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a cura di

Renato Fiocca

RILEGGERE LIMPRESA
RELAZIONI, RISORSE E RETI: UN NUOVO MODELLO DI MANAGEMENT

Rileggere limpresa
Relazioni, risorse e reti: un nuovo modello di management
a cura di RENATO FIOCCA
Contributi di F. Ancarani, S. Baraldi, F. Belussi, M. Benassi, R. Bocconcelli, C. Cant, A. Capaldo, S. Castaldo, D. Corsaro, M. Costabile, A. Cova, B. Di Bernardo, R. Fiocca, R.C. Gambetti, A. Ganzaroli, R. Grandinetti, F. Masciarelli, F. Montagnini, L. Pilotti, E. Prandelli, A. Prencipe, I. Snehota, A. Tunisini, A. Tzannis, G. Verona, E. Zaninotto

ETAS

I diritti di autore di questo volume sono devoluti a FISM (Federazione Italiana Sclerosi Multipla)

Redazione e fotocomposizione: Norma, Parma ISBN 978-88-453-1413-1 Copyright 2007 RCS Libri S. p. A. Prima edizione Etas: ottobre 2007 www.etaslab.it Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dallart. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalit di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail: segreteria@aidro.org e sito web www.aidro.org.

Sommario

Introduzione. Perch rileggere limpresa di Renato Fiocca


I. IMPRESA, FIDUCIA, INTERAZIONE

IX

Capitolo 1

Complessit e risorse dimpresa di Renato Fiocca e Francesca Montagnini


1.1 1.2 1.3 1.4 Capitale iniziale e capitale di relazione Limpresa nella complessit Il dominio delle risorse dimpresa Dalla contrapposizione tangibile-intangibile alla giusta combinazione di risorse Le risorse chiave per il dominio della complessit

3 3 5 9 14 16 23 24

1.5 Note Bibliografia

Capitolo 2

Trust management di Sandro Castaldo


2.1 2.2 2.3 Introduzione Il valore della fiducia: stabilizzare le relazioni dellimpresa Il perno della fiducia: attenuare il rischio e lincertezza decisionale I diversi contenuti della fiducia Gli antecedenti della fiducia Le strategie di accrescimento della fiducia Conclusioni: implicazioni per il trust management

27 27 28 31 33 36 37 41 44 46

2.4 2.5 2.6 2.7 Note Bibliografia

IV Sommario

Capitolo 3

Valore, relazioni e confini dimpresa di Renato Fiocca, Francesca Montagnini, Ivan Snehota e Alessandra Tzannis
3.1 Valore e relazioni dimpresa 3.2 Quali relazioni per limpresa 3.3 Il processo relazioni-risorse 3.4 I confini dimpresa in una prospettiva relazionale 3.5 Confini e network picture: ipotesi di ricerca per il futuro Note Bibliografia II. LE RETI

50 50 53 55 57 64 71 71

Capitolo 4

Convergenza settoriale e strategie co-operative. Ipotesi di ricerca ed evidenze empiriche di Fabio Ancarani, Chiara Cant e Michele Costabile
4.1 4.2 Introduzione Gli studi su convergenza ed eterogeneit delle risorse: una review della letteratura
4.2.1 Gli studi sulla convergenza 4.2.2 Gli studi su eterogeneit e complementarit delle risorse

75 75 78 78 83 86 92 92 94 97 102 104 106

4.3 4.4

La convergenza tra network Uno studio di casi a elevata visibilit


4.4.1 Innov Fermet 4.4.2 Symbian (versus Microsoft) 4.4.3 Il progetto FACILE

4.5 Conclusioni e implicazioni manageriali Note Bibliografia

Capitolo 5

Le reti per il governo dellattivit economica: le relazioni tra produttori di arredamento e design firms di Antonio Capaldo
5.1 5.2 Introduzione Embeddedness, reti e governo dellattivit economica
5.2.1 Il network quale distinta forma di organizzazione 5.2.2 Meccanismi sociali e performance dellazione economica

111 111 112 113 116 120 121 122 126 128 131 132

5.3

Il contesto della ricerca: lindustria italiana dellarredamento design-intensive


5.3.1 Legami forti e legami deboli

5.4 5.5

Struttura della ricerca e metodi di indagine Le relazioni tra imprese committenti e design firms
5.5.1 Le relazioni impresa committente-design firm quali processi di interazione sociale 5.5.2 Antecedenti relazionali della collaborazione

5.6

Il governo delle relazioni impresa committente-design firm

Sommario V

5.6.1 I meccanismi sociali per il governo delle relazioni 5.6.2 Meccanismi sociali e contenuti di conoscenza delle relazioni 5.6.3 Effetti di feedback

133 136 142 143 146 146

5.7

Discussione, implicazioni e traiettorie per la ricerca futura

Note Bibliografia

Capitolo 6

6.1 6.2 6.3

151 Introduzione 151 I broker tecnologici 152 Unanalisi esplorativa dei broker virtuali di tecnologia 156 6.3.1 I solution providers 156 6.3.2 I technology marketplaces 158 6.3.3 Gli industry marketplaces 161 6.4 Discussione e conclusioni 165 6.4.1 Elementi distintivi dei broker virtuali 166 6.4.2 Implicazioni teoriche e manageriali 169 6.4.3 Implicazioni di policy 170 6.4.4 Limiti e direzione della ricerca futura 171 Note 171 Bibliografia 172

Reti virtuali e brokering di innovazione di Emanuela Prandelli e Gianmario Verona

Capitolo 7

Distretti e cluster verso nuove forme di agglomerazione territoriale di imprese di Fiorenza Belussi
7.1 7.2 7.3 Introduzione Alle origini del dibattito sullagglomerazione Distretti marshalliani e cluster funzionali porteriani
7.3.1 Il concetto di cluster 7.3.2 Il concetto di distretto industriale 7.3.3 Distretto industriale e cluster: una comparazione

176 176 179 182 182 184 187

7.4 7.5

La recente letteratura su distretti e cluster: modelli territoriali diversi o overlapping terminologico? 190 Distretti e cluster: sviluppo, misurazione e modelli di imprese 192 7.5.1 Il processo di evoluzione di distretti e cluster 192
7.5.2 La misurazione delle relazioni interne ed esterne nei distretti e cluster 7.5.3 Eterogeneit e variet delle imprese

194 196 200 200 203 205 206 207

7.6

Evoluzione dei modelli distrettuali e dei cluster territoriali italiani e stranieri


7.6.1 Il ciclo di vita dei D&C 7.6.2 Una tassonomia ragionata dei modelli di D&C

7.7 Alcune conclusioni Note Bibliografia

VI Sommario

Capitolo 8

Capitale sociale, reti di relazioni e innovazione di Francesca Masciarelli, Andrea Prencipe ed Enrico Zaninotto
8.1 8.2 8.3 8.4 8.5 8.6 Introduzione Contesti territoriali e innovazione Capitale sociale e innovazione Accesso alla conoscenza, innovazione e capitale sociale: una direzione di ricerca Tentativi di verifica empirica Conclusioni: le politiche a favore della concentrazione territoriale dellinnovazione

213 213 215 218 222 225 229 231 232

Note Bibliografia

III. PRODUZIONE, SUPPLY CHAIN E CLIENTE

Capitolo 9

La modularit: impatti sui mercati e sulle organizzazioni di Mario Benassi 237


9.1 Introduzione 9.2 Modularit: le radici concettuali 9.3 Modularit nei mercati e nello sviluppo prodotti 9.4 Effetti della modularit 9.5 Modularit, imprese e organizzazioni 9.6 Tracce di organizzazioni modulari 9.7 Conclusioni Note Bibliografia 237 240 243 247 250 253 256 256 257

Capitolo 10

Creazione del valore per il cliente e Supply Chain Management di Roberta Bocconcelli e Annalisa Tunisini
10.1 10.2 Premessa Orientamento al mercato e SCM
10.2.1 Valore, relazioni, processi 10.2.2 Valore per il cliente e SCM

10.3 Relazioni upstream e processi manageriali 10.4 Riflessioni conclusive Bibliografia

259 259 260 260 263 268 275 277

Capitolo 11

Dal portafoglio clienti al portafoglio relazioni/risorse di Daniela Corsaro, Renato Fiocca e Annalisa Tunisini
11.1 11.2 11.3 11.4 11.5 Le analisi di portafoglio: primi sviluppi Dal portafoglio clienti al portafoglio relazioni Logiche sottostanti al concetto di portafoglio relazioni La convergenza tra risorse e relazioni Il portafoglio relazioni/risorse

280 280 282 285 288 289

Sommario VII

11.5.1 Lindividuazione del valore attuale 11.5.2 Il confronto con il valore atteso

11.6 Implicazioni per il management 11.7 Conclusioni Bibliografia

290 292 294 295 296

IV. NUOVI MERCATI, NUOVI CONSUMATORI

Capitolo 12

Consumatori e imprese nei contesti di esperienza di Barbara Di Bernardo e Roberto Grandinetti


12.1 12.2 12.3 12.4 Il marketing dei servizi: nascita e difesa di unidentit Beni, servizi o ibridi? Una nuova prospettiva di analisi dei beni e dei servizi Processi di consumo e contesti di esperienza
12.4.1 Contesti di consumo intermediati e non intermediati 12.4.2 I contesti di consumo come spazi relazionali e cognitivi

301 301 302 304 307 307 309 311 311 312 313 313 315 317 317 318 322 323

12.5

Le emozioni nei contesti di esperienza


12.5.1 Intelligenza emotiva nel consumo 12.5.2 Alle origini del cambiamento in corso

12.6

La coproduzione di valore nei contesti di esperienza


12.6.1 Le tendenze evolutive nella coproduzione di valore 12.6.2 I contesti di acquisto-esperienza

12.7

La creazione di una rete di contesti di esperienza


12.7.1 Produzione dei contesti e produzione di senso 12.7.2 Selezionare i contesti e gestire la complessit

Note Bibliografia

Capitolo 13

Internet e il vantaggio relazionale. Dalla differenziazione al consumer engagement nelle strategie di marca di Renato Fiocca e Rossella Chiara Gambetti
13.1 13.2 13.3 13.4 Introduzione Internet e le relazioni impresa-mercato Internet e la differenziazione: limpatto sul vantaggio competitivo Internet e i processi di brand management: la creazione di risorse immateriali e di valore attraverso le relazioni in rete
13.4.1 Il consumer engagement attraverso la socializzazione: le brand community e i brand blog online 13.4.2 Il consumer engagement attraverso lintrattenimento: lonline brand entertainment

326 326 327 331

335 339 348 354 355

Note Bibliografia

VIII Sommario

V. MISURARE E SUPERARE IL PRESENTE

Capitolo 14

Limpresa come network di relazioni: un nuovo teatro per la misurazione delle performance? di Stefano Baraldi 359
14.1 14.2 La misurazione delle performance aziendali: perch e come uscire dal solco della tradizione Nuovi strumenti
14.2.1 La customer profitability analysis 14.2.2 Il Balanced Scorecard 14.2.3 Il performance prism

14.3 Nuovi territori 14.4 Nuovi processi 14.5 Nuovi attori 14.6 Nuovi caveat... e nuove prospettive Note Bibliografia

359 361 362 365 368 370 371 373 373 374 374

Capitolo 15

Quali reti oltre il networking? Co-generatori di emergenti ecologie del valore e Meta-Corporation di Andrea Ganzaroli e Luciano Pilotti
15.1 15.2 15.3 15.4 Premessa Natura e valore della conoscenza. Oltre il potenziale delle nuove tecnologie I limiti della propriet intellettuale nelleconomia della conoscenza Una via alternativa: la costruzione di ecologie del valore
15.4.1 Il caso dellopen source 15.4.2 Perch le comunit OS sono unecologia? 15.4.3 La creativit ecologica: alcune prime astrazioni

376 376 377 380 383 383 386 387 390 393 400 400

15.5 15.6

Analizzare le ecologie: tracce di una metodologia La nuova alleanza tra etica e business eco-system: lemersione della Meta-Corporation

Note Bibliografia

Postfazione di Alberto Cova Gli autori

403 407

Gli autori

Fabio Ancarani professore straordinario di Economia e Gestione delle Imprese, Alma Mater Studiorum, Universit di Bologna e Docente Senior Area Marketing, SDA Bocconi School of Management. Stefano Baraldi professore straordinario di Programmazione e Controllo presso la Facolt di Economia dellUniversit Cattolica di Milano, ove vicedirettore del Ce.Ri.S.Ma.S. Centro di Ricerche e Studi in Management Sanitario. Fiorenza Belussi professore associato in Economia e Gestione delle Imprese presso lUniversit di Padova. Specializzata nel campo delle ricerche industriali e sui processi di innovazione delle imprese. Ha pubblicato numerosi articoli a livello internazionale. Mario Benassi professore straordinario di Economia e Gestione di Impresa. Insegna presso la Facolt di Scienze Politiche dellUniversit degli Studi di Milano ed membro del Dipartimento di Scienze Economiche, Aziendali e Statistiche. Roberta Bocconcelli assegnista di ricerca presso la Facolt di Economia dellUniversit degli Studi di Urbino Carlo Bo e docente di Economia e Gestione dellImpresa al Corso di Laurea in Informatica Applicata della Facolt di Scienze e Tecnologia della stessa Universit. Chiara Cant assegnista di ricerca presso la Facolt di Economia dellUniversit Cattolica del Sacro Cuore di Milano e docente a contratto nella Facolt di Economia dellUniversit degli studi di Macerata. Antonio Capaldo Ph.D. in Direzione Aziendale, professore associato presso lUniversit Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove insegna Economia e Gestione delle Imprese. Sandro Castaldo professore ordinario presso lUniversit Bocconi, dove insegna Marketing, Retailing e Trade Marketing & Channel Management. Docente Senior e Direttore dellArea Marketing.

408 rileggere limpresa

Daniela Corsaro dottoranda in Gestione di Impresa presso la Facolt di Economia dellUniversit Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Michele Costabile ordinario di Gestione dImpresa e Marketing nellUniversit della Calabria (Campus di Arcavacata - Cosenza); insegna Marketing nella SDA Bocconi School of Management di Milano e Marketing Internazionale nellUniversit Luiss Guido Carli di Roma. Alberto Cova Preside della Facolt di Economia. Professore ordinario di Storia Economica. Direttore dellIstituto di Storia Economica e sociale M. Romani. Ha insegnato allUniversit degli Studi di Milano e Bergamo. Barbara Di Bernardo professore ordinario di Economia e Gestione delle Imprese, Universit di Padova. Docente di Marketing e Presidente del Corso di Laurea magistrale in Economia dei Sistemi produttivi. Renato Fiocca professore ordinario di Marketing nella Facolt di Economia dellUniversit Cattolica del Sacro Cuore di Milano, direttore di Centrimark (Centro di Ricerche di Marketing) e coordinatore del Dottorato in Management della stessa Universit. Rossella C. Gambetti ricercatrice di Economia e Gestione delle Imprese allUniversit Cattolica del Sacro Cuore di Milano e collabora con il Laboratorio di ricerche sulla comunicazione aziendale della stessa Universit. Andrea Ganzaroli professore aggregato di Economia e Gestione dellinnovazione presso la Facolt di Scienze dellUniversit degli Studi di Milano Roberto Grandinetti professore ordinario di Economia e Gestione delle Imprese presso la Facolt di Scienze Statistiche dellUniversit degli Studi di Padova e presidente dellistituto di ricerche socio-economiche Ires Veneto. Francesca Masciarelli dottoranda presso la Scuola di Dottorato in Economia e Management del CIFREM (Universit di Trento). Francesca Montagnini dottore di ricerca in Gestione dImpresa presso la facolt di Economia dellUniversit Cattolica del Sacro Cuore di Milano e docente di Marketing presso la stessa facolt. Collabora con Centrimark Centro di ricerca di marketing. Luciano Pilotti professore ordinario di Management presso lUniversit degli Studi di Milano e collabora con diversi network di ricerca nazionali e internazionali. Emanuela Prandelli professore associato di Economia e Gestione delle Imprese presso lUniversit Bocconi e docente Senior Presso la SDA Bocconi School of Management Andrea Prencipe professore straordinario di Economia e Gestione delle Imprese presso la Facolt di Economia dellUniversit. dAnnunzio, Chieti Pescara, ed Honorary Professor presso lo SPRU Universit del Sussex. Ivan Snehota professore ordinario di Marketing presso la facolt di Scienze della Comunicazione dellUniversit della Svizzera italiana di Lugano (Svizzera).

Gli autori 409

Annalisa Tunisini professore straordinario di Economia e Gestione delle Imprese allUniversit degli Studi di Urbino Carlo Bo, membro del Comitato Direttivo della Societ Italiana di Marketing e redattore capo della rivista Mercati e Competitivit. Alessandra Tzannis dottoranda di ricerca presso la facolt di Economia dellUniversit di Bergamo. Gianmario Verona professore associato di Economia e Gestione delle Imprese presso lUniversit Bocconi e Visiting Associate Professor of Management presso la Tuck School of Business at Dartmouth College. Enrico Zaninotto professore ordinario di Economia e Gestione delle Imprese presso la Facolt di Economia dellUniversit di Trento e coordinatore del CIFREM (Centro interdipartimentale per la formazione alla ricerca in Economia e Management) che ospita il Dottorato di ricerca in Economia e Management.

Capitale sociale, reti di relazioni e innovazione di Francesca Masciarelli, Andrea Prencipe ed Enrico Zaninotto

8.1

Introduzione

Questo capitolo si concentra sullanalisi delle possibili relazioni tra disponibilit di capitale sociale in un territorio e capacit di produrre innovazione da parte delle imprese. La questione appare rilevante alla luce delle molteplici evidenze sulla concentrazione territoriale delle innovazioni. Se le innovazioni fossero semplicemente il risultato dellimpiego in un contesto economico di conoscenze accessibili e trasferibili, se, ad esempio, si pensasse che ogni impresa abbia una certa probabilit di catturare una opportunit di innovazione che indipendente dalla sua collocazione territoriale, la distribuzione geografica delle attivit innovative dovrebbe sostanzialmente sovrapporsi alla distribuzione territoriale delle imprese. In realt le distribuzioni che si osservano sono diverse: raggruppamenti di innovazioni si concentrano in particolari territori nei quali si alimentano processi di entrata e di sviluppo di imprese innovative. Esistono infatti casi di successo di concentrazione di imprese innovative come la Silicon Valley, la valle Hsinchu Taipei in Taiwan o il sistema nazionale giapponese e fallimenti clamorosi come la tecnopoli di Akademgorodok nellex Unione Sovietica. Si ha pertanto limpressione che i fenomeni che guidano la concentrazione territoriale delle innovazioni siano simili a quelli che alimentano lo sviluppo dei distretti industriali, al punto che tale idea stata alla base di provvedimenti a supporto delle imprese miranti a facilitare la formazione di distretti tecnologici.1 I motivi che possono essere alla base di tali fenomeni di concentrazione sono molteplici; ma, a seconda della ragione che si d di quel fatto, le politiche pubbliche a favore della formazione di concentrazioni territoriali di imprese innovative possono essere pi o meno giustificate. La ricerca si in larga parte focalizzata sullo studio di relazioni di natura economica, mentre le relazioni sociali sono state spesso ignorate con una conseguente mancanza di risposte riguardo a molti risultati e trasformazioni di natura economica (Padgett, Powell, 2003).

214 II. le reti

Tra i diversi fattori di carattere sociale che concorrono a influenzare la concentrazione delle attivit economiche, si spesso posto in evidenza il capitale sociale disponibile alle imprese. In questo caso si avanza lipotesi che il capitale sociale sviluppato in un contesto, come legami personali, le norme e la fiducia, possa essere trasferito da un contesto sociale a un altro influenzando i modelli di scambio (Nahapiet, Ghoshal, 1998): ad esempio, relazioni di fiducia potrebbero trasferirsi dalla famiglia o da una associazione a una situazione di lavoro (Fukuyama, 1995), influenzando in tal modo lo sviluppo di relazioni personali allinterno di scambi economici (Coleman, 1990). Questa considerazione ci spinge ad analizzare lo stock esistente di relazioni sociali in una societ (Piazza-Georgy, 2002) come un fattore produttivo (o meglio, un catalizzatore che agevola laggregazione di fattori produttivi) che influenza diverse attivit economiche di un territorio. Esso pu essere inteso come una forma di esternalit a cui accedono i soggetti che agiscono in un territorio. Nonostante le difficolt di misurazione, molti studi hanno cercato di dimostrare che un insieme di atteggiamenti di identificazione sociale, di cui fanno parte il rispetto degli altri e della cosa pubblica e la fiducia reciproca, possono avere un rilevante impatto sullo sviluppo economico (Knack, Keefer, 1997; Woolcock, 1998). Poco stato fatto, viceversa, per valutare la relazione tra capitale sociale e innovazione. In questo lavoro ci chiederemo se questi stessi fenomeni possano influenzare anche la capacit delle imprese di un territorio di accedere a un capitale di conoscenza e attivare processi di innovazione. Lipotesi generale sviluppata dunque che unelevata presenza di capitale sociale possa favorire i flussi di informazione e di conoscenza generando un ambiente esterno aperto allinnovazione (Laursen, Masciarelli, 2007). I benefici, cruciali nella prima fase del processo di ricerca di soluzioni innovative, consisterebbero nellaccesso allinformazione, ovvero nellopportunit di ottenere una porzione rilevante di informazione, nella tempistica, cio nellopportunit di essere informati presto, o nelle referenze, cio nellessere menzionati al momento giusto e nel posto giusto (Burt, 1992). Il capitale sociale faciliterebbe in tal modo il processo esterno di comunicazione attraverso un pi ricco insieme di canali di comunicazione. In questo lavoro valuteremo la consistenza di questa ipotesi. Procederemo nel modo seguente. Richiameremo, in primo luogo, la discussione sui possibili motivi concorrenti o complementari che possono giustificare una ineguale distribuzione nel territorio delle attivit di innovazione (par. 8.2); successivamente, ci soffermeremo brevemente su che cosa si possa intendere come capitale sociale di un territorio, evidenziando i motivi per i quali potrebbe essere ragionevole attendersi che questo influisca la distribuzione territoriale delle innovazioni e delle imprese innovative (par. 8.3). Presenteremo quindi uno schema generale che mette in relazione diversi fattori di agglomerazione con differenti modalit di accesso alla conoscenza e di produzione di innovazioni (par. 8.4). La nostra ipotesi che differenti strutture o, per meglio dire, esternalit di accesso alla conoscenza abbiano un impatto non indifferenziato sui meccanismi di produzione dellinnovazione. Leffetto di diverse condizioni operative dovrebbe essere visibile non

Capitale sociale, reti di relazioni e innovazione 215

solo sulla distribuzione territoriale, ma anche sulla composizione e la dinamica dellinnovazione. Richiameremo, infine, alcuni problemi di verifica empirica, e in particolare alcuni risultati recenti ottenuti sul fronte di tali verifiche (par. 8.5). Nella parte conclusiva cercheremo, nonostante la provvisoriet dei risultati empirici richiamati, di porre qualche domanda relativa alle politiche pubbliche nei confronti delle imprese (par. 8.6). 8.2 Contesti territoriali e innovazione

Quando un inventore nella Silicon Valley apre la porta del suo garage per mostrare la sua ultima idea, ha il 50% del mercato mondiale dinanzi a lui. Quando un inventore in Finlandia apre la porta del suo garage, si trova di fronte tre metri di neve (Maskell, 2000). La relazione tra innovazione e territorio, simpaticamente riassunta nella frase qui sopra, stata oggetto di numerosi studi empirici. Audretsch e Feldman (1996) hanno dimostrato lesistenza di una stretta relazione tra la localizzazione delle attivit innovative, misurata dal numero di brevetti registrati, e la concentrazione geografica di fonti dellinnovazione come imprese, centri di ricerca e universit. La rilevanza del fattore territoriale per la creazione e la diffusione delle innovazioni stata analizzata prendendo spunto dal concetto di prossimit geografica. Considerato principalmente da economisti regionali (Hirschman, 1958) nei suoi riflessi sulle scelte localizzative dimpresa, il concetto di prossimit ha assunto rilevanza perch essa favorisce la creazione di economie esterne (Marshall, 1920), favorisce lo scambio di conoscenze scientifiche e tecnologiche fra gli agenti del sistema (Malerba, Orsenigo, 2000), riduce lincertezza intrinseca nelle attivit innovative (Lundvall, 1992). Facendo leva su questo concetto, il dibattito sul rapporto tra contesto territoriale e innovazione si articolato intorno a due modelli causali, reciprocamente non esclusivi. Il primo fa riferimento allineguale distribuzione di fattori necessari allinnovazione. Lidea di fondo che tali fattori possano essere non perfettamente mobili: ne sono esempi il capitale umano dotato di particolari qualificazioni e le istituzioni di ricerca che attivano il processo di generazione di nuova conoscenza dal quale prende poi le mosse il processo di innovazione. Per sostenere che tali fattori possano generare una concentrazione territoriale dellinnovazione tuttavia necessario che laccesso a questa base di conoscenza localizzata sia possibile solo in condizioni di prossimit geografica. Ci facilmente ammissibile per le risorse di capitale umano: se il costo della mobilit alto, preferibile che le imprese innovative si installino laddove questo presente, anzich mantenere le localizzazioni preesistenti nella speranza di attrarre il capitale umano. Ancor pi evidente il caso in cui la localizzazione delle attivit innovative sia conseguenza dello sviluppo di iniziative imprenditoriali da parte di persone ad alta qualificazione. In questa direzione si cerca di studiare la relazione tra la struttura e la composizione del capitale umano di un territorio e la localizzazione di attivit innovative. Grande fascino ha esercitato, a questo proposito, la

216 II. le reti

tesi proposta da Florida (si veda per tutti Florida, 2002) secondo la quale la localizzazione di attivit innovative sarebbe strettamente collegata alla presenza nel territorio di una classe creativa non solo ampia, ma anche composita. Il ruolo delle istituzioni di ricerca pubbliche o private presenti in un territorio pi delicato: supporre che la loro presenza in un territorio induca la localizzazione di attivit innovative significa affermare che la conoscenza prodotta dai centri di ricerca accessibile in modo non uniforme e che la prossimit territoriale un fattore che aumenta la probabilit di accesso a componenti di conoscenza necessari per linnovazione. Un ineguale accesso alle risorse di conoscenza potrebbe essere giustificato da diverse forme di non codificabilit della stessa, che ne farebbero dipendere la trasmissione e limpiego da uninterazione diretta con lutilizzatore. Ci potrebbe essere particolarmente vero nel contesto dellinnovazione, caratterizzato spesso da quelle che Lane (1996) ha chiamato relazione generativa attraverso la quale diversi agenti, tramite la partecipazione alla creazione di artefatti, aumentano la conoscenza e producono nuove soluzioni. Sia nel caso del capitale umano, sia in quello delle istituzioni, molti autori evidenziano, come si visto, il carattere cumulativo di questo insieme di fattori di localizzazione. Questo aspetto sottolineato dal secondo approccio allo studio della concentrazione territoriale dellinnovazione, che pone attenzione pi che alla dotazione specifica di fattori, alla loro produzione attraverso scelte inizialmente casuali ma che comportano la generazione di esternalit. La localizzazione di attivit innovative in un territorio darebbe luogo, secondo questo approccio, a spillover che rendono progressivamente attrattivo lo stesso per nuove installazioni (Arthur, 1994). Tali spillover sono sostanzialmente collegati a fenomeni di apprendimento e di costituzione di una rete di relazioni tra imprese e istituzioni concentrate geograficamente. Favoriti sicuramente dalla debole distanza geografica, gli spillover di conoscenza rappresentano gli effetti che la ricerca condotta da determinati agenti pu avere sul processo innovativo di altri soggetti localizzati in aree limitrofe (Malerba, Orsenigo, 2000). Ogni nuovo entrante quindi gode dellapprendimento cumulato delle modalit di scambio produttivo di conoscenza, nonch della rete di relazioni tra istituzioni, imprese innovatrici e utilizzatori che sono alla base della trasformazione di conoscenza in innovazione. Ad esempio, Lundvall (1992) ha approfondito lo studio dei sistemi dinnovazione enfatizzando lapprendimento interattivo che caratterizza le relazioni tra agenti innovatori e nel contempo la prossimit geografica che incorpora alcuni di questi fattori di relazione che facilitano laccesso delle imprese ai centri di produzione della conoscenza, la loro interazione reciproca e linterazione con clienti e consumatori. Meccanismi analoghi possono giocare anche nella formazione di capitale umano: lubicazione di imprese innovatrici, inizialmente prodotta dai motivi pi diversi, pu rendere pi conveniente linvestimento privato in istruzione che a propria volta aumenta la capacit di assorbimento (absorbtion capacity) (Cohen, Levinthal, 1990) a cui possono accedere le imprese localizzate in un territorio. A questo approccio fa riferimento lidea di sistema nazionale di innovazione (Freeman, 1995). Un sistema dinnovazione definito un complesso di fattori economici, sociali, politici, organizzativi e istituzionali che influenzano la crea-

Capitale sociale, reti di relazioni e innovazione 217

zione, la diffusione e lutilizzo delle innovazioni (Edquist, 1997, p. 14). Esso si basa sullosservazione empirica che le imprese non innovano in isolamento, bens attraverso una costante collaborazione con una rete di istituzioni private e pubbliche allinterno della quale si realizzano interazioni necessarie a creare, imitare, importare e diffondere nuove tecnologie (Edquist, 1997). Analogamente Cooke (2001) ha proposto il concetto di sistema regionale di innovazione, che definisce come un sistema nel quale le imprese e altre organizzazioni sono coinvolte in un processo interattivo di apprendimento allinterno di un milieu istituzionale incorporato nel territorio (local embeddedness). Interpretare in maniera sistemica i processi innovativi significa analizzare entit economiche, sociali, politiche, organizzative e istituzionali la cui dinamica relazionale complessa e quindi non studiabile alla stregua di un semplice cumulo di componenti. La letteratura sui sistemi dinnovazione territoriali si concentra sul concetto di territorio (a) come fattore primario del successo di alcuni sistemi e (b) come parametro per lindividuazione dei confini del sistema stesso. Nello specifico la letteratura ha identificato cinque building blocks strettamente interconnessi dei sistemi dinnovazione territoriali: tecnologie, organizzazioni, territorio, istituzioni, apprendimento (Storper, Warf, 2000). Il successo di un sistema dinnovazione dipende dalla co-evoluzione nel tempo delle relazioni fra organizzazioni e istituzioni e dal ruolo che il territorio, lapprendimento, le conoscenze e le tecnologie svolgono nel facilitare o meno lo sviluppo delle suddette relazioni. Tale co-evoluzione, oltre a misurare la performance di un sistema dinnovazione, anche la responsabile principale delle differenze utili a distinguere tra loro i sistemi dinnovazione nazionali, regionali, locali e settoriali. Limpianto concettuale che spiega i sistemi dinnovazione infatti identico per le diverse tipologie di sistemi territoriali, articolati secondo il livello di analisi in sistemi nazionali, regionali o locali. Ci che delinea le differenze fra tali sistemi soltanto la diversa intensit con cui i suddetti building block agiscono allinterno di ciascun sistema. Lanalisi dei sistemi nazionali dinnovazione, ad esempio, richiede di porre maggior attenzione al ruolo delle istituzioni come agenti in grado di coordinare e supportare lattivit innovativa delle organizzazioni. Il radicamento locale e sociale, e quindi limportanza dei fattori legati al territorio, sono invece gli aspetti su cui soffermarsi per analizzare i sistemi regionali o locali dinnovazione. Le probabilit di successo di un sistema dinnovazione e quindi di un territorio sono connesse alle relazioni fra organizzazioni e istituzioni misurabili in termini di flussi di informazioni e conoscenze. Tali flussi innescano un circolo virtuoso che, partendo dalla circolazione delle conoscenze, giunge a favorire la ricombinazione della conoscenza esistente, cio linnovazione. Se tale innovazione costante nel tempo, allora le imprese cresceranno grazie a profitti stabili e con esse crescer anche il sistema di cui esse stesse sono parte. La dimensione geografica delle attivit innovative e il raggruppamento territoriale delle stesse sono stati studiati a lungo, anche al fine di proporre politiche rivolte a replicare casi di successo di sviluppo cumulativo, come quello della Silicon Valley negli Stati Uniti o del Baden-Wrttemberg in Europa (Breschi, Lissoni, 2001).

218 II. le reti

8.3

Capitale sociale e innovazione

Tanto nel caso in cui la concentrazione geografica delle attivit innovative sia data dallaccesso a risorse specifiche incorporate nel territorio (o ad alto costo di mobilit), quanto nel caso in cui tali risorse risultino da processi cumulativi di spillover che rendono disponibile in un territorio esternalit positive, un ruolo importante assegnato a un insieme di fattori di identificazione e di capacit di relazione. legittimo pertanto chiedersi se, per giustificare la concentrazione territoriale dellinnovazione, non sia necessario ricorrere a un altro fattore agevolante, costituito dal cosiddetto capitale sociale disponibile in un territorio Lipotesi da cui di si muove, dunque, che a parit di condizioni in termini di dotazione originaria di fattori o di esternalit a cui la localizzazione in un territorio d accesso, laddove si sia in presenza anche di un elevato capitale sociale, si possa avere un effetto positivo sulla capacit di innovare. Il concetto di capitale sociale stato inizialmente utilizzato nellanalisi delle risorse relazionali incluse nei legami personali degli individui (Loury, 1977). Il termine stato concettualizzato per la prima volta da Bourdieu (1980), il quale ha individuato tre dimensioni di capitale: economico, culturale e sociale e ha definito il capitale sociale come la somma delle risorse reali o virtuali che possono provenire a un individuo o a un gruppo attraverso il possesso di network durevoli di relazioni pi o meno istituzionalizzate di reciproca conoscenza (Bourdieu, 1980). Nel pensiero di Bourdieu, il capitale sociale ha due principali componenti: le relazioni sociali per s il capitale sociale una risorsa legata ai network sociali e allappartenenza al gruppo sociale: il volume di capitale sociale posseduto da un agente dipende dalla dimensione del network che pu effettivamente mobilizzare (Bourdieu, 1986, p. 249); e la qualit, definita dallammontare delle relazioni tra gli attori (Bourdieu, 1980). Fondamentale stato anche il ruolo di Coleman nella concettualizzazione del capitale sociale. Coleman ha definito il capitale sociale come la struttura sociale che facilita le relazioni tra gli individui. Il capitale sociale definito dalle sue funzioni. Non unentit singola, ma un insieme di differenti entit con due elementi in comune: tutte consistono in alcuni aspetti della struttura sociale e facilitano alcune azioni degli attori con la struttura (Coleman, 1988). La relazione tra capitale sociale e sviluppo economico risale al lavoro di Banfield (1958), il quale per primo ha utilizzato il capitale sociale per spiegare la debolezza economica dellItalia meridionale, ma il suo lavoro non ha suscitato linteresse di economisti e sociologi. Pi tardi, il dibattito economico sul capitale sociale emerso dal famoso libro Making Democracy Work di Putnam, con Leonardi e Nannetti (Putnam et al., 1993) nel quale gli autori hanno dimostrato che, in Italia, le performance di governi regionali sono significativamente collegate alle tradizioni della partecipazione civica, al coinvolgimento e alla partecipazione alle diverse associazioni, e alla partecipazione e allinteresse nella politica. Putnam ha definito il capitale sociale come la struttura sociale che facilita il coordinamento e la cooperazione (Putnam et al., 1993; Putnam, 1995). A partire dai lavori di Putnam linteresse per il capitale sociale di ricercatori, policy-maker e

Capitale sociale, reti di relazioni e innovazione 219

importanti istituzioni, come la Banca Mondiale e lOCSE, cresciuto in maniera esponenziale. Le ricerche condotte negli ultimi anni differiscono per molti aspetti da quei primi lavori. Una prima distinzione risiede nel livello di analisi che viene utilizzato nella descrizione del capitale sociale. Il capitale sociale passa attraverso molti livelli di analisi ed stato descritto sia a livello micro che macro (Carrie, Buren, 1999). Il capitale sociale stato spiegato come un attributo di aree geografiche (nazioni o regioni), comunit (Putnam, 1993), individui (Burt, 1992), e imprese (Baker, 1990). Unaltra importante distinzione risiede nei benefici del capitale sociale e in come questi siano distribuiti tra le unit sociali. Sebbene gli individui beneficino sempre della presenza del capitale sociale, questi benefici possono essere pi o meno diretti. Coleman (1990) e Fukuyama (1995) sostengono che il capitale sociale un bene pubblico e non direttamente appropriabile dal singolo individuo; daltra parte Lin (1999) e Burt (1992) sottolineano laspetto privato del capitale sociale e le differenze di accesso e possibilit di utilizzo del capitale sociale da parte dei singoli individui. In quanto segue, guarderemo al capitale sociale come a una caratteristica propria dellambiente in cui inserita limpresa, come a unesternalit cui le imprese e gli agenti collocati in un territorio accedono (Putnam et al., 1993). Questa prospettiva fa riferimento al concetto di embeddedness (Woolcock, 1998). Tale concetto, portato allattenzione di economisti e sociologi da Granovetter (1973), sottolinea come tutte le azioni economiche siano realizzate allinterno della struttura sociale e che i legami deboli, pi che i legami forti, favoriscono laccesso a nuove risorse. Granovetter (1973) ha analizzato il radicamento sociale nei suoi riflessi sui comportamenti degli operatori economici, ma evidente che tale radicamento presupponga un certo radicamento locale cio una certa prossimit geografica fra gli agenti. Si noti per che il radicamento locale condizione necessaria ma non sufficiente per sviluppare fenomeni di radicamento sociale. Come afferma Lundvall (1992) infatti, anche in presenza di prossimit geografica, lassenza di valori condivisi e di uno stesso background culturale potrebbe rendere seriamente difficile la codificazione e la trasmissione delle conoscenze e potrebbe quindi bloccare linterazione fra gli attori di un sistema dinnovazione. Gli studi sullembeddedness ha portato a importanti conclusioni: 1. 2. 3. tutte le forme di scambio sono inserite allinterno di relazioni sociali, ed riduttivo e semplificante chiamare una forma di scambio economica e laltra sociale; lembeddedness pu assumere diverse forme, come i legami sociali, le pratiche culturali e i contesti politici; i benefici dati dallembeddedness non sono privi di costi.

Al fine di stabilire se a prevalere siano i costi o i benefici, fondamentale focalizzarsi sul grado di apertura delle reti (Woolcock, 1998). La letteratura sullinnovazione ricca di riferimenti alla natura interattiva del processo innovativo. Le imprese possono ricevere incentivi allinnovazione sia

220 II. le reti

lungo la dimensione verticale della catena del valore, sia attraverso collaborazioni orizzontali. Patel e Pavitt (1988) affermano che linnovazione deve essere considerata in realt un cambiamento istituzionale: essa cio coinvolge e implica cambiamenti che non si manifestano soltanto in nuovi prodotti o in nuovi processi produttivi, ma anche e soprattutto nel campo scientifico, sociale e culturale. Limportanza di questa estensione del concetto di innovazione tale da poter affermare che le capacit innovative delle imprese e quindi dei territori sono associate a permanenti cambiamenti istituzionali (Dalum, Johnson, Lundvall, 1992). Ovviamente, la possibilit di realizzare questi permanenti cambiamenti istituzionali si lega alle capacit di apprendimento e alle conoscenze di tutti gli agenti di un sistema dinnovazione. Von Hippel (1988) ha illustrato limportante ruolo che i consumatori rivestono nei processi innovativi. Per far fronte a una crescente instabilit nella domanda in molti mercati, le alleanze fra imprese sono sempre pi frequenti. Sebbene la relazione tra imprese sia particolarmente centrale per le innovazioni nei settori low-tech, le ricerche sui sistemi di innovazione sottolineano limportanza di altre relazioni, ad esempio tra imprese, universit, istituzioni pubbliche, come canali importanti di informazione sia nei settori low-tech che nei settori high-tech (Freeman, 1988). In particolare, per le imprese in settori a media e alta tecnologia le relazioni con universit e centri di ricerca sono un fondamentale input di conoscenza. Una ragione chiave per linfluenza geografica del capitale sociale che, sebbene non tutte le relazioni sociali siano soggette ai costi della distanza, linterdipendenza di differenti tipi di relazioni sociali rende la combinazione di questi dipendente dalla prossimit geografica. Lipotesi che la disponibilit di capitale sociale possa essere un fattore abilitante la concentrazione territoriale delle innovazioni riposa nondimeno su alcune possibili specificazioni. La prima attiene alla qualit dellinformazione scambiata: i canali personali di relazione. Si sostiene a questo proposito che la conoscenza che viene scambiata per mezzo di canali informali di relazione personale sia migliore laddove la conoscenza formale richieda di essere accompagnata da elementi contestuali e di know-how il cui trasferimento richieda una condivisione di luoghi e un comune retroterra culturale e linguistico. Ancor pi importante il caso in cui le conoscenze non vengano semplicemente scambiate, ma generate nel corso dellinnovazione, come quando allinterno di un distretto linnovazione di prodotto finale si accompagna a innovazioni nei beni strumentali. Un secondo aspetto attiene alla possibilit di contenere i comportamenti opportunistici insiti nello scambio di conoscenze. Relazioni stabili possono essere un fattore che contribuisce a modificare il sistema di incentivi dei singoli agenti, valorizzando la componente sociale della propria azione.2 Data la natura di bene pubblico dellinvestimento in conoscenza e di molte fasi del processo di innovazione (i cui risultati non possono sempre essere protetti da ben definiti diritti di propriet), tali tessuti di identificazione possono essere essenziali per lattivazione di processi di innovazione. In altri termini, a parit di condizioni esterne dovremmo assistere a una maggiore performance innovativa nelle situazioni territoriali caratterizzate da pi elevato capitale sociale. Questo aspetto potrebbe essere particolarmente rile-

Capitale sociale, reti di relazioni e innovazione 221

vante per le innovazioni in cui la protezione giuridica dei diritti di propriet risulti particolarmente difficile. Berger (2005) riporta il caso dellesternalizzazione della produzione dei chip dalle grandi imprese di elettronica ai produttori specializzati di microchip in Estremo Oriente e soprattutto a Taiwan (le cosiddette fabs). Siccome le fabs producono chip per diversi clienti, lesternalizzazione della produzione pu avvenire solo se esiste la garanzia della protezione dei diritti di propriet intellettuale sulle caratteristiche dei componenti richiesti dai diversi clienti che hanno sempre un altissimo contenuto tecnologico. Secondo Berger, nonostante la societ taiwanese soffra ancora di seri problemi dal punto di vista della protezione giuridica della propriet intellettuale, il problema di fatto non si manifestato a motivo della rete fiduciaria stabilitasi tra imprese, clienti e fornitori. Una terza dimensione rilevante data dal cosiddetto capitale relazionale. Un passato di relazioni stabili e produttive con altri agenti facilita lassunzione del rischio, quando il risultato dipenda dalla coerenza tra le scelte di pi di un agente. Il fatto che il valore delle innovazioni dipenda spesso dalla realizzazione di una molteplicit di investimenti complementari fa s che una storia di relazioni di successo possa indurre gli agenti che coordinano il proprio investimento in tecnologie complementari ad accettare soluzioni maggiormente rischiose, ma paretianamente superiori. La teoria dei giochi ha formalizzato situazioni di questo tipo con giochi del tipo stag hunt (Skyrms, 2004): questi sono caratterizzati da molteplici equilibri di Nash, alcuni dei quali sono pi rischiosi, ma maggiormente remunerativi per tutti i giocatori, mentre altre strategie conducono a equilibri meno remunerativi, ma sicuri. Se tutti i giocatori si fidano a sufficienza del comportamento degli altri, possibile ottenere buoni risultati; ma se il rischio che qualcuno non si fidi alto, anche giocatori individualmente pi propensi alla fiducia non rischieranno e preferiranno una soluzione inferiore a una migliore, che per dipende dal comportamento altrui. Il paradigma dello stag hunt stato impiegato per rappresentare in generale situazioni di complementarit strategica o tecnologica (Berger, 2006). Molti esperimenti hanno evidenziato che in generale i giocatori in tale situazione presentano una forte tendenza a coordinarsi sullequilibrio paretianamente inferiore. Devetag (2004) ha realizzato una serie di esperimenti su particolari classi di giochi con equilibri multipli, Pareto-ordinati: in alcuni di essi era pi facile, data la struttura del gioco, uscire dalla trappola dellassenza della fiducia. Uno dei risultati pi interessanti che se i giocatori imparano a giocare, fidandosi, strategie pi rischiose, ma anche pi remunerative e se la cosa avviene con successo, il precedente trasferito a situazioni di interdipendenza che presentano una qualche analogia con le prime. Questo fenomeno detto transfer analogico e ci dice che la fiducia si impara e si trasferisce da una situazione allaltra. La fiducia appare, effettivamente, come un patrimonio che pu formarsi nel corso di relazioni di successo con altri agenti e che, una volta costituito, pu essere utilmente impiegato in altre situazioni caratterizzate da complementarit tecnologica o strategica. Queste considerazioni relative ai fenomeni di comunicazione sociale o di stabilizzazione delle relazioni potrebbero giustificare lipotesi che il capitale sociale possa giocare un ruolo nella differenziazione dei territori sotto il profilo della presenza di attivit innovative.

222 II. le reti

Nondimeno queste posizioni sono state sottoposte a forti critiche. Particolarmente pungenti sono state le valutazioni di Florida (2002). Sotto il profilo della identificazione, egli sostiene, le comunit dove vi maggiore identificazione sono quelle chiuse, tradizionali, incentrate su valori ereditati dal passato e quindi poco aperte allaltro e alla molteplicit di risorse e di diversit che costituiscono lhumus dellinnovazione. Gli studi di questo autore e dei suoi collaboratori portano viceversa a evidenziare esattamente il ruolo della diversit e della presenza di una variet di qualificazioni e di competenze di persone ad alta qualificazione, che sono attratte in un territorio dalla presenza di stili di vita liberi e tolleranti. Nei sistemi chiusi, la stessa stabilit delle relazioni, generata dalla loro continuit nel tempo, impedirebbe a un territorio di immettere e accettare nuove esperienze, privilegiando la replica delle relazioni tradizionali allapertura a nuove possibilit che possono contribuire ad aumentare i vuoti strutturali (structural holes) che aumentano il valore della rete di relazioni e dellinformazione a cui si pu accedere (Burt, 1992). Per Florida (2002), insomma, non i legami forti della teoria del capitale sociale sono importanti, ma i legami deboli che permettono di estendere la rete di contatti e lo scambio di informazioni con una minima condivisione di valori e di norme sociali (tra le quali la tolleranza) che aumentano la mobilit delle persone, laccettazione di nuovi membri, lapertura di nuovi rapporti. Non le comunit chiuse, conservatrici e tradizionali, godrebbero dei maggiori vantaggi di attrazione di attivit innovative, ma quelle capaci di gestire la diversit mantenendo vivi legami deboli che permettono di interagire con nuovi soggetti, di immettere nuove conoscenze e di produrre nuove regole, evitando allo stesso tempo gli effetti disgreganti del nuovo. Una seconda valutazione critica evidenzia come, pur essendo importante il ruolo della relazione e dei processi di comunicazione, essa sia talora una modalit estremamente costosa per ottenere risultati in termini di coordinamento e di soluzione dei potenziali conflitti che si incontrano nello sviluppo di innovazioni. Molti problemi di coordinamento possono essere risolti da meccanismi anonimi, come standard condivisi. Nondimeno, nei sistemi sociali formalizzati, i comportamenti programmati e la stretta applicazione di codici aumenta la prevedibilit delle performance. Shepard (1967) dimostra che un ambiente meno formalizzato aumenta lapertura del sistema e la possibilit di avere nuove idee. Aiken e Hage (1968) mostrano che la presenza di manuali di regole collegata negativamente allinnovazione e sottolineano che, sebbene i meccanismi codificati non favoriscano la generazione di innovazione, un modesto impatto positivo pu aversi nel processo di adozione e implementazione della stessa. Accesso alla conoscenza, innovazione e capitale sociale: una direzione di ricerca

8.4

In generale le analisi sul capitale sociale considerano una serie di indicatori di comportamento sociale, in termini di disponibilit a partecipare a gruppi e associazioni, a tenersi informati sullandamento della societ attraverso la lettura dei giornali, a partecipare al voto (si veda ad esempio Putnam et al., 1993). In realt, lidea che

Capitale sociale, reti di relazioni e innovazione 223

lattitudine sociale sia una misura continua, indipendentemente dal gruppo di riferimento, sembra poco credibile. Sembra plausibile pensare che lidentificazione e il capitale di relazione interno a una societ criminale come la mafia sia molto alto; potrebbe essere molto alta anche lidentificazione dei suoi membri con la comunit locale; ma sar difficile che il senso di appartenenza alla societ formale, che definisce diritti e doveri di cittadinanza, sia elevato. La particolare rete di relazioni che si stabilisce in questo caso, data da una grande fiducia tra i membri, con regole che sostengono un forte livello di rischio e da una profonda identificazione in una comunit locale che contribuisce a isolare il criminale dalle ingerenze esterne, pu essere funzionale allo svolgimento di quelle particolari attivit.3 Le indagini svolte sugli effetti del capitale sociale sullo sviluppo presentano invece il rischio che, nel misurarne il valore, si abbia di fatto a mente una particolare comunit che si riconosce in alcuni valori, per esempio quelli della correttezza dei rapporti di scambio e della partecipazione alla vita pubblica, fondativi delle societ liberali. A quel punto la relazione tra capitale sociale e sviluppo rischia di diventare tautologica. Tuttavia, ci che rileva dal punto di vista dei comportamenti non una capacit di relazione e di identificazione in s, quanto piuttosto la capacit di gestire relazioni con diversi ambiti sociali a cui, a diverso titolo, si accede attraverso specifici canali. Se si accetta questo punto di vista, ne consegue che non tanto importante valutare una disposizione sociale generale, quanto la capacit di far convivere unadeguata combinazione di relazioni che permetta di realizzare gli scambi (di conoscenze, di prodotti e di competenze) necessari allo sviluppo. Possiamo chiamare questo fattore la capacit di blending sociale di un soggetto economico, individuo o impresa. Tale capacit si realizza con modelli e strumenti specifici di relazione: ad esempio, la generazione di una rete di solidariet non si ottiene attraverso il rispetto delle norme giuridiche, ma attraverso la costituzione di forti relazioni interpersonali e un senso di identificazione in un gruppo sociale. Per contro, se questi meccanismi personali fossero impiegati per sostenere gli scambi di mercato o per assicurare il rispetto generale di condizioni di cittadinanza, gli scambi o il riconoscimento di pari diritti ad altri cittadini ne risulterebbero fatalmente limitati e sottoposti cos come accade in societ in cui sussistono istituzioni precedenti al mercato a processi di riconoscimento reciproco. In questo caso, sembra maggiormente rilevante la condivisione di una serie di norme formali di relazioni e un sostrato di valori (come quello rappresentato dalla tolleranza descritto da Florida, 2002) che permettono di ampliare il raggio di contatti e la trasmigrazione di idee senza il timore di intaccare il tessuto sociale a cui le persone quotidianamente si riferiscono. Societ con eccessivi residui di personalizzazione dei rapporti appaiono viceversa poco funzionali allesigenza di estendere la rete degli scambi e delle relazioni. Tali rapporti, anche in societ evolute (e forse la societ italiana ne un esempio), sono a volta usati come un (costoso) sostituto di relazioni anonime appoggiate su sostrati valoriali comuni. Lipotesi generale che proponiamo si pu ora declinare a partire da alcune proposizioni:

224 II. le reti

1.

2.

3.

i fattori di localizzazione dellinnovazione sono dati dalla presenza nel territorio di fattori poco mobili, preesistenti o generati dalla stessa attivit delle imprese, il cui accesso richiede una relazione di vicinato. Tali fattori si accompagnano ad altri, non localizzati. Rispetto a tali fattori, le varie componenti del capitale di relazione agiscono non direttamente, ma come fattori agevolanti. Il loro ruolo pu dunque essere riconosciuto solo se si controlla leffetto dei principali input (locali e non) del processo innovativo. Le fasi di generazione di nuova conoscenza e del suo impiego in contesti economici per la produzione di innovazioni si realizzano con riferimento a diverse comunit, caratterizzate da regole di identificazione e di relazione molto diverse. Alle conoscenze scientifiche si accede principalmente con adeguate capacit di assorbimento e attraverso la partecipazione alle regole dello scambio scientifico che in massima parte sono impersonali; spesso, per, lo scambio sostenuto anche da rapporti informali tra persone riconosciute come appartenenti alla comunit scientifica e che si identificano in valori e regole non scritte, attraverso le quali si rendono accessibili i codici cognitivi sulla base di semplici meccanismi di reciprocit. I modelli di identificazione in queste comunit possono basarsi su legami deboli che non necessariamente sono presenti contestualmente a legami forti di partecipazione a specifici gruppi e associazioni. In altri casi, invece, la realizzazione di specifiche innovazioni comporta relazioni generative con clienti e fornitori, la cui costituzione richiede una progressiva tessitura di una rete di rapporti fiduciari. Dovremo quindi aspettarci che diversi aspetti del capitale di relazione giochino come fattori abilitanti in diverse fasi del processo di innovazione che abbisognano di risorse, da ottenere attraverso relazioni di scambio con diverse comunit. I processi di generazione e diffusione di innovazioni non sono tutti uguali: alcuni si basano principalmente su sistemi formali di relazione, sostenuti da precisi diritti di propriet e resi possibili dalla presenza di capacit e di accesso a codici astratti. In altri casi, invece, lo scambio di conoscenza e il trasferimento di innovazioni non possono essere controllati da procedure formali e riposano su importanti elementi di identificazione e di fiducia. Ad esempio, abbiamo osservato le modalit di diffusione di importanti innovazioni tra le aziende agricole associate in cooperative in Trentino. Alcune innovazioni importanti nella scelta degli impianti, nelle tecniche colturali o nei trattamenti antiparassitari per le quali si ha un vantaggio collettivo solo a patto che la generalit delle aziende agricole introduca contemporaneamente linnovazione, sono state rese probabilmente possibili dalla presenza di un sostrato fiduciario molto esteso e che ha indotto i singoli coltivatori ad accettare le modifiche ben sapendo che la maggior parte degli altri soci avrebbero altres accettato le innovazioni colturali suggerite dalla cooperativa o dal consorzio. Dovremmo quindi aspettarci che i diversi capitali di relazione abbiano differente importanza a seconda del tipo di innovazione che si realizza.

Questo insieme di considerazioni porta a generare uno schema interpretativo che incrocia:

Capitale sociale, reti di relazioni e innovazione 225

a)

b) c)

diverse dimensioni del capitale sociale, distinguendo in particolare la rete di relazioni che agevola la costituzione di rapporti personali in reti comunitarie ristrette, da quellinsieme di condizioni che agevola il riconoscimento e lidentificazione sociale indipendentemente da una personalizzazione della relazione; diverse fasi dellinnovazione, caratterizzate da relazioni con comunit di riferimento diverse, da quella degli scienziati, a quella dei clienti, dei fornitori o dei fornitori di tecnologia; diversi tipi di innovazione, caratterizzate da componenti di scambio e da contenuti di conoscenza non codificata diversa.

Idealmente unaccurata verifica del ruolo del capitale sociale nellinnovazione dovrebbe tendere a valutare il blending ottimale di relazione che pu fungere da catalizzatore delle risorse necessarie allinnovazione in un determinato contesto strutturale.

8.5

Tentativi di verifica empirica

Mentre le verifiche empiriche delleffetto del capitale sociale sullo sviluppo hanno oramai una lunga storia, la ricerca di effetti specifici sullinnovazione abbastanza recente. In ogni caso, per, le analisi empiriche soffrono di alcuni limiti. Il problema delle ricerche empiriche sul capitale sociale risiede nella mancanza di una chiara distinzione tra le fonti e le conseguenze dello stesso. Nahapiet e Ghoshal (1998) e Lindenberg (1996) hanno distinto tra la dimensione strutturale e la dimensione relazionale del capitale sociale. La dimensione strutturale si riferisce allesistenza di relazioni sociali di natura informale tra gli individui. La dimensione relazionale riguarda gli asset che sono radicati in queste relazioni, come, ad esempio, la fiducia e le norme sociali. Sabatini (2005) ha sintetizzato i limiti delle analisi empiriche proposte in sei punti principali: a) b) c) la mancanza di ununica definizione di capitale sociale e di un metodo condiviso di misurazione; luso di definizioni e indicatori differenti da vari database che rende difficile la comparazione tra i diversi studi; le difficili comparazioni tra diversi paesi, in particolare per quanto riguarda la fiducia. Molte ricerche si basano, infatti, su dati estratti dalla World Values Survey. La misura della fiducia estratta da questa survey non permette di cogliere i legami tra la fiducia e le circostanze storiche e sociali che lhanno generata; luso di indicatori indiretti che non sono presenti nelle componenti che la letteratura ha identificato come chiave per definire il capitale sociale pu rendere difficile distinguere il capitale sociale dai suoi outcome.

d)

226 II. le reti

e)

la difficolt nel tenere conto di tutti gli aspetti che costituiscono un concetto multidimensionale. I network sociali e, allinterno dei network sociali le associazioni di volontariato, si caratterizzano per differenti aspetti, che possono essere rappresentati attraverso molteplici indicatori o individuando un indicatore latente che ne sintetizzi le dimensioni.

Secondo lo schema interpretativo che vede il capitale sociale come private good, sarebbe inoltre necessario riuscire a distinguere, allinterno del capitale sociale, differenti dotazioni di capacit di accesso a diverse comunit. Tuttavia, Coleman (1990) e Fukuyama (1995) hanno sottolineato come il capitale sociale sia un bene pubblico di cui beneficiano tutti i membri di una comunit in quanto appartenenti a questa. Inoltre, bisognerebbe riuscire a distinguere, nellanalisi empirica, leffetto di tale fattore abilitante in innovazioni di diverso tipo. Nella direzione di individuare leffetto di particolari componenti del capitale sociale sullinnovazione va un lavoro di Hauser, Tappainer e Walde (2007). Gli autori considerano un campione di regioni NUTS1 e testano un modello in cui considerano lattivit di innovazione, misurata dal numero dei brevetti, come funzione di spese in Ricerca & Sviluppo, variabili di capitale umano e variabili di capitale sociale. Per queste ultime si servono dellEuropean Value Study, da cui estraggono una serie di variabili, elaborate attraverso una analisi fattoriale. Un potere esplicativo significativo si evidenzia solo per i fattori riconducibili allinteresse politico e, soprattutto, alla attivit associativa. Linteresse del lavoro consiste in una prima evidenza di specifiche dimensioni del capitale sociale rilevanti ai fini della dimensione dei risultati dellattivit innovativa in determinate regioni. Pur proseguendo nel medesimo tentativo, diversa la strategia di indagine scelta da Laursen e Masciarelli (2007) sui legami tra capitale sociale e attivit innovativa di un campione di imprese italiane, che si colloca allinterno dello schema interpretativo descritto in precedenza. In tale studio lattenzione posta sulle innovazioni realizzate dalle singole imprese; per contro il capitale sociale introdotto come una variabile ambientale: si recupera in questo modo la dimensione strutturale del capitale sociale, concepito come bene pubblico proprio di un territorio e che definisce il sostrato ambientale in cui operano le imprese. Ci permette una pi chiara distinzione tra le cause e le conseguenze dello stesso (Laursen, Masciarelli, 2007). Le diverse dimensioni del capitale sociale e dellinnovazione rilevanti ai fini dellanalisi sono stata approssimate nel seguente modo. Al fine di considerare laspetto multidimensionale del capitale sociale, stata realizzata unanalisi delle componenti principali (PCA) che produce fattori da una matrice delle correlazioni (o delle covarianze) esistenti tra due o pi delle variabili quantitative (o che possono essere utilizzate come tali) e che permette di ottenere pochi indicatori sintetici partendo da molteplici variabili. In particolare, per quanto riguarda il capitale sociale nelle regioni italiane , lIstituto Italiano di Statistica (ISTAT) realizza con cadenza annuale

Capitale sociale, reti di relazioni e innovazione 227

Analisi Multiscopo che descrivono la struttura sociale regionale. A partire da queste analisi possibile estrarre una serie di variabili che permettono di ottenere una misura della dimensione strutturale del capitale sociale capace di descrivere la propensione degli individui al coinvolgimento nella vita sociale e alla creazione di legami informali. Undici variabili che descrivono la partecipazione associativa, i legami deboli e la partecipazione politica sono state selezionate dalle indagini Multiscopo dellISTAT e attraverso la PCA si sono estratti due fattori che spiegano oltre 80% della varianza, risultato molto soddisfacente nellanalisi di variabili di natura sociale.4 Il primo fattore, espressione della partecipazione ad attivit associative e della presenza di legami deboli, stato definito come integrazione sociale e vuole descrivere la generale predisposizione degli individui al coinvolgimento nella vita e nelle relazioni sociali e ad essere parte di organismi, gruppi e comunit. indicativo dellapertura del territorio alla creazione di reti di relazioni e allo scambio di conoscenza. Il secondo fattore definito come partecipazione politica ed esprime lidea di condividere o prendere parte insieme agli altri in qualche tipo di attivit comune (Scaff, 1975). Due distinti concetti definiscono la partecipazione politica: partecipazione come interazione e partecipazione come mezzo strumentale. Il primo enfatizza lidea di condivisione e reciprocit per promuovere interessi comuni; il secondo guarda alla partecipazione come a un atto di scambio, un mezzo strumentale per guadagnare potere e ottenere benefici personali (Scaff, 1975). La partecipazione come interazione determina condivisione, reciprocit e comunicazione e promuove la diffusione di conoscenza. La partecipazione come azione strumentale produce competizione e lottenimento di obiettivi personali. Lanalisi si propone di chiarire se lintegrazione sociale e la partecipazione politica influenzino in modo diverso i diversi tipi di innovazione. Per quanto riguarda le caratteristiche dellattivit innovativa, erano possibili molteplici scelte. La letteratura ha spiegato in dettaglio le differenti tipologie di innovazione: radicali vs incrementali, di prodotto vs di processo (Freeman, Soete, 1997). La dimensione che, ai fini dello studio, stata considerata pi significativa stata quella tra innovazioni di prodotto e innovazioni di processo. Nonostante alcuni limiti di tale classificazione, la scelta stata sostenuta da una vasta letteratura che ha individuato come ai due tipi di innovazione corrispondano diversi modelli di acquisizione e scambio di conoscenze. Abernathy e Utterback (1975) hanno sottolineato infatti come le innovazioni di prodotto si riferiscono a ogni tecnologia emergente o combinazione di tecnologie emergenti che vengono utilizzate al fine di produrre beni per il consumo; daltra parte, le innovazioni di processo riguardano ogni tecnologia operativa nuova per lorganizzazione che la adotta o cambiamenti delle modalit con le quali i prodotti sono realizzati o distribuiti (Tushman, Nadler, 1986). In particolare, da una parte, le innovazioni di prodotto si riferiscono alla creazione di prodotti tecnologicamente nuovi, dallaltra, le innovazioni di processo possono essere definite come nuovi elementi introdotti allinterno del processo produttivo o di unimpresa e riguardano ad esempio

228 II. le reti

gli input, la specificazione dei compiti, i meccanismi di lavoro, le attrezzature utilizzate al fine di ottenere prodotti o offrire servizi, con lo scopo di ridurre i costi o aumentare la qualit del prodotto (Rosenberg, 1976; Utterback, 1994; Freeman, Soete, 1997). Le innovazioni di prodotto richiedono un uso estensivo di processi di esplorazione e di interazione di molte fonti di conoscenza esterne e interne (Brown, Eisenhardt, 1995). Al contrario, le innovazioni di processo sono state descritte da Tushman e Rosenkopf (1992, p. 313) come the most primitive form of innovation, e sembrano richiedere meno condivisione di conoscenze fuori dei confini dellimpresa. Le innovazioni di processo sono spesso usate come il risultato di learning-by-using e learning-bydoing, che emergono dallesperienza delle imprese nellutilizzo delle nuove tecnologie (Rosenberg, 1982). Di conseguenza, le innovazioni di processo sono il risultato di decisioni manageriali inerenti alla migliore organizzazione di procedure interne e nascono per essere comunicate, trasferite o vendute ad altre organizzazioni (Arora, Fosfuri, Gambardella, 2001). Inoltre, date le difficolt nella precisa definizione delle innovazioni di processo, il segreto aziendale , in generale, uno strumento pi efficace per proteggere il rendimento delle innovazioni di processo rispetto a quello delle innovazioni di prodotto (Levin et al., 1987). Infine le caratteristiche settoriali dellinnovazione sono state catturate utilizzando la classificazione di Pavitt (1984). Tale classificazione, che distingue i settori a seconda dei principali modelli attraverso i quali linnovazione introdotta nella imprese, individua quattro macrosettori, settori dominati dai fornitori, settori a intensit di scala, settori caratterizzati da fornitori specializzati, settori basati sulla scienza. Ciascun settore caratterizzato da regolarit interne inerenti allaltezza delle barriere allentrata, alla grandezza media delle imprese e, per quanto concerne linnovazione alle fonti potenziali, alla tipologia e allappropriabilty.

Con queste premesse Laursen e Masciarelli (2007) hanno studiato leffetto del capitale sociale separatamente per le innovazioni di prodotto e per quelle di processo, in un campione di 2.464 imprese manifatturiere in 21 regioni italiane. I risultati illustrano che pi linterazione sociale diventa importante, passando da innovazione di processo a innovazione di prodotto sino alla presenza di entrambi i tipi di innovazione, pi lessere localizzati in una regione caratterizzata da alta interazione sociale porta a unalta propensione allinnovazione. Questo risultato emerge dopo aver controllato un ampio spettro di variabili relative alle caratteristiche delle imprese e delle regioni. In particolare, i risultati supportano lipotesi che linterazione sociale regionale pi importante per le imprese che realizzano innovazioni di prodotto rispetto a innovazioni di processo. Ci si sarebbe potuto attendere che le variabili di partecipazione politica, se considerate una proxy del grado di riconoscimento formale in una societ, potessero essere maggiormente importanti in processi di innovazione che necessitano di maggiori relazioni formali. In realt quella componente del capitale sociale non sembra essere significativa. Unipotesi che le diverse determinanti della parteci-

Capitale sociale, reti di relazioni e innovazione 229

pazione politica non consentano di impiegare la variabile nel senso descritto e che per cogliere tale aspetto sia necessario ricorrere ad altri descrittori. Linsieme dei risultati ottenuti da Laursen e Masciarelli (2007) costituisce dunque unimportante validazione e precisazione, a livello di impresa, di quanto sostenuto da Hauser, Tappainer e Walde sulla base di un confronto tra regioni.

8.6

Conclusioni: le politiche a favore della concentrazione territoriale dellinnovazione

Il capitale sociale e di relazione di un territorio stato spesso usato come un passepartout per la spiegazione di molti fenomeni localizzativi. Si tratta, viceversa, di un concetto estremamente delicato il cui impiego richiede unattenta esplicitazione delle connessioni tra le variabili che si intendono spiegare e i fattori che entrano nella definizione del capitale sociale. Nellanalisi di un fenomeno composito come linnovazione, lidea affascinante che un vasto capitale di relazioni sostenga gli scambi informativi e la trasmissione di conoscenze contestuali e non codificabili, va declinata attentamente con riferimento sia a specifiche dimensioni del capitale sociale, sia a definite attivit che caratterizzano i processi innovativi. I processi innovativi necessitano di una rete di relazioni simultaneamente formali e informali che permettano scambi di informazioni e conoscenze. I processi innovativi non sono influenzati infatti soltanto dal comportamento dei singoli agenti del sistema, quanto soprattutto dalle relazioni dirette e di feedback fra tali agenti (Edquist, 2003). Tutto ci rende il ruolo delle interdipendenze fra gli agenti essenziale per il successo dei processi innovativi. Recenti studi empirici hanno inoltre evidenziato che tale rete di relazioni deve essere permeabile per evitare fenomeni di ossificazione o pi precisamente di groupthink5 (Janis, 1982) delle dinamiche relazionali, esiziali per i processi innovativi. Tuttavia, la permeabilit delle reti relazionali solo in parte compatibile con il processo cumulativo del capitale relazionale. Pertanto, la tesi di questo capitolo la seguente: piuttosto che un valore assoluto di capitale sociale, ci che pu essere opportuno sviluppare e soprattutto manutenere un blending di modelli relazionali appropriato ai modelli di innovazione prevalenti in un territorio. Gli studi empirici presentati, infatti, costituiscono primi tentativi di aprire la scatola nera delle relazioni tra le dimensioni del capitale sociale e le tipologie di innovazioni. Le prime evidenze empiriche raccolte suggeriscono che essere localizzati in regioni caratterizzate da un alto livello di capitale sociale nella dimensione della presenza di condizioni di integrazione sociale, specialmente lungo la dimensione dellattivit associativa, aumenta la propensione allinnovazione, soprattutto in termini di innovazione di prodotto. Si tratta ovviamente di studi ancora in una fase iniziale. Interpretarli come unindicazione per le politiche di sviluppo, sostenendo ad esempio che linvestimento in capitale sociale sia una premessa per lo sviluppo, pu essere avventato: le storie dei processi di sviluppo, le modalit e i territori in cui si attuano e diffondono sistemi innovativi sono quanto mai varie. Preferiamo invece sostenere una versione debole delle implicazioni

230 II. le reti

di politica industriale dei risultati ottenuti. Lesistenza di capitale sociale una condizione necessaria ma non sufficiente per innescare processi innovativi e quindi di sviluppo del territorio, e pertanto suggeriamo che lo sviluppo territoriale si debba basare su condizioni di appropriatezza tra modello di crescita e condizioni sociali. In altri termini, opportuno tenere presente le contingenze territoriali e settoriali specifiche che caratterizzano un contesto territoriale. Lapproccio evolutivo allo studio dei sistemi dinnovazione, partendo dallipotesi di dinamicit del contesto in cui gli agenti del sistema operano, assume prospettive storiche ed evolutive, che hanno negato il concetto di sistema dinnovazione ottimo o ideale (Edquist, 2003, p. 7). Possiamo confrontare le performance di due o pi sistemi dinnovazione esistenti, oppure individuare un benchmark e utilizzarlo come modello di efficienza, ma non possibile confrontare un sistema dinnovazione esistente con un modello teorico ottimale, valido sempre e comunque nel tempo (Edquist, 2003). Nel dibattito attuale sulle politiche industriali la realizzazione di condizioni di appropriatezza si indirizzata lungo due alternative. La prima consiste nel subordinare la promozione di innovazioni alla realizzazione di condizioni locali maggiormente ricche di coesione sociale e di condivisione di obiettivi comuni. Va in questa direzione, in Italia, lesperienza dei patti territoriali che subordina lintervento pubblico per la realizzazione di progetti territoriali innovativi alla formulazione di progetti che richiedono il consenso delle diverse parti interessate, che sono indotte, in tal modo, a perseguire un obiettivo comune. In una direzione simile vanno anche i tentativi di realizzare una pianificazione strategica delle citt in forma partecipata (Bagnasco, 2003) che, coinvolgendo una molteplicit di soggetti in progetti di sviluppo urbano, rafforzano lintegrazione necessaria allo sviluppo di investimenti con forti componenti di esternalit. Nonostante alcuni successi di questo tipo di esperienze, alcuni critici hanno sottolineato come anche in questo caso la condivisione di obiettivi possa essere solo formale, e possa invece prevalere un accordo finalizzato alla cattura del beneficio. In direzione diversa va chi sostiene che lintervento pubblico non possa che limitarsi a rafforzare la componente istituzionale del capitale sociale, attraverso la realizzazione di condizioni comuni e certe di appartenenza che prescindano da relazioni personalizzate e da reti informali. In presenza di un contemporaneo deficit di innovazione e di capitale sociale, insomma, le politiche pubbliche dovrebbero essere meno politiche industriali e pi dirette a costruire un sostrato comune di identificazione istituzionale senza il quale il mercato non pu operare. Se per molti aspetti questa posizione pu essere condivisibile, occorre nondimeno tenere conto che i primi studi empirici di cui si dispone assegnano un peso minore alla dimensione dellidentificazione istituzionale rispetto a quella dellintegrazione sociale. Inoltre questa posizione non tiene conto a sufficienza del fatto che, come stato notato in precedenza, talora il capitale sociale costituisce un sostituto efficace delle condizioni istituzionali che regolano laccesso al mercato e ne mitigano i fallimenti. La limitatezza degli studi empirici che sinora si hanno a proposito dei fattori sociali che sottostanno ai processi di innovazione e, soprattutto, la scarsit di studi

Capitale sociale, reti di relazioni e innovazione 231

sugli effetti delle politiche pubbliche non possono che suggerire una estrema cautela nellimpiego dei concetti qui presentati per la progettazione di schemi di intervento pubblico. In casi simili, diventa forse pi importante agire perch linformazione relativa a una particolare dotazione di fattori, inclusa quella data dalle esternalit sociali, sia riconosciuta dagli investitori, lasciando agli stessi di conformare le proprie decisioni allottenimento di condizioni di appropriatezza con i territori in cui vanno a investire. Viceversa azioni di politica pubblica non informate che assegnino forti incentivi alla creazione di specifiche aggregazioni di attivit innovative presentano il rischio che gli indirizzi di investimento siano funzionali a massimizzare lopportunit di accedere allaiuto pubblico, anzich alla definizione di un adeguato impiego delle condizioni locali di vantaggio. Ci sembra questo il rischio in cui talvolta si incorre quando si progettano modelli di intervento che tentano di forzare con disegni di politica industriale la realizzazione di condizioni di aggregazione settoriale, senza considerare i meccanismi profondi attraverso i quali la dimensione territoriale si collega alle attivit economiche. Note
1

Lattuazione di una strategia nazionale a favore dei distretti tecnologici una delle azioni pi significative previste dal Piano nazionale per la Ricerca 2005-2007. In Italia, finora, sono stati approvati 25 Distretti Tecnologici, relativi a vari settori e distribuiti nelle seguenti regioni: Campania 1 (materiali polimerici e strutture), Piemonte 1 (tecnologie wireless), Veneto 1 (nanotecnologie), Liguria 1 (sistemi intelligenti integrati per la logistica), Lombardia 3 (ICT, biotecnologie, materiali avanzati), Sicilia 3 (micro e nanosistemi, aerobio e pesca ecocompatibile, logistica), Lazio 1 (aerospazio e difesa), Emilia Romagna 1 (hi-Mech), Sardegna 1 (biomedicina e tecnologie per la salute), Calabria 2 (beni culturali, logistica), Friuli-Venezia Giulia 1 (biomedicina molecolare), Puglia 3 (biotecnologie, hi-tech, meccatronica), Toscana 1 (ICT), Trentino Alto Adige 1 (tecnologie per ledilizia sostenibile). Inoltre, sono in corso azioni preparatorie per la costituzione di altri 4 Distretti nelle regioni: Abruzzo (innovazione, sicurezza e qualit degli alimenti), Basilicata (tecnologie innovative per la tutela dei rischi idrogeologici), Molise (innovazione agroindustriale), Umbria (edilizia sostenibile). Per un approfondimento sul tema si pu vedere il sito: www.ricercaitaliana.it/distretti.htm. Camerer e Knez (1996) hanno mostrato come meccanismi di motivazione, intesi come costruzione di identit sociale o produzione di sistemi sociali di sanzioni, possano agire nel senso di modificare le strutture di incentivo in giochi di conflitto sociale. In realt Putnam (1993), seguendo una lunga tradizione sociologica di partecipazione sociale (Chapin, 1939), spiega che il capitale sociale non si genera in tutti i gruppi di riferimento, ma solo quando tra i membri del gruppo c una relazione orizzontale, come nel caso dei legami personali di amicizia. Di conseguenza non ci sarebbe capitale sociale in gruppi dominati da strutture verticali come possono essere le associazioni criminali. Rispetto a questa obiezione, andrebbe verificato se davvero molte organizzazioni criminali siano rette da relazioni verticali. Le variabili utilizzate per misurare la partecipazione associativa si riferiscono al numero di individui che nel 1999 hanno partecipato a riunioni in associazioni culturali, svolto attivit gratuita per associazioni di volontariato, svolto attivit gratuita per associazioni non di volontariato, dato soldi a unassociazione, e al numero di associazioni di volontariato per 1000 abitanti. Le variabili adottate per la partecipazione politica si riferiscono al numero di individui che hanno svolto lavoro gratuito per unassociazione politica, dato soldi a un partito politico e partecipato a un comizio. Per quanto attiene ai legami di amicizia, le variabili sono state il numero di persone che hanno incontrato i propri amici almeno una volta alla settimana, che sono soddisfatti della

232 II. le reti

relazione con i loro amici, che hanno frequentato bar, pub e club almeno una volta alla settimana. Il concetto di groupthink fa riferimento ad alcuni problemi comuni che possono verificarsi nei gruppi, come la dominanza della discussione da parte di uno o pi membri, leccessiva influenza dei membri di alto rango, la scarsa considerazione delle idee dei membri di rango pi basso e la bassa tolleranza delle minoranze.

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RILEGGERE LIMPRESA
el corso degli ultimi anni laffermazione del tema delle relazioni con il mondo esterno e tra le varie funzioni al suo interno ha comportato levoluzione dellimpresa da organismo meccanico, capace di produrre beni e sfruttare i mercati, a insieme di rapporti in grado di creare valore. La trasformazione ha introdotto per due questioni fondamentali: la necessit di riconsiderare la definizione stessa di impresa e quella di valutare se gli strumenti sviluppati originariamente per gestirla siano ancora utilizzabili in modo proficuo. In altre parole, di rileggere limpresa nella nuova prospettiva. Per rispondere a questa esigenza, un gruppo dei principali esperti sul campo, docenti universitari e consulenti nelle diverse discipline aziendali dal management alla strategia, dal marketing alla produzione e alla logistica , propone una rilettura a tutto tondo dellimpresa, definendo nuovi punti di riferimento per le scienze manageriali e offrendo prospettive originali che i manager di oggi e di domani non possono ignorare.

RENATO FIOCCA professore ordinario di Marketing allUniversit Cattolica di Milano e direttore di Centrimark (Centro di ricerche di marketing) della stessa Universit.
Contributi di: F. Ancarani, S. Baraldi, F. Belussi, M. Benassi, R. Bocconcelli, C. Cant, A. Capaldo, S. Castaldo, D. Corsaro, M. Costabile, A. Cova, B. Di Bernardo, R. Fiocca, R.C. Gambetti, A. Ganzaroli, R. Grandinetti, F. Masciarelli, F. Montagnini, L. Pilotti, E. Prandelli, A. Prencipe, I. Snehota, A. Tunisini, A. Tzannis, G. Verona, E. Zaninotto

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