena e ci d anche unidea efficace del fascino che quel tumulto di popolo esercit subito sul nostro popolano, tanto da fargli dimenticare il buon proposito di entrare in chiesa a pregare. E da questa curiosit morbosa, da questa

63

trascuratezza della preghiera deriveranno a Renzo i guai peggiori, guai che lui stesso si tirer addosso, per ingenuit e inesperienza, cio per eccessiva fiducia nellaltrui buona fede. Il vortice attrasse lo spettatore: poche parole che rendono appieno una scena e uno stato danimo, senza bisogno daltri particolari. Sono parole gravide di senso, parole insostituibili e indimenticabili, come quelle scritte a proposito di Gertrude, lusingata dal turpe Egidio: La sventurata rispose. E la tentazione che attrae come un vortice ineluttabile chi poco poco si ferma a guardare, chi poco poco indugia allettato dalla dolce voce della sirena; una sirena che non perdona chi lascolta. Renzo ammaliato dallo spettacolo, non sa resistere alla curiosit e anche al desiderio di fare qualcosa anche lui: e sbocconcellando il suo pane fragrante si avvia voglioso verso il tumulto.

64

CAPITOLO XII
Il Manzoni al principio di questo capitolo ritorna sul tema della carestia, di cui si era parlato durante il banchetto in casa di don Rodrigo; e ne elenca con lucido esame le cause. La prima causa era evidentemente naturale: le avverse condizioni atmosferiche avevano danneggiato il raccolto, e non solo nel Milanese. Ma le avversit stagionali erano state aggravate dallo sperpero e dal guasto della guerra del Monferrato, e soprattutto dal comportamento delle truppe spagnole, in tutto simile a quello di un nemico invasore. Naturalmente ne facevano le spese, in primo luogo, i poveri contadini, specie nella zona pi vicina alle operazioni militari, per cui i poderi venivano abbandonati, e i coloni, invece di procurare il vitto per s e per gli altri, andavano ad accattarlo in citt. Labbandono della terra era un triste fenomeno che si andava verificando ovunque, anche senza la guerra, perch le insopportabili gravezze, imposte con una cupidigia e uninsensatezza del pari sterminate, rendevano impossibile la vita ai lavoratori dei campi, sottoposti a infinite vessazioni, di imposte e di requisizioni e anche di prestazioni personali gratuite per eseguire pesanti lavori. Il 1628 era il secondo anno di raccolto scarso; lanno precedente si era tirato avanti con le scorte accumulate; ma il grano raccolto, del tutto insufficiente al bisogno, era stato in gran parte requisito per il fabbisogno delle truppe, sicch la carestia si fece ben presto sentire gi nellautunno, specie a Milano. Con la penuria venne inevitabile, e anche salutare, il rincaro del pane. Il nostro Autore liberale anche in economia, e per lui quindi il prezzo naturale quello derivante dallincontro tra domanda e offerta, cio tra produzione e consumo: diminuendo lofferta, il prezzo tende a salire, come accenna a diminuire in caso contrario. Si pu anche, vero, avere un prezzo artificiale di una derrata, un prezzo per cos dire politico; ma allora lo Stato lo deve rendere possibile con adeguati provvedimenti, come indennizzi, agevolazioni fiscali, eccetera; perch un prezzo deve essere remunerativo, e nessuno pu essere costretto a lavorare in perdita per sempre, e neppure per lungo tempo. Non sarebbe giusto e neppure umanamente possibile. In caso di scarsit di una data merce, il rincaro quindi inevitabile e anche economicamente utile, perch serve automaticamente a ridurne il consumo, mentre il prezzo vile ne permetterebbe un eccessivo consumo, o addirittura lo spreco. Ma purtroppo avviene quasi sempre che, quando una merce comincia a scarseggiare, sorge in alcuni la tentazione o la voglia di approfittarne per ottenere illeciti profitti: sono gli incettatori, i bagarini e i contrabbandieri, sempre pronti a speculare sul bisogno altrui, sordi al senso del dovere e della solidariet sociale. Lo Stato ne deve stroncare lattivit e impedire i loro pingui quanto ingiusti guadagni, ma con provvedimenti oculati e soprattutto tempestivi, operando sempre nel campo del ragionevole e del fattibile, senza ricorrere a ordinanze le

65

quali, appunto perch ingiuste o illogiche o irrealizzabili, rimangono lettera morta. Il Manzoni vuole appunto mettere in risalto linsipienza e lirragionevolezza dei provvedimenti annonari delle autorit milanesi, i quali peggiorano la situazione, e daltra parte anche la passionalit, i pregiudizi e la stolta condotta della gente ignorante o prevenuta. La stessa severa ma obiettiva critica lAutore far, come vedremo, nei riguardi dei provvedimenti presi dalle autorit governative in occasione della peste, ma anche a proposito del comportamento del popolo in quella dolorosa circostanza. Il Manzoni non perdona a chi non ha il senso del dovere o non allaltezza della situazione o dei compiti della sua carica: ogni carica, secondo la morale cristiana, un servizio per gli altri, che deve essere prestato con competenza e abnegazione. Il prezzo del grano era dunque salito tanto, che il pane (il quale allora costituiva quasi lunico alimento della povera gente) si vendeva a un prezzo poco accessibile ai popolani indigenti, che non erano disposti a pazientare pi oltre. Infatti cominciarono a fare delle dimostrazioni, chiedendo minacciosamente che si ponesse presto rimedio a questa situazione insopportabile. I magistrati stessi capivano che un tale stato di cose non poteva continuare. Siccome il Governatore, don Gonzalo Fernandez de Cordova, era impegnato nellassedio di Casale Monferrato, il gran cancelliere Antonio Ferrr, suo vicario, pens di ovviare allinconveniente fissando al pane un prezzo forzoso, che sarebbe stato giusto, se il grano si fosse venduto a 33 lire il moggio, come nei tempi migliori, mentre allora era salito sino a 80 lire, e anche pi. Provvedimento stolto e illogico, oltre che ingiusto, il quale sarebbe rimasto naturalmente inefficace per la stessa resistenza delle cose, se non ci fosse stata una moltitudine affamata e minacciosa, che non permetteva davvero che venisse elusa unordinanza a essa cos favorevole. E siccome i popolani erano rimasti per tanto tempo a denti asciutti, ora volevano rifarsi con quella specie di cuccagna, anche perch prevedevano in confuso che la cosa era troppo bella per poter durare. Ma per i disgraziati fornai erano insulti minacciosi, soprallavoro e perdita; come avrebbero potuto tirare avanti cos? Fecero perci presenti le loro giuste ragioni, e minacciarono, se non fossero state accolte, di gettare la pala nel forno, e andarsene, perch nessuno pu a lungo lavorare per scapitarci. Ma Antonio Ferrr era cocciuto, non sentiva ragioni, e non voleva revocare il suo bel calmiere, soprattutto perch temeva, nel caso lo avesse fatto, lira della folla, di cui prima si era procurato il favore a spese dei fornai, ai quali fece vaghe promesse di risarcimento del danno subito a causa del prezzo politico del pane. I fornai allora ricorsero al Consiglio dei decurioni (una magistratura municipale formata da 60 nobili, scelti dieci per porta o rione, donde il nome), i quali scrissero al Governatore informandolo dellinconveniente e invocando il suo intervento. Ma don Gonzalo, ingolfato fin sopra i capelli nelle faccende della guerra, non volle perdere il suo prezioso tempo per rimediare a quel pasticcio, e incaric una commissione, da lui nominata alluopo, di fissare al pane un prezzo pi equo, da poterci campar tanto una parte che laltra. I componenti della giunta, riunitisi, fecero, dopo molti sospiri e tergiversazioni, ci che era purtroppo

66

inevitabile quanto pericoloso, vale a dire rincararono il pane: i fornai respirarono, ma il popolo imbestial. E questa una delle frasi scultoree del Manzoni: poche parole pregne di significato, che rappresentano con icastica efficacia la minacciosa situazione, che poteva divenire da un momento allaltro esplosiva. Ci che avvenne. Gi il giorno 10 novembre, precedente a quello in cui Renzo giunse a Milano, si erano visti per le strade della citt i prodromi di una sommossa. Lindomani, sin dalle prime ore del mattino, il centro cittadino era ingombro di gruppi di gente eccitata, tra cui molti, ai quali prudevano le mani, non volevano lasciarsi sfuggire loccasione di approfittare, nel proprio interesse, dellindignazione generale. Bastava una scintilla, per appiccare lincendio a quella specie di barile di polvere rappresentato dalla moltitudine esasperata; e loccasione venne appunto con luscita dai forni delle gerle piene di fragranti pagnotte, portate dai garzoni ai soliti clienti. I poveri garzoni vengono bloccati e malmenati: il pane va a ruba. Molti avevano cos conquistato una pagnotta, ma molto pi numerosi erano quelli rimasti con lacquolina in bocca; e purtroppo in mezzo alla folla eccitata cerano i soliti profittatori, gli agitatori, che volevano spingere le cose al peggio, per pescare nel torbido. Al forno! al forno! si grida da pi parti. L vicino ce nera appunto uno, chiamato il forno delle grucce; la moltitudine, guidata dagli scalmanati, si riversa in quella direzione, e il personale del forno fa appena in tempo a mandare ad avvertire il Capitano di giustizia, e a chiudersi dentro in fretta e furia, barricandosi alla meglio. I pi accesi tra i dimostranti avevano appena cominciato il lavoro per abbattere la porta, quando giunse il Capitano con un manipolo di alabardieri. Egli fa allontanare un po la folla e cerca di ridurla alla ragione con ammonimenti e preghiere, conditi di minacce. Ma la folla sorda, la calca preme intorno a lui che, sentendosi quasi soffocare, e temendo di usare la forza data la scarsezza dei suoi uomini, grida a quei di dentro che aprano. I difensori obbediscono, i battenti si scostano offrendo uno spiraglio, per il quale sinfila il Capitano, trascinandosi dietro, uno alla volta, gli alabardieri che trattengono la folla con le picche abbassate sui petti dei dimostranti. Sgusciato dentro lultimo soldato, la porta viene riappuntellata in fretta, mentre il Capitano sale al piano di sopra; affacciatosi a una finestra, riprende la predica, mista di lodi e di rampogne; ma erano parole gettate allaria. Infatti quelli di sotto, incuranti sia degli elogi che dei rimproveri, avevano ripreso alacremente la loro opera di guastatori, allo scopo di forzare la porta; e allora il Capitano a esortare e minacciare: Vedo, vedo: giudizio! badate bene! un delitto grosso Vergogna!... Sentite, sentite: siete stati sempre buoni fi Ah canaglia! Questo repentino mutamento di linguaggio fu dovuto a un sasso, lanciato da uno di quei bravi figlioli, che lo fer alla tempia destra, costringendolo a ritirarsi precipitosamente e a richiudere la finestra, rinunciando a ogni ulteriore tentativo di persuadere o di costringere quegli scalmanati a desistere. Ma i padroni e i garzoni del forno, vedendo inefficace la protezione della forza pubblica, mossi dalla disperazione nel veder manomessa impunemente la cosa

67

loro, cominciarono a minacciare dalle finestre gli scassinatori, con in pugno le pietre di cui avevano fatto provvista. Vedendo che le minacce non servivano a nulla, tanto che la gente continuava a guastare, senza nemmeno voltarsi in su, cominciarono a gettare le pietre davvero. La grandine di pietre risult micidiale: neppure una andava a vuoto, tanto la calca era fitta: due rimasero uccisi e parecchi furono feriti pi o meno gravemente. Ma, come dice Virgilio, furor arma ministrat; la vista del sangue non fece fuggire la moltitudine, n del resto ci sarebbe stato possibile in quel serra serra, ma la aizz maggiormente. La turba inferocita si gett in un impeto folle contro i battenti malconci: in pochi minuti la porta fu sfondata, le inferriate delle finestre divelte, gli infissi infranti, e la marea urlante entr dalla porta e dalle finestre per fare man bassa di tutto. Fortunatamente, nella ressa di far bottino, furono dimenticati i sanguinosi propositi di far vendetta contro i fornai, che poterono riparare in soffitta assieme al Capitano e ai suoi alabardieri; alcuni, non sentendosi sicuri neppure l, uscirono dagli abbaini sui tetti, cercando di allontanarsi da quella casa camminando sui coppi. Tutto and a ruba nel forno invaso: pane, farina, pasta appena intrisa; nella fretta furiosa della conquista molta farina va a terra e viene calpestata; i saccheggiatori si ostacolano a vicenda nellardore della preda: qualcuno, pi furbo, trascurando la merce, corre al cassetto dei denari, fa saltare la serratura, si riempie le tasche di moneta contante, e lesto corre a casa per mettere al sicuro il bottino, per tornare poi a prendere il pane o la farina, se ne rester. Ma i pi rimangono a mani vuote e a denti secchi, come dice appunto il Manzoni, e per sfogarsi danno di piglio a quei poveri arnesi dello stiglio, li fracassano per un gusto vandalico e quindi li portano fuori come un trofeo di vittoria, per farne poi un bel fal proprio in piazza del Duomo, in mezzo a una moltitudine acclamante al pane a buon mercato. Il nostro Renzo giunse al forno delle grucce quando gi il saccheggio era finito per esaurimento della merce e di materiale vario, e vedendo la scena di devastazione, nel suo buon senso di montanaro disse tra s: Questa poi non una bella cosa; se concian cos tutti i forni, dove vogliono fare il pane? Ne pozzi? Quindi, seguendo un saccheggiatore ritardatario, che portava sulle spalle un fascio di tavole spaccate e scheggiate, giunse anche lui a vedere gli ultimi guizzi di quella gran fiammata, intorno alla quale la folla eccitata alternava evviva e grida di morte: Crepi la provvisione! Crepi la giunta! Viva il pane! Evidentemente la giunta che doveva crepare era quella che aveva rincarato il pane, mentre la provvisione (organo del Governo, che sotto la direzione di un vicario del Governatore si occupava dellannona) doveva crepare anchessa, perch non aveva assicurato pane a buon mercato. Viva il pane! ripetevano i tumultuanti a squarciagola, ma, per far vivere il pane, osserva bonariamente il Manzoni, non serve troppo la distruzione dei forni e lo sperpero della farina esistente, che andava invece oculatamente razionata. La folla esaltata per non capiva certe sottigliezze: Renzo invece, la cui mente non era ancora ottenebrata dalla passione, comprende di primo acchito quanto era irragionevole la condotta della folla, la

68

quale non agogna che il saccheggio. Infatti, non appena qualche facinoroso ebbe sparsa la voce che poco lontano, al Cordusio, era assalito un altro forno, tutti si diressero verso quella parte, per saziare la loro brama di rapina e di devastazione. Renzo si mosse con la retroguardia di quellesercito disordinato e tumultuante, sempre con il proposito di starsene fuori dalla calca; anzi a un certo punto pens se non fosse meglio tornare al convento, per accudire ai fatti propri. Purtroppo anche questa volta vinse nel suo animo quella maledetta curiosit, causa di tanti guai, vizio non soltanto femminile. Ma il forno del Cordusio, che per precauzione aveva gi chiuso i battenti, non era affatto assediato: pochi vogliosi stavano alla larga, perch alle finestre cera gente ben armata, decisa a difendersi in modo pi efficace che con un lancio di pietre. Arriva intanto lavanguardia dei predatori, vede la mala parata, si arresta indecisa: chi non vuole arrischiare la vita, chi invece spinge e anima gli altri gridando: avanti! avanti! In questa pausa di esitazione e di contrasti, un facinoroso che non si rassegnava ad andarsene a mani vuote, lancia la sua maledetta proposta: C qui vicino la casa del vicario di provvisione: andiamo a far giustizia, e a dare il sacco; la proposta accolta con alte grida di approvazione generale, come se limpresa fosse stata concertata da tempo, e la turba tumultuosa si avvia verso la casa indicata.

69

CAPITOLO XIII
Il Manzoni, ora che la vita di un uomo in pericolo, attenua il tono ironico del capitolo precedente, compreso com di piet umana e cristiana per lo sventurato vicario, contro il quale i malintenzionati vogliono sfogare la loro brama di violenza e di saccheggio. Questo magistrato, scelto ogni anno dal Governatore tra sei nobili proposti dal Consiglio dei decurioni, era contemporaneamente presidente di questo consesso e del Tribunale di provvisione, composto a sua volta da dodici nobili, il quale si occupava principalmente dellapprovvigionamento dei viveri. E molto probabile che, della giunta che rincar il pane, fosse stato presidente il povero vicario, appunto per la sua specifica responsabilit e competenza; contro di lui cos si rivers lodiosit di un provvedimento purtroppo inevitabile quanto sgradito. Egli veniva dunque a essere il capro espiatorio di una situazione da lui non creata, e di colpe in gran parte non sue; donde il senso di piet che pervade queste pagine in cui si parla del mortale pericolo da lui corso per lo scatenarsi del furore popolare. LAutore per, di tanto in tanto, come per scaricare la tensione drammatica del racconto, getta gi una frase o una battuta ironica o umoristica, per evitare di cadere nel patetico. Il poveretto stava facendo il chilo di un pranzo consumato con poco appetito, e senza pan fresco, preoccupato per i gravi fatti della giornata, che lo riguardavano direttamente, ma ben lontano dal sospettare che la tempesta si dovesse riversare su di lui. La sua era una difficile digestione, sia per la tensione nervosa sia per il pane raffermo che era stato servito a tavola, al posto del pane fresco predato dai dimostranti. Egli seguiva con ansia levolversi della situazione, ma, come abbiamo detto, non pensava minimamente che il turbine si dovesse abbattere cos paurosamente contro di lui, che si sentiva non colpevole della deplorevole situazione. Qualche onestuomo (non ne manca mai, per grazia di Dio, neppure nelle accolte pi equivoche) precorse la folla per portare al vicario lavviso del pericolo; ma mentre egli pensa al modo di fuggire, risulta evidente che ogni fuga preclusa, poich gi lavanguardia degli assalitori giunta davanti al palazzo; si fa appena in tempo a sbarrare le porte e le finestre del pianterreno con pali e puntelli. Mentre la servit improvvisa la difesa, lo sventurato padrone si rifugia precipitosamente in soffitta, dove da un pertugio spia verso la strada; e vedendo quella gran folla scalmanata e inferocita, decisa a linciarlo, cerca tremando il nascondiglio pi sicuro e l si rannicchia con la morte nel cuore, tendendo lorecchio alle grida, se mai cessassero o si affievolissero almeno. Ma gli urli selvaggi infittivano e raddoppiavano dintensit, rintronando sinistramente nel vuoto del cortile e accrescendo ogni momento langoscia del meschino che, disperato, si raccomandava a Dio. Renzo questa volta si cacci deliberatamente nel fitto della folla tumultuante, perch, avendo sentito esprimere, da qualche bravuomo, il proposito di evitare il

70

linciaggio, subito decise di adoperarsi lui pure a questo scopo, per quanto fosse anchegli convinto che il vicario era il responsabile della carestia, per quella funesta docilit degli animi appassionati allaffermare appassionato di molti. Questa osservazione del Manzoni contiene, oltre a un acuto giudizio psicologico, un indiretto monito a non lasciasi mai trascinare, accecati dalla passionalit e dai pregiudizi, ad azioni inconsulte, ma a cercare di rimanere, per quanto possibile, sereni e obiettivi, soprattutto quando siamo turbati da qualche sentimento appassionato. Le autorit, avendo saputo quasi subito dellattacco alla casa del vicario, chiesero aiuto al comandante della guarnigione spagnola, il quale mand un plotoncino di micheletti (fanti armati di fucile) al comando di un ufficiale. Questi, avendo ricevuto lordine di evitare luso delle armi, si trov in una situazione difficile: avrebbe dovuto rompere la calca e raggiungere il palazzo, per arrestare i guastatori; ma limpresa era rischiosa: avrebbero i soldati avuto abbastanza energia da aprire la folla rimanendo essi stessi compatti? E se per caso si fossero disuniti? sarebbero rimasti alla merc della folla esasperata, con i fucili che nella ressa diventavano inservibili. Perci lufficiale fece arrestare il reparto ai margini del tumulto, indeciso sul da farsi; e la sua indecisione fu subito interpretata per paura. Perci, quando egli fece a quelli che aveva davanti lintimazione di sgombrare, non ottenne nessun risultato apprezzabile, perch la gente, avendo compreso che aveva paura, non se la dava per inteso, o si scostava appena, mentre quelli che stavano davanti alla porta non si erano neppure accorti dei soldati, e continuavano indisturbati il loro assalto ai muri e agli infissi con scalpelli, martelli, paletti, pietre e, chi altro non aveva, con le unghie;e il lavoro era a buon punto. Tra i tumultuanti pi inveleniti spiccava un vecchio vituperevole che, con gli occhi stralunati e con la bava in bocca, gridava che avrebbe crocifisso laffamatore alla sua porta; e infatti brandiva davanti alla folla schiamazzante un martello e quattro grandi chiodi, con in faccia un ghigno diabolico, che faceva un orrido contrasto con la canizie della sua testa. A sentire le sue ripugnanti parole, Renzo non pot tenersi dal reagire; senza pensare affatto allumore della folla che aveva intorno, grid contro quellenergumeno: Vergogna! Vogliam noi rubare il mestiere al boia? assassinare un cristiano? Come volete che Dio ci dia del pane, se facciamo di queste atrocit? Non lavesse mai detto! Uno del fondaccio, avendo sentito quelle sacrosante parole, comincia a inveire contro di lui, e aizza gli altri a fare la festa a quel cane traditore, a quel nemico del popolo, a quella spia del vicario. Renzo cap subito che doveva sparire di l immediatamente, se voleva evitare guai seri, dato che la folla quel giorno era male intenzionata davvero; per sua fortuna cerano vicino anche dei buoni cristiani, i quali cercarono di confondere, con le loro, quelle grida omicide, e di far sgattaiolar via Renzo da quel luogo, dove non spirava buonaria per lui. Ma ci che lo aiut di pi fu una lunga scala a pioli che veniva portata in quel momento, la quale polarizz lattenzione generale, avanzando con difficolt, a strappi e a balzelloni, in mezzo alla calca. Mentre la macchina fatale (reminiscenza virgiliana), passando sopra

71

le teste, si avvicinava ai muri da scalare, il nostro montanaro, lavorando di gomiti a pi non posso, si allontanava dal pericolo, e pot finalmente respirare un po al largo, ormai deciso a non rischiare pi oltre, e a tornare al convento. Ma ecco che in carrozza, senza scorta alcuna, giunge il gran cancelliere Antonio Ferrr, preoccupato per la vita del vicario e desideroso di salvarlo, anche perch sentiva di essere lui la causa, pur indiretta e involontaria, della furia popolare. Con questo gesto abbastanza coraggioso la figura del Ferrr si riscatta dalla mediocrit boriosa e insipiente che gli abbiamo attribuito a prima vista; dal comportamento abile e altruista che tenne in occasione del tumulto possiamo desumere che, con la sua tariffa del pane, aveva preso un dirizzone in buona fede, o per inesperienza o per amore di popolarit, ora che era lui a governare Milano al posto di don Gonzalo, odiato dal popolo; comunque, conclude il Manzoni, veniva a spender bene una popolarit mal acquistata; e il personaggio ci diventa subito alquanto simpatico. A questo punto del racconto lAutore si sofferma a fare una profonda analisi dei tumulti popolari, valida ancor oggi. In essi si distinguono sempre tre categorie di dimostranti: innanzi tutto quelli che vogliono spingere le cose al peggio, per passione per odio per scellerato disegno, oppure per interesse; ad essi si oppongono coloro che non vogliono eccessi, per un certo senso di moderazione o per spirito cristiano, oppure perch legati in qualche modo alle persone o cose minacciate; tra queste due categorie si frappone la terza, di gran lunga la pi massiccia numericamente; per essa rimane passiva, come una massa amorfa, e si lascia influenzare o addirittura dominare dagli attivisti del male o anche del bene, secondo le circostanze. Naturalmente sia gli uni sia gli altri si danno battaglia per trascinare dalla loro parte questa massa, perch essa appunto, decidendosi in un senso o nellaltro, assegna col suo peso schiacciante la vittoria a coloro che hanno saputo conquistarla. Con pittoresca similitudine il Manzoni dice che le due parti attive sono quasi due anime nemiche, che combattono per entrare in quel corpaccio rappresentato dalla massa indecisa la quale, senza unanima, buona o cattiva che sia, non potrebbe determinarsi a nulla, e resterebbe come paralizzata. Ora larrivo del cancelliere Ferrr diede a un tratto il vantaggio alla parte buona, che invece fino allora appariva perdente, e ormai doveva battere in ritirata, poco poco che quello straordinario aiuto avesse tardato. Il Ferrr era entrato nelle grazie del popolo per quella sua meta (cos chiamano a Milano il prezzo del calmiere) sul pane, cos popolare; diceva che veniva per portare in prigione il vicario; veniva solo e disarmato (i micheletti erano postati dalla parte opposta della calca), confidando nellaffetto dei cittadini: tutto questo gli concili subito la simpatia quasi generale. Non si creda per che non ci fossero gli oppositori, gli scontenti che la cosa si risolvesse cos miseramente, mentre loro avevano fatto ben altro disegno, di preda o di sangue; ma questi fautori del soqquadro furono a poco poco zittiti, rimproverati, sopraffatti. In un primo momento i sostenitori di Ferrr diedero loro sulla voce, tacciandoli di nemici del popolo, poich il gran Cancelliere era lamico del popolo; quindi, divenuti ormai padroni della situazione, diedero anche sulle mani ai pi scalmanati, strappando loro le armi di

72

vario genere con cui si accanivano intorno a quel disgraziato portone, che ormai non reggeva pi allattacco disordinato ma violento dei guastatori. Non occorre dire che Renzo fu subito per Ferrr, quello che aiuta a far le gride (aveva letto il suo nome in calce alla grida mostratagli dal dottor Azzeccagarbugli); e con le sue robuste spalle di alpigiano si fece largo sino alla carrozza, e subito si mise a far luogo davanti ad essa con un ardore veramente entusiastico, tanto che gli tocc pi di un sorriso di intelligenza e di riconoscenza da parte del gran Cancelliere, al quale il giovane, nella sua ingenuit, credeva gi di essere diventato grande amico, tanto vero che il giorno dopo, arrestato dai birri, protester di voler essere condotto da Ferrr, aggiungendo quasi con fierezza: Quello lo conosco, so che un galantuomo; e mha dellobbligazioni. Antonio Ferrr, per tutto quel tragitto in mezzo alla calca, non fece altro che affacciarsi ora a destra ora a sinistra, distribuendo alla folla, con i sorrisi e i ringraziamenti, le parole che sapeva pi accette: pane e giustizia. A dire il vero questo gran Cancelliere, in siffatto rischioso frangente, ci appare molto abile, e labilit deriva dallintelligenza; per cui siamo portati a credere che il calmiere sul pane sia stato un atto da lui calcolato per guadagnarsi dun colpo il favore dei sudditi e la stima dei superiori, onde poter scalzare dalla carica di governatore don Gonzalo, la cui quotazione era ormai in ribasso per il cattivo esito dellassedio di Casale. Fu dunque un gesto calcolato, anche nel suo rischio? Non sappiamo; ma certo quello che il Ferrr non calcol bene fu la reazione dei fornai, che non abbozzarono affatto, come lui sperava, ma per mezzo del consiglio dei decurioni ricorsero al Governatore, e ottennero alfine labrogazione di quel prezzo iniquo. Perci, se calcolo ci fu, esso non riusc bene al Ferrr, al quale per rimase la simpatia popolare: magra consolazione per il suo piano ambizioso. Renzo dunque dimentic ancora una volta il proposito di tornare al convento, e questa volta, lo dobbiamo dire a onor del vero, non per morbosa curiosit, ma a fin di bene, cio per aiutare il gran Cancelliere nel suo disegno di salvare la vita allo sventurato vicario. La carrozza, scortata dai volenterosi, arriva finalmente davanti al portone del palazzo, dove i fautori della giustizia legale, sopraffacendo i sostenitori della giustizia sommaria, hanno fatto un po di largo, trattenendo indietro la folla. Antonio Ferrr appare sul predellino, fa ampi cenni di saluto, accompagnati da profondi inchini di ringraziamento; quindi con tanto di toga scende dalla carrozza e si dirige eretto e sicuro verso la porta, che viene aperta quanto basti per farlo entrare, e immediatamente richiusa, tanto che lo strascico della toga rischi di rimanere prigioniero tra i battenti che venivano frettolosamente riaccostati e riappuntellati alla meglio. Il vicario, pi morto che vivo, viene portato gi a braccia dai servitori, anche loro atterriti, i quali non la finiscono di ringraziare Sua Eccellenza assieme al loro padrone, a cui solo in presenza di Ferrr tornato un po di polso e di colorito. Il gran Cancelliere tronca i ringraziamenti dicendo che non c tempo da perdere e, fatto alla meglio coraggio al vicario, se lo trascina dietro verso la carrozza nascondendolo con la sua persona, mentre i suoi bravi sostenitori, che nel frattempo hanno trattenuto la folla, cercano anche loro di coprire laffamatore del popolo, levando in aria le

73

mani e i cappelli, onde impedire lodiosa vista a quelli di dietro, non tutti bene intenzionati. La moltitudine vide in confuso, riseppe, indovin quel chera accaduto; e mand un urlo dapplausi e dimprecazioni. Il dramma si concluso felicemente. La via del ritorno fu pi facile, perch era rimasta aperta una certa traccia del percorso precedente, sempre ad opera dei volenterosi, i quali questa volta non dovettero faticar troppo per aprire alla carrozza un varco sufficiente, per cui essa pot procedere senza intoppi, anche se lentamente. Mentre il vicario se ne stava tutto rannicchiato in fondo al sedile, per non farsi vedere, Antonio Ferrr si dava invece da fare per attirar su di s lattenzione della folla, ripetendo le parole e le frasi pi adatte per conciliarsene o conservarsene il favore. Sicch in tutto il viaggio di ritorno tenne col suo mutabile uditorio un discorso, il pi continuo nel tempo, e il pi sconnesso nel senso, che fosse mai. La concione era di tanto in tanto inframmezzata di qualche frase spagnola, che diceva sottovoce al suo compagno, perch non si offendesse di certe espressioni che doveva concedere alla moltitudine: Esto lo digo por su bien. Ora che il vicario ormai salvo, anche il tono narrativo del Manzoni si trasforma, divenendo arguto e disteso, sorridente e faceto, come di chi gode di essere uscito da un incubo. Abbiamo visto come fa dellumorismo su Renzo, che crede di essere diventato in un batter docchio un intimo amico del gran Cancelliere; ma non risparmia lo stesso Ferrr il quale presenta un viso tutto ridente, tutto umile, tutto amoroso, che riservava solo al suo sovrano Filippo IV; ma per estrema necessit fu costretto a spenderlo anche in questoccasione, veramente straordinaria e imprevedibile, a favore dei suoi sudditi; quel giorno infatti comandava la piazza. Anche sui personaggi minori si rivolge losservazione arguta e divertita dellAutore: vediamo Pedro, il cocchiere spagnolo, il quale sorrideva anche lui alla moltitudine, con una grazia affettuosa, come se fosse stato un gran personaggio; e con un garbo ineffabile dimenava adagio adagio la frusta. Vediamo lufficiale del picchetto spagnolo, il quale, vedendo arrivare la carrozza, schiera in fretta i micheletti per presentare le armi al gran Cancelliere, che per tutto ringraziamento gli dice: beso a usted las manos, cio bacio le mani a vossignoria. Il subalterno comprese il tono piuttosto ironico della frase, che date le circostanze voleva dire: mavete dato un bellaiuto! Lufficiale, impacciato, si irrigid nel saluto militare, stringendosi nelle spalle per la mortificazione. La pi bella figura la fece Pedro che, passando tra quelle due ali di soldati che davano gli onori militari, si riprese immediatamente dallo sbalordimento, si ricord chi era e chi conduceva, e senza tante cerimonie mise i cavalli di carriera, per cui chi non voleva essere arrotato dovette scantonare in tempo: lautorit riprendeva il suo rango. Essendo ormai al largo, fuori del pericolo, il vicario si raddrizza, si ricompone, respira finalmente a pieni polmoni e pu alfine parlare; ma le sue prime parole rivelano ancora il terrore che lo domina: protesta di non volerne saper pi niente della carica e della vita cittadina, di volersi ritirare in una grotta, lontano da questa gente bestiale, a vivere come eremita. Antonio Ferrr gli risponde, con un

74

certo tono autorevole, che dovr fare quello che sar pi conveniente per il servizio di Sua Maest. Passata la tempesta e ritornata la forza nelle mani solite, avr il vicario mantenuto il suo proposito di rinunciare agli agi e alle pompe dei ricchi nobili investiti di alte cariche? Chi sa! Il Manzoni afferma di non saperne nulla; noi nutriamo seri dubbi su queste promesse da marinaio.

75

CAPITOLO XIV
Renzo accompagn sino alla fine la carrozza del gran Cancelliere, e seguendola di corsa come un lacch pass anche lui tra i soldati che presentavano le armi, come in trionfo; e in verit si sentiva in quel momento un personaggio molto importante, perch aveva contribuito cos efficacemente al successo di Ferrr, del quale credeva proprio di essere entrato nelle grazie. La folla cominci a sbandarsi, e molti si dirigevano alle loro case, perch ormai il sole tramontava ed essi si sentivano stracchi e affamati (meno quei pochi che avevano fatto bottino) dopo tanto gridare e tumultuare; forse pi della fame sentivano larsura della gola. Si formavano vari capannelli di uomini che parlavano animatamente, commentando secondo i loro punti di vista i grandi fatti della giornata, e magari prendendo gli accordi per lindomani. Naturalmente non tutti erano contenti del salvataggio operato da Ferrr; quelli a cui pizzicavano fortemente le mani, e si vedevano defraudati di quanto stavano gi per conquistare, brontolavano o addirittura bestemmiavano per una fine cos meschina di unazione cos promettente. I pi inveleniti ripresero a tempestare il portone del palazzo, che era stato di nuovo chiuso e puntellato alla meglio, volendo almeno dare il sacco alla casa, ora che la vittima era sfuggita alla loro furia. Ma i micheletti, essendo la folla diradata, avanzarono senza troppa difficolt e vennero a postarsi proprio davanti al palazzo, sicch i facinorosi dovettero obtorto collo scantonare di qua o di l, mentre i soldati prendevano posizione a difesa del portone malconcio, facendo sfumare ogni speranza di saccheggio. Renzo pens che ormai era troppo tardi per tornare al convento, e che gli conveniva cercare una locanda per quella notte. Mentre camminava per trovarne una, simbatt in un crocchio di persone che discutevano su ci che era stato fatto e su quello che bisognava fare. Dopo essere stato un poco ad ascoltare, non pot tenersi dal partecipare anche lui alla discussione, perch gli pareva di averne diritto ormai, dopo tutto quello che aveva fatto per il gran Cancelliere, e di avere anche delle cose interessanti da dire. Poich largomento della conversazione gliene offriva il destro, Renzo, perduta ogni soggezione, si introduce nel discorso e parla con crescente fiducia nei propri mezzi oratori. Il suo discorso, a dire il vero, appare arguto e colorito nellespressione, e anche abbastanza assennato nella sostanza, sicch egli finisce col polarizzare lattenzione di quella piccola assemblea con le sue parole ingenuamente appassionate, che riscuotono alla fine lapprovazione quasi generale. Egli ormai convinto che si pu cambiare il mondo e che, per realizzare una cosa, basta farla entrare in testa ai dimostranti, i quali poi col loro vocione minaccioso magari aiutato dalle mani la imporranno ai governanti. Egli comincia chiedendo di poter dire anche lui il suo modesto parere; poi continua affermando che tante sono le bricconerie che si fanno contro il popolo, e non soltanto nel fatto del pane, ma in ogni campo; e non soltanto a Milano, ma

76

anche e ancor pi nelle campagne e nei paesi: questo perch c una mano di tiranni, che fanno proprio al rovescio dei dieci comandamenti e compiono ogni sorta di angherie contro la povera gente che non fa loro alcun male, ma vuole solo lavorare e vivere in grazia di Dio. E questi signorotti prepotenti formano tra di loro una lega, per sostenersi nelle loro malefatte, spesso anche con la connivenza delle autorit; e pure gli uomini di legge sono a loro legati per interessi, e non si curano di far fare giustizia ai poveri perseguitati. Le gride ci sono, e parlano chiaro, elencando tutti i reati, proprio come avvengono, e comminando per ognuno la giusta pena; ma chi le applica o qual poveretto le pu far valere contro i potenti signori? Se un popolano si rivolge a un avvocato per far valere i suoi diritti contro un signorotto, come canta la grida, non viene ascoltato o, peggio, cacciato in malo modo. Renzo parla appassionatamente, e i suoi casi personali, come si pu facilmente notare, alimentano la sua disordinata ma pur vivace oratoria, poich la lingua batte dove il dente duole. A conclusione del suo infervorato discorso propone che il giorno dopo si vada da Ferrr, perch quello un galantuomo, per denunciargli tutte le malefatte dei signorotti e dei dottori della legge scribi e farisei, e dargli una mano per ripulire da simile gentaglia la citt e tutto il ducato, applicando le leggi con giustizia e verso tutti, in modo da poter vivere un po pi da cristiani. La perorazione di Renzo fu salutata da un coro di applausi, tanto era fervida e appassionata; ma non manc qualche criticone o qualche scontento, gente che si era mossa per il pane, e non voleva complicare le cose presentando altre richieste, sul tipo di quelle del forestiero. Comunque, siccome era gi buio, la comitiva si sciolse, dandosi lappuntamento per lindomani in piazza del Duomo. Avendo Renzo domandato se qualcuno sapesse indicargli un osteria nelle vicinanze, un tale si offr subito di accompagnarvelo. Costui era un birro travestito, uno dei molti che erano stati sguinzagliati per la citt sin dallinizio del tumulto, per osservare e riferire chi fossero gli istigatori e i caporioni della rivolta, onde poterli arrestare non appena la situazione si fosse normalizzata. Il bargello aveva ascoltato il montanaro, e subito lo aveva scelto per sua vittima, perch gli era sembrato un reo buon uomo, uno da potersi facilmente arrestare, incriminare e magari impiccare, dopo avergli fatto confessare con la tortura tutti i delitti che si voleva. Ci fece dunque assegnamento e decise di non lasciarselo sfuggire, il merlotto di campagna; e cos avrebbe fatto coi suoi superiori unottima figura, senza rischiare nulla; mentre con i veri facinorosi si rischiava troppo, per cui conveniva lasciarli in pace. Quando lo sprovveduto Renzo chiese di essere accompagnato a una locanda, il bargello tent il colpo magistrale di condurre il forestiero dritto dritto in guardina, la pi sicura ed economica delle locande; ma sfortunatamente il tiro gli and fallito, perch il giovane, molto stanco, vista poco dopo uninsegna dosteria, non volle pi saperne di proseguire, ed entr l. Il suo accompagnatore, dopo aver tentato invano di dissuaderlo, dicendo che quellosteria non faceva per lui, lo segu, non volendo lasciare la preda senza avergli almeno cavato di bocca le generalit, onde denunciarlo ai superiori. Cammin facendo aveva saputo che Renzo era del territorio di Lecco, e ora

77

avrebbe cercato di sapere il resto. Il nostro giovane, vedendo che lo sconosciuto non aveva voglia di lasciarlo, lo invit a bere un bicchiere con lui, e quegli accett ben volentieri, anzi lo precedette nel locale, come pratico del luogo. Loste and incontro ai nuovi venuti; vedendo il bargello, lo maledisse in cuor suo, perch veniva a ficcare il naso proprio nel suo esercizio e in una giornata come quella. Dando poi unocchiata a Renzo, pens che, venendo con un tal cacciatore, doveva essere o cane o lepre, cio o compagno o vittima: lo avrebbe saputo subito, ed era un po curioso di saperlo. Renzo si sedette di fronte alla sua guida, e ordin innanzi tutto un fiasco di vino; tanta era larsura della sua gola, che in poco tempo ne tracann parecchi bicchieri, quasi senza accorgersene, mescendo anche allo sconosciuto, che per bevve appena, per tenersi ben in s. Quando poi loste, servendogli un piatto di stufato, disse che pane non ce nera quel giorno, il giovane si ricord della pagnotta che ancora aveva in tasca e, mostrandola agli avventori, esclam che al pane ci aveva pensato la provvidenza. Un coro di applausi e di risa salut le parole di Renzo, il quale volle precisare che aveva trovato quella pagnotta per terra, ma naturalmente nessuno ci credette, essendo tutti pi che convinti che egli lavesse sgraffignata in qualche forno. Laccompagnatore poi disse alloste di preparare un buon letto al suo amico, che doveva alloggiare l; allora il locandiere, secondo che prescriveva la legge, and subito al suo banco a prendere carta, penna e calamaio; quindi, fattosi davanti a Renzo, gli chiese di dirgli nome, cognome e paese di origine. Il giovane, ormai alticcio, casc dalle nuvole, e chiese il motivo per cui doveva dire chi era; saputo che lo prescriveva una grida (che loste volle mostrargli e leggere, nei passi salienti), disse che se le gride che parlano bene, cio a favore del popolo, non sono osservate, tanto meno debbono valere quelle che parlano male, costituendo come delle trappole per la povera gente. Egli aveva le sue buone ragioni per non rivelare le sue generalit: se un furfantone aggiunse volesse saper dovio sono, per farmi qualche brutto tiro, domando io se questa faccia si moverebbe per aiutarmi. La faccia a cui alludeva era quella del re moro incatenato per la gola che campeggiava nello stemma del governatore don Gonzalo, stampato in testa al decreto. Ormai incapace di controllare le sue parole, Renzo si compromette sempre pi, esclamando tra applausi e risate: Vuol dire quella faccia: comanda chi pu, e ubbidisce chi vuole. Il bargello non rideva, ma neppure contraddiceva: mentalmente prendeva nota di tutto. Loste insisteva per avere il nome del forestiero, ma questi non se la dava per inteso, anzi alzava sempre pi la voce per farsi ragione, vedendo che i presenti lo sostenevano rumorosamente; per cui laccompagnatore di Renzo disse alloste di non insistere ormai. Questi, che si mostrava cos zelante solo perch era presente il birro, desistette ben volentieri: ora si sentiva con le spalle protette, e nessuno avrebbe potuto accusarlo di non aver rispettato la grida. Se ne torn quindi placidamente sotto la gran cappa del camino, pensando che la lepre (cio Renzo) era capitato proprio in brutte mani, ma che lui non voleva andarci di mezzo: peggio per lui!

78

Il nostro giovane, vedendo loste ritirarsi, assapor la vittoria e, nel suo stato euforico, non la finiva di predicare, polarizzando lattenzione generale. Ora ce laveva contro la penna, che i governanti vogliono si adoperi a ogni pi sospinto, per rendere tutto pi difficile ai poveri analfabeti. Uno dei presenti disse facetamente che la ragione era semplicissima: quei signori mangiavano tante oche, che qualcosa dovevano pur fare delle loro penne. Renzo sorrise alla battuta spiritosa, ma rispose che la ragione vera era unaltra: la penna la tengono loro, perch solo loro sanno scrivere; sicch le parole che essi dicono, come per esempio le promesse, volano via senza che alcuno le possa fissare sulla carta, mentre le parole che dice un povero diavolo, te le infilzano per aria con la penna e le inchiodano sulla carta, per servirsene poi contro di lui. Quindi il giovane, continuando tutto infervorato la sua requisitoria contro i vizi della classe dominante, se la prese contro laltra maledetta abitudine di servirsi del latinorum per imbrogliare meglio la gente ignorante, e si mostr dolente che avesse un po questa brutta abitudine anche il gran Cancelliere, che per il resto era certamente una brava persona. E evidente che Renzo aveva confuso lo spagnolo di Ferrr col latino di don Abbondio; ma tant, per lui ogni linguaggio diverso dal volgare era latinorum, vale a dire una cosa incomprensibile, una trappola insomma, per cui ne doveva essere abolito luso. Gi lora era tarda e Renzo ormai brillo, per cui il bargello non disperava di aver ragione della sua istintiva ritrosia al nome e cognome. E per vincerla, dobbiamo riconoscerlo, ne pens una davvero magistrale: ritornando sul tema del pane, disse che, se comandasse lui, metterebbe in atto un sistema rigoroso, per cui ognuno avesse la stessa quantit di pane, ricco o povero che egli fosse. Innanzi tutto si doveva imporre un prezzo onesto, da poterci campare da una parte e dallaltra, e poi dare a ogni famiglia una tessera annonaria: il tal dei tali, con moglie e tanti figli, abbia pane tanto e paghi tanto. E per rendere la proposta pi chiara, venne al pratico: A me, per esempio, dovrebbero rilasciare un biglietto in questa forma: Ambrogio Fusella, di professione spadaio, con moglie e quattro figlioli A voi, per esempio, dovrebbero fare un biglietto per il vostro nome? Renzo abbocca lamo e spiattella allo sconosciuto il suo nome senza nemmeno accorgersene, tutto preso dalla novit del progetto, che pure era fondato essenzialmente sulla penna e sulla carta, oltre che sul nome e cognome e mestiere della gente. Il sedicente spadaio, ottenuto finalmente il suo scopo, subito si allontana, senza accettare un secondo bicchiere di vino, che Renzo gli ha riempito, e va diritto al Palazzo di Giustizia a denunciare, come istigatore di tumulti, Lorenzo Tramaglino, lingenuo merlotto caduto nella sua rete. Il bargello soddisfatto, e i suoi superiori sono contenti del suo lavoro. Mentre il bargello faceva al notaio criminale la sua deposizione contro di lui, lignaro giovane, rimasto nellosteria, continuava a trincare e a ciarlare: vino e parole dice il Manzoni argutamente continuarono ad andare, luno in gi, e laltre in su, senza misura n regola. Ma, come sempre avviene nellubriachezza, alleuforia loquace successe ben presto la depressione psichica, accompagnata da

79

impaccio nel parlare. Ormai la parlantina era finita: le parole gli uscivano a stento, e il tono stesso della voce era alterato; le immagini e i pensieri gli si confondevano, e finire le frasi riusciva per lui oltremodo difficile. Ma per fortuna gli era rimasta come unattenzione istintiva a evitare i nomi, sicch anche quelli che pi profondamente erano scolpiti nel suo cuore, cio quelli cari della fidanzata e del buon Cappuccino, non furono pronunciati in quella bettola n dati in pasto a quei beoni sghignazzanti, per quanto essi lo andassero stuzzicando per farlo parlare dei fatti suoi, ch ormai lingenuo montanaro era diventato lo zimbello della chiassosa brigata. Non pronunci neppure i nomi discri di don Rodrigo e di don Abbondio, per quanto talora alludesse a essi nel suo ormai incontrollato cicalare. A proposito dellubriacatura di Renzo, il Manzoni fa unacuta osservazione: il giovane era sempre stato sobrio nel bere, e la prima volta che alz il gomito prese una sbornia solenne, causa di tanti guai, per cui se ne ricord poi per un pezzo. Quindi le buone abitudini hanno anche il vantaggio che, quando uno se ne allontana anche poco, subito ne sente le conseguenze, e lerrore gli serve come lezione salutare per lavvenire.

80

CAPITOLO XV
Loste della luna piena (il quale, con tutti i suoi difetti, appare nel complesso pi galantuomo delloste del villaggio degli sposi), vedendo che i tristi camerati non la smettevano di prendersi gioco del forestiero, n questi di tracannare bicchieri e di parlare sempre pi sconnessamente, decise di far cessare quella storia ormai disgustosa e anche pericolosa per lui, perch da un momento allaltro poteva verificarsi qualche disordine oppure lintervento della forza pubblica. Avvicinatosi perci a Renzo, dopo aver invitato gli altri a lasciarlo in pace, lo preg di andare a letto. Il giovane sulle prime sembrava che non capisse, ma poi, tornatogli un attimo di lucidit, si accorse che ormai la testa non gli funzionava pi, e si sentiva stracco morto, per cui era una buona idea farsi una lunga dormita per rimettersi in sesto. Fino a quel momento, sentendosi una certa languidezza di corpo e di mente, aveva cercato di rimettersi in sesto ricorrendo al vino, per un errore molto comune in simili casi; ma ora capisce che il bicchiere non gli pu dare nessun aiuto, e sente forte il richiamo del letto. A un tratto volle alzarsi, ma vacill, e sarebbe caduto senza lintervento delloste, che poi lo accompagn al piano di sopra, dovera la camera a lui destinata. Vedendo il letto, Renzo si rallegr, assaporando la bella dormita, tanto pi che la notte precedente laveva passata sul disagiato carretto, e cerc di fare una carezza alloste in ringraziamento per lospitalit, ma aggiunse che quel tiro del nome non era per da galantuomo. Laltro, vedendo con meraviglia che il cliente connetteva abbastanza, e sapendo per esperienza che gli ubriachi talora cambiano repentinamente di umore e di opinione, tent di nuovo di farsi dire il nome, in tono conciliante: non per la grida, ma per lui, in pegno damicizia. Renzo invece non intendeva farsi un amico a quella condizione e, alteratosi immediatamente, cominci a sbraitare, gridando verso il basso, per farsi sentire dagli avventori, che loste etra anche lui della lega. Questi corse ai ripari trascinando il giovane verso il letto, dicendo che aveva parlato per scherzo; Renzo, che ormai non si reggeva pi in piedi, si calm e cadde pesantemente sul letto. Loste laiut a spogliarsi e, trovato nel farsetto il borsellino, pens di concludere almeno quellaltro affare, strettamente privato ma per lui pi interessante, di farsi pagare, perch il giorno dopo forse non gli sarebbe stato pi possibile, una volta che il forestiero fosse stato arrestato, e il borsellino fosse caduto in mano dei birri. In quanto al pagare il montanaro non si fece affatto pregare, ritenendola cosa pi che giusta; e loste, fatto mentalmente il conto, disse a quanto ammontava, e si pag lui stesso, ma onestamente, senza approfittarsi affatto dello stato confusionale del suo ospite. Mentre questi gi russava, il bravuomo si trattenne alquanto a contemplarlo, per quella specie dattrattiva, che alle volte ci tiene a considerare un oggetto di stizza, al pari che un oggetto damore; quindi, sfogando il suo malumore a lungo represso, lo salut come meritava: Pezzo dasino! sei andato

81

proprio a cercartela. Domani poi, mi saprai dire che bel gusto ci avrai. Per sua fortuna, lasino non poteva pi tirar calci. Quando usc, chiuse la porta a chiave, perch lospite non avesse a scappare, ora che ne era lui, volente o nolente, il custode; chiamata quindi sul pianerottolo la moglie, le disse di prendere il suo posto, poich lui doveva purtroppo andare a fare la denuncia di quel benedetto forestiero. Le raccomand la prudenza, cio di far finta di non sentire le frasi sediziose oppure offensive che si dicevano contro i governanti, per non avere grattacapi n subito n in seguito. La donna rispose che non era una bambina, e certe cose le capiva benissimo anche da s. Il marito prese mantello e cappello, si arm di un poderoso bastone, e si avvi sollecito verso il Palazzo di Giustizia. Le strade non erano ancora deserte, come gli altri giorni alla stessa ora, ma sparse di capannelli di gente che parlottava; pi in l, incontrando una pattuglia di soldati, torn col pensiero al forestiero, che nientemeno si era messo in testa di cambiare il mondo con quattro grida, eliminando le ingiustizie in un batter docchio, per via di tumulto; ma il Governo aveva la forza, e avrebbe fatto presto ritornare in senno quei quattro scalmanati. Si pu dire che durante tutto il percorso loste apostrof mentalmente quel testardo di un montanaro, che si era voluto rovinare per forza, tentando di compromettere anche lui, che non centrava minimamente e badava solo ai fatti suoi. Per anche in questa muta rampogna si pu notare una certa naturale onest delloste, un senso di compatimento verso il forestiero, che ritiene in sostanza un illuso in buona fede, pi vittima delle circostanze che reo degno di pena. Dice infatti tra s che, se non fosse venuto con quella spia, lui avrebbe chiuso un occhio per quella sera, e lindomani, a mente serena, gli avrebbe fatto intendere la ragione del nome e cognome; ma essendoci di mezzo colui, doveva per forza denunciarlo, se non voleva passar guai. Anche nel presentare la denuncia loste galantuomo, e diciamo anche abile e destro, e tanto sicuro di s, da ribattere francamente le esagerazioni e insinuazioni del notaio criminale (una specie di ufficiale di polizia giudiziaria), al quale fa la sua deposizione. Dice semplicemente che nel suo esercizio si presentato un forestiero che, dovendo alloggiare, e avendogli lui perci chiesto le generalit, non ha voluto declinarle, nonostante la sua insistenza. Il notaio rispose che gi lo sapeva, e conosceva anche il nome di quel sedizioso (qui loste non pot non esprimere la sua meraviglia); ma aggiunse subito in atteggiamento severo che la denuncia era reticente; infatti quel tizio aveva portato allosteria una quantit di pane rubato, aveva proferito ingiurie contro le gride e perfino offese contro lo stemma del Governatore. Loste per si difende bene e anche con puntiglio: innanzi tutto precisa che colui aveva portato una sola pagnotta, che nessuno poteva affermare con certezza che fosse stata rubata; quanto poi alle sue parole, come poteva lui averle udite, in mezzo al baccano, dovendo pensare a servire tanta gente? Lui badava a fare loste, e doveva cercare soprattutto che ognuno pagasse: al resto non sinteressava. Lordine pubblico era competenza del Governo: lui aveva cercato di fare il suo dovere.

82

In definitiva questo locandiere, con la sua faccia lucida e pienotta, con i suoi occhietti chiari e scrutatori, ci riesce quasi simpatico, appunto perch tien testa bravamente al notaio criminale, e cerca di essere giusto nei riguardi del forestiero, che pur gli ha dato tanto fastidio; uno meno onesto si sarebbe sfogato aggravando le accuse, anche per farsi bello davanti al funzionario di polizia: lui invece dice la pura verit, cercando di non compromettere lo sconosciuto, verso il quale sente una certa indulgenza, appunto perch lo sa vittima pi che reo. Allo spuntar del giorno successivo, 12 novembre 1628, il notaio criminale che aveva ricevuto la denuncia, assieme a due birri, and allosteria per arrestare Renzo e tradurlo alle carceri. Il giovane dormiva della grossa, e chiss quando si sarebbe svegliato, se i birri non lo avessero scosso sgarbatamente. Aperti a stento gli occhi, vide quelle tre figure, e credette di sognare; e siccome quel sogno non gli piaceva affatto, cerc di svegliarsi del tutto e di guardar meglio, con gli occhi cos tra i peli. Allora sent luomo in cappa nera che diceva: Ah! avete sentito una volta, Lorenzo Tramaglino? Renzo cadde dalle nuvole: che cosa era successo? che volevano quelli da lui? come mai sapevano il suo nome, che egli aveva tanto gelosamente taciuto a tutti? Alle sue meravigliate domande quelli risposero bruscamente che si vestisse subito subito e li seguisse senza tante ciarle. La ragione dellarresto? la sentir dal Signor Capitano di Giustizia. Ma Renzo non aveva alcuna voglia di andare con loro, e cercava di guadagnar tempo, per valutare bene la situazione in cui si trovava. Cap a un dipresso che il non aver voluto dire il suo nome, come prescriveva la grida, era la causa di tutto, ma non si capacitava come mai la Giustizia, dalla sera alla mattina, avesse talmente cambiato registro, da venire a colpo sicuro ad arrestare uno di quelli che il giorno prima aveva avuto pi voce in capitolo; come poi avessero fatto a sapere il suo nome, era per Renzo un vero mistero. I birri, stanchi di pazientare, gli misero le mani addosso, ma il giovane protest che si sapeva vestire da solo; e infatti cominci a ripescare sul letto i suoi indumenti, che erano come gli avanzi dun naufragio sul lido. Ma osservando che dalle tasche del farsetto erano spariti il borsellino e la lettera di Padre Cristoforo, pretese ad alta voce di riavere la roba sua, e il notaio, non volendo irritarlo, lo accontent, aggiungendo di aver fiducia in lui e di voler fare per lui questa eccezione. Ma Renzo, ormai stizzito, borbott sottovoce: bazzicate tanto coi ladri, che avete un poco imparato il mestiere. I birri, trattenuti da un cenno del notaio, dovettero ingoiare linsulto. Se il giovane si mostrava cos strafottente, era perch aveva gi capito che i rappresentanti della Giustizia non erano troppo sicuri del fatto loro, perch in strada la situazione non era propriamente calma. E infatti non gli sfugg che il notaio era tutto attento ai rumori esterni, e a un certo punto non pot tenersi dallaprire limpannata, essendo giunto dalla via un frastuono minaccioso: era un crocchio che, allintimazione di sciogliersi, lo faceva a stento e mugugnando in tono di protesta; ma quello che al notaio parve molto preoccupante era che i soldati si mostravano cortesi. A Renzo non sfuggiva nulla, e gi nella sua mente si delineava il proposito di liberarsi di coloro. Per quanto il notaio volesse atteggiarsi ad amico, e gli

83

assicurasse che larresto era una semplice formalit, per cui avrebbe dovuto rispondere a poche domande prima di essere libero di andarsene per i fatti propri, egli comprendeva che quelle erano chiacchiere per tenerlo buono, ma che le cose non si mettevano bene per lui, una volta nelle grinfie della polizia: ne sapeva abbastanza della giustizia del suo paese, la quale risparmiava i veri delinquenti e si accaniva contro i poveri ingenui. Perci non credette a nessuna di quelle parole untuose del notaio, che gli consigliava, per suo bene, di essere prudente e riservato, di non dar nellocchio per la strada, anzi di non farsi neppure scorgere, cos nessuno gli baderebbe e non si saprebbe nemmeno che era stato nelle mani della polizia: la sua reputazione era in tal modo salva! Quando, alluscita dallosteria, i birri gli misero i manichini (una specie di manette di corda cosparsa di nodi, cos chiamati per quellipocrita figura deufemismo), il nostro giovane cerc di divincolarsi, protestando a voce alta; ma poi si calm, o meglio finse di calmarsi, alle parole concilianti del notaio, il quale disse che i birri facevano il loro dovere, che anche quella era una formalit indispensabile: loro purtroppo non potevano trattare la gente come dettava il cuore, ch altrimenti ne porterebbero per primi la pena! Renzo sacquet come un cavallo indocile cui sia stata messa la mordacchia, ma naturalmente era pronto a sparar calci alla prima occasione favorevole; la quale non si fece attendere. Gente ne passava per la strada, a due, a tre, in gruppo; altri erano fermi in crocchio, e si vedeva che non erano pacifici cittadini che se ne stessero per i fatti loro, ma persone intenzionate a ricominciare la storia del giorno prima; ci accresceva la preoccupazione del notaio, il quale si pentiva di non aver lasciato il prigioniero nella locanda, in custodia dei birri, per andare a prendere nuove istruzioni o almeno dei rinforzi. Questo pensiero gli era venuto, perch non era uno sciocco, ma poi aveva temuto di apparire pauroso e buon a nulla, per cui aveva deciso di portar via larrestato, anche rischiando un po, ma sperando che la cosa si risolverebbe senza gravi inconvenienti. Ora per vedeva che le cose si mettevano male per lui, e affinch la situazione non precipitasse, andava sussurrando allorecchio di Renzo che stesse calmo, che non si facesse notare, per non rovinare il suo onore, ch tra unora sarebbe libero, tanto pi che lui stesso avrebbe parlato in sua difesa. Da questo comportamento sballato del notaio, dice il Manzoni, nessuno concluda che fosse uno sciocco; era anzi un furbo matricolato, ma tant, anche i furbi, quando hanno perso la calma, ne commettono delle grosse, di cui a sangue freddo riderebbero volentieri essi stessi. Per cui, conclude argutamente lAutore, cercate di non perdere mai le staffe o, meglio, cercate di essere sempre voi i pi forti; ammonizione rivolta ai furbi, naturalmente. Quando Renzo vide tre che venivano verso di lui con i visi alterati, cominci a contorcersi, a sporgersi avanti e indietro, tossicchiando, per farsi notare. Quelli si fermano, per vedere di che si tratta, e con loro altri e poi altri; il notaio consiglia, prega il prigioniero di badare a s, di non rovinare la sua reputazione; i birri, pensando che fosse meglio usare la maniera forte, danno una stretta ai manichini, girando i due legnetti terminali che tenevano stretti nella mano. Renzo grida, cerca

84

di divincolarsi; la gente si accalca intorno minacciosa e blocca la pattuglia. Il notaio getta la maschera dellipocrisia, e cerca di convincere i presenti a non ostacolare il corso della giustizia: E un malvivente, un ladro colto sul fatto! Ma Renzo non si lascia certamente sfuggire loccasione propizia, e subito grida a sua volta: Figlioli! mi menano in prigione, perch ieri ho gridato: pane e giustizia. Non ho fatto nulla; son galantuomo: aiutatemi, non mabbandonate, figlioli! Laiuto non si fa attendere: comincia allintorno, col pigia pigia, un gridare minaccioso, un urtare violento; i birri, per non essere travolti, lasciano i manichini e cercano di guadagnare il largo. Anche il notaio cerca di fare lo stesso, ma per lui la cosa riesce pi difficile per colpa della cappa nera, che lo impaccia e lo rende riconoscibile. Cercava tuttavia di assumere un atteggiamento indifferente, come di chi si fosse trovato l per puro caso; e incontrando lo sguardo di uno che lo squadrava minacciosamente, con un tono innocente gli chiese: Cos stato? Uh corvaccio! fu la risposta di colui, che laveva ben riconosciuto; e a urtoni gli altri spintonandolo lo cacciarono via proprio come un brutto corvo della malora; ma a lui quegli urtoni violenti parvero soavi, perch anche per mezzo di essi pot uscire a salvamento: buon per lui!

85

CAPITOLO XVI
Renzo, liberatosi dei manichini, se la diede a gambe tra la folla che gli faceva largo; alcuni glindicarono, l vicino, un convento e una chiesa, dove avrebbe potuto rifugiarsi; ma il giovane, sin dal primo momento che aveva pensato alla possibilit di una fuga, aveva deciso di raggiungere il Bergamasco: in una chiesa o in un convento non ci si sarebbe cacciato se non quando avesse avuto i birri proprio alle calcagna. Perci si allontan di gran carriera da quel luogo in una direzione qualsiasi, con lintenzione di farsi insegnar la strada in seguito, laddove lo potesse fare senza destar sospetto. Quando, dopo una lunga galoppata, ritenne di essere giunto in un punto dove era sicuro che nessuno lo conosceva, n poteva essere giunta la notizia della sua fuga, rallent il passo sino ad assumere unandatura normale. Ma, per chiedere la strada di Bergamo, doveva trovare una persona che gli ispirasse fiducia, che non fosse n un cicalone curioso, n un sospettoso, n un malevolo che potesse tendergli qualche trappola; per questo, come dice il Manzoni, dovette fare forse dieci giudizi fisionomici, prima di trovare la figura che gli paresse a proposito. Allorch vide uno che veniva frettoloso, parlando tra s, lo giudic un uomo sincero, che non avrebbe n ingannato n fatto perder tempo, e quindi con buona grazia gli chiese da quale parte dovesse prendere per andare a Bergamo. Colui gli indic la strada da percorrere, con pronta gentilezza; e Renzo, ringraziatolo con semplici ma sentite parole, si avvi per la direzione mostratagli; giunse in breve in piazza del Duomo, rifece il cammino del giorno precedente e si avvicin a porta Orientale. Ma avendo sulla soglia di questa intravisto dei soldati, fu preso da paura, e fu l l per entrare nel convento dei Cappuccini, che aveva davanti, dove sarebbe stato certamente ben accolto per via di quella lettera al padre Bonaventura; ma vinse la paura e la tentazione, pensando che i due birri non lo avevano potuto precedere, per appostarsi a quella porta, e degli altri nessuno lo conosceva n sapeva certamente che cosa aveva fatto. Fattosi perci coraggio, e fischiettando in sordina per darsi unaria indifferente, pass attraverso la porta col viso impavido ma col cuore che gli batteva, come si dice, in gola. Per sua fortuna i gabellieri e i soldati non si preoccupavano di chi usciva, mentre avevano ordine di non far entrare gente che venisse per approfittare del tumulto; quindi nessuno bad a Renzo il quale per, appena uscito, lasci la strada maestra e prese una viottola a destra, per far perdere le sue tracce agli eventuali inseguitori. Allorch fu sicuro di non essere inseguito, pot pensare un po meglio ai casi suoi; e riflettendo al fatto del nome, si ricord a un dipresso come il finto spadaio, cos gentile e manieroso, glielaveva carpito con quel suo bel ritrovato della carta annonaria; ma ormai al passato non cera rimedio e bisognava pensare al futuro, e innanzi tutto a trovare quella benedetta strada per Bergamo. Necessariamente doveva rivolgersi a qualche passante; anche questa volta scrut bene i volti di quelli che incontrava, e quando trov uno che gli dava affidamento,

86

gli rivolse senzaltro la sua domanda. Quegli, avvertitolo che era completamente fuori strada, gli indic come dovesse fare per raggiungere la via maestra; ma Renzo, non volendo percorrerla per paura di brutti incontri, si propose di fiancheggiarla senza perderla di vista. Siccome per la cosa non gli riusciva, e non si sentiva di star continuamente a domandare la strada di Bergamo, perch poteva destar sospetto (chi in difetto in sospetto), pens di conoscere con qualche astuzia il nome di un paese del ducato di Milano, ma posto sul confine, del quale potesse chiedere liberamente e dove si potesse andare anche per vie secondarie: da esso sarebbe poi passato nel territorio di Bergamo. Si era ormai verso mezzogiorno, e lappetito gli si faceva sentire, per cui, avendo visto pendere una frasca da una casuccia solitaria (la frasca era nelle campagne e nei villaggi insegna dosteria), pens che l avrebbe potuto rifocillarsi e anche scoprire il nome di quel paese che gli interessava. Lostessa, una vecchia curiosa come le sue pari, gli pot offrire solo pane e formaggio, avendo Renzo rifiutato il vino, col quale ancora ce laveva, per il brutto tiro che gli aveva giocato il giorno prima; ma appena il cliente si fu seduto a tavola, cominci subito a tempestarlo di domande sui gran fatti di Milano, di cui era giunta fin l la notizia. Il nostro giovane non solo seppe eluderle destramente, ma si serv anche della curiosit della donna per raggiungere il suo intento. Avendogli infatti colei domandato dove fosse diretto, rispose che doveva andare in parecchi posti e, se gli restava un po di tempo, anche in quel paese, piuttosto grosso, sulla strada di Bergamo, vicino al confine, per nello stato di Milano e sinterruppe fingendo di non ricordarne il nome; e la vecchia, prontamente intervenendo, sugger: Gorgonzola, volete dire. Lo stratagemma era pienamente riuscito. Renzo ripet il nome, come se gli tornasse in mente proprio in quel momento, ma in effetti per imprimerselo bene nella memoria; ottenuto ormai il suo scopo ed essendosi rimesso un po in forze con quel magro pasto, ripart senza indugio col morale risollevato, dopo essersi fatta insegnare la strada verso questa provvidenziale Gorgonzola, distante da l, a detta dellostessa, una decina di miglia. Vi arriv finalmente unora prima del tramonto. Aveva deciso di fare qui un pasto pi sostanzioso, per rimettersi subito in cammino verso lAdda, la quale sapeva che, per un certo tratto, faceva da confine tra il ducato di Milano e la Serenissima, da cui dipendeva appunto Bergamo; non sapeva per dove fosse questo tratto; comunque, confine o no, avrebbe dovuto attraversare quel fiume, e per lui non sarebbe stata impresa facile. Pens che qualche notizia utile al riguardo avrebbe potuto attingerla, con un po dastuzia, allosteria dove si sarebbe fermato a mangiare un boccone. Dopo il recente successo con la vecchia, gli era molto cresciuta la fiducia nella sua destrezza: non gli mancavano intelligenza e tatto. Vista uninsegna dosteria, entr e alloste, presentatosi a servirlo, chiese da mangiare e anche una mezzetta di vino, ch ormai il lungo cammino aveva cancellato il rancore che aveva concepito contro il dono di Bacco. Alcuni sfaccendati del paese, che stavano l in attesa di notizie fresche da Milano, attorniarono subito il viaggiatore, e uno gli chiese se veniva da Milano. Il giovane,

87

sorpreso, cerc di eludere la domanda per lui fastidiosa e compromettente: Milano, da quel che ho sentito dire non devessere un luogo da andarci in questi momenti Quindi, avendo ormai pensato la sua risposta, disse che non aveva notizie sui tumulti, perch lui veniva da Liscate (il nome di questo paese lo aveva saputo mentre lo attraversava); il curioso, deluso, desistette da ulteriori domande, e Renzo trasse un respiro di sollievo. Essendo loste tornato per portargli le vivande, il giovane gli chiese, con aria affettatamente indifferente, quanta strada ci fosse per giungere allAdda. Luomo, che doveva essere un curioso incorreggibile, innanzi tutto volle sapere se dovesse passarla; quindi, alla risposta affermativa del forestiero, chiese ancora se volesse passare dal ponte di Cassano o sulla chiatta di Canonica, i luoghi dove passano i galantuomini, la gente che pu dar conto di s. Davanti a siffatta domanda, accompagnata da tal commento, Renzo cominci a sentirsi a disagio, e rispose non senza imbarazzo: Dove si sia Domando cos per curiosit. Avendo quegli risposto che, sia per luno che per laltro luogo, cerano circa sei miglia, Renzo, fingendo di meravigliarsi della distanza, domand se ci fossero delle scorciatoie verso qualche altro punto del fiume, dove fosse possibile traghettare. Loste rispose che ce nerano senzaltro, ma contemporaneamente gli ficc in viso due occhi pieni duna curiosit maliziosa, per cui il giovane non insistette nelle domande e pens solo a mangiare in fretta per riprendere il suo cammino. Intanto gli sfaccendati che erano nel locale avevano ripreso a parlottare tra loro, rammaricandosi di essere alloscuro di quanto avveniva nella capitale, e concertando alcuni di recarvisi lindomani, per chiarirsi dei fatti di cui era l giunta solo una vaga notizia, che aveva acuita pi che soddisfatta la loro curiosit. Mentre prendono questi accordi, sentono uno scalpito di zoccoli, e corrono sulluscio a vedere: era un mercante milanese che, recandosi spesso a Bergamo per i suoi affari, era solito pernottare in quella locanda; ai curiosi in attesa balen subito la speranza di veder soddisfatta la loro sete di notizie. Il mercante smont e, barattati i saluti con quegli sfaccendati che ormai conosceva per la lunga consuetudine, chiese alloste, accorso anche lui sollecito, il suo solito boccone e la sua solita camera, se era libera. Appena si fu seduto, i presenti gli si strinsero intorno, tempestandolo di domande sugli avvenimenti di Milano, che egli aveva lasciato solo da poche ore. Il mercante rispose molto volentieri, poich anche a lui piaceva parlare e mostrarsi informato, come piace in generale a tutti, eccetto che abbiano delle buone ragioni per tacere, e il nostro Renzo era appunto uno di questi. Raccont dunque i fatti della mattinata, stante che i suoi ascoltatori conoscevano gi grosso modo quelli del giorno precedente. Ordunque di prima mattina disse in sostanza il mercante mentre consumava lentamente la sua cena quei facinorosi che non erano ancora contenti delle prodezze del giorno prima, cominciarono a riunirsi nei luoghi convenuti e, quando furono in buon numero, si diressero alla casa del vicario di provvisione, con la ferma intenzione di saccheggiarla. Ma i vogliosi trovarono la strada chiusa da una barricata, dietro la quale erano allineati

88

i micheletti con gli archibugi spianati, pronti a riceverli degnamente con una salva in loro onore. Peccato! non si aspettavano tanto onore, e dovettero tornare indietro; ma erano inviperiti e si sentivano prudere le mani, per cui si riversarono nel Cordusio e diedero il sacco a quel forno sul quale non avevano potuto metter le mani il giorno precedente. Il povero forno era in quel momento aperto, e vi si distribuiva regolarmente il pane agli avventori sotto la vigilanza di alcuni nobili, a ci deputati dalle autorit. In un battibaleno tutto va a ruffa raffa; quindi cominciano, al solito, a portar fuori lo stiglio, per farne un bel fal in piazza del Duomo, allorch uno pi manigoldo degli altri propone di far di tutto un bel mucchio nel forno stesso, e di appiccare cos il fuoco a tutta la casa. Detto fatto; il truce proposito sta per essere attuato, quando uno che abita dirimpetto ha unispirazione dal cielo: prende un crocifisso e lo appende allarchetto di una finestra, quindi accende sul davanzale due candele benedette. A Milano, per grazia del Cielo, c ancora del timor di Dio: molti guardano in su, a Cristo in croce, e si sentono toccati nel cuore, mentre la voce della coscienza li rimorde e per i passati trascorsi e per quanto stanno per fare. Mentre sono cos indecisi, ecco giungere tutti i canonici del Duomo, in paramenti solenni, processionalmente dietro la croce, portata da uno di loro, e si mettono a predicare chi in una parte, chi in unaltra: ma, figlioli, che state facendo? dov il santo timor di Dio? questo lesempio che date ai vostri figli? Tornate a casa, ch il pane stato fissato a un prezzo pi basso di prima; lavviso affisso a tutte le cantonate!... Ed era vero: con un soldo si ha una pagnotta di otto once! Una vera cuccagna: speriamo che duri! Per non ho detto tutto continua infervorato il loquace mercante ora viene il bello. Sapete? una cabala tutta ben preparata dalla Francia per danneggiare la Spagna, perch i Navarrini (cos allora erano chiamati spregiativamente i Francesi) sanno che qui a Milano la forza del nostro re don Filippo IV. Quelli che hanno istigato la gente, sono forestieri; a proposito, la polizia ne ha arrestato uno in una locanda, (Renzo che ascolta col fiato sospeso ha come un tuffo al cuore, e per poco non si tradisce), un diavolo il quale andava predicando dammazzare tutti i signori, che aveva con s un fascio di lettere, in cui era descritto tutto il piano e si facevano anche i nomi dei complici, per cui si dice che ci andranno di mezzo molte persone. Per, mentre lo conducevano in prigione, questo delinquente stato liberato con la violenza dai suoi complici che facevano la ronda intorno allosteria. Si sa di certo che i capi della sedizione saranno impiccati; e ci voleva davvero un esempio per certa gente! Avevano preso la bella abitudine di entrare nelle botteghe, servirsi di prepotenza e dare busse in pagamento; non si poteva pi andare avanti cos! Ora tutti quelli che hanno preso parte al tumulto si sono tappati in casa, per la paura di essere nel numero di coloro che dovranno dare spettacolo, appesi alle forche; la citt, quando io sono partito, era deserta e muta, proprio come un convento. Gli ascoltatori erano rimasti molto impressionati, specialmente dalle ultime notizie; e mentre prima si rammaricavano di non essere andati a Milano, e alcuni si proponevano di andarci lindomani, ora, al sentir mentovare le forche, si

89

rallegravano di non esserci andati, e quasi se ne vantavano come dimostrazione della loro saggezza e del loro attaccamento alla famiglia. E Renzo? Al poverino quel poco mangiare era andato in tanto veleno, dice il Manzoni senza esagerare; quando il mercante aveva accennato a lui, istintivamente aveva dato un guizzo, come per fuggire; e buon per lui che in quel momento tutti pendevano dalla bocca del narratore, ch altrimenti sarebbe stato scoperto. In breve riusc a controllarsi, ma decise di andarsene subito, non appena il mercante fosse passato ad altri argomenti. Quando dunque colui cominci a parlar daltro, egli chiam con un cenno loste, pag lo scotto senza tirare sul conto, e di buon passo si diresse dalla parte opposta a quella da cui era venuto, senza chiedere neppure la strada. Ci che aveva udito allosteria non solo lo aveva turbato, ma anche gli aveva messo nellanimo, con lo sdegno per le menzogne accumulate contro di lui, un senso di indefinita paura.

90

CAPITOLO XVII
Il Manzoni inizia questo capitolo osservando che spesso basta una sola voglia insoddisfatta, per tenere in angustia un uomo; figuratevi poi se le voglie sono due, e per di pi opposte, come quelle che agitavano il nostro giovane alluscita dallosteria di Gorgonzola: quella di nascondersi e quella di scappare. Lasciato il paese allavemaria, da principio incontrava qualche viandante ma, pieno di sospetto comera, non si azzardava a chiedere la strada verso lAdda; in seguito, quando le tenebre, stendendo un opaco velo su uomini e cose, lo liberarono da questo timore, non trov pi nessuno a cui poter chiedere, e dovette procedere, come si dice, a lume di naso. Alla prima viottola che incontr volle lasciare la strada maestra, per quanto loscurit che sinfittiva sempre pi lo mettesse ormai al riparo da brutti incontri; e mentre camminava frettoloso, ripensava a tutte quelle belle notizie che il mercante aveva sciorinato nellosteria, per fare il sapientone, e si accalorava contro di lui in un muto monologo: Io fare il diavolo! Io ammazzare tutti i signori! Un fascio di lettere, io! E continuava con aperto e amaro rinfaccio: sappiate che, intanto che voi stavate a guardare la vostra bottega, io mi facevo schiacciar le costole, per salvare il vostro signor vicario di provvisione Quindi passava a un tono di ironica canzonatura circa il gran fascio di lettere che sarebbe rimasto in mano della giustizia, con dentro esposta tutta la cabala; si trattava invece di una sola lettera, scritta da un degno frate a un suo confratello per aiuto di un povero perseguitato, e la lettera era ancora in suo possesso. E terminava la sua requisitoria con un monito severo: imparate a parlare unaltra volta; principalmente quando si tratta del prossimo. Ma sfogata alquanto la sua stizza con questo soliloquio, Renzo cap che il suo nemico ormai non era il mercante, ma la stessa situazione in cui si era cacciato, la quale appariva talmente intricata, da non potersi sbrogliare senza qualche fortunato evento. Si trattava di raggiungere lAdda cos tra le tenebre, senza un indizio, senza una direttrice, quasi a tentoni; e poi, una volta trovato questo benedetto fiume, si trattava di passarlo; chi gli poteva poi assicurare che il fiume faceva in quel punto da confine? Qualora non facesse da confine, si sarebbe presentata una nuova difficolt nellattraversamento del confine terrestre, che certamente sarebbe ben guardato da doganieri e soldati, i quali potevano essere gi avvertiti della sua fuga: ormai era passata unintera giornata! A tutto questo saggiungeva il freddo, che si faceva sentire sempre pi, avendo egli vestiti leggeri, quelli appunto che aveva indossato per il matrimonio di sorpresa; inoltre gli davano una sensazione sempre pi molesta, e quasi dolorosa, sia il buio, reso pi pauroso dal fioco lume della luna offuscata dalla nuvolaglia, sia la solitudine, che diveniva di momento in momento pi ossessiva, sia infine la stanchezza, che ormai gli si faceva sentire acutamente dentro le ossa, rotte dal continuo e affannoso camminare.

91

Avrebbe voluto cercar ricovero in qualche cascina di contadini, ma avvicinandosi e sentendo i cani latrare furiosamente, non ne aveva pi il coraggio, temendo di essere scambiato per ladro o bandito, e ricever quindi una mala accoglienza. Continu dunque il suo cammino sempre pi stanco e sempre pi di mala voglia, sperando solo di poter udire, da un momento allaltro, il rumore del fiume tanto sospirato. LAdda ha buona voce pensava per confortarsi; e, quando le sar vicino, non ho pi bisogno di chi me linsegni. Perci ogni tanto si fermava in ascolto. A un certo punto si accorse che i campi coltivati erano finiti, e sinoltr in una sodaglia ricoperta di erbe alte e, qua e l, di arbusti, il che poteva far pensare a un fiume vicino. La brughiera pi in l diventava macchia e, a poco a poco, bosco. Qui il buio diventava pi fitto, e la fioca luce della luna, filtrando debolmente tra il denso fogliame, disegnava al suolo delle ombre dai contorni incerti, quasi delle figure mostruose che eccitavano la sua fantasia. A poco a poco luggia, che Renzo ormai da tempo provava nel proseguire per quel cammino cos alla cieca, si mut in ribrezzo che, aggiunto al freddo, gli faceva accapponare la pelle e battere i denti; a un certo punto cominci a sentir paura, e infine fu preso da un terrore indefinito e irragionevole. Si ferm ansante, con gli occhi sbarrati e i capelli irti: il panico aveva paralizzato il suo corpo e la sua mente; stava per perdere il controllo di s stesso e darsi a fuga precipitosa e incontrollata; ma atterrito, pi che dogni altra cosa, del suo terrore, richiam al cuore gli antichi spiriti, e gli comand che reggesse. Ripresosi da quel momento di smarrimento, pens pi serenamente al da farsi; il meglio gli sembrava tornare indietro e cercare un ricovero tra gli uomini; ma in quel vasto silenzio, calmatosi alquanto il pulsare impetuoso del cuore, ud a un tratto uno sciabordo di acque; tese le orecchie col fiato sospeso: s, era la voce amica dellAdda! Subito si sent un altro: angoscia, stanchezza, freddo, tutto era scomparso in un momento; e seguendo colludito lo sciaquo del fiume, in poco tempo ne raggiunse la riva. Guard se ci fosse qualche barca, in modo da poter passare subito, ma non ne vide nessuna; n era il caso di tentare il guado, perch con lAdda non si scherza; decise perci di tornare indietro, per passare il resto della notte al coperto, ch a passare altre lunghe ore alladdiaccio non avrebbe resistito. Aveva notato, venendo, una capanna nei campi, quasi al confine della sodaglia: l avrebbe potuto evitare, in parte, il rigore della notte. E cos fece; ritrovata la capanna, ci entr e vide appesa al tetto una specie damaca, fatta di ritorte; ma non si cur di salirci, gli parve abbastanza potersi sdraiare sulla paglia accumulata per terra. Per, prima di coricarsi, singinocchi per dire le sue orazioni, e chiese perdono a Dio di non averle dette la sera prima, per cui aveva avuto poi quel bel risveglio; si disse pentito anche dellimprudenza e dellintemperanza che avevano causato i suoi guai; quindi si distese sulla paglia, cercando di addormentarsi. Ma non ci riusciva, tante erano le immagini che gli si affollavano nella fantasia, tanti erano i pensieri che lo assillavano; e poi cera il freddo, che anche l dentro si faceva sentire abbastanza, e gli faceva ogni tanto battere i denti. Per difendersi da esso, si copr completamente di paglia, a guisa di coltre, ma poco gli giov, e

92

rimase insonne a rabbrividire nelloscurit. Le immagini, le figure umane che gli sfilavano davanti agli occhi della mente, erano tutte brutte o antipatiche, meno tre: Lucia, Agnese e padre Cristoforo. Ma anche nel contemplare queste, quanta nostalgia, quanta tristezza! Si ricord che quella doveva essere la quinta notte delle sue nozze: ma dove e come si trovava? in che modo avrebbe potuto riunirsi a Lucia, ora che cera di mezzo anche la cattura? Cercava per di cacciare tutte le preoccupazioni, pensando che il Signore infinitamente misericordioso, e non lo avrebbe abbandonato. Lo confortava soprattutto la soave immagine della fidanzata: Lucia tanto buona! non vorr poi farla patire un pezzo, un pezzo, un pezzo! Disperando ormai di prender sonno, sospirava tremando e battendo i denti il ritorno della luce, e contava il lento scorrere delle ore per mezzo dei rintocchi di un orologio (forse quello del campanile di Trezzo), i quali giungevano distinti sino a lui nellampio silenzio della notte. Quando furono le cinque del mattino, si alz come aveva deciso; disse in ginocchio una breve ma fervorosa preghiera, quindi si rialz pieno di fiducia, si stir in lungo e in largo, cercando di rianimare le membra intirizzite, e finalmente riprese il cammino verso lAdda. Il cielo prometteva una bella giornata, anche se dei cirri e dei lievi cumuli color viola variegavano qua e l il vasto azzurro, tingendosi verso oriente di un rosso che in basso si faceva sempre pi acceso: quel cielo di Lombardia dice con compiacenza provinciale il Manzoni cos bello quando bello, cos splendido, cos in pace. Ma il nostro giovane non aveva n tempo n animo, in quel momento, per contemplare lo spettacolo dellalba, tutto attento comera a rintracciare il sentiero, e soprattutto a evitare pericoli e brutti incontri. In poco tempo rifece il cammino della sera precedente, e giunse sulla riva cosparsa di macchie. Dallalto dellargine vede gi nellacqua una barchetta, che si muove lentamente contro corrente. Scende gi sul greto e d una voce al barcaiolo, chiedendo che approdi. Colui, dopo essersi assicurato che non c allintorno nessun occhio indiscreto, si dirige alla volta di Renzo. LAutore ci dice che questo pescatore era spesso pregato di tragittare qualche contrabbandiere o fuoruscito, e lo faceva non tanto per amore del poco e non sicuro compenso, quanto per non farsi dei nemici tra quella gente vendicativa; ma naturalmente non voleva rischiare di essere visto da birri o spie, e quindi passare dei guai per la sua condiscendenza. Renzo, che era in trepida attesa della barca, non appena questa tocc terra, subito ci salt dentro, e supplic il barcaiolo di tragittarlo, dietro compenso, allaltra riva. Quegli aveva gi intuito lintenzione del cliente, e volt subito la prua verso il largo. Renzo, vedendo nella barca un remo di riserva, lo afferr di slancio e lo mise in opera con tanto garbo e perizia, che il pescatore lo fece fare volentieri, vedendo che era quasi del mestiere. Ora che il passaggio dellAdda era questione di minuti, un dubbio offuscava la gioia del nostro giovane, se cio il fiume faceva l da confine o no; chiestone al barcaiolo, e saputo che la riva a cui stavano per approdare era bergamasca, vale a dire territorio veneto, non pot trattenere unesclamazione di gioia: viva san Marco! Il protettore di Venezia gli appariva come un salvatore.

93

Quando la prora tocc la riva veneta, Renzo balz a terra senza indugio e compens il buon pescatore con una berlinga, che per il suo magro borsellino fu un bel sacrificio, ma egli lo fece volentieri, dato il grande servizio che colui gli aveva reso. Mentre la barca riprendeva il largo, il giovane sincammin verso Bergamo, gi indicatagli dal barcaiolo, la quale appariva come una macchia biancastra sul pendio del monte; ma prima di mettersi in via apostrof stizzosamente il territorio che lasciava: Sta l, maledetto paese. La patria lo perseguitava, e lui la sentiva come nemica; ma pensando a chi lasciava in quel paese, si rattrist e guard con un certo struggimento lacqua che gli scorreva davanti, pensando che era passata sotto il ponte di Lecco, proprio vicino al suo paese, che gli era caro nonostante tutto. Si riscosse quasi subito, cacci quei pensieri melanconici, e si avvi risoluto; al primo viandante che incontr chiese senza esitazione la via per giungere al paese di Bortolo, che era molto vicino a Bergamo. Bortolo, suo cugino, l emigrato da molti anni, aveva fatto fortuna, diventando, da semplice filatore di seta, primo lavorante e factotum del proprietario, che se lo teneva caro per la sua capacit e onest. Aveva pi volte invitato Renzo a trasferirsi anche lui in quel paese, assicurandogli un lavoro molto redditizio, ma il nostro non gli aveva mai dato ascolto, perch non voleva distaccarsi da Lucia, alla quale il suo cuore era legato anche prima del fidanzamento. Ora invece Renzo arrivava quando meno Bortolo lo avrebbe voluto, poich il lavoro era scarso per tutti a causa della carestia e del conseguente ristagno economico. Il paese di Bortolo distava dallAdda poco meno di dieci miglia, e allorch Renzo ebbe fatto il pi del cammino, si sent un discreto appetito, per cui pens di rifocillarsi prima di giungere dal cugino, per non presentarsi cos affamato. Cont gli spiccioli che gli erano rimasti e vide che poteva permettersi un pranzetto sostanzioso; entr quindi in unosteria e consum un pasto frugale, ma sufficiente a rimetterlo in forze e di buon umore. Pagato il conto, gli rimase ancora qualcosa, che uscendo dal locale diede volentieri a una famiglia la quale, ridotta in miseria dalla carestia, tendeva la mano l sulla porta. La refezione e lopera buona (giacch siam composti danima e di corpo) avevano riconfortati e rallegrati tutti i suoi pensieri. dice a questo punto il Manzoni, e ben a ragione; se infatti la Provvidenza si era servita degli ultimi spiccioli di un povero fuoruscito per sostentare in quel giorno quella famiglia, come avrebbe poi potuto abbandonare colui del quale si era servito a questo scopo, ispirandogli un s vivo sentimento di carit cristiana? Quando Renzo arriva finalmente al paese del cugino, riconosce subito ledificio della filanda, abbastanza caratteristico; entrato, chiede se lavora l un certo Bortolo Castagneri, e gli viene indicato dov il signor Bortolo, facendo con ci intuire la carica che quegli ricopre nellopificio. Dopo un oh di meraviglia e un affettuoso abbraccio, Bortolo trae in disparte il cugino, e si rammarica con lui che sia venuto senza avvertirlo, in un momento non proprio adatto per trovare lavoro. Renzo gli espone il motivo della sua improvvisata, raccontandogli in succinto i fatti che lo avevano costretto a lasciare il paesello

94

assieme a Lucia e Agnese. A sentire quelle dolorose vicende, e anche le disavventure di Milano, Bortolo, commosso, fece coraggio al cugino, dicendogli che poteva far sicuro affidamento su lui; e aggiunse con cordiale semplicit: Dio mha dato del bene, perch faccia del bene; e se non ne fo ai parenti e agli amici, a chi ne far? Quindi espose al cugino la situazione della zona, dove la carestia e la crisi economica si facevano bens sentire, ma non come nel Milanese, poich le autorit avevano preso dei provvedimenti opportuni per ovviare al disagio, o almeno evitare il peggio. Riguardo al lavoro, sebbene esso scarseggiasse molto, espresse la speranza che il suo padrone, che era di buon cuore, sentendo i guai di Renzo, lo avrebbe assunto ugualmente, anche per fare un piacere a lui, a cui riconosceva di dover la prosperit dellazienda. Per avvert il cugino che i lavoratori del Milanese l erano chiamati baggiani (che equivaleva a babbei), e che quindi bisognava essere preparati a sorbirsi quel bel titolo. Renzo rispose che quellepiteto lo avrebbero dato, lui immaginava, solo a chi se lo lasciava appioppare senza reagire, o che fosse davvero rozzo e ignorante, ma non a un bravo operaio che sapeva il suo mestiere e aveva del sale in zucca. A Bortolo ci volle del bello e del buono per convincere il suscettibile cugino che, per i Bergamaschi, tutti quelli del Milanese erano baggiani, e quelli abili e intelligenti anche pi baggiani degli altri, perch ormai baggiano era per loro come un titolo onorifico; per persuaderlo meglio aggiunse che, se non era disposto a succhiarsi quel titolo, non poteva vivere l, perch sarebbe stata una sequela di liti e peggio. Renzo si mostr alfine rassegnato a succiarsi del baggiano a tutto pasto, dato che era inevitabile; allora il cugino disse che ormai non vedeva altre difficolt, e present senzaltro lospite al padrone, un buon bergamascone allantica, un uomo di cuor largo, il quale lo accolse cordialmente, e naturalmente non si fece pregare per dare un lavoro a uno che gli veniva cos caldamente raccomandato ed espressamente garantito dal suo bravo factotum. Renzo si cos sistemato e, per il momento, non ha problemi per il suo mantenimento; ma lo assillavano sempre i pensieri per lavvenire, se voleva, come fermamente voleva, ricongiungersi con Lucia e sposarla, anche a costo di lotte e sacrifici! Lui per era ora bandito, lei lontana: come avrebbe potuto superare, a un tempo, il rigore cieco della legge e la prepotenza dellorgoglioso signorotto, che certamente non si sarebbe rassegnato allo smacco subito, e sarebbe ricorso a ogni mezzo, pur di soddisfare il suo turpe capriccio?

95

CAPITOLO XVIII
Lo stesso giorno, 13 novembre 1628, in cui Renzo giunse al paese di Bortolo, arriv al podest di Lecco un corriere espresso, con un ordine del capitano di Giustizia, stilato nel bel latino curialesco del tempo, di far ricerca diligente del filatore di seta Lorenzo Tramaglino, che risultava abitante in detto territorio, anche se non si poteva precisare il paese; di arrestarlo se fosse per caso tornato al suo paese, e comunque di fare una rigorosa perquisizione allabitazione di lui, sequestrando tutto ci che possa servire a incriminarlo, e assumendo nello stesso tempo accurate informazioni della sua condotta sediziosa. Il Podest, dopo aver appurato, senza troppa difficolt, in quale paese del suo territorio il Tramaglino abitava, si rec alla sua casa con un notaio e una scorta di birri; questi, sfondato luscio, iniziarono la perquisizione, cio misero tutto sottosopra, come in una citt presa dassalto, ma non trovarono nulla di compromettente allinfuori, supponiamo, dello schioppo, che del resto allora, come oggi, era comunissimo nelle case dei contadini e dei montanari. Figuratevi limpressione che questa spedizione della giustizia fece sui compaesani di Renzo, i quali, conoscendolo per giovane quieto e onesto, non sapevano che cosa pensare, e sospettavano che fosse una macchina mossa da quel prepotente di don Rodrigo, per rovinare il suo povero rivale. A questo proposito lAutore osserva acutamente che quando si giudica per semplice induzione, senza cognizione dei fatti, si talora ingiusti anche verso i rei: infatti don Rodrigo, pur avendo tutto linteresse e anche lintenzione di nuocere al suo rivale, non aveva avuto alcuna parte nei guai di Renzo. E un invito alla prudenza e alla serenit nei giudizi e nelle condanne, che vale per tutti e non soltanto per la polizia e per i giudici. Il superbo signorotto, vero, non aveva alcuna colpa della disgrazia di Renzo il quale si era dato, come si dice, la zappa sui piedi; ma saputala, se ne rallegr, come se fosse stata opera sua, specialmente col suo degno cugino, il conte Attilio, il quale aveva intanto rimandata la partenza per Milano, per non rischiare di assaggiare in citt quelle bastonate di cui era, almeno verbalmente, cos largo donatore, quando si trattava di plebei indifesi che erano, a suo dire, tutti mascalzoni bastonabilissimi. Questa volta, nel clima bollente di Milano, il burbanzoso conte avrebbe corso il pericolo di riceverne un assaggio sulle sue illustri spalle, invece che darne sulla schiena degli ignobili, rei soltanto di non avere il sangue blu nelle vene. Fra Cristoforo, quando riseppe della perquisizione poliziesca in casa di Renzo, fu amaramente sorpreso, e scrisse al padre Bonaventura, sperando di sapere da lui qualcosa di preciso; ma il suo confratello pot solo comunicargli che, il giorno di San Martino, un forestiero si era presentato al convento chiedendo di lui, ma non avendolo trovato, se nera andato senza pi far ritorno. Il padre Cristoforo, conoscendo bene il giovane e il suo carattere onesto, ma anche impetuoso e talora

96

imprudente, intu subito che egli, pi che reo, era stato vittima delle circostanze e della sua indole focosa e risentita, specialmente nello stato danimo in cui si trovava per la recente ingiustizia patita. Quando la situazione nella capitale fu ritornata del tutto calma, don Attilio si decise a partire, incitando il cugino a non desistere dalla sua impresa, poich egli lo avrebbe, in un modo o nellaltro, sbarazzato dellarrabbiato frate, ora che la giustizia lo aveva liberato dellabietto rivale, del quale anche la sposa, come tutto il resto, poteva ormai considerarsi come roba di rubello, cio preda del primo che ci mettesse le unghie. Infatti il ribelle, il sedizioso, come Renzo era considerato, non aveva pi nessuna tutela legale, e tutto ci che gli apparteneva era premio del delatore o possesso del primo occupante; e in realt avvenne che la casa di Renzo fu letteralmente saccheggiata, prima dalla forza pubblica e poi dai cinici profittatori, i quali misero le mani senza scrupolo anche sulla sua vigna. Poco dopo la partenza del conte Attilio, torn il Griso da Monza, e rifer che Lucia e la madre erano ricoverate nel monastero della Signora, sotto la sua protezione, che la ragazza non usciva mai, neppure per sentire la Messa, che ascoltava da una grata assieme alle suore. Queste notizie misero di cattivo umore don Rodrigo, perch un monastero, e soprattutto quel monastero, con una principessa per protettrice, era un osso troppo duro per i suoi denti; sicch tutti gli altri punti favorevoli venivano a un colpo annullati da questo ostacolo imprevisto. Come espugnare quel sacro ricovero? come aver ragione di una principessa? Sapeva che cera uno che ci sarebbe certamente riuscito, un tale, le cui mani arrivavano spesso dove non arrivava la vista degli altri: un uomo o un diavolo, per cui la difficolt delle imprese era spesso uno stimolo a prenderle sopra di s. Questo il primo accenno al fosco personaggio che il Manzoni chiama innominato, pur essendo personaggio storico, appunto perch vuole lasciarlo, almeno in parte, nel dominio della libera fantasia. Storicamente non altro che Bernardino Visconti, feudatario di Brignano Chiara dAdda, il quale dopo essere stato bandito dallo Stato di Milano, era audacemente tornato nel ducato, e viveva impavido e temuto in un inespugnabile castello sul confine, dal quale, come unaquila dal suo nido insanguinato, dominava tutto il territorio circostante con la sua sfrenata violenza, appoggiata su uno stuolo di bravi tra i pi risoluti e feroci. Don Rodrigo pens dunque di ricorrere a costui, ma rimase per alcuni giorni in forse, data la gravit del passo, perch quel signore si metteva bens a disposizione degli amici, ma esigeva poi anche che costoro restassero a sua completa disposizione, e gli obbedissero in tutto e per tutto, qualunque cosa egli comandasse: e in questo era terribilmente intransigente. Inoltre egli era un bandito, un pubblico nemico, e laver dei rapporti con lui poteva provocare delle rappresaglie da parte delle autorit costituite. Don Rodrigo voleva godersi la vita in citt, abitarvi rispettato e riverito cos come in campagna, in mezzo ai suoi possedimenti, essere amico dei pubblici magistrati, per averne appunto lindulgenza o la connivenza alle sue malefatte, per cui non poteva mettersi in urto con i rappresentanti del potere; inoltre era nipote di un membro influente del Consiglio segreto, e non doveva permettersi queste scandalose e pericolose

97

amicizie o relazioni: ne sarebbe stato compromesso anche il prestigio del suo illustre zio, il quale certamente non gli avrebbe perdonato una simile colpa! Ma pochi giorni dopo lincerto signorotto ricevette una lettera del cugino che faceva un gran coraggio, e minacciava di gran canzonature in mezzo alla brillante societ, se lavesse data vinta a un villano e a un frate; anzi ora ambedue costoro erano stati messi fuori combattimento, il primo dalla polizia, il secondo dal Conte zio membro del Consiglio segreto; infatti lo informava che il maledetto frate era stato trasferito in un convento molto lontano. Poco dopo ricevette unaltra bella notizia: Agnese era tornata al paese, lasciando la figlia, la quale rimaneva in tal modo un po meno protetta, lontana dalla gonna della madre, donna esperta e risoluta. Questi fatti fecero alfine passare il Rubicone a don Rodrigo, il quale ritenne inevitabile imbarcarsi in s pericolosa amicizia, se voleva da una parte soddisfare il suo puntiglio e il suo infame capriccio, dallaltra evitare le grandi canzonature dei giovani signori milanesi, che il cugino aveva pensato a informare a puntino di tutto: perdere la faccia davanti ad essi sarebbe equivalso a una morte civile! Ma ora torniamo un poco a Lucia, e rendiamo conto dei casi cui abbiamo accennato. Le grandi notizie dei fatti di Milano erano naturalmente giunte a Monza e per conseguenza anche nel monastero, per mezzo della fattoressa la quale teneva un orecchio alla strada e uno al monastero, facendo volentieri da tramite e in un senso e nellaltro. Le nuove venivano partecipate alle due donne, sapendo che Renzo era giunto a Milano proprio il giorno del tumulto. Lansia di esse divenne viva preoccupazione, specialmente per Lucia, quando la fattoressa disse loro che uno di quelli che dovevano essere impiccati, come caporioni della sedizione, era di Lecco o dei dintorni; ma allorch, qualche tempo dopo, annunci che quel facinoroso era proprio del loro paese e si chiamava Tramaglino, a Lucia, come fulminata dalla notizia, cadde il lavoro dalle mani. Per fortuna la fattoressa era un po distante da lei, e Agnese, alla quale stava parlando, riusc a contenersi, a non tradire in volto la dolorosa emozione dellanimo; alla domanda se lo conoscesse, rispose con apparente indifferenza che in un villaggio tutti si conoscono, per cui lei si meravigliava molto del fatto, in quanto quel giovane era conosciuto come un tipo tranquillo e onesto. Quando madre e figlia rimasero sole, potete immaginare quali furono i loro discorsi, quanto tristi i loro commenti! Non sapevano proprio cosa pensare: come una tale enormit poteva essere successa, e quali ne sarebbero state le conseguenze? Per Lucia langoscioso discorso finiva talora nelle lagrime, e la stessa madre non sapeva che dire per consolarla. Un certo sollievo lo rec loro padre Cristoforo il quale, servendosi di un pescivendolo di Pescarenico che si recava a Milano a vender la sua merce, fece sapere che stava cercando di aver pi sicure notizie di Renzo; loro intanto confidassero in Dio, sicure che Egli non avrebbe abbandonato i tribolati, mentre lui avrebbe fatto quanto era umanamente possibile in loro favore, e comunque ogni settimana avrebbe mandato altre notizie, o con quello o con un altro messo.

98

Una distrazione dai tristi e talora tormentosi pensieri che lassillavano, Lucia la trovava nel lavoro assiduo e anche, talvolta, nella conversazione familiare che aveva con Gertrude, la quale la faceva chiamare ogni tanto nel suo parlatorio privato, e si lasciava andare con lei a confidenze sul suo passato incolpevole, soprattutto circa il modo con cui era stata rinchiusa l; sicch quella prima maraviglia sospettosa di Lucia sandava cambiando in compassione. La Signora avrebbe voluto che anche la ragazza, a sua volta, le raccontasse la sua storia sentimentale, ma per lei era impossibile trattare un simile argomento, in cui non entravano tirannia, insidie, patimenti, cose brutte e dolorose, ma che pur si potevan nominare, ma quei moti ineffabili del cuore, quei soavi sensi originati dallamore: parola che Lucia, nella sua pudica riservatezza, non riusciva proprio a pronunciare, parlando di s. A questo proposito possiamo osservare che lo stesso ritegno, il medesimo pudore mostra il Manzoni nel parlare damore: in tutto il romanzo egli accenna appena delicatamente alle dolci emozioni che suscita nellanimo questo potente sentimento, e ancor pi sobriamente, con vigile castigatezza, ai turbamenti del cuore e dei sensi prodotti dalla passione sensuale, dal richiamo del sesso, che volgarmente chiamasi amore, con evidente degradazione di questo grande sentimento. Alcuni critici, non escluso il Croce, hanno rimproverato al Manzoni questo spirito puritano, che lo indusse a eliminare senza rimpianto, nelledizione definitiva, quelle parti della storia di Gertrude che parevano indulgere alla descrizione della passione erotica; secondo costoro egli avrebbe, per cos dire, tarpato le ali alla sua fantasia, precludendosi molte possibilit di poetica emozione. Io non concordo con essi. Il Manzoni, pur con sobrie e talora indirette espressioni, ci fa sentire la potenza e la soavit dellemozione damore, quello vero, pi di tanti altri poeti e prosatori che hanno dedicato intere pagine alla sua descrizione; del resto lo stesso Autore, a chi gli rimproverava questa eccessiva sobriet, rispondeva argutamente che il mondo cos pieno di amore, che questo sentimento non ha proprio bisogno di essere incrementato dalle opere letterarie. Queste invece, purtroppo, hanno sempre speculato su questo sentimento, o peggio sulle sue deviazioni pi o meno morbose, pi o meno peccaminose, pi o meno piccanti. Il Nostro respinge lerotismo, non ha bisogno di questo ingrediente per far piacere il suo romanzo; egli intese far opera darte e di poesia, esprimere tutto il suo mondo interiore, il suo sentimento profondo, che era sentimento religioso, visione cristiana del mondo e della vita, appunto come intese far Dante. E il suo romanzo, appunto perch motivato dal profondo, si traduce inconsapevolmente in opera di profonda edificazione morale, come la Divina Commedia, pur rimanendo opera squisitamente poetica e per nulla oratoria, come invece il primo Croce voleva sostenere. Per il Manzoni lamore un sentimento sublime e quasi divino, perch una derivazione dellamore verso Dio, e non va perci deturpato o sfruttato in alcun modo: egli accenna ad esso in modo delicato, ma vivo e potente, sia nel romanzo sia nelle tragedie. Basta ripensare a certe espressioni, volutamente castigate ma di grande potenza evocatrice, dell Addio, monti e del coro Morte di

99

Ermengarda, solo paragonabili alle espressioni, fuggevoli ma potenti, di un Dante (quali dolci pensier, quanto deso a proposito di Paolo e Francesca) e di un Leopardi (che speranze, che cori, o Silvia mia!). I grandi poeti sono stati sempre sobri, pur potentemente suggestivi ed emotivi, nella trattazione dei temi damore; e il Manzoni ci ha dato una grande lezione di austerit, dimostrando col suo esempio che la vera opera darte non ha bisogno di simili ammennicoli, necessari ai pennivendoli che scrivono a scopo di cassetta, sfruttando i sentimenti deteriori, o peggio i bassi istinti, che covano nellanimo umano. I bassi istinti vanno invece frenati e corretti, anche mediante la missione civilizzatrice dellarte, e non, come avviene oggi, esaltati e sfacciatamente spacciati come i valori pi genuini delluomo. La lezione civile e cristiana del Manzoni purtroppo non stata minimamente ascoltata dai romanzieri e cineasti di oggi, i quali, col pretesto della libert dellarte ma in realt a scopo di lucro disonesto, depravano sempre pi le passioni, scatenando i pi bassi istinti con la pi immonda pornografia, alla quale il cinema offre le sue immagini lubriche e allettanti. Tornando a Gertrude, diremo che anche lei provava un certo sollievo nel parlare con la sua protetta, la quale le mostrava tanta gratitudine e affetto sincero; il far del bene a una creatura cos innocente era, per la colpevole e inquieta monaca, un mezzo quasi inconscio di espiazione e, per cos dire, un pegno di grazia e di perdono. Il pesciaiolo di Pescarenico torn, come aveva promesso, la seconda settimana, recando i saluti di fra Cristoforo e la conferma della fuga di Renzo, intorno al quale per il padre non poteva dare alcuna nuova, non avendone ricevuto, come invece sperava, dal suo confratello di Milano; comunque cercherebbe di averne e di comunicarle loro con lo stesso mezzo. Ma la terza settimana non si present al convento n quel pescivendolo n altri a portare notizie da parte del buon frate; questo fatto accrebbe linquietudine delle povere ricoverate, e Agnese decise di dare una capatina al loro paese, per venire in chiaro del mancato invio di notizie da parte di padre Cristoforo. Ormai esse vivevano per queste notizie, perch facevano ogni assegnamento sullopera del frate il quale, unico, alimentava le loro speranze. Prive di notizie da parte di lui, che erano lunico modo con cui esse erano legate al mondo esterno, le poverette si sentivano come sperdute e mancanti di ogni conforto. Perci Lucia, per quanto le dolesse rimanere, anche per pochi giorni, priva della mamma, ne approv la decisione, perch capiva che quello era lunico mezzo per sapere qualcosa di positivo. Per raggiungere il paese, Agnese pens di chiedere un passaggio al solito pescivendolo, che di norma il venerd passava col suo biroccio per Monza, ritornando da Milano; lo aspett sulla via e lo preg del favore, che quegli fece molto volentieri. Giunta a Pescarenico, la buona donna volle subito vedere fra Cristoforo e, recatasi al convento, ne chiese a fra Galdino che venne ad aprire. Il laico le rispose che il padre non cera, e chiss quando e se sarebbe tornato, essendo stato mandato a predicare a Rimini, una citt molto ma molto lontana. La povera donna rimase annichilita, tanto era lontana dallimmaginare una simile iattura; fra Galdino, intuendo la sua desolazione, le propose di chiamare qualche

100

altro padre a cui rivolgersi per consiglio, poich ce nerano nel convento di assai valenti. Ma Agnese non ne volle sapere, dicendo che solo fra Cristoforo era quello che conosceva i loro bisogni e gi si stava adoperando per loro: gli altri che cosa le avrebbero potuto fare? E cos la derelitta sincammin verso il suo villaggio, turbata e smarrita come il povero cieco che avesse perduto il suo bastone. Fra Galdino aveva spiegato ad Agnese limprovvisa partenza di padre Cristoforo, con una richiesta, venuta da Rimini, di un buon predicatore; in realt il suo allontanamento era stato chiesto al Padre provinciale di Milano dal Conte zio del Consiglio segreto, su istigazione di don Attilio. Questi, come aveva promesso al cugino, era andato a trovare lo zio comune, per presentargli gli ossequi suoi e di don Rodrigo, a proposito del quale disse che doveva informare lo zio di una spiacevole questione, la quale rischiava di degenerare in lotta aperta, gravida di imprevedibili conseguenze, se il signore zio non laccomodava subito con la sua opera illuminata e influente. Ecco di che cosa si trattava: un arrabbiato cappuccino di Pescarenico aveva cominciato a cozzare contro don Rodrigo, a minacciarlo, ad aizzargli contro i villani, per via di una ragazza che gli stava molto a cuore, chi sa perch, e che riteneva insidiata da lui, che tuttal pi le aveva rivolto qualche complimento galante, incontrandola, cos per scherzo. Il Conte zio disse che evidentemente il frate non sapeva che don Rodrigo era suo nipote e sarebbe bastato farglielo sapere per mutare lostilit in ossequio A questo punto possiamo osservare, assieme alla capacit di don Attilio di mentire spudoratamente, anche la sua diabolica abilit nellintrappolare lo zio, per ridurlo ai suoi voleri, facendo leva sulla sua boria nobiliare e sulla sua suscettibilit di influente uomo politico. Infatti, alle ultime parole dello zio, replica che il frate era benissimo al corrente del legame di parentela, e per questo ci provava pi gusto a perseguitare don Rodrigo, andando dicendo che lui se ne rideva dei grandi e dei politici, e che il cordone di San Francesco tien legate anche le spade Bast questa insinuazione bugiarda perch la condanna dello sconosciuto frate fosse decretata nel cuore del burbanzoso signore, ferito a morte nel suo orgoglio. Ma il nipote non si ritenne pago: volle accendere ancora di pi lanimo dello zio contro lavversario, affinch il colpo non fallisse e fosse mortale. Fece un po la storia del soggetto prima che entrasse in convento, dipingendolo come un vile plebeo che, avendo ereditato quattro soldi, si era messo a competere con i nobili, ma non potendo spuntarla, una volta, ne ammazz uno, onde, per salvarsi dal capestro, si fece frate; e aggiunse la grave circostanza che il medesimo era anche il protettore di quel Lorenzo Tramaglino, gran caporione della sedizione milanese: infatti il famigerato ribelle, che abitava nei pressi di Pescarenico, recava appunto una lettera del pericoloso frate. Lo zio fu ben lieto di conoscere questo particolare, per lui molto favorevole e quasi risolutivo; e il cinico don Attilio, veramente machiavellico, per coronare la sua opera, aggiunse che il cugino, offeso cos crudelmente, era fuori dei gangheri e voleva farsi giustizia da s, assolutamente e subito, per cui il signore zio doveva agire senza indugio, se voleva evitare un colpo di testa da parte del nipote. Quindi, con raffinata scaltrezza, aggiunse di sapere che il signore zio era amico del Provinciale

101

dei Cappuccini, il quale aveva, comera naturale, una gran deferenza per lui; per cui, se egli reputava che, in quel caso,la migliore soluzione fosse far trasferire il frate, in due parole lavrebbe potuto ottenere. A questo consiglio cos scoperto, la boria ombrosa del nobile uomo politico si adont; un po ruvidamente disse al nipote di lasciarne il pensiero a chi di dovere. Don Attilio, il quale si aspettava senzaltro questo risentimento, ma non aveva lo stesso voluto tralasciare di fare la proposta, tanto poco si fidava della perspicacia dello zio, fece le sue umili scuse daver osato, lui cos ignorante, dare un parere a un uomo tanto sapiente, ma aggiunse di averlo fatto senza pensarci, per lamore che portava alla dignit della famiglia, cos volgarmente offesa dallodioso frate; quindi porse allo zio i deferenti omaggi propri e del cugino, e si licenzi contento, poich aveva istigato a dovere lanimo dello zio contro il nemico, per cui poteva stare sicuro che il frate era spacciato: ormai era questione di giorni, ma lora per lui era sonata. A conclusione di questo capitolo abbozziamo un confronto tra i due degni cugini: il conte Attilio evidentemente pi scanzonato e pi superficiale nelle sue passioni, ma anche pi scaltro e sicuro di s; cinico e vanitoso, e soprattutto orgoglioso del suo titolo nobiliare, desiderava godersi la vita ridendo di tutti e di tutto; don Rodrigo pi schiavo delle sue passioni, pi cupo, pi preoccupato delle difficolt e degli ostacoli, e quindi meno capace di godersi la vita spensieratamente, come pur avrebbe desiderato. In questa sua inquietudine centrava probabilmente leducazione religiosa che aveva ricevuto, nella fanciullezza, dal padre, il quale era stato un galantuomo; una tale educazione, pur soffocata dalle passioni della giovent e dalla ricerca dei piaceri, aveva lasciato qualche residuo nel suo subcosciente, come di qualcosa che, pur obliterato o calpestato, era per vero e ineluttabile. Da questa specie di coscienza di colpa deriva, per esempio, il vago terrore che la tronca profezia di fra Cristoforo infonde nel suo animo, al punto da esser tentato di troncar tutto; se non lo fa, soprattutto per orgoglio, per non darla vinta al frate: e chi accende il suo orgoglio il suo genio malefico, don Attilio, il quale invece non ha in s alcun seme buono, che possa fruttare redenzione. Don Rodrigo potrebbe redimersi; e lo stesso padre Cristoforo, additandolo a Renzo nel lazzaretto, in coma sul suo giaciglio, dice pensoso e pietoso: Pu esser gastigo, pu esser misericordia. Egli aveva fatto il piacere unico scopo della sua esistenza, ma il senso del dovere era nel fondo del suo animo, anche se seppellito dalle passioni, alimentate dallambiente superbo e cinicamente edonistico in cui gli piaceva vivere.

102

CAPITOLO XIX
Il Manzoni comincia questo capitolo con una similitudine: come chi trova unerbaccia in un campo, non potrebbe mai stabilire con assoluta certezza se il seme maturato nello stesso terreno o c stato trasportato dal vento oppure da un uccello, cos nessuno potrebbe dire se la decisione del Conte zio di rivolgersi al Provinciale dei cappuccini, per aver ragione di padre Cristoforo, sia sorta dal fondo naturale del suo cervello o dallinsinuazione di Attilio. Per possiamo esser certi che, anche senza lispirazione del nipote, il Conte ci sarebbe arrivato anche da solo, tanto la soluzione era adatta al suo temperamento di diplomatico, abituato allintrigo o al compromesso del do ut des. Egli sapeva che contro un frate non era utile la forza legale, perch il clero regolare e secolare era del tutto immune dalla giurisdizione dello Stato, quasi uno Stato nello Stato, per cui, se si voleva un risultato sollecito e sicuro, era opportuno agire per via di influenze e di amicizie. Proprio come aveva detto don Attilio al titubante cugino: Bisogna saper raddoppiare a tempo le gentilezze a tutto il corpo, e allora si pu impunemente dare un carico di bastonate a un membro. Questo aveva cinicamente sentenziato il conte Attilio, quello delle bastonate a ogni pi sospinto, e lo zio ne mette in pratica la massima con arte sopraffina, elaborata in decenni di vita politica. Tra lui e il Provinciale correva una vecchia conoscenza; sincontravano di rado, ma sempre con formali dimostrazioni di ossequio, sia da una parte che dallaltra, e con esibizioni sperticate di servizi; ora era appunto venuta loccasione di chiedere un favore al Provinciale; ma il Conte voleva essere sicuro del successo, e nello stesso tempo non pagare lo scotto, se gli riusciva, facendo credere di far lui un servizio al Padre, invece di riceverlo. Il Conte metteva nel trattare tutti i suoi affari un grande studio, una grandarte, di gran parole, e in genere riusciva a spuntare i suoi impegni, anche perch si trovava in posizione di forza, cio nobile, ricco e membro influente del Consiglio segreto, per cui era molto vicino al Governatore; infatti questa consulta, composta di tredici personaggi di toga e di spada (il Conte era togato, cio proveniente dalla Magistratura), coadiuvava il Governatore nel disbrigo degli affari e ne faceva le veci, in caso di vacanza o di impedimento. La figura del Conte zio stata variamente giudicata dai critici; per alcuni egli era davvero un gran politicone, mentre per altri era una testa di legno, che non aveva altra qualit allinfuori del sussiego e della boriosa vanit. Mi sembra che sia gli uni sia gli altri esagerino: veramente il Conte non era una cima per intelligenza, e di ci forse lui stesso era consapevole, per cui alla carenza naturale supplica con artifici che gli donavano una species5, anche se non molto era il

species = grande aspetto.

103

cerebrum6; il suo aspetto era piuttosto goffo, ma egli con una certa prosopopea solenne aveva saputo mascherare questo fondo di goffaggine dipintogli in viso dalla natura. Tutti i suoi atteggiamenti, tutte le sue parole erano studiate per impressionare i suoi interlocutori, e quindi accrescere il suo prestigio, e non cera il suo pari nel farlo valere e nel farlo rendere con gli altri. Quindi dobbiamo concludere che era un uomo abile, che aveva saputo sfruttare al massimo le sue poche doti: una di quelle mezze figure che destramente si sanno fare largo anche fra i pi dotati, e finiscono per primeggiare, oggi come allora, perch nella societ prevalgono quasi sempre non gli uomini pi capaci, ma i pi abili o meglio i pi furbi. I capaci sono generalmente onesti, e disdegnando i mezzi subdoli e sleali, finiscono spesso col soccombere davanti agli spregiudicati arrivisti. Ordunque il Conte, preparato il suo piano minuziosamente, invit a pranzo il Provinciale; e per impressionarlo gli fece trovare a tavola alcuni parenti molto titolati, i quali sia col loro contegno solenne, sia col parlare di cose grandi in termini familiari, insinuavano nelluditore lidea della superiorit e della potenza. Durante il pasto il padrone di casa parl naturalmente dellevento pi clamoroso della sua carriera, un suo viaggio a Madrid, in occasione di una missione a corte, in cui ricevette una calorosa accoglienza. Ma il Padre provinciale non permise che parlasse sempre lui, pavoneggiandosi; a un certo punto, con grande abilit, devi la conversazione dalla Spagna e, di regno in regno, la port su Roma e sulla corte pontificia, dove il papa regnante, Urbano VIII, era fratello del Cardinale Barberini, cappuccino, per far capire che i Cappuccini erano influenti, avendo un protettore deccezione, fratello addirittura del sommo pontefice e lui stesso cardinale di Santa Romana Chiesa. Il Provinciale insomma vuol mettere in evidenza che anche lui, cio lOrdine a cui appartiene, ha il suo prestigio da difendere, avendo intuito che il Conte intende impressionarlo con le sue grandigie. La conversazione tra i due appare sin dal principio come un duello verbale, che dalle prime avvisaglie si presenta interessante e molto equilibrato, poich nellabile schermaglia il Provinciale ribatte colpo con colpo, non concedendo alcun vantaggio allavversario. La figura del Padre provinciale stata anchessa variamente interpretata: alcuni critici dicono che un inetto, che si fa mettere nel sacco dal Conte, mentre altri affermano che si rivela abile e capace, non indegno della sua carica. A me sembra che egli sia di intelligenza superiore a quella del suo interlocutore, e sia anche abilissimo dialettico; ma la sua debolezza e vulnerabilit deriva dal fatto che anche lui un politico, cio disposto al compromesso, campione e vittima del do ut des. Gi accettando il lusinghiero invito del conte si disponeva a compiacerlo in qualche cosa, che poteva costituire per lui un sacrificio, pur con lintenzione di ricevere, a breve o lunga scadenza, il contraccambio del piacere che ora gli veniva chiesto. Egli ribatte gli argomenti del Conte, ma al solo scopo di dimostrargli che le ragioni della sua richiesta non sono valide, e lui potrebbe

Cerebrum = cervello, intelligenza.

104

non accoglierla; ma cede in pegno di amicizia; in altre parole egli resiste solo tatticamente, per accrescere il valore venale di quanto concede. Il suo comportamento comprensibile, ma tuttavia biasimevole dal punto di vista morale: egli, per mantenersi indipendente, come era suo dovere, non doveva accettare alcun invito, scusandosi con destrezza, n tanto meno doveva coltivare amicizie altolocate con lintenzione di averne dei vantaggi, magari anche per lOrdine, poich queste relazioni avrebbero necessariamente portato a compromessi non sempre moralmente accettabili. Finito il pranzo, il Conte invit il Provinciale in un salotto appartato, per parlare dun affare di comune interesse, e senza troppi preamboli gli chiese se nel convento di Pescarenico cera un certo padre Cristoforo; laltro rispose affermativamente. Il piano del Conte, come si desume dalle prime battute del dialogo, era di ottenere lallontanamento del cappuccino, non come favore che lui chiedeva, ma quasi quasi come favore che lui faceva, in quanto dava al Provinciale, con un avviso amichevole, la possibilit di evitare rimproveri o peggio; ma questo disegno, abbastanza abile, viene frustrato con superiore abilit dal Provinciale. Il Conte comincia col dire che da certi ragguagli gli risulta che questo frate amico dei contrasti, che non ha quella prudenza quei riguardi Subito il Provinciale intuisce lo scopo del colloquio, e pensa: Ho inteso: un impegno. Ma non cede affatto alle prime richieste, perch vuol vendere caro il favore che alla fine conceder, appunto per farlo apparire pi importante. Perci ribatte subito che le sue informazioni, che sono di prima mano, presentano il cappuccino in una luce molto diversa: un frate universalmente stimato, esemplare, sia in convento sia fuori, nei contatti coi fedeli. Il Conte torna alla carica con unartiglieria pi pesante: il frate, dato come esemplare, proteggeva Lorenzo Tramaglino, quello che, con tanto scandolo, scapp dalle mani della giustizia. Il Provinciale accusa mentalmente il colpo, ma ribatte che, la missione dei religiosi, proprio quella di cercare le pecorelle smarrite, i traviati, per ricondurli sulla retta via, allovile. Ma il Conte incalza, insinuando che il Governatore potrebbe venire a conoscenza della scandalosa circostanza, fare un passo presso la Santa Sede, e da questa venire a lui, responsabile della Provincia Cappuccina, un biasimo per non aver punito e trasferito un soggetto cos imprudente, a dir poco: egli intendeva dargli un avviso amichevole, per evitare grane che avrebbero compromesso il prestigio e del Provinciale e dellOrdine. Ma il provetto cappuccino non permette che la questione sia impostata in quei termini di larvata minaccia, e subito vuol dimostrare che non teme il ventilato pericolo; risponde perci che, se si prenderanno buone informazioni, risulter senza ombra di dubbio che il padre Cristoforo non ha avuto a che fare con quel sedizioso, se non per tentare di ricondurlo sulla strada del dovere e dellonest. Il Conte allora cerca di offuscare ulteriormente la figura del frate con delle maligne insinuazioni, ricordando i suoi falli di giovent; ma il provinciale replica prontamente, affermando che, da quando porta labito, colui si comportato in modo ammirevole, ed anzi una gloria dellOrdine poter trasformare un omicida

105

in un uomo sommamente benefico. Come si vede, il padre ha reso vani tutti gli approcci dellantagonista, demolendo le premesse che avrebbero permesso a costui di ottener facile vittoria. Il Conte comprende finalmente che per quella via non pu approdare a nulla, e allora si scopre e chiede il favore, pur tentando ancora miseramente di non farlo apparire tale. Dice infatti che quel frate ha preso a cozzare con don Rodrigo, suo nipote, il quale, stanco per le continue provocazioni, deciso a farsi giustizia da s: lui intervenuto pro bono pacis, perch questi contrasti inevitabilmente tirano in ballo tutta la parentela, coalizzata, com giusto, per tutelare la dignit del casato; ma lui sarebbe oltremodo dolente di doversi schierare contro i cari padri cappuccini, cui si sente legato fin dalla fanciullezza. Il Provinciale risponde che la cosa gli riesce nuova e gli dispiace moltissimo, ma bisogna tener conto che tutti si pu sbagliare, tanto da una parte, quanto dallaltra; facendo intendere con queste parole che la colpa del contrasto potrebbe non essere del frate; aggiunge che, comunque, prender le sue informazioni e, se il frate risulter colpevole, lo punir secondo che vuole la Regola. Ma queste informazioni, questa eventuale punizione secondo le norme della Regola non possono certamente garbare al Conte, che vuole un provvedimento immediato e senza appello; perci replica che, secondo prudenza, bisogna sopire, troncare, perch certe cose, a rimestarle, si fa peggio: occorre allontanare il fuoco dalla paglia; chiede insomma il trasferimento del frate in un convento piuttosto lontano. I trasferimenti per i cappuccini sono di ordinaria amministrazione, e non richiedono particolari motivazioni o giustificazioni; anzi il Provinciale, avendo avuto la richiesta di un predicatore da Rimini, avrebbe potuto senzaltro mandare padre Cristoforo, che godeva fama di valente quaresimalista; tuttavia non accetta subito la proposta, perch vuole mercanteggiare il suo assenso, per far pesare di pi il favore concesso. Risponde perci che, date le circostanze, un trasferimento pu sembrare una punizione, e non si pu punire senza aver accertato il torto; insiste insomma sulla necessit di assumere buone informazioni, avendo capito che queste non piacciono allamico, evidentemente perch esse avrebbero potuto dare ragione al religioso. Il Conte allora cerca di minimizzare la faccenda: punizione? macch punizione! Un provvedimento prudenziale, un ripiego di comune convenienza. E quando il Provinciale obbietta che il nipote potrebbe menarne vanto, come di una vittoria, il Conte assicura che don Rodrigo non avrebbe saputo assolutamente nulla di quanto era passato tra loro due: nella sua carica di alta responsabilit egli era ben uso a mantenere il segreto, perci di lui poteva fidarsi. Il Provinciale, pur non fidandosi affatto della discrezione del suo interlocutore (conosce bene le bugie dei politicanti!), ormai disposto a rendere il grande servizio, perch ci trova la sua convenienza: trasferendo fra Cristoforo egli far, come si dice, un viaggio e due servizi; solo pone la condizione che don Rodrigo faccia, per loccasione, qualche straordinaria dimostrazione di deferenza e di amicizia verso lOrdine; e il Conte deve prometterlo, pur dicendo che non ce ne sarebbe bisogno,

106

perch il nipote stato sempre molto inclinato verso i Cappuccini, seguendo in ci il genio dello zio; e conclude offrendo i suoi servigi: Se posso qualche cosa, tanto io, come la famiglia, per i nostri buoni padri cappuccini Implicitamente il Conte riconosce di aver ricevuto un favore e si mostra pronto a ricambiarlo; perci non mi sembra esatto parlare di vincitore e di vinto, in questo incontro, come si esprime lo stesso Manzoni; io parlerei di collusione tra i due, mentre la grande sconfitta la giustizia. Questo si verifica quando si accetta la deleteria influenza della politica negli affari religiosi, poich il clero, entrando negli intrighi politici, non pu non tradire il proprio ministero nella prospettiva di benefici temporali e immediati, perdendo di vista i valori eterni e insostituibili. Per questo miserabile e detestabile interesse terreno il Provinciale sindusse ad allontanare, su due piedi, il protettore di due poveri perseguitati, che rimangono in balia dei prepotenti, al solo scopo di compiacere un uomo influente, da cui avrebbe potuto in seguito avere dei favori, e forse non per lOrdine, ma per s o per i propri familiari! Egli non un vinto, perch non risulta inferiore allavversario, e acconsente infine alla pressante richiesta solo per accendere una valida ipoteca sullavvenire, cio per obbligarsi il signor Conte: tradisce il proprio dovere per una miserabile prospettiva di tornaconto materiale. Cose del Seicento? Mah! Il fatto sta che poche sere dopo giunge al convento di Pescarenico un cappuccino di Milano, latore di un ordine del Provinciale: fra Cristoforo deve andare a Rimini, a predicarvi la Quaresima; nella lettera al Guardiano, che accompagnava l obbedienza cio lordine di trasferimento, si diceva, tra le altre istruzioni, che il detto padre doveva interrompere ogni affare che avesse avviato e non mantenere corrispondenza con persone del luogo. Il Guardiano per quella sera non disse nulla a fra Cristoforo, non per farlo dormire tranquillo, come pensa qualche critico, ma proprio per non permettergli di avvertire qualcuno o mandare qualche messaggio o lasciare qualche lettera per i suoi protetti; lo lascia alloscuro, io penso, per aderire pienamente alle intenzioni del superiore. La mattina seguente gli mostra lobbedienza (che richiedeva un adempimento pronto, rispettoso e assoluto, in base al voto di obbedienza), e gli dice di partire immediatamente alla volta di Rimini assieme col latore del plico, destinatogli come compagno, dandogli appena il tempo di andare nella sua cella a prender la sporta, il bastone, il sudario e la cintura, che costituivano il corredo ordinario dei cappuccini nei lunghi viaggi a piedi. Per il nostro frate, come pu immaginarsi, fu davvero un brutto colpo, un fulmine a ciel sereno: i suoi superiori lo ritenevano colpevole (era evidentemente un trasferimento punitivo), e lo condannavano senza nemmeno ascoltarlo! Quanta amarezza poi nellintuire il retroscena mercantesco di un simile provvedimento, nel costatare lacquiescenza del Provinciale alle richieste ingiuste dei nobili prepotenti e intriganti! Ma per lui questa umiliazione era nulla; gli doleva soprattutto abbandonare quei poveretti tribolati e insidiati: cosa sarebbe stato di loro? Ma pens alla Divina Provvidenza, e si rasseren: i miseri sono sotto la protezione di Dio, Onnipotente e Misericordioso, di cui lui era stato un semplice

107

strumento, un inetto rappresentante. Si accus perci di presunzione: si era ritenuto un mezzo necessario e insostituibile! La duplice fausta notizia, della partenza del frate e del ritorno di Agnese al suo paesello, fecero decidere don Rodrigo, come si detto, a ricorrere per aiuto allInnominato. Il Manzoni alla fine del capitolo si ferma a delineare la figura di questo fosco personaggio, servendosi anche di qualche cronaca del tempo, e soprattutto della voluminosa Storia patria del Ripamonti, stilata in un discreto latino. Noi non aggiungeremo molto a quanto abbiamo gi detto su di lui; metteremo solo in risalto alcuni tratti che ci mostrano questo tiranno ben diverso, per esempio, da don Rodrigo, e piuttosto simile nellanimo e nel carattere al giovane Lodovico; solo che Lodovico non era nobile, ed era quindi tormentato da un complesso dinferiorit che, non preoccupava davvero il ricco feudatario Bernardino Visconti. In tutte due notiamo, fin dalla prima giovinezza, un misto sentimento di sdegno e dinvidia impaziente alla vista di tanti tiranni, di tanta ingiustizia e prepotenza: quindi il fondo dellanimo era in ambedue onesto e generoso. Purtroppo tutte due simbarcarono ben presto nella gara della potenza terrena, che doveva sfociare inevitabilmente nella violenza e nel delitto. Lodovico sent subito disgusto di una simile gara di prepotenza, e loccasione dellinvolontario omicidio provoc in lui una crisi che gli fece prendere per tempo la strada del pentimento e dellespiazione. Il Visconti invece sentusiasmava sempre pi nella lotta, e il vincere era per lui lunico scopo dellesistenza, la pi grande soddisfazione della vita. Nei dintorni del suo castello tutti i tiranni, grandi e piccoli, avevano dovuto fare i conti con lui, e scegliere tra la sua amicizia, che comportava sottomissione e obbedienza, e la sua inimicizia, che equivaleva a una sentenza capitale. Nei contrasti, nelle lotte private che singaggiavano in quella societ violenta, molti ricorrevano a lui: chi aveva torto si raccomandava a lui per aver ragione, chi aveva ragione si rivolgeva a lui per impedire che lo facesse lavversario; in molti casi ricorrevano al suo patrocinio ambedue i contendenti, ed egli allora era praticamente larbitro della questione. Qualche volta avveniva pure che ricorresse a lui un povero perseguitato, e lui, che in fondo era generoso e odiava laltrui prepotenza, costringeva il persecutore a smetterla e, se non obbediva subito, lo conciava male; e in quelle occasioni il suo nome era benedetto. Ma per lo pi era maledetto ed esecrato, perch a poco a poco egli era diventato un appaltatore di delitti, un esecutore cinico e spietato, anche per conto di principi stranieri, che in qualche occasione gli mandarono rinforzi di uomini, che operassero al suo comando. La reputazione del suo potere era diffusa a tal punto, che spesso venivano attribuiti a lui anche i colpi di altri tiranni, e ci ingigantiva la sua fama; sicch era divenuto loggetto di orripilanti racconti e di fosche leggende popolari. Le autorit ormai non osavano pi nulla contro di lui, dal momento che i birri che si erano avventurati nel suo dominio, che comprendeva un vasto territorio intorno al castello, non erano pi tornati indietro. Il suo piacere era comandare, essere il pi potente di tutti, essere universalmente temuto; il suo scopo era spuntarla in ogni occasione, riuscire il pi forte in qualsiasi scontro. Per don Rodrigo invece la tirannide non era lo scopo

108

dellesistenza, ma il mezzo per godersi la vita; egli non avrebbe tollerato di passare la vita solitario in un tetro castello, pur come un re, perch amava troppo i piaceri della societ brillante e le comodit della vita cittadina. Ma questa volta il tirannello, se voleva spuntarla e soddisfare i suoi capricci, doveva ricorrere al fosco tiranno, umiliarsi davanti al temuto bandito. Don Rodrigo si pieg alla necessit, e una mattina, in equipaggiamento da caccia, onde nascondere la sua intenzione ai suoi stessi bravi, si rec al castello dellInnominato a chiedere il gran favore, il rapimento di Lucia dal monastero della Signora.

109

CAPITOLO XX
Don Rodrigo, come abbiamo detto, era stato per molti giorni indeciso se ricorrere o no allInnominato, e in qualche momento aveva anche pensato di lasciar perdere tutto e andarsene a Milano a dimenticare nei piaceri quella passione; ma in citt gli amici gli avrebbero riso in faccia, poich il cugino aveva gi sonato la tromba, mettendo tutti al corrente del suo capriccio per la bella montanara: come sostenere un simile affronto? AllInnominato egli aveva fatto qualche favore, ed era sicuro che ne avrebbe ricevuto volentieri il contraccambio; tuttavia don Rodrigo non voleva legarsi troppo a quelluomo fosco, a quel bandito, anche per non incorrere nello sdegno del Conte zio, rappresentante dellautorit costituita. LInnominato faceva il tiranno ribelle, in odio al Governo e alla legge, mentre don Rodrigo voleva infrangere la legge solo quando gli servisse per soddisfare i suoi capricci, e nello stesso tempo coltivava lamicizia delle autorit (come il podest di Lecco) e delle persone influenti, per essere, in ogni caso, anche quando agiva illegalmente, uno di quelli che hanno sempre ragione. Per questo aveva sempre cercato di tenere nascosta la sua amicizia con lInnominato; e se anche qualcosa ne era trapelato, lui poteva giustificarsi adducendo lo stato di necessit, poich per vivere in campagna, a poche miglia dal suo castello, doveva necessariamente diventargli amico. E su questa inevitabile relazione le autorit di Governo, e lo stesso Conte zio, dovevano chiudere un occhio, poich non riuscendo essi ad aver ragione di quel bandito ribelle, dovevano pur permettere che ognuno provvedesse da s ai casi suoi, dal momento che mettersi contro colui era cosa troppo pericolosa. Il castello dellInnominato, situato alla sommit di un poggio sporgente da una giogaia di monti, dominava una valle stretta e ombrosa, in cui scorreva un torrente che faceva da confine tra il Ducato di Milano e la Serenissima Repubblica veneta. Il poggio era praticabile solo dal lato della valle, da cui una strada serpeggiante saliva sino al castello. Dallalto di questo il selvaggio signore dominava tutta la vallata, e dalle feritoie praticate nelle mura egli poteva sparare cento volte contro chi avesse osato muovere allassalto di quella fortezza, che risultava pertanto veramente imprendibile. La forza pubblica infatti, dopo aver fatto qualche tentativo di snidarlo di l, aveva desistito per evitare nuove perdite di uomini. Ma questi fatti erano ormai antichi: da tanti anni nessuno pi lo aveva molestato, nessun birro era pi apparso nemmeno nella valle, e la sua presenza l sul confine, nel suo invincibile maniero, non veniva pi contrastata in alcun modo, e appariva pertanto quasi tollerata de facto, anche se non accettata de jure. Linazione del Governo aveva naturalmente consolidato la posizione del fiero bandito. Ai piedi del colle, nel punto dove aveva inizio la ripida strada, o piuttosto sentiero, tutto a gomiti e a giravolte, che saliva al castello, cera una taverna, adibita a posto di guardia, il cui presidio era costituito da tre bravi e da un ragazzaccio armato come un saracino, il quale imparava la professione di

110

ribaldo in quella bella compagnia. Quando don Rodrigo giunse in vicinanza di questa taverna, chiamata con tetro augurio la Malanotte, il ragazzaccio allevato alle forche salt fuori, allo scalpitio del cavallo, e vista quella compagnia che si avvicinava, corse dentro a informare il capoposto. Questi, venuto fuori immediatamente a vedere chi fossero i sopraggiungenti, avendo riconosciuto in testa al gruppo un amico del suo padrone, gli fece un cenno di saluto, che don Rodrigo ricambi con molto garbo. Saputo quindi dal caporalaccio che il signore era al castello, scese da cavallo e si tolse da tracolla la carabina, consegnandola a uno del seguito, perch sapeva bene che non si poteva andare lass con le armi; lo stesso fece il Griso, che lo doveva accompagnare lungo lerta fino al castello. Quindi, dopo aver regalato alcuni scudi al capoposto, da dividere con la sua brigata, e alcune berlinghe ai propri uomini, affinch potessero nellattesa giocare l a carte e a denari con i loro colleghi, prese la salita di buon passo, seguito dal fedel Griso, che vedremo rivelarsi tuttaltro che fedele nel momento cruciale. Arrivato al castello, dovette lasciare il suo caporalaccio alla porta, perch questi erano gli ordini inviolabili di quella fortezza, in cui vigeva una dura disciplina di tipo militare. Fu fatto passare attraverso molte stanze piene di armi di ogni tipo, e finalmente, dopo breve attesa, fu introdotto dal signore,. Questi, rispondendo al suo saluto, lo squadr tutto, osservandogli particolarmente il viso e le mani, per scoprire che intenzione avesse e se portasse armi. Faceva ci con tutti quelli che gli si presentavano, per abitudine da lungo tempo acquisita, che ormai per lui era diventata una specie di istinto, da cui non avrebbe saputo discostarsi neppure volendolo. Infatti, essendo in urto con tutta la societ, lInnominato era costretto a guardarsi da tutti, anche dagli amici, nel timore di un tradimento. E questo esame sospettoso e inquisitorio dei suoi visitatori era ormai per lui tanto abituale, che lo faceva senza avvedersene e con tutti indistintamente: conseguenza del sospetto incessante che opprime i tiranni. I nostro Autore ci d anche una raffigurazione fisica dellInnominato: alto,bruno, calvo, robusto, viso rugoso, bianchi i pochi capelli rimasti; allaspetto fisico, forse gli si dava pi dei sessantanni che aveva, ma dal suo sguardo duro e penetrante e da quelle fattezze aitanti traluceva una forza di corpo e danimo, che sarebbe stata straordinaria in un giovine. Don Rodrigo gli disse subito che veniva per aiuto: non riuscendo a spuntarla in un impegno, dal quale non poteva daltronde ritirarsi senza disonore, ricorreva allopera di lui, che non prometteva mai invano; e disse in succinto di che si trattava. Sapendo poi che la difficolt delle imprese era per il suo interlocutore un incentivo per assumersele, si mise a esagerare gli ostacoli che in quella si presentavano: un centro cittadino, un monastero di clausura, la protezione della Signora e il fatto che la ragazza non usciva assolutamente mai. LInnominato non lo lasci continuare, e accett senzaltro di prendere limpresa su di s; quindi, senza entrare in particolari, conged lamico assicurandolo che tra pochi giorni avrebbe avuto qualche notizia in proposito. Questa sicurezza in unimpresa

111

tuttaltro che facile derivava allorgoglioso signore dal fatto che quel tale Egidio, che aveva sedotto Gertrude e intratteneva tuttora una relazione con lei, era uno dei suoi pi diretti dipendenti; perci lInnominato, che era al corrente di tutto e conosceva il legame delittuoso che avvinceva i due, non poteva dubitare dellesito dellimpresa, e aveva perci cos facilmente dato la sua parola. Ma non appena il visitatore se ne fu andato, subito il signore si pent di aver fatto quella promessa, di essersi impegnato a sangue freddo in una nuova scelleratezza, mentre da un certo tempo le scelleratezze del passato gli procuravano, se non un vero e proprio rimorso, certo una scontentezza, una molestia, un fastidio mai prima provati; anzi prima, nel considerare la serie dei suoi misfatti, provava un senso di orgogliosa fierezza. Solo in giovinezza, ai primi delitti, aveva provato una certa qual ripugnanza, ma laveva vinta presto, al pensiero che tutti i signori compivano violenze e prepotenze delittuose, per cui anche lui ne poteva e doveva fare, se non voleva rimanere al disotto. Si era quindi impegnato in una gara feroce di delitti con i suoi pari, e in poco tempo li aveva superati tutti, costringendoli o a ritirarsi malconci dalla lotta o a cercare la sua amicizia, sempre per da subordinati satelliti. Da allora egli era stato il primo nel male, solo innanzi a tutti, e questo primato universalmente riconosciuto era stato per lui il pi ambito premio e la pi grande soddisfazione della vita. Ora per quella fierezza e quella soddisfazione non la sentiva pi, e si vedeva nellarco discendente della vita; ogni tanto gli tornava in mente un molesto pensiero: invecchiare, morire; e poi? Quel Dio di cui gli avevano qualche volta parlato quandera piccolo, e di cui in seguito non si era mai pi curato, vivendo come non esistesse n Lui n la sua legge, ora gli si faceva talora sentire nellanimo come una potenza misteriosa ma ineluttabile, e anche la sua legge gli si presentava ora come qualcosa di fisso e inevitabile; e gli si affacciava alla coscienza leventualit di doversi presentare dopo la morte davanti a un Giudice assoluto e infallibile, che lo giudicherebbe per quanto aveva fatto, indipendentemente dal cattivo esempio altrui. Del resto, se agli inizi egli poteva essere stato influenzato dallaltrui violenza, era pur vero che aveva agito sempre per propria volont, in una feroce emulazione dei peggiori, che egli in breve aveva uguagliato e superato di molto. Ora gli si affacciava alla mente lidea molesta di una responsabilit personale, di un giudizio personale, al quale tenga dietro necessariamente una sanzione personale per tutto il male fatto, per le sofferenze procurate, per il sangue sparso! Questi terribili pensieri che talora gli assediavano la mente, e che egli cercava sempre di combattere senza mai riuscire a sconfiggerli, gli procuravano da tempo una certa inquietudine, che lo rendeva tanto esitante e incerto, quanto prima era stato deciso e risoluto; ma per orgoglio nascondeva questa sua nuova debolezza sotto la maschera di una pi cupa ferocia, di una pi spietata determinazione. Aveva subito promesso a don Rodrigo di accollarsi limpresa, proprio per impedire al suo animo ogni vacillamento e ogni ripensamento, che lo avrebbe fatto decadere da quella fama di uomo invincibile e sicuro, che si era guadagnata portando a termine con spietata sicurezza una lunga catena di delitti. Ora che don

112

Rodrigo era partito, sentiva di nuovo quelluggia del passato e quellesitazione per il presente, che gli davano come una smania insopportabile; per precludersi ogni adito al ripensamento, fece chiamare immediatamente il Nibbio, il capo dei suoi bravi, e lo mand da Egidio a Monza, per ordinargli che cosa doveva fare. Lo scellerato giovane, basandosi sulla collaborazione di Gertrude, rispose che la cosa era facile: mandasse per il tale giorno una carrozza con due o tre bravi ben travestiti, ch lui penserebbe al resto. Per lui era scontata ladesione della Signora al piano delittuoso. Quando Egidio chiese a Gertrude di sacrificare Lucia, ella ne prov orrore e cerc di esimersi, perch contribuire alla rovina della ragazza, alla quale si era in certo modo affezionata, le appariva davvero enorme e insopportabile; ma alla fine non pot sottrarsi alla ferrea schiavit del vizio, poich non aveva la forza di ribellarsi del tutto, spezzando quelle catene del peccato e del delitto, le quali ormai la tenevano prigioniera. A questo proposito il Manzoni fa unacuta osservazione psicologica: Il delitto un padrone rigido e inflessibile, contro cui non divien forte se non chi se ne ribella interamente. Gertrude non seppe o non volle rompere definitivamente col suo tirannico amante, temendo forse le conseguenze di una simile ribellione, e dovette perci obbedire alla dura imposizione. Si avvicinava lora stabilita per il proditorio rapimento di Lucia; Gertrude, chiamatala nel proprio parlatorio, le faceva pi carezze del solito, come il pastore accarezza lagnella mentre, belante e tremante, la conduce fuori dellovile per consegnarla al macellaio. Lingenua ragazza accettava con gratitudine e ricambiava quelle carezze con tenerezza crescente, appunto come lagnella, avviata al macello, si volta ignara a leccare la mano dellinteressato pastore. Dopo le carezze, la Signora chiese a Lucia di farle un piacere: andare al convento dei cappuccini per avvertire il Guardiano che doveva parlargli. La poverina, a simile richiesta, rimase come sbigottita, e per quanto provasse verso la Signora una grande soggezione, non esit a esprimere la sua ripugnanza: sola, senza la madre, per una strada solitaria e quasi sconosciuta Ma laltra, ammaestrata a una scola infernale, si mostr molto meravigliata, e quasi offesa, che non volesse farle questo piccolo favore, mentre lei gliene faceva di ben pi grandi: e poi, di che si trattava? quattro passi, di pieno giorno, per una strada percorsa pochi giorni prima; un percorso tanto semplice, che non si poteva addirittura sbagliare! A queste parole Lucia, mortificata e sconvolta, disse che sarebbe andata: se per la fattoressa, vedendola uscire per la prima volta, le chiedeva dove andasse, che cosa doveva rispondere? La Signora le sugger una bugia, e ci accrebbe il turbamento della poverina, che si avvi rassegnata: e bene; ander. Dio maiuti! Ma quando Lucia, tutta sbalordita, stava uscendo dalla stanza, la Signora, che la seguiva con locchio fisso e torbido, improvvisamente la richiam, come sopraffatta dal pensiero di quel nero tradimento. Ma quando la ragazza fu tornata davanti alla grata per sentire che cosa volesse, gi quel pensiero era stato cacciato dallanimo di Gertrude da un altro pensiero, un pensiero avvezzo a predominare per mezzo della passione peccaminosa che aveva soggiogato e reso schiavo

113

lanimo della sciagurata. Fingendo allora di non essere contenta delle istruzioni datele, gliele ripet, ricordandole la strada da seguire; quindi la conged di nuovo, senza pi ripensamenti. Vedendo Lucia costretta in tal modo, con vera violenza morale, a uscire dal monastero per cadere nellagguato preparato contro di lei, ci viene in mente laltro caso di violenza morale, quando la poverina fu indotta al matrimonio clandestino. L Renzo con le sue escandescenze, con le sue terribili minacce, che forse coscientemente accentu, costrinse la fidanzata a fare ci che la sua coscienza non poteva approvare; qua la tiranna della volont di Lucia adopera non le minacce, ma prima le carezze, quindi la meravigliata incredulit di trovare dellingratitudine in colei che aveva tanto beneficato e in cui confidava. Nelluno e nellaltro caso la poverina cede per evitare il peggio: a Renzo, perch non credesse che non lamava abbastanza, e non commettesse per rabbia qualche atto inconsulto; a Gertrude, per mostrarle la sua gratitudine, di cui lei aveva dubitato. Nelluna e nellaltra occasione il suo cedimento accompagnato da tanta sofferenza morale, ma anche da un accorato abbandono nelle mani di Dio, Padre misericordioso. Ella convinta di non agire bene, e prevede che ci che fa non potr andare a buon fine; e infatti le conseguenze sono in ambedue i casi tristi: l il matrimonio fallisce, qua ella cade nella trappola e viene rapita. Ma proprio per la sua profonda sofferenza e per la sua grande fiducia, il Signore non labbandona, ma la salva, traendo il bene dal male, come sa far solo Lui. Nel primo caso infatti ella sfugge, proprio a causa del matrimonio clandestino, al rapimento organizzato da don Rodrigo; nel secondo caso ella cade tra le grinfie dei bravi dellInnominato, ma con le sue angosciate parole, col suo pianto, con le sue accorate preghiere turba prima il Nibbio e poi lo stesso signore, portando a soluzione positiva la crisi spirituale che lo travagliava da tempo. Per mezzo delle semplici ma toccanti parole della prigioniera, lanimo dellInnominato si apre alla speranza, e passa dalla fosca disperazione notturna alla consolante fiducia nel perdono divino. La sofferenza di Lucia quindi strumento di salvezza. Ma torniamo al racconto. La ragazza, uscendo dal convento, per fortuna non fu vista dalla fattoressa, e cos non si trov nellimpaccio di dover dire una bugia, che le ripugnava grandemente, e tutta raccolta e un po tremante si avvi per la strada indicatale. Uscita dalla porta del borgo, dovette farsi coraggio per inoltrarsi in una strada solitaria, poich, dopo quel primo incontro con don Rodrigo, le strade le facevano paura, e questo sentimento era andato via via crescendo per le dolorose vicende che le erano accadute. Ma vedendo, nella strada che conduceva al convento, una carrozza ferma e due viaggiatori a terra, che sembravano incerti della via, si sent alquanto rincorata e procedette pi speditamente e meno preoccupata. Quando fu nei pressi della carrozza, uno dei due viaggiatori le chiese cortesemente qual era la strada per Monza; mentre Lucia si voltava per indicarla, laltro la prese istantaneamente per la vita e la cacci nella carrozza, sebbene lei gridando cercasse di divincolarsi; una volta dentro un altro tristo la inchiod nel fondo del sedile, davanti a s, mentre un terzo con un fazzoletto le tapp la bocca.

114

Il Nibbio, colui che laveva presa a tradimento, entr subito anche lui in carrozza e chiuse in fretta lo sportello, mentre il cocchiere faceva partire i cavalli di gran carriera. Colui che aveva fatta quella domanda traditora a Lucia era un bravo di Egidio, il quale rimase un momento sul posto per accertarsi che nessuno avesse udito le grida; visto tutto calmo, spar in un baleno anche lui, prendendo per i campi. Non mi prover a descrivere lo stato danimo della povera ragazza, sopraffatta dal terrore e dallangoscia: ella intuiva confusamente la motivazione del suo rapimento, e ne inorridiva e tremava nelle pi intime fibre del suo essere. Ribellandosi con tutte le forze a quella violenza cercava di divincolarsi per raggiungere lo sportello, ma delle braccia nerborute la ricacciavano indietro, mentre il fazzoletto le soffocava in gola il grido. Dopo ripetuti tentativi di liberarsi da quella morsa, si sent mancare le forze, sbianc in viso e svenne, facendo preoccupare alquanto quei manigoldi, perch sembrava proprio che fosse morta. Stavano intanto entrando in un bosco, solitamente infestato dai banditi, per cui il Nibbio ordin di prendere dalla cassetta i tromboni e di tenerli pronti, ma dietro la schiena, per non spaventare la ragazza, una volta che fosse rinvenuta; comand inoltre di non toccarla se non dietro suo ordine, perch a custodirla bastava lui; e lasciassero parlare lui solo. Quando la poverina si riebbe, pen alquanto a rendersi conto della sua terribile situazione; ma non appena ne fu pienamente consapevole, subito cerc, con una stratta, di gettarsi allo sportello; ma il Nibbio, che stava allerta, lafferr immediatamente e la costrinse di nuovo a sedersi, minacciando di imbavagliarla col fazzoletto, se non la smetteva di gridare. Quindi, con la voce pi dolce che pot, cerc di calmarla, assicurandola che essi non volevano farle alcun male, per cui doveva stare tranquilla. Lucia allora, con le lagrime agli occhi e con voce accorata, li supplic di lasciarla andare, per lamore di Dio e della Madonna: che cosa aveva loro fatto di male? perch la facevano soffrire cos? se avevano una madre, una moglie, una figlia, pensassero a quello che esse patirebbero trovandosi in quello stato! Lei perdonava loro di cuore tutto quello che le avevano fatto, ma la lasciassero andare subito, anche in quel luogo sconosciuto: il Signore le avrebbe fatto ritrovare la sua strada. Vedendo che non davano retta, insisteva piangendo a scongiurarli con parole semplici ma toccanti: Ricordatevi che dobbiamo morir tutti, e che un giorno desidererete che Dio vi usi misericordia. Ma siccome quelli non sembravano affatto toccati dalle sue parole, Lucia si rivolse a Colui che tiene in mano il cuore degli uomini, e incrociate le mani sul petto, si mise a pregare con molto fervore; quindi, presa la corona che portava sempre con s, cominci a recitare mentalmente il santo rosario con tutta la concentrazione di cui era capace. Ogni tanto interrompeva la preghiera per tornare a supplicare quegli uomini; ma vedendo che era sempre inutile, riprendeva con maggiore accoramento il suo rosario, tutta rannicchiata nellangolo del sedile. Intanto nel castello lInnominato attendeva lesito della spedizione con una strana inquietudine: non dubitava affatto della sua riuscita, ch anzi poche imprese erano state altrettanto sicure; eppure sentiva crescere in cuore quel turbamento,

115

quella specie di malessere che aveva provato subito dopo essersi impegnato con don Rodrigo. A questo punto possiamo fare un utile confronto tra lInnominato, in attesa della carrozza, e don Rodrigo quando, nel suo palazzotto, attendeva da un momento allaltro larrivo della bussola con dentro la fanciulla, che il Griso era stato incaricato di rapire. Don Rodrigo allora si preoccupava solo dellesito materiale dellimpresa, e si consolava pensando alle lusinghe che avrebbe usato per ridurre Lucia alle sue voglie, e gi pregustava il piacere del soddisfacimento del suo turpe capriccio; lInnominato invece sicuro dellesito felice del ratto, ma non ne prova alcuna soddisfazione, bens un turbamento molesto, una preoccupazione quasi angosciosa. Quando vide, gi in fondo valle, comparire la carrozza, sent come un tuffo al cuore, e non resistendo pi in quella sospensione tormentosa, decise di mandare uno dei suoi sgherri a ordinare al Nibbio di portare direttamente la ragazza da don Rodrigo. Mentre per stava per dare quellordine, sent come un no imperioso risonare nella sua mente; ma dovendo pur fare qualche cosa, per liberarsi dallangoscia che lattanagliava, fece chiamare una vecchia serva e le ordin di scendere alla Malanotte con una bussola per rilevare la giovane che era nella carrozza, che avrebbe poi condotta in camera sua, dove ella avrebbe pernottato. Le comand di non rivelare alla ragazza dove fosse n di chi era il castello, ma per il resto di accontentarla e di farle coraggio. La vecchia trasal a questordine, piuttosto insolito su quella bocca, e chiese che cosa doveva dire per far coraggio alla prigioniera. Il signore a questa domanda sinfuri: Hai tu mai sentito affanno di cuore? Hai tu mai avuto paura? Non sai le parole che fanno piacere in quei momenti? Dille quelle parole: trovale, alla malora. Va. La vecchia era nata nel castello, da un custode di esso, ed era cresciuta nella venerazione dei padroni, che per lei erano come divinit in terra, e il castello era tutto il suo mondo. Allorch lInnominato, divenuto padrone assoluto, cominci a instaurare allintorno una tirannide feroce e sanguinaria, ella ne prov un sentimento pi profondo di sommissione. Fattasi ragazza da marito, aveva sposato un servitore della casa, il quale per non torn pi da una certa spedizione. La pronta e spietata vendetta che ne fece il signore accrebbe la sua totale sottomissione al potente padrone, che per lei era tutto. Rimasta vedova, aveva dovuto accudire agli sgherri, compagni del suo morto marito; ma fattasi vecchia, era diventata un po lo zimbello di quei manigoldi, che usualmente la chiamavano vecchia, ma a questa parola aggiungevano sempre qualche epiteto di beffa e di scherno. Ma la donna, il cui animo si era depravato e indurito sempre pi vivendo per tutta la vita in quellambiente sinistro, non si teneva affatto queglinsulti, ma rispondeva pronta con altri improperi in cui Satana avrebbe riconosciuto pi del suo ingegno che nelle parole degli insultatori. Non da meravigliarsi che una donna simile si stupisse dellordine di far coraggio a una prigioniera, a meno che non fosse una principessa, e non sapesse in effetti come doveva fare, quali parole usare per rincuorare una creatura. In quel castello ella aveva dovuto cucire, rattoppare, cucinare, ripulire, rigovernare, spazzare, medicar ferite, brontolare, sentire a dire parolacce; ma non le era mai capitato di dover

116

consolare una persona dicendo qualche parola gentile e buona, e il suo cuore si era inacidito in quella vita vissuta, sin quasi dallinfanzia, senza alcuna luce spirituale, senza alcun barlume di carit. Tanto lambiente pu depravare lanimo umano, fatto per intendere e amare! Comunque, di parole di consolazione, aveva allora bisogno non tanto Lucia, che aveva la sua Fede, quanto lInnominato, il cui animo era attanagliato ormai dal rimorso, e non pi soltanto dallinquietudine e dalla sospensione penosa. E mentre la vecchia correva a eseguire i suoi ordini, lui per dominare limpazienza tormentosa camminava nervosamente su e gi per la stanza, dove attendeva il Nibbio che doveva fargli la relazione dellimpresa.

117

CAPITOLO XXI
La vecchia giunse con la bussola alla Malanotte un po prima della carrozza la quale ormai, per la stanchezza dei cavalli, procedeva piuttosto lenta e, per lo stato danimo dellInnominato, addirittura col passo della morte; ordin al Nibbio di trasferire nella bussola la prigioniera, che lei stessa invit, con la miglior voce che pot, a scendere dalla carrozza e a seguirla, aggiungendo che aveva ordine di trattarla bene e di farle coraggio. Se non ci trovassimo davanti al doloroso calvario di Lucia, ci verrebbe davvero da ridere dinanzi alla rozzezza di questa donna la quale, per confortare la poveretta, non sa dire altro se non che ha ricevuto ordini di farle coraggio. Essa si preoccupa soltanto dellordine ricevuto, perch teme lira del padrone, e non fa che ripetere alla sconsolata giovane: Glielo direte, eh?, che vho fatto coraggio? E in seguito, per precostituirsi come un alibi, continuer ad ammonirla: ricordatevi che vi ho fatto coraggio ricordatevi che vi ho invitato pi volte a mangiare ricordatevi che vi ho esortato ripetutamente a venire a letto Lunica preoccupazione della sciagurata non era nei riguardi della poverina, il cui penare non la toccava affatto, perch non lo comprendeva, ma verso il padrone, che non avesse a rimproverarla o peggio. Ma non era colpa sua! Lucia, al fermarsi della carrozza, si riscosse come da un tormentoso torpore, e alle parole della vecchia sconosciuta, temendo ormai ogni cosa nuova, prov uno spavento pi cupo, per cui non mostrava nessuna intenzione di lasciare la carrozza; sicch dovettero prenderla e metterla di peso nella bussola. La vecchia vi entr subito dopo, e i lettighieri avviarono le mule su per la salita. La ragazza allora, piena dangoscia, chiese alla donna dove la conducesse; al che quel ceffo sconosciuto e deforme, cercando di fare la voce dolce e suadente, rispose che la portava da uno che voleva farle del bene, tanto che le aveva comandato di farle coraggio Ma la poverina, pi spaventata che mai, scongiur la donna di lasciarla andare, di accompagnarla in qualche chiesa, in nome della Vergine Maria Questo nome soave, non sentito e non invocato ormai da tanto tempo, fece nella mente della vecchia unimpressione indistinta, suscitando un vago e lontano ricordo, come la rimembranza della luce, in un vecchione accecato da bambino; e la similitudine, di icastica evidenza, rende appieno la pena per quella cecit spirituale. Intanto il Nibbio, raggiunto a piedi il castello, fece la sua relazione nello stile laconico a cui erano stati avvezzati dal padrone, il quale aveva organizzato il castello come una fortezza e addestrato i suoi uomini come dei veri soldati. Limpresa era riuscita perfettamente: lavviso a tempo, la donna a tempo, nessuno sul luogo, un urlo solo, nessuno comparso, il cocchiere pronto, i cavalli bravi, nessun incontro: ma Tutto era andato dunque nel modo migliore, per cera un ma veramente inaspettato, un inconveniente del tutto insolito in simili imprese: quella povera ragazza aveva fatto al Nibbio, cuore certo non tenero, tanta compassione, che avrebbe cento volte preferito che lordine fosse stato piuttosto

118

di darle una schioppettata nella schiena, senza sentirla parlare, senza vederla in viso. E aggiunse, lintrepido luogotenente, che la compassione un po come la paura: guai a lasciarla entrare nel cuore! uno non pi un uomo! LInnominato, sbalordito nel sentir parlare cos quelluomo solitamente cos duro e deciso, gli chiese cosa mai avesse fatto colei per muoverlo a piet. Saputo che per tutta la strada, che era durata pi di quattrore, la poverina non aveva fatto altro che piangere e pregare, poi svenire come morta, quindi di nuovo supplicare e dire certe parole da commuovere il cuore pi duro, il signore pens che la migliore cosa da fare era di sbarazzarsi subito di questa strana ragazza, che aveva fatto compassione al Nibbio, e ordin a costui di montare immediatamente a cavallo per andare ad avvertire don Rodrigo che mandasse a prendere la donna, ma subito subito, ch altrimenti Ma improvvisamente un no interno pi imperioso del primo gli fece annullare lordine, per cui comand al suo luogotenente di andarsene invece a riposare: lindomani avrebbe saputo il da farsi. Fermiamoci un istante a considerare la figura del Nibbio, confrontandola con quella del Griso, suo collega, per cos dire. Esprimendoci matematicamente, con una proporzione potremmo dire che il Nibbio sta al Griso come lInnominato sta a don Rodrigo: il Griso infatti vile come il suo padrone, e alla fine si riveler, lui, il fedelissimo, un abbietto traditore, e far la fine che si merita; il Nibbio invece , nel fondo dellanimo, generoso e magnanimo, proprio come il suo signore; ha ancora, sotto la dura scorza del masnadiero, un cuore umano, che palpita e si commuove. Per quanto il Manzoni non parli pi di lui dopo questo episodio, possiamo essere certi che il Nibbio, uomo franco e servitore fedele, rimarr vicino al suo padrone anche nella conversione, inizio di una nuova vita, fatta di riparazione e di opere benefiche. Quando lInnominato rest solo, dopo aver congedato il suo luogotenente, rimase l a ripensare alla strana compassione di lui, e sempre pi ne rimaneva stupito; per cui, ad evitare di essere contagiato, ribad in cuor suo il proposito di mandare senzaltro al suo destino la ragazza, lindomani mattina. Ma dal fondo del suo animo sorgeva e si faceva sentire sempre pi vivo il desiderio di vederla, di sentire le sue parole; non era curiosit, ma come uno strano bisogno, una specie dattrazione inspiegabile, misteriosa quanto potente. Dopo aver resistito alquanto, dovette cedere a questo nuovo impulso, e savvi verso la camera della vecchia, dove Lucia era stata condotta; era convinto che non avrebbe dovuto farlo, eppure ci andava! Picchia con un calcio, facendo accorrere ad aprire la vecchia, che ne ha riconosciuto la voce; entrato, volge imperioso lo sguardo in giro e, alla fioca luce della lucerna, scorge la povera ragazza tutta raggomitolata sul pavimento, nellangolo della stanza pi buio e pi lontano dalla porta. Subito ne prova un senso di compassione: a lui non aveva fatto niente di male, eppure la faceva soffrire cos! Dopo aver rimproverato la serva per averla gettata l a terra come uno straccio, si avvicin a Lucia e le disse di alzarsi, una e due volete senza che la poverina si movesse; per cui, sdegnato per aver comandato invano, le grid di mettersi in piedi con tono iracondo, tale da non ammettere n ripulsa n indugio.

119

Allora linfelicissima, prendendo per cos dire vigore dal suo stesso spavento, si sgropp ma, senza alzarsi, si inginocchi davanti a lui dicendo: Son qui: mammazzi. Il signore, con voce tuttun tratto raddolcita davanti a quel viso turbato dallaccoramento e dal terrore, disse che non voleva farle alcun male, con un tono quasi di scusa, che fece trasecolar la vecchia. Allora la ragazza, con accento disperato di rimprovero, gli domand: Perch mi fa patire le pene dellinferno? Cosa le ho fatto io?E vedendo una certa esitazione nel comportamento del signore, e la compassione interna trasparire pur dai duri lineamenti del suo volto, aggiunse con tono smorzato: Sono una povera creatura: cosa le ho fatto? In nome di Dio A quel nome lInnominato reag, come se fosse stato schiaffeggiato, perch appunto quel Dio lo perseguitava da tempo con la sua grazia, non dandogli pi pace, mentre lui non voleva cedere, non voleva arrendersi, per non perdere la faccia davanti al mondo: pretendeva forse, con quel nome, di fargli paura? Ma la povera ragazza rispose con umile semplicit: cosa posso pretendere io meschina, se non che lei mi usi misericordia? Dio perdona tante cose per unopera di misericordia!... Mi faccia condurre in una chiesa. Pregher per lei, tutta la mia vita A queste parole commoventi il signore appariva esitante, per cui Lucia insistette con maggiore accoramento: Non iscacci una buona ispirazione!... Se lei non mi fa questa carit, me la far il Signore: mi far morire, e per me sar finita; ma lei!... Forse un giorno anche lei Ma no, no; pregher sempre io il Signore che la preservi da ogni male Se provasse lei a patir queste pene LInnominato era turbato, tocco da quelle parole inaudite nelle pi intime fibre dellanimo; la sua commozione traspar dal tono della voce con cui cerc di far coraggio alla ragazza, ripetendo che non intendeva farle alcun male, e che sarebbe tornato da lei lindomani; intanto le avrebbero portato da mangiare, ch doveva averne molto bisogno No, no disse precipitosamente Lucia io muoio se alcuno entra qui; io muoio. Mi conduca lei in chiesa quei passi Dio glieli conter. Non possiamo non notare, a questo punto, la fiducia che ormai la derelitta fanciulla nutre in colui che pur lha fatta rapire, per via dinganno e di violenza; ella, che diffida di tutto e di tutti, tanto che non vuole neppure che qualcuno venga a portar da mangiare, si mostra disposta ad andare col signore, e lo prega addirittura di accompagnarla in una chiesa, come potrebbe fare un padre con la figliola. Lucia, questanima pura e sensibile, questa prediletta della grazia divina, ha intuito che il Signore ha ormai conquistato lanimo del suo rapitore, il quale non le potrebbe pi fare alcun male. E proprio il caso di ripetere: beati i puri di cuore, poich vedranno Dio! Lucia gi vede in Dio la futura conversione delluomo che lha in suo potere, e non ne dubita minimamente; e possiamo aggiungere che lei stessa lo strumento, non del tutto inconsapevole, di questa mirabile mutazione interiore. Comunque lInnominato, sentendo che ormai il suo cuore vacilla, e vergognandosi di dover cedere allimpeto della commozione, si affretta ad andarsene; dopo aver assicurato, per dissipare il sospetto della fanciulla, che

120

sarebbe venuta una donna a portar da mangiare, fugge quasi dalla presenza di lei, che tenta invano di trattenerlo. La poveretta, vedendo svanire la speranza di essere liberata dal potente signore, ripiomb nel pi cupo abbattimento, e torn a rincantucciarsi nel suo angolo buio. Poco dopo venne Marta, una cuoca del castello, a portare una paniera colma di cibo: delle pietanze scelte, accompagnate da una bottiglia di vino generoso. La vecchia si mise a decantare la squisitezza delle vivande, per indurre la prigioniera ad assaggiarne almeno, ma questa aveva altra voglia che di mangiare; si mosse solo per assicurarsi che la porta fosse ben chiusa, quindi torn nel suo cantuccio piangendo sommessamente. La vecchia mangi allora lei, e con grande volutt, di quei cibi prelibati; quindi dopo aver invitato invano la ragazza ad andare a letto, invece di stare raggomitolata l a terra, ci si coric lei, assicurando che cera posto sufficiente per tutte due, e dopo pochi minuti gi russava con un rumore soffocato, come di rantolo, che risonava sinistramente nel pauroso silenzio notturno. Lucia, raggomitolata nellangolo, mortalmente stanca e sfiduciata, cadde a poco a poco in una specie di dormiveglia, punteggiato da incubi e da fantasmi spaventosi. Infine, quasi senza accorgersene, cadde sdraiata sul pavimento, vinta da un torpore pi profondo. Ma ben presto si riscosse da quella specie di letargo, e pen alquanto a riconoscere il luogo dove si trovava, debolmente rischiarato, a guizzi, dalla lucerna che andava spegnendosi: il silenzio che dominava nella tetra prigione, era rotto solo dal respirare lento e arrantolato della vecchia, che aveva qualcosa di lugubre e di sinistro. Quellatmosfera di quiete sospesa e paurosa, labbandono stesso in cui era lasciata, le incussero un pi forte e indefinito spavento, tanto che desider di morire. Ma ben presto si riebbe da quello sconsolato abbattimento, pensando a Dio e alla Madonna, che non potevano averla abbandonata: il Signore e la Vergine Santa sapevano che lei era l prigioniera e bisognosa di aiuto; alquanto riconfortata, cerc la corona e riprese la recita del rosario con pi fervore del solito. A poco a poco la fiducia e la speranza le rifiorirono nellanimo; ma a un tratto pens che poteva rendere la sua preghiera pi accetta a Dio per mezzo di un sacrificio; e avendo alquanto riflettuto su ci che potesse offrire di pi caro, decise di far sacrificio a Dio del suo amore per Renzo, rinunciando per sempre a diventare sua moglie, col voto di verginit perpetua. E senza indugio, messasi in ginocchio, si rivolse con fervida preghiera alla Madre Celeste, facendo a Lei offerta del suo amore, rinunciando per sempre a quel suo poveretto, per esser da quel momento in poi tutta della Madonna. Pronunciate le parole del voto, si mise intorno al collo la corona, come unarmatura della nuova milizia a cui sera ascritta, la milizia mistica e gloriosa delle vergini. Rimessasi quindi a sedere sul pavimento, si sent il cuore inondato da un nuovo senso di conforto, da una pi forte fiducia nellaiuto celeste: aveva offerto a Dio ci che aveva di pi prezioso, ed Egli non poteva abbandonarla in quel pericolo, in cui era caduta non per sua imprudenza, ma per laltrui perfidia. E acquietandosele lanimo, anche il corpo riusc finalmente ad assopirsi in un sonno vero e proprio, non pi turbato da incubi paurosi. Ma torniamo allInnominato.

121

Uscito, o meglio fuggito dalla presenza di Lucia, diede ordine di recare alla prigioniera, probabilmente, quel pasto che era stato preparato per lui, non avendo affatto voglia di mangiare, sottosopra comera nellanimo; ispezionati quindi, come di consueto, i vari posti di guardia del castello, si ritir nella sua camera, chiudendosi a chiave in gran fetta, come se qualcuno lo inseguisse. Chi lo inseguiva non era altro che la grazia di Dio, contro la quale non servono le porte e le serrature. Si cacci subito sotto le coperte, pur sapendo che non facilmente avrebbe chiuso occhio quella notte, tanto si sentiva sconvolto. Cominci col rimproverarsi di aver voluto vedere quella fanciulla, come se ci fosse dipeso soltanto da una sua sciocca curiosit, e non piuttosto da un impulso prepotente dello spirito; cerc, minimizzando quanto gli stava succedendo, di riprendere il suo animo antico, la sicurezza imperturbata di un tempo: tante altre volte diceva tra s per rianimarsi aveva sentito strillare o belare delle donne, capitate per loro sfortuna tra le sue grinfie, e le loro lagrime supplichevoli non lavevano punto smosso dai suoi biechi propositi di violenza o di vendetta; questa che provava ora, era certamente una debolezza passeggera, che sarebbe svanita con le tenebre della notte. Cercava di farsi coraggio ripensando a tutte quelle imprese in cui aveva vinto i suoi nemici, rimanendo sordo alle preghiere e ai lamenti; ma otteneva leffetto contrario: quelle azioni spietate, gi suo vanto, ora gli apparivano odiose; provava, nel passarle in rassegna, non orgoglio e fierezza come una volta, ma una specie di terrore, una non so qual rabbia di pentimento. Allora pensava, con un senso di sollievo, che poteva almeno, se non cancellare le passate nefandezze, interrompere e riparare quella presente, liberare la fanciulla, chiederle perdono, s, chiederle proprio perdono, se questo poteva servire a fargli trovare un po di pace, un qualche refrigerio. Ma poi si pentiva del suo pentimento, che gli appariva come una vergognosa debolezza, e cercava di recalcitrare ancora, di non farsi sopraffare dalla diavoleria che aveva addosso; si mise perci a pensare alle imprese che lo attendevano, a quelle che aveva gi avviate ma non compiute, e si sforzava di concentrarsi in esse, studiando minutamente i relativi piani di azione, cosa che in altri tempi soleva occuparlo tutto, facendogli dimenticare ogni altro pensiero. Ma con terrore si accorse che quelle imprese non avevano per lui nessuna attrattiva, che non glimportava pi minimamente di condurle a termine, che la vittoria e laffermazione della sua potenza ora non avevano per lui nessuna importanza. Passando in rassegna i suoi bravi, gli sembrava che non avesse pi nulla da comandare a nessuno di loro; anzi il doverli rivedere, lindomani, quegli spietati ministri dei suoi misfatti, gli dava gi un senso di fastidio, quasi di nausea. E pensava al tempo futuro, al domani, al dopodomani, allaltro giorno ancora tutto il tempo uguale, opprimente senza aver nulla da fare, nulla da comandare, nulla di nuovo da aspettare se non la morte, e con il ricordo tormentoso dei suoi delitti E poi la notte, che puntualmente sarebbe tornata dopo la breve luce, come passarla, come poter dormire con queglincubi paurosi, con quei fantasmi che non gli davano requie? Lidea di unaltra notte, simile a quella che stava passando, gi lo terrorizzava. Riesaminava la propria vita, cercando di trovare qualche valore a cui appigliarsi, rievocava le sue imprese, i suoi misfatti, per

122

trovarvi una motivazione; ma essi gli comparivano davanti come qualcosa di enormemente irragionevole, di veramente mostruoso. Spogli dello stato danimo, dira o dodio o di vendetta o demulazione feroce, che li aveva provocati e accompagnati, essi gli apparivano ora brutti., inconcepibili, efferati; eppure lui li aveva voluti, preparati con fredda meticolosit, eseguiti con feroce determinazione; aveva goduto della loro riuscita, erano suoi, erano lui!... non si sarebbe mai pi liberato da quelle tormentose memorie, se non con la morte. Egli - lo sentiva non si sarebbe mai pi liberato di quel canchero che lo rodeva dentro, di quel morso lancinante e ormai irresistibile, perch il suo stesso pensiero, quasi fosse un altro io sorto a condannare lantico, frugava sempre pi spietatamente in quellodioso passato. Lorrore che provava di quella sua vita, piena solo di delitti, crebbe sino ai limiti della sopportazione umana, sino alla pi nera disperazione; non ne poteva pi, e decise di farla finita. Prese in furia la pistola che teneva accanto al letto, arm convulsamente il cane e si appoggi alla fronte la canna per farsi saltar le cervella. Ma sul momento di premere il grilletto, ebbe un sussulto, un attimo di indecisione, e abbass larma; pens, in un momento di lucidit mentale, a ci che sarebbe avvenuto dopo la sua morte, nel tempo che pure continuerebbe a scorrere, anche senza di lui. Immagin il suo corpo esanime in balia di chi sa chi, la confusione, la baraonda nel castello allincredibile notizia, pens alle reazioni, ai commenti dei suoi amici e dei suoi nemici, a ci che avrebbero pensato di lui i suoi stessi sudditi. La morte, in mezzo a quelle tenebre silenziose e nella pi assoluta solitudine, gli appariva squallida e spaventosa non avrebbe esitato a suicidarsi ne era sicuro se si fosse trovato alla luce del giorno, davanti alla gente ma stando solo, nel buio, la morte gli faceva un altro effetto, gli faceva paura insomma. Strano, ma aveva paura di morire. E poi, ammesso che si fosse tolta la vita, quella vita insopportabile, che sarebbe stato di lui? se c la vita dellanima, quella eterna, che sarebbe stato della sua vita? e se non c, se tutto finisce con la morte del corpo, perch tormentarsi per ci che aveva fatto, perch darsi la morte? a chi doveva rendere conto e di che cosa?... Ma se la vita futura c, se Dio esiste, se lanima immortale, la sua dopo la morte del corpo sarebbe comparsa subito davanti al suo tribunale, per sottoporsi al suo infallibile giudizio Neppure con la morte poteva dunque liberarsi da quella angosciosa oppressione, da quellincertezza disperata? doveva continuare a vivere con linferno nel cuore?... Dopo aver pi volte alzato e abbassato convulsamente il cane della pistola, la butt via e, con le mani sulle tempie, tremava tutto e batteva i denti come un bambino atterrito nelle tenebre. A un tratto ripens a Lucia, la rivide nitida davanti agli occhi della mente, ma non pi come una povera fanciulla supplice e desolata, ma come una soave creatura dispensatrice di grazie. Risent le sue parole semplici e commoventi, che ora assumevano per lui un suono dolce e persuasivo: Dio perdona tante colpe per unazione buona!... S, lavrebbe liberata, le avrebbe chiesto perdono, avrebbe invocato dalle sue labbra altre parole di consolazione, come quelle che ora gli riempivano lanimo di fiducia. Ma poi? che poteva ancora fare di bene? come riparare a tanti delitti ormai consumati e irrevocabili? essi lo

123

avrebbero sempre tormentato col lancinante rimorso, specie la notte, nellinsonnia angosciosa e insopportabile, popolata di mille fantasie spaventevoli! Come liberarsi da essi?... E che cosa avrebbe fatto della sua vita, se doveva pur vivere? Ora pensava di andarsene solo, lontano, dove nessuno lo conoscesse; doveva fuggire da quel luogo, dove ogni oggetto gli ricordava il tenebroso passato, andare lontano da quellambiente odioso!... Ma capiva che non poteva fuggire lontano da s stesso, che lui sarebbe sempre stato lui, ovunque, e il canchero tormentoso del rimorso lo porterebbe sempre con s, dovunque andasse, checch facesse In certi momenti gli rispuntava, pur fioca, la speranza che tutto svanirebbe col tornar della luce, che era semplicemente un incubo notturno, che presto cesserebbe; ma poi sentiva che la luce del giorno, che ormai non poteva tardar troppo, non avrebbe certo migliorato la sua penosa situazione, anzi lavrebbe peggiorata, mostrandolo ai suoi sudditi in quello stato di pietosa impotenza. Pur smaniava di far qualcosa, di togliersi da quellinazione snervante; e sospirava allora la fine della notte, come se lalba dovesse portare la luce anche nel suo spirito. Mentre era in cos penosa sospensione e ansiet danimo, sent uno scampanio lontano, che sembrava a festa, e per chi? chi era cos allegro in questo mondo, mentre lui era in preda alla disperazione? salt fuori da quel covile di pruni, e and alla finestra a guardare: il cielo era coperto, e una caligine leggera velava i contorni delle montagne; laggi nella strada si distinguevano dei viandanti, tutti diretti verso lo sbocco della valle, e si vedeva che camminavano a passo allegro, come a un appuntamento festivo. Dove andavano coloro con tanta sollecitudine? che avevano da fare o da vedere di tanto interesse?... Chiamato un bravo, lo mand a informarsi della novit: sentiva nel cuore come unansia di sapere chi o che cosa potesse attrarre cos, e dare quella gioia a tanta gente diversa.

124

CAPITOLO XXII
Luomo, tornato poco dopo, gli rifer che quei viandanti erano diretti a un paese vicino, per vedere il cardinal Federigo Borromeo, che era giunto l in visita pastorale; la notizia si era sparsa il giorno prima nella vallata, e tutti volevano non perdere loccasione di incontrasi con lui. Rimasto solo, lInnominato rest alla finestra, attratto da quello spettacolo insolito, fisso a quella gente che, anche cos da lontano, appariva mossa da un lieto entusiasmo; e la cosa gli sembrava cos nuova, cos strana! Per vedere un uomo dovevano mostrarsi cos lieti! Eppure anche loro pensava avranno i propri guai, non certo come i miei, ma sembra che li abbiano dimenticati in un trasporto di gioia Come far costui ad attirare e rendere allegre queste persone? distribuir un po di denaro in elemosina!... Ma non tutti sono poveri costoro!... dir anche delle parole buone, di quelle che sappiano consolare, che facciano scordare gli affanni quelle parole che ci vorrebbero per me!... Se andassi anchio?... Stette un momento in sospeso, a riflettere su quellipotesi che gli era venuta in mente quasi inavvertita, chi sa come, ma che gli appariva sempre pi accettabile, realizzabile, desiderabile, tanto che alla fine essa gli si present come lunica maniera di uscire da quello stato di sospensione tormentosa, in cui si dibatteva da tante ore ormai senza trovare una via duscita o almeno uno spiraglio di salvezza. Gli sembrava che quella sola potesse essere ormai la soluzione della sua crisi: andare a parlare con quelluomo straordinario, sentire le sue parole, vedere che cosa avrebbe saputo dirgli per ridare la calma al suo animo Presa cos la decisione quasi dimpeto, come trasportato da uninvincibile forza interiore, tagli corto alle esitazioni e alle obiezioni che pure insorgevano a contrastare il suo improvviso proposito e, vestitosi rapidamente, usc armato al modo solito, cio con pugnale, due pistole e carabina, e savvi frettoloso verso la camera della vecchia, per vedere come stesse la sua prigioniera, che ormai gli appariva in aspetto di salvatrice. Questa volta non picchi brutalmente, come la sera avanti, con un calcio alla porta, ma buss sommessamente, facendo contemporaneamente sentire la sua voce: questo cambiamento nel comportamento indice del profondo mutamento interiore che stava verificandosi in lui. La donna, riconosciuta la voce, corse ad aprire al padrone il quale, vedendo la ragazza addormentata a terra, rimprover sottovoce la vecchia, che per protest che lei aveva fatto di tutto per farla mangiare e andare a letto, ma inutilmente; comunque il signore le comand di non disturbarla; quando si fosse svegliata, doveva dirle che lui sarebbe presto tornato per esaudire tutti i suoi desideri. La vecchia rimase sbalordita a queste parole, e sempre pi si convinse che colei fosse qualche gran dama, vestita da contadina. Questa donna selvatica, tutta animalit primitiva, senza alcuna luce spirituale, non pu minimamente pensare che il cambiamento del padrone possa derivare da una crisi di coscienza, da un

125

pentimento insomma; essa pensa a un qualche evento esterno, che abbia fatto riconoscere nella contadinella addirittura una principessa. La sera prima, le insolite cortesie del signore verso la prigioniera, le ascrive alla giovinezza e bellezza della ragazza, e si rammarica stizzosamente di essere vecchia, lei, e di non ricevere simili gentilezze; ora questa mirabolante cedevolezza del suo padrone, tanto da promettere di compiere ogni suo desiderio, non sa motivarla che con la condizione sociale della prigioniera. La povera vecchia, abbrutita in quellambiente di violenza, non pu minimamente pensare a una rigenerazione spirituale del dispotico padrone, e immagina la favola di una bella principessa, arrestata in veste di contadinella, ma poi insperatamente riconosciuta, proprio come aveva sentito raccontare talora da bambina. La sua mente, purtroppo, non pu intuire un dramma interiore, per il semplice motivo che non percipit ea quae sunt spiritus, e non pu quindi immaginare di trovarsi davanti a una conversione. Poveretta! merita pi compassione che condanna, perch nessuno aveva aperto gli occhi della sua mente sui veri valori della vita; quanti sono purtroppo quelli che sulla terra vivono, per ignoranza o altro motivo, in un tale stato di ottusit! LInnominato, uscendo dalla stanza della vecchia, riprese la sua carabina che, per non spaventare Lucia, aveva appoggiato fuori in un angolo; quindi comand a Marta (la donna che aveva portato da mangiare la sera precedente) di starsene nella stanza attigua, se mai la ragazza avesse bisogno di qualche cosa; ordin poi a uno dei bravi di mettersi di guardia l nel corridoio, perch nessuno osasse entrare dovera Lucia, e infine usc dal castello tutto solo, cosa piuttosto insolita. A questo punto non possiamo fare a meno di notare le precauzioni delicate e quasi paterne che lInnominato prende, affinch la sua prigioniera non venga infastidita e neppure minimamente disturbata; ormai egli si sente responsabile di quella vita, di quella virt, e non vuole che corra il bench minimo pericolo; anche queste premurose cautele testimoniano il suo animo mutato e la sua rispettosa ammirazione per la virtuosa fanciulla. Il Manzoni dice che lInnominato, lasciato il castello, prese la scesa, di corsa; lespressione ci sembra alquanto esagerata, ma ben illustra la santa fretta che ormai pungola luomo, tocco dalla grazia divina. I bravi che lo incontravano, in quello che era il suo piccolo regno, si fermavano salutando e attendendo ordini; ma lui non aveva ordini da impartire, e continuava la sua strada assorto e frettoloso, per cui i suoi sudditi non sapevano che cosa pensare, e per la sua uscita solitaria e per il portamento insolito: il suo viso, il suo sguardo, tutta la sua persona aveva qualcosa di nuovo e di strano. Quando, uscito dai suoi possedimenti, entr nella strada pubblica, la gente si scappellava e gli faceva largo, meravigliandosi anchessa di vederlo senza scorta, cosa pi unica che rara. Al paese dovera il Cardinale, distante dal castello quanto una lunga passeggiata (quindi un tre o quattro miglia, io penso) una gran folla gremiva le strade, ma al suo avvicinarsi si apriva silenziosa, facendo ala, sicch in breve il signore giunse alla canonica, dove aveva saputo che si trovava Federigo Borromeo. L entr in un cortiletto, dove i preti in attesa lo guardarono con meraviglia non scevra di sospetto; posata la carabina in un canto, and avanti e si

126

affacci in un salottino, dove si trovavano altri sacerdoti; a uno di questi chiese dove fosse il Cardinale, ch gli doveva parlare. Linterrogato, scusandosi col fatto di essere forestiero, ma in effetti perch non si voleva prendere la responsabilit di una risposta in una situazione cos scabrosa, chiam il cappellano crocifero, che fungeva praticamente da segretario del porporato. Il cappellano, che anche lui non sapeva come regolarsi davanti a questa visita molto strana, per non dir sospetta, rispose balbettando che non sapeva se monsignore illustrissimo in quel momento si trovasse disposto se insomma fosse libero e potesse riceverlo, e che andava a informarsi; cos si tolse dimpaccio e, lasciando il signore in sospeso, si rec a riferire al suo superiore. A questo punto il Manzoni interrompe il racconto per tracciare un breve profilo biografico del Borromeo. La digressione non lunga, e vale proprio la pena di leggerla, perch in questo mirabile personaggio lAutore ha trovato lattuazione di un ideale di vita cristiana che collima esattamente col suo; e ci dona alle sue affermazioni, alle considerazioni e alle massime, che in questo scorcio di capitolo abbondano, una particolare forza di persuasione, un fascino tutto particolare. Per quanto don Alessandro (per gli amici milanesi don Lisander) inviti argutamente chi non vuol perdere un po di tempo a saltare al capitolo successivo, noi ci guarderemo bene dalladerire allinvito, dato che ci siamo imbattuti in un personaggio storico che merita tutta la nostra riverente simpatia; quindi anche noi ci fermeremo volentieri a conoscere meglio questo santo presule, come fa il viandante che, dopo una faticosa tappa attraverso un terreno desolato, si arresta volentieri allombra di un bellalbero, sullerba, vicino a una fonte dacqua viva. Non potremo non risentirne un benefico refrigerio! Federigo era nato nel 1564 da famiglia molto nobile e ricca, che possedeva feudi non soltanto in Lombardia, ma anche in Puglia e in altre parti dItalia. Egli fu uno di quegli uomini rari che impiegarono un grande ingegno, un vasto patrimonio, i privilegi della nobilt del casato, e soprattutto unattivit instancabile, nella ricerca e nellesercizio del meglio. Con una bella similitudine il Manzoni assomiglia la sua vita a un ruscello montano che, scaturito limpido dalla roccia, attraversando vari terreni senza mai intorbidirsi, va infine a gettarsi nel fiume. Mentre per il ruscello permane limpido per fortunate circostanze, senza suo merito, il Borromeo si mantenne puro con la forza della sua volont, col suo spirito di sacrificio, in mezzo alle varie tentazioni che gli venivano dalla nobilt accompagnata da una grande ricchezza. Fin dalla puerizia prese sul serio quelle verit e quei precetti, inculcati dalla religione cristiana, intorno alla vanit dei piaceri, allingiustizia dellorgoglio, alla vera dignit e ai veri beni, quelle massime insomma che quasi tutti sentono, dalla bocca dei genitori o degli insegnanti o dei sacerdoti, e magari ripetono con maggiore o minore convinzione, ma che ben pochi attuano con impegno nella vita di ogni giorno. Egli, appena giovinetto, era gi convinto che la vita non gi destinata ad essere un peso per molti, e una festa per alcuni, ma per tutti un serio impegno di impiegare bene i talenti che Dio e la natura ci hanno elargito, e dei quali siamo responsabili personalmente, come individui, indipendentemente dal cattivo esempio che ci

127

possa venire dagli altri, e magari da tutti gli altri. Persuaso di questa responsabilit personale che abbiamo nella vita, da condursi secondo una legge che, prima di essere codificata nella Rivelazione, scolpita nella coscienza di ognuno, Federigo a 16 anni manifest la volont di dedicare la propria vita al servizio del prossimo, perch fosse utile e santa, per mezzo dellapostolato ecclesiastico. Allora era ancora vivo il santo suo cugino Carlo, il cui esempio luminoso di virt avr certo influito beneficamente sulla formazione morale e spirituale del giovane seminarista, ma il Manzoni aggiunge, come cosa molto notabile che, dopo la morte di lui, nessuno si sia potuto accorgere che a Federigo, allora di ventanni, fosse mancata una guida e un censore. Ci dimostra che a quellet era gi sufficientemente formato. Comp i suoi studi nel Collegio Borromeo di Pavia, fondato dal cugino, dove si applic assiduamente alle occupazioni prescritte, aggiungendone due altre di sua iniziativa, le quali rivelano il suo spirito veramente evangelico: insegnare la dottrina cristiana agli umili e assistere gli ammalati. A questo proposito ricordiamo che anche fra Cristoforo, questaltro apostolo della carit, aveva aggiunto, a quelle impostegli dalla Regola e dal ministero sacerdotale, altre due occupazioni particolari: appianare le discordie e proteggere gli oppressi. Le opere di carit prescelte da questi due eroi della virt denotano la diversit dei loro caratteri: pi fiero e pugnace quello del Cappuccino, pi pacato e mite quello dellArcivescovo. In collegio gli istitutori cercavano di fare a Federigo un trattamento particolare, quasi a un padrone di casa, pensando magari di farsi cos ben volere; ma egli rifiut ogni distinzione, e se quelli insistevano , non manc di riprenderli, in nome di quei precetti di abnegazione e di umilt, di uguaglianza e di giustizia, che loro stessi insegnavano. Ordinato sacerdote, era evidente che la parentela e glimpegni di pi dun cardinale potente, il credito della sua famiglia, il nome stesso di Borromeo, al quale Carlo aveva donato tanto lustro, gli avrebbero conciliato le dignit ecclesiastiche. Il Manzoni osserva acutamente che, se le qualit predette costituiscono ci che pu condurre gli uomini alle dignit ecclesiastiche, Federigo possedeva anche ci che deve o dovrebbe determinare la scelta dei superiori, vale a dire lingegno, la dottrina e la piet. Ma egli, convinto di unaltra verit, che cio non ci dovrebbe essere nessuna superiorit sugli altri, se non per servirli, evitava le cariche, non certo perch non volesse servire il prossimo, ma perch voleva servirlo da pari a pari, non stimandosi degno o capace di servirlo bene, una volta investito di pi alta responsabilit, che rende il servizio stesso pi arduo e delicato. Perci rifiut nel 1595 di diventare arcivescovo di Milano, cedendo poi solo allespresso comando del papa Clemente VIII. Quelli che sogliono schernire simili rifiuti, puntualmente seguiti dallaccettazione, e parlano irridenti di umilt pelosa, non dovrebbero fare dogni erba un fascio, ma giudicare, dalle azioni e precedenti e successive del personaggio, della sua sincerit nellopporre il rifiuto della nomina. La vita il paragone delle parole, dice il Manzoni, e le parole di umilt e di abnegazione, anche se sono usate pure dagli ipocriti, non cessano per

128

questo di essere belle e ammirevoli, quando siano precedute e seguite da una vita di disinteresse e di sacrificio. In quanto al disinteresse di Federigo arcivescovo, lAutore cita questo fatto: siccome era personalmente molto ricco, ritenne che il mantenimento suo e del suo seguito dovesse gravare sul suo patrimonio privato e non sulle rendite ecclesiastiche, che tutti dicono essere patrimonio dei poveri, ma che pochi presuli destinano solo a questo scopo, come invece fece con estremo rigore Federigo delle rendite dellarchidiocesi. E per il suo mantenimento esigeva che si facesse la pi rigida economia, onde avere mezzi finanziari pi abbondanti per gli scopi benefici; per esempio, non smetteva un abito finch non fosse liso affatto, pretendendo solo che esso fosse decoroso e soprattutto pulito, poich egli sapeva unire alle virt della semplicit e della modestia quella duna squisita pulizia: due abitudini osserva il Manzoni notabili infatti, in quellet sudicia e sfarzosa. Qualcuno, da questi e simili tratti della sua personalit, potrebbe essere indotto ad attribuirgli una certa grettezza o angustia di vedute, se Federigo non avesse dimostrato di saper spendere in modo assai generoso e illuminato per realizzare opere grandiose, tra cui la Biblioteca Ambrosiana; chi concep e realizz una simile impresa non era davvero una mente impaniata nelle minuzie; e incapace di disegni elevati! Quellopera fu realizzata con munificenza quasi regale; e mentre allora, nelle biblioteche dItalia che pur si dicevano pubbliche, i libri non eran nemmeno visibili, ma chiusi in armadi, donde non si levavano se non per gentilezza de bibliotecari, quando si sentivano di farli vedere un momento, nella biblioteca istituita dal Borromeo, che pur poteva considerarsi privata, i libri e i manoscritti erano esposti alla vista del pubblico, dati a chiunque li chiedesse, e datogli anche da sedere, e carta, penne a calamaio, per prender gli appunti che gli potessero bisognare; e tutto questo per ordine espresso del munifico fondatore. Cose che dimostrano insieme la sua larghezza di vedute, e la generosa gentilezza del suo animo verso gli studiosi. Queste doti insigni sono testimoniate anche da un altro episodio, che ci richiama alla mente la storia di Gertrude. Avendo infatti saputo che un nobile tiranneggiava la figlia per farle prendere il velo, mentre quella aveva intenzione di sposarsi, Federigo fece venire a s il padre, ed essendosi questi giustificato dicendo di non avere i quattromila scudi necessari per maritarla decorosamente, gli diede senza esitazione la somma richiesta, reputando giustamente che nessuna somma materiale eccessiva, se con essa si pu evitare la perdizione di unanima. Era affabile e alla mano con tutti, cordiale specialmente con i diseredati, verso i quali il mondo cos duro. Per questo suo comportamento familiare con i poveri ebbe a combattere coi galantuomini del ne quid nimis, i quali, in ogni cosa, avrebbero voluto farlo star nei limiti, cio nei loro limiti. Uno di questi mentori, un giorno, mentre in una parrocchia di montagna istruiva un gruppo di fanciulli poveri, accarezzandoli paternamente, ritenne suo dovere avvertirlo che non li avvicinasse troppo, perch erano troppo sudici, come se Federigo non avesse abbastanza sensibilit per accorgersene da solo n abbastanza perspicacia, per

129

trovar da s quel ripiego cos fino. Ma purtroppo questo avviene spesso, osserva il Manzoni, agli uomini rivestiti di certe cariche: mentre difficilmente trovano chi li avverta delle loro mancanze, trovano benissimo chi li riprende per la loro generosa virt. Qualcheduno potrebbe attribuire la soavit del suo comportamento, la pacatezza imperturbabile della sua condotta, la mitezza dei suoi tratti a una felicit straordinaria di temperamento; invece assicura il Manzoni che si ben documentato - era leffetto duna disciplina costante sopra unindole viva e risentita. Fatto cardinale, partecip a molti conclavi, senza mai aspirare a quel posto cos desiderabile allambizione, e cos terribile alla piet; sicch in un certo conclave, avendogli un collega molto influente offerto il voto suo e del suo gruppo, rifiut cos recisamente, che quegli se ne ritrasse quasi offeso. E questa modestia, questa profonda umilt erano evidenti in ogni circostanza della vita e della sua attivit pastorale, anche nel modo garbato con cui evitava dimpicciarsi nei fatti e negli affari altrui, che non riguardassero il suo ministero, pur essendone talora vivamente richiesto: discrezione e ritegno non comune, come ognuno sa, negli uomini zelatori del bene, osserva acutamente il Manzoni a guisa di commento. E spontaneo ci viene in mente il confronto tra Federigo e unaltra zelatrice del bene, ma fasulla, che incontreremo tra poco, donna Prassede; costei singeriva a tutta forza e con ogni mezzo nelle cose che non la riguardavano, come se fosse investita da una speciale missione divina per la salvezza dellumanit, e con i suoi interventi maldestri e presuntuosi otteneva puntualmente leffetto contrario alle sue pur buone intenzioni. Per, per quanto riguardava la sua missione pastorale, non solo non si tirava indietro, ma faceva animosamente il proprio dovere, e richiamava o anche puniva severamente chi, tra i suoi dipendenti, prevaricasse nelle mansioni affidategli; fu lui, per esempio, che scopr e pun esemplarmente la grave prevaricazione della Monaca di Monza, che poi egli avvi sulla via della redenzione; e ben presto lo vedremo ammonire e rimproverare, paternamente ma anche con autorit, il nostro don Abbondio, che si era messo al servizio delliniquit invece che della carit e della giustizia, come sarebbe stato suo preciso dovere. Alla fine del capitolo lAutore, con scrupolo storico, avverte che un uomo cos intelligente e saggio non and tuttavia esente da errori o pregiudizi del secolo, dai quali ci sarebbe oltremodo piaciuto che egli si fosse allontanato. Ma, ci fa capire tra le righe don Lisander, staccarsi dalle opinioni del secolo, per intuire quelle verit che solo i secoli futuri, con lungo travaglio, renderanno evidenti, solo concesso ai geni, e nessuno sostiene che il cardinal Borromeo sia stato uno di questi; egli fu per un uomo eminente, che si dedicato con belle qualit di mente, ma soprattutto con un gran cuore, al miglioramento morale e materiale della societ del suo tempo. E questuomo cos caritatevole, cos sollecito per il bene altrui e per i doveri della sua carica, seppe anche trovare il tempo per arricchire la sua mente con uno studio assiduo e appassionato; e di questa intensa attivit intellettuale sono testimonianza circa cento opere, tra edite e inedite, in latino o in volgare, di vario argomento e di diversa importanza. Ma qui si affaccia

130

unobiezione: come mai in un centinaio di opere non se n trovata alcuna di tale spicco, che abbia acquistato al suo autore una fama anche nella storia letteraria? Lobiezione ragionevole, e si verrebbe tentati di cercare una risposta plausibile. Le ragioni di questo fenomeno osserva il Manzoni si troverebbero con losservar molti fatti generali, ma, aggiunge subito, sarebbero molte e prolisse e forse non facilmente accettate dallopinione corrente; e quindi egli se ne lava elegantemente le mani, temendo di farci arricciare il naso. Una risposta allobiezione, e valga quel che vale, tenteremo di darla noi, sforzandoci di cogliere quello che forse intendeva dire il nostro Autore. Per Federigo scrivere non nasce dal bisogno di esprimere s stesso e il proprio mondo interiore, nella ricerca e nellespressione del bello, mirando al solo piacere estetico; scrivere per lui un servire con la penna alla sua missione pastorale, al suo lavoro educativo; quindi le sue opere, nate da un bisogno contingente, hanno uno scopo pratico e limitato, ed esulano perci dal campo dellarte. Scrivendo tante opere, il Cardinale non mirava certamente alla gloria letteraria, ma solo a illuminare, ammaestrare e correggere; insomma scrivere faceva parte del suo apostolato, perch con gli scritti egli rendeva pi ampia e incisiva la sua missione di pastore delle anime.

131

CAPITOLO XXIII
Riprendendo il racconto, interrotto dalla parentesi biografica, il Manzoni ci dice che Federigo, amantissimo della cultura, stava appunto studiando, come faceva in ogni ritaglio di tempo, quando il cappellano gli annunci la strana visita. Col viso animato a un tratto dalla premura e dalla carit, rispose di introdurlo subito; ma linferiore, invece di obbedire, ritenne suo dovere ricordargli che colui era un bandito disperato, un appaltatore di delitti e che poteva anche essere mandato E aggiunse con tono di grave avvertimento: Lo zelo fa de nemici, monsignore; e noi sappiamo positivamente che pi dun ribaldo ha osato vantarsi che, un giorno o laltro Ma il Cardinale lo interruppe con impazienza: Oh, che disciplina codesta, che i soldati esortino il generale ad aver paura? E ricordato che San Carlo, non che riceverlo, sarebbe andato a trovarlo un tale individuo, ordin di farlo entrare immediatamente, ch aveva gi atteso troppo. Il cappellano, pur controvoglia, si mosse per eseguire il comando; e avvicinandosi allInnominato pensava che avrebbe dovuto almeno invitarlo a lasciare tutte le armi; ma non ne ebbe il coraggio, e introdusse senzaltro il visitatore nella stanza dovera ad attenderlo Federigo, e a un cenno di questi subito si ritir, non senza apprensione. LInnominato, che era andato l non per un proposito preciso, ma come trascinato da una forza inesplicabile, restava attonito e confuso, e anche stizzito con s stesso, per la vergogna di esser venuto come un colpevole, e non trovava parole, n quasi ne cercava; sentiva tuttavia il fascino e, nello stesso tempo, la soggezione della presenza del porporato, cos solenne e maestoso, ma anche amorevole e bello di una bellezza tutta interiore, adorno comera di una specie di floridezza verginale, pur tra i segni evidenti dellastinenza. Federigo il quale, nellaspetto fosco e turbato dellospite, scorgeva i segni della salutare crisi spirituale che lo aveva scosso e portato da lui, col volto illuminato dalla gioia lo ringrazi di avergli fatto quella bella visita, pur dovendosi rimproverare di non essere andato lui a trovarlo nel suo castello. Tra la crescente meraviglia del suo interlocutore, che rimaneva quasi muto ad ascoltare quelle parole ardenti di carit, aggiunse che per, se non era andato a fargli visita, aveva pianto e pregato tanto per lui traviato, e che Dio aveva fatto il miracolo, supplendo con la sua potenza e misericordia allinerzia del suo servo; quindi lo preg di non fargli sospirare ancora la buona notizia chera venuto a portargli. E avendo quegli replicato che non aveva nessuna buona nuova da comunicargli, bens che aveva linferno nel cuore, il Cardinale placidamente, ma con tono pieno dautorit, osserv che questo voleva dire che Dio gli aveva toccato il cuore, perch lo voleva tutto per S. Allora il contrito, quasi con impaziente invocazione di grazia e di luce interiore, esclam: Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! se lo sentissi! Federigo rispose che appunto in quellangosciosa smania di desiderio doveva riconoscere la presenza di Dio, che atterra e suscita, che affanna e che consola, perch Egli,

132

mentre lo agitava non dandogli requie, gli faceva anche sentire, e quasi pregustare, una speranza ineffabile di pace e di consolazione. Allora, con accento tra supplichevole e disperato, il signore domand che cosa voleva Dio da lui, che cosa poteva fare di lui peccatore. Un segno della sua potenza e della sua bont, rispose con voce solenne e quasi ispirata il Cardinale: se lui, misero uomo, aveva saputo fare, nel male, grandi imprese, credeva che Dio non avrebbe potuto fargliene compiere, nel bene, di molto pi grandi? Iddio avrebbe potenziato e nobilitato, con la sua grazia, le qualit che lui aveva finora impiegato a ordire tradimenti e delitti, cio quella volont impetuosa, quella imperturbata costanza, quel coraggio adamantino, che aveva purtroppo rivolto a vituperevoli azioni. E, tutto infervorato di carit, soggiunse: cosa pu Dio far di voi? E perdonarvi? e farvi salvo? e compiere in voi lopera della redenzione? Non son cose magnifiche e degne di Lui? Il volto dellInnominato, mentre Federigo pronunciava queste parole con accento ispirato e ardente di amore, divenne a poco a poco, da stravolto e turbato, prima attonito e intento, quindi compunto e infine profondamente commosso, tanto che non pot resistere allimpeto dellemozione che gli saliva dal cuore, e coprendosi il viso con le mani scoppi in un pianto dirotto, mentre il Cardinale lodava e ringraziava in cuor suo il Signore per aver ammollito con la sua grazia quel cuore di pietra. Quindi tese cordialmente la mano allInnominato, in segno di pace e di patto imperituro di bont; quegli, non stimandosi degno di tanto, cercava di schermirsi, ritirando la sua, ma il porporato la prese e la strinse affettuosamente, affermando che quella destra avrebbe riparato tanti torti, avrebbe sparso tanti benefici, e si sarebbe tesa, disarmata e pacifica, verso tutti i nemici, per invitarli a un patto di pace e damore. E poich il signore, ancor singhiozzante, lo invitava a non perdere pi tempo con lui, mentre tutto un popolo di fedeli lo attendeva, ansioso di ascoltare le sue parole, larcivescovo rispose con gioconda dolcezza: Lasciamo le novantanove pecorelle; sono al sicuro sul monte: io voglio ora stare con quella chera smarrita, e cos dicendo allarg amorevolmente le braccia per abbracciare quel figliol prodigo il quale, dopo aver resistito un momento, cedette, come vinto da quellimpeto di carit, abbracci anche lui il cardinale, e abbandon sullomero di lui il suo volto tremante e mutato. Terminato il commosso abbraccio, lInnominato disse che purtroppo non poteva che piangere e condannare la maggior parte dei suoi misfatti, ma alcuni per fortuna poteva interrompere o riparare, e uno disfare immediatamente. E raccont brevemente, ma con parole di severa condanna contro la sua iniquit, il rapimento di Lucia, le sofferenze della poverina, le sue angosciate preghiere, che avevano scosso il suo cuore indurito, aggiungendo che la ragazza era ancora prigioniera nel castello. Il Cardinale, spinto da paterna sollecitudine, disse che non bisognava perdere tempo a liberare di pena la poveretta, e questa liberazione era come un pegno del perdono di Dio, che nella sua infinit bont gli aveva voluto concedere la consolazione di poter compiere subito unopera buona, di riparare a un misfatto. Informatosi quindi del paese della ragazza, chiam il cappellano; questi, che stava

133

allerta, accorse immediatamente e rimase quasi estatico nel mirare il viso mutato del signore; ma larcivescovo lo riscosse da quellestasi, chiedendogli se tra i parroci presenti ci fosse quello del paese di Lucia. Avuta risposta affermativa, gli ordin di farlo venire assieme al parroco l del posto, ch aveva da dar loro degli incarichi. Il cappellano sollecito usc e, presentandosi col volto ancora estatico davanti ai confratelli, che lo interrogavano con lo sguardo ansioso, esclam con enfasi: Haec mutatio dexterae Excelsi! Quindi, riprendendo il controllo di s stesso e riassumendo il tono della sua carica, disse che il Cardinale desiderava sia il curato l del luogo che quello della parrocchia di X, e nomin il paese di Lucia. Il primo si fece subito avanti, mentre il secondo venne fuori a stento dal gruppo, dicendosi convinto che ci doveva essere un errore, perch lui non poteva aver nulla a che fare con le faccende di quel paese; ma avendo il cappellano replicato che non cera errore di sorta, il povero don Abbondio dovette venir avanti, con un passo forzato, e con un viso tra lattonito e il disgustato. Il cappellano gli mise un po di fretta, e introdusse i due parroci dallarcivescovo. Questi si rivolse al curato del luogo, perch trovasse una brava donna, che doveva andare in lettiga al castello a rilevare una povera prigioniera, e gli disse in poche parole di chi si trattava: la poverina si trovava certamente in tale stato di prostrazione, che ci voleva una donna di cuore e di testa per rincuorarla, per rassicurarla, perch ogni novit poteva essere per lei causa di spavento maggiore. Quando il parroco fu uscito per trovare la donna adatta, Federigo si rivolse a don Abbondio, il quale gli sera accostato il pi possibile, appunto per stare lontano da quellaltro signore; il pavido curato, non ancora convinto che volesse proprio lui, disse senza troppi riguardi al Cardinale che lo avevano chiamato, ma che doveva esserci un equivoco. Il superiore gli rispose con affabilit che non cera nessun errore, perch doveva comunicargli la lieta notizia che Lucia Mondella, che lui aveva certamente pianta per smarrita, era invece salva, in casa di quel suo amico, col quale doveva andare a prenderla, coadiuvato da una brava donna che il curato di quella parrocchia era andato a cercare. Don Abbondio, ci dispiace dirlo, invece di rallegrarsi per la notizia e per lincarico delicato al quale era stato prescelto, riusc a stento a nascondere lamarezza dellanimo, che gli sera dipinta sul viso in un versaccio di fastidio, per mezzo di un profondo inchino che fece subito come in segno dobbedienza al suo arcivescovo. Questi, avendo saputo poi da don Abbondio che la ragazza aveva a casa solo la madre, ordin che fosse mandata a prendere con un barroccio da un uomo di giudizio, che sapesse farle capire laccaduto senza impressionarla troppo. Sentendo ci il nostro curato, pur di non andare al castello di quel signore, si offr di recarsi lui a prendere Agnese, dicendo che era una donna molto sensibile e bisognava conoscerla bene per saperla prendere; ma il Cardinale ribad che lui era troppo necessario per andare a prendere la povera prigioniera, la quale aveva bisogno di vedere subito una persona amica, di cui potesse proprio fidarsi: nessuno poteva sostituirlo in questa delicata incombenza. Ma non occorrevano davvero gli occhi perspicaci di Federigo per accorgersi che don Abbondio aveva paura di andare al castello con quel signore; e volendo

134

dissipare quellombre codarde del suo parroco, si avvicin con cordiale confidenza allInnominato e lo invit a tornare da lui con quel sacerdote, per restare insieme tutta la giornata. Il signore accett con gioia riconoscente, affermando con trasporto che aveva tanto bisogno di vederlo e di ascoltare le sue parole, che erano un balsamo per le ferite del suo animo. Federigo allora gli strinse amorevolmente la mano, come in segno di reciproca promessa; e pensava che con queste dimostrazioni di amicizia sincera il codardo prete avrebbe finalmente capito la mirabile trasformazione che per grazia di Dio si era operata in quelluomo, un tempo terribile. Vana speranza! Don Abbondio se ne restava mogio e un po imbronciato come un ragazzo pauroso, che veda uno accarezzar con sicurezza un suo cagnaccio famoso per morsi, assicurando che una bestia quieta: il poverino non osa contraddire, ma neppure accostarsi, e vorrebbe non avere a che fare con quel bestione. Mentre il Cardinale si avviava per uscire, tenendo ancora per mano lInnominato, gli parve che il curato fosse come mortificato, e pensando che si mostrasse cos perch gli sembrava di essere trascurato dal suo superiore, tutto preso dalla nuova amicizia, gli disse amorevolmente e con espressione di grande riguardo: Signor curato, voi siete sempre con me nella casa del nostro buon Padre; ma questo questo perierat et inventus est, alludendo molto opportunamente alla parabola del figliol prodigo. Don Abbondio, come riscosso dai suoi tristi pensieri, avrebbe voluto rispondere qualcosa di pertinente, ma invano. Oh quanto me ne rallegro! fu tutto quello che riusc a rispondere; unesclamazione insulsa, che era poi chiaramente smentita dalla faccia che, pur controvoglia, mostrava. Potremmo qui confrontare lespressione piuttosto banale che esce di bocca a don Abbondio in s patetica circostanza, con il Si figuri! che, come vedremo, scapper detto al sarto del villaggio (cap. XXIV), quando il Cardinale gli chiede se contento di ospitare Lucia per un po di giorni. Mentre per don Abbondio non ebbe mai a rammaricarsi delle sue parole piuttosto misere in cos solenne circostanza, perch a lui premeva ben altro che fare una degna figura accanto a quei grandi personaggi, il povero sarto per tutto il resto della vita prov la mortificazione di non aver trovato, lui che sapeva leggere e scrivere, qualche espressione pi scultoria per esprimere il suo stato danimo di sincero e grato entusiasmo per la richiesta del presule. Quando i due grandi, con la commozione dipinta vivamente sul viso, apparvero in mezzo ai sacerdoti in attesa, tutti furono tocchi da quella santa emozione di carit, e guardavano or luno or laltro con estatica espressione di lieta ammirazione. Dietro i due personaggi apparve il goffo nostro curato, a cui nessuno bad, per vera fortuna, ch altrimenti avrebbero scorto in quella faccia il senso della noia del pavido egoista, che faceva uno stridente contrasto con la commossa letizia di tutti i presenti. Proprio mentre Federigo si accingeva a congedarsi dallospite, il suo cameriere venne a riferirgli che la lettiga e le mule erano pronte, e si aspettava solo la donna, che il curato era andato a chiamare. Il Cardinale dispose che, non

135

appena colui fosse tornato, curasse di mandare a prendere la madre della prigioniera, e che quindi il lettighiero si mettesse agli ordini del signore, per andare al castello. Detto questo, strinse di nuovo la mano con effusione allInnominato, salut con un cenno di sorriso don Abbondio, e finalmente savvi verso la chiesa, per il pontificale, seguito dal clero e dai fedeli osannanti. Don Abbondio e lInnominato rimasero dunque, soli soli, ad aspettare larrivo della donna; il curato avrebbe voluto attaccar discorso, cos per rompere il ghiaccio, ma non sapeva come incominciare, e intanto si stizziva con s stesso e con Perpetua che lo aveva indotto a venire a ossequiare il Cardinale, mentre poteva benissimo farne a meno: se non le avesse dato retta, ora non si sarebbe trovato in queglimpicci. LInnominato era tutto concentrato nei suoi pensieri, ed era impaziente di correre a liberare la sua Lucia, sua ora in un senso molto diverso da quello di prima: non pi la sua prigioniera, ma la sua benefattrice, colei che gli avrebbe propiziato la divina misericordia; e intanto la poverina soffriva chiss quanto per colpa sua In mezzo a tanti pensieri che lo assillavano, il suo volto assumeva talvolta unespressione cos tormentata, che aggiungeva paura al gi impaurito compagno, che stava l triste e impacciato. Finalmente larrivo della donna tolse don Abbondio dallimbarazzo e il signore dallattesa impaziente; si mossero dunque avviandosi verso le cavalcature approntate per loro. LInnominato si era incamminato di buon passo, spinto dalla sollecitudine; ma quando, giunto alla porta della canonica, si accorse che il curato era rimasto indietro, si ferm per attenderlo, e lo fece passare avanti con un inchino umile e gentile: cosa che raccomod alquanto lo stomaco al povero tribolato. Ma quella poca consolazione svan in un momento, allorch il signore, andato a un angolo del cortiletto, riprese la sua carabina e se la mise speditamente ad armacollo. Arrivati al luogo doverano le mule, lInnominato salt agilmente in groppa a quella che gli fu presentata, mentre don Abbondio voleva assicurazione che la sua non avesse vizi; rassicurato dal cameriere del Cardinale, e da lui aiutato, finalmente fu issato sulla sella, e tutta la comitiva si avvi. Mentre passavano davanti alla chiesa, stipata di fedeli, nella piazzetta anchessa piena zeppa di quanti non eran potuti entrare nel tempio, si lev tra la folla, che fece ala rispettosa, un mormorio di simpatia e quasi dapplauso. Davanti alla porta della chiesa, che era tutta spalancata, il signore si lev compuntamene il cappello per fare un profondo inchino; il curato lo imit, ma sentendo il concerto delle voci e dellorgano, prov come unaccorata tenerezza, non scevra dinvidia per i suoi confratelli che erano l a cantare in letizia, mentre lui era sbalestrato chiss dove in una specie davventura molto rischiosa. Lasciato il paese alle loro spalle, sinoltrarono nellaperta campagna, e il disagio del povero prete cresceva man mano che si avvicinavano a quella valle famosa, dove cerano quei bravi formidabili, senza paura e senza piet, che ammazzare un prete lavevano a opera meritoria! Il poveretto avrebbe anche questa volta voluto attaccar discorso, ma vedendo il suo compagno molto concentrato nei suoi pensieri, non ritenne conveniente disturbarlo; sicch per tutto il viaggio si ridusse a parlare con s stesso.

136

Questo soliloquio di don Abbondio uno dei passi pi belli del romanzo, perch esso rivela, meglio di ogni analisi psicologica, lo stato danimo del povero tribolato, di cui mette a nudo i pensieri e i sentimenti. Egli se la prese un po con tutti: con don Rodrigo, che poteva andare in paradiso in carrozza, e invece voleva andare a casa del diavolo a pi zoppo; con il suo illustrissimo compagno di viaggio, il quale, dopo aver messo sottosopra il mondo con le scelleratezze, non era ancora soddisfatto, se non lo metteva in subbuglio anche con la conversione, se pure era sincera, cosa di cui non si sentiva affatto sicuro; con il suo arcivescovo, che credeva subito alle parole di colui, e immediatamente imbarcava un povero curato, di cui avrebbe dovuto essere geloso, in una spedizione di quella sorta, senza avere la minima garanzia. Pens anche a Lucia, provando un certo rammarico per i suoi guai; ma non cera che dire, colei era proprio nata per la sua rovina, per amareggiargli, anche se involontariamente, i suoi ultimi anni! Quindi si metteva a osservare di sottocchio il suo compagno, per cercare di conoscere quali fossero i suoi intimi pensieri, ma rimaneva perplesso e dubbioso: Chi lo pu conoscere? Ecco l, ora pare santAntonio nel deserto; ora pare Oloferne in persona. Infatti sul volto dellInnominato apparivano i segni dellinterno travaglio: ora di aborrimento del suo passato, ora di compunzione per i peccati, ora di fiducia per lavvenire. Egli passava mentalmente in rassegna le sue imprese inique e violente, per vedere quelle che fossero in qualche modo riparabili, e si concentrava nella ricerca dei rimedi pi adatti e pi sicuri; poi pensava a Lucia, ma quel senso di tenerezza e di consolazione, che provava nel poterla liberare, era accompagnato da unimpazienza mista dangoscia, pensando che la poverina intanto soffriva chi sa quanto, per colpa sua. Allorch, entrati nella stretta valle, cominciarono a incontrare i bravi del signore, don Abbondio si sent come Dante tra i diavoli di malebolge: gli sembrava che quei manigoldi, guardandolo con gli occhi grifagni, manifestassero una voglia matta di fargli la festa Per sua fortuna cera l il padrone, col suo fiero cipiglio; non ci voleva meno di quello, per tenere a freno quei briganti! In quel momento il poveretto benediva quel cipiglio che poco prima gli aveva dato tanto fastidio. Oltrepassata la Malanotte, presero la salita e giunsero in breve alla spianata davanti al castello. Il padrone, col solo cenno degli occhi, teneva fermi e in rispetto i bravi di guardia, i quali erano rimasti attoniti, non sapendo che cosa pensare. Gi erano stati sconcertati, il mattino, da quella partenza cos insolita del signore; vedendolo ora ritornare con un prete e una lettiga sconosciuta, con dentro una donna, cadevano addirittura dalle nuvole: di chi era quella livrea e quello stemma, mai visti? dove aveva pescato quella bussola, con quel lettighiero? e quella donna? era una nuova preda? ma come e dove laveva fatta, da solo?... A tutti questi interrogativi essi non trovavano una risposta, e stavano perci come sbalorditi e sospettosi, perch quelle novit, per loro, non lasciavano prevedere nulla di buono, tanto erano contrarie allordine solito e alla disciplina imperante da tempo immemorabile in quel castello.

137

Quando la comitiva giunse al portone, il picchetto dei bravi fece ala al padrone, che era intanto passato in testa; oltrepassati due cortili, egli si ferm davanti alla porta interna. A un bravo, accorso per aiutarlo a smontare, comand di mettersi l di guardia, con lordine di non far avvicinare nessuno. Quindi balza a terra da solo, lega in fretta la mula allinferriata e apre lo sportello della lettiga, dicendo sottovoce alla donna: Consolatela subito; fatele subito capire che libera, in mano damici. Dio ve ne render merito. Avvicinatosi poi al curato, col volto rasserenato e quasi lieto per lopera buona che finalmente pu compiere, gli chiede scusa dellincomodo che gli ha procurato, aggiungendo con un sospiro: Lei lo fa per Uno che paga bene, e per questa sua poverina. Il volto e le parole del signore furono un vero balsamo per don Abbondio, che egli aiut anche gentilmente a scendere dalla cavalcatura, reggendogli la staffa con atto di spontanea umilt. Tanto era alto il concetto che si era formato del sacerdote, quale ministro di Dio, a contatto con lardente carit del Cardinale! Ora egli capiva di avere davanti un povero prete, non davvero allaltezza di quellaltissimo ministero; ma la sua riverenza andava giustamente alla funzione, se non alla persona; e le sue parole e il suo umile gesto servirono a spoltrire alquanto don Abbondio, che compiva quellopera buona cos a malincorpo! LInnominato leg con le sue mani anche allinferriata la mula del curato e, dopo aver avvertito il lettighiero che aspettasse l, accompagn il prete e la donna alla camera dovera Lucia.

138

CAPITOLO XXIV
Lucia sera svegliata da poco, e aveva penato molto a rendersi conto della dura realt, che rassomigliava molto a un sogno molto pauroso, che lopprimeva con langoscia di un incubo. La vecchia le si avvicin e, con voce affettatamente dolce, linvit a mangiare, poich ne aveva tanto bisogno, pallida e sbattuta comera. Ma la ragazza non ne volle sapere, dicendo che voleva tornare subito da sua madre; e chiese dove fosse il padrone. La serva rispose che era uscito, ma tornerebbe presto e laccontenterebbe in tutto; al che Lucia replic che voleva andar subito dalla mamma. Pochi istanti dopo si sente un picchio alluscio, e la nota voce che sommessamente dice alla vecchia di aprire. Questa si affretta a obbedire, e il padrone la fa allontanare, mandandola in unaltra parte del castello, come aveva fatto poco prima per Marta. Quindi fa entrare don Abbondio e la buona donna, per rianimare la povera prigioniera, la quale, turbata e impressionata comera, in un primo momento guard con sospetto e quasi con spavento i nuovi venuti, che vide indistintamente e come attraverso una nebbia, a causa dellesaurimento fisico che aveva indebolito i suoi riflessi. Quando nei nuovi arrivati ravvis un prete e una donna, prov un certo sollievo, e fissando meglio don Abbondio, le sembr di riconoscerlo, ma non osando credere ai suoi occhi restava come incantata. La donna le si avvicin con atteggiamento affettuoso e, prendendole le mani per aiutarla ad alzarsi, la invitava ad andare con loro. Ma Lucia, non conoscendola, resisteva alle sue premure, poich non si sentiva di affidarsi a una sconosciuta; e si rivolse al suo curato, chiedendogli se fosse proprio lui, perch a lei sembrava di sognare, di essere come fuor di s. Don Abbondio la rassicur che era proprio lui, e che era venuto a prenderla con quella buona donna, perch ormai era veramente libera. Allora la ragazza, riavutasi affatto, si alz in piedi senza indugio, e con grande trasporto esclam: E dunque la Madonna che vi ha mandati. Quindi chiese se potevano proprio andare, se nessuno si opporrebbe, n i bravi n altri; e ricord che veramente il signore del castello glielaveva promesso. Il curato le rispose che colui era venuto apposta con loro, per liberarla, e che stava aspettando fuori della stanza; e fece quindi premura a Lucia, per non farlo attendere ancora, un signore cos nobile! LInnominato, sentendo parlar di s, ritenne di farsi vedere, e si affacci timidamente alluscio. La ragazza non pot trattenere un istintivo senso di paura, per cui si strinse alla buona donna, nascondendole il viso in seno. A quel gesto il signore, che aveva fatto qualche passo per avvicinarsi, si ferm indeciso, abbass gli occhi con compunzione, e interpretando latteggiamento di Lucia come un muto rimprovero per ci che lui le aveva fatto soffrire, mormor umilmente: E vero: perdonatemi! Intanto sia la donna che don Abbondio cercavano di fare coraggio a Lucia, dicendo che colui era diventato buono, tanto da chiederle scusa del male arrecatole; a queste parole la ragazza alz gli occhi verso il signore, e

139

vedendolo cos mortificato, fu presa da un sentimento misto di piet e di riconoscenza, e disse con voce soave: Oh, il mio signore! Dio le renda merito della sua misericordia! Queste parole scesero come un balsamo nel cuore contrito dellInnominato, che ringrazi commosso; quindi si avvi, precedendo la donna, che portava sottobraccio Lucia, mentre don Abbondio sincammin per ultimo. Giunti al cortile, il signore, con una certa gentilezza quasi timida, volle aiutare la ragazza a salire sulla bussola, sorreggendola per un braccio. Lucia questa volta non sent alcuna ripugnanza, poich nel suo animo sensibile aveva gi compreso quanto quelluomo fosse mutato; infatti poche ore dopo, parlando di lui alla madre, dir con convinzione: ora un santo. LInnominato aiut anche don Abbondio a montare in sella, e la comitiva si mosse quando pure lui fu a cavallo. La sua fronte non era pi atterrata e confusa, come poco prima davanti alla sua prigioniera; il suo sguardo aveva ripreso la durezza necessaria a tenere in rispetto quella torma di giannizzeri, di cui nessuno si moveva, perch questo era lordine che il padrone dava con quelle occhiate imperiose e significative. Il fiero cipiglio del signore ormai non dava alcun fastidio al nostro curato, il quale aveva finalmente capito che esso era indispensabile per tenere allordine quel branco di briganti, tra i pi sfegatati e feroci dItalia. Infatti, come susc dalla valle, che costituiva come il dominio dellInnominato, e non videro pi i suoi bravi , la sua fronte sand spianando, e anche don Abbondio pot respirare pi liberamente, mentre prima, davanti a quei masnadieri che lo guardavano con certe occhiate, si sentiva come oppresso, e pensava inorridito: se costoro immaginano che io sia venuto a convertire il loro padrone, e a togliere loro il pane, povero me! mi martirizzano! E lui, lo sappiamo, non si sentiva nessuna vocazione per il martirio, e non vedeva lora di essere fuori da quella faccenda. La brava donna invece si rivel subito allaltezza della situazione; per cui possiamo ben dire che il suo parroco aveva fatto unottima scelta, dimostrando di avere buon fiuto. Infatti, appena entrata nella lettiga, con molta discrezione, abbass le tendine, per sottrarre la ragazza a sguardi indiscreti e metterla quindi a suo agio; prese poi affettuosamente le mani di Lucia, sera messa a confortarla, con parole di piet, di congratulazione e di tenerezza. E vedendo che lignoranza degli avvenimenti, che la riguardavano, teneva ancora la poverina in uno stato di turbamento, il quale le impediva di godere pienamente la gioia della liberazione, pens bene di dirle tutto quello che sapeva, e dellInnominato che si era convertito, e del Cardinale il quale, essendo in visita pastorale alla sua parrocchia, aveva avuto un colloquio col signore che inaspettatamente era andato a trovarlo, e avendo saputo del suo rapimento, aveva subito mandato una sua lettiga, per prenderla e portarla nel paese dovera lui. Lucia, conosciuto il nome del paese doverano diretti, molto vicino al suo, pens subito a sua madre, esprimendo il desiderio di poterla presto rivedere; e la buona donna rispose compiacente che la manderebbero a prendere senzaltro, non sapendo che gi ci aveva pensato il gran cuore del Cardinale. Poi aggiunse che era stata invitata a venire al castello dal suo curato, per incarico dellArcivescovo, concludendo che lei doveva davvero

140

ringraziare Dio, perch era stata salvata in maniera proprio miracolosa, per un mirabile intervento della Divina Provvidenza. Le parole sincere, affettuose e infervorate della buona donna riuscirono nellintento di rianimare Lucia, cosa che non era affatto riuscita, come abbiamo visto, alla vecchia del castello. Quanta differenza tra le due donne! mentre nelluna ogni tenero sentimento spento insieme alla religione, nellaltra ogni umano senso damore vivificato e quasi sublimato dalla carit cristiana. Non vogliamo con questo affermare che la buona donna che and a rilevare Lucia sia senza difetti; ha anchessa le sue pecche, come per esempio un certo senso di s, un certo orgoglio; ma tanto naturale e innocente questo orgoglietto, da apparire quasi simpatico, come quando si rallegra di poter ospitare la ragazza senza alcuna preoccupazione economica, perch benestante. E anche una donna di molto intuito, che si subito accorta del poco valore di don Abbondio, intorno al quale esprime un giudizio preciso, per nulla indulgente: E trovandosi al nostro paese anche il vostro curato ha pensato il signor cardinale di mandarlo anche lui in compagnia; ma stato di poco aiuto. Gi lavevo sentito dire chera un uomo da poco; ma in questoccasione, ho dovuto proprio vedere che pi impicciato che un pulcin nella stoppa. In queste parole un po maliziosette si avverte quel certo orgoglio di cui abbiamo parlato; infatti nellaffermazione che il curato stato di poco aiuto, implicita unindiretta esaltazione del proprio ruolo. Si potrebbe dire anche, a voler giudicare con rigore, che la brava donna pecca contro la carit e lumilt evangelica, che cimpone di non criticare il prossimo; ma torno a dire che essa non una santa, ma solo una buona donna, una donna di cuore e di testa, quale appunto la desiderava il Cardinale. Per certi aspetti del carattere ella rassomiglia a quella buona vedova che gi conosciamo da un pezzo, la nostra Agnese, la quale anchessa non ha troppi peli sulla lingua; e vedremo tra poco che non la modera affatto verso don Abbondio, che accusa dinanzi al cardinale di aver mancato al proprio dovere. Eppure Agnese una donna timorata di Dio e caritatevole, e per tutto il resto irreprensibile; il suo unico difetto di essere un po ciarliera, oltrech di manica larga riguardo alla liceit di certe azioni, come il matrimonio di sorpresa. Direi per che la moglie del sarto un tantino superiore come spiritualit: la carit della vedova appare alquanto pi angusta. A don Abbondio, durante il viaggio di ritorno, era naturalmente passata quella gran paura, specialmente quando fu del tutto fuori da quella brutta valle e dalle grinfie dei suoi temibili abitatori; ma il suo animo fu solo per poco del tutto sgombro da ogni preoccupazione. Poi subito si presentarono altri pensieri tormentosi, che prima erano, per cos dire, latenti nelle pieghe del suo animo dominato dalla paura. Il Manzoni in proposito ci d questa bellissima similitudine: come, quand stato sbarbato un grandalbero, il terreno rimane sgombro per qualche tempo, ma poi si copre tutto derbacce. Il grandalbero finalmente sradicato appunto quella pauraccia del castello, del suo padrone e dei suoi masnadieri, che gli aveva amareggiato il viaggio di andata; le erbacce nate al suo posto sono invece le nuove preoccupazioni, non cos vistose, ma pur esse

141

fastidiose, come possono essere le eriche e le ortiche che ingombrano un passaggio obbligato. Nel viaggio di ritorno il nostro curato avvert innanzi tutto la scomodit del cavalcare per quei greppi, lui che non cera affatto abituato; e la mula, quasi per farlo apposta, voleva sempre camminare sul ciglio del sentiero, proprio sul burrone; sicch il poveretto, a ogni passo, temeva di essere catapultato nella voragine. Cerc ripetutamente, tirando le briglie, di far spostare quella testarda verso il centro della mulattiera, per non vedersi sotto gli occhi quellabisso che gli dava le vertigini, ma non ci fu verso; sembrava che la bestia provasse un gusto matto a mettere gli zoccoli sullorlo! E don Abbondio, dopo averla stizzosamente apostrofata in cuor suo: hai anche tu quel maledetto gusto dandar a cercare i pericoli, quando c tanto sentiero!, desistette da ogni ulteriore tentativo e si lasci condurre a piacere altrui, comera suo destino. Infatti, proprio quella mattina, sera lasciato indurre da Perpetua a recarsi nel paese dovera il Cardinale, per ossequiarlo, mentre ne poteva benissimo fare a meno, secondo lui; e ora si rodeva contro la signora Perpetua, la serva padrona, non meno che contro la mula cerca-pericoli. Unaltra preoccupazione, meno immediata ma forse pi grave, gli veniva da quel bestione di don Rodrigo il quale, non potendosela prendere n col Cardinale n con lInnominato per il fallimento scandaloso e rumoroso della sua bellimpresa, poteva essere tentato di sfogarsi contro di lui, che non centrava per nulla. Ma tant! e conclude amaramente: I colpi cascano sempre allingi; i cenci vanno allaria. La sua filosofia pessimistica resa pi sconsolata dalla costatazione che il cencio diventato proprio lui, lui che non simpiccia mai di niente e di nessuno, lui che chiede soltanto di essere lasciato in pace. Ma tutti ce lhanno con lui, sia i birboni che i santi! Anche il Cardinale, non poteva farne a meno di metterlo in ballo a quel modo? non bastavano il signore e la donna per andare a prendere Lucia?... E se poi Sua Eccellenza voleva andare a fondo della faccenda del matrimonio, chiedendogli conto della negata celebrazione? E se al Cardinale veniva in mente di fare della pubblicit su quella benedetta conversione, mettendo in mostra anche lui, che voleva essere dimenticato? Oh povero lui!... in questo caso don Rodrigo non gliela perdonerebbe certamente! Oppure doveva andare da lui, al palazzotto, a mettere in chiaro le cose, per abbonirlo, per fargli vedere che nella sgradevole circostanza si era trovato immischiato per mera obbedienza, tirato proprio per i capelli? Ma obbietta a s stesso: parrebbe che volessi tenere dalla parte delliniquit. Oh santo cielo! Dalla parte delliniquit io! Per gli spassi che la mi d! Basta; il meglio sar raccontare a Perpetua la cosa com; e lascia poi fare a Perpetua a mandarla in giro. Una volta tanto la loquacit della serva gli pu essere utile, come mezzo di pubblicit, dopo essergli stata tante volte dannosa! Il soliloquio termina con una costatazione molto triste: Ah! vedo che i miei ultimi anni ho da passarli male. Le parole di don Abbondio meritano qualche commento: egli dunque si scandalizza che qualcuno lo accusi di essere dalla parte degli iniqui; eppure lui e glielo dimostrer tra pochi giorni il suo arcivescovo obbedendo puntualmente a

142

don Rodrigo, si era schierato proprio dalla parte delliniquit, tradendo i suoi figlioli spirituali, affidati alle sue cure, i quali si fidavano del loro parroco, almeno prima che prevaricasse cos sfacciatamente. Liniquit, vero, non gli dava degli spassi (e se glieli avesse dati, lavrebbe seguita per questo?), ma essa glincuteva certamente un tale spavento, che ne subiva il comando, collaborando praticamente con essa. Comunque, per evitare ogni pubblicit e ogni cerimonia inutile, don Abbondio decise di tornarsene subito a casa sua, una volta giunto al paese e condotta felicemente a termine la sua missione; e cos fece. Non essendo il Cardinale ancora uscito di chiesa, il nostro curato lasci allInnominato i suoi ossequi e le sue scuse verso il superiore, dicendo che doveva assolutamente tornare alla sua parrocchia per affari urgenti; quindi ossequi il signore e part in fretta, dopo aver recuperato il suo cavallo, cio il bastone, lasciato in un canto. LInnominato rimase l solo, attendendo che il Cardinale uscisse dalla chiesa. La buona donna fece condurre Lucia direttamente a casa sua, per rifocillarla, e intanto si compiaceva cordialmente con la ragazza per il fatto che quel giorno, considerato, in paese, festivo per la presenza dellArcivescovo, non cera la gatta sul focolare, poich tutti cercavano di festeggiare anche a tavola leccezionale avvenimento. Infatti, mettendo della legna minuta sotto il calderotto, in cui stava a cuocere un bel cappone, fece alzare il bollore al brodo, e riempitane una scodella gi guarnita di fette di pane, pot finalmente presentarla a Lucia. Non senza una punta di compiacenza disse alla sua ospite che loro se la passavano benino; quindi aggiunse: Sicch mangiate senza pensieri intanto; ch presto il cappone sar a tiro, e potrete ristorarvi un po meglio. Notiamo volentieri il conversare cordiale e arguto della padrona di casa, tale da mettere davvero il buon umore in chi lascoltava; e ammiriamo anche la sua grande discrezione, segno di buon senso e di naturale intelligenza. Infatti non rivolse mai a Lucia una domanda curiosa, per quanto desiderasse sapere di lei tanti precedenti, che ignorava; ma lalto senso della sua missione, che non era quella di cicalare, ma di consolare e rianimare, le fecero vincere la naturale curiosit. La finezza di questa brava donna dimostrata anche dal bel garbo e dal notevole tatto con cui seppe mettere a suo agio lospite, una volta che lebbe condotta a casa sua. E Lucia, rimessasi un po in forze per il pasto, e soprattutto confortata dalla cordiale accoglienza, andava intanto assettandosi, per unabitudine, per un istinto di pulizia e di verecondia: la civetteria infatti non pu albergare in un animo cos profondamente religioso, e neppure un innocente desiderio di comparire; la ragazza riordina le sue vesti e i suoi capelli solo per un innato senso di decoro, per rispetto della sua persona, della casa che lospitava e dei suoi abitatori. Dopo aver rassettato le trecce, ricompose il fazzoletto intorno al collo, e facendo questo le sue mani sincontrarono con la corona, che la notte precedente si era messa al collo, dopo aver formulato il voto di verginit. La memoria della solenne promessa venne a un tratto a scompigliarle le idee che aveva da poco faticosamente ricomposte, e il suo primo pensiero, quasi istintivo, fu di desolato pentimento: Oh povera me, cosho fatto! Questa la Lucia reale, che si sente

143

quasi perduta al pensiero di non poter pi sposare luomo che ama; perci non si dica che il Manzoni ha idealizzato troppo questo personaggio. Ma subito dopo ella si pent del suo pentimento, cap che rammaricarsi di quel sacrificio, dopo aver ottenuto la grazia della liberazione, era uningratitudine, un sentimento egoistico e indegno di un cristiano; la sua fede, la rassegnazione abituale alla volont di Dio, la salda fiducia che Egli lavrebbe aiutata nel difficile compito di mantenere quel voto, la salvarono da una costernazione senza speranza. Toltasi quindi la corona dal collo, la baci con devozione e mentalmente conferm il voto, chiedendo insieme al Signore e alla Madonna anche la grazia di poterlo mantenere, dando rassegnazione sia a lei sia a Renzo. Ma al pensiero dello sposo promesso sent come un tuffo al cuore, fu l l per pentirsi, per disperarsi di nuovo; ma vinse lo scoramento con una fervida preghiera, con la quale chiese a Dio di liberarla da quei pensieri assillanti, da quelle immagini un tempo care, che ormai per lei costituivano solo una brutta tentazione. Riusc a rasserenarsi alquanto, ma la tentazione, allontanata per quella volta, non era affatto vinta, e sarebbe tornata a tormentare il sensibile animo della ragazza, profondamente innamorata del suo Renzo. Povera Lucia, s, per le sue sofferenze; ma anche ammirabile fanciulla, per la strenua lotta che seppe sostenere contro lo sconforto e contro il male, sostenuta solo dalla sua fede. A questo punto appare quasi inevitabile fare un confronto tra Lucia e Gertrude, tra la ragazza di campagna e la principessa. Costei era stata costretta al voto di verginit, e si sentiva perci disperata, ricalcitrando sotto il giogo e sentendone per questo maggiormente loppressione, poich non aveva il conforto della fede, che rende sopportabile ogni male scorgendo in esso un possibile bene; Lucia invece aveva fatto il voto spontaneamente, in un momento di disperazione in ogni mezzo umano, in un momento in cui ogni sacrificio le sembrava doveroso e anche facilmente sopportabile; ma in seguito non le sembr pi tale. Una volta liberata e tornata, per cos dire, in una situazione normale, sente che ha sbagliato, facendo quel sacrificio supremo che certamente Dio non esigeva da lei, per liberarla; si pente ed vicina a disperarsi, dovendo rinunciare per sempre a quellamore cos grande e cos legittimo; ma la fede salda e la rassegnazione cristiana la sostengono e le rendono il giogo leggero e quasi soave. Questa fiducia in Dio purtroppo mancata a Gertrude, per la quale la religione era una larva come laltre. Lucia stava ancora a tavola, quando torn dalla chiesa la famigliola del sarto, cio il capofamiglia, due bambine e un fanciullo. Solo per dovere di completezza dobbiamo rilevare che il Manzoni, a proposito di questa famiglia, cio della sua composizione, incorso in una svista. Infatti nel capitolo XXIX, tornando a parlare di essa, fa capire che era formata da due ragazzi e una bambina, contrariamente a quanto dice nel presente capitolo: una piccola inesattezza, che non toglie nulla alla validit e alla poesia del romanzo. Pu sembrare per strano che don Lisander, in genere cos meticolosamente preciso, e per di pi scrupoloso correttore del suo romanzo, di cui fece un paio di redazioni manoscritte e due edizioni a stampa (1827 e 1840 42), non si sia accorto n sia stato avvertito di

144

questa inesattezza, della quale gli stessi commentatori si sono accorti piuttosto tardi. Ma lasciando stare questo scambio di sesso, che ci fa un poco sorridere, diciamo qualcosa di questa, che la seconda famiglia completa che compare nel romanzo, dopo quella di Tonio (cap. VI). Quella che appare agli occhi di Renzo, venuto a cercare il suo testimone, una povera famiglia di contadini , abbastanza numerosa, raccolta intorno a una piccola polenta bigia di gran saraceno, scodellata sulla taffera di faggio, la quale purtroppo non riuscir a sfamarli del tutto. Essa formata, oltre che dal capo famiglia, dallo scempiato fratello, dalla madre, dalla moglie e da tre o quattro ragazzetti. Lautore, non precisandone il numero, adopera proprio lespressione di chi, vedendo un gruppo di marmocchi attorno al focolare, dove il padre rimena col matterello la magra polentuccia, non si mette a contarli, ma osserva soprattutto lo stato danimo dei poveri bambini affamati, che stanno con i bramosi occhi fissi su quel nero paiolo! Questi figlioli ce li immaginiamo non solo denutriti, ma anche vestiti sommariamente con laceri indumenti, poich se, a causa della carestia, si deve lesinare il cibo, non si spenderanno di certo denari per il vestiario! Invece la famiglia che si presenta ora agli occhi di Lucia potrebbe apparire, al confronto, molto benestante; e il Manzoni, con locchio meno preoccupato dallaspetto di miseria che laveva colpito allora, osserva quasi compiaciuto ogni componente; non sono bambini mortificati dallindigenza, come quelli di Tonio, ma vispi e gioiosi: due bambinette e un fanciullo entran saltando. Qui, per grazia di Dio, i figlioli stanno bene nellanima e nel corpo, perch vivono in un modesto benessere; entrano saltando e vociando, perch sono allegri, come dovrebbero essere tutti i bambini, purch non manchi loro n laffetto dei genitori n il necessario dal punto di vista materiale. Ai poveri figli di Tonio mancava proprio questultima cosa, per cui non possono essere garruli e lieti, ma mogi mogi e muti stanno ad aspettare, con gli occhi sbarrati, che sia cotta quella polenta che purtroppo non sazier la loro lunga fame. La pena dellAutore davanti a questa scena avvertibile tra le righe. Ma torniamo alla casa del sarto, dove entrano festanti i bambini, seguiti dal padre, che avanza con un passo pi quieto, ma con una premura cordiale dipinta in viso. Il Manzoni ci dice subito che era la miglior pasta del mondo, ma questo non vuol dire che non abbia anche lui i suoi difettucci, tra cui principale un certo orgoglio di letterato. Infatti non era analfabeta, come la maggior parte dei compaesani, e aveva letto pi duna volta la raccolta delle vite leggendarie degli antichi santi e anche alcuni romanzi cavallereschi, come Il Guerrin Meschino e I reali di Francia, e per questo aveva acquistato in paese fama di uomo di talento e di scienza. Per lui faceva il modesto, e quando veniva lodato per la sua cultura, rispondeva soltanto che aveva sbagliato vocazione; e che se fosse andato agli studi, in vece di tantaltri! Con queste parole il bravuomo esaltava implicitamente la propria intelligenza, la quale sarebbe arrivata chi sa dove, se si fosse applicata alle lettere, invece che a fare vestiti per contadini. A parte questa piccola dose di vanit, egli era un buon cristiano, molto caritatevole, e aveva dato volentieri la sua approvazione al viaggio della moglie al castello, per prendere quella povera ragazza, che poi avrebbe anche ospitato con

145

molto piacere. Tornava ora dalle funzioni di chiesa tutto entusiasta, perch la predica del Cardinale aveva esaltati tutti i suoi buoni sentimenti. La moglie gli present con compiacimento lospite, la quale si alz da tavola impacciata, col viso rosso, balbettando qualche scusa; ma lui la mise subito a proprio agio, facendole una gran festa, affermando che lei aveva portato la benedizione di Dio in quella casa, mentre per loro era una gioia e un orgoglio poter ospitare una miracolata. Messisi tutti a tavola, durante il pasto il padrone di casa si mise a parlare con grande calore dei grandi avvenimenti della giornata, e soprattutto della mirabile predica dellArcivescovo, che aveva fatto piangere tutti, perch anche lui, il Porporato, aveva le lagrime agli occhi per la commozione del momento. Oltre che della conversione di quel signore, pur senza nominarlo, egli aveva parlato della carestia, esortando tutti ad aiutarsi fraternamente, in spirito di carit, ma ad esser nello stesso tempo fiduciosi e contenti, nellosservanza della santa legge di Dio, perch la disgrazia non il patire e lesser poveri; la disgrazia il far del male. E il Cardinale, aggiungeva il sarto, non faceva come padre Zappata, che predicava bene e razzolava male, perch lui agiva appunto come insegnava agli altri, ed era capace di togliersi il pane dalla bocca per sfamare i bisognosi. E aveva detto nella predica che non soltanto i ricchi dovevano sentire lobbligo stretto di soccorrere il prossimo meno fortunato. A questo punto il buon uomo si ferm come assorto nel pensiero della carit, doverosa per tutti i cristiani; e gli venne una buona ispirazione, ricordandosi di una povera vedova che abitava l vicino, coi bambini da sfamare. Riemp perci un piatto delle vivande che stavano a tavola, lo mise in un tovagliolo assieme a una pagnotta e, aggiuntovi un fiaschetto di vino, incaric la bambina pi grande di portar il tutto alla Maria; e aggiunse: dille che per stare un po allegra co suoi bambini. Ma con buona maniera, ve; che non paia che tu le faccia lelemosina. E non dire niente, se incontri qualcheduno. A questo gesto di carit semplice e cordiale, fatto proprio secondo lo spirito evangelico, Lucia si commosse sino alle lagrime, e sent in cuore una tenerezza ricreatrice. Le parole del suo ospite, accompagnate dalla premurosa azione caritativa, le avevano fatto un gran bene al cuore, infondendole anche pi forza e pi coraggio per mantenere il suo voto; la sua religiosit era per cos dire sublimata dallesempio altrui, per cui ella sentiva, nel gran sacrificio che offriva a Dio e alla Madonna, una certa gioia austera e solenne. Poco dopo venne alla casa del sarto il curato della parrocchia, per avvertire Lucia che Sua Eccellenza voleva vederla in giornata, e anche per ringraziare, in nome del superiore, la famiglia che le aveva offerto cos pronta e squisita ospitalit. Chiese quindi alla ragazza se la madre fosse gi arrivata; Lucia, sentendo che era stata mandata a prendere e ormai non poteva tardare, per la grande emozione scoppi a piangere, e ci volle un bel po perch si potesse riavere dalla forte commozione che linaspettata notizia le aveva procurato. Il curato infatti, per ordine del Cardinale, aveva mandato un barroccino, con un uomo assennato, a prendere Agnese la quale, sentendo il motivo dellinvio del mezzo, che il messo non sapeva ben circostanziare, era rimasta come fuor di s;

146

quindi era salita in furia sul calesse, non vedendo lora di riabbracciare lamata figliola. Lungo la strada, per fortuna, incontr don Abbondio, che se ne tornava lemme lemme al paese, e da lui ebbe la certezza che Lucia era proprio salva, e si calm alquanto. Il curato volle subito approfittare delloccasione propizia, per ammonire la donna a non dir nulla allArcivescovo del matrimonio non celebrato, caso mai fossero ammesse, lei e la figlia, alla sua presenza, cosa non improbabile; Agnese per, vedendo che il parroco parlava nel suo solo interesse, lo piant in asso, senza prometter nulla, avendo piuttosto intenzione di rivelar tutto. Non diciam nulla del commovente incontro di Lucia con la madre, dei reiterati abbracci, misti con lagrime di consolazione. Quando poi Agnese, sfogata la prima emozione, pot conoscere dalla viva voce della figlia tutto laccaduto, riconobbe subito nel ratto unimpresa ordita da don Rodrigo, contro il quale si mise a inveire, appioppandogli gli epiteti che colui si meritava certamente, e augurando che Iddio lo pagasse secondo i meriti. Ma Lucia, anima veramente cristiana e quindi per nulla vendicativa, rimprover dolcemente la madre: No, no! preghiamo piuttosto Dio e la Madonna per lui: che Dio gli tocchi il cuore, come ha fatto a questaltro povero signore, chera peggio di lui; e ora un santo. E proprio il caso di dire che la vendetta del cristiano il perdono, accompagnato dalla preghiera per i persecutori. Nel racconto che fece alla madre Lucia tacque il particolare del voto, e aveva le sue buone ragioni; sapendo che la madre era un po ciarliera, voleva evitare che la cosa andasse per molte bocche; ma soprattutto, sapendo che la madre aveva la coscienza un po elastica, temeva che essa tirasse fuori qualche sua regola larga in fatto di morale, per dimostrarle che non era obbligata a mantenere quella promessa. E poi lei ne voleva parlare innanzi tutto a fra Cristoforo, suo padre spirituale, e stare al suo consiglio; e immaginate come rimase male, quando seppe che era stato trasferito in un paese lontano lontano! Infine parlarono di Renzo, di cui si sapeva solo che era in salvo nel territorio bergamasco, ma dal quale non si era ancora avuta nessuna notizia positiva. Per la povera Lucia ormai questargomento era divenuto penoso, perch suscitava tutti i pensieri, e i desideri di un tempo, che doveva dimenticare; cercava perci di cambiar discorso, e per fortuna proprio in quel momento fu annunziato larrivo imminente del Cardinale. Questi, finite le funzioni religiose, aveva desinato assieme allInnominato, in unaccolta di sacerdoti, che non si saziavano di ammirare quellaspetto cos ammansato senza debolezza, cos umiliato senza abbassamento. Alzatisi da tavola, i due personaggi ebbero un abboccamento molto pi lungo del precedente, nel quale evidentemente toccarono i temi della nuova vita di riparazione e di edificazione religiosa e morale, che il signore aveva cos risolutamente abbracciato. Quindi lInnominato torn al suo castello, a dare inizio al piano di rinnovamento che gi aveva concepito, mentre il Cardinale chiese al curato di accompagnarlo a casa del sarto. Il buon prete, che era uno di quei tali galantuomini del ne quid nimis, rispose che Sua Eccellenza non si doveva affatto incomodare, perch li avrebbe subito fatti venire tutti, sia gli ospiti sia le due donne ospitate. LArcivescovo ribad che

147

voleva andare lui alla loro casa, e dovette insistere molto per convincere quel curato guastamestieri (buon uomo del resto) a lasciarlo fare, intendendo egli con quella visita rendere onore alla sventura, allinnocenza, allospitalit e al suo proprio ministero in un tempo. Finezza di carit che, a quanto pare, non cera nellanimo angusto di quel parroco. Quando i due, tanto differenti di dignit quanto di sensibilit evangelica, uscirono in strada diretti alla casa ospitale, subito si form come una processione di fedeli che volevano cos onorare il loro presule, il quale avanzava a stento in mezzo alla folla sempre crescente, specie di bambini. che si facevano arditamente avanti, sgusciando tra gli adulti, per baciare la mano o toccare la porpora del loro pastore, che li accarezzava e benediceva paternamente assieme alla folla osannante. Vedendo la calca stringersi intorno al Cardinale, per tributargli il proprio affettuoso omaggio, il curato formalista gridava quasi scandalizzato: Via, indietro, ritiratevi! Ma il buon Federigo gli diceva dolcemente di lasciar fare, di non badare al cerimoniale, perch quei contatti diretti coi suoi fedeli, anche se faticosi, costituivano per lui come un dovere paterno, e anche una gioia consolante. La scena ci ricorda quella del Vangelo, dei bambini che fanno ressa intorno a Ges, e degli apostoli che cercano di allontanarli; e le parole dellArcivescovo riecheggiano il Sinite parvulos venire ad me che il Redentore oppose a quegli uomini zelanti, per allora, solo nellimpedire ai fanciulli il piacere di farsi accarezzare dal Buon Maestro, e a questi la gioia di trovarsi tra quelle anime candide ed entusiastiche. Tra la folla che accompagnava il Cardinale si trovava per caso anche il nostro buon sarto, il quale procedeva lentamente assieme agli altri, con gli occhi fissi e con la bocca aperta, non sapendo dove si riuscirebbe. Ma quando vide che il Porporato entrava proprio a casa sua, si fece largo autorevolmente tra la calca ed entr anche lui. Agnese e Lucia, che in quel momento erano sole, perch la padrona di casa era salita al piano di sopra, per preparare una camera per loro, davanti al Cardinale rimasero confuse e vergognose, vinte dalla soggezione e dallemozione: limprovvisa apparizione aveva loro mozzato la parola e quasi lo stesso respiro. Ma il santuomo con parole semplici e cordiali, con un fare familiare e premuroso, tolse subito alle poverine quella gran soggezione, mettendole ben presto a loro agio. Egli ricord i patimenti della ragazza, ma anche i meriti che aveva acquistato soffrendo cristianamente per conservare la sua virt, e aggiunse che questo suo dolore era servito per conquistare, con la grazia di Dio, il cuore di un peccatore il quale, cambiando vita, avrebbe anche sollevato dalle pene tanti poveri perseguitati e dato gloria a Dio con una vita di riparazione. In questo frattempo, mentre il sarto entrava dalluscio di strada, la moglie scendeva dal primo piano; ma vedendo il presule a colloquio con le ospiti, con grande discrezione rimasero tutte due in disparte, per non disturbare. Il Cardinale, salutatili cortesemente, continu a parlar con le donne, mescolando ai conforti qualche domanda, allo scopo di scoprire il modo migliore per poterle aiutare. Agnese, vedendo lArcivescovo cos affabile e alla mano, si ricord dellegoismo di don Abbondio, sempre pronto a sacrificare gli altri pur di salvare

148

il suo quieto vivere, e senza peli sulla lingua disse che tutti i preti dovrebbero essere come Sua Eccellenza, pronti cio ad aiutare la povera gente, e non a dare una mano per metterla nei pasticci. Il Cardinale naturalmente la mise alle strette, perch dicesse tutto quello che sapeva, e lei, che non aspettava altro, sciorin tutti i panni sporchi del signor curato, non trascurando neppure il pretesto di dover rendere conto ai superiori, allegato dal vile prete per non fare il suo dovere. Ah, Agnese! esclama a questo punto il pur sempre indulgente Autore, dinanzi allabilit, piuttosto malignetta, della buona vedova nellottenere che le fosse quasi imposto di vuotare il sacco. E quando lebbe vuotato con sua somma soddisfazione, sentendo dallArcivescovo che don Abbondio avrebbe dovuto rendere conto della cosa al suo superiore, finse di prendere le difese del curato, ma in definitiva non fece altro che rincarare la dose delle dure accuse. Sentiamola la malignetta: Non lo sgridi, perch gi quel che stato stato; e poi non serve a nulla: un uomo fatto cos: tornando il caso, farebbe lo stesso. Naturalmente lastuta Agnese tacque del tutto sul tentativo di matrimonio clandestino, perch non gli conveniva toccare quel tasto; ma Lucia, coscienza delicata, non poteva approvare questo sotterfugio, e confess candidamente al Cardinale il male che anche loro avevano fatto, per il quale il Signore, secondo lei, li aveva poi castigati. E proprio il caso di esclamare con Dante: O dignitosa coscienza e netta Come t picciol fallo amaro morso!7 Il buon Federigo, ammirando la sincerit scrupolosa della ragazza, la consol ed esort a stare di buon animo, aggiungendo con dolcezza: chi avr ragione di rallegrarsi e di sperare, se non chi ha patito, e pensa ad accusar s medesimo? Domand quindi del fidanzato della giovane; e qui dovette rispondere la madre, perch, presa dalla vergogna, Lucia restava muta, con la testa e gli occhi bassi. Agnese raccont come il poveretto era dovuto fuggire dal suo paese, che cosa gli era capitato a Milano, dove era stato scambiato per un sedizioso, chi sa per quale imbroglio, perch era un bravo giovane, come poteva testimoniare anche il signor curato; e concluse: I poveri, ci vuol poco a farli comparir birboni. Sacrosanta verit, come riconobbe il Cardinale, il quale promise che avrebbe assunto informazioni del giovane, in cui difesa anche Lucia non si era pi vergognata dintervenire, per dovere di carit e di giustizia, affinch risultasse chiara e certa lonest di Renzo. Infatti, pur arrossendo, conferm in coscienza che era un giovane dabbene, fugando con le sue parole ogni eventuale dubbio dellArcivescovo. Questi chiese poi ai padroni di casa se potevano ospitare per qualche giorno le due donne; la moglie rispose subito, con calore, che lo facevano volentieri, ma il sarto voleva dare la sua adesione con una frase pi scultorea, in modo da fare una gran bella figura in quella storica occasione. Ma purtroppo, per quanto frugasse nella sua mente, non trov per loccasione che un magro si figuri!, che in seguito gli amareggi sempre, col suo importuno ricordo, la gioia e la

Divina Commedia: Purg. III vv. 8-9

149

consolazione di quella visita illustre. Il Cardinale, dopo aver ancora ringraziato, part benedicendo la casa e i suoi abitatori. Tornato alla canonica, chiese al curato in che modo si potesse compensare il buon sarto dellospitalit alle due forestiere, la quale in quei tempi di carestia non poteva che essere onerosa. Linterrogato rispose che quei bravi coniugi erano benestanti, e lo facevano certo molto volentieri, specie sapendo di far cosa gradita a Sua Eccellenza; del resto era sicuro che non avrebbero accettato alcuna ricompensa. Allora il Cardinale domand se il sarto avesse, tra i compaesani, dei crediti purtroppo non esigibili in quello stato di crisi agricola; avendo saputo che ne aveva parecchi, ordin di fargliene avere il conto, perch intendeva pagarli lui tutti, e in seguito far lavorare il sarto per vestire i nullatenenti, pagando lui tutte le spese. In tal modo Federigo, con senso squisito di carit, nel mentre compensava indirettamente e munificamente il bravuomo per la sua opera buona, aiutava direttamente i poveri diseredati della parrocchia, o pagando i loro debiti o fornendoli di vestiti nellimminenza dellinverno. Un altro esempio del gran cuore di questo mirabile principe della Chiesa. Diremo ora in breve come chiuse quella straordinaria giornata il neo convertito. Quando a sera egli torn al castello, la sconvolgente notizia del cambiamento che si era operato in lui lo aveva preceduto; ma non per questo ad alcuno dei suoi sudditi venne in mente di poterglisi ribellare o anche soltanto mancargli di rispetto, oppure venir meno in qualche modo alla disciplina militare che regnava in quel posto da tempo immemorabile. A tutti i bravi che via via incontrava, il signore faceva cenno che lo seguissero, e tutti venivan dietro con una sospensione nuova, e con la soggezione solita. Giunto nel cortile del castello, emise il suo noto grido di richiamo, al quale tutti dovevano accorrere come a un segnale di allarme. Fattili quindi riunire nella sala grande, parl loro con semplicit , ma anche con franchezza e decisione: Dio gli aveva toccato il cuore, per cui aveva deciso di cambiar vita, di non commetter pi delitti, ma piuttosto riparare al mal fatto; tutti gli ordini dati loro in passato erano revocati, e da quel momento in poi non potevano pi far del male ad alcuno per suo comando e sotto la sua protezione; erano liberi di restare con lui o dandarsene; chi se nandava avrebbe ricevuto il salario dovuto e in pi una buonuscita, ma non doveva pi tornare in quel luogo, se non per cambiar vita, ch in questo caso sarebbe sempre stato il benvenuto; chi rimaneva sarebbe stato per lui come un fratello, e lui si sarebbe, se necessario, tolto il pane di bocca per sfamarlo; la vita che avevano condotto finora conduceva alla perdizione eterna; lui aveva gi imboccata la strada opposta, quella del bene, che conduce alla salvezza, e augurava loro di poter fare lo stesso, con la grazia di Dio; egli lo pregava che illuminasse le loro coscienze, toccasse il loro cuore, come aveva fatto a lui; ora andassero a dormire, perch la notte porta consiglio; lindomani, uno per uno, li avrebbe fatti chiamare per conoscere la decisione di ciascuno. Tutti se ne andarono muti e pensierosi, riflettendo su quanto avevano udito; lui ispezion, come al solito, le varie parti del castello, quindi and a coricarsi, per nulla preoccupato per aver lui stesso sciolto e infranto quella ferrea disciplina che

150

reggeva quella fortezza e teneva in soggezione quella guarnigione di briganti. Giunto in camera sua, si inginocchi accanto al letto e si mise a pregare: le preghiere della sua infanzia innocente gli tornarono spontanee sulle labbra, ma con un sentimento nuovo, con una significazione profonda, con la commozione di chi, dopo un lungo viaggio tempestoso, tocca finalmente le rive beate della sua infanzia. Ripens a quandera fanciullo felice, ignaro del male, e decise di riconquistare quellinnocenza per mezzo della mortificazione e del sacrificio. Messosi poi a letto, non tard a prendere sonno. Ormai la sua coscienza si era calmata, il perdono di Dio gli aveva arriso consolatore, e perci il sonno, che la notte precedente aveva sospirato invano, questa volta non si fece attendere, dopo quella lunga e faticosa giornata che laveva completamente cambiato.

151

CAPITOLO XXV
Il giorno dopo non solo nel paese che ospitava Lucia, ma in tutto il territorio di Lecco, non si faceva altro che parlare del miracolo, perch tale era ritenuto il fatto congiunto della conversione dellInnominato e della liberazione della ragazza, la quale veniva popolarmente chiamata la giovine del miracolo; e tutti la volevano vedere, ma ella se ne stava ben ritirata nellospitale casa del sarto. Naturalmente nel villaggio degli sposi esplose lodio popolare contro don Rodrigo, che tutti avevano ravvisato come il mandante dellinfame rapimento; mentre prima non osavano parlarne male, per timore dei suoi bravi, ora sentendosi per cos dire protetti da due illustri e potenti personaggi, come lInnominato e il Cardinale, rosolavano ben bene non solo lui, ma anche i suoi manutengoli, o amici che dir si voglia, quali il signor podest di Lecco e il dottor Azzecca-garbugli. Mentre prima non si sdegnavano troppo o non si degnavano affatto per le prepotenze del signorotto, poich lo sdegno non si poteva sfogare senza grave pericolo, ora invece i paesani sentivano appieno la sua iniquit, e lindignazione latente esplose in aperta riprovazione. A questo proposito il Manzoni fa unacuta osservazione, la quale ci spiega lacquiescenza dei popoli a ogni specie di dittatura; acquiescenza che post factum vel extra terminos molto ci meraviglia, ma forse non ci meraviglierebbe affatto, se noi ci trovassimo in quello stato o fossimo vissuti in quel determinato periodo storico. Infatti gli uomini, afferma lAutore, quando lindignazione non si possa sfogare senza grave pericolo, non solo dimostran meno, o tengono affatto in s quella che sentono, ma ne senton meno in effetto. Potremmo anzi aggiungere che questa sensibilit attutita in questi casi una specie di grazia di Dio, la quale ci salva dalla disperazione per certe situazioni che non potremmo cambiare in nessun modo, neppure se ci prodigassimo come eroi o ci sacrificassimo come martiri. Don Rodrigo gi scosso dalla notizia, per lui assolutamente imprevedibile, della conversione del suo potente alleato, inviperito per le dicerie che correvano sul suo conto, desideroso comera di rialzare la propria riputazione dando una severa lezione a qualcuno dei pi audaci mormoratori, aveva deciso di rimanere nel suo palazzotto a sfidare limpopolarit e a preparare la vendetta. Ma quando seppe che il Cardinal Federigo sarebbe venuto in quel paese in visita pastorale, non volendo rendergli omaggio, cosa che il Conte zio avrebbe preteso, si affrett ad andarsene a Milano, col proposito di tornar presto a far le sue vendette. LArcivescovo, continuando il suo giro di visite alle parrocchie, giunse anche al paese di Lucia, il quale era stato addobbato con rustica semplicit dagli abitanti, animati da grande entusiasmo soprattutto per essere i compaesani della giovine del miracolo. Lillustre ospite giunse di pomeriggio, e tutti i fedeli uscirono per accoglierlo, mentre arrivava in lettiga dalla borgata vicina. Don Abbondio avrebbe voluto mettere un po di ordine nella tumultuosa accoglienza popolare, formando una specie di corteo, ma visto che non riusciva a contenere lentusiasmo del

152

popolo, che traboccava da ogni parte, specie quando in fondo alla strada apparve la lettiga del Cardinale, indispettito torn indietro brontolando contro quella spontanea dimostrazione di affetto, e and ad attendere in chiesa. In questa Federigo entr aprendosi a stento il varco in mezzo alla folla acclamante; e dopo essersi raccolto alquanto in preghiera, tenne ai presenti un breve sermone per prepararli nel modo migliore alle funzioni del giorno seguente, affinch fossero per tutti feconde di bene spirituale. Benedetta la folla, si ritir nella canonica dove, tra laltro, chiese al parroco informazioni sul fidanzato di Lucia. Don Abbondio, che aveva contro Renzo un po di ruggine, rispose che era un giovane un po vivo, un po testardo, un po collerico, pensando soprattutto al modo violento con cui gli aveva estorto, quel mattino, il nome di don Rodrigo; ma quando il superiore volle un giudizio morale pi esplicito, dovette riconoscere che era onesto, aggiungendo che nemmeno lui capiva come avesse potuto compiere in Milano le azioni di cui lo accusavano. Interrogato poi in merito a un eventuale ritorno di Lucia al paese, si disse daccordo nel considerarlo scevro di ogni pericolo, finch fosse l presente lArcivescovo; sicch fu dato ordine che una lettiga andasse lindomani, di buonora, a rilevare le due donne, per permettere loro di godersi la loro casa almeno per alcuni giorni. Agnese e Lucia erano vissute nella casa del sarto al riparo da ogni pubblicit, per la squisita discrezione e lamorevole attenzione di quei bravi coniugi, che seppero ben tutelare lintimit delle loro ospiti. Madre e figlia conversavano tra di loro, e talora con la famiglia ospitale, sempre con affettuosa tenerezza. Agnese ogni tanto parlava di Renzo, credendo di far piacere alla figlia e di risollevarne il morale. Si diceva sicura che prima o poi il giovane si sarebbe fatto vivo, e allora, restando lui fermo nella sua promessa (e come dubitarne?), si andava tutti nel bergamasco, per metter su casa in quel luogo, lontani da ogni pericolo e da ogni provocazione. Lucia per non si rallegrava sentendo questi discorsi pieni di rosee speranze, anzi sembrava che ne provasse come una pena; in realt ella sentiva che avrebbe dovuto rivelare alla mamma che non poteva pi essere la moglie di quel poverino, ma non ne aveva il coraggio, sapendo quale dolore le avrebbe arrecato con tale inattesa rivelazione, e perci rimandava da oggi a domani. A quei discorsi pieni di fiducia, a quelle prospettive cos accarezzate, la poverina o non rispondeva niente o cercava di deviarli, affermando evasivamente che sperava solo di potersi presto ricongiungere definitivamente con lei; ma le pi volte il pianto veniva opportunamente a troncar quellargomento cos spinoso per la ragazza. Essa cercava di distrarsi soprattutto col lavoro, oltre che con la preghiera, e chiedeva sempre alla padrona di casa che le desse qualcosa da cucire, non volendo rimanere mai inoperosa. Nelle vicinanze del paesetto del sarto villeggiavano due coniugi attempati, ricchi e di antica nobilt: don Ferrante e donna Prassede. Costei voleva far del bene a tutti i costi; si sentiva investita, per cos dire, da questa santa missione, che attuava per secondo le sue idee, che erano poche e in gran parte storte, ma dalle quali non declinava n punto n poco. Infatuata comera, incorreva senza accorgersene in tre gravi errori: in primo luogo prendeva spesso per bene ci che

153

non lo era affatto; in secondo luogo, usava spesso dei mezzi che ottenevano leffetto contrario di quello voluto; in terzo luogo, usava talora dei mezzi non leciti, persuasa che il fine santo per il quale agiva giustificasse ogni cosa. Con questi tre vizi di forma e di sostanza, ognun pu capire che la sua smania di far del bene si risolveva spesso in una vera calamit per le persone alle quali rivolgeva la sua benigna attenzione. Avendo saputo di Lucia e delle sue vicissitudini, ebbe subito curiosit di conoscerla, subodorando un soggetto bisognoso delle sue benevole cure; e un giorno si decise a mandare una carrozza con il maggiordomo, per prendere madre e figlia. Costei non voleva andare, per la sua naturale riservatezza, ma questa volta il sarto, trattandosi che linvito veniva da una coppia dalto affare, e che la premurosa gentildonna oltre il resto, era anche una santa, mise in opera tutta la sua autorit perch Lucia non rifiutasse, coadiuvato in ci calorosamente da Agnese, alla quale quel rigoroso isolamento era venuto ormai quasi in uggia, e voleva assolutamente che si accettasse lonorifico invito. Donna Prassede fece loro unaccoglienza veramente cordiale, liberandole subito dalla soggezione che provavano davanti a persone estranee, e per di pi nobili; ella sinform benignamente di Lucia, e avendo saputo che il Cardinale aveva promesso di trovarle una sistemazione meno precaria, si offr senzaltro di prenderla in casa sua, dove non sarebbe stata obbligata ad alcun servizio, ma avrebbe potuto, se lo desiderava, per suo passatempo, aiutare le altre donne nella cura della casa. Alle donne lofferta parve vantaggiosa e degna perci di essere accettata, previa approvazione dellArcivescovo, sia per la seriet e dignit della famiglia, sia per essere la villa a cos poca distanza dal loro paese, sicch madre e figlia si sarebbero potute rivedere, se non prima, almeno alla prossima villeggiatura. Avendo ricevuto il loro consenso, non privo di un sentimento di gratitudine, la gentildonna assicur che lei stessa avrebbe comunicato la nuova al Cardinale, onde ottenerne il consenso; quindi le conged rinnovando le gentilezze e le promesse. Senza perdere tempo, infatti, donna Prassede si fece stendere una bella lettera da suo marito, che era un letterato il quale, in casa, comandava solo nel campo dellortografia, mentre in tutto il resto il bastone del comando era saldamente in mano alla sua autorevole consorte, la quale temperava il suo arcigno impero con unaria duntuosa umilt, che la faceva credere davvero una santa donna da chi non la conosceva a fondo. Essa si era prontamente offerta di ospitare la ragazza non solo per fare unopera buona, e guadagnare stima e meriti presso il Cardinale, venendogli cos spontaneamente incontro in una tale congiuntura, ma anche per raddrizzare il cervello a Lucia la quale, essendosi promessa a uno scampaforca, doveva necessariamente avere delle pecche; stava a lei individuarle e curarle: quella era la sua missione. Questo pregiudizio nei riguardi di Lucia, concepito al primo sentir parlare di lei, fu, a suo parere, subito confermato dal primo incontro con la ragazza, che giudic molto caparbia e di temperamento passionale; per cui era convinta, nella sua presunzione, che le disgrazie che le erano successe erano una punizione di Dio per il suo errore, e un severo monito a che si staccasse per sempre da quel poco di buono, se non voleva incorrere in guai pi gravi. E scambiando il giudizio di Dio col suo pregiudizio, si

154

ritenne anche investita direttamente dal Cielo della sacra missione di redimere quellanima traviata, rimettendola sulla buona strada. La lettera per il Cardinale, ampollosamente stilata dal dotto consorte e da lei diligentemente ricopiata, fu inviata con sollecitudine alla casa del sarto, prima che le donne tornassero al loro paesello, con la preghiera di consegnarla esse stesse nelle mani dellillustre destinatario. Lucia e Agnese furono accolte come in trionfo dai loro compaesani, e vennero condotte subito alla presenza dellArcivescovo, al quale consegnarono la missiva di donna Prassede. Federigo la lesse subito, cercando di ricavare il sugo del senso dai fiori di don Ferrante; quindi, conoscendo quella famiglia abbastanza per esser sicuro che l Lucia sarebbe immune da insidie e da pericoli, dette il suo assenso, sebbene avesse qualche notizia dellaspra e invadente spiritualit di quella signora. Tuttavia Federigo non era il tipo di intromettersi negli affari altrui, per rifarli a suo modo, a meno che non avesse serie ragioni di intervenire, per evitare qualche male; accett quindi la soluzione che gli veniva offerta con tanta premura. Consol poi le donne in vista della nuova separazione che simponeva loro, la quale non poteva essere che dolorosa, e le esort a confidare nel Signore, che non abbandona mai chi soffre per la causa della giustizia. Don Abbondio si rallegrava in cuor suo per il fatto che lArcivescovo, nel colloquio che aveva avuto con lui, non gli avesse chiesto conto del matrimonio non celebrato, ed era ormai sicuro che Agnese non aveva ciarlato (un vero miracolo!); ma purtroppo questa sua euforia fu amaramente troncata dopo le funzioni religiose del mattino, quandegli si preoccupava ormai soltanto del solenne pranzo in onore del suo eminente ospite. Questi infatti lo fece inaspettatamente chiamare e, con laria di chi inizia un discorso lungo e serio, gli chiese a bruciapelo perch si era rifiutato di unire in matrimonio i due giovani fidanzati. Il curato cerc in un primo momento di eludere la precisa e stringente domanda con una risposta vaga e non impegnativa, dicendo che quello era un affare imbrogliato, in cui non ci si vedeva chiaro neppure allora, dopo tante tristi vicende; ma Federigo, quasi sdegnato davanti al meschino tentativo del suo dipendente, gli chiese recisamente se era vero o no che egli aveva rifiutato con falsi pretesti di celebrare quel matrimonio nel giorno stabilito. Il vile prete si fa piccino piccino, ma ancora recalcitra, non vuol confessare, e risponde che sono cose spinose, che ormai sono passate, e a rimestarle si fa peggio; ma vedendo lo sguardo severo dellArcivescovo, non disposto a farsi menar per laia, aggiunge balbettando che Monsignore non vorr la sua rovina, perch parlando rischia la morte ma parler se Sua Eccellenza glielo comanda. E avendo questi ribadito la sua intenzione di sapere tutta la verit, il poveretto si accinge a narrare la dolorosa storia, con qualche omissione suggeritagli l per l dalla paura, per cui, invece di nominare don Rodrigo, disse che un gran signore sotto minaccia di morte gli aveva proibito di celebrare quel tale matrimonio. Allora il Cardinale, di fronte allegoismo e alla vilt del suo parroco, con accento ancor pi grave gli ricord che la Chiesa, affidandogli il ministero sacerdotale, non gli aveva affatto dato sicurt circa la vita del corpo, n gli aveva

155

detto che, ove cominciasse il pericolo, l cesserebbe il dovere; anzi gli aveva insegnato proprio il contrario, che cio chi cerca di conservare la vita a spese della carit e della giustizia, la perde, mentre chi soffre per causa di Cristo, vince anche se apparentemente resta soccombente. E se non sapeva questo, che cosa insegnava agli altri, quale era la buona novella che annunziava al popolo fedele? Don Abbondio, al suono di queste sante e infervorate parole, si sentiva come un pulcino negli artigli del falco, che lo tengono sollevato in una regione sconosciuta; quei concetti non gli riuscivano nuovi, li aveva pi volte letti e ripetuti lui stesso; ma ora gli facevano un certo effetto, come di precetti che vanno non solo proclamati, ma adempiuti. Per cera l quella pauraccia, che fungeva da avvocato difensore, la quale con la sua presenza non gli permetteva di aderire col cuore a quei bei precetti, e di sentire orrore per la sua meschinit e il suo egoismo, che lo avevano indotto alla prevaricazione, a tradire insieme il suo ministero e i suoi figlioli spirituali. E volendo ancora difendersi, rispose che non capiva che cosa ci si potesse guadagnare, in quella circostanza, a voler fare il bravo, essendo quello un signore con cui non si poteva n vincerla n impattarla, ma era inevitabile perdere. Ma avendo laltro ribadito che il soffrire per la giustizia la vittoria del cristiano, e tanto pi del sacerdote, ministro della Grazia, don Abbondio come per finirla, ammettendo i propri limiti, disse che forse aveva agito male, ma il coraggio, uno non se lo pu dare. E credeva, con questo riconoscimento, di aver chiuso largomento; ma il santo Arcivescovo non si poteva accontentare di tanto poco, e replic subito che, se non aveva il coraggio di lottare e soffrire per la giustizia e la carit, non avrebbe dovuto abbracciare quel ministero, che proprio questo impone; ma una volta divenuto sacerdote, anche senza averne le qualit e virt necessarie, avrebbe potuto e dovuto acquistarle con la preghiera e i sacramenti; perch solo Dio il nostro aiuto e la nostra forza, purch a Lui ricorriamo umili e fiduciosi, riconoscendo le nostre miserie: credeva forse che tutti quei martiri, che avevano affrontato la morte per Cristo, fossero tanto eroicamente forti solo per loro virt naturale? La carne debole in chiunque, e lo spirito deve vincere questa debolezza attingendo alla Fonte stessa della fortezza cristiana, ricorrendo per aiuto a Colui che ha tanto sofferto perch ci ha amato immensamente. Per essere forti bisogna dunque amare, amare Dio sopra ogni cosa e amare il prossimo come noi stessi; e quando si ama non si ha paura, perch lamore intrepido. Se infatti lui li avesse amati quei suoi poveri parrocchiani insidiati dalliniquo potente, non avrebbe temuto per s, ma per loro; che cosa dunque gli aveva suggerito la carit? che cosa aveva fatto o almeno tentato per difenderli? Mentre don Abbondio crede di aver chiuso il discorso con lammissione della sua pochezza, il Cardinale vuole approfondire lanalisi del suo egoismo, al fine di ottenerne un vero pentimento, con un serio proposito di cambiamento; e perci incalza il pavido prete con quelle precise domande.

156

CAPITOLO XXVI
Al principio di questo capitolo lAutore mostra una certa ripugnanza a proseguire nel riferirci il colloquio, in cui lArcivescovo mette in campo tanti bei precetti di fortezza e di carit; ma poi si fa coraggio e decide di continuare, pensando che quelle per Federigo non erano soltanto delle belle parole, ma delle norme di vita, e i precetti erano accompagnati dalle azioni in ogni circostanza della vita. Egli dunque aveva chiesto al curato che cosa gli avesse suggerito il timor santo e nobile per gli altri, cio lamore per i suoi figlioli; ma don Abbondio taceva, perch lui aveva sentito soltanto lamore egoistico, il timore per la propria vita, la preoccupazione per s stesso; la carit perci non poteva consigliargli nulla, in quanto non trovava posto in quel suo cuore sordo a ogni istanza altruistica. Il Cardinale comprese il significato di quel silenzio imbarazzato, e per far costatare al curato labiezione a cui era giunto, gli domand se, oltre ad obbedire alliniquit in tutto e per tutto, non avesse anche mendicato dei falsi pretesti, mettendo in campo i superiori, per non compiere il proprio dovere e ingannare quei poveretti. Don Abbondio, invece di confessare e di arrossire di confusione, sentiva solo una grande stizza per le chiacchierone che avevano fatto la spia, non tralasciando neppure questo particolare, pur di aggravare la sua posizione dinanzi al superiore. E anche contro costui se la prendeva, per il suo importuno rigore, stizzendosi soprattutto per il fatto che, mentre aveva gettato subito le braccia al collo a quel satanasso, dimenticando a un tratto tutte le sue malefatte, faceva poi tanto chiasso e scandalo con lui, per una mezza bugia, detta al solo fine di salvar la pelle. Ma vedendo che lArcivescovo era sempre in attesa della sua risposta, disse: Ho mancato ma cosa dovevo fare, in un frangente di quella sorte? Riconosce cos la sua mancanza, ma la ritiene quasi di forza maggiore. Il Cardinale si mostr giustamente meravigliato che egli ancora chiedesse che cosa doveva fare, dimostrando con ci che non aveva ancora capito nulla: ebbene, doveva fare semplicemente il suo dovere, amare e pregare, e per il resto affidarsi a Dio; non ingannare i suoi parrocchiani, n tenerli alloscuro del pericolo che correvano, ma avvertirli sollecitamente, e aiutarli a difendersi dalle insidie e dalla violenza: questo imponeva il dovere del pastore buono; se poi non si sentiva il coraggio necessario per sfidare liniquit, ne doveva informare il suo vescovo, il quale certamente non avrebbe preso pace, finch non avesse messo al sicuro e le pecore e il pastore minacciato. Don Abbondio ricord tra s, ma quasi con disprezzo, che questo dinformare lArcivescovo era stato appunto il peregrino parere di Perpetua; e non si rendeva conto che appunto questo coincidere dei due pareri, e del prelato e della serva, significava che la cosa appariva tanto ovvia, che ognuno ci poteva arrivare, meno lui naturalmente, che era accecato dalla paura e dallegoismo.

157

Il meschino davanti a questi argomenti di Federigo, al sentire quelle ardenti esortazioni alla carit, rimaneva un po confuso, ma interiormente non era affatto convinto, pensando che don Rodrigo era vivo e vegeto, arrabbiato pi che mai, desideroso di vendetta e circondato di scherani pronti a tutto, mentre il Cardinale, in fin dei conti, poteva solo rimproverare, ammonire, magari anche punire, ma non adoperava certamente le armi. Il porporato continu la grave ammonizione facendogli osservare che lo stesso prepotente signore, che osava dare quei comandi, si sarebbe ben guardato dal passare dalle minacce alle offese, quando avesse saputo che lArcivescovo era avvertito e stava allerta; e aggiunse che, come spesso si promette pi di quanto si intenda mantenere, cos si minaccia anche quello che poi non si oserebbe fare, perch liniquit non si fonda soltanto sulle sue forze, ma anche sulla credulit e sullo spavento altrui. Erano proprio le assennate osservazioni di Perpetua, la quale davanti alla paura del padrone per uneventuale schioppettata nella schiena, gli aveva detto con molto buon senso: Eh! le schioppettate non si danno via come confetti: e guai se questi cani dovessero mordere tutte le volte che abbaiano! Ma il meschino prete ricalcitra ancora a ogni argomento e di ragione e di fede, perch nel suo intimo, col metro della sua morale, non si sente affatto colpevole; e insofferente della paternale del superiore, perch convinto di aver agito per legittima difesa, a un certo punto sbotta: Vossignoria illustrissima parla bene; ma bisognerebbe esser nei panni dun povero prete Come per dire, con una punta di rimprovero: belle parole le sue, ma la realt diversa, e tra il dire e il fare c di mezzo il mare Erano parole impertinenti e offensive, suggerite solo dalla stizza, e colui stesso che le aveva pronunciate si morse le labbra, non appena gli furono uscite di bocca, e desolato per il trascorso pens tra s: ora viene la grandine, aspettandosi la violenta e giusta reazione del superiore offeso. Quale non fu perci la sua meraviglia allorch, alzando paventosamente lo sguardo al viso del Cardinale, non lo vide affatto in preda allo sdegno, ma atteggiato a una gravit compunta e pensierosa. Infatti il mite e umile Federigo non aveva affatto prese quelle parole come unoffesa alla propria dignit e virt, ma come un richiamo a considerare le proprie debolezze, come se il suo inferiore lo avesse ammonito: chi senza peccati scagli la prima pietra. E senza adontarsi per limpertinenza di quel meschino, umilmente riconosce che purtroppo questa la misera e terribile condizione dei superiori, di dover esigere dagli altri quello che chiss se essi stessi hanno saputo fare o farebbero in una situazione simile; per aggiunse: Ma guai sio dovessi prender la mia debolezza per misura del dovere altrui, per norma del mio insegnamento! Certamente per egli doveva dare ai sottoposti anche lesempio, e non soltanto i precetti; perci se il curato avesse costatato che lui, il suo vescovo, aveva in qualche occasione, per vilt o per rispetto umano, trascurato il proprio dovere, era in obbligo di avvertirlo; e lui avrebbe accolto il richiamo con animo grato, perch purtroppo gli errori di quelli che presiedono son spesso pi noti agli altri che a loro. E detto questo, attese quello che il parroco avesse da dire su di lui, su qualche sua mancanza.

158

Ma don Abbondio non apprezzava davvero la compunta umilt del suo Arcivescovo, perch anche in forza di questa virt egli continuava a tenerlo sulle spine, rimestando e indagando sul passato; e tra s sbuffava: Oh che santuomo! ma che tormento! Poi per far dimenticare le sue stolte parole, ad alta voce esalt il petto forte, lo zelo imperterrito del suo superiore, il quale replic che non voleva delle lodi, le quali lo facevano tremare, ma un sincero riconoscimento della comune debolezza, insieme a una fervorosa preghiera al Signore, onde ottenere la forza di compiere sempre e ovunque i doveri della propria missione. Chiedeva al suo confratello, con la confessione di aver gravemente mancato al suo dovere, il fermo proposito di agire, dallora in poi, secondo la santa legge della carit, attingendo alla preghiera, alla quotidiana meditazione e ai carismi sacramentali la grazia di non pi prevaricare. Era un paterno e autorevole invito a redimersi. Ma quel sacerdote indegno, lungi dal fare una sincera confessione di colpa, pens ad accusare e, dando libero sfogo alla sua stizza, disse che quelle tali persone, che avevano sparlato contro di lui, non avevano certamente rivelato di essersi introdotte a tradimento in casa sua, per fare un matrimonio irregolare. Alla meschinit del pretonzolo, il quale crede bene di difendersi accusando gli altri, noi contrapponiamo la magnanima sincerit di Lucia la quale, contrariamente allopinione del suo curato, si era appunto accusata spontaneamente, e con vero patimento, di quella lieve colpa, commessa da lei malvolentieri e in stato di necessit. Cos il Cardinale ebbe la misura esatta della miseria spirituale del suo parroco il quale, invece di recitare il confiteor, pensava ancora a scusarsi, e per di pi lo faceva accusando delle persone tanto a lui superiori sia in onest che in spirito cristiano. Il buon Federigo si sentiva veramente amareggiato e sfiduciato dinanzi a tale protervo e inqualificabile comportamento, quasi incredibile in un sacerdote; ma fren lo sdegno del proprio animo, pensando che il suo dovere non era di condannare, ma di redimere, di ricuperare quel sacerdote alla santa missione di carit, di commuovere quel cuore chiuso dallegoismo. E cerc di fargli capire che non doveva nutrire del risentimento contro quelle persone, solo perch si erano in un modo tanto comprensibile sfogate col loro vescovo; doveva piuttosto sentirsi grato verso di esse, perch gli avevano permesso di riconoscere la propria colpa, onde pentirsene e proporsi fermamente di cambiare, con laiuto di Dio. Li doveva amare quei poveretti, perch erano suoi figlioli, perch avevano tanto sofferto e ancora soffrivano, senza nessuna sicurezza dellavvenire; li doveva amare paternamente, perch aveva bisogno del perdono divino, per ottenere il quale sarebbe oltremodo efficace la loro preghiera. Finalmente don Abbondio sente un po di rimorso, o meglio un po di scontentezza di s e un po di amore per gli altri; il Cardinale aveva parlato con tanto cuore, con s umile carit, che quellanimo gretto e arido si era alquanto aperto a sentimenti pi cristiani e pi fraterni: sentiva un certo dispiacere di s, una compassione per gli altri, un misto di tenerezza e di confusione. Luomo caparbiamente egocentrico si accende alquanto di carit accanto al santo suo vescovo, come lo stoppino umido e ammaccato duna candela, che presentato alla fiamma duna gran torcia, da principio fuma, schizza, scoppietta, non ne vuol

159

saper nulla; ma alla fine saccende e, bene o male, brucia. Tra le belle similitudini del romanzo, questa ci sembra la pi calzante, la pi efficace, la pi icasticamente evidente e vigorosa. Federigo, accortosi che il curato ha finalmente aperto il suo cuore, gi inaridito dallegoismo, al soffio vivificatore dellamore del prossimo, conclude esortandolo a perseverare in questo sentimento, essenziale per ogni cristiano e tanto pi doveroso per un ministro di Dio, a recuperare il tempo perduto nel cammino verso la santit, verso la perfezione cristiana; e cerca infine di trascinarlo in alto in un anelito di ardente carit: la mezzanotte vicina; lo Sposo non pu tardare; teniamo accese le nostre lampade. Dobbiamo riconoscere che la personalit ieratica del Cardinale, nel colloquio con don Abbondio forse pi che in quello con lInnominato, esprime tutta la ricchezza e la pienezza del suo cuore magnanimo e santo, e senza nulla perdere della sua alta spiritualit, acquista una dimensione umana veramente sublime, specialmente alla fine, quando riesce a sollevare alquanto alla sua altezza quel prete meschino, accomunandosi a lui, umiliandosi e confondendosi al suo fianco, esortandolo infine con parole ardenti e con accento profondamente ispirato: Presentiamo a Dio i nostri cuori miseri, vuoti, perch gli piaccia riempirli di quella carit, che ripara al passato, che assicura lavvenire, che teme e confida, piange e si rallegra, con sapienza; che diventa in ogni caso la virt di cui abbiamo bisogno. Penso che parole cos sublimi mai siano state dette, se non forse da San Paolo, a esaltazione della carit, la quale la virt-cardine del cristiano, e oserei dire la virt unica, poich tutte le altre ci sono quando essa c, mentre senza di essa nessunaltra pu sussistere; infatti, come ben dice il Manzoni, la stessa carit che, di volta in volta, si trasforma in quella virt di cui abbiamo bisogno in un dato momento della nostra vita; che come dire che tutte le virt cristiane derivano dal comandamento dellamore. Il giorno seguente a questo colloquio giunse in paese donna Prassede, per prendere Lucia e ossequiare il Cardinale, il quale gliela lod, e raccomand caldamente, con molta probabilit perch avvertiva che ce nera bisogno con quella donna di ruvida e intollerante spiritualit. Agnese si distacc con dolore e con lagrime dalla figlia, promettendo di andarla a trovare nella villa ospitale, prima che la gentildonna rientrasse a Milano. Qualche giorno dopo giunse in paese il parroco del sarto, con una lettera dellInnominato per il Cardinale, nella quale lo pregava di far accettare ad Agnese, per dote della figliola, i cento scudi che accludeva, aggiungendo che, se mai le donne avessero avuto bisogno di qualche cosa, facessero senzaltro assegnamento su di lui, che avrebbe considerato una vera grazia il poter loro essere utile in qualche modo. Federigo fece chiamare Agnese, cui consegn il rotolo del danaro, accompagnandolo con lofferta di servigi da parte di quel signore. La donna accett senza far troppi complimenti, e ringrazi di tutto cuore, pregando per il Cardinale di non dire nulla a nessuno di quei soldi Il Porporato avr risposto con un benevolo sorriso di assenso a questa ingenua, anche se inopportuna richiesta, senza minimamente adontarsene, tanto era mite e umile di cuore.

160

Quale non fu la gioia e la meraviglia, per non dire lo sbalordimento attonito, della buona vedova allorch, chiusasi in casa, pot aprire quellinvolto, contemplare e contare i cento scudi, tutti in una volta, mentre s e no la poveretta ne aveva visto qualcuno, di tanto in tanto, nella sua lunga esistenza! Pens subito a Lucia, perch con tutta quella grazia di Dio ogni cosa si poteva aggiustare, ogni difficolt risolvere facilmente. Dopo essere per alcuni minuti rimasta l trasognata, rifece diligentemente il rotolo, con molta difficolt data la sua imperizia, e tutta emozionata lo nascose dentro al suo pagliericcio. Quando la sera si coric, non riusciva a dormire, pensando al tesoro che teneva nascosto sotto; e quando finalmente, dopo aver per molte ore sognato a occhi aperti, riusc a chiuder occhio, li vide in sogno, quei benedetti scudi! Il giorno dopo, di prima mattina, si mise subito in cammino, tanto era impaziente di andare a confidare la grande notizia alla sua Lucia. Non appena pot essere sola con lei, le rivel tutto, mettendola anche a parte dei suoi lieti progetti per lavvenire: non appena Renzo avesse dato notizia di s, esse sarebbero andate l, e si sarebbe messa su casa in quel paese, lontano da ogni pericolo e da ogni tentazione, perch col denaro a tutto si trova rimedio Per la figlia, invece di rallegrarsi a quella rosea prospettiva, sembrava impensierirsene, come oppressa da una pena segreta; per cui Agnese le chiese preoccupata perch rimanesse cos fredda davanti a quellinsperata fortuna, che poteva capovolgere la loro situazione e risolvere tutto per il meglio La ragazza, la quale aveva gi deciso di rivelare il voto alla madre in quellincontro, che doveva essere anche lultimo per quellanno, approfitt del discorso iniziato dalla madre, per dirle che purtroppo non poteva pi sposare quel poverino. E, alla meraviglia angosciata di Agnese, spieg come in quella terribile notte, disperando di ogni salvezza, aveva proprio fatto voto a Dio e alla Madonna di rimanere vergine per tutta la vita; e tra le lagrime supplic la madre di comprenderla, compatendola e aiutandola a mantenere quella solenne promessa che aveva fatto con piena e libera coscienza. La povera donna rimase annichilita e muta: limprovvisa rivelazione sconvolgeva tutti i suoi piani, sui quali aveva tanto speranzosamente almanaccato sin dal giorno precedente; appena pot articolar parola, chiese costernata: E ora cosa farai? Agnese moralmente crollata alla notizia veramente imprevista e imprevedibile, e si lascia scappare questa desolata domanda che potrebbe solo accrescere lo sgomento della figlia; ma questa per grazia di Dio ha gi superato labbattimento dei primi giorni, e risponde alla madre che lei si affidata completamente alla Divina Provvidenza, in cui confida: ormai non desidera altro, dopo la salvezza dellanima, che tornare al pi presto a vivere con lei. La prega teneramente, non appena avr notizie di Renzo, di metterlo al corrente di questo impedimento, pregandolo di rassegnarsi a ci che purtroppo immutabile; le chiede infine, con maggiore accoramento, di comunicare anche a lei che Renzo ha scritto e sta bene, che stato avvertito e poi pi nulla. Ma il suo cuore, come osserva acutamente il Manzoni, faceva ancora a mezzo con Renzo, per quanto lei cercasse di dimenticarlo; sicch chiese alla madre ancora un altro piacere: di

161

mandare una met di quegli scudi a quel poverino che aveva perduto tutto, e andava in giro per il mondo, bisognoso di tutto. La buona donna ader subito al desiderio della figliola, aggiungendo che era stata tanto contenta di quel denaro solo perch pensava che lei avrebbe potuto goderselo con il suo Renzo; ora che ci non era pi possibile, avrebbe volentieri aiutato quel poverino, per quanto capisse che quegli scudi non gli avrebbero fatto buon pro, accompagnati comerano dalla notizia di dover rinunciare per sempre alla fidanzata. Quindi madre e figlia si separarono commosse, con la promessa di rivedersi, al pi tardi, alla prossima villeggiatura. Il Cardinale, come aveva promesso alle donne, cerc di avere informazioni del fuoruscito; presumibilmente si rivolse a qualche ecclesiastico del Bergamasco, ma non ne ricevette che notizie vaghe e contraddittorie; e il fatto si spiega. Il Governatore di Milano aveva protestato energicamente presso lambasciatore veneto, perch un pericoloso ribelle, fuggito dalle mani della polizia, aveva trovato ricovero nel territorio della Repubblica. Il Governo veneto, che aveva interesse ad attirare gli operai tessili milanesi entro i propri confini, per incrementare la sua industria serica in concorrenza con quella lombarda, desiderava anche che costoro non avessero noie, qualunque fosse il motivo per cui avevano passato il confine. Perci le autorit di Venezia, prima di indagare su questo espatrio clandestino, onde inviare una risposta ufficiale al loro ambasciatore, per interposta persona fecero sapere a Bortolo che era bene far cambiare aria al suo amico, per metterlo al sicuro da ogni ricerca. Il buon baggiano cap a volo, e immediatamente port il cugino in unaltra filanda, a una quindicina di miglia da l, dove lo raccomand al proprietario, suo amico, al quale lo present col nome di Antonio Rivolta. Cos il Governo della Serenissima pot comunicare a quello di Milano che, fatte diligenti ricerche in base alle informazioni fornite, risultava che nessun Lorenzo Tramaglino si era rifugiato nel territorio bergamasco. Finezze della politica, sempre vecchie e sempre nuove! Bortolo poi, a chi gli chiedeva del cugino, rispondeva che era partito senza dirgli niente, scomparso proprio allimprovviso: forse si era arruolato contro i Turchi, oppure era andato in Germania, chi sa! Quando poi gli furono chieste informazioni di Renzo per conto del Cardinale Borromeo, senza nominarlo ma facendo capire che si trattava di un personaggio importante, il signor Castagneri maggiormente si insospett, non potendo conoscere le intenzioni benevole di quel tal personaggio, e sciorin in una volta tutte le dicerie che sul conto del cugino aveva via via fabbricate e poste in giro per accontentar la gente.

162

CAPITOLO XXVII
In apertura di capitolo lAutore torna a parlare della guerra di successione al Ducato di Mantova, alla quale ha gi accennato di sfuggita altre volte, e della quale si era anche parlato durante il banchetto in casa di don Rodrigo. Ritorna pi diffusamente sullargomento, per meglio rendere conto del comportamento di don Gonzalo, governatore di Milano, nei riguardi dei tumulti di San Martino e delle persone in essi implicate, tra cui il nostro Renzo; perci ne daremo un cenno anche noi, cercando di lumeggiare lintricata vicenda. Alla morte del duca Vincenzo II Gonzaga, che non lasciava eredi, il ducato di Mantova e il Monferrato, che ne dipendeva, furono occupati dal parente pi prossimo, Carlo Gonzaga, naturalizzato francese, quale duca di Nevers e Rhtel, e quindi protetto dal re di Francia Luigi XIII o meglio dal potente suo ministro Cardinale di Richelieu, il quale voleva naturalmente fare di quel duca una valida pedina della politica francese in Italia. Favorevoli al nuovo duca erano anche il papa Urbano VIII (Barberini) e la Repubblica di Venezia. Contrari a Carlo Gonzaga erano per converso il re di Spagna Filippo IV, cio il suo primo ministro Conte dOlivares il quale non poteva naturalmente vedere quella presenza francese ai fianchi del dominio spagnolo di Lombardia, e Ferdinando II dAsburgo, imperatore del Sacro Romano Impero, il quale si era sentito offeso dal fatto che il duca di Nevers si fosse insediato in Mantova senza richiedere la sua investitura, pur essendo quel ducato un feudo dellImpero; quindi pretendeva che Carlo Gonzaga rimettesse a lui in deposito gli stati contestati; lui poi, valutati i titoli e le ragioni dei pretendenti, lo avrebbe assegnato a chi di diritto. Laspirante sostenuto dalla Spagna era Ferrante Gonzaga, principe di Guastalla, per Mantova, mentre per il Monferrato le simpatie spagnole andavano a Carlo Emanuele I, duca di Savoia, il quale pretendeva il Monferrato come spettanza della figlia Margherita, che aveva sposato un Gonzaga e poi era rimasta vedova. Don Gonzalo Fernandez de Cordova, desideroso dingrandire il dominio spagnolo nella penisola, aveva stipulato un trattato col duca di Savoia, per occupare e dividersi il Monferrato, protestando per che loccupazione era del tutto provvisoria, in attesa della decisione dellImperatore. Ma mentre il Duca aveva celermente e facilmente occupata la propria quota, don Gonzalo non riusciva a spuntarla contro Casale, per la vigorosa difesa degli assediati o forse anche per la sua inettitudine. Sicch Carlo Emanuele, col pretesto di volerlo aiutare, occupava or luno or laltro dei paesi assegnati allalleato, con grande dispetto di questo, il quale non osava per lagnarsene nel timore che il Duca, noto per le sue impennate, non facesse qualche voltafaccia. Sembra che il Manzoni, parlando dellassedio di Casale Monferrato e di don Gonzalo, non sia stato storicamente obiettivo e imparziale, esprimendo un giudizio piuttosto canzonatorio nei riguardi di tutta la faccenda e soprattutto del Governatore di Milano, che qualcuno ha definito una vittima storica del nostro

163

Autore. Infatti dai documenti dellepoca risulterebbe che il Cordova, uomo pio e di buona cultura, aveva intrapreso il famigerato assedio di Casale contro sua volont; nel romanzo invece lo si dice voglioso oltremodo di condurre quella guerra, per pura brama di gloria militare. Ma non vogliamo addentrarci nella polemica storica, artisticamente irrilevante; e diciamo soltanto che il Governatore, mentre era appunto ingolfato in quel maledetto assedio, fu richiamato a Milano dai tumulti di cui abbiamo parlato. Ivi gli fu presentata una relazione degli avvenimenti, e non gli fu taciuto che uno dei caporioni della sedizione si era rifugiato nel territorio bergamasco, dopo essere scappato dalle mani dei birri. Allora don Gonzalo, oltremodo irritato per gli aiuti che i Veneziani davano sotto mano al Duca di Nevers, pens di approfittare della circostanza per fare con loro la voce grossa, per dimostrare che si sentiva forte nonostante i tumulti. Perci present quella protesta della quale gi conosciamo il seguito e il risultato del tutto negativo. Quando la risposta veneta gli venne inoltrata, al campo nei pressi di Casale, don Gonzalo, in tuttaltre faccende affaccendato, stent finanche a ricordarsi del fatto. Tuttavia Renzo, il quale non poteva sapere che quella protesta e la conseguente ricerca era stata puramente dimostrativa, e che lui si era trovato immischiato in avvenimenti politici che trascendevano la sua modesta persona, temendo di essere rintracciato, se ne stette per molti mesi ben nascosto nel nuovo paese, pur pensando sempre al modo di far avere sue notizie ad Agnese, e di ricevere a sua volta notizie soprattutto di Lucia, perch erano giunte sino a lui alcune vaghe voci sui terribili casi che le erano occorsi. La prima difficolt, per comunicare con le nostre donne, era per Renzo quella di trovare un segretario che scrivesse per lui, una persona veramente fidata; la seconda, di trovare un corriere ugualmente fidato, che sincaricasse di recapitare la lettera. Dopo molte e diligenti ricerche, le due gravi difficolt furono finalmente superate: la lettera fu scritta allindirizzo di Agnese Mondella, ma venne inserita in una missiva diretta a Padre Cristoforo di Pescarenico, poich Renzo non sapeva se la donna fosse ancora a Monza o fosse tornata in paese. La lettera giunse regolarmente al convento, ma qui il Guardiano probabilmente la cestin, stante lordine del Provinciale che fra Cristoforo non mantenesse alcuna corrispondenza con gente del posto. Non vedendo giungere alcuna risposta, il giovane fece scrivere una seconda lettera, che accluse in un altra diretta a un suo amico o parente di Lecco. La missiva giunse felicemente ad Agnese la quale corse a Maggianico, per farsela leggere dal cugino Alessio, uomo di proposito oltre che letterato, nel senso che conosceva quella birberia del leggere e scrivere. Nella lettera Renzo, dopo aver parlato della sua fuga, del cambiamento di paese e di nome, per lavviso segreto ricevuto da Bortolo, passava a chiedere ansiosamente notizie di Lucia, e concludeva con promesse di fedelt e con parole di fiducia nellavvenire. Agnese saccord con Alessio, persona esperta oltre che seria, e insieme stilarono la risposta, che fu inviata e recapitata; sinizi cos, tra lei e Renzo, un carteggio non regolare, ma continuato, pur tra mille difficolt, di cui non ultima quella di capirsi attraverso lo stile dei vari scrivani, i quali non si rassegnavano affatto a essere

164

strumenti passivi, ma pretendevano di interpretare, di migliorare, di correggere quello che veniva loro dettato; e preoccupandosi di dare una forma letteraria allo scritto, secondo le loro personali vedute, spesso non facevano altro che travisarne o annebbiarne il senso. La situazione si complicava anche per il fatto che gli stessi interessati, trattando argomenti un po gelosi, che non volevano lasciar capire agli estranei, si esprimevano un po in enigma, con allusioni poco chiare, che elaborate dalla penna dei segretari si trasformavano in veri e propri rompicapo. Quando Agnese trov un corriere molto fidato, mand a Renzo i cinquanta scudi, secondo il desiderio di Lucia, con una lettera con cui gli spiegava il fatto del voto, per mezzo di circonlocuzioni poco chiare, e infine lo esortava a mettere il cuore in pace e non pensare pi alla ragazza, la quale non poteva pi essere moglie di nessuno. Immaginatevi lemozione, o meglio la furia del giovane quando sent la lettera, che si fece rileggere pi volte, perch non si poteva capacitare della cosa, tanto essa gli sembrava strana e inaudita. Quindi, ancor tutto turbato per la nuova che lo aveva sconvolto, pretese che il lettore interprete prendesse subito la penna in mano e rispondesse che lui il cuore in pace non lo metterebbe mai, che Lucia doveva essere sua, che lui non voleva saperne di promesse, che la Madonna ci sta per aiutare i tribolati e per dispensare grazie, non per far mancare di parola; aggiungendo che non toccherebbe neppure uno di quegli scudi, che dovevano servire per dote della giovane. Quando Lucia seppe dalla madre che quel tale era vivo e in salvo e avvertito (del voto), prov una grande consolazione, e augurandosi che Renzo pensasse a dimenticarla, cercava anche lei di fare la stessa cosa, e ci riusciva fino a un certo punto, dedicandosi tutta alla preghiera e al lavoro. Ci sarebbe riuscita molto meglio, se non ci si fosse messa anche donna Prassede la quale, per fargli dimenticare il fidanzato, glielo dipingeva come un birbante venuto a Milano per rubare e scannare, aggiungendo che certe ragazze hanno un debole per gli scapestrati, e quando ne hanno uno nel cuore, non se lo tolgono pi. La povera giovane con la voce tremante di vergogna, di dolore, e di quello sdegno che poteva aver luogo nel suo animo dolce e nella sua umile fortuna, cio nella sua condizione di ospite beneficata, cercava di difendere il povero bistrattato, solo per senso di giustizia e di carit cristiana; e allora larcigna moralista incalzava maggiormente, adducendo questa umile difesa dellassente come prova lampante che il suo cuore era ancora preso dietro a colui, come appunto lei sosteneva; e laspra reprimenda continuava per un pezzo, mentre la poverina tremava e piangeva. Ma lispida vecchia non si commoveva a quelle lagrime, e continuava imperterrita il suo rabbuffo, convinta che faceva unopera meritoria, e che nel far del bene non bisogna farsi smuovere neppure dalle lagrime; allo stesso modo, osserva il Manzoni, i pianti supplichevoli potranno trattenere la spada di un nemico, ma non il bisturi dun chirurgo, il cui dovere sacrosanto di immergerlo nella carne dolorante del paziente, allo scopo di sanarlo. Per fortuna di Lucia queste baruffe non erano molto frequenti, perch la signora non doveva raddrizzare solo il suo cervello. Cera il resto della servit, tutta gente piena di difetti, che donna Prassede doveva continuamente emendare secondo le sue

165

personali vedute; cerano soprattutto le cinque figlie le quali, pur non essendo in casa, le davano da fare e da pensare pi che se ci fossero. Tre erano suore, per cui ella aveva tre monasteri da sorvegliare; due erano sposate, ed ecco due case da controllare e da guidare. Naturalmente e nelle due case e nei tre monasteri si faceva di tutto per evitare o eludere le sue premure opprimenti, i suoi interventi senza tatto e senza senno, le sue pretese odiose o balorde; ma lei continuava imperturbabile a intromettersi e a lottare, convinta comera di essere investita di una missione speciale della Divina Provvidenza per la salvaguardia morale della societ. Anche al signor marito larcigna matrona aveva cercato dimporre il suo giogo, ma don Ferrante, tutto chiuso nei suoi studi, era riuscito a sfuggirgli, accontentandosi di lasciarla fare; e lei, dopo aver tentato a lungo di farselo umile ministro del suo dispotico governo, lo mise da parte, relegandolo in un cantuccio e chiamandolo uno schivafatiche, un fissato, un letterato: titolo nel quale, insieme con la stizza, centrava anche un po di compiacenza. Questo barlume di sentimento, vale a dire questa certa fierezza per il dotto marito, rende un po di dimensione umana a questa bigotta importuna e scriteriata, angusta e pretenziosa, la quale per in fondo non era cattiva; e lo vediamo anche nel suo comportamento verso la nostra dolce Lucia: vero che le faceva di tanto in tanto quelle tali lavate di capo, ma poi nel resto la trattava con gran dolcezza; e la ragazza non provava alcun risentimento verso di lei, anche se molto doveva soffrire per quelle scenate irragionevoli che le toglievano la calma per parecchi giorni. Ma torniamo a don Ferrante, al quale lAutore dedica la fine del capitolo, parlando diffusamente della sua biblioteca e dei suoi studi prediletti. Trattando di questi e di quella, il Manzoni attua forse meglio che altrove il suo verismo espressivo, esprimendosi cio come avrebbe potuto fare lo stesso don Ferrante, riportando per cos dire i suoi giudizi, le idee cio di un vacuo letterato del Seicento, che si dedicato con assoluta seriet a imparare le nozioni di una cultura fasulla, gi da tempo superata, ma nella quale egli credeva con la fede cieca dei cultori dellipse dixit. Infatti essa si basava sulla filosofia aristotelica, assunta tutta acriticamente come fondamento di verit, dato che Aristotele era il maestro di color che sanno come afferma Dante (Inf. IV,131). La pi parte di queste nozioni, tanto faticosamente imparate quanto caparbiamente professate, sono delle vere e proprie sciocchezze, che ci fanno ridere di gusto. Per noi don Ferrante vale molto pi come uomo che come dotto; egli ci torna alquanto simpatico per il fatto che non gli piaceva n di comandare n dubbidire, volendo essere del tutto indipendente; e perci si era opposto vittoriosamente alla dittatura della signora moglie, almeno per quanto riguardava la sua persona; il che non piccolo merito, se si tiene conto della personalit invadente di donna Prassede. E vero che talora le prestava la sua arte di letterato, stilando per lei delle lettere con la sua penna di raffinato dicitore, ma lo faceva solo nelle occasioni veramente importanti, e quando lui stesso era persuaso di ci che voleva fargli scrivere; in caso contrario sapeva rifiutarsi anche in questo; e se lei insisteva sostenendo che la cosa era semplice e lampante, rispondeva sarcasticamente: La

166

singegni, faccia da s, giacch la cosa le par tanto chiara. Dopo luomo, prendiamo in esame il dotto. La sua biblioteca, dove passava di grandore, comprendeva quasi trecento volumi: tutta roba scelta, tutte opere delle pi riputate; lo scrive il Manzoni, ma, per il suo verismo espressivo, come se lo sentissimo affermare dalla voce enfatica di quel bolso letterato; infatti noi sappiamo che quel fior di roba era invece ciarpame librario. I volumi allineati in bella mostra sugli scaffali del suo studio rispecchiavano naturalmente i suoi gusti e le sue preferenze: astrologia, filosofia antica, filosofia naturale (cio scienze naturali) , magia e stregoneria, storia, politica e soprattutto scienza cavalleresca, in cui era considerato un vero specialista, per cui veniva spesso invitato a decidere questioni donore, cio contese di gentiluomini su punti di cavalleria, allora piuttosto frequenti, come vediamo anche dal romanzo. I giudizi di don Ferrante sui vari autori ci fanno veramente sorridere; le sue nozioni scientifiche sulle sirene, sullunica fenice, sulla salamandra che pu stare nel fuoco senza bruciare, sulla remora, questo pesciolino che pu fermare qualunque vascello, sul camaleonte che si ciba di aria, e altre simili fanfaluche, ci mettono addosso lilarit, e ci chiediamo attoniti come nel secolo di Galileo si potesse ancora credere a siffatte corbellerie. Ma tanta balordaggine si spiega: il nostro studioso era un accanito aristotelico, un fanatico dell ipse dixit, e quindi tutte le antiche fole, avallate dalla Fisica di Aristotele, e in pi i vari pregiudizi e le molte stupidaggini della tradizione scolastica, lui li credeva in base al principio dautorit, anche se andavano contro la logica e lesperienza. Del resto sappiamo quanto dov lottare e penare Galileo per far trionfare il metodo sperimentale contro il principio dautorit, che per allora rimase inconcusso e vittorioso, mentre fu condannato come eretico chi aveva osato confutarlo in nome della vera scienza, opponendosi alla pseudo-scienza dogmatica e libresca. Assolviamo quindi il povero don Ferrante, il quale almeno non inquisiva e non condannava la gente, ma si limitava a trinciare giudizi innocui quanto avventati, per soddisfazione sua e di pochi seguaci; e del resto, fra tanti libri dozzinali, aveva riservato un posto nella sua libreria anche per Machiavelli, mariolo s, ma profondo. Per il nostro letterato per era di gran lunga superiore, in politica, don Valeriano Castiglione, del quale esaltava quel libro piccino, ma tutto doro, il capolavoro dei capolavori, vale a dire lo Statista Regnante. Questo giudizio, che riportiamo come campione di tanti altri, pronunciati dal nostro dotto con uguale sicumera, pu dimostrare da solo la cultura e la capacit critica di questo ridicolo letterato ammantato di seriet. Don Ferrante e donna Prassede sono personaggi inventati dalla fervida fantasia manzoniana. Ma non sono macchiette: sono rappresentativi di uomini e donne del Seicento, della societ barocca, di questa et vacua e pretenziosa. Se il Manzoni ha insistito tanto a descriverne la tipologia, perch uomini e donne simili non erano rari anche al suo tempo, e forse lui ne aveva conosciuti alcuni.

167

CAPITOLO XXVIII
Dopo i tumulti dei giorni 11 e 12 novembre parve che labbondanza fosse tornata in Milano, come per miracolo: pane in quantit e a buon mercato, una vera pacchia! quelli che avevano adoperata la bocca per urlare o le mani per fare qualcosa di pi redditizio, potevano essere contenti dellesito, meno i pochi che erano stati arrestati, dei quali quattro furono poi impiccati il 24 dicembre, due davanti al forno delle grucce e due davanti alla casa del Vicario di provvisione, per salutare ammonimento di tutti coloro a cui pizzicavano le mani. Ma quellabbondanza e quel prezzo cos vile erano cose artificiose, che non potevan durare; e la gente, che pressa poco lo capiva, tanto pi di dava ad approfittare della cuccagna, comprando pane, e soprattutto farina, quanta pi ne poteva. Ed ecco perci una sequela di gride che cercavano di porre riparo allaccaparramento, dovuto allincertezza dellavvenire e anche maggiormente al prezzo basso. Se il prezzo fosse stato giusto, sembra voler dire il Manzoni che in economia era liberista, cio il prezzo stabilito naturalmente dallincontro tra la domanda e lofferta, tra la quantit esistente e il bisogno reale, le cose non sarebbero andate cos, n si sarebbero verificati i tumulti. Quelle gride, emanate per impedire laccaparramento, erano per di pi balorde e ineseguibili; per esempio la prima, del 15 novembre, stabiliva che chi avesse grano o farina in casa non poteva pi comprarne, e che non si doveva vender pane a nessuno in quantitativo superiore al fabbisogno di due giorni. Ma chi avrebbe ammesso di avere grano o farina in casa? e la quantit per due giorni come e da chi poteva essere fissata? e chi impediva a uno di far credere di avere pi persone a carico o di andare successivamente a rifornirsi presso vari forni? Queste semplici obiezioni dimostrano lingenuit della grida e la stoltezza dei loro autori; non c che dire: o si deve giungere a un severo sistema di tesseramento o meglio affidarsi alla legge del mercato, cio al sistema dellequilibrio automatico della domanda con lofferta, limitandosi a reprimere la speculazione al rialzo o al ribasso con mezzi economici e non polizieschi. Queste belle gride, di nessuna efficacia pratica, erano per tutte accompagnate da severe e arbitrarie comminazioni di pene, sempre aumentabili ad libitum del Governatore, le quali arrivavano sino a cinque anni di galera e peggio. Siccome i condannati alla galera allora andavano effettivamente a remare nelle galere o galee, incatenati ai banchi, lAutore osserva argutamente che, se quelle gride fossero state eseguite, il ducato di Milano doveva avere almeno tanta gente in mare, quanta ne possa avere ora la Gran Bretagna. Tutti sanno che la marina inglese nella prima met dellOttocento era la prima del mondo, e tale rest per tutto il secolo; il Manzoni dice dunque indirettamente che gli evasori di quelle ordinanze sciocche erano praticamente tutti i cittadini, i quali continuarono a comprare grano e farina cercando di aumentare, anzich scemare, le loro private riserve. In breve tempo il grano cominci a scarseggiare, e si dovette ricorrere a

168

mescolanze: si macin il risone o riso vestito, e se ne miscel la farina con quella di frumento. Ma bisognava pur trovare questo risone, e pagarlo; e il prezzo del riso era allora, come del resto anche oggi, quasi il doppio di quello del grano, sicch risultava doppiamente impossibile mantenere quel prezzo da cuccagna, che naturalmente favoriva lo spreco e laccaparramento, contro il quale nulla poteva, come s dimostrato, la peregrina grida del 15 novembre. E siccome da fuori Milano veniva gente in citt, per approfittare di quel bengodi, ecco una grida del 15 dicembre, che proibiva di esportare pane per pi del valore di venti soldi. Ma vedete che governanti intelligenti! non si poteva portar fuori pi di qualche pagnotta di pane, ma interi sacchi di farina s, perch ci non era proibito dalla grida; e per accorgersi di questa incredibile dimenticanza ci misero una settimana, poich solo il 22 dello stesso mese si proib, con altra grida, di esportare grano o farina. Comunque il prezzo non era pi sostenibile, e decisero di aumentarlo; e probabilmente laumento fu decretato in concomitanza dellimpiccagione di quei quattro disgraziati; cos vedendo i condannati dar calci allaria, i cittadini erano indotti ad accettare senza fiatare il rincaro della vita. Sempre per via dinduzione, perch mancano documenti in proposito, io propendo a credere che laumento fu imposto immediatamente dopo lesecuzione, avvenuta il 24 dicembre, poich logicamente (nelluso della forca sapevano essere logici!) i governanti avranno voluto dare prima lesempio e il monito, e poi inasprire il prezzo, sicuri che nessuno avrebbe osato pi protestare, n tanto meno si sarebbe mosso, dopo quellavvertimento cos persuasivo. E difatti nessuno fiat. Comunque il pane, anche miscelato e a caro prezzo, scarseggi sempre pi, finch a poco a poco la carestia si fece sentire assieme alla disoccupazione e alla stasi di ogni attivit produttiva, le quali costringevano allaccattonaggio anche laboriosi e onesti artigiani, e soprattutto i contadini, che affluivano sempre pi numerosi in citt a tender la mano, dopo aver perduto tutte le loro provviste per le violenze e lavidit delle truppe, oltre che per lesosit del fisco. Nellinverno avanzato e nella primavera del 1629 lo spettacolo che presentava Milano era indescrivibile: a ogni passo, botteghe chiuse; le fabbriche in gran parte deserte; le strade, un indicibile spettacolo, un corso incessante di miserie, un soggiorno perpetuo di patimenti. La descrizione dellAutore cos efficace, per icastica evidenza, che stringe veramente il cuore; in essa palpita laccorata mestizia del cristiano per le miserie umane; proprio il caso di ripetere con Virgilio: sunt lacrimae rerum, et mentem mortalia tangunt.8 Questo capitolo del romanzo, che a qualcuno pu apparire di secondaria importanza, perch tratta avvenimenti generali, che non riguardano direttamente i nostri personaggi, invece pur esso valido sul piano artistico e umano, pervaso com da una viva commozione per la sofferenza degli uomini, dei nostri fratelli, sentita maggiormente per il fatto che tale degradazione della condizione umana non fu prevenuta n riparata, come invece si poteva e si doveva, da parte delle

= sono eventi lacrimevoli, e le miserie umane toccano il cuore.

169

autorit. E tanto pi vibra la commossa ammirazione del Manzoni per chi, come il Cardinale Federigo, in mezzo allo sbalordimento inoperoso dei pubblici poteri, oper efficacemente e mirabilmente per lenire la fame e le sofferenze, servendosi dei soli suoi mezzi, potenziati al massimo dallo spirito diiniziativa e da un profondo senso della propria responsabilit. E lAutore non pu non esaltare, con ammirate e commosse parole, quella carit ardente e versatile del buon pastore, la quale doveva tutto sentire, in tutto adoprarsi, accorrere dove non aveva potuto prevenire, prender, per dir cos, tante forme, in quante variava il bisogno. Nel muovere al soccorso dei suoi diocesani il santo Arcivescovo mostr infatti intelligente sollecitudine, spirito pratico, capacit organizzativa e soprattutto squisita sensibilit cristiana: si rivel insomma un vero artista della carit. Cominci col mobilitare i suoi mezzi finanziari, dato che egli ricusava, per sistema, di farsi dispensatore delle liberalit altrui; destin dunque alla carit anche le somme assegnate ad altre spese meno urgenti, e per avere disponibile pi denaro che fosse possibile, impose la pi stretta economia in tutte le spese correnti, a cominciare dal mantenimento suo, gi cos parsimonioso, e del suo seguito. Istitu nel vescovado lo stato maggiore, per cos dire, di quella nuova crociata, diretta contro la fame e le sofferenze, e cominci con lorganizzarvi una grande cucina, la quale era in grado di distribuire ogni giorno circa duemila scodelle di minestra di riso. Scelse poi sei sacerdoti, tra i pi caritatevoli e anche fisicamente sani e robusti, dato il particolare servizio a cui erano destinati, i quali dovessero ogni giorno, a coppie, girare per la citt, che alluopo divise in tre zone, distribuendo aiuti. Questi bravi preti percorrevano indefessamente la zona loro assegnata, strada per strada, con dietro facchini carichi di vari cibi, daltri pi sottili e pronti ristorativi, e di vesti, per sovvenire alle necessit pi urgenti. E non si limitavano e rifocillare momentaneamente quelli che venivano meno per linedia, ma cercavano di pensare anche al domani degli indigenti, per i quali cercavano ricovero e mantenimento presso le case dei benestanti, i quali generalmente li accettavano gratuitamente, essendo il loro sentimento cristiano risvegliato ed esaltato dal buon esempio del clero. Se poi alla buona volont degli ospitanti mancavano i mezzi materiali, i preti fissavano una pensione per i ricoverati e ne sborsavano subito un acconto; davano poi lelenco delle persone cos allogate ai parroci da cui dipendevano, affinch li visitassero periodicamente per confortarli e controllarne le condizioni fisiche e morali. Inoltre il Cardinale compr, dove e come pot, grandi quantit di grano e di altri cereali, che distribuiva avvedutamente in citt e nei paesi dove pi si faceva sentire la miseria; e nelle campagne, col grano, mandava anche del sale, che pu trasformare in cibo anche le umili erbe del campo. Lui stesso poi vigilava personalmente su tutta lorganizzazione, visitando la citt quartiere per quartiere e dispensando anchegli aiuti; altri ne affidava ai vari curati, perch li distribuissero ai loro parrocchiani; insomma in ogni bisogno, in ogni circostanza dolorosa, in ogni strettezza rifulse radiosa linesausta carit di Federigo. Il Manzoni rileva, come cosa degna di nota, che in mezzo a tanta sofferenza e a tanti stenti non ci fu mai neppure un cenno di rivolta; e ci avvenne, osserva

170

giustamente, non per il terrore di quei quattro impiccati, ma perch noi uomini generalmente ci rivoltiamo sdegnati e furiosi contro i mali mezzani, e ci curviamo in silenzio sotto gli estremi. Una cosa simile, ma con intento ben diverso, aveva gi osservata il Segretario Fiorentino, nella sua lucida analisi del principato assoluto. Siccome la mortalit aumentava di giorno in giorno e si temeva un contagio, il tribunale di Sanit (formato da un presidente e da sei conservatori cio tutelatori della salute pubblica; di questi due erano medici e quattro funzionari; tribunale si diceva allora anche nel senso di commissione o giunta, quale era appunto questa) fece presente a quello di Provvisione lesigenza urgente che tutti gli accattoni fossero raccolti in diversi ospizi. Il tribunale di Provvisione ritenne pi semplice e spedito riunirli tutti nel lazzaretto, contro il parere della Sanit, la quale opponeva che, in una cos gran riunione, sarebbe cresciuto il pericolo a cui si voleva metter riparo. Essendo prevalso il parere della Provvisione, in pochi giorni il lazzaretto si riemp di miserabili, in parte andatici spontaneamente, in parte condottici con la forza. Inopportunamente poi si volle dare ai birri un premio di dieci soldi per ogni accattone o vagabondo che avessero portato in quel luogo; disposizione che provoc non solo sperpero del pubblico denaro, proprio quando ce nera tanto bisogno per altri usi pi umani, ma anche una vera e propria caccia alluomo, non scevra di violenze e di vessazioni, da parte dei birri avidi di denaro. Il Manzoni ci d a questo punto una precisa e dettagliata descrizione del lazzaretto, tanto nitida ed esatta, che ci sembra davvero di averlo davanti quel grande recinto quasi quadrato, che misurava passi 500 per 485 ed era circondato complessivamente da 288 stanzette; nella parte interna delledificio, su tre lati, girava un portico continuo a volta, sostenuto da piccole e magre colonne. Nel centro del recinto cera (ledificio fu distrutto alla fine del settecento) una chiesa ottagonale, poggiata su arcate, sicch laltare era visibile da ogni parte del vasto cortile. Il lazzaretto (cos chiamato da San Lazzaro, protettore degli appestati) era stato costruito nel 1498 per ricoverarvi appunto gli ammalati di peste, che in quei tempi soleva comparire in Europa, or qua or l ora in gran parte di essa, da due a otto volte in un secolo. Lultima peste nel Milanese si era verificata nel 1576 , e siccome in essa S. Carlo Borromeo si prodig eroicamente per curare i contagiati, fu poi comunemente chiamata la peste di S. Carlo: la forza della sua carit fece in modo che una calamit generale divenisse per lui come un emblema o unimpresa gloriosa, perch in essa soprattutto rifulse linesausto suo amore per lumanit sofferente. Il lazzaretto veniva utilizzato, in quegli anni, come deposito delle merci soggette a controllo sanitario, perch provenienti da localit infette; naturalmente, per sgombrare ledificio, si dovette a un tratto rilasciare tutte queste mercanzie, contro ogni norma delligiene e del buon senso, oltre che contro i regolamenti della Sanit. Gli accattoni stipati in quelle 288 stanzette, di cui evidentemente una certa aliquota dov essere adibita ai servizi generali, furono in principio tremila, ma salirono ben presto per arrivare sin quasi a diecimila, soprattutto per le spietate e interessate retate della polizia. Ognuno pu immaginare in quali condizioni potesse vivere tanta gente, diversa di sesso e det,

171

come di condizione e deducazione, ammonticchiata, per cos dire, in quel breve spazio, privo di ogni garanzia igienica e sanitaria. Dormivano ammontati a venti a trenta per ognuna di quelle cellette, o accovacciati sotto i portici, sur un po di paglia putrida e fetente, o sulla nuda terra; per lacqua erano costretti a ricorrere, in mancanza di acquedotto, a una gora che costeggiava il recinto, bassa, lenta, dove anche motosa, la quale poi in breve tempo divenne una vera e propria cloaca. In tali condizioni di sporcizia, di iponutrizione, di cibo pessimo e indigesto, non c da meravigliarsi che si diffondesse quasi subito tra i ricoverati un contagio pernicioso e mortale, che ad alcuni parve pestilenza, ma che forse era soltanto uninfluenza piuttosto maligna o una specie di tifo petecchiale, alimentato dal sudiciume e dalla mancanza di ogni pur elementare profilassi. La conseguenza di questo stato di cose fu che il numero giornaliero dei morti nel lazzaretto oltrepass in poco tempo il centinaio. Che fare? Non si trov di meglio che dare un calcio a quanto si era compiuto con tanta spesa, con tante vessazioni: saprirono i cancelli, e i poveri prigionieri (il nome appropriato) scapparon fuori con una gioia furibonda, meno naturalmente i malati e quelli che non si reggevano in piedi per la debolezza, in seguito alla lenta consunzione. La citt torn a risonare dellantico lamento, ma pi debole e interrotto, perch i mendicanti erano scemati di numero e cos stremati nel fisico, come abbattuti nel morale. Intanto giunse finalmente la messe dellanno 1629: i contadini, che erano accorsi in citt per sfamarsi, erano impazienti di tornare ai loro campi per quella sospirata mietitura; e il Cardinale, con cuore paterno e spirito pratico, diede a ognun dessi una piccola somma e una falce messoria. Col nuovo raccolto cess la carestia, mentre la mortalit, pur scemando, si prolung sino allautunno, allorquando si abbatt sulle misere terre del Ducato un nuovo flagello: la discesa dellesercito alemanno, inviato dallImperatore contro il Nevers, che si era insediato a Mantova senza il suo beneplacito. Diamo conto succintamente di questi avvenimenti. Il Cardinale di Richelieu, presa La Rochelle e concluso un armistizio col Re dInghilterra, Carlo I Stuart, aveva convinto il suo re, Luigi XIII, a intervenire in Italia in aiuto del Duca di Nevers. Nel frattempo il Conte di Nassau, commissario imperiale, aveva gi per tre volte intimato al predetto duca di consegnare Mantova nelle mani dellImperatore; non avendo il Nevers obbedito allingiunzione, sicuro comera ormai dellintervento francese, il commissario era ripartito minacciandogli la guerra. E infatti Ferdinando II, sdegnato per il rifiuto, ordin linvio contro Mantova di 35.000 uomini, di cui 7.000 cavalieri, al comando del capitano italiano Conte Rambaldo di Collalto. Ma prima di questo esercito erano calati in Italia i Francesi, comandati dal loro stesso re, che aveva al suo fianco il Richelieu. Il Duca di Savoia, Carlo Emanuele I, aveva tentato di opporsi al passaggio di queste truppe, ma era stato vinto e aveva dovuto concludere col Re la disastrosa pace di Susa, per cui abbandonava il Monferrato, impegnandosi a far s che don Gonzalo togliesse lassedio a Casale, e in caso contrario a marciare contro di lui assieme ai Francesi. Il Cordova per cedette subito, e in Casale entrarono i

172

soldati di Luigi XIII il quale, pago del successo, per consiglio del suo onnipotente primo ministro, ripass le Alpi, lasciando per un forte presidio nella fortezza di Susa, per assicurarsi della fedelt del Duca di Savoia col possesso di quellimportante valico. Sfortunatamente per il ducato di Milano, mentre quellesercito se nandava da una parte, quello di Ferdinando savvicinava dallaltra: erano i famigerati lanzichenecchi, luterani arrabbiati, spietati saccheggiatori dei paesi cattolici che cadevano sotto le loro grinfie. Essi calavano come alleati degli Spagnoli, in quanto volevano togliere Mantova al Nevers, e come tali avevano diritto all ospitazione nel Milanese, cio allalloggio e alla fornitura dei viveri, i quali per avrebbero dovuto essere regolarmente pagati; in pratica quelle truppe, nel paese amico, si comportavano come in un paese nemico, e percorrevano la regione saccheggiando, bruciando, stuprando. I miseri abitanti dei paesi per dove dovevano passare, fuggivano sui monti, cercando di salvare con la vita qualche provvista o qualche masserizia; ma talora anche la fuga era vana, perch quei briganti si arrampicavano pure sui monti a compiere le loro rapine e violenze. E quel che era peggio, in quelle bande si annidava sempre qualche focolaio di peste o di altra grave malattia epidemica, che veniva seminata per dove passavano. Perci il tribunale di Sanit incaric uno dei suoi membri, il medico Alessandro Tadino, di rappresentare al governatore lo spaventoso pericolo che sovrastava al paese, se quella gente ci passava, per andare allassedio di Mantova. Ma don Gonzalo (ammirate il suo bel senso di responsabilit) rispose che non sapeva cosa farci; che i motivi dinteresse e di riputazione, per i quali sera mosso quellesercito, pesavan pi che il pericolo rappresentato; che con tutto ci si cercasse di riparare alla meglio, e si sperasse nella Provvidenza. Ma pu sperare fiduciosamente nella Provvidenza sembra voler dire il religiosissimo Autore in questo punto solo chi da parte sua ha fatto quantera nelle possibilit umane per evitare il male, non chi ad esso non oppone che vuote parole o, peggio, dimostra solo inerzia colposa e quasi connivente. Per evitare ogni contatto, e quindi contagio, da parte dei lanzi, i due medici della Sanit proposero di vietare sotto severissime pene di comprar roba di nessuna sorte dai soldati cheran per passare; ma non riuscirono a far approvare il bando dal presidente del tribunale stesso, e perci non se ne fece nulla. Anche in questo caso, bel senso di responsabilit da parte di chi era preposto alla pubblica salute! Poco dopo labboccamento col medico Tadino, al quale diede la mirabile risposta che sopra abbiamo riportato, don Gonzalo fu rimosso dal governo di Milano, per linsuccesso da lui subito nella guerra, e sostituito col genovese marchese Ambrogio Spinola. La partenza dalla citt dellimpopolare Governatore suscit una dimostrazione ostile con fitta sassaiola contro le carrozze, sua e del seguito, le quali a stento poterono guadagnare Porta Ticinese, donde uscirono a salvamento sotto una salva di pietre lanciate dai dimostranti, saliti sulle mura per dare al loro beneamato amministratore quellultimo lapideo saluto. Come abbiamo gi detto, i soldati luterani si comportavano nei paesi cattolici con efferata violenza, per lodio rinfocolato nel loro animo dalle lotte religiose

173

che di tanto in tanto insanguinavano la Germania. Circa un secolo prima, nel 1527, i lanzichenecchi avevano saccheggiato Roma nel modo barbaro che tutti conoscono; nel 1630 daranno il sacco alla citt di Mantova, in maniera non meno efferata anche se meno famosa. Il saccheggio era ormai ad essi riconosciuto quasi come un diritto sia dai loro comandanti sia dai principi che li assoldavano; esso era considerato come un supplemento, tacitamente convenuto, del soldo loro dovuto, che non veniva mai pagato regolarmente o intero, per il fatto che i principi assoldavano sempre pi uomini di quanti permettessero le loro finanze, nella speranza di vincere cos la guerra e di compensare le bande col saccheggio dei territori conquistati. E celebre in proposito la frase del Wallenstein, forse il pi tristamente famoso di questi capitani di ventura: esser pi facile mantenere un esercito di cento mila uomini, che uno di dodici mila; infatti un grande esercito ha la possibilit di vincere, e quindi compensare i soldati col saccheggio: mentre il piccolo esercito ha poche possibilit di vincere, per cui anche difficile che venga assoldato, poich non ispira fiducia per la vittoria finale, ed ancora pi difficile che venga regolarmente pagato. Laffermazione del cinico Wallenstein ha dunque il suo fondamento di verit. I lanzi, comandati dal conte di Collalto, erano divisi in venti reggimenti, i quali si susseguivano, giorno dopo giorno, negli sfortunati paesi che segnavano litinerario dellesercito imperiale. Considerando poi che per attraversare tutto il Ducato esso impiegava otto giorni di marcia, possiamo concludere che per circa un mese il Milanese soffr di questa alluvione di predatori. Naturalmente i reggimenti davanguardia erano per questo rispetto i pi fortunati, perch trovavano i paesi intatti, e potevano quindi rapinare con pi profitto, soprattutto viveri e preziosi; mentre i reparti della retroguardia, non trovando ormai pi nulla da saccheggiare, per la rabbia bruciavano e distruggevano tutto, e talora piombavano inaspettati su qualche paese un po lontano dal percorso di marcia, per fare man bassa e rifarsi cos della loro scalogna. Ai danni materiali bisognava aggiungere, purtroppo, le violenze carnali, le percosse, le ferite e anche le uccisioni, tutte cose che restavano ugualmente ignorate e impunite. Realt raccapriccianti di tutte le guerre, antiche e moderne; ma in questo caso esse venivano perpetrate in territorio alleato; immaginiamoci che cosa dette truppe avranno fatto in territorio nemico.

174

CAPITOLO XXIX
Tra i paesi abbandonati e quasi offerti al saccheggio dei lanzi, cera purtroppo quello dAgnese, la quale si rammaricava per non tanto per dover abbandonare la propria casa, quanto per non poter rivedere la sua Lucia, dato che donna Prassede non sarebbe andata in quellautunno (del 1629) a villeggiare nel territorio di Lecco,che doveva appunto essere percorso dalle bande alemanne. Nellimminenza dellarrivo di queste, il panico si era diffuso in tutta la zona, e la povera vedova risolvette subito di mettersi in salvo sui monti, tanto pi in grazia di quegli scudi, essendo noto che soprattutto quelli che avevano dei soldi erano esposti insieme alla violenza degli stranieri e allinsidie dei paesani. E vero che di quei soldi nessuno sapeva niente allinfuori di don Abbondio, dal quale la buona donna era andata, ogni tanto, a spicciolarne uno, lasciandogli sempre qualcosa per i meno abbienti; ma, come osserva acutamente il Manzoni, i danari nascosti tengono il possessore in un sospetto continuo del sospetto altrui. Orbene Agnese pens innanzi tutto agli scudi, che si cuc ben bene allinterno del busto, quindi si mise a nascondere alla meglio ci che non poteva portare con s, sempre col pensiero al piccolo tesoro che aveva indosso. A un tratto si ricord di chi glieli aveva donati, il quale le aveva in quella occasione fatto dire, dal Cardinale, di poter far conto su di lui per qualunque necessit, e le venne subito in mente che il castello di quel signore sarebbe stato il pi sicuro rifugio contro ogni violenza e ogni insidia. Avendo deciso di andarci, e pensando al modo di farsi riconoscere dal padrone del castello, concluse che la cosa migliore era parlarne al curato, proponendogli di andare insieme lass, dove sarebbero stati certamente bene accolti. Presa la decisione, si mise in spalla una gerletta con biancheria e un po di cibarie, e si avvi alla canonica per fare la sua proposta. Don Abbondio, alle terribili notizie che circolavano sui lanzi, aveva letteralmente perduta la testa. Chi non ha visto don Abbondio in quel giorno, afferma con umorismo lAutore, non sa bene cosa sia impiccio e spavento. Risolvette subito di fuggire, prima di tutti e pi di tutti, ma sospettoso e pauroso comera, in ogni strada da prendere, in ogni rifugio da raggiungere, trovava difficolt e pericoli formidabili. Pensava a un ricovero che gli ispirasse fiducia; ma quale? Andare sui monti? ma se i lanzichenecchi ci si arrampicavano come gatti, poco poco che subodorassero la buona preda! Passare il lago? ma se faceva paura, tantera tempestoso! e poi le barche erano ormai partite tutte, stracariche, col pericolo di affondare. Raggiungere il territorio bergamasco? ma l scorrazzavano i cappelletti, mandati dalla Serenissima a proteggere il confine; e quelli erano diavoli in carne e ossa! Non sapendo che partito prendere, voleva consigliarsi con Perpetua, la quale per non gli dava retta, tutta indaffarata comera a nascondere la roba pi di valore; la poveretta, turbata e scalmanata per la fatica, era in quella circostanza meno trattabile del solito, e se il padrone cercava di trattenerla, gli dava sulla voce come a un ragazzino. Il curato allora,

175

non ottenendo udienza neppure presso Perpetua, si affacciava alla finestra e si rivolgeva alla gente che passava, curva sotto il peso delle povere masserizie, implorando con una voce mezza di pianto e mezza di rimprovero che gli trovassero qualche cavalcatura, che lo aspettassero almeno, per fargli da scorta; ma vedendo che coloro o non gli davano nemmeno ascolto o gli rispondevano che singegnasse come gli altri, borbottava contro legoismo dei parrocchiani: Oh che gente! che cuori! non c carit: ognun pensa a s; e a me nessuno vuol pensare. Non capiva il nostro curato, il quale non si peritava di tacciare gli altri di egoismo, che legoista era proprio lui, che voleva gli altri al suo servizio, mentre avrebbe dovuto lui prodigarsi per i suoi parrocchiani, e soprattutto pensare alla chiesa. A questo riguardo rabbrividiamo nel sentire le sue ciniche parole: Al popolo tocca custodirla, che serve a lui. Se hanno un po di cuore per la loro chiesa, ci penseranno; se poi non hanno cuore, tal sia di loro. Vogliamo credere almeno che avr pensato a togliere dal ciborio il Sacramento, per salvarlo dalla sicura profanazione dei protestanti, che si accanivano soprattutto contro lEucarestia; ma lAutore nulla dice in proposito, e noi dobbiamo purtroppo dubitarne, conoscendo il suo zelo sacerdotale. Se si dimentic del Sacramento, non si dimentic certamente del suo tesoro, che prelev dallo scrigno e consegn alla serva perch lo seppellisse nellorto. Quandebbe compiuto questultimo e pi importante occultamento, Perpetua prepar una gerla con dentro un po di viveri e della biancheria per s e per il padrone; quindi, con tono risoluto, disse al curato che andasse a prendere il breviario, il cappello e il bastone, per mettersi subito in strada. Don Abbondio sembrava proprio intontito, non avendo ancora deciso dove andare, e ci volle tutta lautorit della donna per farlo muovere. Finalmente anche lui fu pronto, ma proprio mentre si accingevano a lasciare la canonica, ecco arrivare Agnese, la quale fece subito la sua proposta di rifugiarsi al castello, che Perpetua accolse con entusiasmo, come una vera ispirazione del Signore, mentre il padrone non ne era troppo convinto. Prima chiese se era convertito davvero; non ostante tutto quello che ha visto e sentito lui stesso, egli nutre ancora dei sospetti: chi sa pensava forse tra s la sua conversione potrebbe essere stato un fuoco di paglia. Poi, rassicurato da Agnese nei riguardi della conversione, obiett che, andando lass, rischiavano di mettersi in gabbia, di esser cio assediati dagli alemanni, e forse anche dai cappelletti, bramosi di metter le mani su una preda tanto allettante. Ma Perpetua gli rimprover questo suo continuo sospettare, dicendo che non era capace daltro che dimpicciare e ostacolare ogni cosa con le sue sciocche obiezioni, con i suoi ragionamenti inconcludenti. Si decise dunque di mettersi la strada tra le gambe alla volta del castello; ma don Abbondio pretendeva ora che trovassero qualcuno per servirgli di scorta; il che fece perdere la pazienza alla serva, la quale gli dette ancora sulla voce, dimostrandogli quanto fosse assurda la sua pretesa, che intanto faceva loro perdere del tempo prezioso. Messisi finalmente in cammino, il curato se ne stette per un buon tratto zitto e mogio, guardandosi intorno con sospetto, nel timore di qualche brutto incontro. Ma a mano a mano che sallontanavano dalla zona pericolosa, essendo scemata

176

quella gran paura, si fece in lui sentire pi forte la stizza contro tutti e contro tutto. Cominci dunque a brontolare contro il Duca di Nevers che avrebbe potuto stare in Francia a godersela, contro lImperatore che avrebbe dovuto aver giudizio per gli altri, lasciar correre lacqua allingi, non istar su tutti i puntigli, e soprattutto contro il Cordova a cui sarebbe toccato a far di tutto, per tener lontani i flagelli dal paese, e invece lui stesso ce li attirava, per il gusto matto di fare la guerra. Ma Perpetua gli fece osservare che erano ciarle oziose e inconcludenti; piuttosto lei si rammaricava di aver dimenticato di nascondere la tal cosa, di aver occultato male la tal altra Allora il padrone, ormai sicuro della vita, quanto bastava per poter angustiarsi della roba, cominci a inveire contro di lei, chiedendogli ironicamente dove avesse avuto la testa, per dimenticarsi di quelle cose; la serva per, non sopportando tanta sicumera, si ferm mettendo i pugni sui fianchi, con un atteggiamento aggressivo, e ritorse violentemente il rimprovero su di lui, perch, semmai, era stato lui che glielaveva fatta perdere la testa, con le sue ubbie e ciarle insulse, mentre invece avrebbe potuto aiutarla e farle coraggio, invece di disanimarla con le sue paure irragionevoli. Dopo un tale sfogo della donna, don Abbondio si guard bene dal tornare su quellargomento, in cui era sicuramente perdente. Giunti in prossimit del paese del sarto, decisero di fermarsi un momento per salutarlo, tanto ormai erano fuori pericolo; e ricevettero unaccoglienza molto cordiale, poich rammentavano una buona azione. A questo proposito il Manzoni riporta, attribuendola allanonimo, una massima che vale la pena riferire: fate del bene a quanti pi potete; e vi seguir tanto pi spesso dincontrar dei visi che vi mettano allegria. Siccome era lora di pranzo, i viaggiatori furono invitati a mangiare un boccone; ma le donne dissero che avevano portato qualcosa, e non volevano recar disturbo; ma per restare un po in compagnia, si decise daccozzare il pentolino, cio di riunire le cibarie e di magiare tutti insieme. Il sarto si diede da fare per onorare gli ospiti: mand una bambina a diricciar quattro castagne primaticce, un ragazzo a cogliere le pesche e un altro a trovar sullalbero quattro fichi maturi, mentre lui and in cantina a spillare, per loccasione, il suo vino migliore. Abbiamo gi rilevato, nel riassunto del capitolo XXIV, la svista dellAutore circa i tre figli del sarto: l, due bambinette e un fanciullo; qua, una bambina e due ragazzi. Potremmo ora aggiungere che il divario esiste anche nei riguardi dellet, perch bambinetta non propriamente bambina, e fanciullo non corrisponde a ragazzo; pur vero che passato un anno, dal primo incontro, ma mi sembra che questi benedetti figlioli siano cresciuti un po troppo in fretta. Torniamo per a ripetere che queste sviste non tolgono nulla al valore artistico e poetico del romanzo, sono anzi, per cos dire, delle piacevoli novit: infatti anche i nei possono donare a un bel viso di donna, purch non siano posticci, ma naturali; e a nessuno finora passato per la mente il sospetto che don Lisander abbia volutamente commesso il pasticcio, per vedere quando gli onorevoli critici se ne sarebbero accorti. A quanto mi risulta, essi si sono accorti della svista piuttosto tardi, comunque dopo la morte dellAutore, il quale pertanto,

177

stando a questazzardata ipotesi, potr aver sorriso della miopia degli occhiuti revisori, che non avevano saputo trovare il proverbiale pelo nelluovo. Quando don Abbondio disse doverano diretti, il sarto approv la decisione, affermando che lass potevano considerarsi sicuri come in chiesa; ma il nostro curato nutriva ancora dei dubbi sulle disposizioni di quel signore, e come lapostolo Tommaso cercava una conferma definitiva e autorevole; perci usc in unesclamazione: Gran bella conversione! e si mantiene, n vero? si mantiene. A quanto pare, per don Abbondio risultava quasi strano che quel tale si mantenesse sulla buona strada. Per fortuna il buon sarto, certamente ben informato, pot dissipare tutte le sue residue apprensioni, parlando magnificamente e alla distesa della santa vita dellInnominato, e come, dallessere il flagello dei contorni, nera divenuto lesempio e il benefattore. Cera per unaltra cosa che tormentava il vile prete: lui, il signore, poteva anche essere un santo; ma i suoi giannizzeri? non si sa mai, essi gli avrebbero potuto fare qualche brutto tiro, magari per vendicarsi della conversione del loro padrone, a loro certo non gradita, tanto pi che lo avrebbero riconosciuto, e potevano avercela con lui! Perci, per scoprire paese, chiese con aria dindifferenza, ma con interna ansiet: E quella gente che teneva con s?... tutta quella servit?... Anche per questo dubbio la risposta del sarto fu molto rassicurante: Sfrattati la pi parte; e quelli che son rimasti, han mutato sistema, ma come! In somma diventato quel castello una Tebaide. La citazione della Tebaide non era fatta a caso; il nostro letterato voleva con essa ricordare allecclesiastico che lui aveva letto il Leggendario dei santi; e anzi si offr di prestargli qualche libro per passare meglio il tempo lass al castello, ma don Abbondio declin lofferta, dicendo che in simili circostanze si ha appena testa doccuparsi di quel che di precetto. Il bravo sarto fece poi vedere agli ospiti un ritratto del Cardinale, che teneva appeso a un battente della porta sia per ricordo del personaggio sia per poter dire ai visitatori che per non era somigliante, perch lui lo aveva visto con tutto comodo in quella stessa stanza, dove si era degnato una volta di entrare. Questo egli ripeteva a tutti con giusto vanto; peccato che in quella storica occasione non aveva avuto tempo di immortalarsi con qualche bella frase! Di questo si rammaricava profondamente, e chi sa che cosa avrebbe dato perch gli si offrisse unaltra occasione dincontrarsi con un uomo cos eminente! anche agli ospiti espresse questo suo desiderio: Quanto sarei contento di potergli parlare unaltra volta, un po pi con comodo. Questo soprattutto avrebbe voluto: un po pi di tempo, per fare la sua figura; la fretta guasta tutto. Il buon uomo si adoper quindi per trovare un baroccio, affinch il parroco e le donne potessero compiere con maggiore comodit la strada che ancora rimaneva per giungere alla meta; procurato il mezzo, aiut a salirvi gli ospiti, i quali si congedarono con la promessa di fare l unaltra fermatina al loro ritorno dal castello. Il Manzoni nellultima parte del capitolo si dilunga a parlare della nuova vita dellInnominato, tutta spesa a compensar danni, chieder pace, soccorrer poveri. Pur essendo divenuto inerme e inoffensivo, esponendosi volutamente a qualsiasi

178

offesa, era rimasto non meno inviolato di quando teneva armate, per la sua sicurezza, tante braccia e il suo. La gente, che tanto lo aveva temuto e magari odiato, ora lo ammirava e quasi venerava, sicch lui doveva cercare di non abbassarsi troppo, per non essere troppo esaltato. Anche la forza pubblica non os levare le mani contro uno che spontaneamente si era disarmato, che aveva lui stesso condannato con orrore il proprio passato di violenza, cercando di riparare con ogni mezzo al male compiuto: infierire ora contro di lui sarebbe parsa una vilt, e anche unoffesa allopinione pubblica e soprattutto al cardinale Borromeo, che tanta parte aveva avuto nel mutamento di quella vita, da rovinosa in benefica. I rancori, irritati altre volte dal suo disprezzo e dalla paura degli altri, si dileguavano ora davanti a quella nuova umilt Gli odi, anche i pi rozzi e rabbiosi, si sentivano come legati e tenuti in rispetto dalla venerazione pubblica per luomo penitente. Anche tra i suoi accoliti, sottoposti e complici di ogni grado, la conversione dellInnominato aveva prodotto stizza e disagio, ma non odio n disprezzo: essi pensavano che egli aveva voluto salvar lanima sua: nessuno aveva ragione di lagnarsene. Costoro se la prendevano piuttosto col Cardinale, al punto da sentire un sordo rancore contro di lui, perch sera mischiato nei loro affari, per guastarli. Dei bravi, quelli che non serano potuti adattare alla nuova vita, se nerano andati a cercare un nuovo padrone o ad arrolarsi in qualche esercito belligerante o anche a fare il bandito di strada, da solo oppure con altri. Di quelli rimasti, i pi, nativi della valle, eran tornati ai campi, o ai mestieri imparati nella prima et, gli altri erano diventati servitori, ma venivano considerati dal padrone quasi come fratelli; tutti poi, quasi ribenedetti nello stesso tempo che il loro padrone, se la passavano, al par di lui, senza fare n ricever torti, inermi e rispettati. Allorch, alla calata dei lanzichenecchi, alcuni profughi vennero al suo castello a chiedere asilo, il signore li accolse con espressioni piuttosto di riconoscenza che di cortesia; e pensando che in quella triste circostanza poteva fare del bene a parecchi, fece spargere la voce che il castello era aperto per chiunque vi si volesse rifugiare, e si mise subito allopera per renderlo adatto a ospitare il maggior numero possibile di fuggiaschi. Le ampie sale divennero dormitori, mentre i magazzini del pian terreno furono trasformati in cucine e depositi per le masserizie dei profughi. E affinch i soldati non osassero venir lass a molestare i ricoverati, mise il castello in assetto di guerra, organizzandone la difesa nel modo pi efficace. Allo scopo riarm i servitori, mobilit i suoi contadini, assegnando loro le armi, che giacevano ormai accantonate in soffitta; stabil turni di guardia nei punti pi importanti e della valle e del castello, sorvegliando personalmente che tutto fosse eseguito con diligenza e con disciplina. Per non far mancare il cibo a tanta gente, di cui una buona parte non sarebbe stata in grado di provvedersene, accumul nel castello notevoli scorte di viveri, spendendo senza risparmio per ispesar gli ospiti che Dio gli manderebbe. In mezzo a quella guarnigione di armati, assoggettatisi spontaneamente a una disciplina quasi militare, egli solo, capitano indiscusso e venerato del minuscolo

179

esercito, volle restare sempre disarmato, fosse voto, fosse proposito. I poveri fuggitivi, che giungevano in gran numero al castello, o lo avessero gi visto, o lo vedessero per la prima volta, lo guardavano estatici, dimenticando un momento i guai e i timori che li avevano spinti lass.

180

CAPITOLO XXX
I nostri fuggiaschi, ripartiti dal paese del sarto in baroccio, cominciarono ben presto a incontrare compagni di sventura, anchessi diretti al castello. In circostanze simili, tutti quelli che sincontrano, come se si conoscessero. Perci, nellaffiatamento creato dalla comune sventura, le donne sentirono come un sollievo; e ricevendo le ultime notizie sullavanzata dei lanzi, seppero pure che, dallimboccatura opposta della valle, era anche maggiore la folla dei profughi diretti al castello. Sentir questo fece piacere ad Agnese e Perpetua, perch esse pensavano che nei pericoli, meglio essere in molti; ma non era affatto dello stesso parere don Abbondio, il quale cominci a borbottar sottovoce che il radunarsi di tanta gente in uno stesso luogo, vi avrebbe attirato certamente i soldati, i quali crederebbero che l magari ci siano dei tesori; tanto pi che tutti portavano via il meglio, e nelle case non rimaneva niente di valore, che potesse soddisfare lavidit dei predatori. Egli avrebbe quasi preteso che la gente lasciasse le case ben guarnite di roba, perch i saccheggiatori fossero contenti del bottino e non corressero dietro ai fuggitivi; nel suo inqualificabile egoismo giunse perfino a chiamare quei poveri sventurati, che facevano la loro stessa strada, col nome di seccatori, di pecoroni che vanno luno dietro laltro senza discernimento e senza ragione. Ma Agnese lo rimbecc prontamente: a questo modo, anche loro potrebbero dir lo stesso di noi; osservazione molto giusta, alla quale lui non pot replicare nulla, per cui dovette tacere su quellargomento. Ma tacque per poco. Il suo disappunto per quella folla di profughi si mut in disgusto, in disagio insopportabile allorquando, allimboccatura della famigerata valle, not un forte posto di guardia, una vera guarnigione armata di tutto punto e arroccata in una casa, come in una caserma. Pieno di sbigottimento davanti a quella messa in scena militaresca, pens tra s: Ecco se le fanno le pazzie. Gi non poteva essere altrimenti: me lo sarei dovuto aspettare da un uomo di quella qualit. Ma cosa vuol fare? vuol fare la guerra? vuol fare il re, lui? Le donne invece a quella vista si erano rinfrancate, e Perpetua aveva esclamato tutta compiaciuta: Vede ora, signor padrone, se c della brava gente qui, che ci sapr difendere. Ma don Abbondio laveva zittita irosamente, anche se sottovoce, dicendo che quello era uno sfidare, un provocare i lanzichenecchi i quali, se per caso Dio non voglia! arrivavano a saperlo, sarebbero certamente venuti al castello, perch per loro andare ad assalire una fortezza era come andare a nozze, tanto pi con la prospettiva di fare l un ricco bottino. Alla Malanotte, dove era postato un altro picchetto di soldati, il baroccio si ferm per farli scendere; e di l proseguirono a piedi la salita. Agnese mirava attonita quei posti selvaggi, che si era finora raffigurati con la fantasia, ogni volta che pensava alle sofferenze di Lucia durante il suo rapimento; ora poi, vedendoli nella realt, ne provava una forte commozione, e a un certo punto esclam: Oh signor curato! a pensare che la mia Lucia passata per questa strada! Ma don Abbondio aveva

181

imposto anche a lei di tacere, dicendo che non bisognava toccare quelle memorie, ora che erano entro il dominio di quel signore; e con tono solenne dammonizione per tutte e due aggiunse che ai signori, anche se sono reputati santi, non si pu dire senza riguardo tutto ci che passa per la testa; che l dovevano parlar poco o niente, perch tacendo non si sbaglia mai, e soprattutto far sempre viso ridente, e approvare tutto quello che si vede. Quindi ricord ad Agnese di pensare piuttosto a ringraziare il signore per il bene che le aveva fatto, con linvio di tutti quegli scudi; ma la donna gli rispose che ci aveva gi pensato, perch le buone creanze le conosceva, senza bisogno di essere imboccata. Poco dopo sincontrarono con lInnominato, che stava scendendo a valle per uno dei suoi normali giri dispezione; visti i nuovi ospiti, si avvicin ad essi premuroso, e fece la pi cordiale accoglienza a don Abbondio. Questi gli disse che, confidando nella sua gentilezza, aveva osato venire a dargli del fastidio, e si era anche presa la libert di condurre la propria governante e la madre di Lucia, alla quale egli aveva gi fatto del bene Il signore, confuso per quella presenza inaspettata, replic: Del bene, io!... Voi, mi fate del bene, a venir qui da me in questa casa. Siate la benvenuta. Voi ci portate la benedizione. Agnese disse che veniva a incomodarlo e anche a ringraziarlo per il beneficio; ma lInnominato tronc le parole di ringraziamento, domandando con premura notizie della figliola; quindi, tornando indietro, volle lui stesso accompagnarli al castello, per provvedere personalmente alla loro sistemazione. Mentre salivano, chiese al parroco se i lanzichenecchi fossero giunti alla sua parrocchia. Don Abbondio rispose che non li aveva voluti aspettare, quei diavoli, per i quali accoppare un prete cattolico sarebbe stato un piacere e un merito. Il signore gli fece coraggio, dicendo che l non sarebbero venuti a dar fastidio; ma che, se ci volessero provare, erano pronti a ricacciarli. Il curato non fece alcun commento, tenendo ben nascosto il suo malumore per quei propositi guerreschi; quindi, indicando i monti dirimpetto, chiese se era vero che anche su quelli si aggirassero altri soldati poco raccomandabili, al servizio della Repubblica Veneta. LInnominato conferm la notizia, aggiungendo per che il castello era ben guarnito anche contro i loro eventuali assalti. Immaginate voi come il pavido prete rimanesse allibito di fronte alla (secondo lui) spavalderia del signore, che sembrava contento di trovarsi tra due fuochi, per dimostrare la sua potenza; il poveretto invece si rodeva dentro, e chi sa quanto si pentiva di essersi cacciato in quella situazione pericolosa, sempre per dar retta a due pettegole; e amaramente commentava tra s con stizza: E costui par proprio che ci sguazzi dentro! Oh che gente c a questo mondo! A questo punto ci viene spontanea unosservazione: don Abbondio si scandalizza degli altri, ha da ridire su tutto e su tutti, come in questo caso sullInnominato, mentre lindividuo scandaloso proprio lui: pauroso, egoista, scontento sempre. Era scontento di quel gran concorso di profughi al castello; ma si potrebbe scommettere che gli sarebbe anche dispiaciuto di restare solo, temendo di rimanere senza aiuto; gli dava ombra e sospetto quellapprestamento difensivo organizzato dal premuroso signore che lospitava; ma molto probabilmente avrebbe trovato da ridire anche se il castello fosse stato lasciato sguarnito,

182

temendo di rimanere indifeso in caso di un assalto. Questo eterno brontolone e incorreggibile egoista, questuomo scandalosamente vile e insensibile ai suoi doveri e alla propria responsabilit, purtroppo lesemplare tipico di tanti uomini anche del mondo di oggi, che non vivono che per s, sordi agli altrui bisogni, intolleranti di tutto ci che minimamente fa ombra alla loro mentalit meschina ed egoistica. LInnominato condusse dunque gli ospiti alle stanze loro assegnate, le donne nel quartiere loro riservato, don Abbondio in una di quelle camere riservate agli ecclesiastici. Il signore aveva preparato ogni cosa con diligenza e generosit, in modo che tutto funzionasse nel modo migliore, e gli ospiti si trovassero a loro agio; possiamo ben dire che, come nella carestia e successivamente nella peste rifulse la carit intelligente e fervida di Federigo, cos durante la calata dei lanzichenecchi brill la carit squisita e premurosa, larga e previggente del grande convertito. Tutto il castello, come abbiamo accennato, era stato sistemato e organizzato nel modo pi funzionale, affinch potesse accogliere quanta pi gente fosse possibile, dando loro un minimo di comodit. Parlando di questa sistemazione, il Manzoni ci traccia per cos dire una pianta del castello: esso era allincirca rettangolare, con due cortili interni, uno dalla parte davanti, uno dalla parte di dietro, comunicanti attraverso un andito aperto nel corpo mediano delledificio, proprio in corrispondenza della porta che dava sulla spianata. Le stanze che si affacciavano sul cortile anteriore e sulla spianata erano state destinate agli uomini, e di queste alcune riservate ai sacerdoti che fossero capitati lass; le camere che davano sul cortile posteriore furono assegnate alle donne, mentre il corpo di mezzo fu utilizzato per deposito dei viveri e per custodire le suppellettili che i fuggitivi avessero portato con s, per salvarle dalla furia devastatrice dei nuovi vandali. Poco pi di tre settimane rimasero i nostri nel castello; a dir il vero, non ci fu giorno che non sonasse lallarme, ma per fortuna non si verific mai alcun incidente o scontro vero e proprio. Quando veniva dato lallarme, perch lanzi o cappelletti erano stati visti nei dintorni, lInnominato mandava subito da quella parte degli esploratori a cavallo, per rendersi conto dellentit del pericolo; se poi se ne rivelava il bisogno, partiva lui stesso con un drappello di fanti, che era tenuto sempre pronto per ogni evenienza; lui disarmato alla testa di un reparto armato di tutto punto: spettacolo insolito e ammirabile. La causa di questi ripetuti allarmi erano generalmente dei soldati sbandati, che si erano spinti al saccheggio dei paesi posti fuori dellitinerario di marcia; essi, vedendosi venire addosso quella truppa cos marziale e decisa, se la battevano senza fare resistenza. Un giorno lintervento dellInnominato valse a salvare un intero paese, che veniva saccheggiato da una torma di soldati di vari reparti, allontanatisi dalle bandiere e riunitisi per dare il sacco ai paesi non abbandonati dagli abitanti, perch piuttosto lontani dalla direttrice di marcia dellesercito invasore; i poveri abitanti, colti di sorpresa, venivano spogliati degli averi ed esposti alla violenza di una soldataglia avida e licenziosa. Ma per quella volta i loro piani non riuscirono. Per fortuna del paese, lInnominato si trovava nelle vicinanze, intento a scacciare alcuni

183

saccheggiatori isolati, per insegnar loro a non venir pi da quelle parti; appena ricevuta la pressante invocazione di aiuto, egli ag da prode ed esperto comandante. Dopo aver rincuorato i suoi con poche ma efficaci parole, li condusse contro quei ribaldi con tanta celerit e impeto, che coloro non pensarono neppure un momento ad accettare la battaglia, per salvare il loro bottino, ma fuggirono alla rinfusa, abbandonando ogni cosa. Il signore li insegu per un lungo tratto, per togliere loro ogni possibilit e ogni ardire di tornare sulla preda che avevano dovuto abbandonare sul posto; quindi ferm il suo reparto su un luogo elevato, donde si assicur che coloro si allontanassero definitivamente. Quando li ebbe visti sparire in lontananza, torn sui suoi passi e, attraversando il paese cos insperabilmente salvato, fu accompagnato dagli applausi e dalle benedizioni degli scampati, giusto compenso per la sua sollecitudine e per il suo coraggio. Nel castello, tra quella moltitudine, formata a caso, di persone, varie di condizione, di costumi, di sesso e det, non nacque mai alcun disordine dimportanza. Questo perch il padrone di casa aveva messo su unorganizzazione efficiente anche dal punto di vista disciplinare, disponendo sentinelle nei luoghi pi opportuni, e delegando poi gli ecclesiastici e le persone pi autorevoli a invigilare nei vari quartieri, soprattutto per quanto riguardava lordine e la disciplina nei dormitori, nelle cucine e nei magazzini dei viveri, a cui era preposto personale fidato e responsabile. Lui poi era presente dappertutto, e non si limitava a comandare e a disporre, ma si accertava sempre dellesecuzione di ogni suo ordine, correggendo e intervenendo personalmente l dove ce ne fosse bisogno; il che avveniva di rado. Infatti i suoi dipendenti erano in genere zelanti e irreprensibili, anche perch sapevano di dover rendere conto a lui di ogni cosa; del resto non erano pi i bravi di un tempo, ma uomini nuovi nellanimo, i quali avevano volontariamente abbracciato gli stessi ideali di onest e di giustizia del loro padrone; e questo rendeva ogni cosa pi facile nel funzionamento di quel ricovero. Nella valle erano sorte locande e osterie; chi aveva denari e buona educazione, andava a mangiare laggi, per non pesare troppo sullospitalit del signore; chi invece mancava di moneta o di discrezione, mangiava alla mensa comune che veniva imbandita ogni giorno a spese dellInnominato: vi si distribuiva pane, minestra e vino. Alcune tavole poi venivano servite a parte per gli ospiti di riguardo, tra i quali figuravano i nostri fuggitivi. Agnese e Perpetua per, dimostrando ancora una volta il loro buon senso e la loro grande discrezione, avevano insistito per essere impiegate nei servizi che richiedeva una cos grande ospitalit; cos nel mentre si rendevano utili, avevano anche modo di non annoiarsi, essendo occupate gran parte della giornata; nel tempo libero chiacchieravano con certe amiche che seran fatte, o col povero don Abbondio. Questo non aveva nulla da fare, ma non sannoiava per; la paura gli faceva compagnia. Fermiamoci un po a considerare queste scarne parole: non aveva nulla da fare. Evidentemente lInnominato non gli aveva dato nessuna incombenza particolare. Lo fece per riguardo, o meglio perch aveva ormai conosciuto la sua

184

nullit? Oh, quanto meschino gli doveva apparire quel prete, dopo aver conosciuto e ammirato lo spirito apostolico del Cardinale! Se questo fantoccio di sacerdote avesse avuto un po di senso del dovere e anche un po di discrezione, che non si peritava di raccomandare alle due donne, si sarebbe adoperato anche lui attivamente al buon andamento di tutte le operazioni, e soprattutto avrebbe sentito il dovere di organizzare lassistenza religiosa tra i ricoverati, i quali chi sa quanto bisogno avevano del conforto divino, mediante la preghiera, le funzioni religiose e i sacramenti. Egli invece passava le lunghe ore in compagnia della sua paura, non preoccupandosi affatto delle condizioni materiali e spirituali di tanti poveri cristiani. Quando poi era stanco di starsene in panciolle, usciva fuori a girovagare sulla spianata e lungo i fianchi del maniero, per scoprir qualche anfratto, qualche nascondiglio sicuro, dove rifugiarsi in caso di un attacco; perch aveva sempre quella pauraccia di trovarsi in un parapiglia, essendo il castello, a suo parere, tra due fuochi, da una parte i lanzichenecchi, dallaltra i cappelletti; perci non os mai discendere nella valle, per non avere qualche brutto incontro o con gli uni o con gli altri. Le notizie dei passaggi e dei comportamenti dei vari reggimenti arrivavano fin lass, giorno dopo giorno. Finalmente giunse la notizia che era passata per il ponte di Lecco anche la retroguardia, comandata dal capitano italiano Galasso. Terminato il pericolo di uno sconfinamento degli imperiali in territorio veneto, fu ritirato dal confine anche lo squadrone volante dei cappelletti della Serenissima, e tutto il paese, da una parte e dallaltra, rest libero. La gente cominci a lasciare lospitale rifugio, e Perpetua sollecitava il padrone a non indugiare la partenza, perch altrimenti i ladri paesani avrebbero completato lopera di rapina; ma lui tenne duro, temendo di potersi incontrare per strada con qualche pericoloso sbandato: quando si trattava dassicurar la pelle, era sempre don Abbondio che la vinceva; e cos avvenne che i nostri furono proprio gli ultimi a partire, come erano stati tra i primi ad arrivare. LInnominato mostr ancora una volta la sua squisita gentilezza, facendo trovar pronta per loro una carrozza alla Malanotte, dove volle accompagnarli di persona. Nel calesse aveva fatto mettere della biancheria per Agnese alla quale, in disparte, fece anche accettare un gruppetto di scudi, per riparare al guasto che troverebbe in casa. La donna non voleva accettarli, dicendo che ne aveva addosso ancora di quelli vecchi, ma il signore insistette che prendesse anche i nuovi, perch ne avrebbe avuto certamente bisogno; quindi con voce accorata le diede i suoi saluti per la figlia: Quando vedrete quella vostra buona, povera Lucia gi son certo che prega per me, poich le ho fatto tanto male: ditele adunque chio la ringrazio, e confido in Dio, che la sua preghiera torner anche in tanta benedizione per lei. Durante il viaggio di ritorno a casa fecero una fermatina alla casa del buon sarto, ma solo per scambiare i saluti e apprendere qualche notizia sul passaggio delle truppe, avvenuto a non molta distanza da l; ripartirono dopo la breve sosta, e poco dopo videro purtroppo coi propri occhi come erano ridotti i campi e le case. Sulla campagna sembrava che si fosse rovesciata una fitta e violenta

185

grandine, accompagnata come da un uragano; le case erano ridotte peggio di stalle; lo spettacolo era desolante: usci sfondati, finestre infrante, masserizie bruciate o fracassate. Laria era dappertutto greve e maleodorante; ma da alcune case, usate come cessi, uscivano zaffate di puzzo insopportabile. La gente, chi a buttar fuori porcherie, chi a raccomodar le imposte alla meglio, chi in crocchio a lamentarsi insieme; e, al passar della carrozza, mani di qua e di l tese agli sportelli, per chieder lelemosina. Spettacolo di spaventosa miseria, che stringeva veramente il cuore; ma purtroppo era solo il presagio delle sofferenze future. Con queste scene davanti agli occhi, giunsero al paese gi preparati e rassegnati, e trovarono quello che ormai si aspettavano; ma la canonica era stata presa particolarmente di mira da quegli anticristi; avevano rotto tutto, insozzato ogni locale, bruciato o reso inservibile ogni mobile. Le pareti erano state istoriate con caricature di preti, fatte col carbone; e i soldatacci si erano adoperati a farli orribili e ridicoli: intento che, per la verit, non poteva andar fallito a tali artisti. Non parliamo poi delle figure oscene e dei disegni sacrileghi! Il padrone e la serva entrarono senza aiuto di chiavi, stringendosi il naso con le dita, non resistendo al tanfo di quella latrina, e badando bene dove posavano i piedi in mezzo a tanto stomachevole luridume; ma la descrizione dettagliata dello scempio che trovarono dentro, ce la possiamo risparmiare; basta riportare il commento istintivo di Perpetua: Ah porci!. Da quel porcile dovettero uscir subito, riparando nellorto, per non esser soffocati dal lezzo. Ma l videro la cosa peggiore, che dette il colpo di grazia al povero don Abbondio: il suo gruzzolo era stato portato via! Sotto il fico cera una buca aperta, e del tesoro, messo insieme in decenni di taccagneria, neppure lombra. Figuratevi con che risentimento il derubato si scagli contro la serva, accusandola di non aver nascosto bene il denaro; ma questa non se la tenne, ma contrattacc con violenza, come al solito, senza peli sulla lingua, riversando tutta la colpa su di lui, non daltro capace che dimpicciare e brontolare e far perdere la testa alla gente che ha da fare. Il curato dovette dunque tacere e tenersi per s la sua stizza. Perpetua poi, nei giorni successivi, a forza di chiedere e domandare, di spiare e fiutare, venne a saper di certo che alcune masserizie del suo padrone, credute preda o strazio dei soldati, erano invece sane e salve in casa di gente del paese, e voleva assolutamente che don Abbondio richiedesse il suo. Ma costui era sordo da quellorecchio, dato che la sua roba era in mano di birboni, cio di quei tali da cui voleva stare sempre alla larga. E cos cess anche di lamentarsi di qualche cosa che non trovasse pi, perch, se apriva bocca, la serva pronta lo rimbeccava, dicendo che quella cosa era in casa della data persona: andasse perci a richiederla; se non ne aveva il coraggio, la smettesse almeno di belarne. Il povero curato cap lantifona, e non tocc pi questargomento, per evitare simili risposte, e anche pi pepate: la zitella diventava sempre pi acida! Questo capitolo, col precedente, serve mirabilmente per completare e rifinire la figura di don Abbondio, pavido e brontolone, egoista e smidollato; e ne vien fuori un vero capolavoro di comicit e di umorismo, ma anche, da parte del Manzoni, di pensosa e indulgente analisi delle umane miserie, perch un po di

186

questo vile prete pu essere o , anche se ci riesce difficile ammetterlo, in ciascuno di noi.

187

CAPITOLO XXXI
Questo capitolo, assieme al successivo, pu considerarsi una piccola ma accurata monografia della peste del 1630 nel Milanese, la quale fu chiamata anche la peste del cardinale Federigo Borromeo, cos come la precedente, del 1576, era stata denominata la peste di San Carlo. Il Manzoni a questo proposito esclama: tanto forte la carit! Essa infatti pu, duna calamit per tutti, far per un uomo come unimpresa; nominarla da lui, come una conquista o una scoperta. La memoria delle azioni caritative di questi due santi arcivescovi fu pi memorabile dei mali stessi, perch essi li affrontarono con la forza della carit, e amorevolmente, umilmente si eressero a guida, soccorso, esempio, vittima volontaria a favore di tutti i sofferenti, che solo in loro trovarono un po di conforto. LAutore, appassionato comera della ricerca storica, ha voluto darci di quella peste una relazione il pi possibile esatta e completa, derivandola dalle memorie del tempo e dai pochi documenti ufficiali. In questi due capitoli prevale naturalmente il gusto dello storico, come nella precedente descrizione della carestia; ma con lo storico presente, quasi in ogni pagina, anche il pensatore e il cristiano, che guarda con infinita compassione alle miserie, alle debolezze e agli errori umani, che sono da compatire pi che da condannare, meno che l dove si constati levidente malafede di qualcuno. Tra le molte cronache contemporanee, tutte pi o meno difettose, ma tutte utili alla storia, appunto perch originali, di prima mano, e quindi fornite sempre di quella forza viva, propria e, per dir cos, incomunicabile, che deriva dallaver visto e sentito, il Manzoni segue soprattutto quella, in latino, di Giuseppe Ripamonti, e quella, in volgare, del medico Alessandro Tadino, che era appunto uno dei due medici del tribunale di Sanit, e quindi il pi interessato a prevenire e curare il contagio. Laltro medico della Sanit era Senatore Settala, figlio del famoso protofisico Lodovico Settala, allora poco men che ottuagenario, ma ancora sulla breccia, il quale aveva visto la peste precedente e nera stato uno dei pi attivi e intrepidi, e, quantunque allor giovanissimo, dei pi riputati curatori. La peste dunque, come si era temuto e come il medico Tadino aveva prospettato al Governatore, era davvero entrata nel Milanese al seguito delle bande alemanne, e dalla Lombardia invase e spopol una buona parte dItalia; ancora una volta si ripeteva per linfelice penisola il biblico triplice flagello: fame, guerra e peste. Infatti lungo litinerario percorso dallesercito teutonico erano stati trovati dei cadaveri nelle case abitate dalla soldataglia, e alcuni anche per le strade: era come un semino di contagio. Poco dopo in quei paesi cominciarono a morire persone isolate, e talora famiglie intere, di mali violenti, strani, con sintomi sconosciuti, quali lividi e bubboni, con febbri altissime, accompagnate da delirio oppure da una specie di letargo. Per quelli che 53 anni avanti avevano visto la peste di San Carlo, conoscevano bene i segni inconfondibili del terribile morbo, e

188

primo tra tutti il protofisico Lodovico Settla, gi nominato, il quale ritenne suo dovere, in data 20 ottobre 1629, avvertire il tribunale di Sanit che a Chiuso era scoppiato indubitabilmente il contagio. Ma non fu preso alcun provvedimento; eppure quella voce era la pi autorevole che ci potesse essere, perch il Settla, oltre che medico primario (questo significava protofisico), era stato un illustre docente universitario e aveva composto diversi trattati di medicina, per cui era considerato un luminare della materia. Siccome giunsero pochi giorni dopo preoccupanti avvisi di mortalit, con somiglianti sintomi, da Lecco e da Bellano, la Sanit dovette scuotersi dalla sua inerzia; ma si limit a inviare un commissario che, facendosi accompagnare da un medico di Como, si recasse sul posto a indagare. Purtroppo sia il commissario, ignaro di medicina, sia il medico che lo accompagnava, non meno ignorante in materia nonostante la qualifica, si fecero infinocchiare da un barbiere di Bellano, il quale sosteneva che il decesso con quei sintomi era effetto consueto dellemanazioni autunnali delle paludi e, dove paludi non ci fossero, effetto dei disagi e degli strapazzi sofferti, nel passaggio degli Alemanni. E questa bella spiegazione scientifica fu avallata, pare, anche dalla Sanit, che si mise lanimo in pace e non cerc oltre, per allora. Ma poich consimili e peggiori notizie cominciarono a piovere anche da altri paesi pi vicini a Milano, la Sanit mand a indagare in loco due suoi membri, di cui uno, per fortuna, medico esperto e diligente, e precisamente il gi nominato Alessandro Tadino. Costoro condussero una severa inchiesta nei paesi loro indicati, e trovarono dappertutto i sinistri e inequivocabili marchi della peste. Senza aspettare che fosse terminato il loro giro dispezione, si affrettarono a comunicare la loro certezza alla Sanit, la quale il 30 ottobre prescrisse una bolletta sanitaria per tutti quelli che volessero entrare in Milano, al fine di tener lontani dalla citt quanti provenissero dai paesi gi invasi dal morbo. Ma per rendere operante questa deliberazione del tribunale di Sanit, occorreva unapposita grida, che fu stesa solo il 23 novembre e pubblicata nientemeno che il 29 di quel mese, cio 30 giorni precisi dopo la deliberazione della Sanit! Era il proverbiale chiudere la stalla dopo che i buoi erano scappati: nel frattempo la peste era gi entrata a Milano. Molto probabilmente questo inspiegabile ritardo nellemanare la grida fu dovuto a un personale intervento del Governatore il quale, volendo celebrare solenni feste per la nascita dellInfante (feste indette infatti con grida del 18 novembre), non riteneva conveniente allarmare lopinione pubblica e mettere in orgasmo la citt con quella prescrizione delle bollette, vale a dire dei certificati medici da esibire da parte di chiunque volesse entrare in Milano; altrimenti la festa non sarebbe pi stata cos solenne e generale, senza laccorrere di spettatori da tutti i paesi del Ducato! Ma c di pi per bollare linsensibilit del nuovo Governatore, il gi nominato marchese Ambrogio Spinola; il 14 novembre il Tadino e il suo compagno, di ritorno dal giro dispezione, ricevettero dal tribunale di Sanit lincarico di prospettare al Governatore la gravit della situazione e lurgenza dei rimedi. Vandarono e riportarono: aver lui di tali nuove provato

189

molto dispiacere, mostratone un gran sentimento; ma i pensieri della guerra esser pi pressanti. E infatti da una parte aveva ripreso lassedio di Casale, per lavare lonta del suo predecessore, dallaltra si preparava a indire feste grandiose e universali per la felice nascita del principe ereditario di Spagna! Lo Spinola apparve dunque, in quanto a insensibilit morale e civile, per nulla dissimile dal Cordova; eppure il nuovo Governatore era italiano di nascita, e ci si sarebbe aspettata da lui una maggiore premura per le condizioni dei concittadini. Ma, come ben sappiamo, allora il sentimento nazionale albergava solo nellanimo di pochi eminenti Italiani; tuttavia, se non carit di patria, da un governatore era lecito attendersi almeno un po di senso di responsabilit della propria carica; senso di responsabilit che invece dimostr il Cardinale, per quanto non fosse sua materia, prescrivendo con lettera pastorale ai parroci che ammonissero pi e pi volte i fedeli del pericolo del contagio e dellobbligo stretto di rivelare ogni simile accidente, e di consegnar le robe infette o sospette. Luminoso esempio di spirito di iniziativa di fronte allinerzia delle autorit. In mezzo alle centinaia di migliaia di vittime senza nome, buttate nelle fosse comuni, il Tadino e il Ripamonti vollero tramandare ai posteri il nome di colui che introdusse la peste a Milano: fu un soldato italiano al servizio degli Spagnoli, il quale, avendo comprato o rubato ai lanzi delle vesti, entr nella citt con un gran fagotto di detta mercanzia, e and ad alloggiare presso parenti, nel borgo di Porta Orientale, proprio vicino al convento dei Cappuccini, al quale il nostro Renzo aveva bussato quella malaugurata mattina di San Martino. Il soldato sventurato, e portator di sventure, appena arrivato, sammal; fu portato allo spedale; dove un bubbone che gli si scopr sotto unascella, mise chi lo curava in sospetto di ci chera infatti; il quarto giorno mor. Siccome nellospedale caddero ammalati di peste i due infermieri e il frate che avevano assistito il poveretto, furono prese le debite precauzioni, che valsero a evitare il propagarsi del contagio in quel luogo. La Sanit fece inoltre segregare in casa la famiglia che aveva ospitato il soldato, bruciare il letto in cui aveva dormito e i suoi vestiti. Ma ci non valse ad arrestare il contagio, ormai penetrato in citt. Infatti il soldato, prima di andare in quella casa di suoi parenti, aveva girovagato per Milano, e del virus della peste ne aveva lasciato di fuori un semino che non tard a germogliare. E siccome la Sanit ordinava sequestri in casa degli ammalati e delle loro famiglie, la distruzione con le fiamme di tutti i panni e dei letti, con relativi materassi, lenzuola e coperte, oppure il trasferimento al lazzaretto di tutti i familiari e magari di tutti i coinquilini di coloro che cadevano ammalati, sorse come una gara accanita a trafugar e a nasconder robe, una cieca determinazione di non denunciare casi di peste, spesso con la connivenza interessata dei vigili sanitari o addirittura dei medici, non ancora tutti convinti del contagio. Anzi quei medici i quali erano convinti che si trattava di peste, vennero in odio al popolo, soprattutto i due della Sanit, che avevano dato il primo disperato allarme, e il padre di uno di essi, il gi nominato protofisico Lodovico Settala. Questi un brutto giorno, mentre si recava in bussola a visitare i suoi ammalati, rischi di venir linciato: la folla inferocita lo blocc per strada,

190

inveendo con insulti e gridando che lui, e gli altri che la pensavano come lui, erano nemici della patria, ma che lui era il capo di coloro che volevano per forza che ci fosse la peste, per far cassetta sullo spavento della gente. Niente di pi falso, perch egli curava spesso gratuitamente, ed era sommamente modesto e benefico; ma non gli valse nulla, perch la folla irragionevole diventava sempre pi minacciosa e rabbiosa; sicch i portantini, vedendo la mala parata, ricoverarono il padrone in una casa damici, che per sorte era vicina. Il Manzoni a questo punto osserva che questo trattamento gli tocc per aver veduto chiaro, detto ci che era, e voluto salvar dalla peste molte migliaia di persone; mentre invece aveva incontrato il favore e lapprovazione popolare qualche tempo prima, quando, con un suo deplorabile consulto, cooper a far torturare, tanagliare e bruciare, come strega, una povera infelice sventurata. Infatti anche lillustre protofisico seguiva, in certi campi, gli stolti pregiudizi del suo secolo, tra cui il pi rovinoso era quello dellesistenza delle streghe, generalmente povere donne malate di nervi o addirittura alienate, che venivano bruciate vive dopo orrendi supplizi, mentre avrebbero avuto bisogno di amorevoli cure. Verso la fine di marzo del 1630 la morbilit, con i ben noti segni, e la mortalit crebbe a tal punto in tutti i rioni della citt, che riusciva invero difficile non ammettere il contagio; ma chi non voleva che si parlasse di peste, per non dover riconoscere il proprio errore, trov la circonlocuzione di febbri maligne, febbri pestilenti: miserabile transazione, anzi trufferia di parole, e che pur faceva gran danno, perch non ammetteva quello che era pi importante ammettere e far sapere a tutti, che cio quella malattia si propagava per contatto o con persone o con cose infette. Se questo dato importantissimo fosse stato ben chiaro per tutti sin dal principio del morbo, questo poteva essere circoscritto o combattuto efficacemente. Avendo la Sanit prescritto che tutti i contagiati vi fossero portati, il lazzaretto rigurgitava di ammalati; e sebbene la maggioranza di essi morisse in pochi giorni, tuttavia lafflusso dei nuovi arrivati era tale, che il numero complessivo dei ricoverati and enormemente crescendo, creando gravi problemi di carattere sanitario, logistico e disciplinare. La Sanit, sotto la cui autorit erano la direzione e lamministrazione di quellimmenso nosocomio, non sapendo come provvedervi, pens di affidarlo ai Cappuccini. Furono designati a reggerlo padre Felice Casati, come direttore, e padre Michele Pozzobonelli, come suo assistente; poi vi accorsero altri frati a mano a mano che il bisogno crebbe; e furono in quel luogo sovrintendenti, confessori, amministratori, infermieri, cucinieri, guardaroba, lavandai, tutto ci che occorresse. Fu certamente uno strano ripiego affidare un simile ospedale a uomini che, per la loro formazione e per la stessa finalit dellOrdine, erano molto lontani da simili incombenze. Ma insieme un saggio non ignobile della forza e dellabilit che la carit pu dare in ogni tempo, e in qualunque ordin di cose, il veder questuomini sostenere un tal carico cos bravamente. E su questa bravura basta riportare una sola citazione, quella di Alessandro Tadino, testimone oculare, il

191

quale come medico e membro della Sanit era anche in grado di giudicare obiettivamente e con cognizione di causa. Egli dunque cos afferma (traduciamo dal suo italiano secentesco-lombardo): che se questi Padri ivi non si trovavano, al sicuro tutta la Citt annichilita si trovava; poich fu cosa miracolosa laver questi Padri fatto in cos poco spazio di tempo tante cose per beneficio pubblico, che non avendo avuto aiuto, o almeno poco dalla citt, con la sua (=loro) industria e prudenza avevano mantenuto nel Lazzaretto tante migliaia di poveri. A detta del Ripamonti, infatti, i ricoverati in quel nosocomio furono complessivamente 50.000 nei sette mesi che ne ebbe la direzione il padre Felice. Ormai pi nessuno negava la peste e il contagio; anche perch cominciarono ad ammalarsi e a morire dei cittadini appartenenti alla borghesia e alla nobilt, e non pi soltanto i popolani, come al principio dellepidemia. Si ammalarono, tra gli altri, tutti i familiari e la servit del protofisico Settala: di tanti scamparono solo lui e un figliolo. Ma purtroppo, mentre si riconosce la peste, ci si attacca lidea che sia propagata con venefizi e malefizi, o addirittura con arti e operazioni diaboliche. Era questo un terreno fertile di mille ubbe, in cui la fantasia popolare era abituata a esercitarsi sin dalla notte dei tempi. Ma purtroppo anche le persone autorevoli erano vittime di questi fatali pregiudizi. Cera stato anche il fatto che lanno prima era giunto da Madrid un dispaccio, firmato personalmente dal Re, che ordinava di stare allerta e fare ricerche, perch erano scappati dalla capitale spagnola quattro francesi, ricercati come sospetti di spargere unguenti velenosi, pestiferi. Questo dispaccio, che era stato comunicato anche alle autorit subalterne, aveva gi fatto nascere nella popolazione il sospetto indeterminato duna frode scellerata: quando poi la peste scoppi davvero, i pi ritennero che fosse stata provocata con empio divisamento, magari dimenticando di averla temuta, e forse anche predetta, in occasione della discesa delle truppe imperiali. Il Manzoni cita due casi di pretese unzioni a scopo venefico e pestifero (e untori furono chiamati quei fantomatici agenti nemici che si diceva le andassero facendo). Il primo si verific la sera del 17 maggio 1630, nel duomo: ad alcuni sembr di vedere degli sconosciuti che andavano ungendo una transenna. La cosa fu denunciata alla Sanit; e per quanto il presidente di questa, accorso di persona a ispezionare assieme ad alcuni subalterni, non avesse trovato nulla di sospetto, tuttavia, pi per cautela che per bisogno, sia la transenna che le panche (ad abundantiam!) furono portate fuori e sottoposte ad accurato lavaggio. Quel volume di roba accatastata osserva giustamente lAutore produsse una grandimpressione di spavento nella moltitudine, per cui un oggetto diventa cos facilmente un argomento. Il lavaggio, incautamente ordinato, dette credito al sospetto di unzione, il sospetto si mut subito, nei pi, in certezza; e lepisodio, passando di bocca in bocca, fu ingrandito in modo, che si disse in giro, come cosa certa, che nel duomo erano state unte transenne, panche, pareti, e financo le corde delle campane. Ma il giorno seguente i cittadini che uscirono mattinieri videro un pi orrendo spettacolo: muri e porte per lunghissimi tratti e in ogni parte della citt erano imbrattati con una poltiglia giallognola e quasi biancastra, applicata evidentemente con spugne o pennelli. A quella vista la citt fu presa dal panico,

192

ma per fortuna la Sanit non aveva ancora perso la testa. Furono fatti esami, eseguiti esperimenti su cani: non si trov che quella sudiceria recasse alcun male; e in una lettera al Governatore il tribunale di Sanit espresse il parere che quellimbrattamento fosse stato atto pi di insolenti temerari che di scellerati: insomma uno scherzo di cattivo genere. Ci non pertanto la Sanit pubblic un bando, con cui si prometteva premio e impunit a chi mettesse in chiaro lautore o gli autori del fatto, senza accennare affatto, come sarebbe stato doveroso, a quella ragionevole e acquietante congettura che giustamente avevano prospettata al Governatore. Perch? Questo silenzio si pu spiegare solo considerando che alla Sanit faceva, in certo qual modo, comodo che la grande epidemia fosse attribuita a un infame disegno, piuttosto che alla sua incapacit di prevenirla prima e di isolarla dopo. E cos la fantasia popolare, eccitata pi che calmata dalla grida, pot immaginare che quellunzione fosse o una vendetta di don Gonzalo, per gli insulti ricevuti alla sua partenza da Milano, o un espediente di quel diabolico Cardinale di Richelieu per impadronirsi del Ducato senza colpo ferire. Tuttavia cera un certo numero di persone le quali non erano ancora convinte che ci fosse la peste, che esistesse il contagio, e quindi non vedevano alcuna necessit di precauzioni, onde evitare il contatto con persone o cose infette. Costoro andavano blaterando che, se fosse davvero peste, tutti gli ammalati sarebbero morti, mentre era innegabile che alcuni, anche se pochi, guarivano. Per levare ogni dubbio, trov il tribunale della Sanit un espediente proporzionato al bisogno, un modo di parlare agli occhi, quale i tempi potevano richiederlo o suggerirlo. Essendo in quei giorni morta di peste unintera famiglia, i cadaveri ignudi, deposti su di un carro, furono portati al cimitero di San Gregorio in un giorno in cui era l affluito quasi tutto il popolo, per una commemorazione funebre dei morti della peste precedente, seppelliti appunto in quel camposanto. Era una ricorrenza tradizionale molto sentita, che richiamava ogni anno una grande affluenza di fedeli. Costoro si trovarono ad assistere allimprevisto e macabro spettacolo; cos ognuno pot vedere nei cadaveri il marchio manifesto della pestilenza. Si ottenne, naturalmente, leffetto voluto, ma in modo inopportuno e brutale: un grido di ribrezzo, di terrore, salzava per tutto dove passava il carro La peste fu pi creduta e quella riunione medesima non dov servir poco a propagarla. Il Manzoni, nella chiusa del capitolo, nota che molte idee, parecchie verit hanno avuto un destino simile al contrastato riconoscimento della peste di Milano del 1630: prima negate, poi ammesse a met, poi ammesse per intero, ma gi storpiate o corrotte da qualche pregiudizio, dovuto a ignoranza o interesse, il quale rappresentava come una vendetta postuma di quella certa mentalit che non voleva assolutamente accettarle, ed era stata poi smentita dalla realt dei fatti. Per nostra fortuna osserva lAutore non sono molte le verit che hanno conquistato la loro evidenza e ottenuto credito a un prezzo cos caro come la peste in parola. Come andrebbero meglio le cose per lumanit se, invece di seguire i pregiudizi o le apparenze o le dicerie, si ricorresse al metodo proposto da tanto tempo, dosservare, ascoltare, paragonare, pensare, prima di parlare. Se non erro,

193

il Manzoni ci vuole richiamare bonariamente al metodo scientifico, basato sullosservazione, sullesperimento e sul confronto; metodo affermato appunto nel Seicento, dal Galilei, ma anchesso riconosciuto tardi, dopo essere costato al sommo matematico tante sofferenze e innumerevoli guai. Ecco dunque un monito che dobbiamo accogliere: pensare, prima di parlare, per non venir sanza consiglio a larco,9 come dice Dante. Ma parlare conclude don Lisander con un sorriso darguzia talmente pi facile di tutte quellaltre cose insieme, che anche noi, dico noi uomini in generale, siamo un po da compatire.

Divina Commedia: Purg. VI v.131

194

CAPITOLO XXXII
Poich riusciva ormai impossibile provvedere ai bisogni della citt con i mezzi finanziari ordinari, il Consiglio dei Decurioni (una magistratura municipale, composta di nobili, che dur sino al 1796) il 4 maggio 1630 decise di ricorrere al governatore Spinola, impegnato nellassedio di Casale, per ottenere speciali stanziamenti e provvidenze da parte del Governo. Il 22 di quel mese (un po tardi, dal giorno in cui era stata presa la decisione) due componenti di quel consiglio, alluopo delegati, si recarono al quartier generale e fecero al Governatore le seguenti richieste: fosse sospesa la riscossione delle tasse, data la miseria generale per la paralisi di ogni attivit economica; le spese straordinarie per la peste fossero a carico dellErario e non del Municipio, come del resto era stato stabilito da un decreto di CarloV; si informasse il Re delle miserie della citt e del Ducato, per sollecitarne un intervento finanziario adeguato; dispensasse da nuovi alloggiamenti militari il paese gi rovinato dai passati. Lo Spinola per risposta diede delle belle parole, facendo delle promesse molto vaghe. Il Gran Cancelliere Ferrr allora gli scrisse, per comunicargli lo sconforto dei decurioni e di tutta la citt in seguito ai risultati deludenti dellambasceria, ma lo Spinola non fece nulla di concreto; anzi, per non essere pi seccato da quelle questioni, per lui del tutto marginali, trasfer addirittura la sua autorit al Ferrr medesimo, lavandosene cos le mani, onde dedicarsi completamente alla guerra. Questa poi, dopo aver portato nel Milanese la peste (che uccise un milione di persone, a dir poco), dopo aver desolati i luoghi per cui pass, e figuratevi quelli dove fu fatta; dopo la presa e il sacco atroce di Mantova; fin col riconoscerne tutti il nuovo duca, per escludere il quale la guerra era stata intrapresa. Solo che il Nevers dovette cedere una piccola porzione di territorio allaltro pretendente, Ferrante duca di Guastalla, e un pezzo di Monferrato al duca di Savoia, il quale a sua volta cedette Pinerolo ai Francesi; compensi diretti per la Spagna non ce ne furono, e praticamente si ebbe una diminuzione del suo prestigio in Italia. Il Consiglio dei Decurioni aveva anche deciso di chiedere al Cardinale di autorizzare una processione solenne col corpo di San Carlo, per ottenere lintercessione del Santo a favore dellinfelice citt. Federigo rifiut per molte buone ragioni: innanzi tutto non approvava quella cieca fiducia, espressa nella richiesta, che il morbo dovesse cessare con la processione; era poi sicuro che, se la grazia non si fosse ottenuta (come poteva essere, perch Dio concede o non le grazie, secondo i suoi imperscrutabili disegni), i fanatici, cio quelli che se ne ritenevano sicuri, si sarebbero scandalizzati, e anche il popolo fedele ne sarebbe rimasto turbato; infine era preoccupato per eventuali unzioni: infatti se gli untori esistevano davvero, nella processione avrebbero avuto agio di attuare i loro scellerati disegni, e comunque il radunarsi tanta gente non poteva che spander sempre pi il contagio: pericolo ben pi reale.

195

Il Cardinale mostrava personalmente di credere pi al pericolo reale del contagio che a quello eventuale degli untori; ma sta il fatto che il sospetto delle unzioni non solo si era ridestato col crescere della mortalit, ma si era anche generalizzato. Ormai i pi credevano che, se quelle prime unzioni, di cui abbiamo riferito, non avevano avuto effetti catastrofici, era perch erano stati tentativi di novizi; ma ora, si diceva, larte venefica si era perfezionata, ed era capace di produrre una polvere sottilissima e invisibile, che si attaccava ai panni e alle calzature di chi camminava per le strade anche con la massima circospezione. Il Manzoni riporta, dal Ripamonti, due episodi, per dimostrare come ormai il sospetto di veder ovunque untori aveva veramente stravolto le menti. Nella chiesa di SantAntonio, durante una solenne cerimonia religiosa, un vecchio ultraottantenne, prima di sedersi, aveva avuto linfausta idea di spolverare la panca col lembo del mantello: bast questo gesto, abbastanza abituale, per far travedere alcune donne che erano l vicino, le quali subito gridarono: dalli alluntore! I presenti, eccitati da quelle grida spiritate, piombano sul malcapitato, lo trascinano fuori a pugni e a calci e infine, mezzo morto, lo consegnano al giudice per la tortura, perch confessi il suo delitto sotto i tratti di corda; ma per fortuna la morte lo liber prima che fosse sottoposto al supplizio. Il secondo caso, che avvenne proprio il giorno dopo, non ebbe, fortunatamente, un epilogo cos deplorevole. Gi abbiamo detto che, e per la guerra in corso e per la comunicazione giunta da Madrid, i Francesi erano particolarmente sospettati del veneficio. Orbene tre giovani francesi, ben riconoscibili alla foggia del vestire, stavano come turisti osservando quella gran macchina del duomo, considerato allora lottava meraviglia del mondo per quanto non fosse ancora come lo ammiriamo oggi; qualcuno dei passanti si ferma insospettito, altri fanno lo stesso, e ben presto si forma un crocchio di malintenzionati. Bast che uno dei tre toccasse col dito la facciata, per accertarsi che fosse marmo, per scatenare coloro che stavano l a osservarli con occhio sospettoso: piombarono loro addosso come furie e, tempestandoli di percosse, li condussero al Palazzo di Giustizia. Per loro buona sorte esso era l vicino, ch altrimenti non ci sarebbero giunti vivi; e per maggiore fortuna trovarono giudici equanimi che, trovatili innocenti, li rilasciarono. Intanto i Decurioni, per nulla disarmati dal rifiuto del Cardinale, insistevano reiterando la loro richiesta, che il voto pubblico secondava rumorosamente. Linsistenza delle autorit e del popolo fu tale, che Federigo ritenne a un certo punto che fosse pi pericoloso mantenere il rifiuto, che cedere alle pressioni che gli venivano da ogni parte. Infatti, se la peste durava ancora, avrebbero detto che egli non aveva voluto farla cessare, permettendo la processione. Non che egli si preoccupasse dellimpopolarit, ma temeva il danno per la fede della gente semplice. Ormai il voto popolare era unanime, ed era giocoforza accontentarlo, affidandosi alla misericordia di Dio, che volesse per sua bont concedere la grazia tanto attesa, anche se non era davvero da cristiani collegare fanaticamente la concessione di questa grazia alluso di un mezzo arbitrario, quale quello della processione. Il tribunale di Sanit si sarebbe dovuto sentire in dovere di proibirla,

196

per il pericolo del contagio; ma esso non fece alcuna obiezione, forse per non rischiare lodiosit popolare. La solenne processione si fece l11 giugno, e dur dallalba, quando usc dal duomo col corpo di San Carlo, al pomeriggio, allorch vi rientr dopo aver percorse tutte le principali vie della citt. Il corteo si snod lentamente, con grande solennit, partecipandovi, col Cardinale, tutte le autorit e gran parte del popolo; le vie erano addobbate sfarzosamente, come nelle maggiori solennit e nei tempi migliori; anche la fede e la piet dei partecipanti era stata, in gran parte, viva e sincera. Ma nei giorni successivi, mentre appunto regnava quella presuntuosa fiducia, anzi in molti una fanatica sicurezza nel miracolo, come se avessero fatto un contratto con Dio, la mortalit crebbe con un salto cos subitaneo, che non ci fu chi non ne vedesse la causa, o loccasione, nella processione medesima. Si disse subito che, mescolati alla folla dei fedeli, gli untori avevano avuto agio di spargere le loro polveri finissime e invisibili, s da infettare e contaminare gran parte dei partecipanti, tanto pi che molti, per penitenza, andavano quel giorno a piedi nudi. I ricoverati nel lazzaretto salirono in poco tempo da 2.000 a 16.000; la mortalit giornaliera da 500 a oltre 3.500; la popolazione di Milano, che era prima della peste di 250.000 abitanti, fu alla fine ridotta a 64.000 anime. Ormai riusciva sempre pi difficile trovare il personale occorrente per il lazzaretto e per sgomberare le vie e le case dai morti e dagli ammalati; scarseggiavano anche le medicine, i viveri e i medici. Il personale subalterno della Sanit era formato da monatti e apparitori: gli uni erano addetti ai servizi pi umili e faticosi, come trasportare o seppellire cadaveri, condurre al lazzaretto gli ammalati, accudire ai bisogni dei ricoverati; gli altri, come fa capire la parola, dovevano precedere i carri, che andavano raccogliendo i morti o gli ammalati, sonando il campanello per avvertimento, affinch i passanti si ritirassero, onde evitare il contagio, e quelli che avevano in casa dei morti o dei malati approfittassero del passaggio del carro per il trasporto dei loro cari al cimitero o al lazzaretto. Sugli uni e sugli altri vigilavano i commissari, che erano agli ordini diretti della Sanit. Ma scarseggiando soprattutto i monatti, e per riempire i vuoti provocati anche tra essi dalla mortalit e per laccresciuto bisogno, veniva arrolata gente della peggiore risma, allettata non tanto dai salari quanto dalla rapina e dalla licenza. I monatti dunque erano ormai divenuti arbitri della situazione, i veri padroni di Milano: entravano liberamente nelle case, taglieggiavano i sani con minacce e violenze, si rifiutavano di portar via i cadaveri, magari gi in putrefazione, se non a un certo prezzo, si facevano pagare profumatamente per consentire che i malati venissero curati in casa, contro il regolamento; alcuni rubavano a man salva, altri sfogavano la loro libidine sulle donne indifese. Si disse, e lafferma anche il Tadino, che monatti e apparitori lasciassero cadere apposta dai carri robe infette, per propagare e mantenere la pestilenza, divenuta per essi unentrata, un regno, una festa. E se gli sventurati cittadini, per difendersi dalle angherie dei monatti, ricorrevano ai birri, cadevano, come si dice, dalla padella nella brace, perch anche costoro erano in gran parte nuovi assunti,

197

al posto di quelli portati via dal contagio, e avevano indossato la divisa pi che altro per avidit di guadagno: gente equivoca o di peggiore specie, che approfittavano della loro autorit per entrare nelle case e farne di tutti i colori, in combutta con i monatti e con gli altri elementi della malavita. Assieme allaumento della perversit umana si verific, per grazia di Dio, anche una sublimazione della virt in genere e della carit in specie, soprattutto da parte degli ecclesiastici, stimolati ed esaltati dallesempio trascinatore del loro Arcivescovo, il quale cos scriveva in una lettera di esortazione ai parroci: siate disposti ad abbandonar questa vita mortale, piuttosto che questa famiglia, questa figliolanza vostra: andate con amore incontro alla peste, come a un premio, come a una vita, quando ci sia da guadagnare unanima a Cristo. E non erano belle parole, ma quello che lui faceva ogni giorno, con semplicit e dedizione mirabile. Pregato insistentemente, da autorit, parenti e finanche principi circonvicini, di lasciare Milano, per ritirarsi in qualche villa di campagna, finch la furia della peste non fosse esaurita, non diede affatto ascolto a queste voci codarde, che lo invitavano, per cos dire, alla diserzione di fronte al pericolo; anzi si cacci pi animosamente in mezzo alla peste, incurante del contagio, per visitare ogni giorno malati e sequestrati, per portare a tutti aiuto materiale e conforto morale, in comunione spirituale con i sofferenti. Percorreva ogni giorno le strade della citt, entrando in tutte le case dove si patisse, vigilando, ammonendo, lodando, esortando, piangendo col suo popolo; sicch rest meravigliato anche lui alla fine, desserne uscito illeso. La carit operosa del Cardinale, dei sacerdoti e dei cappuccini del lazzaretto valse a evitare che il disastro assumesse le proporzioni di una catastrofe. A un certo punto mancarono gli uomini per raccogliere i cadaveri nelle strade e nelle case; non cerano neppure le fosse per seppellirli. Non sapendo pi come rimediare, il presidente della Sanit ricorse, per disperato, con le lagrime agli occhi, a quei due bravi frati preposti al lazzaretto; e padre Michele simpegn di sgombrargli, in quattro giorni, la citt dai cadaveri, e in otto di preparargli fosse sufficienti al bisogno futuro: e mantenne la promessa. Forza della carit! Nella citt desolata dallepidemia, assieme con la carit degli uni e la malvagit degli altri, crebbe anche la pazzia o meglio il delirio collettivo. Il popolo fantasticava di untori, sui quali correvano di bocca in bocca delle storie, date per certe, che invece erano frutto di menti stravolte e di animi esagitati, vere e proprie favole in cui spesso entrava anche il diavolo con tutta la sua corte di demoni. I dotti blateravano di influsso malefico di comete, di cui una era apparsa nel 1628, unaltra nel 1630 nel colmo della peste; deploravano la fatale congiunzione di Saturno con Giove, parlavano di magie, attingendo uninesauribile messe di bieche fantasie dalle Disquisizioni Magiche del gesuita belga Martino Delrio, il quale con questo suo trattato diede, per pi di un secolo, norma e impulso potente ai processi contro le streghe, con il loro strascico di legali, orribili, non interrotte carneficine. Giustamente il Manzoni chiama funesto questo religioso dalla fantasia esaltata, il quale, dando corpo alle ombre,

198

arm il truce sospetto popolare e religioso, perch si sfogasse nel sangue di povere donne innocenti. Ma naturalmente non tutti furono travolti da queste bieche fantasie del volgo, o da questi ugualmente funesti deliramenti dei dotti; cera della gente savia la quale non credeva n agli untori n alle arti magiche o venefiche, ma se ne stava zitta, per non esporsi inutilmente a scherni o, peggio, a sospetti di connivenza interessata. Questo afferma il Muratori, che lo sapeva da buona fonte; si vede dunque che il buon senso cera; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune, cio della voce pubblica, della vociaccia del popolo, che in questo caso non era certamente la voce di Dio, bens del pi fanatico pregiudizio. Ci si potrebbe chiedere di qual parere fosse il cardinal Federigo circa le unzioni. Ludovico Muratori e Pietro Verri, storici molto obiettivi, affermano che egli dubitava dellesistenza di untori e di unzioni; il Manzoni, pur con tutto il desiderio che aveva di far fare una bella figura al mirabile Arcivescovo, riconosce sinceramente, avendo compulsato i suoi scritti, che egli, pur essendo stato in principio piuttosto incredulo, in seguito inclin a credere che nella cosa ci fosse qualcosa di vero, pur in mezzo alle inevitabili esagerazioni. E questo prova quale potenza di influsso possa avere un pregiudizio, se universalmente creduto, anche sulle menti pi equilibrate e sugli animi pi retti. Anche questi cedono talora allopinione pubblica o allimpulso trascinatore di un sentimento universale, che soggioga per cos dire, col cuore, anche la ragione. E questo possiamo dire anche a proposito del cedere di Federigo alla richiesta generale di effettuare la processione: certo ag egli in perfetta buona fede, in quella occasione, e se errore ci fu, tutto da imputarsi allintelletto, e da scusarne pienamente la coscienza. Ma era impossibile che tutti, o quasi, credessero agli untori, senza che qualcuno dicesse di averli visti. Ormai la gente era suggestionata; questo timore delle unzioni era divenuto un incubo continuo, per cui molti appestati in delirio, con la mente stravolta dallaltissima febbre, andavan farneticando di unzioni e facevano addirittura gesti da untori; il che faceva credere anche ai familiari che essi fossero stati nascostamente degli untori, e confermava quindi la credenza ormai universale. A poco a poco il sospetto di unzione dilag anche nellinterno delle case, e ci si guard dai parenti pi stretti: nessun legame di affetto o di sangue fu ritenuto tanto saldo, da non dare adito allatroce dubbio. Cosa orribile a dirsi! esclama il Ripamonti la mensa domestica, il letto nuziale, si temevano, come agguati, come nascondigli del venefizio. In tutte le pestilenze verificatesi in Italia e allestero, in quel secolo e nel precedente, furon processati e condannati a supplizi, per lo pi atrocissimi, dove qualcheduno, dove molti infelici, come rei daver propagata la peste, con polveri, o con unguenti, o con malie, o con tutto ci insieme. Anche la peste di Milano del 1630 ebbe simili vittime del pregiudizio e del fanatismo; e sui processi contro gli untori di Milano il Manzoni ha voluto scrivere una monografia, alla quale si accenna verso la fine di questo capitolo. Essa fu pubblicata come appendice alledizione definitiva del romanzo (1840 42) col titolo di Storia della colonna infame.

199

In questo opuscolo lAutore, in polemica con quanto Pietro Verri aveva affermato nelle Osservazioni sulla tortura, sostiene che la condanna dei due presunti untori milanesi, il barbiere Giangiacomo Mora e il commissario di Sanit Guglielmo Piazza, fu dovuta non tanto alle primitive e barbariche istituzioni giudiziarie del tempo, quanto alla volont di condannare a ogni costo. La passione generale e la necessit di dare finalmente un esempio, dopo tanto gridare che sera fatto contro le unzioni, aveva talmente stravolto le menti e suggestionato gli animi dei giudici, che essi, pur di condannare, violarono anche le disposizioni vigenti, che pur non erano fatte per difendere linnocenza degli imputati dalla strapotenza di giudici prevenuti. Quei due poveri innocenti dovevano essere condannati: le autorit e il popolo inferocito dalla calamit non avrebbe tollerato unassoluzione! E fu condanna veramente raccapricciante: furono innanzi tutto tagliate loro le mani, ree di aver manipolato e sparso le polveri venefiche, quindi i loro corpi sanguinolenti furono straziati con tenaglie roventi, e infine furono sgozzati dopo sei ore di lento e inumano martirio. La casa del Mora venne rasa al suolo, e sullarea rimasta libera fu eretta una colonna a eterna sua infamia, per indicare il luogo come maledetto e inabitabile. Con questa barbarica esecuzione fu saziata la sete popolare di vendetta contro gli odiati untori, mentre le autorit governative potevano, grazie al verdetto dei giudici, trarre un respiro di sollievo e sentirsi la coscienza in pace: se la peste recava tanto danno e menava tanta strage, la colpa era di quei diabolici e inafferrabili untori; avevano, dopo lunga e snervante ricerca, finalmente messo le mani su due di essi, due soli, purtroppo; ma la condanna era stata veramente esemplare, tale da scoraggiare chiunque osasse attentare alla pubblica sanit!

200

CAPITOLO XXXIII
Con questo capitolo, esaurita la narrazione generale riguardante la peste, si torna a parlare dei nostri personaggi, a cominciare da don Rodrigo. Abbiamo gi visto come costui, dopo la liberazione di Lucia, nel novembre del 1628, e allannunzio che il Cardinale sarebbe venuto in visita pastorale alla parrocchia di don Abbondio, lasciasse il suo palazzotto di villeggiatura nel Lecchese e se ne tornasse a Milano, per dimenticare negli stravizi la mancata soddisfazione del suo turpe capriccio. Da allora lAutore non parla pi di lui sino a questo punto della vicenda, cio al colmo della peste, nellestate del 1630. Siamo portati a credere che egli sia rimasto sempre a Milano, rinunciando nel 1629 alla consueta villeggiatura autunnale nel suo palazzotto presso il paese di Lucia, non tanto per il passaggio dei lanzichenecchi, quanto perch ivi il suo prestigio era irrimediabilmente compromesso, e il posto stesso gli rievocava ricordi tormentosi. La carestia del 1629 naturalmente non lo tocc n materialmente n moralmente, e neppure lo angusti la discesa delle bande alemanne: erano flagelli per la povera gente, nata per lavorare e per soffrire, non per lui, rampollo della classe privilegiata, per la quale la vita devessere una festa. Per quanto il Manzoni non ne dica nulla, possiamo ben pensare che il giovin signore abbia continuato la sua vita di piaceri e di bagordi, nonostante la miseria e la sofferenza di tanta parte del popolo. La guerra e la fame non gli facevano paura; non erano per lui, non lo toccavano; ma collinizio del nuovo anno la peste cominci a circuirlo, a minacciarlo, quasi per ricordargli che era anche lui mortale: gli port via prima il Conte zio, il gran politico, sostegno e vanto del casato, ma lui non se lebbe per inteso, perch lo zio era ormai vecchio e se ne doveva andare. Pi in l il contagio gli port via anche il verde cugino conte Attilio, compagno di vizi e alleato nelle malefatte, stuzzicatore sarcastico dei suoi bassi istinti come del suo orgoglio nobilesco; ma lui continu imperterrito a spassarsela coi suoi pari, soliti a darsi a ogni specie di orge, in un ridotto di giovani ricchi e cinici: si riunivano insieme quasi ogni giorno, per i loro stravizi, e ogni volta ce neran dei nuovi, e ne mancava dei vecchi. Anche questo era un segno inquietante, ma lui non ci badava, o meglio non ci voleva pensare, perch quel pensiero lo poteva portare ad amare considerazioni, e lui voleva affogare nei piaceri ogni conato di riflessione. Dei suoi numerosi e spavaldi giannizzeri, lustro e decoro della sua casa come sostegno della sua prepotenza, ne erano rimasti ben pochi: il fedel Griso e un altro paio; ma lui continuava la stessa vita godereccia, ridendosela della peste, come se non fosse affar suo. E se talvolta, in qualche momento di ripensamento, la paura di morire lo attanagliava, egli aveva cura di nascondere questa momentanea debolezza sotto la maschera del cinismo e dellallegria. Una sera, sulla fine di agosto, proprio quando la peste ghermiva le sue vittime a migliaia al giorno, egli era stato uno dei pi ridanciani, in quel ritrovo di giovini signori; e tra laltre cose, aveva fatto rider tanto la compagnia, con una specie

201

delogio funebre del conte Attilio, portato via dalla peste, due giorni prima. Forse la sua allegria era in parte sincera: per quanto fossero compagni di vizi e di malefatte, il cugino gli era stato sempre un po sullo stomaco per la sua aria di superiorit, per il suo risolino ironico, per la pronta e spietata canzonatura di ogni sua presunta vilt; ne aveva sempre avvertito linflusso malefico, che aveva condizionato, anche a distanza, il suo comportamento e le sue azioni. In fondo in fondo lo odiava, perch lo sentiva cos diverso da s: sempre sicuro, sprezzante, sarcastico; mentre lui aveva ogni tanto quelle debolezze, quelle paure, che doveva tenersi per s, cercando di affogarle nellalcool e nella sensualit. Ora, con la morte del cugino, si sentiva finalmente libero da quellopprimente controllo, da quella specie di odiosa ipoteca sulla vita sua, che colui sembrava essersi arrogata, chi sa per quale diritto; sentiva di aver avuto, finalmente, una rivincita su di lui, non intera, perch postuma, ma tale da sentirsene euforico. E in questo stato di euforia aveva brindato alla morte del cugino, tessendone il panegirico in chiave umoristica, con molto successo, tanto che lallegra brigata si scompisci dalle risa. Il successo lo aveva esaltato: ora che era tramontato lastro del cugino, poteva brillare nella compagnia lastro suo, finalmente! Tornando a casa in compagnia del suo fido guardaspalle, sentiva per un certo malessere, che avrebbe voluto attribuir solamente al vino, alla veglia, alla stagione; ma la paura della peste era l sempre viva e presente, giacch era ancor pi facile prenderla in ischerzo, che passarla sotto silenzio. Giunti al palazzo, comand al Griso di accendergli un lume, per andarsi a coricare. Pur a quella fioca luce il servitore osserv il viso del padrone, stravolto, acceso, con gli occhi in fuori, e lustri lustri, e se ne stava perci alla larga, perch ormai ogni scalzacane aveva acquistato, come si dice, locchio medico. Don Rodrigo, accortosi del fare guardingo del servitore, cerc di rassicurarlo dicendo che aveva bevuto una vernaccia traditora, la quale lo aveva un po stordito, ma che con una buona dormita la sbornia passerebbe senzaltro; gli ordin quindi di portar via immediatamente quel lume, che gli dava fastidio agli occhi, e di stare attento e allerta, perch avrebbe sonato il campanello, se per caso avesse avuto bisogno di qualcosa; ma certamente non avrebbe avuto bisogno di niente solo di dormire. Ma quando si cacci sotto le coperte, queste gli parvero di piombo, e si sentiva come oppresso e soffocato; le butt subito via, e si rannicchi cercando di dormire; ma appena velava un po locchio, si risvegliava di soprassalto, come se uno, per dispetto, fosse venuto a dargli una tentennata. Era accaldato, sudato, smanioso; pensava allafa di quella torrida estate, al troppo vino bevuto, agli stravizi a cui si era abbandonato, e avrebbe voluto poter dar loro tutta la colpa del suo stato presente; ma ricordava con preoccupazione che anche le altre sere si era abbandonato agli stessi eccessi, eppure si era sentito benissimo, o forse solo un po di stanchezza, mentre allora si sentiva addosso un affanno insopportabile, una smania e una gravezza mai sentita in vita sua, inspiegabile; e lidea della peste gli si affacciava sgarbata e sinistra. Dopo uno smanioso voltarsi e rivoltarsi, fu preso da un certo torpore, e finalmente si addorment, e cominci a fare i pi brutti e arruffati sogni del

202

mondo. I sogni, come si sa, sono manifestazioni tipiche del nostro subcosciente, dove giacciono latenti e confusi i timori, le speranze, le esperienze e le fantasie, le cose viste e le cose lette, le cose volute o semplicemente pensate o immaginate di tutta la vita passata, le quali appunto nel sogno riaffiorano in modo caotico, non essendoci, nel sonno, il controllo ordinatore della coscienza razionale. Nel subcosciente di don Rodrigo erano rimasti la preoccupazione e lo spavento causatigli dallo scontro con fra Cristoforo, e specialmente da quellinfausta profezia Verr un giorno che, anche cos tronca, gli aveva fatto venire i bordoni. Aveva cercato di dimenticare quella predizione, di seppellire quellimpressione di spavento in una vita sfrenata e gaudente, ma cera riuscito solo in parte: ogni tanto il confuso ricordo di quel giorno veniva sgarbatamente a insinuarsi nel suo pensiero, rinnovandogli un molesto senso di preoccupazione e di ansiet. Era quindi ben naturale che quella sensazione di spavento riaffiorasse ora dal subcosciente e si manifestasse in forme oniriche, cio in immagini confuse e disordinate, ma vive e impressionanti. Da un sogno allaltro parve dunque al febbricitante signorotto di trovarsi in una grande chiesa, piena di gente squallida, di una marmaglia stomachevole, che invece di tenersi a rispettosa distanza, lo pigiava da ogni parte, senza alcun riguardo. Era perci pieno di stizza, e non si capacitava come mai gli fosse venuta lidea di entrare in una chiesa, lui che non ci andava mai, e di cacciarsi per di pi in mezzo a quella massa di appestati, che lasciavano scorgere i loro sozzi bubboni dagli strappi dei vestiti tutti logori e a brandelli. Gridava perci a quella canaglia di cenciosi che facessero largo, ma nessuno si moveva, anzi lo premevano sempre pi, e soprattutto gli sembrava che qualcuno col gomito lo punzonasse tra il cuore e lascella, dove sentiva una puntura dolorosa e come pesante. Pens allora di metter mano alla spada, per liberarsi da quella lercia turba che lo soffocava, e gli sembrava che, nella calca, fosse proprio lelsa dellarma che lo urtasse nel punto dove sentiva dolore; fece dunque per afferrarla, ma non trov la spada; sent solo una fitta pi forte, che gli tolse il respiro. Tuttaffannato si mise a sbraitare e a strepitare, gridando invano che gli facessero largo, allorch tutti quei volti squallidi, con gli occhi abbacinati, si alzarono verso il pulpito dal quale, in mezzo alla generale sospensione e a un silenzio attonito, emerse a poco a poco un cappuccino, fra Cristoforo, alto diritto dominatore, mentre lui era subissato da quella turba ripugnante. Il frate, fulminato uno sguardo in giro su tutto luditorio, parve a don Rodrigo che lo fermasse in viso a lui, alzando insieme la mano in atto di rampogna, come appunto quel giorno nel suo palazzotto. Allora fu assalito dalla rabbia e dallo spavento, e con un balzo cerc di afferrare quella mano minacciosa, emettendo contemporaneamente un grandurlo, che lo fece svegliare. Quando si raccapezz, dopo la confusione e il turbamento dei primi momenti, cap che per fortuna era stato solo un brutto sogno; tutto era sparito: frate, chiesa, quella sudicia marmaglia. Ma ebbe appena assaporata questa soddisfazione, che si accorse con spavento che quel dolore sotto lascella sinistra non solo non era scomparso, ma sembrava anzi cresciuto, ed insieme era aumentata la palpitazione di cuore, la pesantezza di testa, larsione interna. Dopo un po di esitazione

203

paurosa, si decise a scoprire la parte che gli doleva: guard paventosamente, e vide un sozzo bubbone dun livido paonazzo. Luomo si vide perduto: il terror della morte linvase. Queste due ultime notazioni sono veramente scultoree nella loro tragica e cruda evidenza. Lo spavaldo signorotto, che si era ritenuto immune dai mali dei comuni mortali, che aveva osato ridere sulla morte altrui, ora che raggiunto dalla sventura, mostra tutta la sua vilt; lui che, ridendosela di Dio e della sua legge, aveva contristato non uno, ma molti spiriti immortali, ora sente la sua nullit davanti alla peste che lo ha ghermito con le sue inesorabili grinfie. Ma, pi della morte, lo terrorizzava il pensiero di diventare preda dei monatti, di essere caricato su quei luridi carri, per essere portato alla bolgia del lazzaretto, dove sarebbe stato gettato a languire su quella fetida paglia. A questo non si rassegnava, e doveva evitarlo assolutamente, questo scempio della sua persona: era ricco, e aveva ancora dei fedeli servitori che lo avrebbero difeso, curato, assistito! Son convulsamente il campanello; al Griso, che subito comparve, ricord che lui era stato sempre il suo fedelissimo, e che di lui quindi si poteva fidare; aggiunse che gli aveva sempre fatto del bene, e promise che pi ancora gliene farebbe in futuro. Dopo questo preambolo, confess che stava male. Il servitore rispose che se nera accorto, e intanto si manteneva a debita distanza, aspettando dove andassero a parare queste gentili premesse, che non potevano davvero mutare la sua decisione, ormai irremovibile; il ribaldo ci aveva probabilmente pensato tutta la notte, mentre vegliava insonne accanto alla camera del malato. Il padrone finalmente si decide a parlare, a dire che cosa vuole ora da lui; ma lo fa con insolita cortesia: Fammi un piacere, Griso. Notiamo con quale riguardo si rivolge al suo fido, al quale in precedenza mai si era sognato di chiedere dei favori, ma sempre aveva imposto dei comandi, anche duri, e con tono imperioso. Anche il Griso nota questo cambiamento di tono, e ne ride in cuor suo; ma dissimulando il suo stato danimo, risponde prontamente: Comandi. Il ribaldo, rispondendo con la formula solita a quellinsolita, ristabilisce per cos dire le distanze tra lui e il padrone, respingendo implicitamente ogni richiesta di maggiore familiarit. E vero, don Rodrigo fa veramente pena in questo suo maldestro tentativo di stabilire col suo servitore dei nuovi rapporti, basati sulla riconoscenza e sulla fiducia; tuttavia bisogna riconoscere che egli soltanto ora, che colpito dalla sventura, acquista una sua dimensione umana, con tutte le debolezze degli uomini comuni, le quali ne fanno non pi un oggetto di odio, ma una persona degna di compassione. Il nostro stato danimo verso di lui ora mutato, perch la sofferenza rende, per cos dire, sacra la persona che ne colpita; ora noi la rispettiamo, e la nostra avversione la riversiamo tutta contro chi si prepara a consumare il pi nero tradimento verso colui che, in definitiva, lo ha beneficato, dandogli uno stipendio e mettendolo al sicuro dalla polizia. Don Rodrigo preg dunque il servitore di andare col massimo riserbo dal medico Chiodo, il quale era un galantuomo che, pagato bene, curava in casa i malati, senza denunciarli allautorit sanitaria; e di invitarlo a venire subito a visitarlo, assicurandogli lonorario che volesse; ma tutto nel pi assoluto segreto! Il Griso

204

approva la decisione del padrone e aggiunge : Vo e torno subito. Prima che uscisse, don Rodrigo, non resistendo pi allarsura della gola, gli chiese di portargli un bicchier dacqua; ma il ribaldo, che non vuole accostarsi al malato per nessun motivo, finge una certa precauzione di carattere sanitario, e rivestendosi di autorit, risponde impassibile: No, signore: niente senza il parere del medico. Quindi esce subito per la sua commissione. Il medico abitava piuttosto vicino; e don Rodrigo, il quale aveva seguito col pensiero il suo servitore lungo la strada che doveva percorrere, dopo un po cominci a stare in orecchi, perch gli sembrava che colui dovesse essere ormai di ritorno, in compagnia del medico. A un tratto sente un tintinnio di campanello, che sembra venire non dalla strada, ma da dentro la stessa casa. E tuttorecchi, col fiato sospeso, ma col cuore in tumulto: sente distintamente un rumore di molti passi, poi, nella stanza attigua, quello di un oggetto che viene deposto a terra con riguardo. Cos mai? Un orrendo sospetto gli passa per la mente: Si rizza a sedere sul letto, tutto sconvolto; ma nel frattempo la porta si aperta, e sono apparsi due loschi figuri vestiti di rosso, due facce scomunicate, due monatti, in una parola; vede mezza la faccia del Griso che, nascosto dietro un battente socchiuso, riman l a spiare. Il povero tradito impreca a quellinfame, grida aiuto invocando gli altri due servitori, e afferra la pistola da sotto il capezzale; ma gi i monatti gli sono addosso, e uno gli strappa larma, schernendolo con cruda ironia: Ah birbone! contro i monatti! contro i ministri del tribunale! contro quelli che fanno lopere di misericordia! Don Rodrigo cerca invano di divincolarsi dalla morsa di quelle manacce, e grida con voce roca: Lasciatemi ammazzar quellinfame, e poi fate di me quel che volete. Poi tornava a chiamare, con quanto fiato aveva in corpo, Biondino e Carlotto, ma inutilmente: il Griso li aveva naturalmente mandati lontano, con finti ordini del padrone; e ora poteva senza alcuna preoccupazione scassinare lo scrigno della camera, per dividere la preda con i compagnoni, secondo laccordo pattuito. Lappestato, dopo aver a lungo smaniato, gridato e imprecato contro labominevole Griso, che era tutto intento a cavar fuori dalla cassaforte il tesoro del padrone, dopo aver tentato ancora una volta, con un supremo sforzo, di liberarsi dalle mani forzute di uno dei monatti, le quali lo tenevano inchiodato sul letto, cadde infine esausto; i riflessi gli si annebbiarono ed egli, divenuto come balordo, si calm affatto, salvo a lamentarsi miserabilmente con un gemito flebile e arrantolato. Intanto il Griso con laltro monatto avevano fatto le tre parti del bottino, delle quali ognuno prese la sua; dopo di che il miserabil peso fu caricato sulla barella e portato via al suo destino: il carro comune lo avrebbe trasportato al lazzaretto. Quel vigliacco del Griso aveva cercato bens di stare alla larga sia dal padrone sia dai monatti, per paura del contagio; ma prima di lasciare la camera, accecato dallavidit, non si tenne dal frugare nei panni del padrone, per prendere dalle tasche il denaro che cera. Per amore dei soldi non pens gran che al contatto con quei vestiti infetti. Il giorno dopo per, mentre si dava ai bagordi in una bettola,

205

assieme a dei compari, fu assalito improvvisamente dai brividi, sent un languore mortale e cadde di peso sul pavimento; un caso, non raro, di peste fulminante. Abbandonato dai compagni, and in mano dei monatti, che, spogliatolo di quanto aveva indosso di buono, lo buttarono sur un carro; sul quale spir, prima darrivare al lazzaretto, dovera stato portato il suo padrone. Abbiamo detto, altra volta, che questo sgherro era degno di don Rodrigo; ora, dopo il suo vile tradimento, possiamo precisare che egli, pari al suo padrone in malvagit e cinismo, lo superava certamente in vilt e perfidia. E il Manzoni gli fa fare proprio la fine che meritava. Questo abbietto assassino, col suo perfido comportamento, ci fa quasi sentir piet del suo padrone, vittima insieme della peste e del suo fido. A questo proposito ci torna in mente lapostrofe che lAutore rivolge al Griso nel capitolo XI, la quale conclude con laffermazione che qualche volta la giustizia, se non arriva alla prima, arriva, o presto o tardi anche in questo mondo. Ed una giustizia che, purtroppo, non d alcun adito alla misericordia. Ma lasciando per sempre questa odiosa figura di ribaldo, che non ci commuove neppure quando casca a terra stecchito, torniamo al nostro Renzo, che abbiamo lasciato, col nome di Antonio Rivolta, nel nuovo filatoio, dovera stato portato dal cugino Bortolo. In verit stette l pochi mesi; infatti, dichiarato lo stato di guerra tra la Serenissima e la Spagna, e non essendoci quindi pi pericolo di cattura per richiesta delle autorit milanesi, a Bortolo convenne andarselo a riprendere, per tenerlo con s, dato che gli era di grande aiuto nelle sue mansioni di factotum, essendo un giovane intelligente, onesto e capace. Il fatto che Renzo non sapesse leggere e scrivere era, per la mentalit del cugino, come una garanzia: ignorando quellarte, cos indispensabile allamministrazione, non poteva mai aspirare a divenire lui il factotum; insomma doveva necessariamente rimanere in posizione subordinata. Non mancava dunque, nellanimo di Bortolo, bravuomo del resto, un po di gelosia, un certo calcolo del proprio tornaconto; era un uomo pratico, lui, e pensava che fidarsi bene, ma non fidarsi meglio. Voleva bene a Renzo, era disposto ad aiutarlo, ma non voleva rimetterci lui, non gli piaceva essere scavalcato; era in certo qual modo ambizioso, e temeva lambizione altrui; ma per sua fortuna Renzo, anche volendolo, non avrebbe potuto scalzarlo nella stima e nel favore del padrone della filanda. Il Manzoni, a questo proposito, osserva con un sorriso: Forse voi vorreste un Bortolo pi ideale: non so che dire: fabbricatevelo. Quello era cos. Anche gli uomini migliori hanno le loro pecche. Dopo aver saputo del voto di Lucia, al giovane era venuto pi di una volta luzzo di arrolarsi, e cos cercare di dimenticare; e quando Venezia cominci a mobilitare truppe in vista delle ostilit contro la Spagna, maggiormente egli fu tentato di farsi soldato, perch si parlava di invadere il Milanese; e Renzo immaginava gi di tornare in figura di vincitore a casa sua, riveder Lucia, e spiegarsi una volta con lei. Ma Bortolo, col suo buon senso, aveva sempre saputo stornarlo da quellidea guerresca con validi argomenti; e lo stesso fece allorch il cugino manifest lintenzione di tornare al suo paese sotto mentite spoglie; Renzo gli diede ascolto, e si convinse a pazientare, in attesa di qualche circostanza pi favorevole, che gli permettesse di tornare a casa senza troppo pericolo. Scoppiata

206

poi la peste, Renzo se la prese quasi subito, ma ne guar: uno dei pochi fortunati. Col tornar della vita, risorsero pi che mai rigogliose nellanimo suo le memorie, e con queste il pensiero e il desiderio di Lucia: che ne era di lei? era viva, era sana? e come chiarire una buona volta quellimbroglio del voto? Soltanto andando lui, di presenza, avrebbe potuto chiarire tuttinsieme questi dubbi, i quali ormai non gli davano pi pace. Decise perci di andare senzaltro, non appena si sarebbe sentito di nuovo in gamba. La cattura non gli dava pi pensiero: ormai la polizia era decimata, e poi aveva altro da pensare; la peste era un buon lasciapassare. Confermandosi nel suo proposito, si ripeteva spesso: Se lascio scappare una occasione cos bella, non ne ritorna pi una simile! Lo speriamo bene! Prima di mettere in atto il suo proposito, and a darne notizia a Bortolo il quale, non avendo avuto la peste, se ne stava molto riguardato ed evitava ogni contatto, specie con persone che avessero gi avuto la malattia. Renzo perci lo chiam dalla strada, facendolo affacciare alla finestra. Bortolo si congratul col cugino, non senza una punta dinvidia: beato chi era guarito, e poteva quindi pensare allavvenire senza pi nessuna preoccupazione, essendo ormai immune al morbo, mentre lui chi sa se poteva starne fuori sino alla fine e se fosse caduto ammalato, chi sa come sarebbe andata a finire Comunque sperava bene. Alla proposta di Renzo, non fece alcuna obiezione, e si limit ad augurargli una felice riuscita: Va, questa volta, che il cielo ti benedica: cerca di schivar la giustizia, comio cercher di schivare il contagio. Nel suo senso pratico, capiva che la peste rendeva ora facile ci che prima era difficile e pericoloso; perci approv e incoraggi lidea del cugino. Il giorno della partenza, Renzo si cinse a carne nuda una cintura, con cuciti dentro quei cinquanta scudi, che non aveva mai voluto toccare, come se avesse fatto un voto; si mise in tasca i suoi risparmi e un benservito al nome di Antonio Rivolta, che gli poteva essere utile nel caso che fosse fermato dai birri; non dimentic, in un taschino dei calzoni, un coltellaccio, chera il meno che un galantuomo potesse portare a quei tempi. E savvi franco e risoluto, nel colmo della peste, proprio tre giorni dopo che don Rodrigo era stato portato al lazzaretto, senza pi alcuna preoccupazione per la sua salute, poich si sapeva benissimo che la peste d immunit, ma solo preoccupato per quello che andrebbe a scoprire nei riguardi di Lucia. Pens bene di passare prima dal suo paese: cos avrebbe potuto sapere da Agnese, se era viva, le ultime notizie della figlia, e anche lindirizzo esatto di Milano, che dalle lettere non aveva potuto decifrare con sicurezza, stante la calligrafia poco chiara. Verso sera giunse al paese, che aveva lasciato due anni prima con una fuga notturna, e prov una commozione profonda nel rivedere quei luoghi cos familiari. Non volendo farsi scorgere dagli abitanti, si diresse per una viottola esterna alla casa di Agnese, dove aveva pensato di chiedere alloggio, ritenendo la sua inabitabile se non da topi e da faine. Mentre visibilmente emozionato si avvicinava alla meta, vide un uomo seduto a terra, appoggiato a una siepe, con unaria incantata, tanto che gli sembr di ravvisare quel povero mezzo scemo di

207

Gervaso; ma avvicinatosi, riconobbe che era Tonio il quale, sfigurato dal morbo, rassomigliava ancor pi a quello scimunito del fratello. Renzo cerc di farsi riconoscere, ma quello, avendo la mente stravolta dalla peste, non faceva che ripetere: A chi la tocca, la tocca. Evidentemente era la frase che riassumeva la sua concezione fatalistica nei riguardi dellepidemia che infuriava; chi sa quante volte laveva detta prima, a proposito degli altri, con un senso di rassegnazione; ora che la malattia ha colpito anche lui, la ripete ancora, con un certo sorriso sciocco. Povero Tonio! Rattristato a quella vista, il giovane riprese la sua strada, ma dopo pochi passi scorse da lontano un prete: don Abbondio in persona! Camminava adagio adagio, portando il bastone come chi n portato a vicenda, e quando anche lui riconobbe Renzo, alz le mani al cielo, con un movimento di maraviglia scontenta, perch il ritorno di colui al suo paese lo metteva in un grande imbarazzo, data anche la cattura che aveva addosso. Il breve colloquio di Renzo col suo curato interessantissimo: da una parte il giovane che ansiosamente vuol sapere notizie di Lucia, di Agnese, di fra Cristoforo, dei morti di peste nel paese, e incalza con le sue domande pressanti; dallaltra don Abbondio il quale, sin dal principio, cerca di respingerlo indietro con una espressione disgustata e scandalizzata, investendolo con un Siete qui, voi? Ma Renzo non gli d il tempo di esprimere il suo rimprovero, tempestandolo di domande, alle quali laltro risponde a malincorpo e quasi evasivamente, premendogli piuttosto di manifestargli tutta la sua riprovazione per la sua venuta inconsulta. Finalmente, dopo ripetuti tentativi, ci riesce a sottrarsi un poco a quella gragnola di domande, e gli dice stizzito: Ma voi, dico, cosa venite a far da queste parti, per amor del cielo? Non sapete che bagattella di cattura? Facendolo scandalizzare ancora di pi, Renzo gli risponde che non se ne cura della polizia, e chiede piuttosto se don Rodrigo l a villeggiare; e siccome don Abbondio elude la domanda, timoroso di fornire uninformazione sul conto del temuto signorotto, il giovane ripete la domanda con risolutezza impaziente, deciso a sapere ci che gli preme: Domando se qui, colui. E siccome il pavido prete traccheggia ancora, sbotta iroso: C o non c? Messo alle strette, don Abbondio finalmente si decide, senza bisogno che, questa volta, il focoso giovane metta la mano sul suo coltellaccio, a scopo puramente intimidatorio, e risponde con tono conciliante: Non c, via. Ma, e la peste, figliuolo, la peste! Renzo replica che lui lha avuta, per grazia di Dio, e non la teme pi; poi chiede al curato se lha avuta anche lui, come pare dallaspetto, e se nel paese ne son morti molti. Con evidente soddisfazione don Abbondio risponde che anche lui lha scampata, e volentieri indugia a parlare della sua malattia, perfida e infame, come la chiama; poi elenca, a cominciare da Perpetua, una filastrocca di persone e di famiglie intere, portate via dallinesorabile morbo. Ma poi si accorge di essersi lasciato troppo andare in quel discorso, e torna agli ammonimenti, alle preghiere di tornar subito sui suoi passi. Renzo per non lintende cos, per cui il curato stizzosamente lo rimprovera: Ho inteso. Volete rovinarvi voi, e rovinarmi me. E cos lo lascia, riprendendo borbottando la sua strada.

208

Avendo saputo da don Abbondio che Agnese non era in paese, ma a Pasturo, dove la peste non infieriva troppo, Renzo decise di andare ad alloggiare presso un amico dinfanzia, il quale era rimasto solo soletto a causa della moria. Avviandosi alla casa di costui, che era un po fuori del paese, dovette passare davanti alla sua vigna, nella quale per due inverni di seguito i paesani erano andati a far legna, per difendersi dal freddo. Perci dei tralci di vite non ne rimaneva pi neppur uno, e anche i grossi alberi da frutta, che pure cerano, erano ugualmente spariti, o tagliati alla base o sradicati alla men peggio. Dellantica coltivazione non erano rimasti che alcuni polloni rispuntati dalle ceppaie recise, mentre era nata dappertutto una vegetazione nuova, di erbacce e arbusti selvatici, che aveva preso pieno possesso del terreno lasciato libero dalle piante utili. Tutta la superficie era stata invasa e ricoperta da questo esercito di piante clandestine, fattesi avanti risolutamente a rivendicare il loro spazio vitale. La tanto discussa descrizione della vigna di Renzo un vero pezzo di bravura pittorica e botanica, che dimostra ancora una volta il gusto manzoniano della notazione minuta ed esatta, dellosservazione attenta e appassionata del gran libro della natura vegetale. E questo per il nostro Autore un libro vivo e palpitante, non meno interessante di quello rappresentato dalla societ umana. A noi non sembra, come a qualche critico, che la descrizione sia prolissa e oziosa, anche se pu parere esagerata linsistenza su certi particolari. Il Manzoni per ha saputo ravvivare la parte descrittiva con osservazioni e confronti di grande interesse; per esempio, egli scorge come unimmagine della lotta accanita per lesistenza in quel guazzabuglio di steli, che facevano a soverchiarsi luno con laltro nellaria, o a passarsi avanti, strisciando sul terreno, a rubarsi in somma il posto per ogni verso. Quando poi nota che tra quella marmaglia derbacce ce nerano alcune pi rilevate e vistose, non per migliori, sembra che voglia ricordarci che, allo stesso modo tra gli uomini, gli oziosi improduttivi, anche se nobili e ricchi, non sono affatto migliori del volgo inerte e vizioso, perch il blasone e le ricchezze non nobilitano la vita. Subito dopo lAutore richiama la nostra attenzione su unumile zucca selvatica la quale, bisognosa di appoggio, sera avviticchiata ai nuovi tralci duna vite; la quale, cercato invano un pi saldo sostegno, aveva attaccati a vicenda i suoi viticci a quella; e mescolando i loro deboli steli e le loro foglie poco diverse, si tiravan gi, pure a vicenda, come accade spesso ai deboli che si prendon luno con laltro per appoggio. E infine, ecco il simbolo dellarrogante invadente e brutale, che non ha riguardi n compassione per alcuno: era il rovo che coi suoi rami spinosi tutto ricopriva e opprimeva; e, attraversato davanti al limitare stesso, pareva che fosse l per contrastare il passo, anche al padrone. Possiamo dunque concludere che il Manzoni ha opportunamente vivificato la sua minuziosa descrizione con pensose riflessioni morali e sociali. Dopo la spettacolo desolato della vigna, si present alla vista di Renzo quello, non meno triste, della sua casa, tutta piena di sudiciume, per averci bivaccato quasi un mese i lanzi, e popolata di ratti i quali si affrettarono a rintanarsi con uno scompiglio, uno scappare incrocicchiato, allorch il padrone apparve davanti alluscio sfondato. Dopo aver gettato appena uno sguardo allinterno e al

209

parato di ragnateli che pendeva dal soffitto, Renzo si allontan subito contristato e si diresse a passi svelti verso la sua meta, perch gi cominciava a imbrunire. Scorse da lontano lamico, seduto davanti alla porta di casa, come un uomo sbalordito dalle disgrazie, e inselvatichito dalla solitudine. Sentendo il calpestio, colui credette che fosse il becchino, il quale veniva sempre a importunarlo perch andasse a seppellire i morti assieme a lui; e siccome era ormai nauseato di quel servizio, grid alzandosi: Non ci son che io? non ne ho fatto abbastanza ieri? Lasciatemi un po stare, che sar anche questa unopera di misericordia. Renzo, meravigliato per quelle parole di cui non poteva intuire il motivo, rispose a sua volta chiamandolo per nome; allora quegli lo riconobbe e gli corse incontro, scusandosi per quanto gli aveva detto, avendolo scambiato per Paolin dei morti. Gli fece quindi la pi cordiale accoglienza; dopo tante sofferenze e calamit, sia pubbliche che private, si ritrovarono a un tratto pi amici di prima, perch alluno e allaltro eran toccate di quelle cose che fanno conoscere che balsamo sia allanimo la benevolenza. Fattolo entrare in casa, gli prepar la cena nel miglior modo che pot, e lo ragguagli anche su molte cose che a Renzo premeva si sapere, come il preciso casato di don Ferrante; durante la cordiale conversazione venne informato anche della morte del podest di Lecco e di gran parte della sua sbirraglia: cos Renzo si sent pi al sicuro dalle ricerche della polizia. Messo cos al corrente della situazione locale, il nostro giovane stette un po in forse, se gli convenisse andar prima a trovare Agnese o recarsi prima a Milano; ma poi decise di andar prima a trovar Lucia, e poi correre a Pasturo, a portare le sue notizie alla madre, la quale chi sa come le aspettava. Renzo sperava proprio di poterle recare delle buone notizie di Lucia, ch altrimenti forse non era il caso di andarla ad amareggiare, quella poveretta. Pernott dunque in casa dellamico, e allo spuntar del giorno, in procinto di partire, ringrazi e salut accoratamente lospite: Se la mi va bene, se la trovo in vita, se basta ripasso di qui Ma se, per disgrazia, per disgrazia che Dio non voglia allora, non so quel che far, non so dovander: certo, da queste parti non mi vedete pi. Allamico non aveva parlato del voto, essendo argomento troppo geloso; ma uno dei se delle sue sconnesse parole allude evidentemente ad esso. Renzo quindi non si faceva illusioni sulla difficolt della sua ricerca: non bastava che non incappasse nelle maglie della polizia, non era sufficiente trovare Lucia in vita: bisognava anche superare la difficolt del voto. Non chiedeva poco il nostro giovane! Messosi in viaggio, cammin senza fretta, siccome gli bastava in quella giornata di arrivare molto vicino a Milano, senza entrarci; vi avrebbe fatto il suo ingresso solo il mattino successivo, per iniziare subito la sua gran ricerca. Allimbrunire, giunto in vista della citt, cerc nella campagna una cascina disabitata, dove si arrampic sul fienile per passarvi la notte. Ripos comodamente sulla paglia, e il mattino dopo con fresche energie riprese il suo cammino, prendendo per sua stella polare il duomo, ben visibile nella piatta pianura.

210

CAPITOLO XXXIV
Entrare a Milano non era permesso a chi non fosse munito della bolletta di sanit; ma i gabellieri e le guardie, per tanti ovvi motivi, non si curavano di eseguire rigorosamente questa disposizione, allora perfettamente inutile, mentre sarebbe stata necessaria alle prime avvisaglie del contagio, quando invece, come abbiamo visto, si indugi colpevolmente ad attuarla. Ora Milano era il covo pi virulento della peste, e chiunque ci venisse, poteva parer piuttosto noncurante della propria salute, che pericoloso a quella dei cittadini." Renzo arriv dunque, per una viottola, al tratto di mura che vanno da Porta Orientale a Porta Nuova; l, non avendo alcun indizio che lo potesse guidare n persona a cui domandare, prese a destra, a caso, andando quindi verso Porta Nuova. Camminava con lanimo sospeso, guardando a destra e a sinistra: nessun vivente, nessun rumore; solo si vedeva una colonna di fumo innalzarsi pigramente, in ampi globi, nellaria immobile e bigia: erano panni e suppellettili infette che venivan bruciate sugli spaldi. La scena era lugubre, e rendeva pi triste lanimo del nostro giovane, che si sentiva stringere il cuore in quel vasto silenzio, in quella desolata solitudine, che gli davano come un presagio di morte. Anche laspetto del cielo era intonato con questo stato danimo del mesto viaggiatore: sembrava che la natura tutta soffrisse insieme con gli uomini; il tempo era chiuso, laria pesante, il cielo velato per tutto da una nuvola o da un nebbione uguale, inerte, che pareva negare il sole, senza prometter la pioggia; la campagna dintorno, parte incolta, e tutta arida; ogni verzura scolorita, e neppure una gocciola di rugiada sulle foglie passe e cascanti. Laria gravosa e morta pare che opprima anche noi lettori, tanto la descrizione manzoniana viva e potente. In pochi minuti Renzo giunse alla porta, la quale per precauzione era stata cinta da uno steccato, munito di cancello; ma sia questo sia quella erano aperti, poich due monatti stavano portando via il capo dei gabellieri, ammalatosi di peste. Partiti i monatti con la barella, Renzo entr risolutamente per la porta rimasta aperta; e avendogli una guardia intimato di fermarsi, gli diede docchio mostrandogli un mezzo ducatone; ricevuto un cenno di consenso, gli gett la moneta e pass avanti in fretta, come colui gli aveva comandato con un gesto. Mentre si allontanava a passi svelti dalla porta verso linterno della citt, si sent gridar dietro un ol da un altro gabelliere, ma lui fece finta di non sentire, allungando ancor pi il passo. Colui, gridatogli un altro ol pi per dovere che per volont di essere obbedito, visto che il viandante non sentiva, scroll le spalle con aria dindifferenza e rientr nella sua garitta. Renzo, dopo aver camminato un po senza vedere anima viva, scorse finalmente uno che veniva nella sua direzione, e pens di chiedere a lui in quale via fosse labitazione di don Ferrante, del quale aveva saputo dallamico il cognome preciso, ma non il recapito. Colui, vedendo il forestiero venirgli incontro e togliersi il cappello, avendo la fantasia riscaldata dalle storie degli untori, lo

211

ritenne uno di questi, e puntandogli contro un poderoso bastone dalla punta di ferro, grid come uno spiritato: via! via! via! Alla mala parata Renzo, che non cap per chi era stato preso, rimase allibito, proprio di stucco; e non volendo attaccar lite con uno stravagante o peggio, si rimise il cappello in testa e prosegu la sua strada; mentre laltro, allontanatosi tutto fremente e voltandosi ogni tanto indietro con sospetto, giunto finalmente a casa, raccont ancor tutto emozionato di aver incontrato un untore con aria umile, mansueta, con un viso dinfame impostore, con lo scatolino dellunto, o linvoltino della polvere (non era ben certo qual dei due) in mano, nel cocuzzolo del cappello, che si era tolto appositamente, per fargli meglio il tiro; ma lui laveva tenuto a distanza con la punta del suo nocchieruto bastone, e se il birbone si fosse avvicinato ancora un passo, lo avrebbe senzaltro infilzato; peccato, proprio peccato, che non cera gente intorno, per poterlo catturare, il manigoldo! Quindi concluse tutto preoccupato: Ora sar in giro per Milano: chi sa che strage fa! E finch visse, tutte le volte che si parlava di peste e duntori, raccontava la sua prodezza con delle frange sempre pi vistose, ammonendo che quelli i quali non credevano agli untori, non lo venissero a dire a lui, che li avrebbe smentiti in pieno, perch le cose bisogna averle viste. Questo un efficace esempio di come potevano nascere, ed effettivamente nascevano, le fantastiche storie degli untori, le quali poi, ripetute di bocca in bocca, confermavano la credenza ormai generale. Renzo, lontano dallimmaginarsi come lavesse scampata bella, e agitato pi dalla rabbia che dalla paura, cap pressa poco, ripensandoci, per chi era stato scambiato, e costatava amaramente che un destino avverso lo perseguitava in Milano: tutto a gonfie vele per entrarci, ma poi, una volta dentro, i dispiaceri l pronti ad accoglierlo. Ma si fece coraggio e and avanti, sperando di trovare prima o poi qualche persona un po pi trattabile e soprattutto meno sospettosa. Non aveva fatto molta strada, che si sent chiamare: o quelluomo!. Renzo si volt nella direzione della voce, e vide una donna affacciata a un balconcino di una casetta isolata. Avvicinatosi con sollecitudine, sent che era una povera madre, con una nidiata di bambini affamati allintorno: li avevano sequestrati in casa, inchiodando luscio, perch il marito era morto di peste; ma intanto era una giornata intera che non portavano loro da mangiare, e non ne potevano pi. Il giovane, che aveva in tasca due pagnotte, comprate a Monza, le offr immediatamente alla poveretta, e le mise nel panierino che colei gli cal con una funicella; circa la preghiera della donna, di avvertire un commissario di sanit della loro situazione, rispose che non sapeva a chi rivolgersi, non essendo pratico della citt, ma che, se trovava qualche uomo un po domestico e umano, avrebbe affidato a lui la commissione. A sua volta Renzo chiese alla donna, se per caso sapesse dove stava di casa un certo don Ferrante (e aggiunse il casato); quella rispose che ne aveva sentito parlare, ma non sapeva di preciso dove abitava. Il nostro giovane riprese il suo cammino un po rinfrancato e per lincontro e per lopera buona che aveva compiuta, donando quei due pani; e ricordandosi di quelli che aveva raccolti ai piedi della croce di San Dionigi, due anni prima, consider la sua azione come una doverosa restituzione, fatta a chi ne aveva pi

212

urgente bisogno. Continuando alacremente la sua strada, vide un po pi in l, in piazza San Marco, labbominevole macchina della tortura, che le autorit avevano fatto alzare non solo in quel luogo, ma in vari punti della citt, per farci applicare immediatamente chiunque paresse loro meritevole di pena: o sequestrati che uscissero di casa, o subalterni che non facessero il loro dovere, o chiunque altro. Era uno di quei rimedi eccessivi e inefficaci dei quali, a quel tempo, e in quei momenti specialmente, si faceva tanto scialacquio. Poco dopo incontr un convoglio di carri pieni di morti, la pi parte ignudi, buttati alla rinfusa luno sullaltro, i quali a ogni scossa tremolavano e si scomponevano sconciamente: si vedevano ciondolar teste, e chiome verginali arrovesciarsi, e braccia svincolarsi, e batter sulle rote, mostrando allocchio gi inorridito come un tale spettacolo poteva divenire pi doloroso e pi sconcio. Il convoglio era preceduto da un apparitore, che andava sonando il suo campanello, ed era scortato da monatti i quali, stando alle costole dei cavalli affaticati per il gran carico, li spingevano avanti a frustate, a punzoni, a bestemmie. Renzo si ferm al passaggio dei carri, e si mise a pregare fervorosamente per tutti quei morti sconosciuti, con una grande pena nel cuore, mentre gli si insinuava nella mente il pensiero tormentoso che, forse, in mezzo a quei cadaveri ammonticchiati Cerc di scacciare il brutto pensiero, raccomandandosi al Signore e rassegnandosi alla Sua Santa Volont. Ripreso il cammino, sbocc in Borgo Nuovo, dove vide uno che doveva essere certamente un sacerdote, bench fosse in farsetto, perch, ritto accanto a una porta chiusa, teneva lorecchio appoggiato allo spiraglio, evidentemente per ascoltare una confessione. Renzo si rincor alla vista di lui, pensando che, come prete, doveva avere almeno un po di carit e di buona grazia; e avvicinatosi, ma non troppo, gli fece capire che aveva qualcosa da dirgli. Colui si ferm ad ascoltarlo, e il giovane gli chiese lindirizzo di don Ferrante; il buon prete glielo pot fornire, e insieme gli diede delle chiare indicazioni sulla strada da seguire per giungere a quella casa. Renzo lo ringrazi di tutto cuore, quindi lo mise al corrente della povera vedova abbandonata con i suoi numerosi bambini. Il bravo sacerdote ringrazi a sua volta dellavviso che gli aveva dato, e assicur che si sarebbe occupato personalmente della cosa, onde rimediare a quella dimenticanza. Il nostro giovane si rimise in cammino, seguendo litinerario indicatogli, ma sentiva crescere nel cuore una grave preoccupazione, anzi unangoscia che lattanagliava alla gola: ora stava per giungere al termine delle sue ricerche, e tra poco avrebbe ascoltato la sentenza, o di vita o di morte. Si sentiva tutto emozionato, tutto sottosopra: tra poco avrebbe potuto rivederla, la sua Lucia; ma avrebbe anche potuto sapere che era morta; ormai vicino alla soluzione di tutti i suoi angosciosi dubbi, il cuore di Renzo non resisteva al cimento, e invece di essere vicino alla meta, avrebbe preferito essere ancora allinizio del viaggio, nella pi assoluta incertezza. Stava attraversando uno dei rioni pi desolati dalla peste: tutti gli usci chiusi per la paura dei monatti e il sospetto degli untori; molti inchiodati e sigillati, perch visitati dalla peste; altri spalancati, perch in casa non era rimasto pi

213

nessuno, e la roba era stata depredata dai monatti o da altri malviventi; alcuni infine crociati col carbone, per indizio ai monatti, che ceran dei morti da portar via. I pochi passanti camminavano nel mezzo della strada, sospettosi e guardinghi, con le barbe lunghe e incolte, coi capelli prolissi e in disordine, dato che tutti i barbieri erano diventati sospetti, dopo che uno di essi (quel Giangiacomo Mora di cui si gi parlato) era stato giustiziato come untore. Regnava dappertutto un silenzio di morte, interrotto soltanto, qua e l, da quel funesto rotolo dei carri, accompagnato dai sinistri squilli dei campanelli degli apparitori, e dalle urla, dalle canzonacce e anche dalle bestemmie dei monatti, che la facevano ovunque da padroni. I pochi superstiti, chiusi nelle case semivuote, con le finestre e le porte sbarrate, a questi infausti rumori della strada, che rimbombavano cupamente nei vuoti cortili, si sentivano stringere il cuore come in una morsa angosciosa. Eppure gli animi erano induriti e quasi inselvatichiti dallo spettacolo continuo della morte e di tutte le miserie che laccompagnavano; i pi ormai non avevano nessun riguardo, nessuna piet, neppure per i congiunti. Talora, orribile a dirsi, gli stessi familiari gettavano dalle finestre i cadaveri dei propri congiunti, per liberarsene al pi presto e senza lintervento dei monatti, che erano temuti pi della peste medesima. Certamente non tutti si erano abbrutiti a tal punto; la religione ispirava ancora conforto e infondeva coraggio e spirito di carit a quelli che la sentivano profondamente. Quando al mattino, a mezzogiorno e a sera sonavano mestamente le campane per la recita simultanea delle preghiere ordinate dallArcivescovo, si vedevano delle persone affacciarsi alle finestre e pregare insieme piamente: avreste sentito aggiunge il Manzoni un bisbiglio di voci e di gemiti, che spirava una tristezza mista pure di qualche conforto. In mezzo a questo spettacolo desolato e nello stesso tempo commovente, Renzo si stava avvicinando alla via dove abitava don Ferrante, allorch incontr un altro convoglio di carri, fermi in mezzo alla strada, in attesa che venisse completato il loro carico di morte. Dei monatti trasportavano cadaveri dalle case e li buttavano alla rinfusa gli uni sugli altri sopra ai carri; e il giovane not con raccapriccio come alcuni di quei ribaldi portassero pennacchi e fiocchi di vari colori, come segno di allegria e quasi per irrisione al pubblico lutto. Affrett il passo per superare al pi presto possibile quel triste convoglio, allorch una scena commovente lo fece fermare, senza che lui se ne accorgesse. Usciva da una casa, diretta verso i carri, una mamma ancor giovane, con in braccio una bambina, morta, ma tutta agghindata come per una festa, con un candido e ricco vestito da Prima Comunione, coi capelli ben pettinati e divisi da una sottile scriminatura. Il volto della donna mostrava, nei lineamenti affilati, una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale. Teneva stretta amorosamente al petto la figlioletta, la quale appoggiava il visino sullomero materno, come se dormisse; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza. Ammirevole madre! Aveva visto morire questa bambina, il marito, altri figli, aveva visto distrutta la sua famiglia, la sua felicit terrena, ma non si era abbandonata alla disperazione n alla desolata inerzia; la fede la sosteneva: non lamenti, non grida,

214

non gesti scomposti, ma sofferenza consapevole e rassegnata. Lamore la sostiene sino allultimo, dandole una straordinaria forza morale proprio nel deperimento fisico: la sua andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi non davan lacrime, ma portavano segno daverne sparse tante; cera in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava unanima tutta consapevole e presente a sentirlo. Questa madre, in cui la religione ha sublimato il dolore, e il dolore ha sublimato la religione, rendendo la fede pi viva e profonda, lincarnazione terrena della Mater Dolorosa, la raffigurazione indimenticabile della vera, della grande madre cristiana, forte nel dolore perch grande nellamore. La descrizione di questa donna, sbozzata dallAutore con tratti di rara efficacia rappresentativa, tutta pervasa da una lirica commozione, che investe anche la figlioletta che porta in braccio, lindimenticabile Cecilia. La commozione che spirava da questa scena insolita di amore materno era tale, che ne restarono toccati anche gli animi pi duri. Un turpe monatto and per levarle la bambina dalle braccia, con una specie dinsolito rispetto, con unesitazione involontaria. La donna ricus di consegnargliela, senza per mostrare sdegno n disprezzo; fece capire al monatto che desiderava deporla e accomodarla lei stessa sul carro; e dandogli una borsetta piena di denaro, gli fece promettere di non toglierle nulla di dosso, alla bambina, e di seppellirla cos come stava. Il rozzo uomo, quasi commosso, si mise la mano al cuore in atto di solenne giuramento; quindi si adoper premurosamente a fare un po di posto sul carro per la morticina, mosso non tanto dallinaspettata ricompensa, quanto dal nuovo sentimento da cui era come soggiogato. La madre, baciata unultima volta la bambina, ladagi con cura nello spazio a lei riservato, ve la compose amorosamente con le manine in croce, quindi la copr con un lindo lenzuolino, salutandola con queste semplici ma accorate parole: Addio, Cecilia! riposa in pace! Stasera verremo anche noi, per restare sempre insieme. Prega intanto per noi; chio pregher per te e per gli altri. Queste parole dimostrano quale rassegnazione, quale confortante certezza sa donare la santa speranza cristiana a chi possiede la fede. Dopo aver dato lestremo saluto alla figliola, si rivolse al monatto pregandolo, quando sarebbe ripassato di l verso sera, di salire in casa a prendere lei e una bambina pi piccola; con questa si affacci poco dopo alla finestra, per dare un ultimo sguardo al frutto delle sue viscere, che si allontanava sul carro verso lestrema dimora. La piccina che stringeva al seno era ancora viva, ma col visino gi segnato dalla morte. Dinanzi a questo straziante, ma anche cristianamente consolante spettacolo, la commozione del Manzoni si effonde in parole pervase di flebile lirismo: E che altro pot fare, se non posar sul letto lunica che le rimaneva, e mettersele accanto per morire insieme? come il fiore gi rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccio, al passar della falce che pareggia tutte lerbe del prato. Renzo, fortemente commosso per quello che aveva visto e udito, sent il bisogno di rivolgersi a Dio con una breve ma fervorosa preghiera: O Signore!

215

esauditela! tiratela a voi, lei e la sua creaturina: hanno patito abbastanza! hanno patito abbastanza! Aveva appena ripreso il cammino, profondamente turbato, quando fu colpito da una nuova visione di miseria e di dolore: un gruppo di ammalati condotti dai monatti al lazzaretto. Era uno spettacolo che stringeva il cuore: chi piangeva, chi vanamente si ribellava, chi si lamentava con voce fioca, chi camminava come insensato. Ma anche in mezzo a quella turba dinfelici non mancava qualche esempio di fermezza e di piet e qualche scena particolarmente commovente: fanciulline che guidavano i fratellini pi teneri e, con giudizio e con compassione da grandi, raccomandavano loro dessere ubbidienti, li assicuravano che sandava in un luogo dove cera chi avrebbe cura di loro per farli guarire. Renzo si mise a osservare con grande ansiet e sospensione danimo quegli ammalati, a mano a mano che gli passavano davanti, per vedere se, per caso, tra essi ci fosse la sua Lucia, tanto pi che ormai la casa dove costei era ospitata non doveva essere lontana. Quando la miserabile turba fu tutta passata, il poveretto, ancora col cuore in gola, si rivolse a un monatto, che camminava in coda al gruppo, per chiedergli la precisa ubicazione della casa di don Ferrante. In malora, tanghero. gli rispose quello con disprezzo; ma un commissario che veniva pi dietro, al quale Renzo rivolse la stessa domanda, si mostr pi umano e gli forn lindicazione richiesta: la prima strada a diritta, lultima casa grande a sinistra. Sboccato nella strada indicatagli, il giovane scorse subito in fondo a mancina un palazzo signorile: Lucia era l, almeno lo sperava; comunque l avrebbe ricevuto la sua sentenza di vita o di morte: il cuore cominci a martellargli in petto pi violentemente. Arrivato al portone, prende in mano il picchiotto quasi tremando; prima di dare il colpo esita un poco, poi si fa coraggio e si decide. Il picchio risuona cupo e allinterno della casa e dentro le sue orecchie, che gli ronzano per lemozione. Dopo pochi secondi da una finestra fa capolino una donna, con aria di sospetto: monatti? untori? malandrini? Renzo le domanda se c l a servire una ragazza di campagna, di nome Lucia. Colei risponde che non c pi, e fa latto di richiudere; ma il giovane la prega che, per carit, gli dica dov andata. Al lazzaretto, risponde quella sgarbatamente e vuole ancora chiudere; ma Renzo la supplica di attendere un momento, insiste: vorrebbe sapere quando stata portata al lazzaretto, se era molto ammalata; ma la sgarbata, senza dargli ascolto, ha gi richiuso la finestra. Afflitto della nuova e arrabbiato della maniera il giovane afferra di nuovo il martello, con lintenzione di picchiare ancora e alla disperata, per farsi aprire, per sapere quello che gli preme; ma volgendo lo sguardo intorno, per vedere se c qualcuno nella via a cui poter fare le sue domande, scorge a poca distanza una vecchia la quale, con occhi stralunati, fa convulsi cenni con le mani come per chiamar gente. Intuisce subito che lha preso per untore e vuole organizzare la caccia alluomo; alterato, alza le mani minacciose contro la donna che, vistasi scoperta, ancora pi spiritata lancia il grido spaventoso: luntore! dagli! dagli! dagli alluntore! Renzo sente come una frustata in viso; grida inviperito: Chi? io! ah strega bugiarda! sta zitta! e fa per scagliarsi contro quella megera, per

216

impaurirla e farla chetare. Ma si accorge che gi accorsa gente; anche quella sgraziata del palazzo si riaffacciata alla finestra, per gridare alluntore; ormai non c tempo da perdere: bisogna svignarsela di l prima che i nemici siano troppi, da poterlo accerchiare. Sceglie la direzione pi libera, e via di corsa: alcuni cercano di sbarrargli la strada, per tagliargli la ritirata, ma il nostro giovane, ormai scatenato e galvanizzato dal pericolo, li respinge con pugni e con urtoni, senza riguardo, e via di gran carriera. Ma vedendo che gli inseguitori non desistevano, ma lo incalzavano gridando a pi non posso, per chiamar gente, Renzo a un certo punto non ci vede pi per la rabbia e, preso dalla disperazione, si ferma a un tratto, e brandendo il suo coltellaccio grida furibondo, con gli occhi fuori dalle orbite: chi ha cuore, venga avanti, canaglia! che lunger io davvero con questo. E rimase l fremente, piantato in mezzo alla strada con le gambe divaricate, dimenando per laria da una parte il coltello, dallaltra il suo pugno nocchiuto. Per fortuna gli inseguitori si erano fermati, come titubanti; ma continuavano a gridare e facevano cenni da spiritati, come a gente che venisse di lontano dietro a lui. Voltatosi, Renzo vide un convoglio di carri mortuari, e oltre quello un gruppetto di gente che si era radunata alle grida, vogliosa anchessa di dare addosso alluntore, non appena si fosse tolto di mezzo quel sinistro impedimento. Vedendosi preso tra due fuochi, cap che lunica salvezza era per lui quel convoglio, il quale invece per coloro rappresentava il maggiore ostacolo; e senza pensarci due volte prese la rincorsa e con un bel salto si iss sopra uno di quei carri, in mezzo alle acclamazioni dei monatti. Ma i suoi nemici, pur a distanza, inveivano e minacciavano, gridando a squarciagola contro luntore; allora uno dei monatti, per farli scappare, prese da sopra un cadavere un cencio lordo di marcia, lo annod strettamente, quindi roteandolo a guisa di fionda fece finta di lanciarlo contro di loro; bast la mossa, e quelli subito fuggirono a gambe levate, mentre i monatti levavano un urlo di vittoria. Il giovane ringrazia di cuore i suoi salvatori, di cui uno gli dice: Fai bene a ungere questa canaglia: ungili, estirpali costoro, che non vaglion qualcosa, se non quando son morti. Renzo non risponde n osa smentire la taccia duntore: guai a lui, perderebbe immediatamente la benevola protezione di quei birboni, e correrebbe guai seri; perci se ne sta zitto, aspettando gli eventi. Intanto coloro cominciano a trincare da un gran fiasco; e uno di essi, quandebbe il recipiente tra le mani, si rivolse con un ghigno diabolico al padrone del vino, che era tra quei morti, e con ironia beffarda lo apostrof cos: Si contenta, padron mio, che un povero monattuccio assaggi di quello della sua cantina? Vede bene: si fa certe vite: siam quelli che labbiam messo in carrozza, per condurlo in villeggiatura. Il brindisi eccit le risa sguaiate di quei ribaldi, che offrirono da bere anche a Renzo il quale declin lofferta ringraziando, dicendo che proprio non ne sentiva la voglia. Allora uno dei compagnoni gli disse, con un tono di compassione sprezzante, prendendo lui il fiasco: Bisogna che il diavolo col quale hai fatto il patto, sia ben giovine; ch, se non eravamo l noi a salvarti, lui ti dava un bellaiuto. E in mezzo allilarit generale avvicin il fiasco alla bocca, bevendo a garganella.

217

Mentre quelli ridevano delluntore novellino, costui pensava, in silenzio, a come liberarsi dai suoi liberatori, e stava allerta per approfittare di ogni occasione favorevole, per squagliarsela senza che coloro potessero fare una scenata che mettesse in sospetto i passanti. Quando si accorse di essere sul corso di Porta Orientale, dalla quale si esce per andare al lazzaretto, cap che quello era il luogo opportuno, perch conosceva la strada, e poteva quindi allontanarsi senza doverne chiedere ad alcuno. E siccome un commissario aveva fermato il convoglio, ordinando non so che cosa, ne approfitt subito per svignarsela; ringraziato il monatto che gli era vicino, salt gi dal carro cercando di allontanarsi senza dare nellocchio; ma colui, a guisa di saluto, lo apostrof con aria di scherno: Va, va, povero untorello, non sarai tu quello che spianti Milano. Per fortuna l vicino non cera nessuno che potesse sentire queste parole, e Renzo, allontanatosi quatto quatto, si affrett a uscire da Porta Orientale, donde si diresse al lazzaretto.

218

CAPITOLO XXXV
Se tutta la citt era piena di miserie e di dolore, il lazzaretto era per tutto un dolorante spettacolo, un immenso covile di morti, di ammalati, di frenetici, di convalescenti, di personale di servizio; nel vasto recinto era come un brulichio di povera umanit, dalla quale si levava per laria un confuso ronzio, formato di pianti, di gemiti, di grida, di voci alte e fioche come dice Dante del suo inferno;10 e questo ronzio si aggirava perenne, notte e giorno, senza mai alcuna pausa, entro le mura che chiudevano da ogni parte questo miserabile soggiorno dei guai. Gi dal di fuori Renzo ebbe la prima dolorosa impressione e come il preannuncio di ci che andrebbe a vedere: ammalati pallidi e macilenti che si trascinavano verso lingresso, altri che languivano distesi lungo il fossato esterno, altri infine che andavano errando qua e l, balordi o forsennati; un poveretto, sedutosi gi nel fondo del fossato, cantava a squarciagola una villanella; un altro, nella frenesia della febbre, era salito a furia su di un cavallaccio, lasciato l incustodito, e lo aveva lanciato, tempestandolo di pugni e di calci, a una corsa sfrenata in mezzo ai poveri languenti, lasciandosi dietro un nuvolone di polvere. Entrato dalla porta che si apriva verso le mura della citt, il giovane not che, da l alla cappella centrale e da questa alla porta dirimpetto, cera come un viale sgombro di capanne, che alcuni inservienti stavano liberando da ogni altro impedimento, facendo anche allontanare la gente non addetta a quel lavoro. Renzo, temendo di essere mandato via, si cacci a destra, in mezzo alle capanne, e cominci la sua ricerca, osservando in viso tutti gli ammalati giacenti allo scoperto, su un po di fetida paglia, e facendo anche capolino in ciascuna capanna, per guardare i degenti che vi erano ricoverati. Ma vedendo che erano tutti uomini, pens che le donne fossero in un luogo a parte; e decise di avanzare, continuando a cercare finch non le avesse trovate. Incontrava ogni tanto gli addetti allassistenza, sia secolari che cappuccini, tanto diversi daspetto e di maniere e dabito, quanto diverso e opposto era il principio che dava agli uni e agli altri una forza uguale di vivere in tali servizi: negli uni lestinzione di ogni senso di piet, negli altri una piet sovrumana. Neppure agli inservienti il giovane volle rivolgere domande, nel timore di crearsi degli ostacoli alla sua ricerca; continu perci ad avanzare cos, come in esplorazione. Lafa andava crescendo, a causa della bassa pressione; il cielo era tutto coperto di oscuri nuvolosi, dai quali traspariva appena la sfera del sole, che diffondeva un calore morto e pesante. Si udiva ogni tanto un brontolo di tuoni lontani; laria era immota e greve; non si vedeva n muovere una frasca n volare un uccello; solo le rondini talora planavano entro il recinto del lazzaretto, ma subito riprendevano quota, quasi impaurite dal triste e caotico spettacolo.

10

Inf. III, 27

219

Loppressione dellatmosfera faceva repentinamente peggiorare gli infermi, aumentando i dolori dellagonia; quasi tutti i degenti davano in smanie, affannati, sentendosi mancare il respiro. Renzo aveva girato un bel po senza ancora trovare le donne, quando lo colp un suono misto di vagiti e di belati: era infatti giunto al reparto dei bambini, protetto da un assito. Mise locchio a uno spiraglio tra tavola e tavola, e vide il commovente spettacolo di quellimprovvisato spedale dinnocenti. Sia le capanne sia il terreno circostante era cosparso di materassini o cuscini o lenzuoli, con sopra dei lattanti; tra di essi si aggiravano delle balie e anche delle capre; si vedeva qualcuna di queste bestiole avvicinarsi, quasi con istinto materno, a un bambino piangente, e tentare di porgergli la mammella, belando come per invocare aiuto. Delle balie adibite allallattamento di quegli orfanelli, qualcuna si stringeva al seno la creatura non sua con tale atto damore, che faceva capire di essere andata col non per la paga, ma per quella carit spontanea che va in cerca dei bisogni e dei dolori altrui, per lenirli; talaltra invece, abbandonando il suo petto al lattante straniero, sedeva triste e accorata, pensando al proprio figliolo, che pure aveva succhiato quel latte, e ora non cera pi; la sconsolata fissava lo sguardo assente davanti a s, tutta assorta nel suo segreto tormento; e di tanto in tanto alzava verso il cielo plumbeo gli occhi sgomenti. La vista di quei pargoli innocenti intener Renzo, e lo tenne l a contemplare pi di quanto avrebbe voluto. Allorch, ancora tutto commosso, riprese il suo cammino, vide di sfuggita, in lontananza, un cappuccino che gli parve tutto padre Cristoforo. Ebbe come un sussulto al cuore, e subito affrett il passo, per rintracciarlo tra le capanne in mezzo alle quali lo aveva visto sparire. Dopo un po di ricerca, fatta con lemozione che potete immaginare, in quellandirivieni di capanne, finalmente lo ritrov, che stava accingendosi a consumare una scodella di minestra, seduto sulluscio di una capanna: era proprio lui, il suo buon frate! Questi, appena scoppiata la peste a Milano, aveva pregato i suoi superiori di esserci mandato, per la cura degli appestati, nella speranza di poter dare la sua vita a servizio del prossimo, come aveva sempre desiderato ardentemente. Il Conte zio era morto, era morto pure il Padre provinciale, i quali si erano messi daccordo per tenerlo lontano dal Milanese; quindi non ci furono difficolt per laccoglimento della sua domanda, ed era infatti al lazzaretto da circa tre mesi. La gioia che il giovane prov nel rivederlo dopo quasi due anni, fu subito offuscata dal costatare in che stato fisico lo ritrovava: si vedeva proprio che era esaurito dalla fatica e dal male, e che si trascinava ancora al servizio del prossimo solo mediante un grande e continuo sforzo di volont. Il viso era smunto, landatura cascante, la voce fioca; soltanto gli occhi, pur infossati nelle orbite, erano quelli di sempre, anzi apparivano pi vivi e come splendenti: quasi la carit, sublimata nellestremo dellopera, ed esultante di sentirsi vicina al suo principio, ci rimettesse un fuoco pi ardente e pi puro di quello che linfermit ci andava a poco a poco spegnendo. Nellesaurimento delle risorse corporee, nellimminenza della morte materiale il santo frate sentiva la gioia di potersi presto ricongiungere al Creatore, nella vera vita.

220

Il cappuccino aveva scorto a sua volta Renzo che veniva verso di lui, e sommamente meravigliato pos la scodella a terra e si alz per andargli incontro. Dopo i primi commossi saluti e lo scambio delle notizie essenziali, il padre chiese con ansia di Lucia, e rimase molto colpito nel sapere che era stata portata l al lazzaretto; chiese quando ci fosse entrata, ma purtroppo il giovane non pot precisarglielo. Domand poi a costui che cosa mai avesse combinato a Milano nella famigerata giornata di San Martino; e Renzo confess francamente che quel giorno non aveva avuto giudizio, ma che non aveva commesso niente di riprovevole, e la cattura non poteva spiegarsi che come una montatura della polizia, basata su falsi indizi. Il frate disse che ne era convinto anche prima, ma aveva voluto sentirne la conferma dalla sua bocca; quindi, vedendolo piuttosto pallido, gli chiese se avesse pranzato; e saputo che non mangiava dal giorno prima, and a riempire una scodella di minestra e la porse al giovane con un cucchiaio, dopo averlo fatto sedere sul suo saccone; quindi and a spillare un bicchiere di vino per il suo ospite, il quale ringrazi commosso. Il Padre rispose che non doveva ringraziare lui, ma la Provvidenza, e soggiunse con tono ispirato: roba dei poveri, ma anche tu sei un povero, in questo momento. Tra una cucchiaiata e laltra Renzo diede al Cappuccino tutte le altre notizie che sapeva su Lucia e Agnese; raccont del rapimento della ragazza, il quale mozz letteralmente il fiato al buon frate, che si sentiva in un certo senso corresponsabile dellaccaduto, avendo indirizzato lui Lucia a Monza; ma si rianim subito, nel sentire la miracolosa liberazione. Prov una viva consolazione nel costatare ancora una volta che il Buon Dio veglia sulle sue creature, e talora interviene direttamente per salvarle, allorch tutti i mezzi umani sono falliti allo scopo, e non si pu sperare che in Lui. Continuando il suo racconto, il giovane disse che, dopo la liberazione, Lucia era stata allogata presso una nobile e pia gentildonna, l a Milano, sin dallautunno del 1628; che lui in mattinata si era recato a quella casa, dove aveva saputo che era stata portata al lazzaretto, ma non gli avevano voluto dire n quando n in quali condizioni; perci si era messo a cercarla alla cieca, senza avere alcun indizio, ma finora non aveva visto che uomini: dovera dunque il reparto delle donne? Fra Cristoforo rispose che in quel reparto con potevano entrare che le persone espressamente addette; la norma era giusta e andava rispettata, anche se fosse mancata una vigilanza e una sanzione; ma lui ci si recava con rette intenzioni, ne era sicuro, per cui non poteva vietargli di andarci, anzi in un certo qual modo lo autorizzava a farlo. Dopo avergli indicato lubicazione del reparto femminile, protetto da uno steccato che per offriva qualche passaggio, aggiunse con tono di solenne ammonimento: Dentro poi, non facendo tu nulla che dia ombra a nessuno, nessuno probabilmente non dir nulla a te. Se per ti si facesse qualche ostacolo, di che il padre Cristoforo da *** ti conosce e render conto di te. Cercala l; cercala con fiducia e con rassegnazione Va preparato a fare un sacrificio Renzo, allidea che Lucia poteva essere gi morta, fu preso dallaccoramento; con la paura si riaccese il suo risentimento contro chi aveva impedito con la forza

221

il suo matrimonio; il rancore, rinfocolato dal terribile dubbio, gli fece perdere il controllo e, con gli occhi biechi e col volto stravolto, disse con forza che, se non lavesse trovata, avrebbe cercato un altro, cagione di tutti i suoi guai; lo avrebbe certamente trovato, magari a casa del diavolo e, se la peste non aveva gi fatto giustizia di quel maledetto ribaldo, ci avrebbe pensato lui Il Padre, nel sentire questi truci propositi di vendetta, in un giovane che aveva sempre ritenuto pio e degno di Lucia, si alter anche lui, passando dal dolore allo sdegno; e non si tenne dal rimproverarlo aspramente, chiamandolo ripetutamente sciagurato, a tal punto anche lui aveva perduto la calma; quindi stringendolo fortemente a un braccio, con la mano tesa e tremante gli mostr la vasta scena del dolore, che si spiegava tutto allintorno, esclamando: Guarda chi Colui che castiga! Colui che giudica, e non giudicato! Colui che flagella e che perdona! Ma tu, verme della terra, tu vuoi far giustizia!... Va! Non ho pi tempo di darti retta. Ma avendolo Renzo supplicato di non abbandonarlo cos, mostrando anche di essersi pentito delle sue parole insensate, il frate lo apostrof ancora con voce severa: Come! Ardiresti tu di pretendere chio rubassi il tempo a questi afflitti, i quali aspettano chio parli loro del perdono di Dio, per ascoltare le tue voci di rabbia, i tuoi proponimenti di vendetta? Renzo, commosso e profondamente dispiaciuto del suo sfogo cos poco cristiano, scosso da quelle parole dure ma vere del caro Padre, esclam con tutto il cuore: Ah gli perdono! Gli perdono davvero, gli perdono per sempre! Avendogli il frate chiesto, con tono di rimprovero, quante volte gli avesse perdonato, tutto confuso rispose: Capisco che non gli avevo mai perdonato davvero; capisco che ho parlato da bestia, e non da cristiano: e ora, con la grazia del Signore, s, gli perdono proprio di cuore. Allora il Cappuccino, dopo avergli ricordato che il Signore ci ha comandato non solo di perdonare ai nostri nemici, ma anche di amarli, come li ha amati Lui, disse che luomo, che lui voleva uccidere, era l al lazzaretto da quattro giorni, e forse Iddio aspettava la sua preghiera sincera per fargli la grazia di una santa morte. Gli chiese quindi che cosa farebbe, se lo vedesse; e avendo ricevuto la risposta che si attendeva da un animo contrito, che cio avrebbe pregato Dio affinch gli toccasse il cuore, strinse fortemente il braccio di Renzo, e cos tenendolo lo condusse senzaltro alla capanna dove colui era ricoverato. In mezzo ad altri appestati, don Rodrigo giaceva insensato e quasi irriconoscibile, col viso cosparso di nere lividure e con le labbra gonfie e di colore oscuro. Nel vedere il prepotente signorotto ridotto in quel miserabile stato, il nostro giovane rimase senza fiato, profondamente commosso; e seguendo lesempio del frate, anche lui giunse le mani e preg fervorosamente il Signore per la salvezza di quel fratello, affinch potesse ottenere qualche momento di lucidit per conoscere il suo stato e pentirsi del suo passato peccaminoso. Quindi uscirono in silenzio e si separarono subito: luno torn ai suoi malati, laltro alla sua difficile ricerca.

222

CAPITOLO XXXVI
Fra Cristoforo aveva detto a Renzo che, prima di recarsi al quartiere delle donne, andasse a vedere la processione dei guariti, che tra poco padre Felice avrebbe guidato, partendo dalla cappella centrale; gli augur di poterla trovare l, tra le donne guarite, le quali uscendo dal lazzaretto sarebbero andate a passare la quarantena in un ospizio; se non lavesse trovata tra quelle, poteva sperare di rintracciarla tra le malate, nel reparto che gli aveva indicato. Il giovane, quindi, si avvi senzaltro verso la chiesa, dove i partecipanti alla processione erano gi radunati, e stavano in quel momento ascoltando la predica di fra Felice, della quale anche lui pot ascoltare una parte. Il Cappuccino invitava i guariti a considerare la vita come un dono di Dio, da spendere nelle opere che si possono offrire a Lui; e li ammoniva a essere benevoli e soccorrevoli verso chi soffre, memori dei propri patimenti e della grande grazia che avevano ricevuto da Dio Misericordioso. Aggiunse che si dovevano comportare, dopo quella dolorosa ma salutare esperienza, in maniera esemplare, in modo che, chi li guardava, ricevesse edificazione dal loro contegno; da quel momento, avendo compreso il vero valore della vita nella visione della morte, dovevano cominciare una vita tutta di carit, la quale avrebbe cancellato i loro peccati, addolcendo nel contempo il loro dolore per le persone care che avevano perduto. La moltitudine, che ascoltava in compunto silenzio, era percorsa da un fremito di commozione, che qua e l si manifestava in gemiti sommessi; anche Renzo era intenerito e dalle parole e dallaspetto ieratico del predicatore, che parlava con tono veramente ispirato e toccante. Finito di parlare, colui si gett una corda intorno al collo, in simbolo di penitenza, e inginocchiatosi davanti agli astanti, chiese umilmente perdono a tutti per le manchevolezze in cui lui e i suoi confratelli fossero incorsi nel servirli, per pigrizia o impazienza o poca carit. E non erano solo belle parole, perch quel mirabil frate era convinto di quello che diceva; egli sentiva effettivamente come parlava: chiamava privilegio quello di servir gli appestati, perch lo teneva per tale chiedeva perdono, perch era persuaso di averne bisogno. Ma quella gente che aveva visto i cappuccini, e lui per primo, prodigarsi con tanto zelo e abnegazione, con tanta umilt e premura, senza mai alcun risparmio, piangeva commossa e intenerita a quelle parole del frate, pronunciate con accento sincero. Egli poi, toltisi i sandali, prese una gran croce, che era l preparata, se la inalber davanti non senza sforzo, e si mise alla testa della processione che cominci lentamente a snodarsi dietro di lui. Renzo, con gli occhi inondati di lagrime, si tir indietro per lasciarla passare, postandosi di fianco a una capanna, donde aveva la visuale libera; e rimase l fermo e tuttocchi, con una gran palpitazione di cuore, ma insieme con una certa nuova e particolare fiducia, che gli era fiorita nellanimo ascoltando quelle parole ardenti di carit e assistendo a quello spettacolo davvero commovente. Dietro padre Felice venivano per primi i bambini, e subito dopo le donne, le quali tenevano quasi tutte per mano una bambina, e cantavano alternatamene i versetti

223

del salmo Miserere, sfilando a passo lento, sicch il nostro giovane aveva tutto il tempo di guardar bene quei volti pallidi, purtroppo tutti sconosciuti per lui. E mentre osservava quelle che passavano, con la coda dellocchio gettava di tanto in tanto uno sguardo alle donne che dovevano ancora passare; e la sua speranza diminuiva a mano a mano che si accorciava la fila delle ultime. Ecco, ormai sono poche, ecco lultima, sconosciuta anchessa! Il povero giovane rimase l desolato con le braccia ciondoloni, e con la testa piegata sur una spalla, a guardare senza pi alcun interesse, come un insensato, il passaggio degli uomini. Si riscosse e ravviv la sua attenzione, allorch si accorse che la processione a piedi era seguita da alcuni carri, con sopra i pi deboli; e qui le donne venivano per ultime. Ancora un barlume di speranza, dunque, ancora dei palpiti, ma per poco, perch ben presto anche quei carri furono passati, portandosi via quei bricioli di speranza del nostro giovane, che rimase come oppresso da un cupo abbattimento. Ora, svanita la speranza di trovarla guarita, rimaneva lestrema, incerta speranza di trovarla ammalata; speranza ben misera e molto ambigua, perch, se lavesse trovata malata, era poi sicuro che sarebbe guarita? Quanti degli ammalati guarivano? Ben pochi! Tuttavia, per non disperarsi, il poverino sattacc con tutte le forze dellanimo a quel tristo e debole filo di speranza, che lo legava ancora alla vita. Lottando contro lo scoraggiamento, si mosse per recarsi al quartiere delle donne; giunto davanti alla chiesa, si inginocchi sui gradini esterni, e rivolse a Dio una fervida preghiera, composta di parole arruffate, di frasi interrotte, desclamazioni, distanze, di lamenti, di promesse, una supplica confusa e accorata, quale poteva levarsi dal suo animo desolato. Alzatosi un po pi fiducioso, entr nel reparto femminile senza difficolt; e avendo visto a terra, quasi allingresso, un campanello, di quelli che i serventi si legavano al piede per farsi udire dai ricoverati e riconoscere dai sovrintendenti, pens che quello poteva essere per lui come un lasciapassare l dentro, e se lo allacci al piede, accertandosi che nessuno lo vedesse. E cominci la sua ansiosa e appassionata ricerca, di capanna in capanna, di fila in fila, ma vedeva sempre volti sconosciuti. Dopo un po si sent chiamare da un commissario, che gli ordin di andare nelle stanze sotto i portici, dove cera bisogno di aiuto. Renzo si accorse subito della situazione equivoca, in cui si era venuto a trovare a causa del campanello; ma per non dare sospetto, fece cenno di s con la testa e fece finta di avviarsi verso il luogo indicato; fermatosi invece tra due capanne, si affrett a togliersi quel benedetto campanello, rivelatosi un inciampo, mentre aveva creduto che gli potesse essere di aiuto. Ma mentre, chino a terra, stava appunto slegandosi quellarnese, tenendo involontariamente il capo quasi appoggiato alla parete di paglia di una capanna, dallinterno di questa gli giunse inaspettatamente allorecchio una voce, quella voce!, che diceva in tono soave: Paura di che? Abbiamo passato ben altro che un temporale. Chi ci ha custodite finora, ci custodir anche adesso. Renzo rimase senza fiato: gli si annebbiarono gli occhi, gli tremarono le ginocchia; ma fu un momento: subito si riprese, come rinato alla vita. Si alz in piedi come una molla, e in un balzo fu sulluscio di quella capanna, dove vide proprio la sua sospirata

224

Lucia. La vide in piedi, quindi guarita, che prestava le sue amorevoli cure a unaltra donna, la quale sembrava anchessa fuori pericolo. Non ci proveremo neppure a descrivere la gioia del giovane a quella vista: gli sembrava di sognare! Lucia si volt al rumore dei passi, e rimase come trasognata nel vedere in carne e ossa quel Renzo che per venti mesi aveva cercato, invano, di dimenticare. Non staremo a riferire il dialogo, veramente drammatico; noteremo solo lo spirito che anima questo incontro tra i due ex-fidanzati, che ci appare come un vero e proprio scontro tra due mentalit diverse e per molti punti antitetiche. E anche lo scontro tra la passione e la ragione, tra lamore e la religione. Da una parte Renzo che cerca di far rivivere nel cuore della ragazza le memorie, le promesse, i pensieri e i desideri di una volta, annullando per cos dire il tempo trascorso, eludendo o minimizzando il voto; dallaltra Lucia, che al soprassalto dei sentimenti a malapena sopiti sente con spavento vacillare la sua promessa alla Madonna, e prega ripetutamente il giovane di smetterla su quel tono, di non farla soffrire ancora, di andar via, di dimenticarla. E ribadisce che ha fatto proprio un voto, una promessa solenne alla Madonna, di non sposarsi; e quando Renzo le risponde che son promesse che non contan nulla, la poverina si scandalizza, e domanda inorridita: Cosa dite?Dove siete stato in questo tempo? Con chi avete trattato? Evidentemente Lucia, davanti allopinione espressa da Renzo circa il suo voto, teme che egli sia diventato un miscredente; ma lui le conferma che parla da buon cristiano, e che la Madonna non vuol promesse in danno del prossimo; e propone, scandalizzando ancor di pi la povera ragazza, di promettere invece alla Vergine che avrebbero chiamato Maria la prima bambina che sarebbe nata dal loro matrimonio. Lucia, dopo averlo supplicato ancora una volta di non tentarla pi e di andar via, si scost impetuosamente da lui, tornando verso il lettuccio, quasi per difendersi dai ripetuti appelli del giovane, che lavevano profondamente sconvolta. Davanti a questo atteggiamento di ripulsa della ragazza, Renzo dimostra tutta la sua abilit: egli capisce subito che non il caso di insistere nel minimizzare il voto, ch altrimenti Lucia si sarebbe maggiormente allarmata e messa sulla difensiva; bisognava invece aggirare lostacolo. Innanzi tutto, senza tentare di accostarsi a lei, perch sarebbe stato controproducente, le chiede se lei sarebbe la stessa di prima per lui, qualora non ci fosse il voto. Lucia risponde con un accorato rimprovero, pi significativo di qualunque s : Uomo senza cuore! Quando maveste fatto dir delle parole inutili, delle parole che mi farebbero male, delle parole che sarebbero forse peccati, sareste contento? E torna a pregarlo, per amor del Cielo, di lasciarla in pace, di tornarsene per la sua strada e di non pensare pi a lei se non quando pregher il Signore. Questa concessione, che Lucia fa ora, di essere ricordata nella preghiera, una ammissione indiretta che il suo cuore batte ancora per Renzo, da cui non vuole essere dimenticata, se non altro nella preghiera. Il giovane intuisce con intima gioia che la ragazza, in fondo, ancora tutta sua; ma abilmente non insiste sullargomento dellamore, che lei avrebbe considerato come un attentato alla sacert del voto, e cerca di interessarla con altri argomenti che la distraggano e lattraggano, impedendole di rimanere sempre in

225

quello stato di allarmata difensiva. Comincia perci a parlarle dellincontro avuto poco prima con padre Cristoforo: Lucia prova una forte emozione a quella notizia veramente inattesa, e non crede quasi ai suoi orecchi nel sentire che l nel lazzaretto a curare i malati; si addolora nelludire che il buon frate in condizioni fisiche pietose; e chiedendo con ansia altre notizie di lui, si riaccosta a Renzo senza accorgersene. Il giovane, vedendola cos interessata e commossa, ritorna sul voto, per invalidarlo per mezzo dellautorit del padre Cristoforo; un argomento specioso, che potremmo esporre in questa specie di sillogismo: i santi non possono sbagliare; ma fra Cristoforo, che un santo, ha approvato il mio proposito di venirti a cercare; dunque il voto non ha nessun valore. Lucia ribatte che il frate ha parlato cos, perch non sa niente del voto; ma Renzo ripete che quello un santo, e i santi parlano ispirati da Dio, il quale sa tutto. Poi passa a parlare di don Rodrigo, raccontando dove e come lha visto, aggiungendo di aver pregato sinceramente per lui assieme al Padre, proprio davanti al suo giaciglio. A quella descrizione, a quella notizia cos inaspettata, Lucia stava tutta compresa dorrore e di compassione. Allora il giovane, cercando di far servire per il suo scopo anche questo fatto, mette in campo un altro argomento, veramente labile, per quanto lui si sforzi di farlo apparire convincente. Egli afferma in definitiva che Dio non potrebbe perdonare a don Rodrigo, se il male da lui fatto non fosse rimediato; e non potrebbe essere rimediato che con la celebrazione del matrimonio che lui appunto aveva impedito. Ragionamento molto sforzato, come ognun vede, e che non dimostra assolutamente nulla; ma se Renzo cercava di arrampicarsi pure sugli specchi, aveva le sue ragioni, e noi lo compatiamo se la sua dialettica piuttosto capziosa. Lucia avverte subito che un ragionamento storto, e risponde subito: No, Renzo, no: il Signore non vuole che facciamo del male, per far Lui misericordia. Il giudizio della ragazza chiaro e pieno di buon senso: Dio non pu volere che noi facciamo del male, violando il voto, affinch Lui possa perdonare don Rodrigo. Non essendo riuscito a smuoverla con questi due argomenti, Renzo ne tenta un altro, tirando questa volta a indovinare; dice cio che anche sua madre, la buona Agnese, tanto saggia e pia, le ha dimostrato che quella promessa una fisima, insomma unidea sbagliata Ma Lucia ribatte che la madre non si mai sognata di dirle una cosa simile, perch ella sa benissimo che le promesse fatte a Dio e alla Madonna si devono rispettare molto pi di quelle fatte agli uomini. Allora il giovane, non avendo altri argomenti e non sapendo a che santo appellarsi, sentenzia con aria di sufficienza: Voi altre donne queste cose non le potete sapere. E aggiunge che andr a riferire la cosa al padre Cristoforo, il quale lo aveva appunto pregato di tornare da lui a comunicargli il risultato della sua ricerca. Lucia approva, mostrandosi sicura che il frate gli far capire la ragione, in modo che lui possa finalmente convincersi a mettersi il cuore in pace. Non lavesse mai detto! A questo invito a mettere il cuore in pace, Renzo si accende e si lascia andare a una sfuriata molto simile a quella che aveva indotto la poverina al matrimonio clandestino. Sono parole di fuoco, minacce terribili, volutamente

226

esagerate. Infatti, per quanto sconvolto e realmente sdegnato per quellinvito, il giovane comprendeva benissimo che quello era lultimo mezzo con cui poteva vincere lanimo di Lucia, cos sensibile e impressionabile, e cerc quindi di sfruttare questa debolezza della ragazza, per un calcolo interessato anche se non premeditato, perch furono in verit le parole di lei che lo fecero montare sulle furie. Renzo realmente sdegnato, e quasi furioso, ma non ha perduto del tutto il controllo di s stesso, tanto vero che, non ostante lira, d come sempre del voi alla ragazza, in segno di grande rispetto. Ma sentiamo direttamente le sue parole, per vedere con quanta efficacia egli si lamenta della durezza di cuore dellex-fidanzata: Il cuore in pace! Oh! questo , levatevelo dalla testa. Gi me lavete fatta scrivere questa parolaccia; e so io quel che mha fatto patire; e ora avete anche il cuore di dirmela. Poi minaccia cose terribili e indeterminate, per intimidire la ragazza: E vi prometto, vedete, che, se mi fate perdere il giudizio, non lo riacquisto pi. Al diavolo il mestiere, al diavolo la buona condotta! Volete condannarmi a essere arrabbiato per tutta la vita; e da arrabbiato viver Quindi la perorazione finale, patetica, appassionata; in cui Renzo vuol apparire la vittima innocente, ingiustamente sacrificata, per una parola, per una promessa senza costrutto! Cosa vho fatto io, dopo che ci siamo lasciati? Perch ho patito, mi trattate cos? Perch ho avuto delle disgrazie? Perch la gente del mondo mha perseguitato? Perch ho passato tanto tempo fuori di casa, tristo, lontano da voi? perch, al primo momento che ho potuto, son venuto a cercarvi? Sono parole sincere, anche se un po esagerate; accenti pieni di crucci e di passione; ma il rimprovero mosso a Lucia molto ingiusto, e Renzo lo sa; ma lui non misura davvero i termini, pur di spezzare la resistenza di lei, anche a costo di farla soffrire. La poverina non rispondeva che con il pianto a quelle parole veementi, che avrebbero spezzato il cuore anche a una ragazza non innamorata come lei; e quando pot formare delle parole, invoc innanzi tutto la Vergine, perch sentiva il bisogno di tutto il suo aiuto: Voi sapete che, dopo quella notte, un momento come questo non lho mai passato. Mavete soccorsa allora; soccorretemi anche adesso. Renzo, pur vedendola piangere, non la smette, non desiste; anzi, vedendo che le sue parole hanno in un certo senso fatto breccia nel cuore di lei, insiste su quel tono, con una certa crudelt mentale, diventando quasi provocante; infatti mette in dubbio la sua sincerit: Se poi questa fosse una scusa; se chio vi sia venuto in odio ditemelo parlate chiaro. Povera Lucia! Peggiore trafittura non poteva ricevere dal suo amato; e giunge a supplicarlo, con gli occhi inondati di lagrime: Per carit, Renzo, per carit, per i vostri poveri morti, finitela, finitela; non mi fate morire Non sarebbe un buon momento. Andate dal padre Cristoforo, raccomandatemi a lui, non tornate pi qui, non tornate pi qui. Il giovane a queste ultime parole comprende che Lucia, pur turbata e commossa, pur innamorata ancora, non tradir mai il suo voto; perch si decida a venir meno a quella promessa, occorre un intervento autorevole, unautorit religiosa. Renzo pensa subito al padre, e risponde che andr a riferire tutto al buon frate, ma poi torner, di sicuro. Partito Renzo, la povera ragazza,

227

spossata e sconvolta, and a sedere, o piuttosto si lasci cadere in terra, accanto al lettuccio, piangendo senza ritegno, per dare un po di sfogo allangoscia che lopprimeva. La compagna, che fino allora aveva ascoltato senza fiatare, cerc di consolarla, e le chiese il motivo di tutto quel pianto. Era costei una ricca mercantessa, di circa trentanni, che aveva perduto nella peste il marito e i figli; ammalatasi anche lei, era stata portata al lazzaretto, dove era stata messa nella stessa capanna di Lucia, la quale era ormai fuori pericolo, e cos pot curarla e farle compagnia, mentre anche lei superava la crisi e si avviava alla guarigione. Appunto per rimanere con lei, a cui si era molto affezionata, Lucia non era voluta uscire quel giorno dal lazzaretto assieme con i guariti; infatti avevano promesso di non uscire se non insieme; e la brava signora voleva assolutamente che Lucia rimanesse sempre con lei, nella sua casa ben fornita, ora che non aveva altre persone care. La ragazza aveva acconsentito, con senso di riconoscenza, perch le sembrava che non potesse trovare un migliore ricovero che labitazione di quella buona vedova, almeno finch non avesse potuto avere notizie della madre, onde poterne conoscere la volont circa la sua sistemazione definitiva. Tra le due donne era nata, nel dolore e nel bisogno, una tenera amicizia e una grande reciproca fiducia, favorita anche dallet non molto diversa. Ordunque, alle amorevoli parole di costei, Lucia si calm alquanto e, stretta con tutte due le mani la destra di lei, si mise subito a soddisfare alla domanda, senzaltro ritegno, che quello che le facevano i singhiozzi. Quello sfogo fece tanto bene alla poverina, perch nellamicizia anche ricordare i dolori un sollievo. Intanto Renzo a passi affrettati andava alla ricerca di padre Cristoforo, che costituiva ormai la sua ultima risorsa, perch solo lui avrebbe potuto convincere Lucia. Finalmente lo trov che stava assistendo un moribondo; attese in disparte, con impazienza, e quando il frate si fu rialzato, dopo aver chiusi gli occhi di quel poveretto, gli and incontro tutto emozionato, dicendo che laveva trovata, e per di pi guarita, ma che cera unaltra difficolt; e si mise a esporre a suo modo il fatto del voto, cercando di influenzare il giudizio dellascoltatore: Dice, che so io? Che, quella notte della paura, s scaldata la testa, e s, come a dire, votata alla Madonna. Cose senza costrutto, n vero?... n vero che son cose che non valgono? Ma il frate, nonostante lansia comprensibile del giovane, non vuole anticipare nessuna valutazione sulla validit del voto, prima di aver ascoltato linteressata; e quindi prega Renzo di guidarlo da lei. Prima di avviarsi, entr un momento nella sua capanna, per prendere la sporta con dentro il cofanetto contenente il pane del perdono, che voleva lasciare in ricordo a quella creatura eletta, la quale era stata per tanti anni sua figliola spirituale. Il tempo andava facendosi sempre pi fosco: lampi fitti rompevano quel buio minaccioso, seguiti da tuoni paurosi, che scoppiavano con strepito lacerante. Renzo, per quanto impaziente darrivare, misurava il proprio passo su quello del compagno che, stanco dalle fatiche, aggravato dal male, oppresso dallafa, camminava stentatamente, sentendosi quasi mancare il respiro. Finalmente arrivano alla capanna delle due donne. Dopo i primi affettuosi saluti il frate, tirata

228

in disparte Lucia, le chiese se voleva confidarsi a lui, come un tempo; e avendo quella risposto di s con trasporto, perch lui era sempre il suo buon Padre, le chiese come fosse andata la faccenda del voto. Al che la ragazza rifer con tutta sincerit in che modo e in quali circostanze avesse fatto quella promessa alla Madonna, mettendo in rilievo come lavesse fatta liberamente e in piena coscienza. Il frate, dopo aver ascoltato e valutato tutto attentamente, le chiese se nel momento del voto aveva riflettuto che era gi legata da una promessa, di sposarsi con Renzo. Avendo colei risposto che non ci aveva pensato, trattandosi del Signore e della Madonna, le fece osservare che lei non poteva legare, con la sua, anche la volont di un altro, al quale era obbligata da una promessa precedente. Allora langelica fanciulla chiese preoccupata se avesse fatto male, ma il buon Padre la rassicur, aggiungendo che certamente la Vergine aveva gradito la sua buona intenzione, lofferta di un cuore devoto; per il voto, come tale, non aveva valore; per cui, se non cerano altri motivi, lui poteva restituirle la piena libert dallobbligo contratto con quella promessa. E siccome la ragazza esitava, non perch ci fossero altri motivi che le impedissero di sposare Renzo, ma perch era ancora presa quasi da un senso di colpa nellabbandonare quel voto, fra Cristoforo, che la capiva, le fece coraggio, dicendo che Dio ha data alla sua Chiesa lautorit di rimettere e di ritenere, che questa autorit era stata dal Cardinale delegata, nel lazzaretto, ad essi frati, e che quindi poteva, per mandato divino, scioglierla da quel voto fatto senza riflettere: anzi desiderava che lei glielo chiedesse. Lucia allora, con un volto non turbato pi che di pudore, disse che, s, lo chiedeva con tutto il cuore; e il Padre, chiamato il giovane, il quale intanto era rimasto in disparte e in un dubbio angoscioso, disse a voce alta, rivolta a Lucia, che la dichiarava sciolta dal voto di verginit, in base allautorit ricevuta dalla santa Chiesa. Pensate alla gioia di Renzo! Ringrazi con gli occhi il buon frate, suo rifugio e sua speranza, e cerc subito, ma invano, quelli di Lucia, che li teneva bassi, sopraffatta dallirrompere dei sentimenti di un tempo, i quali le davano unemozione troppo forte, facendola quasi tremare. Fra Cristoforo, comprendendo il suo stato danimo, la incoraggi con amorevoli e paterne parole: Tornate, con sicurezza e con pace, ai pensieri di una volta, chiedete di nuovo al Signore le grazie che Gli chiedevate, per essere una moglie santa. Quindi, rivolto al giovane, lo ammon dolcemente: Ricordati, figliuolo, che se la Chiesa ti rende questa compagna, non lo fa per procurarti una consolazione temporale e mondana ma per avviarvi tutte due sulla strada della consolazione che non avr fine Se Dio vi concede figliuoli, abbiate in mira dallevarli per Lui, distillar loro lamore di Lui e di tutti gli uomini; e allora li guiderete bene in tutto il resto. Quindi, dopo aver raccomandato di pregare ambedue per il loro persecutore, che aveva tanto bisogno della misericordia di Dio, diede a Lucia la cassettina di legno lucido, nella quale era conservato un pezzo del pane del perdono, dicendo con tono commosso: Lo lascio a voi altri; serbatelo; fatelo vedere ai vostri figliuoli. Verranno in un tristo mondo, e in tristi tempi, in mezzo ai superbi e ai provocatori: dite loro che perdonino sempre, sempre! Tutto, tutto! Lucia con

229

grande venerazione, quasi fosse una reliquia, ricevette il cofanetto dalle mani del frate, il quale poi con paterna premura sinform se ella avesse in Milano degli appoggi, per quando sarebbe uscita dal lazzaretto. La ragazza lo rassicur, dicendo che quella buona vedova, che era l con lei, lavrebbe presa con s, nella sua casa, finch non poteva tornare da sua madre. Il cappuccino lod e benedisse la mercantessa, per la sua offerta di ospitalit, che era anche unopera meritoria; e la donna, oltremodo contenta per la felice soluzione del dramma interiore dellamica, disse che le avrebbe fatto lei il corredo di nozze, perch aveva in casa molta biancheria, mentre lei purtroppo era rimasta sola. Fra Cristoforo, ora che ha riportato la pace e la gioia nel cuore dei due giovani, non pu pi trattenersi: ha fretta di tornare dai suoi malati, che hanno tanto bisogno di lui; ha premura soprattutto per quel tale, che ha tanto bisogno del perdono di Dio. Si accomiata perci senza indugio da Renzo e da Lucia la quale, nel salutarlo, esclama intenerita: Oh padre! La vedr ancora? Io sono guarita, io che non fo nulla di bene a questo mondo; e lei!... Ma il frate rispose con tono ispirato: E gi molto tempo che chiedo al Signore una grazia, e ben grande: di finire i miei giorni in servizio del prossimo. Perci, se otteneva ora questa bellissima grazia, tutti quelli che gli volevano bene dovevano aiutarlo a ringraziare Dio. Scambiati con Lucia gli ultimi saluti, misti di auguri, Renzo si allontan assieme al Padre, il quale gli offr di restare nella sua capanna per quella notte, dato che si annunciava imminente un gran temporale. Ma il giovane, desideroso di recare ad Agnese la grande notizia riguardante la figlia, e vedendo che il rimanere l non gli sarebbe servito a nulla, perch non poteva stare n vicino alla fidanzata n in compagnia del caro frate, che era sempre in giro tra i suoi malati, prefer partire subito. La minaccia del tempo non lo preoccupava affatto: ormai, avendo recuperata la sua Lucia, e sicuro del suo amore, si sentiva come invulnerabile; nello stato euforico in cui si trovava allora si pu dire che notte e giorno, sole e pioggia, zeffiro e tramontano, eran tuttuno per lui. Congedandosi dal suo buon Padre, gli chiese tutto commosso: Oh caro padre! Ci rivedremo? Ci rivedremo? Lass, spero rispose con uno stanco sorriso il Cappuccino, alzando gli occhi al cielo; quindi torn sollecito alla sua inesausta opera di carit a pro degli ammalati.

230

CAPITOLO XXXVII
Distaccatosi dal frate, Renzo si avvi alacremente verso luscita del lazzaretto; ma ne aveva attraversata appena la porta, che cominciarono a cadere con violenza dei grossi goccioloni, che sollevavano un fitto polverio dalla superficie della strada, arida e farinosa per la lunga siccit. I goccioloni, prima radi, infittirono sempre pi, finch divennero una pioggia scrosciante; in breve lacqua venne gi a rovesci: sembrava proprio che si fossero aperte a un tratto tutte le cateratte del cielo. Ma la terra inaridita beveva quasi con volutt lacqua celeste: in poco tempo la campagna, prima polverosa e scialba, apparve come ravvivata, quasi fosse stata riverniciata a nuovo, se ci si passa limmagine; e anche per questo Renzo se la godeva in quella rinfrescata, in quel sussurrio, in quel brulichio dellerbe e delle foglie, tremolanti, gocciolanti, rinverdite, lustre. Si sarebbe rallegrato ancor di pi, se avesse potuto prevedere che quel violento acquazzone di fine agosto avrebbe spazzato via il contagio, e che una settimana dopo la situazione sanitaria della citt e di tutto il Ducato sarebbe stata affatto diversa; che avrebbe ricominciato a pulsare la vita e lattivit degli uomini, ormai liberati da quellincubo mortale e riconciliati con la gioia e la fiducia, da tanto tempo bandite dalla terra. Andava dunque avanti, il nostro giovane, sguazzando allegramente nellacqua, che ormai lo aveva inzuppato completamente, facendo tuttuno con la sua persona e dando al suo corpo come un solletico tonificante e inebriante; tanta era la sua felicit interiore, che si sentiva come rigenerato alla vita, e quella fresca doccia celeste gli dava una sensazione infinitamente piacevole. Non aveva fatto alcun disegno n su dove n su quando fermarsi; quello che gli premeva era di avvicinarsi quanto pi al suo paese, e magari di raggiungerlo tutto in una tirata, se le gambe reggevano allo sforzo; ormai non vedeva lora di poter correre a Pasturo, a trovare quella buona Agnese, per parteciparle la duplice buona notizia, e della guarigione e dello scioglimento del voto. Chi sa come sarebbe rimasta contenta la brava donna! Ripercorrendo la strada, per la quale era passato quello stesso mattino o il giorno prima, ripensava al suo stato danimo di quando stava andando verso Milano, oppresso da tanti dubbi assillanti, sul come e sul dove trovarla, su come lavrebbe trovata, se pure lavesse trovata! Eppure laveva trovata! Riandava col pensiero e con la fantasia al suo itinerario milanese, al momento in cui aveva picchiato al palazzo di don Ferrante, a quella risposta cos amara e cos sgarbata: stata portata al lazzaretto! come? quando? mah! Eppure laveva trovata! Rivedeva nella fantasia il lazzaretto, quellimmenso ospizio di dolore e di morte: doverla cercare in mezzo a quella marea di ammalati, di moribondi! Era come voler cercare un ago in un pagliaio! Eppure laveva trovata: viva, in mezzo a tanti morti, anzi guarita, che era la cosa pi importante! E ricostruiva nellimmaginazione tutta la scena: vederla in piedi, gi fuori pericolo! E quella voce! Ma cera limbroglio del voto: che serviva averla trovata, se lei era legata dalla promessa

231

alla Madonna? Ebbene, tolto anche quellostacolo, in quattro e quattrotto, grazie allintervento del caro Padre! Ora potevano finalmente sposarsi, e subito! La sua felicit era al colmo: tra poco Lucia sarebbe stata sua, sua per sempre; metterebbero su casa (e la grazia di Dio non mancava, con quei bei cinquanta scudi che portava addosso!), formerebbero una famiglia cristiana, avrebbero dei figli! Solo delle lievi ombre turbavano quella felicit sconfinata: lincertezza intorno ad Agnese, il tristo presentimento intorno al padre Cristoforo, e quel trovarsi ancora in mezzo a una peste. Ma il contagio doveva pur finire, lattivit doveva pur ricominciare! Arrivato a Sesto sul far della sera, decise di proseguire, sentendosi ancora in forza nelle gambe; solo avvertiva un certo languore di stomaco, avendo mangiato solo quella poca minestra offerta dal frate; cercato dunque un forno, compr due pani, di cui uno fu divorato l per l, in un battibaleno. E subito riprese la sua strada. Giunse a Monza che era gi notte fatta, ma riusc lo stesso a trovare la strada giusta, e prosegu al fioco barlume notturno, non sbagliando mai, ai vari bivi e crocicchi, pur andando cos a lume di naso: la fortuna, dopo avergli fatto il viso brusco per tanti anni, aveva decisamente cominciato a proteggerlo! Dopo aver dunque camminato ininterrottamente per tutta la notte, allalba arriv alla sua Adda, e alla luce lattiginosa del mattino scorse con emozione i suoi monti, il Resegone, il territorio di Lecco, il suo paese! Si sentiva tutto fiero della sua bella impresa; si sentiva come un vincitore, un dominatore. A mirare quel paesaggio familiare, con quello stato danimo cos euforico, gli sembrava che fosse diventato tutto come roba sua; si sentiva lui il padrone, il redivivo: sensazione pi che giustificata in chi, neppure due anni prima, era dovuto fuggire davanti alliniquo potente, ed era dovuto rimanere per tanto tempo lontano, ramingo e perseguitato. Era soddisfatto anche perch finalmente aveva deposto quel fiero odio contro don Rodrigo, quel sentimento tuttaltro che cristiano: ora gli aveva perdonato davvero, di tutto cuore, e si sentiva in pace con la propria coscienza; mentre prima ora lo riconosceva non gli aveva mai perdonato sul serio, conservando in fondo al cuore quella tal ruggine che lo teneva in uno stato di continua agitazione. Ormai la pioggia battente era cessata, e veniva gi solo unacquerugiola fitta e leggera. Renzo ogni tanto si guardava addosso, sorridendo, vedendo comera conciato, come sembrava buffo e lercio ai suoi stessi occhi: dalla testa alla vita, tutto un fradiciume, una grondaia; dalla vita alla punta dei piedi, melletta e mota. La brezzolina dellalba, aggiunta al fresco della notte, gli mise nelle membra nuovo vigore, e si mise a camminar pi in fretta, anche per scaldarsi un poco. Passa il ponte di Lecco, sale per le sue colline, ovattate da una nebbiolina leggera, e in breve giunge alla casa dellamico, il quale da poco si era alzato e stava sulluscio a guardare il tempo che si stava rimettendo: le nuvole diventavano sempre pi rade, quasi diafane per il chiarore che cresceva da oriente. Egli si meravigli molto nel vedere quella figura cos infangata, quasi irriconoscibile: ai suoi giorni non aveva visto un uomo peggio conciato e pi contento. Quando lo ravvis, gli and incontro con aria dinterrogazione.

232

Renzo gli grid subito la grande notizia: lho trovata! Guarita! Ci sposeremo al pi presto, e tu dovrai fare da testimone alle nozze; e staremo allegri, dobbiamo fare una bella festa, a dispetto di tutti i guai che abbiam passati! Lamico si rallegr con lui sinceramente; e aggiunse che avrebbe acceso immediatamente un buon fuoco, per farlo asciugare, poich era fradicio mzzo, e in verit avrebbe potuto adoperare lacqua che portava dalla testa alla vita, per lavare le zacchere di cui era cosparso dalla vita ai piedi. Ridendo di gusto alle scherzose parole dellospite, Renzo cominci a liberarsi da quei panni molli, che gli si erano appiccicati addosso, a cominciare dal cappello, il quale era diventato ormai inservibile, sicch il giovane lo gett a terra allegramente. Dovendo cambiarsi da capo a piedi, preg lospite di prendergli quellinvolto di panni che gli aveva lasciato due giorni prima; e davanti alla bella fiamma che crepitava sul focolare, dopo essersi asciugato ben bene, si rivest con la roba asciutta e pulita, che faceva tuttaltra figura. Intanto lamico si era messo a preparare da mangiare, per rifocillarlo, avendo notato che ne aveva proprio bisogno, dopo quella bella scarpinata e dopo tante snervanti emozioni. E mentre colui approntava il desinare, Renzo gli faceva il resoconto del suo avventuroso viaggio, disordinatamente, saltando di palo in frasca, ricominciando ora da un punto ora da un altro, perch la troppa gioia non gli permetteva di seguire n il filo cronologico n quello logico. Il suo racconto era piuttosto un seguito di esclamazioni, e sul lazzaretto e su Milano e sulla peste: Com conciato Milano! Le cose che bisogna vedere! Le cose che bisogna toccare! Cose da farsi schifo a s medesimo. Ma il tono era prevalentemente allegro e scherzoso; circa le cose schifose che aveva dovuto vedere e toccare, concluse con una battuta: Sto per dire che non ci voleva meno di quel bucatino che ho avuto. Per quella giornata rimase presso lospite, e perch era assai stanco (ora se naccorgeva!) e perch continuava a piovigginare, anche se a tratti. Per passare il tempo, lamico si mise a eseguire dei lavoretti in preparazione della vendemmia, e Renzo lo aiut con piacere, continuando a narrargli or luno or laltro episodio, senza mai stancarsi, per tutta la giornata. Il giorno dopo si alz presto, e vedendo che la pioggia era cessata, si mise subito in cammino, diretto a Pasturo. Ci arriv prima di mezzod, e chiese di Agnese Mondella; apprese con grande gioia che era viva, e si fece indicare dove abitava. Era una casetta fuori del paese, isolata, proprio lideale per stare lontano dal contagio; e infatti era rimasta finora immune dalla peste, la nostra Agnese. Renzo la chiam dalla strada, e quando la donna si fu affacciata alla finestra, le diede tutte in una volta le grandi notizie di cui era latore, mentre quella rimaneva estatica e a bocca aperta. Riavutasi poi dallemozione, disse che scendeva ad aprire; ma Renzo le chiese se aveva avuto la peste; avuta la risposta negativa, le raccomand di stare riguardata e di non avvicinarglisi, perch lui laveva avuta, e per di pi veniva dal bel mezzo del contagio, da quella Milano che era tutta come un immenso lazzaretto. Per evitare ogni contatto, decisero che avrebbero parlato nellorto, a debita distanza. E cos fecero. Agnese, notando con quale disinvolta allegrezza e sicurezza il giovane parlava di metter su casa, di andare a vivere insieme, rimaneva perplessa e

233

incredula, e alla fine si decise a chiedere chiarimenti circa il voto. Il giovane per non le fece nemmeno formulare la domanda: Eh! Non c ma che tenga. So quel che volete dire; ma sentirete, sentirete, che dei ma non ce n pi. E le diede la notizia del padre Cristoforo, riferendo come il santuomo avesse messo tutto in chiaro, sciogliendo Lucia dallimpegno contratto, impegno che non poteva valere, dato che lei aveva gi dato promessa di matrimonio. Si dilung quindi sui progetti dellavvenire, insistendo sul fatto che si sarebbe andati tutti nel Bergamasco, a metter su casa in quel paese ospitale, dove potevano vivere un po tranquilli e felici, dopo tanto patire. Agnese, a sua volta, disse che, non appena fosse finito quel cattivo influsso, che doveva pur finire, tornerebbe a casa sua, ad aspettare larrivo della figlia e di quellaltra brava signora milanese, le quali sarebbero certamente venute non appena terminata la quarantena. Renzo non si trattenne molto presso la buona vedova, pur desiderandolo, dato che il conversare con lei del loro avvenire era un gran balsamo per il suo cuore; e poi lui, che non aveva la madre, la considerava proprio come una seconda mamma, ed era da lei trattato come figlio, da quando si era legato a Lucia. Perci non voleva essere per lei di pericolo, rimanendole troppo tempo vicino, lui che era certamente portatore di contagio: temeva troppo per lincolumit della persona che, dopo Lucia, era per lui pi cara. Dopo la cordiale e ottimistica chiacchierata, il giovane ripart con lanimo pi sereno e, tornato al paese, comunic allospite questaltra consolante notizia, della buona salute di Agnese. Il giorno dopo si rimise in marcia, questa volta verso quel paese del Bergamasco, che ormai considerava sua patria delezione; trov Bortolo in buona salute, e in minor timore di perderla, perch in quei pochi giorni che Renzo era stato assente, la mortalit in quel paese era a un tratto diminuita, essendo il morbo divenuto, per cos dire, benigno. Una settimana ancora, e la mortalit cess del tutto; quei pochi che sammalavano, non mostravano pi quei lividi mortali, n quella violenza di sintomi; ma febbriciattole, intermittenti la maggior parte, con al pi qualche piccol bubbone scolorito, che si curava come un fignolo ordinario. Passata la gran paura, si ricominciava a vivere, si riprendeva lattivit. Si ricercavano gli operai specializzati, particolarmente i filatori di seta, che erano stati scarsi anche prima della moria. Renzo, senza farsi troppo pregare, dato il debito di gratitudine che aveva con lui, promise a Bortolo di tornare a lavorare nella sua filanda, salve per le debite approvazioni, perch ormai, grazie a Dio, non era pi solo: doveva sentire in proposito le sue donne, che presto sarebbero venute a star con lui. Pensate anche alla consolazione del buon Bortolo, nel vedere che gli affari di cuore del cugino si erano cos felicemente risolti, e che egli sarebbe rimasto sempre con lui, accasandosi l nella nuova patria. Renzo intanto era impegnato nei preparativi per le nozze: trov una casa pi grande di quella che aveva abitato da scapolo, la forn di mobili e di tutto il necessario per una famiglia, e pot provvedere a tutto con una spesa relativamente piccola, perch, essendo molto diminuita la popolazione, lofferta dei beni di consumo era ovviamente superiore alla domanda.

234

Avendo preparato e ordinato ogni cosa per la futura vita in comune, Renzo torn a Pasturo presso Agnese; e siccome anche nel territorio di Lecco il morbo era scomparso o divenuto benigno, riport lui stesso la buona donna al paese, nella sua casetta, che trovarono per vera fortuna intatta, cos comera stata lasciata, sicch lei andava ripetendo che vi avevan fatto la guardia gli angioli. La buona donna cominci subito i preparativi per ospitare degnamente la mercantessa, che le avrebbe riaccompagnato la figlia a casa. Renzo, che sapeva fare due mestieri, aveva momentaneamente ripreso quello di contadino, e ora aiutava lospite nei lavori di campagna, ora dissodava lorto della cara Agnese, per rendere la casa pi bella e accogliente, in vista dellarrivo delle milanesi. In quanto al suo proprio podere dice il Manzoni non se noccupava punto, dicendo chera una parrucca troppo arruffata, e che ci voleva altro che due braccia a ravviarla. Del bando non se ne curava, sapendo che ormai, non essendoci pi n don Rodrigo n il Podest, i soli che avrebbero potuto o voluto metterlo in atto, esso decadeva da s, anche perch i birri erano morti quasi tutti, e i pochi sopravvissuti non avrebbero preso nessuna iniziativa senza una spinta dallalto. Allora cos andavano le cose: tutto si faceva per sollecitazioni interessate, senza le quali ogni provvedimento rimaneva lettera morta; qualche maligno potrebbe osservare che anche oggi le cose, in certi campi, non sono affatto cambiate. E con don Abbondio come se la passava il nostro Renzo? Si ignoravano a vicenda: stavano alla larga luno dallaltro. Il curato temeva che gli fosse di nuovo chiesto di fare quel tal matrimonio, che gli era stato proibito due anni prima, e a questa prospettiva si vedeva davanti agli occhi don Rodrigo da una parte, coi suoi bravi, il Cardinale dallaltra, coi suoi argomenti. Il giovane, per parte sua, lo scansava perch, non essendo stato ancora deciso niente circa la celebrazione delle nozze, non voleva metterlo in sospetto prima del tempo, rischiando di complicare inutilmente le cose: quando fosse venuto il momento, si vedrebbe. Lucia intanto era uscita dal lazzaretto assieme alla buona vedova la quale, essendo sorella di un commissario di Sanit, aveva ottenuto in via del tutto eccezionale di poter trascorrere la prescritta quarantena in casa propria, con la cara Lucia, alla quale sin dai primi giorni cominci a preparare il corredo, come aveva promesso. La ragazza le fece alquanta resistenza in questo suo proposito, dicendo che non doveva privarsi di tutta quella bella roba, la quale le poteva sempre tornare utile, in futuro, ma la mercantessa fu irremovibile, e Lucia, profondamente grata, si mise anche lei a lavorare intorno al proprio corredo, pensate con che emozione. Era il secondo corredo che veniva preparato per lei: il primo, opera in gran parte delle mani materne, se lerano portato via i lanzichenecchi, e chi sa dovera andato a finire; al posto di quello, la Provvidenza aveva mandato questaltro, da parte di una persona da cui nessuno se lo sarebbe aspettato. Le vie della Provvidenza sono davvero mirabili e infinite! Parlando ormai con la massima confidenza con la signora, Lucia le raccont senza pi alcun ritegno tutte le sue disavventure, tra cui il rapimento avvenuto mentrera ricoverata nel monastero di Monza, sotto la protezione di Gertrude. Allora seppe dallamica e il fatto la colp profondamente che la sciagurata,

235

caduta in sospetto datrocissimi fatti, era stata, per ordine del Cardinale, trasportata in un monastero di Milano; che l, dopo molto infuriare e dibattersi, sera ravveduta, sera accusata, e aveva cominciato una vita daspra penitenza. Questultima notizia la rincor alquanto, temperando il sentimento di dolorosa e paurosa meraviglia che laveva colta al primo annuncio di una cosa cos inaspettata, la quale le fece intuire che il suo rapimento non era stato fortuito, ma voluto dalla monaca. Il padre Cristoforo intanto era morto; Lucia aveva saputo la triste notizia prima di uscire dal lazzaretto, provandone pi dolore che meraviglia, perch purtroppo la prevedeva, per quello che lei stessa aveva potuto vedere. Si inform anche della sorte dei signori che lavevano ospitata, essendo sua intenzione, se erano ancora in vita, di far loro una visita di ringraziamento, prima di lasciare Milano; ma purtroppo erano morti tutte due. Di donna Prassede, quando si dice che era morta, detto tutto, ammette lAutore, lasciando trasparire lantipatia che il personaggio ha suscitato anche in lui, oltre che nei lettori; ma intorno a don Ferrante, a questo don Chisciotte della scienza fasulla del Seicento, il Manzoni spende un po di parole. Infatti, nonostante la sua infatuazione pseudo-scientifica, luomo non affatto antipatico, anzi per certi aspetti ci appare decisamente simpatico; per esempio, nella sua volont dindipendenza dalla tirannica moglie. Aristotelico convinto, sostenne sino allultimo, contro levidenza dei fatti, che il contagio non esisteva; e mantenne il suo assunto non gi con schiamazzi, come il popolo, ma con ragionamenti. Erano ragionamenti scolastici, basati su sillogismi campati in aria, i quali si risolvevano in veri e propri sofismi, miranti al dimostrare che il contagio, non potendo essere n sostanza n accidente11, non esisteva. E fin qui don Ferrante trovava orecchi attenti e animi docili di ascoltatori, perch osserva con fine ironia il Manzoni non si pu spiegare quanto sia grande lautorit dun dotto di professione, allorch vuol dimostrare agli altri le cose di cui sono gi persuasi. E la gente era persuasa, tenacemente persuasa, per malinteso interesse, che il contagio non esisteva. Ma allorch il letterato non negava che ci fosse un male terribile e generale, e ne indicava la causa in quella fatale congiunzione di Saturno con Giove, allora il sottile dialettico non trovava pi orecchie attente, ma lingue polemiche, che non gli permettevano pi di dissertare con tanta autorevolezza, ma lo contraddicevano quasi a ogni proposizione, perch anche loro avevano le loro particolari idee in proposito, n c da meravigliarsi: quot capita, tot sententiae12. Ma don Ferrante non disarmava, non cedeva dun millimetro, non cambiava opinione n tanto n poco: era un dotto serio e coerente con s stesso, lui. E se la rideva dei medici e delle loro inutili prescrizioni, dei loro insulsi divieti; infatti, che cosa potevano quei palliativi contro glinflussi malefici dei pianeti? Contro gli oppositori sinfervorava, usando or lironia or il sarcasmo: E lor signori mi vorranno negar
Termini della filosofia medievale, secondo la quale ogni cosa esistente doveva essere o sostanza (che esiste in s) o accidente (che pu esistere o no presso una sostanza). 12 = quante sono le teste, tanti sono i pareri.
11

236

linfluenze? Mi negheranno che ci sia degli astri? O mi vorranno dire che stian lass a far nulla, come tante capocchie di spilli ficcati in un guancialino?... Ma quel che non mi pu entrare, di questi signori medici; venirci a dire, con faccia tosta: non toccate qui, non toccate l, e sarete sicuri! Come se questo schivare il contatto materiale dei corpi terreni, potesse impedir leffetto virtuale dei corpi celesti! E tanto affannarsi a bruciar dei cenci! Povera gente! Brucerete Giove? Brucerete Saturno? Con assoluta coerenza con questa sua convinzione che la peste derivasse da un cattivo influsso celeste, contro il quale nulla pu la scienza terrena, non prese alcuna precauzione contro il morbo, e caduto ammalato and a letto, a morire, come un eroe del Metastasio, prendendosela con le stelle. La sua vasta raccolta di libri eruditi, il fior fiore della produzione secentesca, and naturalmente dispersa, e forse qualcuno di essi osserva con un sorriso lAutore si pu trovare in vendita, a vil prezzo, su qualche bancarella di libri usati. Chi lavesse detto a don Ferrante, dotto bibliofilo, quando li raccoglieva con tanta cura!

237

238

239

CAPITOLO XXXVIII

Una sera Agnese sent fermarsi una carrozza davanti casa; immaginando chi era, corse tutta emozionata ad aprire: era proprio lei, la sua Lucia, con la buona signora! Labbraccio fu caldo e prolungato, non privo di lagrime: erano ormai due anni che non si vedevano, e le tristi vicende trascorse li avevano fatti sembrare due secoli. Renzo, il quale passava gran parte della giornata presso la futura suocera, a quellora se nera gi andato, a pernottare dal suo amico. Il poveretto chi sa quanto stava in ansia per il ritardo della fidanzata; ed essendo solo sera, e non notte, ci meravigliamo davvero, secondo la nostra mentalit, che egli non venisse subito avvertito, tanto pi in un villaggio, in cui le distanze tra casa e casa non potevano che essere molto modeste; ma il giovane non fu mandato a chiamare per quella riservatezza che allora dominava nei rapporti tra i fidanzati in genere, e tra i nostri due promessi in specie. Renzo dunque si reca a casa di Agnese il giorno seguente, di buon mattino, con lintenzione di lamentarsi e insieme sfogarsi, con lei, di quel gran tardare di Lucia; immaginate voi che cosa prov e che cosa disse, quando se la vide davanti, non pi pallida come nel lazzaretto, ma rifiorita nella salute e nellaspetto; le gote, di un bellincarnato, divennero in quellincontro di porpora, per il ben noto pudore della giovane. Le sue parole non furono molte, perch, nel suo verecondo riserbo, ella non riusciva mai ad esprimere tutto quello che sentiva in cuore; ma Renzo, che la conosceva da tempo, sapeva benissimo che cosa volessero significare quelle parole, semplici e magari usuali, ma che rivolte a lui, dalla sua bocca, avevano un altro tono e un senso cos dolce! A questo proposito il Manzoni stabilisce un confronto: come nei complimenti che si ricevono bisogna togliere la tara, perch in genere essi sono volutamente esagerati, cos alle parole di Lucia, sempre cos modeste e controllate, bisognava saper aggiungere tutto lardore del sentimento interiore, che si avvertiva nel tono della voce soave e nellespressione di tutto il viso, anche in quegli occhi abbassati per verecondia. E Renzo sapeva leggere in quegli occhi. Avviata la conversazione, Lucia comunic con visibile commozione la morte del padre Cristoforo, vittima della carit; e la notizia rattrist anche Agnese e Renzo, il quale doveva tanto al buon frate, specie per lo scioglimento del voto; ma si consolarono pensando che egli ormai godeva il meritato premio nel regno della pace celeste. Ma qualunque argomento si toccasse, anche se triste, per il nostro giovane erano note dolci e soavi ormai; egli tutto vedeva ora in una luce rosea, e gli sembrava che il tempo volasse accanto alla sua Lucia: prima i minuti gli parevan ore, ora lore gli parevan minuti. Dopo qualche ora di piacevole conversazione, alla quale anche la mercantessa partecipava con interesse, Renzo si distacc malvolentieri dalla compagnia, perch doveva andare dal curato, per

240

parlare questa volta delle nozze, ch era venuta lora di parlare chiaro e forte, ora che la sposa era pronta. Dopo i saluti, ricambiati da don Abbondio con poco calore, il giovane esord: con un certo fare tra burlesco e rispettoso: - Signor curato, le poi passato quel dolor di capo, per cui mi diceva di non poterci maritare? Ora siamo a tempo; la sposa c: e son qui per sentire quando le sia di comodo: ma questa volta, sarei a pregarla di far presto.- Don Abbondio non rifiut, ma port diverse scuse, e specialmente che non era prudente, con quella catturaccia addosso, celebrare il matrimonio nel suo paese, mentre poteva benissimo far tutto altrove, evitando ogni rischio. Renzo cap subito che il curato aveva ancora un po di quel mal di testa di due anni prima, per quella maledetta paura di don Rodrigo; gli descrisse perci in che stato lo aveva trovato nel lazzaretto, dicendosi sicuro che era morto, in quelle condizioni disperate. Laltro, per dissimulare la sua pusillanimit, disse che quel tale non centrava affatto nella faccenda delle nozze; mentre era proprio quello il canchero che lo rodeva, e non lo faceva essere lui: lincertezza sulla fine del signorotto. Tant vero che poco dopo si scopr, affermando che sulla sorte dei malati non si pu dire mai niente, perch finch c vita c speranza; e aggiunse, a mo desempio, che anche lui era stato pi di l che di qua, eppure era guarito, pur essendo una conca fessa, un vecchio decrepito; figuriamoci poi certi giovani, pieni di vitalit Renzo, capita lantifona, per non risicar di perdere la pazienza, e di levargli il rispetto, pens bene di andarsene, strisciandogli una bella riverenza, e e torn dalle donne a fare la sua relazione. La mercantessa, che era di carattere allegro e di umore socievole, propose di andare a provare loro donne, nel pomeriggio, perch aveva una grande curiosit di conoscerlo, questo parroco, per vedere se era proprio cos vile. Poi con bel garbo, e con fine intenzione, preg lo sposo di accompagnare lei e Lucia a passeggio, per conoscere un po quei bei posti in riva al lago, di cui aveva tanto sentito parlare. Il giovane ben volentieri le condusse in un lungo giro, cominciando dalla casa del suo ospite, che invitarono a mangiare con loro sia quel giorno, particolarmente festivo, sia possibilmente anche nei successivi, sino alla loro partenza dal paese. Dopo pranzo le donne, massime le due vedove, si misero daccordo sul modo migliore di prender don Abbondio; e finalmente andarono allassalto; mentre Renzo, senza rivelar nulla ad esse, si avvi al palazzotto di don Rodrigo, perch era convinto che l si dovesse saper qualcosa di preciso sul padrone, se era morto o per caso guarito. E seppe infatti che era gi arrivato lerede, un certo marchese X, e la notizia gli fu confermata da Ambrogio il sagrestano, che era stato appunto al palazzotto, per certi servizi, e lo aveva visto, questo marchese, disporre e riordinare ogni cosa, farla insomma da padrone. Renzo, ben conoscendo lincredulit del curato, che in certe cose era pi sofistico dellapostolo Tommaso, preg il sagrestano di andare con lui alla canonica, per confermargli la (per loro) fausta notizia. Ambrogio acconsent volentieri. Intanto le nostre donne erano a colloquio con don Abbondio il quale, pur avendo capito, subito nel vederle venire come in commissione, il motivo della visita, fece tuttavia finta di niente, e si mise a chiacchierare alla distesa di

241

tuttaltro, e della peste, e dei casi di Lucia, e di Agnese che se lera passata liscia, e di altre fanfaluche. A sua volta la mercantessa, alla quale il curato fece gran complimenti, parl di Milano e del lazzaretto; e di argomento in argomento cerc di arrivare al punto che le premeva, aiutata in ci da Agnese, che stava anchessa alle velette. Ma don Abbondio era come sordo da quellorecchio; neppure ad esse disse di no, ma tir in ballo le solite scuse, insinuando che era meglio far tutto l nel Bergamasco, che ormai poteva considerarsi la nuova patria degli sposi, e dove la cattura che pendeva su Renzo non aveva alcun effetto. Le due esperte vedove potevano bens ribattere quelle ragioni con i loro argomenti, ma il curato imperterrito le rimetteva in campo, magari sotto altra forma. Si era a questa sterile schermaglia di parole, quando a un tratto entra Renzo, con passo risoluto, e con una notizia in viso; tutti si voltano ansiosi verso il nuovo venuto, per sapere la novit che annunziava il suo volto; e lui con aria solenne disse che era giunto al palazzo lerede di don Rodrigo, e precisamente il signor marchese X; perci non sussistevano pi dubbi sulla morte del signorotto, per lanima del quale lui aveva gi pregato e ancora pregherebbe in avvenire. Don Abbondio, che conosceva per fama quel marchese come una vera perla di galantuomo, rimase trasecolato, tanto la notizia gli sembrava bella e quasi incredibile; ma espresse subito il suo dubbio, ultimo stadio della sua paura: Ma che sia proprio vero?... Renzo, che si doveva aspettare quellincredulit, da un simile uomo, chiam allora il sagrestano, che aveva pregato di attendere l fuori, come abbiamo detto. Ambrogio, testimone oculare e fededegno, conferma al suo curato tutto ci che Renzo ha detto, non lasciando adito neppure allombra di un minimo dubbio. Don Abbondio, finalmente sicuro della grande notizia, non sta pi in s per la gioia, e intona per cos dire linno della vittoria e del trionfo, sfogando liberamente il suo livore, a lungo represso, per quel prepotente, che prima dora ha sempre definito cavaliere rispettabile; ora che morto, e meriterebbe solo per questo un po di rispetto, il pavido prete non lo rispetta affatto, mostrando di non avere un briciolo di cristiana piet. Adesso, liberato da quella specie di incubo, viene fuori il vero don Abbondio: loquace, scherzoso, perfino lezioso, e piuttosto volgaruccio. Adesso, infranto il gelo della paura, come per incanto gli si scioglie in bocca la parlantina, la quale gli si era congelata l da tanto tempo; ora il suo viso assume tuttaltra cera, essendo scomparsa quella mutria uggiosa che per lui non era affatto naturale, ma solo il prodotto della continua paura e insoddisfazione in cui viveva. Riporteremo soltanto alcune frasi del suo inno di liberazione, che ha certamente la dote della sincerit, ma non quella della piet e della carit: Oh! morto dunque! proprio andato! Vedete, figliuoli, se la Provvidenza arriva (=raggiunge) alla fine certa gente. Sapete che l una gran cosa! Un gran respiro per questo povero paese! Ch non ci si poteva vivere con colui Non lo vedremo pi andare in giro con quegli sgherri dietro, con quellalbagia, con quellaria, con quel palo in corpo, con quel guardar la gente, che pareva che si stesse tutti al mondo per sua degnazione. Intanto, lui non c pi, e noi ci siamo. Non mander pi di quellambasciate ai galantuomini

242

Come possiamo notare da questo squarcio significativo, e a tratti pittoresco, il nostro curato non si preoccupa affatto della sorte eterna di quel signore, in un certo senso suo parrocchiano, non parla di perdono o di preghiere o di suffragi, di cui ha pur parlato un semplice cristiano quale Renzo; il prete invece pensa solo egoisticamente, e con aria di rivalsa, che lui vivo, mentre quello , per grazia di Dio, crepato. Per don Abbondio la Provvidenza esiste soltanto per dare la caccia a coloro che danno fastidio a lui, non per aiutare i miseri e per salvare i peccatori. Il prepotente signorotto, morendo, ha ridato la vita a don Abbondio, il quale sembra gridargli, in tono trionfale: mors tua, vita mea! E mentre egli indugia con compiacenza in questo pensiero cos poco sacerdotale, Renzo gli d una lezione di carit cristiana, dicendo con semplicit: Io gli ho perdonato di cuore. Il parroco non arrossisce n si mostra mortificato, pur ammettendo che il giovane fa il suo dovere di cristiano; per aggiunge: Ma si pu anche ringraziare il cielo, che ce nabbia liberati. E ora che stato liberato da colui, torna lui stesso sullargomento delle nozze; non aspetta che i suoi interlocutori gli facciano una nuova richiesta, ma li previene, li supera nel tempo, brucia le tappe; ora tutte le difficolt, tutte le ragioni di prudenza e di convenienza sono svanite, la cattura non esiste pi! Sentiamolo, com sbrigativo: Sicch, se volete oggi gioved domenica vi dico in chiesa. Fra tre giorni, dunque; si pu essere pi spicci di cos? Nessuno degli interessati avrebbe certo osato sperare o chiedere un termine cos breve. Per arrivare a tanto, don Abbondio si avvale di poteri eccezionali: non far neppure le prescritte pubblicazioni di matrimonio, chiedendone la dispensa alla Curia arcivescovile, come per i casi pi urgenti e delicati. La mente del curato, che prima era come bloccata da quella gran paura, ora diventa fertile di iniziative, anche apprezzabili, come vedremo: non solo chieder la dispensa dalle pubblicazioni, ma si premurer di partecipare a Sua Eminenza la felice conclusione dei casi di Lucia; cos si acquister dei meriti presso il suo superiore, mostrando il suo zelo nel venire incontro alle necessit dei due sposi lungamente promessi. Mirabili effetti della scomparsa di don Rodrigo! Anche la memoria si sbloccata al nostro ineffabile Abbondio: ora infatti, solo ora si ricorda che la cattura contro Renzo non ha pi vigore, essendoci stata lamnistia generale per la nascita del principe ereditario del regno di Spagna. Ora egli diventa anche lepido, ed un piacere sentirlo chiacchierare; si vede che ne ha una gran voglia. Essendosi Agnese meravigliata nel sentirgli dare dell Eminenza allArcivescovo, spiega argutamente che il papa Urbano VIII ha inventato quel titolo per i cardinali, dato che l illustrissimo , che prima era riservato ad essi e ai principi, aveva subito uninflazione nel suo valore reale, venendo concesso ormai ad ogni nobiluccio. Quindi continua con lepidezza: E come se lo succiano volentieri! E cosa doveva fare il papa? Levarlo a tutti? Lamenti, ricorsi, dispiaceri, guai; e per di pi, continuar come prima. Dunque ha trovato un bonissimo ripiego. A poco a poco poi, si comincer a dar delleminenza ai vescovi; poi lo vorranno gli abati, poi i proposti: perch gli uomini son fatti cos; sempre voglion salire,

243

sempre salire; poi i canonici E avendo la spiritosa vedova milanese aggiunto sorridendo: Poi i curati, egli riprese scherzoso: No, no; i curati a tirar la carretta: non abbiate paura che li avvezzin male, i curati: del reverendo, fino alla fin del mondo. Leuforia del momento fa emergere il vero carattere di don Abbondio: egli si rivela ridanciano, ma il suo linguaggio, talora sboccato e plebeo, denunzia la sua mancanza assoluta di delicatezza; il suo scherzare mostra la volgarit del suo animo. Alludendo ai molti matrimoni che doveva celebrare in quella settimana, disse che, se si continuava con quel ritmo, nessuno dopo la peste darebbe rimasto scompagnato; e senza alcun rispetto per la sua affezionata e fedele governante, rapita dal contagio, aggiunse irridente: Ha fatto proprio uno sproposito Perpetua a morire ora; ch questo era il momento che trovava lavventore anche lei. Rivolgendosi quindi alla mercantessa, che pur vedeva allora per la prima volta, usc in unespressione veramente irriguardosa; alludendo agli eventuali pretendenti alla mano della giovane vedova, le chiese: E lei, signora, non hanno principiato a ronzarle intorno dei mosconi? Poi si mise a scherzare anche con laltra vedova, la vecchia Agnese, dicendo che doveva trovare il suo avventore anche lei, perch la peste aveva lasciati molti mariti disponibili. In bocca a un sacerdote, che dovrebbe sentire lui e inculcare negli altri la dignit, anzi la santit del matrimonio, queste espressioni nei riguardi di un sacramento disdicono troppo, e rivelano ancora una volta che lui, del sacerdozio, ha solo lunzione sacra, non altro. Don Abbondio in vena di scherzare, con tutti e per tutto; e nelle sue parole si avverte come uninvidia per i giovani, che ora potranno godersi la vita, mentre lui ormai agli sgoccioli: Io invece, sono alle ventitr e tre quarti, e i birboni posson morire; della peste si pu guarire; ma agli anni non c rimedio: e, come dice, senectus ipsa est morbus13. Don Abbondio non precisa chi dice questa massima, perch non lo sa o non lo ricorda. Ma questa frase14 gli offre il destro di scherzare anche con Renzo; infatti, avendogli costui detto che ormai pu parlare in latino quanto vuole, ch tanto non gliene importa niente, ora, lui si ricorda degli scontri avuti, a proposito del latinorum, col focoso giovane, e gli dice ridendo: Tu lhai ancora col latino, tu: bene, bene, taccomoder io: quando mi verrai davanti, con questa creatura, per sentirvi dire appunto certe paroline in latino, ti dir: latino tu non ne vuoi: vattene in pace. Ma Renzo, pur scherzando anche lui, lo rimbecca per bene: Quello un latino sincero, sacrosanto, come quel della messa Parlo di quel latino birbone, fuor di chiesa, che viene addosso a tradimento, nel buono di un discorso. Per esempio, quel latino che andava cavando fuori, l proprio, in quel canto, per darmi ad intendere che non poteva, e che ci voleva dellaltre cose, me lo volti un po in volgare ora.

= la vecchiaia essa stessa una malattia. Essa propriamente di Terenzio (Formione v. 575); il Nardi nel suo commento lattribuisce a Cicerone, , ma questi nel De senectute dice qualcosa di simile ma non uguale.
14

13

244

Al curato non conviene insistere sullargomento, per lui scottante, di quel latinorum traditore, e passa ad altro, replicando: Sta zitto, buffone, sta zitto: non rimestar queste cose; ch, se dovessimo ora fare i conti , non so chi avanzerebbe. Io ho perdonato tutto: non ne parliam pi: ma me navete fatti dei tiri. Poverino! Fa anche la vittima, ora, e accorda un magnanimo perdono! E continua a scherzare, chiamando Renzo malandrinaccio; e qui lo scherzo, anche se non garbato, per lo meno passabile; ma passa i limiti, quando poi definisce Lucia questacqua cheta, questa santerella, questa madonnina infilzata, che per tenta di cogliere di sorpresa il suo parroco, ammaestrata alluopo dalla spregiudicata e astuta Agnese. E dur ancora per un pezzo, sempre a parlar di bubbole, perch la morte di don Rodrigo gli aveva messo addosso una tal voglia di cicalare, che non la finiva pi, e trattenne pi volte la compagnia, che stava per andarsene, finanche sulluscio di strada. Vedete quanto una notizia pu mutare e la vita e il carattere di un uomo! Il giorno dopo, una seconda sorpresa piacevole per don Abbondio: gli and a rendere visita nientemeno che il signor marchese, erede di don Rodrigo. Era un attempato gentiluomo dello stampo antico: cortese, umile, dignitoso, e col volto soffuso di una mestizia cristianamente rassegnata, avendo perduto nella peste la moglie e i due unici figli. Veniva a fare una visita di cortesia al parroco della parrocchia dovera sita la sua nuova propriet, e anche a informarsi dei due promessi sposi, che gli erano stati raccomandati caldamente dal Cardinale, quando era andato a trovarlo, in visita di congedo, prima di lasciare Milano per la sua nuova residenza. Il marchese sinteressava ai due giovani anche per un motivo particolare, per cos dire personale, essendo lui lerede di chi era stato la causa di tutti i loro guai: voleva per quanto era possibile riparare al male fatto dallindegno parente, rendendosi utile in qualche modo a quella buona gente; e chiese appunto al curato che cosa potesse fare per loro. Abbiamo gi detto che la mente di don Abbondio si ormai sbloccata, mentre prima era congelata da quella maledetta paura; ora essa lavora bene, ed fertile di ottime idee; il che vuol dire che il buon senso non gli mancava, ma prima era come compresso sotto il peso schiacciante della paura. Intelligente fu infatti la proposta che fece al marchese, per aiutare efficacemente quella brava gente: comprare le loro modeste propriet, cio la vigna di Renzo e le due casette, dato che essi dovevano partire al pi presto per la nuova residenza, e non avrebbero facilmente trovato un compratore, a meno di cederle per un pezzo di pane. Il gentiluomo accett la proposta con molta gratitudine, e volle subito dar inizio alla sua attuazione; invit quindi il curato, facendolo restar di sasso per tanta magnanimit, ad andare insieme, l per l, alla casetta della sposa, dove troverebbero probabilmente anche lo sposo, per portar loro i saluti del Cardinale e anche per trattare dellaffare. Per la strada don Abbondio, tutto gongolante, come vi potete immaginare, ne pens e ne disse unaltra, anche questa molto opportuna: ottenere, per Renzo, una buona assolutoria presso le competenti autorit di Milano, in modo che la sua fedina penale ritornasse immacolata; col tempo, chi sa, egli poteva tornare nel Ducato, e

245

la fedina sporca avrebbe potuto nuocere o a lui o ai suoi figlioli. Questa preoccupazione del curato per il futuro del nostro giovane dimostra che non gli mancava un certo altruismo, quando non cozzasse col suo naturale e prepotente egoismo, cio quando non gli costasse nulla; ma questo altruismo troppo facile e per nulla degno di particolare ammirazione: don Abbondio in definitiva non faceva altro che proporre opere certamente buone, ma lui non moveva un dito; era il valente marchese che agiva. Costui infatti, informatosi bene dei casi di Renzo in Milano e della relativa cattura, prese senzaltro la cosa su di s, e in pochi giorni ottenne per il giovane una sentenza di assoluzione con formula piena, come si direbbe oggi. Il marchese e il curato, conversando cos familiarmente e utilmente, giunsero alla casetta di Agnese, dove trovarono appunto tutti quanti, come avevano immaginato. I poveretti rimasero, com naturale, meravigliati e insieme confusi per quella grande degnazione. Sentirono da principio un certo imbarazzo davanti a un s nobile personaggio; ma il valentuomo avvi lui la conversazione, parlando del Cardinale e dellaltre cose, con aperta cordialit, e insieme con delicati riguardi. Espresso il suo desiderio di acquistare le loro propriet, invit don Abbondio a fissarne il prezzo. Questi, che durante la strada era stato dal marchese pregato di stabilire un prezzo alto, dopo aver protestato che non se ne intendeva, disse una cifra che era a parer suo, uno sproposito. Ma il generoso compratore, quasi avesse inteso male, la raddoppi, e non volle sentir rettifiche; e per coronare la sua opera benefica e riparatrice, invit i presenti tutti a pranzo, nel suo palazzo, per il giorno successivo a quello delle nozze, per poter fare, alla presenza degli interessati, lo strumento definitivo di acquisto per mano di un notaio. Il matrimonio di Renzo e Lucia fu come una festa trionfale, non solo per loro ma per tutto quanto il paese, che conosceva le loro peripezie e vedeva con simpatia la realizzazione di un legame cos contrastato e sofferto. Un altro trionfo, e ben pi singolare, fu landare a quel palazzotto, dove furono fatti accomodare a tavola, in un bel tinello, dallo stesso padrone di casa, che aiut anche a servirli, prima di ritirarsi a pranzare, in disparte, con don Abbondio. Circa il fatto che il marchese non ritenne di pranzare con i suoi ospiti, come sarebbe stato pi semplice e simpatico, il Manzoni osserva che egli era umile, ma non a tal punto: in quanto occorre pi umilt per mettersi alla pari della povera gente, che mettersi, in una circostanza, al di sotto di essa; perch, anche nel mettersi al di sotto, permane un certo distacco. Osservazione molto acuta; ma io penso che, in un caso reale simile a quello immaginato nel romanzo, il padrone di casa faccia bene a non pranzare con i suoi ospiti popolani, per non tenerli in soggezione per lintero pranzo, impedendo loro di godere appieno della festa, perch si sa bene che la gente umile si sente a disagio quando deve mangiare alla presenza di persone altolocate. I nostri sposi dunque, assieme ad Agnese e alla mercantessa, anche per la discrezione del marchese, potettero stare completamente a loro agio, godendosi nellintimit quelleccezionale evento. Nel pomeriggio di quella giornata memorabile fu steso e firmato latto di vendita, rogato da un dottore in legge, che non fu certamente lAzzecca-garbugli,

246

che era stato portato via anche lui dal contagio. A questo proposito ci si permetta di osservare come lAutore, forse un po troppo ingenuamente e semplicisticamente, immagina che la scopa della peste spazzi via dalla scena del romanzo tutti i cattivi, compresi i loro ministri e manutengoli; come una potente tramontana che in breve spazza via dal cielo fosco e minaccioso tutte le nuvole, lasciando a un tratto latmosfera pura e diafana. La peste , per cos dire, il deus ex machina di questo dramma, che scioglie ogni nodo e tutto risolve per il meglio: questo deus ex machina, a una valutazione attenta, appare non meno artificioso di quelli che, col solo loro apparire, risolvevano lintreccio delle antiche tragedie greche. Con tutto il rispetto che nutro per il Manzoni, oserei dire che il dramma della vita non ha quasi mai di queste risoluzioni cos complete e definitive, per cui a un certo punto il male sia definitivamente sconfitto e trionfi senza pi contrasto il bene. Il dolore, prodotto dal male che c in questo mondo, non una semplice e breve parentesi della vita, ma ne forma, per cos dire, lessenza; e la novit del messaggio cristiano sta appunto nellaver dato a questo dolore un significato e un valore trascendenti. Il cristiano non chiamato a trionfare sul male esterno, ma piuttosto a vincere il male interno, costituito dalle passioni e dal peccato, per dare al dolore, comunque originato, uno scopo ultraterreno, per farne una palingenesi spirituale. Il dolore quindi come il sale della vita cristianamente intesa; esso viene vinto solo in quanto viene accettato e sublimato nella fiducia in Dio, che permette il male solo a fin di bene, ma del vero bene, quello eterno. Questo certamente anche il pensiero del Manzoni, il quale avrebbe fatto forse bene a chiudere il romanzo col capitolo XXXVI, perch quanto segue indulge troppo alla ricerca del lieto fine, che nella vita reale non esiste mai, perch la vita una continua lotta col male e col dolore o fisico o morale. Ora invece, dopo la peste, nella vita dei nostri due giovani, le cose cominciano a girare, tutta un tratto, in un modo troppo e sempre favorevole. Adesso, dopo la favorevolissima vendita di quei pochi beni, Renzo anche pieno di soldi (si pensi anche agli scudi dellInnominato), tanto che, nel ritorno dal palazzo, addirittura incomodato dal peso dei quattrini che ha ricevuti dal marchese: dolce incomodo! Insomma, dalla peste in poi, lo stellone favorevole non lo abbandona pi, anche se egli continua a commettere errori, per il suo carattere piuttosto impulsivo. Infatti in quel paese del Bergamasco dove andarono ad allogarsi dopo le nozze, il giovane fin col mettersi in guerra con quasi tutta la popolazione, per certe critiche che si facevano, da alcuni, alla bellezza di Lucia, della quale cera stata l una troppo grande aspettativa, alimentata dal racconto delle sue vicissitudini. Ora sapete dice con fine osservazione il Manzoni come laspettativa: immaginosa, credula, sicura; alla prova poi, difficile, schizzinosa: non trova mai tanto che le basti, perch, in sostanza, non sapeva quello che si volesse; e fa scontare senza piet il dolce che aveva dato senza ragione. Perci quando Lucia, delle cui avventure tanto si era parlato, motivandole con la sua eccezionale bellezza che aveva fatto incapricciare un nobile, giunse finalmente in quel paese, quelli che avevano tanto atteso cominciarono ad alzar le spalle, ad

247

arricciar il naso e ci furon fin di quelli che la trovarono brutta affatto. E si trovarono i soliti amici che andarono a riferire le varie critiche a Renzo, il quale ne rimase amareggiato, e non sapendo ingoiare in silenzio lamaro boccone, cominci anche lui a criticare le mogli degli altri, con aria di sufficienza, diventando a poco a poco sgarbato, disgustoso, sardonico; sicch non eran pochi quelli che lavevan gi preso a noia, e anche persone che prima gli volevan bene. Ma la buona stella non lo abbandona neppure in questa circostanza: si direbbe ammette lAutore che la peste avesse preso limpegno di raccomodar tutte le malefatte di costui; la peste dunque ancora una volta il deus ex machina che tutto rimedia! Infatti era morto di peste il vecchio proprietario di una filanda quasi alle porte di Bergamo, e il giovane figlio, che era uno scapestrato, voleva disfarsene per far soldi e spassarsela a modo suo, ma voleva naturalmente denaro contante. Bortolo, saputa la cosa, and a vedere, e subodor subito laffare: si poteva avere quellopificio a meno della met del suo valore, purch a pronta cassa; ma era pur sempre una somma considerevole. Siccome, anche con tutti i suoi risparmi, non ci poteva arrivare, pens al cugino, che di liquidi ne aveva adesso pi di lui, e gli propose di comprare quella bella filanda met per ciascuno: cos ognuno avrebbe diretto e amministrato la sua parte, la sua propriet. Renzo accett subito, perch lo allettava la prospettiva di lavorare in proprio, e perch il paese in cui stava gli era venuto ormai in uggia, e voleva cambiare aria. Infatti, fatto lacquisto, si trasfer subito con la famiglia in quellopificio, finalmente come proprietario. L Lucia non era affatto aspettata, sicch non dispiacque, tuttaltro; e Renzo con fierezza e soddisfazione venne a risapere che pi duno aveva detto: Avete veduto quella bella baggiana che c venuta? Laggettivo rendeva accettabile il sostantivo, che al nostro giovane non piaceva troppo, come sappiamo. Egli poi, col tempo, cominci a diventare pi maturo, pi riflessivo, e a pesar meglio le parole; impar che queste hanno un sapore a dirle e un altro a sentirle; errando discitur, e lui aveva imparato anche a non criticar la donna daltri, se non voleva che fosse criticata la sua. Anche l qualche fastidiuccio non manc, ma non erano cose da poter intaccare la fortuna e la felicit di Renzo e della sua famiglia. I fastidi, si sa, non mancano mai, anche nella situazione pi prospera e tranquilla; e luomo daltronde incontentabile. Per dimostrarci questa verit, il Manzoni ci porta una bella similitudine, che poi lultima del romanzo: luomo, fin che sta in questo mondo, un infermo che si trova sur un letto scomodo pi o meno, e vede intorno a s altri letti, ben rifatti al di fuori, piani, a livello: e si figura che ci si deve star benone. Ma se gli riesce di cambiare, appena s accomodato nel nuovo, comincia, pigiando, a sentire, qui una lisca che lo punge, l un bernoccolo che lo preme: siamo in somma, a un di presso, alla storia di prima. Da questa acuta osservazione sulla vita umana, lAutore ricava una delle sue bonarie massime: si dovrebbe pensare pi a far bene, che a star bene: e cos si finirebbe anche a star meglio. La corsa alle comodit e ai piaceri non d la felicit; chi invece pensa soprattutto a fare il suo dovere di uomo e di cristiano, e cerca di compierlo con impegno e senso di responsabilit, conquista quella

248

serenit interiore, quella pace che il mondo non pu n dare n togliere, e che il meglio di questa vita, perch bene vero e duraturo. Gli affari materiali andavano per Renzo a gonfie vele, anche perch fu concessa lesenzione totale dalle imposte, per dieci anni, a favore dei forestieri che esercitassero unattivit nel territorio della Serenissima: per i nostri fu una nuova cuccagna. Renzo ormai un industriale, e con lesenzione fiscale si avvia a diventar ricco! Ci sembra davvero che il desiderio del lieto fine abbia portato don Lisander a esagerare un po troppo; non perch simili fortune non possano verificarsi, ma perch questo finale troppo roseo non serve davvero a ribadire il concetto di vita che lAutore ci ha inculcato con tanta efficacia e convinzione. Vennero naturalmente anche i figli, a benedire quel matrimonio cristiano; comera da aspettarsi, la primogenita fu chiamata Maria, secondo la magnanima promessa fatta da Renzo nel lazzaretto; poi ne vennero chi sa quanti, di bambini, che la buona nonna portava a spasso con piacere e con fierezza, chiamandoli cattivacci, e stampando loro in viso dei bacioni, che ci lasciavano il bianco per qualche tempo. Essi furono tutti docili e di buon carattere (altra fortuna che non facilmente si verifica, anche a ottimi genitori), e tutti impararono a leggere e scrivere, per esplicita volont dellilletterato genitore, il quale aveva costatato quanto importasse saper tenere la penna in mano, e spesso ripeteva che, giacch la cera questa birberia, dovevano almeno profittarne anche loro, cio i suoi figlioli. Renzo, dato il suo carattere estroverso e un po saccente, si lasciava andare spesso e volentieri a raccontare le sue peripezie, magari aggiungendoci, quasi senza avvedersene, qualche frangia dabbellimento, e concludeva sempre con la solita sua morale, spicciola e angusta: Ho imparato a non mettermi nei tumulti: ho imparato a non predicare in piazza ho imparato a non alzar troppo il gomito Ma Lucia non era soddisfatta di questa morale cos limitata: le pareva, cos in confuso, che ci mancasse qualcosa. Quella morale infatti era troppo misera e unilaterale, non tale da valere per tutti, anche per quelli che pur non si erano messi nei tumulti n si erano ubriacati. Essa, per esempio, che cosa poteva dire di aver imparato? I guai, lei, non se li era andata a cercare, come il suo dissennato marito; anzi, aveva cercato sempre di evitarli, con una condotta prudente e irreprensibile; lei poteva dire in coscienza di aver sempre fuggito ogni occasione pericolosa; ma ci non era bastato per evitare il male: ebbene? Sbagliando simpara: questo anche vero; ma chiese al marito che errori aveva fatto lei, dai quali potesse dire di aver imparato qualcosa? E con un soave sorriso aggiunse: Quando non voleste dire che il mio sproposito sia stato quello di volervi bene, e di promettermi a voi. Davanti a questa semplice obiezione della consorte, il moralista troppo pratico non sapeva che rispondere: la sua morale non andava oltre il caso spicciolo, abbastanza ovvio; ma Lucia, dotata di profonda sensibilit religiosa, laiut a trovare una risposta soddisfacente al problema morale della vita umana: Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bens spesso, perch ci si dato cagione; ma la condotta pi cauta e pi innocente non basta a

249

tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Questa la conclusione del romanzo, il sugo di tutta la storia dei due promessi, giunti al sospirato matrimonio attraverso il dolore. Questa conclusione, pur nella sua semplicit, racchiude tutta la consolante risposta cristiana alla domanda assillante che preme e urge sul pensiero umano: perch soffrire? Perch soffrono anche gli innocenti? La soluzione cristiana del problema della vita, cio del problema del dolore (perch vivere soffrire), tutta qui. Questo problema che ha travagliato tanti filosofi, che ha smagato tanti pensatori, che ha turbato tante coscienze; che ad alcuni apparso insolubile, che ad altri ha suggerito risposte desolate o disperate; questo problema trova qui, in queste poche parole volutamente disadorne, messe in bocca a persone umili, la sua soluzione convincente e rassicurante. Il dolore, conseguenza del male, del peccato, cio della superbia e cattiveria umana, permesso da Dio come espiazione e purificazione del peccato, e insieme come mezzo di miglioramento interiore, come strumento di affinamento e di elevazione della creatura sino al Creatore. Il male pu derivare dai nostri errori, dalle nostre colpe, come fu per Renzo; ma pu anche piombarci addosso e attanagliarci senza nostra colpa alcuna, perch esso colpisce anche le persone pi buone e pi innocenti, come la buona e soave Lucia; ma in un caso e nellaltro la fiducia in Dio, cio la persuasione che il male Iddio non lo pu permettere che a fin di bene, essendo Egli infinitamente Buono, lo far apparire pi dolce, quasi soave, quasi desiderabile, perch mezzo di purificazione e di merito. Il mio giogo soave, dice Ges nel Vangelo; e il suo giogo appunto il dolore, che risulta soave a chi ne ha compreso laltissima finalit e cerca di unirsi alla passione di Cristo. Il dolore la grande prova della nostra vita, la pietra di paragone del nostro valore; un giorno, alla fine di questa breve esistenza terrena, saremo giudicati in base a come ci siamo comportati davanti al dolore degli altri e allorch siamo stati visitati noi stessi dal dolore, dalla sventura, cio quando siamo stati visitati, in definitiva, da Dio stesso. Dio vi ha visitate, dice padre Cristoforo a Lucia e ad Agnese, quando informato dellindegna persecuzione del malvagio don Rodrigo, artefice del male e persecutore dei buoni. Questo pensano i santi: il dolore la visita del Signore. Il dolore infatti, se cristianamente accettato e sopportato, non solo diventa pi leggero (per i santi addirittura soave), ma utile per una vita migliore, non solo in questo mondo, perch rende luomo pi buono e pi virtuoso, affinandone le qualit e moltiplicandone le energie, ma soprattutto nellaltra vita, facendo meritare leterna beatitudine. E questa la grande speranza, che dico?, la meravigliosa certezza del cristiano, a cui il dolore non fa paura, perch esso il cimento necessario, direi indispensabile per una vita vissuta nella consapevolezza del suo valore eterno, della sua finalit ultraterrena. Il vero cristiano dovrebbe atterrirsi, non del dolore, ma, se mai, dellassenza del dolore; e infatti sappiamo che alcuni santi si sono volontariamente procurato il dolore con cilici, digiuni e altre aspre penitenze. Il Signore non esige certamente simili sacrifici: per i

250

cristiani comuni, come siamo noi, basta aprire volentieri la porta al Signore, quando ci visita per mezzo del dolore.

FINE

251

INDICE

Anagogica PREFAZIONE VITA E OPERE DI ALESSANDRO MANZONI NOTA CRITICA SU I PROMESSI SPOSI INTRODUZIONE DE I PROMESSI SPOSI CAPITOLO I CAPITOLO II CAPITOLO III CAPITOLO IV CAPITOLO V CAPITOLO VI CAPITOLO VII CAPITOLO VIII CAPITOLO IX CAPITOLO X CAPITOLO XI CAPITOLO XII CAPITOLO XIII CAPITOLO XIV CAPITOLO XV CAPITOLO XVI CAPITOLO XVII CAPITOLO XVIII CAPITOLO XIX CAPITOLO XX CAPITOLO XXI CAPITOLO XXII CAPITOLO XXIII CAPITOLO XXIV CAPITOLO XXV CAPITOLO XXVI CAPITOLO XXVII CAPITOLO XXVIII CAPITOLO XXIX CAPITOLO XXX CAPITOLO XXXI CAPITOLO XXXII CAPITOLO XXXIII CAPITOLO XXXIV CAPITOLO XXXV

2 4 5 15 17 19 22 25 28 31 35 39 44 48 53 59 65 70 76 81 86 91 96 103 110 118 125 132 139 152 157 163 168 175 181 188 195 201 211 219

252

CAPITOLO XXXVI CAPITOLO XXXVII CAPITOLO XXXVIII

223 231 240

253

Você também pode gostar