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ALAIN BADIOU, IL RISVEGLIO DELLA STORIA Inchiniamoci allerede di Platone: Badiou il pi grande filosofo vivente.

. Questa frase di Slavoj Zizek la troviamo sulla fascetta pubblicitaria che avvolge lultimo libro del settantenne filosofo francese Alain Badiou, edito da Ponte alle Grazie e in bella mostra sugli scaffali delle nostre librerie ormai da qualche mese. Zizek, filosofo ormai sempre pi noto alle masse, considera Badiou il punto di riferimento teorico principale allinterno del recente dibattito multiforme attorno allattualit{ dellidea di comunismo (si veda a tal proposito Alain Badiou, Jacque Rancire, Slavoj Zizek, Toni Negri, Lidea di comunismo, Derive Approdi, Roma, 2011). Non a caso, infatti, Zizek fa pi volte riferimento al pensatore francese nei suoi pi recenti testi politici Dalla tragedia alla farsa (Ponte alle Grazie, Milano, 2010) e Benvenuti in tempi interessanti (Ponte alle Grazie, Milano, 2012). In effetti Badiou una voce importante della filosofia di estrema sinistra francese della seconda met del Novecento. Di formazione maoista, si avvicinato a Marx sotto la guida di Althusser e ha dialogato con i nomi pi importanti del panorama francese: Lacan (da cui rimasto profondamente influenzato), Deleuze, Guatteri, Toni Negri, Jean-Francois Lyotard. Il risveglio della storia un libro dal piglio deciso e chiaro, divulgativo ma senza disdegnare un certo linguaggio filosofico, a tratti tecnico. La tesi portante, evidente sin dal titolo, che, mentre gli imperialismi occidentali si sono accomodati su una sempre pi condivisa assenza di conflitto che fa abbioccare la Storia, abbiamo recentemente assistito a una rivolta storica che ha rimesso fortemente in discussione gli equilibri internazionali: la Storia si risvegliata. Questo movimento identificato da Badiou in quel ciclo di rivolte, noto come primavera araba, che ha coinvolto paesi come Egitto, Tunisia, Libia e Siria. La storia non terminata con la caduta del muro di Berlino e dellUnione Sovietica come voleva Francis Fukuyama, uno degli ideologi del capitalismo occidentale che ha fatto scalpore con la sua tesi della fine della storia. Ma vediamo di scendere pi nel dettaglio. Per lautore oggi non ha assolutamente senso parlare di capitalismo creativo e postmoderno (il riferimento qui, chiaramente, a Negri), il capitalismo sempre tale e quale nella sua essenza (basato su politiche di classe, sulla predominanza dei mercati, sullasservimento dei capi di stato, sullespropriazione e lo sfruttamento del proletariato e dellambiente) a quello dellOttocento. Questo il punto di forza per continuare a sostenere lIdea ispiratrice di ogni rivolta, di ogni risveglio storico, e portatrice di libert{: lIdea Comunista. Sin dalle prime pagine Badiou vuole sostenere lattualit{ di questa Idea, la quale non deve viaggiare necessariamente allinterno dei paradigmi marxisti (la questione per lautore non tanto essere marxisti, ma essere comunisti; oggi tutti dice rivelando una certa naivit sono marxisti in quanto attribuiscono un ruolo determinante alleconomia, non tutti invece sono comunisti), e deve trovare vie di

realizzazione alternative a quelle novecentesche del Partito e dello Stato comunista. Nei paesi capitalisti non esistono spinte centrifughe che tentino, con una certa speranza di realizzazione, di resistere alla crescente omologazione della vita imposta dagli stati occidentali, definiti come straordinarie macchine per produrre linesistente. In questi stati possiamo assistere solamente a rivolte sporadiche, immediate o latenti, che non hanno la forza di incidere sul corso storico e rimangono pertanto marginali per la mancanza di organizzazione e di partecipazione delle minoranze attive che le guidano. Ci che ha trasformato le recenti rivolte del mondo arabo (soprattutto quella egiziana e quella tunisina) in rivolte storiche dovuto allincredibile capacit{ di organizzazione, di polarizzazione e di contrazione dellattenzione e della presenza: la minoranza diventa maggioranza, il fatto evento. Il coraggio dei rivoluzionari di questi paesi proprio dei grandi movimenti che cambiano la storia e si esprime nel loro totale rifiuto di accettare i paradigmi delle false democrazie occidentali, in mano a dei capi di stato che in ogni caso, siano essi di destra o di sinistra, sono dei fantocci asserviti agli interessi del capitalismo. Sarkozy, Brown, Zapatero e Merkel sono tutti accumunati da una maniera di pensare la politica basata sullesclusione e sullideologia occidentecentrata del POL (Patrimonio Occidente Laicit), che culla la falsa coscienza del borghese medio, sempre pronto a chiedere la tolleranza zero alla minima scossa. Le rivolte arabe hanno lintraprendenza e la forza per aprire un nuovo percorso, la possibilit della possibilit di una rivoluzione vera e propria: hanno trasformato il luogo del raduno nel Paese (per settimane si parlato di Piazza Tahrir come se fosse lEgitto); hanno coinvolto le masse; la pluralit{ delle voci si fusa in un solo motto, in un unico appello comune e partecipato. Con queste immagini, retoriche e vagamente romantiche, si chiude il libro. Ora, aprendo alla questione di unanalisi critica che riveli i principali limiti dellopera in questione, possiamo dire che questo saggio gi vecchio, e non solamente per evidenti motivi cronologici (il testo stato scritto nel 2011 e tradotto in italiano nel 2012 quando chiaramente tutte le potenzialit che Badiou aveva visto nelle rivolte sono svanite per il corso stesso degli eventi), ma anche per semplici questioni di metodo. Badiou non vuole fare altro che sostenere lattualit{ di unidea di rivoluzione classica, che non deve esser persa di vista. E fin qui va benissimo. Il problema emerge non appena lidentificazione di questo fatto- espressione di una tendenza storica troppo immediata. Per usare il linguaggio di Kant, ben lecito cercare una esperienza in quanto evento come conferma di un proprio disegno teorico razionale, ma bisogna stare ben attenti a non essere troppo schiacciati sullimmediatezza dellesperienza e tentare di assumere luniversale posizione del Sole. Inoltre lecito affermare oggi, di fronte alla crisi economica che coinvolge le pi grandi industrie europee, che le rivoluzioni non si fanno solamente alla luce del

conflitto di classe? Anzi, che questa forma di conflitto deve sparire allinterno della molteplicit dei fini di cui la sola moltitudine che si erge a individuo si pu fare portatrice? Sembra alquanto fragile argomentare, come fa Badiou, simili posizioni sostenendo semplicemente che la massa fa pi paura della classe perch evoca la potenza del generico che rifiuta i nomi separatori, espressione di quellideologia del POL sopra citata su cui si basano le democrazie occidentali. Inoltre, lidea di un risveglio della storia rischia di aprirsi al pi gretto relativismo. Giusto un paio di anni prima della primavera araba importanti quotidiani perfettamente in linea con lideologia capitalistica parlavano con un certo rammarico di un risveglio della storia di fronte allavanzata del colosso cinese sui mercati mondiali. Non necessario, poi, essere dei raffinati teorici per osservare che lidea di un risveglio della storia implichi che la storia possa in alcune epoche dormire e che sia, in definitiva, una parziale condivisione dei paradigmi allinterno dei quali si muove anche Fukuyama, colpevole infine solamente di aver decretato con troppa fretta la fine della storia. Unaltra convinzione, espressa come evidente dato di fatto ma poche volte sistematicamente argomentata, che la forma di organizzazione partitica abbia ormai avuto il suo tempo. A sostituirla si sono presentati quei movimenti di massa realmente in grado di essere pluralistici e rappresentativi della totalit dellIdea del comunismo dialettico, in grado cio di accogliere in s identit e differenza, proprio come lUno-Diade di Platone. Il secolo passato ci ha dimostrato come il Partito che lotta per la costruzione di uno Stato porti a una sorta di immobilismo storico. Questo ha reso il partito una forma di organizzazione obsoleta ai giorni doggi. I termini dei problemi che ci sono stati lasciati in eredit dal comunismo di stato novecentesco sono ravvivati e superati dalle rivolte che riaprono la storia. Ma noi possiamo legittimamente chiederci se la pluralit degli interessi delle masse siano realmente in grado di avere un successo storico se non sono guidate da unorganizzazione, sia essa partitica o sindacale, in grado di polarizzare le potenzialit{ rivoltose presenti allinterno delle nostre fiacche democrazie capitalistiche intorno al conflitto di classe, che, dal momento che non ha senso parlare di capitalismo postmoderno, continua ad avere una sua incisivit storica. Sarebbe forse cos obsoleto affermare limportanza di riaccendere il conflitto di classe? Non sarebbe forse questa la leva per demistificare finalmente le politiche dei nostri stati e dei loro fantocci? Per concludere. difficile nascondere una qualche simpatia per questo saggio dai toni cos decisi e profondamente insoddisfatti per la situazione politica internazionale. Certamente Badiou non le manda a dire, ma per dimostrare lattualit{ della forza dellIdea Comunista dobbiamo forse volgerci altrove. Il problema di questi instant-book filosofici (o per lo meno di una buona parte di essi) la volont espressa dallautore di voler schiacciare a forza il fenomeno storico preso in considerazione sulle proprie tesi classiche, senza alcuna

argomentazione ulteriormente approfondita. Inoltre, la loro superfluit consiste proprio nel fatto che non affrontano quelli che sono i punti aporetici della riflessione politica di sinistra degli ultimi cinquantanni. In questo dimostrano la loro inutilit per un pubblico che si aspetterebbe di essere di essere trasportato sul piano di una rinnovata e revitalizzata discussione. In poche parole, simili libri non sono nientaltro che lennesima manifestazione di una crisi della sinistra e della sua incapacit{ di tornare a essere attuale allinterno di coordinate teoriche che tentino di risolverne le aporie. Per quel che ci riguarda, Il risveglio della storia appare come un manifesto politico troppo affrettato e ormai scaduto, per cos dire.

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