20DANGELO06
Fondatore Giacomo Lodetti / Direttore Giorgio Lodetti / Direttore Artistico Roberto Plevano / Progetto Grafico Franco Colnaghi
Anno V, N. 18 • Luglio-Settembre 2006 • Galleria Vittorio Emanuele II, 12 - 20121 Milano • Tel. 02 86462321 02 860806 fax 02 876572
Reale e onirico in Della Torre
Peter Dittmar
Enrico Della Torre, confrontato fin dagli esordi con la
problematica della forma nella pittura contemporanea,
attraverso l’elaborazione degli elementi più significati-
vi del processo creativo, forme, linee e colori, approda
alla convinzione che il segno formale nella modernità
acquista una valenza intrinseca solo se messo costante-
mente e dialetticamente in rapporto con la realtà. Le
sue opere contengono sorprendenti e molteplici
richiami: dal mondo organico alle forme inanimate, da
quelle zoomorfe all’universo vegetale, al paesaggio;
tematiche che sempre rimandano a soggetti conoscibi-
li, intuibili o comunque immaginabili. È un ampia-
mento e arrichimento concettuale della realtà che
schiude al fruitore nuovi orizzonti al di là della perce-
zione visiva e del segno direttamente significante, senza
tuttavia creare disorientamento, poiché tutto si pone
Scafo, 2002, olio su tela, cm 9 x 25,5
Gianni Marchello
Giovanni Serafini
Ogni vizio è un’opera pia
Fray Diego de Valencia
In principio era il Seno se, come racconta una poetica
credenza africana, il mondo è nato da una goccia di
latte. Un seno grande ha sempre avuto un ruolo impor-
tante nell’immaginifico desiderio dell’uomo (che ha
perfino cercato di teorizzare sul rapporto tra intelligen-
za e volume delle mammelle!). Seno che dalla nascita si
offre generoso alla nostra cieca voracità di passeri e al
cui capezzolo ci avvinghia un’oscura ostinazione di
vita. Morbida collina cui si aggrappano minuscole mani
annaspanti. Prima tattile certezza del vivere. Quel seno
sul quale adulti le donne ci sorprendono divertite
ancora a poppare co-
me pargoli goffi. Seni
strepitosi, e non solo,
sono i prosperosi ar-
gomenti con i quali
ci attraggono le telluri-
che donne di Gianni
Marchello, grande xi-
lografo del nostro
tempo, interprete e-
legante di opere let-
terarie di pregio, tal-
volta piccanti quali i
Sonetti lussuriosi del-
l’Aretino, Les vies des
dames galantes di
Brantôme e altre di
più austero argo-
mento, tra cui Rac-
conti senza parole e
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Passaggi, 2002
olio su tela
cm 38 x 45,5
entro i parametri del conoscibile o del possibile.
Anche nelle composizioni in apparenza meno forma-
li, più irreali, il gesto pittorico non si disperde mai in
semplici fantasmagorie ma un sottile rapporto di coe-
renza lega i due universi: reale e onirico. Il processo
creativo si dipana dunque, tramite tecniche e gestualità
differenziate, segno libero, o geometrico, non verso una
dissolvenza dell’oggetto ma nell’evocazione dello stes-
so. Dal costante sguardo retrospettivo sulla natura, fonte
principale di ispirazione, nascono le opere di Della
Torre: tutto si snoda lungo un percorso evocativo non
precedentemente predisposto o calcolato. Segni, linee e
stesure di colore vengono consapevolmente ordinati in bile là dove uno si dissolve mentre l’altro si ravviva, Sottobosco, 2002
un equilibrio sospeso, fluttuante, dove l’effetto contrap- senza tuttavia appannare la forza autonoma dell’imma- olio su carta su tela
posto di campi chiaro-scuri crea un gioco sottile di luci gine. L’iter creativo di Della Torre nasce e si snoda cm 35,5 x 48,5
e ombre, in cui pittura e natura si dissolvono l’una nel- lungo i percorsi naturalistici dei
l’altra. Se da una parte l’alternan- luoghi d’origine: la terra lom-
za di stesure chiare e scure per- barda, scrigno di valori, tradi-
mette di intravedere un accenno zioni arcaiche e chiave di lettu-
di spazialità, dall’altra si contrap- ra di tutta la sua opera: la con-
pongono con vigore le forme ferma del primato iconografico
delle superfici piane delineate inteso come valore estetico irri-
con gesti risolutivi, determinati, nunciabile di fronte alla preca-
dove luce e luminosità diventano gli rietà di espressioni artistiche ef-
elementi essenziali della composi- fimere, fluttuanti che il tempo si
zione e della percezione. Informale porta via.
e oggettivo interagiscono, si so-
vrappongono, oscillano dando Traduzione dal tedesco
vita a un ritmo appena percetti- Beatrice Broggi
Foglie morte di Verlaine, il bombardamento di Milano,
l’abominio dei lager, fino al recente ...era come volare,
rivela monumentali dee dell’a-
more, sintesi di sentimentali
pigolìi di memoria, pianti senza lacrime di anziani, raccolti Veneri Uranie e di vulgivagae
dalla sensibile dedizione di Silvana Braghi. Eleganti pub- Pandemie dedite ai più sfrenati
blicazioni a fogli sciolti, eseguite con perizia di autore piaceri carnali, trascinando il
maturo ed esigente che tira personalmente su carte di nostro entusiasmo in eccessi di
pregio, col suo torchio a mano, un esiguo numero di voluttà, estasiandoci con immagi-
preziosi esemplari. ni altamente peccaminose e
Raccolte raffinate per bibliofili innamorati del nero ossessioni segrete. Si tratta di
dell’incisione e della bellezza muliebre. Inni alla fanta- matrone di maestoso splendore
sia del Creatore o di Madre Terra, capace di così poten- (Imperia, Lorenzina, Ortensia) con
ti femmine ctonie. Con un segno fine e fluente, denso seni forti, turgide ogive dalle
di linee sinuose in contrasto con la scabrosità dei legni, sconfinate areole irte di minac-
capace di risalti chiaroscurali incandescenti e di una ciosi capezzoli scuri, con deretani
flessuosa ricchezza di tratto nient’affatto consueta nel- immensi che si arrotondano in
l’abituale sommarietà xilografica, Gianni Marchello, fianchi imponenti, fondendosi
consapevole che gigantesco è un attributo del divino, ci coi dolci declivi del ventre in
precipizi di vulve boscose e
profonde, roride e imperative, più
insidiose del triangolo delle
CADEL Bermuda, con pliche labiali e cli-
toridi impettiti come prue di
per le Segrete di Bocca navi spumeggianti di pelo.
Sfida alle ipocrisie bigotte, viola-
in 3a pagina zione di sottaciuti tabù con figure ermafrodite, amori Gianni Marchello
saffici, spudorati amplessi in cui verghe venose di spro- xilografie
positato turgore penetrano con impeto taurino rugia-
dose invereconde ingorde vagine. Bulimia erotica, sim-
boli estremi d’inconfessabili desideri, visioni proibite,
folgori lussuriose, ustioni nella memoria che ci riman-
dano alle virago primordiali, ai formosi feticci ancestra-
li delle Veneri di Willendorf e di Lespugue, alla donna-
idolo principio immanente di fertilità, magia ventrale
che si gonfiava producendo misteriosa vita, inquieta e
inquietante fauce nera che vomitava l’uomo per poi
tornare ad ingoiarlo. Nelle danze iniziatiche del rito di
Iside nell’antico Egitto, il togliersi progressivo dei veli
continua alla pagina seguente
17
 segue dalla pagina precedente
che celavano la nudità era simbolo di
graduale ascesa al sapere e sacrale
eccitazione dei sensi. L’erotizzazione
della psiche, fantasia applicata all’ac-
coppiamento, è forse la caratteristica
che più differenzia l’uomo dagli altri
animali nei quali il periodo di calore è
stagionale (uccelli, orsi, salmoni) e
connesso alla riproduzione, mentre
nell’uomo l’attività sessuale è duratu-
ra e non forzata alla fecondazione, che
pure mantiene la sua spinta vitale. Ed
è nel parossismo erotico, in cui pro-
rompe in cavernosi cunicoli un inar-
Gianni Marchello restabile flusso brulicante di vita, che
xilografia si nasconde intera la morte. E’ dentro quella nudità così
attraente che si muove uno scheletro, ben camuffato di
carne, che dopo aver copulato ed essersi dedicato alle
Alex Pinna
La sostenibile leggerezza dell’essere
Manuela Annibali
Cuore, 2006
lana e ceramica In una delle prime opere di Alex Pinna, l’installazione
(circa 30 mq) Mi è sembrato di vedere un gatto (1996), 70 chilogrammi
Courtesy di piume gialle giacciono sotto una gabbietta aperta e
Ciocca Arte Contemporanea vuota: il gatto è riuscito a fare un pranzo luculliano
dimostrando che inseguire Titti così a lungo valeva la
pena o si allude all’idea del poeta francese Paul Valery
che l’uccello è più leggero delle piume?
La leggerezza, dunque, è una delle chiavi di lettura del-
l’intera opera di Alex Pinna, un artista raffinatissimo e
Fegato, 2006, bronzo e geniale che ha compreso come proprio l’ideale di leg-
cappotti, 1/6, Courtesy gerezza sia un valore — sito nel presente e proiettato
Ciocca Arte Contemporanea nel futuro —, una virtù e non un allontanamento dal
contenuto. Qualità per altro perseguita in contraddizio-
ne con quelli che sono gli elementi costitutivi della
scultura: l’immobilità e la pesantezza.Tutti i suoi lavori
concorrono a questa sottrazione di peso: le sculture in
corda annodata della serie Alias (1998-2004), che
Scalata impossibile, 2006
ferro, acciaio, plexiglas
cm h 288 x Ø 75 ca.
Valdi Spagnulo
(courtesy Galleria Milly
Pozzi – Como) La simulazione della materia
Elena Di Raddo
Nell’irregolarità e nella precarietà delle strut-
ture, le sculture di Valdi Spagnulo si costruisco-
no nello spazio dando corpo a un segno quasi
pittorico. Come disegnate nello spazio, i ton-
dini e le barre di ferro e acciaio piegate e sal-
date interagiscono con frammenti di plexiglas
dalle forme irregolari creando strutture che
sfidano la forza di gravità e la geometria eucli-
dea. Tutto si gioca sull’inganno visivo che
nasce dall’equilibrio tra i materiali, le forme e
la collocazione nello spazio. Il vuoto entra nel-
l’opera come materia che attraversa le forme e
definisce gli spazi.Tale aspetto è evidente nel-
l’uso del plexiglas che con la sua trasparenza
alleggerisce la scultura e allo stesso tempo si
rende superficie sulla quale è ancora possibile
incontrare il segno “pittorico”. Spagnulo infat-
ti lavora con la fresa e la grafite la superficie
segnandola e sottolineandola più opaca. La
luce, penetrando attraverso il plexiglas traspa-
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più deliziose nequizie, verrà fasciato da un irrimediabi-
le sudario di terra e abbandonato a una scarnificazione
ripugnante. Morte presenza latente che già si annida
nell’ovulo appena inseminato da un combattivo game-
te e che accompagna, battito dopo battito, il nostro
impressionabile cuore fino all’ultima diastole, per
imprimerci su labbra esangui il suo freddo sigillo.
Ingloriosa soluzione finale, sublimazione di piacere e
dolore, sfacimento indecoroso o forse pietoso salva-
mento tardivo di incolpevoli condannati alla vita. Eros
e Thanatos, dominatori del mondo, in vergognosa
combutta. Gianni Marchello ce ne avverte con allar-
mate metafore, immagini nelle immagini ove l’incanto
erotico palesa il contrappasso beffardo di una Vanitas
vendicativa, fintamente distratta, compiaciuta del pros-
simo tragico epilogo. Il memento mori di Marchello ci
racconta l’inganno della sessualità e della bellezza, sub-
dole forze finalizzate al mantenimento della specie che
sfruttano il piacere per il proprio fine indecente. Eros
affrontano lo spazio sospese in equilibri azzardati ma
sicuri; le sfere di ceramica e resina della serie Muovi bene
il tuo pensiero (2000-2004), frutto di una ricerca plastica
che privilegia la purezza e il nitore dell’espressività este-
tica; le esili figure in piombo e ancora in corda
della serie Hombre (2004) che rappresentano l’al-
leggerimento estremo delle masse, in quanto le
sculture vere e proprie risultano più leggere —
nella presenza e nei contenuti — delle invadenti
ombre che proiettano. Pare che in qualche
periodo le sue sculture abbiano avuto un che di
melanconico: in fondo, la melanconia non è forse
tristezza divenuta leggera? Per Alex Pinna, artista
vagante — nasce a Imperia (1967), vive a Torino,
lavora a Milano —, la leggerezza è sostenibile, è
auspicabile, è un sistema per combattere l’inezia,
l’opacità e la gravità del mondo contemporaneo.
E la ricerca della leggerezza come reazione al
peso di vivere si manifesta con una bruciante
creatività, con raggiunta armonia tra anima sen-
sitiva e anima intellettiva, tra cuore e mente. Le
sue opere, mobili, leggere come un soffio alato,
in sano equilibrio di forme nello spazio e nel
tempo, sanno preservare nel mistero l’ardita sin-
tesi plastica della linea e si offrono con la purez-
za e la semplicità di lavori nitidi, efficacemente
raffinati nella tecnica e nella composizione. Sono
sculture di giacomettiana memoria, imparentate
con la tradizione italiana di Arturo Martini ed eredi
inconsapevoli del dono della linea che possedeva nei
primi decenni del ’900 l’artista svizzero Paul Klee: la
linea con funzione di elemento costitutivo della forma.
Le creazioni di Pinna possiedono anche echi letterarie:
la serie Muovi bene il tuo pensiero, un repertorio di figu-
re minute in rapporto spaziale e concettuale con una
propria sfera, non ricorda forse l’immagine fantastica
del Barone di Münchausen che vola su una palla di can-
none o che scende dalla luna appeso a una corda? E
l’installazione Viavai (2000) non ci riporta alle pagine
del romanzo che ci ha fatto scoprire il meraviglioso
immaginario orientale, le Mille e una notte, nel quale i
rente, conferisce nell’irregolarità di tagli e scheggiature
effetti particolari di luminosità. Anche le parti in
metallo sono del resto spazi ricettivi di luce proprio
attraverso la particolare lavorazione della superficie
con la fresa alternando parti segnate o graffiate a parti
estremamente lucide e riflettenti. L’opera si rende così
campo sul quale la luce agisce come forza espressiva e
vibrante. La lavorazione dei materiali (piegatura, colo-
re, fresatura) è il mezzo per giocare con l’inganno, visi-
vo e mentale, dell’opera d’arte. Spagnulo mostra in tal
senso di avere assimilato le ricerche minimaliste e più
concettuali della scultura contemporanea. Senza
lasciarsene coinvolgere, però, e inserendosi piuttosto
nella direzione critico-ironica tracciata da Pascali. La
simulazione, che si manifesta nell’oscillazione visiva e
interpretativa tra peso e leggerezza e allo stesso tempo
tra forma astratta e narrazione, è infatti uno degli
aspetti peculiari dell’opera di Spagnulo. È sempre pos-
sibile infatti cogliere nelle sue sculture il riferimento a
un oggetto, un luogo, una situazione come ad esempio
18
mantiene la sua sacralità nel ferreo patto con Thanatos
con l’atto generativo, illusoria reiterazione di vita,
insensata e apparente rivincita sul decadimento, che si
traduce solo in perpetua rigenerazione di agonie, ali-
mento provvidenziale per l’insaziabile Thanatos “essen-
do la morte — come dice Bataille — l’unico esito delle
nostre erezioni”.
Nella rinuncia a procreare sta forse la nostra rivalsa, in
base all’elementare assioma: niente nascita, niente
morte. Soprattutto niente dolore. Le avvincenti figure
di Gianni Marchello, sospese tra immagini di fascinosa
lussuria e spunti meditativi sulla nostra vaneggiante
provvisorietà, ci lasciano il dolceamaro del grandioso
enigma del vivere.Vorremmo nascere vecchi e morire
bambini. Realizzando un antico sogno: tuffarci tutti
interi nel grembo di una gigantessa amorosa e, abban-
donati in un oceano di piacere, farci piccoli e scompa-
rire nel suo avvolgente tepore. E non sapere più del
mondo.
Polmoni, 2006, pelle, legno, gommapiuma
cm h 95 x 83 x 85, Courtesy Ciocca Arte Contemporanea
tappeti erano volanti? L’artista dimostra ancora un’atti-
tudine a ricondurre la progettualità plastica entro le
forme, partendo infatti dalla rappresentazione grafica:
esistono straordinari disegni preparatori delle sue scul-
ture che vanterebbero carattere di opera d’arte autono-
ma. Creazioni dal tratto sinuoso ed elegante che, tradu-
cendosi in sculture, garantiscono la libertà tanto alla
materia quanto agli esseri raffigurati.Alex Pinna custo-
disce il segreto del dominio dell’equilibrio delle forze
che permette ai corpi di librarsi nello spazio e ha com-
preso come la scultura prenda possesso degli spazi e
nasca non dal confronto con lo spazio ma sia un farsi
corpo dei luoghi. Ma a quale universo o dimensione
appartengono l’immaginario a cui Pinna attinge per
realizzare le sue creazioni poetiche, di straordinaria
vitalità, con fogge di epurata bellezza, alla ricerca della
leggerezza, dell’armonia e dell’equilibrio delle forme
nello spazio?
Un lembo di cielo composto di una duplice struttura
“legata” da un ideale nodo formato da un tondino in
ferro. Le opere più piccole, che Spagnulo chiama
Disegni e Progetti per scultura, in realtà sono lavori spes-
so autonomi, inoltre, sono dei veri e propri giochi di
dissimulazione dei materiali, a partire dal cartoncino
che fa da supporto alla struttura, trattato con la grafite
a simulare il metallo. L’altro aspetto mentale, e molto
attuale, che emerge nel suo lavoro sta nell’irregolarità
della struttura formata da piegature e incastri che ne
sottolineano la precarietà statica come in Architettura su
di noi il cielo o in Portale. Questi disegni nell’aria che
descrivono tracce aggettando a volte dalle pareti cui
poggiano, altre dal pavimento nello spazio sono teore-
mi, risoluzioni di principi gravitazionali, che si pro-
pongono di manifestare i meccanismi di statica e di
equilibrio architettonico, ma anche soglie sulla dimen-
sione più nascosta e più vera dell’esistenza. Le struttu-
re, rese precarie proprio dall’uso di materiali e forme
imperfette, diventano infatti metafora della precarietà,
ma allo stesso tempo dell’equilibrio dell’esistenza, del-
l’estrema delicatezza di ogni momento, di ogni azione,
di ogni fragilità, come del respiro della natura e delle
sue logiche. Per poter così godere, con l’aiuto dell’ar-
te, della grandezza del cielo che sta “sopra” l’architet-
tura e sopra di noi.
info@photocadel.com Cadel
 Maria Teresa Isenburg
Il vetro nell’immaginario di Maté
Fosca Cannetta Nardini
Sfumature con vetri Duchamp firmava gli oggetti di uso comune così come
2004 si trovavano per esprimere un messaggio contestatorio
cm 53 x 50 e ironico: i ready made. È stato sicuramente il precurso-
re della pop-art movimento artistico che ha segnato
una svolta definitiva nella seconda metà del XX seco-
Frammenti di vetro lo. Maria Teresa Isenburg, che in un certo senso si può
2005 ricollegare a questa tendenza, va oltre. Recupera i fram-
cm 33 x 33 menti di oggetti rotti: vetri, ceramiche, specchi per
ricomporli in un assemblage
poetico, magico, seguendo ciò
che le suggerisce la sua fervida
fantasia. Nella nostra società
dei consumi dell’usa e getta, la
Isenburg recupera la tradizio-
ne, il passato, in frantumi,
ricomposto in oggetti del pre-
sente artistico. Lo specchio, da
sempre, è stato visto come un
oggetto magico. Compare fre-
quentemente nei dipinti dei
pittori dell’antichità. Più volte
al giorno ci si specchia istinti-
vamente, narcisisticamente. Lo
specchio evidenzia i segni che
il tempo incide sui nostri volti.
L’artista adoperando per le sue opere pezzi di uno spec-
chio rotto, ferma simbolicamente il fluire inesorabile del
tempo. Passato presente e futuro si fondono si unisco-
no, si intersicano nei suoi pannelli in cui i pezzi irrego-
lari di specchio si ricompongono secondo un’ispirazio-
ne creativa che è la costante guida delle opere dell’arti-
sta.Accostati, sovrapposti, poi irregolarmente riuniti gli
spezzoni di specchi formano un puzzle, un labirinto
iridescente su cui le variazioni della luce battente
accentuano l’effetto magico. “Se non ci fosse la luce il
mondo non esisterebbe” ha scritto Monet. E la luce
accende di misterioso fascino anche i colori variopinti
dei vetrini recuperati con cui la Isenburg ha prosegui-
to e prosegue il suo itinerario artistico. Opere in cui i
diversi colori del vetro frantumato in tessere disuguali
con forme spezzate poi riconnesse irregolarmente, una
volta immobilizzate su pannelli formano, a opera com-
piuta, un insieme simbolico di un mondo non ancora
esplorato. Paesaggi immaginari e immaginati per una
narrazione visiva, un fiabesco caleidoscopio su cui lo
sguardo del fruitore si sofferma come ipnotizzato. Nelle
opere ultime si avvale di bicchieri sbeccati (interi nella
struttura) disposti asimmetricamente su preziosi fondi
baroccheggianti; compone inoltre su alzate da frutta
surrealistici agglomerati di pezzi di oggetti improbabi-
li: spuntano manici di tazzine da caffè frantumi di piat-
ti fiorati, di vasi, lampadine fuori uso. Un bric e brac di
rottami che si ricompongono nell’opera assumendo un
compiuto significato onirico. L’armonia di un’espressi-
vità che si potrebbe definire New Dada.Tutta la sugge-
stiva produzione artistica della Isenburg sembra discen-
dere da una memoria ancestrale. Forme evocative che
riescono a far riaffiorare in noi quell’elemento di pri-
mitività che si nasconde in fondo all’animo di ciascuno
sommerso dalla sollecitazione visiva di immagini impo-
ste dal marketing dall’eccessivamente sintetica perfezio-
ne dell’industria al design. Un recupero, quindi, non
solo del vetro, ma di valori connaturati nell’uomo, che
vivono sepolti nell’ingenuità magica dell’essere umano:
l’inconscio collettivo.

La Croce, 2005
olio su masonite
Nevio Monacchi
cm 61 x 53 Angelo Sblendore
I sonni antichi, gli argomenti infusi di
Bellezza e della sorella Tristezza, le
ombre evocate dai vecchi segnalibri di
Bibbie polverose respirano nelle tavo-
le scure di Nevio Monacchi, dove gli
dei pagani si divincolano tra le spire
dell’ira del Dio del Vecchio Testa-
mento.
Nevio Monacchi nel realizzare le sue
Tavole Scure ad olio su supporti di
masonite sottrae poco alla volta gli
strati di colore precedentemente stesi,
e fa respirare le proprie figure come
uno scultore che le libera dal marmo.
I corpi, gli dei, i fantasmi, i santi, i pec-
catori e le appendici delle loro anime
a metà tra la farfalla e il bruco, emer-
gono dagli sfondi scuri simili a figure
che nuotano sotto il pelo dell’acqua di
un lago infernale e i loro piccoli pian-
ti vengono subito catturati dal silenzio, ma solo ad un
Placenta, 2005 primo sguardo.
olio su masonite Subito dopo cominciano a contorcersi come fiammelle
cm 104 x 138 che illuminano un salone oscuro e la nostalgia pervade
l’osservatore, perché capiamo che ogni
dipinto possiede un soggetto che rac-
conta una storia. Abbiamo la Malattia
di Lazzaro, Il sacrificio compiuto di Isacco
e il Cristo che subisce il martirio, ma
prima di loro esistevano Le Nereidi,
Bacco con le sue schiere ebbre e tante
altre ombre che emergono per ravvi-
vare i fiocchi delle loro tombe provo-
candoci una lacrima di pentimento.
Monacchi dipinge gli sfondi neri e
La concretezza
articola le figure con dei toni di grigi e bianchi che ren-
della forma, 2005 dono le opere assolutamente godibili per il puro senso
olio su masonite del colore che utilizza come unico e potente elemento
cm 138 x 105 del suo linguaggio. La superficie della masonite è la
bocca del pozzo senza fine dal quale si
attingono gli essenziali grigi antichi, e
l’artista definisce la sua serie di Tavole
scure «…un modo di intendere la rappre-
sentazione pittorica essenzialmente attra-
verso un utilizzo del colore e della forma
ridotti al minimo».
Nevio Monacchi espone per la prima
volta nel 2003 presso la Piccola
Galleria Comunale a Pesaro e si pro-
pone successivamente in mostre per-
sonali e collettive fino al 2004, quando
espone nella sala grande del Palazzo
Mediceo di San Leo.
Nel 2005 è in mostra alla LV edizione
dell’Internazionale di Arte Moderna e
Contemporanea G.B. Salvi di Sas-
soferrato e nel gennaio 2006 presso la
sede del Collegio Raffaello di Urbino.
Eltjon Valle
Maria Cécile Genovese
Conosciuto principalmente per i suoi dipinti che piangono
petrolio, Eltjon ha voluto mostrarci un altro aspetto del suo
lavoro mediante la fotografia. Lo sguardo di un giovane
artista albanese sul suo paese che cambia.
Un’Albania avida di mondo, spietatamente collegata alla
rete di comunicazione internazionale, desiderosa di altrove,
dove gli aeri decollano carichi di sogni, (quello di un mon-
do migliore?); Simboli forti del potere economico si
oppongono a contesti agricoli poveri e tradizionali.
Consapevole delle forti contraddizioni di un mondo in
ricostruzione l’artista ne coglie i contrasti del quotidiano.
BOTA…! - Eltjon Valle - La Famiglia Margini - Via Sciesa 9 - Milano
Giancarlo Pagliara
La spiritualità nella fotografia
Barbara Frigerio
La rappresentazione del sacro ha sempre svolto un
ruolo fondamentale nell’arte occidentale, nata dall’esi-
genza di diffondere il messaggio religioso è stata poi la
protagonista dei grandi capolavori della pittura e scul-
tura dei secoli passati. Le chiese e le cattedrali sono
venute così anche a rivestire il ruolo di “conservatori”
di opere d’arte, il che ha portato ad avvicinarsi a questi
luoghi un pubblico sempre più vasto, spinto non sol-
tanto dalla fede, ma anche dal desiderio di vedere archi-
tetture, dipinti e sculture. Ma varcata la soglia qualsiasi
persona, al di là delle proprie credenze o intenzioni, si
trova coinvolta dall’atmosfera che vi regna all’interno,
un senso di profonda quiete e sacralità che sembra
annullare il regolare scorrere del tempo e invitare
ognuno ad un momento di riflessione. Nello stesso
modo, Giancarlo Pagliara, fotografo milanese, di origi-
ni napoletane, intraprende un viaggio all’interno di spirituale e contemplativa. Nelle sue fotografie ritrovia-
chiese e santuari italiani ed europei per ricercare quel- mo attimi di vita vissuta, che raccontano momenti di
la spiritualità, che, in un mondo come quello odierno, raccoglimento e di preghiera accanto a gesti più sceno-
frenetico e superficiale, si è persa o abbandonata. Il grafici, testimonianza del perpetrarsi di antichi riti.
rivolgersi al mondo religioso, cattolico in particolare, Non di minor importanza sono le immagini che
non è dettato da un interesse specifico verso i suoi sim- ritraggono statue marmoree o bronzee, riprese nel loro
boli ed iconografie, ma è legato ad una visione più insieme o semplicemente focalizzandosi su un detta-
ampia, incentrata sull’importanza di una dimensione glio, talvolta l’ombra riflessa sul muro. Sono fotografie
di rara intensità, tutte realizzate in bianco nero con
grande attenzione alla composizione, che riescono a
trasmettere una profonda sacralità, non priva di forti
sensazioni e sentimenti, dalla sofferenza che traspare
dagli occhi di una Madonna che sembra avere appena
pianto, al dolore più profondo di un Cristo crocefisso.
Queste immagini avvolgono completamente l’osserva-
tore invitandolo ad un momento di raccoglimento, di
riflessione. Non si tratta semplicemente di un invito alla
preghiera ma di un suggerimento a fermarsi ad ascol-
tare dentro di sé la voce della propria anima.
Fotografie, stampa su politenata, cm 50 x 70

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 Francesco Pignatelli
Reversed Universe
Kyoko Jimbo*
Immagini come queste sono storiche e fin troppo
familiari ma qualcuno ne ha sollevato il velo dell’illu-
sione per mostrarle rinate, come qualcosa di nuovo. È
come notare un vecchio amico sorridere in un modo
che non conoscevamo; un intreccio originale fra déjà vu
ed emozione pura. Stimola l’intelletto, affila la perce-
zione. Sedotto da questo potere, il nostro sguardo è tra-
scinato in un affascinante mondo di immagini mai viste
prima. Per Reversed Renaissance, Pignatelli ha scelto i
capolavori dell’arte rinascimentale e le sue icone più
celebri: l’Annunciazione, la Madonna col Bambino,
l’Ultima Cena. Sono opere d’argomento religioso, rino-
mate da secoli, tutte già scrutate da infiniti occhi. Ma
ad unirle c’è anche un cumulo di polvere: la polvere
dell’interpretazione, accumulatasi col passare del
tempo. La reputazione di queste e tante altre pitture
storiche è ormai così affermata da sembrare intoccabi-
le. Avvicinandoci a loro, il nostro pensiero si ritrova
imprigionato nelle convenzioni. Per quanto lottiamo
per liberare i nostri sensi e la nostra sensibilità, rimania-
mo schiavi di un accademicismo che ha tacitamente
imposto il suo sigillo d’approvazione, la sua lettura isti-
Danila Tripaldi
Viola Lilith Russi
Com’è ormai risaputo, favole e fiabe non sono certo
le nuvole di zucchero filato dai colori pastello, che gli
adulti amabilmente donano ai più piccini per sogni più
sereni o per un gioioso giro di giostra. O meglio l’in-
tento è proprio quello ma, si sa, dietro Merlini e
Maghe Magò, Pinocchi e Geppetti, simboli, saperi e
messaggi non sempre tranquillizzanti, serpeggiano in
armonia travestiti da simpatiche mascotte o da colora-
tissimi cartoni animati. Sono mondi sospesi, carichi di
una lettura del reale talmente densa e puntuale da
dover per forza mascherarsi a festa, per non correre il
rischio di essere imba-
vagliati e di certo per
non sottrarsi al piacere
del divertimento. Il
potere della fantasia
vince dunque su tutto,
forte di un’incredibile
incisività comunicativa
che dissimula in gioco
l’enorme pentolone di
intrugli, pozioni e ve-
rità, evaporate con sa-
pienza nel verde e fu-
moso profumino di tor-
te, arrosti, mele avvele-
nate ecc…, che incan-
ta e seduce intere ca-
rovane di fedeli adepti.
Perché premettere tut-
Senza titolo, 2005
to questo all’arte di Da-
tecnica mista su cartone telato nila Tripaldi?
cm 40 x 30 Probabilmente perché
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tuzionale. Oggi, incatenati come siamo all’informazio-
ne e alla conoscenza, paradossalmente è difficile per noi
guardare al nostro patrimonio artistico in modo libero
dalle convenzioni.
[…] In Reversed Renaissance, i quadri sono ricreati attra-
verso l’occhio della macchina fotografica, che rovescia
al negativo l’informazione trasmessa dalla luce. Su quel-
l’immagine in negativo, Pignatelli concentra poi la sua
arte decisiva per creare l’opera finale. La pellicola è un
medium trasparente. Produce immagini nel momento in
cui la luce l’attraversa. La pellicola prende il posto della
retina oculare assorbendo la luce, che trapassa prima le
lenti della macchina fotografica e poi il substrato tra-
sparente della pellicola stessa. Nel momento in cui la
luce passa attraverso quel mezzo che è la pellicola, il
deposito dei ricordi è strappato via e l’immagine ne
esce purificata. Il negativo rimpiazza il positivo nell’im-
magine riflessa dal substrato, liscio e duro, della pellico-
la. In pittura, i colori si formano attraverso l’aggiunta di
materiali colorati, l’olio o la tempera dei quadri. Di
contro, il mezzo fotografico cattura la sua immagine
facendo passare la luce attraverso una pellicola traspa-
rente, che sottrae il colore. Questa basilare differenza di
caratteristiche produce una latente differenza nella
forma creativa. Ciò che vediamo nei dipinti non è solo
l’effetto di strati di colore e della pennellata: la superfi-
cie è coperta anche dal velo del tempo.
La forma risulta dalla sovrapposizione di materiali
colorati che si inspessiscono progressivamente. Col
tempo, il colore si fa più scuro o sbiadisce. Nel mondo
a rovescio delle fotografie di Pignatelli, al contrario, le
immagini delle pitture non scoloriscono più. La pelli-
cola sottile e trasparente del negativo restituisce alle
opere la purezza della loro creazione. In questo proces-
so, le immagini si liberano anche dei significati dati dal
loro associarsi, convenzionalmente, alle pareti di gesso
delle chiese, alle tele o alle superfici crepate dei pannel-
li degli altari. Ciò che ritroviamo è l’opera maestra. La
i lavori di questa instancabile produttrice di scenari a
volte subacquei, a volte aerei, ultimamente lunari e
forse marziani, mi rimandano proprio ad una di quel-
le immaginifiche cucine, dove sul fuoco di mille for-
nelli svolazzano e si rincorrono pensieri, paure e crea-
ture dell’inconscio dai colori chimici e dagli alchemi-
ci “spessori”. Dal 1998 Danila Tripaldi compone su
tele e carte telate, teatrini polimorfici a volte metafisi-
ci, da molti definiti onirici, in cui non c’è legge del-
l’umano che valga: schiere di bizzarri personaggi fatti
di ritagli, stoffe, bottoni e disegni, occhi d’uccello o
code di gatto, ali ai piedi o matite nei capelli, volano,
saltellano, sfilano cantando al seguito di cuori che mar-
ciano. Infiniti occhi spalancati spuntano e osservano da
ogni dove; carte da gioco parlanti raccontano di desti-
ni che pesci e pennuti possono ribaltare alla prima
inversione di rotta, e artisti, scrittori, modelle o sem-
plici corpi sfaldatisi in foglie di sangue, seminano di
sogni, incubi e ossessioni le terre sospese di questi
colorati spazi surreali. Come se le riflessioni e gli assor-
danti sensi di inadeguatezza si frantumassero nel genio
della fantasia, i lavori di Tripaldi pullulano di elementi
moltiplicati per se stessi all’infinito, ma sotto le vesti di
creature di un mondo all’apparenza allegro, spensiera-
to, dove tutti sono tutto: oggetti, animali, colori ed
esseri umani si confondono l’un l’altro, a comporre dei
mosaici che racchiudono in sé tutte le possibili ed
immaginabili combinazioni di essere-esistere. Un tri-
pudio panico in cui ogni cosa è animata e dove sem-
bra vigere il diritto-dovere di una rispettosa democra-
zia poetica. È forse infatti l’estrema sensibilità dell’arti-
sta, a ricreare attraverso i suoi mondi fantastici, realtà in
cui ogni cosa abbia voce, ogni inquietudine una forma,
ogni sfumatura di essere la propria dignità. Senza scon-
trarsi nelle rigide quadrature di un sistema che, al di
fuori delle sue gelide gerarchie, non ammetta altro e
nessuno. I più recenti lavori di Danila Tripaldi hanno
21
scoperta della forma reale di una pittura a noi già nota, Vittoria di Costantino su
già presente nel nostro bagaglio d’informazioni, si Massenzio, 2004
affianca e confronta con l’immagine codificata che stampe lambda
cm 113 x 249
albergava nella nostra memoria, producendo l’effetto di
un riconoscimento: “sì, così è proprio come dovrebbe
essere”. […] Quello fotografico è sempre stato, prima
di tutto, un dispositivo della memoria, pensato per cat-
turare un momento particolare. Il contributo senza pari
che Pignatelli dà all’arte della fotografia è usarla, inve-
ce, come un modo per cancellare tutti i ricordi accu-
mulatisi da che una certa pittura è stata creata. Egli
Annunciazione, 2004
nega, o mette al margine, quel sedimento di ricordi stampa lambda
cresciuto, strato dopo strato, nel corso di centinaia di cm 176 x 148,6
anni. Questo atto di purificazione, che lava via il muro
del tempo, restringe drammaticamente la distanza fra il
momento in cui un capolavoro nasce e il tempo e lo
spazio in cui noi lo ammiriamo. Il risultato è vivere vir-
tualmente l’esperienza di un momento particolare del
passato, che in realtà non possiamo toccare.
L’approccio di questo artista rifiuta, quindi, il valore
assoluto attribuito all’interpretazione convenzionale di
un quadro come un capolavoro, così come tutti quei
significati aggiunti che si sono sommati all’intrinseco
valore di una pittura. Rigettando tutti i valori precon-
dizionati associati a un dipinto, Pignatelli si rivolge
all’opera in sé con una purezza ed una chiarezza che ne
restituiscono la spontaneità.
[…] I fotografi del Diciannovesimo secolo affrontarono
la questione di petto; lo stesso tipo di interesse, con un
approccio ben diverso, guida l’indagine di Pignatelli.
Vedere il mondo alla rovescia, con la luce e l’ombra che
si scambiano di posto, allarga i nostri orizzonti. […]
L’antitesi genera l’antitesi. Un’intera visione del mondo
è distrutta; icone del tutto nuove sorgono senza prece-
denti. In questo universo visuale di infinita, misteriosa
rappresentazione, noi che viviamo in un secolo nuovo,
scopriamo un piacere intellettuale nuovo.
* Curatore, Metropolitan Museum of Phothography,Tokyo
In attesa, 2005, tecnica mista su cartone telato, cm 50 x 70
però una nuova luce: i paesaggi sono scuri, liberi dalle
allegre scorribande da Alice nel paese delle Meraviglie, e
affrontano in modo diretto, malinconico e “drammati-
co” la solitudine e la preziosa essenzialità di presenze
che stavolta sono nude da ogni contaminazione.
Galleggiano in paesaggi desertici a volte letteralmente
“bucati”, tenendosi per mano, con volto o senza volto,
forti di una comune esistenza che parte dallo spazio,
dal proprio essere sessuati, dall’essere forme vagamen-
te umane che si allungano, si stringono e si riconosco-
no uguali. Senza quei limiti che, come tutta l’opera di
Tripaldi enfaticamente trasmette, soffocano la libertà
di viversi ciascuno le proprie uniche, irripetibili diffe-
renze creative e creatrici.
 Ernesto Achilli
La poetica dell’oggetto-soggetto
Giuseppe La Barbera
Nel percorso artistico, Ernesto Achilli ha mantenuto
una costante tracciata dal suo temperamento, dal “pic-
colo mondo” e dalle sue radici. Ha saputo coniugare
fantasia e realtà, sentimento e ragione nelle giuste pro-
porzioni che trovano, nella poetica e nella rappresenta-
zione dell’oggetto-soggetto, l’anello di congiunzione
creativo fra uomo e natura. L’oggetto ben definito nella
sua entità, segno e colore, a partire dalla fine del-
l’Ottocento ha sempre più lasciato, fino a scomparire, il
suo Spazio all’Idea e i suoi colori naturali a quelli
rispecchianti l’emozione e lo spirito dell’artista.
Attraverso un rapido susseguirsi di movimenti cultura-
li, innovazioni e sperimentazioni si è passati dalle splen-
dide (e per certi versi fredde) “cartoline” impressioniste
alle espressioni concettuali, gestuali, segniche, materi-
che ed informali della contemporaneità che, in qualche
caso, hanno disorientato e allontanato il pubblico. Di
conseguenza, qualcuno ha cercato di attirarne l’atten-
zione con gesti e comportamenti di trasgressione clas-
sificabili, però, più che come arte, come mezzi pubbli-
citari. Achilli ha saputo resistere alle tentazioni di con-
seguire notorietà e fama attraverso atteg-
giamenti estranei all’arte, preferendo la
ricerca sostenuta dal suo amore e dalla
consapevolezza della validità della sua
opera. Ricerca appagata dall’oggetto
stesso se catalogato in due entità: l’ogget-
to naturale e l’oggetto dalla natura
umana o “oggetto-soggetto”. Un terre-
no incolto e selvaggio è un oggetto
naturale; mentre una campagna, un giar-
dino, un’aiuola coltivati e curati sono
oggetti dalla natura umana in quanto
l’uomo, con la sua azione, vi ha proietta-
to e riposto sentimenti e fini, desideri e
progetti, fatica e sogni, dolore.Allo stesso
modo, un sasso e un fiore sono oggetti
naturali mentre una tegola, un gram-
mofono, una ghirlanda, sono oggetti
dalla natura umana, creati e progettati
per esprimere una determinata esigenza.
Achilli sa rappresentare l’oggetto-sog-
getto: “Momento dell’esistenza intesa
come cammino, evoluzione” non in
maniera fredda ma carica di significato,
Ricami naturali n. 1 di poesia, di sentimento intinto nella bellezza, con
2006 colori vivi e brillanti intesi a simboleggiare manifesta-
olio su tela, cm 90 x 60 zioni di gioia. Così ci ricorda una macchina da scrive-
re soppiantata dal computer; l’acqua di una fontana
scalzata dall’acqua corrente nelle case o dall’acqua
minerale in bottiglia; un grammofono messo in canti-
na dal compact disk; una fune sostituita da una catena
o da una fibra sintetica; una cassetta di legno sorpassata
dalla plastica e così via. La rappresentazione di questi
oggetti: manifestazioni di un’esigenza umana che
hanno lasciato il posto ad altre manifestazioni, sostiene
la tesi di rinnovamento della realtà basata su realtà pre-
cedenti e avverte che niente dell’opera umana è eter-
no. Achilli dipinge con l’ausilio di una tecnica spaziale
semplice ma efficace: l’ingrandimento, sia per esaltare
l’identità degli oggetti , sia per evidenziarne i particola-
ri che sfuggono allo spettatore a causa della fretta, della
velocità, della nevrosi, aiutandolo così a scoprire e ad
assaporare. Ci ricorda che ogni realtà è costituita da
particolari e che questi, se saputi cogliere, sono singo-
Capsicum minimum larmente portatori di emozioni. Come ad esempio i
2005 frutti dell’alchechengio: prima che Achilli li rappresen-
olio su tela, cm 70 x 100 tasse ingranditi nei suoi quadri, quanti si erano resi
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conto dei fantastici e naturali “pizzoricami” che sa
offrirci quest’erba perenne? Certamente pochi. Poiché
la pittura di Achilli è immenso amore per la natura e
per quello che l’uomo di pace sa costruire, il Rosso, filo
conduttore della Mostra, in tutte le sue tonalità ed
intensità, non può essere altro che rosso-speranza. Non
è rabbia, disperazione, sangue, fuoco distruttore o puri-
ficatore. È un colore che sottolinea passione, come rile-
vabile dalle opere presentate ed in particolar modo dai
rossi antociani dei vigneti: oggetti-soggetti simbolo del-
l’amato Oltrepo pavese e che Achilli rappresenta con
sfondi vuoti ed inconsistenti per esprimere, come affer-
ma egli stesso, la sua malinconia per la terra incolta.
Condividendo i suoi stati d’animo, la sua poetica, l’a-
more per la natura e per la campagna in particolare,
ritengo appropriato concludere con una poesia dedica-
ta all’artista:
Michele Festa
“La Porta Breda”
Giancarlo Cerri
A Sesto San Giovanni, nell’hinterland milanese dove un
tempo era situata la vasta area industriale della Breda
Siderurgica, dal 2004 è stata collocata l’imponente scul-
tura di Michele Festa Porta.
Da intendersi come accesso alla città di Sesto, Medaglia
d’Oro al Valor Militare.
L’opera è stata concepita tenendo conto — innanzitutto
— dello spazio urbano circostante, come sempre
dovrebbe essere quando trattasi di grandi monumenti
Porta Breda, 2004, acciaio corten, m h 12 x 12,5
Sylva Gabriela Beju
Grazia Chiesa
L’esposizione allo studio D’Ars di Milano di Sylva
Gabriela Beju, giovane architetto, scultrice di fama
internazionale, videomaker, è stata una concentrazione
di eventi straordinari. Il 27 aprile, alla chiusura della
mostra di Sergio Dangelo si è sovrapposta l’apertura
dell’esposizione di Gabriela Beju: lei, rumena, vive a
Parigi e lui, pittore surrealista, vive a Milano: entrambi
hanno lavorato con il famoso Jacques Dongui loro
grande ammiratore.
Due giorni dopo l’inaugurazione, Arturo Schwarz che
ha tenuto una conferenza su Gabriela al centro
Cervantes di Milano e ha fatto studi approfonditi su
questa artista dada, accetta di riceverci nel suo studio
grazie alla mediazione del suo grande amico Janco.
Il primo maggio Maria Grazia Mazzocchi ci ospita a
casa sua per filmare testimonianze relative alla vita di
Pierre Restany, grande estimatore del lavoro della madre
di Gabriela per quasi due ore ricordi, aneddoti, momen-
ti di vita e di lavoro ci coinvolgono in un’atmosfera
serena e intensa tra il garrire delle rondini in un tra-
monto luminoso, a cui si è aggiunta una breve intervi-
sta alla figlia di Maria Grazia che ha reso più interessan-
te e gradevole l’incontro.
La Beju, negli anni ’70, era stata ospite della grande col-
lezionista Janneret a Boissano. Il 29 aprile l’inaugurazio-
ne della stagione artistica A Calice non c’è il mare, è stata
l’occasione per rivedere quei luoghi e conoscere Gianni
Viola, il presidente dell’associazione Calice, città degli arti-
22
Antociani in campo n. 7 scaletta per l’eden, 2006
olio su tela cm 90 x 120
Grappoli d’uva Scala musicale
di vigna adagiata sulle labbra poggiano all’arcobaleno
i baci: e da lassù
ponte di cuori un’altra
soldato di pace e poi un’altra ancora
sorriso degli occhi fino al sole
parola di silenzio per intingere solitudini
nell’oro della vita: amore.
destinati ad inserimenti in luoghi pubblici metropolita-
ni. Quella di Festa è scultura e architettura al tempo stes-
so, rispettosamente rigorosa nel proporre i volumi degli
spazi pieni e vuoti; proprio per ciò “lega” molto bene col
contesto territoriale in cui si trova.
L’opera entra nel paesaggio dominandolo senza distur-
barlo, senza sconvolgerlo.
Evento, questo, assai pregevole, se consideriamo che in
parecchie zone di altre città — vedi Milano — capita
esattamente il contrario, soprattutto in alcune piazze e
loro dintorni, sono state collocate sculture e “monu-
menti” che, per loro stessa natura ed estetica, vivono
esclusivamente rivolte verso se stesse, escludendo e
ignorando tutto ciò che sta intorno urbanisticamente e
storicamente.
Molto spesso queste opere, a volte costose arrivano
addirittura a disturbare e sconvolgere l’assetto urbano.
Michele Festa, invece, ha realizzato un’opera intelligen-
te. La sua non è una scultura “chiusa”, è una scultura
che si apre verso l’esterno dello spazio dov’è situata.
Essa, proprio perché “Porta”, è stata voluta come strut-
tura architettonica che induce a uno spazio illimitato, a
un “attraversamento” per procedere e andare “oltre”.
Dunque scultura-architettura non fine a se stessa, inte-
sa come opera soltanto da guardare e ammirare per ciò
che rappresenta nella sua pur splendida imponenza, ma
come monumento aperto verso altre mete percorribi-
li. Ovvero: Festa ha ben compreso che la scultura
“chiusa” non è più proponibile per ciò che concerne i
grandi spazi metropolitani della nostra contempora-
neità. Così, conseguentemente, ha concepito un’opera
atta al superamento del dato decorativo sostituendolo
con quello architettonico.
Realizzata in acciaio ossidato, dopo aver effettuato
molti studi preparatori (disegni e modelli pluridimen-
sionali), la Porta Breda rimarrà, a mio parere, il grande
capolavoro del maestro milanese.
sti‚ e Franz Paludetto, responsabile delle future iniziative
artistiche in quella valle ligure tanto amata da Emilio
Scanavino. Con la madre l’artista aveva visitato Calice e
la sua splendida chiesa barocca.
Emozioni grandi vissute in concomitanza dell’esposi-
zione Dor d’or‚ che aveva per tema una sequenza di sim-
boli di grande valore come l’agnello, il coltello sacrificale,
l’acqua, il respiro. Scelgo una frase che mi pare fondante
in tutto il denso testo dei due dvd creati con la regia di
Dongui, per questo incontro con il mondo artistico
milanese: ‹Le ferite del corpo si possono lenire, quelle dell’ani-
ma no. Occorre vivere la vita, vis a vis alla vita stessa, con gioia,
comunque».
Visita della Beju all’abitazione di Pierre Restany, 2003
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Sul filo dell’arte
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domanda surreale
“Nella tua arte
è nato prima:
il seme o l’albero?”
risponde
Franco Colnaghi
Sicuramente il seme.
L’albero, quella parte di noi che ci guarda nella vita co-
me nelle opere è una metafora (dove nasce muore) che
partecipa con la sua immobilità a tutte le nostre azioni.
Contemporaneo
italiano
Contemporaneo italiano a cura dell’Istituto Italiano di cultura, Bruxelles e la
Galleria Scoglio di Quarto, Milano. Collezione permanente presso la Com-
missione Italiana, Palazzo del Governo Unione Europea, Bruxelles.
Si è inaugurata nel mese di aprile u.s. la “collezione
permanente Contemporaneo Italiano”, con la presen-
za di Barroso, Presidente della Commissione U.E.;
Frattini,Vice presidente; Figuel, Commissario alla Cul-
tura; P. Bianco, Direttore dell’Istituto Italiano di
Cultura di Bruxelles (catalogo con scritti di Barroso,
Frattini, Figuel, Bianco). I quaranta artisti rappresentati:
O. Bacci, P. Barlusconi, P. Barrile, A. Borioli, L. Calchi
Novati, G. Campus, R. Carrara, E. Cattaneo, M. De
Biasi, M. De Maria, P. Fedeli, R. Fiore Pittari, M.
Fornari, G. Fra, N. Frigerio,W. Gasperoni, C. Granaroli,
G. Giunta, F. Libonati, F. Mazzucchelli, M. Marra, A.
Mereu, G. Moiso, G. Ottaviani, M. Mulas, A. Occhi-
pinti, L. Pescador, A. Pizzolante,T. Poli, B. Pomodoro,
R. Sansonetti, S. Savelli, Sinisca, S. Soddu, G. Strada,
topylabrys,W.Valentini, P.Verga, G. Vicentini, E. Zanon.
Opera di S. Soddu
e P. Barlusconi
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a cura di Stefano Soddu
Stretta la porta lunga la via dite la vostra
che io dico la mia!
Antonio D’Amico
La porta, emblematicamente, è sinonimo di passaggio,
consente di valicare confini e di spingersi in una
dimensione figlia dell’alterità! È forse il senso del
mistero che affascina gli artisti, spingendoli ad affronta-
re nella loro arte questo tema. Già Rodin nel 1880 ini-
ziò a lavorare alla famosa Porta dell’Inferno, finita nel
1917. Il suo è un racconto basato sulla ripetizione che
guarda alla modernità e conduce alla rottura dell’unità
spazio-temporale. Nella logica del Ready-made, Du-
champ dedica alla porta un’opera terminata nel 1966
per il Philadelphia Museumt. Qui è un ‘non passaggio’
che consente solo di spiare per carpire la conoscenza di
quanto nascosto ai nostri occhi; la piena rivelazione
dell’altra parte si ha solo varcando la soglia. Anche
Stefano Soddu si è cimentato con questo tema, realiz-
zando dodici formelle bronzee per il portale della pic-
cola chiesa di Santa Maria Entroterra a Bolognano, in
Abruzzo. L’artista ha voluto affrontare l’argomento del
sacro con l’ausilio di forme simboliche, attraverso
immagini che tentano di interpretare la strategia del
racconto spirituale. In questo modo, «l’offerta dichiarata
dallo scultore si presenta come una mappa del tempo, della me-
moria collettiva e della sua capacità creativa». Tali i termini
con cui Antonio d’Avossa commenta l’opera di Soddu
nel catalogo edito da Silvana Editoriale. Attraverso la
contemplazione visiva delle formelle, Soddu sembra
invitare lo spettatore «verso l’interno con il miracolo del
passo. È questo passo a permettere all’intero corpo di realiz-
zare il pensiero di un cambiamento e l’idea di una trasforma-
zione non solo come passaggio di forme (trans-formare) ma
soprattutto come attraversamento di forme».
La semplicità del linguaggio adoperato, sviluppa in chi
guarda, la sensorialità dell’immediato significante,
destando il desiderio di andare oltre per entrare nel
mistero della storia della salvezza. Infatti, ogni formella
è composta da un microcosmo di oggetti precisi che
valicano la pura visibilità e conquistano il cosmo teolo-
gico dell’Incarnazione e della Redenzione. Sin dalla
prima formella domina il cerchio, figura geometrica
perfetta che racchiude il senso della vita incorporata nel
Il Giardino degli ulivi
Valeria Vaccari
I contadini del sud dicono che per gli ulivi ci vogliono
cinque esse: Sole, Sale, Sassi, Solco, Scure.
Il Sole del Mediterraneo scalda e fa maturare, il Sale
del terreno salmastro addolcisce l’oliva, i Sassi fanno
respirare il terreno, il Solco lo rivolta e lo rinnova, la
Scure pota e alleggerisce la pianta. Ma l’elemento che
maggiormente contribuisce a rendere l’ulivo rigo-
glioso e forte è il Tempo. Gli ulivi sono alberi molto
longevi, possono raggiungere i cento anni di vita. Il
tronco appare contorto e nodoso, pieno di rientranze
e asperità. Spesso dà asilo a piccoli animali, a colonie
di formiche. Irina Schwarz è affascinata dalla pianta
d’ulivo e desidera rendere eterna la sua vita, innestan-
do attraverso l’arte nuovi germogli e nuova linfa. Al
momento della potatura, l’albero alza penosamente le
sue braccia spoglie verso il cielo, privo di gemme e di
indizi della fioritura. Irina inserisce piccole foglie di
legno nuovo, cedro della florida, ciliegio, cipresso pro-
fumato. Il rame si insinua nella corteccia, segue le pie-
ghe del tronco.
Sottili fiori di legno rosato si innestano nel fusto. Con
sottile maestria tecnica Irina fa rivivere un piccolo giar-
dino di ulivi centenari. Il giardino, come la foresta è il
regno della quiete e della pazienza dove ogni micro
organismo si rigenera nel silenzio. Come l’antro umido
e profumato dove lo scultore affronta ogni giorno l’in-
contro con il materiale vivo, coi suoi odori naturali e
artificiali e i suoi strumenti di lavoro. La scultura è una
lotta e un sottile procedimento alchemico, anche il
Tempo gioca le sue carte aggiungendo toni e virando
i colori. Irina ha studiato le tecniche dell’intarsio, del
restauro: è abituata a rispettare il passaggio del tempo, a
seguirne le tracce della storia e dell’ingegno umano.
Ha imparato ad assecondare le variazioni del legno ed
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mistero cristologico di nascita,
morte e risurrezione.Tale tem-
poralità divina, incarnandosi
diviene ‘meta-storia’ nella per-
sona di Cristo attraverso l’in-
termediazione di Maria. Ad
essa allude il Giglio, che cam-
peggia nel primo scomparto,
simbolo di purezza e di annun-
cio, una buona novella che ha
rivoluzionato la sua giovane
esistenza rendendola madre di
un uomo-Dio. Non mancano i
riferimenti ai dolori patiti da
Gesù nella passione: i chiodi,
fisicamente e il garofano, la rosa
irta di spine o le spade incro-
ciate, allegoricamente, condu-
cono al racconto dell’ascensio-
ne e alla simbologia mariana.
Questa simbiotica perfezione è
racchiusa nella terza formella
dove il triangolo rotto o spez-
zato da motivi ornamentali obliqui richiama la Trinità,
comunione silente di intenti. Il culmine dell’opera è
nelle ultime due opposte formelle con il motto che
Giovanni Paolo II fece suo: «Totus Tuus», sono gli scom-
parti che concludono la porta e lambiscono il suolo; lo
stesso che ha percorso Cristo nella sua vita terrena. Da
sempre l’arte che parla ai credenti ha il fine ultimo di
catechizzare e di edificare lo spirito dell’animo umano.
Se il linguaggio figurativo, esplicitato da Stefano
Soddu, saprà parlare al cuore della gente la voglia di
varcare la porta sarà immediata e sembrerà di udire le
parole proferite da Gesù e ricordate da Matteo nel suo
Vangelo: «Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta
e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono
quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e
angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quel-
li che la trovano!»
esaltarne le venature. Nelle prime opere della serie
Alberi, l’artista impiega tutta la sua maestria nel leviga-
re, lucidare il tronco e assottigliare le foglie per render-
le quasi impalpabili. Sono rami giovani, ancora fluidi
nella struttura.
Il colore giallo bruno e ambrato comunica calore e
serenità. Nelle opere di grandi dimensioni, Irina man-
tiene le asperità e i nodi del tronco, il suo colore bruno
e innesta gemme di legni diversi rispettando l’indole
dell’albero. Irina Schwarz ha scelto di non plasmare
animali o uomini, perché l’albero stesso è una scultura
primigenia che lavora internamente al motore silenzio-
so della natura.
Il suo lavoro parla della necessità di rispettare i delicati
equilibri che governano l’habitat in cui viviamo, impa-
rando ad inserirsi in esso in maniera discreta e consa-
pevole, trovando il tempo di contemplare la perfezione
del creato. In silenzio, nella quiete.
Evitando l’oblio!

T
ra il 1979 e l’80 la direzione della Fiera di Milano, nella persona del dott. Colombo, commissionò alla signora Bonavita
una monumentale opera, il Mare di spighe, che oggi rischia di essere mietuto irrimediabilmente, da collocare in un salo-
ne di rappresentanza, successivamente adibito ad altri usi.
La storia della scultura, qualsiasi sia il materiale adoperato per l’esecuzione del manufatto, è una storia di pazienza, di tempi
lunghi e attese, ma soprattutto, di entusiasmanti scalpori durante la lavorazione e in seguito all’uscita dai forni di cottura, fino
alla sua ultima fase di montaggio e collocazione definitiva. Storia di idee e di processi evolutivi figli del proprio tempo, lo stes-
so in cui l’artista è chiamato a interagire col luogo e con la cultura di quel preciso momento storico-sociale. Leggere l’identità
culturale, attraverso un’opera d’arte, aiuta a focalizzare sintesi nell’oggi che mirano a nuove soluzioni evitando probabili erro-
ri; perciò non si evitano gli sbagli distruggendo un frammento di questa storia. Il mare di spighe, frutto di un lungo e costoso
lavoro, oggi rischia l’oblio nei meandri ‘dei ricordi’, quelli non del tutto nitidi. La direzione dell’Ente Fiera Milano ha proposto
all’artista, tutt’ora vivente e ben agguerrita, di fotografare l’opera e montarne un puzzle nel costituendo Museo della Fiera di
Milano, distruggendo quel mare di terracotta e gress armonizzata da striature verticali bianche, marroni e nere.
Distruggere Il mare di spighe, sicuramente ammirato da migliaia di visitatori entrati in quel vecchio padiglione, significa can-
cellare una porzione di cultura artistica della Milano degli anni ’80 e… sperperare (come spesso accade) i soldi spesi.
Tale destino crudele, che speriamo non incomba furtivo, si è già calato su un’altra opera, una parete di ceramica in terza cot-
tura, che la Bonavita ha realizzato nel 1982-83 raffigurante una Foresta pietrificata di cui l’unica e debole testimonianza che
rimane è una foto di proprietà dell’artista.
Simile destino è toccato a una serie di 10 altorilievi in acciaio sagomati e assemblati con stampi per la seta provenienti dalle
manifatture di Lione, simili a quelli che oggi si possono ammirare nella collezione Zucchi. Di questi ultimi, eseguiti nel 1988,
sempre per la Fiera di Milano, si sono perse le tracce e non rimane neanche una foto documentaria. Liquidando bruscamente,
fin qui, una storia delle assenze, un debole spiraglio giunge dall’Ente Fiera, che ha stabilito di inserire un’opera della Bonavita,
quattro lesene policrome di 4 metri per 0,60 realizzate nel 1968, all’interno del Museo.
Molte altre sarebbero le opere da segnalare e ci ripromettiamo di tornare sull’argomento se sarà necessario, al momento è bene
concludere interrogandoci: …e di noi cosa faranno? chi ha orecchi per intendere intenda!
Antonio D’Amico
 Cirillo Murer
Isidoro Giannetto

La creatività di Murer nell’elaborare spazi nuovi, strut-
turati in geometrie sempre più complesse con i quali
Pomeriggio, 2002 sorprendere e interrogare gli occhi è in permanente
olio su tela, cm 100 x 120 evoluzione. Si afferma normalmente che un quadro è
come un’utopia realizzata,
che per quanto la si sia
nutrita di speranza sarà
sempre inferiore al suo
progetto. Questa conside-
razione non vale per Mu-
rer per il quale le conqui-
ste della fantasia normal-
mente sono pari o supe-
riori al progetto, con una
ricchezza in più, che ogni
pittura realizzata, per quan-
to dall’artista possa essere
amata, non sarà mai una
pittura finita e definitiva.
Resta sempre nel senti-
mento, nel cuore di Murer
un’eco d’infinitezza che ha generato la pittura, che non
si spegne, che resta nella vastità di quello che sarebbe
potuto essere un attimo dopo e che certamente sarà.
Ogni opera di Murer va quindi vista come momento
incompiuto di un percorso senza fine, caricato dalla
grandezza dell’arte, obbligato per l’artista per la deci-
sione che gli è connaturata di
non tradire l’ispirazione, di
nutrirla, anzi! Goethe esortava
gli artisti a divenire ‘organi’
capaci di intendere la natura
delle cose, il mistero, nella loro
forma genuina. Un invito a
dominare la realtà esterna non
per assoggettarla ma per darle
nuova forma, per realizzare la
conquista dell’arte e la sua
manifestazione. Invito ad in-
traprendere un cammino con
il quale l’artista emula e supera
la natura diventando creatore di un mondo che gli
appartiene. Un innato senso della misura porta Murer
ad esprimersi attraverso la concentrazione degli spazi e
la forma essenziale, una sorta di economia soprattutto
vocazionale alla conquista dell’equilibrio senza enfasi e
amplificazioni, lineare, conciso; l’artista intento più a
ispirare contenuti e a rincorrere confini che a fasciare i
colori di troppo sentimento e di
pleonastiche sfumature. Creatore
di una pittura con moto ascen-
sionale, come attratta dalla
vastità dell’infinito cielo, le
forme guidano Murer mentre
egli le domina, le migliora, le
rende pure, essenziali e tuttavia
più varie e più ricche, le riordi-
na per donare ad esse potenza
espressiva e chiarezza esemplare
nell’intento di comunicare allo
spettatore l’autenticità della sua
ispirazione.
Verde Montello, 2003, olio su tela, cm 70 x 80

Artisti per Challans a Saronno

Antonio D’Amico

G. Vanzulli, Passeggiata al Lido di Classe F. Vendramin, Sguardi innocenti A. Guarino, Pensieri

I
l Comune di Saronno e l’Associazione Giuseppe Flangini
hanno organizzato un premio di pittura aperto agli artisti
residenti a Saronno e dintorni. Chi scrive ha avuto il pia-
cere di far parte della giuria che ha visionato tutte le opere
pervenute, insieme a Lucia Saccardo, Dirigente Assessorato al-
la Cultura del Comune di Saronno, Cristina Renso, Presiden-
te dell’Associazione Flangini,Vito Melotto, pittore e Michele
Malagnini, gallerista. Un premio di arte contemporanea è
sempre occasione proficua per captare l’orientamento degli
C. Brivio, Primavera
stili e dei linguaggi. In questo contesto, tante sono state le pre-
M. Banfi, Omaggio a Gino Sandri
senze, soprattutto di esordienti (di tutte le età), che si affacciano all’arte, de- P. Bernasconi, Ombrellaio
siderosi di lasciare una loro impronta attraverso la pittura. L’elemento di
forza del premio, a parer mio, è stato sia lo scopo, una mostra dei 15 vinci-
tori a Challans in Francia, sia il metodo di scelta del vincitore. Oggi consta-
tiamo che, fra il gusto istintivo ed estetico della gente e la critica che si o-
rienta su canoni ‘didattici’, vi è un divario e se a ‘scremare’ i tanti parteci-
panti ci pensa la giuria, in questo caso l’arte è di tutti i fruitori comuni che
hanno scelto il vincitore. Così è andata a Saronno e a Challans. Fra le 15 o-
pere più votate, il fiat popolare ha decretato la Passeggiata al Lido di Classe di
A. Campi, Cuba
Giovanni Vanzulli vincitore a Saronno.
Fra i quadri esposti a Challans, nella rassegna Week-end des Arts (21-23 apri- A. Principe, Ponte sul Serio
le) ha vinto il quadro di Antonella Guarino, Pensieri. Ac-
canto ai due prescelti accomunati da un’atmosfera spensie-
rata e tranquilla, dai colori densi e materici, per Vanzulli e
pacati per Guarino, molte le opere d’interesse.
Ogni dipinto nella sua varietà stilistica esprime l’identità
dell’autore, le sue visioni sul mondo e la capacità di trasfe-
rire in immagini i sentimenti.
Mentre si rende plauso agli organizzatori, l’auspicio è che
V. Graziani, Le stanze dell’immaginario questa lodevole iniziativa venga riproposta ed estesa, per
far sì che a Saronno possa aprirsi una lente d’ingrandimen-
L. Patti, Maternità G. Preatoni, Campagna
to su una porzione delle arti contemporanee. piemontese con vigneto

G. Dominioni, Nella luce e nell’ombra L. Reina, Consistenza lieve R. Busnelli, La nebbia danza T. Santinelli, Frammenti

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Tiziana Mesiano
La vita e la psiche
Gabriele Casati
Le opere dell’autrice nascono da un itinerario molto
personale e creativo che si intrecciano con i suoi studi
in psicologia protrattisi per molti anni, parallelamente
ad approfondite analisi circa interessanti studi di fisio-
gnomica. L’uso della tavola
grafica, con l’utilizzo delle
varie evoluzioni dei pro-
grammi, le hanno permesso
di spaziare in sempre più
complesse operazioni pitto-
riche dove l’abilità tecnica si
fonde con la sua verve creati-
va. Il suo eclettico percorso
formativo con artisti di varia
estrazione, la frequentazione
di amici filosofi e scrittori,
hanno forgiato e solidificato
particolari interessi che sono
culminati in uno studio pre-
ciso e circostanziato, non so-
lamente circoscritto a pro-
blematiche di psicologia de-
Luce Filtra, 2005 scrittiva ed analitica della
tecnica digitale, cm 60 x 100
scuola Diltheyana di fine Ot-
tocento che consentano di mettere in luce il carattere
unitario della vita psichica, quanto in una più ampia
comprensione percettiva ermeneutica della realtà (vedi
Cristiano Tassinari
Quando la coerenza diventa esigenza
Jacopo Flamigni
Che cosa è la materia? I linguaggi spenti, a volte triti,
spesso malinconicamente privi di pensiero dell’arte
contemporanea avanzano, fagocitano, vogliono tutto.
La materia è l’ultima
istanza, il baluardo
difensivo che si oppone.
Dice “No, prova a pas-
sarmi sopra. Calpestami,
arte della sola idea, arte
senza Technè, arte che
non necessiti di un
super-uomo ma di solo
un uomo”. Ma la pre-
potenza di un dipinto
“dipinto” non la si
schiaccia. Così Tassinari
Puntasecca acquaforte, 2005, mm 460 x 460 “dipinge”, lavoro lento,
meditato ma febbricitante e folle nella sua ricerca.
Lavora su “di noi”, una straziante, incantata benedizio-
ne, un Urbi et orbi doloroso. Sì, si può ancora lavorare
così. Una dicotomia, la sua, stridente tra il gesto che si
compie, quasi informale e la resa che si palesa, presso-
ché “fotografica”. Questo crea il corto circuito, questo
smuove il nostro sistema nervoso, ci costringe al dialo-
go con l’opera.Tassinari è un artista nuovo, si culla e si
compiace nell’utilizzo di tutto ciò che, mediamente, in
arte non si usa più. Una pittura di carne ed una produ-
zione grafica secca e sublime. Nei suoi corpi non c’è
deformazione somatica o altro, troppo facile. C’è il
Segno, quel termine astratto e un po’ generico che
identifica, marchia un artista, reso così unico, nel bene
e nel male. Il segno, nell’opera incisoria di Cristiano è
un solco, una paziente e amorevole aratura della super-
ficie ove, incidentalmente, si riflette l’uomo. Ma l’acido
Acquaforte, 2005, mm 288 x 262 è egualmente indipen-
dente dalla presenza o
meno del soggetto.
L'artista lo domina, come
una lava, lenta ma inarre-
stabile, come il tempo,
che passa su di noi e la
carne sublima. La linea
anarchica di Cristiano ha
potere decisionale ed
esecutivo: è conditio sine
qua non dell’opera stessa,
tracciandone i contorni,
rendendo riconoscibile il
soggetto con incedere
lento, volutamente privo
di prevaricazione, quasi
una stanchezza “moran-
diana” che talvolta deli-
mita con inusitata raffi-
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ermeneutica e “connessione psichica” nella scuola dello
storicismo tedesco, nello stesso W. Dilthey, W. Win-
delband, H. Ebbinghaus, Il Conte Yorck, ecc...).
Tramite l’introspezione, isolare i singoli dati percettivi
per dar luogo alla fondazione delle Scienze dello
Spirito nella Psicologia. Il mondo delle Weltanschau-
ungen, dei significati, da trasporre attingendo dall’inter-
no del mondo dell’Arte, dell’ispirazione. Un altro
aspetto del suo modo di fare arte riguarda l’epochè
fenomenologica di Husserl, metodo al quale incon-
sciamente l’autrice si ispira.
La sua arte si esplica in un momento conclusivo nel
quale la sintesi delle immagini pittoriche si stemperano
sulla tela dopo essere state “ripulite” dai fronzoli delle
istanze soggettive, dalle quali si concretizzano.
La spiritualità e l’Arte: inoltre, gli anni recenti l’hanno
vista maturare problematiche spirituali che hanno deli-
neato con una più ulteriore precisione i suoi interessi
pittorico espressivi. La comprensione della realtà è così
natezza, altre volte schizza violenta in fraseggi chiaro-
scurali “pesanti” che rendono plausibile il più assurdo
paradosso della storia dell’arte: una produzione grafica,
però materica. Il medium, è l’unico elemento cangiante
fra la sua produzione grafica e pittorica.Tutto il resto, è
contraddistinto da una coerenza di fondo rara: coerenza
Olio su puntasecca, 2005, mm 1000 x 700
tematica, pratica ed intellettuale, e quando è così, la coe-
renza diviene esigenza. L’“organicità” di Tassinari spazia
dall’uomo all’animale: purché vi sia un cuore che batte,
una linfa che scorre, una struttura ossea che possa sol-
lazzarsi impertinente nelle sue regolari irregolarità, che
sporgono. E Tassinari ama le sporgenze, ama inondare di
luce ogni escrescenza naturale, un naso, una bocca, una
coda od una costola appena accennata. La luce si ottie-
ne “togliendo”, graffiando, scorticando, intervenendo
chirurgicamente su di un proprio simile,Tassinari lo fa,
con ferocia, ma commossa. Più Dürer che Rembrandt,
più incisivo e meno pastoso, più spigoloso e carsico, il
suo segno gioca con i toni, sale e scende le scale di grigi,
sfalda deliberatamente figura e sfondo senza distinzione
in un gioco apparente di puro piacere, atto a renderli
emancipati l’uno dall’altro nel loro felice dialogo. Così
come nella sua pittura: sempre una penetrante e raffina-
ta ripartizione di dignità estetica fra le parti.
SpazioBoccainGalleria
Dall 15 al 29 novembre 2006
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Oniriche Visioni, 2006, tecnica digitale, cm 100 x 70
ivi connessa all’esperienza religiosa dove i rimandi visi-
vi si intrecciano ai significati più profondi.
È interessante notare come si avvertano nelle sue opere
queste fasi esistenziali.
L’opera che qui presenta Oniriche Visioni, è esempio
diretto della propria coscienza spirituale. La luce di Dio
emerge distintamente dalle trame psicologiche dell’ani-
ma come momento di supporto universale. La luce Blu
onnipervadente della tradizione Induista risalta come
momento essenziale della Divinità da cui potersi
rispecchiare nel mondo degli umani. La sua pittura è
così un intarsio di momenti psicologici animistici da
cui la mente sintetizza, tramite l’anima, oggetti di ele-
vato significato spirituale.
Sole d’inverno, 2005, tecnica digitale, cm 60 x 100
Andrea Montin
Paesaggi
Adelaide Auregli
I paesaggi d’invenzione che Montin presenta qui
hanno come protagonista l’albero. Un albero frondoso,
dal largo ombrello scuro e folto, un albero non albero
o, meglio, un albero mandato a memoria, filtrato dalla
conoscenza, meglio, dall’idea; un albero sul quale si è
posato ogni capriccio intellettualistico. In questo senso,
il facile richiamo all’analogo tema di Carlo Mattioli,
non può essere altro che limitato, appunto, all’ambito
tematico e, solo latamente formale. Qui infatti l’albero
è tutto prosciugato dagli umori naturalistici e materici;
è ridotto ad una pura forma araldica, a puro gioco; non
a caso Montin ha inciso una serie di lavori a soggetto
arboreo (cipressi) il cui dato di partenza non è un vege-
tale, ma la penna di un volatile. L’aspetto ludico, o per
meglio dire, la delicata lepidezza che contraddistingue
l’opera grafica, anche se non sempre ugualmente evi-
dente, è rintracciabile nell’esibizione del monogramma
di sapore düreriano apposto a queste acqueforti
che altro non è se non l’arguta trasposizione di
una sigla ricavata dalla filigrana delle antiche
carte manoscritte che usa per il fondino e
che, per un’originale casualità portano le sue
iniziali. Montin fa ampio uso del fondino
impiegandone diversi per ogni tiratura —
sempre bassa — o interviene con l’acquerel-
lo a rialzare la composizione con tocchi di
colore. I fondini sono carte veline che l’arti-
sta ama preparare personalmente realizzan-
doli con la tecnica delle “carte a mano”,
oppure sono antichi fogli del secolo scorso
vergati in elegante calligrafia. Questi accor-
gimenti permettono all’autore infinite varia-
zioni in ogni tiratura che acquista, nei singo-
li esemplari, preziosità da opera
unica.
Bassorilievi in legno di noce Tanganica
ebanizzato e dipinto

Gianfranco Zanti
Dettato materico
Vittorio Riguzzi
Chi crede nell’illusioni dell’amore, crede nelle illusioni
della ragione. Quasi un non-sense, dacché le motivazioni
del cuore che inducono all’assenso non sono oggettiva-
bili nello stesso ordine del significato reclamato dalla
ragione. L’uno è incom-
prensibile e di casa nell’in-
teriorità, l’altra brama la
spiegazione d’ogni cosa.
Eppure, trovo che l’opera
d’arte in se stessa sia il cor-
teggiamento di un innamo-
rato verso l’oggetto delle
proprie visioni, e la ricerca
di una giustificazione per
esse il desiderio di donare al
resto del mondo l’esperien-
za di quello stato di grazia.
In Gianfranco Zanti si co-
glie un temperamento pas-
sionale e ipersensibile, come
in ogni artista che dipinge
con i pennelli delle proprie
emozioni. Ma non per que-
sto egli si è mai lasciato anda-
re, nel corso della sua ricer-
ca,a quella sottrazione di un
senso originario e originato
dalla mente dell’autore che
sembra divenuta legge nella
dottrina dell’opera aperta,
dominante nella contem-
poraneità.
Ritratto dal Bianco, 2006 Anzi, descrive e spiega come il suo “dettato materico”
tecnica mista su tela muova da una precisa percezione dell’universo che si
cm 50 x 70 offre a chiunque voglia porsi in ascolto attraverso lo
sguardo della mente. Questo sguardo è la condizione
indispensabile per aprire la soggettività alla cognizione di
un’arte liberata dal compito della rappresentazione fede-
le, dalla mimesi della realtà, per la quale l’arte stessa, nella
riproduzione del mondo, trovava una propria identità e
definizione. Il Novecento ci ha mostrato il valore della
creatività nella sua purezza,non senza nostalgie per i rife-
rimenti semantici, ma pure incaricata di comunicare
attraverso segni che appartengono all’ordine del possibi-
le-in-sé, non più del necessario, ed esigono la pratica lin-
guistica del “sentire” come nuovo processo di valorizza-
Chi suona il piano sotto
zione dell’opera. La visione dei contenuti, dunque, non
l’Arca di Noé?, 2001 è più soprattutto sensibile quanto prevalentemente idea-
tecnica mista su tavola le, e ciò vale sia per l’artista che per il fruitore d’arte.
cm 50 x 30 Quale il compito della critica allora? Quale il senso del
Plevano incontra Kengiro Azuma
Sono nello studio di Kengiro Azuma, uno stanzone
buio e polveroso alla periferia nord di Milano.
Non vuole un’intervista, “ho difficoltà con la lingua”
mi dice, ma inizia a raccontarmi la sua vita.
Ho davanti un uomo di 80 anni, giapponese, che a 30
anni si trasferisce a Milano, studia l’Arte occidentale
con Marino Marini all’Accademia di Brera e qui rima-
ne facendo scultura tutta la vita.
«A 18 anni ero kamikaze dell’Aviazione e la bomba atomi-
ca mi salvò la vita, finì la guerra poco prima della missione
suicida. Mi crollò il mondo dei valori, credevo che l’Imperatore
fosse un dio invincibile, la sofferenza e il vuoto furono terribi-
li. Pensai di morire, ma l’incontro con l’arte mi salvò. Iniziai
a modellare con mio nonno, scultore artigiano di statue e cam-
pane, mi iscrissi all’Istituto d’Arte di Tokio, vinsi una borsa di
studio e andai prima in Francia dove studiai i grandi scultori
Maillol e Rodin, poi venni definitivamente in Italia». Mi
accende una lampadina polverosa e lo stanzone si a-
nima di forme. Osservo le opere, mi colpiscono
profondamente per la loro particolarità e unicità.
«Ogni tanto vado in crisi perché non so dare senso al vuoto,
ma il vuoto per magia si anima e diventa un pieno. Nel vuoto
si annida lo spirito, cioè l’essenza delle cose e delle persone e
rappresenta ciò che niente può annullare a differenza del pieno
che il tempo corrode e distrugge».
Bello, commovente quello che mi dice, sono ammuto-
lito davanti alla grande capacità di dare volume,
profondità, forza a un piano apparentemente bidimen-
sionale. Sento nelle sue cose il ritmo dell’universo che
scorre senza sosta attraverso il tempo eterno e lo spazio
infinito. Sono forme che conquistano lo spazio, lo
vivono entrando in profondità nell’enigma della vita,
Ciclo della vita, 1980 dando consistenza ai pieni e i vuoti in una dialettica
MU-765 M, MU-765 P ininterrotta. Piccoli crateri, lacerazioni, danno il senso
bronzo magico dell’equilibrio precario del flusso vitale.
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ripercorrere una genesi dell’ope-
ra? Scarso o nullo, se non fosse che
il “manifesto” che accompagna il
lavoro di Zanti, i moventi raziona-
li che suffragano e danno conto
dei suoi “viaggi metafisici”o “spo-
stamenti” non si fermano entro i
confini dell’arte, ma aspirano ad
una significazione olistica, ad una
prospettiva più ampia di intendi-
mento universale. Ecco perché è
opportuno parlare di una vera e
propria epistemologia nelle opere
di Gianfranco Zanti.
L’epistemologia del dettato mate-
rico non è priva di riscontri in Giudizio universale, 2003, tecnica mista su tela, cm 150 x 200
ogni ambito del sapere, dall’arte
alla scienza.Lungo una linea che scorre dal dualismo car- razione reversibile nel suo contrario (basti pensare per un
tesiano all’action painting di Hoffmann, Zanti approda a esempio, al lavoro condotto in anni da Karlheinz Stoc-
un’idea “scientifica” della percezione dalla quale tutto si khausen). Concepirsi come un’antenna che coglie le dif-
genera nelle forme conosciute fisiche e concettuali. Il ferenti lunghezze d’onda generate dalla materia diviene
mondo può essere pensato, compreso, interpretato, qui il segreto dell’intelligere il linguaggio segreto delle
manipolato; oppure può essere subìto, appreso, accolto, cose,a priori di ogni schematismo razionale,di ogni con-
ascoltato. Questo secondo atteggiamento si traduce in cettualizzazione che piega la realtà alle abitudini della
“fare arte” nel momento in cui l’oggetto, la forma e la cognizione; un abbandonarsi, piuttosto, alla meraviglia
materia da riprodurre, svelano all’artista i propri misteri, come luogo di partenza per un viaggio di scoperta o
“dettano” le linee e i colori di fondo da cui si generano riscoperta del già visto in una luce nuova, come una teo-
vorticosamente elementi derivati, fino a un moltiplicarsi dicea dell’arte.
potenzialmente infinito. Mi piace per questo pensare a Zanti oppone quasi una fisica qualitativa alle pretese
Zanti come ad un artista dell’infinito nel finito, dello spi- scientiste del solo calcolo numerico entro cui ricade il
rito nella materia. Egli teorizza e usa i codici di “vibra- modernismo; attraverso l’arte propone una razionalità
zioni” cui è riconducibile tutto l’ordine dell’esistente. libera dalle rigidità del lessico di genere.
Vibrazioni capaci di sollecitare le nostre sensazioni e Mi sembrano illuminanti, a questo proposito, le parole di
queste a loro volta in grado di influenzare la materia. Le René Thom quando scrive di Descartes: «[egli] con i suoi
tre diramazioni del suo dettato materico sono quelle che vortici e i suoi atomi uncinati, spiegava tutto e non calcolava
definisce Ritratti del vuoto, Miscuglio delle forme, Musica di nulla; Newton con la legge di gravitazione calcolava tutto e non
dettato materico. I Ritratti del spiegava nulla». Se nella cosmologia di
vuoto conseguono all’osserva- Origene ad ogni rivestimento psichico
zione degli oggetti nello spa- dell’anima corrispondeva una sfera della
zio da essi descritto, e trasfor- volta celeste, così l’unità del cosmo è
mano l’oggetto in un luogo garantita da una “presenza”, o “spirito del
fisico e viceversa. Il Miscuglio mondo” o “etere”: una trama invisibile
delle forme mostra come la che unisce ogni ente, dalla particella ato-
sfera sia la forma geometrica mica, alla vita della mente, alle galassie.
più pura da cui si generano Un campo di energia globale e “sferico”
tutte le altre forme esistenti, in dove a una trasformazione dell’Uno fa
grado di richiamare ogni seguito una modificazione del Tutto.
immagine sensibile di cui si ha La genesi della pittura di Zanti sembra
esperienza e dunque giustifi- dunque ricalcare una sorta di universale
care un complementarietà as- “psicobiofisica”, il paradigma che secon-
soluta tra il tutto e le sue parti. do il fisco Marco Todeschini vuole tutti i
La Musica di dettato materico è moti dell’universo, dall’infinitamente pic-
la trasposizione di una melo- colo all’infinitamente grande, generati da
dia o di un insieme di suoni in un etere universale, in perenne moto vor-
linee, figure, volumi, anche in ticoso e capace di influenzare sia la mate-
questo caso mediante un’ope- ria che gli esseri viventi e il loro spirito.
bellissimi e abbiamo parlato per altre 2 ore del senso di
ogni mostra, soprattutto delle grandi sculture ambien-
tali, colme di poesia e mistero, esposte nel Palazzo Besta
«Per scaldarmi bruciavo nella stufa le cassette dell’Orto- di Teglio, in una cava di marmo nei pressi di Vienna e a
mercato, me le regalavano in quantità. Una notte mi alzai per Montemarcello vicino a La Spezia.
attizzare il fuoco ma mi caddero dalle braccia le tavolette. Fu Anch’io gli ho donato due miei cataloghi, li ha guarda-
una folgorazione, quei pezzetti di legno a terra costituivano un ti attentamente e mi ha chiesto di poter visitare il mio
insieme di straordinaria bellezza per leggerezza e ritmo. Corsi studio per vedere dal vivo la mia ricerca.
a prendere il gesso, lo impastai con l’acqua e lo versai sulle Comunicare e scambiare idee con Azuma mi ha arric-
tavolette. Il mattino dopo andai a sollevare l’opera che risultò chito e reso felice.
proprio come l’avevo immaginata. Fu quello per me un
momento decisivo per una nuova vita, trovavo la mia strada,
le mie radici, la leggerezza, il ritmo, ma anche la casualità che
va accolta e sublimata. Marino Marini la vide e fu più felice
di me per questa scoperta, mi accordò la sua più totale fiducia
e amicizia assumendomi in modo definitivo come suo assi-
stente». Inizia così la serie dei bassorilievi che sarà fon-
damentale nelle ricerche successive sul tridimensionale.
Guardo un uomo di 80 anni che con entusiasmo e fre-
schezza si piega, muove, rotea imponenti sculture, le
mette in equilibrio con cunei e tasselli di legno.
Mi guarda e nota la mia commozione.
Che dire d’altro, questo uomo integro ha saputo me-
diare, conciliare, accordare con naturalezza il vuoto, la
leggerezza e semplicità d’Oriente con il pieno, il pesan-
te e il complesso d’Occidente. Un uomo che fa cresce-
re le sue forme senza forzare nulla con un atteggia-
mento Zen di meditazione, acquietamento e concen-
trazione e il segreto della loro bellezza sta nel magico
equilibrio di pieno e vuoto, lucido e opaco, liscio e
ruvido. È notte, al ritorno attraverso la città in un traf-
fico assordante, fra odori asfissianti e grandi cartelloni
pubblicitari di merci e facce di politici illuminati a
giorno. Penso ad Azuma, guardo altrove, in alto, e lo
stordimento nauseante svanisce.
Ho rivisto Azuma due settimane dopo per avere delle
immagini da pubblicare. Mi ha regalato sette cataloghi-
28
 Licia Mantovani
Un’amicizia pluriennale
Molti ricordi mi
legano a Licia. E
questo mio scritto è
un atto dovuto alla
nostra amicizia che
ha inizio nel 1995,
quando Carlo Fran-
za me ne parlò per la
prima volta, come di
un’artista milanese
dal segno caratteriz-
zato da una forte
personalità.
In effetti i suoi dise-
gni sono inconfon-
dibili e se, al primo colpo d’occhio, ricordo che mi
lasciarono un’impressione indefinita, rivedendoli e
riguardandoli, a intervalli di tempo, ne ho subito il
fascino e compreso il valore. Mi ricordavano sensazio-
ni già provate per aver visto quel modo di disegnare,
capace di evocare un’atmosfera da sesto decennio del
novecento, l’atmosfera di un potente e poco conosciu-
to artista quale Karl Plattner. Nel gennaio 1997 Arte
incontro in libreria riportava un articolo su di lei, scritto
sempre da Carlo Franza, dove il critico d’arte segnalava
l’eleganza, l’innocenza, la leggerezza e la tenerezza del
suo disegno che, aggiungo io, non sono mai cambiati,
né invecchiati, come al contrario lo è stato di lei e del
sottoscritto.
L’amica Licia era presente, tra gli amici artisti, nel 1998,
alla festa organizzata dalla Libreria Bocca per gli 88
anni di Salvatore Blasco, immortalata da una storica
fotografia scattata da Enrico Giovenzana e pubblicata
nel libro Editoria e Arte a Milano. L’anno seguente Licia
realizzava per la redazione del trimestrale, in realtà un
omaggio al sottoscritto che lo conserva ancora gelosa-
mente, un bellissimo disegno, poi pubblicato sul n 24,
dove ritrae il marito Vito Melotto, comodamente sedu-
to, coi calzini ai piedi, ma senza scarpe, particolare che
denota l’acutezza del suo osservare, mentre sta leggen-
do Arte incontro in libreria.Agli inizi del 2000 le proposi
un progetto di lavoro, non ancora realizzato per la parte
Giacomo Lodetti
che mi riguarda. Desideravo all’epoca che una sua
opera decorasse in modo permanente la Libreria
Bocca. L’idea, per il soggetto, doveva ispirarsi all’attività
di promozione dell’arte, che la libreria perseguiva da
tempo e Licia aveva saputo cogliere al volo la mia pro-
posta, realizzandola in maniera originale. La collocazio-
ne e l’istallazione del lavoro, che sarebbe stata a mia
cura, non ha ad oggi trovato soluzione, un po’ per colpa
mia, ma soprattutto a causa di una infinita serie di quo-
tidiane, avverse e impreviste circostanze.
Di due anni dopo è la sua partecipazione ad un’avven-
tura editoriale destinata a rimanere nel novero delle
grandi imprese editoriali dei nostri anni, il Classico dei
tre caratteri, uno dei 5 libri sapienziali della millenaria
cultura cinese, interpretato da 90 artisti, per il quale ha
illustrato la quarantaduesima rima. Nel 2004 era tra le
prime protagoniste nel realizzare l’ormai leggendario
pavimento della Bocca in Galleria, storica libreria dive-
nuta bene culturale, meritevole di tutela, realizzando
un’opera di cm 40 per lato, raffigurante un busto fem-
minile di straordinaria raffinatezza. Durante l’intero suo
percorso artistico Licia Mantovani ha fatto suoi tutti i
temi del realismo che hanno al centro della visione del
mondo l’uomo. Riprendendo quello che ci circonda,
esprimendolo in un contesto di arte figurativa, Licia
dilata i contorni, modificando i soggetti in relazione
allo stato d’animo nel quale si accinge a disegnarli. Così
che un girasole sarà più o meno luminoso, quando lei
disegnandolo, sarà di buon umore o triste. Una figura
femminile avrà accentuata una parte del corpo, seno o
fianchi, in relazione all’emotività del momento.
Sempre, in ogni caso, con amore, delicatezza e grazia,
doti costanti del suo carattere. Dopo aver studiato a
Milano al Liceo Artistico e appreso le tecniche della
grafica incisoria presso la Stamperia Sardella, ha inse-
gnato, a lungo, in scuole medie milanesi, discipline pit-
toriche. Da tempo il suo lavoro si esprime con la faccia
migliore, attraverso il disegno e l’uso del pastello, scelta
questa che mi ricorda il grande Giulio Bertoletti, illu-
stratore del mitico Grand Hotel, il quale sosteneva che
solo il bravo artista può usare il pastello, perché, impos-
sibile da cancellare, non ti consente di commettere
errori. Il primo suo lavoro da me acquistato nel 1995,
è un grande disegno che ritrae l’amica Gabriella, in
stato interessante. Disegno che ho avuto occasione di
vedere appeso alla parete della camera da letto a Milano
in via Keplero, dove abita col marito, anch’egli artista di
fama nazionale. Fui immediatamente colpito dall’in-
tensa sensualità che il ritratto (qui riprodotto) di quel-
la futura, imminente, mammina mi comunicava, insie-
me ad una sensazione di calma e di indifferenza alle
quotidiane contrarietà che ben conoscevo, avendola
vista in mia moglie ogni volta che dava alla luce uno
dei nostri figli, caratteristiche che la stessa medicina
riconosce essere tipiche della donna in gravidanza, per
l’effetto di un particolare enzima. Mi meravigliava però
il fatto che nessuno prima di me l’avesse acquistato. In
realtà Licia teneva per sé il lavoro e non voleva cederlo
a nessuno. Avendo saputo cogliere nell’opera, al di là
della verosimiglianza dell’amica, questa particolare
atmosfera e il conseguente stato d’animo, lo riteneva Gabriella in attesa, 1988
uno dei suoi lavori meglio riuscito. Licia è un’artista matita su carta
che merita riconoscimenti importanti, per aver sempre cm 80 x 60
saputo tenere nel tempo una grande coerenza, non
avendo mai voluto discostarsi dal raffigurare il reale,
rifiutando, anche concettualmente, ogni moderna cor-
rente di diversa interpretazione. Ha dimostrato e dimo-
stra tuttora, una notevole capacità nel rendere una
visione disincantata e serena della realtà, quasi fuori dal
tempo, il nostro tempo, poi, ch’è anche peggiore di
quanto lo si possa conoscere, proponendo frutta, fiori,
visi, corpi umani, maschili e femminili, fanciulli, quali
soggetti preferiti, “come” lei li vede, più che come li
vediamo noi. Il “bello” eticamente inteso, tranquillo e
senza grida, vive anche tra il fango. In questo sta preva-
lentemente, a mio giudizio, il valore del suo messaggio.
Licia Mantovani
tra E. Bonfanti
alla sua destra
e O. Bacci
nella Libreria Bocca

Walter Valentini
Memoria
Lillo Mangano della Divisione Vicenza (Campagna di Russia
1941-1943) ha donato a Milano il monumento Memoria in
ricordo di tutti i caduti per l’Italia in guerra e in pace.
«Unico sostenitore della ‘Vicenza’, negletta fin dagli inizi dai suoi
comandanti e gregari, quale capo centro collegamento della
Divisione, ho avuto modo di apprezzare l’umile valore di uomi-
ni e reparti raffazzonati per costituire una unità di retovia (a buon
diritto soprannominata “Brambilla” da un mio motociclista).
Proiettata da Kupiansk a Kurey per occupare le posizioni della
Julia sul Don nel novembre del 1942, la Divisione fu immadia-
tamente coinvolta nella ritirata iniziata il 17 gennaio 1943 e let-
teralmente disfatta […].
Unitomi con alcuni superstiti ai reparti combattenti della
Tridentina, ho avuto la fortuna di rientrare in Italia.
Gradirei fare erigere a Milano in un luogo idoneo[…] un monu-
mento da dedicare alla Divisione Vicenza (Brambilla)»
(Dagli appunti/testamento di Lillo Mangano)

Il Vice Sindaco Riccardo De Corato

è lieto di invitare la S.V. alla cerimonia di inaugurazione
del Monumento, opera del Maestro Walter Valentini
IN MEMORIA DEI CADUTI DELLA DIVISIONE
VICENZA NELLA CAMPAGNA DI RUSSIA 1941-1943
Venerdì 26 maggio 2006 alle ore 12,30 in P.zza Sant’Ambrogio

Memoria, 2005, bronzo patinato, cm 350 x 82 x 142

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 La spirale del gusto Opere per una collezione
A cura di Adalberto Borioli
“E’ Arte questa? Dove siamo arri-
vati, dunque deve essere tutto que-
sto accettato, premiato anzi nelle
grandi mostre? E noi dobbiamo
tacere e passare anche per igno-
ranti? Com’é possibile orientarsi in
G Euro 250,00 C Euro 200,00 questa confusione?”. Questo, a pa- D Euro 200,00 L Euro 200,00
rere di Guido Ballo nel famoso e
ormai introvabile Occhio critico, è
l’atteggiamento del pubblico di-
fronte all’Arte Contemporanea.
Laddove l’occhio comune cade nel
malinteso di valutare negativamen-
te ciò che non conosce, quindi non
comprende. Questa rubrica, nata
in collaborazione con Adalberto
Borioli, intende costituire un dupli- F Euro 100,00
H Euro 100,00 A Euro 150,00 ce sostegno: ai soci della Libreria N Euro 150,00
Bocca o al lettore che desideri
accostarsi all’Arte Conteporanea,
agevolato nel collezionare opere
d’Arte e all’Artista che desideri
dare alle sue opere maggiore visi-
bilità, oggi tanto importante.

I Euro 150,00 M Euro 100,00 P Euro 200,00 O Euro 200,00

A Andrea Cereda H Alessandro Martellotta

Idee, grafite su carta, cm 18 x 13 Graffi, stampa digitale su carta fotografica, cm 15 x 10

B Franco Colnaghi I Giuliano Natalini

Ineriorità, tecnica mista su carta, cm 14,5 x 11,5 E Euro 100,00 Carbonella, collage su carta, cm 18 x 13

C Sandro De Alexandris L Margareta Niel

Consonanze, pastello su carta, cm 17 x 12 Carta, tecnica mista su carta con inserti d’argento, cm 18 x 13

D Rosanna Forino M Gianni Ottaviani

Dedicato a Gisella, tecnica mista su carta, cm 18 x 13 Archeologia, collage di terracotta e carta su carta, cm 20,5 x 14

E Roberto Kunsterle N Emilio Palaz

Evasione, fotografia, cm 11 x 10,5 Il tempo sospeso, acquerello su carta, cm 18,7 x 12,7

F Ruggero Maggi O Salvatore Sebaste

Mistero, tempera su carta, cm 17,5 x 12,5 Entusiasmo, lacca su carta, cm 15 x 10

G Massimo Marchesotti P Vito Sersale

Il peso delle colpe, olio su carta, cm 18 x 12,5 B Euro 150,00 Arte e scienza, olio su carta, cm 15 x 10

attraverso il puro colore e la matericità delle sue tele.

Daniel Marchi
L’Astrattismo tra Francia e America
Cynthia Penna
Daniel Marchi è un artista istintivo: getta la sua palette
di colori forti e intensi sulla tela affidandosi alla sua
gestualità; il gesto viene dettato solo dall’istinto; la
Rouge 629, 2005,
mente conduce la mano in maniera libera e avulsa da
acrilico su tela costrizioni ideologiche. C’è istinto, c’è creazione, c’è
cm 100 x 100 libertà di esecuzione. Marchi è sempre stato un uomo
profondamente libero, fuori
dagli schemi; ha difeso la sua
libertà in maniera totale anche
rispetto e contro le richieste del
mercato. È artista puro, come pu-
ro è l’uomo con la sua sincerità
disarmante e con l’istintualità
che lo conduce anche nella vita.
Non vi sono superfetazioni e
ideologismi né nella sua vita né
nelle sue opere. Marchi non
può essere neanche “costretto”
in categorie pittoriche specifi-
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La sua pennellata spessa, carica di vernice e di olio, lo
spessore di materia lasciato sulla tela vuole ricordare le
corposità, le masse volumetriche, la maestosità della
Natura, soprattutto di quella americana a cui lui è
rimasto legato non solo nel ricordo ma nell’istinto.
che perché anche queste gli stanno strette e lo obbliga- E infine la luce, sempre presente e potente nelle sue
no in schemi e canoni che egli ha sempre rifiutato nella opere, è quella che si
vita come nell’arte. Dalle sue opere traspare un profon- ritrova in due soli posti
do e voluttuoso desiderio di vivere, un amore per la al mondo: i plateaux
vita reso attraverso l’esplosione di colori forti, violenti, del New Mexico e la
mai scialbi. L’esperienza americana lo ha forgiato stili- Provenza quando soffia
sticamente conducendolo verso un’espressività quasi il Mistral.
selvaggia come selvagge sono le praterie e i deserti Una luce che una volta
americani. La durezza e la drammaticità dei suoi blu assaporata ti segna e ti
rispecchiano la durezza e potenza dei ghiacciai del- marca per tutta la vita;
l’Alaska; il fuoco dei suoi rossi e dei suoi ocra, la vio- colpisce gli occhi, la
lenza del deserto dell’Arizona, o quella dei vulcani mente e il cuore con
delle Hawaii. La forza delle sue opere è piuttosto quel- una sferzata di vitalità
la che si ritrova nella Natura: è potenza e forza dirom- dirompente che è l’ani-
pente di fenomeni naturali; egli non vuole colpire, feri- ma profonda di Daniel
re o pugnalare lo spettatore; non vuole catturare lo Marchi. È in mostra alla
sguardo a tutti i costi, attraverso una drammaticità e una Galleria FuoriCentro
violenza espressa e banale; vuole piuttosto esprimere un di Sarteano fino al 30
istinto quasi selvaggio e quanto mai “naturale” e lo fa luglio 2006.
Visions, 2002, acrilico su tela, cm 73 x 92
30
Fausto Pirandello

Bagnanti, 1940, olio su tavola, cm 65 x 50

PER L’ARTE
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