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Prologo Quest'area esisteva come sito autonomo, integralmente realizzato da un giovane esteta di grandi capacit.

La scarsit di risorse ed i limiti di un sito personale non permettevano a questo bel lavoro di presentarsi ed essere conosciuto adeguatamente. Esso mette insieme una ricerca bibliografica ed iconografica, nonch una vasta elaborazione teorica. Poich l'argomento ha attinenza con quelli sviluppati qui al castello, proposi allo Sperelli di affidare tutto il materiale alla nostra societ informatica, le cui capacit sono sotto gli occhi di tutti. Graficamente rielaborato a nostra cura, esso torna ad essere affidato alla guida del suo creatore per vivere ed accrescersi grazie al suo impegno ed alla collaborazione di tutti i Visitatori. Ovviamente quello di Andrea Sperelli un nome d'arte, come lo quello di Lancillotto. Queste innocue maschere non servono a nascondersi, ma a mantenere quell'aura istituzionale che un nome immediatamente riconoscibile non esprimerebbe. Il Gran Maestro Giancarlo Maresca Introduzione Questo lavoro ha un preciso obiettivo: abbinare al linguaggio di un'opera editoriale le possibilit d'ampliamento ed interazione della rete. Una creazione mai finita rinuncia ad essere un punto fermo di arrivo per restare eternamente una tappa. La cosa mi appare alquanto positiva. In fondo nessuno ha mai assicurato che lo scopo di un'opera (e perch no, della Vita stessa) sia quello di raggiungere un traguardo. Confesso d'aver aspettato questa nuova "pubblicazione" del mio lavoro quasi con lo stesso stato d'animo con cui certi ragazzini attendono l'uscita di un film, o certi galleristi la morte di un pittore. I frequenti contatti con il Gran Maestro per rifinire i particolari si sono dimostrati oltre che utili allo scopo, anche molto piacevoli. Grazie a lui ed al Cavalleresco Ordine ho scoperto che l'Araba Fenice della Bellezza potr rinascere ora ed ancora, se giustamente accudita. Grazie all'impegno di molti, potremo sempre saperla viva. Di questa Fenice Il mio lavoro non che una piuma. Il Gran Maestro ha avuto la prontezza di riconoscerla come sua, di afferrarla nel turbinio ventoso della grande Rete e di saldarla all'ala del rapace. Ora i nobili cultori di questo bell'uccello potranno contare su una nuova piuma atta a fargli spiccare il volo. E' importante, fin dal principio del nostro percorso, essere a conoscenza dei 'periodi' del dandismo, puramente ipotetici ma basati sui singoli fatti biografici della vita dei dandies nelle varie epoche storiche, per poter meglio comprenderne i personaggi e le ideologie. PERIODO DI BRUMMEL (dalla seconda met del Settecento, alla prima met dell'Ottocento) Questo periodo coincide con l'invenzione e con lo stabilirsi della schiera dei dandy in Inghilterra ad opera di George Bryan Bummel (detto il "Beau"), fino ad allora definiti come 'macaroni', cicisbei o, per l'appunto, beaux, che sono i pi stretti parenti dei dandies. Qui il dandy convive con la moda neoclassicista, lo 'stile Impero' che condizion dalla pittura alla musica, dalla scultura alla moda, adottando come baluardo la cravatta bianca inamidata e la giubba-frack blu (rigorosamente 'wigh') dai bottoni d'oro; l'epoca del dandy classico - se cos si pu dire -: spesso ricco, ma mai ricchissimo, questi non lavora assolutamente, e non n pittore n musicista, n poeta. Non fa altro che mostrarsi in societ ed ostentare il proprio fascinoso senso estetico. Il periodo comprende tuttavia anche Stendhal, Alfred de Vigny, lord Gordon Byron, Eugne Delacroix ed altri ancora: dandies dei quali ci rimasta una traccia precisa per via delle loro opere. Infatti Barbey d'Aurevilly ne nomina decine d'altri nel suo trattato George Brummel e il dandismo (di cui sotto): membri dell'aristocrazia e della borghesia inglese che potevano permettersi di non essere ricordati se non per la loro sola e stravagante esistenza. In questo periodo Brummel fonda il celebre Club Watier assiema ai dandies lord Byron, lord Alvanley, Mildmay e Pierrepoint, una associazione in cui si

riunivano i cultori della buona tavola. PERIODO DI BAUDELAIRE (dalla seconda met dell'Ottocento alla fine dello stesso secolo) Questo secondo periodo caratterizzato dalla teorizzazione della filosofia dandistica post-romantica ad opera di Barbey d'Aurevilly e da Charles Baudelaire; dall'Inghilterra, in cui si stava sviluppando un forte movimento antidandy, il dandismo passa il Francia, dove viene lievemente condizionato dal romanticismo. La 'divisa' estetica di Baudelaire affascina i contemporanei, fatta da abiti tutti rigorosamente neri e larghi papillon scuri. Altrettanto scandalizzanti furono i panciotti scarlatti di d'Aurevilly. Il dandismo baudelariano, bench teorizzasse gli stessi principi del dandismo classico di Brummel, si fa pi poetico e pi impegnato; ora il dandy diventa l'esponente di una cultura dell'apparenza e della diversit che rivela forti connessioni con i movimenti artistici e letterari dell'epoca (simbolismo, post-romanticismo, ...). Baudelaire scrive Il pittore della vita moderna, e d'Aurevilly pubblica George Brummel e il dandismo. PERIODO DI WILDE (dalla seconda met dell'Ottocento ai primi decenni del Novecento) Il terzo, ipotetico, periodo dandistico (inizialmente contemporaneo al secondo, ma differentemente da questo, pi inglese che francese), ha come figura protagonista Oscar Wilde e le sue teorie estetiche, di derivazione certamente platonica ed epicurea o, tra i pi recenti, Walter Pater (con il trattato Il rinascimenti italiano) e John Ruskin; notiamo tra i suoi numerosi discepoli l'ironico Max Beerbohm e l'illustratore Aubrey Beardsley. Altrettanto importante il pittore ed esteta McNeill Whistler, americano, 'nemico' di Wilde ma divulgatore degli stessi principi estetici - ed il suo pupillo, il pittore Walter Sikert. In Francia abbiamo il conte di Montesquiou, Marcel Proust, ed in Italia, altro emulo di Oscar Wilde, Gabriele D'Annunzio, poeta e dongiovanni. Questo il dandismo della Decadenza, fastoso e piuttosto eccentrico, rivoluzionario nei confronti del potere borghese vittoriano; i temi sono sviluppati particolarmente nei romanzi Il ritratto di Dorian Gray di Wilde, Controcorrente di J-K. Huysmans, Il Piacere di D'Annunzio. Il dandismo si fonde in questo periodo con l'estetismo; diventa di moda tra i letterati e gli artisti 'fare i dandies'. Beerbohm continuer a praticare, coscientemente, il 'dandismo-estetismo' wildeiano volutamente fuori moda, restituendo un certo spessore al dandismo come filosofia di vita. PERIODO DI COCTEAU (dai primi anni del Novecento agli anni Sessanta circa) Questo il periodo al quale numerosi scrittori fanno da riferimento come ultimo periodo dandistico. Dopo gli orrori della guerra, il dandy depone le temporanee armi della fastosit decadente per tornare a pi discreti e raffinati abiti. Jean Cocteau, discepolo del conte di Montequiou, scrive romanzi e realizza film e provocatoriamente neoclassici e barocchi che molti critici continuano a definire "di pessimo gusto"; assieme a lui si fanno portavoci del nuovo dandismo Drieu La Rochelle e Jacques Rigaut che teorizzano l'annullamento totale della personalit come intimo traguardo di ogni dandy. Louis Aragon, Jacques Vach, Andr Malraux ed altri assieme a loro si fanno portavoce delle nuove avanguardie artistiche, prime fra tutte il dadaismo di Tristan Tzara ed il surrealismo di Andr Breton. In Italia, Curzio Malaparte, Filippo de Pisis ed altri ancora combattono velatamente coi loro atteggiamenti estetizzanti il fascismo, senza conoscersi l'uno con l'altro. D'Annunzio, ancora in vita, in un primo tempo un accanito sostenitore di Mussolini, ma perde poi la sua fiducia nel regime quando il duce lo costringe in una specie di esilio sul lago di Garda, dove perir lasciando una romantica immagine di s, quale 'poeta esiliato'. In America si fa strada il dandismo adolescenziale di Francis Scott Fitzgerald, coi romanzi Il grande Gatsby e Al di qu del paradiso, intrisi di quella particolare atmosfera che tipica degli anni '20: il jazz, le corse in automobile, le feste da ballo notturne. Negli ultimi anni il dandismo vede un certo ritorno al classico color grigio o nero che era stato di Baudelaire, unito sempre pi all'invisibilit come accessorio essenziale dell'eleganza. I dandies moderni passano inosservati tra la folla, e, incontrandosi, si riconoscono,e si levano il cappello. ETA' MODERNA E CONTEMPORANEA (dagli anni Sessanta fino ad oggi)

Ma le 'manifestazioni' di dandismo non svaniscono negli anni Sessanta. Questo il periodo di un certo dandismo eccentrico, da spettacolo, portato avanti dallo scrittore Tom Wolfe, americano, e dall'italiano Carmelo Bene, famoso teatrante, fiero e malinconico. E' possibile riconoscere una lieve nota di dandismo nei membri dell'associazione di vieveurs del Cavalleresco Ordine dei Guardiani delle Nove Porte. Oltre ad una non ben precisata schiera di dandy attaccati alla brummelliana e quindi pi pura regola del dandismo: l'invisibilit. Bohemien: il bohemien era, gi nella Parigi di fine '800, lo studente povero o presunto tale, amante dei piaceri notturni, dell'assenzio e delle novit in fatto di costumi e di arte. Tradotto in italiano suona un poco come "goliardico". Il bohemien ha spesso ideali artistici e politici ai quali non rinuncia mai, per nobilt d'animo. Differentemente dal dandy, egli non cura la forma n l'apparenza, e preferisce la spontaneit all'autocontrollo. Ci non toglie che tra un dandy e un bohemien possa esistere la pi squisita tra le amicizie. Damerino, Gag, Modaiolo, ecc: questi ed altri termini sono usati indifferentemente ad indicare persone eleganti, distinte, chic. L'uso di questi sottintende un intento derisorio ed anche, ma pi raramente, elogiativo - ma non vogliono andare pi in l di quello che descrivono: una persona che agli occhi di un osservatore distaccato o ignorante appare comunque ben vestita. Spesso con questi termini si vuole intendere, pure, che il soggetto beneficiario ha un gran ascendente sulle donne. Eccentrico: l'eccentrico, spesso confuso con il dandy, difetta dei limiti che quest'ultimo si impone per non sforare nell'esagerazione. L'eccentrico ha in s la stessa anarchia del dandy, ma non ha la grazia discreta di occultarla; egli vuole essere sempre al centro dell'attenzione, ed ha un rapporto di dipendenza con il pubblico che il dandismo non presuppone affatto. Esteta: con "esteta" generalmente si vuole identificare un uomo cui anima e corpo continuamente teso alla ricerca del bello in qualunque ambito della vita. L'esteta non , come invece i precedenti, una "personaggio", ma un modo di vedere e di volere il mondo: uno snob pu essere anche esteta, cos come lo pu essere un eccentrico, un bohemien e, sicuramente, un dandy. L'esteta cura molto il proprio abbigliamento nei minimi dettagli, e, avvilito dalla bruttezza moderna, amerebbe che la societ moderna tenesse in considerazione la raffinatezza e l'eleganza quanto lui. Nel comprendere quanto questo, a volte, diventi impossibile, finisce spesso per confinarsi in una mitica e leggendaria "torre d'avorio". Gigol: accade spesso ad un uomo elegante di essere appellato "gigol", affibiandogli cos in un colpo solo - e spesso inconsapevolmente - un impiego ed una reputazione. Difatti il termine designa quegli uomini giovani e attraenti che, per passione o per necessit, sopravvivono economicamente grazie all'amore che un pubblico presumibilmente femminile ha per il corpo maschile, specialmente se, come per i tacchini al forno, si presenta ben oliato e abbronzato. La presunta eleganza di un gigol (a volte molto chiassosa) ha quindi la stessa valenza di quella di un impiegato di banca: lavoro. Incroyable, Lion, Macarone: gi dalla seconda met del Settecento questi ed altri termini simili volevano designare quei personaggi che, partendo da una grande fortuna in denaro e una cattiva reputazione, amavano distinguersi dalla massa grazie alla loro maniacale attenzione ai dettami della moda del momento. Questi individui, all'inizio dell'Ottocento, arrivarono a sommergersi il viso coi pizzi delle cravatte, appesantendosi i lobi degli orecchi con monili d'oro, e mostrando, tra le pieghe della lunga e stropicciata redingote chiara, vistosi giustacuore a righe bianche e rosse. Il termine "macarone", in particolare, descriveva i ricchi rampolli inglesi che amavano, nell'impeto del Romanticismo tanto in voga all'epoca, recarsi in Italia al fine d'ammirare rovine piranesiane e venezie canalettiane.

Libertino, Casanova: i due termini nascondono significati pi profondi di quanto possa sembrare a prima vista, ed anche se apparentemente possono essere chiari, questi sono termini che pi volentieri vengono associati ad un dandy che proprio per via della sua eleganza in grado di incantare gli uomini e, naturalmente, le donne. Pera una definizione esauriente del primo termine rimando al dotto trattato di F. Cuomo, Elogio del libertino. A dimostrare l'incompatibilit del dandy e del libertino, la seguente citazione del Cuomo senza dubbio lampante: " 'Che mi metto sta sera?' Nel porsi questa domanda il libertino non penser soltanto all'apparenza, ma al momento in cui si dovr spogliare". Casanova, personaggio leggendario, si distingue dal dandy per una ragione pi concettuale che pratica, ma pur sempre realistica: egli un sedotto; il dandy, viceversa, seduce. Snob: lo snob l'esatto opposto del dandy. Il primo cerca un posto tra i gradi pi alti della societ, il secondo ridicolizza la societ, e ne resta al di fuori. Per giungere a questo lo snob disposto a passare sopra tutti e tutto, mentendo a se stesso e omologandosi alle regole ed alle fisime della societ moderna - ostentando, strada facendo, un disprezzo ed uno sdegno verso la classe dalla quale proviene piuttosto ridicolo quanto ipocrita. Lo snob quindi "naturale", secondo la definizione di Natura data da Baudelaire nel suo Elogio della truccatura, ne Il Pittore della vita Moderna. Cos, una delle conseguenze del dandismo, una delle sue principali caratteristiche per meglio dire, la sua caratteristica pi generale quella di produrre limprevisto, ci che una mente abituata al giogo delle regole non potrebbe a rigor di logica mai attendersi. Anche leccentricit, quest'altro frutto della terra inglese, produce l'imprevisto, ma in modo diverso, sfrenato, selvaggio, cieco. E' una rivoluzione individuale contro l'ordine costituito, talvolta contro la natura, che sfiora spesso la follia. Il dandismo, al contrario, si fa beffe delle regole e al tempo stesso le rispetta ancora. Ne soffre e se ne vendica pur continuando a subirle; si richiama ad esse mentre le sfugge; volta a volta le domina e ne dominato: duplice e mutevole carattere! Per giocare a questo gioco, bisogna poter disporre di tutti gli artifici che creano cos la grazia, cos come le sfumature del prisma, riunendosi, formano l'opale." Cos Barbey d'Aurevelly, in un passaggio del suo "George Brummel e il dandismo", pubblicato nel 1884, descrive perfettamente la 'necessit' che ha il dandy di stupire. Come ci ricorda d'Aurevilly, il dandismo non sinonimo di eccentricit. La maggior parte dei dandies, soprattutto quelli novecenteschi (Rigaut, la Rochelle, Aragon, Cocteau) ha come scopo principale quello di non voler farsi notare, e, come giustamente dice lo stesso Brummel, "La vera eleganza deve far passare inosservati". O quasi; certamente Baudelaire, coi suoi guanti rosa e i boccoli biondi, non passava inosservato tra la folla parigina; tanto meno Wilde, che, in giovent, preferiva un abbigliamento fatto di sete e velluti colorati che non erano certo di moda all'epoca (abbigliamento diventuto famoso come 'divisa da esteta'), per non parlare delle fiorenti orchidee di Whistler, grosse come farfalle notturne e complicate come letali piante carnivore. Ma allora, oltre all'assai astratto desiderio di provocare meraviglia, stupore, che tutti i dandies, chi pi chi meno, soddisfavano, ma in modo diverso dagli eccentrici, che cos' che ci permette di riconoscere con certezza un dandy da un volgare eccentrico? Senza considerare il 'carattere dandy', cio il suo modo di pensare e di guardare il mondo, eguale per tutti i dandies esistiti ed esistenti, certamente quel suo portamento regale, freddo, e quella sua apparente seriet, quell'aria comunque da 'ragazzo per bene', che lo cottraddistingue. Ho citato prima Baudelaire come involontario eccentrico, ma basti sapere quello che i suoi contemporanei dicevano di lui: l'assistente di PouletMalassis, suo editore, incontrandolo per la prima volta, non nota che i suoi modi "squisitamente classici", da ragazzo ben educato e di buona famiglia, del tutto in contrasto con la fama di perverso mostro che i giornali e i giudici avevano messo in giro dopo la travagliata uscita de "I fiori del Male".

E' importante marcare bene i confini che esistono tra lo snob e il dandy. Il primo , Il signor Boileau al caff, 1893, di Toulouse-Lautrec. E' interessante notare come Lautrec tratti il 'tipo', sorta di discorso sulle maschere ripreso spesso anche da Wilde. In quest'opera il pittore rappresenta il 'tipo' del borghese, tipico della Parigi d'inizio secolo.come dice la parola, un falso aristocratico, un sine nobilitate (di cui la parola snob l'accorciamento). Il termine entr nel vocabolario comune all'inizio dell'Ottocento, in Inghilterra, volto a designare i giovani rampolli studenti delle famiglie borghesi benestanti. Lo snob un opportunista privo di consapevolezza individuale, desideroso di ascendere la scala sociale spacciando ruolo, rango e competenze al di sopra delle proprie limitate prerogative. Lo snob un arrampicatore sociale, che disprezza i suoi simili credendo cos di elevarsi ad un rango superiore. Si fa scimmia dei potenti, confida nel progresso e nella politica, diventa, per autoingannarsi, manichino indossante abiti all'ultima moda; al contrario del dandy, lo snob veste ci che nuovo, sia brutto o no - dato che ha i gusti personali congelati dal trendy-, mentre il dandy preferisce conciliare la bellezza con la moda, creando quel giusto miscuglio di originalit e classico che ritiene necessario per non sforare nell'eccentricit o nello stupido trendy dello snob della domenica. Manifesto d'inizio novecento per il ballo Il dandy seduce e adora 'far piaceri'; lo snob 'non guarda in faccia nessuno'. Lo snob cugino primo di quel borghese puritano contro cui Baudelaire e compagni si schieravano; oggi il borghese in decadenza, o, a seconda dei punti di vista, si evoluto nello snob, una sanguisuga che serve il potere e, appena ne ha l'occasione, maltratta i pi deboli. E, quando lo ritiene necessario, tenta di imitare il dandy, ma inutilmente. Crede di assomigliargli ostentando freddezza e distanza, mostrandosi superiore come la donna-sfinge di Wilde: enigmatica ma assolutamente priva di segreti. Ma il dandy, nonostante tutti gli sforzi dello snob per somigliargli, al di sopra di lui e al di sopra di quelli davanti ai quali lo snob si umilia sperando, un giorno, di sostituirli. Il dandy vive sempre nel passato e, a volte, nel futuro; lo snob si arrabatta nel presente. Si tende spesso a confondere la vestigione del dandy con quella dello snob, che cerca nell'abito la sua definitiva differenza dalla sua classe. Non esiste una "moda dandistica", come invece dichiarano certi giornali di moda oggigiorno. L'eleganza del dandy non che un mezzo di espressione: egli ricerca la bellezza, a tutti i costi - e cerca di esprimere la sua inimicizia con la moda e la societ. Una giacca non pratica? ma certamente pi bella di un giubbotto di jeans. Una caricatura del 1838, rappresentate un dandy inglese in uno dei momenti pi delicati della sua giornata. Brummel si faceva aiutare per questa operazione da un buon numero di valletti, incaricati di portare via le cravatte spiegazzate dal dandy nei suoi innumerevoli tentativi di rendere il nodo perfetto; queste cravatte erano prontamente sostituite da altre, accuratamente stirate ed inamidate.La cravatta inutile/scomoda/fastidiosa? meglio una cravatta di un colletto aperto su un petto ricoperto di peli, o glabro e bianchiccio. L'abito del dandy l'ornamento al suo Se; l'abito vuole mostrare chi lo porta e la bellezza dell'abito in s; mentre, snobisticamente parlando, l'abito mostra di essere firmanto, alla moda. Poco importa se i colori sono orrendi (sono alla moda!), se il materiale vile, ma il prezzo altissimo ( alla moda!), se quelle scarpe fanno apparire il piede di venti centimetri pi lungo, o se la camicia ha un colletto che tra pochi mesi verr giudicato da tutti ridicolo, - alla moda! L'eleganza del dandy , si capito, sottilmente dmod. Il disprezzo di Barbey d'Aurevilly per "il gusto e le idee contemporanee" si traduceva in un guardaroba devoto ai dettami della moda del 1830. Anche Wilde, dopo le eccentricit del periodo estetico, si era tramutato in un dandy fastosamente dmod; riproducendo uno stile passato, Wilde voleva opporre al peso crescente del futuro, il fascino malinconico del passato, la filologia compita della frivolezza, il lusso di non farsi trascinare dalla moda, la moda che uguaglia, uniforma, livella.

Beardsley vestiva completamente in diverse tonalit di grigio. Il pittore Whistler interamente di bianco e nero, ma con una lieve nota di colore nel fazzoletto da taschino. Anche Baudelaire aveva adottato questo tipo di divisa, tanto da venir chiamato dai critici e dai conoscenti 'monsignor Brummel'; il suo tocco di colore era dato dai guanti: primula, rosa, gialli. E da una sciarpa oltraggiosamente rossa, che metteva solo ai funerali. I suoi papillon erano fatti su misura, seguento un suo preciso disegno, tanto per sbeffeggiare inconsapevolmente, e in anticipo, la mana dell'abito in serie. Un dandy ottocentesco oggi, vedendo una giacca moderna, oltre a notarne la scandalosa bruttezza, noterebbe migliaia di difetti che oggi non saremmo neanche pi capaci di individuare. Il dandy non subisce mai la moda, anzi, a volte si diletta ad esserne il fiero assassino. Ma allora cosa vuole il dandy? Abbiamo visto che non attratto dal successo fine a se stesso, dal denaro, dal sesso, dal potere. che cos' che lo smuove? Cos' che lo porta a vestire camicie di seta, ad ondularsi i capelli artificialmente, a disprezzare la borghesia come l'aristocrazia, ad amare l'eleganza contro la comodit, il lusso contro il comfort, a trasgredire le regole e nello stesso tempo a rispettarle sempre? La risposta una sola: la Bellezza. L'intera sua vita dominata da un sublime desiderio di essere sempre proiettato verso la Bellezza. Le pose innaturali, le ricercatezze, le raffinatezze, gli occasionali snobismi, le illogicit, gli eroismi, le piccole nevrosi e tutto il resto non servono a perseguire altro scopo. Il dandy insegue una bellezza platonica, esclusivamente contemplabile, rifiutando l'utilitarismo triviale del filisteo e attestando il proprio disinteressato egotismo immoralista estetico. E cerca di fare di s stesso un'opera d'arte, in tutti i sensi. Amore della Bellezza? Non senza sapere che "la volutt unica e suprema dell'amore riposa nella certezza di fare il male" (Baudelaire). Infatti "Non vi nulla di sano nel culto della bellezza. Esso troppo stupendo per essere sano" (Wilde). Ma intanto, come definiscono i dandies stessi la "bellezza"? Per un significato a livello pi materiale cito De Pisis: "Si dice che uno pu essere bello e non interessante o simpatico e che viceversa uno pu essere simpatico e interessante senza essere bello. Sono quelle definizioni che presuppongono una grande incertezza d'idee. A parer nostro lo statuto della bellezza e della grazia sancito da stabili leggi e, ad esempio, il verdetto di pi giudici competenti in una questione di estetica sar identico. Ci non nega che la bellezza e la grazia possano presentarsi sotto infinite forme e gradi, e perci attrarre anche nelle forme imperfette l'occhio dell'esteta con maggiore o minore vivacit. Socrate amava Alcibiade, ci non gli impediva di ammirare certe graziose etere, o fanciulle". Wilde d una spiegazione interessante, ironica, e concisa: "La bellezza tutto ci che non piace ai borghesi." Qualcun'altro invece generealizza: "E' bello ci che non piace agli altri." Dalla prima, wildeiana massima, intuiamo il disprezzo del dandy verso quella classe borghese che, fin dai tempi della Rivoluzione francese premeva per avere il potere sull'aristocrazia e il clero. Ora, conoscendo il rapporto che il dandy ha coi religiosi, possiamo ben intuire che il suo disprezzo per i borghesi s' aquito ancor di pi, quando la borghesia ha deciso di tenere la Chiesa sul suo piedistallo, sbattendo invece gi la nobilt colta e estetizzante dal suo, per farci salire la grettezza, il farisaismo, lo sciocco puritanesimo, l'amore per i soldi e l'ipocrisia della classe borghese. Nonostante poi Baudelaire abbia avuto una importante parte nei moti rivoluzionari della post-restaurazione nel 1848, si placher quasi subito, capendo che le rivoluzioni non sono mai servite a nulla, e, anzi, scriver che il solo governo che funzioni quello di tipo monarchico (ma da qui vi mando alla pagina sulla politica). La seconda massima facilmente applicabile al dandismo d'oggi, in quanto consiste nel praticare ancora un certo tipo di atteggiamenti e nell'utilizzare un certo vestiario non pi alla moda, sorpassati; non trendy, non casual, non pratici, non comodi, e quindi, per tutte queste cose, giudicati dalla massa o brutti o, come anche ieri, esagerati. Ma ovvio: l'atteggiamento del dandy, il suo stile

nel vestire, certamente 'esagerato'. Lo dicevano i borghesi romantici a Baudelaire, lo dicevano i vittoriani a Wilde, lo dicevano i nostri nonni a Cocteau... Ma, a differenza che nei tre generalizzati periodi del dandismo citati, oggi si aggiunto anche il raro ma presente sentimento di repulsione per un certo tipo d'abito, sentimento originato da, purtroppo, una ben radicata convinzione pseudopolitica. Si veda il fenomeno dei punk, degli squatter; tra di loro, pochi ammetteranno di trovare bellezza in un abito classico; altrettanti pochi, pur pensandolo, lo negheranno; molti invece, e convinti fino in fondo, vi risponderanno negativamente. Le ideologie che controllano completamente una persona ne condizionano tutti i gusti, tutte le opinioni. "Poich l'arte fatta per la vita, e non la vita per l'arte" sentenzia ancora Wilde. La Bellezza si veste allora con le ricche o ascetiche vesti dell'Arte, per avvolgersi e ricoprirsene completamente. I dandies diventano cos amanti del lusso (che non va confuso col comfort, ammonisce Cocteau); chi pi sfenatamente, alla D'Annunzio, con la sua villa sulle rive del lago di Garda straripante di ammenicoli preziosi e meno, porcellane cinesi, mobili antichi, quintali di argenteria, una ragguardevole quadreria, e giardini immensi, vomitanti rose d'ogni specie - chi si fa portatore del lusso supremo: la rinuncia al lusso; l'insorgere della socit di massa costringe il dandy del XX secolo a interiorizzare sempre di pi la sua eleganza. La Rochelle fece coincidere la sua dipendenza dalla bellezza con la cancellazione, l'austerit e la volutt; diceva: "Ho orrore delle cose di cattiva qualit; vorrei avere solo pochissime cose, ma che fossero squisite". Infatti, secondo l'ultimo wildeiano esteta e dandy Max Beerbohm, l'intenzione del dandismo moderno "la realizzazione dei massimi risultati con i mezzi meno bizzarri"; e, al suo occhiello oramai spoglio, la gardenia sfavilla per la sua assenza. Questa la morte che coincide con la bellezza; ma per il dandy non una novit: gi Dorian Gray si accorse come le due cose coincidevano pericolosamente, lasciandogli ben poco spazio per respirare; ma in fondo questo il vero obbiettivo: mettere a repentaglio la vita con il culto smodato del Bello. Il dandy ama il rischio quasi quanto ama se stesso. Jean Cocteau dedic a Narciso queste poche ma eloquenti righe, che ci fanno riflettere sul rapporto indissolubile tra Bellezza e Morte: Colui che in quest'acqua soggiorna Smascherato, visse nel raggiro. E la morte, per scherzo, lo rigira, come il dito di un guanto, alla rovescia. (da "Poeti francesi del Novecento"; Lucarini, 1991) "Ogni secolo capace di produrre poesia stato, sinora, un secolo artificiale, e l'opera che ci sembra il prodotto pi semplice e naturale del suo genere probabilmente il frutto dello sforzo pi premeditato e consapevole. perch la natura sempre in arretrato sui tempi. Solo un grande artista pu essere completamente moderno." (O. Wilde) "Egli [Swinburne] si sforza di parlare con il respiro del vento e delle onde... E' il primo poeta lirico che abbia tentato una rinuncia assoluta alla propria personalit, e ci sia riuscito. Abbiamo il canto, ma non sappiamo mai chi sia a cantare... A parte il tuono e lo spelndore delle parole, non ci dice nulla. Abbiamo spesso udito interpretazioni della Natura ad opera dell'uomo; ora sappiamo come la Natura interpreta l'uomo, e stranamente essa ha ben poco da dire. Forma e libert sono il suo vago messaggio. Ci assorda con il suo clangore." (O. Wilde, in un articolo sulle nuove poesie di Swinburne, "Poems and Ballads", 1889) "Credo che la natura ci infligga le leggi di Sparta e del termitaio. Bisogna seguirle? Dove si arrestano le nostre prerogative? dove inizia la zona interdetta?" (J. Cocteau) Nonostante le massime citate provengano per la maggior parte dalla feconda penna di Oscar Wilde,

che tratta lo stesso argomento pi specificatamente nel saggio "Declino della menzogna", importante sapere che tutti i dandies, chi in modo pi accentuato, e chi pi nascostamente, disprezzano la Natura e le sue leggi. Essa non artisticamente compiuta, e per compiere una tale opera di correzione si ha bisogno della misurata ed ispirata mano di un artista. A chi faccia notare ad un dandy la bellezza delle stagioni, delle varie foggie degli alberi e dei fiori, otterr come risposta: s, ma essa non pu far altro; (al giornalista che chiedeva a Wilde cosa ne pensasse delle cascate del Niagara, il poeta rispose che le aveva trovate terribilmente noiose e per nulla stupefacenti; le avrebbe trovate di un qualche interesse se l'acqua, che cadeva incessantemente nella stessa direzione, avesse all'improvviso cambiato corso...). Persino i fiori, che il dandy ama profondamente - egli li preferisce incrociati, studiati e rielaborati a regola d'arte. Il primo dovere del dandy , infatti, quello di essere il pi artificiale possibile. Da qui i gesti assurdamente misurati, le pose esagerate, le frasi stravaganti, e, non ultimo, il vestiario: non pudicizia quella del dandy, che lo costringe a nascondere il proprio corpo con stoffe raffinate, bens i dogmi estetici "Niente deve rivelare il corpo se non il corpo"; "Fa la tua vita come si fa un'opera d'arte"; non lasciare quindi al caso, alla Natura, il compito di decidere l'andamento dell'esistenza; non lasciare che sia lei a controllare i bisogni del corpo, ma che sia la volont stessa dell'artista a comandarli, a suo piacimento, e a regola d'arte. Da qui anche la 'diffidenza' del dandy per la donna (e viceversa), che Baudelaire definisce "naturale, e quindi il contrario del Dandy". Lo scottante tema, riproposto da tutti i dandies nel corso dei secoli, del rapporto tra Arte, Natura e Vita, sempre stato in grado di suscitare grandi polemiche e critiche, come il seguente saggio di Charles Baudelaire, facente parte del libro dedicato a Costantin Guy "Il Pittore della vita moderna", in cui il poeta si fa cantore della Bellezza, dell'Arte, e, certamente, del Dandismo: ELOGIO DELLA TRUCCATURA C' una canzone, talmente triviale e stupida che non si pu citare in un lavoro che ha qualche pretesa di seriet, ma che traduce benissimo, in stile da vaudelville, l'estetica della gente che non pensa. La natura abbellisce la bellezza! E' presumibile che il poeta, se avesse potuto parlare in francese, avrebbe detto: la semplicit abbellisce la bellezza! Il che equivale a questa verit affatto inattesa: il nulla abbellisce ci che . La maggior parte degli errori relativi al bello provengono dalla falsa concezione che il secolo decimottavo ha della morale. La natura fu considerata in quel tempo come base, sorgente e tipo di tutto il bene e di tutto il bello possibile. La negazione del peccato originale non ebbe parte nell'accecamento generale di quell'epoca. Se tuttavia acconsentiamo a riferirci semplicemente al fatto visibile, all'esperienza di tutte le et e alla gazette des tribunaux, vedremo che la natura non insegna nulla, o quasi nulla, cio che essa costringe l'uomo a dormire, e bere, a mangiare e a garantirsi, bene o male, dalle ostilit dell'atmosfera. E' proprio la natura che spinge l'uomo ad uccidere il suo simile, a mangiarlo, a sequestrarlo, a torturarlo; poich, appena usciamo dall'ordine della necessit e dei bisogni per entrare in quello del lusso e dei piaceri, vediamo che la natura non pu consigliare che il delitto. Appunto questa infallibile natura ha creato il parricidio e l'antropofagia, e mille altri orribili delitti che il pudore e la delicatezza ci impediscono di nominare. La filosofia invece (parlo di quella buona), la religione, ci ordina di nutrire i genitori poveri e infermi. La natura (che solo la voce del nostro interesse) ci comanda di ucciderli. Passate in rassegna, analizzate tutto quello che naturale, tutte le azioni e i desideri del puro uomo naturale, non troverete che orrori. Tutto ci che bello e nobile il risultato della ragione e del calcolo. Il delitto, di cui l'animale umano ha attinto il gusto nel ventre della madre, originariamente naturale. La virt, al contrario, artificiale, soprannaturale, giacch, in tutti i tempi e in tutte le nazioni, ha avuto bisogno di divinit e di profeti per essere insegnata all'umanit, e l'uomo, da solo, sarebbe stato incapace di scoprirla. Il bene sempre il prodotto di un'arte. Tutto quello che dico della natura, come cattiva consigliera in fatto di morale, e della ragione come vera redentrice e riformatrice, pu essere trasformato nell'ordine del bello. Cos sono incline a considerare l'ornamento come uno dei segni della primitiva nobilt dell'anima umana. Le razze che la nostra civilt, confusa e pervertita,

tratta volentieri da selvagge, con un orgoglio e una fatuit veramente ridicoli, sanno comprendere, come sa comprendere un fanciullo, l'alta spiritualit della toeletta. Il selvaggio e il bambino attestano, con la loro ingenua aspirazione a tutto ci che brilla, alle piume variopinte, alle stoffe cangianti, alla grandiosa maest della forme artificiali, il loro disgusto pel reale, e dimostrano cos', a loro insaputa, l'immaterialit della loro anima. Guai a chi, come Luigi XV (che fu il prodotto non d'una vera civilt ma di un ricorso di barbarie), spinge la depravazione al punto di non gustare che la semplice natura. Si deve dunque considerare la moda come un sintomo del gusto dell'ideale che affiora nel cervello umano sopra tutto ci che la vita naturale vi accumula di volgare, di terrestre e di immondo, come una sublime deformazione della natura, o piuttosto come un saggio permanente e successivo di riforma della natura. Cos si fatto giustamente osservare (senza scoprirne la ragione) che tutte le mode sono graziose; graziose, cio, in una maniera relativa, giacch ognuna uno sforzo nuovo, pi o meno felice, verso il bello; un'approssimazione qualunque d'un ideale il cui desiderio solletica senza tregua lo spirito umano non soddisfatto. Ma le mode, se si vogliono gustare bene, non si debbono considerare cose morte; tanto varrebbe, allora, ammirare le spoglie appese, losche e inerti, come la pelle di san Bartolomeo, nell'armadio di un rigattiere. Bisogna figurarsele vive, vivificate dalle belle donne, che le portarono. Solo cos se ne comprenderil senso e lo spirito. Dunque se l'aforisma: Tutte le mode sono graziose, vi sembra troppo assoluto, dite, e sarete sicuri di non ingannarvi: Tutte le mode furono legittimamente graziose. La donna , nel suo diritto, e compie addirittura una specie di dovere, studiandosi d'apparire magica e soprannaturale; bisogna che stupisca, che affascini; idolo, deve dorarsi per essere adorato. Deve dunque chiedere a tutte le arti i mezzi per elevarsi sopra la natura, per meglio soggiogare i cuori e colpire le menti. Poco importa che l'astuzia e l'artificio siano conosciuti da tutti, se il successo certo e l'effetto irresistibile. Il queste considerazioni l'artista filosofo trover facilmente la legittimazione di tutte le pratiche usate in ogni tempo dalle donne per consolidare e divinizzare, per cos dire, la loro fragile bellezza. L'enumerazione di esse sarebbe infinita; ma, per limitarci a quello che il nostro tempo chiama volgarmente trucco, chi non vede che l'uso della cipria, cos scioccamente stigmatizzata dai candidi filosofi, ha lo scopo e l'effetto di far scomparire dalla pelle tutte le macchie che la natura vi ha oltraggiosamente seminate, e di creare un'unit astratta nella grana e nel colore della pelle, la quale unit, come quella prodotta dalla maglia, accosta immediatamente l'essere umano alla statua, ad un essere, cio, superiore e divino? Quanto al nero artificiale che cerchia l'occhio e al rosso che colora la parte superiore della guancia, quantunque l'uso deriva dal medesimo principio, al bisogno di superare la natura, il risultato viene a soddisfare un lato del tutto opposto. Il rosso e il nero rappresentano la vita, una vita soprannaturale ed eccessiva; quel cerchio nero rende lo sguardo pi profondo e singolare, d all'occhio un'apparenza pi decisa di finestra aperta sull'infinito; il rosso, che accende i pomelli, accresce lo splendore della pupilla ed aggiunge a un bel volto femminile la passione misteriosa della sacerdotessa. Cos, se non mi fraintendete, il ritocco del viso non deve essere usato allo scopo volgare, inconfessabile, d'imitare la bella natura e di rivaleggiare con la giovinezza. Abbiamo osservato che l'artificio non abbellisce a bruttezza e non pu servire che alla bellezza. Chi oserebbe assegnare all'arte la sterile funzione d'imitare la natura? Il trucco non deve nascondersi, non deve evitare di farsi vedere; pu, anzi, mostrarsi, se non con affettazione, almeno con una specie di candore. Concedo volentieri a quelli che per la loro austera gravit non possono cercare il bello nelle sue pi minute affermazioni, di ridere alle mie riflessioni e di riconoscerne la puerile solennit; il loro austero giudizio non mi riguarda punto; mi accontenter di appellarmi ai veri artisti e alle donne che hanno ricevuto nascondendo una scintilla di quel fuoco sacro del quale vorrebbero essere tutte accese. (Ch. Baudelaire, tratto da "Il pittore della vita moderna") (i corsivi sono di Baudelaire). Ma attenzione; l'innaturalit, il sur-naturel, l'operazione di maquillage, l'artificio di Baudelaire, di Wilde, di Beardsley, e soprattutto di Beebohm, non serve a nascondere la natura, ma a nascondere l'artificio per dare al pubblico un'idea di natura. Nasconde cio il processo di separatezza, e la

maschera non un travestimento, ma un trucco per mostrare la separatezza: l'unit di arte e vita sta nella maschera. "Il poeta il dandy e il dandy il poeta. Il dandy un comportamento e il comportamento del dandy la maschera immobile dell'impassibilit assunta come natura." (G. Franci, Il sistema del dandy) La "divisa estetica": secondo Wilde, ogni esteta, durante le cerimonie, occasioni importanti o serate di gala, o ancora pi semplicemente quando gli andava, doveva indossarla mostrando al mondo la sua anima completamente proiettata verso la bellezza. Wilde posa con la sua divisa estetica.Essa era composta da un paio di pantaloni lunghi fino al ginocchio, che oggi chiameremmo 'alla zuava' - ma differentemente da questi erano molto attillati, di velluto scuro; delle lunghe calze di seta scure e degli scarpini di vernice neri con dei lunghi fiocchi; una giacca da frac con le code piatte; una camicia bianca con lo sparato altrettanto candido e inamidato, il papillon bianco da frac. Wilde variava poi in diversi modi la sua 'divisa': invece della giacca da frac e della camicia da sera, indossava una giacca corta ed un morbido panciotto di velluto, e un fazzoletto da collo, sovente azzurro o verde. Con tale divisa, egli si faceva accogliere nei salotti mondani di Londra, e si mostr abbigliato allo stesso modo durante il suo lungo giro di conferenze che tenne in America. Proprio l, Wilde veniva spesso criticato dai giornali, e preso in giro volgarmente per il suo abbigliamento; tent allora, durante alcune conferenze, di vestirsi normalmente, ma l'evidente delusione del pubblico lo costrinse a cambiare idea. La divisa estetica di Oscar Wilde non era che la divisa che veniva usata allora dalla Massoneria Inglese, ancora oggi in uso in alcune logge, della quale Wilde era stato un felice membro durante la giovent. Ma non era nuova, tra i dandy, l'uso di una sorta di 'divisa': per primo Brummel lanci la moda della giubba blu dai bottoni d'oro abbinata ai pantaloni color crema, assai attillati, con i lucidi stivali neri al ginocchio; e, tra gli alti risvolti della giubba, abbagliava per il suo candore la Wilde posa con la sua divisa estetica.cravatta, morbida scultura, alla quale il Beau dedicava molte ore di pazienza. In seguito, Baudelaire adott come 'divisa' una lunga mantella nera, un largo papillon altrettanto scuro, tagliato di sbieco, ed un completo comprendente uno stretto panciotto dall'abbottonatura assai accollata, del quale venivano sbottonati i primi tre o quattro bottoni. Sostituendo il nero baudelariano al grigio, il conte Montesquiou possedeva un'infinit di finanziere in infinite variazioni di questo colore, lo stesso preferito da Beardsley. D'Annunzio, invece di destreggiarsi con un solo colore, preferiva dare al suo guardaroba lo sgargiante sfavillo della variet pi totale, sempre usando, per, sotto tutti gli abiti, delle camicie da un alto colletto duro, nelle foggie pi disparate. Il dandy novecentesco preferiva invece non farsi troppo notare tra la folla, indossando abiti s perfetti, e tagliati su misura, ma assai poco particolari se giudicati da un occhio inesperto. La "cravatta discreta" di Jacques Rigaut, come la descrive Man Ray nella sua autobiografia, o gli abiti, tanto scuri da sembrare neri, uniti a delle cravatte scure allo stesso modo, di La Rochelle e Malraux sono solo pochi esempi della fine eleganza, lontana dallo sfarzo decadente, dei dandy del Novecento. L'occhiello. Oggi si arriva a chedersi a che cosa serva, quell'asola, l, sul risvolto della giacca. Il pi delle volte chiuso; le poche volte che aperto, i pi inesperti cercano un bottone dietro all'altro risvolto, e, delusi dal non trovarlo, si accontentano di infilarci una piccola spilla, che il pi delle volte provoca un fastidioso sberluccicho negli occhi del passante. Sappiamo invece che, da asola per chiudere le antiche giubbe ottocentesche fino al collo, diventato un ornamento necessario specialmente per il dandy, che non lo vuole vedere inviolato, e provvede subitamente infilandoci il gambo di qualche fiore, possibilmente raro, ma principalmente attraente. E' straordinaria la fioritura degli occhielli fin-de-sicle: dall'orchidea di Montesquiou al garofano verde di Oscar Wilde. La gardenia di Jean Cocteau arrivava ogni mattina da Londra, per poi fiorire

nell'occhiello del giovane poeta. Ma con gli orrori della prima guerra, i petali erano appassiti rapidamente, liquidando ogni sfarzo troppo evidente. Nel turbinio degli anni Venti i fiori erano dinuovo sbocciati sulle giacche dei dandies, ma avevano perso la loro naturalezza. All'occhiello di Max Beerbohm, l'ultimo dandy, "fioriva impercettibilmente, talvolta, un anonimo fiorellino, candido come un bucaneve nella gelata della funzionalit moderna", (G. Scaraffia, "gli ultimi dandies"). Il fiore all'occhiello del dandy simboleggia il suo amore per il decorativo; se la decorazione data poi dall'odiata natura, da privilegiare. Solo la natura al servizio dell'uomo ammissibile; i paesaggi di Annibale Carracci (1560-1609), idealizzati, sono inconsapevolmente il prototipo della sola natura artistica: bella e maestosa, ma calibrata, studiata, abbellita, armonizzata da una lieve modifica umana, se non dalla presenza di un'opera dell'uomo stesso. Ma simboleggia anche l'idea che ha il dandy della vita: bella e profumata, ma allo stesso tempo terribile e odiosa; il fiore anche interpretato come la rappresentazione 'naturale' del dandy: nasce dalla terra, dal fango, ma poi si innalza verso l'alto, bellissimo ma delicato. Il fiore all'occhiello del dandy la vita tramutata in decorazione. Joris-Karl Huysmans descrive cos i fiori creati da Des Esseintes, unico protagonista del decadente romanzo "Controcorrente" (1884), che si diletta in floricultura, ma esclusivamente per fini estetici, un estetismo portato alle sue pi estreme conseguenze: "[...] altri ancora , come l'Aurora Boreale, esibivano una foglia color carne cruda, striata di nervature purpuree, di fibrille violacee, una foglia tumefatta, che trasudava vinaccio scuro e sangue. [...] I giardinieri portarono ancora altre variet; e queste ostentavano un'apparenza di pelle artificiale solcata da finte vene; la maggior parte, come corrose dalla sifilide a dalla lebbra, tendevano delle carni livide, marmorizzate di roseole, damascate di erpeti; altre avevano la tonalit rosa vivo delle cicatrici che si rimarginano, o la tinta bruna delle croste che si formano; altre erano coperte di bolle, gonfiate da scottature; altre ancora mostravano epidermidi pelose, scavate da ulcere e tumefatte da cancri; [...] Des Esseintes esultava. [...] Scaricavano una nuova infornata di mostri; delle Echinopsis, che facevano spuntare da batuffoli d'ovatta fiori di un rosa ignobile da moncherino; dei Nidularium, che aprivano, tra le lame di sciabola, deretani scorticati e squarciati; [...]". Huysmans prolunga queste superbe descrizioni per quasi quattro pagine, senza fermarsi, facendo assaporare al lettore l'orrore e l'estasi di Des Esseintes, e suscitandogli un sentimento egualmente magnifico. Fiori mostruosi, poi fiori simiglianti a pezzi di ferramenta (lo sbeffeggiamento totale verso la natura: far assumere ad essa la forma di un prodotto umano), infine bieche piante carnivore; e, come mostruosit finale, l'assenza di odore di tutti quei fiori, quasi a voler privare la natura anche della sua ultima bellezza. Non pi selvaggia, ma sotto il totale controllo umano. Nel 1921 avevo la mania di cercare quei bastoni da passeggio come li portavano i nostri nonni, con il becco fatto di un sol pezzo col bastone, invece di esservi attaccato artificialmente. Non si trovavano che bastoni col becco appicicato o con l'impugnatura ricurva. Una notte, sogno di visitare Harrow e di trovare, in una bottega con un coccodrillo in vetrina, trenta di questi bastoni. Stavano dentro un vaso di ceramica. Un vecchio mi chiede 50 franchi. Ad ogni bastone c' attaccato un sonaglio che lui taglia; mi sveglio. L'indomani racconto il sogno a Radiguet e gli propongo di partire per Harrow. Lui amava le cose assurde e mi credeva. non avevamo calcolato bene il cambio della moneta tanto che arrivammo a Londra con le tasche vuote. Alla stazione Victoria mi trovo faccia a faccia con Reginald Bridgeman, un amico che abita nella campagna inglese e che non avevo avvisato del mio viaggio. Ci porta con s e ci ospita.Gli racconto il mio sogno e gli chiedo dove si trova Harrow. "E' la prima stazione dopo la mia" mi dice. "Vi andremo domani. C' la mia scuola. Ma la tua bottega non esiste. Per di pi domani domenica, e non troveremo nessun negozio aperto".

A Harrow pranziamo all'hotel della Testa del Re. Dopo pranzo, risaliamo la strada principale in dissesto (la stavano riparando). Scorgo una bottega aperta, nella cu vetrina pendeva un sacco di pelle di coccodrillo per le mazze da golf. Entro e trovo nel vaso i miei trenta bastoni. Do al vecchio i 50 franchi. I sonagli corrispondevano alle guarnizioni staccate che lui rinchiod su ogni bastone con un colpo di martello. (Tratto da "Il mistero laico", di Jean Cocteau) Il dandy uno degli ultimi che, a malincuore, ripone il bastone da passeggio, elegante rimasuglio della spada da gentiluomo dell'Acien Rgime. Majakovskij non l'abbandonava mai, neanche sulla spiaggia, dove passeggiava in bermuda e cappello di feltro calcato sugli occhi. A proposito del bastone da passeggio Filippo de Pisis, nel suo trattato sull'eleganza, raccomanda "cautela, gusto e acume nella Montesquiou ritratto da Boldini.scelta", oltre a reputare indispensabili "finezza e buon gusto", dicendo che l'eleganza vera "molto consiste nella originalit, ma bisogna andar cauti". Oscar Wilde teneva molto ai suoi bastoni, che variavano dalle fogge pi sottili, leggere ed eleganti, fino a quelli grossi e pesanti come quelli per cui solo Balzac fu famoso, incrostati di preziosi, o dal pomo asceticamente liscio; una volta disse ad un amico che veniva a fargli visita di non trovare pi il suo amato bastone, ed era disperato. Gli raccont un'infinit di peripezie che molto probabilmente il suo bastone aveva subito dopo il furto. Ma l'amico lo deluse subito individuando l'oggetto di tante chiacchere in un angolo della stanza: "Ma, signor Wilde, l il suo bastone!". E Wilde, per nulla sorpreso, "Uh? ...Ah, s, certo." Ultimamente il bastone da passeggio tornato in auge tra gli intellettuali eleganti, o presunti tali. Il noto conduttore Funari lo utilizza sia in trasmissione che fuori, ma non dandismo il suo, solo una vaga eccentricit, come la bombetta nera o la lunga barba bianca. Tom Wolfe invece, famoso scrittore dandy americano, lo porta sempre con s, sfiorando pericolosamente l'eccentricit, seppur rientrando ancor nei dandistici canoni dmod. Yellow Book. Se oggi queste parole possono solo far venire in mente le insipide Pagine Gialle, ebbene, sappiate che un tempo non fu cos. Lo Yellow William B. Yeats Book fu, nella Londra degli Yellow Nineties, cio l'ultimo decennio del XIX secolo, la rivista che fece scandalo immediato. Gli articoli finemente trasgressivi, le poesie 'maledette' e le illustrazioni non certo accademiche non furono altro che carbone da ardere nel fuoco del puritanesimo inglese di quegli anni; Oscar Wilde era il tizzone che ancora bruciava tra quelle fiamme, ma, inutile dirlo, non si consumava mai completamente. Tutta la rivista sembrava studiata apposta per irritare i bravi borghesi vittoriani; il solo colore della copertina, di un giallo squillante ed irriverente, scuoteva gli animi pi docili, e sbizzarriva i critici lettereri di spirito, i quali, accanitamente, cercavano di demolire il pi in fretta possibile gli impassibili giornalisti (tra i quali figuravano Max Beerbohm, Henry James eWilliam B. Yeats) dello Yellow Book. Il "Punch", all'uscita del primo numero dello Yellow Book, pubblic una poesia satirica che aveva per tema il colore della rivista, nonch le illustrazioni del direttore artistico, Aubrey Beardsley: FOGLIE - Come foglie autunnali - color zabaione copertina tipo cataplasma alla senape, aspetto nell'insieme da itterizia. Ma, buon Dio, le cose definite "illustrazioni"! Infamie mal disegnate e senza senso! Strabilianti assurdit. Era chiaro che una rivista tanto scandalosa (e costosa: cinque scellini erano certo pi adatti ad un libro!) non poteva che avere un successo enorme: gi solo Max Beerbohmall'uscita del primo numero, il direttore dello Yellow Book, John Lane, fu costretto a raddoppiarne, e poi a triplicarne le tirature. Nonostane ci, i critici letterari continuavano a scagliarsi chi ferocemente, chi pi ironicamente, contro la piccola rivista quadrata color limone: gli articoli di Max Beerbohm erano

oggetto di scatenate parodie (certe volte controproducenti), ma tutti si davano da fare sopratutto contro Beardsley. Il dandy Aubrey Beardsley, illustratore gi famoso nonostante la giovane et e per le donne da lui disegnate che, "se si incarnassero, sarebbero orribili" pareva spesso molto divertito da ci che i giornali dicevano di lui. Sul terzo numero dello Yellow Book, oltre ai suoi consueti disegni, apparvero altre due opere di artisti finora sconosciuti: si pubblic di Philip Broughton una "Testa di Mantegna", e un ritratto a pastello di una dama fracese di Albert Foschter. Lontani dallo stile di Beardsley, "I due disegni piacquero decisamente ai recensori, uno dei quali consigli a Beardsley di studiarli a fondo e trarre insegnamento dall' 'equilibrata e solida tecnica di cui Phlip Broughton forniva un'altro esempio nella sua ormai nota maniera' " scriveva divertito Max Beerbohm; Beardsley gongol di piacere non appena seppe del 'consiglio' che il critico gli dava per migliorare la sua tecnica, essendo lo stesso Beardsley l'autore di entrambi i ritratti, nonch l'inventore dei nomi dei due artisti inesistenti. quando lo fece sapere ai giornali non ottenne risposte, ma sicuro che si sarebbe trattato ancora di poco tempo, e la corda si sarebbe immancabilmente spezzata. Lo scandalo che la rivista era in grado di suscitare venne immediatamente associato dal pubblico pure al nome di Oscar Wilde, considerando il tono esteticamente estatico degli articoli e l'eguale lucida pretenziosit dei disegni di Aubrey; il fatto che Wilde non c'entrasse per nulla con le irriverenti pagine dello Yellow Book era un fatto pressocch ignorato: la rivista ebbe quindi vita breve; uscita nel 1894, termin la sua esistenza al tredicesimo numero, nel 1897. Ma nel 1895 accadde quello che gi tutti purtroppo si aspettavano: Oscar Wilde venne arrestato per 'oltreggio alla morale', e condannato al massimo della pena prevista per i trasgressori del ferreo farisaismo vittoriano: due anni di lavori forzati. I giornali dissero che, al momento dell'arresto, Wilde aveva raccolto dal tavolo i suoi preziosi guanti scamosciati e una piccola rivista gialla, lo Yellow Book; in realt si trattava di un romanzo di Pierre Lous (un dandy francese dalle sfumature dongiovannesche), da poco uscito in Francia, ma questo i giornali non lo potevano supporre, e, in ogni caso, faceva loro comodo trovare un collegamento tra Wilde e la scandalosa rivista anticonformista. La tensione che fino ad ora aveva soffocato Londra esplose: ogni accenno di frivolezza, di antimoralismo era punito prima che dalla legge, dal popolo. Gli uffici della Bodley Head, in cui di preparava e si stampava lo Yellow Book, furono presi a sassate da una folla inferocita la sera stessa della condanna di Wilde; si chiedeva a gran voce la chiusura del giornale, o perlomeno l'espulsione di Aubrey Beardsley, giudicato da tutti corrotto quanto Wilde. Beardsley, anni prima, aveva illustrato per il il poeta dublinese il suo dramma in un atto, "Salom", che, ovviamente, era stata uno scandalo; quale pretesto migliore per voler l'espulsione dell'illustratore? Anche dei collaboratori dello Yellow Book si dichiararono d'accordo per l'espulsione. John Lane, che si trovava in America per affari, accortosi della 'maretta', telegraf ai suoi sostituti in Inghilterra di licenziare immediatamente Beardsley, e di salvare il salvabile. Aubrey fu sostituito da Patten Wilson che, nonostante l'impegno, non divene mai direttore artistico della gialla rivista. Dopo il quarto numero lo Yellow Book decadde. Lane, per paura di altre sommosse popolarmoraliste aveva abbassato il tono della rivista, e questa era diventata tanto scialba e insipida da suscitare l'indifferenza dei critici e del pubblico. E. F. Benson, un contemporaneo di Beardsley, scrisse: "[Beardsley] era stata la principale risorsa dello Yellow Book; e non appena smise di disegnare per la rivista, quella si spense, come tutti notarono, in una sola notte, pur trascinandosi avanti, debole e assolutamente rispettabile, per altri nove numeri". Beardsley, che allora aveva ventitr anni, fu cos amareggiato e sconvolto dal suo improvviso licenziamento che "si lasci andare ad una vita dissoluta", ci informa Yeats. Ma non era passato molto tempo che Aubrey era gi sulla cresta dell'onda o, dovrei dire, sul filo del rasoio, con i suoi fecondi contributi al "Savoy" in qualit di direttore associato, un'altra rivista di stampo sacrilego e antiborghese, alla quale partecipavano, oltre a Yeats e Beerbohm, anche Bernard Shaw, Ernest Dowson, Lionel Johnson, Arthur Symonds, Charles Conder, Charles Shannon, Havelock Ellis, Selwyn Image e Joseph Conrad. Ovviamente ricominciarono le noie per il giovane dandy - ma, in un certo senso, ora era anche apprezzato o, sarebbe meglio dire, il pubblico lo aveva perdonato, e

aveva dimenticato Wilde. Si trascurava ora la "cattiva qualit" dei disegni per trovarci invece originalit, ironia, surrealismo. In breve tempo Beardsley divenne ricco, ammirato (seppur con qualche riserva) e, talvolta, imitato. Ma, come ci ricorda ancora una volta Yeats, gli capitava di pensare allo Yellow Book: "[...] Beardsley arriva a Fountain Court, poco dopo colazione, in compagnia di una signorina che appartiene al giro dell'editore, e certamente non al nostro, di quelle che si dicono 'da quattro soldi'. E' un p alticcio e deve aver rimuginato sul suo licenziamento dallo Yellow Book, perch appoggia la mano al muro e fissa uno specchio con aria assorta. Borbotta: "S, s. Sembro un sodomita" (e non lo sembrava affatto). "Ma no, non lo sono"; e poi incomincia ad inveire contro i propri antenati, accusandoli di questo e di quello, fino ad includere il grande Pitt, del quale si proclamava discendente." (W. B. Yeats, Autobiografie). Due anni dopo Beardsley sar ucciso dalla tubercolosi. Fu ritratta da Boldini, in viola, rose rosa e levriero; un ritratto che icona, simbolo e simulacro dun mondo scomparso in cui, come dice Giovanni Nuvoletti, si raccoglievano le grazie estenuate di frasi come questa: Vieni in giardino, voglio che le mie rose ti guardino. Alla marchesa Luisa Casati, Gabriele dAnnunzio rivolse simile complimento, telegrafando dal suo eremo dorato I rosai del Vittoriale ti aspettano per fiorire. E non una leggenda quella che vuole un Vate intento nello spargere montagne di petali per i giardini e le stanze del Vittoriale, in attesa che vi passasse quella che da tutti, ingiustamente, venne poi definita come sua creatura. In realt la Marchesa Casati fu questo ed altro, e molto di pi. Ci che dAnnunzio profondeva nei suoi romanzi, ella lo metteva nella vita. Jean Cocteau, il quale ne fu amico e confidente, scrisse che aveva saputo crearsi un tipo allestremo. Non si trattava pi di piacere o non piacere, e tantomeno di stupire. Si trattava di sbalordire. Per amore dell'eccesso, puntualizza Andr Germain, si era impiastricciato un viso bellissimo, sfigurandosi dal punto di vista estetico. I suoi fiammeggianti occhi da lupa brillavano in una faccia da incubo. L'eccentricit, abilmente creata, delle sue toelette, accompagnava la laboriosa eccentricit del volto. Le numerosissime testimonianze ce la rammentano ciascuna pressappoco nella stessa maniera: il viso era imbiancato quasi a calce; gli occhi, profondamente bistrati di nero, quasi portasse una maschera; si tingeva spesso i capelli di rosso fuoco; la sua figura alta e dallaspetto androgino anticipava quella moda Art Dco di Paul Poiret ancora di l da venire. Vestiva in maniera stravagante, provocatoria, portando allestremo i dettami di una moda morente, ed inventandone di nuovi. Il travestimento era la sua vera vocazione: i balli mascherati ed i carnevali veneziani erano tutti per lei. Organizzava in tali occasioni feste sontuose (dissipando cos tutto il suo patrimonio), dove eleganza e snobismo incontravano la cultura, arrivando perfino ad affittare solo per s ed i suoi ospiti lintera Piazza San Marco, con tanto di carabinieri armati a presidiare i contorni della celebre piazza lagunare. Al di l delle balaustre, i veneziani estasiati osservavano lo svolgersi dei riti sacri della nobilt in declino, fastosa ed eroica come non mai, misteri rivelati grazie alle arti magiche della sola Casati. E stato detto che la stregonesca Marchesa fu probabilmente la donna pi rappresentata in opere darte della storia, dopo la Vergine Maria e Cleopatra. Oltre al gi citato Boldini, celebri sono gli enormi disegni di Alberto Martini, le ceramiche medusee di Bertelli, ed altri dipinti di Julio de Blaas, Paul Troubetzkoy, Roberto Montenegro, Ignacio Zuloaga, Romaine Brooks, Kees Van Dongen, Augustus John, Lon Bakst... Tra gli altri, venne fotografata da Man Ray e dal Barone de Meyer, ed al primo che dobbiamo il ritratto triplicemente occhiuto della Casati, frutto di un errore di sviluppo fotografico, ma che tanto piacque alla mecenate da chiederne allartista diverse copie, che in poco tempo avevano fatto il giro di Parigi e di Milano. Una di esse fin, ovviamente, anche al Vittoriale. Lo spirito dirompente, aggressivamente ieratico, tra lidolo pagano e dea del limbo, ne fecero limmagine della femme fatale sopra le righe, ispirando poeti e romanzieri. Ovunque ella si recasse non passava inosservata; per un certo periodo us portare al collo un enorme boa vivo, poi pass ai ghepardi al guinzaglio; passeggiava per Venezia accompagnata dai suoi servi negri dalla pelle

spruzzata doro, o faceva gite in gondola, di notte, totalmente nuda sotto la pelliccia aperta. Gli amici che si recavano nel suo palazzo a Milano, o nella Ca Leoni (oggi Museo Guggheneim) di Venezia, o al Palais Rose parigino (gi dimora di Montesquiou), ricordano scenari teatrali, sfolgoranti di stoffe e di curiosit esotiche, tra le quali si muoveva, trionfante, la divina Marchesa, dagli occhi lenti di giaguaro che digerisce al sole la gabbia dacciaio divorata come la defin Filippo Tommaso Martinetti. Gi, perch la leggenda e la persona della Marchesa seppero superare il periodo di quella Belle Epoque della quale ella tanto contribu a creare il mito, ed arrivare indenne al Novecento, con le sue avanguardie, i suoi -ismi costruttivi o distruttori che fossero. Venne ad essere musa di dadaisti, surrealisti, fauvisti, e soprattutto futuristi; Giacomo Balla la ritrasse in un intensissimo Fluidit di forze rigide della Marchesa Casati (1918), e Martinetti ne cantava incessantemente le lodi, tra una blanda pugnalata al chiaro di luna e laltra. Sedotti non certo pi dalla carica dannunziana, quanto piuttosto da quella sua particolare capacit di stupire, quel suo rapporto con la fenomenologia della casualit e dellintervento spaesante proprio pure delle avanguardie storiche. Fin in disgrazia, e questo non dovrebbe stupirci tanto siamo abituati a storie del genere; assediata dai creditori fu costretta a riparare a Londra, lasciando il suo Palais Rose che tanto le era costato. Cecil Beaton, che la incontr in pi occasioni, riusc pure a scattarne qualche fotografia, sebbene la Marchesa, oramai ridotta ad un grottesco manichino di biacca e velluto nero, non desiderasse affatto questa particolare attenzione da parte del fotografo. Ella, come la tremenda Teodora di Procopio, si rese eroina di un romanzo, una vita che fu opera darte, senza pronunciar verbo. In unepoca dominata dal bon mots, della Casati non resta una sola frase di spirito. Nella storia del costume e dellarte decorativa, ineguagliata in narcisismo e orgoglioso senso aristocratico della propria arte, la Casati ricopre un ruolo fondamentale, certe volte basilare, oggi dimenticato quasi del tutto nel nostro paese, che vede come una vergogna lesistenza di idoli remoti troppo sacri per esser umani, e troppo grandi per esser compresi. Nel suo totalizzante narcisismo, la Marchesa Casati non pu che apparire oggi come unidea, un personaggio inventato, e poco ci manca ad arrivare al tempo in cui si dubiter persino della sua esistenza. Del dandismo stata sua la forza creatrice, lamore per le arti e limmedesimazione con esse e la propria leggenda; la sua eccentricit ed il suo sesso la chiamerebbero tuttavia fuori dal dandismo una declinazione che funziona al maschile, ma non dovrebbe esistere quando applicata al gentil sesso. Se esistono le eccezioni, la Casati potrebbe esserlo. Ma, in fondo, tanto importante? Ella rimane un unicum della nostra storia, si inserisce perfettamente tra tutti questi frivoli personaggi a causa del suo ruolo sociale ed artistico. Dandy o no, la Marchesa Casati si trova qui perfettamente a suo agio. Il dandismo non affatto defunto e non morir mai. La societ ha ancora bisogno di questo pozzo che si rinnova silenziosamente, di questo specchio che ne mostra le contraddizioni attraverso la contraddizione stessa. Poich la trasgressione non pi appannaggio di pochi, ma diventata cifra mediatica, il dandy moderno pu scegliere la via di un'appariscenza ellittica, che giunge al sovvertimento del canone attraverso un estremismo canonico. Pu quindi sorprendere indossando solo un paio d'occhiali bianchi su un completo di grande sartoria inglese, come Hourd, o all'opposto creare capi e atteggiamenti dal cromatismo indigesto, autorevole ed affascinante, come Rampazzi. Il dandy sarebbe un vero figlio del suo tempo, ma poich quest'ultimo gli va stretto preferisce essere padre di quello che verr o profeta di quello che potrebbe venire e non verr mai. Presentiamo qui una sezione necessariamente incompleta, dedicata al dandismo moderno. I personaggi citati in calce fanno parte essenzialmente di unelite molto ben dotata economicamente. Non solo i membri di questa classe sociale possono sentirsi ed essere dandies, ma certo i mezzi economici contribuiscono a dar loro innanzitutto una giustificazione che altri devono conquistare in altro modo e a volte non ottengono mai. In secondo luogo conferiscono una risonanza che giunge lontano e ci ha permesso di identificarli con pi facilit. E' indubbio che decine di altri contemporanei maestri dell'eleganza estrema ed indipendente dovrebbero essere qui citati, ma su

questo attendiamo le segnalazioni dei Visitatori, da inoltrarsi nelle aree interattive del Caff o della Posta. A nostra insindacabile scelta, altri nomi cos pervenuti verranno inseriti in questo elenco. Ci permetter di far conoscere a chi sia veramente interessato qualche personaggio che oggi vive in circuiti cos sofisticati da restare fuori anche dall'occhio della stampa. Di salvare dalloblio dei nomi meritevoli di memoria, situando la loro opera in un luogo dove possa essere compresa con indulgenza. Purtroppo sembra che ad ogni passo verso la terra promessa di libert sociali ci si ritrovi pi schiavi del conformismo e meno inclini ad assolvere una visione estrema dellindividuo come fine e centro dellessere. Il popolo perdona lo stolto, ma non l'artista. Wilde inizi il suo giro di conferenze in America parlando del "Rinascimento Inglese"; del testo di tale conferenza non ci rimangono che poche parti, ma sappiamo che andava predicando una rinascita dell'Inghilterra, rinascita, naturalmente, sotto l'insegna dell'estetismo. Mobilio, arredo, carte e stoffe dovevano armonizzarsi tra loro, creando un tripudio dell'estetica wildeiana (che non era altro che una rivisitazione delle idee di Ruskin, Pater e Rossetti), effetto molto lontano dai pesanti arredi pseudo-barocchi e stupidamente elaborati interni vittoriani. Le conferenze stesse, e tutto quanto segu, i racconti, il Dorian Gray, le poesie, le pose, tutto era, a dir la verit, improntato su un 'anti-vittorianesimo' di fondo. Wilde non sopportava l'ipocrisia e la philistia della classe borghese che non ammetteva di conoscere il vizio, predicava l'ipocrisia e il messaggio morale, presente ovunque nella societ dell'epoca, era a dir poco nauseante. Ora, Wilde non lo sapeva (lo scoprir molto pi tardi), ma il messaggio che lui lanciava in America e poi in Inghilterra come "Rinascimento Inglese", cirondarsi di begli oggetti estetizzando cos la propria vita, era in relat lo stesso atteggiamento verso l'arte che in Francia, a Parigi, Joris-Karl Huysmans, Maurice Rollinat, Jean Lorraine, Paul Verlaine, Edmond Goncourt, ed altri ancora definivano malato ma estremamente piacevole. In ordine, gli autori citati espressero la propria adesione al decadentismo con: "Controcorrente" (la vera Bibbia dei decadenti), "Les Nvroses", una raccolta di poesie fortemente simili a quelle di Baudelaire, "Modernit" apparso in "Le Chat noir" del 1882 e "Bathylle" sulla stessa rivista, "Art potique", un trattato sulla poesia in cui Verlaine liquidava tutti i versi non musicali e non sfumati come mera letteratura, "La Faustin" e "Manette Salomon" di Goncourt. Tutti questi poeti, scrittori, critici e dandies sostenevano le medesime cose che Wilde aveva pressapoco espresso durante le sue tourne. Inizialmente Wilde si fece trasportare dal turbino malato ed incessate dei decadenti, ma presto si risollev e mut (di poco, in verit) il suo atteggiamento verso l'estetica, inserendo qua e l del senso pratico, ma rimando pur sempre un decadente, nonostante i suoi sforzi per non apparire tale. L'atteggiamento del decadente verso la vita lo stesso che pu avere un dandy; al contrario, un decadente, come un esteta, pu non essere un dandy, come nel caso di Huysmans che, nonostante tutto il suo predicare l'estetismo, finisce comunque per giudicarlo malvagio e pericoloso; Huysmans si far cattolico, dopo essere passato dal realismo di Zola, al simbolismo dei decadenti con "Controcorrente" o "A ritroso" (1884), a seconda delle traduzioni italiane del testo. Il personaggio principale, anzi, si potrebbe dire l'unico personaggio del romanzo, Des Esseintes, un dandy oppresso dallo spleen, depresso e desideroso di staccarsi completamente e per sempre dalla volgarit che lo circonda. Huysmans non ha per in simpatia il proprio personaggio: ogni capitolo una parabola di un piacere consumato, per i libri, i profumi, i gioielli o i piaceri sessuali; ma se ogni sua esplosione di energia si sgonfiava e Huysmans negava la propria simpatia al personaggio, il jusqu'au-boutisme del protagonista ne riscattava quasi l'assurdit e impediva che fosse del tutto screditato. Des Esseintes predispone la sua villa fuori citt come un tempio dell'estetismo, considerando i colori, i quadri e gli arredi come visti al buio, essendo intenzionato a vivere principalmente di notte; d ordini precisi ai domestici, ai quali raccomanda di non mostrarsi mai a lui, se non in casi strettamente necessari; assume per l'ultima volta uno squadrone di sarti, istruiti sulle Huysmans in una foto dell'epoca della sua conversione al cattolicesimo, poco prima di moriresacre leggi del dandismo, incaricati di confezionargli in breve tempo tutto l'elegante

guardaroba di cui avr bisogno. E, finalmente, si chiude in casa. Des Esseintes passa cos il tempo diviso tra i ricordi della sua vita passata, tra le sofferenze e i bisogni che una vita di clausura gli impone, a leggere Platone, Orazio, Ovidio, Petronio, Dante, Baudelaire, Poe; ad ammirare i suoi quadri preraffaelliti. I pensieri scorrono tranquilli e rilassati inizialmente, ma si faranno presto malati, spasmodici, da incubo. Des Esseintes inizier a soffrire, ad ammalarsi, ma sar sempre pi felice di essersi ritirato per sempre dalla vita rozza e volgare che lo circondava; ma peggiorer, e rischier la vita, finch il medico gli ordiner di tornare immediatamente alla vita cittadina, tra la gente viva e le distrazioni. Des Esseintes, per non morire di spleen, sar costretto ad accettare. (per il fascino che la figura dello sconfitto esercita sul dandy, vedere le pagine sulla Religione e sulla Politica). A met del maggio del 1884 usc il romanzo decadente per antonomasia. Whistler si era precipitato l'indomani stesso a congratularsi con Huysmans per il suo "libro meraviglioso"; Bourget, in quel periodo amico intimo di Huysmans come di Wilde, ne rimase affascinato; Paul Valry lo defin "la [sua] Bibbia e il [suo] livre de chevet", e tale divenne anche per Oscar Wilde che dichiar al Morning News: "Quest'ultimo libro di Huysmans uno dei pi belli che io abbia mai letto". Lo si recensiva ovunque come la guida del decadentismo. Il suo eroe, Des Esseintes, era dandy, raffinato, erudito, dbauch, i suoi desideri e i suoi piaceri raffins oltre qualsiai esempio; Des Esseintes "aveva trascorso la vita cercando di realizzare nel secolo decimonono tutte le passioni e i costumi che appartenevano agli altri secoli, e di riassumere in s tutte le esasperazioni attraverso le quali era passato lo spirito del mondo, prediligendo per la loro artificiosit le stesse rinunce che gli uomini hanno stoltamente chiamato virt, oppure le spontanee ribellioni che gli uomini saggi si ostinano a definire peccati". In altre parole, era un libro "velenoso". Al terribile romanzo di Huysmans si ispirarono numerosi scrittori, e moltissimi altri gli resero omaggio esplicitamente o implicitamente, come nel caso di "Il piacere" di d'Annunzio, o "Il ritratto di Dorian Gray", in cui Lord Henry fa leggere a Dorian un misterioso libro dalla copertina gialla (uno dei colori-simbolo dell'estetismo), libro che sconvolge totalmente il protagonista (dice il romanzo di Wilde: "il protagonista del libro, il meraviglioso giovane parigino... divenne per [lui] l'immagine simbolica di un precursore. E il libro fin per apparirgli come la storia della sua vita, scritta prima ancora che egli l'avesse vissuta"), convertendolo ancora pi a fondo ai dogmi esteticodecadenti che pervadono tutto il romanzo di Oscar Wilde. Tuttavia, l'autore di Dorian Gray non si ispira solo a "Controcorrente", ma tratti caratteristici del libro letto da Dorian Gray riconducono facilmente anche a "Il Rinascimento" di Walter Pater, un'altro testo chiave del dandismo wildeiano, oggi purtroppo caduto nel dimenticatoio. La vita del dandy , per certi versi, un continuo gareggiare contro la morte. E' probabile che la Nera Signora, con quel lungo mantello nero, il cappuccio che le d un vago sapore monacale, l'eleganza dei suoi movimenti e la raffinatezza delle sue danze macabre, attiri non poco il dandy - per la sua semplice eleganza e quella certa dose di mistero che sprigiona al suo passaggio; il lungo bastone da passeggio della Morte, - la sua falce affilata, che, come le occhiate del dandy, risaltano per il luccicho, ma anche per la spietata affilatezza della sua ironia, che leggera taglia ed affonda in ferite letali, i prescelti. Ebbene, nonostante la fascinazione estetica della morte, ma anzi, proprio per questo, egli non desidera altro che fare a gara con essa; egli la guarda, ne studia l'eleganza e la raffinatezza e decide di tenerla da parte, 'in serbo per dopo'. Quindi, ogni volta che ella si presenta in casa sua, trover il dandy a tenere banco ad una lunga tavolata nel suo giardino, intrattenendo i commensali, oppure lo sorprender in salotto, languidamente seduto sulla poltrona, a fumare e a sorseggiare liquore, in compagnia di una non ben precisata signorina, o ancora non lo trover affatto in casa: ma piuttosto fuori, dal sarto, a provare l'ultimo gessato blu scuro, o ad acquistare una morbida cravatta di seta, o a sognare davanti ad una vertina di camicie di seta su misura.

Dal canto suo, il dandy non vedr miglior cosa da fare che sbeffeggiarla come meglio pu: vivendo, e nel miglior modo possibile. Ma non la dimenticher mai: un grosso teschio di porcellana sar sempre presente sulla lunga tavolata da pranzo in casa del dandy, e una lugubre 'danza macabra' non mancher di essere esposta sulla parete del salotto foderato di broccato rosso. Ma il dandy sa bene, nonostante le apparenze, che la sua sfida gi perduta in partenza; si accontenta allora di gustare la propria sconfitta, che, se non arriver da s, sar allora lui stesso a scegliere il momento che giudicher opportuno per porre fine alla propria esistenza, con la maggior grazia possibile. Non a caso, uno dei migliori romanzi esteta-decadenti ha per titolo: "Alla deriva" (Huysmans). Il dandy sapr gustare la propria decadenza cos come prima aveva assaporato la propria dolce ascesa e, forse, sapr dare alla prima un'impronta stilistica addirittura migliore (per concludere in bellezza!) che alla seconda. Da non dimenticare la simbolica fascinazione del dandy per il Viaggio, metafora della vita, e dell'attesa. Baudelaire, in "Spleen e ideale", racconta un suo fantastico viaggio attraverso il mare, per giungere ad una terra promessa, ricca di felicit, quanto di mistero; egli trova cos dolce e piacevole la lunga attesa, che al momento di attraccare, domanda sconsolato se il viaggio "Gi finito?". Il dandy preferisce spesso far terminare da s la propria esistenza, piuttosto che ricorrere alle leggi naturali che lui tanto aborrisce. La Rochelle, Rigaut, Majakovskij, Vach, Crevel ed altri ancora optarono, chi in un modo, chi in un altro, per il suicidio; chi in modo violento e breve (la canna di una pistola), chi in modo pi dolce (l'oppio, il gas). Baudelaire, quando venne a sapere del suicidio di un amico, non gli rimprover affatto il gesto, quanto la scelta del mezzo; sentenzi che l'impiccagione era un metodo troppo brutale, e gli rimprover di non aver scelto un veleno ("...oggi esistono in commercio una miriade di veleni profumati!"). Aubrey Beardsley ironizza e scherza sulla sua malattia, dimenticandone completamente l'esistenza in compagnia degli amici, per poi farsi sorprendere da un attacco grave appena lasciati questi. Poco prima di morire, si ritirer in convento assieme alla famiglia, proclamandosi cattolico. Al funerale di Wilde, tra i pochi fiori, spiccava una corona dal suo ultimo albergatore: "Al mio inquilino". Sulla prima, modesta lapide dell'illustre esteta, gli amici avevano fatto incidere un versetto del libro di Giobbe: "Non osavano aggiungere nulla alle mie parole e su di loro stillava goccia a goccia il mio discorso". Max Beerbohm, sul letto di morte, declam al medico, che gli domandava come stava, i versi di Swinburne: "Non c' fiume cos stanco che infine non trovi il mare". Drieu La Rochelle, dopo numerosi tentativi di suicidio, dei quali solo l'ultimo, - ovviamente -, and a buon segno, venne sepolto tra moltissimi fiori, come su sue predisposizioni, durante una rigorosa cerimonia non religiosa, alla quale intervenne solo Jean Bernier tra i due amici che Drieu avrebbe desiderato partecipassero al suo funerale: Andr Malraux non aveva potuto lasciare il reggimento. Jacques Vach, al termine della guerra da lui vissuta cos intensamente, si suicid assieme ad un amico grazie ad una forte dose d'oppio. L'uomo che scopr i due cadaveri, racconta di averli creduti addormentati, in un primo momento. Jacques Rigaut predispose accuratamente il luogo del suo trapasso volontario, sistemando sedie e tavolini. Si cautel per mezzo di qualche cuscino e si spar diritto al cuore. Il suo suicidio lo aveva

gi deciso dieci anni prima, e non intendeva mancare all'appuntamento prestabilito. E' tipico di Rigaut scherzare sulla morte, prodigando una serie di massime e pensieri intrisi di humor nero; ad esempio fond una immaginaria: AGENZIA GENERALE DEL SUICIDIO Societ riconosciuta d'utilit pubblica. Capitale: 5.000.000 franchi. Sede principale a Parigi: 73, boulevard Montparnasse. Succursali a Lione, Bordeaux, Marsiglia, Dublino, Montecarlo, San Francisco. Grazie a dei dispositivi moderni, l'A. G. S. felice di annunciare ai suoi clienti che procura loro una MORTE SICURA E IMMEDIATA, cosa che non mancher di sedurre coloro i quali sono stati distolti dal suicidio dal timore di "fare fiasco". E' pensando all'eliminazione dei disperati, elemento di temibile contaminazione in una societ, che il Ministro degli Interni ha voluto gentilmente onorare il nostro Istituto con la sua presidenza onorifica. D'altronde, l'A. G. S. offre finalmente un decoroso metodo per andare all'altro mondo, essendo la morte una delle debolezze di cui non ci si scusa mai. E' cos che sono stati realizzati i seppellimentiespresso: pasto, sfilata di amici e di conoscenti, fotografia (o calco del viso dopo la morte, a scelta), invio dei souvenir, suicidio, composizione della salma, cerimonia religiosa (facoltativa), trasporto del cadavere al cimitero. L'A. G. S. si incarica di realizzare le ultime volont dei Signori clienti. Nota: in nessun caso, non essendo l'istituto equiparato al servizio pubblico, i cadaveri saranno trasportati alla Morgue; questo per rassicurare alcune famiglie. Tariffe Folgorazione: 200 fr. Rivoltella: 100 fr. Veleno: 100 fr. Annegamento: 50 fr. Morte profumata (tassa di lusso compresa): 500 fr. Impiccagione: suicidio per i poveri: la corda venduta al prezzo di 20 franchi al metro e 5 franchi per ogni 10 cm supplementari): 5 fr. Domandare il Catalogo speciale ai Seppellimenti-espresso. Per ogni ulteriore informazione rivolgersi a J. Rigaut, amministratore principale, 73, boulevard Montparnasse, Parigi. Non sar fornita lcuna risposta a persone che esprimono il desiderio di assistere a un suicidio. (tratto da: J. Rigaut, "Dietro lo specchio") Morand scrive "L'Arte di Morire", e dopo aver citato una lunga serie di massime prodigate dai pi illustri moribondi, conclude dicendo: "E' meglio tacere... veneriamo i morenti taciturni che non ci affidano i loro segreti... per modello, scelgo la morte del lupo". Anche se Dio non esistesse, la Religione sarebbe ancora Santa e Divina", dice Charles Baudelaire nei suoi 'Scritti Intimi'; e ancora: "Il prete incommensurabile perch fa credere a una quantit di cose strabilianti". Il rapporto del dandy con la religione e assai ambiguo, e, per parlare di ci, si deve viaggiare nell'inespresso dei dandy ottocenteschi che, da terribili "mangiapreti", sono passati alla vita evangelica come niente fosse. Forse perch, abituati al culto di se stessi, non cambierebbe per loro il culto di una divinit non troppo diversa da loro medesimi? "Sono entrato nella chiesa, che moderna, dunque brutta sia fuori che dentro. Come ci ferisce ogni cosa del nostro tempo! C' per la bellezza delle macchine. Ho cercato una volta di raccogliermi e oserei dire - di pregare nella pace di una centrale elettrica, dove c'pi ordine e pi armonia che in una chiesa ingombra di sedie e di grotteschi san Giuseppe, con le labbra imbellettate, la barba riccia, la sottana teatrale, mentre dovrebbero quantomeno portare i pantaloni, come tutti." (Pierre Drieu la Rochelle, "Diario di un delicato"). Beardsley si fece cristiano poche settimane prima della sua fine; sentendola arrivare, si ritir in un

convento assieme ai suoi famigliari. Wilde Illustrazione di Aubrey Beardsley.fece lo stesso: uscito di prigione, assai malridotto, si convert al cristianesimo, come per tener fede ad una sua affermazione fatta anni prima: "Posso credere in qualsiasi cosa purch sia incredibile. Per questo voglio morire da cattolico. Ma da cattolico non vivrei: il cattolicesimo una religione cos romantica, ha santi e peccatori... La religione anglicana ha solo persone rispettabili che credono nella rispettabilit. Fa i vescovi non in base alla fede, ma all'incredulit!". Baudelaire aveva un rapporto assai strano con Dio: egli infatti confessa di parlargli, di pregare, ma subito dopo dice di non credere nella sua esistenza; d del 'cuistreuse' ai preti, ma poi li dice 'incommensurabili' e degni del miglior rispetto; fa anche un calcolo vagamente pascaliano, a favore dell'esistenza di Dio: "Non esiste nulla senza scopo. Quindi la mia esistenza ha uno scopo. Quale scopo? Lo ignoro. Non sono stato dunque io ad averlo fissato. E' stato dunque dualcuno che ne sa pi di me. Bisogna dunque pregare questo qualcuno d'illuminarmi. E' il partito pi saggio." (Scritti intimi - il mio cuore messo a nudo). Chiaramente il dandy ha un rapporto ambiguo e contraddittorio colla religione. Credendo in Dio e, si badi bene, non adorandolo, egli vuole per esprimere col suo comportamento e il suo stile di vita il suo disprezzo per esso; casomai, il dandy si sente molto pi vicino al diavolo: un escluso dalla societ costituita; innamorato della bellezza e del lusso e, in amor di questo, colpevole di aver vestito abiti raffinati e intrapreso le mali arti della seduzione. La veste, l'ivolucro, l'arte del dandy diventano allora quell'abito che, se "fa il monaco", fa, a maggior ragione, il diavolo. Il superbo. L'antagonista. L'orgoglioso. Il fratello del Verbo. L'ispiratore. Il tentatore. Il serpente. Ma anche il gentleman dostoevskijano che appare a Ivan Karamazov: sulla cinquantina, i capelli appena imbiancati ma lunghi e folti, barbuto, ben vestito anche se fuori moda, con una sciarpa, il cappello di feltro, occhiali con cerchi di tartaruga, sicuramente molto povero... E anche il Pluto della "Gerusalemme liberata" di Tasso, il Mefistofele goethiano, l'Arimane di Leopardi... Se il dandy il diavolo, il suo comportamento dimostra che considerare il diavolo come opposto al bene non che un'eresia manichea. Si pu credere all'esistenza del dandy (e alla sua inesistenza) quanto a quella del diavolo; anche se, suppone Baudelaire, la maggior astuzia del diavolo "sta nel far credere di non esistere". O di stare dove non . Il dandy non pretende di esorcizzare il dolore e il disagio; non crede al paradiso in terra, al buonismo, al politically correct; ma solo all'apparenza della propria differenza dandone testimonianza. Procedendo a caduta libera come l'angelo decaduto; come un solitario ricercatore, un amante senza desiderio: conscio che l'obolo da pagare al Dio senza cuore - al quale, per mancanza di avidit, non ha mai chiesto niente - sar la propria dannazione. Una dannazione che l'unica, possibile, vera opera di poesia: "Non c' opera poetica in cui non si possa percepire, come enigma della sua vitalit, questa ineludibile opposizione spirituale del Demonio. Il poeta che ne prescinde ne resta solo, senza poesia" (Jos Bergson, in "Importanza del Demonio", 1933). E' forse per questo che Lucifero, il Grande Ribelle, il Lucifero dantesco, piange: "con sei occhi piangeva"... "Non so quale sia pi difficile, se il mestiere del vinto o quello del vincitore. Ma una cosa so certamente, che il valore umano dei vinti superiore a quello dei vincitori, Tutto il mio cristianesimo in questa certezza, che ho tentato di comunicare agli altri nel mio libro 'La pelle', e che molti, senza dubbio per eccesso di orgoglio, di stupida vanagloria, non hanno capito, o han preferito rifiutare, per la tranquillit della loro coscienza. In questi ultimi anni, ho viaggiato spesso, e a lungo, nei paesi dei vincitori e in quelli dei vinti, ma dove mi trovo meglio, tra i vinti. Non perch mi piaccia assistere allo spettacolo della miseria altrui, e dell'umiliazione, ma perch l'uomo tollerabile, accettabile, soltanto nella miseria e nell'umiliazione. L'uomo nella fortuna, l'uomo seduto sul trono del suo orgoglio, della sua potenza, della sua felicit, l'uomo vestito dei suoi orpelli e della sua insolenza di vincitore, uno spettacolo ripugnante." (Curzio Malaparte, commentando il suo romanzo "La pelle").

Il disegno riportato qui a fianco un autoritratto di Charles Baudelaire eseguito con molta probabilit attorno al 1844, data in cui il poeta, ancor in giovane et, aveva lasciato la famiglia per trascorrere una vita fatta di piaceri dissoluti, dispendiosa e raffinata, insomma, una vita da dandy. Pochi sanno per che l'acquarello qui a lato fu eseguito dal poeta in una condizione ben particolare: egli infatti era stato invitato dall'amico Charles Cousin in casa d'un conoscente a provare uno stupefacente orientale, lo hascisc. L'acquarello venne eseguito sotto l'effetto della droga e subito donato a Cousin. Presto il poeta si diede all'oppio, e secondo lui "l'oppio dilata quel che non ha limiti, prolunga l'illimitato, approfondisce il tempo, sviscera la volutt, e riempie l'anima oltre ogni limite di piaceri neri e cupi"; il suo lungo saggio sui "Paradisi artificiali" un lungo elogio seminascosto alla sostanza i cui effluvi avranno in futuro una buona parte nella paralisi mortale del poeta. D'Annunzio era invece affezionato alla cocaina, sua "polvere folle", che prendeva volentieri assieme ad un'amante per passare le lunghe giornate al Vittoriale. Rigaut speriment ogni tipo di droga, dall'oppio all'eroina, come in un dolce apprendistato alla morte. Suo caro amico, Drieu la Rochelle, trovava l'oppio come "il vizio dei portinai" (cos lo definisce in "Fuoco fatuo"), ma sembra non disdegnasse altri tipi di droghe, anche se le testimonianze sono assai discordanti in proposito. Impossibile non citare, infine, il lungo e doloroso rapporto di Cocteau con l'oppio. Iniziato alla droga in giovent, ne era diventato Qui sopra: L'assenzio, 1876. Olio su tela di Edgar Degas.dipendente solo dopo la prematura morte di Radiguet, il ragazzo da lui amato; sconvolto poi dall'importanza pressante che l'oppio cominciava ad assumere per lui aveva finito col ricoverarsi in una clinica di disitossicazione. Qui i medici, oltre a riconoscerne l'originalit come paziente (si stupivano che un letterato e uomo di mondo come lui fosse caduto nel 'vizio') lo curarono dalla dipendenza, ma non dalla nostalgia che il poeta provava ora per il mondo che quella sostanza era stata in grado di creargli. "Guarito mi sento vuoto, povero, scorato, malato, ondeggio. Esco dopodomani dalla clinica. Uscire dove?". Il rapporto del dandy con la droga apparentemente contraddittorio; egli da un lato, conscio della volgarit e stupidit del mondo, tentato di rifuggere nei paradisi artificiali; dall'altro non sopporta pi di tanto d'essere schiavo di qualcosa, e giunge quindi per lui il momento d'eliminare la dipendenza creatasi. Ogni dandy, chi pi, chi meno, chi nient'affatto, stato per un certo e breve periodo della sua esistenza impegnato politicamente. Baudelaire, nei moti rivoluzionari francesi del 1848 s'infiamm per la causa e, impugnando un fucile, incitava i compagni rivoluzionari a fucilare il colonnello Jacques Aupick, suo odiato patrigno. Presto, per, si spense quella fiamma che ardeva nel petto del giovane dandy, ed egli fin per abbandonarsi definivamente all'arte, tralasciando la politica e le rivoluzioni, definendole in pi occasioni inutili. E questa la spiaggia alla quale approdarono tutti i dandies: Drieu La Rochelle, dopo essersi impegnato seriamente in politica (di sinistra prima della guerra, pacifista europeizzante in secondo momento, poi ancora fascista e collaborazionista ) finisce per abbandonarsi ad un tacito fatalismo, oltre che a vagheggiare per un'europa governata dai comunisti; lui stesso per non fornisce indicazioni chiare su questo punto, dicendo: "Quando Doriot [demagogo fascista] sar al potere, mi stacco da tutto e passo all'opposizione!". Ancora, confessa a Borges di essersi lasciato cadere nel fascismo "per pigrizia"; eppure, a questo caduto dalla parte sbagliata bisogna riconoscere tre doti: la lucidi, lo stile, la dignit. Nel suo Diario annota: "I miei amici hanno colto benissimo, ed era piuttosto visibile, il carattere femmineo, invertito, del mio amore per la forza. Ma questo presente in certi intellettuali comunisti come in certi fascisti!". Ancora una volta, per questo personaggio, cito Scaraffia: "La Rochelle si era schierato dalla parte sbagliata sapendo di sbagliare, di andare contro la storia, con dei cavalieri che erano in realt dei banditi. Se, durante l'occupazione tedesca, aveva accettato di mescolarsi ai collaborazionisti era stato 'non tanto per collaborare, quanto per non essere altrove, fra la massa che sudava di paura e di odio' " (G. Scaraffia, Gli ultimi dandies).

Ad Alberto Moravia, in visita allo studio di Malraux, l'anziano dandy sciorina una serie di aneddoti su De Gaulle, del quale , al momento, un accanito sostenitore. Moravia pensa a quante frasi simili ha sentito durante il periodo fascista Italiano, e pensa che se la Francia allo stesso punto dell'Italia del '22, Malraux sta svolgendo il ruolo di D'Annunzio. Quante analogie tra il Malraux rivoluzionario e cosmopolita e il D'Annunzio erotico e decadente; nazionalismo e comunismo sono, per entrambi i due dandies, modi d'espressione, non scopi. Poi Malraux si accende un'altra sigaretta e, infervorato, si mette a parlare del suo ultimo libro, per poi passare all'arte delle steppe e a Piero della Francesca. Moravia, affascinato dalla retorica wildeiana, non apre bocca. Un altro grande dandy francese, Paul Morand, consigliava al giovane Nimier: "Niente politica perch tutto perduto. Stia tranquillo". LA NOBILTA' DELLA SCONFITTA: Mi pare a questo punto obbligatorio il collegamento con un'altra pagina del sito, quella sulla Religione. Come gi in quella sezione spiego, la nobilt sprigionata della minoranza, e quindi dalla sconfitta, fonte d'inesauribile piacere per ogni dandy. Si pensi alla grande sconfitta di Oscar Wilde: dopo anni di duro lavoro nelle carceri inglesi, ne era uscito certamente distrutto, ma i primi fra i suoi amici ad incontrarlo a Parigi lo descrissero per nulla cambiato (se non nel fisico): come gi nella sua epoca d'oro, il dandy irlandese amava romanzare le sue pi piccole avventure; ed ecco che i secondini diventano miserabili mostri, il direttore una specie di grande Lucifero, capace di uccidere innocenti bambini per il pi puro gusto di farlo.... Il dandy, disinteressato a vibrare all'unisono con la storia, cerca negli sconfitti un riflesso della propria virt che pi ama: il distacco da ogni interesse, l'ebbrezza d'esser in minoranza, il gusto del gioco e della morte. Il dandy non mai per qualcosa, ma sempre e soltanto contro qualcos'altro. Sentenzia Cocteau: " L'estetica dell'insuccesso l'unica durevole. Chi non capisce l'insuccesso perduto". Il dandy si caratterizza per il rifiuto di quei valori borghesi sui quali si edificata la cosiddetta 'civilt': l'utile, il denaro e il lavoro. il dandy pu contrapporsi alla democrazia proclamando la sua appartenenza a una sorta di "nuova aristocrazia" (Baudelaire), poich possiede facolt che non dato comprare. Dice Max Beerbohm: "Il dandysmo si pone fini propri, stabilisce leggi proprie e non ne riconosce altre". Il dandy, a proprio agio nel lusso come nella povert, disprezza immensamente il denaro. Pu sembrare certo una contraddizione, ma, analizzando a fondo si troveranno ben due imponenti contraddizioni. Iniziamo con il considerare che il dandy non disprezza il denaro in s, ma il denaro come fine. Per lui i soldi non sono che un mezzo, un tramite per avere qualcosa di ben pi prezioso: la bellezza. Il dandy non desidera il denaro per averlo, come certo proprio di molte persone, ma per poterlo spendere. Attenzione! in questo, come per altro, parlando di dandismo, bisogna eliminare il 'buon senso' tradizionale, borghese, per abbandonarci al ben pi lieto e vivace 'buon senso' del dandy; se questi desidera il denaro esclusivamente per spenderlo, ci nonostante non significa che far qualche cosa di impegnativo per ottenerlo. Non lavorer. O, perlomeno, tenter di non lavorare. Se deve farlo, allora "sottrae alla vista altrui quello che la retorica del tempo ha reso osceno fino a svuotarlo di ogni contenuto." (da "Gli ultimi dandies" di G. Scaraffia). Chi andava a far visita a Baudelaire non ricorda di averlo mai visto scrivere, o di aver visto sui tavoli gli attrezzi del letterato; Whistler aveva ripugnanza per la figura dell'artista chiuso ed isolato dal mondo: organizzava cos luminosi parties e ricevimenti nel suo studio di pittore, estraendo di volta in volta, compiaciuto, i suoi disegni e dipinti che come tante svolazzanti farfalle, si andavano a posare davati agli occhi degli invitati. Prima di lui, anche Delacroix aveva trasgredito il mito dell'artista ai margini della societ, intrattenendo piacevolmente le eleganti signore che facevano la fila per entrare nel suo studio, dove le tele erano disposte in un ordine silenzioso, pacifico; quando l'artista vi entrava in compagnia dei numerosi ospiti, pareva che l'artista fosse entrato un momento a controllare la crescita autonoma dei suoi quadri, simili a tacite piante, che sui loro cavalletti,

parevano fiori in una serra. Beardsley, invece, neg completamente la propria attivit di disegnatore: nessuno lo vide mai disegnare, pochissimi riuscirono ad entrarono nel suo sanctasantorum, in cui il giovane dandy custodiva le cartelle con gli originali, e in cui si intratteneva, fino a notte inoltrata, a disegnare, sempre a lume di candela, le finestre coperte da alti e pesanti tendoni scuri. Ma non sviamo dal tema. Per definire il rapporto del dandy col denaro, pu senza dubbio valere la definizione "con le mani bucate"; e questo credo riassuma perfettamente ci che intendo dire. Secondo Baudelaire, al dandy basterebbe una rendita indefinita; a Wilde era indispensabile il superfluo; secondo Stendhal un uomo dovrebbe possedere quel minimo indispensabile per vivere e per essere indipendente da un qualsivoglia padrone; Vailland ci ammonisce dagli uomini che prelevano in banca tanto denaro, utile per la sopravvivenza e per i piaceri immediati. L'apparente contraddizione di queste posizioni non deve trarci in inganno: il minimo e l'eccesso sono i lati opposti del medesimo profilo, riassunto da D'Annunzio con: "Habere non Haberi". Ancora, quando Morand dovette rimandare una visita al Vate italiano, si vide venire incontro una barca, sul nero lago di Garda, recante un dono del poeta: un tagliacarte d'oro, con incisa la scritta: non posseggo che quel che dono. Un dandy non deve essere necessariamente ricco. Per esserlo lo aiuterebbe. Il dandy ricco - e questo il caso di Brummel (che pure non era tanto ricco come ci si aspetterebbe), di Baudelaire, di Wilde, di Whistler, del conte Boni de Castellane (ma solo per un breve periodo), del conte de Montesquiou, di Cocteau, di Proust, di Beerbohm - ovviamente pi facilitato per il raggiungimento del suo scopo, per coltivare il proprio Io nel lusso, che il dandy povero - ed il caso di dandy quali Beardsley ( il quale, seppur di famiglia agiata, fu costretto per un certo periodo a lavorare come assicuratore), La Rochelle (ricco e povero di volta in volta, a seconda della donna che in quel momento frequentava), Max Jacob (il quale faceva addirittura la fame, procurandosi per gli abiti costosi e raffinati su misura per gentile concessione di un cugino, sarto), Rigaut (vale il discorso di La Rochelle), e molti altri ancora. Ma, come avrete certamente notato, nessuno di loro lavor mai o, se lo fece, certo per brevi periodi, nascondendolo. Il lavoro in quanto tale denigrato dal dandy, come complicit con la classe al potere, come degradazione dell'individuo, come utilizzo del tempo noioso e ripetitivo. "Ercole senza impiego" (dice Baudelaire) egli non ha altra occupazione se non coltivare la propria eleganza, come il dandy dadaista senza saperlo, Jacques Vach che, secondo Breton, si preoccupava solo di disservire con zelo al corpo militare di cui faceva parte. (ritengo utilissimo il collegamento colla pagina monografica su Jacques Vach) La rinuncia a qualsiasi occupazione non esente per da grosse ambivalenze: appare chiaro che, nella maggioranza dei casi, prima della scelta queste prese di posizione sono state in qualche modo imposte; imposte da quella civit che, assieme al "barbaro" e al "selvaggio", mette al margine anche il dandy, perch non conforme alle sue regole. Cos che l'ostentazione come, su altri piani, il disincanto e il disgusto, sono piuttosto a copertura di un malessere. C' da sfatare immediatamente un mito: il dandy non sempre omosessuale o pederasta. Wilde lo era, Montesquiou lo era, Proust, Cocteau, Jacob lo erano. Ma la raffinatezza del dandy non esclusivo sinonimo di preferenze sessuali fuori dal comune. Certo, il dandy non ama autodefinirsi come la virilit in persona, ben sapendo che tra l'uomo detto 'virile' con la canottiera sporca che sputa per terra e fischia dietro le signore - e lui, c' un profondo abisso di differenza. Il dandy, in un certo senso, una donna: ama i profumi, i fiori, i bei vestiti, le buone maniere, l'eleganza formale; ha sentimento, spesso dipinge o scrive poesie, ascolta musica melodica e predilige la calma di un buon libro ad una partita di calcio. Il dandy, nonostante la sua apparente freddezza, pu sinceramente amare una donna, basti pensare alla lunghissima storia d'amore tra Louis Aragon e la graziosissima Elsa Triolet; Baudelaire si ritrova ad amare follemente Salom, aquerello di Gustave Moreau.la dama mulatta Jeanne Duval,

attrice, soffrendo terribilmente durante la separazione alla quale questa, con le sue terribili maniere, lo aveva costretto ad arrivare; da non dimenticare l'intenso amore di Scott Fitzgerald per la sua sposa Zelda Sayre, la quale impazz ancora giovane, e il poeta dovette assisterla fino alla propria morte, nel 1940; il pittore Amedeo Modigliani si innamor della bella Jeanne Hbuterne la quale, quando lui mor, si gett da un balcone, incinta, non potendo vivere senza il suo poetico amante. E come non dimenticare D'Annunzio? quale amatore latino pi famoso di lui? Moderno Don Giovanni - anche queso personaggio mozartiano , in un certo senso, un dandy - straripava di passione (" tutto amore!" dice Don Giovanni nell'omonima opera) per le sue giovani amanti che riusciva a tenere sospese come un equilibrista. E, arrivando al primo di tutti i dandies, troviamo il 'Beau' Brummel attorniato da sedicenti dame aristocratiche, borghesi, serve, sguattere, che facevano la coda per attrarre l'irresistibile Beau il quale, lungi dal diventare un volgare donnaiolo, sceglieva calmo tra le spasimanti quella che pi lo interessava, facendo il tutto in gran riserbo. Ma l'amore del dandy non certo rose e fiori. Egli non si vuole assolutamente accontentare di essere un romantico alla ricerca 'di quella giusta': Baudelaire, prima, durante e dopo la sua maitresse - cos la definisce Edouard Manet ritraendola nel famoso dipinto "Dame l'ventail" datato 1862, periodo in cui la lenta paralisi degli arti inferiori della ragazza era gi in stato avanzato - fu un assiduo frequentatore di bordelli, preferendo assai le prostitute ad una relazione stabile; D'Annunzio che, come gi detto prima, era famoso per le sue innumerevoli relazioni con donne carpite grazie ad entusiasmanti lettere d'amore, non si accontentava di tenerne una per volta: il Vittoriale diventava cos un luogo d'incontro tra il Poeta e le sue innumerevoli donne, le quaLi erano invitate a rimanere solo una mattinata, perch poi, alla loro partenza, ne sarebbe arrivata un'altra, ed un'altra ancora. Tom Antognini ricorda, nel suo "Vita segreta di Gabriele D'Annunzio", non senza una punta di malizia, gli errori negli inviti che a volte commetteva il malcapitato Vate, che si ritrovava a ricevere ben due amanti per volta, le quali naturalmente passavano ore a contenderselo. In quel caso D'Annunzio fingeva l'aria pi dispiaciuta che gli era possibile, e se ne stava in un angolo ad osservare interdetto lo svolgersi della vicenda in cui era lui, in fondo, il soggetto principale, e badava d'intervenire solo se la discussione s'accendeva di toni pi violenti. Il conte de Castellane, sposatosi pi per denaro che per la bellezza della sposa, dopo aver sperperato in feste e banchetti lucculiani l'intero patrimonio della sposa, divorzi e mor povero in canna, senza mai per lasciare la sua fredda dignit di dandy; La Rochelle, sommerso dalle donne, venne accusato di amarle solo per i soldi, dato che la maggior parte di esse erano tutte ricchissime. Andr Malraux, suo amico e dandy anch'egli, lo difese: "Hanno scritto un sacco di sciocchezze su Drieu e le donne ricche. In fondo lui amava le belle donne e succede che siano abitualmente delle donne ricche. I ricchi possono sposare le belle donne, e la fortuna permette loro di mantenere la bellezza pi a lungo... ecco tutto". E Drieu, nel racconto dedicato a Jacques Rigaut "Addio a Gonzague", scrive, descrivendo l'amico da poco suicidatosi: "... Brummel beveva e scopava come te."; ma, allo stesso tempo lo accusava di ipocrisia, dicendo che l'unica cosa ch'ei desiderava quando giaceva con una donna era che lei smettesse di respirare; Guido Gozzano era letteralmente attaccato dall'altro sesso da non poter farsi tranquillamente un giro in campagna senza udir sospiri femminili dietro ogni finestra...; Majakovskij sosteneva: " Non ho mai tradito Lijila", ma senza smettere di amarla, accumulava storie in cui chiedeva alle altre dedizione assoluta; Da non dimenticare la passione sfrenata che Bianca Fabbri ebbe per Curzio Malaparte, come ci racconta nel suo "Schiava di Malaparte" (sic). Ricordiamo ancora Jacques Vach il quale, lungi dall'essere un esuberante donnaiolo, era quai un asceta in tal senso (come probabilmente lo furono quasi tutti i dandies); degna di nota la sua storia con Louise (della quale se ne conosce solo il nome), donna con la quale abitava in un bell'appartamento in place du Beffroi. Andr Breton racconta che la ragazza veniva obbligata, quando il poeta andava a trovare il giovane dandy, a rimanere immobile in un angolo per delle ore, mentre i due uomini parlavano del pi e del meno. Alle 5, lei serviva il t e, per tutto ringraziamento, Vach le baciava la mano. "A quel che diceva - scrive Breton sempre parlando di Jacques Vach- con lei non aveva alcun rapporto sessuale e si accontentava di dormirle accanto, nello stesso letto. D'altronde, si comportava sempre cos, assicurava. Nondimeno amava dire: "la

mia amante", prevedendo certamente la domanda che un giorno avrebbe posto Andr Gide: Jacques Vach era casto?" Il dandy generalmente non ha una grande stima per la donna. Pi spesso egli lusinga, corteggia e seduce solo per vedersi all'azione; pi che il fine, al dandy interessa il preambolo, la seduzione; seduzione fatta di sguardi, parole, gesti. Il dandy, come giustamente rileva Lanuzza, pi un Don Giovanni che un Casanova. La differenza sostanziale tra i due seduttori per eccellenza che il primo un ammaliatore, il secondo un ammaliato. Casanova cerca e ama le donne che lo hanno sedotto, Don Giovanni deve fuggirle, per non esserne sommerso. In fondo, Don Giovanni un esteta, un dandy che per si attacca troppo al sesso femminile. E' ancora l'estetica che pi interessa al vero dandy, e non la sostanza vera e propria dell'amore. Le epistole d'amore di D'Annunzio non gli sono altro che splendidi esercizi di retorica dove, per meglio essere sicuri della loro carica artistica, necessario 'provarli', per attenderne gli effetti. Soren Kierkegaard, il filosofo, sarebbe stato un ottimo dandy se si fosse fermato al suppore un "vita estetica", olte quella "vita etica" e "vita religiosa" che sono l'esatto opposto dell'essenza dandistica. Teorizzando il famoso "Don Giovanni", e cio l'uomo estetico, libertino, amante dei piaceri e della vita, Kierkegaard non fa che descrivere una sorta di dandy; e nel famoso "Diario di un seduttore", il filosofo abbozza la figura dell'estetaerotomane, crudele e affascinante allo stesso tempo, in grado di sedurre innumerevoli donne sempre tenendole sospese, in bilico tra la passione e il dubbio, senza aver mai pronunciato loro una sola parola d'amore. In questi casi le fanciulle non potranno mai dare ad altri la colpa delle loro sofferenze se non a loro stesse, le quali credono di essersi immaginate tutto, o chi fra loro, pi perspicace, come la giovane Cordelia, s'accorge dell'inganno diabolico, si tormenta l'animo confessando al suo stesso seduttore d'essere comunque innamorata follemente di lui, ed allo stesso temo lo odia con un'intensit fuori dal comune. Perch in fondo il vero dandy rimane freddo ed impassibile, calcolatore, anche di fronte alle situazioni in cui normalmente si richiederebbe passione ed esaltazione dei sentimenti umani. Lo stesso discorso vale per ogni dandy reale: negli scritti, nelle poesie, il dandy tiene pi a descrivere i suoi astuti corteggiamenti che a descrivere i sentimenti della donna corteggiata. Ella pu s attirarlo per la sua bellezza (certo deve essere sigolare), o per una sua predisposizione alla toeletta - Drieu La Rochelle ci confida d'essere attratto soprattutto da questo tipo di donna -, o per il suo considerevole patrimonio (il conte Boni de Castellane fa il gigol una sola, fortunatissima volta, sperperando tutto l'ingente patrimonio della moglie - non a caso lei otterr il diovorzio) o, pi raramente, per la sua intelligienza. Ma ci che sempre ripugna il dandy nella donna quel suo essere naturale (sentenzia Baudelaire: "La donna il contrario del dandy. Dunque, deve fare orrore. La donna naturale, cio abominevole"), o, come Pierre Lous spiega nel romanzo "La donna e il burattino", la donna fa ancora pi orrore se prototipo di ogni femme fatale, la temibile 'prostituta vergine' Conchita; il suo compito consiste nel seminare la sofferenza e guardarla crescere. "La donna e il burattino", uscito per la prima volta nel 1898 si colloca nella ricca tradizione della donna fatale, una cui variante, nutrita di esotismo, erotismo, estetismo, l'allumeuse, colei che provoca senza mai concedersi, un 'boia di marmo', come dir Barbey d'Aurevilly, capace di una castit micidiale. Al contrario, seppur allo stesso modo letale, la "Salom" di Oscar Wilde la ritroviamo tra la terribile gamma di donne fatali che ossessionarono i dandies fin dalla notte dei tempi; porto ora ad esempio "Le Diaboliche", di d'Aurevilly: donne del desiderio e del peccato cattolico, che reprime e ammorba ogni felicit, del male voluttuoso e mortifero. O si pensi anche alla "Zuleika Dobson" (1911) unico romanzo di Max Beerbohm (nell'immagine, 'Zuleika Dobson', disegno di Beerbohm rinvenuto sul manoscritto originale), tenace quanto ammaliatrice donna-dandy, con la fredda missione di conquistare il giovane, pallido, raffinato, celibe, cenobitico, anacoretico e claustrale duca Dorset (tale l'aggettivazione pretesa dal tipo completo del dandy) in una sorta di aspettativa narcisistica di riuscire a sedurre il primo uomo indifferente al suo fascino; da parte sua, il duca non ha la minima intenzione di cedere in una "faccenda cos volgare", ammirando qualcun'altro oltre che se stesso... ma finisce comunque per impigliarsi nella rete dorata della perfida ammalliatrice,

che non perde tempo a rifiutarlo dopo averne ascoltate le proposte di unione; Dorset, sconfitto, si salva ancora una volta grazie al suo inappuntabile dandismo (noblesse oblige...). Il dandy ama la musica come ama qualsiasi altra forma d'arte. Fa eccezione Wilde, che la trovava estremamente noiosa. Baudelaire scrisse invece Arrangiamento in nero (ritratto di Pablo de Sarasate), 1884. Olio su tela di Whistler.un trattato sulle melodie di Wagner, difendendolo laddove altri - molti altri - , lo canzonavano; di enorme importanza l'amicizia tra questi due artisti, sorretta anche da un voluminoso scambio letterario. Anche Listz era tra i musicisti preferiti da Baudelaire. Molto tempo dopo, Beardsley riprese il tema di Wagner (ricordate il "crepuscolo degli dei" di Wagner?), ancora scottante all'epoca, arrivando persino a tenerne un ritratto in camera. Wilde disse, a proposito del compositore tedesco: "Mi piace la musica di Wagner: cos rumorosa che si pu tranquillamente parlare col proprio vicino senza farsi ascolate da altri", ma questo non conta molto, dato che probabilmente Wilde pensava la stessa cosa anche degli altri compositori. Da non dimenticare l'importante apporto di Jean Cocteau all'associazione di compositori francesi detto "Gruppo dei Sei" - composto da Darius Milhaud, Georges Auric, Francis Poulenc, Arthur Honegger, Germaine Tailleferre, Louis Durey- , o pi semplicemente "I Sei"; questi, in contrasto col crescente interesse per la dodecafonia di Schonberg e sviluppata dai suoi fedeli adepti Berg e Webern, Jean Cocteau con Arthur Honnegger e la moglie di questi.iniziarono a professare un ritorno alla classica musica 'impressionista' (i maggiori maestri di questo curioso gruppo furono Eric Satie, e certamente Claude Debussy), scegliendo come temi per le loro opere e titoli per le composizioni, rimandi alla classicit ellenica (Socrate, Platone, ...) o latina. Non stupisce che Cocteau, da sempre attratto dal neoclassicismo, diventasse in breve tempo una sorta di vate poetico per i Sei, scrivendo anche il loro manifesto, intitolato "Il gallo e l'Arlecchino". Nel 1958 Poulenc music il dramma di Cocteau intitolato "La voce umana" (che non ebbe molto successo), e, nel 1961 lo splendido poema "La dama di Monte-Carlo". Ed ecco il dandy-musicista per eccellenza: Maurice Ravel. Dopo aver letto lo scandaloso "Controcorrente" di Huysmans, entr in contatto Illustrazione per La morte di Art, 1893. Disegno di Beardsley.coi gruppi di esteti francesi della fine dell'ottocento e, rimanendo affascinato dall'ambiente, si fece un attento promotore del culto di s. Dandy supremo, non smise di portare i suoi raffinati abiti gessati neanche nel dopoguerra - quando ogni eccesso era quasi proibito per forza di cose -, diventando cos un nobile maestro di dandismo demode, come quello dello scrittore Raymond Russel, che non abbandon mai gli alti colletti rigidi removibili per quelli troppo molli e volgari importati dagli americani. Un ultimo appunto: il pittore James Whistler, come avrete gi notato dal titolo del bellissimo ritratto del violinista de Sarasate, aveva una speciale teoria artistica, secondo la quale la musica non era molto dissimile dalla pittura; e, per dimostrarlo, diede a molti dei suoi quadri titoli come "Composizione in nero e grigio", o "Sinfonia in bianco", "Scherzo per blu e giallo", eccetera. Molto interessante a questo proposito il sito della celebre pianista Cristina Ariagno che analizza la musica di questo periodo detto giustamente dell'Art Nouveau, attraverso articoli, recensioni, saggi, fotografie. Si detto spesso che il dandy infelice. Non vero, o almeno non lo fino in fondo. Si pu pensare che ci che lo fa apparire infelice agli occhi del mondo una delle sue abitudinarie pose. Ma non sempre cos; la malinconia del dandy, lo spleen - parola che Baudelaire, Huysmans e d'Aurevilly utilizzano spesso, come anche il termine francese ennui o la misteriosa malattia detta "dei diavoli blu" di Alfred de Vigny, che presenta tutti i precisi sintomi dello spleen - data innanzitutto dal suo inevitabile senso d'inappartenenza. Paul Guillaume seduto, 1916; olio su tela di Amedeo Modigliani.I dandies sono esseri volti a crearsi un Io raffinato e unico, a s; il loro stesso modo, particolare o talvolta originale, di vestire, "e in egual modo agire e vivere, senza badare alla meraviglia e allo scherno degli sciocchi, sempre, in piccolo, segno di libert di spirito". Uomini "che procedono nella vita guidati soltanto dalla fantasia" e dal culto della differenza contro il

sistema dell'uniformit e della scontatezza (citazioni da "Passatmpi", di P. Lautaud). Il dandy 'parla' una specie di lingua straniera, minoritaria perch fondata sulla ricerca di uno stile peculiare, assolutamente solitario e indisponibile a far scuola. Il voler crearsi tutto ci, recitare, trasformarsi, sinonimo di pura arte di vivere. E l'Io romantico del dandy in grado di farsi strada solo attraverso la malinconia ("e dava il mio contento in custodia alla malinconia" dice Leopardi nello "Zibaldone"); la malinconia, a differenza della gioia, un sentimento multiforme, sfaccettato, a volte ambiguo. E' enigmatica - il labirinto dell'Io in cui s'aggira tutta l'arte moderna, governata dalla 'mistificazione', dagli 'atti gratuiti': due tra i riti essenziali del dandismo, dice Sartre a proposito di Baudelaire. La folla e la folla del mondo non conoscono il piacere conturbante della malinconia, prerogativa esclusiva del dandy, dallo spirito incomprensibile per la folla perch, come Democrito, rifiuta di farsi carico delle questioni della polis e degli uomini. Il dandy malinconico perch solitario, ma non dimentichiamo che malinconia non tristezza, o insoddisfazione. Paradossalmente, il dandy fiero e felice d'essere malinconico. "La tristezza esclude il pensiero, la malinconia se ne alimenta" scrive Savinio nella "Nuova enciclopedia". Pensiamo a quante forme la malinconia ha preso nella storia della cultura; il nihilismo, sorta di movimento letterario, filosofico e condizionatore dei modi di vivere di coloro che se ne sentivano far parte, ha avuto tra i suoi illustri pensatori, anche Albert Camus, e molti altri frivoli e malinconici dandies. E' possibile vivere nella disperazione e non desiderare la morte? s'interroga Moravia. La disperazione, "condizione normale dell'esistenza", pu giustificare la speranza. A sua volta la speranza pu dare pi profondit alla stessa malinconia, pu rendere "intelligente" la disperazione, favorendo un'ebbrezza della mente che apre all'invenzione artistica. "Nel punto pi remoto e freddo tra le sere celesti, Saturno, nume della solitudine, s' accompagnato col genio e la malinconia, ora esaltandosi nella creativit, e ora ripiegandosi su una I am tired, dal taccuino di Beardsley.aristocratica afflizione che contemptus mundi, disprezzo del mondo: egli felice d'essere infelice. 'La mia allegrezza la malinconia', scrive Michelangelo in un sonetto". (da "Vita da dandy", di S. Lanuzza) E Jacques Rigaut, dandy suicida per noia e malinconia, scrive: "Se faccio uno sforzo, riesco a ricordare questa noia che fu - pensavo - l'onore della mia giovent, voglio dire a ricordare il peso della sua influenza senza questa volta dipenderne". Perch, in primo luogo, il dandy si compiace della sua esistenza come se fosse uno spettatore esterno a se stesso, come se stesse leggendo un romanzo il cuo protagonista sempre lui; egli vive, secondo Kierkegaard, in un perenne stato di esaltazione intellettuale e perci deve necessariamente esistere fuori se stesso. Deve potersi osservare, continuando a divertiri leggendo il suo romanzo personale ("Mi sento vivere soltanto nell'istante in cui avverto la mia inesistenza. Ho bisogno di credere alla mia inesistenza per poter continuare a vivere") con la consapevolezza di poter, come Rigaut, decidere ad un certo punto di chiudere il volume: "Dilemma. Di due cose, una: non parlare, non tacere. Suicidio". Il sigaro di Baudelaire aveva un'unica funzione: col suo odore pestilenziale teneva lontani i visitatori indesiderati. Quando il poeta non aveva voglia di essere disturbato, traeva dall'elegante astuccio di pelle uno dei suoi amati, e l' importunatore capiva che era ora di andarsene, se non voleva morire intossiacato. Il poeta annota, infatti, sui suoi scritti sul Belgio, di essere stato inseguito da orde di donne, che "solo il mio sigaro ha messo in fuga". Drieu la Rochelle, nel suo evanescente "Racconto segreto", dice che "Soltanto il tabacco riusciva ancora a farmi sentire il sapore necessario Charles Baudelaire ed il suo fedele sigaro.della vita". Per Wilde la sigaretta, e a volte anche il sigaro, era un altro dei numerosi accessori estetici che servivano a caratterizzare la sua persona; al suo sbarco in America, i numerosi giornalisti convenuti al porto per accoglierlo, notano con attenzione la sigaretta accesa che il dandy teneva tra le dita, apparentemente senza mai aspirarla. Ironico, Beerbohm affermava che, prima dell'uscita de "Il ritratto di Dorian Gray", la moda della sigaretta non si era ancora diffusa. Anche se, sempre secondo lo stesso Beerbohm, il non fumare sarebbe da considerarsi una cosa gravissima. Il dandy ama fumare poco, ma bene; preziosamente si pu dire. Il salutismo il dandy lo lascia ai borghesi perbenisti, ipocriti, che si dichiarano infastiditi da quella cosa puzzolente e paradisiaca

dalla sconveniente forma fallica, mentre si vestono di pellicce di volpe, o calzano scarpe prodotte da chiss quale bambino moribondo sudafricano. Lasciate al dandy il suo sigaro. Mentre lo snob spender una quantit di denaro per farsene arrivare da Cuba una scatola - che poi terr rigorosamente sigillata e in bella mostra sulla sua scrivania - il dandy si assapora il suo prezioso Antico Toscano accendendolo con l'ultima banconota da cinquanta euro che gli rimane.

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