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ELEMENTI DI SEMIOTICA DI BASE E CENNI DI RETORICA

Appunti a cura di Sandro Sproccati

Per un riscontro dettagliato delle prime lezioni di Semiotica dellarte, che hanno valore di introduzione propedeutica allargomento del corso, si rimanda ad alcuni testi di carattere generale (vedi bibliografia di base, in appendice). In particolare, si vedano: per lanalisi del significante Mounin 1971, Eco 1975 (sezioni 0.5, 0.6, 0.7, 2.1, 2.2, 2.3, 2.6) e Stam, Burgoyne, Flitterman-Lewis 1999 (capitolo 1); per lanalisi del significato (o semantica) Mounin 1975, Eco 1975 (sezioni 2.8, 2.9 e passim) e Greimas 1969; per la retorica Gruppo 1976; per la teoria del segno iconico Eco 1975 (sezione 3.5 e passim), Gruppo 2007, Kepes 1971, Calabrese 1980. Si offrono qui, ad ogni buon conto, alcune definizioni di concetti e categorie fondamentali, al fine di stabilire un prontuario di strumenti indispensabili a una migliore ricezione del discorso che verr svolto in aula. Linguistica strutturale. E la disciplina che, a partire dalla definizione di segno offerta nel 1905 da Ferdinand De Saussure, ha sostituito la linguistica classica, riformandone le categorie e, soprattutto, gli scopi. Essa si propone, infatti, di studiare il funzionamento delle lingue naturali (ossia del linguaggio verbale) sulla base dei suoi meccanismi attivi, disinteressandosi pertanto (come scelta metodologica) dei problemi dellevoluzione, dellorigine, e dei sustrati psicologici delle lingue. Si fonda sulla concezione del linguaggio come struttura (vedi sotto) o come insieme di strutture coordinate. Semiotica (o Semiologia). Correlata storicamente alla linguistica strutturale, la semiotica parte dal presupposto della linguisticit di qualsiasi evento culturale, vale a dire dalla convinzione di poter reperire valore comunicativo in ogni gesto della vita delluomo. Fonda tale estensione del concetto di linguaggio sulla definizione strutturalista di segno (vedi sotto) e sulla validit gnoseologica del modello del medesimo, scoprendolo scientificamente applicabile a sfere di fenomeni molto pi ampie di quella del linguaggio tradizionalmente inteso. Segno (o FUNZIONE SEGNICA). Rappresenta il modello di qualsiasi processo di comunicazione, ed concepito come rapporto funzionale tra un evento di carattere fisico (SIGNIFICANTE) e uno di carattere psicologico (SIGNIFICATO). I due funtivi della funzione segnica sono in relazione di reciproca dipendenza: esistono come tali solo dal momento in cui entrano in rapporto. Secondo Ferdinand De Saussure, occorre non confondere il segno con uno dei suoi due funtivi, levento fisico, ossia il significante. Nel linguaggio verbale tale evento sonoro (lemissione vocale). Il segno invece e soltanto il rapporto che lega il significante al proprio significato. DEFINIZIONE DI SAUSSURE (1905). Elaborata nel Cours de Linguistique Gnrale (pubblicato solo nel 1916), afferma il carattere di intenzionalit e di artificialit del segno, presupponendo quindi un produttore umano dotato di volont di comunicare. Artificio intenzionalmente prodotto da un essere umano per comunicare o esprimere qualcosa ad un altro essere che permette di associare un evento fisico a una rappresentazione mentale e viceversa. DEFINIZIONE DI PEIRCE (pubblicata nel 1931 ma elaborata verso la fine del secolo XIX). Molto pi ampia e possibilistica della precedente, permette di estendere la nozione di segno a fenomeni di origine naturale e dunque anche in assenza di intenzioni comunicative. Unica condizione che vi sia un destinatario, ossia qualcuno che legge il segno come tale: Segno qualcosa che per qualcuno sta al posto di qualcosaltro, sotto certi aspetti o modalit. Questa definizione alla base di una semiotica radicale, la quale assume di poter attribuire valore comunicativo in tutto ci che pu essere oggetto di conoscenza e di interpretazione (in base ad essa, ad esempio, il fumo in un

bosco pu essere inteso come significante, ossia indice, di un incendio). Simbolo, Icona, Indice. Secondo la semiotica di Peirce, occorre tuttavia distinguere tre grandi categorie di segni: 1) i Simboli, o segni simbolici, nel quali il rapporto tra significante e significato arbitrario e dunque convenzionale, i quali corrispondono pertanto alla definizione di segno data da Saussure (esempio: il segno verbale); 2) Le Icone, o segni iconici, dove il rapporto in parte convenzionale e in parte motivato (esempio: le immagini pittoriche cos dette figurative, dove vige il dogma della somiglianza tra significante e significato); 3) Gli Indici, o segni indexicali, dove il rapporto totalmente motivato ed sorretto da meccanismi di causa-effetto (esempio: limpronta di un orso impressa sul fango in un bosco, che pu essere interpretata come significante della presenza dellorso stesso). Ovvio che gli indici i quali non richiedendo n intenzione, n convenzione e dunque tanto meno codice non potrebbero mai essere ammessi alla dimensione del linguaggio in base alla linguistica di Saussure. Tuttavia, per poter contemplare come segni le icone, ovvero per poter parlare di linguaggio delle immagini, occorre ammettere che il principio della motivazione possa agire nel rapporto segnico, e dunque, per coerenza tener conto anche della situazione degli indici (dove la motivazione totale). Daltra parte larte contemporanea con il ready-made duchampiano prevede pure il caso in cui un oggetto fisico diviene addirittura significante di se stesso (ossia del concetto di cui referente vedi oltre). Codice. E per Saussure ci che garantisce il rapporto segnico, ossia un insieme di norme che arbitrariamente sanciscono e regolamentano il legame tra il significante e il significato, permettendo la significazione. In tal senso Saussure chiama langue il codice e parole il segno. In termini pi moderni si pu dire che il gesto individuale e occasionale di adibizione del linguaggio (e dunque di produzione segnica) costituisce PROCESSO DI COMUNICAZIONE, mentre la possibilit che il codice offre di attuare un simile gesto costituisce il SISTEMA DI SIGNIFICAZIONE. Occorre precisare che vi il rapporto di dipendenza (non reciproca), per cui ogni processo presuppone lesistenza e la messa in atto di un sistema, mentre lesistenza di un sistema pu essere ipotizzata o verificata anche in assenza di processi. Estensione del concetto di linguaggio. E solo della nostra epoca la possibilit di concepire in termini di linguaggio attivit lontane (almeno a prima vista) dalluso della parola, come per esempio le cosiddette arti visuali o plastiche. Alluso ingenuo di espressioni come il linguaggio della fotografia, o il linguaggio della pubblicit, occorre sostituire la consapevolezza che, ogni qualvolta cos ci si esprime, si ipotizza o si dichiara la presenza di funzioni segniche e dei relativi codici che le legittimano. La semiotica ha tentato di mostrare, a titolo desempio, che esiste un segno architettonico (con relativo codice), nel quale il significante (ovvero loggetto architettonico) denota la funzione pratica per il quale stato costruito (cfr. Koenig 1974). La semiologia estetica si preoccupa infatti di reperire la presenza del segno nelle varie prassi artistiche e di definirne i termini di attivit. Struttura. A livello di definizione essenziale, struttura nientaltro che un un insieme di interdipendenze interne. Ovvero un oggetto unitario ma scomponibile in entit che sono: a) in reciproco rapporto funzionale, b) in rapporto funzionale con il loro insieme, ovvero con loggetto complessivo. Saussure ha usato, per il linguaggio, la metafora della scacchiera, nella quale ciascun pezzo trae valore dalla sua posizione (rapporto con linsieme) e dalla posizione di tutti gli altri pezzi. In una struttura ogni elemento indispensabile alla definizione della struttura stessa ed pertanto definibile come strutturale. Gli elementi che, eventualmente, non lo fossero, di fatto non partecipano alla struttura: sono quindi elementi non strutturali.

Analisi strutturale. Consiste nel reperire la definizione di una struttura attraverso lindividuazione dei suoi elementi costitutivi e delle relazioni di interdipendenza che sussistono fra di essi. Tali elementi vengono chiamati UNITA STRUTTURALI, o anche in linguistica TRATTI PERTINENTI. Nellanalisi strutturale di un tavolo (cfr. Mounin 1971), non sar necessario individuare n il materiale di cui costruito n lo stile che vi stato impresso, bens le unit minime indispensabili e sufficienti a espletare il suo funzionamento, in termini pi banali: quelle che devono esserci per poter avere effettivamente un tavolo. Per tanto la formula strutturale in questo caso sar: 4 gambe (sostegni verticali) + 1 ripiano orizzontale. Data la definizione strutturale di un oggetto siamo sempre in grado di ricostruire quelloggetto e solo quello. Tratti pertinenti. Sono le unit minime strutturali dei due funtivi del segno. Ma, mentre per il funtivo significante lanalisi ha dato ottimi risultati, per quello significato la linguistica (ovvero la semantica) ha offerto solo ipotesi per lo pi assai discutibili. La scomposizione in tratti pertinenti permette di individuare il meccanismo funzionale che regola il funtivo (per esempio il significante), e dunque di reperire alcuni momenti fondamentali del codice di un certo linguaggio. DESTRUTTURARE un linguaggio (individuarne i tratti pertinenti) equivale a definire, perci, il suo sistema di significazione. Catena parlata. Preso nella sua generalit, il piano del significante, nel linguaggio verbale, coincide con la catena parlata, ovvero con lemissione ancora non analizzata di suoni che un mittente produce e che un destinatario dovr decodificare, ossia interpretare. Il punto di partenza della linguistica strutturale una nuova analisi del significante, ossia della catena parlata (dellemissione vocale) che prescinde da antiche nozioni quali periodo, frase, proposizione, parola, sillaba, lettera alfabetica. Tutte queste nozioni, infatti, derivano dallapplicazione di categorie non linguistiche (la logica e la filosofia producono i concetti di proposizione e di frase), oppure da un modello improprio giacch basato su una ipercodificazione (quello della scrittura vedi sotto , che produce le nozioni di lettera alfabetica e di parola), oppure da osservazioni empiriche dotate di scarso valore scientifico (come quella che produce la nozione di sillaba). Doppia articolazione. Il linguaggio verbale, ossia la lingua naturale, lunico tipo di linguaggio conosciuto che organizza il proprio significante su due piani distinti e inscatolati luno nellaltro. Per semplificare, si pu dire che esso rappresenta una struttura di strutture, ossia una struttura i cui tratti pertinenti formano ciascuno unaltra struttura. La prima articolazione strutturale del linguaggio verbale prevede come unit minima (ossia come insieme di tratti pertinenti della catena parlata) il MONEMA. La seconda articolazione prevede a sua volta che il monema sia una struttura formata da altre unit minime pi piccole (ovvero dai suoi tratti pertinenti) che vengono dette FONEMI. Giova ricordare che con circa 25-30 fonemi le lingue pi complesse costruiscono oltre 200.000 monemi, e che con tali 200.000 monemi ciascuna lingua pu costruire miliardi di enunciati, ossia le infinite possibilit della catena parlata. Grazie a questa doppia articolazione, quello verbale il pi economico e funzionale dei linguaggi umani (da 25-30 unit elementari di suono a miliardi di enunciati). Monema. E lunit minima di significante (ossia di suono) dotata di senso. Siamo a livello di analisi del significante, e il senso interviene qui solo per definire lunit minima a livello di prima articolazione. Non deve essere confuso con ci che i grammatici classici chiamavano parola. (Esempio: in RE/IM/BARCH/IAMO vi sono quattro monemi; in ROSS/O ve ne sono due poich la terminazione /O/ reca da sola il senso maschile, singolare: in /CASO MAI/ ve ne uno solo poich i due significati di /CASO/ e /MAI/ non dnno per somma il significato unitario di /CASO MAI/). 3

Fonema. E lunit minima di significante (ossia di suono) non dotata di senso, vale a dire la minima in assoluto. Non va confusa con la lettera alfabetica, che concetto approssimativo e basato sul codice della scrittura: per esempio, in italiano le lettere /c/ e /g/ corrispondono ciascuna a due fonemi, per altro molto lontani tra loro dal punto di vista sia fisico (lunghezza donda del suono) sia fisiologico (lavoro impiegato dallorgano vocale per ottenerlo), mentre /c/ e /q/ corrispondono a un fonema solo e identico, e /h/ non corrisponde ad alcun fonema. Si distinguono, per le lingue europee, fonemi vocalici e fonemi consonantici. I fonemi hanno poi tra loro rapporti di parentela basati sulla loro natura fisiologica (vi sono le labiali, le dentali, le occlusive, ecc.). Commutazione. E il metodo scelto dalla linguistica strutturale (cfr. Hjelmslev 1968) per lindividuazione dei tratti pertinenti sia a livello di prima che di seconda articolazione (monemi e fonemi). Ogni tratto veramente monema o fonema quando, commutandolo con una unit del medesimo livello, si produce mutamento o perdita di significato. Per ci che riguarda i fonemi, inoltre, occorre dire che solo la funzione distintiva che essi esplicano nel monema a permetterci di distinguerli (nelluso della lingua) dalle infinite varianti individuali e contingenti (accenti locali) di un medesimo fonema. Cos ad esempio in spagnolo castigliano i suoni corrispondenti ai fonemi italiani /v/ e /b/ costituiscono un unico suono (che non viene percepito come duplice dagli utenti di quella lingua), e viceversa in inglese ancora per esempio si usano due fonemi diversi che un italiano tende ad assimilare entrambi nel suono /z/. La funzione del fonema quella di distinguere tra loro i monemi che differiscono per una sola unit di suono (esempio, in italiano: /bene/, /vene/, pene/, rene/). Sintagma. Come si visto, lanalisi strutturale conduce a isolare e definire elementi del significante (tratti pertinenti) dotati di precisa funzione nel meccanismo della significazione, e tralascia le suddivisioni empiriche tradizionali. Tuttavia, ad un livello pi ampio del monema, essa ha riconosciuto la pertinenza strutturale (sia pure secondaria) del sintagma, che si definisce come un gruppo di monemi correlati tra loro da una marca sintattica (ci che la grammatica classica chiama concordanza). Ad esempio nellenunciato io sono goloso / di buoni cibi abbiamo due sintagmi. La catena parlata pu perci essere, a livello di significante, cos schematizzata: fonema > monema > (sintagma) > (enunciato) > catena parlata Branche della linguistica. Abbiamo diverse discipline per ciascun aspetto problematico della lingua. La FONOLOGIA (fondata da Trubeckoj negli anni venti) si occupa del livello del fonema, e in generale dei problemi della produzione di suono linguistico. La SINTASSI eredita gli interessi della grammatica classica e si occupa di monemi, di sintagmi e della loro organizzazione strutturale. La LESSICOGRAFIA si occupa ancora dei monemi, ma li considera sotto specie di lessemi, ovvero di unit del lessico di una certa lingua. La SEMANTICA si occupa di problemi relativi al piano del significato, ed perci sottodisciplina sia della linguistica che della semiotica. La STILISTICA si preoccupa delle modifiche (sia a livello di segno che di codice) apportate sul linguaggio da unintenzione estetica. La RETORICA, che pu essere vista come branca o come estensione della stilistica, prende in considerazione quelle modifiche che mettono in crisi il rispetto delle norme del codice linguistico. La PRAGMATICA studia gli usi pratici di una lingua. Scrittura. Deve essere considerata, a livello storico, il risultato di una prima (sia pure empirica) analisi funzionale del linguaggio. Si tratta, in effetti, di un sistema semiotico atto a ricodificare il significante verbale in significante grafico (nella scrittura dette fonetiche), in modo tale che essa agisce per mezzo di significanti (grafici) di significanti (fonici), secondo lo schema:

Il che vuol dire che, per giungere al significato partendo dalla scrittura, occorre attraversare due codificazion) diverse. La scrittura, inoltre, sottrae agli enunciati unintera serie di segni aggiunti, che i linguisti chiamano TRATTI SOVRASEGMENTALI, come la mimica vocale, i fenomeni accentuativi, inflessivi, tonali, ecc.; ma pu aggiungere, dal canto suo, altri segni di tipo prosodico (cosa che avviene principalmente in letteratura). Caratteri essenziali del segno verbale. a) ARBITRARIETA DEL SEGNO. Nel linguaggio verbale, a differenza che in taluni altri linguaggi, lunica garanzia allassociazione di un determinato significante con un determinato significato, data dalla sovranit del CODICE, che stabilisce in modo del tutto arbitrario il rapporto segnico. Ci vuol dire che la funzione segnica basata su una convenzione accettata da tutti i parlanti una medesima lingua (convenzione intersoggettiva) ma priva di qualsivoglia fondamento logico di tipo oggettivo (con la parziale ma del tutto problematica eccezione dellonomatopea e di alcuni processi di derivazione etimologica). b) PRESENZA DELLA STRUTTURA. Gi ampiamente verificata per il significante verbale (vedi sopra), essa risulta difficilmente riconoscibile in altre forme del linguaggio, come, per esempio, in quello delle arti plastiche. c) CARATTERE DISCRETO DELLE UNITA STRUTTURALI. Ogni unit segnica (sia a livello di prima che di seconda articolazione) si d come distinta da tutte le altre e sempre uguale a se stessa. Un certo fonema sempre e solo se stesso, al punto che il suo valore non dipende mai dalla sua quantit, ma solo dalla sua posizione rispetto alle altre unit nella catena parlata. d) DOPPIA ARTICOLAZIONE DELLA STRUTTURA COMBINATORIA DELLE UNITA. Come gi detto un repertorio minimo di venti-venticinque fonemi permette in ciascuna lingua linfinitezza delle produzioni segniche grazie a due distinti livelli di combinazione del repertorio medesimo, secondo il principio della struttura di strutture. e) LINEARITA DEL MESSAGGIO. Lenunciato verbale (catena parlata) si dispone sulla linea continua e irreversibile del tempo, al punto che qualsiasi mutamento di posizione rispetto a tale dimensione muta o annulla il senso del messaggio. Nella scrittura si ha la conversione simbolica della linearit temporale in linearit spaziale. Il segno grafemico, la traccia nera che si dispone da sinistra a destra e dallalto in basso, serve a tradurre sul piano della pagina (visualizzandolo) il flusso orale della parola: in tal maniera la scrittura tiene fermo, tra i suoi parametri cruciali, proprio il motivo della temporalit; vale a dire, non mai indifferente ai fini della significazione il problema di ci che viene prima e di ci che viene dopo. Cos si pu parlare, senza tema di smentite, di una condizione diacronica del segno verbale in contrapposizione alla condizione sincronica (fruizione simultanea) del linguaggio dellimmagine. Semantica. Referente e Contenuto. Quando Saussure cerc di definire il significato nella funzione segnica, sottoline che si tratta di un evento puramente psicologico-concettuale, e non di uno stato della realt extralinguistica, come potrebbe apparire a una concezione ingenua del linguaggio. Nel 1923 Ogden e Richards elaborarono tuttavia un modello riformato della funzione segnica nel quale entra sia loggetto extralinguistico (la cosa della realt) sia la sua rappresentazione concettuale, giungendo in tal modo a ipotizzare una struttura triangolare (invece che bipo5

lare) del segno medesimo. Cos:

LESPRESSIONE ovviamente il significante (che gli autori chiamano anche simbolo), il CONTENUTO il significato gi descritto da Saussure, anche qui drasticamente concepito come entit psicologica (rappresentazione), e il REFERENTE loggetto della realt extralinguistica a cui il contenuto si riferisce. E opportuno aggiungere qualche considerazione. Si deve escludere che oggetti extralinguistici rientrino, a qualsivoglia titolo, nel processo segnico (il triangolo Ogden e Richards pertanto scarsamente attendibile se lo si considera quale scientifica rappresentazione del segno). Non tutti i segni sono rapportabili a un referente, dal momento che il linguaggio non si riferisce solo a oggetti reali ma anche a rappresentazioni concettuali prive di corrispettivo fisico (qual , per esempio, il referente di ammirazione?). Ammesso che il referente non sia intralcio e nientaltro (zavorra metodologica, ovvero una concessione inutile al senso comune, il quale pretende che il linguaggio in qualche modo parli della realt), occorre chiedersi data la selezione gnoseologica che il linguaggio opera (vedi sotto) se esso sia realmente identificabile con unentit concreta o non con una specie di altra rappresentazione in qualche modo meno astratta del contenuto; alla espressione /sedia/ corrisponde un certo contenuto concettuale, e quindi, come referente, un oggetto concreto... ma quale? Tutte le sedie possibili, o una certa sedia determinata? Possibile che se dico soltanto /sedia/ qualcuno possa pretendere che parlo della famosa sedia di Rietveld e non, per esempio, di una delle centomila sedie tutte uguali (o tutte diverse?) che si trovano nelle scuole dello stato? E allora: qual il referente del mio segno sedia? Unespressione non designa un oggetto, ma veicola un contenuto culturale. Ci spiega perch gli eschimesi facciano corrispondere al nostro segno neve ben quattro segni diversi, ognuno dei quali (oltre ad avere un significante e un significato diverso) dovrebbe pure avere un referente diverso. Il problema che loggetto neve in s e per s non esiste: esiste invece uninfinita variet di stati dellH2O gelata che noi concettualmente riassumiamo (tutti) nello stesso significante/significato, e che gli eschimesi intendono invece con quattro rappresentazioni mentali (e dunque linguistiche) diverse. Certe lingue africane, in compenso non hanno alcun segno per la neve, ma aggiungono un aggettivo qualificativo al segno che posseggono per lacqua (acqua solida, o gelata). Alcune lingue sahariane contemplano per pi di dieci segni diversi per riferirsi a ci che per gli europei sempre e solo sabbia. E cos via. Si potrebbe concludere dicendo cos: dal punto di vista linguistico il referente non esiste, poich il linguaggio organizza la conoscenza del mondo in base a contenuti che universalizzano (e cos facendo distruggono) loggetto reale; dal punto di vista della conoscenza empirica ad ogni segno corrispondono infiniti referenti diversi, tanti quanti sono gli oggetti concreti che con quel segno si possono realmente nominare. Analisi linguistica della realt. Saussure ha per primo intuito che ogni lingua opera sezioni nella massa del pensiero generando un sistema di valori che proprio di coloro che parlano quella lingua. Ci si pu chiedere, si badi bene, se ci non equivalga a dire che il linguaggio a generare il pensiero. In ogni caso, le lingue non analizzano la realt in modo identico tra loro. Al punto, si deve ag6

giungere, che qualsiasi traduzione da una lingua allaltra non che un adattamento di comodo molto spesso ambiguo e approssimativo. Significato contestuale. Prieto ha distinto nel significato due istanze differenti e dialettiche (che non vanno confuse con quelle di denotazione e connotazione, vedi sotto), stabilendo che per ciascun segno si d: a) una significazione, ovvero un significato assoluto e sempre uguale a se stesso (stabilito dal codice e registrato nel vocabolario della lingua), b) un senso relativo e complesso, di volta in volta mutevole. Per cui significazione ! senso, anche se esiste tra loro una precisa dialettica. Nellespressione io verr domani, ciascun monema ha il suo significato preciso e stabile, ma il senso dellespressione dipende dal contesto in cui essa pronunciata, vale a dire: 1) dallidentificazione di colui che dice io (il mittente), 2) dalla posizione del destinatario in rapporto a quella del mittente (contesto spaziale), 3) dal momento in cui il messaggio viene pronunciato (contesto cronologico). Esistono pure teorie situazionali del significato, per le quali il significato risulta coincidere con la situazione in cui il messaggio pronunciato sommata alle risposte, comportamentali o linguistiche, che esso ottiene dal destinatario (Bloomfield). Anche Meillet ha insistito sul problema delluso che si fa del linguaggio (di ogni singola espressione) per definirne il senso. Infine, la posizione pi radicale senzaltro quella di Wittgenstein: Una parola non ha significati, ha soltanto usi (Wittgenstein 1967). Tutte queste osservazioni, senzaltro accettabili, contribuiscono a configurare il significato, nella funzione segnica, non come nucleo compatto di eventi psicologici, ma piuttosto come sfera sfumata ed estremamente rarefatta ai bordi, capace di pulsare in un alone di indeterminatezza. Struttura del significato. Da ci riesce ovvio che lo strutturalismo, nel tentativo di applicare i suoi metodi alla semantica, sia incorso in enormi difficolt e non pochi fallimenti. Se per il significante verbale bastano dalle 20 alle 25 unit di base (i fonemi) a costruire tutte le infinite possibilit di enunciazione, sul piano del significato le cose non stanno cos. Hjelmslev ha per primo proposto di ricercare le unit di base della semantica, chiamandole SEMI e partendo dal postulato che ogni SEMEMA (ossia ogni unit significativa corrispondente al monema) sia composto da un certo numero di semi: (MONEMA) SEMEMA = 1 SEMA + 2 SEMA + 3 SEMA + 4 SEMA... per cui, ad esempio, automobile = veicolo + trazione a motore + a quattro ruote + per il trasporto di persone. Senza dubbio si pu applicare qui il metodo strutturalista della commutazione: se si commuta il 2 sema si ha carrozza, se si commuta il 3, per esempio, motocicletta, ecc. ecc. E tuttavia si intuisce che, procedendo analogamente con altri sememi si reperiscono infinite categorie di semi. Campo semantico. Qualche risultato, attraverso lanalisi semica, stato tuttavia raggiunto. Si tratta di procedere nellambito di settori limitati (concettualmente) del lessico, come quello per esempio dei sememi che indicano oggetti dabitazione, oppure legami di parentela, oppure animali. E questa una operazione estremamente complessa di classificazione e sistemazione logica, che solo in rari casi ha dato ragguardevoli risultati. Vi sono senzaltro territori del lessico che si prestano, in quanto gi di per s mostrano un alto livello di organizzazione logica, e altri che sono invece del tutto refrattari allanalisi strutturale semantica. Ad ogni modo, oltre a Hjelmslev 1968, per approfondire alcuni dei problemi (e un particolare suggestivo modello) della semantica strutturale, si pu vedere Greimas 1969.

Denotazione e connotazione. Tutto ci che di attendibile la semantica finora riuscita a costruire intorno alla struttura del significato si riferisce senza dubbio al livello dei processi denotativi (ossia al DENOTATUM del segno). Allorch ci si inoltra, anche minimamente, in quellimpossibile labirinto che costituito dalla connotazione, ci si trova di fronte alla sostanziale imprendibilit del significato (che tanto affascinava un poeta come Mallarm). Esistono varie concezioni della connotazione. A un livello molto generale, si pu dire che il CONNOTATUM di un segno quella parte del suo significato non riconducibile immediatamente alle definizioni del vocabolario, dipendente da suggestioni di vario genere, legate spesso a fruizioni soggettive e personali del segno stesso, fortemente influenzate dal contesto in cui il segno si trova, e al quale tuttavia non si pu rinunciare se si vuole descrivere esaurientemente il suo senso complessivo. Per esempio, tra le altre cose, /oro/ connota prosperit, abbondanza, felicit e cos via, mentre /piombo/ connota grigiore (in senso psicologico), durezza, fatica, stenti... Entrambi denotano solo due diversi metalli. Ogni segno linguistico ha uno o pi denotati e (in genere) uninfinit di connotati. I denotati sono quasi sempre tra loro incompatibili, nel senso che il fruitore deve scegliere (interpretando il segno sulla base del contesto) uno di essi, mentre i connotati, per ciascun denotatum, convivono pi o meno pacificamente, secondo lo schema:

Il codice che agisce sulla denotazione sempre un codice forte (condiviso da tutti e relativamente stabile); quelli che regolano la connotazione sono per lo pi codici deboli (legati a situazioni intersoggettive pi ristrette e poco stabili, ossia suscettibili di rapida decadenza e/o trasformazione). Per Hjelmslev (seguto da Eco), si ha connotazione quando un certo significato non dipende direttamente da un significante, ma da unintera e completa funzione segnica, ossia quando il significante in realt formato da un altro significante e dal suo significato insieme. Cos: Se > So = Denotazione (Se > So) > So = Connotazione Si ha dunque semiosi connotativa allorch il significante del processo , in realt, un segno completo. Se il rosso di un semaforo significa (denota) stop, e significa anche (connota) paura, contravvenzione, ecc., ebbene a significare paura, ecc. non il rosso del semaforo in s, ma linsieme (il rapporto) del rosso + lo stop. Ecco un altro schema possibile, nel quale la freccia orizzontale evidenzia la denotazione quella verticale la connotazione:

Linsieme delle connotazioni di un segno ci che estende il suo significato ben al di l del valore lessicale del segno, e che crea quindi un ALONE SEMANTICO. Con ci si estende linfinito espandersi potenziale del senso linguistico con il moltiplicarsi dei suoi contesti di impiego, e con il moltiplicarsi dei suoi fruitori. Se la semantica strutturale, per aver qualche probabilit di esistenza scientifica, ha dovuto evitare accuratamente il problema dellalone semantico e, in senso generale, il labirinto della connotazione, occorre invece tener presente che proprio un impiego creativo (estetico) del linguaggio tende inevitabilmente ad agire su tali territori, forzando la logica della significazione fino al limite massimo di tensione che ciascun segno pu sostenere. Ci che distingue, infatti, un uso pragmatico del linguaggio da un suo uso estetico senzaltro anche se non solo il diverso privilegio che viene accordato: dal primo alla denotazione, dal secondo alla connotazione. Tre concezioni dello stile. La stilistica si occupa degli impieghi (e delle modificazioni) che il linguaggio subisce allorch viene utilizzato in ambito estetico. Qui non il caso di addentrarsi nei meandri di una disciplina assai problematica, che confina con la critica letteraria e con lestetica. Ma giover ricordare tre delle pi interessanti e feconde concezioni dello stile elaborate nel nostro secolo. Stile come trionfo della connotazione. Ne abbiamo appena accennato. Si deve tuttavia precisare che questa concezione fluttua tra due poli: a) quello formato dalla fusione di unidea (ingenua) dello stile come apporto personale espressione della soggettivit irripetibile, ecc. con unidea (altrettanto semplicistica) della connotazione come risvolto soggettivo nellinterpretazione del senso. Una linguistica pratica e molto lontana dai problemi specifici dellopera darte come quella di Martinet (1971) abbraccia senza fatica questa concezione, che tuttavia, pur vicina a certe declinazioni metodologiche e ideologiche della critica ottocentesca, persiste tenace anche presso molta critica letteraria e artistica recente. b) Laltro polo, ben pi interessante, quello che, a cominciare da Mallarm, identifica nella connotazione uno dei princpi attraverso cui il linguaggio si espande fuori di se stesso e mira allindicibile. Qui la poesia metodo per porre in risonanza incessante il linguaggio, attraverso lo sviluppo e la reciproca influenza degli aloni semantici di ciascuna espressione (ottenuti, si badi bene, attraverso un assiduo lavoro sul piano della parole) fino alla sinfonia globale e imprevedibile di un senso liberato dalle regole del codice. Stile come anomalia. Lidea che vi sia stile ogni qual volta vi scarto dalla norma linguistica stata elaborata, quasi contemporaneamente, da Leo Spitzer e dai formalisti russi (cfr. Jakobson 1966). Gi negli anni venti la scuola formalista (oltre ai due citati: Sklovskij, Tynianov, Ejchenbaum, Brik) aveva individuato nello SPAESAMENTO il principio attivo delleffetto estetico. Secondo questa splendida intuizione, infatti, la quantit di informazione portata da un segno linguistico inversamente proporzionale alla probabilit di occorrimento di quel segno nel suo contesto. Il che introduce unidea di stile come DELUSIONE intenzionale e sistematica DELLE ATTESE DEL FRUITORE, e perci come TRASGRESSIONE del codice (se non del codice sintattico, semantico, morfologico e fonetico, per lo meno del codice duso comune). Il romanzo russo ottocentesco, da Gogol a Dostoevskij, ha fornito ottimi esempi di tutto ci, ed su un simile campo di lavoro che i critici formalisti hanno affilato i loro strumenti teorici. Si pensi infine, per un attimo, a quale utilizzo di questo principio ha fatto larte davanguardia, da Duchamp al surrealismo e alla Conceptual Art. Lo spaesamento (che i russi chiamano ostranenje) ovvero lo spiazzamento delle attese del destinatario frustrando il gusto comune e mettendo in crisi labitudine riabilita strumenti usurati e ormai svuotati (i segni, le strutture sintattiche, ecc.) e riattiva i meccanismi psicologici di attenzione e di riflessione in colui che interpreta il testo... Ma non nemmeno tutto qui. A dar retta alla concezione 9

formalista dello stile, si deve credere che un segno sia tanto pi ricco di significato quanto pi giunge insolito alla coscienza di colui che lo impiega o che lo recepisce! Come dire, ancora una volta, che il significato non codificato definitivamente, ma unentit instabile, pulsante, suscettibile di gonfiarsi o di atrofizzarsi a seconda delluso che si fa del segno che lo veicola e del contesto in cui tale segno collocato. Stile come elaborazione. Contigua alla precedente (ma si vede bene che le tre concezioni dialettizzano tra loro e non si escludono reciprocamente) la nozione di stile come esagerazione di importanza conferita al piano del significante, ossia come lavoro intenso sugli aspetti fisici e concreti della lingua, ovvero come plusvalore accordato al testo in quanto entit fisica (sonora o visiva). Tutta larte del nostro secolo evidenzia una simile tendenza a preoccuparsi dei significanti, a fare della forma del testo il vero ed esclusivo significato dellopera. Secondo Valry, la poesia costringe il fruitore a soffermarsi sulle parole (intese nella loro pienezza fonetica e grafica) evitando di passare immediatamente al senso (Valry 1971). Secondo Jakobson, tra le funzioni del linguaggio quella estetica punta laccento sul messaggio, ossia sul significante nella sua fisicit. Da qui lidea che lo stile sia soprattutto unelaborazione ipertrofica (abnorme ed eccessiva) dellenunciato testuale. Si veda in Jakobson 1966 il diagramma delle funzioni del linguaggio: a seconda che laccento (linteresse principale) cada (a) sul mittente si ha funzione emotiva, (b) sul destinatario si ha funzione conativa, (c) sul contatto si ha funzione ftica, (d) sul codice si ha funzione metalinguistica, (e) sul contesto si ha funzione referenziale, (f) sul messaggio si ha funzione poetica o estetica:

dove il contatto il canale impiegato, il codice la lingua in cui avviene il contatto, il contesto linsieme delle circostanze referenziali attorno a cui un certo mittente trasmette un certo messaggio a un certo destinatario, e il messaggio il testo nella sua concretezza di evento sensibile. Retorica. E la disciplina che concerne lo studio degli artifici di modificazione testuale sulla base di esigenze estetiche o conative (ossia persuasive). Di antichissima origine, essa fu sviluppata soprattutto in ambiente latino (Cicerone, Quintiliano), con lindividuazione delle figure che permettono lespletarsi dellartificio retorico e con i primi tentativi di una loro classificazione sistematica. Dopo lepoca dei grammatici barocchi, in cui la retorica ha conosciuto lapice della sua fortuna, essa ha sofferto di un lungo periodo di (almeno apparente) obsolescenza, sotto la spinta di impulsi etici ad essa contrari: ci poich le teorie della creazione di ascendenza romantica negavano diritto di cittadinanza al concetto stesso di artificio, in omaggio a una presunta autenticit dellespressione poetica. In realt le pratiche studiate dalla retorica completamente connaturali alluso del linguaggio e, in particolare, proprio alle sue finalit creative sono sopravvissute (in ottima salute) alla condanna della disciplina che le studiava, e dunque, spesso, con mezzi applicati inconsapevolmente. La coscienza moderna della loro importanza (alla quale la semiotica ha recato notevoli contributi: da Jakobson a Genette e a Barthes) tende a vedere nellartificio retorico una infrazione della norma (pi o meno codificata) talmente essenziale per il buon funzionamento del linguaggio da presupporre che il cos detto livello letterale (o grado zero), vale a dire lespressione non marcata da figura retorica, non sia che unastrazione utile a comprendere per confronto la figura stessa, ma del tutto improbabile 10

sul piano pratico. Per le nozioni esposte di sguito si far riferimento allanalisi in chiave strutturalista offerta dal Gruppo (1976), che rappresenta senzaltro il pi interessante tentativo di recupero scientifico moderno di concetti e termini antichissimi. A tale opera si rimanda (oltre che a Genette 1969-76) per ulteriori chiarimenti e specificazioni, data la voluta brevit della trattazione qui proposta. Livelli retorici. Si distinguono quattro livelli strutturali di intervento (cfr. Gruppo 1976) a seconda che linfrazione sia pertinente (1) al codice FONOLOGICO, (2) al codice SINTATTICO, (3) al codice SEMANTICO-LESSICALE, (4) al codice SEMANTICO-LOGICO della lingua. 1. LIVELLO DEI METAPLASMI. Concerne le variazioni fonetiche operabili sia a scopo di costruzione prosodica (ritmo, metro, ricorrenza fonica), cio in base ad antiche norme della retorica poetica, sia in et moderna a scopo di estrinsecazione della sensibilit linguistica degli autori. Classici esempi di metaplasmi sono quindi la rima, lassonanza, lallitterazione, o, su un altro piano, figure tipicamente metriche come la sinalefe, la dialefe, la sineresi, oppure laferesi, lapocope, la sincope, ecc. 2. LIVELLO DELLE METATASSI. Concerne lorganizzazione sintattica degli enunciati e comporta, per lo pi, linfrazione delle regole codificate sulle quali si costruiscono i sintagmi. La crasi contrazione di un aggettivo e un sostantivo (ad esempio il termine parolibero tanto caro a Marinetti); lellissi eliminazione di una parte sintagmatica obbligatoria (per esempio il verbo in una proposizione); la sillessi invece infrazione di una concordanza grammaticale; lenallage lutilizzazione, per esempio, di un avverbio in luogo di un sostantivo (come in Mallarm: Il vergine, il vivace, il belloggid), oppure di un aggettivo in funzione di sostantivo (Nelloscuro della notte, Mi tuffo nel bl del mare); lipallage, che prevede lo spostamente di una determinazione (aggettivo o altro) dal sostantivo che le sarebbe proprio a un altro che non le compete (Il divino del pian silenzio verde, Carducci, Il bianco affanno della nostra tela, Mallarm). 3. LIVELLO DEI METASEMEMI. Sono le figure pi importanti della retorica, dette negli antichi trattati TROPI: la metafora, la sineddoche, la metonimia. Agiscono sul rapporto Significante/Significato, dunque nel cuore nella funzione segnica, e permettono di attribuire a un significante contenuti che il codice non contempla (o che contempla solo in chiave, appunto, di abitudine retorica ormai codificata). E grazie a questa possibilit che si esprime, probabilmente, il potenziale pi alto di creativit del linguaggio. Occorre tener presente che i metasememi hanno corrispettivi sia pure di difficoltosa analisi anche nellambito delle semiosi di tipo non verbale, come ad esempio nel linguaggio dellimmagine. a) Metafora. Definita tradizionalmente come tropo della somiglianza, permette di traslare il significato di un monema su un semema diverso da quello previsto dal codice ma che ha con il primo alcuni semi in comune (se oro pu significare grano perch i semi /giallo/ e /prezioso/ sono comuni a entrambi i sememi cfr. struttura del significato, lezione precedente). La metafora si produce, dunque, grazie allintersezione che il significato letterale (non espresso, ma virtuale) e quello traslato (espresso se c metafora) attuano reciprocamente. b) Sineddoche. E tropo dellappartenenza, e sostituisce, a livello semantico la parte al tutto o il tutto alla parte (dico vela per dire nave, oppure dico mezzo per dire bicicletta). Il suo funzionamento si spiega benissimo sulla base del concetto di campo semantico elaborato dallo strutturalismo. In pratica, il passaggio dal senso letterale al traslato avviene grazie al loro rapporto gerarchico: il primo esprime un campo semantico al quale il secondo appartiene come singolo semema (o viceversa), in modo che uno dei significati visto come compreso nellaltro. A seconda che il senso traslato sia comprendente il o compreso nel senso letterale si parla di sineddoche particolarizzante o sineddoche generalizzante. c) Metonimia. Viene detta tropo della contiguit, poich si basa su una traslazione tra due significati logicamente contigui, ossia correlati da rapporti di causa-effetto, materia-prodotto, con11

tenente-contenuto (per esempio: ferita per dolore, ferro per spada, bottiglia per vino). In questo caso lipotesi strutturalista del Gruppo che i due sememi della relazione metonimica (letterale e traslato) siano contigui perch entrambi appartenenti a un insieme pi vasto, ossia a un medesimo campo semantico: ipotesi che crea, tuttavia, evidenti problemi. Per esemplificare, riassumiamo: allorch si usa lama (oppure arma o anche arnese) per dire spada si opera una sineddoche, se invece si usa ferro si opera una metonimia, e se sempre per dire spada si usa fallo (implicando fascisticamente la virilit dellaggressione) si opera una (pessima in questo caso) metafora. Infine ricordiamo altri metasememi secondari, come la catacresi (che un tropo metaforico o sineddochico o metonimico utile a sopperire una carenza del lessico: gamba per il sostegno di un tavolo), oppure lossimoro, assai impiegato, che consiste nellaccostamento di due sememi apparentemente inconciliabili, con forte effetto di estraneamento (per esempio, una tenera violenza, labbagliante oscurit della notte, ecc.), ancorch sarebbe forse pi corretto qui deviando dalla classificazione proposta dal Gruppo considerare lossimoro un metalogismo. 4. LIVELLO DEI METALOGISMI. Appartengono a questo livello (che spesso incide sul rapporto tra segno e referente) figure come liperbole, che vistosa esagerazione di giudizio, implicata spesso in una metafora o in un altro metasemema (nella mia privata giungla per dire il giardino di casa, magari poco curato); la litote, che si configura come sottrazione di semi e dunque attenuazione enunciativa (un gradevole soggiorno, riferito allesistenza terrena); leufemismo, che una litote del giudizio negativo a scopi per lo pi diplomatici (ha scarso senso della propriet altrui per definire un ladro); la litote negativa, con la quale, per dare pi forza a unasserzione, ci si limita a negare il suo contrario (non precisamente unaquila); pi in generale le varie forme dellironia; e poi il paradosso (Lichtenberg: un coltello senza lama al quale hanno tolto il manico); e ancora la tautologia, una spiegazione nella quale non si ripetono che i dati gi impliciti nella definizione di ci che si dovrebbe spiegare; e la perifrasi, che una figura della reticenza, poich sostituisce alla designazione diretta di un oggetto un giro di parole che non si aggiunge nulla alla sua conoscenza. Retorica e stilistica. Come si vede, la retorica un catalogato ragionato delle possibilit di intervento trasformativo del significante linguistico. Giova sottolineare che tali possibilit hanno ragion dessere nella misura in cui si deve concepire il linguaggio non come uno strumento oggettivo per uno scopo prefissato e ovvio (la comunicazione), ma come lestrinsecazione principale della volont creativa (ossia conoscitiva) delluomo. Il lavoro sul significante di cui la retorica analizza solo le opzioni pi frequenti allora la base fondamentale di ogni attivit artistica, e come tale andr inteso al di l di qual si voglia intenzione contenutistica esso assecondi. Linguaggio dellimmagine. Con tale definizione si intende oggi qualcosa di estremamente problematico e, purtroppo, ambiguo. Finch con il termine immagine stato possibile riferirsi allambito delle arti figurative e a un loro specifico linguaggio basato sul segno iconico (vedi), al punto che le immagini circolavano nella societ solo perch cerano pittori o incisori che le producevano (ed esse erano per di pi considerate come imitazioni della realt, cos come lo erano, del resto, le immagini mentali della filosofia classica), le cose erano abbastanza semplici. Da quando, grazie a moderni mezzi di produzione, e a causa dello slittamento della pittura (o dellarte plastica in generale) verso orizzonti ben lontani dalla figurazione ovvero dal segno iconico , si pu intendere per immagine qualsiasi prodotto linguistico che si appoggi principalmente allo strumento della vista per essere interpretato, ecco che la nozione stessa di linguaggio dellimmagine divenuta talmente comprensiva da rischiare di essere inservibile. Linguaggio della pittura. Se alla sua definizione non possono contribuire oggi che le caratteristiche di (a) prevedere un supporto bidimensionale, (b) constare di una superficie strutturata in zone di 12

colore pi o meno separate tra loro da confini lineari (ma gi unastrazione di comodo presupporli), (c) rivolgersi principalmente allorgano della vista invece che a quello delludito come il linguaggio verbale, (d) prevedere ma poi davvero necessario? una elaborazione manuale del suo significante, come giungere a dare un quadro esauriente della sua specificit e del suo funzionamento? Come distinguerlo, per esempio, dalla scrittura? O come far rientrare in esso, per esempio, le opere di El Lisickij? O, in un senso diverso, quelle di Alberto Burri? Segno iconico. E veniamo a unanalisi delle caratteristiche di quello che a lungo lestetica ha considerato lunico segno abilitato a costituire il linguaggio della pittura e della scultura, e che i semiologi, a partire da Peirce, hanno voluto rilegittimare, se non altro, come categoria segnica profondamente diversa (nella sua struttura funzionale) dal segno verbale. Fin dallantichit pi remota stato sostenuto che limmagine pittorica, ovvero il segno della figurazione, ha il pregio di somigliare alloggetto di cui parla: come dire, in termini attuali, che il SEGNO ICONICO quello in cui il rapporto Se/So (Significante/Significato) non convenzionale, ma almeno in parte motivato, e in cui il codice ammesso che si tratti di un codice non si fonda su regole arbitrarie di associazione ma su oggettive caratteristiche di somiglianza. In altri termini, nel segno iconico ci sarebbero causalit e naturalit al posto di arbitrariet e convenzione. Che si tratti di un assunto tanto ingenuo quanto (apparentemente) evidente, un sospetto che nasce non appena si riflette su questo dato: per poter parlare di somiglianza tra Se e So occorre dar per scontato che So = R, ossia che Significato e oggetto reale (Referente) sono la stessa cosa. Ma, come abbiamo visto, non cos. E tuttavia, tentiamo di capire che cosa pu voler dire questa strana idea di una somiglianza tra due funtivi della funzione segnica. Morris ha avanzato lipotesi che il segno iconico abbia le stesse propriet delloggetto a cui si riferisce: il che sarebbe come dire che di un quadro si pu fare ci che si farebbe con gli oggetti reali di cui il quadro parla (una pipa dipinta da Magritte pu essere fumata?). Peirce ha corretto losservazione dicendo che Se simile a So. In senso banale, esser simile non che un altro modo per dire che vi sono propriet in comune: ma quali? Lunica propriet che ha un disegno schematico (e non per questo meno iconico) di una mano come osserva Eco 1975 precisamente quella che una mano reale non ha: di essere una linea scura su una superficie chiara. In senso matematico, poi, si ha similitudine tra due figure geometriche quando esse differiscono tra loro esclusivamente per le loro dimensioni... e non sembra proprio tale il caso della presunta somiglianza tra un oggetto dipinto e un oggetto reale. Di altri concetti, come quello di analogia, non vale la pena di discutere, dal momento che essi introducono modalit di pensiero decisamente metafisiche: analogia , per la teoria simbolista, una parentela misteriosa tra le cose, il segno del loro appartenere a una volont uniformante nascosta, ecc. Nozioni scientificamente inutilizzabili! Il sospetto dunque che anche il segno iconico sia frutto di una convenzione culturale: una convenzione cos radicata e cos perfetta da riuscire a sembrare una necessit oggettiva. Tutte le convenzioni culturali riuscite, se sono davvero forti, riescono a non manifestarsi come tali e ad apparire come necessit: i greci antichi, per esempio, pensavano che potessero esserci motivazioni anche dietro il segno verbale, e Platone, nel Cratilo, sostiene proprio questa tesi per noi assai bizzarra. Gombrich ha osservato, nel suo Arte e illusione, che, a prestar fede ai documenti, capitato spesso nel corso della storia che un artista biasimato al suo apparire per la scarsa fedelt al vero naturale sia stato poi considerato, di l a mezzo secolo, quale campione di assoluto naturalismo, e per tanto indicato come esempio da imitare ai giovani pittori dagli accademici di turno (cfr. Gombrich 1965). Cos Eco ha proposto un interessante definizione del segno iconico, una definizione che individua unipotesi di convenzione linguistica, e dunque di codice, gi a livello dellatto percettivo: iconico quel segno che fa corrispondere a un sistema di veicoli grafici [...] unit pertinenti di un sistema semantico che dipende da una precedente codifica dellesperienza percettiva (Eco 1975). Questa tesi, scarsamente utile e maneggevole, permette comunque di ribadire ci che davvero occorre, in 13

ultima istanza, tener presente: il segno iconico, ossia limmagine visiva, con ogni probabilit coniuga in s una componente legata allesperienza della percezione (non linguistica o prelinguistica) del mondo e in ci presenta indubbiamente un elemento di motivazione con una componente convenzionale (ossia codificata, elaborata per mezzo di scelte culturali) che la sola che gli consente alla fine di ogni ragionamento di essere segno e di costituire linguaggio.

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