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SAVERIO MAURO TASSI LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO IL CORSARO EDITORE

Saverio Mauro Tassi

LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO


Lorizzonte contemporaneo: da met '700 alla fine del '900

IL CORSARO editore

SAVERIO MAURO TASSI LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO IL CORSARO EDITORE

BUSSOLA
SCOPERTA - LA REALTA COME COSTRUZIONE DELLA RAGIONE
Cannocchiale su Lorizzonte storico-culturale 1789-1830 MESSAGGIO NELLA BOTTIGLIA: CHE COSE LILLUMINISMO? VIAGGIO I: LA COSTRUZIONE RAZIONALE DELLA REALTA UMANA ROTTA A: IL CRITICISMO, O RAZIONALISMO CRITICO VITA DI UN CAPITANO: IMMANUEL KANT TAPPA 1 Kant: La rivoluzione copernicana TAPPA 2 Kant: La conoscenza sensibile TAPPA 3 Kant: La conoscenza razionale dellIntelletto TAPPA 4 Kant: Lio penso o autocoscienza trascendentale TAPPA 5 Kant: La cosa per noi e la cosa per in s TAPPA 6 Kant: La conoscenza razionale della ragione TAPPA 7 Kant: La confutazione della metafisica TAPPA 8 Kant: La ragione pratica e la legge morale TAPPA 9 Kant: La virt, la santit e il male radicale TAPPA 10 Kant: La libert, limmortalit e lesistenza di Dio TAPPA 11 Kant: La ragione sentimentale e il giudizio riflettente TAPPA 12 Kant: Il giudizio estetico del bello TAPPA 13 Kant: Il giudizio estetico del sublime TAPPA 14 Kant: Il giudizio teleologico TAPPA 15 Kant: La teoria politica e la filosofia della storia TAPPA 16 Kant: La religione morale e la chiesa invisibile VIAGGIO II: LA COSTRUZIONE RAZIONALE DI TUTTA LA REALTA ROTTA A: IL ROMANTICISMO TEDESCO TAPPA 1 Schiller: La pedagogia della bellezza TAPPA 2 Schlegel: La buffoneria trascendentale TAPPA 3 Novalis: L idealismo magico ROTTA B: LIDEALISMO ASINTOTICO VITA DI UN CAPITANO: GOTTLIEB FICHTE VITA DI UN CAPITANO: FRIEDRICH SCHELLING TAPPA 1 Fichte: Lidealismo critico TAPPA 2 Fichte: Lattivit conoscitiva TAPPA 3 Fichte: Lattivit pratico-morale TAPPA 5 Schelling: La fisica speculativa TAPPA 6 Schelling: La filosofia dellarte p. 84 p. 84 p. 86 p. 88 p. 90 p. 90 p. 91 p. 92 p. 95 p. 98 p. 101 p. 104 p. 14 p. 15 p. 18 p. 26 p. 31 p. 36 p. 40 p. 44 p. 50 p. 55 p. 59 p. 64 p. 67 p. 70 p. 73 p. 77 p. 81 p. 7 p. 12

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ROTTA C: LIDEALISMO ASSOLUTO VITA DI UN CAPITANO: GEORG HEGEL TAPPA 1 - Hegel: Lautocostruzione dialettica della realt TAPPA 2 - Hegel: La logica come scienza dellIdea pura TAPPA 3 - Hegel: La natura come alienazione dellIdea TAPPA 4 - Hegel: Lemergere dello spirito come coscienza TAPPA 5 - Hegel: La dialettica dellautocoscienza TAPPA 6 - Hegel: La coscienza infelice TAPPA 7 Hegel: La ragione attiva TAPPA 8 - Hegel: Lo spirito oggettivo TAPPA 9 - Hegel: Famiglia, societ civile, stato TAPPA 10 - Hegel: La filosofia della storia TAPPA 11 Hegel: La conquista dellassoluto VIAGGIO III - LA LIBERAZIONE DAGLI INGANNI DELLA RAZIONALITA Cannocchiale su Lorizzonte storico-culturale 1831-1873 ROTTA A: LIDEALISMO NEGATIVO VITA DI UN CAPITANO: ARTHUR SCHOPENHAUER TAPPA 1 - Schopenhauer: Lillusione conoscitiva TAPPA 2 - Schopenhauer: Il proprio corpo come volont TAPPA 3 - Schopenhauer: La verit dellarte TAPPA 4 - Schopenhauer: La vita umana come sofferenza TAPPA 5 - Schopenhauer: La via della liberazione dal dolore ROTTA B: IL CRISTIANESIMO COME FILOSOFIA DELLESISTENZA VITA DI UN CAPITANO: SREN KIERKEGAARD TAPPA 1 - Kierkegaard: Le forme possibili dellesistenza TAPPA 2 - Kierkegaard: Langoscia come vertigine della libert TAPPA 3 - Kierkegaard: La disperazione come malattia mortale VIAGGIO IV - LA RAZIONALITA SCIENTIFICA COME MOTORE DEL PROGRESSO STORICO-SOCIALE Cannocchiale su Lorizzonte scientifico dellOttocento ROTTA A: IL POSITIVISMO SOCIALE VITA DI UN CAPITANO: AUGUSTE COMTE TAPPA 1 Comte: Il sistema delle scienze TAPPA 2 Comte: La sociologia o fisica sociale TAPPA 3 Comte: lo Stato sociocratico e la chiesa positiva

p. 106 p. 106 p. 109 p. 112 p. 115 p. 118 p. 121 p. 123 p. 125 p. 128 p. 130 p. 132 p. 135 p. 138 p. 138 p. 145 p. 145 p. 147 p. 149 p. 151 p. 154 p. 156 p. 158 p. 158 p. 160 p. 163 p. 166 p. 169 p. 169 p. 174 p. 174 p. 176 p. 179 p. 183

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ROTTA B: IL POSITIVISMO ATEO VITA DI UN CAPITANO: LUDWIG FEUERBACH TAPPA 1 Feuerbach: Lalienazione religiosa ROTTA C: IL POSITIVISMO RIVOLUZIONARIO VITA DI UN CAPITANO: KARL MARX TAPPA 1 Marx: Lalienazione delloperaio TAPPA 2 Marx: Il materialismo storico TAPPA 3 Marx: La lotta di classe, lo Stato socialista e il comunismo ROTTA D: IL POSITIVISMO LIBERALE VITA DI UN CAPITANO: JOHN STUART MILL TAPPA 1 Mill: Utilitarismo qualitativo e Stato liberal-democratico ROTTA E: IL POSITIVISMO EVOLUZIONISTICO VITA DI UN CAPITANO: HERBERT SPENCER TAPPA 1 Spencer: La legge dellevoluzione cosmica

p. 185 p. 185 p. 186 p. 189 p. 189 p. 191 p. 194 p. 197 p. 200 p. 200 p. 202 p. 205 p. 205 p. 207

SCOPERTA: LA REALTA COME CAOS INDETERMINABILE


Cannocchiale su Lorizzonte storico-culturale 1873-1913 MESSAGGIO NELLA BOTTIGLIA: La morte di Dio VIAGGIO I: LA VITA COME GIOCO DELLA VOLONTA DI POTENZA ROTTA A: LA FILOSOFIA DEL MARTELLO VITA DI UN CAPITANO: FRIEDRICH NIETZSCHE TAPPA 1 - Nietzsche: Apollineo e dionisiaco TAPPA 2 Nietzsche: La critica della tradizione metafisica TAPPA 3 Nietzsche: La genesi storica della morale TAPPA 4 - Nietzsche: La morte di Dio TAPPA 5 - Nietzsche: Lannuncio del superuomo TAPPA 6 - Nietzsche: La volont di potenza TAPPA 7 - Nietzsche: La teoria delleterno ritorno VIAGGIO II LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA CONTEMPORANEA ROTTA A - LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA IN PSICOLOGIA VITA DI UN CAPITANO: SIGMUND FREUD TAPPA 1 - Freud: Es, Io e Super-io TAPPA 2 - Freud: Levoluzione della sessualit umana TAPPA 3 - Freud: La terapia psicanalitica TAPPA 4 - Freud: Pulsione di vita e pulsione di morte TAPPA 5 Freud: il Super-io della civilt p. 212 p. 219 p. 221 p. 221 p. 221 p. 227 p. 230 p. 233 p. 236 p. 239 p. 242 p. 245 p. 248 p. 248 p. 248 p. 252 p. 255 p. 259 p. 264 p. 267

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ROTTA B LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA IN FISICA VITE DI CAPITANI: EINSTEIN, PLANCK, BOHR, DE BROGLIE, HEISENBERG, DIRAC, SCHROEDINGER, BORN, PAULI, FEYNMAN, BELL TAPPA 1 Einstein: La relativit ristretta o speciale TAPPA 2 Einstein: La teoria della relativit allargata o generale TAPPA 3 AA.VV.: La teoria dei quanti VIAGGIO III LA FILOSOFIA DELLA SCIENZA POST-RIVOLUZIONARIA Canocchiale su Lorizzonte storico-culturale 1914-1945 ROTTA A IL NEOPOSITIVISMO VITE DI CAPITANI: SCHLICK, CARNAP, NEURATH, HAHN, REICHENBACH, POPPER TAPPA 1 Il principio di verificabilit ROTTA B IL FALSIFICAZIONISMO O RAZIONALISMO CRITICO VITA DI UN CAPITANO: KARL RAIMUND POPPER TAPPA 1 Popper: Il principio di falsificabilit TAPPA 2 Popper: Il principio di verosimiglianza

p. 270 p. 270 p. 276 p. 282 p. 288 p. 295 p. 295 p. 306 p. 307 p. 308 p. 310 p. 310 p. 311 p. 313

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SCOPERTA

LA REALTA COME COSTRUZIONE DELLA RAGIONE

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CANNOCCHIALE SU LORIZZONTE STORICO-CULTURALE 1789-1830 Rivoluzione industriale inglese e rivoluzione politica francese La fine del 700 fu caratterizzata da due grandi eventi, entrambi verificatisi nellarea atlantico-occidentale europea, che trasformarono in profondit la civilt occidentale e determinarono le linee direttrici dellevoluzione storica mondiale del XIX secolo: la rivoluzione industriale sviluppatasi in Inghilterra a partire dallinizio del 700 ma realizzatasi pienamente nel ventennio 1783-1802, nel periodo cio del cosiddetto take off (decollo), che segn laffermazione definitiva e pi radicale del sistema economico capitalistico; la rivoluzione politica avviatasi in Francia nel 1789 e conclusasi nel 1804 con la proclamazione dellimpero di Francia da parte di Napoleone Buonaparte. Lindustrializzazione dellEuropa Una volta affermatosi in Inghilterra, il nuovo sistema capitalistico-industriale di fabbrica (factory system) divent il modello da seguire per tutte le forze economiche avanzate e innovative presenti nel mondo occidentale. Per gli imprenditori si trattava, da un lato, di una scelta intenzionale suscitata dallaspettativa di alti profitti e, dallaltro, di una scelta obbligata per non essere schiacciati dalla concorrenza dei prodotti inglesi. Tuttavia, a causa dei diffusi tradizionalismi, lindustrializzazione si diffuse lentamente e in modo fortemente disomogeneo sia relativamente allintero continente europeo sia allinterno di ognuno dei suoi Stati. Il primo paese a seguire lesempio inglese fu il Belgio; subito dopo fu la volta di Francia, Olanda e Svizzera. A fronte dellenorme aumento della produzione, e quindi della ricchezza globale, la rivoluzione industriale ebbe, soprattutto nellimmediato, altissimi costi sociali. I primi operai, oltretutto in gran parte donne e bambini, erano costretti a lavorare fino a 12 ore al giorno, in condizioni ambientali dannose per la salute, con salari ai livelli della sopravvivenza. Essi inoltre vivevano in quartieri periferici fatiscenti, in case prive di servizi igienici, in una condizione materiale e morale di forte abbrutimento. Crescita demografica e nuova stratificazione sociale Nel corso di questo periodo la popolazione europea pass da circa 180 a circa 230 milioni di abitanti: un aumento percentuale e in cifra assoluta mai prima registrato e soprattutto irreversibile, che si accompagn allinizio dellaumento della durata media della vita, che sarebbe passata dai 30-35 dellinizio secolo ai 40-45 alla sua met. La crescita demografica fu il risultato del miglioramento delle condizioni di vita e soprattutto dei progressi medici per ora soprattutto la vaccinazione antivaiolo scoperta nel 1796 da Jenner - che ridussero la mortalit, in particolare quella infantile. Essa fu, a sua volta, un fattore di spinta allo sviluppo economico, in quanto fu condizione di base dellampia disponibilit, e quindi del basso costo, della forza-lavoro e al tempo stesso contribu ad allargare il mercato dei beni agricoli e industriali. Laumento della popolazione si intrecci con i primi ampi processi di emigrazione e di mobilit sociale suscitati dalla diffusione del capitalismo nelle campagne e dallindustrializzazione urbana. I flussi migratori si svolsero sia allinterno di ogni paese, in particolare di quelli pi industrializzati, con il passaggio di quote sempre pi ampie della popolazione dalle campagne alle citt; sia tra diversi paesi, soprattutto verso i nuovi continenti doltremare: Americhe e Australia. Contemporaneamente si acceler il cambiamento della composizione sociale della popolazione: le classi tradizionali - contadini e nobilt - persero consistenza numerica e 7

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peso economico e politico a favore delle nuove classi della borghesia, del proletariato agricolo (braccianti) e industriale (operai) e della piccola borghesia o classe media. Le rivoluzioni atlantiche Se lInghilterra, che aveva gi abbattuto lassolutismo monarchico nel corso del XVII secolo, tra fine 700 e primo 800 fu teatro di una rivoluzione economico-sociale, in Francia - dove la maggiore forza dellassolutismo e dellancien rgime avevano impedito e rallentato lo sviluppo economico si svolse invece la grande rivoluzione politica cominciata nel 1789. Pi visibile e almeno apparentemente pi violenta e radicale della rivoluzione industriale, la rivoluzione francese fu levento storico che segn la nuova generazione di intellettuali europei che si form culturalmente negli stessi anni. Essa aveva il suo precedente e il suo modello nella rivoluzione indipendentistica nordamericana nel 1776. A sua volta, diede lavvio a un ciclo rivoluzionario che si esaur solo a met dell800 e che ebbe i suoi epicentri sia in Europa sia in America del Sud: in Europa nei moti del 1820 e del 1830 e nelle rivoluzioni del 1848; in Sudamerica nelle rivoluzioni indipendentistiche che si svolsero in pi fasi a partire dal 1808 fino alla met degli anni 20 e che ebbero successo anche grazie allappoggio degli USA. Il regime imperiale di Napoleone Bonaparte, nato sulle ceneri della rivoluzione dell89, ne propag londa rivoluzionaria, in quanto da un lato consolid allinterno della Francia almeno alcune conquiste rivoluzionarie fondamentali, dallaltro le estese ai vasti territori dellEuropa continentale assoggettati dalle armate napoleoniche. In questo modo in tutta Europa i pi retrivi vincoli feudali furono aboliti e si avvi un processo di modernizzazione economica e giuridica, che - una volta terminate le guerre - favor da un lato lavvio dellindustrializzazione e dallaltro la ripresa dei movimenti rivoluzionari. Limperialismo napoleonico, inoltre, stimol per reazione la formazione di una nuova coscienza nazionale e la nascita di movimenti indipendentistici in tutti i paesi europei, preparando in tal modo la nuova fase delle rivoluzioni atlantiche caratterizzata dalla fusione degli ideali liberali e di quelli nazionalistici. Il nuovo assetto geopolitico europeo stabilito al Congresso di Vienna e la costituzione della Santa Alleanza riuscirono a ristabilire lancien rgime solo a livello politico-istituzionale e solo temporaneamente. La cosiddetta et della restaurazione fu pertanto solo un sottociclo di contenimento momentaneo del processo rivoluzionario che sconfitto nel nuovo sussulto del 1820 mander in frantumi il nuovo ordine assolutistico con la nuova, vittoriosa rivoluzione francese del 1830. La trasformazione del mondo culturale La rivoluzione industriale modific radicalmente la sfera della produzione e della fruizione culturale. In primo luogo, lindustrializzazione tecnica, gestionale e commerciale delleditoria unita allaumento della popolazione alfabetizzata diede avvio alla rivoluzione del libro, cio allabbassamento dei costi e alla diffusione di massa dei giornali, delle riviste e soprattutto dei libri. In secondo luogo, nacque e si afferm la tendenza a estendere e a riformare le istituzioni scolastiche per renderle adeguate alle esigenze dello sviluppo industriale. I modelli di tale tendenza furono da un lato lEcole polytechnique fondata in Francia nel 1795 e dallaltro la riforma dellUniversit di Berlino nel 1810 ad opera di Humboldt. In entrambi i casi, si valorizzarono il nuovo sapere matematico-scientifico e la sua applicazione tecnica. In terzo luogo, la convergenza di questi due processi innesc la progressiva laicizzazione e borghesizzazione del ceto intellettuale: mentre prima la maggior parte degli intellettuali (insegnanti, giornalisti, scrittori, poeti, scienziati, artisti) faceva parte del clero o dellaristocrazia ora di estrazione soprattutto medio e piccolo borghese. In questo modo a una concezione dellintelligenza come dote innata delle classi 8

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superiore si sostituisce quella dellintelligenza come merito e talento proprio di un individuo indipendentemente dalla sua nascita. Su questa base, inoltre, la cultura diventa per il piccolo borghese uno strumento di ascesa economico-sociale. Lo sviluppo delle scienze Anche se una piena integrazione tra scienza, tecnica e industria si realizz solo alla fine dell800, gi a partire dallinizio del secolo il progresso tecnico e scientifico fece un salto di qualit grazie al rapporto di interazione con lo sviluppo industriale: da un lato lindustria pi cresceva pi aveva bisogno di fondare i processi produttivi su solide basi teoriche e di rinnovare continuamente la propria tecnologia, dando in questo modo impulso alla ricerca scientifica; dallaltro questultima si estendeva e si approfondiva utilizzando i nuovi strumenti di ricerca e sperimentazione messi a disposizione dallo sviluppo tecnico dellindustria. Emblematica, da questo punto di vista, listituzione per iniziativa dello scienziatoimprenditore tedesco Liebig del primo laboratorio di chimica, nel quale fu utilizzato il cosiddetto sistema di Giessen, cio il primo metodo di collaborazione collettiva applicata alla ricerca scientifica, destinato a diffondersi in breve in tutti i paesi scientificamente avanzati. Grazie anche a questo nuovo rapporto tra industria e scienza, il paradigma materialisticomeccanicistico - elaborato nel 600 da Galilei e Newton e rafforzato nel 700 dai filosofi e dagli scienziati illuministi tocc il suo apogeo. Esso infatti trov nuove clamorose conferme nellavanzare della ricerca fisico-meccanica e contemporaneamente travalic lambito della fisica meccanica dando origine a nuove discipline scientifiche specialistiche quali la chimica e lelettrodinamica. In astrofisica, Laplace perfezion la teoria newtoniana e in base ad essa nel 1796 elabor una teoria meccanicistica dellorigine e della formazione del sistema solare, giungendo poi a sostenere la possibilit di principio di determinare esattamente tutta la catena degli eventi delluniverso sia nella direzione del passato sia in quella del futuro. In campo chimico, il settore davanguardia della ricerca scientifica nell800, di fondamentale importanza furono le prime conferme sperimentali della struttura atomica della materia, dovute a Proust, Dalton e Avogadro. Contemporaneamente, grazie a Galvani, Volta, Ampre e Faraday, furono scoperte le propriet e le leggi dellenergia elettrica e, poco dopo, fu teorizzata e realizzata linduzione elettro-magnetica che avrebbe portato in seguito allinvenzione della dinamo. Il romanticismo Il movimento culturale che diede la sua impronta al passaggio dal 700 all800 fu il romanticismo. Esso nacque alla fine del 700 in aperta polemica con la cultura illuminista, ormai associata allimperialismo napoleonico, e in stretto collegamento con le istanze di indipendenza nazionali degli altri paesi europei, in particolare della Germania. Mentre lilluminismo aveva prodotto una cultura del finito, il romanticismo elabor programmaticamente una cultura dellinfinito. Lintellettuale romantico credeva infatti che la realt nascondesse nelle sue profondit un principio unitario assoluto e infinito e concepiva vita come uno sforzo incessante (streben ) per scoprire e raggiungere tale principio. Ma linfinito per sua natura non n dato oggettivamente ai sensi n razionalmente determinabile. Pertanto il romanticismo contrappose alla ragione empirista degli illuministi la ragione speculativa, lintuizione artistica e la fede; al comportamento lucido e razionale il coinvolgimento passionale; alla scienza la metafisica; allenfatizzazione del progresso futuro la valorizzazione del passato storico in tutte le sue epoche; alla critica della tradizione la sua riabilitazione mediata da una sua reintepretazione attuale e innovativa. Ma, nonostante il ricorso a strumenti conoscitivi alternativi alla razionalit empirica, i romantici consideravano il rapporto con linfinito costitutivamente 9

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problematico. Linfinito era comunque per loro qualcosa di sfuggente e lunica autentica relazione con esso era individuata nella cosiddetta Sehnsucht , cio in un desiderare sofferto e ossessivo perch mai soddisfatto e intrinsecamente irrealizzabile. In questo senso il comune denominatore del romanticismo una sensibilit soggettiva esasperata e irrequieta in continua oscillazione tra raggiungimento e perdita dellinfinito. Tale oscillazione la ragione e la matrice del carattere intrinsecamente ambiguo, se non contraddittorio, della cultura romantica che si manifest nellesaltazione e nella degradazione delluomo, nella solarit e nella tenebrosit, nel solipsismo e nel collettivismo, nel nazionalismo rivoluzionario e nel nazionalismo conservatore o addirittura reazionario, nellelaborazione di nuove forme, panteistiche ed eretiche, di religiosit e nella esaltazione del cristianesimo tradizionalistico. In ambito letterario, gli atti di nascita del romanticismo furono la fondazione nel 1798 della rivista Athenaeum in Germania per iniziativa del cosiddetto circolo di Jena e la contemporanea pubblicazione in Inghilterra delle Lyrical Ballads di Wordsworth e Coleridge. La produzione romantica di romanzi e drammi si articol in vari filoni: quello storico-nazionale, con Scott (Ivanhoe, 1820), Hugo (Cromwell, 1827), Manzoni (Adelchi, 1822; I promessi sposi, 1827); quello del Bildungsroman, cio romanzo di formazione, con Novalis (I discepoli di Sais, 1798; Heinrich von Ofterdingen,1799-1801) e Hlderlin ( Iperione o leremita in Grecia, 1797-99); quello gotico, basato su storie fantastiche, misteriose e truculente, con Walpole (Il castello di Otranto, 1764), Scott (La sposa di Lammermoor, 1818), Hugo (Notre-Dame de Paris, 1831) e M. Shelley (Frankestein ovvero il moderno Prometeo, 1818); quello amoroso-sentimentale con Laclos (Le relazioni pericolose, 1782), Bernardine de Saint-Pierre (Paolo e Virginia, 1787), Kleist (Penthesilea, 1808). Ugualmente vasta fu la produzione poetica romantica, legata, oltre ai gi citati Wordsworth e Coleridge, agli inglesi Blake, P.B. Shelley, Keats, agli italiani Foscolo, Manzoni e soprattutto Leopardi, ai tedeschi Novalis e Hlderlin, al francese Hugo. Un caso a parte rappresentato dal poeta inglese Byron, forse il romantico pi famoso, il quale con la sua opera e soprattutto la sua vita vagabonda, irrequieta e avventurosa assurse a prototipo del romantico stesso, tanto che byronismo divent sinonimo di romanticismo. Nella pittura, il romanticismo emerse come alternativa al neoclassicismo, in nome dellesigenza di rappresentazione dellinfinito, che si poneva in aperta contraddizione sia con i canoni classici della misura e della simmetria sia con la poetica realistica dellimitazione della natura. In questo senso i pittori romantici preferirono al bello il sublime, cos come teorizzato da Kant, cio privilegiarono limmenso, lo sproporzionato, labnorme, il catastrofico, e concepirono la rappresentazione come visione soggettivistica e quindi trasfigurazione della realt. Per quanto riguarda i soggetti, i pittori romantici seguirono le orme dei romanzieri e dei poeti. Alcuni - come Constable, Turner, Friedrich (Viandante sul mare di nebbia, 1818), Michel - privilegiarono i paesaggi naturali; altri come il David di La morte di Marat (1793), Goya (Le fucilazioni, 1814), Gricault (La zattera della Medusa, 1818), Delacroix (La libert guida il popolo, 1830) la realt storica; altri ancora come Fssli (Lincubo, 1871), Blake (Piet, 1795), Goya (Fantastica visione, 1819) - il gotico, il fantastico, il misterioso o lesotico. Anche in musica il romanticismo si manifesta nel soggettivismo e nel superamento della tradizione classica attraverso lintroduzione di forme libere come il notturno, il preludio, la ballata, oppure nella nuova interpretazione di forme canoniche quali il melodramma italiano (Bellini, Donizetti) e il Lied tedesco (Schumann). In particolare nella musica strumentale il romanticismo si esprime in una tendenza descrittiva o a programma che d luogo alla sinfonia programmatica o al poema sinfonico (Beethoven, Weber). Tutte queste manifestazioni artistico-culturali del romanticismo hanno in comune il rifiuto della nuova concezione scientifica materialistico-meccanicistica della natura cui

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contrappongono una visione della natura come unentit organica, vitale, autorganizzata e autodiretta, fino a giungere alla sua identificazione panteistica con linfinito divino.

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Messaggio nella bottiglia


L'illuminismo l'uscita dell'uomo dallo stato di minorit che egli deve imputare a se stesso. Minorit l'incapacit di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso questa minorit se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! E' questo il motto dell'illuminismo. La pigrizia e la vilt sono le cause per cui tanta parte degli uomini, dopo che la natura li ha da lungo tempo fatti liberi da direzione estranea (naturaliter maiorennes), rimangono ci nondimeno volentieri per l'intera vita minorenni, per cui riesce facile agli altri erigersi a loro tutori. Ed cos comodo essere minorenni! Se io ho un libro che pensa per me, se ho un direttore spirituale che ha coscienza per me, se ho un medico che decide per me sul regime che mi conviene ecc., io non ho pi bisogno di darmi pensiero di me. Non ho bisogno di pensare, purch possa solo pagare: altri si assumeranno per me questa noiosa occupazione. A persuadere la grande maggioranza degli uomini (e con essi tutto il bel sesso) che il passaggio allo stato di maggiorit difficile e anche pericoloso, provvedono gi quei tutori che si sono assunti con tanta benevolenza l'alta sorveglianza sopra i loro simili minorenni. Dopo averli in un primo tempo istupiditi come fossero animali domestici e avere con ogni cura impedito che queste pacifiche creature osassero muovere un passo fuori della carrozzella da bambini in cui li hanno imprigionati, in un secondo tempo mostrano ad essi il pericolo che li minaccia qualora cercassero di camminare da soli. Ora questo pericolo non poi cos grande come loro si fa credere, poich, a prezzo di qualche caduta, essi imparerebbero finalmente a camminare: ma un esempio di questo genere li rende paurosi e li distoglie per lo pi da ogni ulteriore tentativo. E' dunque difficile per ogni singolo uomo lavorare per uscire dalla minorit, che diventata per lui una seconda natura. Egli perfino arrivato ad amarla e per il momento realmente incapace di valersi del suo proprio intelletto, non avendolo mai messo alla prova. Regole e formule, questi strumenti meccanici di uso razionale, o piuttosto di un abuso delle sue disposizioni naturali, sono i ceppi di una eterna minorit. Anche chi riuscisse a sciogliersi da esse, non farebbe che un salto malsicuro sia pure

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sopra i pi angusti fossati, poich egli non avrebbe l'abitudine a siffatti liberi movimenti. Quindi solo a pochi capitato con l'educazione del proprio spirito di sciogliersi dalla minorit e camminare poi con passo pi sicuro. Al contrario, che un pubblico si illumini da s ben possibile e, se gli si lascia la libert, quasi inevitabile. Poich in tal caso si troveranno sempre tra i tutori ufficiali della gran folla alcuni liberi pensatori che, dopo aver scosso da s il giogo della tutela, diffonderanno intorno il sentimento della stima razionale del proprio valore e della vocazione di ogni uomo a pensare da s. [...]
Immanuel Kant, Risposta alla domanda: che cos' l'illuminismo?, in Scritti politici, Utet 1956

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VIAGGIO LA COSTRUZIONE RAZIONALE DELLA REALTA UMANA


ROTTA IL CRITICISMO, O RAZIONALISMO CRITICO La filosofia di Immanuel Kant rappresenta il culmine della cultura illuministica e, al tempo stesso, il suo oltrepassamento. Per la profondit, la vastit e loriginalit del suo pensiero, infatti, Kant uno dei grandi della storia del pensiero, ovvero un filosofo della svolta, uno di quei filosofi capaci di sintetizzare e portare a compimento lelaborazione culturale di unepoca intera e, in tal modo, di aprire un nuovo orizzonte alla ricerca filosofica e scientifica. Il Criticismo, o Razionalismo critico queste le denominazioni tradizionali del pensiero kantiano -, affonda le sue radici nella rivoluzione scientifica moderna, di cui lIlluminismo si era fatto interprete, potenziatore e divulgatore, e nella pratica scientifica che da essa si era sviluppata. Kant estrae e distilla lessenza filosofica della scienza moderna delineando una nuova immagine della ragione quale fondamento unico, bench limitato, della verit conoscitiva, del bene morale e della bellezza naturale e artistica. In questo modo Kant attua un triplice ribaltamento del rapporto tradizionale tra principi assoluti e ragione umana, ovvero tra razionalit oggettiva e razionalit soggettiva: questultima non pi per lui mera ricezione e riproduzione della prima, bens la sua matrice originaria. A livello conoscitivo, Kant sostiene che la conoscenza non consiste in una riproduzione fedele della realt, ma nel suo ordinamento basato su unoperazione di unificazione. Pertanto, il criterio della verit della conoscenza non la realt oggettiva ma unattivit della ragione umana. Analogamente, sul piano morale, non il principio oggettivo e assoluto del bene che fonda le regole morali, bens la legge morale insita nella ragione umana che stabilisce cosa bene e cosa male. Infine, per ci che attiene alla sfera estetica, la bellezza non una propriet della natura, ma un criterio della razionalit umana che sentiamo lesigenza di proiettare sugli oggetti naturali. Questa riduzione dei principi oggettivi alla ragione umana non ha per nulla a che vedere con il tradizionale relativismo scettico o scetticheggiante. I nuovi principi soggettivi proposti da Kant, infatti, sono universali e necessari, cio validi per tutti gli uomini e unici, dunque invarianti e cogenti. In questo senso, teorizzando una razionalit soggettiva Kant non ricade nel vecchio soggettivismo, ma istituisce una nuova forma di oggettivit, lunica possibile secondo lui. Si tratta, per usare un ossimoro, di unoggettivit soggettiva: soggettiva in quanto costruita dalla ragione umana, ma pur sempre oggettivit in quanto la ragione umana un insieme di funzioni mentali che sono presenti e si attivano in modo identico in tutti gli uomini. Daltra parte, proprio perch soggettiva in questa diversa accezione, la nuova oggettivit kantiana necessariamente finita, limitata. La ragione infatti pu e deve ordinare la realt in base ai suoi criteri, ma non la realt, bens solo un suo aspetto. Essa dunque deve accettare di non poter conoscere cosa sia la realt in s, cio la realt nella sua essenza e nella sua totalit; di non riuscire a praticare sempre la legge morale che pure ha in s; di non poter conseguire la certezza che la natura possegga quellarmonia e quel finalismo, e dunque quel senso, che essa sente debba possedere quando prova il piacere della bellezza. Se, in questa prospettiva, Kant sancisce la fine della metafisica tradizionale, egli la rimpiazza per con una nuova metafisica di stampo morale. E infatti la legge morale che fonda per Kant sia la libert, sia limmortalit sia lesistenza di Dio, che per in tal modo non sono verit teoretico-scientifiche, ma solo pratico-morali. Ne consegue che la stessa religione, e quindi una chiesa, secondo Kant, pu fondarsi esclusivamente sulla legge morale, cio che la fede autentica pu e deve essere vissuta nei limiti della sola ragione.

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VITA DI UN CAPITANO IMMANUEL KANT Kant nacque nel 1724 a Knigsberg, allora citt baltica della Prussia orientale, oggi Kaliningrad, appartenente alla Russia. Il padre era un artigiano produttore di selle, la madre, casalinga e seguace del pietismo, un movimento religioso luterano fondamentalista che si contrapponeva al pensiero illuministico. Dopo aver ricevuto una pesante istruzione di tipo tradizionale, incentrata sulla religione e sul latino, nel 1740 Kant entr alluniversit e venne a conoscenza dellopera di Newton, al cui studio si appassion, nella cornice di un pi generale interesse per le scienze naturali. Primi frutti della sua formazione scientifica universitaria furono il saggio Pensieri sulla vera valutazione delle forze vive (1747), in cui diede il suo contributo alla disputa scientifica sul calcolo dellenergia cinetica, e soprattutto Storia universale della natura e teoria del cielo (1755), in cui espose la sua teoria della genesi delluniverso a partire da un nebulosa originaria in base allazione delle forze di attrazione e repulsione, dimostrando cos la sua adesione al nuovo paradigma meccanicistico nato dalla rivoluzione scientifica moderna. Negli anni compresi tra le pubblicazioni di queste prime due opere, Kant lavor come precettore, ma continu i suoi studi scientifici leggendo ancora Newton, ma anche il filosofo della natura Buffon, illuminista francese, il matematico svizzero Eulero, il fisico olandese Huygens. Nel 1755 Kant ottenne il dottorato e il titolo di magister , cio di libero docente, che gli consentiva di tenere corsi universitari pagati privatamente dagli studenti. Da allora non smise di insegnare fino agli ultimi anni della sua vita. Il suo studio personale non si interruppe, ma si rivolse inizialmente ai filosofi tedeschi pi recenti, in particolare Leibniz e al suo epigono Wolff, delle cui filosofie Kant propose una versione scientifico-materialistica in Nova delucidatio (1755) e Monadologia physica (1756), opere che testimoniano lemergere del Leit-motiv della filosofia kantiana: lintegrazione tra filosofia e scienza moderna. Nel 1758 partecip a un concorso per ottenere una carica universitaria, ma gli venne preferito un altro, destinato a rimanere sconosciuto. Sempre in quegli anni, Kant lesse anche Rousseau, che giudic il Newton della realt storico-sociale umana, e gli empiristi inglesi, dai quali mutu la distinzione tra il piano della logica e il piano della realt, ovvero la tesi dellindeducibilit della realt da principi razionali, alla base degli scritti Tentativo per introdurre nella filosofia il concetto delle quantit negative (1763) e Lunico argomento possibile per una dimostrazione dellesistenza di Dio (1763). In questultima opera, in particolare, Kant afferm che lesistenza di qualcosa, Dio compreso, non un predicato, e quindi non logicamente deducibile, bens una posizione assoluta, cio un dato ricavabile solo dallesperienza sensibile. Ancora nel 1763, Kant pubblic Ricerca sulla chiarezza dei principi della teologia naturale e della morale, interessante documento sia dellallargamento del suo interesse alla problematica morale sia della sua momentanea adesione alla teoria del sentimento morale dei moralisti inglesi Shaftesbury e Hutcheson. A partire dal 1762 Kant cominci a leggere la Ricerca sullintelletto umano (1748) di Hume, opera tradotta in tedesco nel 1755. In seguito lo stesso Kant avrebbe lasciato scritto che la lettura di Hume laveva svegliato dal sonno dogmatico, ossia aveva messo in dubbio i retaggi tradizionalistici e i residui metafisici della sua formazione, dando il via a quella lunga fase di problematizzazione e riorientamento del suo pensiero che lo avrebbe poi portato allideazione, negli anni 70, della sua nuova filosofia. Un primo prodotto del risveglio antimetafisico di Kant fu lopera I sogni di un visionario chiariti con i sogni della metafisica (1766), in cui le teorie metafisiche sono demolite in quanto sogni, ovvero castelli per aria, cio mere invenzioni individuali dovute allabbandono della guida dellesperienza. Nel 1766, per aumentare le sue entrate, Kant accett anche un impiego come vicebibliotecario. Solo nel 1770, a 46 anni, Kant ottenne la nomina a professore universitario di logica e metafisica in base al saggio De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis, in cui sostiene la netta distinzione tra conoscenza sensibile, rappresentazione delle cose come appaiono (fenomeni), e conoscenza razionale, rappresentazione delle cose come sono (noumeni), ma 15

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soprattutto introduce la concezione dello spazio e del tempo come forme a priori (cio anteriori alla e indipendenti dalla esperienza) della sensibilit umana. Grazie alla carica di professore universitario, Kant pot contare su uno stipendio fisso e dedicare pi tempo alla sua personale ricerca filosofica. E infatti nel successivo decennio giunse progressivamente a trovare una soluzione ai problemi suscitatigli dalla lettura di Hume, cio a elaborare la sua nuova prospettiva filosofica: il criticismo o razionalismo critico. Nel 1781 Kant ne pose la prima pietra pubblicando la prima edizione di La critica della ragione pura, cui seguirono la sua seconda edizione (1787), con importanti rimaneggiamenti, La critica della ragione pratica (1788) e la Critica del Giudizio (1790), che costituiscono il trittico fondamentale del criticismo kantiano. Ma durante e dopo la sua pubblicazione, Kant scrisse e pubblic molte altre opere, alcune integrative alle tre Critiche Prolegomeni a ogni metafisica futura che vorr presentarsi come scienza (1783), Fondazione della metafisica dei costumi (1785), Principi metafisici della natura (1786), Metafisica dei costumi (1797) -, altre ampliative, come Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico (1784) e Congetture sullorigine della storia (1786), che delineano la filosofia della storia di Kant; Per la pace perpetua (1795), esposizione della visione politica kantiana; La religione nei limiti della sola ragione (1793), che illustra la filosofia kantiana della religione morale e della chiesa invisibile. A questi libri, vanno aggiunti alcuni saggi relativamente brevi, su argomenti vari: Risposta alla domanda: Che cos lIlluminismo? (1784), in cui Kant esplicita il senso storico-sociale della sua filosofia illuministica, Che cosa significa orientarsi nel pensiero? (1786), Sopra il detto comune: Questo pu essere giusto in teoria, ma non vale per la pratica (1793). Kant non si spos mai e dedic tutta la sua vita alla ricerca filosofica, animato dalla convinzione di dover essere lartefice di una grande rivoluzione nella storia del pensiero umano. Per attuare questa sorta di missione filosofica, Kant si impose una ferrea disciplina in base alla quale si svegliava alle cinque, andava a letto alle dieci di sera e scandiva la sua giornata in lunghi tempi di lavoro, divisi tra lettura e scrittura, intervallati da due pause per il pranzo con gli amici e la passeggiata pomeridiana. Nel suo ascetismo filosofico e pi in generale nellorganizzazione della sua vita quotidiana, Kant era per aiutato dal maggiordomo Lampe, ex militare sposato, che aveva lordine di tirarlo gi dal letto e di non dare ascolto alle sue proteste. Con Lampe Kant convisse dal 1762 al 1802 quando Kant licenzi Lampe, per un motivo che non volle rivelare, gli pag la pensione fino alla morte e soprattutto pose sulla sua scrivania un foglietto su cui aveva scritto: Dimentica Lampe!, sintomo del profondo affetto che lo legava al suo servitore nonch convivente. Questo affetto, il rifiuto del matrimonio e le frequentazioni unicamente maschili di Kant sono indizi di una possibile omosessualit di Kant. Tuttavia, ammesso che Kant fosse omosessuale, gli altri elementi della sua biografia in nostro possesso inducono a pensare che la sua fosse unomosessualit latente e in ogni caso platonica. Pi sicuro infatti ritenere che Kant abbia sempre compresso la sua sessualit ed evitato coinvolgimenti affettivi profondi e coinvolgenti, anche a livello di semplice amicizia. Salvo qualche eccezione, la maggiore quella di Lampe. La cronometrica programmazione della giornata di Kant fu lorigine dellaneddoto secondo cui gli abitanti di Knigsberg lo consideravano una specie di orologio vivente, regolandosi in base ai suoi spostamenti. Ci stato anche tramandato che solo una volta Kant non rispett gli orari consueti, un giorno del 1789, quando usc di casa prima del solito per avere notizie dello scoppio della rivoluzione francese. Questo secondo aneddoto rivelativo dellinteresse e forse persino dellentusiasmo con il quale Kant accolse e segu quellevento epocale, salvo poi esternare la sua delusione e il suo rigetto non appena diede vita a episodi di sanguinaria violenza. Coerentemente con il suo modello di vita, Kant non si allontan mai dalla sua citt natale, n per viaggiare convinto che la conoscenza si potesse acquisire anche senza viaggi n per fare carriera, tanto che nel 1778 rifiut lofferta di una cattedra allUniversit di Halle, che gli avrebbe procurato uno stipendio triplo e un maggiore prestigio accademico.

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Gli ultimi anni della vita di Kant furono gravati dal progressivo peggioramento della sua salute e dallo scontro con il nuovo re di Prussia, lantilluminista e conservatore Federico Guglielmo II, successore del re-filosofo Federico il Grande, morto nel 1786, che Kant aveva considerato modello del sovrano illuminato. Il casus belli fu la pubblicazione nel 1793 di La religione nei limiti della sola ragione, in seguito alla quale Federico Guglielmo II accus Kant di travisamento del cristianesimo e gli intim di non scrivere pi di religione. Kant si difese dalle accuse ma accett il diktat del re, in contrasto con quanto aveva asserito nel saggio Che cos lIlluminismo?, ossia che era dovere del suddito obbedire al re in tutto salvo che nellespressione del proprio pensiero. Nel 1796, a causa della salute malferma, interruppe le sue lezioni universitarie. Nel 1798, pubblic gli ultimi scritti: Il conflitto delle facolt e Antropologia pragmatica. Amareggiato dal licenziamento di Lampe, quasi cieco e sempre pi smemorato, Kant si spense nella sua casa di sempre nel 1804. Lorologio di Knigsberg aveva smesso di battere le ore. Ma il tempo non si ferm con lui.

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TAPPA 1

KANT: LA RIVOLUZIONE COPERNICANA


Quando Galilei fece rotolare gi da un piano inclinato le sue sfere, il cui peso era stato da lui stesso stabilito, o quanto Torricelli sottopose laria ad un peso, che in precedenza egli aveva calcolato come eguale a una colonna dacqua a lui nota []. Essi compresero che la ragione scorge soltanto ci che essa stessa produce secondo il suo disegno, e capirono che essa deve procedere innanzi con i principi dei suoi giudizi basati su stabili leggi e deve costringere la natura a rispondere alle sue domande, senza lasciarsi guidare da essa sola, per cos dire con le dande. In caso contrario difatti le osservazioni casuali, fatte senza alcun piano tracciato in precedenza, non sono affatto tenute assieme a una sola legge necessaria, mentre proprio questo ci che la ragione cerca e di cui ha bisogno. Tenendo in mano i suoi principi, sulla cui sola base delle apparenze concordanti possono valere come leggi, e con laltra mano lesperimento, che essa ha escogitato seguendo tali principi, la ragione deve accostarsi alla natura, certo per venire ammaestrata da questa, non per nella qualit di uno scolaro che si fa suggerire tutto ci che vuole il maestro, bens nella qualit di un giudice investito della sua carica, il quale costringe i testimoni a rispondere alle domande che egli propone loro. Prefazione alla II edizione della Critica della ragione pura, Adelphi 1976, a cura di Giorgio Colli [] essa [lindifferenza dei filosofi nei confronti del progresso scientifico, ndc] inoltre un incitamento alla ragione perch assuma di nuovo la pi gravosa di tutte le sue incombenze, ossia quella della conoscenza di s, e perch istituisca un tribunale che la garantisca nelle sue giuste pretese, ma possa per contro sbrigarsi di tutte le pretese senza fondamento non mediante sentenze dautorit, bens in base alle sue eterne e immutabili leggi. E questo tribunale non altro se non proprio la critica della ragione pura. Prefazione alla I edizione della Critica della ragione pura, ed. cit. La situazione al riguardo [della teoria della conoscenza, ndc] la stessa che si presentata con i primi pensieri di Copernico: costui, poich la spiegazione dei movimenti celesti non procedeva in modo soddisfacente, sino a che egli sosteneva che tutto quanto lordinamento delle stelle ruotasse attorno allo spettatore, cerc se la cosa non potesse riuscire meglio quando egli facesse ruotare lo spettatore e facesse per contro star ferme le stelle. Nella metafisica, orbene, si pu fare un analogo tentativo, per quanto riguarda lintuizione degli oggetti. Se lintuizione dovesse conformarsi alla struttura degli oggetti, io non riesco allora a vedere come di essa si potrebbe sapere qualcosa a priori; ma se loggetto (in quanto oggetto dei sensi) si conforma alla struttura della nostra facolt di intuizione, io posso allora rappresentarmi benissimo questa possibilit. Prefazione alla II edizione della Critica della ragione pura, ed. cit. Il fattore decisivo della creativit di Kant la contaminazione reciproca dei suoi studi filosofici, dei suoi studi scientifici e della sua attivit pratica di scienziato, seppur part time. In particolare, il germe della rivoluzione copernicana si pu ravvisare nella pratica sperimentale, che stimola Kant a elaborare una propria originale interpretazione filosofica 18

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dellesperimento. Secondo Kant, la pratica sperimentale, cio lesperienza razionalmente progettata e tecnicamente realizzata in laboratorio, presuppone che lo scienziato abbia formulato una teoria a priori, cio indipendente dallesperienza. Lideazione e la realizzazione dellesperimento sono dunque sempre orientate e incanalate dalla teoria puramente razionale e, di conseguenza, se lesperimento favorevole, lo scienziato trova nella natura quello che egli stesso vi ha posto secondo il proprio disegno. Per comprendere bene il senso della posizione di Kant, va evidenziato che egli afferma che la scoperta scientifica non riguarda le singole cose o le singole loro propriet sensibili (p.e. che la ruggine sia rossastra) ma le relazioni tra cose e tra propriet (p.e. la formula chimica dellossidazione del ferro); in altre parole la scoperta scientifica ha come oggetto le leggi, ossia lordine/organizzazione razionale, della natura. Tali leggi non possono che essere universali, cio le medesime in ogni tempo e in ogni luogo, e necessarie, cio per forza univoche, solo cos e mai diversamente da cos. In caso contrario non sarebbero leggi. Ma se le cose stanno in questo modo, lo scienziato non potrebbe mai scoprire le leggi della natura se si limitasse a osservare passivamente la natura, a recepire ci che essa stessa spontaneamente mostra, come fosse uno scolaro delle elementari che ascolta le parole del maestro. Al contrario, afferma Kant, lo scienziato come un Pm, un Pubblico ministero, cio un giudice inquirente, che interroga un imputato in base a una precisa strategia razionale mirata a fargli ammettere ci che ha razionalmente ipotizzato che abbia commesso. Fuor di metafora: lo scienziato deve sondare la natura in base a una teoria e costringerla, con lesperimento, a rivelare le sue leggi. Attenzione, per. Ci non significa affatto che lo scienziato possa obbligare la natura a rivelare qualsiasi legge, cos come un Pm non pu costringere un innocente ad ammettere la sua colpevolezza. Un Pm che lo facesse non sarebbe un abile Pm, ma un truffatore, tanto quanto uno scienziato che truccasse un esperimento per ottenere la conferma della sua teoria. Insomma, cos come un imputato pu essere innocente, e dunque in questo caso un Pm costretto ad ammettere che la sua ipotesi di colpevolezza, per quanto razionale, sbagliata, allo stesso modo un esperimento pu smentire una teoria e quindi costringere uno scienziato a scartarla e a cercarne unaltra. Dunque, se lelaborazione di una teoria non implica affatto la scoperta sperimentale di una legge della natura, vero per che ogni scoperta sperimentale di una legge della natura implica lelaborazione preventiva di una teoria. In altre parole: il lavoro a priori dello scienziato condizione necessaria, bench non sufficiente, del suo successo sperimentale a posteriori. E in base a questa interpretazione della nuova scienza sperimentale, cio della scienza galileiano-newtoniana, che Kant si appella alla ragione perch compia una nuova impresa: la ragione stessa, cio la mente umana nel suo insieme, chiamata a riconsiderare se stessa, ad aggiornare la sua autoconoscenza, cio a rifondare la filosofia. La ragione, infatti, deve far propria la rivoluzione scientifica moderna e, dietro la sua spinta, sottoporsi a una nuova indagine allo scopo di stabilire con maggiore rigore e consapevolezza le sue capacit e insieme i loro limiti. Kant rappresenta, in questo senso, il climax, il punto culminante dellIlluminismo: la ragione, dopo aver portato ogni aspetto della realt di fronte al suo tribunale, ora deve portarci se stessa, sottoporre anche e soprattutto se stessa a una spietata critica razionale. Questa autocritica della ragione ha come esito un rovesciamento della sua concezione, ovvero una rivoluzione filosofica. Infatti, afferma Kant, essa giunge a comprendere innanzitutto che il rapporto ragione/natura lopposto di quello che in passato si sempre creduto. In questo senso, Kant annuncia che in filosofia bisogna attuare una rivoluzione copernicana. Per primo Kant usa lespressione, che letteralmente indica la rivoluzione attuata da Copernico in ambito astronomico, in senso metaforico, per significare un ribaltamento totale del punto di vista su qualcosa. Poich nella fattispecie Kant si riferisce 19

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alla ragione, egli dichiara cos la sua pretesa di attuare in campo filosofico un cambiamento della stessa portata di quello effettuato da Copernico in campo astronomico, quello cio che aveva dato il la alla rivoluzione scientifica. Cos come Copernico aveva contestato che la Terra fosse ferma (= passiva) e il cielo in movimento (= attivo) e sostenuto che il cielo fermo (= passivo) e la Terra in moto (= attiva) rotatorio intorno al proprio asse; analogamente Kant nega che nellattivit conoscitiva la ragione umana (! Terra) sia passiva (! ferma) e la natura (! cielo) attiva (!in moto) e dichiara, invece, che la ragione umana attiva e la natura passiva. In questo modo, Kant vuol dire che non vero, come avevano teorizzato i filosofi del passato, che conoscere significa lasciare che la natura modelli la nostra ragione, ovvero conformare la nostra mente alla natura; al contrario la conoscenza consiste in un modellamento attivo della natura da parte della ragione, ovvero nel conformare la natura ai criteri razionali della nostra mente. Basta ricordare che Tommaso dAquino, sintetizzando una tradizione plurisecolare, aveva definito la conoscenza adaequatio intellectus ad rem (assimilazione della ragione alla cosa), e che ancora Francis Bacon aveva sentenziato che natura non nisi parendo vincitur (la natura non si vince se non adeguandosi ad essa) per misurare la portata rivoluzionaria della tesi kantiana. Se prima di Kant la filosofia avevano sostenuto, in modo pressoch unanime, che fare scienza significa trovare la corrispondenza della ragione alla realt, ovvero riprodurre, rispecchiare, fotocopiare la realt, Kant ora afferma che fare scienza significa rielaborare la realt, ovvero selezionarla, ordinarla, organizzarla. E siccome i criteri dellorganizzazione non sono insiti nella natura ma sono propri della ragione umana, ecco spiegato perch fare scienza consiste nellassimilare la natura alla ragione, loggetto al soggetto, la realt fisica alla realt mentale.

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MAPPA della TAPPA 1 rivoluzione scientifica moderna metodo sperimentale interpretato da Kant come la scienza concerne le relazioni tra le cose, cio cerca leggi universali e necessarie

lo scienziato interroga la natura attivamente in base a unipotesi teorica per la teoria condizione necessaria ma non sufficiente della scoperta scientifica

infatti

infatti

necessit di una nuova indagine critica e di una nuova concezione della ragione umana RIVOLUZIONE COPERNICANA, cio necessit di un ribaltamento della visione filosofica analogo al ribaltamento della visione astronomica prodotto dalleliocentrismo

un esperimento ha successo solo se si basa su una teoria, che viene cos convalidata; ma un esperimento pu anche smentire una teoria

prima di Copernico, in astronomia si credeva che la Terra fosse ferma e le stelle si muovessero

allo stesso modo

prima di Kant, per fare scienza si credeva che la ragione umana dovesse lasciarsi modellare passivamente dalla natura

con Copernico, in astronomia si cap che la Terra si muove e le stelle sono ferme

allo stesso modo

con Kant, si cap che per fare scienza la ragione umana doveva modellare attivamente la natura

la conoscenza non consiste nel ricopiare la realt naturale ma nellunificare/ordinare la realt naturale in base ai criteri della ragione

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TAPPA 2

KANT: LA CONOSCENZA SENSIBILE


In qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo una conoscenza possa mai riferirsi a oggetti, certo il modo con cui essa si riferisce immediatamente agli oggetti [] lintuizione. Questa tuttavia si verifica solo in quanto loggetto ci venga dato; ma ci a sua volta possibile, almeno per noi uomini, soltanto per il fatto che loggetto modifichi in certo modo lanimo. La capacit di ricevere rappresentazioni (recettivit), attraverso il modo con cui noi siamo modificati dagli oggetti, si chiama sensibilit. Mediante la sensibilit, quindi, gli oggetti ci sono dati, ed essa sola ci fornisce intuizioni; attraverso lintelletto, invece, gli oggetti vengono pensati, e da esso sorgono i concetti. Ogni pensiero, tuttavia, mediante certi contrassegni deve riferirsi in ultimo [] a intuizioni, e quindi, in noi, alla sensibilit, dato che in altro modo non pu esserci dato alcun oggetto. Leffetto sulla capacit di rappresentazione, prodotto da un oggetto, in quanto noi siamo modificati da questultimo, la sensazione. Quellintuizione, che si riferisce alloggetto mediante una sensazione, si dice empirica. Loggetto indeterminato di unintuizione empirica si chiama apparenza. In unapparenza, ci che corrisponde alla sensazione, io lo chiamo materia di tale apparenza; ci che, invece, fa s che il molteplice dellapparenza possa venir ordinato in certi rapporti, io lo chiamo la forma dellapparenza. [] la materia di ogni apparenza ci viene data, vero, soltanto a posteriori, ma la forma di tali apparenze deve trovarsi pronta per tutte quante nellanimo, a priori , e deve quindi potersi considerare separata da ogni sensazione. [] Questa forma pura della sensibilit si chiamer inoltre essa stessa intuizione pura. [] Una scienza di tutti i principi a priori della sensibilit io la chiamo estetica trascendentale. Nel corso di questa indagine si trover che sussistono, come principi della conoscenza a priori, due forme pure dellintuizione sensibile, cio spazio e tempo []. Kant, Critica della ragione pura, 1, edizione citata Seguendo unimpostazione classicamente aristotelica, Kant sostiene che la conoscenza di 2 tipi, ovvero che ha 2 stadi: 1) la conoscenza sensibile; 2) la conoscenza razionale. La conoscenza sensibile, pur non essendo sufficiente, condicio sine qua non di quella razionale. In parole semplici, il punto di partenza indispensabile del cammino conoscitivo. A sua volta la conoscenza sensibile una somma di intuizioni sensibili (o empiriche), cio di sensazioni. La sensazione unintuizione in quanto latto conoscitivo immediato, e dunque indubitabilmente veritiero, in cui e con cui la facolt sensitiva coglie loggetto esterno. Per esempio, io poggio il palmo della mano sul tavolo e sento liscio, oppure lo guardo e ne vedo il colore marrone. In questo modo Kant afferma chiaramente che: a) la conoscenza ha unorigine empirica che rimanda allesistenza incontrovertibile di un mondo fisico esterno alla nostra coscienza; b) lesperienza sensibile infallibile per ogni uomo fisiologicamente normale. Su questa base, per, Kant precisa che ogni intuizione sensibile un composto indivisibile di 2 elementi fondamentali:

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1) la sua materia, cio il suo contenuto propriamente empirico, ossia proveniente dallesterno; 2) la sua forma, cio la sua organizzazione, proveniente dallinterno, ossia dalla ragione umana. La materia consiste nella modificazione che la realt fisica produce sulla nostra sensibilit nel momento in cui esse vengono in contatto. Ma la forma in cosa consiste? In che modo la ragione organizza le modificazioni prodotte su di noi dagli oggetti fisici esterni a noi? Kant risponde che la forma consiste in un doppio ordinamento simultaneo: 1. un ordinamento spaziale, ossia la collocazione della materia della sensazione in un luogo definito dalla sua relazione (vicino, lontano, in mezzo, a destra, a sinistra, sopra, sotto) con gli altri oggetti e i loro rispettivi luoghi, p.e. quel liscio sul bordo destro di questo tavolo che sta vicino alla finestra del salotto. 2. un ordinamento temporale, ossia linserimento della materia della sensazione in una successione cronologica, p.e. quel liscio dopo quel leggero della penna che avevo in mano e prima di quel trillo del cellulare che mi ha spinto ad afferrarlo. Secondo Kant, la forma dellintuizione sensibile altrettanto importante della sua materia, cio senza forma non potremmo conoscere sensibilmente, non avremmo alcuna conoscenza empirica. Infatti se non assegnassimo a ogni materia intuita un proprio luogo e un proprio momento, tutte le materie di tutte le sensazioni si sovrapporrebbero in un groviglio caotico e pertanto inconoscibile. E solo dando forma, cio ordinamento spazio-temporale, alle materie (o contenuti) delle sensazioni che possiamo distinguerle e quindi conoscerle. Ma se noi ordiniamo spaziotemporalmente le materie delle intuizioni sensibili vuol dire che la nostra ragione possiede a priori questi 2 fondamentali criteri di organizzazione, appunto lo spazio e il tempo. Spazio e tempo sono 2 intuizioni pure, cio indipendenti dallesperienza, che per si applicano automaticamente allesperienza rendendola effettivamente possibile. Kant afferma dunque che le 2 coordinate fondamentali della scienza, lo spazio e il tempo, non sono oggettive, non appartengono cio al mondo fisico esterno, ma sono criteri dordinamento dei dati sensibili propri della mente umana, ovvero, per dirla kantianamente, principi trascendentali: i modi, pi unici che rari, in cui e con cui la soggettivit umana conosce la natura. Di qui la denominazione kantiana dello studio della conoscenza sensibile come estetica trascendentale: estetica, dal greco asthesis=sensazione, sta per sensibilit; trascendentale indica i modi a priori o puri della sensibilit, cio il tempo e lo spazio. Pi precisamente, Kant chiarisce che il tempo la forma del senso interno, cio della nostra autocoscienza e dei nostri stati psichici (p.e. pensieri, ricordi, emozioni, ecc.); lo spazio, la forma del senso esterno, cio delle nostre sensazioni relative al mondo fisico. Poich tutti i fenomeni esterni, nel momento in cui sono da noi conosciuti, si trasformano in rappresentazioni interne, il tempo definito da Kant come la condizione formale a priori di tutte le apparenze in generale, ossia possiede una priorit rispetto alla spazio. Bench queste forme a priori (o trascendentali) della sensibilit, lo spazio e il tempo appunto, si applichino immediatamente e inconsapevolmente alla conoscenza sensibile, e per quanto lintuizione sensibile non possa fare a meno di esse, secondo Kant la mente umana pu fare un uso consapevole dello spazio e del tempo al di fuori della loro applicazione immediata allesperienza. Noi possiamo, infatti, intuire direttamente lo spazio e il tempo come tali, cio come intuizioni pure, e rielaborarle, scomponendole nei loro elementi primi e ricomponendole in modo ordinato. La matematica nasce proprio da questa intuizione ed elaborazione diretta. Pi precisamente: 1) laritmetica una rielaborazione mentale del tempo, cio unesplicitazione delle strutture e delle propriet implicite nellintuizione pura del tempo;

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2) la geometria una rielaborazione mentale dello spazio, cio unesplicitazione delle strutture e delle propriet implicite nellintuizione pura dello spazio. Ci significa che la successione numerica non altro che una segmentazione e insieme una codificazione numerica del flusso temporale della mente, mentre gli enti geometrici altro non sono che unarticolazione e una codificazione in punti, linee e piani della spazialit mentale. La matematica, dunque, per Kant un prodotto, una costruzione della mente umana, ossia una scienza puramente teoretica, bench la sua costruzione non sia arbitraria, in quanto vincolata dalle strutture e dalle propriet implicite nelle forme a priori dello spazio e del tempo. Eppure la scienza moderna, in particolare la fisica, si basa sulla matematizzazione del mondo naturale. La grande conquista di Newton era stata quella di riuscire a stringere tutti i fenomeni meccanici in ununica, grandiosa formula matematica, quella della gravit. Come dunque possibile che la matematica sia soltanto un parto, per quanto prodigioso, della mente umana? La soluzione kantiana di questo problema rende ancor pi chiara la portata epistemologica della sua rivoluzione copernicana. Quando diciamo realt fisica o natura per Kant noi ci riferiamo sempre alla realt fisica, o alla natura, in quanto da noi conosciuta, cos come noi la conosciamo. Ma la natura conosciuta una combinazione, come si visto, di materia e di forma, ossia costituita anche dal nostro ordinamento spazio-temporale, intessuta anche di spazio e di tempo. Dunque, poich la matematica altro non che spazio e tempo codificati, del tutto comprensibile che la matematica si adatti cos bene alla spiegazione dellapparenza naturale da sembrare il linguaggio stesso della natura. Insomma, la natura in s non possiede un ordine matematico, come avevano creduto Copernico, Galilei, Keplero e Newton; la natura per noi, in quanto da noi conosciuta, che lo possiede in tanto in quanto siamo noi stessi a darglielo nel momento in cui, intuendola, la ordiniamo spazio-temporalmente.

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MAPPA della TAPPA 2 OGGETTO ESTERNO

Modificazione della sensibilit umana = ricettivit

Forma a priori del senso interno: il TEMPO

Materia della conoscenza sensibile

Forma a priori del senso esterno: lo SPAZIO

Ordinamento/unificazione spaziale e temporale della materia sensitiva = attivit

La sensazione viene collocata in un certo luogo e le viene attribuito un certo istante della successione temporale.

INTUIZIONE SENSIBILE ARITMETICA in quanto elaborazione mentale dellintuizione pura del tempo: la serie dei numeri infatti una codificazione del flusso temporale. GEOMETRIA in quanto elaborazione mentale dellintuizione pura dello spazio: i concetti geometrici infatti sono codificazioni dellampiezza spaziale.

La matematica si applica alla natura perch la natura, in quanto deriva dallintuizione sensibile, organizzata spaziotemporalmente e la matematica a sua volta ha una costituzione spaziotemporale.

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TAPPA 3

KANT: LA CONOSCENZA RAZIONALE DELLINTELLETTO


La nostra conoscenza emana da due fonti basilari dellanimo: la prima di queste consiste nel ricevere le rappresentazioni (recettivit delle impressioni), e la seconda la facolt di conoscere un oggetto mediante queste rappresentazioni (spontaneit dei concetti). Attraverso la prima di queste fonti, un oggetto ci dato; attraverso la seconda, tale oggetto pensato in rapporto a quella rappresentazione [] Intuizione e concetti costituiscono quindi gli elementi di ogni nostra conoscenza, cosicch una conoscenza non pu essere fornita n da concetti privi di una intuizione in qualche modo corrispondente ad essi, n da unintuizione priva di concetti. [] Se la recettivit del nostro animo [] da noi chiamata sensibilit, per contro, la facolt di produrre in modo autonomo rappresentazioni, ossia la spontaneit della conoscenza, lintelletto. La nostra natura costituita in modo tale che lintuizione non pu mai essere altrimenti che sensibile, ossia contiene soltanto il modo in cui noi siamo modificati da oggetti. La facolt di pensare loggetto dellintuizione sensibile, per contro, lintelletto. Nessuna di queste due facolt deve essere anteposta allaltra. Senza sensibilit nessun oggetto ci sarebbe dato, e senza intelletto nessun oggetto sarebbe pensato. I pensieri senza contenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche. Kant, Critica della ragione pura, Parte II, Introduzione, edizione citata La conoscenza razionale la seconda tappa del cammino conoscitivo. Essa naturalmente consiste in unelaborazione e sviluppo della conoscenza sensibile, cio nel ricondurre unintuizione a un concetto, p.e. pongo la mano sul tavolo, ho una determinata intuizione tattile legata a un luogo e a un momento e la riconduco al concetto di liscio. Sembrerebbe lo stesso esempio esposto nella tappa precedente per lintuizione sensibile. Il fatto che quellesempio, riferito solo allintuizione sensibile, in realt gi includeva la sua estensione razionale, cio la concettualizzazione dellintuizione. E non per una svista ma perch, se comunico scrivendo, non ho altro modo di comunicare una sensazione che quello di chiamarla con un nome generale. Una sensazione, infatti, sempre individuale, un qui e ora unico, ma per pensarla ed esprimerla devo sempre codificarla concettualmente, cio riportarla a un insieme/nome generale. P.e., il liscio del tavolo diverso dal liscio del cuscino, eppure non posso che pensarli entrambi riferendoli al concetto/nome liscio. Dunque la conoscenza razionale consiste nel collegare una intuizione sensibile a un concetto, p.e. questo liscio. Kant, sullantica scia di Aristotele, chiama giudizio questo collegamento, ossia ogni asserto (o enunciato o proposizione) dichiarativo. E solo grazie al giudizio, cio alla qualificazione concettuale di una sensazione, che possiamo effettivamente conoscere. Per questo Kant afferma che senza concetto le sensazioni sono cieche, cio oscure, buie, prive di significato conoscitivo; anche se i concetti senza le sensazioni sono vuoti, cio privi di realt, architetture puramente mentali. Dunque, sensazioni e concetti, intuire e pensare, devono essere inseparabilmente complementari se si vuole fare scienza. Ma da dove derivano i concetti (liscio, marrone, cane, simmetrico, ecc.)? Innanzitutto Kant distingue 2 tipi di concetti: 1) i concetti empirici e 2) i 12 concetti puri o categorie. Riguardo ai primi, la stragrande maggioranza, Kant sostiene che essi sono un prodotto dellelaborazione mentale delle sensazioni. Pi precisamente della facolt mentale dellimmaginazione. Kant distingue, per, 2 tipi di immaginazione:

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a) limmaginazione riproduttiva, cio la capacit della mente di rappresentarsi oggetti e propriet anche senza che essi siano presenti ai sensi, purch naturalmente lo siano stati in precedenza. P.e., io posso guardare un quadro, chiudere gli occhi e rappresentarmelo mentalmente. b) Limmaginazione produttiva, ossia la capacit mentale di produrre appunto i concetti empirici sulla base delle sensazioni. Per produrre i concetti empirici, limmaginazione produttiva forgia degli schemi, cio delle immagini mentali fortemente stilizzate, le pi universali e astratte possibili. Questi schemi diventano i modelli in base ai quali lintelletto organizza e determina le sensazioni traducendole nei concetti empirici. P.e., il concetto empirico di cane si costruisce intorno allo schema della animalit quadrupede. Solo una volta forgiati i concetti empirici possibile avere una vera e propria esperienza sensibile. Infatti in senso stretto, lesperienza un accumulo ordinato di sensazioni, ma tale accumulo possibile solo se io ho dei riferimenti generali (i concetti appunto) cui ricondurre le singole differenti intuizioni. P.e., solo se ho il concetto di cane vedendo chihuahua, alani, bassotti, ecc., posso farmi unesperienza di cani. Daltra parte, quanto pi ampia questa mia esperienza, cio quanto pi numerose le intuizioni di cani e di loro propriet, tanto pi chiaro e oggettivo sar il mio concetto empirico di cane. La tesi pi originale e importante di Kant, relativamente alla conoscenza razionale, per quella che concerne il ruolo dei 12 concetti puri o categorie, che egli divide in 4 gruppi di 3 ciascuno: 1) categorie della quantit: unit, pluralit, totalit; 2) categorie della qualit: realt, negazione, limitazione; 3) categorie della relazione: sostanza o accidente; causa ed effetto; azione reciproca. 4) categorie della modalit: possibilit/impossibilit, esistenza/inesistenza, necessit/contingenza. Queste 12 categorie sono i concetti pi generali, cio pi estesi, e soprattutto sono concetti puri, cio sono criteri di ordinamento propri dellintelletto, per nulla ricavati dalle sensazioni. Secondo Kant, ogni volta che noi pensiamo, cio ogni volta che elaboriamo un giudizio, insieme ai concetti empirici espliciti, intervengono in modo implicito, e per questo non evidente, le categorie che gli si addicono. P.e.: il giudizio questo un tavolo rotondo marrone costituito dalle categorie dellunit, della realt, della sostanza e accidente e infine dellesistenza; il giudizio il calore dilata i metalli dalle categorie della totalit, realt, sostanza e accidente, causalit, necessit. Il secondo esempio pi significativo, in quanto un asserto scientifico, in particolare una proposizione che esprime una legge naturale. Secondo Kant tutti gli asserti scientifici sono tali in quanto sono universali e necessari, ossia in quanto sono veri in tutti i casi possibili ed impossibile che siano veri asserti diversi o contraddittori rispetto a essi. P.e., il calore dilata i metalli vero per qualsiasi calore, metallo, luogo e tempo e non pu mai accadere qualcosa di diverso (il calore colora i metalli) o di contrario (il calore restringe i metalli). In altre parole, in un giudizio di causalit e tale ogni legge scientifica - causa ed effetto non sono soltanto un hoc post hoc, non sono cio caratterizzati solo e tanto dalla diversa successione nel tempo (prima la causa, poi leffetto) e dalla prossimit spaziale (contatto fisico) ma anche e soprattutto da un vincolo indissolubile tale per cui a una stessa causa deve corrispondere sempre e univocamente uno stesso effetto. Da questo punto di vista Kant confuta la tesi di Hume secondo la quale la causalit in senso forte non esiste, in quanto si tratterebbe in realt di una mera sequenza spazio-temporale di 2 eventi estemporanei e irripetibili che solo per abitudine crediamo possiedano un vincolo che li unisca da sempre e per sempre. Eppure Kant concorda (Hume mi ha svegliato dal sonno dogmatico) con la confutazione della concezione tradizionale della 27

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causalit operata da Hume. Infatti anche per Kant, come per Hume, la causalit non una propriet oggettiva della natura e, come tale, ricavabile dalla sensazione. E allora come la mette Kant? Com possibile che la natura sia causale se la causalit non le appartiene intrinsecamente? La soluzione del rompicapo nella rivoluzione copernicana: la causalit un concetto puro della mente umana che noi aggiungiamo allesperienza sensibile in quanto conoscere non significa ricopiare la natura ma significa ordinare razionalmente la natura. Pi precisamente, Kant afferma che tutti gli asserti scientifici sono tali se, e solo se, sono giudizi sintetici a priori. Cosa intende? Per spiegarlo, Kant distingue innanzitutto tra: " giudizio analitico a priori, p.e. tutti i corpi sono estesi: si tratta di un enunciato in cui il predicato (esteso) gi implicitamente contenuto nel soggetto (corpo), che si limita a scomporre (analyein in greco significa dividere) un concetto nei suoi componenti e che pertanto non si fonda sullesperienza sensibile bens su una operazione intramentale (a priori); " giudizio sintetico a posteriori, p.e. tutti i corpi sono pesanti: si tratta di un asserto in cui il predicato (pesante) aggiunge (synthesis in greco significa unificazione) al soggetto (corpo) una propriet che non implicita in esso e che pertanto si ricava dallesperienza (a posteriori). Il giudizio analitico a priori ha il pregio di essere universale e necessario, in quanto si fonda sulle leggi logiche della ragione, ma ha il difetto di non essere produttivo, cio non incrementa la nostra conoscenza, ma si limita a ordinare e a chiarire meglio ci che gi conosciamo. Il giudizio sintetico a posteriori ha il pregio di essere produttivo, in quanto attinge conoscenza dallesperienza sensibile, ma ha il difetto di essere particolare e contingente proprio in quanto si basa sullesperienza, cio su una raccolta di sensazioni che non mai completa e nemmeno omogenea. In realt la sua versione linguistica corretta sarebbe tutte le volte che ho sollevato un corpo ho sentito il suo peso, oppure alcuni/molti corpi si sono dimostrati pesanti. Tra le righe, Kant sta esponendo la sua interpretazione delle due principali tradizioni filosofiche dellet moderna: quella razionalistica continentale (da Descartes a Leibniz) e quella empiristica britannica (da Bacone a Hume). La prima sostiene implicitamente Kant - ha creduto che la scienza fosse composta da giudizi analitici a priori, garantendone la certezza ma riducendola a un brillante gioco mentale incapace di spiegarne la crescita conoscitiva; la seconda, al massimo grado con Hume, ha ritenuto che fosse costituita di giudizi sintetici a posteriori, valorizzandone la crescita conoscitiva ma svilendola a incerto calcolo probabilistico. In realt, afferma Kant, la scienza costituita da giudizi sintetici a priori, p.e. ogni mutamento fisico deve avere una causa: in tale tipo di giudizio il predicato (causato) non implicito nel soggetto (mutamento) e pertanto costituisce un valore conoscitivo aggiunto; ma non ricavato dallesperienza, bens dalla ragione stessa, una delle sue categorie o concetti puri, e dunque il giudizio universale e necessario. In altri termini, il giudizio sintetico a priori d conto sia della certezza sia della produttivit della scienza, ossia spiega leffettiva e indubitabile realt della pratica scientifica moderna, ci che per Kant era sotto gli occhi di tutti. In questo modo, Kant pu affermare solennemente che le leggi scientifiche non sono, come aveva sostenuto Hume, particolari e probabili, cio valevoli in alcuni casi e magari spesso ma non sempre, bens appunto universali e necessarie, cio valevoli in tutti i casi e sempre. Dunque per Kant, la legge newtoniana di gravit (i corpi si attraggono in modo direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza), capolavoro della rivoluzione scientifica moderna, sempre vera, non una semplice previsione probabilistica. 28

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La rivoluzione copernicana di Kant, per, non concerne solo la fisica e le altre scienze della natura, ma anche la matematica. Mentre Hume aveva sostenuto che le proposizioni matematiche fossero semplici tautologie, cio giudizi analitici a priori, giochi logicomentali, Kant sostiene che anche la matematica fatta di giudizi sintetici a priori. Infatti, nellasserto aritmetico 7+5=12 tanto quanto nellenunciato geometrico la linea la distanza minima tra 2 punti, i rispettivi predicati (12 e distanza minima) non sono affatto gi impliciti nei soggetti, ma sono unaggiunta ricavata dalle forme a priori del tempo e dello spazio. Insomma, anche la matematica produce un accrescimento conoscitivo che si aggiunge, anzi si moltiplica con quello delle scienze naturali. Il messaggio kantiano dunque il valore e la sicurezza della scienza moderna, la fiducia nella possibilit umana di conquistare sempre di pi il dominio conoscitivo del mondo.

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MAPPA della TAPPA 3 INTUIZIONE SENSIBILE ricondotta a uno IMMAGINAZIONE PRODUTTIVA forgia uno

SCHEMA

base per la costruzione di un CONCETTO EMPIRICO

GIUDIZIO SINTETICO A POSTERIORI = enunciato particolare e contingente e quindi non scientifico cui si aggiungono

CONCETTI PURI O 12 CATEGORIE INTELLETTO fornisce QUALITA: realt, negazione, limitazione. QUANTITA: unit, molteplicit, totalit. RELAZIONE: sostanza, causalit, interazione. MODALITA: possibilit, contingenza, necessit

GIUDIZIO SINTETICO A PRIORI = enunciato universale e necessario e quindi LEGGE SCIENTIFICA

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TAPPA 4

KANT: LIO PENSO O AUTOCOSCIENZA TRASCENDENTALE


Per tale ragione, si rivela qui una difficolt, che non abbiamo incontrato nel campo della sensibilit: si domanda, cio, come le condizioni soggettive del pensiero siano destinate ad avere una validit oggettiva, ossia come esse possano costituire le condizioni della possibilit di ogni conoscenza degli oggetti. In effetti, senza funzioni dellintelletto possono certo essere date delle apparenze nellintuizione. Io prendo, ad esempio, il concetto di causa []. A priori non chiaro perch certe apparenze debbano contenere un qualcosa di siffatto (non si possono infatti addurre esperienze come prova, poich la validit oggettiva di questo concetto deve poter essere mostrata a priori); ed quindi a priori incerto se un tale concetto non sia forse del tutto vuoto e non ritrovi da nessuna parte un oggetto tra le apparenze. [] In effetti, le apparenze potrebbero forse essere costituite in modo tale che lintelletto non le trovasse affatto conformi alle condizioni della sua unit. Kant, Critica della ragione pura, 13, edizione citata Ma il concetto della congiunzione porta con s, oltre che il concetto del molteplice e della sintesi del molteplice, altres il concetto dellunit del molteplice. Congiunzione rappresentazione dellunit sintetica del molteplice. La rappresentazione di questa unit non pu quindi sorgere dalla congiunzione: piuttosto, la rappresentazione di tale unit, per il fatto di aggiungersi alla rappresentazione del molteplice, rende possibile per la prima volta il concetto della congiunzione. Questa unit [] non [] quella citata categoria dellunit. In effetti, tutte le categorie si fondano su funzioni logiche nei giudizi: in queste peraltro gi pensata la congiunzione, e quindi lunit dei concetti dati. La categoria dunque presuppone gi la congiunzione. Noi dobbiamo perci cercare questunit pi in alto [] ossia in ci che per lappunto contiene il fondamento dellunit di diversi concetti nei giudizi, e quindi il fondamento della possibilit dellintelletto, persino nel suo uso logico. Kant, Critica della ragione pura, 15, edizione citata Lio penso deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni, perch altrimenti in me verrebbe rappresentato un qualcosa che non potrebbe affatto venir pensato; o con espressione equivalente: poich altrimenti o la rappresentazione risulterebbe impossibile, oppure, almeno per me, essa non sarebbe niente. Quella rappresentazione, che pu essere data prima di ogni pensiero, si chiama intuizione. Ogni molteplice dellintuizione ha perci una relazione necessaria con lio penso, nello stesso soggetto in cui viene ritrovato questo molteplice. La rappresentazione: io penso, tuttavia, una atto della spontaneit; essa non pu venir considerata come pertinente alla sensibilit. Io la chiamo lappercezione pura per distinguerla da quella empirica o anche lappercezione originaria, poich essa quella autocoscienza che [] non pu pi essere accompagnata da nessunaltra rappresentazione. Lunit di tale rappresentazione io la chiamo anche lunit trascendentale dellautocoscienza []. [] in caso contrario, difatti, io avrei tante variopinte e differenti personalit quante sono le rappresentazioni di cui ho coscienza. Kant, Critica della ragione pura, 16, edizione citata

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[] nella deduzione trascendentale stata esposta la possibilit delle categorie come conoscenze a priori di oggetti di unintuizione in generale. Adesso deve venir spiegata la possibilit di conoscere a priori, mediante le categorie, gli oggetti che possono eventualmente presentarsi ai nostri sensi, e ci, per essere precisi, non secondo la forma della loro intuizione, bens secondo le leggi della loro connessione. Devessere spiegata, perci, la possibilit di prescrivere alla natura, per cos dire, la legge, anzi, di rendere la natura possibile. [] Ora, dato che ogni possibile percezione [la sensazione in quanto cosciente, nota mia] dipende dalla sintesi dellapprensione, e che questa sintesi empirica dipende peraltro da quella trascendentale, e quindi dalle categorie, in tal caso tutte le percezioni possibili, e perci anche tutto quello che pu eventualmente pervenire alla coscienza empirica, cio tutte le apparenze della natura, debbono, quanto alla loro congiunzione, essere soggette alle categorie, dalle quali la natura dipende [] come dal fondamento originario della sua necessaria conformit a leggi []. Critica della ragione pura, Parte II, 26, edizione citata Se la conoscenza razionale della realt fisica si fonda, come affermato da Kant, su 12 concetti puri o categorie, intesi come criteri razionali propri della ragione umana, come e in quale senso possiamo essere sicuri che la nostra conoscenza sia oggettiva, cio capace di cogliere oggetti indipendenti dalla nostra mente? Non potrebbe essere, invece, che la nostra conoscenza, in quanto basata su concetti a priori, consista in una deformazione della realt esterna? Si tratta del problema che Kant chiama deduzione trascendentale delle categorie, ossia del problema della loro giustificazione o legittimazione scientifica: un conto che per fare scienza io usi le categorie (quaestio facti), tuttaltro conto che esse mi forniscano una visione veritiera delle cose (quaestio iuris). Proprio per argomentare loggettivit delle categorie, Kant approfondisce e articola ulteriormente la sua analisi della ragione umana, introducendo il supremo principio trascendentale, lio penso o autocoscienza trascendentale. A esso Kant arriva per due vie convergenti. La prima fa leva sulla necessit che la ragione, o mente o coscienza razionale, sia ununit, ovvero possegga un centro unico e dunque unitario. P.e.: io posso avere una rappresentazione sensibile di liscio, una di fresco, una di marrone, una di circolare, una di legno, ecc. Se tutte queste rappresentazioni non avessero un riferimento comune non potrebbero essere congiunte nelloggetto tavolo. Questo riferimento comune non pu essere una categoria, perch ogni oggetto pu riferirsi a pi categorie contemporaneamente. Dunque occorre andare a monte delle categorie per cercare un riferimento unico per ogni tipo di rappresentazione, tanto delle intuizioni sensibili quanto dei giudizi razionali. Questo riferimento unico supremo , secondo Kant, lio penso, ossia lautocoscienza trascendentale. La seconda via allio penso quella che si impernia sulla congiunzione, sul fatto cio che la conoscenza razionale in tanto pu avvalersi dei concetti in quanto presuppone appunto lattivit intellettiva di correlazione, ossia di unificazione, dei dati sensibili. P.e., quando la mia ragione pensa questo un cane unifica microsensazioni di pelo, coda, quadrupedit, abbaiare, ecc., in un unico concetto; quando pensa il cane un mammifero seleziona e unifica alcune propriet fondamentali e comuni di tutti i cani. Dunque la conoscenza razionale, ossia logico-concettuale, unificazione. E unificare equivale a ordinare. Un esempio quotidiano e immediato: un mucchio aggrovigliato di 32

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biancheria lavata caos, disordine; per ordinarlo unifico tutte le calze con le calze, le Tshirt con le T-shirt, gli slip con gli slip, ecc., e poi ripongo gli insiemi cos costituiti ognuno in un cassetto dellarmadio, magari marchiati con letichetta corrispondente, et voil: lordine fatto! Ordinare significa unificare in gruppi omogenei. E non dimentichiamo che ordine (od organizzazione) , fin da Talete, sinonimo di razionalit. Dunque conoscenza razionale significa conoscenza che ordina, ossia che unifica. Ci chiarito, gli strumenti dellunificazione conoscitiva, come si visto, sono, a un primo livello, i concetti empirici, ma a un secondo superiore livello, i concetti puri o categorie, supremi unificatori ossia massimi ordinatori. P.e., il concetto di chilo unificato in quello di unit di misura di peso, e questultimo nella categoria della quantit. Ma se tutti i concetti sono unificati in un concetto pi ampio superiore, anche le categorie devono esserlo. Non solo. Le categorie sono 12, dunque sono plurime, e tutte di pari livello. Daltra parte ognuna di esse una modalit di unificazione, dunque esse presuppongono il criterio/principio di unificazione come tale. Pertanto esse rinviano allio penso, inteso appunto come criterio dellunit, come principio di unificazione (o sintesi) in quanto tale. Naturalmente, proprio per questo, lio penso (o autocoscienza trascendentale) un principio unico, e non pu che essere unico, dunque assurdo pensare che a sua volta debba essere unificato sotto un principio superiore. Esso , per cos dire, il principio sovrano dellintelletto, il centro unico che coordina unitariamente le categorie e i concetti empirici, i quali altro non sono che le sue articolazioni, ovvero, per dir cos, i suoi strumenti di lavoro. Tenendo conto che anche le intuizioni sensibili devono essere sempre riferite allo stesso io penso, altrimenti le sensazioni non diventerebbero nemmeno percezioni, cio sensazioni consapevoli, ma rimarrebbero inconsce, risulta ormai chiaro come e perch Kant ponga lio penso a fondamento di tutta la conoscenza, sia quella sensibile, sia quella razionale. Attenzione, per. Per io penso o autocoscienza trascendentale, Kant non intende il mio io penso o la mia autocoscienza trascendentale. Quando Kant usa laggettivo trascendentale vuole dire che si tratta di qualcosa che trascende non solo la realt fisica, ma anche quella psicologica, cio che indipendente dal mio io psichico (il mio carattere, la mia emotivit, la mia indole, le mie attitudini mentali, il mio stile cognitivo, ecc.). Insomma, lio penso unico e identico per tutti gli uomini, la ragione universale, quella stessa che, proprio perch uguale in tutti gli uomini, fa loro conoscere la stessa realt. E naturalmente quel che vale per lio penso vale per le categorie, i concetti empirici, e le forme a priori della sensibilit, cio il tempo e lo spazio. A questo punto, siamo pronti per affrontare largomentazione della legittimit scientifica delluso delle categorie, ossia largomentazione della tesi, apparentemente contraddittoria, per cui le categorie, pur essendo proprie del soggetto, cio della ragione umana, hanno una validit oggettiva, cio ci fanno conoscere in modo veritiero oggetti esterni alla mente umana. Scrive Kant: poich ogni percezione (cio la coscienza effettiva di una sensazione) dipende dalla sua unificazione in un concetto empirico e a sua volta la sintesi concettuale empirica dipende dallunificazione trascendentale operata dalle categorie, sono le categorie che ci permettono non solo una conoscenza razionale, ma anche la stessa conoscenza sensibile, cio la conoscenza pi oggettiva, la conoscenza immediata degli oggetti fisici. Dunque, le categorie ci fornisco lunica oggettivit per noi possibile e pertanto il loro uso scientifico pienamente giustificato. In caso contrario, non potremmo conoscere, la nostra conoscenza sarebbe nulla. Questa argomentazione potrebbe prestarsi alla seguente parodia: o mangi questa minestra o salti dalla finestra. Pi seriosamente, si potrebbe sollevare contro di essa uneccezione di petitio principii , ossia di circolarit, in quanto potrebbe essere cos riformulata: loggettivit si basa sulle categorie, dunque le categorie sono oggettive. In 33

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altri termini, loggettivit delle categorie (la conclusione) argomentata con il fatto che le categorie costituiscono loggettivit, che in realt proprio ci che deve essere argomentato, cio la conclusione stessa. Per non far torto a Kant, bisogna per ricordare, innanzitutto, che le categorie si applicano a concetti empirici che a loro volta sono costituiti dallesperienza sensibile. In altre parole, le categorie sono agganciate, seppur mediatamente, allintuizione sensibile e, in particolare, alla materia della sensazione, cio alla modificazione prodotta su di noi dagli oggetti fisici esterni. Dunque la conoscenza razionale possiede una radice inequivocabilmente oggettiva. In secondo luogo, dobbiamo riconoscere che largomentazione esposta sopra ha una premessa maggiore sottintesa, quella che si riferise allio penso: la conoscenza consiste nellattivit unificatrice dellio penso o autocoscienza trascendentale. Questa premessa maggiore implicita, poi, nullaltro che la formulazione filosoficamente pi profonda e rigorosa della rivoluzione copernicana, secondo cui conoscere non significa copiare gli oggetti fisici, ma ordinarli, cio appunto unificarli, grazie allattivit sintetica che lautocoscienza trascendentale . A questo punto leccezione di petitio principii respinta. Largomento nevralgico, ben distinto dalla conclusione, la rivoluzione copernicana stessa: loggettivit scientifica ordinamento/unificazione della realt fisica; poich le categorie sono gli strumenti, identici in ogni uomo, di ordinamento/unificazione, ne segue necessariamente che il loro uso non solo un fatto (o mangi questa minestra o niente, anche se la minestra cattiva e non nutriente) ma anche un fatto del tutto legittimo (la minestra buona e soprattutto nutriente). In questo, e solo in questo, senso Kant suggella la sua deduzione trascendentale con lemblematica affermazione: Lio penso il legislatore della natura.

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MAPPA della TAPPA 4 TUTTE LE MIE RAPPRESENTAZIONI DEVONO AVERE UN CENTRO DI RIFERIMENTO COMUNE ALTRIMENTI NON POTREI CONOSCERE

CONOSCERE=ORDINARE=UNIFICARE

I CONCETTI EMPIRICI = ORDINAMENTO/UNIFICAZIONE DELLE INTUIZIONI SENSIBILI

I CONCETTI PURI O 12 CATEGORIE= ORDINAMENTO/UNIFICAZIONE DEI CONCETTI EMPIRICI

IO PENSO=CENTRO UNITARIO E FUNZIONE TRASCENDENTALE DI UNIFICAZIONE di cui tutti i concetti sono prodotti e strumenti

LUSO DELLE CATEGORIE E SCIENTIFICAMENTE LEGITTIMO, OSSIA OGGETTIVO

LIO PENSO E IL LEGISLATORE DELLA NATURA

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TAPPA 5

KANT: LA COSA PER NOI E LA COSA IN SE


Nondimeno, quando certi oggetti, come apparenze, noi li chiamiamo enti dei sensi (phaenomena), distinguendo il modo in cui li intuiamo dalla loro natura in s, allora nel nostro concetto gi implicito che noi a quegli oggetti, per cos dire, contrapponiamo, chiamandoli enti dellintelletto (noumena ), o i medesimi oggetti, intesi secondo questultima natura (sebbene non li intuiamo in essa), oppure altre cose possibili che non sono per nulla oggetti dei nostri sensi intese come oggetti semplicemente pensati dallintelletto. [] Se per noumeno intendiamo una cosa, in quanto essa non oggetto della nostra intuizione sensibile (astraendo cio dal nostro modo di intuirla), si tratta allora di un noumeno in senso negativo. Ma se per noumeno intendiamo un oggetto di unintuizione non sensibile, noi ammettiamo allora un particolare modo dintuizione, cio quello intellettuale: esso non tuttavia il nostro modo di intuizione, e non ne possiamo comprendere neppure la possibilit. Si avrebbe cos il noumeno in senso positivo. Kant, Critica della ragione pura, Libro II, Cap. III, edizione citata Con la deduzione trascendentale, Kant ha argomentato come sia possibile che la scienza moderna, pur basandosi su criteri soggettivi, consegua loggettivit. Tuttavia, per Kant si tratta di precisare in modo rigoroso cosa si debba intendere per oggettivit, altrimenti si rischierebbe di fraintendere il significato della sua rivoluzione copernicana, ossia di conferire alla legittimazione delle categorie una portata indebita. In questa precisazione emerge la tensione propriamente critica della filosofia kantiana. Infatti, paragonando la scienza a un isola, Kant afferma innanzitutto che loggettivit scientifica nettamente limitata: luso delle categorie vincolato allesperienza, la quale s estendibile ma rimane purtuttavia sempre finita. Per Kant, per, la nostra conoscenza non incontra solo un limite dal punto di vista estensivo, ma anche e soprattutto da quello intensivo. Secondo lui, infatti, la nostra esperienza di una cosa non mai completa, gli oggetti che esperiamo sono, per cos dire, sempre parzialmente conosciuti. Per far comprendere a fondo questa tesi, Kant introduce la distizione tra fenomeno (da finosthai che in greco significa apparire, manifestarsi, mostrarsi) e noumeno (dal greco noin che significa pensare). Tutte le nostre rappresentazioni scientifiche, sia le intuizioni sensibili sia i concetti, sono fenomeni, cio oggetti per noi, oggetti cos come ci si manifestano, come si mostrano a noi, ovvero in quanto organizzati dalle forme trascendentali della nostra ragione. Girato in negativo, ci equivale a dire che le nostre rappresentazioni scientifiche non coincidono con i possibili oggetti in s, cio i noumeni, gli oggetti come potrebbero essere al netto dellorganizzazione conferita loro dalle nostre forme a priori. In altre parole, se affermiamo che loggettivit scientifica fenomenica implicitamente rimandiamo alla possibile esistenza di unoggettivit pura, pre-scientifica, cio al noumeno. Per Kant il noumeno si pu concepire in 2 modi: a) in modo meramente negativo (in senso fotografico, non di valore!), cio come il contrario del fenomeno, vale a dire come la cosa in s, loggetto nature, cui rinvia il fenomeno in quanto cosa per noi, cio loggetto in quanto organizzato dalla nostra ragione; b) in modo positivo (sempre in senso fotografico), cio come un oggetto reale puramente razionale (lidea di Platone o di Cartesio) intuibile dal nostro intelletto senza bisogno di alcuna esperienza sensibile.

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Il noumeno positivo, afferma Kant (a dispetto della sua ambigua denominazione), non possiede alcuna validit scientifica, cio non costituisce unoggettivit legittima. Il nostro intelletto non ha la capacit di intuire, cio di cogliere direttamente, un preteso oggetto puramente razionale, cio unidea, o essenza o intellegibile puro. Solo la nostra sensibilit pu intuire, e dunque ogni nostra conoscenza deve partire dalle sensazioni e rimanere legata a esse. Pertanto, si pu, e si deve, sensatamente pensare il noumeno solo nel suo significato negativo, cio come oggetto in s, il mondo fisico come potrebbe essere al di l della conoscenza umana. Il condizionale (potrebbe) dobbligo perch se loggetto in s al di l di ogni nostra possibile conoscenza ovvio che non solo non potremo mai conoscerlo ma anche che, a rigore, non possiamo nemmeno dire con certezza che esiste. Ma allora cosa pensiamo quando pensiamo noumeno? Possiamo pensarlo? E in ogni caso che senso ha pensarlo? Kant stesso dice che il concetto di noumeno problematico, perch: " da un lato, logico, in quanto, cos come, se pensiamo al finito, siamo costretti a pensare linfinito, allo stesso modo se pensiamo il fenomeno siamo rimandati al noumeno in quanto suo opposto non contraddittorio; " da un altro lato, il concetto di noumeno illogico, in quanto non possiede alcun contenuto e quindi quando lo pensiamo non sappiamo cosa pensare, ovvero non pensiamo nulla. Eppure Kant difende e valorizza il concetto di noumeno in quanto gli attribuisce la funzione nevralgica di avvertirci del limite di ogni nostra conoscenza. In altre parole, il noumeno (nel suo significato logicamente negativo ma scientificamente positivo) un concetto segnaconfine, o anche un campanello dallarme che ci impedisce di essere presuntuosi, in quanto segnala ogni indebito sconfinamento delle nostre pretese scientifiche. Kant stesso battezza criticismo, ossia razionalismo critico, la sua posizione filosofica. Ci significa che il Leitmotiv , il filo conduttore della sua filosofia, proprio la consapevolezza dei limiti della scienza, e pi in generale della ragione umana. Questo non comporta per alcuna svalutazione della ragione. Al contrario, per Kant proprio la coscienza dei propri limiti permette alla ragione umana di utilizzare al meglio le sue grandi capacit e quindi di mostrare tutto il suo enorme valore. E semmai loblio dei propri limiti che porta la ragione allerrore, teorico e pratico, e pertanto alla sua svalutazione. Possiamo comprendere cos ancora pi a fondo il significato della rivoluzione copernicana e della deduzione trascendentale. E la ragione umana, non la natura in s, il fondamento della conoscenza. Pertanto, pur ordinando la natura in base alle proprie categorie, la ragione umana consegue loggettivit. Anzi, addirittura Kant si spinge ad affermare che lio penso o autocoscienza trascendentale il legislatore della natura, in quanto le leggi razionali che lo scienziato pu scoprire nella natura derivano dallapplicazione alla natura sensibile delle categorie, in particolare della categoria della causalit. Una legge scientifica infatti una correlazione sintetica di molti dati e concetti e pertanto non pu che essere il prodotto dellordinamento unitario dellautocoscienza trascendentale. Dunque, la scienza si conquista cos loggettivit in modo pienamente legittimo. Ma - ecco lulteriore approfondimento - questa oggettivit non essenziale, cio non include tutto ci che loggetto n, a fortiori, ci che veramente loggetto . Come aveva scritto Galilei, la scienza moderna non consiste nel tentar le essenze, ma nel descrivere e spiegare come si svolgono i fatti naturali. Insomma, loggettivit scientifica , per cos dire, superficiale, bench la superficie possa essere anche molto profonda. In questo senso, con la rivoluzione copernicana di Kant, i concetti filosofici di soggetto e oggetto, soggettivo e oggettivo, soggettivit e oggettivit subiscono uno 37

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slittamento di significato. Soggetto mantiene il significato di relativo a un individuo (da cui soggettivo come contrario di oggettivo), ma acquista anche quello di proprio della ragione umana, ossia di ogni uomo (non pi opposto ma costitutivo di oggettivo). Oggetto non significa pi coincidente con le cose stesse , bens correlato alle cose stesse. In conclusione loggettivit kantiana un nuovo concetto di oggettivit, che, per un verso, include la soggettivit universale (o trascendentale) umana come suo elemento costitutivo, e, per laltro verso, rinuncia alla pretesa di una completa aderenza alle cose stesse.

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MAPPA della TAPPA 5 LA SCIENZA E UNIFICAZIONE/ORDINAMENTO MENTALE DEGLI OGGETTI

LA SCIENZA E OGGETTIVA MA LIMITATA

LOGGETTO SCIENTIFICO NON E TUTTO LOGGETTO , OVVERO E UN FENOMENO (O COSA PER NOI) rinvia logicamente al suo opposto

IL NOUMENO (O COSA IN SE) si pu intendere in 2 modi

MODO POSITIVO PENSABILE PURO, OSSIA UN CONCETTO PURAMENTE RAZIONALE CONOSCIBILE SENZA BISOGNO DELLESPERIENZA SENSIBILE

MODO NEGATIVO UN CONCETTO VUOTO CHE RAPPRESENTA LA PARTE INCONOSCIBILE DELLOGGETTO

INAMMISSIBILE, PERCHE LA SCIENZA DEVE BASARSI SULLESPERIENZA SENSIBILE

INDISPENSABILE, PERCHE CI RICORDA CHE LA SCIENZA E LIMITATA

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TAPPA 6 KANT: LA CONOSCENZA RAZIONALE DELLA RAGIONE Ormai, non soltanto abbiamo percorso il dominio dellintelletto puro [] ma labbiamo altres misurato, ed abbiamo assegnato ad ogni cosa che vi si ritrova il suo posto. Questo dominio, tuttavia, unisola, e risulta rinchiuso dalla natura stessa entro confini immutabili. E la terra della verit (nome allettante), circondata da un oceano vasto e tempestoso, che la vera e propria sede dellillusione, dove molti banchi di nebbia e numerosi ghiacci, che presto saranno liquefatti, suggeriscono falsamente nuove terre, e incessantemente ingannando, con vane speranze, il navigatore errabondo e avido di scoperte, lo invischiano in avventure, che egli non potr mai troncare, ma neppure potr mai condurre a termine. [] Tuttavia c qui alla base unillusione difficilmente evitabile. Le categorie, quanto alla loro origine, non si fondano sulla sensibilit [] e sembrano quindi permettere unapplicazione estesa al di l di tutti gli oggetti dei sensi. Kant, Critica della ragione pura, Libro II, Cap. III, edizione citata Il nostro compito non consiste qui nel trattare dellillusione empirica (per esempio, dellillusione ottica), che si incontra nelluso empirico di regole dellintelletto (per altri aspetti giuste), e dalla quale la capacit di giudizio fuorviata, attraverso linflusso dellimmaginazione. Piuttosto, noi abbiamo a che fare soltanto con lillusione trascendentale, la quale influisce su proposizioni fondamentali, il cui uso non mira mai allesperienza (nel caso che esse si applicassero allesperienza, noi avremmo almeno una pietra di paragone per la loro correttezza); questillusione, anzi, a dispetto di tutti gli avvertimenti della critica, ci conduce completamente al di l delluso empirico delle categorie, e ci tiene a bada col miraggio di unestensione dellintelletto puro. [] E unillusione, questa, che non pu assolutamente essere evitata, allo stesso modo che non possiamo evitare che il mare ci appaia pi alto in distanza che in prossimit della spiaggia, in quanto nel primo caso lo vediamo mediante raggi luminosi pi alti che nel secondo, o per scegliere un esempio ancora pi notevole, allo stesso modo che neppure lastronomo pu impedire che la luna gli appaia pi grande nel sorgere, sebbene egli non venga ingannato da questa illusione. [] Nella prima parte della nostra logica trascendentale, abbiamo definito lintelletto come la facolt delle regole; qui noi distinguiamo la ragione dallintelletto, col chiamarla la facolt dei principi. [] Se lintelletto una facolt di dare unit alle apparenze mediante le regole, la ragione allora la facolt di dare unit alle regole dellintelletto in base a principi. Perci la ragione non si rivolge mai direttamente allesperienza, o ad un qualche oggetto, ma si indirizza allintelletto, per dare a priori, mediante concetti, ununit alle molteplici conoscenze di esso: tale unit pu chiamarsi unit della ragione, ed di natura del tutto differente dallunit che pu essere prodotta dallintelletto. [] Orbene, il nostro compito nella dialettica trascendentale [] il seguente: vedere se la suddetta proposizione fondamentale, secondo cui la serie delle condizioni [] si estende sino allincondizionato, abbia oppure no una sua esattezza oggettiva; [] poi trovare quali fraintendimenti e quali illusioni 40

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possano essersi insinuati nei sillogismi, la cui premessa maggiore sia stata fornita dalla ragione pura []. Kant, Critica della ragione pura, Dialettica trascendentale, Introduzione, ed. citata Della conoscenza razionale Kant non si occupa solo nell Analitica trascendentale, ma anche nella successiva Dialettica trascendentale. Per Kant, infatti, la conoscenza razionale di due tipi: a) quella basata sullintelletto, che produce la scienza della natura; b) quella basata sulla ragione, che ha prodotto la scienza metafisica. La Dialettica (intesa come logica della totalit) trascendentale (perch basata sulle categorie) si occupa di questo secondo tipo di conoscenza razionale. Mentre lAnalitica trascendentale assumeva come dato evidente la verit oggettiva della scienza della natura, in particolare della fisica, e si poneva lobiettivo di metterne a fuoco i fondamenti gnoseologici ed epistemologici; la Dialettica trascendentale assume come dato altrettanto evidente lillusoriet della metafisica, cio linfondatezza della sua pretesa di essere scienza, e si propone due obiettivi: 1) smascherare lillusione metafisica, ossia mostrare i suoi trucchi logici, vale a dire le sue fallacie, e quindi argomentare che le sue conoscenze non sono scientifiche, ovvero che non sono n possono essere universali e necessarie; 2) salvaguardare e anzi valorizzare lesigenza metafisica della ragione e la connessa possibilit di fare un uso metodologico dei concetti metafisici per pungolare lo sviluppo della scienza della natura. Kant introduce la sua interpretazione della metafisica usando lallegoria delloceano vasto e tempestoso, coperto di nebbia e punteggiato da iceberg. Il navigatore oceanico insoddisfatto dellesplorazione della terraferma unisola piccola in confronto alla vastit delloceano si avventura sulle acque vaporose e crede di scoprirvi altre terre, altre isole. In realt vittima di unillusione ottica perch ci che crede terra gli iceberg sono in realt solo montagne di ghiaccio, cio pur sempre acqua marina, destinate a sciogliersi al primo sole. Tuttavia il navigatore oceanico non smette di cercare, perch sente un bisogno insopprimibile di conoscere loceano e dunque spera sempre che prima o poi un iceberg si riveli unisola vera. Lisola il mondo fisico, ovvero il territorio dellesperienza sensibile e quindi della scienza. Loceano la possibile realt che non n pu essere oggetto della nostra esperienza sensibile, e quindi di scienza, ma che non possiamo fare a meno di pensare che possa sussistere dal momento che la nostra esperienza e la nostra scienza sono limitate. Il navigatore oceanico , in senso stretto, il metafisico, colui che crede sia possibile costruire una scienza totale, illimitata, ovvero conoscere ci che al di l del mondo fisico di cui facciamo esperienza. Ma, in senso pi ampio, il navigatore oceanico ogni uomo, che, in quanto dotato di ragione, non pu fare a meno voler conoscere lignoto. Limbarcazione del navigatore oceanico, infatti, la ragione stessa, la quale la facolt che aspira alla conoscenza della totalit. Liceberg lillusione metafisica, cio la credenza in buona fede nella verit di concetti non basati sulla conoscenza sensibile. Fuor di metafora, dopo aver fatto un uso generico del termine ragione, come linsieme di tutte le facolt conoscitive, Kant introduce un nuovo significato di ragione, come quella specifica ma suprema facolt che non si accontenta della conoscenza razionale dellintelletto, basata sullesperienza sensibile e quindi limitata, ma vuole estenderla alla totalit incondizionatamente, cio facendo a meno appunto della condizione dellesperienza sensibile. In questo senso, la ragione, facendo un uso metaempirico delle categorie, unifica i concetti empirici in 3 concetti metafisici e, in definitiva, in uno solo. Kant chiama i 3 concetti metaempirici della ragione idee, nel significato platonico. Esse sono: 41

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1) lidea di anima (o idea psicologica), come totalit unitaria dei fenomeni interiori, cio intramentali o psichici; 2) lidea di mondo (o idea cosmologica), come totalit unitaria dei fenomeni esterni, cio extramentali o fisici; 3) lidea di Dio (o idea teologica), come totalit unitaria di tutti i fenomeni psichici e fisici, ossia come sintesi delle 2 idee precedenti e quindi come sintesi unitaria totale. Le idee, pur essendo concetti del tutto indipendenti dallesperienza, e quindi puramente razionali, non sono categorie, perch non sono forme da applicare allesperienza ma contenuti conoscitivi indipendenti; ma non sono nemmeno concetti empirici, perch non si fondano sullintuizione sensibile. Esse sono quei noumeni in senso positivo, cio gli intellegibili puri oggetto di intuizione razionale, che Kant aveva gi dichiarato fuorilegge in ambito scientifico. Ora il suo obiettivo confutarle, cio smontarle per esibire i loro trucchi, per svelare linganno che nascondono. Ma, poich in queste 3 idee Kant sintetizza tutta la storia della metafisica, e quindi attraverso di esse espone altres la sua interpretazione della tradizione metafisica, confutandole si propone di sottrarre alla metafisica ogni patente di scientificit.

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MAPPA della TAPPA 6 LA RAGIONE (in senso debole ossia generico) la razionalit delluomo in generale che si articola in diverse facolt

LINTELLETTO la facolt conoscitiva che: " si basa su esperienza sensibile; " si limita alla realt fenomenica.

LA RAGIONE (in senso forte ossia specifico) la facolt conoscitiva che: " aspira a conoscere la totalit (loceano sconfinato); " supera i limiti della realt fenomenica (la terraferma come piccola isola).

SCIENZA = conoscenza universale e necessaria

METAFISICA = conoscenza illusoria (gli iceberg creduti isole) basata su 3 IDEE, ossia 3 concetti puramente razionali, conoscibili direttamente dalla ragione senza passare per lesperienza

ANIMA in quanto totalit di tutti i fenomeni interni alla coscienza umana

MONDO in quanto totalit di tutti i fenomeni esterni, cio fisici

DIO in quanto totalit sia dei fenomeni esterni sia dei fenomeni esterni, ossia totalit sintetica, unica e suprema

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TAPPA 7

KANT: LA CONFUTAZIONE DELLA METAFISICA


Il procedimento della psicologia razionale dominato da un paralogismo che trova espressione nel seguente sillogismo: Ci che non pu esser pensato diversamente che come soggetto, non esiste diversamente che come soggetto, perci sostanza. Ma un essere pensante, considerato semplicemente come tale, non pu essere pensato diversamente che come soggetto. Dunque esso esiste soltanto come tale, ossia come sostanza. Nella premessa maggiore si parla di un essere che pu esser pensato in generale, sotto ogni aspetto, e conseguentemente anche cos come pu essere dato nellintuizione. Ma nella premessa minore si parla invece di tale essere solo relativamente al suo considerarsi come soggetto, esclusivamente in relazione al pensiero e allunit della coscienza, e non gi anche in riferimento allintuizione, mediante cui esso dato al pensiero come oggetto. La conclusione perci inferita per sophisma figurae dictionis, ossia in base a un ragionamento sofistico. [] Per raggiungere un fondamento sicuro, questa dimostrazione [la prova cosmologica dellesistenza di Dio, ndc) si fa forte dellesperienza, gabellandosi in tal modo come diversa dalla prova ontologica, che si affida interamente a concetti puri a priori. Ma lesperienza utilizzata dalla prova cosmologica esclusivamente per fare un primo passo e giungere allesistenza dun essere necessario in generale. Largomentazione empirica non in grado di dirci quali siano le propriet di un tale essere; sicch la ragione se ne distacca completamente, e, affidandosi a meri concetti, cerca di determinare quali propriet spettino in generale a un essere assolutamente necessario, cio quale sia la cosa, tra tutte le possibili, che sia tale da racchiudere in s le condizioni richieste (requisita) da una necessit assoluta. La ragione crede poi di poter trovare i requisiti richiesti soltanto nel concetto dellessere realissimo, e perci conclude che esso lessere assolutamente necessario. Ma chiaro che qui si presuppone che il concetto dellessere fornito della suprema realt sia tale da soddisfare completamente al concetto della necessit assoluta nellesistenza, cio che sia possibile conchiudere da questa a quella; tale principio era stato asserito dallargomento ontologico, e viene trasferito alla prova cosmologica quale suo fondamento, mentre si era partiti dal presupposto di evitarlo. [] Io asserisco dunque che le idee trascendentali sono inadatte a qualsiasi uso costitutivo, per cui debbono fornire concetti di oggetti; e che se sono intese in questo modo, si risolvono in semplici concetti raziocinanti (dialettici). Esse hanno per un uso regolativo vantaggioso e imprescindibile, consistente nel dirigere lintelletto verso un certo scopo. In vista del quale le linee direttive delle sue regole convergono in un punto, che pur essendo nullaltro che unidea (focus imaginarius), cio un punto da cui non possono realmente provenire i concetti dellintelletto, perch fuori dellesperienza possibile serve tuttavia a conferire a tali concetti la massima unit ed estensione possibile. Kant, Critica della ragione pura, Dialettica trascendentale, edizione citata

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Dopo aver individuato e illustrato le 3 idee della metafisica, Kant passa alla loro confutazione, smontandole logicamente una per una, in tutte le loro svariate componenti, allo scopo di rinvenire e mostrare i trucchi logici, ovvero le fallacie, che esse nascondono. La confutazione dellidea di anima, cio di una sostanza immateriale semplice e quindi immortale (! res cogitans di Cartesio), si impernia sullindebita attribuzione della categoria della sostanza allio penso o autocoscienza trascendentale. Questultima, infatti, non un oggetto dellesperienza sensibile, ma solo una funzione, unattivit, di cui ogni uomo ha una consapevolezza immediata che nulla ha a che spartire con lintuizione sensibile. Poich le categorie acquistano una consistenza oggettiva se, e solo se, sono riferite allesperienza sensibile, ne segue che lattribuzione della sostanza allautocoscienza trascendentale invalida. In parole pi semplici, in questo caso linganno metafisico consiste nel travestire lautocoscienza trascendentale da anima, ossia trasformare la suprema attivit unificatrice dellintelletto una cosa puramente razionale. Dal punto di vista logico-formale, lidea di anima si basa su una fallacia semantica, cio su unanfibolia o equivoco. Un esempio, diverso da quello kantiano, ma simile e soprattutto pi semplice: Io possiedo un pensiero unificatore; questo pensiero puramente razionale e semplice; quindi questo pensiero unanima immortale. Il sillogismo sembra valido, ma in realt invalido. Il suo trucco consiste nellusare il termine medio (pensiero) in 2 significato diversi, ovvero nel fatto che i concetti in ballo, anzich essere 3, sono 4, appunto perch il termine medio ha un doppio significato. Nella prima premessa pensiero significa attivit pensante, nella seconda significa cosa pensante, cio mente. Sarebbe come se argomentassi: Ho un campione di lana; un campione ha muscoli atletici; quindi questo campione di lana ha muscoli atletici. La confutazione dellidea di mondo pi complessa perch pi articolata e variegata lidea stessa di mondo, che ha dato luogo a diverse teorie metafisiche. Anche in questo caso lerrore di fondo consiste nellapplicare le categorie a ci che non oggetto desperienza sensibile ma soltanto inferito a partire da essa e quindi ne costituisce, per cos dire, unestensione puramente teorica. P.e., osservando il cielo stellato, possiamo constatare la presenza di migliaia di stelle e porci il problema se il loro numero sia finito o infinito. Sia che io risponda finito sia che risponda infinito, applico la categoria quantitativa della totalit a un giudizio che unestensione della mia esperienza sensibile, ma che non corrisponde a uneffettiva esperienza sensibile, perch: a) se le stelle fossero effettivamente infinite, io non potrei mai osservarle tutte; b) se fossero effettivamente finite io non potrei comunque saperlo in quanto non dispongo di un criterio di verit che mi permetta di stabilire se le stelle che osservo sono tutte o solo una parte, ce ne potrebbero sempre essere molte altre che semplicemente non riesco a vedere. Si tratta, insomma, di una questione indecidibile: non si pu escludere n che le stelle siano finite, n che siano infinite, ovvero si costretti ad ammettere che entrambe le soluzioni sono possibili. Secondo Kant, i metafisici non hanno compreso questo limite logico e non lhanno quindi rispettato. Lesito stato la produzione di 4 antinomie, cio di 4 coppie di tesi antitetiche, legate a 2 opposte concezioni del mondo: I antinomia relativa alla grandezza/durata del mondo (! categoria quantitativa della totalit): a) il mondo spazio-temporalmente finito; b) il mondo spazio-temporalmente infinito. II antinomia relativa alla costituzione della materia (!categoria qualitativa della realt): a) la materia una sostanza semplice ed omogenea; 45

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b) la materia una sostanza composta di corpuscoli differenziati. III antinomia relativa alla relazione di causa ed effetto (! categoria relazionale della causalit) a) la causalit naturale sia meccanica sia libera (finalistica); b) la causalit naturale solo meccanica. IV antinomia relativa allorigine del mondo (categoria necessit/contingenza): a) lesistenza del mondo presuppone un essere necessario; b) lesistenza del mondo del tutto contingente. modale della

Secondo Kant, insomma, lidea di mondo ha prodotto 2 visioni metafisiche, la prima di tipo razionalistico o idealistico (! tesi a) e la seconda di tipo materialistico-meccanicistico (!tesi b), ognuna della quali il negativo dellaltra. Il punto che la loro contrapposizione non pu essere risolta n a favore di una n a favore dellaltra. In altri termini, una battaglia inutile perch nessuno dei due eserciti pu vincere e quindi finiscono solo per distruggersi a vicenda. In questo senso, lidea di mondo si confuta innanzitutto da sola in quanto produce dei risultati insuperabilmente ambivalenti e dunque scientificamente sterili e anzi autolesionistici. Ma c di pi. Per Kant infatti le tesi delle prime 2 antinomie sono entrambe false, perch lesperienza scientifica ricerca che si sviluppa, work in progress, e quindi da una parte supera sempre ogni conclusione finita e dallaltra per non raggiunge mai la totalit infinita; invece le tesi delle altre 2 antinomie possono essere entrambe vere, in quanto logicamente compatibili tra loro e quindi ontologicamente entrambe possibili. La confutazione dellidea di Dio, culmine della metafisica, di tipo propriamente logicoargomentativo, e di base fa sempre leva sulluso scorretto delle categorie, in questo caso della categoria modale dellesistenza. Lidea di Dio, infatti, si fonda sulle cosiddette prove, ossia sulle argomentazioni razionali, della sua esistenza. Kant le sintetizza tutte in 3 prototipi: 1) largomento ontologico o prova a priori (!Anselmo dAosta e Cartesio); 2) la prova cosmologica (!ex possibili et necessario di Tommaso dAquino); 3) la prova teleologica o finalistica (! ex fine di Tommaso dAquino, ma anche di molti altri prima e dopo). Largomento ontologico sostiene che, avendo ogni uomo il concetto di Dio come essere infinito e perfetto, ogni uomo deve ammetterne lesistenza altrimenti cadrebbe in contraddizione. Kant afferma che questargomentazione contiene 2 trucchi, a seconda di come la si interpreti. In prima battuta essa potrebbe nascondere una petitio principii, se non addirittura una tautologia analitica, in quanto avendo definito nella premessa Dio come infinito e perfetto si gi inclusa implicitamente la propriet dellesistenza in questa definizione, per cui nella conclusione si afferma esplicitamente ci che occultamente era gi contenuto nella premessa. In seconda battuta, se anche cos non fosse, la conclusione sarebbe un non sequitur, perch il predicato dell esistenza, essendo una categoria, si pu conferire a qualcosa che sia oggetto di unesperienza sensibile. Altrimenti detto, lesistenza di qualcosa, a differenza di altre propriet, non si pu dedurla dal suo concetto. P.e., dal concetto di corpo posso dedurre la sua spazio-temporalit, ma non la sua esistenza. Allo stesso modo, dal concetto di Dio posso dedurre la sua superiorit, ma non la sua esistenza. Giocando sul fatto che alcune propriet sono deducibili dal concetto di qualcosa, largomento ontologico fa finta che la propriet dellesistenza sia una di queste. Ma appunto un trucco.

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Secondo la prova cosmologica, poich il mondo contingente, ossia poteva esistere tanto quanto non esistere, dato che esiste, bisogna presupporre lesistenza di un essere necessario, ovvero di una causa prima che lo ha fatto esistere. Kant afferma che i concetti di causa prima ed essere necessario sono costituiti dalle categorie della causalit e della necessit in assenza dellindispensabile riferimento a una corrispondente intuizione sensibile. Noi, infatti, possiamo inferire una causa prima dallintuizione sensibile della serie delle cause seconde, ma inferire diverso da esperire. Inoltre, un conto sarebbe asserire un essere necessario, tuttaltro che esso esiste e coincide con Dio. In questultimo modo, ricadiamo nellerrore/trucco dellargomento ontologico, ossia attribuiamo lesistenza a qualcosa di solamente inferito ma non esperito. La prova teleologica fa leva sulla constatazione dellordine mirabile del cosmo per concludere che esso presuppone un Grande architetto. Nelle versioni pi recenti, essa era stata riformulata nella fortunatissima argomentazione dellorologio e dellorologiaio: cos come lesistenza di un orologio impensabile senza quella dellorologiaio che lha costruito, allo stesso modo lesistenza del cosmo (ancora pi complesso e perfetto di un orologio) impensabile senza lesistenza di Dio. Kant comincia la sua opera demolitrice rilevando che la prova teleologica non considera lipotesi, del tutto plausibile, che il cosmo possa essere capace di autorganizzarsi, cio che possa possedere un principio dordinamento immanente. Si sarebbe dovuto preliminarmente confutare questa ipotesi, ma ci non stato fatto e quindi la conclusione della prova teleologica risulta comunque parziale. In secondo luogo, Kant nota che anche questa prova salta dal concetto di un Grande Architetto a quello di Dio, dunque ricade nello stesso errore della prova cosmologica. Infine, nel momento in cui, per superare questa difficolt, sostiene che lordine del mondo cos perfetto che esso non pu non implicare un Architetto infinito e perfetto, ossia Dio, secondo Kant commette un doppio errore: da un lato, salta dal finito allinfinito, dal momento che lordine cosmico che noi possiamo constatare rimane pur sempre finito; dallaltro attribuisce comunque indebitamente la propriet dellesistenza a qualcosa di inferito ma non di esperito, ricadendo nellerrore dellargomento ontologico. In conclusione, secondo Kant, lesistenza di Dio non pu essere argomentata razionalmente, ossia non pu essere sancita dalla scienza, a differenza di quanto aveva creduto Newton. Ma Kant non pensa nemmeno che la scienza attesti linesistenza di Dio e che quindi possa o debba diffondere lateismo. Egli sa bene che, in tal caso, cadrebbe a sua volta nella fallacia ad ignorantiam, secondo cui la confutazione di una tesi equivale alla dimostrazione della sua antitesi. Kant sostiene invece che la questione dellesistenza o inesistenza di Dio non pertiene allambito della scienza, ossia non ricade sotto il dominio della razionalit teoretica o conoscitiva. La scienza non pu e non deve pronunciarsi su Dio, ovvero la conoscenza scientifica neutrale nello scontro tra teisti e ateisti. Avendo cos terminato la pars destruens della Dialettica trascendentale, Kant pu concedersi una pars construens. In realt la valorizzazione selettiva della ragione e della metafisica era gi stata annunciata in apertura della Dialettica trascendentale, laddove Kant aveva insistito non solo sul fatto che il bisogno metafisico appartiene alla costituzione stessa della ragione, ma anche sul fatto che la ragione metafisica certo sbaglia, ma il suo un nobile errore in quanto commesso in nome della conoscenza (vedi lUlisse dantesco). In sintonia con queste anticipazioni, nella conclusione Kant afferma che possibile e anzi doveroso un uso regolativo delle 3 idee della ragione, in alternativa al loro erroneo uso costitutivo, cio al loro uso come concetti scientifici. Questo uso alternativo consiste nel conferire alle 3 idee il ruolo di traguardi irraggiungibili ai quali per possibile avvicinarsi sempre pi, ossia di considerarle una sorta di calamite e insieme di catalizzatori della ricerca scientifica. Le idee metafisiche, infatti, incarnano lideale di una conoscenza quantitativamente completa e qualitativamente del tutto unificata. Dunque se, pur consapevole della loro inconoscibilit, lo scienziato cerca tuttavia di avvicinarle allora sar 47

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spronato ad incrementare la sua esperienza e al contempo a unificare sempre pi le sue teorie, in poche parole a fare sempre pi della buona scienza. Non pago, Kant accenna a un ulteriore valore della ragione dialettica o metafisica, quello di anticipare le scoperte della ragione pratica o morale e quindi di gettare un ponte tra la scienza e letica. Implicitamente, Kant ci fa cos intravedere che c unaltra modalit per esplorare loceano tempestoso e nebbioso che circonda lisola della scienza, senza rimanere abbagliati dallillusione della terraferma prodotta dalle montagne di ghiaccio galleggianti, ma scoprendo una seconda isola reale bench con una natura molto diversa dalla prima.

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MAPPA della TAPPA 7 IDEA DELLANIMA Attribuzione come conoscenza di una sostanza basata della categoria immateriale, semplice su della e quindi immortale sostanza allio penso

Lio penso non ma un oggetto desperienza ma una funzione trascendentale

Lio penso non pu essere dunque identificato con lanima, poich le categorie sono riferibili solo allesperienza

IDEA DI MONDO come conoscenza completa del cosmo

4 ANTINOMIE DELLA RAGIONE TESI ANTITESI Finito Infinito Parti Parti sempre indivisibili divisibili Causalit Causalit meccanica libera Necessario Possibile

Sono problemi irrisolvibili in quanto manca il criterio di giudizio: lesperienza sensibile

DIO come conoscenza completa dellorigine, del fine e del senso di tutta la realt

3 PROVE DELLESISTENZA DI DIO: 1) prova a priori o basata su argomento ontologico 2) prova cosmologia 3) prova teleologica o finalistica

inficiate da Fallacie, cio da errori logici mascherati, e pertanto non valide

La scienza non le pu confermare ma nemmeno smentire

Vietato farne un USO COSTITUTIVO ma necessario farne un USO REGOLATIVO

La scienza deve assumere le 3 idee come mete irraggiungibili cui tendere cos da estendersi e rendersi sempre pi unitaria

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TAPPA 8

KANT: LA RAGIONE PRATICA E LA LEGGE MORALE


I principi pratici sono proposizioni che contengono una determinazione universale della volont, la quale ha sotto di s parecchie regole pratiche. Essi sono soggettivi, ossia massime, se la condizione viene considerata dal soggetto come valida soltanto per la sua volont; ma oggettivi, ossia leggi pratiche, se la condizione vien riconosciuta come oggettiva, cio valida per la volont di ogni essere razionale. [] Nella conoscenza pratica, cio in quella che si occupa semplicemente dei motivi determinanti della volont, i principi che cimponiamo non sono ancora perci delle leggi alle quali sia inevitabile sottostare, perch la ragione nelluso pratico ha a che fare col soggetto, cio con la facolt di desiderare e, secondo la disposizione particolare di questa facolt, si pu adattare variamente la regola. La regola pratica sempre un prodotto della ragione, perch prescrive lazione come mezzo alleffetto come fine. Ma per un essere, per cui il motivo determinante della volont non unicamente la ragione, questa regola un imperativo, cio una regola che viene caratterizzata mediante un dovere [ein Sollen] esprimente la necessit oggettiva dellazione: essa significa che, se la ragione determinasse interamente la volont, lazione avverrebbe immancabilmente secondo questa regola. Glimperativi hanno dunque valore oggettivo, e sono affatto differenti dalle massime, in quanto queste sono principi soggettivi. Quelli, invece, o determinano le condizioni della causalit dellessere razionale, come causa efficiente, semplicemente riguardo alleffetto e alla sufficienza ad esso, o determinano soltanto la volont, sia questa sufficiente o no alleffetto. I primi sarebbero imperativi ipotetici, e conterrebbero semplici precetti dellabilit; i secondi invece sarebbero imperativi categorici e soltanto leggi pratiche. [] Queste ultime devono determinare sufficientemente la volont come volont, ancor prima che io domandi se ho il potere necessario a un effetto desiderato, o che cosa debba fare per produrlo. [] 7. LEGGE FONDAMENTALE DELLA RAGION PURA PRATICA Opera in modo che la massima della tua volont possa sempre valere in ogni tempo come principio di una legislazione universale. Kant, Critica della ragion pratica, Laterza 1986, Libro I, capitolo I La ragione per Kant non solo teoretica, ossia relativa alla conoscenza contemplativa e distaccata della realt fisica; essa anche pratica, ossia capace di giudicare e guidare il comportamento umano sulla base di principi pratici specifici. Per principio pratico (o morale o etico) Kant intende un giudizio capace di determinare la volont e che dunque si traduce in unazione. P.e., mi alzo, piuttosto che rimango sdraiato a letto o mi metto a saltare sul materasso, in quanto mi fanno fare lazione corrispondente, finendo per essere tuttuno con quellazione. Secondo Kant i principi pratici possono essere di 2 generi: " massime : sono principi pratici soggettivi nel senso comune del termine, cio validi solo per un singolo individuo. Gli esempi di prima sono, dunque, tutte massime, tanto quanto studio 3 ore oppure me ne vado al cinema; " imperativi: sono principi pratici oggettivi, nellunico senso possibile in ambito morale, cio universali, validi per tutti gli uomini.

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Dunque, a differenza delle massime, gli imperativi sono regole o leggi di comportamento. Proprio come tali sono imperativi, ossia hanno una forma logico-verbale di comando:Fai questo!. Ma, a loro volta, gli imperativi possono essere di 2 specie: a) imperativi ipotetici, ossia relativi a una condizione data; b) imperativi categorici, ossia incondizionati. I primi comandano di comportarsi nel modo ritenuto pi funzionale a raggiungere un determinato obiettivo, che ne dunque la condizione: p.e., se vuoi vincere la corsa allenati tutti i giorni!. In altri termini, gli imperativi ipotetici si basano su una razionalit strumentale, cio capace di indicare il mezzo migliore per raggiungere un fine semplicemente postulato. La loro universalit, e quindi la loro razionalit, pertanto relativa e limitata, in quanto non si riferisce al problema cruciale, ovvero quello della razionalit del fine. Tant vero che se vuoi rapinare una banca, trovati un bravo palo! una regola pratica dello stesso livello di razionalit di quella precedente. Gli imperativi categorici, invece, sono incondizionati, senza se n ma, e si riferiscono pertanto proprio allo scopo di un comportamento, ovvero si fondano su una razionalit rispetto al fine e sono quindi deputati alla scelta dei fini delle nostre azioni. Essi sono 3: 1. Agisci in modo che la massima della tua volont possa valere in ogni tempo come principio di una legislazione universale. 2. Agisci in modo da trattare lumanit, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo. 3. Agisci in modo tale che la volont, in base alla massima, possa considerare contemporaneamente se stessa come universalmente legislatrice. In realt, si tratta di 3 versioni di ununica legge morale. Infatti, la seconda e la terza formulazione della legge morale sono specificazioni della prima, quella fondamentale. Questa sostiene che le azioni devono attuare massime che abbiano un valore universale, cio che siano valide per ogni uomo, ossia per lintera umanit, e in ogni epoca, passata, presente e futura. In termini pi semplici, limperativo categorico ci impone di agire universalmente, cio per il bene dellintera umanit; mai per il bene di un solo uomo o solamente di una parte degli uomini, per quanto ampia possa essere. La legge morale, dunque, antitetica non solo allegoismo individuale, ma anche a qualsiasi particolarismo, che sia familiare, di gruppo, di partito o anche di una nazione intera. La seconda versione della legge morale ne mette a fuoco laspetto relazionale. Agire universalmente implica considerare sia me stesso sia ogni altra persona mai solo come un mezzo ma anche sempre come un fine, ossia non usare me stesso e un altro solo come uno strumento, cio come una cosa. P.e., se uno studente studia incessantemente al di l delle sue energie psicofisiche e trascurando ogni altra attivit e ogni rapporto personale; oppure se uno studente amico di un proprio compagno solo perch e fintantoch questo lo aiuta a fare i compiti a casa; allora, in entrambi questi casi, secondo Kant non ci si comporta moralmente. In questa seconda formulazione della legge morale ci sono 2 aspetti da evidenziare: " ogni individuo deve considerare un fine anche se stesso, non solo gli altri: letica kantiana non sostiene il sacrificio di se stessi o lautolesionismo per il bene degli altri, a meno che non sia indispensabile e comunque solo in casi-limite (p.e.: io posso affrontare il rischio di farmi male per salvare un altro da morte sicura); " ogni individuo deve considerare s e gli altri sempre e soprattutto come fini assoluti, ma ci non esclude che non possa considerarli anche come mezzi relativi (p.e., lamicizia sincera per qualcuno non in contraddizione con il fatto che io mi aspetti che mi aiuti in caso di difficolt).

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La terza formulazione della legge morale, invece, evidenzia lintenzionalit dellagire morale. In altre parole, per Kant per comportarci moralmente non sufficiente che facciamo unazione fisica conforme a una massima universale. Anzi, addirittura non nemmeno necessario. E necessario, e sufficiente!, che noi vogliamo davvero seguire una massima universale, ossia indispensabile che interiormente siamo sinceramente convinti che essa la migliore ed necessario che sentiamo lesigenza di attuarla. Se io presto dei soldi falsi, senza sapere che lo sono, a un mio amico e questi poi, spendendoli, viene scoperto e arrestato, la mia azione, a giudizio di Kant, pienamente morale. Viceversa, se gli presto dei soldi appena usciti dalla zecca di Stato, ma del tutto controvoglia e solo perch temo che gli altri mi considerino un taccagno, la mia azione per Kant non morale. Tutte tre le formulazioni dellimperativo categorico mettono in luce la sua caratteristica fondamentale: la pura formalit. Ci significa che la legge morale non ha un contenuto preciso, non prescrive delle massime specifiche, non dice fai questo o quello, ma indica solo il criterio generale in base al quale, a seconda delle circostanze e delle esigenze pratiche, ogni individuo deve scegliere come comportarsi. P.e., non impone a uno studente in classe di rispondere sempre alla domanda di un suo compagno, ma di rispondergli quando universale farlo, il che pu voler dire che deve rispondergli al di fuori dellorario di lezione, ma che non deve invece rispondergli nel corso della lezione. In quanto pura forma, la legge morale incondizionata, ossia del tutto disinteressata, e quindi completamente autonoma (in senso etimologico: legge a se stessa, cio legge sovrana). Da questo punto di vista, Kant confuta tutte le morali precedenti, tra loro diverse e anche opposte, ma accomunate dal fatto di adottare come principio un contenuto pratico e pertanto di essere subordinate a una condizione esterna, cio viziate dalleteronomia (legge diversa da s, cio legge dipendente da unaltra). Che il principio sia il piacere sensibile (Agisci in modo tale da ottenere il massimo piacere), come in Epicuro, o la perfetta impassibilit, come per gli stoici, o lavvicinarsi a Dio e quindi ottenere la salvezza eterna, come per Tommaso dAquino e in genere per le religioni cristiane, o ancora il sentimento della simpatia, come in Hume, in tutti i casi il risultato finale non cambia: lagire risulta sempre interessato, sempre condizionato da qualcosa di diverso dalla legge morale e pertanto non autonomo, ovvero non morale. Certo, afferma Kant, si potrebbe dire che si deve agire per perseguire la felicit non solo propria ma anche degli altri. Questa regola pratica sarebbe oggettiva e al contempo avrebbe un contenuto, in quanto la felicit consiste nel benessere materiale e psicologico di una persona. Ma a ben vedere, sostiene Kant, essa oggettiva in tanto in quanto comanda luniversalit, cio in quanto si riferisce allintera umanit. In altre parole, la sua oggettivit non insita nel suo contenuto - il benessere psicofisico, che potrebbe essere variamente interpretato da ognuno - ma nella sua pura forma, che come tale rigorosamente universale e necessaria. In quanto puramente formale, in quanto fondata sul principio della pura universalit, la legge morale, poi, pu e deve assumere come contenuto il perseguimento del benessere psicofisico di tutti gli uomini, ma essa viene prima di tale contenuto e pertanto ne costituisce il fondamento. Corollario dellassoluta autonomia della legge morale che essa non si fonda sul bene, ma ne il fondamento. In altre parole, i criteri costitutivi delletica, il bene e il male, sono istituiti dalla legge morale, non ne sono i presupposti. Detto altrimenti: per Kant se una massima universale allora buona, e linverso (se una massima buona allora universale) non vale. Insomma, luniversalit il criterio del bene, ossia il bene luniversalit, non viceversa. In questo modo, Kant attua la sua rivoluzione copernicana anche in ambito morale o etico. Anzi, si pu a buon diritto sostenere che la rivoluzione copernicana in campo morale ancora pi radicale che in quello teoretico. Infatti, mentre a livello conoscitivo la ragione pura deve sottomettersi alla condizione dellintuizione sensibile, a livello morale, al 52

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contrario, la ragione deve imporre la sua assoluta sovranit sulla sensibilit. La legge morale, in questo senso, un a priori della ragione, ovvero un noumeno, cio un principio puramente razionale del tutto indipendente dal mondo fisico e dunque dallesperienza sensibile. In ambito morale, al contrario che in quello scientifico, il legame allesperienza non solo non richiesto, ma recisamente proibito. Confermando e accentuando la maggiore radicalit della rivoluzione copernicana morale, Kant giunge a proclamare il primato della ragione pratica su quella teoretica (o speculativa). Ci significa che per Kant il fine ultimo delluomo lagire morale, di cui dunque la scienza un mezzo.

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MAPPA della TAPPA 8 RAGIONE PRATICA

VOLONTA Capacit della ragione di determinare i comportamenti in base ai propri principi pratici

MASSIME principi pratici singolari e immediati, di per s soggettivi. P.e.: Mangio la minestra.

IMPERATIVI principi pratici generali

IPOTETICI basati su una condizione solo postulata e quindi di validit necessaria ma limitata. P.e.: Se vuoi vincere la gara, devi allenarti molto.

CATEGORICI Incondizionati e quindi universali e necessari, cos sintetizzabili: AGISCI ADOTTANDO UNA MASSIMA CHE ABBIA UN VALORE UNIVERSALE

"

E la legge morale che stabilisce cosa sono il bene e il male e non viceversa

" " "

LEGGE MORALE formale disinteressata autonoma intenzionale

RIVOLUZIONE COPERNICANA In ambito pratico-morale la ragione sovrana e deve imporre la sua legge alla realt fisica

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TAPPA 9 KANT: LA VIRTU, LA SANTITA E IL MALE RADICALE Ma nelluomo la legge ha la forma di un imperativo, perch in esso, a dir vero, come essere razionale, si pu bens supporre una volont pura, ma, in quanto essere soggetto a bisogni ed a cause determinanti sensibili, non si pu supporre una volont santa, cio tale che non sarebbe capace di nessuna massima contraria alla legge morale. Kant, Critica della ragion pratica, Laterza 1986, Libro I: Analitica, capitolo I Se il fanatismo nel senso pi generale una trasgressione, intrapresa secondo principi, dei limiti della ragione umana, il fanatismo morale questo passare i limiti che la ragion pura pratica pone allumanit []. Se cos, non solo i romanzieri e i pedagoghi sentimentali [] ma persino i filosofi, anzi i pi rigidi di tutti, gli stoici, hanno introdotto il fanatismo morale, invece della fredda, ma saggia disciplina dei costumi, ancorch il fanatismo degli ultimi fosse pi eroico, e quello dei primi di carattere pi insipido e tenero; e si pu, senza ipocrisia, con tutta verit ripetere della dottrina morale del Vangelo, che essa, anzitutto mediante la proporzione di esso ai limiti degli esseri finiti, ha assoggettato ogni buona condotta delluomo alla disciplina di un dovere posto davanti ai suoi occhi, che non lascia vaneggiare in perfezioni morali immaginarie, e ha posto i confini dellumilt (cio della conoscenza di s) alla presunzione, e cos pure allamor proprio, entrambi i quali ignorano volentieri i propri limiti. Kant, Critica della ragion pratica, ed. cit., Libro I: Analitica, capitolo III [] la ragione del male non pu trovarsi in alcun oggetto determinante larbitrio per inclinazione, n in alcun istinto naturale; ma soltanto in una regola che larbitrio d a se stesso per luso della sua libert; vale a dire in una massima. [] La frase: luomo cattivo non pu, dopo ci che precede, voler dire altra cosa che questo: luomo consapevole della legge morale, ed ha tuttavia adottato per massima di allontanarsi (occasionalmente) da questa legge. [] si pu presupporre la tendenza al male come soggettivamente necessaria in ogni uomo, anche nel migliore. Ora, questa tendenza bisogna considerarla essa stessa come moralmente cattiva, e perci non come una disposizione naturale, ma come qualche cosa che possa essere imputato alluomo, e bisogna quindi che essa consista in massime dellarbitrio contrarie alla legge. Ma, daltronde, queste massime, in ragione appunto della libert, bisogna che siano ritenute in se stesse contingenti, ci che, a sua volta, non pu accordarsi con luniversalit di questo male se il fondamento supremo soggettivo di tutte le massime non , in un modo qualsiasi, connaturato con la stessa umanit e quasi radicato in essa. Ammesso tutto ci, potremo allora chiamare questa tendenza una tendenza naturale al male, e, poich bisogna pur sempre che essa sia colpevole per se stessa, potremo chiamarla un male radicale, innato nella natura umana (pur essendo, ci non di meno, prodotto a noi da noi stessi). Kant, La religione entro i limiti della sola ragione, Laterza 2004, capitolo I

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La legge morale, secondo Kant, per ogni uomo una verit pratica di assoluta evidenza, e dunque indiscutibile e irrefutabile. Questo per non implica che essa sia, e nemmeno che possa essere, sempre rispettata. Anzi. Spesso e volentieri gli uomini trasgrediscono la legge morale, cio si comportano immoralmente. Come pu accadere? In primo luogo, Kant chiarisce che luomo non solo ragione ma anche sensibilit, ossia un essere biologico soggetto alle leggi naturali, condizionato da bisogni, desideri, inclinazioni, pulsioni. Ne segue che la legge morale, puramente razionale, deve fare i conti con la fisiologia naturale delluomo, la quale non antimorale, ma certamente amorale, e quindi non si accorda con la moralit. Di fatto, se luomo vuole agire moralmente deve, a seconda dei casi, contenere o addirittura reprimere i propri istinti. A tal punto che Kant arriva a dire che la legge morale ci si manifesta a livello psicofisico nel sentimento del dolore. In altri termini, la moralit non pu essere spontanea, non si pu praticare senza sforzo, tensione e anche sofferenza corporale. Per questo la legge morale ha la forma di un imperativo, per questo non un essere, ma un dover essere, cio un tu devi agire cos! Ma, a un livello pi profondo, Kant sostiene che la causa della trasgressione della legge morale da parte delluomo non nella sua fisiologia, ma nel suo libero arbitrio, nella sua stessa volont, intesa appunto come capacit di determinare il proprio agire indipendentemente dalle leggi naturali. Tale causa una massima, cio una decisione pratica cosciente, il cui contenuto consiste nella trasgressione della massima coerente con la legge morale. P.e., se la legge morale mi porta a scegliere la massima dico la verit, la massima antimorale consiste in dico il falso. In questa prospettiva, Kant afferma che bisogni, desideri e pulsioni fisiologici sono soltanto occasioni della scelta immorale. P.e., se, in seguito a un naufragio su unisola deserta, io mangio unintera porzione di cibo senza dividerla con un altro naufrago, la fame, il bisogno impellente di mangiare, non la causa della mia condotta immorale, ma solo una condizione che mi d la possibilit di scegliere la massima antimorale non divido il mio cibo con nessun altro. Dal momento che potrei sempre controllare la mia fame e soddisfarla solo in parte, lunica vera causa della mia trasgressione della legge morale la mia scelta della massima antimorale. In questo senso Kant afferma che nelluomo innato il male radicale - cio il male propriamente detto, lagire immorale, cio antiuniversale, scelto liberamente dalluomo. Cos stando le cose, secondo Kant la santit al di l delle possibilit pratiche di qualsiasi uomo. Infatti, per santit Kant intende la capacit di seguire la legge morale del tutto spontaneamente, senza alcun sforzo, e quindi di comportarsi sempre moralmente. In altre parole, la santit sarebbe la perfezione morale posseduta come dono di natura. Essa preclusa alluomo in quanto alberga in s il male radicale, ossia la tendenza a scegliere massime antimorali. Di conseguenza le morali che si prefiggono la perfezione sono per Kant esempi di fanatismo, ovvero di presunzione umana. Dunque, nonostante la legge morale sia sovrana e svincolata da qualsiasi condizionamento fisico, la vita morale delluomo, secondo Kant, incontra dei limiti oggettivi invalicabili. Come in ambito scientifico, cos a livello morale il criticismo kantiano mira a renderci consapevoli della limitatezza delle nostre capacit e a farci considerare tale consapevolezza la condizione stessa del valore delle nostre capacit. La rivoluzione copernicana di Kant, pertanto, mette s luomo al centro della realt ma solo in quanto essere limitato consapevole della sua limitatezza. A questo punto, per, ci si potrebbe chiedere che senso abbia una legge morale sovrana ma poco applicabile se non quasi inapplicabile. Innanzitutto, Kant sostiene che la virt, cio la capacit di agire moralmente, costituita proprio dallopposizione del male radicale. Senza questa opposizione, e senza la lotta tra scelta del bene e scelta del male che ne consegue, luomo non potrebbe essere virtuoso, cio autenticamente morale. In secondo luogo, se vero che la virt non illimitata, cio che a volte, e perfino spesso, nella lotta pu essere

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perdente, ci non esclude che abbia delle ampie potenzialit, cio che possa anche vincere e realizzarsi. Infine, anche quando trasgredisce la legge morale, luomo rimane sempre lucidamente consapevole della superiorit della moralit, ossia dentro di s sa sempre che la scelta migliore sarebbe stata seguire la legge morale. In parole pi semplici, per Kant quando ci comportiamo immoralmente proviamo sempre rimpianto e rimorso. La legge morale pu essere negata sul piano fisico, ma su quello razionale la sua sovranit non mai minimamente scalfita n offuscata. Tuttavia, Kant non si accontenta di queste soluzioni. Proprio lesigenza di risolvere fino in fondo il problema del contrasto tra lassolutezza della legge morale e la relativit della sua attuazione da parte delluomo lo spinge a varcare la dimensione terrena per inoltrarsi in quella ultraterrena.

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MAPPA della TAPPA 9 LA LEGGE MORALE PUO ESSERE TRASGREDITA a causa di condizionato da LIBERO ARBITRIO possibilit di scegliere il MALE RADICALE: tendenza insita nelluomo che lo spinge a seguire massime contrarie alla legge morale impossibilit della SANTITA cio della capacit umana di agire spontaneamente in modo morale e quindi di comportarsi sempre moralmente LA LEGGE MORALE a livello razionale non intaccata perch luomo sempre cosciente di sbagliare

FISIOLOGIA UMANA: istinti, bisogni, desideri naturali insiti nel corpo che si oppongono alla moralit

anche se

LA RAGIONE PURA E SOVRANA IN AMBITO MORALE MA DI FATTO E LIMITATA

La consapevolezza di questo limite condizione indispensabile della vita morale umana

IL FANATISMO, cio la convinzione dogmatica che un uomo possa essere moralmente perfetto, VA RIGETTATO in quanto contrario alla moralit

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TAPPA 10

KANT: LA LIBERTA, LIMMORTALITA E LESISTENZA DI DIO


VI. Sui postulati della ragion pura pratica in generale. Essi partono tutti dal principio della moralit, il quale non un postulato, ma una legge per mezzo di cui la ragione determina immediatamente la volont. La volont, per ci stesso che viene determinata cos, come volont pura richiede queste condizioni necessarie allosservanza dei suoi precetti. Questi postulati non sono dogmi teorici, ma supposizioni da un punto di vista necessariamente pratico, e quindi non estendono la conoscenza speculativa, ma danno alle idee della ragione speculativa in genere (mediante la loro relazione con ci che pratico) realt oggettiva, e le giustificano come concetti, la cui possibilit altrimenti essa non potrebbe neanche soltanto presumere di affermare. Questi postulati sono quelli dellimmortalit, della libert positivamente considerata (come causalit di un essere in quanto questo appartiene al mondo intellegibile), e dellesistenza di Dio. Il primo deriva dalla condizione praticamente necessaria di una durata corrrispondente alladempimento completo della legge morale; il secondo dalla supposizione necessaria dellindipendenza dal mondo sensibile e del potere della determinazione della propria volont, secondo la legge di un mondo intellegibile, cio della libert; il terzo dalla necessit della condizione di un mondo intellegibile per lesistenza del sommo bene, mediante la supposizione del sommo bene indipendente, cio lesistenza di Dio. Kant, Critica della ragion pratica, ed. cit., Libro II: Dialettica, capitolo II NellAnalitica si dimostrato che la virt (come merito di essere felice) la condizione suprema di tutto ci che ci pu sembrare soltanto desiderabile, quindi anche di ogni nostra ricerca della felicit; e quindi il bene supremo. Ma non per questo essa il bene intero e perfetto come oggetto della facolt di desiderare degli esseri razionali finiti: poich per questo bene si richiede anche la felicit []. Poich aver bisogno di felicit, ed esserne anche degno ma tuttavia non esserne partecipe, non affatto compatibile col volere perfetto di un essere razionale, il quale nello stesso tempo avesse lonnipotenza, solo che tentiamo di rappresentarci un tale essere. Ora, in quanto virt e felicit costituiscono insieme in una persona il possesso del sommo bene, per questo anche la felicit, distribuita esattamente in proporzione della moralit (come valore della persona e suo merito di essere felice), costituisce il sommo bene di un mondo possibile; questo bene significa il tutto, il bene perfetto, in cui per la virt sempre, come condizione, il bene supremo, perch essa non ha nessuna condizione al di sopra di s, e la felicit sempre qualcosa che per colui che la possiede bens piacevole, ma non buona per s sola assolutamente e sotto ogni rispetto, e suppone sempre come condizione la condotta morale conforme alla legge. Kant, Critica della ragion pratica, ed. cit., Libro II: Dialettica, capitolo II Secondo Kant, la legge morale implica 3 postulati: 1. la libert del volere e quindi dellagire; 2. limmortalit dellesistenza individuale 3. lesistenza di Dio. Kant usa il termine postulato in unaccezione personale, intendendo al contempo: 59

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a) una tesi non argomentata n argomentabile scientificamente e dunque priva di validit razionale a livello teoretico o speculativo; b) un presupposto necessario della legge morale e dunque incontrovertibile sul piano pratico, dal momento che la legge morale possiede unevidenza razionale inoppugnabile nellambito della prassi. Il postulato della libert legato allopposizione tra la legge morale e gli impulsi naturali e ancor pi allantitesi tra legge morale e il male radicale, cio la tendenza innata in ogni individuo a seguire massime incoerenti con la legge morale. Date questa opposizione e questa antitesi, la legge morale non un esser ma un dover essere, legge del dovere, che si esprime nellimperativo categorico tu devi agire cos!. In altre parole, la vita morale costitutivamente conflittuale, in quanto solo lalternativa conflittuale tra 2 possibili opzioni pratiche in sintesi tra universalit e particolarismo istituisce la responsabilit individuale rispetto al proprio comportamento. Senza responsabilit individuale, naturalmente, non si potrebbe parlare di morale. Ma lesistenza di 2 possibili opzioni pratiche da sola non basta a fondare la responsabilit individuale. E necessario infatti che lindividuo abbia la possibilit di scegliere una delle due opzioni. Dunque necessario che io abbia la capacit di scegliere liberamente. Se devo, posso. Sarebbe insensato che la legge morale, scolpita nella mia ragione e quindi assolutamente certa, mi ordinasse in modo perentorio di comportarmi universalmente se io non fossi libero di farlo. Ne segue che la libert una condizione indispensabile della legge morale, appunto un suo postulato, e pertanto indubbio che noi siamo liberi di volere e di agire. Attenzione, per. Il concetto di libert di Kant pi profondo e articolato di quanto in prima approssimazione sembri. Esso infatti sottintende una distinzione tra: a) arbitrio (o libero arbitrio), cio la facolt di scegliere tra massima universale e massima particolare, indipendentemente dal contenuto delle 2 opzioni, ovvero indifferentemente o neutralmente; b) la libert in senso proprio, cio quella che per Kant lunica autentica libert, che consiste invece solo nella libera scelta della massima universale. Larbitrio (o libero arbitrio) coincide con la volont, definita da Kant come la capacit individuale di determinare causalmente i nostri comportamenti. In questo senso, la volont pu essere buona o cattiva a seconda che scelga una massima coerente o incoerente rispetto alla legge morale. Ma solo la volont buona, cio la volont che sceglie una massima universale, libera. Perch? Perch, afferma Kant, solo in questo caso noi ci sottraiamo alla determinazione causale delle leggi di natura e ci autodeterminiamo. In altri termini: se io scelgo una massima particolare non faccio altro che confermare la mia soggezione alle leggi fisiologiche e psicologiche che mi governano, ossia accetto di essere un burattino agito dai miei bisogni, desideri, istinti. Dunque sono schiavo. Invece, se io scelgo una massima universale allora, e solo allora, sono libero, dal momento che mi comporto diversamente da come prestabilito dalle leggi naturali, cio la mia azione non causata dai miei bisogni, desideri, istinti. Un esempio semplice. Suona la sveglia al mattino. Provo il desiderio di dormire ancora. Daltra parte, la legge morale mi ordina di alzarmi, per arrivare puntuale a scuola. Il male radicale che in me mi propone di adottare la massima non mi alzo, continuo a dormire. Io posseggo una volont, cio il libero arbitrio di scegliere tra le 2 massime. Se la mia volont aderisce a questa massima, io non faccio altro che eseguire ci che mi impone la fisiologia del mio corpo, dunque sono causato dalle leggi fisiologiche del mio corpo. Se, invece, la mia volont opta per la massima universale ti devi alzarti e arrivare puntuale a scuola! allora io mi svincolo dalle leggi fisiologiche del mio corpo, dunque mi comporto liberamente. 60

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Insomma, per Kant la libert umana coincide con la moralit, si liberi se si morali e si morali se si liberi. Si potrebbe obiettare che in realt passiamo da una schiavit allaltra, dalla padella alla brace, ovvero dal sottometterci alla legge naturale al soggiacere alla legge morale. Entrambe ci comandano, dunque entrambe ci rendono loro burattini. Per Kant non cos, perch per lui la legge morale la nostra ragione, cio la nostra identit stessa. Quando Kant sostiene che la legge morale ci ordina di comportarci in un certo modo, in realt sta sostenendo che io stesso ordino a me stesso di comportarmi cos. La legge naturale, secondo Kant, non costituisce il mio io, e quindi mi comanda dallesterno: dunque io ne posso essere schiavo. Ma la legge morale me stesso, mi comanda dallinterno, sono io stesso che mi autocomando: dunque solo obbedendole sono libero. Allobbedienza alla legge morale si connette il 2 postulato della ragione pratica, quello dellimmortalit dellesistenza individuale. Come abbiamo visto, data la limitatezza della moralit umana, e in particolare a causa del male radicale insito in ogni individuo, bench la legge morale esiga di essere sempre obbedita e bench luomo sia sempre lucidamente consapevole di quale sia la scelta migliore, spesso e volentieri trasgredisce la legge morale. Com possibile questa contraddizione? Perch ci comandiamo di agire sempre in modo universale e invece spesso non ottemperiamo al nostro stesso comando? Come si spiega che, da un lato, aspiriamo alla santit, cio alla perfezione morale, allobbedienza senza eccezioni allimperativo categorico, e che, dallaltro lato, lesperienza ci attesti limpossibilit della santit? La legge morale ci impone forse qualcosa che al di l delle nostre possibilit? Ma non sarebbe sadismo, questo? In prima battuta la risposta a queste domande imperniata sul concetto di virt, inteso da Kant come continuo perfezionamento morale. Detto altrimenti: la virt la capacit umana di obbedire sempre pi spesso allimperativo categorico, ovvero di disobbedirgli sempre meno. In questo senso, la virt proclamata da Kant bene supremo. Ma, nella dimensione fisico-sensibile, ossia nella durata finita della sua vita terrena, per quanto un individuo possa essere virtuoso, non potr mai realizzare pienamente la sua virt. La distanza tra limperfezione morale di partenza delluomo e la santit troppo ampia perch possa essere colmata nel tempo ristretto della vita fisica. Ne segue necessariamente, secondo Kant, che lesistenza individuale deve essere infinita, e dunque deve implicare una seconda vita non fisica dopo la morte fisica, perch solo cos ogni uomo pu attuare appieno la sua virt e raggiungere, in una progressione/approssimazione infinita, il suo bene supremo. Al concetto di virt come bene supremo si riallaccia il 3 postulato della ragione pratica, quello cio dellesistenza di Dio. In quanto bene supremo, la virt il bene maggiore (superlativo relativo), quello relativamente pi desiderabile e preferibile rispetto a ognuno degli altri. Dunque, la virt pi desiderabile della felicit, cio del benessere psicofisico. Eppure, afferma Kant, la virt non il bene totale, incompleta, perch possibile concepire un bene superiore, il bene massimo (superlativo assoluto), cio il bene in assoluto pi desiderabile e preferibile, dato dallunione della virt e della felicit. E chiaro che tale bene superiore alla virt in quanto, da una parte la include ma, dallaltra, comprendendo in s anche la felicit, pi della sola virt. Kant chiama questo bene assoluto sommo bene. Su questa base, egli sostiene che se la virt non ha nulla a che vedere con il modo migliore per conseguire la felicit, essa per lunico modo per luomo per essere degno della felicit, ossia per meritarla. In altre parole, non ci dobbiamo comportare moralmente per essere felici, ma solo per essere morali, cio universali; ma in questo modo possiamo meritarci la felicit, aspirare legittimamente ad essa. Dunque, la ragione pratica, fondata sulla legge morale, sancisce che solo chi virtuoso pu e deve essere felice, e in misura proporzionata al grado della sua virt, ossia al livello di approssimazione alla santit. Ogni individuo deve godere di tanta felicit quanto ne meritevole. Eppure, rileva Kant, nella dimensione fisica questo non avviene. Nellambito 61

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del mondo sensibile, governato dalla causalit naturale, cos come attestato dalla scienza, non vi alcun rapporto di proporzionalit tra virt e felicit, anzi spesso e volentieri alla maggiore virt corrisponde la minore felicit. Anche in questo caso, come possibile una tale contraddizione? Perch mai la ragione pratica ci assicura che solo chi moralmente meritevole felice quando i fatti ci attestano che le cose non stanno cos? Si tratta forse di unillusione della ragione pratica analoga a quella della ragione metafisica? Ma se cos non , come si conciliano fatti e legge morale? La soluzione di Kant fa sempre leva sulla certezza assoluta della legge morale, e dunque della ragione pura pratica. Data questa certezza, necessario postulare lesistenza di una causa di tutta la natura che contenga in se stessa anche il criterio dellaccordo tra moralit e felicit, ovvero di una causalit conforme allintenzione interiore di ogni individuo. Una causa di questo genere deve consistere in un essere razionale " onnipotente, perch produttore e ordinatore di tutta la natura, " onnisciente, perch capace di conoscere e giudicare lintenzione interiore di ogni uomo, " santo, in quanto perfettamente morale, " e dunque sommo bene, unione compiutamente realizzata di virt e felicit. Detto altrimenti: per Kant moralmente necessario ammettere lesistenza di Dio. E Dio infatti che, in quanto signore di ogni realt, garantisce il raccordo proporzionale tra virt e felicit, ossia il fatto che il virtuoso sia premiato con la felicit in proporzione al suo merito, se non del tutto subito, almeno in seguito e se non del tutto nella vita terrena, in quella ultraterrena. In questa prospettiva, Kant si pronuncia a favore di una fede razionale pura in quanto bisogno incontrovertibile della ragione pura pratica. Contestualmente, ammonisce a non sostituire la legge morale con Dio, ossia a non pensare di dover comportarsi moralmente per obbedire a Dio oppure per ottenere la felicit che Dio garantisce ai meritevoli (piuttosto che per evitare il castigo inflitto ai non meritevoli). Per Kant non Dio che fonda la legge morale, ma il contrario: la legge morale, assolutamente autonoma e quindi sovrana, che ci infonde la fede razionale pura, ovvero che ci d la convinzione pratica che Dio esista. E poich la legge morale non vale teoreticamente ma praticamente, cio solo se messa in pratica, senza nessun secondo fine, allora solo se e quando la pratichiamo possiamo acquisire la convinzione che Dio esiste e che saremo felici. In conclusione, Kant stesso evidenzia la corrispondenza tra i 3 postulati della ragione pratica e le 3 idee della ragione teoretica: 1. il postulato della libert corrisponde alla tesi dellesistenza di una causalit libera, contrapposta a quella dellesistenza di una causalit meccanica, e dunque rimanda allidea di mondo; 2. il postulato dellimmortalit corrisponde allidea dellanima; 3. il postulato dellesistenza di Dio allidea di Dio. Pur ribadendo che i postulati della ragione pratica, in quanto non argomentabili sulla base dellesperienza sensibile, sono privi di validit scientifica, Kant si spinge a sostenere che essi attestano comunque che le 3 idee della ragione hanno un oggetto, e pertanto sono a tutti gli effetti dei concetti. In questo modo Kant pone accanto alla conoscenza teoretica e speculativa, ossia alla scienza, una conoscenza pratica capace di estendere quella scientifica, ossia in grado di allargarsi dal mondo fisico al mondo intellegibile o metafisico.

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MAPPA della TAPPA 10 LA LEGGE MORALE HA 3 POSTULATI, CIOE 3 PRESUPPOSTI PRATICAMENTE NECESSARI MA SCIENTIFICAMENTE INDIMOSTRABILI Per seguire la legge morale necessario che io possa sceglierla

Devo possedere la LA LIBERTA che implica il libero arbitrio ma va intesa come facolt di scegliere tra pi opzioni pratiche solo quella universale

FISIOLOGIA UMANA: istinti, bisogni, desideri naturali insiti nel corpo che si oppongono alla moralit

anche se Solo se operiamo la scelta universale ci sottraiamo alla sottomissione agli impulsi naturali

LA LEGGE MORALE a livello razionale non intaccata perch luomo sempre cosciente di sbagliare

LA RAGIONE PURA E SOVRANA IN AMBITO MORALE MA DI FATTO E LIMITATA

La consapevolezza di questo limite condizione indispensabile della vita morale umana

IL FANATISMO, cio la convinzione dogmatica che un uomo possa essere moralmente perfetto, VA RIGETTATO in quanto contrario alla moralit

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TAPPA 11

KANT: RAGIONE SENTIMENTALE E GIUDIZIO RIFLETTENTE


Vi un termine medio tra lintelletto e la ragione. Questo termine medio il Giudizio [riflettente, ndc]; del quale si ha ragione di presumere, per analogia, che contenga anchesso, se non una sua propria legislazione, almeno un principio proprio di ricercare secondo le leggi, e che in ogni caso sarebbe un principio a priori puramente soggettivo [] Il Giudizio in genere la facolt di pensare il particolare come contenuto nelluniversale. Se dato luniversale (la regola, il principio, la legge), il Giudizio che opera la sussunzione del particolare determinato. Se dato invece soltanto il particolare, e il Giudizio deve trovare luniversale, esso semplicemente riflettente []. Il Giudizio riflettente, che obbligato a risalire dal particolare della natura alluniversale, ha dunque bisogno di un principio, che esso non pu ricavare dallesperienza, perch un principio che deve fondare appunto lunit di tutti i principi empirici sotto principi parimenti empirici ma superiori, e quindi la possibilit della subordinazione sistematica di tali principi. Questo principio trascendentale il Giudizio riflettente pu dunque darselo soltanto esso stesso come legge, non derivarlo da altro (perch allora diventerebbe Giudizio determinante); n pu prescriverlo alla natura, poich la riflessione sulle leggi di natura si accomoda alla natura, ma questa non si accomoda alle condizioni con le quali noi aspiriamo a formarci di essa un concetto che del tutto contingente rispetto alle condizioni stesse. [] Ora, poich il concetto di un oggetto, in quanto contiene anche il principio della realt di questo oggetto, si chiama scopo, e laccordo di una cosa con quella disposizione delle cose, che possibile soltanto secondo scopi, si chiama finalit della forma di queste cose; il principio del Giudizio [riflettente, ndc], riguardo alla forma delle cose della natura sottoposte a leggi empiriche in generale, la finalit della natura nella sua molteplicit. In altri termini, la natura rappresentata mediante questo concetto come se ci sia un intelletto che contenga il principio che dia unit al molteplice delle leggi empiriche di essa. La finalit della natura , dunque, un particolare concetto a priori, che ha la sua origine unicamente nel Giudizio riflettente. [] Questo concetto trascendentale di una finalit della natura non n un concetto della natura n un concetto della libert, perch esso non attribuisce niente alloggetto (della natura), ma rappresenta soltanto lunico modo che noi dobbiamo seguire nella riflessione sugli oggetti della natura allo scopo di ottenere unesperienza coerente in tutto nel suo complesso; per conseguenza, esso un principio soggettivo (una massima) del Giudizio [riflettente]. Perci, come se si trattasse di una caso felice e favorevole al nostro scopo, noi proviamo un sentimento di piacere (propriamente di liberazione da un bisogno), quando cimbattiamo, tra le leggi puramente empiriche, in siffatta unit sistematica; sebbene dobbiamo necessariamente ammettere lesistenza dellunit stessa senza poterla tuttavia n comprendere n dimostrare. Kant, Critica del Giudizio, Laterza 1979, Introduzione alla II ed.

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Con la Critica della ragion pura e la Critica della ragion pratica Kant ha individuato e vagliato 2 fondamentali facolt razionali, 2 tipi di ragione, 2 modelli di razionalit, rispettivamente: 1. la ragione teoretica (o speculativa), a sua volta articolata in intelletto, cui fa capo la scienza, e ragione in senso proprio, cui fa capo la metafisica. 2. la ragione pratica (o morale o etica). Giunta a questo punto, lindagine critica kantiana ha evidenziato una divergenza non tra i 2 tipi di ragione, ma tra lintelletto scientifico, da una parte, e la ragione metafisica e la ragione pratica, dallaltra. Come abbiamo visto, infatti, in base ai suoi postulati, la Critica della ragion pratica approda alla piena convergenza con le 3 idee della ragione metafisica, ma i postulati della ragione pratica, secondo Kant, non possiedono alcuna valenza scientifica. La scienza della natura, dunque, deve rimanere impermeabile e indifferente alla pur universale e necessaria esigenza metafisica e morale della libert, dellimmortalit e di Dio, ossia di un ordine unitario totale della realt. Detto altrimenti, sul piano scientifico, la realt pu essere unificata, e quindi ordinata, solo parzialmente e soltanto in base alla legge della causalit efficiente. Daltra parte, lesame kantiano non ha nemmeno rilevato una contraddittoriet, ovvero uninconciliabilit di principio, tra ragione scientifica e ragione metafisico-morale. La scienza, infatti, per Kant conoscenza fenomenica e dunque ha una validit limitata, ossia non pu dire lultima parola sulla realt. Tant vero che lintelletto scientifico, se non pu corroborare le idee della ragione, ovvero i postulati pratici, non pu nemmeno confutarli, ossia non pu escludere la loro fondatezza conoscitiva, la loro realt. Inoltre, Kant ha affidato alle 3 idee della ragione unindispensabile funzione regolativa dello sviluppo della scienza e, entro questi limiti, le ha riabilitate come legittime forme a priori della conoscenza scientifica. Nella sua terza e conclusiva indagine critica, la Critica del Giudizio, Kant individua una terza basilare facolt razionale, cio un terzo tipo di ragione, la ragione sentimentale basata sul Giudizio riflettente. Questa terza faccia della razionalit umana non ricuce le differenze della ragione, in quanto non intacca lautonomia dellintelletto scientifico, ma le correla, meglio ancora le mette in comunicazione, garantendo cos lunit se non anche della trama, quantomeno dellordito del tessuto razionale. Vediamo come. Gi nella prima Critica, Kant aveva definito il Giudizio come correlazione logica di una sensazione a un concetto (questo liscio) o di 2 o pi concetti (il cane un mammifero). Ora precisa che questo solo un tipo di Giudizio, cio il Giudizio determinate, quello proprio della scienza, che consiste nel ricondurre un soggetto singolare o particolare a un predicato universale. Ma, afferma Kant, c anche un altro tipo di Giudizio, quello riflettente, in cui luniversale (liscio o cane) non ricavato dallesperienza (come i concetti empirici) e nemmeno dallintelletto (come i concetti puri o categorie), ma dalla ragione stessa, ossia un universale puramente razionale. Questo universale speciale, per cos dire, consiste nella finalit, cio nellordine finalistico di tutta la natura inteso come principio unificatore supremo. P.e., questo cane finalizzato, la catena biologica finalizzata, la gravitazione universale finalizzata, ecc. In breve, nel Giudizio riflettente ogni cosa si manifesta come parte organica della totalit reale. Ma, come abbiamo appreso, per Kant lordine finalistico presuppone intelligenza e libert. Dunque il Giudizio riflettente ci presenta la realt come un ordine intelligente e libero e cos si connette con le 3 idee della ragione metafisica, ovvero con i 3 postulati della ragione pratica, dal momento che attesta: a) la presenza di una causalit finalistica, di un agire in relazione a un fine liberamente scelto, che si collega sia alla causalit libera dellidea di mondo sia al postulato della libert dellagire morale delluomo, ossia alla dimensione morale come regno dei fini; 65

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b) la necessit di una vita individuale infinita, dovuta alla finalit di raggiungere la perfezione morale, che si connette allidea di anima e al postulato dellimmortalit individuale; c) lesistenza di Dio, in quanto intelligenza superiore autrice dellordine finalistico totale, che si rif sia allidea di Dio come totalit di tutte le totalit sia al postulato dellesistenza di Dio come sommo bene che garantisce a ogni uomo il raggiungimento del fine della felicit in proporzione al merito morale. Ci chiarito, siamo in grado di comprendere appieno perch Kant denomini questo giudizio riflettente: in esso la natura ci appare come noi, ci si manifesta non come unalterit ma come un tu, ci si presenta in consonanza con la nostra libert e le nostre esigenze razionali pi profonde, disvelando la realt come una totalit omogenea e armonica. Per dirla metaforicamente, il giudizio riflettente trasforma la natura in specchio dellinteriorit morale e metafisica delluomo: nella natura vediamo noi stessi, o meglio la nostra immagine riflessa. E importante mettere a fuoco che per Kant il giudizio riflettente presuppone il giudizio determinante e se ne serve. Altrimenti detto: la natura che il giudizio riflettente ci svela come ordine finalistico la natura che il giudizio determinante, cio intellettivo-scientifico, ha categorizzato come un ordine meccanico. Per dirla ancora una volta metaforicamente, la natura meccanica della scienza lhumus dal quale emerge il fiore della natura finalistica della riflessione. In questo modo Kant rende giudizio determinante e giudizio riflettente, scienza e riflessione, complementari. Ne fa appunto dei vasi comunicanti. Daltra parte, come anticipato, non li con-fonde affatto. Lo specchio riflettente della natura coesiste con la sua cornice opaca. Fuori di metafora, la visione riflessa della natura come ordine finalistico non oscura quella scientifica della natura come ordine meccanico, anzi la rende ancora pi netta, grazie alleffetto differenza. Solo che questa loro divergenza pu coesistere in modo, per cos dire, simbiotico, cio funzionale luna allaltra. Compreso cos il giudizio riflettente, si tratta di capire ora quale sia il suo fondamento. Esso indubbiamente costituisce una forma di conoscenza razionale. Ma qual la sua fondatezza e che limiti ha? In cosa consiste la sua razionalit? Se non n scientifica, n metafisica n morale, che razza di razionalit pu essere? La risposta di Kant che si tratta di una razionalit sentimentale, ovvero che il giudizio riflettente si fonda su un sentimento. In altri termini, la ragione per Kant non solo bipartita, tripartita in: 1. ragione speculativa; 2. ragione morale; 3. ragione sentimentale. Il sentimento, insomma, una faccia della ragione, una componente fondamentale della razionalit. E proprio in quanto fondato sul sentimento, il giudizio riflettente provoca un piacere. Esso infatti, secondo Kant, soddisfa il nostro bisogno di rispecchiarci nella natura, cio di ritrovare nella natura le nostre aspirazioni metafisiche e morali. Ma attenzione, si tratta di un piacere puramente razionale, non sensibile; mentale, non fisico. Parallelamente, la ragione sentimentale di Kant non include ogni tipo di sentimento, ma appunto solo il genere razionale del sentimento, che in sostanza comprende 3 sentimenti specifici: a) quello della bellezza, b) quello del sublime c) quello dello scopo. Si tratta dunque di esaminare tali sentimenti razionali. E, come nelle precedenti critiche, questo esame per Kant dovr evidenziare il valore e i limiti del giudizio riflettente.

TAPPA 12

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KANT: IL GIUDIZIO ESTETICO DEL BELLO


Il gusto la facolt di giudicare un oggetto o un tipo di rappresentazione mediante un piacere, o un dispiacere, senza alcun interesse. Loggetto di un piacere simile si dice bello. Il bello ci che rappresentato, senza concetti, come loggetto di un piacere universale. Questa definizione del bello pu essere dedotta dalla precedente, per la quale esso loggetto di un piacere senza alcun interesse. Difatti colui che ha coscienza di esser disinteressato nel piacere che prova di qualche cosa, non pu giudicare la cosa medesima se non come contenente un motivo di piacere che sia valevole per ognuno. Non essendo il piacere fondato su qualche inclinazione del soggetto (o su qualche altro interesse consapevole), e sentendosi invece colui che giudica completamente libero rispetto al piacere che dedica alloggetto; egli non potr trovare alcuna condizione particolare, esclusiva del suo soggetto, come fondamento del piacere, e dovr quindi considerarlo come fondato su qualcosa che si possa presupporre anche in ogni altro; per conseguenza dovr credere di aver ragione di pretendere dagli altri lo stesso piacere. Egli parler cos del bello come se la bellezza fosse una qualit delloggetto, e il suo giudizio fosse logico (un giudizio che d una conoscenza delloggetto mediante il suo concetto), sebbene sia soltanto estetico e non implichi che un rapporto della rappresentazione delloggetto col soggetto; perch, infatti, esso simile in questo al giudizio logico, si pu presupporre la sua validit per ognuno. Ma questa universalit non pu nemmeno provenire da concetti. Poich non vi alcun passaggio dai concetti al sentimento di piacere o dispiacere []. Al giudizio di gusto, per conseguenza, poich in esso c la coscienza del disinteresse, deve unirsi lesigenza della validit per ognuno, sebbene tale validit non si tenga connessa agli oggetti; in altri termini, il giudizio di gusto deve pretendere alluniversalit soggettiva. [] La facolt di desiderare, in quanto pu essere determinata ad agire solo mediante concetti, cio secondo la rappresentazione di uno scopo, sarebbe la volont. Ma un oggetto, uno stato danimo o anche unazione, detto finalistico anche se la sua possibilit non presuppone necessariamente la rappresentazione di uno scopo, e per il semplice fatto che la sua possibilit non pu essere spiegata e concepita da noi, se non ammettendo come principio di essa una causalit secondo fini, cio una volont che labbia cos ordinata secondo la rappresentazione di una certa regola. La finalit dunque pu essere senza scopo quando non possiamo porre in una volont la causa di quella forma, e tuttavia non possiamo concepire la spiegazione della sua possibilit se non derivandola da una volont. [] La bellezza la forma della finalit di un oggetto, in quanto questa vi percepita senza la rappresentazione di uno scopo. Kant, Critica del Giudizio, Laterza 1979, Analitica del bello Il giudizio riflettente articolato da Kant in 2 tipi: 1. il giudizio estetico; 2. il giudizio teleologico. A sua volta il giudizio estetico si suddivide in: 1.1 giudizio estetico del bello (o relativo al finito) 1.2 giudizio estetico del sublime (o relativo allinfinito). 67

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Per il momento, prendiamo in considerazione il giudizio estetico del bello. Secondo Kant la bellezza quel sentimento spontaneo, cio non intenzionale, di piacere mentale che proviamo in relazione allintuizione sensibile di un oggetto naturale o di una sua riproduzione artistica. P.e., quando guardo un campo di girasoli, sia un campo fisico sia una sua riproduzione artistica (come in Campo di girasoli di V. Van Gogh), io posso provare, senza alcuna volont n alcun sforzo, unintensa e gratificante emozione interiore. Questa emozione positiva il sentimento della bellezza. Da dove nasce? In cosa consiste? Secondo Kant, essa ha 4 condizioni, che ne sono altrettante caratteristiche distintive: a) il disinteresse: il piacere della bellezza puramente estetico nel senso che non soddisfa n bisogni e desideri fisici (nel caso dei girasoli, p.e., la prospettiva di poterli acquistare e guadagnarci rivendendoli, oppure di poter ricavare olio dai semi) n interessi scientifici (scoprire come e perch orientano la corolla verso il sole) n esigenze morali (in quanto i girasoli possono rappresentare simbolicamente gli uomini che seguono la luce della legge morale); in altre parole, la bellezza, e quindi larte, autonoma, legge a s stessa, un sentimento specifico che non dipende n dal vero, n dal buono, n dallutile, n dal piacere fisico (il piacere estetico che posso provare per la visione del David di Michelangelo o delle Tre Grazie del Canova non ha nulla a che fare col piacere fisico-sessuale che posso provare guardando le foto dei corpi pi o meno discinti di Nicole Kidman o Brad Pitt, per intenderci). b) Luniversalit: se io provo il sentimento della bellezza contemplando Ratto della sabina di Giambologna (Jean de Boulogne) piuttosto che Donna in piedi di Alberto Giacometti, ipso facto sento che guardando quellopera darte ogni altro uomo deve provare lo stesso sentimento; da questo punto di vista, dunque, il bello per Kant si differenzia nettamente dal piacevole, cio da ci che piace al singolo individuo o a un gruppo di individui (p.e. Brad Pitt per qualcuno Johnny Depp per altri), nel senso che secondo lui non bello ci che piace, sottinteso fisicamente, ma bello ci che bello, sottinteso metafisicamente. c) La necessit: se io provo piacere estetico ascoltando il Nabucco di G. Verdi, piuttosto che una sinfonia di J. Brahms, io non posso non sentire che si tratta di un piacere del tutto spontaneo, non intenzionale, al di l della mia volont, e quindi inevitabile, obbligato. d) La forma alogica: il sentimento del bello, ovvero il piacere estetico, consiste nella percezione di una forma, cio di un ordine (o di unarmonia) che per di natura del tutto diversa dallordine logico-concettuale, cio dalla razionalit scientifica, p.e. dallordine di unequazione matematica, o di una prospettiva geometrica, oppure di una legge fisica; e ci spiega perch la bellezza inesplicabile, ossia perch possiamo solo intuirla ma non siamo in grado n di descriverla n tantomeno di motivarla. In questo caso, gli esempi pi calzanti e probanti possono essere quelli di un quadro cubista di Picasso, piuttosto che di uno astrattista di Kandinski. Ma, ovviamente, il requisito vale per ogni genere dopera darte o naturale. La condizione/caratteristica della forma alogica il cuore della concezione kantiana della bellezza. La bellezza il coglimento allinterno di una rappresentazione scientifica, cio logico-concettuale, della realt sensibile di unorganizzazione finalistica consistente in un rapporto armonico tra le parti e il tutto: ogni parte configurata in modo tale da produrre unarmonia complessiva, un ordine tanto mirabile quanto impalpabile, che infonde nelluomo un piacere mentale del tutto specifico. In questo senso, il gusto, ci che

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comunemente chiamiamo buon gusto, per Kant la capacit umana di cogliere la bellezza e di provare il piacere estetico. A questo punto, il caso di porci una domanda decisiva: la bellezza una propriet della natura fenomenica, cio della natura ordinata dalle forme a priori della ragione teoretica? In altre parole, la bellezza oggettiva (in senso kantiano)? La risposta di Kant negativa. Ma, viene spontaneo obiettare, allora com possibile che il piacere estetico sia universale e necessario? Questa formula tipicamente kantiana non designa appunto loggettivit? La soluzione kantiana complessa, ma coerente e comprensibile alla luce del concetto di rivoluzione copernicana. La bellezza non una propriet delle cose, cio degli oggetti o fenomeni, ma la proiezione sulle cose di una propriet della mente umana. Il giudizio estetico, infatti, un giudizio riflettente, cio un giudizio che usa loggetto fenomenico come specchio della ragione umana. La bellezza appunto una delle 3 immagini speculari di se stessa che la ragione umana pu rinvenire nelle cose. Nella sua immagine bella la ragione ritrova nella natura il suo finalismo nella configurazione di unarmonia immediata, intuitiva, metafisica. Da questo punto di vista, la bellezza soggettiva, attribuzione alla natura di un ordine ideale che appartiene alla mente umana. Dunque Kant estende la sua rivoluzione copernicana anche allambito estetico: anche nella conoscenza estetica non la natura che modella luomo, ma luomo che modella la natura. Ma attenzione: in questo caso si tratta di una modellamento di secondo livello, cio di un modellamento del modellamento, in quanto il giudizio estetico modella la natura, cio la natura gi modellata scientificamente, ossia la natura fenomenica. A differenza che nel modellamento scientifico, nel modellamento estetico la ragione umana non ha vincoli empirici, non si fa determinare dallesperienza, ma si riflette liberamente nellesperienza. Ergo la ragione estetica del tutto pura, ideale, soggettiva. Loggetto, lesperienza sensibile, solo lo stimolo o loccasione del giudizio estetico. Ma allora come pu essere universale e necessario il giudizio estetico? Pu esserlo in quanto anche la ragione estetica proprio per questo ragione una e la stessa per ogni individuo umano e quindi ogni individuo umano pu avere lo stesso gusto e cogliere la stessa bellezza. In altre parole, come peraltro gi abbiamo notato, soggettivo in Kant significa anche, e prima di tutto, proprio della ragione umana in generale, ci che uguale in ogni mente individuale. Da questo punto di vista, possiamo dire che per Kant il bello soggettivo ma comunque universale e necessario, cio non relativo a un singolo individuo e a un singolo sentimento; mentre il piacevole soggettivo, ossia particolare e contingente, cio appunto relativo a un singolo individuo e a un singolo sentimento. Ancora, per, ci si potrebbe legittimamente chiedere che differenza ci sia tra giudizio scientifico e giudizio estetico, dal momento che sono entrambi universali e necessari, ovvero soggettivi. Daccordo, uno determinato dallesperienza sensibile, laltro no; luno logico-concettuale e laltro sentimentale e intuitivo; ma come possono essere universali e necessari allo stesso modo? Infatti per Kant non lo sono allo stesso modo. Luniversalit e necessit del giudizio scientifico vincolante in modo oggettivo, ossia come un obbligo esterno; quelle del giudizio estetico sono vincolanti in modo soggettivo, ossia come una mia esigenza interna. In parole semplici, che tutti i corpi si muovano in base alla legge di gravitazione universale una verit imposta dalle cose e il cui fondamento mi logicamente comprensibile; che un campo di girasoli sia bello un sentimento che sgorga dalla mia stessa ragione e il cui fondamento mi logicamente incomprensibile. Insomma, luniversalit e la necessit del giudizio estetico sono esigenze della mia ragione, non imposizioni del mio intelletto. Di conseguenza il giudizio estetico non pu ambire a una validit scientifica, n interferire in alcun modo con la scienza.

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TAPPA 13

KANT: IL GIUDIZIO ESTETICO DEL SUBLIME


Il bello della natura riguarda la forma delloggetto, la quale consiste nella limitazione; il sublime, invece, si pu trovare anche in un oggetto privo di forma, in quanto implichi o provochi la rappresentazione dellillimitatezza, pensata per di pi nella sua totalit; sicch pare che il bello debba esser considerato come lesibizione dun concetto indeterminato della ragione. Nel primo caso il piacere quindi legato con la rappresentazione della qualit, nel secondo invece con quella della quantit. Tra i due tipi di piacere c inoltre una notevole differenza quanto alla specie: mentre il bello implica direttamente un sentimento di agevolazione e intensificazione della vita, e perci si pu conciliare con le attrattive e il gioco dellimmaginazione, il sentimento del sublime invece un piacere che sorge solo indirettamente, e cio viene prodotto dal senso di un momentaneo impedimento, seguito da una pi forte effusione delle forze vitali, e perci, in quanto emozione, non si presenta affatto come un gioco, ma come un qualcosa di serio nellimpiego dellimmaginazione. Quindi il sublime non si pu unire ad attrattive; e, poich lanimo non semplicemente attratto dalloggetto, ma alternativamente attratto e respinto, il piacere del sublime non tanto una gioia positiva, ma piuttosto contiene meraviglia e stima, cio merita di essere chiamato un piacere negativo. Ma ecco la pi importante ed intima differenza tra il sublime e il bello: se, com giusto, prendiamo qui in considerazione prima di tutto soltanto il sublime degli oggetti naturali (quello dellarte limitato sempre alla condizione dellaccordo con la natura), troveremo che la bellezza naturale (per s stante) include una finalit nella sua forma, per cui loggetto sembra come predisposto pel nostro giudizio, e perci costituisce essa stessa un oggetto di piacere; mentre ci che, senza ragionamento, nella semplice apprensione, produce in noi il sentimento del sublime, pu apparire, riguardo alla forma, contrario alla finalit per il nostro giudizio, inadeguato alla nostra facolt desibizione e quasi come violento contro limmaginazione stessa, nondimeno per soltanto per esser giudicato tanto pi sublime, quanto maggiore tale violenza. Kant, Critica del Giudizio, Laterza 1979, Analitica del sublime In quanto giudizio riflettente di tipo estetico, il giudizio del sublime possiede le stesse caratteristiche di fondo del giudizio del bello. Tuttavia, se ne differenzia sotto 3 aspetti. In primo luogo, mentre il bello si riferisce a una forma (o immagine) finita e perci definita, cio a una rappresentazione di un oggetto fenomenico preciso, il sublime attiene a una forma infinita, e perci indefinita, ovvero, a rigore, a una non-forma, a una rappresentazione informe e, per cos dire, sfumata della natura fenomenica. Pi semplicemente: il sentimento/piacere estetico del sublime correlato allinfinitezza della natura, e perdipi alla sua infinitezza attuale, cio in quanto totalit immediata completa e compiuta. P.e., il sublime promana dalla visione del cielo stellato in quanto spazio infinito che racchiude infiniti astri (infinito matematico); oppure dalla visione di una terrificante catastrofe naturale uneruzione vulcanica, un terremoto, uno tsunami che esibisce linfinita potenza della natura (infinito dinamico). In questo senso, mentre il giudizio del bello si esercita sulle rappresentazioni concettuali della natura fisica prodotte dallimmaginazione e dellintelletto, il giudizio del sublime rinvia alle 3 idee metafisiche della ragione (anima, mondo e Dio), proprio in quanto totalit infinite. Ora, poich 70

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linfinito attuale per principio irrappresentabile e inconcepibile in una configurazione definita, risulta chiaro perch il sublime, a differenza del bello, non possa correlarsi alla forma. In secondo luogo, il sentimento del sublime un piacere solo in seconda battuta, per cos dire. Immediatamente, infatti, luomo di fronte al sublime (vedi gli esempi precedenti) prova sgomento, vertigine, disorientamento e anche paura se non terrore o addirittura panico, in quanto si sente minuscolo rispetto alla vastit della natura oppure gracile in confronto alla sua forza titanica. Da questo punto di vista, il sublime monstrum, natura selvaggia, abnorme, caotica che mi induce repulsione. In secondo battuta, per, il ridimensionamento che il sublime mi provoca si ribalta in una mia maggiore valorizzazione. Esso infatti innesca in me una reazione dorgoglio che pu efficacemente affidarsi alla mia dimensione interiore o razionale: di fronte alla vastit del cielo stellato, mi rendo conto che essa non un autentico infinito attuale, ma eventualmente solo un infinito potenziale, e che invece linfinito attuale un mio pensiero, un mio prodotto mentale; di contro alla potenza dello tsunami, comprendo che essa per quanto enorme, non davvero infinita, e che invece infinita la potenza della legge morale che ho in me, la quale, indicandomi la possibilit della perfezione morale, mi promette la vittoria totale sulla forza della natura fisica. Insomma, lapparente infinit della natura, che inizialmente mi schiaccia finch mi considero unicamente un essere fisico e scientifico, finisce con lessere solo lo stimolo o loccasione per evocare in me linfinito reale e per sancire la mia superiorit sulla natura nella misura in cui io sono un essere metafisico e morale. In questo modo la repulsione per linfinito si trasforma in attrazione e liniziale dispiacere in piacere sublime, cio in piacere eccelso, superiore anche a quello della bellezza, che proprio per questo non si pu qualificare come gioia, ma semmai come meraviglia e ammirazione, in quanto non un sentimento misurato, sereno e pacificante, ma smisurato, inquietante ed eccitante. In terzo e ultimo luogo, nel giudizio del sublime io non rinvengo il finalismo noumenico nascosto nella natura fenomenica in una forma, cio nella sua armonia (misura, proporzione, simmetria), dal momento che nessuna forma pu contenere linfinito; al contrario, lo ritrovo proprio nellinforme, nel disarmonico, nella disordine. Ma come possibile? Anzi, come pu non essere contraddittorio, visto che il finalismo incompatibile col disordine? Kant vuol dire che, a un livello pi profondo, lordine noumenico, il sostrato sovrasensibile, della natura fenomenica talmente complesso che trascende qualsiasi configurazione limitata dellordine. In altri termini, la sconfinatezza o la catastroficit della natura rimandano a unanarchia caotica che apparentemente negazione dellordine ma in realt manifesta un ordine di livello superiore, un ordine di complessit infinita e come tale trascendente ogni forma fisica e intellettiva. Il giudizio estetico del sublime, in questo modo, corrobora ulteriormente le idee della ragione metafisica e ne legittima pienamente la vaghezza, cio lindeterminazione scientifica, riabilitandone ed anzi esaltandone la valenza conoscitiva (bench non di tipo scientifico). Ora che la concezione del giudizio estetico di Kant completa, possiamo chiudere accennando brevemente alla connessa teoria kantiana dellarte. Pur tradendo una predilezione per la bellezza naturale, Kant stabilisce unequivalenza tra bello naturale e bello artificiale o artistico. Egli afferma che la natura bella quando ha lapparenza di unopera darte e, in modo complementare, larte tale, cio bella, quando appare come natura. In altre parole, unopera darte una rappresentazione artificiale della natura che ha gli stessi caratteri di immediatezza e spontaneit delle cose naturali. Pi semplicemente, per Kant il bello c quando la natura e la sua riproduzione artistica sono indistinguibili, p.e. un tramonto bello quando sembra il dipinto di un tramonto, il dipinto di un

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tramonto lo quando sembra un tramonto naturale. E chiaro che la posizione kantiana, in questo senso, presuppone una interpretazione dellarte in chiave realistica.

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TAPPA 14

KANT: IL GIUDIZIO TELEOLOGICO


Si applica tuttavia con ragione il giudizio teleologico alla ricerca naturale, almeno problematicamente; ma solo per sottoporla, seguendo lanalogia della causalit secondo fini, a principi di osservazione ed investigazione, senza pretendere di poterla spiegare . Esso appartiene dunque al Giudizio riflettente, non a quello determinante. Il concetto di legami e di forme della natura secondo fini perlomeno un principio in pi per ricondurre a regole i fenomeni naturali, dove le leggi della causalit puramente meccanica non sono sufficienti. [] [] noi non possiamo neppure conoscere a sufficienza gli esseri organizzati e la loro possibilit interna secondo principi della natura semplicemente meccanici, tanto meno spiegarli; e questo cos certo che si pu dire arditamente che assurdo per gli uomini anche solo concepire un tale disegno, o lo sperare che un giorno possa sorgere un Newton capace di far comprendere, secondo leggi naturali non ordinate da alcuna intenzione, anche solo la produzione di uno stelo derba; bisogna invece assolutamente negare agli uomini questa comprensione. Kant, Critica del Giudizio, Utet 1993, Critica del giudizio teleologico, 77 Direi per ora: una cosa esiste come scopo della natura, quando la causa ed effetto di se stessa (sebbene in due sensi diversi); qui v infatti una causalit che non si pu legare col semplice concetto di natura, senza attribuire a questa uno scopo; causalit che si pu pensare senza contraddizione, ma non concepire []. In primo luogo, un albero ne produce un altro secondo una legge naturale conosciuta. Ora, lalbero prodotto della stessa specie; e cos esso produce se stesso, secondo la specie, nella quale, volta a volta effetto e causa di se stesso, incessantemente prodotto da se stesso e sovente riproducendo se stesso, si conserva costantemente in quanto specie. In secondo luogo, un albero si produce da s anche in quanto individuo. Questo tipo di effetto noi ci limitiamo a chiamarlo crescita; ma questa crescita va intesa in senso completamente diverso da ogni altro accrescimento secondo leggi meccaniche []. Il nesso causale, in quanto pensato semplicemente dallintelletto, un legame che d luogo a una serie (di cause e deffetti) sempre in senso discendente; e le cose stesse che in quanto effetti ne presuppongono altre come cause, non possono a loro volta essere insieme cause di queste. Questo il legame causale che viene detto delle cause efficienti (nexus effectivus). Si pu per anche pensare a un nesso causale secondo un concetto di ragione (dei fini), che, quando lo si consideri come una serie, comporti una dipendenza tanto in senso discendente quanto in senso ascendente; in esso la cosa che da un lato designata come un effetto, risalendo merita il nome di causa di ci di cui effetto. [] E questo il legame causale che viene detto delle cause finali (nexus finalis). Kant, Critica del Giudizio, Utet 1993, Critica del giudizio teleologico [] tutta la variet delle creature, per quanto sia grande larte con la quale sono organizzate, e vario il rapporto finalistico che le lega luna allaltra, anzi lo stesso insieme di tali sistemi di creature, cui noi poco correttamente 73

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attribuiamo il nome di mondi, esisterebbero invano, se in essi non vi fossero uomini (esseri ragionevoli in generale); cio, senza uomini lintera creazione non sarebbe che un deserto inutile e senza scopo finale. Kant, Critica del Giudizio, Utet 1993, Critica del giudizio teleologico, 86 Il giudizio estetico non lunico tipo di giudizio riflettente. Come anticipato, la riflessivit della ragione produce anche il giudizio teleologico (che riguarda lo scopo, dal greco tlos =scopo, fine). Stante che il giudizio riflettente in generale riguarda il finalismo noumenico della natura fenomenica, mentre il giudizio estetico avverte intuitivamente tale finalismo come forma bella o abnormit sublime, il giudizio teleologico lo coglie concettualmente come scopo. Corrispondentemente, se nel giudizio estetico il finalismo generale della natura, in quanto bellezza o sublimit, sentito come proprio del soggetto, cio come proiezione di una qualit soggettiva nelloggetto; nel giudizio teleologico, invece, il finalismo naturale, in quanto scopo, pensato come inerente alloggetto, come oggettivo. Attenzione, per: per Kant, anche lo scopo e rimane in ogni caso unesigenza della ragione, cio una caratteristica del soggetto umano universale. N potrebbe essere altrimenti, dato che, se lo fosse, il giudizio teleologico non sarebbe un giudizio riflettente ma determinante. Solo che, bench di diritto soggettivo, la ragione mi spinge a pensarlo di fatto come oggettivo, e a non poter fare a meno di pensarlo cos. In altre parole, nel giudizio teleologico la mia ragione si rispecchia pur sempre nella natura ma con linsopprimibile e universale convinzione soggettiva che quel che vede nello specchio sia la natura stessa. E chiaro allora che il finalismo naturale come scopo, cio appunto come propriet oggettiva della natura, solo una supposizione, destituita di certezza scientifica. Tuttavia, indubbio che per queste sue caratteristiche, il giudizio teleologico il giudizio riflettente pi omogeneo al giudizio determinante scientifico. Infatti, in quanto pensato come oggettivo, lo scopo non unintuizione sentimentale ma un concetto dellintelletto. In altre parole, nel giudizio teleologico diventa, per cos dire, complice della ragione quello stesso intelletto che costituisce il paladino della scienza, cio del vincolo allesperienza e quindi della limitazione della conoscenza. Com possibile dunque, se non un accordo, quanto meno un raccordo tra intelletto e ragione, visto che questultima ambisce invece proprio a una conoscenza totale, illimitata? Secondo Kant il paradosso soltanto apparente. In realt il raccordo teleologico di ragione e intelletto segue logicamente proprio dalla limitatezza della scienza, di cui lintelletto consapevole custode. La ricerca scientifica, rileva Kant, proprio nel suo slancio ad allargare e approfondire il suo dominio sulla realt fisica si scontra con limpossibilit di spiegare compiutamente quantomeno gli esseri biologici e i processi della vita organica. Perch? Perch la scienza deve basarsi sulla causalit efficiente, cio sul meccanicismo, ma appunto il meccanicismo mostra la corda se applicato ai fenomeni biologici. Fuori di metafora, non riesce a spiegarli compiutamente, anzi quasi non riesce a spiegarli tout court. Lintelletto cosciente di tale limite, tanto pi clamoroso in quanto non riguarda solo e tanto la realt come totalit infinita, ma la realt come parte finita; non la questione di cos luniverso, ma di cos, p.e., un filo derba. Si tratta di uno scacco che spinge lintelletto ad assecondare lipotesi esplicativa suggerita dalla ragione, ossia che lordine meccanico di tutta la natura sia unemergenza cio un livello secondario di unorganizzazione pi profonda e basilare di tipo finalistico, un ordine noumenico incardinato sul concetto di scopo (la causalit finalistica della III antinomia della ragione metafisica). Kant espone 2 esempi paradigmatici di finalismo biologico: a) quello della riproduzione e b) quello della crescita. Se consideriamo la riproduzione di un albero (ovviamente vale per qualsiasi essere vivente, oggi potremmo dire anche per la riproduzione cellulare), possiamo e dobbiamo certamente concepire lalbero-padre come causa efficiente delleffetto albero-figlio. Ma, dal momento 74

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che lalbero-figlio, cio in generale la riproduzione, anche il fine dellesistenza dellalberopadre, possiamo e dobbiamo anche pensare che lalbero-figlio a sua volta la causa efficiente delleffetto albero-padre, nello stesso modo in cui pensiamo che lo scopo di dissetarci sia la causa del fatto che riempiamo il bicchiere dacqua. Considerando, invece, la crescita di un albero (anche in questo caso, allalbero pu essere sostituito qualsiasi altro essere vivente) possiamo e dobbiamo giudicare laumento delle dimensioni e il miglioramento delle funzioni dellalbero come leffetto dello sviluppo delle sue parti (radici, tronco, rami, foglie, ecc.); ma a loro volta i singoli sviluppi di queste parti possono e devono essere pensati come effetti della crescita dellalbero intero. In entrambi i casi, ma si potrebbe estendere lesemplificazione anche al rapporto individuo/specie, abbiamo a che fare con una relazione parte/tutto diversa da quella meccanica. In un organizzazione meccanica p.e. un orologio linsieme non funziona se non funziona la singola parte, ma la funzionalit della singola parte, p.e. del bilanciere, non dipende dal funzionamento dellinsieme. In unorganizzazione biologica p.e. il corpo umano anche la funzionalit della singola parte, p.e. il fegato dipende dal funzionamento dellinsieme. Questo significa che il rapporto parte/tutto si basa appunto su una causalit finale tale per cui ogni parte del tutto configurata e interconnessa alle altre parti in modo tale da raggiungere lo scopo della vita del tutto. In altre parole, nel giudizio teleologico, la natura si manifesta come non solo ordinata causalmente ma anche e soprattutto come ordinata finalisticamente. Lordine meccanico, in questo senso, si svela come un epifenomeno e al contempo un mezzo dellordine finalistico. Questa tesi kantiana, ha tre importanti corollari: 1. la natura capace di autorganizzazione, cio possiede una forza formativa autonoma, per analogia con qualsiasi organismo vivente; 2. la natura presuppone unintelligenza ordinatrice, in quanto un ordine meccanico pu avere unorigine casuale ma un ordine finalistico non pu che essere razionalmente progettato e realizzato; 3. la natura possiede uno scopo ultimo, cio luomo. Soffermiamoci, su questultimo corollario. Per Kant in un ordine finalistico ogni cosa/processo mezzo di uno scopo, che a sua volta diventa mezzo di uno scopo ulteriore, e cos via. P.e., nella catena alimentare i vegetali sono il mezzo per la sopravvivenza degli erbivori e questi, a loro volta, lo sono dei carnivori, ecc. Da questo punto di vista, la natura pu essere finalisticamente ordinata solo se c un fine ultimo. Questo fine ultimo, afferma Kant, la specie umana. Ma attenzione: non in quando specie animale, ma solo in quanto specie razionale e, segnatamente, morale. Dunque, a ben vedere, la razionalit/moralit il fine ultimo della natura, luomo se, e solo quando, razionale e morale. La tesi finalistica kantiana, e i suoi corollari, va ribadito, non hanno validit scientifica. Essi esprimono una esigenza della ragione teoretica che si raccorda con listanza scientifica dellintelletto, in quanto supplisce in modo ipotetico ai limiti della spiegazione scientifica, ma non pu sostituirla e nemmeno integrarla. Che valore ha allora il giudizio teleologico per la scienza? Perch lintelletto accondiscende ad ascoltarlo? Perch, sostiene Kant, il giudizio teleologico svolge una funzione regolativa per la scienza, analoga a quella delle 3 idee della ragione, cio stimola e aiuta la scienza a progredire. In questo senso, pi modernamente, possiamo dire che per Kant le 3 idee della ragione e il giudizio teleologico hanno una validit scientifica di tipo euristico, ossia sono ipotesi incontrollabili empiricamente, e dunque a rigore non scientifiche, ma che agevolano la scienza in quanto sono strumenti utili allindagine scientifica e dunque funzionali allelaborazione di nuove teorie scientifiche.

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VIAGGI NEL PASSATO E VIAGGI NEL PRESENTE KANT E LA SCIENZA CONTEMPORANEA Tra i numerosi collegamenti possibili, i pi interessanti mi sembrano quelli: a) tra il metaordine finalistico rivelato nel sublime e lattuale teoria del caos/complessit; b) tra la concezione del nesso finalistico nella natura organica e il concetto di feedback nella cibernetica/teoria dellinformazione contemporanee; c) tra la tesi kantiana dellimpossibilit di un Newton della biologia e il neodarwinismo. Nel 1961, il meteorologo Edward Lorenz testando un modello matematico di previsioni a lungo termine scopr che una differenza quantitativa infinitesimale in uno dei dati di partenza (p.e. la temperatura) produceva previsioni radicalmente divergenti e addirittura opposte (sereno vs uragano). Lorenz aveva scoperto il caos scientifico, il cui concetto fu divulgato dai giornali di tutto il mondo con la metafora della farfalla che batte le ali a Los Angeles provocando alla lunga un uragano in Asia orientale. Il caos scientifico non sinonimo di disordine, ma di ordine complesso, cio da noi non determinabile precisamente, e quindi non esattamente prevedibile, ma in s determinato, appunto come lordine finalistico infinito rivelato dal giudizio estetico del sublime secondo Kant. Oltretutto le forme geometriche generate dalle equazioni non lineari della teoria della complessit producono forme belle (in linguaggio kantiano: sublimi). La cibernetica, strettamente imparentata con la teoria dellinformazione o informatica, la scienza che studia linterazione automatica nelle macchine sul modello di quella degli organismi viventi. Fondata nel 1948 (Cibernetica, ovvero il controllo e la comunicazione nellanimale e nella macchina) da Norbert Wiener, si fonda sul concetto di feedback, cio di retroazione o retroalimentazione: in altre parole, come nel finalismo kantiano, un elemento A agisce su B il quale retroagisce su A, in modo tale che si stabilisca un rapporto di causazione reciproca. Il concetto di feedback in questo senso si collega alla teoria dei sistemi (utilizzata sia dalla biologia sia dallinformatica) secondo la quale tra un tutto e una sua parte (p.e. un organo e lintero corpo, leconomia e lintera societ, ecc.) vi un rapporto di interazione circolare. Infine, dopo la pubblicazione nel 1859 dellOrigine delle specie di Charles Darwin, il riconoscimento (1902) e lutilizzo da parte della comunit scientifica delle leggi di Mendel (scoperte gi nel 1863) e la scoperta della doppia elica del DNA (1953) da parte di Crick e Watson, la teoria dellevoluzione sembra aver smentito la profezia negativa di Kant, secondo la quale non ci sarebbe mai stato un Newton della biologia, cio una teoria scientifica capace di spiegare in modo soddisfacente i fenomeni biologici in base allo schema meccanicistico. Infatti secondo la teoria neodarwiniana dellevoluzione, i fenomeni biologici possono spiegarsi esaurientemente con la combinazione e ricombinazione casuale dei genotipi e la selezione naturale dei fenotipi. Ma negli ultimi anni, vi sono scienziati che sostengono che tale spiegazione non esauriente e va integrata con spiegazioni di tipo finalistico.

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TAPPA 15

KANT: LA TEORIA POLITICA E LA FILOSOFIA DELLA STORIA


Lo stato civile, considerato solo come stato giuridico, fondato sui seguenti principi a priori: 1) la libert di ogni membro della societ, in quanto uomo. 2) Luguaglianza di esso con ogni altro, in quanto suddito. 3) L indipendenza di ogni membro di un corpo comune, in quanto cittadino. Questi principi non sono leggi che lo Stato gi costituito emani, bens leggi secondo le quali solo possibile in generale una costituzione dello stato secondo i principi della pura ragione che riguardano il diritto esterno delluomo. 1) La libert dellindividuo in quanto uomo. Io esprimo il suo principio per la costituzione di un corpo comune nella formula seguente: Nessuno mi pu costringere ad essere felice a suo modo (come cio egli si immagina il benessere degli altri uomini), ma ognuno pu ricercare la sua felicit per la via che a lui sembra buona, purch non rechi pregiudizio alla libert degli altri di tendere allo stesso scopo, in guisa che la sua libert possa coesistere con la libert di ogni altro secondo una possibile legge universale (cio non leda questo diritto degli altri). [] 2) Luguaglianza degli individui in quanto sudditi, la cui formula pu cos esprimersi: Ogni membro dello Stato ha verso gli altri diritti coattivi, dai quali solo il sovrano escluso (poich egli non membro dello Stato, ma lo crea e lo conserva). Solo il sovrano ha il potere di costringere, senza essere egli stesso sottoposto a una legge coattiva. Tutti quelli che sono sottoposti a leggi sono sudditi in uno Stato e sono quindi sottoposti a una legge coattiva al pari di ogni altro membro della comunit, fatta eccezione di ununica persona (fisica o morale): il capo dello Stato, attraverso il quale soltanto ogni coazione giuridica pu essere esercitata. [] 3) Lindipendenza (sibi sufficientia) di un membro della comunit in quanto cittadino, cio come partecipe del potere legislativo. In fatto di legislazione, tutti quelli che sono liberi ed eguali sotto leggi pubbliche gi esistenti non sono tuttavia da considerarsi uguali per ci che riguarda il diritto di dare queste leggi. [] Ora, colui che ha il diritto di voto in questa legislazione si chiama cittadino (citoyen , cio cittadino dello Stato, non cittadino di una citt, bourgeois). La qualit che a ci si esige, oltre quella naturale (che non sia un bambino n una donna), questa unica: che egli sia padrone di s (sui iuris) e quindi abbia una qualche propriet (e in questa pu essere compresa ogni attivit, manuale, professionale, artistica, scientifica), che gli procuri i mezzi di vivere []. Kant, Sopra il detto comune: questo pu essere giusto in teoria, ma non vale per la pratica, in Scritti politici, Utet 1956 TERZO ARTICOLO DEFINITIVO PER LA PACE PERPETUA: IL DIRITTO COSMOPOLITICO DEVESSERE LIMITATO ALLE CONDIZIONI DI UNA UNIVERSALE OSPITALIT Qui, come negli articoli precedenti, non si tratta di filantropia, ma di diritto, e quindi ospitalit significa il diritto di uno straniero che arriva sul territorio di un altro Stato di non essere da questo trattato ostilmente. Pu essere allontanato, se ci pu farsi senza suo danno, ma, fino a che dal canto suo si 77

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comporta pacificamente, non si deve agire ostilmente contro di lui. Non si tratta di un diritto di ospitalit, cui si pu fare appello (a ci si richiederebbe un benevolo accordo particolare, col quale si accoglie per un certo tempo un estraneo in casa come coabitante), ma di un diritto di visita, spettante a tutti gli uomini, cio di entrare a far parte della societ in virt del diritto comune del possesso della superficie della terra, sulla quale, essendo sferica, gli uomini non possono disperdersi isolandosi allinfinito, ma devono da ultimo rassegnarsi a incontrarsi e coesistere. Nessuno in origine ha maggior diritto di un altro ad una porzione determinata della terra. Kant, Per la pace perpetua, in Scritti politici, op. cit. La teoria politica e storica di Kant si snoda intorno a 3 questioni fondamentali: 1) lorigine della civilt umana, dello Stato e quindi della storia, ossia il passaggio dalla stato di natura allo Stato civile; 2) la costituzione civile , ossia il patto (o contratto) di unione degli individui in uno Stato, che si estende anche al diritto internazionale, cio al patto di coesistenza pacifica tra gli Stati; 3) il fine della storia, ossia il progresso e il suo traguardo. Relativamente alla prima di queste questioni, Kant si serve di una lettura allegorica del Genesi per delineare una personale versione del giusnaturalismo. Egli afferma, infatti, che il mito della cacciata di Adamo ed Eva dallEden simboleggia il passaggio delluomo dalla condizione naturale, in cui era determinato dagli istinti come qualsiasi animale, alla condizione civile, a fondamento della quale sta la libert di scelta, connessa, come abbiamo visto, da un lato con la legge morale dallaltro con linclinazione alla sua trasgressione. Divenuto libero, dunque, luomo pu compiere il male e degradarsi moralmente questo il significato razionale del peccato originale ma pu anche e soprattutto iniziare il suo tortuoso ma esaltante cammino di perfezionamento morale e civile. Grazie alla capacit di autodeterminazione del proprio comportamento, infatti, luomo pu sottrarsi al meccanicismo naturale e generare una nuova natura, la civilt storica. La condizione costitutiva della civilt, secondo Kant, il diritto, cio la statuizione di un corpo di leggi che regolamentino i rapporti tra gli individui in modo tale che la libert individuale di ognuno si accordi con la libert individuale di ogni altro. Da questo punto di vista, Kant sostiene che il passaggio dallo stato di natura allo stato civile non consiste in un salto da una situazione di assenza di diritto a una di presenza di diritto, ma in unevoluzione graduale da una situazione di diritto spontaneo a una situazione di diritto obbligatorio. In altre parole, nello stato di natura per Kant i rapporti tra gli uomini sono prevalentemente conflittuali, ma vige anche un certo livello di socialit dovuto alla tendenza spontanea degli individui a rispettare la reciproca libert. Ma tale socialit naturale non garantita e quindi occasionale e precaria. Col passaggio alla societ civile, il diritto viene istituzionalizzato diventando coattivo, cio forzato, in virt della coerzione esterna che lo Stato, con i suoi organi specializzati (giudici, polizia), esercita su tutti i suoi membri, che proprio per questo sono sudditi. In questo modo lo Stato istituisce e garantisce la certezza del diritto. Secondo Kant, la transizione dallo stato di natura allo stato civile non motivata da considerazioni utilitaristiche, cio da un giudizio razionale di maggiore convenienza di un diritto coercitivo rispetto a un diritto spontaneo. Per Kant questa transizione un imperativo della ragione pratica. Non si tratta di un imperativo morale, perch la moralit appunto interiore e spontanea, ma di un imperativo politico, in quanto riguarda la sfera esteriore e implica la coercizione esterna. Esso spinge luomo a ricercare una maggiore integrazione con gli altri anche sul piano fisico-materiale, cio a perseguire luniversalit esteriore, in consonanza con la legge morale. 78

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Ci nonostante, Kant sostiene che storicamente lo Stato non nato da un contratto tra gli uomini. In questo senso lorigine contrattuale dello Stato solo un modello ideale: ogni Stato per essere legittimo deve essere costituito come se fosse stato istituito da un contratto collettivo. Di fatto per ogni Stato storicamente nato dalla coazione, cio dalla forza detenuta da un potere sovrano. Infatti, se lo Stato , come abbiamo visto, certezza del diritto fondata sulla coercizione esterna, esso per Kant presuppone appunto un potere sovrano in grado di esercitare una coercizione. Stando cos le cose, la costituzione civile dello Stato deve basarsi su un potere esecutivo assoluto. Ma lassolutismo teorizzato da Kant un assolutismo illuminato. Esso lantitesi del dispotismo e si configura dunque come una repubblica. Kant usa questo termine in un significato diverso dal nostro, come sinonimo di Stato di diritto o liberale, ossia di uno Stato in cui vigano le seguenti condizioni: 1) la libert, intesa come piena scelta da parte dellindividuo del proprio comportamento privato, in particolare come piena facolt di praticare il proprio ideale di felicit. In questo senso, la repubblica non si deve proporre di realizzare la felicit dei suoi sudditi. La felicit infatti diversa da individuo a individuo e uno Stato che la perseguisse per tutti, cio uno Stato paternalistico, sarebbe per Kant lo Stato pi dispotico che si possa immaginare. 2) Luguaglianza, intesa in senso giuridico, ossia come principio secondo cui le leggi sono uguali per tutti senza alcuna differenziazione n tanto meno discriminazione. 3) Lindipendenza, intesa sia come tripartizione dei poteri (esecutivo, legislativo, giudiziario), sia come diritto di voto per ogni cittadino, cio per ogni suddito economicamente autosufficiente, per lelezione di un Parlamento avente il compito di proporre le leggi al potere esecutivo detentore della sovranit (che pu essere individuale o collegiale). 4) La critica pubblica, intesa come facolt di tutti i sudditi/cittadini di esprimere pubblicamente e di diffondere attraverso la stampa il proprio giudizio sulloperato delle autorit statali e in particolare dellautorit esecutiva assoluta. Ma com possibile conciliare un potere esecutivo assoluto con uno Stato di diritto? La soluzione di Kant che il potere esecutivo, sia individuale o collegiale non importa, deve decidere e governare come se decidesse e governasse lintero popolo. In altre parole legittimo se, e solo se, interpreta la volont di tutti i sudditi/cittadini, ovvero se opera col loro consenso. Daltra parte, secondo Kant, in nessun caso il popolo pu considerarsi titolare del diritto alla rivoluzione, in quanto il suo esercizio distruggerebbe lo Stato stesso. Lunica via per migliorare lo Stato ed, eventualmente, correggere il potere esecutivo, per Kant quella delle riforme promosse e ottenute in modo legale e quindi pacifico. A giudizio di Kant, inoltre, il diritto non deve essere solo intrastatale ma anche interstatale. In parole semplici: anche gli Stati e i loro rapporti devono essere regolamentati da un diritto che, come tale, detto internazionale. Kant individua 3 principi fondanti del diritto internazionale: 1) ogni Stato deve essere una repubblica, nel senso sopra chiarito; 2) tutti gli Stati devono formare una federazione mondiale, ovvero una lega della pace: non si tratta, dunque, di un super Stato, di uno Stato mondiale, bens di una confederazione, cio di unassociazione di Stati indipendenti che, pur mantenendo il pieno esercizio della propria sovranit, si vincolano a criteri comuni di regolamentazione delle loro relazioni per garantire una condizione di pace permanente; 3) tutti gli Stati devono permettere, nei limiti del rispetto delle leggi, anche ai membri di Stati esteri la libera circolazione degli individui e delle merci al loro interno, al fine di evitare sia lisolazionismo sia il colonialismo imperialistico.

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Leliminazione delle guerre e la conquista di una situazione di pace perpetua la motivazione decisiva della necessit del diritto internazionale e quindi di una confederazione mondiale di Stati repubblicani. Questo obiettivi sono indicati da Kant come compiti da perseguire e raggiungere nel corso della storia, e vanno pertanto inquadrati in una concezione generale della storia umana come progresso verso una comunit umana perfetta e dunque pacifica. In questo senso, Kant afferma che sulla base di una considerazione puramente scientifica della storia, vincolata allesperienza, non sarebbe possibile concepire fondatamente una visione della storia come progresso illimitato. Per, il giudizio riflettente, extrascientifico ma pur sempre razionale, ci consente di concepire la storia non solo sulla base della casualit efficiente ma anche e soprattutto sulla base di una causalit finalistica. In questo modo possibile rinvenire nella storia lattuazione di un disegno razionale che si attua progressivamente nel tempo. Alla luce di questo disegno, la concordia discors (l insocievole socievolezza), cio il conflitto presente in ogni uomo tra tendenza a intrattenere rapporti con gli altri e tendenza a perseguire il proprio interesse individuale, pur storicamente alla base di eventi nefandi e guerre dogni tipo, appare come un mezzo del progresso storico. Tenendo conto che il giudizio riflettente non dispone della certezza del giudizio determinante (o scientifico), non possiamo pensare che il progresso sia necessario ma che sia possibile, per non dire probabile, s. E il progresso storico, continua Kant, reso possibile da un fine ultimo, da una meta ideale, verso la quale tendono tutti gli eventi storici e verso cui convergono tutte le azioni individuali: una costituzione civile perfetta, una comunit politica mondiale di esseri razionali. In questo senso, il criterio del progresso non n pu essere di tipo economico o tecnico, ma solo di tipo culturale: laumento della conoscenza e, in generale, della razionalit teorizzata e praticata, che fa il vero autentico progresso. Ma il suo traguardo irraggiungibile, una meta ideale cui si deve tendere nella consapevolezza di non poterla mai raggiungere compiutamente.

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TAPPA 16

KANT: LA RELIGIONE MORALE E LA CHIESA INVISIBILE


Il dominio del buon principio [la virt morale, ndc], nella misura in cui gli uomini vi possono contribuire, dunque realizzabile, per quanto dato vedere, non altrimenti che con la fondazione e lestensione di una Societ governata dalle e per le leggi della virt; di una Societ, ladesione alla quale resa dalla ragione un compito e un dovere per lintero genere umano. [] Unassociazione degli uomini sotto le sole leggi della virt, secondo la prescrizione di questa idea, pu chiamarsi una Societ etica , e, in quanto queste leggi sono pubbliche, si pu chiamare (in opposizione alla Societ giuridico-civile) una Societ etico-civile o ancora una comunit etica. Questa pu essere costituita in seno ad una comunit politica ed anzi da tutti i membri che la compongono (e in verit gli uomini non potrebbero mai costituirla senza aver come fondamento questultima). Ma la prima ha un particolare principio di associazione suo caratteristico (virt): e perci ha pure una forma e una costituzione che differiscono essenzialmente dalla forma e dalla costituzione dellaltra. Tuttavia si trova una certa analogia tra queste due specie di Societ, considerate come due comunit in generale; e, da questo punto di vista, la prima pu essere chiamata ancora uno Stato morale, cio un regno della virt (del buon principio), lidea del quale trova la sua oggettiva realt, pienamente fondata, nella ragione umana (come dovere di riunirsi per formare un simile Stato), bench, soggettivamente, non ci sarebbe mai da sperare, dal buon volere degli uomini, che essi si decidessero a collaborare armoniosamente a questo scopo. [] Ogni specie di esseri ragionevoli , infatti, destinata oggettivamente, nellidea della ragione, ad un fine comune, cio al promuovimento del sommo bene, come bene comune a tutti. Ma siccome il sommo bene etico non viene prodotto solo con lo sforzo fatto dalla persona singola per il proprio esclusivo perfezionamento morale, ed esige invece la riunione dei singoli in un Tutto, per tendere precisamente allo stesso fine, per formare un sistema di uomini ben intenzionati, nel quale, e con lunit del quale, solamente, pu essere attuato; siccome, daltra parte, lidea di questo Tutto, come di una repubblica universale retta da leggi della virt, unidea completamente differente da tutte le leggi morali (che concernono cose che sappiamo essere in nostro potere), in altre parole, lidea di quanto da farsi per ottenere un tutto, di cui non c possibile sapere se, come tale, esso sia anche in nostro potere: dato tutto questo, noi abbiamo qui un dovere che, per la sua natura e il suo principio, si distingue da tutti gli altri. Si prevede gi, anticipatamente, che questo dovere esiger la supposizione di unaltra idea, cio di quella di un Essere morale superiore, per la cui generale cura, le forze in s insufficienti degli individui, sono riunite per un effetto comune. [] Una comunit etica con legislazione morale divina una chiesa , che, in quanto non oggetto dellesperienza possibile, si chiama chiesa invisibile (semplice idea della riunione di tutti i giusti sotto limmediato, ma morale governo universale divino, che serve da modello ad ogni altro governo fondato dagli uomini). La chiesa visibile la riunione effettiva degli uomini in un Tutto che concorda con questo ideale. Kant, La religione entro i limiti della sola ragione, Laterza 2004, cap. III

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Per Kant la costituzione civile perfetta, cio lo Stato ideale, non lobiettivo ultimo e pi importante dellumanit. Il traguardo decisivo infatti la comunit morale perfetta, in quanto nella dimensione morale che lumanit pu realizzare la sua massima integrazione e cos avvicinarsi al grado pi elevato di perfezione. Da questo punto di vista, lo Stato, come comunit politica basata sulla coercizione esteriore, solo la condizione oggettiva della comunit morale fondata sullintenzione interiore. Il presupposto di tale comunit individuato da Kant nella duplice costituzione morale dellumanit: da un lato, luomo alberga in s il male radicale, cio linclinazione a trasgredire la legge morale; dallaltro lato, per, la sua natura originaria razionale e pertanto luomo conserva intatto il principio buono, cio la buona volont, la capacit di scegliere e agire moralmente. Egli dunque pu e deve perfezionarsi moralmente per giungere a ripristinare pienamente la sua condizione originaria di essere morale, estirpando da s il principio cattivo, cio il male radicale. Questa missione morale propria di ogni individuo ma, poich si riferisce ai rapporti interindividuali, pu essere realizzata solo in una dimensione collettiva, in una comunit etica, cio in una societ unita solo dalle leggi della virt, cio da leggi non costrittive, ma liberamente scelte e seguite da ogni individuo. Secondo Kant la comunit etica umana implica lesistenza di un Essere superiore capace di scrutare i cuori degli uomini, cio capace di conoscere la loro vera intenzione. Lagire morale, infatti, tale solo se intenzionale e nessun individuo pu accertare quale sia la reale intenzione non solo di un altro ma anche di s medesimo. Daltra parte, il giudizio certo dellintenzione decisivo per la vita morale, perch solo esso permette di stabilire una ricompensa proporzionata al merito, cio il conseguimento del sommo bene, lunione di virt e felicit. Ci significa, afferma Kant, che la comunit etica umana implica lesistenza di Dio come Signore morale del mondo, ossia come supremo e unico legislatore delle leggi morali. Di conseguenza le leggi morali sono al contempo comandamenti divini e la comunit etica umana non pu che essere concepita come un popolo di Dio, cio come una chiesa. Ma, a questo proposito, Kant introduce una distinzione fondamentale tra: 1) la chiesa invisibile, ossia lidea di chiesa, la chiesa ideale unica e universale, del tutto priva di riti e di autorit ufficiali, basata su una fede razionale pura e avente come unica pratica religiosa lagire morale; 2) la chiesa visibile, ossia le molteplici chiese reali, storico-empiriche, basate su una fede rivelata, su un culto e dei riti, e quindi su precetti esteriori e su autorit ufficiali. La chiesa visibile, sostiene Kant, una necessit storica connessa alla componente empirico-sensibile delluomo, la quale fa s che gli uomini siano deboli e abbiano pertanto bisogno di sostenere la loro fede con manifestazioni oggettive di Dio, le sacre scritture, e con atti di culto moralmente irrilevanti. Kant giustifica una chiesa visibile se, e solo se, assume la chiesa invisibile come ideale e quindi come suo fine, ossia se si considera un mezzo storico, e quindi provvisorio, di realizzazione progressiva della chiesa invisibile. In questo senso, secondo Kant, una chiesa visibile deve avere i seguenti requisiti: a) luniversalit, cio la tensione alla formazione di ununica chiesa di tutta lumanit; b) la purezza, cio la moralit come movente prioritario ed essenziale; c) la libert, cio relazioni libere, non gerarchiche, tra i suoi membri e con lo Stato allinterno del quale agisce. In base a questa impostazione, Kant riconosce la funzione positiva di tutte le religioni storiche, ma solo in quanto mezzi parziali e temporanei di costruzione e sviluppo dellunica vera religione, morale e universale, dellumanit. Egli pertanto critica, al contempo, tutte le religioni storiche in tanto in quanto si sono considerate come fini a se stesse, e dunque come uniche e assolute, e ne denuncia le conseguenti degenerazioni: la superstizione, il 82

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dogmatismo, lautoritarismo, il fanatismo e soprattutto le guerre di religione, che cos spesso hanno scosso il mondo e lhanno coperto di sangue. Queste ultime, afferma Kant, sono impropriamente chiamate guerre di religione, perch in realt non sono suscitate dalla religione, cio dalla fede razionale pura della chiesa invisibile, ma dagli interessi delle chiese visibili nel momento in cui non si considerano pi mezzi della chiesa invisibile e dunque non sono pi chiese autentiche. Sullo sfondo di questa visione generale delle religioni tradizionali, Kant giudica la religione cristiana come la migliore delle religioni storiche poich secondo lui la religione che pi di ogni altra fa coincidere il comportamento religioso con quello morale. In questa prospettiva, Kant sostiene che lAntico e il Nuovo Testamento non vanno interpretati alla lettera bens sempre in chiave razionale e morale, assumendo come presupposto che il messaggio biblico corrisponde sempre alla legge morale ma espresso in forma simbolica per raggiungere il maggior numero di uomini. Per esempio, egli afferma che il mito del peccato originale di Adamo ed Eva non altro che la rappresentazione simbolica del male radicale, cio del fatto che luomo responsabile di aver attivato volontariamente in se stesso il principio cattivo, cio linclinazione a trasgredire deliberatamente la legge morale. Daltra parte, la simbologia del Genesi, attraverso la figura del serpente tentatore, sta a significare che il male non appartiene alla natura umana, creata infatti buona da Dio, ma a uno spirito malvagio, esterno alluomo. In particolare, la figura storica di Cristo, il figlio di Dio immune dal peccato, interpretata da Kant come il simbolo della possibilit umana della santit, cio della perfezione morale. In Cristo lumanit ha avuto e ha un modello di moralit da imitare per attivare il proprio processo di perfezionamento morale. In questo modo, attraverso Cristo, Dio concede la sua Grazia agli uomini, cio integra il loro sforzo di miglioramento, che di per s sarebbe insufficiente, rendendo effettivamente possibile il raggiungimento della perfezione morale. Per questo il miglioramento morale non pu basarsi solo sullallenamento costante e progressivo alla pratica della virt ma deve partire da una rivoluzione del cuore, da una rinascita interiore che ripristini il principio buono, cio loriginaria natura morale delluomo cos come era stata creata da Dio. In questo senso Kant afferma che Cristo si incarnato una volta in modo visibile ma innumerevoli volte in modo invisibile in ogni uomo che si converte, sia prima sia dopo la sua incarnazione storica. Considerando lepoca a lui contemporanea, Kant ritiene che sia arrivato il tempo in cui lumanit possa finalmente abbracciare una fede razionale pura che concepisca la rivelazione divina come un processo che avviene continuamente in tutti gli uomini. In altre parole, Kant si fa profeta dellarrivo del Regno di Dio inteso come inizio del passaggio progressivo dalle chiese storiche, dogmatiche e gerarchiche, allunica chiesa universale fondata sulla ragione e sulluguaglianza di tutti i fedeli e destinata a progredire fino alla realizzazione completa di una comunit etica umana, cio di una comunit universale senza male e stabilmente pacifica. In questo modo, Kant, riallacciandosi alla tradizione rinascimentale della docta religio, elabora la propria versione del deismo illuministico. Si tratta di una versione personale e decisamente pi concessiva nei confronti delle chiese tradizionali di quelle della maggior parte dei filosofi illuministi, ma non per questo meno radicale, anzi, sul piano della proposta per il presente e della prospettazione del futuro. Segnatamente, risulta chiaro e netto che la piena realizzazione dellutopia di una societ umana perfetta non affidata da Kant alla dimensione politica ma a quella religiosa, bench la prima sia considerata una condizione, ovvero un mezzo indispensabile, della seconda.

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VIAGGIO II LA COSTRUZIONE RAZIONALE DI TUTTA LA REALTA ROTTA A: IL ROMANTICISMO TEDESCO TAPPA 1 SCHILLER: LA PEDAGOGIA DELLA BELLEZZA Leducazione estetica come educazione alla libert Il riferimento principale della filosofia estetica di Schiller costituito dalla Critica del Giudizio di Kant. In questa opera Kant aveva individuato nel sentimento del bello una facolt intermedia della ragione capace di conciliare lopposizione tra lintelletto e la moralit, ovvero tra il meccanicismo della natura scientifica e la libert delluomo. Lintento di Schiller quello di sviluppare e completare la Critica del Giudizio di Kant in una duplice direzione: a) mostrando come la bellezza possa non solo conciliare ma anche integrare e armonizzare tutti i dualismi della filosofia kantiana: intelletto e ragione, istinto sensibile e legge morale, individuo e collettivit; b) elaborando non solo e non tanto una teoria estetica quanto anche e soprattutto una pedagogia estetica, cio facendo della bellezza il criterio cardine per un nuovo, pi profondo ed efficace metodo di educazione dellumanit alla libert. Listanza pedagogica di Schiller ha forti implicazioni politiche in quanto per lui la rivoluzione francese aveva dimostrato che senza un nuovo tipo duomo, cio un individuo autenticamente libero, ogni tentativo di arrivare allautodeterminazione politica era destinato alla degenerazione e al fallimento. La differenza tra uomo moderno e uomo greco Luomo moderno, secondo Schiller, interiormente diviso in molti interessi e facolt autonomi che si rapportano tra loro in modo squilibrato. Questa sua frammentariet spirituale conseguenza sia dellorganizzazione sociale caratterizzata dalla divisione del lavoro e da una complessa articolazione in classi e ceti sia della situazione culturale, segnata dalla sempre pi radicale specializzazione delle scienze e dalla contrapposizione tra razionalit scientifica e fantasia artistica. Grazie alla crescente complessit del sistema socio-culturale luomo moderno ha sensibilmente migliorato le sue condizioni materiali di vita, ma a prezzo della rottura della sua unit interiore. Da questo punto di vista, egli si trova agli antipodi della splendida umanit rappresentata per Schiller dalluomo greco antico la cui civilt era invece caratterizzata da una maggiore omogeneit socio-culturale e quindi dallarmonia tra razionalit e fantasia, sensibilit e moralit, individuo e comunit. Eppure, secondo Schiller, linferiorit delluomo moderno rispetto alluomo greco contiene in s la potenzialit di trasformarsi in superiorit. Luomo moderno infatti ha la possibilit di realizzare un nuovo equilibrio spirituale basato su una maggiore differenziazione interna, e dunque pi ricco ed elevato. La chiave di volta per conseguire questo risultato costituita dalleducazione alla bellezza basata sullarte. La vita, la forma e il gioco La pedagogia estetica di Schiller ha come fondamento la sua teoria antropologica secondo la quale ogni uomo costituito dallinterazione di due principi opposti: L impulso materiale o vita, in base al quale partecipa al mondo fisico caratterizzato dal bisogno, dallistintivit, dal mutamento temporale, dallaccidentalit; L impulso formale o forma, in base al quale partecipa del mondo ideale, puramente razionale, caratterizzato dalla libert, dalla moralit, dalla stabilit sovratemporale, dalla finalit. 84

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La sua natura duale espone costitutivamente luomo al rischio della scissione, dello squilibrio, del conflitto intestino. Daltra parte questo stesso dualismo fonda la superiorit delluomo legata alla possibilit di equilibrare e accordare i suoi impulsi immediatamente opposti ma potenzialmente complementari. Tale possibilit affidata da Schiller a un terzo impulso umano, intermedio rispetto ai primi due, ovvero all impulso al gioco proprio dellattivit artistica. Lattivit artistica, afferma Schiller, un gioco in quanto essa lespressione di un atteggiamento del tutto disinteressato, sia materialmente sia scientificamente sia moralmente, nei confronti della realt. In altre parole larte in quanto gioco assoluta spontaneit, libert da tutte le leggi sia naturali sia culturali, sospensione di qualsiasi necessit fisica o dover-essere morale. Questo stato estetico delluomo possibile in quanto il gioco artistico consiste nel perfetto equilibrio di vita e forma, di impulso materiale e impulso formale. I due impulsi cos si neutralizzano a vicenda, si integrano, si armonizzano. La bellezza appunto il risultato di tale armonizzazione, la sintesi di vita e forma resa possibile dallessenza ludica dellattivit artistica. Su queste basi Schiller si fa assertore di una concezione classica della bellezza come perfetto equilibrio di forma e contenuto. Egli per larticola originalmente in due tipi: La bellezza rilassante o dolce, che ha la funzione di attenuare un eccesso di vita proprio di uno stato danimo troppo teso attraverso un eccesso opposto di forma; La bellezza stimolante o energica, che ha la funzione di temperare un eccesso di forma proprio di uno stato danimo troppo rilassato attraverso un eccesso opposto di vita. Lanima bella come fusione di moralit e grazia estetica Leducazione estetica, secondo Schiller, ha il compito di utilizzare larte come strumento pedagogico per sviluppare in ogni uomo lo stato estetico, cio lequilibrio interno tra vita e forma. Grazie ad essa ogni individuo pu diventare un anima bella. Con tale denominazione Schiller delinea il suo ideale di uomo nuovo, obiettivo ultimo dellopera di educazione estetica. Lanima bella lindividuo pienamente realizzato in quanto capace di armonizzare compiutamente la sua sensibilit naturale e istintiva con la legge morale. Egli, cio, in grado di compiere il dovere morale senza autocostrizione ma con naturale spontaneit perch ha imparato ad apprezzare e a praticare la bellezza dellagire morale ed dunque attratto e spinto da essa. In altre parole, lanima bella luomo che fa di se stesso unopera darte vivente, in quanto come questa realizza in s la bellezza come perfetto equilibrio di vita e forma. Schiller chiama grazia la bellezza dellagire umano propria dellanima bella. La grazia per lui superiore al kantiano dovere per il dovere ed la pi alta forma di libert, la libert autentica. In conclusione: la superiore dignit delluomo costituita dalla libert, ma questa si fonda sulla grazia ovvero sulla perfetta complementarit di sensibilit e moralit, intelletto e ragione, razionalit e fantasia, necessit e libert, individuo e collettivit. Leducazione estetica dunque la pi profonda e compiuta forma di educazione alla libert e come tale la condizione di qualsiasi autentico cambiamento politico.

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TAPPA 2 SCHLEGEL: LIRONIA COME APPROSSIMAZIONE ALLINFINITO Larte romantica come rappresentazione dellinfinito Promotore dei circoli romantici di Jena e Berlino, Schlegel il principale teorico tedesco del romanticismo. Egli contamina le filosofie di Kant, Schiller e soprattutto di Fichte con le produzioni poetiche di Goethe e di Tieck. Lobiettivo ultimo delluomo, e quindi il criterio di giudizio fondamentale di tutte le sue attivit, per Schlegel lInfinito, o Assoluto, termine con il quale egli designa lessere totale e compiuto, e dunque perfetto. Allinfinito si pu pervenire per due vie autonome ma complementari e convergenti: la prima quella logico-concettuale della filosofia; la seconda quella intuitivo-fantastica dellarte. Schlegel denomina romantica la forma darte che riesce a rappresentare e quindi a manifestare linfinito o assoluto. In questo modo, il termine romanticismo che prima aveva designato il genere letterario dei romanzi cavallereschi e aveva assunto le accezioni derivate di fantastico e stravagante assume un nuovo, pregnante significato, venendo a indicare una specifica concezione dellarte e, pi in generale, della vita umana. Lironia come coscienza della inattingibilit dellinfinito Convinto del parallelismo di filosofia e arte, Schlegel individua il loro comune denominatore nel principio dell ironia. Egli si rif ai dialoghi socratici di Platone, nei quali lironia costituiva sia un omaggio al sapere di non sapere, ovvero al senso dei limiti umani, sia un metodo per stigmatizzare la presunzione umana, sia la manifestazione dello stile con cui Socrate ingentiliva e abbelliva le sue taglienti confutazioni. Schlegel tuttavia generalizza e approfondisce il significato dellironia socratica rendendola una categoria interpretativa dellarte e soprattutto il canone essenziale e unitario del romanticismo. Il fondamento ultimo dellironia infatti per Schlegel la coscienza dello iato incolmabile che sussiste tra la finitezza umana e linfinito. Di conseguenza ogni tentativo umano di rappresentare linfinito destinato allo scacco. Lironia come strumento artistico per rappresentare lirrappresentabile Larte, come la filosofia, si fonda su un paradosso, cio sullesigenza di rappresentare linfinito, ovvero lirrappresentabile, cio di realizzare il fallimento, di comunicare lincomunicabile. Tale paradosso si esprime e si risolve appunto nellironia, cio nellautoparodia della propria opera da parte dellautore stesso, nel conseguente uso dello scherzo e dellumorismo. Attraverso ladozione di uno stile ironico, infatti, lopera sarte denuncia la sua insufficienza a rappresentare linfinito ma, implicitamente, proprio cos lo allude, lo rende presente nellunico modo possibile, quello cio del rinvio a unulteriorit assente. Lironia come buffoneria trascendentale In questo senso Schlegel definisce lironia buffoneria trascendentale e la considera come il corrispettivo artistico dellidea dialettica, a cui Kant aveva attribuito la funzione trascendentale di pungolare la ricerca scientifica a oltrepassare ogni risultato conseguito per approssimarsi sempre pi allinfinito. Con la sua nuova concezione dellironia Schlegel pone le fondamenta di quel principio del romanticismo che la critica successiva ha denominato Sehnsucht, termine che letteralmente significa passione dellanelare, cio anelito struggente, dolorosa aspirazione. Lironia, infatti, in quanto buffoneria trascendentale, costringe lartista a relativizzare ogni sua produzione e a perseverare indefessamente nellimpresa impossibile di raggiungere lirraggiungibile, cio linfinito. Ma proprio per questo lartista e larte possono sempre pi perfezionarsi, produrre opere sempre pi elevate. 86

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Lopera darte romantica come poesia trascendentale Schlegel concepisce larte romantica cio quella incardinata sullironia essenzialmente come poesia. Egli cio ritiene che larte pi elevata sia quella letteraria, basata sulla parola. In secondo luogo per lui larte romantica deve essere totale, cio deve fondarsi sulla fusione di tutti i generi e gli stili poetico-letterari tradizionali. Come tale lopera darte romantica nasce dal genio, cio una produzione inconscia che scaturisce intuitivamente dalla fantasia dellartista. In questo senso essa da un lato la pi alta realizzazione della libert delluomo, dallaltro manifestazione di un essere trascendente il singolo individuo, cio appunto dellinfinito. Il genio artistico consiste appunto nella capacit di annullare la propria finitezza individuale per rendersi vaso e cassa di risonanza dellinfinito, ovvero per farsi strumento di comunicazione dellassoluto a tutti gli uomini. Per questo Schlegel definisce lopera darte romantica poesia trascendentale e attribuisce allartista la responsabilit di una missione che al contempo filosofica e religiosa, in quanto consiste nel porre gli uomini in contatto con lassoluto il quale coincide con il divino.

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TAPPA 3

NOVALIS: LIDEALISMO MAGICO


Dalla magia delloggetto alla magia del soggetto Amico di Schlegel, ammiratore di Fichte, poeta e romanziere egli stesso prima ancora che filosofo dellarte, Novalis teorizza nei suoi saggi e rappresenta nelle sue opere artistiche la visione del mondo che lui stesso battezza idealismo magico. Con questa denominazione Novalis vuole indicare una versione attuale e alternativa del tradizionale realismo magico, cio della filosofia della natura rinascimentale (Ficino, Pico, Bruno). Il naturalismo rinascimentale infatti aveva concepito la natura come unentit viva, animata, le cui parti sono tutte in corrispondenza simpatetica le une con le altre e sono pertanto in grado di influenzarsi e trasformarsi reciprocamente in base a precise leggi qualitative e quantitative. Il filosofo per i rinascimentali era appunto luomo che conosceva tale leggi e poteva dunque dominare magicamente la natura. La concezione magica rinascimentale era realistica in quanto riteneva che il fondamento della magia cio lanimazione universale fosse una propriet autonoma della realt naturale, fosse cio interna al mondo fisico oggettivo. Applicando originalmente la rivoluzione copernicana di Kant al pensiero magico-naturalistico del rinascimento, Novalis rovescia la magia oggettiva in una magia soggettiva, ovvero ribalta il realismo magico in idealismo magico. Ci significa che per Novalis il principio dellagire magico non un da rinvenire allinterno della natura, bens allinterno del soggetto umano. La realt naturale come fiaba creata dal grande Io La natura, infatti, secondo Novalis, creata e governata dallo Spirito, ovvero dal grande Io che il fondamento comune e universale di tutti gli io comuni, cio di ogni singola ragione umana. In questo senso la realt altro non che una costruzione ideale che Novalis avvicina al sogno o meglio ancora alla fiaba, che per lui il genere sommo e il canone stesso della poesia. Lo Spirito, infatti, come un sommo mago che riuscito a produrre degli incantesimi talmente raffinati e vividi da illudere il loro stesso artefice. Fuor di metafora, lIo universale crea una fiaba o un sogno cos perfetti da apparirgli come realt oggettiva, come un non-Io, cio come un mondo autonomo, esistente di per s e opposto allIo. Per questo gli uomini gli io individuali comuni sono portati a credere che la natura sia una alterit eterogenea e perfino ostile rispetto a loro, un meccanismo dominato dal destino, cio da una inesorabile necessit che si impone su ogni cosa. La Sehnsucht come presagio dellessenza segreta della natura Questa falsa credenza per Novalis la vera causa della sofferenza psichica e fisica dellumanit. Ma proprio perch ogni individuo alberga in s lo Spirito, essendone una parte, sotto le ceneri del suo autoinganno cova la fiamma della consapevolezza. Questo barlume di consapevolezza si manifesta, afferma Novalis, in un peculiare sentimento, la Sehnsucht, lo struggimento dellanelare. Si tratta di un desiderio particolare, doloroso e piacevole a un tempo: doloroso perch il suo oggetto e la sua meta sono non solo tutti da scoprire ma anche in s stessi indefiniti e quindi mai raggiungibili in modo pieno e definitivo; piacevole perch legato alla speranza e alla volont attiva di riscoprire il mondo come casa propria, cio di riconoscere nella natura per cos dire una seconda faccia o un alter ego delluomo, cio unentit a lui affine, fraterna, accogliente.

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Le allegorie artistiche della Sehnsucht e dellidealismo magico Novalis, come accennato, non si limita a teorizzare filosoficamente ma rappresenta anche artisticamente la sua concezione dellidealismo magico. Egli utilizza il genere tipicamente romantico del Bildungsroman (romanzo di formazione) in cui i protagonisti, attraverso un cammino di ricerca contrassegnato dal superamento di una serie di esperienze che costituiscono altrettante prove, arrivano ad acquisire una piena consapevolezza della propria identit e a raggiungere cos la propria realizzazione. Nei suoi romanzi Novalis rappresenta simbolicamente la Sehnsucht e lidealismo magico, in particolare attraverso due diverse ma complementari allegorie. La prima quella della avventurosa ricerca in Egitto del tempio della dea di Sais, ovvero Iside, simbolo della Natura. Tale ricerca si conclude positivamente con lo svelamento della statua della dea. Il volto che la dea mostra appare identico a quello del protagonista che lha svelata e la sta guardando. La seconda allegoria quella del fiore azzurro che sfugge quanto pi il protagonista si avvicina ad esso e cerca di afferrarlo. Con la prima Novalis esprime la tesi idealistica dellidentit tra Io e Natura, ovvero della Natura come copia dellIo, come sua produzione poetica. Con la seconda limpossibilit di arrivare a possedere lInfinito o Assoluto, ovvero la sintesi definitiva e totale di Io e Natura. Il poeta e il filosofo come maghi moderni Secondo Novalis, lindividuo che riesce a comprendere che la realt una fiaba inventata e raccontata dallo Spirito, cio in ultima analisi da lui stesso, il filosofo e soprattutto il poeta. Essi sono entrambi dei moderni maghi, ovvero dei geni, in quanto sono in grado di farsi tuttuno con lo Spirito e quindi di acquisire la capacit di trasformare i loro pensieri in realt e la realt nei loro pensieri. Il motore della loro capacit magica per Novalis la loro volont morale, connessa alla coscienza della loro libert, cio della loro indipendenza dalle leggi naturali; il loro strumento fondamentale lamore, poich lamore la forza che unisce e lega ogni cosa a ogni altra, luomo alla natura, il passato al futuro, la vita alla morte, il corpo alla mente, ogni parte delluniverso alluniverso stesso come totalit unitaria. La poesia come autentica realt e la filosofia come teoria della poesia La poesia, afferma Novalis, la realt stessa nel senso che lo svelamento dellessenza assoluta della realt apparente. Come si visto, infatti, la realt naturale non altro che una fiaba, cio unopera darte, segnatamente una poesia, tanto ben riuscita da dissimulare la sua vera natura e da sembrare diversa da ci che . Dunque la poesia rivela la verit perch coincide essa stessa in quanto comunica non solo attraverso dei significati logici ma anche e soprattutto attraverso delle forme estetiche (suoni, ritmo, musicalit, immagini simboliche, paradossi) con lessenza segreta della realt, quellessenza stessa. Tant vero che Novalis giunge a sostenere luguaglianza di poetare, pensare e generare, nel senso di produrre e creare. Il poeta crea la sua opera come lo Spirito ha creato il mondo. La poesia reale tanto quanto il mondo poesia. Per questo Novalis afferma che il poeta onnisciente e comprende la natura meglio dello scienziato. Addirittura il poeta assume nel mondo moderno il ruolo del vate, del profeta e del sacerdote. Lessenza della realt che egli svela coincide infatti con il principio divino che alla base della religione. In questo prospettiva la filosofia per Novalis la teoria della poesia, ovvero il tipo di pensiero che ha il compito di spiegare razionalmente il significato e la funzione della poesia per insegnare a tutti gli uomini a comprenderla e a valorizzarla. La poesia leroina e il principio della filosofia.

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ROTTA B LIDEALISMO ASINTOTICO Alla fine del 700 nacque in Germania un nuovo indirizzo filosofico che sarebbe poi stato denominato idealismo tedesco contemporaneo. Esso ebbe 3 matrici principali: 1) la tradizione idealistica che da Platone e Plotino si era poi sviluppata sino a Spinoza, Leibniz e Berkeley; 2) la filosofia di Kant e in particolare lacceso dibattito critico-interpretativo che si era sviluppato intorno al concetto di cosa in s; 3) la nascente cultura romantica e in particolare la sua concezione dellinfinito. Dalla tradizione idealistica i nuovi idealisti mutuarono la tesi dellessenza razionale di tutta la realt sia fisica sia mentale, dandole per una nuova interpretazione e una diversa configurazione. Mentre per gli idealisti antichi il principio ideale della realt era innanzitutto oggettivo (p.e. il mondo delle idee), per gli idealisti tedeschi esso innanzitutto soggettivo, cio io puro oppure spirito, cio una sorta di supercoscienza metaempirica e metaindividuale ma analoga, omogenea e immanente alla coscienza o mente di ogni uomo. Da Kant, di cui Fichte si profess fedele discepolo, gli idealisti tedeschi ripresero il tema della rivoluzione copernicana e la concezione dellio trascendentale legislatore della natura, dando per una pi sfumata interpretazione del limite costituito dalla cosa in s. Questo ridimensionamento della cosa in s - e quindi la maggiore valorizzazione dellagire teorico e pratico delluomo - furono la ricaduta filosofica della concezione romantica per cui luomo costituito dalla sua tensione verso linfinito. In questo senso Fichte e Schelling furono i maggiori interpreti filosofici del romanticismo: il primo, pi fedele a Kant, ne espresse la concezione titanica delluomo come sforzo perenne di raggiungere la perfezione morale; il secondo, pi legato agli ambienti artistici romantici, ne espresse la concezione dellopera darte come manifestazione simbolica dellinfinito. Entrambi mantennero per listanza kantiana del limite e quella romantica della precariet del rapporto con linfinito. Il loro idealismo pertanto definibile asintotico, nel senso che ammette un legame uomo/infinito solo come progressiva e interminabile approssimazione, vuoi pratico-morale vuoi artisticosimbolica. VITA DI UN CAPITANO Johann Gottlieb Fichte Fichte nacque nel 1762 a Rammenau, una piccolo centro urbano della Germania nordorientale. Di famiglia poverissima, Fichte pot frequentare la scuola superiore grazie al mecenatismo di un nobile e luniversit lavorando come precettore privato. Entusiasta studioso di Rousseau e sostenitore della rivoluzione francese, nel 1790 fu segnato dalla lettura delle opere di Kant di cui lasci scritto: Il rivolgimento che questa filosofia ha operato in me enorme. Le debbo, in special modo, il fatto che ora credo fermamente nella libert delluomo. Lanno successivo con laiuto di Kant Fichte ottenne la cattedra di filosofia nelluniversit di Jena. Qui cominci lelaborazione della sua filosofia, dando alle stampe nel 1794 I fondamenti dellintera dottrina della scienza. Questopera fu integrata sul piano etico con il Sistema della filosofia morale (1798) e su quello politico con Lezioni sulla missione del dotto (1794) e soprattutto con I fondamenti del diritto naturale (1796) e Lo stato commerciale chiuso (1800). Nel 1799 Fichte fu costretto ad abbandonare luniversit di Jena e a trasferirsi a Berlino. A causa di un articolo di un suo seguace nel quale Dio veniva identificato con lordine morale dellumanit, Fichte fu accusato di ateismo e prefer dimettersi piuttosto di annacquare le sue tesi. A Berlino, ricevette la notizia che Kant lo aveva ripudiato come discepolo ma continu a professarsi suo discepolo. Gli anni berlinesi furono caratterizzati dai difficili rapporti con gli artisti e gli intellettuali romantici ma soprattutto dalla rottura con il suo ex discepolo Schelling avvenuta nel 1802. Solo nel 1810, Fichte riusc a ottenere la nomina a professore nella neonata universit di Berlino, di cui in seguito divenne rettore. Nel periodo berlinese la dottrina della 90

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scienza fu continuamente rielaborata in chiave sempre pi teologica: solo le versioni pi importanti ammontano a sei ma con le minori se ne contano addirittura quindici. In seguito allinvasione della Prussia da parte di Napoleone, Fichte si pose alla testa del movimento di reazione allimperialismo napoleonico, pubblicando i Discorsi alla nazione tedesca (1808), in cui sostenne il primato culturale della nazione tedesca sulle altre attribuendole una missione storica di civilizzazione universale. Mor a Berlino nel 1814 a causa di unepidemia di tifo. VITA DI UN CAPITANO Friedrich Wilhelm Joseph Schelling Schelling nacque nel 1775 a Leonberg, nei dintorni di Stoccarda, nella Germania sudoccidentale. Il padre, pastore protestante, lo avvi agli studi classici e religiosi. A soli quindici anni fu ammesso alluniversit di Tubinga, dove stabil un sodalizio filosofico con i pi anziani compagni Hlderlin ed Hegel. A Tubinga studi mitologia e storia delle religioni e lesse Rousseau, Kant e soprattutto Fichte di cui inizialmente si profess discepolo. Laureatosi in teologia, divenne precettore a Stoccarda e a Lipsia, dove approfond la sua conoscenza della matematica e delle scienze naturali. Sulla base di questi studi Schelling cominci lelaborazione della sua filosofia originale concentrandosi appunto sul problema della natura. Nellarco di pochi anni pubblic Idee per una filosofia della natura (1797), Dellanima del mondo (1798), Primo abbozzo di un sistema della filosofia della natura (1799) e Deduzione generale del processo dinamico o delle categorie della fisica (1800). La filosofia della natura guadagn a Schelling lammirazione e linteressamento di Goethe, che gli permisero di entrare nel 1798 alluniversit di Jena come collaboratore di Fichte. Lanno dopo, quando Fichte lasci Jena per Berlino, Schelling, a soli 24 anni, eredit la sua cattedra. Nei primi anni del suo insegnamento universitario, Schelling scrisse il Sistema dellidealismo trascendentale (1800), riorganizzando la filosofia della natura ed elaborando la sua filosofia dello spirito per arrivare alla filosofia dellarte come loro sintesi. A Jena Schelling - oltre a rapporti diretti con Goethe e Schiller - ebbe burrascose relazioni con gli scrittori romantici del circolo di Jena. Dal 1801 Schelling entr nella fase della cosiddetta filosofia dellidentit, concentrandosi sul problema del coglimento dellassoluto come identit di soggetto e oggetto. Questa fase della ricerca schellinghiana produsse lEsposizione del mio sistema filosofico (1801), Ulteriori esposizioni (1801), Bruno o sul principio divino e naturale delle cose (1802), Filosofia e religione (1804). Negli anni in cui Schelling scrisse queste opere, crebbero la sua amicizia e la sua collaborazione con Hegel - insieme al quale pubblic il Giornale critico della filosofia - mentre peggiorarono i suoi rapporti con Fichte e con i romantici. La rottura definitiva si consum nel 1803 anno in cui Schelling spos in seconde nozze Karoline Michaelis, gi moglie di A.W. Schlegel, e si trasfer prima a Wrzburg e poi a Monaco. Nel 1806 Schelling prese pubblicamente posizione contro i pi recenti sviluppi della filosofia di Fichte pubblicando Esposizione del vero rapporto della filosofia della natura con la dottrina migliorata di Fichte. Lanno successivo ruppe anche con Hegel, in seguito alla pubblicazione da parte di questultimo della Fenomenologia dello spirito, la cui prefazione conteneva una tagliente confutazione dellintuizionismo romantico e schellinghiano. Nel 1809 Karoline Michaelis mor e qualche anno dopo Schelling si rispos con Pauline Gotter dalla quale avrebbe avuto sei figli. Nel primo periodo di Monaco, le rotture con Fichte e Hegel furono al tempo stesso stimolo e sintomo della nuova strada imboccata da Schelling e convenzionalmente denominata filosofia della libert o teosofia. Nel 1809 pubblic Ricerche filosofiche sullessenza della libert umana. In questopera Schelling identific lassoluto con il Dio trascendente e personale della tradizione religiosa monoteistica, ma lo concep originalmente come duale e dinamico. Dopo il 1810, negli anni del trionfo di Hegel, Schelling non diede alle stampe alcuna opera di rilievo. Nel 1827 riprese linsegnamento universitario a Monaco fino al 1841 quando, a dieci anni 91

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dalla morte di Hegel, Schelling fu chiamato a sostituirlo alluniversit di Berlino, dove insegn fino al 1847, avendo tra i suoi studenti Kierkegaard, Feuerbach ed Engels. Il ventennio 18271847 rappresenta lultima fase della ricerca filosofica di Schelling, da lui stesso battezzata filosofia positiva o empirismo filosofico. Schelling espose la sua nuova dottrina in Esposizione dellempirismo filosofico (1830), Filosofia della mitologia e Filosofia della rivelazione, pubblicate nel 1854, poco dopo la sua morte che avvenne a Bad Ragaz, in Svizzera, dove si era ritirato a vita privata nel 1847.

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TAPPA 1

FICHTE: LIDEALISMO CRITICO


Questo fatto, che lo spirito finito deve necessariamente porre al di fuori di s qualcosa di assoluto (una cosa in s) e tuttavia, dallaltro canto, riconoscere che questo qualcosa esiste solo per esso ( un noumeno necessario), quel circolo che lo spirito pu infinitamente ingrandire, ma dal quale non pu mai uscire. Un sistema che non bada punto a questo circolo un idealismo dogmatico1, poich solo il circolo indicato ci limita e ci rende esseri finiti; un sistema che immagini di esserne uscito un dogmatismo trascendentale realistico2. La dottrina della scienza tiene il mezzo tra i due sistemi ed un idealismo critico che si potrebbe chiamare un real-idealismo o un idealrealismo (...) Fichte, Fondamenti dellintera dottrina della scienza, II, 4, E, 3, 13 La riflessione di Fichte parte dal compito che Kant aveva assegnato ai suoi continuatori: quello di unificare i risultati delle sue tre Critiche in un sistema. Per la filosofia tedesca dellepoca elaborare un sistema significava delineare una visione complessiva della realt in forma rigorosamente ipotetico-deduttiva, e cio: individuare per via intuitiva il principio primo di tutta la realt e quindi ricavare deduttivamente e organicamente da questo tutti i suoi aspetti fondamentali. Il primo compito che Fichte affronta dunque quello di individuare il principio primo della realt, cio il caposaldo del sistema. Fichte svolge tale compito elaborando 3 tesi fondamentali: lIo originariamente produce se stesso come assoluto; lIo assoluto si trova contrapposto a un Non-Io assoluto; lIo contrappone, al suo interno, un Non-Io divisibile a un Io divisibile. Questi 3 enunciati sono riducibili allunit in due modi diversi ma complementari: in primo luogo, in quanto essi hanno un soggetto comune, cio lIo, che dunque emerge come il principio primo e unitario di tutta la realt; in secondo luogo, perch essi sono considerati da Fichte come un ragionamento dialettico cio probabile - di cui i primi due enunciati sono le premesse e il terzo la conclusione. Per Fichte, dunque, lIo il principio primo del sistema e il punto di partenza della deduzione dialettica di tutta la realt. Come tale Fichte lo dichiara indeducibile: infatti per essere condizione di ogni dimostrazione successiva deve essere a sua volta incondizionato. Ci non toglie che la sua scelta come principio primo debba essere giustificata. Per farlo, Fichte si appella innanzitutto a una verit universalmente riconosciuta, quella del principio di identit: A=A. Questo principio per tutti evidente, certo, indubitabile, anche se impossibile darne una dimostrazione. Ci significa che la ragione umana ha la facolt di individuare un principio primo in modo assoluto e incondizionato. Daltra parte, osserva Fichte, il principio di identit A=A solamente logico-formale. Esso significa solo che se A esiste, allora identico a se stesso; dove A sta per qualsiasi cosa. Dunque A=A non fonda la propria esistenza reale e come tale non pu costituire un principio ontologico, un principio, cio, dal quale si possa dedurre la realt.
1

a) b)

1) 2) 3)

Un idealismo per cui la realt totalmente creazione dellio e la cosa in s viene eliminata. E dogmatico perch lassolutezza dellio diventa un dogma, una certezza fideistica, che toglie ogni senso al rischio e quindi alla libert. 2 Un realismo per cui la realt totalmente cosa in s, cio oggetto, e la coscienza ne un mero prodotto.

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E dunque necessario risalire dal principio di identit a un altro principio. Questo principio non pu essere che lIo in quanto il principio di identit un prodotto dellattivit pensante dellIo. Anzi in questo senso Fichte pu affermare che il fondamento e insieme la matrice di A=A Io=Io, cio lidentit dellIo con se stesso. Ma in questo modo, prosegue Fichte, al posto di una verit unicamente logica, abbiamo una verit ontologica in quanto lIo non un mero simbolo formale come A ma qualcosa di realmente esistente. In questa prospettiva Fichte sostiene che Io=Io equivale alla proposizione: Io sono. Questo significa che Io=Io un principio ontologico in quanto rappresenta latto dellautocoscienza, la quale lazione trascendentale originaria con la quale lIo - riflettendosi in s e prendendo cos coscienza di s - si costituisce, si produce, si pone in essere appunto come coscienza, come pensiero, come mente pensante. LIo pertanto, conclude Fichte, assoluto e infinito in quanto nella sua autoproduzione non condizionato n limitato da qualcosa di altro e diverso da s. LIo per, secondo Fichte, pensa anche un altro principio logico indubitabile, quello di non contraddizione: A!A, che tradotto ontologicamente comporta lesistenza di un principio opposto allIo, cio il Non-io. Il Non-Io incondizionato, e dunque assoluto e infinito, come lIo. Esso infatti, per Fichte, non pu essere dedotto formalmente dallIo in quanto la sua negazione. Ma cos allora il non-Io e da dove viene? Il Non-Io linspiegabile urto che lIo subisce dentro di s ogni volta che ha unintuizione sensibile ma di cui ignora lorigine. Sul piano ontologico, dunque, il Non-Io unalterit del tutto accidentale e oscura, qualcosa di meramente virtuale. Il Non-Io per deducibile dallIo per quanto riguarda il contenuto, in quanto le sue propriet sono determinabili per opposizione rispetto a quelle dellIo. Infatti, essendo per definizione lopposto dellio, se lIo attivo, cosciente e immateriale, il Non-Io non pu che essere passivo, inconscio e materiale. Sotto questo aspetto, il Non-Io risulta pertanto prodotto dallIo, in quanto lIo che gli conferisce caratteristiche, visibilit e quindi realt effettiva. In sintesi, lIo non crea il Non-io, in quanto non ne lorigine ontologica; ma lo produce in quanto ne permette la manifestazione, lo fa apparire, lo rende conoscibile, portandolo dalla virtualit alla realt. Proprio a ragione della loro opposizione, per Fichte Io e Non-Io non possono esistere indipendentemente e separatamente luno dallaltro ma sono legati costitutivamente da una relazione di interdipendenza. Daltra parte lopposizione tra Io e Non-Io non pu dar luogo a un annientamento reciproco - dal momento che entrambi i principi sono in s assoluti e infiniti - ma soltanto a una vicendevole limitazione, che a sua volta si manifesta come una reciproca divisione. In altre parole, Io e Non-Io si delimitano lun laltro trasformandosi in una molteplicit infinita: a) di Io finiti, cio di uomini in quanto esseri razionali b) e di Non-Io finiti, cio di enti naturali di ogni genere e specie, compreso luomo come corpo. Ci significa che lIo e il Non-Io come principi separati sono meri elementi astratti che di fatto esistono soltanto nella loro interazione - un po come lidrogeno e lossigeno in quanto elementi primi del composto acqua.

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TAPPA 2

FICHTE: LATTIVITA CONOSCITIVA


lIo deve intuire3; che ora lintuente debba essere realmente un Io, vale lo stesso che: lIo deve porsi come intuente [...]. E chiaro che allintuente come attivo debba essere opposto un intuto. Si chiede soltanto come e in che modo possa essere posto un tale intuto. Un intuto che deve essere opposto allIo, allIo in quanto intuente, necessariamente un Non-io; da qui segue innanzi tutto che latto dellIo, il quale pone tale intuto, non riflessione4, non unattivit che si dirige al di dentro, ma unattivit che si dirige al di fuori e quindi [...] una produzione5. Lintuto come tale prodotto. [...] La facolt producente sempre limmaginazione; quindi quel porre lintuto ha luogo per mezzo dellimmaginazione ed esso stesso un intuire.
Fichte, Fondamenti dellintera dottrina della scienza, parte II, 4 Tutta la realt interazione e reciproca delimitazione di Io e Non-Io, soggetto e oggetto, spirito e materia: questa la conclusione sintetica cui Fichte perviene al termine della sua deduzione dialettica. Trattandosi, per, di un procedimento dimostrativo di tipo dialettico, la sua conclusione non certa ma ha una valore unicamente congetturale, ipotetico. In particolare, per Fichte, la vicendevole determinazione di Io e Non-io deducibile dalla loro immediata opposizione logica solo sul piano formale ma non su quello del contenuto. Ci significa che la deduzione dialettica non in grado di stabilire i modi concreti in cui avviene linterazione tra Io e Non-io. Pertanto, secondo Fichte la conclusione della deduzione dialettica deve essere messa alla prova e definitivamente avvalorata in base alla sua capacit di dare conto della realt effettiva in tutta la sua concretezza. Solo grazie a questa verifica per cos dire a valle essa potr trovare piena conferma e al tempo stesso riempirsi di contenuti precisi. La verifica del risultato della deduzione dialettica per Fichte deve essere effettuata dal punto di vista dellIo, in quanto questo il principio primo, su cui si fonda anche il Non-io. Si tratta quindi di spiegare innanzitutto la realt dellIo, cio delluomo in quanto essere cosciente. Luomo in quanto coscienza, secondo Fichte, essenzialmente attivit di cui si possono distinguere due modalit: a) quella teoretica o conoscitiva; b) quella pratica o morale. Entrambe queste modalit sono riconducibili alla conclusione della deduzione dialettica, cio alla delimitazione reciproca di Io e Non-io. Questa infatti articolabile in 2 momenti distinti bench simultanei e convergenti: a) la delimitazione che il Non-io opera sullIo b) la delimitazione che lIo opera sul Non-io. Per Fichte il primo momento fonda lattivit teoretica, il secondo lattivit pratica.

3 4

Nel senso, kantiano, di intuizione sensibile di un oggetto esterno. Per riflessione Fichte intende latto dellautocoscienza dellIo in quanto in esso lIo riflette se stesso. 5 In quanto costituisce qualcosa - il mondo sensibile - che immediatamente non la coscienza.

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Stabilito che lessenza dellattivit conoscitiva la delimitazione dellIo da parte del Non-io, si tratta di spiegare come possibile e come avviene tale delimitazione. Lorigine di tale delimitazione qualificata da Fichte come un urto. LIo nel corso della sua attivit infinita fa esperienza al proprio interno di uno scontro, di una contrapposizione. Si tratta di unesperienza del tutto contingente, enigmatica, in se stessa ingiustificabile sul piano teoretico. Essa per, per Fichte, riconducibile allaspetto passivo-ricettivo dellIo. In altre parole lurto corrisponde a una disposizione interna dellIo - la passivit o ricettivit appunto - e trova in questa una indiretta e parziale giustificazione. Ma se lIo per essenza attivit com possibile che abbia una lato passivo? Fichte risponde che la passivit dellIo una forma inversa di attivit, o meglio quellattivit che non ha il proprio fondamento in se stessa ma in qualcosa daltro dallIo - ovvero in un Non-io. In questo senso la passivit quellattivit che consiste nellaccogliere una modificazione subita. Con ci, per Fichte non ha ancora spiegato perch e come noi conosciamo il mondo con i suoi oggetti, i suoi colori, i suoi odori, i suoi sapori. Nellurto infatti ci che ci urta rimane del tutto indeterminato, oscuro, privo di caratteristiche sensibili. Il problema diventa pertanto quello di spiegare come dallesperienza dellurto - che svela la passivit dellIo e che rimanda a un indeterminato Non-io - possa costituirsi il mondo concreto con tutti i suoi enti e le sue propriet, cio il mondo cos come noi lo percepiamo e lo conosciamo. La spiegazione di Fichte incardinata sulla facolt dellimmaginazione. LIo per Fichte, essendo per essenza attivit, reagisce immediatamente allurto attivando la sua capacit di produrre immagini, cio forme e propriet sensibili. In questo modo lIo - sotto il pungolo dellurto - attribuisce caratteristiche determinate al Non-io rendendolo visibile, cio costituendolo come fenomeno sensibile e conoscibile. Questa costituzione possibile perch limmaginazione trasferisce una parte della razionalit dellIo sul Non-io dandogli, per cos dire, un volto, un corpo e dei vestiti e permettendogli di manifestarsi, di apparire, di mostrarsi. Il mondo che noi conosciamo, pertanto, per Fichte il prodotto del rivestimento operato dallimmaginazione su quellinconoscibile alterit contro cui lIo si scontra nellesperienza trascendentale ed originaria dellurto. Nellattivit teoretica, dunque, limmaginazione , secondo Fichte, lo strumento che rende possibile linterazione tra Io e Non-io, la facolt che media i due principi opposti di tutta la realt mettendoli in comunicazione, permettendo un interscambio tra loro. In questo senso per Fichte limmaginazione: da un lato segna il confine tra Io e Non-io, in quanto essa che ne permette la distinzione; dallaltro, rappresenta un confine mobile, variabile, permeabile, in quanto deve permettere una sorta di osmosi tra i due principi. Per questo Fichte paragona limmaginazione alla sottile linea di confine che separa la luce e loscurit, cio a qualcosa di assolutamente sfumato e fluttuante. E in questo senso Fichte ne parla anche come di una facolt capace di librarsi tra Io e Non-io. Ma se grazie al suo libero fluttuare che limmaginazione pu trasferire parti dellIo al Non-io, proprio per questo stesso motivo limmaginazione da sola non in grado di dar conto della saldezza e della stabilit della realt oggettiva. In altre parole, secondo Fichte, se fosse un prodotto della sola immaginazione la realt ci apparirebbe fluida, sfumata, evanescente. Ma cos non e dunque limmaginazione da sola non basta a spiegare la nostra conoscenza del mondo. La funzione dellimmaginazione, pertanto, deve essere affiancata e integrata, per Fichte, dallintervento di unaltra facolt. Questa facolt la ragione, in quanto solo essa ha la capacit di fissare e per cos dire consolidare lintuizione oggettiva dellimmaginazione. E 96

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dunque grazie allintervento della ragione che la realt oggettiva acquista quella saldezza, quella stabilit e quella coerenza con la quale si presenta nella percezione. Ma il processo trascendentale di costituzione della realt oggettiva non termina nemmeno con la ragione. Il suo compimento, per Fichte, si ha solo nellintelletto. Infatti limmaginazione produce il mondo oggettivo, la ragione lo fissa ma solo nellintelletto che il risultato della loro duplice azione viene concepito in modo chiaro e consapevole. Ci spiega, secondo Fichte, perch per la riflessione naturale - cio per il senso comune, per la nostra coscienza immediata - la realt risulta qualcosa di assolutamente indipendente da noi, qualcosa che sussiste di per s e che non dipende in alcun modo dalla coscienza. Infatti la costituzione della realt avviene al livello trascendentale dellimmaginazione e della ragione: lintelletto, che ne concepisce soltanto il prodotto finale, non consapevole del processo attraverso il quale essa si venuta a costituire.

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TAPPA 3

FICHTE: LATTIVITA PRATICO-MORALE


Dove e quando tu scorgi attivit, scorgi necessariamente anche una resistenza; poich altrimenti non scorgeresti alcuna attivit. [...] Questa resistenza viene rappresentata come il contrario dellattivit; quindi come qualcosa che sussiste solamente, tranquillo e morto, che soltanto, ma non agisce affatto, che mira soltanto a permanere e a restare; quindi, con una certa quantit di forza, come ci che , opponendosi sul proprio terreno allinfluenza della libert, senza per essere in grado di invadere il terreno di questa - in breve, come mera oggettivit. Una cosa siffatta si chiama, con il suo vero nome, materia [...].

Fichte, Il sistema della dottrina morale, Introduzione

Anche lattivit pratico-morale, come quella teoretico-conoscitiva, una modalit di manifestazione del principio conclusivo della deduzione dialettica, cio della delimitazione reciproca di Io e Non-io. Ma: mentre lattivit teoretico-conoscitiva fondata sulla prevalenza della limitazione dellIo da parte del Non-io, al contrario il fondamento dellattivit pratico-morale consiste nella superiorit della limitazione del Non-io da parte dellIo. In altre parole lIo - dopo aver subito la determinazione sensibile delloggetto ma ad un tempo dopo essersene appropriato conoscitivamente - reagisce praticamente determinando a sua volta loggetto, cio imponendogli la sua libera impronta. Lattivit pratica per Fichte si realizza in due modi distinti ma convergenti: 1. attraverso il modellamento tecnico della natura, cio limposizione alla natura esterna di un ordine funzionale alle esigenze delluomo; 2. attraverso il modellamento morale del comportamento umano, cio limposizione alla natura interna - cio agli istinti naturali - di un ordine funzionale alla realizzazione di una comunit sociale. In entrambi i casi, lagire pratico-morale si configura come un processo di progressiva liberazione delluomo dai vincoli della natura e come unimposizione alla natura dellordine razionale e libero proprio delluomo. Dunque, il principio fondamentale dellagire pratico per Fichte la libert. Agire moralmente significa, secondo Fichte, renderci indipendenti dalla natura, emanciparci dalla determinazione della materia, liberarci dalla sottomissione alle leggi e alle forze naturali. La stessa attivit conoscitiva finalizzata a questo scopo ultimo e in esso trova il suo senso fondamentale, quello cio di essere uno strumento essenziale dellattivit pratico-morale. La libert intesa cos come sforzo di liberazione dalla natura rappresenta pertanto per Fichte lessenza stessa delluomo in quanto Io, cio in quanto coscienza razionale pensante e operante. In questa prospettiva la deduzione dialettica del Non-io trova una conferma e la sua esistenza una stringente giustificazione. Senza lopposizione del Non-io, sostiene Fichte, lIo non potrebbe attuarsi come essere libero e dunque non potrebbe realizzare la sua essenza, in quanto, per essere sforzo di autoliberazione, lIo deve necessariamente scontrarsi contro un ostacolo, lottare contro un impedimento.

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Infatti, se questo ostacolo non ci fosse, se lIo non avesse impedimenti e non incontrasse resistenza, allora non dovrebbe liberarsi da alcunch, non avrebbe alcun bisogno di agire praticamente, di sforzarsi di liberarsi; ma ci assurdo, poich il libero agire lessenza dellIo, e dunque venendo meno il libero agire lIo non sarebbe pi Io, perderebbe la sua identit, non esisterebbe pi come Io. Dunque il Non-io per Fichte indispensabile perch lIo possa realizzare la sua identit, possa essere se stesso, cio possa essere sforzo di autoliberazione. In quanto resistenza allazione dellIo, il Non-io la condizione oggettiva della possibilit del male. Infatti, proprio perch per essenza Non-io, la natura esterna si oppone alluomo con linerzia della sua materia e con la potenza delle sue forze naturali. A sua volta la natura interna, cio istinti e passioni, spinge luomo ad anteporre linteresse individuale a quello universale. Ma di per s lopposizione della natura non male, in quanto funzionale allesercizio del libero attivismo umano. Essa per Fichte lo diventa solo quando luomo rinuncia volontariamente a lottarle contro. Tale comportamento rinunciatario laccidia, un insieme di sfiducia nella propria possibilit di liberazione e di passiva rassegnazione alla superiorit delle forze naturali. E questo ripiegamento delluomo, secondo Fichte, che permette alla natura di sopraffarlo e di infliggergli rovina e sofferenza. Lindispensabilit del Non-io per la libert dellIo ha una fondamentale conseguenza logica: linfinit dellattivit pratica dellIo. La meta ultima dello sforzo di autoliberazione delluomo, infatti, la completa liberazione dalle catene della natura. Ma: se tale meta fosse raggiunta allora il non-Io sarebbe definitivamente eliminato ma ci non possibile perch in questo modo verrebbe meno lo stesso Io. Il sistema di Fichte, cio, sembra cos trovarsi di fronte a unaporia: da una lato il fine e il senso dellattivit pratica dellIo il raggiungimento della libert assoluta; dallaltro questo fine non raggiungibile perch altrimenti lIo verrebbe meno. Fichte supera laporia affermando lesistenza necessaria di una serie infinita di azioni che al suo massimo prolungamento arriva fino alla libert assoluta. Lesistenza di questa serie permette allIo di considerare ogni sua azione come unapprossimazione ulteriore alla meta finale della libert assoluta. Per usare una metafora, la lotta di liberazione dellIo contro il Non-io come una guerra di cui lIo vince continuamente tutte le battaglie ma che non ha mai fine perch non c mai una battaglia decisiva in cui lIo possa debellare totalmente e definitivamente il Non-io. Lo sforzo di autoliberazione dellIo pertanto un processo infinito, senza compimento, un tendere allinfinito alla libert assoluta, unattivit incessante. In questo senso, per Fichte, lIo stesso per essenza infinito. Letica di Fichte costituisce il presupposto pi immediato della sua nuova concezione della storia. Per Fichte infatti la storia il prodotto dello sforzo perenne della ragione di passare dallistinto cieco alla libert consapevole. Essa si configura pertanto come un cammino ascendente scandito in 5 epoche: dellistinto e dellinnocenza; dellautorit; della liberazione; della moralit; della santificazione. Le prime due epoche corrispondono al passato, le ultime due sono destinate a realizzarsi nel futuro, la terza rappresenta il presente. Let a lui contemporanea, in quanto segnata dallIlluminismo, infatti interpretata da Fichte come quella della ribellione contro

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lautorit sfociata nellindividualismo, cio nellillusione di una completa indipendenza dellindividuo dagli altri e dalla storia come cammino collettivo. Fichte legge per nel suo presente i prodromi della nuova epoca della moralit, nella quale gli individui riconosceranno la superiorit della legge morale raggiungendo la piena coesione sociale. Lultima epoca, culmine e conclusione del progresso storico, quella in cui lumanit raggiunger la santit, cio la capacit di agire moralmente in modo spontaneo e immediato. Essa per Fichte il regno di Dio, cio la compiuta realizzazione della storia intesa come manifestazione di Dio attraverso gli uomini.

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TAPPA 4

SCHELLING: LA FISICA SPECULATIVA


La regolarit di tutti i movimenti della natura, ad esempio la sublime geometria messa in atto dai corpi celesti, (...) o il fatto che nel regno animale, questo prodotto di cieche forze naturali, osserviamo il sorgere di atti che per regolarit sono paragonabili a quelli compiuti coscientemente (...); tutto ci va spiegato con lesistenza di una produttivit inconscia, ma originariamente affine a quella conscia, di cui noi scorgiamo nella natura il riflesso, e che dal punto di vista del modo di vedere naturale deve apparire come quellunico e identico cieco impulso che egualmente attivo, bench in gradi diversi, dalla cristallizzazione fino al culmine della formazione organica (...) Schelling, Primo abbozzo di un sistema della filosofia della natura, Introduzione Il punto di partenza della filosofia di Schelling la tesi dellautonomia della natura dallo spirito, ovvero dallattivit razionale delluomo. In questo senso, la rielaborazione in forma sistematica del criticismo kantiano - cui Schelling mira seguendo le orme di Fichte - non pu che passare dallarticolazione della ricerca filosofica in 2 direzioni distinte anche se complementari: 1. quella della filosofia della natura, finalizzata a isolare ed esaminare i principi autonomi del mondo naturale; 2. quella della filosofia trascendentale, finalizzata a individuare e analizzare i principi autonomi della ragione umana. Su queste basi Schelling considera la sua filosofia della natura una scienza, cio una fisica, dal momento che, ritenendo la natura un autonomo ambito di ricerca, egli fa proprio il presupposto di ogni scienza naturale: spiegare i fenomeni della natura sulla base di forze rigorosamente naturali. La filosofia della natura, per, non va confusa per Schelling con la fisica sperimentale, in quanto invece una fisica speculativa: infatti mentre la fisica sperimentale assume come postulati lesistenza della materia e lesistenza del movimento, la filosofia della natura si propone di risalire a monte della materia e del moto, per spiegarne lorigine. Ma per farlo deve inevitabilmente procedere oltre lesperienza utilizzando un procedimento puramente teorico. Il principio primo e unitario della natura per Schelling la volont intesa come un infinito impulso produttivo, cio come una pulsione a generare perennemente e in tutti i modi e le forme possibili. Tale produttivit infinita si attua attraverso unattivit intuitiva, e dunque razionale, che per non riesce ad autointuirsi pienamente, cio non riesce a prendere coscienza di se stessa, a diventare autocoscienza, caratterizzandosi pertanto come una intelligenza inconscia. Tuttavia, la volont tenta incessantemente di autointuirsi e proprio a causa di questo vano ma tenace e perenne tentativo si scinde in 2 forze: 1. una forza espansiva tendente allinfinito, che intuizione pura, immediata e inconscia, e pertanto indeterminata: come tale essa rappresenta la polarit oggettiva della natura; 2. una forza attrattiva limitante, che il ritorno dellintuizione su se stessa nel tentativo di autointuirsi e di determinarsi, raggiungendo cos la piena infinit: come tale essa costituisce la polarit soggettiva della natura. Poich lo sforzo di autointuizione non giunge a compimento - e in questo senso Shelling afferma che ogni ente naturale un tentativo fallito di conquistare lautocoscienza - nella natura prevale la polarit oggettiva. Di qui il carattere finito e insieme il residuo indeterminato degli enti naturali.

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Da queste due forze primarie Schelling deduce i tre principi fondamentali della fisica: spazio, tempo e materia. Lo spazio, inteso come punto che si espande in ogni direzione, manifestazione diretta dellespansione; il tempo, inteso come un punto che scorre in una sola direzione, manifestazione diretta dellattrazione. La materia, invece, il prodotto dellinterazione delle due forze, cio del loro reciproco bilanciamento. Spiegando la materia come prodotto dellinterazione di due forze, Schelling la declassa a realt secondaria, derivata, e insieme le attribuisce una natura fondamentalmente dinamica, cio la concepisce come una sorta di energia staticizzata, solidificata. In questo modo Schelling: da un lato, spiega la causa originaria del moto individuandola appunto nel carattere essenzialmente dinamico della materia in quanto manifestazione di unattivit intuitiva; dallaltro, pu interpretare la materia come una realt vivente, attiva, dotata di autorganizzazione, cio come qualcosa di diverso ma non di contrapposto allo spirito. In questa prospettiva, Schelling accoglie anche latomismo ma lo interpreta in senso qualitativo. Gli atomi infatti sono da lui concepiti come punti di arresto dellattivit intuitiva primaria, cio come azioni originarie qualitativamente connotate e differenziate. Come tali gli atomi sono il fondamento delle propriet qualitative (colori, sapori, forme, odori ecc.) delle cose. Una volta dedotti dalla volont i tre principi fondamentali della natura - spazio, tempo, e materia -, Schelling passa alla spiegazione delle forze e dei fenomeni particolari della natura che costituiscono loggetto delle varie scienze naturali. Sempre a partire dallinterazione tra espansione e attrazione, Schelling divide la natura in tre grandi domini: 1. il mondo inorganico, fondato sulla stabilit del rapporto tra espansione e attrazione, che si manifesta nella forza di gravit, puramente quantitativa e meccanica, la quale governa il moto degli astri e di tutti i corpi non viventi; 2. il mondo chimico, basato su un equilibrio parziale e intermittente tra espansione e attrazione, che si manifesta nella forza di affinit, quantitativa e qualitativa insieme, la quale sovraintende ai fenomeni magnetici, elettrico-luminosi e chimici; 3. il mondo organico, caratterizzato da un perenne squilibrio tra espansione e attrazione, che si manifesta nella forza vitale, essenzialmente qualitativa, la quale presiede alla sensibilit, cio alla capacit di recepire stimoli esterni, alla reattivit, la capacit di reagire agli stimoli con il movimento, e alla riproduttivit, cio la capacit di generare sempre nuovi individui. La natura vivente per Schelling il livello pi alto del mondo naturale, in quanto quello in cui lattivit intuitiva originaria si avvicina maggiormente allobiettivo di prendere coscienza di se stessa. Anzi, in questo senso, Schelling afferma che tutta la natura nel suo insieme organica, in quanto il mondo inorganico ha il compito di stimolare la vita e dunque funzionale ad essa. A conferma del carattere complessivamente vivente della natura, Schelling sostiene lomogeneit strutturale di mondo inorganico e mondo organico, avanzando come prova la corrispondenza biunivoca tra le tre forze particolari della natura inorganica - magnetismo, elettro-luminosit, chimismo - e le tre forze particolari della natura organica: sensibilit, reattivit, riproduzione. Se dunque la natura nel suo complesso un unico organismo vivente, allora secondo Schelling: essa non pu essere compresa solo e tanto in base alla legge meccanica di causa ed effetto ma anche ed essenzialmente in base alla legge razionale di fine e mezzo. In altre parole per Schelling le relazioni causali che regolano i fenomeni naturali sono manifestazioni superficiali di una legge finalistica profonda in virt della quale ogni ente naturale mezzo e contemporaneamente fine dellesistenza di tutti gli altri. 102

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Il finalismo che costituisce la natura - e che ha la sua origine nel suo incessante sforzo di conseguire lautocoscienza - si manifesta nei livelli di crescente perfezione con cui la natura produce i suoi ordini e le sue specie. La natura, cio, si struttura in una serie ascendente e gerarchica di forme, che si avvicinano sempre pi allautocoscienza, pur senza mai poterla raggiungere. In questo senso la natura rappresenta per Schelling la preistoria dello spirito.

VIAGGI DEL PASSATO E DEL FUTURO La concezione gerarchica e progressiva della natura di Schelling sembra implicare una teoria evoluzionistica del mondo naturale simile a quella che Darwin avrebbe successivamente elaborato e portato al successo. In realt, per, nella natura di Schelling non c evoluzione, se per evoluzione intendiamo, con Darwin, la nascita di una specie vivente da unaltra per trasformazioni successive in successione temporale. Infatti, per Schelling, in primo luogo non vi avvicendamento delle specie nel tempo e in secondo luogo non vi trasformazione di una specie nellaltra: le specie derivano da forme ideali eterne e distinte luna dallaltra anche se disposte in un ordine gerarchico ascendente. Ci non toglie che la filosofia della natura di Schelling sia stata fonte quanto meno di suggestioni favorevoli allaffermazione della teoria evoluzionistica.

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TAPPA 5 SCHELLING: LA FILOSOFIA DELLARTE Se lintuizione estetica non se non lintuizione intellettuale divenuta oggettiva, sintende da s che larte sia lunico vero ed eterno organo e documento insieme della filosofia, il quale sempre e continuamente di nuovo attesta quel che la filosofia non pu rappresentare esternamente, cio linconscio nellagire e nel produrre e la sua originaria identit con il conscio. Larte appunto perci per il filosofo quanto vi di pi alto, poich essa gli apre per cos dire il santuario, dove in eterna e originaria unione arde come una sola fiamma ci che nella natura e nella storia separato (...). Schelling, Sistema dellidealismo trascendentale Dopo aver mostrato con la filosofia della natura che nelloggetto presente il soggetto, Schelling passa a mostrare che nel soggetto presente loggetto. Il suo scopo arrivare a concludere che tutta la realt si fonda su unico principio originario, sintesi di oggettivit e soggettivit. In questa prospettiva, la filosofia della natura trova il suo complemento nella filosofia trascendentale, cio nellindagine scientifica della struttura a priori che costituisce il soggetto, ovvero lio in quanto attivit razionale autocosciente. Questa indagine, secondo Schelling, mette in luce come lio sia costituito da due attivit fondamentali: 1. unattivit reale inconscia che produce loggetto; 2. unattivit ideale conscia che intuisce loggetto e lo riconosce come un proprio prodotto. Lattivit reale tende allinfinito ma risulta finita in quanto determinata e quindi limitata dallattivit ideale. Questa dunque infinita, perch limitando lattivit reale sempre oltre ogni limite e non limitata da niente. In realt, per Schelling, attivit reale e attivit ideale sono larticolazione funzionale di ununica attivit intuente dellio. Lio infatti, in quanto capace di autocoscienza, a differenza della natura, riesce ad autointuirsi pienamente. Esso per non pu intuirsi come soggetto ma necessariamente solo come oggetto, scindendosi cos in unattivit reale (lio come oggetto intuito) e in unattivit ideale (lio come soggetto che intuisce). E evidente, quindi, che per Schelling loggetto , per cos dire, uno stato o modo dellio. Compito della conoscenza sar dunque quello di scoprire il soggetto nelloggetto, cio di ricondurre il mondo naturale alle leggi razionali dellio. Una volta riconosciuto loggetto come un proprio prodotto attraverso lattivit conoscitiva, lio per Schelling acquista piena capacit di autodeterminazione e diviene cos volont libera che si realizza nellattivit pratica. Lattivit pratica si svolge costitutivamente in una dimensione collettiva, implica cio la relazione di ogni uomo con tutti gli altri. Condizione di questa relazione , secondo Schelling, il diritto. Il diritto, infatti, un insieme razionale di norme che impone dei limiti alla libert individuale, per consentire a ognuno di esercitare la propria libert senza impedire o negare quella degli altri. Schelling pu cos rinvenire anche al fondamento della civilt umana uninterazione tra due forze opposte, appunto la libert individuale e la necessit del diritto. In questo senso, lo sviluppo civile si basa proprio sulla capacit umana di unificare sempre pi strettamente questi due principi. La storia pertanto per Schelling la realizzazione progressiva dellidentit di libert e necessit, ovvero di conscio e inconscio. Infatti nella storia ogni individuo agisce liberamente ma linsieme delle azioni individuali produce un risultato diverso dalle 104

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intenzioni degli individui e coincidente invece con un progetto razionale che il fondamento necessario del progresso storico. Lattivit conoscitiva e lattivit pratica delluomo, secondo Schelling, integrano soggetto e oggetto, libert e necessit in misura sempre maggiore ma senza mai poter arrivare alla loro completa unificazione. In altre parole esse tendono allinfinito o assoluto senza mai poterlo conquistare. Vi per, per Schelling, unaltra attivit umana capace di raggiungere una piena sintesi di soggetto e oggetto. Si tratta dellattivit estetica, cio dellattivit che produce le opere darte. Secondo Schelling, la produzione artistica si fonda sulla stessa polarit di principi su cui si basano la conoscenza e la storia. Lartista infatti: da un lato agisce intenzionalmente, liberamente e in piena coscienza; dallaltro spinto da un impulso involontario, da unispirazione inconscia, come se subisse linflusso di una forza cogente a lui sconosciuta. Diversamente dalla conoscenza e dalla storia, la contraddizione di soggettivit e oggettivit per risolta nellarte in una completa conciliazione. Pertanto larte raggiunge quellassoluto o infinito che alla conoscenza e alla storia sfugge. Infatti lopera darte: pur essendo nella sua singolarit qualcosa di limitato e finito, possiede uninfinit inesauribile di significati simbolici. In altre parole nellarte linfinito si manifesta e si rivela pienamente nel finito. Ma la bellezza per Schelling per essenza proprio la manifestazione dellinfinito nel finito. Dunque la bellezza il carattere fondamentale dellopera darte. Secondo Schelling i prodotti della natura e quelli dellarte hanno in comune lunit di soggetto e oggetto, ma si differenziano per due aspetti determinanti: 1. nella natura non vi vera differenziazione tra soggetto e oggetto, quindi la loro unit risulta indistinta; larte invece unifica i due principi dopo che si sono distinti tra loro; 2. la produzione naturale non nasce dalla coscienza, mentre lopera darte presuppone lacquisizione piena dellautocoscienza. Per questi motivi nella natura, secondo Schelling, non si d unautentica conciliazione di inconscio e conscio. Dunque nei prodotti della natura non si manifesta linfinito. Poich, come si visto, la bellezza manifestazione dellinfinito, ne consegue per Schelling che gli enti naturali non possono essere considerati belli in se stessi. Essi possono s possedere la bellezza ma in modo estrinseco e casuale, cio in quanto per caso possono essere simili a opere darte. Se dunque la bellezza non una propriet della natura, Schelling nega che il criterio dellarte debba essere limitazione della natura e sostiene al contrario che non la natura la norma della bellezza artistica, ma viceversa larte la norma della bellezza naturale. Su queste basi, Schelling giunge a sostenere che larte lorgano della filosofia, cio lo strumento che permette alla filosofia di raggiungere pienamente il suo fine ultimo: il coglimento dellinfinito. La filosofia, infatti, in quanto basata sulla intuizione intellettuale, non pu conseguire, afferma Schelling, una validit universale, perch in essa prevale laspetto soggettivo. Di conseguenza mentre la filosofia porta alla verit solo un frammento delluomo, larte vi porta luomo nella sua interezza, includendo cio tutta la sua oggettivit. In questa prospettiva, Schelling indica alla filosofia la strada di una contaminazione con la poesia, cio di un ritorno alla forma che era stata propria delle sue origini, la mitologia.

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ROTTA C LIDEALISMO ASSOLUTO Lidealismo assoluto di Hegel fu, insieme al positivismo e al marxismo, una delle filosofie egemoni del XIX secolo ed tuttora considerato uno dei vertici della storia del pensiero. La ragione della forza speculativa e del successo di Hegel sta nella sua capacit di far interagire una vasta e profonda cultura tradizionale, teologica, filosofica e letteraria, con lesperienza diretta dei due grandi eventi della sua epoca - la rivoluzione francese e la rivoluzione industriale inglese - e con lo studio degli innovativi sviluppi di pensiero ad essi connessi, lilluminismo francese e la filosofia politica ed economica inglese (Locke, Smith). Hegel, tuttavia, si form nella fase montante del romanticismo e partecip al movimento di reazione nazionale tedesca allimperialismo francese. Egli valorizz e utilizz le novit storico-culturali della sua epoca tenendo fermo il principio della tradizione, ovvero puntando a un rinnovamento della tradizione che ne riconfermasse il primato. In questo senso egli accett e fece sua la rivoluzione copernicana di Kant, cos come era stata interpretata e sviluppata da Fichte e soprattutto da Schelling, ma la interpret e la svilupp a sua volta come unattualizzazione della grande tradizione razionalistica platonica, aristotelica e neoplatonica filtrata soprattutto attraverso Spinoza e Leibniz. In questo modo, la filosofia hegeliana segn la frattura tra lidealismo e quella cultura romantica che ne era stata il terreno di coltura. A differenza dei romantici, Fichte e Schelling compresi, per Hegel non solo lAssoluto pu essere conquistato in modo definitivo ma soprattutto pu essere colto solo in modo mediato, razionale e teoretico. Hegel infatti concep lAssoluto come Spirito, cio come un Soggetto razionale autocosciente che, autocostruendosi, costruisce lintera realt. Lo Spirito sempre finito, e quindi in movimento per raggiungere linfinito, e sempre gi pienamente realizzato come infinito. La chiave per comprendere questa concezione volutamente contraddittoria dellAssoluto la dialettica, intesa da Hegel come la legge dello sviluppo dello Spirito ovvero come lordine razionale che connette in una trama unitaria ogni aspetto della realt. Infatti, la dialettica hegeliana la relazione logica e ontologica che attraverso la contraddizione tra due elementi opposti produce un elemento superiore, che sintesi dei primi due. Dunque lAssoluto tale proprio e solo perch sintesi di movimento e quiete, cammino e meta, tensione e compimento, sforzo e conquista. Hegel per non rinneg la lezione romantica in quanto non abbracci una visione gradualistica e quietistica della realizzazione dello Spirito ma anzi ne enfatizz aspramente il momento propriamente dialettico del conflitto, della rottura, della morte, come condizione sine qua non del compimento finale. In questa prospettiva la filosofia fu concepita da Hegel come scienza del processo di autorealizzazione dello Spirito. Ci significa che la filosofia ha il compito di individuare la totalit delle tappe dello sviluppo dello Spirito nel loro ordine dialettico, cio ricostruendo le relazioni di opposizione e di sintesi intercorrenti tra ognuna di esse e tutte le altre. La filosofia, allora, non pu che essere sistema enciclopedico, cio una sinossi dialettica di tutte le conoscenze umane. Ma poich lo sviluppo dialettico dello spirito fu inteso da Hegel come cambiamento nel tempo, il sistema enciclopedico hegeliano assunse una strutturazione fondamentalmente storica: in altre parole esso, e insieme tutto il sapere umano, la storia dello Spirito dalla sua origine al suo compimento assoluto. Il tratto peculiare dellidealismo di Hegel fu la storicit dellAssoluto. VITA DI UN CAPITANO GEORG HEGEL Georg Wilhelm Friedrich Hegel nacque nel 1770 a Stuttgart (Stoccarda), nella Germania sudoccidentale. Di famiglia agiata - suo padre era funzionario statale - dopo aver concluso il ginnasio, studi teologia alluniversit di Tubinga, dove divenne amico di Hlderlin e Schelling e 106

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si appassion alla lettura dei nuovi pensatori (Rousseau, Lessing, Kant, Jacobi, Fichte, Herder, Goethe) nonch agli eventi della rivoluzione francese, che acclam partecipando alla piantumazione simbolica di un albero della libert. Laureatosi, dal 1793 al 1800, Hegel fece il precettore dapprima a Berna, in Svizzera, poi a Francoforte, dove riallacci i rapporti con Hlderlin partecipando al suo circolo romantico. In questo periodo Hegel scrisse le sue prime opere, raccolte e pubblicate nel 1907 col titolo Scritti teologici giovanili. In Religione popolare e cristianesimo (1792-3) egli cerc di individuare le caratteristiche di una nuova religione basata al contempo sulla spontaneit interiore del singolo e sulla concretezza dei comportamenti pubblici di un popolo. In questa prospettiva, Hegel critic il cristianesimo in quanto religione insieme dogmatica e privata, e ravvis un modello alternativo nella religione civile della polis greca attraverso la quale gli individui si univano liberamente in una comunit organica. In Vita di Ges (1795) Hegel, rifacendosi a Kant, interpret il cristianesimo originario come una religione morale e razionale, mentre in Positivit della religione cristiana (1795-6) individu le cause della istituzionalizzazione dogmatica del cristianesimo nellesigenza di Cristo di farsi credere figlio di Dio per poter diffondere il suo messaggio razionale. Nel successivo Lo spirito del cristianesimo e il suo destino (1798-1800) Hegel rivalut il cristianesimo, sostenendo che, mentre la religione ebraica si fonda sulla scissione (uomo/Dio, ebrei/altri popoli) e quella greca sullunit inconsapevole e immediata, la religione cristiana grazie al principio dellamore fondata sulla ricerca consapevole e intenzionale dellunit tra tutti gli uomini. Infine in Frammento di sistema (1800) Hegel teorizza che solo la religione pu arrivare a cogliere la totalit infinita non come semplice unit degli opposti finiti ma come unit della loro unit e della loro non-unit, perch soltanto cos possibile salvare nellinfinito la determinatezza delle sue parti finite. Nel 1801 Hegel ottenne labilitazione allinsegnamento nelluniversit di Jena dove avevano insegnato Reinhold e Fichte e dove in quel momento insegnava il suo amico Schelling. Insieme a lui Hegel redasse Il giornale critico di filosofia facendosi sostenitore della filosofia schellinghiana nella polemica contro Kant, Jacobi e Fichte. Pubblic cos numerosi saggi, tra cui spicca Differenza tra i sistemi filosofici di Fichte e di Schelling. In questo scritto Hegel critica Fichte perch pone lunit di soggetto e oggetto solo nellIo puro, cio astrattamente, mentre al livello concreto dei molteplici Io limitati loggettivit risulta esterna al soggetto e a esso unificabile solo in un decorso infinito. Allidealismo soggettivistico di Fichte, Hegel contrappone lidealismo di Schelling basato sulleffettiva unificazione di soggetto e oggetto nellAssoluto inteso come loro identit compiutamente realizzata. Nello stesso periodo Hegel si occup anche di filosofia politica nei saggi I modi scientifici di trattare il diritto naturale e Costituzione della Germania. Nel primo Hegel critic il giusnaturalismo nella variante individualistica di Hobbes e Locke e in quella universalistica, ma per lui astratta, di Kant e Fichte, proponendo come alternativa leticit di un popolo in quanto universalit oggettivata in istituzioni sociali, giuridiche e politiche. Nel secondo saggio, Hegel elabor un modello di stato tedesco unitario basato sul rispetto delle diversit e delle libert locali ma accentrato a livello militare. Nel 1803, in seguito al trasferimento di Schelling, Hegel interruppe la sua collaborazione con lui e cominci a sviluppare il suo pensiero in una direzione sempre pi personale. Nel 1807, Hegel pubblic la sua prima grande opera, la Fenomenologia dello Spirito . Nella sua famosa Prefazione Hegel prese pubblicamente le distanze dal romanticismo e dallidealismo esteticointuizionistico, rompendo definitivamente con Schelling. Nella Fenomenologia Hegel espone la terza e ultima fase dello sviluppo dello Spirito, quella che dalla coscienza, cio dalluomo, arriva allAssoluto. Le tappe fondamentali del cammino della coscienza sono 6, e costituiscono 2 triadi dialettiche: Coscienza, Autocoscienza, Ragione; Spirito, Religione, Sapere assoluto. Hegel compone cos una storia ideale dellumanit come sua progressiva presa di coscienza di essere lAssoluto spirituale. Nel 1808, Hegel si trasfer come direttore del ginnasio cittadino a Norimberga dove spos una giovane di famiglia nobile dalla quale ebbe altri due figli. A Norimberga Hegel scrisse e pubblic 107

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la Scienza della logica (1812-6) come prima parte del suo sistema complessivo. Infatti, dopo la prova della Fenomenologia, Hegel cominci a dare attuazione al suo progetto di un sistema enciclopedico complessivo dello Spirito che includesse anche la logica pura e la natura e al contempo approfondisse e articolasse meglio lo stesso sviluppo della coscienza. Dal 1816 al 1818 Hegel insegn alluniversit di Heidelberg, dove pubblic la prima edizione dellEnciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817), esposizione sintetica di tutto il suo sistema a scopo didattico. In questopera Hegel rifuse il contenuto della Scienza della logica, elabor in modo organico la sua filosofia della natura, secondo momento dello sviluppo dello spirito, e infine espose una nuova versione della filosofia dello spirito. Egli realizz cos il suo sistema filosofico completo della realt, cio lesposizione dellintero cammino storico dello Spirito dallessere fino allAssoluto. Finalmente nel 1818 Hegel divent professore di filosofia alluniversit di Berlino dove insegner fino 1831. In questi anni Hegel scrisse una sola grande opera, i Lineamenti di filosofia del diritto (1821), in cui riprese, approfond e svilupp la sua filosofia dello Spirito oggettivo, rimanendo fedele allimpostazione dellEnciclopedia . Tuttavia, con la sua approvazione e in parte con la sua revisione, i suoi studenti trascrissero, raccolsero e pubblicarono i suoi corsi universitari con i titoli di Lezioni sulla filosofia della storia, Lezioni sulla storia della filosofia, Lezioni di estetica, Lezioni sulla filosofia della religione. Anche queste opere, pur rappresentando interessanti approfondimenti, non si discostano dallEnciclopedia. La vita e la produzione filosofica di Hegel furono stroncate dal colera nel 1831.

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TAPPA 1

HEGEL: LAUTOCOSTRUZIONE DIALETTICA DELLA REALTA


Ora lidea si mostra come il pensiero assolutamente identico con se stesso, e questo nel tempo stesso come lattivit di opporre s a se stesso, e in questa alterit di essere sempre presente solo a se stesso, acci di essere, in fine, per s. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, 18 Non quella vita che indietreggia di fronte alla morte e si mantiene pura dalla devastazione, bens quella che porta in s la morte e nella morte si conserva, la vita dello Spirito. Esso raggiunge la propria verit solo quando ritrova s nellassoluta lacerazione. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, Prefazione La tesi di base della filosofia hegeliana che la realt, in tutti i suoi molteplici aspetti, il prodotto dinamico del processo progressivo di differenziazione, potenziamento e perfezionamento di un principio razionale, unitario e universale: lo Spirito, il cui primo stadio lIdea. Ci significa che per Hegel pensiero e realt, ideale e reale, coincidono, ovvero che il mondo fisico (oggetto) la manifestazione oggettiva del mondo ideale (soggetto). Lo sviluppo dellIdea, ossia lautocostruzione dello Spirito, segue una legge interna, che per Hegel lessenza stessa della razionalit: la dialettica. Il termine dialettica designava originariamente la contraddizione, ovvero la negazione reciproca, di due elementi, p.e. giorno/notte. Data lidentit Idea/realt, in Hegel la dialettica possiede una valenza ontologica e designa il processo di autocostruzione dello Spirito in quanto il suo motore il conflitto tra elementi opposti che conduce al loro superamento in un nuovo elemento, sintesi dei due contraddittori. In questo senso la legge dialettica triadica, cio d luogo a una catena di triadi dialettiche. Ogni triade dialettica ha un suo contenuto, che corrisponde a un aspetto della realt, ma tutte le triadi hanno la medesima forma dialettica che Hegel cos illustra: 1. l in s, cio il momento iniziale della posizione immediata e astratta di qualcosa (p.e. linfanzia di un uomo), che ne rappresenta il lato soggettivo o interiore; 2. il per s o altro da s o fuori di s, cio il momento intermedio della negazione dellin s ovvero della posizione altrettanto immediata e astratta dellopposto dellin s (p.e. ladolescenza/giovinezza), che rappresenta il lato oggettivo o esteriore di qualcosa; 3. l in s e per s o il ritorno a s, cio il momento della sintesi finale o dellunificazione mediata e concreta dei primi due momenti (p.e. la maturit), che rappresenta la totalit in quanto insieme soggettiva e oggettiva, esteriore e interiore. Per capire fino in fondo il significato della dialettica va evidenziato che: i primi due momenti rappresentano aspetti unilaterali e quindi parziali di qualcosa, mentre il terzo ne costituisce lunit completa, cio la realt vera, in quanto per Hegel il vero lintero; in questo senso i primi due momenti corrispondono al concetto aristotelico di potenza, ovvero di incompiutezza che tende al perfezionamento, mentre il terzo a quello di atto, cio di compiutezza/perfezione (bench relativa);

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il terzo momento, cio la sintesi, consiste nel depurare i primi due dai rispettivi difetti unilaterali, nellisolare i pregi di entrambi - cio i loro nuclei veritativi - e nellintegrare cos ognuno dei due con laltro; i primi due momenti non sono dunque eliminati, annullati nel terzo, ma vi sono filtrati e conservati, ovvero, come dice Hegel, inverati; il terzo momento in questo senso rappresenta lequilibrio ovvero la giusta misura dei primi due; ogni triade dialettica paragonata da Hegel a un cerchio, sia in quanto rappresenta una realt in s compiuta sia in quanto la relazione che lega i suoi tre momenti ruota su se stessa, cio trascorre dal primo momento attraverso il secondo per tornare al primo: il terzo momento, infatti, non altro che la realizzazione compiuta del primo grazie al passaggio attraverso la negazione costituita dal secondo; anche se lordine di successione risulta talvolta invertito, di norma il primo momento rappresenta il polo soggettivo o ideale-razionale di qualcosa, il secondo momento il suo polo oggettivo o fisico-reale, il terzo lidentit compiuta di soggettivit e oggettivit, ideale e reale, intesa per come soggettivizzazione delloggettivit, cio basata sul primato relativo della soggettivit. Per comprendere meglio il significato dello sviluppo dialettico, utile prendere in considerazione un esempio di sua applicazione a un aspetto concreto della realt. Lesempio quello, gi accennato, delle et fondamentali delluomo: infanzia, giovinezza, maturit (o et adulta). 1. Linfanzia luomo in s, cio nella sua condizione immediata e astratta, perch pi lontana dalla pienezza delluomo adulto, caratterizzata dallessere s un individuo ma totalmente dipendente rispetto ai genitori e pi in generale alla societ; 2. la giovinezza luomo per s o altro da s, lopposto dellinfanzia, in quanto la giovinezza caratterizzata da una volont esasperata di indipendenza che si manifesta nel conflitto con i genitori e nel rifiuto della societ adulta; 3. la maturit luomo in s e per s o tornato a s, cio la sintesi di infanzia e giovinezza, in quanto caratterizzata dal raggiungimento della autentica libert individuale che consiste nel realizzare la propria indipendenza integrandosi pienamente nella vita sociale e politica. Le triadi dialettiche non sono separate luna dallaltra, ma ognuna connessa a tutte le altre, o direttamente o indirettamente, cio attraverso altre triadi. In questo senso si pu paragonare la dialettica a unimmensa rete con maglie triangolari. Tuttavia non tutte le triadi dialettiche hanno la stessa portata, nel senso che alcune sono pi ampie e generali, altre pi ristrette e particolari. Continuando a utilizzare la metafora della rete, potremmo dire che vi sono maglie pi grandi che contengono maglie pi piccole. Fuor di metafora, le triadi dialettiche costituiscono un ordine gerarchico: le triadi pi generali, diciamo di primo livello, si articolano in triadi pi particolari di secondo livello, e cos via fino alle triadi singolari, relative cio alle cose singole. In questo senso, tutte le triadi dialettiche, cio tutte le cose, muovono da ununica triade, la pi generale, la triade onnicompresiva, da cui si dipartono e in cui sono inscritte tutte le altre. Questa triade suprema, che circoscrive lintera rete dialettica ovvero che abbraccia lintero processo di autocostruzione dello Spirito, la seguente: 1. Lidea in s o Idea pura: la posizione immediata dellIdea come soggetto astratto, puramente razionale, puro pensiero e dunque libera attivit creatrice. Hegel paragona questo primo momento dello svolgimento dello Spirito al mondo delle idee di Platone, allUno di Plotino, al Dio come implicazione di tutte le cose di Cusano, infine

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al Dio come mente razionale eterna, prima della creazione del mondo e delluomo, della teologia cristiana. 2. Lidea altra da s o Natura: lalienazione dellIdea, la sua autonegazione, ovvero la sua trasformazione nel suo opposto, cio nella sostanza oggettiva, nella materia irrazionale, che costituisce il principio proprio del mondo fisico. In altre parole, per Hegel la materia, e quindi la dimensione fisica, lIdea che si camuffa talmente bene nel suo contrario da rendersi irriconoscibile persino a se stessa, cio appunto irrazionale, passiva, necessitata. Secondo Hegel questo secondo momento dello sviluppo dello Spirito il significato razionale del mito platonico della caduta dellanima nel corpo e del mito evangelico dellincarnazione e soprattutto della morte di Cristo, in quanto solo lesperienza della morte il suggello delleffettiva fisicizzazione, la prova provata dellautentica incarnazione. 3. Lidea in s e per s o Spirito - E il ritorno dellIdea in s stessa, sintesi di soggetto e oggetto, razionalit e fisicit. Corrisponde al genere umano, in quanto luomo corpo, cio oggettivit naturale, ma anche coscienza razionale, cio soggettivit ideale. Questo momento ricondotto da Hegel al mito platonico dellanamnesi, cio dellaccendersi nelluomo del ricordo del mondo delle idee, e al mito evangelico della resurrezione e della trasfigurazione di Cristo, ovvero della sua vittoria sulla morte e della sua ascesa in Cielo con tutto il corpo, ma un corpo divinizzato, compiutamente spiritualizzato, e dunque immortale. Hegel denomina propriamente Spirito solo questultimo stadio dello svolgimento dialettico dellIdea, portato e sintesi dei primi due, perch solo a questo terzo livello lo Spirito raggiunge la sua completezza, in quanto unione di razionalit e fisicit, soggettivit e oggettivit. Ma va tenuto ben presente che, da un lato, lo Spirito per Hegel anche lintero processo, comprensivo di tutti e tre gli stadi; dallaltro, che il suo terzo stadio a sua volta un lungo processo di sviluppo e perfezionamento, in quanto la raggiunta completezza dello Spirito non coincide con la sua compiutezza.

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TAPPA 2 HEGEL: LA LOGICA IN QUANTO SCIENZA DELLIDEA PURA La logica la scienza dellidea pura, cio dellidea nellelemento astratto del pensare. (...) Si pu ben dire che la logica sia la scienza del pensare, delle sue determinazioni e leggi, ma il pensare anzitutto la pura identit del sapere con se stesso, e perci costituisce soltanto luniversale determinatezza6 (...). Lidea certamente il pensare, ma non in quanto formale, bens come la totalit delle sue peculiari determinazioni che esso d a se stesso. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, 12 Secondo Hegel lo Spirito - principio unico e assoluto della realt - un processo di autorealizzazione che si sviluppa e si compie in uninfinita rete dialettica di momenti finiti. Poich la dialettica per Hegel il movimento di unificazione di due momenti opposti, essa ha una forma triadica. Sul piano della logica, cio dellidea pura, la triadicit dialettica assume una forma generale, che per Hegel equivale al metodo scientifico, cio alla procedura che ogni mente individuale deve adottare se vuole conoscere la realt, ovvero pensare in modo veritiero. La forma logica della dialettica secondo Hegel si articola nei seguenti passaggi: 1. limpostazione analitica o intellettuale astratta: il punto di partenza dellattivit conoscitiva la facolt analitica dellintelletto, che mette a fuoco la realt distinguendone e separandone parti e propriet. In questo modo per lintelletto rinuncia al punto di vista della totalit e non in grado di cogliere le relazioni dialettiche intercorrenti tra i singoli aspetti reali. Di conseguenza la sua visione della realt, priva com di un ordine unitario e organico, rimane astratta e non perviene alla verit. 2. Lo sviluppo dialettico o negativo-razionale: lintelletto deve essere integrato dalla ragione, la quale, in una prima fase, interviene sui contenuti della conoscenza intellettiva in modo puramente negativo, cio confutando lassolutezza e lautonomia di ognuno di essi. Per esempio contrapponendo al movimento la quiete, al mondo inorganico il mondo organico, al corpo la psiche ecc. Cos facendo la ragione rompe lisolamento dei contenuti intellettivi e comincia a porli in relazione tra loro. 3. La conclusione speculativa o positivo-razionale: la ragione dialettica si sviluppa naturalmente nella ragione speculativa, la quale assumendo il punto di vista della totalit in grado di unificare i contenuti intellettivi opposti operando la loro sintesi concettuale. Per esempio pensando il concetto di natura come sintesi di mondo organico e mondo inorganico di cui questi sono manifestazioni parziali dialetticamente connesse. Stabilita cos la forma dello svolgimento logico del pensiero, Hegel passa a considerarne i contenuti. Essi sono i concetti intesi come determinazioni interne del pensiero, come pensieri s puri ma al contempo concreti. Infatti i concetti sono per Hegel il fondamento di tutte le cose reali, in quanto ne costituiscono le matrici razionali. La loro universalit, dunque, possiede, bench in forma implicita o potenziale, tutta la ricchezza del mondo naturale e del mondo intellettuale e culturale delluomo. In questo senso, Hegel afferma che la logica scienza prima e filosofia speculativa, cio ontologia. Essa per non esaurisce la filosofia, in quanto considera lidea solamente in quanto assoluto puramente pensante e chiuso nella sua eternit. In tal senso, Hegel
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Il pensiero contiene le caratteristiche fondamentali della realt, ma in modo puramente universale, generale, privo cio delle differenziazioni specifiche della realt e della concretezza individuale.

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afferma che la logica corrisponde alla rappresentazione cristiana di Dio come egli nella sua eterna essenza prima della creazione della natura e di uno spirito finito. Lo sviluppo dialettico dellidea a livello di pensiero puro si articola per Hegel in 3 momenti: 1. essere : il piano pi immediato, cio pi astrattamente universale, nel quale lidea si produce come in s; 2. essenza: la dimensione dellautoapprofondimento dellidea la quale si fa per s, cio, per cos dire, si scava al proprio interno e si costruisce una profondit interiore; 3. concetto: il livello della sintesi di essere ed essenza, cio di esterno e interno, immediato e mediato, attraverso cui lidea si realizza compiutamente in s e per s. Il puro essere (coincidente col puro pensiero) , secondo Hegel, la prima e pi immediata manifestazione dellidea e al contempo dellAssoluto. Esso pertanto il principio dellintero svolgimento dialettico dello Spirito, paragonabile a Dio come implicazione di tutte le cose. Lessere infatti lidea pi universale e onnicomprensiva, ma pu esserlo solo grazie alla sua totale indeterminatezza, alla sua assoluta mancanza di definizione e di caratterizzazione, in una parola alla sua vacuit. Come tale, per, lidea di essere finisce per rovesciarsi in quella opposta di nulla, cio di non-essere. Infatti il nulla lidea della indeterminatezza assoluta. Dunque essere e nulla non si negano totalmente, non si elidono a vicenda ma possono unificarsi in quanto posseggono un denominatore comune. La loro unificazione produce lidea di divenire. Infatti, secondo Hegel, divenire significa avere inizio, ma nellinizio, appunto, ogni cosa da un lato non ancora, dallaltro sta per essere; dunque il divenire contiene in se stesso il non essere e lessere. Il divenire esprime la fluidit pura del pensiero. Tale fluidit deve per determinarsi in contenuti definiti. Il divenire trapassa cos nellesserci, cio nellessere un qualcosa, un contenuto circoscritto e dunque singolare del pensiero. Ci che determina lesserci lacquisizione di una qualit specifica. Ma tale specificazione qualitativa implica la negazione di tutte le altre da essa diverse e dunque implica un rapporto costitutivo dellesserci con lesser-altro. Lesserci sviluppa questa opposizione negando la propria negazione dellesser-altro e costituendosi cos come esser-per-s cio come esserci compiutamente individuale in quanto include nella sua identit il rapporto con tutte le altre identit degli altri esserci. Alla determinazione qualitativa dellesserci si contrappone quella quantitativa, ma qualit e quantit trovano la loro unificazione nella misura, intesa come quantit qualitativa. Riflettendosi in se stessa, lidea produce la sua dimensione interna e mediata, dando luogo alle categorie dellidentit, della differenza e della contraddizione. In questo modo lidea diventa essenza la quale, in quanto fondamento, si viene a contrapporre allessere immediato imponendogli la determinazione dellapparenza . Questo movimento di autodifferenziazione dellidea ne innesca un secondo, uguale ma in direzione contraria, in base al quale lessenza si esteriorizza nellesistenza , dando luogo al fenomeno come manifestazione individuale e veritiera dellessenza. La sintesi di essenza ed esistenza produce la realt in quanto esistenza che possiede dentro di s la ragione e la struttura della propria costituzione. Come sintesi di essenza ed esistenza la realt dunque relazione che si attua in 3 modalit: a) la sostanza , intesa come relazione tra unit e molteplicit degli accidenti del fenomeno; b) la causalit, intesa come azione unilaterale di una sostanza su di unaltra; c) lazione reciproca, intesa come interazione bilaterale tra due sostanze. La sintesi di essere ed essenza produce il concetto. Il concetto per Hegel lelemento primo e insieme il motore del pensiero come attivit pensante, cio come processo produttivo 113

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infinito, fluido e continuo. In quanto concetti, le categorie dellessere e dellessenza perdono la loro contrapposizione e si integrano in quella totalit processuale che il pensiero pensante. Lidea si costituisce come concetto scindendosi negli opposti della soggettivit e delloggettivit. La soggettivit il movimento con cui il concetto (p.e. uomo) costituisce il pensiero pensante, cio le forme mentali del pensiero come soggetto pensante. Tale movimento parte dal giudizio in cui il concetto si divide in un soggetto e in un predicato (p.e. luomo mortale) per poi riunificarsi a un livello superiore nel sillogismo (p.e. gli uomini sono mortali, i filosofi sono uomini, il filosofo Socrate mortale). Nel sillogismo infatti il giudizio presente nellopposizione dei termini estremi (mortali e filosofi) ed il concetto nel termine medio (uomini) che appunto li unifica nella conclusione. In altre parole il concetto soggettivo lidea operante nelle catene dei ragionamenti in cui consiste il pensiero a livello mentale. L oggettivit invece il movimento con cui il concetto costituisce il pensato, cio il contenuto reale del pensiero in quanto oggetto pensato. Questo movimento consiste nellesteriorizzazione e nellarticolazione del concetto nei concetti reali del meccanismo, del chimismo e dellorganismo. A questo punto, operando la sintesi di concettualit oggettiva e soggettiva, lidea raggiunge il livello della sua completa e finale costituzione. Lunit di concetto pensante e concetto pensato, cio della mente e della natura, costituisce immediatamente lidea come vita. Ogni essere vivente (animali, uomini, Stati, civilt, ecosistemi, ecc.) infatti consiste nella relazione con se stesso mediata dallalterit oggettiva del proprio corpo e del mondo esterno. Ma lidea deve ancora svilupparsi oltre limmediatezza della vita come libera soggettivit. In questo modo grazie alla conoscenza, con cui si eleva dallindividuale vitale alluniversale concettuale, raggiunge la coscienza di ci che veramente, producendo la rappresentazione, la fede e il sentimento. Con lultimo movimento, infine, lidea soggettiva si appropria del suo lato oggettivo sia introiettando il mondo esterno attraverso la conoscenza - e costituendosi cos come vero -; sia trasformando attivamente il mondo esterno - e producendosi cos come bene. Lidea pura raggiunge cos la sua assolutezza nella suprema sintesi di verit e bene.

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TAPPA 3 HEGEL: LA FILOSOFIA DELLA NATURA COME IDEA ALIENATA La natura si data come lIdea nella forma dellesser-altro. Poich in essa lIdea come il negativo di se stessa ovvero esterna a s, non soltanto la natura relativamente esteriore nei confronti di questa Idea, ma lesteriorit costituisce la determinazione nella quale essa in quanto natura. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, 192 Una volta sviluppata e conquistata compiutamente la sua purezza razionale, lIdea, secondo Hegel, deve negarsi trasformandosi nel suo opposto, cio nella natura. Questo rovesciamento dialettico presentato da Hegel come la spiegazione pienamente razionale di alcune fondamentali allegorie della tradizione filosofica e teologica: quella platonica della caduta dellanima immortale delluomo e della sua conseguente incarnazione in un corpo mortale; quella neoplatonica dellemanazione dellUno infinito in quanto fuoriuscita da se stesso ed ingresso nella dimensione del finito; quella ebraica della creazione divina del mondo fisico; quella cristiana dellincarnazione e della morte di Cristo, in quanto Dio fattosi uomo. Il significato razionale comune a queste figure classiche del pensiero per Hegel il movimento dialettico dello Spirito che per realizzarsi deve necessariamente negare la sua essenza originaria per accettare e vincere la sfida del suo opposto e giungere cos a riconquistarsi in modo effettivamente compiuto. LIdea in s, nella sua originaria purezza razionale, rappresenta per Hegel la polarit dialettica della interiorit (o soggettivit). Di conseguenza, la natura, in quanto Idea che si nega per farsi altro da s, non pu che rappresentare la polarit dialettica opposta, cio quella dellesteriorit (o oggettivit). Poich la natura per essenza esteriore essa non pu possedere lordine unitario proprio del concetto. Infatti, in quanto copia negativa dellIdea, la natura ha pur sempre il concetto come proprio fondamento, ma esso rimane chiuso e separato nella sua interiorit. Gli enti e i caratteri naturali, pertanto, sussistono uno accanto allaltro, per cos dire alla rinfusa, senza cio un profondo e organico rapporto. A causa di tale disorganicit nella natura universalit e particolarit sono divise e contrapposte. Di conseguenza i fenomeni naturali per Hegel sono un misto: di ferrea necessit, in quanto per i loro caratteri generali sono rigidamente soggetti alle leggi universali della natura; e di arbitraria casualit, in quanto invece i loro caratteri particolari non dipendono da alcuna regolarit razionale. A partire da questa concezione del mondo naturale, Hegel svolge una serrata critica della divinizzazione della natura sostenuta dagli artisti e dai filosofi romantici. La natura infatti divina, a parere di Hegel, solo in quanto deriva dallIdea. In se stessa, per, nel suo modo proprio e specifico di manifestazione alienata dellIdea, essa non ha alcunch di divino. Infatti, la determinazione essenziale della natura - cio la materia - per definizione nonessere, mera negativit, cio irrazionalit. Lessere della natura, pertanto, non corrisponde per Hegel al suo concetto, cio al suo fondamento razionale. Tuttavia Hegel ammette che la natura, in quanto pur sempre prodotto dellIdea, possa essere considerata legittimamente una mirabile manifestazione di Dio. Ma anche in questo caso i singoli enti naturali - il sole, la luna, gli animali, le piante - non solo non sono da 115

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porre, come espressioni della sapienza divina, su un piano superiore a quello delle opere umane, ma nemmeno possono essere ritenuti ad esse equivalenti. Secondo Hegel infatti anche la pi bassa e capricciosa manifestazione dello spirito umano e perfino unazione malvagia delluomo sono superiori al pi alto dei fenomeni naturali. Luomo infatti ha coscienza della propria individualit e agisce comunque in modo eticamente libero. Tutti gli enti naturali, invece, anche i pi elevati, cio gli esseri viventi, non possiedono la coscienza della propria individualit e non fanno altro che eseguire passivamente quanto loro imposto dalle leggi generali della natura. Nonostante ci, secondo Hegel, la natura possiede un certo grado di ordine. Essa, infatti, in quanto negazione dellIdea non pu possedere il suo compiuto ordine razionale; per in quanto pur sempre derivata dallIdea la natura conserva nel suo fondo un ordine razionale. In altre parole, lIdea struttura la natura per cos dire dallesterno e pertanto le conferisce un grado solo parziale di razionalit. In virt dellordine ideale che la innerva, la natura per Hegel un tutto vivente, cio considerata come totalit un unico, grande organismo biologico. Ci significa che nella natura presente un finalismo, ovvero un processo dialettico di miglioramento. Tale processo ha come punto di partenza limmediatezza esteriore, che corrisponde alla morte, e che pertanto deve avere come punto di arrivo appunto la vita. Ma il vero fine ultimo della natura portare la vita al suo grado pi elevato, cio allo spirito, ovvero dare origine alla specie umana. Lordine dialettico e finalistico della natura si manifesta secondo Hegel nel sua organizzazione per gradi ascendenti che parte dal mondo meccanico per arrivare al mondo animale. Ogni grado della natura consegue dal suo antecedente e lo presuppone, in quanto ne la condizione desistenza. Per esempio i fenomeni chimici sono un mezzo indispensabile alla sussistenza di un organismo vivente. Daltra parte, per Hegel, questo non significa che nella natura vi sia unevoluzione interna, cio una metamorfosi spontanea e autonoma di un grado in quello successivo. Per esempio, la vita per Hegel non nasce da una combinazione spontanea di fenomeni fisici e chimici. In altre parole, i gradi della natura sono s disposti in ordine ascendente e consequenziale, ma rimangono compartimenti stagni, privi di relazioni dirette e interne. Il loro ordine consequenziale e gerarchico infatti deriva dallesterno, cio dalla strutturazione dellIdea. E cio lIdea che produce il sistema di gradi, allinterno dellIdea che ogni grado genera internamente laltro. La natura invece si limita a ricevere e a riprodurre passivamente ci che lIdea produce nel suo movimento concettuale. Su queste basi Hegel costruisce il suo sistema dialettico della natura, basato su 3 momenti fondamentali: 1. il mondo meccanico, comprendente i principi fondamentali dello spazio e del tempo, della materia e del movimento, dellattrazione e della repulsione, della gravitazione; 2. il mondo fisico, comprendente la luce, il calore, il peso specifico, la coesione, il suono, il magnetismo, lelettricit, gli elementi e le reazioni chimiche; 3. il mondo organico, comprendente la natura geologica, la natura vegetale e la natura animale. Il parametro dello sviluppo dialettico da un grado della natura a quello superiore costituito per Hegel dallindividualit. Il mondo meccanico, puramente quantitativo, caratterizzato dalla totale generalizzazione astratta, corrispondente al massimo livello di esteriorit. Nel mondo fisico lindividualit comincia a emergere per poi affermarsi compiutamente nel mondo organico nellindividualit soggettiva, cio nellorganismo vivente in quanto caratterizzato dal pi alto grado di unit interna. 116

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ROTTE FILOSOFICHE E ROTTE SCIENTIFICHE GRAVITA E FORZA GRAVITAZIONALE Hegel considera la gravit come una propriet intrinseca della materia. La materia, infatti, in quanto rappresenta per eccellenza lesteriorit della natura, la sua pura negativit, costituita dalla repulsione di ognuna delle sue parti nei confronti delle altre che ne spiega la suddivisione in singoli corpi. Daltra parte le singole parti della materia sono pur sempre la stessa cosa ed esprimono la loro unit di fondo nellattrazione. La gravit appunto per Hegel lequilibrio tra repulsione e attrazione intese come forze costitutive della materia. In questa prospettiva Hegel critica Newton e apprezza invece Keplero. Infatti per Hegel la terza legge di Keplero (i quadrati dei tempi di rivoluzione dei pianeti stanno tra loro come i cubi delle rispettive distanze dal Sole) da una parte contiene implicitamente la legge di gravit di Newton e dallaltra esprime in forma semplice e puramente razionale il concetto di gravit. Al contrario la formula newtoniana (due corpi si attraggono in modo direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza) per Hegel tradisce il concetto puro della gravit considerandola come una forza attrattiva autonoma indipendente dalla materia e oltretutto di origine ignota e inspiegabile. Allinizio del 900, nella sua teoria della relativit, Einstein concepisce la gravit come una propriet geometrica dello spazio, cio la sua incurvatura correlata alla presenza in esso di massa/materia. Anche per Einstein, per, la forza gravitazionale era unicamente attrattiva. Alla fine del 900, i fisici hanno invece scoperto lesistenza di una gravit repulsiva.

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TAPPA 4 HEGEL: LEMERGERE DELLO SPIRITO COME COSCIENZA Il vero lintero. Ma lintero soltanto lessenza che si compie mediante il suo sviluppo. Bisogna dire dellAssoluto che esso essenzialmente risultato, che esso soltanto alla fine ci che in verit; e proprio in questo consiste la sua natura, che di essere realmente effettivo, soggetto o divenir-se-stesso. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, Prefazione Sulla base della concretezza del suo contenuto, la certezza sensibile appare immediatamente come la conoscenza pi ricca (...). Inoltre, essa appare come la conoscenza pi vera, in quanto non ha ancora trascurato nulla delloggetto, ma lo ha piuttosto davanti a s in tutta la sua integrit e completezza. Di fatto, per, tale certezza si rivela proprio come la verit pi astratta e pi povera. Il suo sapere si riduce soltanto allenunciazione: esso , e la sua verit contiene unicamente lessere della Cosa. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, I Secondo Hegel, lIdea, dopo essersi negata e resa altra da s nella natura, torna a se stessa. Questo ritorno alla sua identit originaria non una mera restaurazione della sua condizione precedente, bens la sua rinascita in una forma superiore, in quanto lIdea, affrontando e vincendo la sfida della materia, si arricchita e potenziata. In questo senso, essa ora rinasce come Spirito, sintesi di razionalit e fisicit, ovvero fisicit permeata di razionalit e quindi compiutamente ordinata. Ma in cosa consiste lo Spirito, concretamente? La risposta di Hegel semplice e chiara: nella specie umana, nelluomo in quanto animale razionale, cio in quanto essere fisico che pu per controllare e guidare il suo corpo con la sua ragione. Ma lo Spirito non gi belle fatto; come e ancor pi dellIdea e della Natura, lo Spirito, cio lumanit, un farsi, ovvero un processo dialettico di autocostruzione, di sviluppo e perfezionamento. E naturalmente anche la dialettica dello Spirito si snoda intorno a una triade fondamentale: 1. Spirito soggettivo: lo sviluppo della dimensione individuale dello Spirito; 2. Spirito oggettivo: lo sviluppo della dimensione sociale, istituzionale, e quindi storica, dello Spirito; 3. Spirito assoluto: lo sviluppo della totalit dello Spirito, ovvero la fusione della sua dimensione individuale e della sua dimensione collettiva, che si realizza nellintera conoscenza umana. Il primo livello dello Spirito dunque lo Spirito soggettivo. Esso si svolge dialetticamente in base alla seguente triade: 1. Antropologia: la costituzione naturale specifica delluomo, ovvero la peculiare animalit dellessere umano, il suo lato oggettivo-materiale, che per, in quanto correlato al lato soggettivo-razionale, assume una fisionomia diversa da quella degli altri animali. Questa costituzione fisiologica delluomo legata alle tre fasi fondamentali della crescita naturale degli esseri umani: infanzia, giovinezza e maturit (!Tappa 1). 2. Fenomenologia: lo sviluppo dialettico del lato soggettivo-razionale dellindividuo umano, quello che ne costituisce la differenza e la superiorit rispetto agli animali.

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3. Psicologia: la sintesi dei due lati precedenti, basata sulla correlazione tra teoria e prassi, cio conoscenza e azione, che genera compiutamente lindividuo umano in quanto essere libero, cio capace di autodeterminarsi razionalmente. La fenomenologia la parte pi significativa dello sviluppo dello Spirito soggettivo, forse addirittura quella di maggior pregio dellintera filosofia di Hegel. Essa incardinata sulla seguente triade dialettica: 1. coscienza: il primo livello della razionalit umana, in quanto essere uomo significa innanzitutto, e come requisito minimo, essere cosciente; 2. autocoscienza: la consapevolezza delle capacit conoscitive della coscienza che si sviluppa nel dominio pratico della natura; 3. ragione: la consapevolezza della coscienza di essere il fondamento della realt umana e della realt naturale. La prima e pi immediata manifestazione della coscienza chiamata da Hegel certezza sensibile. Con questa espressione Hegel vuole indicare la convinzione della coscienza di conoscere completamente gli oggetti grazie allesperienza sensibile, cio grazie alla capacit di riprodurre dentro di s gli oggetti esterni cos come sono. Apparentemente, la certezza sensibile il massimo grado di conoscenza e pertanto la coscienza crede di valere molto. Ma in questo modo, afferma Hegel, la coscienza implicitamente si riduce a un semplice specchio passivo della realt empirica, ovvero a un vuoto che, proprio in quanto tale, viene riempito dagli oggetti esterni. Dunque, in realt, in questa fase per cos dire neonatale, la coscienza possiede un basso grado di consapevolezza di s e di autostima. La coscienza, per, secondo Hegel, a mano a mano che fa esperienza della realt si rende gradualmente conto che impossibile conoscere un oggetto meramente sensibile. P.e., impossibile conoscere, e quindi non solo dire ma perfino pensare, una sensazione di liscio piuttosto che di ruvido. Infatti, una sensazione qualcosa di assolutamente individuale, diversa da ogni altra, mentre, quando penso o dico liscio oppure ruvido, io penso e dico un concetto, cio una rappresentazione mentale universale. Nel tentativo di evitare luso di un concetto, continua Hegel, potrei pensare e dire questo qui ed ora, riferendomi a una sensazione avuta in un certo luogo in un dato istante. Ma anche in tal caso, in realt, non si pensa e non si dice qualcosa di individuale ma pur sempre dei concetti universali, anzi ancora pi universali di liscio o ruvido, perch pi generali. Infatti, questo sta per qualsiasi oggetto di una sensazione, qui pu essere usato per indicare qualsiasi luogo, ora per riferirsi a qualsiasi istante. In base a questa autoriflessione, la coscienza comprende che gli oggetti della certezza sensibile sono sempre dei concetti, cio sue rappresentazioni, ovvero scopre di dare un contributo fondamentale alla costituzione, per cos dire al disegno, delloggetto sensibile. In tal modo la coscienza giunge alla consapevolezza di essere molto di pi di uno specchio, ossia di un vuoto, incrementando il proprio grado di autostima. Hegel suggella la sua dialettica della certezza sensibile con unesplicita confutazione dellempirismo. Secondo Hegel, gli empiristi affermano, attraverso il linguaggio scritto o parlato, che noi facciamo esperienza diretta di oggetti sensibili esterni e indipendenti dalla nostra coscienza. Ma proprio nel momento in cui scrivono o dicono questa loro tesi, e largomentano, facendo uso del linguaggio, negano ci che credono di affermare. Infatti tutti i termini che usano sono degli universali. Quando dicono una cosa singolare o questa cosa gli empiristi in realt pronunciano sempre un universale, in quanto ogni cosa una cosa singolare, e questa cosa pu essere qualunque cosa. Se poi gli empiristi, per sfuggire a questa generalizzazione, ricorrono a termini pi specifici come questo pezzo di carta, questa penna, in realt non fanno che evidenziare ulteriormente che parlano solo 119

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e sempre di universali. Insomma, conclude Hegel, la posizione degli empiristi indicibile, inesprimibile: il linguaggio stesso che ne attesta linfondatezza in modo immediato e incontrovertibile. Infatti, il linguaggio composto di universali e noi non possiamo dire n scrivere, ma nemmeno pensare, al di fuori del linguaggio. Nel momento in cui la coscienza comprende i limiti della certezza sensibile, essa trapassa dialetticamente nella percezione. Per percezione Hegel intende lattivit della coscienza in base alla quale essa conosce non solo oggetti-propriet (liscio, verde, alto, quadrupede), ma anche oggetti-cose (un tavolo, una gatto, una mela). Tale attivit percettiva consiste nellassemblare alcune sensazioni (per esempio, tondo, rosso, liscio nel caso di una mela) scartandone altre, che vengono invece agglomerate in altri oggetti-cose. Per fare ci, la percezione si basa su modelli universali degli oggetti-cose cio p.e. i concetti di sostanze, come tavolo, gatto, mela - cio su costruzioni della coscienza. Dunque, mentre inizialmente, come certezza sensibile, la coscienza si credeva fondata sulloggetto, ora, come percezione, crede di fondarsi unicamente su se stessa, cio sul soggetto. Lunilateralit oggettiva della certezza sensibile e lunilateralit soggettiva della percezione sono superate nell intelletto, che, mediandole e unificandole, rappresenta un nuovo, superiore livello di consapevolezza e autostima della coscienza. Per intelletto Hegel intende la facolt che spiega gli oggetti-cose e le loro propriet in base a forze naturali, ovvero li unifica riconducendoli a leggi causali universali della natura. In questo modo la coscienza, da un lato, riconosce lalterit oggettiva della natura in s, dallaltro comprende che la conoscenza della natura, cio la scienza, una propria autonoma costruzione e che le leggi della natura, in quanto leggi scientifiche, sono le sue leggi.

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TAPPA 5 HEGEL: LA DIALETTICA DELLAUTOCOSCIENZA Lautocoscienza ottiene il proprio appagamento solo in unaltra autocoscienza. [....] Adesso si tratta di unautocoscienza per unautocoscienza. Solo cos lautocoscienza tale effettivamente; solo cos, infatti, per lautocoscienza diviene lunit di se stessa nel suo essere-altro. Io, che loggetto del concetto dellautocoscienza, non di fatto un oggetto. Loggetto del desiderio, al contrario, soltanto autonomo: esso infatti lindistruttibile sostanza universale, la fluida essenza uguale a se stessa. Quando invece loggetto costituito da unautocoscienza, esso allora tanto Io quanto oggetto. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, IV, 3

Lautocoscienza per Hegel la coscienza di che cos la coscienza, cio la coscienza che ha acquisito la consapevolezza di non essere un vuoto specchio delle cose naturali, bens lattivit costitutiva della conoscenza della natura, ovvero un essere autonomo e di ordine superiore. Questa consapevolezza di superiorit si manifesta, a livello immediato, nel desiderio di vincere lopposizione della natura, cio di impadronirsi e servirsi degli oggetti naturali. Pi precisamente, la coscienza cerca di affermare la propria superiorit sulloggettivit naturale consumando, cio annientando, le cose naturali per soddisfare, e quindi annullare, i propri bisogni fisiologici, cio pur sempre impulsi naturali, determinazioni imposte alluomo dalle leggi della natura. P.e., luomo desidera una mela, la strappa dallalbero, la mangia, placando la propria fame. Ma in questo rapporto negativo con loggettivit naturale lautocoscienza desiderante non pu trovare una soddisfazione definitiva in quanto: da un lato gli oggetti naturali oppongono una resistenza mai del tutto eliminabile al loro uso e consumo; dallaltro lato, il desiderio, dopo essere stato appagato, risorge sempre. A causa dellalterit insopprimibile degli oggetti naturali, lautocoscienza non pu appropriarseli completamente e quindi non pu oggettivarsi in essi. Per questo non pu acquisire una sicurezza piena e salda in se stessa. Ma in tal modo lautocoscienza non pu essere veramente tale. In parole pi semplici, il senso di superiorit delluomo sulla natura, derivato dalle sue capacit razionali, viene meno nel momento in cui luomo non risce a tradurre in pratica la sua superiorit conoscitiva. Com allora possibile lautocoscienza? Ovvero, in che altro modo lautocoscienza pu soddisfare il suo desiderio fondamentale di oggettivazione? Hegel risponde che, in questa fase del suo sviluppo dialettico, lunico altro ente in cui lautocoscienza pu oggettivizzarsi, e dunque confermare la sua superiorit, unaltra autocoscienza individuale. Infatti, una seconda autocoscienza, ovvero un altro uomo, da un lato un oggetto per la prima autocoscienza - in quanto esterna e indipendente da essa - ma dallaltro - a differenza delloggetto naturale -, anche un soggetto razionale come lei e come tale pu rispecchiarla in se stessa, cio pu mentalmente riconoscerla come autocoscienza. Dunque lautocoscienza individuale, per Hegel, implica necessariamente lesistenza di una molteplicit di autocoscienze. E in questo senso il desiderio di ogni autocoscienza pu trovare vero e completo appagamento solo nellottenere che la propria superiorit sia rispecchiata e riconosciuta da parte di unaltra autocoscienza.

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Lautocoscienza pu conseguire questo obiettivo solo attraverso lagire. In altre parole, il riconoscimento di unautocoscienza da parte di unaltra non un fatto contemplativo ma pratico. Ma qual lazione con la quale unautocoscienza pu dimostrare allaltra di essere-per-s, cio di costituire una soggettivit indipendente e quindi libera? Dovr trattarsi di unazione che renda evidente al massimo grado la differenza e lindipendenza dellautocoscienza dal suo opposto, cio dalloggettivit naturale. Tale azione non pu essere che la negazione assoluta della dimensione naturale, cio il morire. Dunque unautocoscienza deve dimostrare allaltra di essere disposta a morire. Ci avviene perch ogni autocoscienza, spinta dal desiderio del riconoscimento, cerca di costringere unaltra a riconoscerla come tale. Ne consegue una lotta per il riconoscimento unilaterale di ognuna da parte di unaltra in cui entrambe cercano di uccidere laltra ed entrambe perci devono affrontare il rischio di essere uccise dallaltra, cio di morire. Nella lotta per la vita e per la morte che si ingaggia cos tra le autocoscienze: alcune autocoscienze si arrendono per evitare di morire e sono sconfitte, non riuscendo perci a farsi riconoscere e quindi a oggettivarsi; altre invece accettano fino in fondo il rischio della morte e vincono, riuscendo cos a ottenere il riconoscimento e a oggettivarsi. Di conseguenza la coscienza si scinde in due: una coscienza indipendente e superiore, in quanto ha dimostrato di non essere legata alloggettivit fisica e ha raggiunto cos la piena consapevolezza del suo essere per s, cio di essere un soggetto razionale; una coscienza dipendente e inferiore, in quanto ha dimostrato di essere legata alloggettivit fisica e pertanto non ha acquisito la consapevolezza di essere per s. A questa scissione della coscienza corrisponde la divisione nelle due classi dei signori e dei servi. Hegel allude alla situazione storico-sociale tipica delle civilt antiche e medievali, basate sulla polarizzazione sociale in aristocrazia fondiaria e contadini servi. Il rapporto del signore con loggettivit naturale mediato dal servo: questo, infatti, avendo rinunciato alla sua autonomia dallente naturale, non pu pi consumarlo ma pu solo trasformarlo attraverso il lavoro per renderlo disponibile al consumo del signore. Lautocoscienza signorile cos supera il limite opposto dalla natura al desiderio dellautocoscienza semplice, non ancora oggettivata e piena, e riesce a soddisfare completamente i suoi bisogni fisici, a liberarsi dal condizionamento delloggettivit naturale e a vivere nel pieno godimento. Ma, a sua volta, il servo trova proprio nel lavoro lo strumento per raggiungere il riconoscimento della propria autocoscienza. Il lavoro infatti: implica la rinuncia al consumo immediato delloggetto naturale, cio la capacit di controllare i desideri e di rimandarne il soddisfacimento, pertanto costituisce unesperienza formativa di autonomia dalloggettivit naturale; consiste nel trasformare loggetto naturale, cio nellimprimergli la forma soggettiva della propria autocoscienza: in questo modo loggettivit naturale perde la sua alterit negativa e diventa uno specchio oggettivo dellautocoscienza servile. In altri termini, il servo si libera progressivamente dal condizionamento della materialit naturale e insieme si riconosce e si oggettiva nel prodotto del proprio lavoro, raggiungendo lautonomia del suo pieno essere per s e rovesciando il suo rapporto di sudditanza nei confronti del signore. La liberazione del servo rinvia al processo storico di formazione e sviluppo della borghesia fino alla conquista del primato economico-sociale e del potere politico.

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TAPPA 6 HEGEL 4: LA COSCIENZA INFELICE La coscienza infelice (...) duplicata perch in s gi coscienza unica e indivisa. Essa latto di unautocoscienza che guarda dentro unaltra, ed essa stessa, in s, luna e laltra autocoscienza: lessenza , ai suoi occhi, lunit di entrambe; solo che, per s, la coscienza infelice non si coglie ancora come questa essenza stessa, non ancora lunit delle due autocoscienze (...) ma le vede piuttosto come opposte, e precisamente le vede: una, quella semplice e immutabile, come lessenza, mentre laltra, molteplice e mutevole, come linessenziale.
Hegel, Fenomenologia dello Spirito, I

Secondo Hegel, la coscienza infelice la rappresentazione interiore della scissione esteriore in signori e servi da parte di ogni autocoscienza, ovvero il modo in cui la divisione oggettiva, storico-sociale, delle autocoscienze si riflette nel loro pensiero ed concepita soggettivamente. In questo senso, la coscienza infelice caratterizzata da una sorta di doppia personalit, ovvero dalla scissione ideale della coscienza in due parte separate e opposte, che tuttavia convivono in essa: a) una coscienza infinita pienamente unitaria e quindi stabile, concepita come essenziale e superiore, che rimanda al Dio della tradizione teologica monoteistica; b) una coscienza finita, differenziata in singole personalit mutevoli e temporanee, considerata inessenziale e perci inferiore, che corrisponde agli uomini in quanto creature di Dio. In questo sdoppiamento interno, la coscienza assume il punto di vista della coscienza finita, ovvero si identifica con questultima. La coscienza, in tal modo, si relazione alla sua parte infinita come a unAlterit in confronto alla perfezione e potenza illimitate della quale essa non pu che sentirsi qualcosa di misero e insignificante. Ci spiega la sua infelicit. Tuttavia, secondo Hegel, nonostante la sua sofferenza, anzi propria grazie ad essa, lautocoscienza comincia ad assumere la consapevolezza della propria essenza infinita, ovvero a conquistarla. In tal senso, la coscienza infelice anche, fin dal suo sorgere, il processo dialettico di superamento della sua autoscissione e di raggiungimento dellunificazione tra coscienza infinita e coscienza finita. La prima esperienza che la coscienza infelice compie nel suo cammino verso la riunificazione quella della singolarit, ovvero della personalit unica e irripetibile. Lemergere della singolarit avviene in modo specularmente dialettico sia nella coscienza infinita sia in quella finita sulla base di 3 momenti: 1. la coscienza mutevole e finita concepisce la propria singolarit in contrapposizione alla coscienza immutabile e infinita, che le appare come unessenza universale estranea, lontana, trascendente, che si rapporta a lei solo in quanto negazione della sua esistenza individuale; 2. la coscienza infinita si manifesta essa stessa come singolarit facendo cos assurgere la singolarit a modalit universale e privilegiata dellesistenza; 3. la coscienza finita si riconcilia con quella infinita riconoscendosi come singolarit che parte integrante delluniversalit. Il primo momento di questo movimento dialettico rimanda alla concezione teologica del monoteismo ebraico, il secondo al cristianesimo medievale, il terzo al cristianesimo moderno. In particolare la manifestazione singolare della coscienza infinita rinvia

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chiaramente alla figura di Cristo, in quanto figlio di Dio. In questo senso Cristo - cio Dio incarnato in un singolo uomo - rappresenta per Hegel un avvicinamento tra la coscienza infinita e la coscienza finita. Daltra parte, per, proprio in quanto individualit corporea, Cristo rappresenta la conferma e il consolidamento della separazione tra Dio e luomo. Egli inoltre, appartenendo a unepoca e a un luogo unici e irripetibili, ha fin da subito riproposto la lontananza tra Dio e lumanit. Ma proprio grazie a questa lontananza, secondo Hegel, la coscienza finita pu considerare la singolarit concreta di Cristo-Dio come lobiettivo cui tendere per avviare e sviluppare il suo processo di riunificazione con la coscienza infinita. Questo processo si svolge a livello soggettivo/ideale attraverso la devozione religiosa basata sullimitazione di Cristo e a livello oggettivo/materiale attraverso il lavoro consacrato, cio concepito e attuato come compito assegnato alluomo da Dio. In base a questa autoformazione ideale e materiale, la coscienza perviene alla sua completa autocomprensione. Essa infatti si nega come coscienza singolare per identificarsi con la coscienza universale. Inizialmente questa identificazione avviene in modo meramente oggettivo, cio come annullamento della singolarit a favore delluniversalit, rappresentata dalla chiesa come istituzione, che allude alla chiesa cattolica. In un secondo momento per essa si attua anche soggettivamente, cio come riconoscimento consapevole da parte della coscienza singola finita della sua identit con la coscienza universale infinita, rappresentata dalla chiesa come assemblea dei credenti, che allude alla chiesa riformata. In questo modo la coscienza infelice supera la sua scissione e consegue la certezza di poter essere, in quanto singolarit, la totalit della realt. In altre parole, la coscienza giunge alla consapevolezza che sia il mondo fisico che lumanit sono il prodotto di una coscienza universale e infinita di cui ogni coscienza singola e finita parte integrante e a cui ogni coscienza individuale pu estendersi fino a coincidere con essa.

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TAPPA 7 HEGEL: LA RAGIONE ATTIVA Inizialmente, questa ragione attiva consapevole di se stessa soltanto come di un individuo, e in quanto individuo deve esigere e produrre la propria realt nellaltro. In un secondo tempo, per, elevando la propria coscienza a universalit, questo individuo diviene ragione universale (...). Ora, la meta di questo processo il concetto che gi sorto dinanzi a n o i, cio lautocoscienza riconosciuta, la quale ha la certezza di se stessa nellaltra autocoscienza libera e vi trova quindi la propria verit. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, V.B Al culmine del movimento della Coscienza infelice, la coscienza ha raggiunto, secondo Hegel, la consapevolezza di essere, in quanto singolarit, tutta la realt. In questo modo essa diventa Ragione, la quale appunto per Hegel consapevolezza dellunit di pensiero ed essere, soggetto e oggetto, mente e mondo fisico. La dialettica della Ragione la concreta attuazione di questa unificazione come sviluppo completo di ci che costituisce a un tempo il suo motore fondamentale e il suo limite: la dimensione individuale. Il suo primo momento la Ragione osservativa, ossia la Ragione che si attua sul piano conoscitivo nellindagine scientifica della natura. Nel corso di questa indagine, la Ragione si accerta di essere tutta la realt in quanto scopre le leggi razionali che governano i fenomeni naturali. In questo modo la coscienza acquisisce la certezza che la natura non unoggettivit estranea ma unautocoscienza autonoma che si realizza nella forma della cosalit. Tale certezza per deve trasformarsi in verit. In altre parole lunificazione tra autocoscienza e natura deve approfondirsi ulteriormente superando anche la differenza della cosalit. Ma perch ci sia possibile necessario che la Ragione si sviluppi anche sul piano pratico, cio come Ragione attiva, costruendo la sua dimensione sociale, collettiva. La prima tappa del cammino della Ragione attiva verso luniversalit collettiva rappresentata dal piacere. Lindividuo, infatti, secondo Hegel, agisce e si rapporta agli altri innanzitutto seguendo la legge del desiderio. Richiamandosi esplicitamente al Faust di Goethe, Hegel sostiene che lautocoscienza rinuncia allintelletto e alla scienza per offrirsi a Satana, cio per godere immediatamente della vita cos come essa spontaneamente si offre. In questa prospettiva le altre autocoscienze diventano strumenti per il soddisfacimento dei propri desideri. Lindividuo non vuole sopprimere laltro, ma vuole sopprimerne lautonomia, in quanto lo considera, per cos dire, una proiezione di se stesso. In questo modo, per, nel godimento dellaltro lautocoscienza perviene a una parziale coscienza della sua unit con lui conferendo cos un primo livello di oggettivazione alla propria singolarit. Eppure, proprio nel momento del godimento, lautocoscienza fa esperienza del carattere effimero del piacere attraverso cui si manifesta tutta lastrattezza e la povert dellindividualit, la sua finitezza e la sua precariet costitutive. In questo modo il piacere si tramuta nella coscienza dei limiti necessari e insuperabili del mero essere individuale e lindividualit si frantuma scontrandosi con la dura necessit della realt: lindividuo ha creduto di prendersi la vita ma alla fine si ritrova fra le mani la morte. Tuttavia la necessit sgretola lindividualit in tanto in quanto in realt una manifestazione delluniversalit, cio dellunit di tutti gli individui. Di conseguenza lautocoscienza individuale, dopo essersi sentita perduta nella necessit, credendola

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erroneamente unessenza estranea, giunge a comprendere che questa necessit, in quanto universalit, la sua propria essenza. La necessit universale introiettata dallautocoscienza, secondo Hegel, le si presenta innanzitutto nella forma della legge interiore. In quanto espressione di ununiversalit immediata, la legge interiore assume la determinazione della legge del cuore, cio di una legge dettata dal sentimento individuale. La legge del cuore, in quanto aspirazione da realizzare, si pone come alternativa allordine del mondo violento e tirannico, che reprime lindividualit, e allumanit sofferente che subisce passivamente la sua oppressione. Lindividuo, pertanto, impegnandosi ad abbattere questordine e a eliminare questa sofferenza, acquisisce la seriet di chi agisce per il bene dellumanit. Ma proprio nel momento in cui la legge del cuore si realizza, rovesciando lordinamento tirannico, cessa, secondo Hegel, di essere legge del cuore in quanto assume la forma dellessere reale e si costituisce a sua volta come ordine universale indifferente al sentimento individuale. Lindividuo avverte cos come estranea e avversa la sua stessa opera. Questa situazione paradossale porta alla luce, per Hegel, la contraddizione insita nella legge del cuore: in essa infatti lindividuo vuole come universale qualcosa che per essenza particolare. Infatti, la legge di un cuore, nascendo dal sentimento individuale, non pu coincidere con quella di un altro cuore e pertanto mentre prima lindividuo trovava intollerabile lordine tirannico, ora trova contrari alle proprie nobili intenzioni le leggi del cuore degli altri uomini. In questo modo, lautocoscienza da un lato riconosce la sua oggettivazione reale nel nuovo ordine da lei stabilito, dallaltro avvertendolo come estraneo trae da esso la consapevolezza della propria irrealt. Questa contraddizione sconvolgente trasforma la preoccupazione per il benessere dellumanit in furore della presunzione, cio in una furia distruttiva contro la societ. Essa nasce dalla falsa convinzione che la negativit dellordine sociale sia conseguenza semplicemente dellinganno e delloppressione di preti fanatici e di despoti corrotti. Lautocoscienza, cos, si nasconde che in realt la vera causa della negativit dellordine sociale limmediatezza della legge del cuore. Questa infatti non pu realizzare la sua universalit se non nella forma della resistenza che tutti gli altri individui oppongono alla legge del cuore che ogni individuo tenta di imporre. In altri termini, a livello della legge del cuore, luniversale si d solo come conflitto generalizzato tra gli individui in cui ognuno vuol far valere la propria singolarit ma al contempo deve subire la singolarit degli altri. La legge del cuore, secondo Hegel, si sviluppa, oltrepassandosi, nella virt, la quale consiste nellaffermazione della totale superiorit della legge universale sullindividuo. Tale superiorit si attua contemporaneamente su due piani: a) allinterno della coscienza virtuosa, nella forma del sacrificio dellintera personalit attraverso la sua completa sottomissione al vero e al bene in s; b) allinterno del corso del mondo - cio della realt storica cos come concretamente si configura - nella fede e nella testimonianza che esso contenga un ordine universale ideale come essenza interna e come fine ultimo destinato a realizzarsi nel tempo. Di conseguenza il cavaliere della virt ingaggia una lotta contro il corso del mondo reale in nome del suo corso del mondo ideale. Egli per si ritrova impotente e incapace di combattere perch il corso del mondo reale, per Hegel, il bene reale, luniversale concreto. Proprio in quanto virtuoso, cio dedito alla causa del bene, il cavaliere della virt non riesce dunque a colpire effettivamente con le sue armi il corso del mondo. La virt viene cos sconfitta dal corso del mondo perch il suo fine - luniversalit assoluta nel sacrificio totale dellindividualit - astratto, mentre il corso del mondo rappresenta luniversale reale, quello basato sul diritto alla felicit dellindividualit. Di fatto, afferma 126

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Hegel, il corso del mondo trionfa su discorsi pomposi e vacui, su un ideale astratto che edifica senza costruire, su nobili fini che in realt esprimono solo la volont di sentirsi e di essere considerati eccellenti. Il fallimento della virt porta la coscienza a comprendere la positivit universale del corso del mondo, a rinunciare al sacrificio dellindividualit e a considerarla momento indispensabile della realizzazione delluniversalit. Lindividualit che agisce egoisticamente nel corso del mondo, infatti, migliore per Hegel di quanto la coscienza virtuosa creda perch in realt essa realizza comunque luniversale. In questo senso, la convinzione individuale di agire sulla base dellegoismo e di pensare che tutti gli uomini agiscono per egoismo non altro che mancanza di consapevolezza delle proprie azioni. La conclusione cui Hegel giunge dunque che luniversalit non pu costruirsi sullannullamento dellindividualit perch altrimenti sarebbe un universale astratto, privo di esistenza, morto, in quanto proprio il conflitto tra gli individui egoisti che infonde vita e realt alluniversale. In questo modo la dialettica della Ragione pratica raggiunge il suo punto di arrivo: il regno delleticit, inteso come assoluta unit spirituale di tutti gli individui nella piena valorizzazione della loro autonomia. Nelleticit, cio, ogni autocoscienza autonoma ma proprio nella sua autonomia consapevole della sua unit con le altre autocoscienze. Hegel chiama questa unit sostanza reale e afferma che essa si realizza compiutamente nella vita di un popolo libero. Ci risulta evidente sotto due aspetti: quello ordinario della divisione del lavoro grazie alla quale il singolo soddisfacendo i propri bisogni soddisfa simultaneamente quelli dellintera collettivit; quello straordinario del sacrificio individuale, in cui un singolo disposto a morire per il bene della collettivit. Leticit dunque si realizza compiutamente in quella lingua universale che sono i costumi e le leggi di un popolo. In essi infatti ogni individuo, secondo Hegel, intuisce s come laltro e laltro come s. Per questo, conclude Hegel, i grandi saggi dellantichit hanno sostenuto che lautentica virt consiste nel vivere in conformit ai costumi del proprio popolo.

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TAPPA 8 HEGEL: LO SPIRITO OGGETTIVO Il diritto degli individui per la loro determinazione soggettiva alla libert ha il suo compimento nel fatto che essi appartengono alla realt etica, poich la certezza della loro libert ha la sua verit in tale oggettivit, ed essi nel campo etico posseggono realmente la loro propria essenza, la loro i n t e r n a universalit. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, 153 Nel momento in cui lo spirito soggettivo, cio individuale, nel suo movimento di approfondimento, cio di unificazione degli individui, arriva a comprendere che la propria essenza collettiva, ovvero la cooperazione tra gli individui, trapassa in spirito oggettivo. Lo Spirito oggettivo per Hegel il processo dialettico di sviluppo dellunione collettiva fra gli uomini. In altre parole, cos come cresce e si perfeziona lindividualit umana cresce e si perfeziona anche la anche socialit umana, cio la capacit degli uomini di integrarsi e cooperare, di fare squadra. Lo sviluppo dello spirito oggettivo, infatti, consiste nellemergere di sempre pi efficaci forme di aggregazione economico-sociali e di istituzioni giuridico-politiche, quelle che hanno fatto la storia dellumanit. Esso scandito da un movimento dialettico imperniato su tre momenti: 1. il diritto, che ne rappresenta la forma reale ma meramente esteriore, dunque la polarit oggettiva; 2. la moralit, che ne costituisce la dimensione interiore ma meramente intenzionale, dunque la polarit soggettiva; 3. leticit, che il compimento dello spirito oggettivo in quanto unifica in s le sue dimensioni esteriore e interiore, reale e intenzionale, oggettiva e soggettiva. Lo spirito oggettivo, nella sua immediatezza, si realizza come singolo individuo che persegue il soddisfacimento dei propri bisogni e desideri entrando in relazione con il mondo naturale e con altri individui. In questo modo lindividuo costituisce la sfera del diritto in base alla quale egli riconosce e rispetta se stesso e gli altri individui in quanto personalit, cio in quanto esseri spirituali infiniti, universali e liberi. Da questo reciproco riconoscimento formale deriva una regola sociale puramente negativa, cio quella di non danneggiare laltra personalit. Tale regola vale su tre piani fondamentali, che costituiscono altrettante condizioni e articolazioni della personalit giuridica: a) il piano del possesso dei beni materiali che costituiscono il fondamento oggettivo della personalit; b) il piano del contratto, come scambio consensuale e conveniente di beni materiali tra diverse personalit; c) il piano del delitto e della pena, come trasgressione e ristabilimento della regola giuridica. Lindividuo come persona, secondo Hegel, ha bisogno per realizzarsi di una dimensione esteriore, concreta, materiale. Poich gli enti naturali non hanno in s alcuna coscienza e alcun fine razionale, la persona ha il diritto di imporre a ogni cosa il proprio fine razionale, appropriandosene e servendosene. In altre parole, luomo, in quanto persona, titolare di un diritto assoluto di possesso e sfruttamento dei beni naturali. Ma proprio in quanto fondato su un diritto, il semplice possesso di un bene diventa propriet, cio possesso legittimo e quindi giuridicamente riconosciuto e tutelato. Il riconoscimento e la tutela della propriet la condizione della possibilit di uno scambio di beni materiali tra gli uomini. Tale scambio a sua volta riconosciuto e tutelato

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giuridicamente come contratto, cio come atto consensuale basato sulla reciproca convenienza. Ma il diritto rimane sempre fondato sullinteresse particolare dei singoli individui e come tale esso intrinsecamente parziale e quindi difettoso. I suoi limiti si manifestano nel delitto inteso come violazione del rispetto formale di una personalit, cio come danneggiamento di un altro individuo nel suo corpo o nei suoi beni. Tale violazione per solo momentanea in quanto il diritto attraverso la punizione del criminale in grado di ristabilirsi a un livello pi profondo e solido. La pena infatti non restaura solo il diritto di chi ha subito il danno ma anche quello del criminale, cio ne ricostituisce la personalit giuridica emendando la sua volont interiore dal delitto commesso. Nel momento in cui la pena riabilita la volont stessa del criminale, lo spirito oggettivo si apre alla dimensione interiore, cio si costituisce come moralit. Nella moralit infatti la volont libera dellindividuo non si limita ad accettare una regola collettiva esterna ma si impegna a realizzare una norma collettiva interiore, che scaturisce, cio, dallintimo della sua soggettivit. Tale norma quella di agire per il Bene, inteso come valore universale posto al di sopra delle singole felicit individuali. Ma nella moralit, secondo Hegel, la volont individuale si relaziona con il Bene in quanto suo principio sostanziale, ma non riesce a unificarsi completamente con esso. In altre parole, sulla base della sola moralit, Bene universale e felicit individuale restano divisi, non collimano. Infatti lagire morale per il Bene, essendo meramente intenzionale, non esige la sua realizzazione particolare ed effettiva. Pertanto lagire per il Bene universale si configura come una legge puramente formale e astratta, cio come un dover-essere, come una pura esigenza soggettiva senza garanzia di realizzazione oggettiva. Proprio la formalit e lastrattezza del Bene costituiscono la condizione del male. Infatti, non essendoci unintegrazione tra Bene universale e felicit individuale, lindividuo pu decidere di volere come universalit la propria felicit individuale, cio appunto di compiere il male in quanto negazione del Bene universale in nome del bene individuale. Lunilateralit oggettiva del diritto e lunilateralit soggettiva della moralit trovano la loro giusta misura e il loro reciproco bilanciamento, ovvero la loro sintesi, nelleticit. Infatti la legge etica, afferma Hegel, unobbligazione sia interiore sia esteriore ed insieme sia unintenzione soggettiva sia una realt oggettiva ed efficace. Essa infatti si realizza: nei doveri sociali (p.e. studiare, lavorare, difendere la patria, salutare il vicino di casa ecc.) che ogni individuo ha in quanto parte di una comunit; nella virt, intesa come completo e stabile adempimento dei propri doveri; nei costumi (o usanze) e nelle associazioni del popolo cui si appartiene, che costituiscono modalit specifiche e concrete ma al tempo stesso universali, in quanto comuni e uniformi, di attuazione dei propri doveri. Per Hegel, nelleticit la libert individuale trova la sua piena realizzazione in quanto lessenza delluomo non lindividualismo ma il collettivismo, cio lintegrazione con gli altri. Di conseguenza i diritti individuali sono doveri e viceversa i doveri sono diritti. In questo senso doveri e costumi, pur avendo autorit assoluta, non costituiscono una limitazione dellindividuo, ma la sua completa liberazione dai limiti degli impulsi naturali e del soggettivismo morale particolaristico e astratto. Nelleticit, dunque, lo spirito oggettivo unifica universale e particolare, collettivo e individuale, costruendo una vera e propria seconda natura grazie alla quale lindividuo pu attuare effettivamente ed efficacemente la sua autentica libert.

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TAPPA 9 HEGEL: FAMIGLIA, SOCIETA CIVILE, STATO Lo stato inteso come la realt della volont sostanziale, realt chesso ha nellautocoscienza particolare innalzata alla sua universalit, il razionale in s e per s. Questa unit sostanziale assoluto immobile fine in se stesso, nel quale la libert perviene al suo supremo diritto, cos come questo fine ultimo ha il supremo diritto di fronte agli individui, il cui supremo dovere desser membri dello stato. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, 258 Per Hegel leticit lunit collettiva umana basata sulla piena valorizzazione della dimensione individuale, il noi che io e lio che noi. Essa si realizza e si sviluppa, quindi, in un movimento dialettico di sempre pi profonda integrazione tra agire individuale e agire collettivo. Tale movimento dialettico si snoda in base a tre momenti fondamentali, che sono altrettante istituzioni sociali: 1) la famiglia, che il polo oggettivo delleticit; 2) la societ civile, che il polo soggettivo delleticit; 3) lo Stato, che la sintesi di oggettivit e soggettivit etica, ovvero la forma compiuta dellunificazione etica di individuo e collettivit. La famiglia la forma immediata delleticit, poich lunit tra gli individui che in essa si realizza naturale in quanto legata alla funzione biologica della riproduzione sessuale. Pur restando vincolata alla natura, la famiglia daltra parte sviluppa listinto sessuale in un rapporto spirituale attraverso lo svolgimento dei suoi momenti dialettici interni, costituiti dal matrimonio, dal patrimonio e dalleducazione dei figli. Il matrimonio lorigine della famiglia e consiste, secondo Hegel, nella libera scelta che due individui fanno reciprocamente di se stessi come marito e moglie. Tale scelta per non implica necessariamente per Hegel un preesistente amore soggettivo fra i coniugi. Infatti il consenso e limpegno allunione coniugale sono condizioni sufficienti per generare lamore coniugale. Il patrimonio, inteso come insieme dei beni materiali necessari alla vita dei membri della famiglia, e leducazione dei figli sono, invece, le componenti oggettive del matrimonio. Entrambi si basano su un rapporto di fiducia: ogni membro della famiglia ha fiducia nel fatto che il patrimonio venga utilizzato per il bene di tutti; ogni figlio ha fiducia che leducazione che gli viene impartita vada a suo vantaggio. Grazie a questa fiducia reciproca, che ha le sue radici nella superiorit naturale del marito sulla moglie e dei genitori sui figli, la famiglia realizza per Hegel una coesione totale e priva di conflitti interni. La compattezza immediata delleticit familiare trova il suo necessario contraltare dialettico nella societ civile. Questa per Hegel unit etica mediata, cio basata sulla differenziazione, sullautonomia e quindi sulla contrapposizione tra gli individui. In questo senso la societ civile lautonegazione interna delleticit indispensabile alla piena conquista di se stessa. Hegel delinea la societ civile come linsieme delle relazioni che gli uomini in quanto atomi sociali, cio sia come singole famiglie sia in quanto individui autonomi, stabiliscono liberamente tra loro per il perseguimento dei loro interessi particolari. In questo senso la societ civile innanzitutto e fondamentalmente il sistema dei bisogni, cio il sistema economico basato sul libero mercato. In tale sistema pur essendo divisi e in concorrenza tra loro, gli individui realizzano spontaneamente livelli sempre maggiori di integrazione etica:

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nella divisione del lavoro che, nata dalla naturale tendenza alla specializzazione della produzione, crea una rete di interdipendenza tra i soggetti economici tale per cui linsieme degli interessi particolari realizza spontaneamente linteresse collettivo; nella formazione, indispensabile per svolgere con successo ogni attivit economica, cio nelleducazione scolastica sia a livello di cultura generale sia a livello di cultura tecnicoscientifica e professionale, che getta le basi per la comunicazione sociale; nei ceti sociali, prodotti dalla divisione del lavoro, in cui gli individui si aggregano a partire da una condivisione di interessi e di formazione culturale; nelle corporazioni, cio nelle associazioni professionali e di mestiere, in cui allaumentata intensit della comunanza di interessi e formazione corrisponde un grado pi alto di coesione che segna il ritorno completo delleticit a se stessa introducendo alla dimensione dello Stato. Lo Stato, per Hegel, insieme la sintesi e il fondamento sostanziale della famiglia e della societ civile. Esso, cio, da un lato unifica in s i valori opposti delluna e dellaltra, eliminandone i rispettivi eccessi unilaterali; dallaltro grazie a ci costituisce per cos dire la culla di entrambe, cio la condizione di possibilit della loro esistenza autonoma. Ci significa che, secondo Hegel, le libert individuali e familiari in tanto possono attuarsi in quanto c uno Stato che le tutela e le garantisce e senza il quale esse non potrebbero esercitarsi concretamente. In questo senso Hegel rigetta la teoria contrattualistica che legittima lo Stato come il prodotto artificiale di un libero patto tra individui. Secondo lui, infatti, impensabile lesistenza di liberi individui antecedentemente a quella dello Stato. Daltra parte per Hegel se non pu esistere libert senza Stato non pu nemmeno esistere Stato senza libert, anzi lo Stato deve essere la realizzazione massima della libert individuale. La coincidenza di libert e statalit teoreticamente fondata da Hegel sulla tesi della volont collettiva insita, a suo parere, in ogni individuo umano. In tal senso la volont individuale pu anche manifestarsi superficialmente in forme individualistiche, ma affonda le sue radici in una volont universale profonda che la vera identit di ogni individuo. In modo pi semplice, lindividualit umana solo apparente; in realt, ogni uomo una parte di un unico grande individuo, lumanit. Di conseguenza Hegel pu sostenere che la libert individuale non solo non negata dallo Stato ma trova solo in esso la sua piena e compiuta realizzazione. In questa prospettiva, uno Stato legittimo per Hegel quando le decisioni delle sue istituzioni sono conformi alla libera volont dei suoi cittadini. In base a questo criterio Hegel elabora il suo modello costituzionale di Stato basata sulla sua articolazione in 3 poteri fondamentali: 1. il potere legislativo, che corrisponde al principio delluniversalit, esercitato da un parlamento diviso in una camera alta e in una camera bassa; 2. il potere monarchico, che rappresenta il principio di individualit, esercitato da un re in cui si incarna lunit soggettiva dello Stato e che ha il compito di approvare e rendere effettive le decisioni del governo. 3. il potere esecutivo, che incarna il principio di particolarit, esercitato da un governo che attraverso i funzionari statali ha il compito di adattare la volont universale delle leggi parlamentari alle esigenze particolari della popolazione. Insomma, Hegel propone come Stato ideale una monarchia costituzionale il cui baricentro sia rappresentato dal governo e dallapparato burocratico, in quanto organi collegiali dotati delle maggiori competenze politiche.

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TAPPA 10 HEGEL: LA FILOSOFIA DELLA STORIA La storia del mondo il progresso nella coscienza della libert: un progresso che noi dobbiamo riconoscere nella sua necessaria natura. [...] La storia universale la rappresentazione del processo divino e assoluto dello spirito nelle sue pi alte forme, di questo corso graduale onde esso consegue la sua verit, lautocoscienza di s. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, cap. II, c), e) Secondo Hegel, gli Stati moderni - in quanto stati nazionali - costituiscono delle individualit assolutamente autonome e sovrane. Di conseguenza un diritto internazionale - cio un insieme di norme sovranazionali - non pu avere alcuna esistenza reale. Esso per costituisce un dover-essere, cio unesigenza dei singoli Stati realizzabile nellautonoma e revocabile adesione a trattati di volta in volta stipulati. E pertanto possibile che non si raggiunga, o che si rompa, unintesa e in questo caso per Hegel le controversie internazionali non possono che essere risolte attraverso la guerra. Tuttavia la guerra non elimina il reciproco riconoscimento degli Stati e quindi mantiene tra essi alcuni vincoli che si configurano di fatto come norme non scritte di un diritto internazionale di guerra. Tali vincoli sono: la temporaneit della guerra e quindi la necessit di arrivare a una pace nei pi brevi tempi possibili; il rispetto degli ambasciatori; il rispetto della popolazione civile e delle istituzioni interne degli Stati. In base a queste regole, attraverso la guerra e i suoi esiti, gli Stati ricompongono le loro controversie altrimenti inconciliabili. In questo senso la guerra rappresenta per Hegel il giudizio universale degli Stati, cio la suprema e razionale istanza giudiziaria che ne decreta la ragione o il torto. In questa prospettiva, secondo Hegel, la storia umana si svolge secondo un disegno razionale. Essa infatti realizzazione dellidea che ha raggiunto la consapevolezza di s come spirito, pi precisamente come spirito oggettivo. Dunque, il vero soggetto della storia non il singolo individuo, ma lo spirito del mondo, cio il principio universale immanente che unifica in s tutta lumanit. Lo spirito del mondo per non agisce direttamente nella storia, bens attraverso gli spiriti dei popoli, cio i principi ideali unitari che costituiscono il fondamento dellidentit, e quindi dellesistenza, di ogni nazione. In quanto articolazioni specifiche dello spirito del mondo, gli spiriti dei popoli si differenziano gli uni dagli altri per i diversi livelli di profondit con cui comprendono lidea. In altre parole, ogni civilt storica, secondo Hegel, rappresenta una modalit parziale e relativa della presa di coscienza di se stesso da parte dello spirito. Da questa modalit specifica di intuizione dello spirito derivano tutte le caratteristiche specifiche di una civilt: usanze e costumi, diritto, religione, istituzioni politiche, organizzazione economica, letteratura e arte. In questo senso lo spirito del popolo latmosfera culturale che forma e accomuna tutti gli individui appartenenti a una nazione. Le forme di autocoscienza dello spirito espresse dalle diverse civilt costituiscono, nella loro successione storica, una scala gerarchica a perfezione crescente. In ogni periodo storico vi infatti un popolo che raggiunge la pi elevata coscienza dello spirito incarnando e realizzando cos nella sua particolarit luniversalit dello spirito del mondo. Grazie a ci, questo popolo assume una posizione dominante e assoggetta a s tutti gli altri. Attraverso 132

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la sua egemonia infatti si manifesta e si impone un pi avanzato stadio dello sviluppo dello spirito del mondo. Secondo Hegel, ogni popolo pu detenere questa superiorit solo temporaneamente e una sola volta nel corso della storia universale, in quanto destinato prima o poi a essere superato dalla pi profonda visione spirituale di un altro popolo. Per questo ogni civilt storica trapassa necessariamente da una fase di ascesa a una fase di declino. Nonostante lo spettacolo delle sue rovine, la storia si rivela pertanto come un progresso necessario e dunque inarrestabile. Se il fondamento del progresso storico lo spirito, la sua essenza, afferma Hegel, la libert. Tutte le caratteristiche dello spirito, infatti, sussistono solo grazie alla libert e non sono che mezzi per lattuazione della sua libert. Ne consegue che il progresso storico non pu consistere che nella realizzazione sempre pi perfetta della libert e della coscienza che lo spirito ha della sua libert. Assumendo la libert come criterio del progresso storico, Hegel ne individua 4 tappe fondamentali: 1. il mondo orientale, improntato alla teocrazia e al dispotismo, in cui uno solo libero e agli individui non riconosciuta alcuna personalit e alcun diritto; 2. il mondo greco, caratterizzato da uneticit naturale e immediata, in cui solo alcuni sono liberi in quanto solo a pochi riconosciuta una personalit individuale; 3. il mondo romano, segnato dalla scissione tra un potere sostanziale autocratico e lestensione a tutti della libert che per solamente giuridico-formale e dunque solo potenziale; 4. il mondo germanico, cio moderno, in cui la scissione viene superata e si raggiunge una libert sostanziale ed effettiva per tutti gli individui. Hegel intende la libert come libert individuale, ma la distingue nettamente dallarbitrio soggettivo. In quanto lindividuo ha la propria essenza nello spirito, lautentica libert individuale coincide con la necessit universale dello spirito. Apparentemente, per, ammette Hegel, le azioni umane nella storia sembra abbiano come unici moventi i bisogni, gli interessi, le passioni, gli egoismi individuali. Tale apparenza del tutto giustificata. Per concretizzarsi e realizzarsi, infatti, lo spirito deve attuarsi attraverso la soddisfazione dei bisogni materiali degli individui, deve riconoscere il diritto del singolo alla felicit e permettergli di gratificarsi con il proprio lavoro e con i suoi proventi. Daltra parte, il capriccio casuale e caotico dei moventi individuali si concilia completamente per Hegel con luniversalit necessaria e ordinata del corso della storia in quanto le passioni non sono altro che strumenti attraverso cui si attua il progresso storico. Gli uomini infatti agiscono coscientemente per perseguire i loro scopi particolari, ma in realt, inconsapevolmente, proprio agendo individualisticamente e passionalmente, realizzano il piano razionale dello spirito del mondo. Questo uso che lo spirito fa dei moventi soggettivi delle azioni umane chiamato da Hegel astuzia della ragione. Nella storia, dunque, gli individui sono dei semplici mezzi dello spirito del mondo. Ma per Hegel il modo in cui gli uomini sono mezzi del tutto peculiare e assume per questo un valore positivo. Infatti mentre nella natura ci che mezzo esteriore rispetto al fine e non ne partecipa, nella storia luomo partecipa al fine di cui strumento ed pertanto un mezzo intrinseco al fine. Ci significa che ogni uomo, pur essendo mezzo dello spirito, anche un fine in se stesso. In questo senso Hegel proclama il valore assoluto della personalit, anche del pi misero individuo, e afferma che esso del tutto autonomo dal corso della storia. Inoltre, sempre dal punto di vista del destino dellindividuo, Hegel nega che la storia punisca i giusti e 133

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premi i malvagi. Un tale giudizio, secondo lui, deriva solo da un fraintendimento del vero universale storico, dalla sua sostituzione con costruzioni fittizie della fantasia individuale. Per lo stesso motivo, Hegel rigetta i lamenti dei singoli individui sulla irrealizzabilit storica di tutti gli ideali. Se un ideale non si realizza ci dovuto, secondo Hegel, al fatto che si tratta di un ideale soggettivo, particolare, astratto, laddove la storia realizza solo i veri ideali, cio gli ideali oggettivi, universali, concreti. In realt, per Hegel gli ideali irrealizzabili manifestano solo la presunzione e lesibizionismo di chi li sostiene.

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TAPPA 11 HEGEL: LA CONQUISTA DELLASSOLUTO Lo spirito assoluto identit , che tanto eternamente in s, quanto un continuo ritornare ed esser ritornata in s; lunica e universale sostanza, come sostanza spirituale, il distinguersi in s e in un sapere, per cui essa come tale. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, 258 Lo spirito, secondo Hegel, non raggiunge la sua assolutezza n a livello soggettivo - come libera volont individuale -, n a livello oggettivo - come necessaria eticit collettiva. Entrambe queste forme infatti sono affette dallaccidentalit a causa del loro legame alla dimensione naturale delluomo. Sia lo spirito soggettivo sia lo spirito oggettivo devono dunque essere considerati come vie, in s parziali e relative, per arrivare allo spirito assoluto. Lassoluto infatti per Hegel sostanza spirituale, cio sia oggettivit che soggettivit. Di conseguenza non pu esaurirsi nella limitatezza astratta della coscienza individuale ma nemmeno nelluniversalit non autocosciente dello Stato. Pertanto, dopo aver oggettivato eticamente la sua soggettivit individuale, lo spirito pu conquistare definitivamente la sua assolutezza solo tornando nella sua autocoscienza, cio solo filtrando e unificando lo spirito soggettivo e lo spirito oggettivo al livello della loro pura contemplazione. In questa prospettiva per Hegel sono 3 le modalit con cui e in cui lo spirito prende coscienza di se stesso e si realizza come assoluto: 1) la creativit artistica, 2) la fede religiosa, 3) la speculazione filosofica. Larte, afferma Hegel, la modalit immediata dellautocoscienza assoluta dello Spirito. Nellarte infatti lassoluto colto per via intuitiva e pertanto si manifesta in forme sensibili, attraverso la fisicit naturale dei materiali di cui lopera darte fatta. Su queste basi Hegel sostiene che la bellezza dellopera darte consiste soltanto nella sua forma. Essa infatti deriva dalla plasmazione e dalla trasformazione della materia in puro segno rappresentativo dellidea. In questo senso larte raggiunge il massimo livello di bellezza nella rappresentazione del corpo umano, in quanto questo loggetto fisico che pi si avvicina allidea. La creazione artistica una sintesi di soggettivit conscia e oggettivit inconscia, sbilanciata per a favore di questultima. Essa, infatti, da un lato presuppone larbitrio soggettivo dellartista, ma dallaltro si d solo se lartista si libera da ogni accidentalit soggettiva e si fa strumento dello spirito. Poich nellarte lo spirito solo intuto, cio non compreso in modo logico-concettuale, lispirazione che guida lartista assume il carattere di una forza inconscia, estranea, necessaria. Questa produttivit naturale lessenza del genio artistico. Per la creazione artistica, per, lispirazione inconscia non sufficiente. Essa deve essere accompagnata da unintelligenza tecnica e da una manualit meccanica capaci di concretizzare lispirazione nellopera darte vera e propria. La creativit artistica, per Hegel, costitutivamente basata sulla contraddizione tra spirito e materia, infinito e finito, conscio e inconscio. Lopera darte in questo senso sempre un tentativo di conciliare questa contraddizione. Tale tentativo si basa su 3 possibilit logiche di combinare spirito infinito e materia finita cui corrispondono 3 stadi di sviluppo storico e al tempo stesso una classificazione permanente delle arti in 3 gruppi:

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1. larte simbolica (o sublime), propria della prima antichit, in cui la materialit finita prevale sulla spiritualit infinita, in quanto lartista cerca di rappresentare lo spirito nella grandiosit, nella sproporzione e nellabnormit della sua opera; in questo senso il simbolismo si realizza soprattutto come arte architettonica e costituisce dunque il principio distintivo dellarchitettura. 2. Larte classica, propria dellantichit greco-romana, basata sullequilibrio tra spiritualit infinita e materialit finita, in quanto lartista tenta di rappresentare compiutamente lo spirito assoluto nella perfezione finita del corpo umano; per questo la classicit si esprime soprattutto nella scultura, di cui rimane il principio connotativo permanente. 3. Larte romantica, propria dellepoca moderna, in cui la spiritualit infinita prevale sulla materialit finita, in quanto lartista ha compreso che lassoluto pu essere colto solo rappresentando linsufficienza rappresentativa di ogni forma fisica, cio lo scarto, la rottura tra significato e significante; date queste sue caratteristiche, il romanticismo trova la sua compiuta espressione nella pittura, nella musica e soprattutto nella poesia e ne costituisce il principio specifico e insieme la ragione di superiorit. Per giungere a un pi profondo livello di comprensione della propria assolutezza lo Spirito per Hegel deve superare dialetticamente i limiti sensibili dellarte per abbracciare la religione rivelata, cio il cristianesimo. Il concetto di rivelazione, infatti, esprime lattributo essenziale dello Spirito, cio la sua autocoscienza come manifestazione diretta di s a se stesso. Nella religione, per, tale manifestazione se da un lato supera i limiti fisici dellintuizione estetica, dallaltro resta irretita nei limiti della esteriorit in quanto si basa sulla separazione tra Dio come spirito infinito e luomo come spirito finito. Tali limiti si evidenziano nella modalit di coglimento dellassoluto propria della religione, che Hegel denomina rappresentazione. Usando questo termine in unaccezione del tutto personale, Hegel vuole esprimere il fatto che nella religione i momenti del movimento dialettico dellassoluto vengono colti in modo indipendente luno dallaltro, in successione cronologico-narrativa anzich in una connessione dialettico-razionale. Dal momento che lo spirito autocoscienza razionale, per Hegel la sua comprensione di s come assoluto pu raggiungere la piena verit solo nella modalit del puro pensiero razionale, ovvero logico-concettuale. Per questo lorgano della verit assoluta la speculazione filosofica, intesa come scienza enciclopedica e suprema che media e unifica in s la creativit artistica e la fede religiosa. La filosofia infatti pensiero concettuale che comprende i contenuti di arte e filosofia nella loro necessaria correlazione dialettica e raggiunge cos la dinamica coincidenza di soggettivit e oggettivit. Ma pi in generale la filosofia coglie assolutamente lassoluto in quanto visione simultanea e sintetica di tutte le realizzazioni parziali che lo spirito ha conseguito in tutto il suo svolgimento a partire dalla prima determinazione dellidea pura, lessere. Questa visione totale dellintero cammino dello spirito svela completamente e definitivamente il disegno dialettico che ne costituisce lessenza unitaria. Ma anche questa visione totale, propria delle filosofia, si costruisce e si perfeziona in un processo dialettico, quello proprio della storia della filosofia, ovvero quello che a partire da Talete si dipana dialetticamente fino a giungere allultima triade dialettica, quella composta da Fichte, Schelling e Hegel stesso. In questo senso Hegel propone la sua filosofia come la versione perfetta e dunque definitiva di tutte le filosofie precedenti, ovvero come la piena e compiuta autocoscienza che lo Spirito assoluto ha di se stesso.

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Ma, secondo Hegel, anche lautocoscienza assoluta dello Spirito assoluto non pu essere una visione conoscitiva statica e fissa. Lassolutezza dellautocontemplazione conoscitiva dello Spirito assoluto infatti data proprio dal suo continuo fluire circolare attraverso 3 movimenti dialettici: 1. quello dellassoluto reale o oggettivo, che parte dal presupposto della sua autonomia nella logicit per arrivare - attraverso la mediazione oggettiva della natura - a farsi verit in atto nello spirito: i suoi momenti sono concepiti come estrinseci e necessari e solo al termine del loro svolgimento si rivela la loro essenziale libert; 2. quello dellassoluto ideale o soggettivo, in cui lo spirito media e unifica in s i due estremi opposti della natura e della logica, riconducendo il caotico divenire naturale alla sua origine ideale e producendo un sapere scientifico soggettivo inteso come mezzo per conquistare la libert; 3. quello dellidentit assoluta di reale e ideale, oggettivit e soggettivit, in cui la Ragione autocosciente pura, principio della logica, media e unifica in s spirito e natura, concependoli e producendoli come sue libere manifestazioni: in questo modo ogni cosa trova la sua natura nel concetto che la pensa e i processi naturali vengono a coincidere con lattivit pensante che li conosce. In questo circolo dialettico supremo, che unisce in s i due precedenti, lidea eterna, conclude Hegel, giunge ad attuarsi in s e per s, cio in modo totale e definitivo, e a godere compiutamente e semplicemente di se stessa in quanto spirito assoluto. E alla luce di questa somma triade dialettica che va letto il lapidario aforisma di Hegel: Tutto ci che reale razionale, tutto ci che razionale reale.

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VIAGGIO III LA LIBERAZIONE DAGLI INGANNI DELLA RAGIONE


CANNOCCHIALE SU LORIZZONTE STORICO 1831-1873 Lestensione e laccelerazione della rivoluzione industriale A partire dagli anni 30 dell800 il processo di industrializzazione segn una netta accelerazione che intorno alla met del secolo - nella cosiddetta et del libero scambio (1849-1872) - si trasform in un vero e proprio boom economico. In questo modo lindustrializzazione si intensific nei paesi (Inghilterra, Belgio, Francia, Olanda, Svizzera) in cui si era gi avviata e si estese a nuovi paesi europei come la Germania e la Svezia intorno alla met del secolo e ad alcune aree dellItalia settentrionale, dellAustria, della Boemia e della Russia, ai Paesi Baschi e alla Catalogna in Spagna, negli anni Sessanta. Soprattutto cominci a industrializzarsi il primo paese non europeo, gli Stati Uniti dAmerica, segnando linizio del processo di mondializzazione del capitalismo industriale. Tale processo tecnicamente fu reso possibile dallinvenzione e soprattutto dalla diffusione dei treni (1830, linea Manchester-Liverpool) e delle navi a vapore, nonch da quelle del telegrafo elettromagnetico Morse (1840) e del francobollo (1841) che migliorarono enormemente le possibilit di comunicazione a lunga distanza. La locomotiva a vapore non fu solo un formidabile fattore di crescita degli scambi commerciali ma anche il nuovo elemento trainante dello sviluppo industriale. Mentre fino agli anni 20 lindustria si identificava con il settore tessile, a partire dagli anni 30 il boom delle costruzioni ferroviarie lanci lespansione dellindustria metallurgica e meccanica, che divent cos il nuovo settore industriale di punta. Fu in questa fase inoltre che si stabil un rapporto organico tra industria e finanza, con la nascita delle prime banche dinvestimento finalizzate al credito industriale. Si innesc inoltre un circolo virtuoso tra aumento della produzione e aumento del commercio che crebbe e si internazionalizz anche grazie allassenza di forti barriere doganali. In questo modo si giunse alla formazione di un vero e proprio sistema industriale integrato, che, contribuendo in modo predominante alla formazione della ricchezza, si impose definitivamente sullagricoltura come primo settore delleconomia. Lo sviluppo industriale, per, non fu lineare e tanto meno esente da contraddizioni economiche e conflitti sociali: il forte e rapido aumento della produttivit e quindi dellofferta a fronte di una domanda ingessata dai bassi salari produsse un nuovo tipo di crisi economica, la crisi di sovrapproduzione che ciclicamente provocava fallimenti di imprese, riduzione della produzione, licenziamenti, miseria e sommosse dei lavoratori salariati. Il fenomeno si accent e acquis una ciclicit decennale a partire dal 1849 fino a culminare nella pi grave e ampia crisi del 1873. Il boom demografico e lascesa della borghesia Concausa e insieme effetto dellaccelerazione dellindustrializzazione, la crescita demografica europea prosegu ancora pi impetuosamente, passando dai c.ca 230 milioni intorno al 1830 ai 300 milioni verso il 1870, superando il tasso di crescita del periodo precedente a partire da valori assoluti molto pi alti. Anche grazie a ulteriori progressi medici come lanestesia (1846) e lantisepsi (1865) - la durata media della vita raggiunse negli ultimi decenni dell800 i 45-50 anni. Parallelamente si intensificarono i flussi migratori sia, allinterno di ogni paese, dalle

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campagne alle citt industriali, sia tra diversi paesi e continenti, da quelli pi arretrati a quelli pi avanzati o meno densamente popolati. Dal punto di vista della stratificazione sociale, l800 fu il secolo in cui la borghesia agraria, industriale, finanziaria e commerciale conquist anche se limitatamente ai paesi industrialmente sviluppati - la supremazia economico-sociale e politica imponendosi sulla nobilt e sui ceti borghesi preindustriali legati alla rendita immobiliare. Tuttavia la classe aristocratica continu a mantenere a lungo molti dei suoi privilegi politici e soprattutto il primato nel prestigio sociale e culturale. La classe borghese crebbe numericamente e si differenzi in una grande borghesia industriale e finanziaria, in una media borghesia agraria, commerciale, manageriale e di funzionari soprattutto in unampia piccola borghesia - il cosiddetto ceto medio - composta da liberi professionisti, piccoli produttori autonomi, negozianti, impiegati statali e privati, intellettuali e insegnanti. Parallelamente si ridusse il peso numerico dei contadini tradizionali a favore del proletariato agricolo e industriale. In particolare nei paesi pi avanzati primo fra tutti lInghilterra - i lavoratori salariati dellindustria raggiunsero e superarono la met della popolazione attiva e soprattutto si concentrarono maggiormente nei nuovi stabilimenti industriali. Le rivoluzioni europee del 1830 e del 1848 Il ciclo delle rivoluzioni atlantiche prosegu con le rivoluzioni europee del 1830 e raggiunse lapice con le grandi rivoluzioni europee del 1848. A differenza dei moti del 1820, le nuove rivoluzioni europee posero chiaramente allordine del giorno da un lato lesigenza della democratizzazione, cio non solo di uno stato rappresentativo ma anche della partecipazione politica; dallaltro listanza dellindipendenza e dellunit delle nazioni. Protagonisti politici ne furono i movimenti politici liberale e democratico. I liberali, che ebbero legemonia sui movimenti rivoluzionari almeno fino al 1848, puntavano allinstaurazione di uno stato di diritto, cio di uno stato garante dei diritti fondamentali (vita, salute, propriet, libert) degli individui, e privilegiavano come forma di governo la monarchia parlamentare. Essi sostenevano luguaglianza giuridica di tutti i cittadini, ma erano decisi oppositori delluguaglianza di diritti politici e delluguaglianza socioeconomica. In questo senso i liberali erano contrari a qualsiasi intervento statale che limitasse la libera iniziativa economica privata. I democratici, invece, finalizzavano la loro lotta politica alla instaurazione di uno Stato nazionale repubblicano e democratico. Essi, infatti, concepivano lo stato come proiezione del popolo-nazione e dunque ritenevano che tutti i cittadini dovessero disporre di uguali diritti politici (suffragio universale maschile) e che lo stato dovesse intervenire per attenuare le disparit economico-sociali, condizione indispensabile per garantire lunit della nazione. A partire dagli anni 1830, venne emergendo un terzo filone politico, quello liberaldemocratico, che, pur rimanendo fedele ai principi pi universali del liberalismo classico - primato dellindividuo rispetto alla collettivit, difesa della sfera privata - ne rigettava gli aspetti oligarchici e conservatori (limitazione del diritto di voto ai possidenti o agli uomini, difesa esclusiva degli interessi imprenditoriali) per accettare il processo di democratizzazione e perfino alcune istanze di tipo sociale. Le unificazioni nazionali italiana e tedesca Landamento delle rivoluzioni del 1848 fu contraddittorio: se da un lato ebbero maggiore estensione e radicalit di quelle precedenti, mettendo in crisi soprattutto limpero asburgico, dallaltro alla fine risultarono seccamente sconfitte. Nellimmediato pertanto lassetto politico europeo - e in particolare quello dellarea centro-orientale - fu ristabilito e anzi sembr consolidarsi. Fece eccezione per la Francia, paese in cui la rivoluzione 139

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democratica ebbe almeno momentaneamente successo portando alla ricostituzione della Repubblica. Anche dopo la sua sostituzione con il II impero di Napoleone III la Francia rimase un elemento di destabilizzazione dellordine continentale europeo, grazie al suo sostegno ai movimenti nazionali antiasburgici, soprattutto a quello italiano ma anche, almeno inizialmente, a quello tedesco. In questo modo il regno di Sardegna, in Italia, e il regno di Prussia, in Germania, riuscirono a unificare politicamente sotto il proprio dominio le nazioni italiana e tedesca tramite unabile miscela di diplomazia internazionale e guerra aperta ai danni dellimpero austro-ungarico. Lultimo passo dellunificazione tedesca, inoltre, port al crollo del II impero napoleonico e alla nascita del II impero tedesco, cambiando completamente gli equilibri politici internazionali del continente europeo. La nascita del movimento socialista europeo Linsurrezione socialista della Comune di Parigi del 1871 fu lunica eccezione rivoluzionaria dellet del libero scambio. Essa fu il sintomo dellautonomia raggiunta del movimento socialista e soprattutto assunse per esso il ruolo di un mito galvanizzatore, contribuendo fortemente alla sua successiva crescita. In realt gi nella rivoluzione francese del 1848, i socialisti avevano costituito una componente di rilievo e addirittura due loro esponenti erano entrati nel governo rivoluzionario provvisorio, che anche per questo aveva approvato listituzione non solo del suffragio universale maschile ma anche della giornata lavorativa di 11 ore . Ci nonostante i socialisti francesi erano rimasti subordinati alla leadership democratico-borghese della rivoluzione e ben presto erano stati estromessi dal governo. Ma soprattutto nel 1848 fu pubblicato e cominci a diffondersi in tutta Europa il Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels, in cui per la prima volta era teorizzata organicamente la presa rivoluzionaria del potere da parte della classe operaia e linstaurazione di una dittatura del proletariato, cio di un governo ad indirizzo unicamente socialista. Nel loro scritto Marx ed Engels contrapponevano alluguaglianza formale dei liberali e a quella politica dei democratici luguaglianza delle condizioni economiche e labolizione delle classi sociali, considerate condizioni imprescindibili delle prime due. Negli anni successivi, in seguito allaccelerazione della industrializzazione, vi fu una forte crescita del proletariato e una forte diffusione delle idee socialiste. Su queste basi venne fondata nel 1864 lAssociazione internazionale dei lavoratori, che unificava a livello europeo le organizzazioni che si richiamavano agli ideali socialisti e pi in generale ai diritti dei lavoratori. Lattivit della I internazionale fu travagliata dai conflitti interni e si concluse definitivamente con la sconfitta della Comune di Parigi. Ci nonostante essa era il sintomo della crescita ormai inarrestabile del movimento socialista e della sua prossima entrata sulla scena politica di tutti i principali paesi europei. Apogeo e declino del paradigma meccanicistico Dopo il 1830, la ricerca scientifica, basata sullindiscussa egemonia del paradigma meccanicistico, miet nuovi allori. In astronomia la prima misurazione della parallasse della Terra rispetto alle stelle fisse (1838) e lesperimento del pendolo di Foucault (1851) fornirono le prove inoppugnabili e definitive della teoria eliocentrica. Inoltre nel 1846 fu scoperto Nettuno. Nellelettrodinamica Joule codific la legge dellenergia elettrica (1841). Nacque e si svilupp la termodinamica in base alla quale un fenomeno tradizionalmente considerato qualitativo, e pertanto irriducibile al meccanicismo, fu ricondotto al movimento di particelle materiali e alla spiegazione matematico-quantitativa. In chimica fu realizzata la prima sintesi di laboratorio di una sostanza organica, lacetilene. In biologia, la scoperta della cellula - considerata lequivalente organico dellatomo - e della 140

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funzione glicogena del fegato permisero di assimilare il funzionamento di un organismo vivente complesso, corpo umano compreso, a quello di una macchina che brucia energia e da questa combustione trae il suo movimento. Soprattutto la biologia, scienza anchessa considerata qualitativa e legata a paradigmi tradizionali di tipo vitalistico, fu conquistata dal paradigma meccanicistico grazie alla teoria dellevoluzione di Darwin (1859). Questa teoria produsse nell800 lo stesso effetto di sconvolgimento culturale di quella copernicana nel 1500, mettendo in crisi soprattutto le teorie religiose dellorigine del mondo e delluomo ma pi in generale tutte le visioni tradizionali della realt. Non paga della pressoch totale conquista del vasto territorio delle scienze naturali, il paradigma meccanicistico mosse allinvasione dei territori delle scienze umane (psicologia, antropologia, sociologia, storia), tradizionali appannaggi della letteratura, dellarte, della filosofia. Sulla base di questi successi, dellestensione del metodo della ricerca collettiva, dei nuovi mezzi di comunicazione, dellincremento della produzione editoriale si venne formando per la prima volta una vera e propria comunit scientifica europea e perfino mondiale. Tuttavia, proprio il grande sviluppo della ricerca scientifica a tutti i livelli port alla scoperta delle prime anomalie, cio di fatti sperimentali o teorie in contrasto con il paradigma meccanicistico, preludio della sua successiva crisi. In campo matematico, vennero scoperte, ampliate e sempre pi accreditate le geometrie non-euclidee che misero in crisi lunivocit e loggettivit della concezione euclidea dello spazio fondamento di tutta la fisica. Ma soprattutto in campo fisico, e segnatamente in quello della termodinamica, la scoperta del principio di entropia (1850), secondo il quale il calore passa sempre dai corpi pi caldi a quelli pi freddi, mise in discussione il principio di reversibilit fisica corollario necessario del paradigma meccanicistico. Tra romanticismo e positivismo Mentre la cultura romantica proseguiva la sua parabola, toccando il suo culmine per poi cominciare a declinare, nacque e si svilupp la nuova tendenza culturale positivistica, destinata a diventare egemone negli ultimi decenni dell800 e a trasformarsi in mentalit comune diffusa in tutte le nuove classi sociali, non solo quella borghese ma anche quella proletaria. In questo modo romanticismo e positivismo si sovrapposero cronologicamente per alcuni decenni sulla base di rapporti di contrapposizione ma anche di reciproca contaminazione. Sul piano politico la cultura romantica aliment inizialmente un filone reazionario che propugnava la restaurazione dellassolutismo cattolico sulla base dellidealizzazione della sua tradizione storica. In una seconda fase, per, il romanticismo si abbin e si associ strettamente al filone politico democratico e nazionale, trovando il punto di contatto nei valori della libert dei popoli e del progresso storico. In questo modo esso infuse ai movimenti democratici un senso messianico e uno slancio eroico che contribuirono alla loro diffusione e al loro attivismo. Il positivismo, invece, nacque e si svilupp in continuit con lilluminismo, e quindi in aperta rottura con il romanticismo. Per i positivisti infatti vi era ununica realt, quella fisica, materiale, tangibile, conoscibile solamente in base allesperienza e allindagine scientifica concepita secondo il modello della fisica meccanica. Al rigetto della metafisica e alla riduzione della filosofia allepistemologia facevano seguito lesaltazione dei progressi della scienza e della tecnica. A livello politico, il positivismo non si abbin n a progetti politici reazionari n a progetti politici rivoluzionari, ma espresse un progetto di stabilizzazione moderata basato, per alcuni, sul controllo tecnocratico dei conflitti sociali e politici attraverso un ampio intervento dello Stato, per altri, sullassecondamento della spontanea dinamica economicosociale ritenuta capace da sola di superare i suoi squilibri. Accomunava entrambi i filoni 141

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politici positivisti la ferrea convinzione che la civilt europea fosse entrata nella fase finale di un progresso storico inarrestabile ed irreversibile. In questo senso, il positivismo, tranne alcune eccezioni, in qualche modo partecip della cultura romantica, in quanto, seppure in chiave materialistica, ne mutu lafflato assolutistico. Nel periodo centrale dell800 la letteratura romantica si svilupp raggiungendo la sua maturit. Ne furono esempi emblematici nella letteratura inglese Oliver Twist (1839) e David Copperfield (1850) di Dickens, che innovarono la tradizione dei romanzi di formazione in senso pi realistico sullo sfondo sociale della I rivoluzione industriale inglese; Cime tempestose (1947) di Emily Bronte, forse lesempio pi passionale e viscerale della concezione romantica dellamore; nella nuova letteratura americana Racconti (1845) di Poe, che spaziano dallavventuroso al gotico, Moby Dick (1851), allegoria della vana ma inevitabile lotta delluomo per superare i proprio limiti, La lettera scarlatta (1851) di Hawthorne, storia di un tragico amore adulterino nel contesto storico delle prime comunit puritane del New England; nella letteratura francese i grandi romanzi storici di Hugo, tra cui spicca I miserabili (1862), storia della redenzione umana di un ex galeotto, e di Dumas (I tre moschettieri, 1844, Il conte Montecristo, 1845-6), nonch La certosa di Parma (1839) di Stendhal, unaltra paradigmatica storia damore romantico, tanto struggente quanto impossibile; infine nella letteratura russa con i Racconti di Pietroburgo (1842) di Gogol, che col suo interesse per le situazioni di degradazione sociale e morale anticipa il successivo realismo. Per quanto molti dei romanzieri tardoromantici avessero gi adottato, almeno parzialmente, moduli realistici, intorno alla met dell800 si afferm un nuovo tipo di realismo, che connett, senza soluzioni di continuit, il romanzo romantico a quello naturalistico del 2 Ottocento. Il realismo ottocentesco ebbe la sua origine in Francia con Balzac (La commedia umana, 1842), che gi si basa sullassunto di unanalogia tra organizzazione animale e societ umana, e Flaubert (Madame Bovary, 1851-7), fine analisi sociologica e psicologica della condizione femminile, ma si estese allInghilterra con Tacherary (La fiera delle vanit, 1847-8), superbo entomologo dei nuovi protagonisti competitivi e arrivisti della societ inglese, alla Russia con Turgenev (Memorie di un cacciatore , 1852), che denunci la miseria e loppressione dei servi della gleba, e con Tolstoj che nel grande romanzo storico Guerra e pace (1863-69) dipinse un grandioso affresco delle guerre napoleoniche e della societ russa. Esempio di realismo fu in Italia Nievo con Le confessioni di un italiano (1858), romanzo di formazione storico-psicologico legato alle vicende risorgimentali, che fece da ponte tra il romanzo romantico di Manzoni e quello verista di Verga. Nellultimo periodo dell800 nacque il naturalismo, una nuova forma di realismo che, facendo propria la cultura positivistica, si propose di dare una descrizione scientifica, cio distaccata e oggettiva, della realt sia a livello sociologico sia a livello psicologico, assumendo come temi privilegiati la condizione della nuova classe proletaria e le sue lotte sindacali e politiche. Anche il naturalismo nacque in Francia grazie soprattutto allopera di Zola, tra cui Teresa Raquin (1867) ma soprattutto Germinale (1885), che racconta la condizione e le lotte dei minatori francesi. Dalla Francia il naturalismo si diffuse in tutta Europa: in Germania con Hauptmann (La fabbrica tessile, 1892) e Fontane (Effi Briest, 1895, sul tema della condizione femminile); in Italia, dove assunse il nome di Verismo, con Verga, che in I Malavoglia (1881) raccont la storia di una famiglia di pescatori siciliani che tenta vanamente di uscire dalla miseria; infine alla penisola scandinava con i drammi di Ibsen (Casa di bambola, 1879, che sostenne la causa dellemancipazione della donna) e Strindberg (Il padre, 1887, sulla predestinata sconfitta delluomo a opera della superiorit naturale della donna). Nella poesia, il periodo si apre in Italia con I canti (1831) di Leopardi, uno dei vertici della poesia romantica, di cui esprime il conflitto insuperabile tra la finitezza umana e il suo 142

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inappagabile bisogno dinfinito. Espressione della transizione dal romanticismo al realismo Carducci che in A Satana (1863) assunse un tema tipicamente positivista il progresso tecnico simboleggiato dalla locomotiva a vapore svolgendolo nei toni appassionati del romanticismo. Ma il caso poetico pi significativo fu quello di Baudelaire che in Fleurs du Mal (1857) cant il satanismo, il macabro, la sensualit nonch le segrete corrispondenze tra i sentimenti poetici e lessenza nascosta della realt. Baudelaire, insieme al suo discepolo Mallarm (LAprs-midi dun faune, 1865), furono assunti tra la fine dell800 e linizio del 900 come modelli dalla nuova corrente poetica del simbolismo, che fu parte del pi vasto fenomeno letterario del decadentismo. In questo senso nel secondo 800 si verific una divisione tra il romanzo, che ader alla cultura positivistica, e la poesia che al contrario, sviluppando temi romantici, anticipa il rigetto del positivismo del primo 900. Anche le arti visive furono caratterizzate da un analogo dualismo di poetiche. Infatti, dopo ulteriori sviluppi del romanticismo con il preraffaellismo, nato a Londra nel 1848, le esperienze neogotiche di Ruskin e Morris, e il purismo italiano caratterizzati dal ritorno allo stile e ai soggetti medievali -, la pittura ottocentesca si divise tra limpressionismo, vicino alla cultura positivistica, e il simbolismo, decisamente antipositivistico. La corrente impressionista (Monet, Manet, Pissarro, Renoir, Sisley, Degas) pratic una nuova forma di realismo, basata sulla rappresentazione della natura o di aspetti della vita quotidiana delluomo (bagnanti, ballerine, clienti di caff e ristoranti) cos come essi appaiono allocchio del pittore in un determinato istante di una determinata giornata, caratterizzato pertanto da una luce e quindi da colori del tutto specifici. Al contrario la corrente simbolista (Moreau, Redon, Gauguin), seguendo i canoni del simbolismo poetico, rifiut il realismo per dedicarsi alla rappresentazione del sogno, del mito, o di ambienti naturali e umani esotico-primitivi. In musica, a partire dal soggettivismo di Beethoven, il romanticismo domin incontrastato tutto l800. Sulla base del comune denominatore costituito dallamore per la natura e dal senso del mistero, il romanticismo musicale si articola in un filone intimistico, proprio di Schubert, Schumann e Chopin, e in un filone improntato al titanismo, cui appartengono Berlioz, Liszt, Brahms, Verdi e Wagner. In questultimo, in particolare, confluiscono e sono portati alle estreme conseguenze, nei loro pregi quanto nei loro difetti, tutte le forme e le caratteristiche della musica romantica. La musica di Wagner stilisticamente legata alla ricerca del dramma totale capace di fondere poesia, musica, recitazione, danza e scenografia (architettura, pittura, scultura) e basata sullintreccio dei Leitmotiven (motivi guida), cio su melodie ricorrenti che rappresentano diversi personaggi o forze. Filosoficamente essa invece imperniata sullo scontro tra il principio naturale delleros, che costituisce lAssoluto, e il principio egoistico e artificiale del possesso materiale, come si evidenzia nella tetralogia Lanello dei Nibelunghi (1848-1874). La scuola russa di Rimskij-Korsakov e Musorgskij pratic invece un romanticismo nazionale legato alla tradizione della musica popolare russa. Dunque, mentre nella prima met dell800, la produzione artistico-culturale europea risult omogenea grazie alla comune impronta romantica, nella seconda met del secolo laffermazione del positivismo a livello scientifico e filosofico si tradusse in una spaccatura tra la produzione letteraria di romanzi e pittorico-impressionista, che si fanno veicoli della cultura positivistica, da un lato, e la produzione poetica, musicale e pittorico-simbolista, dallaltro, che invece si contrappose alla cultura positivistica. Ma mentre il filone artisticoculturale di stampo positivistico si caratterizz come una cultura di massa capace di influenzare tutte le classi sociali, dallalta borghesia imprenditoriale al proletariato, quello di stampo antipositivistico fu decisamente minoritario e in questo senso divenne espressione di un lite intellettuale di matrice piccolo-borghese che tendeva a autoidealizzarsi per autopromuoversi socialmente utilizzando gli argomenti e lo stile 143

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antiborghesi e antiproletari che tradizionalmente connotavano laristocrazia. Da questo punto di vista, la dinamica culturale ottocentesca appare strettamente legata allestensione e alla radicalizzazione del processo di laicizzazione e borghesizzazione del ceto intellettuale, avviato tra fine 700 e primo 800, e in particolare al notevole aumento degli intellettuali di origine piccolo-borghese. Si pu anzi dire che a partire dalla fine del secolo la produzione artistico-culturale e pi in generale lattivit intellettuale divennero un appannaggio e insieme il principale strumento di ascesa economico-sociale della piccola borghesia.

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ROTTA A

LIDEALISMO NEGATIVO
Arthur Schopenhauer, connazionale e contemporaneo di Schelling ed Hegel, rientra a pieno titolo nella tendenza - di orgine romantica - della filosofia tedesca a riformare e a sviluppare il criticismo di Kant in senso idealistico. Nonostante la sua aspra polemica con gli idealisti tedeschi, Schopenhauer condivide infatti la loro esigenza del sistema metafisico e la loro critica alla tesi kantiana dellinconoscibilit della cosa in s. Numerosi sono inoltre nel suo sistema filosofico gli elementi mutuati dalla tradizione idealistica (Platone, Plotino, Berkeley) e dagli stessi idealisti tedeschi: lo sforzo (streben) di Fichte, la natura di Schelling, lautocoscienza di Hegel. Tuttavia Schopenhauer - ispirandosi anche alla tradizione religiosa indiana e allo gnosticismo - si differenzia nettamente dallidealismo tedesco perch sostituisce il principio soggettivo, razionale e positivo, dellIo o dello Spirito con un principio impersonale, irrazionale e negativo: la volont. Di conseguenza mentre lidealismo tedesco si risolve nellesaltazione della realt immanente, la metafisica della volont di Schopenhauer giunge a una netta condanna del mondo e della vita. In questo senso nel corso dell800 la filosofia di Schopenhauer inaugura quella corrente antirazionalistica e drasticamente critica nei confronti della societ europea che avr il suo seguito in Kierkegaard e Nietzsche; e nel 900 diventer uno dei riferimenti privilegiati dellesistenzialismo e pi in generale del cosiddetto pensiero negativo. Schopenhauer nacque nel 1788 a Danzica, che in quel momento era una citt libera e multietnica, ma che solo cinque anni dopo fu inglobata nel regno di Prussia. I genitori di Schopenhauer erano di nazionalit tedesca: il padre era un ricco e colto mercante di idee repubblicane e cosmopolitiche, che nel 1793 trasfer tutta la famiglia ad Amburgo per sfuggire al governo prussiano e che si suicid nel 1805; la madre era una donna di vasta cultura e di temperamento artistico, che dopo la morte del marito si trasfer a Weimar dove divenne scrittrice di romanzi e animatrice di un salotto frequentato, tra gli altri, da Goethe, dai fratelli Schlegel e dallorientalista Friedrich Majer. Schopenhauer, dunque, ebbe fin dallinfanzia una formazione culturale aperta e cosmopolitica che a partire dai nove anni pot approfondire, per volont del padre, in continui soggiorni allestero (Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda, Belgio, Austria). Egli impar cos il francese e linglese, studiandone al contempo le rispettive letterature. Dopo aver compiuto studi superiori di indirizzo prevalentemente commerciale, nel 1805 si impieg come tirocinante presso una ditta amburghese. Nel 1807 abbandon il lavoro e intraprese gli studi classici trasferendosi a Weimar, ma abitando separatamente dalla madre. Nel 1809 si iscrisse alla facolt di medicina di Gottinga, dove studi le scienze naturali. La frequentazione dei corsi di psicologia e metafisica di Schulze lo port ad abbandonare la medicina per iscriversi alla facolt di filosofia. Studi Leibniz, Wolff, Hume, Berkeley, Jacobi, ma soprattutto Platone e Kant. Nel 1811 and a Berlino e segu le lezioni di Fichte, che per lo delusero. Si dedic allora nuovamente agli studi scientifici, approfondendo le pi recenti teorie e studiando la filosofia della natura di Schelling. In seguito allo scoppio della guerra con la Francia napoleonica, Schopenhauer nel 1813 abbandon Berlino e si stabil a Rudolstadt, dove scrisse il trattato La quadruplice radice del principio di ragione sufficiente, che pubblic nello stesso anno e grazie al quale ottenne la laurea in filosofia dalluniversit di Jena.

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Alla fine del 1813 Schopenhauer torn a Weimar, dove collabor con Goethe alla elaborazione della sua teoria dei colori, ma soprattutto, su suggerimento di Majer, lesse le Upanishad e studi le dottrine filosofico-religiose indiane. Trasferitosi a Dresda, inizi la stesura della sua opera decisiva, Il mondo come volont e rappresentazione, che usc nel dicembre del 1818 ma con la data del 1819. La prima edizione del Mondo non ebbe alcun successo e la maggior parte delle copie finirono al macero. Anche le recensioni critiche furono poche e prevalentemente negative. Schopenhauer sfog la delusione in un lungo viaggio in Italia durante il quale approfond la sua conoscenza della letteratura italiana e visse una storia damore con una nobildonna veneziana. Tornato in Germania, nel 1820 si trasfer a Berlino e inizi linsegnamento come libero docente nelluniversit in cui imperava Hegel, con il quale ebbe subito uno scontro accademico e di cui sub pesantemente la concorrenza, tanto che i suoi corsi rimasero per anni quasi deserti. Su Hegel Schopenhauer lasci taglienti apprezzamenti, tacciandolo di essere un ciarlatano di mente ottusa, un accademico mercenario e addirittura un sicario della verit al soldo del regime prussiano. Dopo aver alternato per undici anni insegnamento universitario, nuovi viaggi in Italia e in Germania, e nuovi studi filosofici e letterari - apprendendo lo spagnolo e approfondendo la letteratura ispanica - nel 1831 in seguito allepidemia di colera, che avrebbe causato la morte di Hegel, fugg da Berlino e si stabil a Francoforte, dove scrisse il trattato scientifico Sulla volont della natura (1836), in cui espose le prove scientifiche della sua visione del mondo. Nel 1839 ricevette il primo riconoscimento ufficiale: vinse infatti il concorso bandito dalla Reale societ delle scienze della Norvegia con il saggio Libert del volere umano , in cui sostiene la determinazione naturale dellagire delluomo nel mondo fenomenico. Nel 1844 pubblic la seconda edizione del Mondo come volont e rappresentazione , aggiungendovi cinquanta capitoletti intitolati Supplementi che commentano e sviluppano le tesi fondamentali del testo del 1818. Ma anche la nuova edizione della sua opera fondamentale non ebbe successo. Solo nel 1851, con la pubblicazione di Parerga e Paralipomena, una versione divulgativa e sintetica del Mondo, Schopenhauer ottenne finalmente il sospirato successo, soprattutto in Inghilterra. Contemporaneamente, i suoi discepoli aumentarono di numero e di levatura culturale e sociale. Nel 1858, proseguendo instancabilmente le sue letture, lesse Leopardi e in particolare le Operette morali e i Pensieri. Mor di polmonite a Francoforte nel 1860.

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TAPPA 1 SCHOPENHAUER: IL MONDO E UNILLUSIONE UNIVERSALE Infine, chi ha ben penetrato la forma speciale del principio di ragion sufficiente7 che regge il contenuto delle forme precedenti, tempo e spazio, (...) ha con ci stesso colto per intero lessenza della materia come tale, non essendo la materia che mera causalit (...). Lessenza della materia infatti il suo agire, il suo produrre effetti (...) Soltanto con lazione la materia riempie lo spazio e il tempo. La sua azione sulloggetto immediato8 (esso stesso materiale) condizione indispensabile della percezione, senza la quale non pu esistere la materia; lazione poi di un qualsiasi oggetto materiale su di un altro pu essere conosciuta solo in quanto questultimo agisce a sua volta sulloggetto immediato (...) Causa ed effetto: ecco dunque tutta lessenza della materia: il suo essere consiste unicamente nel suo produrre effetti. Schopenhauer, Il mondo come volont e rappresentazione, libro 1, 4 Il mondo una mia rappresentazione, la lapidaria premessa della filosofia di Schopenhauer. Essa attesta che qualsiasi oggetto esiste perch percepito da un soggetto. In altri termini, sostiene a mo desempio Schopenhauer, noi non conosciamo il Sole o la Terra come tali, ma conosciamo un occhio che guarda il Sole o una mano che tocca la Terra. Ci significa che la relazione tra soggetto e oggetto la condizione costitutiva del mondo. Secondo Schopenhauer, le rappresentazioni in cui il mondo consiste possono essere di due tipi: a) intuitive, b) astratte. Le prime si basano sullesperienza, le seconde coincidono con i concetti. Le rappresentazioni intuitive sono costituite da tre forme a priori, cio proprie del soggetto e indipendenti da ogni esperienza: il tempo, lo spazio e la causalit. Lessenza del tempo per Schopenhauer la successione degli istanti; quella dello spazio la posizione di ogni sua parte rispetto alle altre. La causalit costituisce il contenuto e insieme la sintesi delle forme a priori dello spazio e del tempo. Schopenhauer afferma infatti che spazio e tempo, sebbene possano essere intuiti dal soggetto anche separatamente, in rapporto alla causalit non sono mai indipendenti, ma sempre relativi luno allaltro. Infatti n la sola coesistenza nello spazio, n la sola successione di eventi sono sufficienti a configurare una relazione di causa ed effetto, ma solo la loro presenza simultanea e il loro reciproco riferimento. Su queste basi Schopenhauer pu sostenere che la materia una manifestazione del rapporto di causa ed effetto, cio di una forma a priori della ragione umana. In altre parole per Schopenhauer la sensazione della consistenza materiale degli oggetti non che una nostra rappresentazione mentale prodotta dalla forma a priori della causalit. Infatti noi non possiamo rappresentarci il rapporto tra loggetto-causa e loggetto-effetto che come contatto materiale tra parti estese. Viceversa lurto fisico tra due corpi non altro che la raffigurazione sensibile della relazione causale che lega luno allaltro. Per esempio, se la mia mano muovendosi urta un libro, la mia sensazione della relativa durezza del libro,
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E il principio su cui per Leibniz si fondano le verit di fatto. Esso corrisponde alla relazione logica se p allora q che indica appunto che il fatto p la ragione sufficiente a spiegare levento q. 8 Il corpo umano in quanto, a differenza dei corpi esterni, percepito direttamente dal soggetto percepiente.

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per Schopenhauer, non che il mio modo di raffigurarmi sensibilmente la relazione mentale di causa ed effetto tra il libro e la mia mano. La conoscenza intuitiva, secondo Schopenhauer, ha la sua origine nella modificazione del corpo da parte delloggetto, cio nella sensazione. La sensazione, per, opera solo un ordinamento spazio-temporale e fornisce solo dei dati grezzi, privi di significato. Con essi non possibile arrivare a una vera intuizione, ma unicamente a una confusa percezione di mutamenti corporei quale quella che pu avere un vegetale. Solo lintervento dellintelletto, che stabilisce i nessi di causa ed effetto, d un significato alle sensazioni e permette di giungere a una chiara rappresentazione del mondo. Per questo, afferma Schopenhauer, non ci pu essere alcuna separazione tra sensibilit e intelletto. La rappresentazione astratta per Schopenhauer un prodotto della ragione, intesa come la facolt che produce i concetti. Essa sta a quella intuitiva, sostiene Schopenhauer, come la Luna al Sole, ovvero riceve tutto il suo contenuto dallintuizione. E infatti lattivit con la quale la ragione produce chiamata da Schopenhauer riflessione, perch essenzialmente consiste appunto nel riflettere lintuizione. Il concetto dunque per Schopenhauer una rappresentazione di una rappresentazione, cio la copia astratta e universale di unintuizione. La sua universalit, per, non si costruisce filtrando gli aspetti comuni di una pluralit di rappresentazioni intuitive. Al contrario per Schopenhauer il concetto pu unificare una molteplicit di rappresentazioni intuitive in quanto originariamente dotato di universalit. Infatti in quanto rappresentazione di rappresentazione il concetto non determinato dalla particolarit propria dellintuizione sensibile e dunque in s stesso universale. La realt dunque per Schopenhauer una costruzione della mente, anzi del cervello stesso delluomo. La nostra conoscenza del mondo ha la stessa consistenza di un sogno notturno e se ne differenzia solo perch un sogno universale e necessario, cio identico e vincolante per tutti gli uomini. Per questo Schopenhauer afferma che lidealismo lunica filosofia possibile e si richiama a Platone, a Berkeley e allo stesso Kant, da lui considerato lultimo e il massimo esponente dellidealismo. Schopenhauer per distingue nettamente lidealismo autentico da quello di Fichte, Schelling ed Hegel, da lui considerato un falso idealismo, in quanto per lui il mondo non una produzione dellIo o dello Spirito, cio di un soggetto assoluto. La rappresentazione infatti unit indissolubile di soggetto ed oggetto, e dunque loggetto costituito dal soggetto, tanto quanto il soggetto lo dalloggetto. In questo senso i falsi idealisti commettono un errore uguale e contrario a quello dei realisti o materialisti: mentre i primi considerano il soggetto causa delloggetto, i secondi reputano loggetto causa del soggetto. Entrambi sbagliano, seppure in direzioni opposte. In conclusione vi deve essere, secondo Schopenhauer, un altro principio, al di l della relazione tra soggetto e oggetto, che sia origine di questa relazione stessa e insieme del mondo come rappresentazione.

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TAPPA 2 SCHOPENHAUER: IL PROPRIO CORPO COME VOLONTA Al soggetto conoscente che deve la sua individuazione allidentit con il proprio corpo, tale corpo dato in due maniere affatto diverse: da un lato come rappresentazione intuitiva dellintelletto, come oggetto fra oggetti, sottostante alle loro leggi; ma contemporaneamente dato anche come qualcosa di immediatamente conosciuto da ciascuno, e che viene designato col nome di volont. Schopenhauer, Il mondo come volont e rappresentazione, cap. 2, 18 La conoscenza razionale, che ha la sua pi alta realizzazione nella scienza moderna, per Schopenhauer incontra dappertutto limiti insuperabili. Il progresso scientifico ha certamente portato alla scoperta delle forze naturali - dalla gravit al magnetismo e allelettricit - ma esse per Schopenhauer rimangono qualitates occultae, cio propriet misteriose della natura, in quanto la scienza non in grado di scoprirne lorigine e lessenza. Luomo, invece, secondo Schopenhauer, conosce non tanto per avere un sistema ordinato e coerente di rappresentazioni superficiali, ma soprattutto per comprendere il senso del mondo. La ragione scientifica, in questa prospettiva, ha il valore di suscitare una domanda metafisica quali lessenza e il senso delluniverso? - che per non pu ricevere risposta al suo interno. La scienza deve dunque cedere il passo alla filosofia. Solo la filosofia, secondo Schopenhauer, in grado di scoprire quali sono lessenza e il senso dei fenomeni naturali. Ci le consentito perch il filosofo, a differenza dello scienziato, utilizza la ragione pratica. In altri termini, mentre lo scienziato usa la ragione teorica per indagare oggetti esterni al fine di scoprirne le leggi universali, il filosofo rivolge lindagine razionale su se stesso al fine di scoprire le leggi del proprio agire, del proprio comportamento pratico. Ma il se stesso che il filosofo deve indagare attraverso la ragione pratica non per Schopenhauer lio trascendentale, bens il proprio corpo. Questo a sua volta non va inteso semplicemente come insieme di ossa, muscoli, organi, ecc., ma come ununit psicosomatica, cio come una fusione di elementi fisiologici e di elementi psicologici, quali istinti, pulsioni, attitudini, carattere. Cio come un processo dinamico, come unattivit perenne. Il corpo cos inteso, secondo Schopenhauer, pu svelare la verit sullessenza del mondo. Ma perch tale disvelamento si attui, il corpo non deve essere considerato come un oggetto naturale, in modo obiettivo e distaccato, cos come accade per esempio nella scienza medica. Esso deve invece essere intuito nella sua immediatezza pratica, deve essere colto cos come immediatamente si manifesta nel mio comportamento quotidiano. Il corpo allora mi si manifesta, sostiene Schopenhauer, come un flusso perenne di impulsi, bisogni, desideri - di mangiare, di bere, di dormire, di godimento sessuale, ecc. - e come una serie continua di azioni volte a soddisfarli. In questo modo, per Schopenhauer, il corpo mi si svela come volont di vivere. La volont, nel senso impersonale di pulsione di vita, dunque lessenza del mio corpo. Essa, precisa Schopenhauer, non va divisa dai miei comportamenti e intesa cos come causa delle mie azioni di bere, mangiare, ecc. Il rapporto di causa ed effetto infatti riguarda solo il corpo come oggetto, non inerisce al corpo come volont. In altre parole, lazione del corpo e la volont coincidono, la volont tuttuno con il bisogno perentorio di mangiare e con latto che lo soddisfa e i comportamenti del corpo non sono effetti della volont, ma volont materializzata in atto. 149

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In questo senso Schopenhauer sostiene che ogni organo del corpo loggettivazione di un aspetto della volont: per esempio, lapparato digerente fame oggettivata, gli organi genitali istinto sessuale oggettivato, e cos via. La volont scoperta nel proprio corpo ha un carattere individuale, solo la mia volont. Per, sostiene Schopenhauer, una volta scoperta nel proprio corpo, essa pu essere riconosciuta per analogia nel corpo degli altri uomini e quindi in tutte le cose: nella forza che fa crescere le piante, in quella che struttura un cristallo, in quella che sposta lago calamitato a Nord, perfino nellattrazione gravitazionale. Questa generalizzazione non viene proposta da Schopenhauer come una tesi certa ma come la pi attendibile delle ipotesi possibili. Tuttavia, il suo valore congetturale sufficiente a sostenere e a persuaderci che la volont il principio metafisico di tutta la realt sensibile, la cosa in s di cui il mondo come rappresentazione altro non che la proiezione illusoria. La volont in s assolutamente unica. Infatti il principium individuationis - che d origine alla molteplicit di tutti gli esseri naturali - un prodotto dello spazio e del tempo cui la volont non sottost, in quanto ne il fondamento. Ma la volont per Schopenhauer non si manifesta immediatamente negli esseri individuali e nei singoli fenomeni bens si oggettiva attraverso la mediazione delle forze naturali generali: gravit, solidit, fluidit, elettricit, magnetismo, chimismo. Tali forze sono il corrispettivo reale, secondo Schopenhauer, delle idee di Platone. Come lidea platonica, ogni forza naturale unica, immutabile, eterna e rappresenta un certo grado di una scala gerarchica ascendente che comincia dal mondo inorganico e culmina nella specie umana. Filtrando attraverso il prisma del tempo e dello spazio ogni idea si scinde e si fraziona nella molteplicit dei singoli esseri e fenomeni naturali. In questo quadro, la causalit rappresenta il criterio di ordinamento in base al quale i fenomeni naturali si producono. Ma le cause naturali, per Schopenhauer, sono sempre e solo occasionali, in quanto non sono il vero fondamento del fenomeno ma solo i mezzi/modi attraverso i quali la volont agisce e si manifesta nel mondo.

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TAPPA 3 SCHOPENHAUER: LA VERITA DELL'ARTE Quando, elevandosi con la forza dell'intelligenza, l'uomo abbandona la maniera consueta di considerare le cose: quando cessa di cercare, alla luce del principio di ragion sufficiente9, le sole relazioni degli oggetti fra loro, relazioni che, in ultima analisi, non si risolvono che nella relazione di tali oggetti con la nostra volont; (...) quando riempie tutta la sua coscienza della contemplazione tranquilla di qualche oggetto naturale presente, paesaggio, albero, roccia, edificio, (...) e non sussiste pi se non come soggetto puro, come limpido specchio dell'oggetto (...), allora ci che viene conosciuto non pi la cosa particolare come tale, ma invece l'idea, la forma eterna, l'oggettit immediata della volont a quel dato grado; e colui che rapito in tale contemplazione non pi individuo (...), ma assurge a soggetto conoscente puro, a soggetto che di l del dolore, di l dalla volont, di l dal tempo. Schopenhauer, Il mondo come volont e rappresentazione, libro 3, 34 Lindagine scientifica del mondo e lindagine filosofica del corpo come insieme di azioni e funzioni non esauriscono per Schopenhauer le possibilit di conoscenza della realt. Luomo pu conoscere la realt anche adottando un atteggiamento estetico, cio concentrandosi unicamente sulla sua bellezza. In questo modo il mondo viene conosciuto in modo puramente contemplativo, cio in modo del tutto disinteressato, non utilitaristico. P.e., quando sono rapito dalla bellezza della corsa di uno stambecco, non lo considero pi come un animale da cacciare per alimentarmi. In altre parole, quando un individuo prova il godimento estetico nella visione di un belloggetto, secondo Schopenhauer, smette di desiderare fisiologicamente quelloggetto e di agire scientificamente e praticamente per impossessarsene e servirsene. Ma ci significa che la contemplazione estetica addormenta il mio volere, neutralizza e interrompe la volont di vita che il mio corpo - e con essa anche la rappresentazione illusoria del mondo dal momento che questa una una funzione del volere. Di conseguenza nella conoscenza estetica, sostiene Schopenhauer, ogni cosa si manifesta fuori dello spazio, del tempo e della causalit, ovvero come lidea di cui la cosa rappresenta una oggettivazione individuale. Per questo nellarte ogni cosa bella, come secondo Schopenhauer provato dalle nature morte dei pittori fiamminghi che pure riproducono oggetti quotidiani del tutto banali e perfino repellenti. Ci non significa per che si debba attribuire a ogni cosa lo stesso valore estetico. Gli oggetti riprodotti nellopera darte, infatti, hanno diversi gradi di bellezza, a seconda della loro capacit di indurre nelluomo un atteggiamento puramente contemplativo. In questo senso, il massimo livello di bellezza delloggetto artistico obbliga luomo all'atteggiamento contemplativo, glielo impone in modo necessario. Due sono le condizioni, afferma Schopenhauer, del carattere cogente della bellezza artistica: a) l'oggetto rappresentato deve esprimere con esattezza l'idea della sua specie; b) l'idea che l'oggetto esprime deve appartenere a un grado elevato dell'oggettivazione della volont.
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E il principio che si traduce nelle tre forme a priori (spazio, tempo, causalit) che per Schopenhauer costituiscono la conoscenza razionale di tipo scientifico.

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Sulla base di questi due criteri Schopenhauer fonda la superiorit del bello artistico su quello naturale e stabilisce una classificazione gerarchica delle arti. Come le idee, cos anche le arti, in quanto le rispecchiano, hanno un ordine gerarchico ascendente. L'architettura esprime il grado pi basso dell'oggettivazione della volont, cio la forza di gravit. L'essenza artistica dell'architettura, per Schopenhauer, consiste infatti nell'offrire una manifestazione "per vie traverse" della gravit giocando sul contrasto tra slancio e pesantezza. Sopra larchitettura, si collocano, secondo Schopenhauer, la pittura e la scultura degli animali, ma soprattutto dell'uomo, in quanto la specie umana l'oggettivazione naturale di pi alto grado della volont. A sua volta la poesia superiore a pittura e scultura in quanto esprime le idee nella loro purezza razionale ma in forma intuitiva, trasformando i concetti universali in immagini. Essa rispecchia tutti i gradi di oggettivazione della volont, ma soprattutto l'uomo nelle sue aspirazioni e nelle sue azioni. In questo senso il vertice della poesia la tragedia perch rappresenta la lotta perenne che contrappone gli uomini svelando cos il carattere strutturalmente conflittuale della volont. L'arte suprema, secondo Schopenhauer, per la musica. Essa raggiunge il massimo grado di bellezza perch non manifesta le idee, ma la volont in quanto tale, e in modo pi ampio e con una evidenza molto maggiore della tragedia. La musica infatti una copia di incomparabile esattezza della volont e questo spiega perch pu essere compresa da tutti. Essa una oggettivazione immediata della volont cos come le idee e dunque possiede il loro stesso livello di perfezione. Per questo tra suoni musicali e idee intercorre per Schopenhauer un preciso rapporto di parallelismo: i suoni pi bassi corrispondono alle idee inferiori, quelle delle forze meccaniche; i suoni pi alti alle idee che ordinano il mondo vegetale e animale; la melodia infine corrisponde allidea pi alta, quella dell'uomo. Su queste basi, Schopenhauer pu giungere a una decisiva conclusione: lesperienza estetica, soprattutto quella musicale, d una conferma definitiva allipotesi della volont come principio unico di ogni cosa. Pertanto, tale congettura, emersa dallindagine del proprio corpo e dallanalogia con gli altri corpi, passando attraverso lesperienza artistica si trasforma in una verit certa. Per Schopenhauer l'artista non imita la natura. Lartista, infatti, in primo luogo seleziona gli oggetti naturali che intende rappresentare nella sua opera. Solo presupponendo in lui un criterio a priori di bellezza, sostiene Schopenhauer, possibile spiegare come possa scegliere tra gli infiniti enti naturali i modelli della sua produzione artistica. In secondo luogo, continua Schopenhauer, il bello artistico si dimostra superiore a quello naturale, in quanto rispecchia maggiormente le idee. Dunque, anche sotto questo aspetto, la nozione di bello non pu essere fatta derivare dall'esperienza, ma dev'essere necessariamente pensata come presente a priori nell'uomo. Non si tratta, per, sostiene Schopenhauer, di un a priori dello stesso tipo degli a priori della conoscenza razionale: spazio, tempo, causalit. La priori artistico, infatti, non riguarda solo la causalit, cio le relazioni tra le cose, ma anche e soprattutto il contenuto essenziale degli enti naturali; il loro che sostanziale, non il loro mero come; ovvero ci che davvero ognuno di essi , non solo come interagiscono tra loro. Per Schopenhauer, per, il valore pi importante dellarte non consiste tanto nel permettere alluomo di conoscere la verit sulla sua condizione.

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Il suo valore anche e soprattutto pratico: la contemplazione artistica sottrae luomo al dominio della volont e dunque elimina il dolore proprio della condizione umana e indissolubilmente connesso alla volont. Poich per ha una durata limitata, la contemplazione estetica costituisce solo un rimedio temporaneo del dolore esistenziale.

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TAPPA 4 SCHOPENHAUER: LA VITA UMANA COME SOFFERENZA Ad eccezione delluomo, nessun essere si meraviglia della propria esistenza (...). La sua meraviglia tanto pi profonda, in quanto qui, per la prima volta, essa si trova coscientemente di fronte alla morte e in quanto, accanto alla consapevolezza della finitudine di ogni esistenza, le si impone anche, con pi o meno forza, quella della vanit di qualsiasi aspirazione. Schopenhauer, Il mondo come volont e rappresentazione, cap. 17 Ogni tendere nasce (...) da una privazione, da una scontentezza del proprio stato; dunque, finch non sia soddisfatto, un soffrire; ma nessuna soddisfazione durevole; anzi, non che il punto di partenza di un nuovo tendere. Il tendere lo vediamo sempre impedito, sempre in lotta: dunque sempre un soffrire; non c alcun fine ultimo al tendere: dunque nessuna misura e nessun fine al soffrire. Schopenhauer, Il mondo come volont e rappresentazione, cap. 4, 56 Lautoindagine che ogni individuo pu condurre sul proprio corpo alla luce della sua ragione pratica, lestensione per analogia del suo risultato a tutti gli altri corpi, la conferma di tale risultato da parte della conoscenza estetica attestano al di l di ogni dubbio, per Schopenhauer, che ogni cosa essenzialmente volont di vivere. La volont cos innalzata a principio unico, infinito, eterno, onnipotente, immateriale, assolutamente libero. In altre parole, Schopenhauer attribuisce alla volont alcune delle caratteristiche proprie di Dio. Ma allo stesso tempo ne rovescia completamente il valore da positivo in negativo. La volont, infatti, si configura come una forza totalmente irrazionale, impersonale e inconscia, come un impulso cieco, senza scopi, senza giustificazione, privo di senso. Essa infatti mera brama di esistere fine a se stessa, in quanto lunico scopo del suo volere la sua stessa esistenza e nientaltro. Lunico fine della volont dunque per Schopenhauer autoconservarsi, esistere eternamente e in tutti i modi possibili. Limmenso numero degli enti individuali in cui essa si oggettiva solo il mezzo indispensabile a realizzare linfinit della sua esistenza. Per questo motivo gli individui non hanno alcun valore in se stessi e quindi sono destinati a perire. La loro morte infatti condizione necessaria per permettere la nascita di nuovi individui e con essa la moltiplicazione e il proseguimento infiniti delle specie. In questo senso la morte individuale costituisce la manifestazione primaria del dolore e dellinsensatezza costitutivi e irrimediabili dellesistenza. Ci nondimeno la morte solo la condizione generale delle altre innumerevoli forme della sofferenza esistenziale. Infatti, anche se, per assurdo, non andasse incontro alla morte, lesistenza individuale sarebbe comunque segnata perennemente dal dolore. Esistere significa infatti per Schopenhauer volere, e volere significa desiderare. Ma ogni desiderio uno sforzo di raggiungere qualcosa di cui si privi. Il desiderio implica pertanto una triplice sofferenza: quella insita nel presupposto dello sforzo, cio nel bisogno come condizione di mancanza di qualcosa; quella propria dello sforzo in quanto tensione verso qualcosa daltro da s; quella causata dagli ostacoli, naturali e umani, ovvero gli altri uomini come competitori, che si oppongono allo sforzo prolungandolo e intensificandolo. Ma soprattutto, secondo Schopenhauer, vi una sproporzione strutturale tra lintensit e il numero dei desideri e le possibilit reali di soddisfarli tale per cui desiderare significa 154

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essere necessariamente insoddisfatti. Schopenhauer non nega lesperienza del piacere, ma afferma che il piacere non qualcosa in s, bens solo una modalit difettiva del dolore. Esso infatti non altro che una momentanea attenuazione del dolore, cio un minor dolore, quanto basta a illudere gli individui che la vita sia piacevole per farli cos continuare a vivere. Subito dopo ogni suo parziale soddisfacimento, il bisogno e quindi il desiderio risorgono imperiosi come prima. Non solo, ma proprio il pur breve intervallo di appagamento tra il soddisfacimento di un desiderio e il suo riaccendersi occupato da un male molto pi doloroso dello stesso bisogno: la noia. Per questo Schopenhauer paragona lesistenza a un pendolo che oscilla continuamente tra il dolore e la noia. Il desiderio per eccellenza, superiore a tutti gli altri, per Schopenhauer quello sessuale. Infatti, dal momento che la volont ha come unico scopo la conservazione delle specie, la riproduzione la funzione primaria degli esseri viventi. Per questo il desiderio sessuale il pi intenso dei desideri, laffermazione pi decisa della volont di vivere. Ma esso non altro che una riaffermazione del dolore e della morte, in quanto perpetua la condizione di sofferenza in nuovi individui. Ci spiega, secondo Schopenhauer, perch ogni accoppiamento sessuale nelluomo accompagnato dalla vergogna. La legge del desiderio che domina ogni cosa esistente non comporta dolore soltanto sul piano individuale. Come si accennato, non appena consideriamo la dimensione sociale, cio la relazione che ogni ente individuale intrattiene con un altro, scopriamo che da questa deriva una dose aggiuntiva di sofferenza. La volont infatti, secondo Schopenhauer, unica ed quindi totalmente presente in ogni cosa. Per questo ogni ente naturale vuole tutto per s, vuole dominare su tutti gli altri e annientare chi gli si oppone. Inoltre negli esseri umani, ogni individuo considera laltro solo una rappresentazione, cio una cosa in sua funzione, un oggetto dipendente da lui. Ogni uomo dunque egocentrico e ci comporta che il rapporto con gli altri sia necessariamente conflittuale. La societ umana, come lintera natura, dunque una guerra permanente di tutti contro tutti. In questo quadro, si comprende pienamente la funzione della conoscenza sensibile ma anche di quella razionale di tipo scientifico. Le rappresentazioni spazio-temporali e causali della conoscenza sono prodotte dalla volont e sono funzionali alla sua attuazione. Esse infatti costruiscono gli oggetti che suscitano i desideri umani e al contempo forniscono alluomo i mezzi indispensabili a illuderlo di poterli soddisfare. Rotte filosofiche&rotte scientificihe LA VOLONTA COME LIBIDO La teoria della sessualit di Schopenhauer mostra significativi punti di contatto con la teoria psicanalitica che Sigmund Freud elaborer alla fine dell800. Per Freud infatti il principio fondamentale dellessere umano, alla base di tutti i suoi comportamenti, la libido, unenergia inconscia di natura essenzialmente sessuale. Freud, per, da un lato considera la sessualit in un significato molto pi ampio di cui la genitalit - cio la sessualit riproduttiva - solo una modalit; dallaltro lato ritiene che i sentimenti di vergogna ad essa legati non siano naturali bens un prodotto della repressione sessuale su cui si fonda la civilt.

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TAPPA 5 SCHOPENHAUER: LA VIA DELLA LIBERAZIONE DAL DOLORE Nelluomo la volont pu (...) arrivare a una piena coscienza di s, ad una conoscenza chiara ed esauriente del suo proprio essere quale si rispecchia nel mondo. (...) Ma, alla fine del nostro studio, vedremo che la stessa conoscenza impiegata dalla volont come lume a se stessa, rende possibile alla volont medesima la propria soppressione e negazione: cos la libert (...) riesce a insinuarsi nel mondo fenomenico e sopprimendo lessenza di questo, mentre lindividuo continua a sussistere nel tempo, provoca un antagonismo del fenomeno con se stesso fino a creare cos lo stato di santit e di abnegazione. Schopenhauer, Il mondo come volont e rappresentazione, libro 4, 55 Il dolore, sostiene Schopenhauer, una realt universale. Tutti gli enti naturali - minerali, vegetali, animali - soffrono il dominio della volont. Il dolore per aumenta nella natura al crescere del grado di manifestazione della volont. Luomo, in quanto capace di conoscenza razionale, il pi alto prodotto della volont. Per questo luomo, secondo Schopenhauer, lessere che soffre maggiormente, dal momento che la conoscenza lo rende pi consapevole della tragicit e dellinsensatezza della vita. Ma proprio questo sovrappi di dolore, dovuto alla conoscenza, la condizione che pu permettere alluomo di sottrarsi alla schiavit della volont. Il compito della filosofia per Schopenhauer aiutare luomo a realizzare questa possibilit. In altri termini la filosofia per lui non pu avere un fine puramente conoscitivo, ma acquista un senso solo se si pone il fine pratico della liberazione delluomo dal dolore. Solo la volont, in quanto cosa in s, secondo Schopenhauer, libera. Tutti i fenomeni spazio-temporali sottostanno alla ferrea regola della causalit imposta dalla volont. Il comportamento umano non si differenzia: luomo non libero in quanto soggiace come ogni ente naturale alla legge di causa ed effetto. Ogni individuo, afferma Schopenhauer, crede di scegliere liberamente i propri atti, ma in realt questi conseguono alla sua costituzione psicofisica individuale con la stessa necessit per cui dato un triangolo ne segue che la somma dei suoi angoli interni sia 180. Schopenhauer ammette per una decisiva eccezione: luomo pu acquisire la libert che propria della volont come cosa in s quando giunge a comprendere pienamente che il dolore lessenza della vita. Grazie a questa comprensione, infatti, egli pu superare lillusione della conoscenza scientifica e arrivare a conoscere le idee e la volont stessa. In questo modo luomo, secondo Schopenhauer, trascende il mondo fenomenico e pu cos partecipare dellassoluto libero arbitrio della volont universale. Questa, proprio perch assolutamente libera, pu anche volere la propria autosoppressione. Ci permette alluomo consapevole di intraprendere la via della negazione della volont in se stesso. Negare la volont non significa suicidarsi. Per Schopenhauer anzi il suicidio la pi energica affermazione della volont. Il suicida infatti non rinuncia alla volont, ma solo alla vita, e rinuncia alla vita non perch ha rinunciato al desiderio, ma perch si ribella alle sue limitate possibilit di soddisfacimento. Egli dunque uccidendosi afferma al massimo grado la volont. Il suicidio inoltre nega solo lindividuo, non la specie, e quindi non scalfisce minimamente la volont. Secondo Schopenhauer, lautentica liberazione dalla volont consiste invece nelletica, che ha la sua prima espressione nel comportamento improntato alla giustizia.

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Luomo giusto riconosce laltro come uguale a s e per questo rinuncia allegoismo, limitando laffermazione della propria volont in modo da non danneggiare lespressione della volont altrui. La giustizia, per, per Schopenhauer solo una negazione parziale della volont. Come tale essa va sviluppata nellamore, in cui a una piena coscienza del carattere illusorio del principium individuationis corrisponde la totale identificazione con tutta lumanit e limpegno a lenire le sofferenze degli altri. In questo senso lamore essenzialmente compassione, perch ci che spinge ad aiutare laltro sempre il sentimento del dolore universale che accomuna tutti gli uomini e lobiettivo di ridurlo combattendone la causa, cio la volont. Al culmine dellamore, continua Schopenhauer, luomo avverte come proprio il dolore di tutte le creature delluniverso. Ma proprio lacuita consapevolezza del male universale fa sorgere in lui una ripugnanza totale per la volont di vivere. La virt etica si trasforma cos in ascesi, cio in una condotta di vita basata sulla castit, la povert, laccettazione gioiosa dei dolori e delle offese, il digiuno, la mortificazione del corpo. Lo scopo delle pratiche ascetiche la noluntas: estinguere tutti i desideri e con essi la stessa volont di vivere. Il loro compimento la morte ma una morte non subita bens agita in quanto approdo e coronamento del progressivo e graduale spegnimento della volont. Per questo la morte ascetica non segna la fine di un individuo ma quella della cosa in s, cio della stessa volont. Al termine della sua esposizione lo stesso Schopenhauer a domandarsi se la strada della liberazione da lui indicata non abbia come esito il nulla. Egli si risponde evidenziando che il concetto di nulla assoluto logicamente inammissibile e che dunque si pu parlare di nulla solo in senso relativo o privativo, cio come assenza di qualcosa. Se il nulla relativo, allora il punto di vista che decide cosa sia nulla e cosa essere. E solo perch crediamo che il mondo sia lessere che la soppressione della volont ci appare come un nulla. Ma una volta guadagnato il punto di vista dellasceta il mondo, in quanto illusione della volont, a svelarsi come nulla, mentre il nulla, in quanto annientamento del mondo illusorio, si manifesta come il vero essere. In ogni caso, per, la condizione delluomo che si completamente liberato della volont, secondo Schopenhauer, non pu essere conosciuta razionalmente se non in negativo, mai in positivo. Per darne una descrizione positiva si dovrebbe uscire dallambito della razionalit, e quindi della filosofia, per rifarsi allesperienza dellestasi sperimentata da tutti i santi e gli illuminati di ogni epoca e luogo. Ma lestasi unesperienza del tutto personale, comunicabile sono in modo allusivo e analogico, dunque mai in una forma completa e universalmente comprensibile. Tuttavia, bench limitandosi a un discorso in negativo, la filosofia, secondo Schopenhauer, pu e deve dire che la noluntas, in quanto opposto negativo della voluntas, trasforma luomo in puro essere contemplativo e lo innalza a una condizione di totale pace interiore, di profonda calma, di imperturbabile sicurezza e serenit.

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ROTTA B IL CRISTIANESIMO COME FILOSOFIA DELLESISTENZA Nel panorama filosofico dell800 Kierkegaard il filosofo cui spetta la palma del solista. Egli infatti sia per il contenuto sia per lo stile un pensatore originale, fuori da ogni scuola e schema. In questo senso lunica tradizione a cui pu essere ascritto quella esigua, carsica ed eterogenea - degli altri grandi solisti della storia della filosofia, soprattutto il Pascal dei Pensieri e lAgostino delle Confessioni, ma anche Montaigne e Socrate. Come i primi due Kierkegaard si basa sul primato della fede nel Dio cristiano e si propone di attualizzare e far comprendere il significato radicale del cristianesimo; come tutti loro pratica la filosofia come introspezione individuale, antisistematico e frammentario, ricorre a una vasta gamma o addirittura a un intreccio di registri stilistici (saggio, dialogo, racconto, diario), utilizza la retorica (metafore, allegorie, similitudini, ossimori, paradossi) come elemento centrale e costitutivo del proprio messaggio filosofico. Tuttavia, nemmeno Kierkegaard pu sottrarsi del tutto alle inevitabili influenze del milieu culturale in cui si forma. In questo senso la sua esasperata sensibilit filosofica riconducibile sia alla passionale e tormentata visione cristiana di Lutero sia al contorto e lacerante sentimento dello struggimento (Sehnsucht) per linfinito tipico dei romantici. Pi tecnicamente, tra i contemporanei Kierkegaard trova un aggancio filosofico diretto con lultimo Schelling, da cui riprese e svilupp originalmente il concetto di esistenza e la tesi della sua irriducibilit alla razionalit. VITA DI UN CAPITANO Sren Kierkegaard Kierkegaard nacque a Copenaghen nel 1813. Suo padre era un commerciante che aveva raggiunto una certa agiatezza dopo una giovent di duro lavoro e di stenti. Morta la prima moglie, si era risposato con la sua cameriera, avendone sette figli, di cui lultimo, Sren appunto, allet di 56 anni. Kierkegaard, come Kant, fu educato alla cupa e severa visione cristiana del pietismo, un movimento luterano fondamentalista. Di carattere introverso, fin da bambino - come lasci scritto nel suo Diario - soffr di depressione maniacale. Nel 1830 si iscrisse alla facolt di teologia delluniversit di Copenaghen. La sua formazione si bas soprattutto sulla lettura dei romantici, degli interpreti biblici, dei grandi mistici, degli idealisti tedeschi. Per un breve periodo si infatu per lidealismo di Hegel, che poco dopo rigett drasticamente, individuando in Socrate il suo filosofo prediletto. In seguito Kierkegaard tacci Hegel di essere un brillante spirito di putridit e la sua filosofia di essere una abominevole pompa corrutrice. Gli anni universitari del filosofo danese furono funestati dalla morte di cinque fratelli e da quella della madre, ma soprattutto dalla confessione di suo padre relativa a una tremenda colpa assuntosi anni prima, probabilmente ladulterio commesso con la futura madre di Kierkegaard mentre la prima moglie giaceva sul letto di morte. La rivelazione scosse Kierkegaard che ne lasci testimonianza nel suo Diario definendola il grande terremoto della sua vita. Per reazione si allontan dal padre, che sarebbe morto poco dopo, e insieme dalla fede, vivendo da libertino gli ultimi anni universitari. Nel 1840 Kierkegaard si laure in teologia e lanno dopo ottenne il grado di magister artium della facolt di filosofia con la tesi Sul concetto di ironia con riferimento costante a Socrate. Negli stessi anni Kierkegaard si era fidanzato con Regine Olsen, ma aveva poi clamorosamente rotto il fidanzamento, pur continuando ad amare Regine. Successivamente, Kierkegaard declin lincarico di pastore luterano che gli era stato proposto. Su queste due scelte decisive di Kierkegaard influirono la credenza nella punizione che gravava sulla sua famiglia e su lui stesso e soprattutto la consapevolezza che la sua depressione gli avrebbe impedito di essere un buon marito e un buon pastore. Ma 158

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pi ancora Kierkegaard era venuto maturando la convinzione che la sua esperienza familiare e la sua condizione psichica erano segni di una missione personale, quella di dare una testimonianza radicale della fede cristiana. Seguendo questa ispirazione, alla fine del 1941, Kierkegaard si rec a Berlino dove segu le lezioni di Schelling sulla filosofia positiva. Tornato a Copenaghen, grazie alla rendita garantitagli dalleredit paterna, Kierkegaard decise di dedicare la sua esistenza alla scrittura come testimonianza di fede, e pubblic con diversi pseudonimi ben nove opere in soli sette anni, dal 1843 al 1850. La prima e, insieme, lultima opera di Kierkegaard, fu per il Diario che Kierkegaard aveva gi cominciato a scrivere nel 1834, che continu a scrivere fino alla sua morte e che fu pubblicato postumo. Nel Diario, seguendo le orme di Agostino, Montaigne e Pascal, Kierkegaard d attuazione pratica alla sua concezione della filosofia come riflessione autobiografica, come autoanalisi di unesistenza individuale. Le prime opere pubblicate da Kierkegaard sono per Aut-Aut - unopera composita di cui fanno parte, tra gli altri, il saggio Don Giovanni e il romanzo Diario di un seduttore - e Timore e tremore, entrambe del 1843 e strettamente collegate. Dopo aver chiarito e approfondito il tema della ripetitivit intenzionale della vita etica in La ripresa (1843) e i pilastri concettuali del suo pensiero - esistenza, singolarit, possibilit - in Briciole filosofiche (1844), Kierkegaard amplia la sua riflessione filosofica in Il concetto dellangoscia (1844). Successivamente approfond i temi di Aut-Aut in Stadi nel cammino della vita (1845) e quelli di Briciole filosofiche in Postilla conclusiva non scientifica (1846), e infine termin il suo affresco filosofico indagando il sentimento della disperazione in Malattia mortale (1849). Nel 1855, Kierkegaard pubblic a sue spese e redasse da solo il periodico Il momento, per polemizzare contro il razionalismo dei vescovi luterani e la perdita del senso autentico del cristianesimo da parte della societ danese. Nel vivo di questa violenta polemica, nel corso della quale si trov sempre pi isolato e bersagliato da feroci critiche, Kierkegaard si ammal e in breve trov la morte a soli 42 anni.

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TAPPA 1 KIERKEGAARD: LE FORME POSSIBILI DELLESISTENZA La fede appunto questo paradosso, cio che il Singolo come Singolo pi alto del generale10; esso giustificato di fronte a questo, non subordinato ma sopraordinato11. Questo per va inteso a questo modo: ch il Singolo il quale, dopo essere stato subordinato come Singolo al generale, ora mediante il generale diventa il Singolo il quale, come Singolo, sopraordinato; il Singolo come Singolo sta in un rapporto assoluto allAssoluto. Questo punto di vista non si lascia trattare con la mediazione, poich ogni mediazione avviene appunto in virt del generale; esso e resta per tutta leternit un paradosso, inaccessibile per il pensiero. S. Kierkegaard, Aut-aut Il presupposto decisivo della filosofia di Kierkegaard limpossibilit di ridurre la vita concreta di ogni uomo a un sistema di principi razionali. Per Kierkegaard, infatti, il pensiero razionale non precede ma segue lesistenza, ne una manifestazione specifica. Dunque non dal pensiero che si pu dedurre lesistenza, bens dallesistenza che si pu dedurre il pensiero. Ragione ed esistenza inoltre sono incommensurabili. Infatti, mentre la ragione costituita di uniformit concettuali astratte, statiche e sovratemporali, lesistenza invece unicit, differenza, movimento, divenire. Su queste basi, Kierkegaard pone al centro della sua ricerca luomo inteso come singolo individuo. Per luomo, infatti, esistere (dal latino ex-sistere) significa emergere, uscire fuori, differenziarsi dal genere cui si appartiene. Ma se lesistenza umana non si risolve nelle propriet comuni dellumanit, ci significa che libera e che si svolge nella dimensione della pura possibilit. La riflessione filosofica, secondo Kierkegaard, se non pu imprigionare lesistenza in formule razionali, pu per giungere a individuare delle modalit tipiche dellesistenza. Esse non sono generalizzazioni induttive di tutte le esperienze esistenziali, ma tipicizzazioni analogico-intuitive dellesperienza esistenziale di un uomo. Tali modalit tipiche sono: lesistenza estetica, lesistenza etica, lesistenza religiosa. Con laggettivo estetica Kierkegaard denota unesistenza improntata al godimento dei sensi e al gusto del bello. Luomo estetico, cio, vive per il piacere sensibile ma fa al contempo dello stile la sua condizione determinante. Ci che conta per lui non tanto il godimento immediato, naturale, grezzo, bens un godimento formalmente raffinato e fortemente cerebrale, cio preparato e costruito sapientemente in modi sempre nuovi e originali, intessuto di aspettative, attese, fantasie, avventure. Kierkegaard presenta tre personaggi esemplari della vita estetica. Il primo il Don Giovanni dellomonima opera lirica di W.A. Mozart, linstancabile seduttore che rappresenta con le sue conquiste il tentativo di vivere tutte le possibilit di vita senza lasciarsi mai imbrigliare da alcuna di esse. Il secondo Faust, il protagonista dellomonima opera di Goethe, che vende la sua anima a Mefistofele in cambio di una vita eccezionale, in cui possa gustare tutte le possibili esperienze. Il terzo Johannes, un personaggio inventato dallo stesso Kierkegaard e ispirato al suo vissuto, che ha come unico scopo quello di progettare e attuare un elaboratissimo piano di seduzione di una vergine. Lobiettivo finale di Johannes - il rapporto sessuale - conta solo come pretesto, ed continuamente rimandato per lasciare spazio a un gioco di continui avvicinamenti e allontanamenti legato
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La collettivit umana come ordine etico universale. Non inferiore al generale, bens gli superiore.

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allinvenzione di situazioni sempre nuove, di colpi di scena sempre pi originali e fantasiosi. Questi tre personaggi sono accomunati da una condotta di vita sospesa e dispersa nella possibilit, che rifugge cio dai vincoli che ogni realizzazione concreta comporta. In questo senso luomo estetico per Kierkegaard colui che vive senza scegliersi - cio senza decidersi per una propria specifica identit - passando cos da una maschera allaltra. Di conseguenza egli vive il tempo come una successione di attimi, che stanno uno accanto allaltro senza alcuna continuit, cio senza durata. In altre parole luomo estetico non matura, bens rimane immutato, fissato a un eterno presente di fanciullo. Lesistenza estetica, secondo Kierkegaard, per destinata a naufragare contro lo scoglio della ripetitivit. Proprio la continua invenzione di nuove forme di piacere da parte dellesteta tradisce la sua paura della noia. Per quanto possa essere abile, prima o poi luomo estetico finisce nella ripetizione. Sopraffatto dalla noia, cade nella disperazione. Davanti a lui si apre allora unalternativa secca: o fingere di non essere disperato e riprendere disperatamente il suo gioco estetico; oppure riconoscere la propria disperazione e spiccare il salto verso unaltra dimensione di vita. Lesistenza etica la dimensione della scelta. Mentre vivere esteticamente significa lasciarsi essere quello che immediatamente si , vivere eticamente significa per Kierkegaard diventare ci che si sceglie intenzionalmente di essere. La scelta fondamentale che luomo etico compie quella di se stesso, della sua stessa personalit. Luomo etico, insomma, colui che decide di realizzarsi in una sola possibilit, rinunciando alle altre, e si d cos unidentit unica e stabile. Ci significa considerare lesistenza come un compito, come un dovere interiore, come unopera da realizzare. Kierkegaard offre un solo esempio di uomo etico, il giudice Guglielmo, un personaggio di sua invenzione caratterizzato dalle sue funzioni di professionista, marito, padre e funzionario statale. La scelta di se stessi, infatti, non per Kierkegaard qualcosa di astratto o di individualistico, bens ci che vi di pi concreto e sociale. Essa si articola in una serie di scelte particolari tra cui spiccano quelle del lavoro e del matrimonio. Il lavoro infatti non una necessit estrinseca, ma uno strumento fondamentale per divenire se stessi. Attraverso di esso luomo, secondo Kierkegaard, da un lato deve provare la preoccupazione per il sostentamento quotidiano e dallaltro deve forgiare la sua personalit scegliendo un mestiere come una propria vocazione. Analogamente, nel matrimonio luomo etico si costruisce unidentit determinata e permanente scegliendo di amare una sola persona per tutta la vita. In entrambi i casi ci che conta non il valore intrinseco delloggetto della scelta - il mestiere o la moglie -, bens il fatto che essi siano lesito della propria scelta. Infatti la decisione individuale che trasforma linteresse per un mestiere in una vocazione, lattrazione per una donna in un amore unico ed eterno e la propria moglie nella donna pi bella e desiderabile. Vivere eticamente significa, insomma, optare per lordinariet contro la straordinariet, per la normalit contro leccezionalit, per luniformit sociale contro lindividualismo. Anche lesistenza etica, secondo Kierkegaard, destinata allo scacco. In essa infatti luomo diventa sempre pi consapevole dello scarto incolmabile tra il suo ideale di perfezione morale e la sua imperfezione pratica. Questa consapevolezza induce nelluomo etico il pentimento, cio il riconoscimento della propria insuperabile limitatezza. Ma tale riconoscimento, per Kierkegaard, pu essere autentico e pieno solo se coincide con il riconoscimento di Dio in quanto perfezione trascendente. Allora davanti allindividuo etico si apre la possibilit di saltare nellesistenza religiosa. Lesempio assoluto di uomo religioso , per Kierkegaard, Abramo. Allorch obbedisce alla richiesta di Dio di sacrificargli il figlio Isacco, Abramo, infatti, colui che d la pi 161

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autentica prova di fede. Leccezionalit di Abramo, secondo Kierkegaard, sta nel fatto che compie la volont divina nonostante ami suo figlio con tutte le sue forze, nonostante sia angosciosamente consapevole di infrangere una norma etica, ma soprattutto agendo non per paura o servilismo bens per una totale e convinta fiducia in Dio. In altri termini, Abramo eccezionale perch crede nellassurdo, crede cio che il sacrificio di suo figlio avrebbe accresciuto la sua felicit terrena sebbene la sua convinzione risulti anche per lui razionalmente inconcepibile, realisticamente del tutto infondata. La sua fede ricompensata da Dio, che allultimo momento gli impedisce di sacrificare Isacco rendendo cos effettivamente pi gioiosa, prospera e felice la sua vita successiva. Nonostante il lieto fine, lagire di Abramo, secondo Kierkegaard rimane incomprensibile e scandaloso per luomo etico, che in lui pu vedere solo un assassino o un folle. Per luomo religioso, invece, Abramo lesempio assoluto delle fede proprio in quanto questa superiore alleticit e dunque ne sconvolge i criteri. La fede, infatti, per Kierkegaard innalza il singolo al di sopra delluniversalit, oltre qualsiasi norma collettiva. Essa non nasce dalla riflessione ma dalla passione pi profonda, ed assurdit e paradosso. Daltra parte, per, la fede non pulsione irrazionale, perch presuppone lesperienza della vita etica, senza la quale non fede ma solo cieco e selvaggio individualismo. In questo senso Kierkegaard definisce la fede come un movimento dellinfinito, cio un processo graduale e consapevole. Questo processo si scandisce per Kierkegaard in due momenti fondamentali: quello della rassegnazione, cio della rinuncia al finito, dellaccettazione dellimpossibilit di raggiungere la piena soddisfazione nel mondo; quello della ripresa, cio del ritorno al finito, della riconquista della possibilit di raggiungere la piena soddisfazione nel mondo. Conseguentemente, Kierkegaard descrive il cavaliere della fede come un uomo apparentemente qualunque, come un comune borghese, pieno di allegria, capace di apprezzare e gustare fino in fondo le pi piccole, banali e piatte gioie della vita quotidiana.

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TAPPA 2 KIERKEGAARD: LANGOSCIA COME VERTIGINE DELLA LIBERTA Il divieto angoscia Adamo, poich il divieto sveglia in lui la possibilit della libert. Ci chera rimasto fuori dellinnocenza come il nulla dellangoscia entrato ora dentro di essa stessa e qui di nuovo un nulla, cio la possibilit angosciante di potere. S. Kierkegaard, Il concetto dellangoscia Langoscia secondo Kierkegaard la modalit esistenziale con cui luomo entra in rapporto con le sue possibilit di realizzazione nel mondo. Essa , cio, il sentimento che manifesta la facolt delluomo di scegliere liberamente la propria vita. Luomo, infatti, come ogni animale, per Kierkegaard una sintesi di anima - intesa come principio vitale - e corpo. Ma, a differenza degli animali, questa sintesi nelluomo non possibile senza lintervento di un terzo elemento, lo spirito, un principio puramente interiore, non biologico. Proprio perch il rapporto tra anima e corpo mediato dallo spirito, luomo pu scegliere liberamente come realizzare la loro sintesi. Per questo lo spirito, afferma Kierkegaard, vissuto in modo ambivalente dalluomo. Da un lato egli lo ama, perch gli permette di comportarsi liberamente, dallaltro lo odia perch genera in lui langoscia della scelta e della responsabilit personale. Sulla base della sua concezione dellangoscia, Kierkegaard interpreta lepisodio biblico del peccato originale di Adamo. Il primo uomo, secondo Kierkegaard, viveva in origine nellEden in uno stato di completa innocenza, ovvero di ignoranza. Adamo godeva cos di una condizione di totale quiete non avendo nulla contro cui lottare. Egli non era ancora spirito, ma solo il sogno, ovvero il presagio, dello spirito. Ma proprio in quanto spirito sognato Adamo si avvert come possibilit assolutamente indeterminata e vuota, cio come nulla. Questo primo e minimale grado di coscienza spirituale appunto langoscia. Langoscia, infatti, non paura di qualcosa di determinato, di reale, bens la paura della libert come possibilit pura, la paura dellindeterminato e del non ancora reale. Kierkegaard, inoltre, collega lemergere dellangoscia in Adamo con lordine di non mangiare i frutti dellalbero della conoscenza impartitogli da Dio. Adamo non poteva comprendere il contenuto esplicito del divieto divino, in quanto, proprio perch non aveva ancora mangiato quei frutti, non possedeva alcuna cognizione del bene e del male. Egli, per, secondo Kierkegaard, ne comprese il significato implicito: se Dio gli proibiva qualcosa ci voleva dire che egli era libero di agire, che aveva il potere di scegliere, ovvero di obbedire o di trasgredire. Cos, continua Kierkegaard, il divieto divino attualizz in Adamo langoscia, prima solo latente, rendendola il sentimento inquietante del suo potere di scelta. Tuttavia, langoscia se il presupposto del peccato originale, non ne per la causa. Langoscia infatti di per s non una colpa, non peccato, in quanto in origine tuttuno con linnocenza e afferra Adamo come una potenza esterna. Dunque tra langoscia provata da Adamo e la sua successiva scelta di disobbedienza vi per Kierkegaard un salto che non razionalmente comprensibile, ma che il fondamento della responsabilit e della colpa individuali. Nella sua interpretazione del mito biblico, Kierkegaard spiega anche il ruolo di Eva. Secondo lui, Eva, pur essendo un essere spirituale del tutto alla pari delluomo, in quanto nata da una costola di Adamo, ne rappresenta una derivazione e quindi possiede per questo un pi cosciente e potente sentimento dangoscia. Questa maggiore potenza dellangoscia femminile per Kierkegaard strettamente connessa alla maggiore sensualit

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della donna. Che la donna sia pi sensuale delluomo, dimostrato da Kierkegaard fondamentalmente da due fatti: 1. il corpo della donna pi bello di quello delluomo 2. il corpo della donna, a differenza di quello maschile, ha la capacit di generare un altro essere umano. Ora, poich il corpo insieme la sede e lespressione della sensualit, evidente che la superiorit corporale della donna si traduce nella superiorit della sua sensualit. Questo secondo Kierkegaard spiega perch Eva sia caduta nella tentazione del serpente prima di Adamo e abbia contribuito a tentarlo. Ci non significa affatto che la sensualit sia per Kierkegaard in se stessa peccaminosa. Al contrario, la sensualit innocente ed il peccato commesso che la fa diventare peccaminosa, trasformandola in sessualit. In altre parole, afferma Kierkegaard, la sessualit la coscienza peccaminosa del proprio corpo che nasce in conseguenza del peccato originale. Il sentimento che segna la nascita della sessualit la vergogna, intesa da Kierkegaard come una modalit dellangoscia e precisamente come langoscia per la determinazione dello spirito da parte non solo e non tanto di un corpo, quanto soprattutto come determinazione da parte di un corpo sessuato, cio sessualmente caratterizzato. Il riscontro di questa tesi, si ha per Kierkegaard in ogni esperienza erotica e in particolare al culmine del rapporto sessuale, cio nellorgasmo. Ma non perch lorgasmo sia di per s peccaminoso, ma perch esso, in seguito al peccato originale, rappresenta il momento della totale assenza dello spirito nelluomo, cio il momento in cui luomo regredisce a mero essere naturale, cio ad animale. Adamo, come tutti gli esseri umani, per Kierkegaard al tempo stesso particolare e universale, individuo e specie. Per questo, per quanto il suo primo peccato sia una sua colpa personale, esso si trasmette a tutti i suoi discendenti, cio a tutta lumanit. Ci non significa, per, che gli uomini non siano responsabili individualmente dei loro peccati. Infatti, chiarisce Kierkegaard, tra la colpa di Adamo e quelle di tutti gli altri uomini vi una differenza quantitativa, ma anche unidentit qualitativa. La differenza quantitativa dovuta al fatto che, in seguito allesperienza di Adamo, i suoi discendenti hanno una pi sviluppata coscienza dellangoscia cui corrisponde una maggiore propensione al peccato in quanto, essendo riflessa, langoscia agisce pi potentemente su di loro. Lidentit qualitativa, invece, dovuta al fatto che ogni uomo parte da una condizione di innocenza analoga a quella di Adamo nellEden e rivive come lui lesperienza originaria dellangoscia e del peccato. Nel suo stato iniziale di innocenza lindividuo sperimenta langoscia come una vertigine della libert. Ricorrendo allallegoria, Kierkegaard spiega che come se ogni individuo dallalto della coscienza della sua libert lanciasse uno sguardo nellabisso delle sue infinite possibilit esistenziali. In quel momento lindividuo preso dalla vertigine dellangoscia e cade nellabisso del possibile (linfinito). Per vincere lintollerabile angoscia, allora, luomo afferra una solida roccia (il finito) che sporge dalla parete. Quando vi si alza sopra sa di essere colpevole, anche se il passaggio dalla caduta alla colpa rimane un mistero in quanto non si configura come una relazione di causa ed effetto. Solo dopo questo salto qualitativo dalla caduta alla colpa, sostiene Kierkegaard, si pone lalternativa tra il bene e il male e si istituisce dunque la vita etica. Infatti per Kierkegaard il bene coincide con la libera scelta del bene ed dunque la facolt umana di scegliere liberamente che istituisce la distinzione tra bene e male, non il contrario. Ma cosa succede dopo il primo peccato individuale? Una volta che la colpa commessa pu ancora il singolo provare langoscia? Kierkegaard risponde affermativamente, spiegando come la prima colpa commessa da un individuo non possa non avere delle 164

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conseguenze. Langoscia riemerge proprio in relazione alle possibili conseguenze della colpa originaria. Ci significa che lindividuo sa che si trover di fronte a una nuova scelta tra diverse possibilit e che egli potrebbe ancora una volta scegliere quella del perdimento, cio assumersi una nuova colpa. Insomma, secondo Kierkegaard, dopo la prima caduta, luomo pu cadere ancora pi in basso e cos via, perch non c alcun limite allabbrutimento morale. Anzi, da questo punto di vista per Kierkegaard nemmeno il pentimento pu porre un argine allangoscia, alla caduta e al salto nella colpa. Il pentimento infatti non toglie la colpa commessa n evita le sue conseguenze negative, ma solo un vano angustiarsi per luna e le altre. Ci nonostante, per Kierkegaard langoscia pu avere per luomo anche una funzione positiva. Essa infatti innanzitutto la manifestazione di quella libert grazie alla quale luomo superiore agli esseri naturali. Ma soprattutto langoscia, in quanto sentimento dellinfinit della possibilit, spinge luomo a relativizzare e superare il finito, cio ogni limitato bene materiale e ogni parziale realizzazione esistenziale, indirizzandolo cos verso la trascendenza divina. Infatti, solo nel rapporto con Dio, in quanto libert e possibilit assolute, langoscia delluomo pu trovare il suo sbocco adeguato e insieme il suo acquietamento. Rotte del passato&rotte del futuro LANGOSCIA NELLESISTENZIALISMO DEL PRIMO NOVECENTO La concezione dellangoscia forse il pi importante lascito della filosofia di Kierkegaard al pensiero contemporaneo. Essa fu ripresa, sviluppata e reinterpretata, per esempio, dai due maggiori esponenti della filosofia dellesistenza che nacque in Europa tra le due guerre mondiali: M. Heidegger e J.-P. Sartre. In Heidegger langoscia il sentimento del nulla in quanto esperienza dellanticipazione della propria morte da parte dellindividuo che si apre cos allesistenza autentica. In Sartre langoscia diventa invece lesperienza del nulla propria dellassoluta libert umana in quanto capacit di negare e quindi di annullare qualsiasi condizione oggettiva.

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TAPPA 3 KIERKEGAARD: LA DISPERAZIONE COME MALATTIA MORTALE Quando il maggior pericolo la morte, si spera nella vita; ma quando si conosce il pericolo ancora pi terribile, si spera nella morte. Quando il pericolo cos grande che la morte divenuta speranza, la disperazione assenza della speranza di poter morire. In questultimo significato la disperazione chiamata la malattia mortale: quella contraddizione tormentosa, quella malattia dellio di morire eternamente, di morire eppure di non morire, di morire la morte. Perch morire significa che tutto passato, ma morire la morte significa vivere, provare vivendo il morire; e poter vivere in questo stato per un solo momento vuol dire dover vivere in eterno. S. Kierkegaard, La malattia mortale La disperazione per Kierkegaard la modalit esistenziale con cui lio umano vive il suo rapporto con se stesso a causa della sua impossibilit di realizzarsi autonomamente. Essa qualificata come una malattia mortale da Kierkegaard non perch provochi la morte fisica, ma perch consiste nella morte dellio. In altre parole, la disperazione la morte interiore, spirituale, che si abbina alla vita fisica e perfino al migliore stato di salute del corpo. In questo senso il disperato per Kierkegaard una sorta di morto vivente, di morto che non pu morire, o anche un vivo che anzich la vita vive la morte. Kierkegaard sceglie il termine disperazione proprio per sottolineare la totale mancanza di speranza, perfino dellestrema speranza, quella appunto di poter morire. Infatti la morte spirituale, a differenza di quella naturale, non una fine ma una durata senza fine. La disperazione, secondo Kierkegaard, pu avere diverse origini e diverse forme, a seconda della personalit di ogni individuo. Kierkegaard si propone di svolgerne un esame, distinguendo innanzitutto unanalisi della disperazione indipendentemente dalla sua consapevolezza e una in riferimento alla sua consapevolezza. Nellambito della prima direzione analitica la disperazione pu essere vista sotto due determinazioni: quella del finito e dellinfinito; quella del necessario e del possibile. Lio per Kierkegaard ha in s una componente finita e una infinita. La sua realizzazione sarebbe raggiungere la sintesi tra queste sue due componenti. Ma tale sintesi risulta impossibile e luomo riesce solo a sbilanciarsi alternativamente verso linfinito o verso il finito. La disperazione pu pertanto manifestarsi in due modi: o per la mancanza del finito o per la mancanza dellinfinito. Il tentativo delluomo di farsi infinito si basa sulla fantasia, che si fa guida del sentimento, dellintelligenza e della volont. Ma seguendo la fantasia lio si perde in un sentimentalismo astratto e si priva di legami concreti con gli altri uomini, diventando sempre pi evanescente fino ad annientarsi. Allopposto lio pu cercare di realizzarsi completamente come qualcosa di finito. In questo modo per, secondo Kierkegaard, perde ogni originalit e si omologa completamente agli altri. Questo tipo di io raggiunge facilmente il successo mondano, onorato e stimato dalla societ, ma rinuncia alla sua personalit ed spiritualmente nullo.

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La stessa dialettica di reciproca negazione senza sintesi si ripropone, secondo Kierkegaard, in un altro rapporto costitutivo dellio, quello tra possibilit e necessit. Infatti, se lio cerca di realizzarsi nella possibilit, non riesce a darsi alcuna concretezza, si agita a vuoto, o inseguendo un desiderio irraggiungibile o struggendosi in una malinconia fantastica. Allio della possibilit manca la forza di piegarsi ai propri limiti e quindi la capacit di determinarsi. Al contrario, se lio cerca di realizzarsi nella necessit, si sente subito soffocato, in quanto la possibilit per lio ci che per i polmoni laria. Lio della necessit infatti determinista o fatalista, annulla la sua interiorit nellesteriorit, lasciandosi invadere e dominare dai fatti esterni. Considerando la disperazione in rapporto alla consapevolezza Kierkegaard ne distingue due forme: 1. la disperazione di non voler essere se stesso, o della debolezza; 2. la disperazione di voler essere se stesso, o dellostinazione. Una modalit della prima innanzitutto la disperazione per qualcosa di terreno, che propria delluomo immediato, delluomo istintivo che vive la vita come desiderio e godimento. Per questo tipo duomo, afferma Kierkegaard, la disperazione si origina passivamente da un evento accidentale, per esempio subire la perdita di un bene materiale o una sconfitta professionale o sentimentale. Egli allora desidera essere un altro, desidera cambiare il proprio io cos come si cambia un vestito, ma ben presto si accorge che ci non possibile. Nelluomo che invece ha raggiunto un certo livello di interiorit, la disperazione nasce dalla riflessione, non un subire, ma almeno parzialmente un agire. Egli infatti cerca di identificarsi completamente con il suo io, ma prima o poi ne scopre un difetto che considera inaccettabile. Allora, pur non nutrendo lillusione di poter diventare un altro, abbandona provvisoriamente il suo io nella speranza di poterlo ritrovare cambiato, diverso, privo di difetti. Ma anche questa unillusione di breve durata. Una seconda modalit della disperazione della debolezza denominata da Kierkegaard disperazione delleterno. In questo caso, lio ha raggiunto la consapevolezza che debolezza disperarsi per qualcosa di terreno, ma sprofonda nella disperazione proprio perch non riesce a superare questa propria debolezza. In realt, secondo Kierkegaard, questo tipo duomo si dispera per la mancanza delleterno, ma in modo puramente negativo, cio solo in quanto vorrebbe sentirsi appagato dal suo contrario, leffimero. La disperazione di voler essere se stesso, o ostinazione, implica per Kierkegaard un maggior grado di consapevolezza e in questo senso pienamente attiva. Questo tipo di disperazione si basa infatti sulla coscienza del carattere eterno ed infinito dellio. Essa ostinazione perch questo carattere assolutizzato, creduto totale e reale, quando invece nelluomo solo parziale e astratto. Luomo ostinato si crede totalmente padrone di se stesso, ma in realt, secondo Kierkegaard, come un re senza regno, non fa che costruire castelli in aria o combattere contro mulini a vento. Prima o poi egli fa inevitabilmente lesperienza di un suo limite, che diventa per lui come una scheggia nella carne. In questo caso, per, non chiede aiuto a nessuno perch lo aiuti a liberarsene. Al contrario lostinato cerca di fare del suo difetto un pregio, una dote personale, e del suo tormento un motivo di orgoglio. Lanalisi della disperazione condotta da Kierkegaard mette capo a una significativa conclusione: la disperazione non una condizione accidentale e temporanea di alcuni uomini, ma lo stato esistenziale costitutivo e permanente di ogni uomo. Tutti gli uomini sono soggetti alla disperazione e si differenziano tra loro solo per il grado di consapevolezza che ne hanno e per la conseguente modalit in cui la vivono. 167

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In questa prospettiva Kierkegaard sostiene ancora una volta una tesi paradossale: la disperazione quella malattia che pi grave quando si manifesta blandamente o non si manifesta affatto. Infatti se un uomo ha raggiunto il massimo grado di disperazione da un lato certo corre il massimo pericolo - cio quello di non uscirne pi - ma dallaltro ha la sola possibilit di uscirne, di guarirne completamente. Da questo punto di vista, proprio lindividuo che assolutamente convinto di non essere disperato il pi disperato di tutti, in quanto il pi lontano dalla guarigione. Kierkegaard giunge cos a svelare quello che per lui il pi profondo significato della disperazione: essa non altro che lunico, vero, essenziale peccato che luomo commette: non riconoscere Dio come propria origine. Kierkegaard chiarisce che questo il motivo per cui luomo non pu essere n finito n infinito, n possibilit, n necessit, n se stesso ma nemmeno un altro: luomo un essere finito che deriva per da un essere infinito di cui conserva in s, nella sua profonda identit, una impronta indelebile. Pertanto, se si considera autosufficiente, luomo non pu che involgersi in una perenne, irrisolvibile, dilacerante contraddizione. Proprio perch da un lato non solo finito, ma anche infinito, e dallaltro non pu essere pienamente infinito, in quanto non ha in s il principio della propria infinitezza, luomo non potr mai arrivare da solo alla sintesi, allequilibrio tra finito e infinito, tra possibilit e necessit, tra voler essere se stesso e non voler essere se stesso. Lunico esito positivo della disperazione dunque, secondo Kierkegaard, la fede nel Dio cristiano. La fede infatti consiste essenzialmente, per Kierkegaard, nel mettersi in rapporto con se stesso e nel voler essere se stesso, riannodandosi per in modo trasparente alla propria origine infinita, cio a Dio. In altre parole, luomo attraverso la disperazione pu giungere a comprendere limpossibilit della propria autosufficienza, a scoprire che stato posto da qualcosaltro e infine a entrare in rapporto con questa alterit. Egli cos pu guarire dalla disperazione e realizzarsi pienamente come se stesso, trovando in Dio la compensazione dei suoi limiti e soddisfacendo attraverso il rapporto con Dio il proprio insopprimibile bisogno di perfezione e assolutezza. Per questo, conclude Kierkegaard, lunica alternativa al disperarsi credere.

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VIAGGIO IV LA RAZIONALITA SCIENTIFICA COME MOTORE DEL PROGRESSO STORICO-SOCIALE


Cannocchiale su. Lorizzonte scientifico dellOttocento Anche se una piena integrazione tra scienza, tecnica e industria si realizz solo alla fine dellOttocento, gi a partire dallinizio del secolo il progresso tecnico e scientifico fece un salto di qualit grazie alla sua interazione con lo sviluppo industriale: da un lato lindustria pi cresceva pi aveva bisogno di fondare i processi produttivi su solide basi teoriche e di rinnovare continuamente la propria tecnologia, dando in questo modo impulso alla ricerca scientifica; dallaltro questultima si estendeva e si approfondiva utilizzando i nuovi strumenti di ricerca e sperimentazione messi a disposizione dallo sviluppo tecnico dellindustria. Emblematica, da questo punto di vista, listituzione per iniziativa dello scienziatoimprenditore tedesco Liebig del primo laboratorio di chimica, nel quale fu utilizzato il cosiddetto sistema di Giessen, cio il primo metodo di collaborazione collettiva applicata alla ricerca scientifica, destinato a diffondersi in breve in tutti i paesi scientificamente avanzati. Sullonda di questo nuovo rapporto tra industria e scienza, il paradigma materialisticomeccanicistico - costruito nel corso del 600 da Galilei e Newton e sviluppato nel 700 dai filosofi e dagli scienziati illuministi celebr il suo trionfo. I caratteri fondamentali del paradigma meccanicistico emerso dalla rivoluzione scientifica moderna erano: la riduzione di tutta la realt a materia indistruttibile dotata di movimento; il carattere corpuscolare della materia per cui questa s divisibile in parti ma non oltre un certo limite in quanto composta da particelle minime indivisibili; la conservazione della quantit totale di moto/forza, che pu redistribuirsi tra le parti materiali ma mai n aumentare n diminuire complessivamente; la trasmissione del moto/forza da una parte materiale allaltra in base a relazioni di causa ed effetto in cui vige una totale equivalenza tra la quantit di moto/causa e la quantit di moto/effetto; la completa quantificazione e quindi la totale matematizzazione delle parti materiali, dei loro moti e dei loro rapporti causali. In poche parole, luniverso unenorme macchina matematica in movimento perenne in cui le molteplici parti/ingranaggi ricevono le une dalle altre e trasmettono le une alle altre il moto/forza. Tra la fine del 700 e linizio dell800, il paradigma meccanicistico aveva ormai conquistato la maggioranza della comunit scientifica. Nel corso dell800 ebbe cos il via uno dei pi tipici e lunghi periodi di scienza normale (! T. Kuhn: The Structure of Scientific R e v o l u t i o n s , 1962), cio di attivit scientifica dedicata al perfezionamento, allapprofondimento e allespansione di un paradigma, assunto come certo e innoppugnabile, attraverso la ricerca sperimentale. Il rafforzamento e lo sviluppo del paradigma meccanicistico si ebbe innanzitutto nella scienza che ne era stata la culla, cio la fisica. In questa direzione diede un contributo fondamentale la Meccanica analitica (1811) del piemontese Lagrange, il quale fece fare un salto di qualit alla matematizzazione dei concetti-base della meccanica (forza, velocit, accelerazione, ecc.) applicando loro le derivate e gli integrali del calcolo infinitesimale. In questo modo, Lagrange rese la meccanica una compiuta scienza ipotetico-deduttiva: egli

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riusc infatti a dedurre matematicamente tutte le propriet fisico-meccaniche a partire dai pochi concetti-base. Il francese Laplace utilizz a sua volta la meccanica matematica lagrangiana per dare un formidabile impulso alla fisica astronomica. In sintonia con la teoria cosmologica gi elaborata da Kant, Laplace riusc infatti a mettere a punto una teoria fisico-matematica dellorigine e della formazione del nostro sistema planetario basata sullevoluzione meccanica di un originario ammasso gassoso. Forte di questo risultato Laplace giunse poi a teorizzare il determinismo totale delluniverso e la conseguente possibilit di principio di una sua conoscenza completa. Assunto, infatti, che ogni evento fisico , da un lato, effetto totale di tutti gli eventi precedenti e, dallaltro, causa totale di tutti quelli successivi, ne derivava, per Laplace, che sarebbe possibile descrivere lintero divenire cosmico, passato e futuro, a partire dalle condizioni fisiche totali (numero delle particelle materiali, loro posizioni reciproche, loro velocit, forze agenti, ecc.) delluniverso in un qualunque istante. Di fatto tale tesi per Laplace non si poteva provare perch non si conoscevano tutte le condizioni delluniverso in un istante dato. Ci per non escludeva la possibilit che un giorno tali condizioni potessero essere conosciute e dunque che in futuro si potesse giungere a una conoscenza scientifica totale. Nel frattempo anche per Laplace era necessario accontentarsi di previsioni probabilistiche e in questo senso egli diede anche un importante contributo allo sviluppo del calcolo probabilistico. Fermo restando, per, che il limite probabilistico della scienza non era imputabile alle caratteristiche delloggetto fisico, ovvero a una loro anche solo parziale irregolarit, ma unicamente ai limiti almeno provvisori delle capacit conoscitive del soggetto umano. In questo quadro, possibile comprendere in tutta la sua epocale portata il significato della risposta che Laplace diede alla famosa domanda postagli da Napoleone I, dopo che ebbe ascoltato lesposizione della sua teoria cosmologica: E Dio che ruolo ha in tutto questo?: Dio? Non ho avuto bisogno di questa ipotesi. In altre parole, a differenza di Newton, che aveva dedicato a Dio un capitolo dei Principia , indicandolo come la causa prima della materia e del moto, Laplace poteva permettersi di fare a meno di Dio come causa motrice delluniverso e dunque di attribuirgli una funzione allinterno della fisica. Egli port cos a compimento il processo storico-culturale di completo affrancamento della scienza dalla teologia. Dopo il 1830, il progresso dellindagine fisica miet nuovi allori soprattutto nellambito dellastrofisica: la prima misurazione effettiva della parallasse della Terra rispetto alle stelle fisse (1838) e lesperimento del pendolo di Foucault (1851) fornirono finalmente le prove inoppugnabili della fondatezza della teoria eliocentrica. Inoltre nel 1846, grazie ai calcoli permessi dalla legge gravitazionale di Newton, fu prima ipotizzato e subito dopo scoperto un nuovo pianeta al di l di Saturno: Nettuno. Cos, la secolare guerra scientifica cominciata nel 1543 con la pubblicazione del De revolutionibus orbium coelestium di Copernico poteva considerarsi conclusa con la disfatta del geocentrismo e la vittoria definitiva delleliocentrismo, vessillo e insieme ariete della rivoluzione scientifica moderna. Ma un contributo forse ancora pi consistente al successo del paradigma meccanicistico venne da unaltra scienza: la chimica. La pubblicazione nel 1789 del Trait lmentaire de chimie del francese Lavoisier pu essere a buon diritto considerato latto di nascita della chimica scientifica. Lavoisier, proprio assumendo come modello la fisica newtoniana, attu infatti il passaggio dal tradizionale metodo qualitativo, basato sulluso dei sensi, al nuovo metodo quantitativo-matematico e sperimentale, basato sulla pesatura delle sostanze con strumenti di precisione. Egli inoltre elabor la definzione di elemento, individu e classific 33 elementi, invent una nuova nomenclatura e soprattutto stabil il principio di conservazione della massa, diventato poi la legge di Lavoisier: Si pu porre per principio che in ogni operazione si abbia una quantit uguale di materia prima e dopo loperazione;

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che la qualit e la quantit dei principi la stessa e che non vi sono se non alcuni cambiamenti e alcune modificazioni. Innescata da Lavoisier, la rivoluzione scientifica della chimica prosegu allinizio dellOttocento con la scoperta della legge delle proporzioni semplici di Proust, della legge delle proporzioni multiple di Dalton e del principio di Avogadro, il quale riusc a pesare gli atomi assumendo come unit di misura il peso dellatomo didrogeno. In questo modo si ebbero i primi riscontri sperimentali della struttura corpuscolare della materia, che fino a quel momento era rimasta solo unipotesi filosofica. Un altro clamoroso passo avanti in questa direzione fu la messa a punto della Tavola periodica degli elementi da parte di Mendeleev nel 1869. In onore di Democrito, che nel V sec. a.C. aveva sostenuto lesistenza di atoma (indivisibili), cio di particelle elementari irriducibili di materia, le porzioni non divisibili (per allora) degli elementi chimici furono chiamate atomi. Al di l del fatto che si scambiarono inizialmente gli atomi con le molecole, si trattava di una sensazionale conferma del paradigma meccanicistico sullonda della quale esso pot muovere alla conquista di nuovi territori inesplorati della fisica: lelettrodinamica e la termodinamica. Entrambe queste nuove scienze, infatti, riescono a ricondurre al moto di particelle materiali elementari, e quindi a quantificare e matematizzare, fenomeni quali elettricit, magnetismo e calore che fino a quel momento erano stati considerati eminentemente qualitativi e come tali spiegati in base al paradigma magico-animistico. Dopo la scoperta della pila elettrica (1800) da parte di Volta e le successive indagini sperimentali che attestarono sempre pi la connessione tra elettricit e magnetismo, la Teoria dei fenomeni elettromagnetici (1828) del francese Ampre pose le fondamenta della nuova scienza elettrodinamica che nel 1841 trov piena conferma con la scoperta della legge di Joule, la legge basilare dei fenomeni elettrici. Poco dopo, grazie soprattutto a Faraday (teorizzatore della struttura elettrica materia), fu progettata e realizzata linduzione elettro-magnetica che provava nel modo pi netto che elettricit e magnetismo costituivano un solo tipo di forza. La termodinamica, invece, nacque dagli esperimenti sulla trasmissione del calore nel vuoto e attraverso i corpi. Fu Fourier a dare una prima formulazione matematica delle sue propriet e delle sue leggi, mentre successivamente Carnot arriv a stabilire il primo principio della termodinamica secondo il quale la trasformazione del calore in energia meccanica comporta una dispersione di calore. Grazie alla nascita e allo sviluppo della termodinamica un altro fenomeno fisico tradizionalmente considerato qualitativo, e pertanto irriducibile al meccanicismo, fu ricondotto al movimento di particelle materiali e alla spiegazione matematico-quantitativa. Mentre la ricerca chimica giungeva a realizzare nel 1828 la prima sintesi di laboratorio di una sostanza organica, lurea, in biologia, a partire dalla costruzione del microscopio a lenti acromatiche nel 1827, si ebbe la decisiva scoperta della cellula considerata lequivalente dellatomo nei corpi viventi. In questo modo, la teoria cellulare, integrata dalla successiva scoperta della funzione glicogena del fegato, permise di assimilare il funzionamento di un organismo vivente complesso, corpo umano compreso, a quello di una macchina che brucia zuccheri e da questa combustione trae energia e dunque movimento. Su questa base la nuova visione materialistico-meccanicistica delluomo giunse a teorizzare che il pensiero sta al cervello come la bile sta al fegato: in altre parole, il pensiero altro non sarebbe che una secrezione ghiandolare, ovvero qualcosa di totalmente riducibile alla materia. Altri notevoli passi avanti della ricerca scientifica in campo biologico, soprattutto per lenorme impulso che diedero allo sviluppo della medicina, furono la scoperta (1872) dei microrganismi (batteri, virus) da parte di Pasteur e lisolamento (1882) del batterio della tbc da parte di Koch. Queste ultime due scoperte furono fondamentali per promuovere il

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successo del paradigma meccanicistico in quanto ebbero un enorme impatto positivo sullo stato di salute della popolazione europea. Ma soprattutto la biologia, scienza anchessa considerata qualitativa e legata a paradigmi tradizionali di tipo vitalistico, fu conquistata dal paradigma meccanicistico grazie alla teoria dellevoluzione di Darwin (1859). Questa teoria produsse nell800 un effetto di sconvolgimento culturale maggiore di quello prodotto dalla teoria copernicana nel 1500, mettendo in crisi soprattutto le teorie religiose dellorigine del mondo e delluomo ma pi in generale tutte le visioni tradizionali della realt. Infatti secondo la teoria darwiniana, tutte le specie viventi si sono formate per evoluzione di un primo organismo unicellulare in base, in primo luogo, a mutazioni accidentali dei geni nel corso della riproduzione e, in secondo luogo, alla selezione naturale di tali mutazioni dovuta allinterazione di ogni nuovo essere vivente con lambiente (lotta per la sopravvivenza). In questo modo, nel corso di milioni di anni, le mutazioni favorevoli allesistenza e alla maggiore riproduttivit degli individui si sono conservate e trasmesse modificando e moltiplicando i primi esseri viventi nella miriadi di specie esistenti. In un colpo solo, dunque, levoluzionismo darwiniano abbatteva 3 capisaldi della cultura e della mentalit tradizionali: 1. il fissismo, cio lidea che le specie viventi fossero immutabili e dunque esistessero cos comerano dallorigine del cosmo, idea che chiaramente supportava la fede nella creazione divina; 2. il finalismo, cio lidea che i fenomeni biologici avvenissero e fossero dunque spiegabili in relazione a uno scopo perseguito da ogni essere vivente a sua volta connesso a un fine universale complessivo (p.e., lesistenza dellumanit); 3. leterogeneit e la superiorit della specie umana, ossia il fatto che luomo non fosse considerabile un animale, o quanto meno un animale come tutti gli altri. La teoria darwiniana trovava supporto nella geologia scientifica, nata quanto meno nel 1830 con la pubblicazione di Principi della geologia da parte di Charles Lyell, che aveva sostenuto la nuova teoria delluniformismo, secondo la quale la configurazione della crosta terrestre dipendeva da lenti e costanti processi di sollevamento e di erosione, per cui si era stimato che la Terra doveva essere nata da milioni di anni. Questa nuova stima dellet del nostro pianeta da un lato confutava la credenza religiosa nella datazione della creazione divina a 4.000 anni prima di Cristo, dallaltro confermava che gli esseri viventi avevano avuto a disposizione il necessario lasso di tempo per evolversi secondo le modalit indicate da Darwin. Anche sulla scorta di questa riconduzione delluomo alla sua natura animale, il paradigma meccanicistico venne sempre pi applicato anche allindagine conoscitiva sulla realt individuale e collettiva delluomo, una dimensione da sempre appannaggio della letteratura, dellarte, della filosofia, ovvero legata a un paradigma umanistico-spirituale. Nacquero cos le scienze umane (psicologia, antropologia, sociologia, storia), che tendevano a riportare il pi possibile il mondo umano al mondo naturale (p.e. nello studio della societ umana, ogni individuo il corrispettivo della cellula, ovvero dellatomo) e ad adottare il metodo quantitativo, matematico e sperimentale che stava trionfando nella ricerca fisica e biologica. Sulla base di questi successi, dellestensione del metodo della ricerca collettiva, dei nuovi mezzi di comunicazione, dellincremento della produzione editoriale, si venne formando per la prima volta una vera e propria comunit scientifica europea e perfino mondiale. Tuttavia, proprio il grande sviluppo della ricerca scientifica a tutti i livelli port alla scoperta delle prime anomalie, cio di fatti sperimentali o teorie in contrasto con il paradigma meccanicistico, preludio della sua successiva crisi. P.e., in campo matematico, vennero scoperte, ampliate e sempre pi accreditate le geometrie non-euclidee che misero in crisi lunivocit e loggettivit della concezione euclidea dello spazio, fondamento di tutta la fisica. In campo fisico, e segnatamente in quello della termodinamica, la scoperta del 172

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principio di entropia (1850), secondo il quale il calore passa sempre dai corpi pi caldi a quelli pi freddi, mise in crisi il principio di reversibilit fisica corollario necessario del paradigma meccanicistico. Lanomalia costituita dallentropia, ovvero dalla freccia del tempo, fu risolta con la teoria della probabilit, assumendo che la reversibilit dei fenomeni termici avesse un grado minimo di probabilit di accadimento, tale per cui di fatto risultava impossibile constatarla, pur esistendo. Questa soluzione minava per la concezione deterministica della realt perch, nel caso dellentropia, il ricorso al calcolo probabilistico non era pi addebitabile alla carenza dei dati conoscitivi a disposizione (a parte subiecti) ma alla natura stessa del mondo fisico (a parte obiecti). Negli anni Settanta, soprattutto, proprio da una delle pi grandi conquiste scientifiche del secolo, la teoria elettromagnetica di Maxwell, scatur unanomalia irriducibile: la costanza della velocit della luce per qualsiasi osservatore, sia in avvicinamento sia in allontanamento sia fermo, che metteva in crisi il principio di relativit galileiana e quindi la possibilit di unificare tutti i fenomeni fisici. Dai molteplici tentativi tutti fallimentari - di domare questa anomalia, ovvero di renderla compatibile col paradigma materialistico-meccanicistico, sarebbe scaturita la rivoluzione scientifica contemporanea.

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ROTTA A IL POSITIVISMO SOCIALE Comte il padre fondatore di una delle pi importanti e durature tendenze filosofiche contemporanee che egli stesso denomina positivismo basandosi sia sul significato originario del termine positivo ci che posto, che istituito, ovvero reale, effettivo, esistente sia sulle sue numerose accezioni, derivate dalluso: certo, esatto, vero, di valore, affidabile, costruttivo, utile. Per Comte il positivo, cio la realt, coincide con la fisicit, ovvero ci che non fisico non esiste. Pertanto lunica conoscenza positiva quella scientifica, cio quella sperimentalmente accertabile. La scienza, infatti, grazie al metodo sperimentale, conoscenza della realt fisica, cio di tutto ci che esiste. Ogni altra produzione culturale umana, in quanto non scientifica, priva di qualsiasi valore conoscitivo e pratico, solo inganno e superstizione: le religioni tanto quanto le filosofie, la letteratura tanto quanto la storia, le ideologie politiche tanto quanto larte. Sulla base di questo presupposto radicale, Comte si dedica allelaborazione di un progetto di rifondazione complessiva della cultura occidentale incardinato sulla scienza. In primo luogo, stabilisce quali sono le scienze autentiche, come si connettono organicamente tra loro e in cosa consiste il metodo sperimentale. In secondo luogo, fonda una nuova scienza la fisica sociale, ovvero una scienza della societ umana basata sui principi e i metodi della meccanica capace di completare la conquista scientifica della realt abbattendo lultimo baluardo della tradizione antiscientifica. In terzo luogo, avanza una proposta di riconfigurazione delle istituzioni statali basata sullidea di un governo scientifico, affidato cio ai fisici sociali, gli scienziati della societ. Infine, fonda una religione della scienza, definendone dottrina, precetti e riti, e istituendo una nuova chiesa scientifica basata su una propria gerarchia, propri santi e proprie liturgie, convinto che la cultura scientifica si sarebbe potuta affermare solo fornendo unalternativa completa a tutti i bisogni dellumanit, innanzitutto quello religioso. VITA DI UN CAPITANO AUGUSTE COMTE Nato a Montpellier nel 1798 da genitori di modeste condizioni, studi allcole Polytechnique, istituita durante la rivoluzione francese per la formazione degli ingegneri e alla quale Napoleone I aveva dato nel 1805 uno statuto militare e una prestigiosa sede a Parigi. Durante i cento giorni di Napoleone, Comte partecip al movimento studentesco che prima sostenne il ritorno dellimperatore e poi, dopo Waterloo, contest la restaurazione monarchica. Di conseguenza, fu costretto a lasciare la scuola statale e a proseguire la sua formazione da autodidatta, studiando opere filosofiche, soprattutto degli illuministi, ma anche testi scientifici. Il prezzo della coerenza di Comte fu la sua emarginazione dal mondo accademico e intellettuale ufficiale nonch la permanente precariet della sua condizione economica. Dal 1818 al 1824, per, Comte stabil un rapporto di amicizia e collaborazione con lintellettuale illuminista e politico rivoluzionario Claude-Henri de Saint-Simon, di quasi quarantanni pi grande di lui, che gli offr anche un lavoro retribuito come suo segretario. Dalla comune attivit di ricerca scaturirono alcune idee la societ industriale basata sulla cooperazione tra imprenditori e operai allinsegna della scienza e della tecnica; la filosofia positiva incentrata sulla scienza e capace di rimpiazzare la religione che Saint-Simon rese note come proprie. Comte ne protest la paternit e ruppe il rapporto con Saint-Simon. Rimasto solo e senza lavoro, Comte cerc di ottenere una cattedra allcole Polytechnique ma riusc a strappare soltanto incarichi precari come assistente ed esaminatore. Negli stessi anni cominci a tenere lezioni private di filosofia positiva nel suo appartamento e si spos con un ex prostituta che 174

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lo lasci, per poi tornare con lui, diverse volte. Colpito da una grave crisi depressiva, trascorse un periodo di cura in una clinica per malati mentali e, una volta dimesso, tent anche il suicidio. Si riprese trascrivendo le sue lezioni e pubblicando cos, in 6 volumi dal 1830 al 1842, la sua opera pi importante: Corso di filosofia positiva, di cui le successive Discorso sullo spirito positivo (1844) e Discorso sullinsieme del positivismo (1848) costituiscono versioni sintetiche e divulgative. Grazie alla diffusione di Corso di filosofia positiva, nel 1841 Comte divenne amico di John Stuart Mill, filosofo inglese liberaldemocratico e poi lui stesso positivista, il quale promosse anche una sottoscrizione a favore di Comte tra i suoi lettori e simpatizzanti inglesi. Ma nel 1844 anche questa amicizia si ruppe a causa delle divergenze filosofiche. Nel 1845, Comte si innamor, ricambiato, di Clotilde de Vaux, sorella di un suo allievo, scrittrice, gi sposata e non divorziata perch il marito laveva abbandonata fuggendo allestero per sottrarsi al pagamento di debiti di gioco. Comte decise di convivere con lei e questa volta riusc a stabilire una profonda e armonica intesa. La sua gioia fu per breve: pochi mesi dopo, nel 1846, Clotilde de Vaux mor di tubercolosi. Comte sent che Clotilde era per lui ci che Beatrice era stata per Dante, ovvero un tramite verso una dimensione superiore. E infatti negli anni successivi la filosofia positiva di Comte assunse sempre pi un carattere religioso, che emerse parzialmente nel Sistema di politica positiva (1851-1854, 4 volumi), dedicato al modello di societ e di Stato positivi, e fu invece esplicitato totalmente in Catechismo positivista (1852), opera in cui Comte propose una nuova religione basata sul pensiero scientifico.

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TAPPA 1

COMTE: IL SISTEMA DELLE SCIENZE


Per ottenere una classificazione naturale e positiva delle scienze fondamentali dobbiamo cercarne il principio nella comparazione dei diversi ordini di fenomeni di cui esse tendono a scoprire le leggi. Quel che vogliamo determinare la dipendenza reale dei diversi studi scientifici. Orbene, tale dipendenza pu risultare soltanto da quella dei fenomeni corrispondenti. Considerando da questo punto di vista tutti i fenomeni osservabili vedremo che possibile classificarli in un piccolo numero di categorie naturali, disposte in maniera tale che lo studio razionale di ogni categoria sia fondato sulla conoscenza delle leggi principali della categoria precedente e diventi il fondamento dello studio di quella seguente. Questordine determinato dal grado di semplicit o il che lo stesso dal grado di generalit dei fenomeni, da cui risulta la loro dipendenza successiva e, di conseguenza, la maggiore o minore facilit del loro studio. E infatti chiaro a priori che i fenomeni pi semplici, quelli che risultano meno complicati degli altri, sono necessariamente anche i pi generali; infatti ci che si osserva nel maggior numero di casi , per ci stesso, svincolato il pi possibile dalle circostanze proprie di ciascun caso particolare. Occorre quindi cominciare dallo studio dei fenomeni pi generali o pi semplici, procedendo in seguito fino ai fenomeni pi particolari o pi complicati, se si vuole concepire la filosofia naturale in maniera veramente metodica. Infatti questordine di generalit o di semplicit, determinando necessariamente il collegamento razionale delle diverse scienze fondamentali mediante la dipendenza successiva dei loro fenomeni, stabilisce pure il loro grado di facilit. Comte, Corso di filosofia positiva, lezione 2, trad. di Pietro Rossi, in Positivismo e societ industriale, Loescher 1973 Per Comte la scienza lunica forma di sapere che abbia un effettivo contenuto conoscitivo, ossia lunico sapere veritiero. Sulla base di questa assunzione, Comte si chiede: quali e quante sono le scienze? Che relazioni intercorrono tra esse? Quali sono i requisiti della scientificit? In cosa consiste il metodo scientifico? Come nascono e come evolvono le scienze? La risposta a queste domande affidata alla filosofia, che pertanto concepita e praticata da Comte esclusivamente come indagine sulla scienza. In breve, per Comte lunica filosofia possibile filosofia della scienza, e la filosofia positiva appunto filosofia della scienza. Sulla base della sua riflessione filosofica, Comte stabilisce in primo luogo quali sono le uniche scienze: 1. lastronomia; 2. la fisica; 3. la chimica; 4. la biologia; 5. la fisica sociale (o sociologia). Dallelenco delle scienze, Comte esclude sia la matematica e sia la psicologia, ma per due motivi del tutto opposti. Secondo Comte, la matematica il linguaggio stesso e, al contempo, la logica stessa della scienza. In altre parole, Comte, seguendo la tradizione di Galilei e Newton, ma anche del connazionale Descartes, afferma che una conoscenza scientifica se descrive e spiega la realt in base a quantit e relazioni matematiche. 176

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Per quanto riguarda, la psicologia, Comte ritiene, invece, che la psiche, cio la coscienza o interiorit delluomo, sia inconoscibile. Lindagine scientifica, infatti, presuppone la distinzione tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto, ma questa viene meno non appena lo scienziato tenti di indagare la propria psiche attraverso lintrospezione. Tuttavia, ci non significa che luomo non possa essere studiato scientificamente in assoluto, anzi. Luomo, per Comte, pu essere indagato come specie animale dalla biologia e come essere civile e sociale dalla sociologia. In entrambi i casi lo scienziato studia le caratteristiche e i comportamenti fisici esteriori delluomo e pertanto il soggetto conoscente (la mente umana) e loggetto conosciuto (il corpo umano) rimangono ben distinti. Dunque, le scienze sono solo cinque. Ma quello che apparentemente ne solo un elenco in realt ne delinea il sistema. La successione stabilita da Comte, infatti, non casuale, ma definisce un ordine relazionale e, insieme, genetico. Tale ordine si incardina in 2 propriet per cos dire inversamente proporzionali: a) la generalit decrescente: lastronomia la scienza pi generale, la fisica sociale quella pi particolare o specifica; b) la complessit crescente: lastronomia la scienza pi semplice, ossia col minor numero di variabili e relazioni; la fisica sociale la scienza pi complessa, ossia col maggior numero di variabili e di interconnessioni. Al tempo stesso, lelenco comtiano delle 5 scienze contiene un ordine di generazione nel tempo, ovvero rappresenta una sorta di albero genealogico delle scienze. Infatti: lastronomia per Comte la scienza che nata per prima, la fisica sociale per ultima; e dalla fisica in poi ogni scienza nasce sulla base di quella precedente, come fecondata dai risultati da essa acquisiti. Naturalmente facile notare la connessione logica tra le prime 2 e questultima propriet del sistema comtiano delle scienze: lastronomia nasce prima proprio perch pi semplice della fisica; la fisica parte dallastronomia proprio perch entra, per cos dire, pi nel dettaglio della realt conosciuta dallastronomia; e cos via. Dopo aver cos definito il quadro sistematico delle scienza, Comte affronta il nodo del metodo delle scienze, indicandone innanzitutto un denominatore comune: la superiorit dellosservazione sullimmaginazione. Egli precisa poi che losservazione si articola in 3 modalit: 1) losservazione empirica, cio la conoscenza dei fatti attraverso i sensi naturali; 2) losservazione sperimentale, cio la conoscenza dei fatti basata sulla predisposizione di un contesto artificiale e luso di apparecchiature tecniche capaci di potenziare i sensi naturali; 3) la comparazione dei fatti sia empirici sia sperimentali. In questo modo, Comte d indubbiamente una connotazione induttivistica al metodo scientifico: questo consiste nellinferire regole generali da dati dosservazione singolari. In altre parole, lo scopo della scienza individuare le leggi dei fenomeni, cio le loro relazioni invariabili di successione e similitudine. Daltra parte quello comtiano non affatto un induttivismo ingenuo e monolitico. Comte infatti afferma chiaramente che: " la ricerca dei fatti orientata da unipotesi teorica; " il fatto deve essere sempre interpretato in base a una teoria; " i fatti singolari non possono essere correlati in leggi generali senza teoria. In questo senso, il metodo scientifico deve consistere in uninterazione tra elaborazione teorica e verifica sperimentale, ossia, come dice Comte, in un uso ben combinato del ragionamento e dellosservazione. Non solo. Comte attribuisce un ruolo anche allimmaginazione, che ha il compito di inventare ipotesi teoriche di partenza che stimolino e orientino losservazione. Resta fermo, per, che sia limmaginazione sia il ragionamento puro devono essere selezionati in base allosservazione, ossia appunto dal controllo empirico/sperimentale. Infatti, afferma Comte, ogni proposizione che non strettamente 177

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riducibile alla semplice enunciazione di un fatto, particolare o generale, non pu presentare nessun senso reale e intelligibile. Comte, inoltre, sostiene anche che il metodo scientifico generale cos delineato debba essere diversamente modulato a seconda delle diverse scienze. In altre parole, a seconda del tipo di scienza, nella combinazione di immaginazione, ragionamento e osservazione, la proporzione di ognuna e la forma della loro interazione devono cambiare. Pi precisamente, il ruolo di immaginazione e ragionamento maggiore passando dallambito delle scienze della natura inorganica (astronomia, fisica e chimica) allambito delle scienze della natura organica (biologia e fisica sociale). Infatti, le scienze della natura inorganica, pi semplici, devono procedere dalle parti al tutto (p.e. dallatomo alla molecola), e pertanto il metodo scientifico deve privilegiare losservazione e la generalizzazione induttiva. Invece, le scienze della natura organica, pi complesse, devono procedere dal tutto alle parti (p.e. dal corpo umano ai suoi organi, tessuti, cellule) e di conseguenza maggiore devessere il peso dellinvenzione teorica e del procedimento ipotetico-deduttivo. In conclusione, bench assuma come modello di scienza la fisica meccanica di Galilei e Newton, Comte evita il riduzionismo e valorizza le specificit metodologiche delle altre scienze, segnatamente della biologia e della sociologia. In questo senso, pur riconoscendo che il sogno di ogni scienziato quello di ricondurre tutti i fenomeni a una sola legge universale sogno realizzato da Newton per lastronomia e la fisica grazie alla sua legge di gravitazione universale Comte fermo nel negare la possibilit di trovare una legge universale capace di unificare tutti i fatti e quindi tutte le scienze; e molto netto nel difendere la specificit e la parzialit delle diverse leggi delle differenti scienze, in particolare della fisica sociale. Rotte filosofiche&rotte scientifiche Da Comte alla teoria dei sistemi e alla cibernetica Alcuni aspetti della filosofia della scienza di Comte possono essere proficuamente collegati alla attuale problematica scientifica della complessit. In estrema sintesi per complessit si intende un fenomeno che presenta un numero tale di variabili indipendenti e di correlazioni da risultare indeterminabile e dunque imprevedibile. Complessi, p.e., sono le perturbazioni atmosferiche ma anche i corpi organici, che in quanto tali vengono definiti sistemi. Per il loro studio considerato pi adeguato un approccio olistico, cio centrato sulla priorit del tutto rispetto alle parti, in base allassunto che, in un sistema complesso, il tutto pi della somma delle sue parti. Dalla problematica della complessit hanno preso il via sia la teoria dei sistemi (Bertalanffy: Teoria generale dei sistemi, 1969) sia la cibernetica, la scienza del trattamento automatico delle informazioni, oggi pi nota come informatica o teoria dellinformazione. Da esse nato il concetto di sistema aperto, secondo cui i fenomeni (fisici, biologici, sociologici) non si devono pi studiare solamente in riferimento allo scambio di materia ed energia ma anche e soprattutto in riferimento allo scambio di informazioni.

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TAPPA 2

COMTE: LA SOCIOLOGIA O FISICA SOCIALE


Studiando cos lo sviluppo totale dellintelligenza nelle sue diverse sfere di attivit, dal suo primo e pi semplice sviluppo ai giorni nostri, credo di aver scoperto una grande legge fondamentale alla quale assoggettato da una necessit invariabile, e che mi sembra possa essere solidamente stabilita, sia sulle prove razionali fornite dalla conoscenza della nostra organizzazione, sia sulle verifiche storiche che risultano da un esame attento del passato. Questa legge consiste nel fatto che ognuna delle nostre concezioni principali, ogni branca della nostra conoscenza, passa successivamente attraverso tre stadi teorici differenti: lo stadio teologico o fittizio, lo stadio metafisico o astratto, lo stadio scientifico o positivo. In altri termini, lo spirito umano, per sua natura, impiega successivamente in ognuna delle sue ricerche tre metodi di filosofare, di cui il carattere essenzialmente differente e anche radicalmente opposto: dapprima il metodo teologico, quindi il metodo metafisico, e infine il metodo positivo. Di qui tre tipi di filosofie o di sistemi generali di concezioni sullinsieme dei fenomeni che si escludono a vicenda: la prima il punto di partenza necessario dellintelligenza umana; la terza, il suo stadio fisso e definitivo; la seconda unicamente destinata a servire da transizione. Nello stadio teologico lo spirito umano, dirigendo essenzialmente le sue ricerche verso la natura intima degli esseri, le cause prime e finali di tutti gli effetti che lo colpiscono, in una parola, verso le conoscenze assolute, si rappresenta i fenomeni come prodotti dellazione diretta e continua di agenti sovrannaturali, pi o meno numerosi, il cui intervento arbitrario spiega tutte le anomalie apparenti delluniverso. Nello stadio metafisico, che in fondo non che una semplice modificazione generale del primo, gli agenti sovrannaturali sono sostituiti da forze astratte, vere e proprie entit (astrazioni personificate) inerenti ai diversi esseri del mondo e concepite come capaci di generare di per se stesse tutti i fenomeni osservati, la cui spiegazione consiste allora nellassegnare per ciascuno lentit corrispondente. Infine, nello stadio positivo, lo spirito umano, riconoscendo limpossibilit di ottenere delle nozioni assolute, rinuncia a ricercare lorigine e la destinazione delluniverso e a conoscere le cause intime dei fenomeni, per volgersi unicamente a scoprire, attraverso luso ben combinato del ragionamento e dellosservazione, le loro leggi effettive, cio le loro relazioni invariabili di successione e similitudine. La spiegazione dei fatti, ridotta allora ai suoi termini reali, ormai non pi che il legame stabilito fra i diversi fenomeni particolari e alcuni fatti generali di cui i progressi della scienza tendono sempre pi a diminuire il numero. Comte, Corso di filosofia positiva, lezione I, in Per una rilettura di Comte, a cura di F. Barbano-E Roggero, Celid, 1979 Secondo Comte, la fisica sociale la pi giovane delle cinque scienze. Anzi, per cos dire, una scienza neonata. Comte stesso se ne ritiene il padre e dedica unampia parte della sua opera alla sua costruzione.

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Per comprendere a fondo in cosa consista questa nuova scienza, utile partire dalla sua denominazione, fisica sociale, ossia scienza fisica, secondo il modello galileianonewtoniano, dei fenomeni sociali, cio dei comportamenti umani collettivi. Tali comportamenti possono essere economici, politici, giuridici, sociali in senso stretto, culturali. Ci significa che la fisica sociale di Comte include non solo lattuale sociologia, ma anche la politologia, la scienze economica, la teoria del diritto, la dottrina delle religioni, ecc. Inoltre, poich i comportamenti umani variano nel tempo, la fisica sociale comprende anche la storia, intesa come storia politico-militare, ma anche come storia della letteratura, storia del costume, ecc. Insomma: la fisica sociale comtiana corrisponde a quellinsieme di discipline che oggi vengono definite scienze umane o anche scienze storico-sociali. Comte divide la fisica sociale in due branche distinte ma complementari: 1. la statica sociale, che ha il compito di studiare i fattori di sussistenza e stabilit della societ, per individuare la legge dellordine sociale; 2. la dinamica sociale, che ha il compito di studiare i fattori e le modalit del mutamento sociale, per individuare la legge del cambiamento storico. Questa partizione sintomatica dellintenzione comtiana di attenersi al modello della meccanica classica, canonicamente divisa per lappunto in statica e dinamica. Comte, tuttavia, non affatto un riduzionista radicale, non si appiattisce sul metodo meccanicistico, anzi rovescia lapproccio atomistico dalle parti al tutto adottando unimpostazione che oggi definiremmo sistemica dal tutto alle parti -, e attribuendo pi importanza al metodo comparativo e storico-genealogico, piuttosto che a quello induttivo. Su queste basi, Comte giunge a isolare il principio del consensus come legge dellordine sociale. Per Comte una societ, cos come un corpo animale, un sistema, cio un insieme organico fondato sullinterazione di diversi componenti. In prima battuta, il consensus , a un tempo, la omogeneit, meglio ancora lisomorfismo, la complementarit e la cooperazione, in altre parole la relazione di funzionalit e armonia, che connettono i diversi settori della societ: a un livello pi generale, il settore economico, il settore politico, il settore sociale, il settore culturale, ecc.; a un livello pi specifico, p.e. quello economico, lagricoltura, lindustria, il commercio, la finanza. In questo senso, p.e., nel settore economico c consensus, e quindi leconomia funziona, se lagricoltura produce materie prime per lindustria e questa macchine per lagricoltura; oppure se le banche fanno credito alle imprese e queste a loro volta depositano i loro capitali nelle banche, ecc. In seconda battuta, su questa base, il consensus pi genericamente il senso di coappartenenza che lega gli individui, attori di tutti i diversi sottosistemi sociali, e che produce la coesione sociale. Ma la societ umana cambia nel tempo, storica, dunque il consensus a sua volta varia continuamente. In che modo? Qual la legge del mutamento storico? La risposta di Comte, in prima approssimazione, molto semplice: il progresso. La storia umana, il cambiamento sociale, dovuta al progresso, cio alla tendenza al miglioramento delle condizioni sociali. Questa tendenza, si badi bene, si attua lentamente e gradualmente, ma per Comte ineluttabile, irrefrenabile. La legge del progresso sta alla storia umana come la legge di gravit sta ai fenomeni meccanici: una legge di natura universale e necessaria. Ma in cosa consiste pi precisamente il progresso? Come avviene? In che modo si passa da un tipo a un altro di consensus? A un livello di maggior approfondimento, Comte dettaglia la legge del progresso configurandola come legge dei 3 stadi, cio come transizione necessaria dalla prima allultima di 3 forme di organizzazione sociale: 1. lo stadio teologico o fittizio, quello di partenza, paragonato allinfanzia dellumanit (dallet primitiva alla fine del Medioevo);

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2. lo stadio metafisico o astratto, quello intermedio, paragonato alladolescenza della civilt umana (dal Rinascimento alla rivoluzione francese); 3. lo stadio positivo o scientifico, quello finale e definitivo, comparato alla maturit umana (dal Congresso di Vienna in poi, per sempre). E facile notare che Comte connota ogni stadio in riferimento al parametro della conoscenza. In altre parole, i 3 stadi si caratterizzano innanzitutto e soprattutto per il loro tipo di cultura, per il loro modo di concepire e praticare lattivit conoscitiva, per i loro diversi metodi di ricerca. Il che non significa che per Comte il progresso sia solo conoscitivo. Esso coinvolge tutti i diversi sottosistemi sociali, ovvero il principio del consensus . Per, secondo Comte, il sottosistema culturale quello decisivo, ossia il progresso anzitutto incremento e perfezionamento della conoscenza e la conoscenza il motore del progresso generale. In altre parole, quando progredisce la conoscenza, per il principio del consensus, tutti gli altri sistemi si adeguano al progresso conoscitivo e quindi mutano, fermo restando cos il loro isomorfismo. Vediamo come. Nello stadio teologico (o fittizio) luomo, secondo Comte, si chiede quale siano lorigine, il fine e il senso del cosmo e della vita, ossia concepisce e pratica la conoscenza come ricerca di essenze, cio di verit assolute e totali. La risposta si basa sulla facolt dellimmaginazione che, antromorficamente, spiega tutti i fenomeni imputandoli a agenti soprannaturali, cio a divinit. In altre parole, la conoscenza del primo stadio dello sviluppo dellumanit di tipo religioso, con unevoluzione dal feticismo (gli agenti sovrannaturali sono esseri naturali), al politeismo fino al monoteismo. Si tratta di una conoscenza fittizia, cio illusoria, cui per Comte riconosce il merito di aver avviato la ricerca conoscitiva e di averle dato un orientamento, certo sbagliato ma che avrebbe poi permesso una correzione di rotta. Nello stadio metafisico (o astratto) le domande non mutano, ossia lumanit tiene ferma lesigenza di una conoscenza essenzialistica e assoluta. Ma le divinit vengono sostituite con enti o principi razionali, in particolare con il principio della Natura. Il riferimento alle metafisiche rinascimentali (p.e. Giordano Bruno) o moderne (Cartesio, Spinoza, Leibniz). La conoscenza metafisica si basa, per Comte, sul ragionamento puro, dunque astratto, che, privo di criteri di controllo, sfocia in argomentazioni tanto vacue quanto vane, ossia alla fine inconcludenti. Tuttavia, la conoscenza metafisica costituisce lindispensabile ponte tra quella teologica e quella positiva, dal momento che la storia procede sempre gradualisticamente, non pu saltare alcun passaggio intermedio. Lo stadio positivo (o scientifico) si differenzia dagli altri, da un lato perch, secondo Comte, appena cominciato e quindi deve ancora completarsi; dallaltro perch costituisce il traguardo dello sviluppo storico, e quindi definitivo. Ci non significa che, una volta che lo stadio positivo avesse raggiunto la sua compiutezza, non ci sarebbe pi stato, per Comte, progresso. Ma che il progresso sarebbe continuato illimitatamente sulla base per dello stesso metodo conoscitivo e dello stesso tipo di consensus. La trasformazione indotta dallo stadio positivo alla societ umana molto pi radicale di quella apportata dallo stadio metafisico. Infatti, prima ancora delle risposte, sono le domande a cambiare. Giunto finalmente allet adulta, luomo smette di chiedersi quali sono la causa prima e lo scopo ultimo, cio rinuncia allobiettivo velleitario di una conoscenza essenzialistica e assoluta. Al posto cercare il perch dei fenomeni, ne ricerca il come. In altre parole, la scienza consiste nel cercare e scoprire le relazioni costanti tra le cose e gli eventi, cio conoscenza non di essenze e cause prime e destini ultimi ma solo di leggi. Il sapere scientifico, dunque, un sapere limitato e basato sulla consapevolezza di questa limitatezza: per Comte non solo non possiamo conoscere lessenza della realt, ma nemmeno tutti i fatti che la costituiscono, sicch la conoscenza scientifica sempre parziale e relativa. Tuttavia, proprio grazie a questa consapevolezza, la scienza la forma di conoscenza pi produttiva e progressiva. In altri termini essa in grado di sviluppare 181

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esponenzialmente il patrimonio conoscitivo umano, sia sul piano quantitativo accrescendo il numero di fatti conosciuti sia sul piano qualitativo unificando sempre di pi i fatti singolari in leggi e le leggi particolari in leggi pi generali. In questo senso, afferma Comte, cos come la conoscenza teologica ha raggiunto il suo culmine nellidea di un unico dio e quella metafisica nella concezione di ununica Natura, la scienza punta, e non pu non puntare, alla scoperta di ununica legge universale, capace di unificare tutte le altre leggi, allo stesso modo in cui la legge di gravit di Newton ha unificato tutti i fenomeni e le leggi fisico-astronomiche. Questaspirazione per Comte senza dubbio fondamentale, perch traina il progresso scientifico. Tuttavia Comte afferma chiaramente di giudicare improbabile che la scienza possa mai giungere alla scoperta di una tale legge universale, dimostrando ancora una volta di non essere affatto un esaltato assertore di una concezione assolutistica e fanatica della scienza e del progresso scientifico. Inoltre, per quanto sostenga in modo netto la superiorit e lirreversibilit dello stadio positivo, Comte si guarda bene dal denigrare la stadio teologico e quello metafisico. Egli infatti ritiene che le forme di pensiero e organizzazione del passato siano state, per cos dire, degli scalini indispensabili per raggiungere il presente e proiettarsi nel futuro. E, in questa prospettiva, Comte valorizza e addirittura esalta credenze e istituzioni tradizionali p.e. la teologia e la chiesa cattolica medievale sostenendo che esse, relativamente alla loro epoca, rappresentarono un decisivo progresso della civilt umana. Pi in generale, secondo Comte, ogni nuova forma di consensus cio di ordine sociale in una prima fase ha una funzione progressiva, e quindi positiva, e solo quando ha espresso tutto quello che poteva esprimere diventa regressiva, ossia negativa, in quanto ostacola lulteriore progresso dellumanit. Allora, e solo allora, deve essere superata e sostituita da una nuova forma di consensus.

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TAPPA 3

COMTE: LO STATO SOCIOCRATICO E LA CHIESA POSITIVA


[] lo spirito generale delleconomia politica [] conduce essenzialmente oggi ad erigere a dogma universale lassenza necessaria di ogni intervento regolatore perch costituisce, per la natura del soggetto, il mezzo pi conveniente di secondare il progresso naturale della societ: di maniera che, in ogni grave occasione che viene successivamente a presentarsi, questa dottrina non sa rispondere, di solito, ai pi urgenti bisogni della pratica, se non con linutile uniforme ripetizione di questa negazione sistematica, alla maniera di tutte le altre parti della filosofia rivoluzionaria. Per avere pi o meno imperfettamente constatato, in qualche caso particolare di unimportanza assolutamente secondaria, la tendenza naturale delle societ umane a un certo ordine necessario, questa pretesa scienza ne ha molto erroneamente concluso linutilit fondamentale di ogni particolare istituzione, direttamente destinata a regolarizzare questa coordinazione naturale, invece di vedervi soltanto la sorgente prima della possibilit di tale organizzazione []. Questa inutile e irrazionale disposizione a non ammettere se non quel livello di ordine che si stabilisce da se stesso, equivale evidentemente, nella pratica sociale, ad una specie di solenne rinuncia fatta da questa pretesa scienza nei riguardi di ogni difficolt un po grave che lo sviluppo industriale faccia sorgere. Ci soprattutto evidente nella famosa e importante questione economica delle macchine, la quale, convenientemente considerata, coincide con lesame generale degli inconvenienti sociali immediati inerenti ad ogni perfezionamento industriale, come tendente al perturbamento pi o meno durevole del modo attuale di esistenza delle classi lavoratrici. Alle giuste e urgenti lamentele che solleva cos frequentemente questa lacuna fondamentale del nostro ordine sociale [] i nostri economisti non sanno che ripetere, con una spietata pedanteria, il loro sterile aforisma di libert industriale assoluta. Senza riflettere che tutte le questioni umane, considerate da un certo punto di vista pratico, si riducono necessariamente a semplici questioni di tempo, essi osano rispondere a tutte le lamentele che, alla lunga, la maggior parte della nostra specie, ed anche la classe inizialmente lesa, deve finire con lo sperimentare dopo questi passeggeri perturbamenti, un miglioramento reale e permanente. Questo fatto, nonostante lincontestabile esattezza di tale conseguenza necessaria, pu esser considerato come costituente, da parte di questa pretesa scienza, una risposta veramente derisoria dove sembra si dimentichi che la vita delluomo ben lontana dal comportare una durata indefinita. Comte, Corso di filosofia positiva, lezione XLVII, a cura di F. Ferrarotti, Utet, 1967 La scienza, per Comte, conoscenza vera in quanto praticamente utile ed praticamente utile in quanto conoscenza vera. In altri termini, la scienza tuttuno con la sua applicazione tecnica finalizzata al progresso dellumanit. In questo senso, se le scienze naturali si prolungano nella tecnologia industriale, la fisica sociale si compie nella tecnica politica. Comte, pertanto, delinea una sua teoria scientifica dello Stato imperniata su 2 presupposti: 1. luomo un essere per natura sociale e dunque la sua dimensione individuale secondaria e deve essere subordinata a quella collettiva;

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2. lo Stato non unistituzione esterna e aggiuntiva rispetto alla societ ma ne la forma di organizzazione intrinseca e strutturale, e dunque suo compito guidare e regolamentare la societ. Contro la teoria liberal-liberista dello Stato minimo e del laissez-faire, Comte proclama lessenziale funzione di uno Stato interventista e sociale, in particolare per rendere possibile la conciliazione e la cooperazione fra la classe degli imprenditori e la classe dei lavoratori, ovvero, pi in generale, per stabilire un rapporto funzionale tra ordine e progresso, in modo tale da evitare il loro conflitto distruttivo. In altre parole, secondo Comte, nello stadio positivo, per la prima volta diventa possibile che la societ umana autoregolamenti e autodiriga in modo consapevole e costruttivo il proprio sviluppo storico, evitando sia i dispotismi sia le rivoluzioni che hanno afflitto in passato lumanit. Perch questa possibilit si realizzi necessario basare lo Stato sociale sulla sociocrazia, cio attribuire agli scienziati, e in particolare ai sociologi, un potere di orientamento delle scelte governative. Pi precisamente, Comte teorizza una gerarchia sociale al cui vertice sia posta la classe speculativa, cio appunto llite scientifico-intellettuale, seguita dalla classe attiva, ossia la borghesia imprenditoriale, e infine dalla classe lavoratrice. Alla classe speculativa spetta il potere spirituale, ossia il potere di educare e orientare moralmente la societ. Alla classe attiva compete il potere temporale, cio la gestione economica e politica della societ. I due poteri devono essere distinti e autonomi, ma dalla superiorit del primo deriva il suo diritto a illuminare, influenzare e quindi orientare le decisioni del secondo. In particolare, la classe speculativa deve spingere la classe attiva a soddisfare le giuste rivendicazioni della classe lavoratrice dal momento che la solidariet tra le classi un valore superiore allarricchimento individuale. Insomma, pur rifiutando luguaglianza economico-sociale e labolizione della propriet privata, Comte propugna la perequazione sociale e la subordinazione del diritto di propriet al principio del consensus, cio dellintegrazione e della collaborazione collettiva. In questo quadro, Comte, pur riconoscendo il valore della libert individuale, ne afferma la relativit e di conseguenza sembra attribuire un carattere autoritario al suo modello di Stato. Il dispotismo statale per controbilanciato e, in prospettiva almeno, annullato dal ruolo che Comte attribuisce alleducazione morale dei cittadini attuata dalla classe speculativa e finalizzata allo sviluppo sempre maggiore dellaltruismo. Nella misura in cui nel corso del tempo i cittadini incrementano il loro grado di moralit, ossia il loro altruismo, le istituzioni statali, secondo Comte, sono destinate a ridursi fino a sparire. Il ruolo strumentale, e dunque temporaneo, della politica e dello Stato ribadito dalla funzione preminente che Comte attribuisce alla religione e alla chiesa. La politica non affatto sufficiente, secondo Comte, a garantire il massimo grado di consensus e dunque la pi funzionale interazione tra ordine sociale e progresso. La solidariet che lega gli individui in quanto cittadini dello stesso Stato non coinvolge lintera personalit umana. Per giungere a un suo coinvolgimento completo Comte ritiene sia necessaria una nuova religione, perch solo una religione in grado di suscitare un sentimento di coappartenenza tra gli uomini e quindi capace di unirli interiormente e quindi in modo profondo. Quella che Comte propone per una religione radicalmente alternativa a quelle tradizionali. Si tratta infatti di una religione scientifica e terrena basata sul culto del Grande Essere, cio dellumanit stessa intesa come linsieme di tutti gli uomini passati, presenti e futuri, ovvero come un unico corpo di cui ogni individuo una cellula. Cionondimeno, Comte teorizza la fondazione di una chiesa positiva organizzata sul modello della chiesa cattolica, ossia dotata di sacerdoti, riti, sacramenti, nonch santi, rappresentati dai grandi uomini (da Mos a Omero, a Aristotele, a Carlo Magno, Gutemberg, Galilei, Cartesio, ecc.) che pi hanno contribuito al progresso dellumanit.

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ROTTA B IL POSITIVISMO ATEO Lidealismo hegeliano ebbe un largo seguito soprattutto nellarea culturale tedesca dando luogo a sviluppi interpretativi diversi che possono essere schematizzati in 2 filoni contrapposti: a) la destra hegeliana (o vecchi hegeliani) che interpretava lidealismo hegeliano come una fondazione razionale del cristianesimo e dellordine politico-sociale esistente; b) la sinistra hegeliana (o giovani hegeliani) che interpretava lhegelismo come una decostruzione razionale del cristianesimo e come una filosofia del cambiamento storico-politico. In particolare, la sinistra hegeliana, nella sua interpretazione progressista di Hegel, risente della diffusione della nascente filosofia positivistica, segnatamente della sua prima versione, quella di A. Comte. Questa influenza evidente in Feuerbach, lesponente pi significativo della sinistra hegeliana. Allievo di Hegel, Feuerbach sviluppa lidealismo hegeliano nella direzione di un materialismo sensistico e naturalistico, teorizzando la necessit di demistificare lillusione religiosa e additando allumanit lideale di una nuova civilt umana, solidale e scientifica, in cui la religione sia sostituita dalla antropologia, cio da una filosofia delluomo del tutto terrena, e dalla filantropia, cio da unetica compiutamente altruistica. Conseguentemente, la filosofia di Feuerbach si sviluppa come una critica antropologica del cristianesimo, e pi in generale di ogni religione, basata sulla tesi secondo la quale non Dio che ha creato luomo, ma luomo che ha creato Dio. In altre parole, la religione un prodotto dellimmaginazione umana in cui lumanit rappresenta se stessa in modo inconsapevole e deformato. Il compito della filosofia dunque decostruire e demistificare la religione in modo tale che luomo possa prendere chiara e completa coscienza della propria identit e del proprio destino e agire liberamente ed efficacemente. In questo senso, Feuerbach lemblema di una tendenza storico-culturale decisiva dellOttocento, e poi anche del secolo successivo: quella della diffusione dellateismo, anche e soprattutto nellambito delllite culturale e scientifica. VITA DI UN CAPITANO LUDWIG FEUERBACH Nato nel 1804 a Landshut, in Baviera, figlio di un giurista e di unaristocratica, studi teologia nella celebre universit di Heidelberg e poi filosofia alluniversit di Berlino, dove segu le lezioni di Hegel. Laureato, nel 1828 ottenne la libera docenza alluniversit di Erlagen, in Baviera, ma negli anni successivi non riusc a diventare professore per lostilit delle autorit accademiche suscitata dalla pubblicazione, pur anonima, del suo primo libro, Pensieri sulla morte e limmortalit (1830). Nel 1837 decise cos di ritirarsi a vita privata, mantenendosi grazie al notevole patrimonio e ai redditi della moglie Berta Lw. Negli anni successivi, oltre a collaborare con la rivista dei giovani hegeliani Annali di Halle, scrisse numerose opere, tra cui: Per la critica della filosofia hegeliana (1839), Lessenza del cristianesimo (1841), la pi famosa e importante, Principi della filosofia dellavvenire (1843), Lessenza della religione (1845). Durante la rivoluzione tedesca del 1848, partecipa al Congresso di Francoforte e tiene lezioni della sua filosofia alluniversit di Heidelberg su invito degli studenti. Negli anni successivi aderisce al Partito socialdemocratico tedesco e pubblica Teogonia (1857). Dal 1860 vive in povert, a causa di un tracollo economico, ma continua a scrivere e pubblicare (Spiritualismo e materialismo, 1866, di argomento etico) fino alla morte nel 1872. Fu sepolto a Norimberga omaggiato da migliaia di operai socialisti.

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TAPPA 1 FEUERBACH: LALIENAZIONE RELIGIOSA La coscienza che luomo ha di Dio la conoscenza che luomo ha di s. Tu conosci luomo dal suo dio e, reciprocamente, Dio dalluomo; luno e laltro si identificano. Per luomo, Dio il proprio spirito, la propria anima; e ci che per luomo spirito, ci che la sua anima, il suo cuore, quello il suo dio: Dio lintimo rivelato, lessenza delluomo espressa; la religione la solenne rivelazione dei tesori celati delluomo, la pubblica professione dei suoi segreti damore. Ma da quanto abbiamo detto non si deve dedurre che luomo religioso sia direttamente consapevole che la coscienza che ha di Dio sia la stessa autocoscienza del suo proprio essere, poich appunto il non essere consapevole di ci il fondamento della vera e propria essenza della religione. Per evitare questo equivoco diremo meglio: la religione la prima, ma indiretta autocoscienza delluomo. Perci la religione precede sempre la filosofia, nella storia dellumanit cos come nella storia dei singoli individui. Luomo sposta il suo essere fuori da s, prima di trovarlo in s. In un primo tempo egli consapevole del proprio essere come di un altro essere. La religione linfanzia dellumanit; il bambino vede il proprio essere, luomo, fuori di s, ossia oggettiva il proprio essere in un altro uomo. [] Il nostro compito appunto di dimostrare che la distinzione tra il divino e lumano illusoria, cio che nullaltro se non la distinzione fra lessenza dellumanit e luomo individuo, e che per conseguenza anche loggetto e il contenuto della religione cristiana sono umani e nientaltro che umani. La religione, per lo meno la religione cristiana, linsieme dei rapporti delluomo con se stesso, o meglio con il proprio essere, riguardato per come un altro essere. Lessere divino non altro che lessere delluomo liberato dai limiti dellindividuo cio dai limiti della corporeit e della realt, e oggettivato, ossia contemplato e adorato come un altro essere da lui distinto. Tutte le qualificazioni dellessere divino sono perci qualificazioni dellessere umano. Feuerbach, Lessenza del cristianesimo, cap. II, a cura di C. Cometti, Feltrinelli Il sentimento di dipendenza delluomo il fondamento della religione; loggetto di questo sentimento di dipendenza, ci da cui luomo dipende, e si sente dipendente, non per altro, originariamente, che la natura. [] Lessenza divina che si manifesta nella natura non altro che la natura stessa che si manifesta, si mostra e si impone alluomo come un ente divino. Feuerbach, Lessenza della religione, a cura di C. Ascheri e C. Cesa, Laterza La filosofia della religione di Feuerbach prende le mosse dal concetto di alienazione (dal latino alius , altro), mutuato da Hegel. In Hegel lalienazione indicava la negazione oggettiva/irrazionale dellessenza soggettiva/razionale di qualcosa. In questo senso lalienazione per eccellenza, modello di ogni alienazione specifica, era rappresentata dalla Natura, in quanto Idea altra da s, ossia Idea che nega la sua purezza razionale per trasformarsi nel suo contrario, la fisicit. Feuerbach reinterpreta lalienazione hegeliana in chiave religiosa elaborando un concetto originale di alienazione intesa come proiezione dellessenza delluomo nel divino, cio in entit immaginarie diverse dalluomo, altre da lui e superiori a lui.

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Ma perch e in che modo luomo cade vittima dellalienazione religiosa? Feuerbach individua due fattori e insieme due componenti fondamentali dellalienazione religiosa. Il primo fattore connesso alla capacit che distingue la specie umana dalle altre specie animali: lautocoscienza. Grazie alla coscienza di se stesso, luomo avverte la differenza radicale che sussiste tra s: " come individuo, ossia come singolo elemento della specie umana, " e come essenza, ossia come umanit, intesa, a un tempo, come linsieme di tutti gli individui e come linsieme di tutte le caratteristiche fondamentali della specie umana (intelligenza, creativit, volont, moralit, gusto, ecc.). Se lindividuo limitato spazio-temporalmente e quindi finito, lumanit non ha limiti spazio-temporali e dunque tendenzialmente infinita. Il secondo fattore dellalienazione religiosa , invece, la dipendenza e la soggezione delluomo nei confronti degli enti naturali e delle forze della natura. Pi precisamente, per Feuerbach gli uomini in quanto individui finiti non riescono ad avere una piena consapevolezza della propria essenza in quanto questultima infinita. P.e., luomo possiede una forza fisica limitata; la sua essenza, ovvero lumanit, invece onnipotente. A causa di questo iato tra la sua dimensione individuale finita e la sua dimensione essenziale infinita, luomo riesce a prendere coscienza della propria essenza (onniscienza, onnipotenza, amore assoluto, perfezione morale, perfetta beatitudine, ecc.) solo attribuendola a un dio, cio a un alter-ego superiore, prodotto dalla propria immaginazione. A sua volta la costruzione fantastica delle divinit stimolata e orientata dallesperienza umana di dipendenza e subordinazione nei confronti della natura, in quanto luomo ricava il suo sostentamento dalla natura e si trova spesso in balia delle forze naturali, p.e. delle tempeste marine piuttosto che dei terremoti o delle alluvioni. E proprio questa esperienza di inferiorit e soggezione che impedisce alluomo di attribuire a se stesso la propria essenza e lo spinge invece a trasferirla alle forze naturali, trasfigurandole cos in divinit. In questa prospettiva, la religione, secondo Feuerbach, costitutivamente ambigua, per non dire contraddittoria: infatti essa, da un lato, una rappresentazione dellessenza - e quindi del valore, del fine e del senso - delluomo, dunque uno strumento fondamentale per valorizzare la sua esistenza terrena; dallaltro lato, per, la religione attribuisce lessenza umana a divinit trascendenti - deprivandone luomo e facendolo sentire misero, gracile, impotente e pertanto un fattore di svalutazione e mortificazione dellesistenza umana. Feuerbach articola poi storicamente questa interpretazione generale della religione, sostenendo che la variazione e levoluzione delle religioni nel tempo riflettono la crescita della consapevolezza della propria essenza da parte delluomo e al contempo la progressiva emancipazione umana dal dominio della natura. In questo senso, il cristianesimo, secondo Feuerbach, la religione pi evoluta, addirittura la religione assoluta, in quanto, da un lato, solo il Dio cristiano concepito come pienamente infinito e, dallaltro, la sua configurazione trinitaria la manifestazione pi precisa e completa delle 3 facolt costitutive delluomo: la ragione, la volont e il sentimento. In particolare, la figura di Ges Cristo - manifestazione del sentimento, innanzitutto e soprattutto nella forma dellamore per Feuerbach la pi esplicita rappresentazione religiosa dellidentit di uomo e Dio, ovvero la costruzione mitico-simbolica che pi si avvicina alla comprensione delleffettivo rapporto che intercorre tra uomini e dei. Tuttavia, afferma Feuerbach, anche il cristianesimo alienante per luomo in quanto in esso la fede individuale nel Dio trascendente - vissuta come condizione decisiva per raggiungere la salvezza e quindi la beatitudine eterna mette in secondo piano lamore e limpegno attivo per gli altri, finendo col promuovere lindividualismo egoistico e il disimpegno pratico-morale. 187

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Per questo, secondo Feuerbach, la teologia deve essere abbandonata e sostituita dallantropologia, ossia dalla filosofia delluomo, il cui caposaldo proprio la coscienza che luomo che ha creato Dio a propria immagine e somiglianza, e non viceversa. Questo capovolgimento del rapporto uomo-Dio, che ovviamente implica la negazione dellesistenza reale di ogni dio, costituisce il raggiungimento della piena autocoscienza da parte delluomo, ovvero il conseguimento della consapevolezza che lo scopo ultimo degli uomini realizzare completamente la propria essenza infinita, la propria umanit, cio diventare onniscienti, onnipotenti, moralmente perfetti, capaci di amore reciproco assoluto, ecc. Ma come possibile che dopo millenni di alienazione religiosa luomo possa fare a meno di ogni divinit? Feuerbach ritiene che nella sua epoca il progresso tecnico-scientifico abbia permesso alluomo, e sempre pi possa permettergli, di sottrarsi alla soggezione nei confronti della natura e anzi di dominarla. In questo modo, attraverso la scienza e la tecnica lumanit potr nel futuro prossimo realizzare sempre pi ampiamente la propria essenza divina, cio approssimarsi sempre pi allideale di Dio fino a attuarlo compiutamente. Il progresso tecnico-scientifico, per, ha una condizione imprescindibile: la formazione di una societ umana sempre pi coesa e cooperativistica. Per Feuerbach, infatti, luomo un essere fisico naturalmente comunitario. Ogni individuo umano, ogni io, esiste solo in una relazione con ci che altro da s, che sia una cosa naturale o un altro uomo. Questa relazione parte dai sensi, cio dal corpo, per arrivare alla mente, cio alla psiche, intesa come un livello superiore di corporeit, ed simultaneamente conoscitiva, pratica e affettiva. Infatti, sostiene Feuerbach, il mio rapporto conoscitivo e pratico con un oggetto, p.e. una mela, sempre connotato affettivamente, p.e. gioioso piuttosto che fastidioso, a seconda dei miei bisogni psico-fisici. Da questo punto di vista, il dolore per lassenza di qualcosa che desidero per Feuerbach la prova inoppugnabile dellesistenza di un mondo esterno allio e indipendente dallio, ovvero la confutazione incontrovertibile dellidealismo. Anche a livello psichico o mentale, lindividuo umano pu essere tale, cio pu sviluppare la propria autocoscienza, se e solo se si rapporta a un tu, cio a unaltra autocoscienza. In questo senso la relazione di un uomo con laltro uomo costitutiva della sua identit, cio appartiene alla sua essenza. Pertanto, ogni uomo pu realizzarsi solo attraverso la filantropia, ossia in una relazione di stima, solidariet e collaborazione reciproci con gli altri uomini. In altri termini, la demistificazione dellalienazione religiosa di Feuerbach ha come esito finale il vagheggiamento di una comunit genericamente socialista capace di realizzare sempre pi e sempre meglio lessenza infinita dellumanit grazie allo sviluppo illimitato della scienza e della tecnica, in quanto queste permetteranno il pieno soddisfacimento di tutti i bisogni umani e il conseguimento della completa felicit per tutti gli uomini.

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ROTTA C IL POSITIVISMO RIVOLUZIONARIO Di formazione hegeliana e posthegeliana, Marx col procedere della sua produzione filosofica Marx assorbe sempre di pi temi e stilemi positivistici, quali il rigetto dellidealismo a favore del materialismo, lesigenza di scientificit, la fede nellinesorabilit del progresso storico, la previsione di un futuro imminente nel quale la civilt umana, grazie allillimitato sviluppo della produzione industriale e della ricchezza materiale, avrebbe raggiunto una condizione pressoch perfetta. Marx, per, si differenzia nettamente dagli altri positivisti, perch interpreta la societ futura non come lesito di unevoluzione della societ del suo presente bens come il prodotto di una sua rottura rivoluzionaria e di un conseguente salto dello sviluppo storico. In questo senso il pensiero filosofico di Marx possiede complessivamente una forte valenza politica e si esprime anche in molte opere squisitamente politiche. In un primo tempo, la critica rivoluzionaria di Marx alla societ capitalistico-borghese dell800 si basa sulla categoria dellalienazione, interpretata in chiave economico-sociale. E la classe operaia ad essere alienata, a causa delle condizioni in cui costretta a lavorare. E sar dunque la classe rivoluzionaria il soggetto della lotta di liberazione che abbatter il capitalismo e instaurer il socialismo. Successivamente, Marx sostituisce questa versione soggettivistica e volontaristica della rivoluzione con una concezione sempre pi oggettivistica e necessaria. Egli infatti elabora la teoria materialistica della storia intesa come scienza dello sviluppo storicosociale della civilt umana. In questa prospettiva Marx ritiene di aver isolato le leggi fondamentali dello sviluppo storico che hanno per la storia umana la stessa valenza attribuita alle leggi chimiche e fisiche per la natura. Di conseguenza le previsioni sul futuro decorso della storia, secondo Marx, sono destinate ad avverarsi con bronzea necessit. E tali previsioni stabiliscono che il capitalismo croller a causa delle sue contraddizioni interne e che sulle sue macerie verr edificato il socialismo. In questo modo il materialismo storico assume al contempo la funzione di teoria scientifica della storia e di manifesto politico della rivoluzione socialista. VITA DI UN CAPITANO KARL MARX Nacque nel 1818 a Treviri, citt della Renania, regione occidentale della Germania al confine con la Francia, allora parte del Regno di Prussia. La sua famiglia aveva origini ebraiche, il padre era un brillante avvocato di tendenze illuministico-liberali. Marx segu gli studi universitari prima a Bonn, poi a Berlino, dove entr in contatto con i giovani hegeliani, ma si laure a Jena con la tesi Differenza tra la filosofia della natura di Democrito ed Epicuro, sintomo del suo orientamento materialistico. Vista impossibile la carriera universitaria, a causa delle sue idee, Marx si diede al giornalismo politico, collaborando con la Gazzetta renana, di tendenza liberale, che per fu chiusa nel 1843 dalle autorit prussiane. Ciononostante, Marx spos Jenny von Westphalen, con cui si era segretamente fidanzato gi nel 1836, e da cui avrebbe avuto 8 figli, e si trasfer a Parigi dove pubblic la rivista Annali franco-tedeschi e i libri Introduzione alla Critica alla filosofia hegeliana del diritto pubblico (1844) e Sulla questione ebraica (1844). Soprattutto, per, Marx a Parigi strinse unamicizia, che sarebbe durata tutta la vita, con Friedrich Engels, figlio di un industriale tessile comproprietario di una fabbrica a Manchester, in Inghilterra. Engels vi aveva lavorato, entrando in contatto e assorbendo le idee del movimento cartista e del socialista Robert Owen. Sollecitato da Engels, Marx lesse gli economisti inglesi e scrisse i Manoscritti economico-filosofici del 1844 (pubblicati postumi nel 1932). Subito dopo, a quattro mani con Engels, scrisse e pubblic la Sacra 189

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famiglia (1845), una critica dei giovani hegeliani, e, da solo, le Tesi su Feuerbach, 11 brevi critiche della filosofia feuerbachiana, pubblicate postume da Engels nel 1886. Espulso da Parigi, si rifugia a Bruxelles dove, insieme a Engels, scrisse Lideologia tedesca, pubblicata postuma nel 1932, interessante soprattutto per lesposizione della concezione materialistica della storia; e, da solo, Miseria della filosofia (1847), critica delle idee del socialista anarchico francese Proudhon. Nel 1847 Marx ed Engels aderirono alla Lega dei comunisti, unassociazione clandestina svizzero-tedesca, da cui furono incaricati di scriverne il programma che fu poi pubblicato nel 1848 con il titolo di Manifesto del Partito Comunista. Marx torn in Germania nel 1848, allo scoppio della rivoluzione, ma dopo il suo fallimento, lanno successivo, si rifugi a Parigi e subito dopo a Londra, dove trascorse anni di miseria, sopravvisse solo grazie allaiuto economico di Engels, tornato a lavorare a Manchester nellazienda del padre, e fu funestato dalle morti dei figli piccoli Heinrich ed Edgard. Ma proprio in quegli anni Marx, utilizzando la biblioteca del British Museum, si immerse pi che mai negli studi, in particolare di taglio economico, da cui nacquero le sue maggiori opere: Lineamenti fondamentali della critica delleconomia politica (pubblicati postumi dal 1939), Per la critica delleconomia politica (1859) e soprattutto Il Capitale, pubblicato in 4 libri, solo il primo dallo stesso Marx nel 1867, il secondo e il terzo rispettivamente nel 1885 e nel 1894 da Engels, e il quarto dal Karl Kautsky nel 1905 con il titolo Teorie del plusvalore. Dal 1864, per, Marx di nuovo impegnato nella lotta politica allinterno della neocostituita Associazione internazionale dei lavoratori, meglio nota come I Internazionale, di cui diventa subito uno dei leader, bench in conflitto soprattutto con lanarchico russo Bakunin, che riusc a fare espellere solo nel 1872 al duro prezzo della disgregazione successiva dellassociazione. Nel 1875, in occasione del congresso di Gotha, che diede vita al Partito socialdemocratico tedesco unificato, Marx scrisse la Critica del Programma di Gotha (pubblicato postumo nel 1891), in cui deline alcune delle caratteristiche della futura societ comunista. Nel 1881 Marx perse la moglie Jenny e nel gennaio 1883 la figlia maggiore. Mor qualche mese dopo per una bronchite aggravata da unulcera polmonare e fu seppellito a Londra. Engels gli sopravvisse fino al 1895 e fu anche lui sepolto a Londra.

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TAPPA 1: MARX: LALIENAZIONE DELLOPERAIO Loperaio diventa tanto pi povero quanto pi produce ricchezza, quanto pi la sua produzione cresce in potenza ed estensione. [] Questo fatto non esprime nientaltro che questo: che loggetto, prodotto del lavoro, prodotto suo, sorge di fronte al lavoro come un ente estraneo , come una potenza indipendente dal producente. Il prodotto del lavoro il lavoro che si fissato in oggetto, che si fatto oggettivo: loggettivazione del lavoro. La realizzazione del lavoro la sua realizzazione. Questa realizzazione del lavoro appare [] come privazione delloperaio, e loggettivazione appare come perdita e schiavit delloggetto, e lappropriazione come alienazione, come espropriazione. [] Tutte queste conseguenze si trovano nella determinazione: che loperaio sta in rapporto al prodotto del suo lavoro come ad un oggetto estraneo . Poich chiaro, per questo presupposto, che quanto pi loperaio lavora, tanto pi acquista potenza il mondo estraneo, oggettivo, chegli si crea di fronte, e tanto pi povero diventa egli stesso, il suo mondo interiore, e tanto meno egli possiede. Come nella religione. Pi luomo mette in Dio e meno serba in se stesso. [] Ma lalienazione non si mostra solo nel risultato, bens anche nellatto della produzione, dentro la stessa attivit producente. [] Primieramente in questo: che il lavoro resta esterno alloperaio, cio non appartiene al suo essere, e che loperaio quindi non si afferma nel suo lavoro, bens si nega, non si sente appagato ma infelice, non svolge alcuna libera energia fisica e spirituale, bens mortifica il suo corpo e rovina il suo spirito. Loperaio si sente quindi con se stesso soltanto fuori del lavoro, e fuori di s nel lavoro. [] Il suo lavoro non volontario, bens forzato, lavoro costrittivo. [] Il lavoro alienato fa dunque: 3) della specifica essenza delluomo, tanto della natura che del suo potere spirituale di genere, unessenza a lui estranea, il mezzo della sua esistenza individuale; estrania alluomo il suo proprio corpo, come la natura di fuori, come il suo essere spirituale, la sua essenza umana; 4) che unimmediata conseguenza del fatto che luomo estraniato dal prodotto del suo lavoro, dalla sua attivit vitale, dalla sua specifica essenza, lo straniarsi delluomo dalluomo. Marx, Manoscritti economico-filosofici, in Opere filosofiche giovanili, trad. di G. Della Volpe, Editori Riuniti La miseria religiosa insieme lespressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, cos come lo spirito di una condizione senza spirito. Essa loppio del popolo. Marx, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione, in K. Marx, La questione ebraica, Editori Riuniti. I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo ma si tratta di trasformarlo. Marx, Tesi su Feuerbach, in Marx-Engels, Opere scelte, a cura di L. Gruppi, Editori Riuniti 191

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La prima fase dellelaborazione filosofica di Marx imperniata sul concetto di alienazione, attinto sia da Hegel sia da Feuerbach. Da entrambi Marx si distingue in modo originale in quanto reinterpreta lalienazione in chiave socio-economica, cio come connotazione essenziale della condizione operaia, ovvero, in senso lato, delluomo in quanto lavoratore dipendente. Il presupposto della reinterpretazione marxiana del concetto di alienazione la sua concezione del lavoro come essenza della specie umana. Per Marx tutti gli animali, uomo compreso, per sopravvivere usufruiscono delle risorse naturali, ovvero si pongono in rapporto con la natura. Ma le specie animali non umane intrattengono con la natura un rapporto immediato, cio diretto, e quindi meccanico, ovvero determinato. P.e., le pecore brucano lerba, gli orsi stabiliscono le loro tane nelle grotte. Gli uomini invece usano e consumano le risorse naturali in modo mediato e indiretto, cio appunto attraverso il lavoro e le sue tecniche. P.e., mangiano il frumento, ma dopo averlo coltivato, macinato e impastato; si costruiscono case con mattoni e malta da essi stessi prodotti, ecc. Lintelligenza e la stessa autocoscienza delluomo, secondo Marx, sono tuttuno con lattivit lavorativa, derivano da essa e sono finalizzate ad essa. Ci significa che grazie al lavoro luomo non si lascia determinare dalla natura, ma creatore del suo rapporto con essa e pertanto lo pu cambiare nel tempo. Ecco perch, mentre il rapporto animale/natura fisso e immutabile, il rapporto uomo/natura dinamico, muta nel tempo, ovvero genera la storia. Per Marx dunque il lavoro che rende luomo un essere storico e quindi anche civile e culturale. Ma dire che il lavoro lessenza delluomo equivale a dire che ogni individuo umano pu realizzarsi e conseguire il suo benessere psicofisico solo lavorando. Com possibile allora che il lavoro sia alienante per loperaio, ossia non solo non lo renda ci che , e quindi felice, ma lo renda al contrario ci che non , altro da se stesso, e quindi infelice? La risposta di Marx si articola in relazione a 4 parametri: 1) al prodotto del lavoro operaio; 2) alle modalit del lavoro operaio; 3) allessenza delloperaio in quanto uomo; 4) ai rapporti personali tra gli uomini. In primo luogo, Marx afferma che il lavoratore alienato perch il prodotto del suo lavoro non appartiene a lui, ma allimprenditore capitalistico suo padrone. Loperaio produce, p.e., una borsa, ma essa appartiene al padrone che poi la vender a un commerciante. Al termine dellattivit lavorativa loperaio riceve invece il salario, che non lequivalente del valore di ci che ha prodotto ma del costo della sua forza-lavoro, cio dei mezzi necessari alla sua sopravvivenza e alla sua riproduzione. In questo senso, questa prima modalit di alienazione si manifesta nella miseria materiale delloperaio. In secondo luogo, il lavoratore alienato perch, non avendo la possibilit di un lavoro autonomo, costretto a lavorare alle dipendenze altrui pertanto non pu organizzare il suo lavoro liberamente ma deve lavorare come e quando vuole il suo padrone. In terzo luogo, lalienazione colpisce lessenza umana stessa delloperaio. Infatti, in quanto uomo, loperaio potrebbe realizzare la sua essenza solo nel lavoro. Ma, poich non pu gestirlo liberamente e non pu disporre del suo prodotto, di fatto non pu realizzarsi nel lavoro. Paradossalmente, allora, loperaio cerca di realizzarsi nel tempo libero, p.e. mangiando e bevendo, ma in questo modo non si realizza come uomo, bens come bestia. In quarto ed ultimo luogo, nel momento in cui non considerato un fine ma usato come un mezzo dal padrone, loperaio non pu che concepire e praticare le relazioni umane con il padrone stesso, ma anche con gli altri operai, con la moglie e i figli - in modo distorto e strumentale. In altre parole, i rapporti tra uomini si alienano riducendosi a rapporti tra cose. 192

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Ma com possibile che lattivit che dovrebbe costituire la realizzazione dellidentit umana sia invece la sua negazione? Marx risponde che lalienazione del lavoro lesito di un mutamento storico, ovvero di determinate condizioni socio-economiche. In particolare, il presupposto fondamentale dellalienazione operaia la propriet privata dei mezzi di produzione (terre, sementi, utensili, capannoni, macchinari, ecc.). Grazie ad essa, nato e si affermato il sistema economico capitalistico-borghese che aumenta continuamente la privatizzazione dei mezzi di produzione polarizzando la societ in una ristretta lite di capitalisti sempre pi ricchi e in una massa di proletari sempre pi poveri. Stando cos le cose, sostiene Marx, lalienazione potr essere superata solo mutando le condizioni economico-sociali capitalistico-borghesi, ovvero solo instaurando il socialismo. In una prima fase, Marx fonda la possibilit del rovesciamento del capitalismo nel socialismo sulla dialettica alienazione/disalienazione. Se lalienazione capitalista ha negato lessenza originaria delluomo, essa non potr che essere a sua volta negata, cio abolita, dallesigenza umana di disalienarsi, cio di riconquistare lessenza perduta. Naturalmente, sar la classe che maggiormente subisce lalienazione, cio il proletariato, il soggetto rivoluzionario che abbatter il capitalismo e instaurer il socialismo. Una volta attuata, la rivoluzione socialista permetter allumanit di superare anche lalienazione religiosa. La causa dellillusoria credenza in Dio, infatti, afferma Marx, non la coscienza umana del divario tra lesistenza individuale finita e lessenza di specie infinita, e nemmeno la dipendenza strutturale delluomo nei confronti della natura, ma loppressione economico-sociale prodotta dallevoluzione storica dellumanit. In questo senso, Marx giudica ogni religione oppio del popolo, cio una droga mentale che infonde negli oppressi unillusoria sensazione di benessere prospettando loro il paradiso celeste, cio unimmaginaria liberazione futura dalloppressione e dalla miseria. La religione, dunque, da un lato spinge loppresso a sopportare senza ribellarsi la sua oppressione, dallaltro, per, esprime il suo bisogno di liberazione e dunque la critica alla condizione di oppressione. Di conseguenza, sostiene Marx, lalienazione religiosa, faccia superficiale dellalienazione economico-sociale, non pu essere eliminata dalla persuasione filosofica, cio su un piano teorico, ma soltanto dalla rivoluzione socialista, cio su un piano praticopolitico.

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TAPPA 2 MARX: IL MATERIALISMO STORICO Il risultato generale al quale arrivai e che, una volta acquisito, mi serv da filo conduttore nei miei studi, pu essere brevemente formulato cos: nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volont, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. Linsieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della societ, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono determinate forme sociali della coscienza. Il modo di produzione della vita materiale condizione, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma , al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della societ entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cio con i rapporti di propriet (che ne sono soltanto lespressione giuridica) dentro i quali tali forze per linnanzi si erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra unepoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge pi o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. Quando si studiano simili sconvolgimenti, indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che pu essere constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, in una parola le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo. [] Una formazione sociale non perisce finch non siano sviluppate tutte le forze produttive per la quale essa offra spazio sufficiente; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai prima che siano maturate in seno alla vecchia societ le condizioni materiali della loro esistenza. [] A grandi linee i modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese moderno possono essere designati come epoche che marcano il progresso della formazione economica della societ. I rapporti di produzione borghesi sono lultima forma antagonistica del processo di produzione sociale; antagonistica non nel senso di un antagonismo individuale, ma di un antagonismo che sorge dalle condizioni di vita sociali degli individui. Ma le forze produttive che si sviluppano nel seno della societ borghese creano in pari tempo le condizioni materiali per la soluzione di questo antagonismo. Con questa formazione sociale si chiude dunque la preistoria della societ umana. Marx, Per la critica delleconomia politica, Prefazione, in Marx-Engels, Opere scelte, Editori Riuniti Materialismo storico il nome col quale Marx battezza la sua teoria della realt storicosociale. Per Marx si tratta di una teoria scientifica, di una scienza della societ e della storia, fondata su fatti empirici e leggi necessarie e universali, cio dotate della stessa forma logica e della stessa valenza predittiva delle leggi di natura. Tuttavia i fatti e le leggi storico-sociali differiscono parzialmente da quelle naturali in quanto sono di tipo dialettico, sono cio caratterizzati da una relazione binaria di interazione conflittuale, o negazione, destinata a svilupparsi e risolversi in una negazione della negazione, dando 194

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cos origine a una nuova civilt e a una nuova epoca. E questo carattere dialettico che spiega la variabilit della realt storica rispetto alla fissit della realt naturale e, quindi, la specificit della scienza storica rispetto alle scienze della natura. Ogni societ umana, afferma in prima battuta Marx, divisibile in 2 sottosistemi: 1. la struttura, che coincide con il sistema economico, cio con lattivit produttiva finalizzata al sostentamento materiale di una societ; 2. la sovrastruttura, che comprende lo Stato, e quindi il diritto, la religione/chiesa, larte, la letteratura, la filosofia, la scienza, i costumi, le mode, la mentalit, pi in generale le idee. Le denominazioni che Marx utilizza per designare questi due sottosistemi sociali sono rivelative del loro rapporto gerarchico: la struttura rappresenta il livello primario e determinante, la sovrastruttura quello secondario e determinato. Ci significa che per Marx il sottosistema politico-culturale di una societ un effetto del sottosistema economico, ossia che le istituzioni politiche, le associazioni sociali, i movimenti culturali e le mentalit diffuse rispecchiano il modo in cui una societ organizza e svolge la sua attivit produttiva. Dunque, a seconda del tipo di economia una societ avr un corrispondente tipo di Stato, un corrispondente tipo di chiesa, una certa letteratura e cos via. Ci vuol dire che la sovrastruttura un mero ornamento della societ o una appendice senza alcuna funzione? No, perch la sovrastruttura retroagisce sulla struttura in due modi: a) in quanto rende la struttura pi salda e quindi pi efficiente, agendo dunque sia come un collante sia come un catalizzatore; b) in quanto pu rimanere uguale al variare della struttura, ovvero possiede una sorta di inerzia, e quindi pu frenare il cambiamento della struttura. Pu frenare, ma non impedire: prima o poi il cambiamento strutturale vince la resistenza dellinerzia sovrastrutturale e impone un cambiamento sovrastrutturale. La struttura dunque pu cambiare e proprio questo cambiamento, come si detto, costituisce la specificit delle societ umane rispetto al mondo naturale. La domanda cruciale allora: cosa fa cambiare la struttura e, di conseguenza, la sovrastruttura? In altre parole, qual la causa del divenire storico-sociale? La risposta di Marx, che costituisce il cuore pulsante del materialismo storico, : " il conflitto dialettico tra le forze produttive (FP) e i rapporti di produzione (RdP), che rappresentano i due fattori fondamentali del sottosistema economico. Ma cosa intende Marx per FP e RdP? " Le FP sono linsieme delle capacit fisico-mentali umane (forza muscolare, abilit manuale, conoscenze tecnico-gestionali) e dei mezzi naturali e materiali (p.e. un cavallo, una zappa o un altoforno) grazie ai quali si produce e che determinano la quantit del prodotto. " I RdP sono le relazioni che si stabiliscono tra gli uomini come produttori e che dipendono dalla diversa divisione 1) della propriet dei mezzi di produzione, 2) delle mansioni lavorative, 3) del prodotto. In sostanza, i RdP determinano le diverse classi sociali, p.e. i nobili feudali, in quanto proprietari della terra che svolgevano attivit politico-militare e incameravano la maggior parte del prodotto, o i servi della gleba, in quanto nullatenenti che coltivavano le terre concesse loro dai nobili e ricevevano una porzione del prodotto finale. Secondo Marx, lo sviluppo delle FP una sorta di variabile indipendente della storia. Le FP infatti tendono costantemente a crescere. I RdP costituiscono il contesto organizzativo che rende possibile tale crescita, ovvero ne sono lo strumento e la modalit. Ma mentre la crescita delle FP illimitata, i RdP sono limitati, cio permettono solo un certo grado di sviluppo delle FP. Di conseguenza, raggiunto il tetto massimo di crescita consentito da un 195

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certo tipo di RdP, la necessit di un ulteriore incremento delle FP impone il cambiamento dei RdP. In altre parole, mentre in un primo tempo tra FP e RdP vi un rapporto funzionale, in un secondo momento emerge il conflitto dialettico tra FP e RdP, con conseguente negazione degli RdP, ovvero con la loro sostituzione da parte di nuovi RdP funzionali a un ulteriore sviluppo delle FP. Per comprendere immediatamente la concezione di Marx, pu essere utile usare un esempio analogico alla portata di tutti: quello del cambio di unautomobile. Di solito per avviare unauto si mette la prima, che consente un piccolo incremento della velocit fino a un limite oltre il quale, per poter andare pi veloci, bisogna inserire la seconda (possibilmente senza dimenticare di schiacciare il pedale della frizione); poi la terza e cos via fino alla quinta. La velocit dellauto rappresenta allegoricamente le FP, le marce i RdP, lacuto del motore fuori giri il conflitto dialettico tra la tendenza allaumento delle FP e la resistenza dei RdP dati alla loro sostituzione con nuovi RdP, il rombo baritonale del motore di nuovo nei giri limporsi dei nuovi RdP e il successivo aumento di velocit lulteriore incremento delle FP reso possibile dai nuovi RdP. Marx classifica 5 tipi di RdP in base a 5 modi di produzione (MdP) che sono, in successione storico-cronologica: 1. il MdP asiatico-tribale, proprio delle societ primitive nomadiche, che vivevano di raccolta, caccia e allevamento, caratterizzate da una sorta di comunismo della penuria, in quanto non conoscevano n propriet privata, n una significativa differenziazione delle mansioni n una sostanziale disuguaglianza della distribuzione del prodotto; 2. il MdP antico-schiavistico, proprio delle societ stanziali antiche (da quella sumera a quella romana), che vivevano soprattutto di agricoltura, nelle quali allaumentare della ricchezza complessiva corrispondeva la prima divisione in classi (aristocrazia fondiaria, piccoli proprietari, commercianti, artigiani e schiavi) e le prime forme di disuguaglianza; 3. il MdP feudale, proprio della societ europea medievale, basato sullagricoltura e su una divisione in classi simile a quella del MdP antico ma con la sostituzione dei servi della gleba agli schiavi; 4. il MdP capitalistico-borghese, proprio della societ occidentale moderna e contemporanea, basato sulla preminenza dellindustria e sulla divisione in borghesi (o capitalisti), proprietari dei mezzi di produzione, e proletari (braccianti e operai), nullatenenti costretti a vendere la loro forza-lavoro in cambio di un salario di mera sussistenza; 5. il MdP socialista/comunista, destinato a imporsi in un futuro prossimo nella societ occidentale, e nel medio-lungo periodo in tutto il mondo, sempre basato sulla preminenza dellindustria ma caratterizzato dalla propriet collettiva dei mezzi di produzione e dallabolizione di ogni differenza di classe, cio dalluguaglianza economico-sociale.

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TAPPA 3 MARX: LA LOTTA DI CLASSE, LO STATO SOCIALISTA E IL COMUNISMO La storia di ogni societ sinora esistita storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in una parola oppressori e oppressi sono sempre stati in contrasto tra loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte nascosta, a volte palese: una lotta che fin sempre o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la societ o con la rovina comune delle classi in lotta. Nelle prime epoche della storia troviamo quasi dappertutto una completa divisione della societ in varie caste, una multiforme gradazione delle posizioni sociali. Nellantica Roma abbiamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel medioevo signori feudali, vassalli, maestri darte, garzoni, servi della gleba, e per di pi in quasi ciascuna di queste classi altre speciali gradazioni. La moderna societ borghese, sorta dalla rovina della societ feudale, non ha eliminato i contrasti tra le classi. Essa ha soltanto posto nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta in luogo delle antiche. Lepoca nostra, lepoca della borghesia, si distingue tuttavia perch ha semplificato i contrasti fra le classi. La societ intiera si va sempre pi scindendo in due grandi campi nemici, in due grandi classi direttamente opposte luna allaltra: borghesia e proletariato. Marx-Engels, Manifesto del partito comunista, in Marx-Engels, Opere scelte, Editori Riuniti Con la diminuzione costante del numero dei magnati del capitale che usurpano e monopolizzano tutti i vantaggi di questo processo di trasformazione, cresce la massa della miseria, della pressione, dellasservimento, della degenerazione, dello sfruttamento, ma cresce anche la ribellione della classe operaia che sempre pi singrossa ed disciplinata, unita e organizzata dallo stesso meccanismo del processo di produzione capitalistico. Il monopolio del capitale diventa un vincolo del modo di p r o d u z i o n e , che sbocciato insieme ad esso e sotto di esso. La centralizzazione dei mezzi di produzione e la socializzazione del lavoro raggiungono un punto in cui diventano incompatibili col loro involucro capitalista. Ed esso viene spezzato. Suona lultima ora della propriet privata capitalistica. Gli espropriatori vengono espropriati. Il modo di appropriazione capitalistico che nasce dal modo di produzione capitalistico, e quindi la propriet privata capitalistica , sono la prima negazione della propriet privata individuale, fondata sul lavoro personale. Ma la produzione capitalistica genera essa stessa, con lineluttabilit di un processo naturale, la propria negazione. E la negazione della negazione. E questa non ristabilisce la propriet privata, ma invece la p r o p r i e t individuale fondata sulla conquista dellera capitalistica, sulla cooperazione e sul possesso collettivo della terra e dei mezzi di produzione prodotti dal lavoro stesso. Marx, Il Capitale, Libro I, Editori Riuniti Come si detto, la teoria materialistica della storia di Marx sostiene che il passaggio da ogni MdP, ossia da ogni tipo di RdP, allaltro causato dal conflitto dialettico ricorrente tra MdP esistente e necessit di un ulteriore sviluppo delle FP. Questa spiegazione scientifica 197

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della storia vale per, sostiene Marx, al livello della massima generalizzazione e quindi della massima astrazione teorica. A un livello pi specifico, il conflitto dialettico RdP/FP assume la configurazione pi concreta della lotta tra le classi, in particolare tra le due classi maggiormente antagoniste, e quindi determinanti, di ogni MdP: aristocratici e schiavi, nobili e servi, borghesi e proletari. Ci significa che in ogni societ umana, secondo Marx, la classe dominante quella che ha inventato e introdotto i RdP vigenti, e quindi lotta per conservarli, mentre la classe dominata quella che inventa nuovi RdP e che lotta per imporli al posto dei vecchi. Qual il movente soggettivo di questa lotta, cio della lotta di classe? Linteresse materiale, risponde Marx. P.e., la nobilt medievale cerca di conservare i RdP feudali perch grazie ad essi detiene il primato economico-sociale e il potere politico; i borghesi, ex servi della gleba fuggiti ed emancipati, vogliono imporre i loro nuovi RdP per ottenere maggiore ricchezza e conquistare il potere politico. Certo, la lotta di classe anche lotta di idee, anzi si presenta soprattutto come lotta di idee. Ma le idee e quindi tutti gli ideali religiosi, filosofici, morali e politici sono sempre funzionali alla promozione degli interessi materiali, cio sono il loro travestimento razionale, la loro propaganda dissimulata. Dunque, in ultima analisi, Marx fonda la sua legge dello sviluppo storico, quella appunto del conflitto dialettico RdP/FP, sul comportamento individualistico e concorrenziale delluomo. Si tratta di un comportamento naturale, cio innato, oppure acquisito, cio indotto dalle condizioni storico-sociali? Marx opta per la seconda soluzione. Infatti, da un lato, la societ umana primitiva, quella pi vicina allo stato di natura rousseauiano, per lui si basa sulluguaglianza e la solidariet; dallaltro lultimo stadio dello sviluppo storico, quello socialista/comunista, restaura proprio luguaglianza e la solidariet originarie. In questo senso, Marx attribuisce il prevalere del comportamento individualistico e concorrenziale, e quindi laffermarsi della disuguaglianza, allesigenza umana provvisoria di emanciparsi dalla penuria e di conquistare lagiatezza. Infatti, egli sostiene che il passaggio alla futura societ socialista/comunista potr avvenire solo quando il MdP capitalistico-borghese sar arrivato a un grado di sviluppo delle FP tale non solo da rendere inutile, per un loro ulteriore incremento, il comportamento individualisticoconcorrenziale ma da rendere anzi necessario il comportamento collettivisticosolidaristico. In questa prospettiva, il materialismo storico ha come sbocco naturale la previsione del crollo del MdP capitalistico e lavvento rivoluzionario del socialismo. In tal modo lesigenza di scientificit di Marx si salda con il suo progetto politico di rivoluzione sociale. Marx, di conseguenza, dedica il suo maggior sforzo intellettuale allanalisi della struttura economica capitalistica e alla declinazione specifica e dettagliata del conflitto dialettico RdP/FP a livello della societ capitalistico-borghese. Egli isola cos una serie di leggi particolari del capitalismo che provocheranno inevitabilmente la sua implosione. Tra queste, quella decisiva rappresentata dalla legge della polarizzazione economico-sociale, cio della sempre pi netta divisione della societ in una sempre pi ristretta e ricca lite di borghesi e in una sempre pi numerosa e povera massa di operai. Una volta giunta a compimento, tale polarizzazione non pu che avere come esito la rivoluzione operaia che instaurer il socialismo, inteso come stadio di transizione dal capitalismo al comunismo. Infatti, dal punto di vista politico, il socialismo dovr conservare lo Stato e anzi imporre la dittatura del proletariato, cio un governo autoritario della maggioranza operaia sulla minoranza borghese; mentre pi avanti, una volta superati i condizionamenti sovrastrutturali del capitalismo, si potr abolire lo Stato ed entrare cos nel comunismo. Corrispondentemente, sul piano economico-sociale, nel socialismo si dovr ancora dividere il prodotto in base al principio a ognuno in base al lavoro erogato; mentre col comunismo il prodotto verr diviso in base al principio da ciascuno in base alle sue capacit, a ciascuno in base ai suoi bisogni. 198

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Ma la tesi pi clamorosa di Marx quella secondo cui il comunismo il MdP definitivo della storia umana, in quanto lunico che permette uno sviluppo illimitato delle FP. In altri termini, mentre tutti i precedenti RdP entrano necessariamente in conflitto dialettico con le FP, i RdP social-comunisti sono immuni da questo conflitto, cio sono del tutto funzionali alla crescita delle FP. Perch dunque fanno eccezione? Perch, risponde Marx, a differenza delle classe precedenti, proprietarie e quindi vincolate ai propri interessi particolari, il proletariato una classe universale, cio una classe il cui interesse particolare coincide con quello dellintera collettivit, in quanto non legata alla propriet privata e quindi non pu che aspirare alla propriet collettiva dei mezzi di produzione e alla distribuzione egualitaria del reddito. Di conseguenza, il proletariato non pu avere un interesse materiale contrario alla crescita delle forze produttive che dunque nel socialismo/comunismo potranno finalmente svilupparsi senza alcun freno. Grazie allabbondanza delle risorse materiali, a sua volta ogni individuo potr scegliere la propria attivit in piena libert, senza alcun condizionamento economico-sociale, cio seguendo le proprie inclinazioni e le proprie attitudini, e in questo modo il libero sviluppo di ognuno sar condizione del libero sviluppo di tutti e viceversa.

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ROTTA D IL POSITIVISMO LIBERALE John Stuart Mill si pone apertamente nel solco della migliore tradizione liberale inglese. Attraverso la sua originale rielaborazione, il pensiero liberale classico viene attualizzato e riformato dando origine a quella cultura liberal che un tratto tipico dei paesi anglosassoni nel XX secolo. In questo senso, pur aderendo al programma positivistico di un nuovo ordine sociale fondato sulla scienza, Mill rovescia il rapporto collettivit/individuo sostenuto da Comte, attribuendo la priorit alla dimensione individuale. Su questa base, lopera filosofica di Mill si articola su 3 livelli: quello epistemologico, quello etico e quello politico. A livello epistemologico, Mill concentra la sua indagine sul metodo induttivo. Da un lato, ne individua il fondamento nel principio di uniformit della natura; dallaltro non lo identifica con la semplice generalizzazione per enumerazione ma lo riconfigura come un intreccio di 4 strategie induttive: per concordanza, per differenza, per variazione concomitante e per residuo. A livello etico, Mill si rif allutilitarismo di Bentham, basato sul principio del maggior benessere possibile per il maggior numero di uomini, dandone per una versione pi sofisticata nella quale i piaceri intellettuali sono superiori a quelli materiali e il criterio di scelta soprattutto qualitativo anzich esclusivamente quantitativo. Infine, a livello politico, Mill porta il liberalismo alla completa accettazione del principio delluguaglianza non solo dei diritti giuridici ma anche dei diritti politici, ossia del diritto di voto, oltretutto rivendicandolo anche per le donne, della cui emancipazione si fa autorevole sostenitore. Inoltre, pur rifiutando il dirigismo statale, accoglie listanza di uguaglianza sociale, sostenendo il principio delle pari opportunit di partenza per tutti gli individui e appoggiando il movimento cooperativistico dei lavoratori. Tuttavia, Mill mette in guardia la societ moderna da quello che per lui il suo rischio maggiore: la tirannide della maggioranza, che si pu instaurare a livello sociale attraverso il conformismo di massa e a livello politico attraverso la prevaricazione del partito pi votato su quelli di minoranza. VITA DI UN CAPITANO JOHN STUART MILL Nato a Londra nel 1806, venne educato e istruito da suo padre James - intellettuale seguace e collaboratore di Jeremy Bentham, capostipite dellutilitarismo inglese che gli fece seguire un programma di studi intensissimo e complesso, soprattutto in rapporto allet (a 12 anni, p.e., costretto a leggere Platone e Aristotele), utilizzando il metodo punizione/premio (o, come pi espressivamente si dice, del bastone e della carota), improntato alla concezione utilitaristica, gi presente in illuministi come Helvtius, secondo cui lindividuo umano modellato dal suo ambiente, ovvero plasmabile a piacimento attraverso leducazione. In tal senso, in omaggio al principio primo dellutilitarismo, il criterio-guida delleducazione paterna fu far acquisire al figlio lassociazione spontanea tra il sentimento del piacere e lagire a favore della felicit altrui. Appena diciassettenne Mill, senza smettere di studiare, cominci anche a lavorare, come dipendente di suo padre, nella Compagnia delle Indie Orientali, occupandosi della corrispondenza. Lanno successivo inizi anche a scrivere per la Westminster Review fondata da Bentham. Nel 1826 Mill cadde vittima della depressione che, distruggendo la sua convinzione in tutto quello che aveva appreso, lo port a leggere i romantici Coleridge, Wordsworth e Carlyle, che sostenevano una visione del mondo assai diversa da quella utilitaristica. Da essi Mill trasse la convinzione che la formazione culturale il massimo bene umano in quanto frutto e, al contempo, potenziamento della libert individuale; e che 200

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formarsi culturalmente comportava aprirsi a molti e diversi orientamenti di pensiero. In seguito, a partire dal 1929, Mill venne a conoscenza del pensiero di Saint-Simon e poi di quello di Comte, sensibilizzandosi alle grandi questioni della giustizia sociale e della parit tra uomini e donne. Lanno dopo si innamor, ricambiato, di Harriet Hardy, donna di profonda cultura sposata con un commerciante. Nel 1831 conobbe personalmente Carlyle e rimase profondamente ammirato dalla sua personalit. Nel 1832, in seguito alla morte di Bentham, pubblic Osservazioni su Bentham, in cui critic linterpretazione bethamiana dellutilitarismo senza per rinnegare i suoi principi di fondo. Il saggio su Bentham segn la fine del periodo di disorientamento spirituale di Mill e linizio del processo creativo della sua filosofia originale. Nel 1834 Mill, senza mai smettere di lavorare per la Compagnia delle Indie, divent direttore della nuova rivista radical-liberale London and Westminster Review. Lanno successivo lesse e recens La democrazia in America, il decisivo saggio del liberal-democratico francese Tocqueville, di cui diventa anche amico. Affetto dalla tubercolosi, viaggi in Europa per soggiornare a scopo terapeutico in Svizzera e in Italia, dove, dopo aver declinato lofferta della cattedra di filosofia morale da parte delluniversit di Glasgow, sarebbe tornato nel 1838 con Harriet Hardy, anche lei sofferente per la tbc. Nel 1837 inizi a leggere Corso di filosofia positiva di Comte, con il quale intrattenne rapporti diretti di corrispondenza e amicizia dal 1841 al 1847, quando Comte ruppe bruscamente con lui per la critica che Mill aveva rivolto alla concezione comtiana del rapporto individuo/collettivit da lui giudicata dispotica e assimilata a quella di Ignazio di Loyola, il fondatore della Compagnia di Ges. Solo dal 1836, e cio dopo la morte del padre, che non aveva voluto in alcun modo contrariare in vita, Mill cominci a scrivere e pubblicare le opere in cui espose la sua nuova filosofia: Sistema di logica induttiva e deduttiva (1843), Principi di economia politica (1848), Sulla libert (1859), Considerazioni sul governo rappresentativo (1861), Lutilitarismo (1863), Auguste Comte e il positivismo (1865). Nel 1851 mor il marito di Harriet Hardy e Mill pot finalmente sposarla. Tre anni dopo i due tornarono a viaggiare in Europa per curare la tbc e Harriet decise di stabilirsi nella Francia meridionale. Nel 1856 Mill inizi a scrivere Autobiografia, unopera di genere molto diverso dalle altre e per la quale possiamo avvicinare Mill al selezionato novero di filosofi Seneca, Agostino, Montaigne, Pascal, Kierkegaard che ancorarono concretamente la filosofia alla propria esperienza esistenziale. Nel 1858 Mill si licenzi dalla Compagnie delle Indie per assistere la moglie malata che mor ad Avignone alla fine dellanno. Nel 1865 divent deputato della Camera dei Comuni in cui si batt per far approvare la legge di estensione del diritto di voto alle donne. Non ci riusc ma continu ugualmente la sua battaglia politico-culturale pubblicando Lasservimento delle donne (1869), che aveva scritto alcuni anni prima su sollecitazione della moglie e avvalendosi della sua collaborazione. Per questo Mill fu il primo intellettuale europeo di grande levatura a sostenere teoricamente e praticamente la causa dellemancipazione femminile. Mill mor ad Avignone nel 1873. Lanno successivo fu pubblicata la sua ultima opera, Tre saggi sulla religione.

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TAPPA 1 MILL: UTILITARISMO QUALITATIVO E STATO LIBERAL-DEMOCRATICO Nella nostra epoca chiunque, dalla pi elevata alla pi infima classe sociale, vive come se fosse sotto lo sguardo di un censore ostile e temibile. Non solo nelle questioni che riguardano gli altri, ma anche in quelle che riguardano loro soltanto, lindividuo o la famiglia non si chiedono Che cosa preferisco? o Che cosa si addice al mio carattere e alle mie inclinazioni? o Che cosa permetterebbe alle mie qualit migliori e pi elevate di esprimersi e crescere rigogliosamente?. Ma si chiedono Che cosa si addice alla mia posizione?, Come si comportano abitualmente le persone della mia condizione economica e sociale? o, peggio ancora, Come si comportano abitualmente le persone di condizioni economiche e sociali superiori alle mie?. Non voglio dire che scelgano la consuetudine invece di ci che si addice alle loro inclinazioni: non hanno inclinazioni che non siano per consuetudine. Cos la stessa mente si piega sotto il giogo: persino in ci che gli uomini fanno per il piacere, il conformismo il loro primo pensiero; amano stare tra la folla; esercitano la scelta solo tra cose comunemente fatte; loriginalit del gusto, leccentricit della condotta sono rifuggiti al pari di crimini; finch, a furia di non seguire la propria natura, non hanno pi natura propria. Le loro facolt umane deperiscono e inaridiscono; diventano incapaci di desideri forti e di piaceri spontanei, e in genere sono privi di opinioni e di sentimenti autonomamente sviluppati e propriamente loro. [] Non stemperando nelluniformit tutte le caratteristiche individuali, ma coltivandole e facendo appello ad esse entro i limiti imposti dai diritti e dagli interessi altrui, che gli uomini diventano nobili e magnifici esempi di vita; e poich lopera partecipa del carattere di chi la compie, mediante lo stesso processo la vita umana si arricchisce, si diversifica e si anima, fornendo maggiore stimolo ai pensieri e ai sentimenti pi elevati e rafforzando il legame che unisce ciascun individuo alla specie, rendendola infinitamente pi degna di appartenervi. Mill, Saggio sulla libert, Il Saggiatore, 1981 La riflessione etica e socio-politica di Mill mira a rinnovare e perfezionare la grande tradizione liberale inglese avviata da J. Locke e incentrata sul valore prioritario dellindividuo e dei diritti individuali. Nel corso del 700 e allinizio dell800, nellalveo del pensiero liberale inglese si era sviluppato lutilitarismo. Il principale esponente ne era stato Jeremy Bentham, il quale, riprendendo spunti degli illuministi Helvtius, Hutcheson e Beccaria, aveva proposto come principio fondamentale dellagire appunto lutilit, definita come la massima felicit per il maggior numero (the greatest happiness of the greatest number). Per felicit Bentham intendeva il benessere fisico individuale raggiungibile attraverso la massimizzazione dei piaceri e la minimizzazione dei dolori. Sulla base di una concezione fondamentalmente materiale dei piaceri, e quindi della felicit, Bentham teorizzava la possibilit di selezionarli in base al criterio oggettivo immediato della maggior o minore quantit. P.e., un abito invernale pi pesante, e quindi pi caldo, per lui era preferibile a un abito invernale pi leggero e quindi meno caldo. Il principio di utilit, in questo senso, si riferiva per Bentham anzitutto e soprattutto allagire individuale. Per non si limitava alla sfera individuale, in quanto il suo merito maggiore, a parere di Bentham, consisteva proprio nel raccordare effettivamente ed equilibratamente sfera individuale e sfera collettiva. A partire dalla propria felicit e 202

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compatibilmente con essa, infatti, lindividuo doveva agire in modo da contribuire anche alla felicit del maggior numero possibile di altri individui, dal momento che la felicit altrui un fattore della propria felicit. Attraverso la mediazione del padre James, amico di Betham e filosofo utilitarista egli stesso, J.S. Mill fa proprio lutilitarismo benthamiano ma lo riforma, giudicandolo troppo schiacciato sul materialismo e quindi alquanto grezzo e meccanico. Ferma restando la definizione di utilit come massima felicit per il maggior numero , Mill sostiene che la felicit ha certo una componente materiale ma al contempo una pi rilevante componente intellettuale o spirituale. In altre parole, per Mill non solo accanto ai piaceri materiali vi sono anche i piaceri mentali, ma soprattutto i secondi sono superiori ai primi. Di conseguenza, secondo Mill la selezione e la gerarchizzazione dei piaceri, e dei relativi comportamenti, non possono essere effettuate sulla base del mero criterio quantitativo, ma anzitutto e soprattutto sulla base di una criterio qualitativo. Mill, insomma, mette a punto una versione pi raffinata e sofisticata dellutilitarismo, un utilitarismo di tipo intellettual-qualitativo anzich material-quantitativo. Ma come si pu giudicare la maggiore o minore qualit di un piacere senza cadere nel soggettivismo e quindi nel relativismo? Basandosi sul parametro quantitativo, Bentham aveva dato al suo utilitarismo un saldo fondamento oggettivo e universale. Mill sembrerebbe aver reso pi articolato e completo lutilitarismo, ma al prezzo di minarne luniversalit e di ridurlo allindividualismo esasperato. Per risolvere il problema, Mill indica una modalit di giudizio universale della qualit di un piacere di tipo empirico-statistico, ovvero basata sulla ricorrenza delle effettive scelte degli individui. In parole pi semplici, la qualit di un piacere intellettuale (p.e. la lettura di un romanzo) maggiore di quella di un altro (p.e. la visione di un dipinto) se a uno di essi danno la preferenza tutti coloro che li hanno provati entrambi e ne sono quindi competenti. Sul piano politico, Mill apre il liberalismo alle istanze del pensiero democratico e, almeno in parte, del pensiero socialista, diventando cos una delle fonti pi importanti dei filoni politici liberal-democratico e liberal-socialista del 900. Infatti, ribadendo con forza il primato del valore della libert individuale, che dunque deve costituire il fine ultimo della politica, Mill sostiene che luguaglianza, sia politica sia sociale, non va considerata il fine prioritario questo lerrore dei socialisti - ma tuttavia debba essere valorizzata come uno dei mezzi utili a realizzare pienamente la libert individuale. Di conseguenza, Mill in primo luogo perora la causa del diritto di voto per tutti, ossia del suffragio universale, e oltretutto non solo per gli uomini ma anche per le donne, distinguendosi come uno dei rari intellettuali maschi dell800, sicuramente il pi autorevole, sostenitore della causa dellemancipazione femminile. In secondo luogo, afferma che ogni individuo, uomo o donna, ricco o povero, deve godere di pari opportunit di partenza, in particolare grazie al riconoscimento e allattuazione del diritto allo studio per tutti. Successivamente, per, in base ai diversi meriti e alle diverse preferenze individuali, secondo Mill, giusto che i redditi e gli status sociali si differenzino, purch entro certi limiti. Lo Stato, dunque, deve astenersi da qualunque intervento nelleconomia, per pu e deve evitare le eccessive e ingiustificate sperequazioni economico-sociali utilizzando limposizione fiscale e operando con essa una parziale redistribuzione dei redditi. Nel momento in cui apre alla democrazia sociale, Mill per denuncia quello che, a suo parere, il pericolo mortale che essa comporta: la tirannide della maggioranza. In altre parole, la democrazia - intesa in senso classico come potere del popolo, ossia dei pi poveri, contro i pi ricchi corre il rischio di trasformarsi in una nuova, pi potente e opprimente forma di dispotismo. Essa pu instaurarsi a 2 livelli: 1. a livello sociale e culturale, come conformismo; 203

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2. a livello politico-istituzionale, come dominio di un partito di maggioranza su uno o pi partiti di minoranza. Al primo livello, quello socio-culturale, Mill, prevedendo le caratteristiche della futura societ di massa che cominciava appena a delinearsi nella sua epoca, afferma che la societ in grado di esercitare un condizionamento spontaneo degli individui, una pressione psicologica e culturale che li spinge ad agire in modo convenzionale e a uniformarsi gli uni agli altri nel modo di pensare, nelle preferenze culturali, nelle scelte e negli stili di vita, nella moda, ecc. Il risultato appunto limporsi del conformismo di massa che soffoca fino a estinguerle le diversit, le differenze personali, le forti individualit che per loro stessa natura sono eccentriche, divergenti, anticonformiste. Si tratta di un pericolo mortale, secondo Mill, in generale perch la principale ricchezza di una societ sono proprio le diversit che permettono di avere pi risorse a disposizione per affrontare e risolvere i problemi; e in particolare perch i maggiori contributi al progresso in ogni campo della vita sociale e culturali sono storicamente venuti proprio dalle forti personalit individuali eccentriche e anticonformiste. Per prevenire il pericolo del conformismo socio-culturale e garantire il maggior pluralismo culturale possibile, Mill sostiene che il sistema scolastico, pur se accessibile a tutti, non deve essere controllato dallo Stato e quindi monolitico, ma affidato ad associazioni private di differente orientamento e quindi il pi diversificato possibile. Al secondo livello, quello politico-istituzionale, Mill sostiene che il rischio della tirannide della maggioranza insito nel principio democratico secondo cui il partito che ottiene la maggioranza dei consensi assume il controllo del potere esecutivo. In mancanza di limiti e correttivi, il mero criterio della maggioranza degli elettori o degli eletti pu consentire al partito al potere di limitare o addirittura annullare le chance di rivincita elettorale dei partiti risultati minoritari in una consultazione elettorale. In altri termini, il partito di maggioranza al governo pu usare i poteri statali per garantirsi la superiorit operativa e propagandistica sui partiti di opposizione, impedendo di fatto che essi possano vincere ogni successiva elezione e rimanendo per sempre al potere, in modo formalmente democratico ma sostanzialmente dittatoriale. Per allontanare il pericolo della tirannide della maggioranza sul piano politico-istituzionale, occorre, secondo Mill, che sia istituito un sistema di controlli e contrappesi (checks and balances) in modo da garantire che in ogni elezione il partito di governo e quelli di opposizione abbiano effettivamente uguali possibilit di vincere, ovvero che sia possibile il ricambio delle maggioranze parlamentari e dei governi. In conclusione, per evitare il rischio della tirannide della maggioranza, le moderne democrazie, secondo Mill, devono assorbire e metabolizzare i valori del liberalismo: lintangibilit dei diritti individuali, il pluralismo culturale, la concorrenza leale.

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ROTTA D IL POSITIVISMO EVOLUZIONISTICO La versione del positivismo elaborata da Spencer si caratterizza e si distingue dalle precedenti per il suo taglio evoluzionistico. Attingendo soprattutto a Lamarck, Spencer rivendica di aver elaborato originalmente una teoria dellevoluzione prima e autonomamente da Darwin. Ci non gli impedisce, in seguito, di includere e rifondere nella sua filosofia anche alcuni aspetti del darwinismo. Di certo, levoluzionismo spenceriano presenta una fondamentale differenza sia dal lamarckismo sia dal darwinismo: esso non riguarda solo la realt biologica, ma lintera realt, cio spazia dagli ambiti astronomico, fisico e chimico a quelli biologico, psicologico, storico-sociale, gnoseologico ed etico. In altre parole Spencer ha lambizione di aver scoperto, con la sua teoria dellevoluzione, la legge unica universale, quella da cui dipendono tutte le altre leggi particolari della realt. Tale legge consiste nel passaggio necessario della materia da uno stato semplice e disorganizzato a livelli sempre pi alti di complessit e organizzazione. Dopo averla definita nella sua generalit, Spencer declina la legge dellevoluzione nei vari settori della realt specificandola e diversificandola come evoluzione fisico-chimica, evoluzione biologica, evoluzione psicologica, evoluzione storico-sociale, evoluzione scientifica, evoluzione etica. In ogni caso, levoluzione per Spencer si configura come progresso necessario e continuo, bench non infinito. Su questa base, fedele allidea tipicamente positivista secondo cui la scienza anche e soprattutto previsione del futuro, la filosofia di Spencer sfocia in una visione utopica di unumanit spontaneamente e compiutamente morale e, di conseguenza, di una societ capace di autoregolarsi senza aver pi bisogno di un potere coercitivo di tipo statale. In questo modo, il liberalismo spenceriano ha come esito ultimo una sorta di anarchismo utopico. Tuttavia, Spencer ammette un limite alla conoscenza scientifica e quindi anche alla propria filosofia. Secondo lui, la causa prima e il fine ultimo della realt sono inconoscibili e costitutivamente avvolti da un mistero che solo il pensiero religioso pu sondare in base a modalit del tutto autonome da quelle scientifiche. Pertanto, Spencer conclude che scienza e religione sono due sfere complementari e, al contempo, del tutto indipendenti luna dallaltra. VITA DI UN CAPITANO HERBERT SPENCER Nacque a Derby in Inghilterra nel 1820 in una famiglia piccoloborghese. Il padre fu dapprima seguace del metodismo, un movimento di rinascita religiosa nato allinterno dellanglicanesimo e poi costituitosi in chiesa autonoma, e in seguito del pi radicale quaccherismo, che professava un cristianesimo del tutto interiore, lassoluta non-violenza, lanticonformismo sociale e la tolleranza verso tutte le religioni e le idee. Leducazione paterna aliment lemergere in Spencer di uno spirito aperto e libertario, ma anche linteresse per la conoscenza tecnico-scientifica. Spencer, per, sub anche linfluenza dello zio, un puritano intransigente, che gli trasmise un rigoroso senso del dovere e lansia di perfezione. Raggiunta ladolescenza Spencer prosegu la sua istruzione da autodidatta. Nel 1840 lesse i Principi di geologia di Lyell, venendo a conoscenza, seppur indirettamente, della teoria dellevoluzione di Lamarck, prima fonte di ispirazione della sua filosofia. Sempre studiando autonomamente, divenne ingegnere e fu assunto dalla compagnia ferroviaria che stava costruendo la linea Londra-Birmingham. La morte dello zio nel 1846 e, nel 1853, quella dello stesso padre, lo fecero entrare un possesso di una consistente eredit che gli permise di vivere di rendita. Spencer abbandon il suo impiego ferroviario per dedicarsi totalmente alla sua passione per la filosofia e alla scrittura di articoli e saggi. 205

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Dal 1848 inizi a collaborare con la rivista The Economist e nel 1852 pubblic larticolo Ipotesi dello sviluppo, in cui deline la sua teoria dellevoluzione, bench senza ancora utilizzare il termine evoluzione, che in seguito fu proprio lui a rendere famoso. Nel 1855 pubblic il libro Principi di psicologia, nel quale spieg la struttura e il funzionamento della mente delluomo come altrettanti risultati della graduale evoluzione della specie umana. Il libro non ebbe successo, al contrario di Lorigine della specie che Darwin pubblic nel 1859 e nel quale, peraltro, il termine evoluzione usato raramente, mentre predomina lespressione selezione naturale. Anche per riaffermare la paternit della scoperta della teoria dellevoluzione, Spencer nel 1860 scrisse, senza pubblicarlo, Sistema di filosofia sintetica, in cui tratteggi il piano complessivo della sua filosofia, che poi realizz effettivamente negli anni immediatamente successivi pubblicando: Primi principi (1862), esposizione dettagliata della teoria generale dellevoluzione, Principi di biologia (1864-1867), analisi dellevoluzione degli esseri viventi, una nuova edizione di Principi di psicologia (1870-72), Principi di sociologia (1876-86), analisi dellevoluzione delle societ e degli Stati, Principi di etica (1892-93), spiegazione evoluzionistica della formazione dei valori morali. Durante gli anni della composizione e della pubblicazione del suo sistema filosofico, Spencer fu afflitto da una grave depressione, connessa anche ai pesanti ritmi di lavoro cui si sottoponeva. Riusc a superarla, ma da allora fu costretto a limitare decisamente le ore quotidiane di impegno intellettuale. Di certo non era estranea alle sue sofferenze psichiche la sua freddezza sentimentale e la sua incapacit a stabilire legami affettivi profondi e duraturi sia con uomini sia con donne. Lepisodio pi significativo delle sue relazioni con le donne fu la temporanea frequentazione di Mary Ann Evans, futura scrittrice nota con lo pseudonimo maschile di George Eliot, cui faceva visita nella casasalotto del mentore di lei. In realt gli unici rapporti umani di Spencer furono quelli di tipo professionale e intellettuale, molto lontani dalla vera amicizia e spesso competitivi, come nel caso del suo rapporto con Darwin. In tal senso molto indicativo il giudizio su Spencer lasciatoci appunto da Darwin: La conversazione di Herbert Spencer mi pareva interessante, ma non mi piaceva particolarmente e sentivo che non sarei entrato facilmente in intimit con lui. Penso che fosse estremamente egoista. Dopo aver letto qualcuno dei suoi libri provo in genere un'entusiastica ammirazione per il suo talento eccezionale, e mi sono domandato se in un lontano futuro egli non sar per caso classificato assieme a pensatori come Cartesio, Leibniz e altri, anche se di questi autori conosco ben poco. Cionondimeno, non sono consapevole d'essermi giovato nella mia opera degli scritti di Spencer. Il suo modo di trattare qualunque argomento con un sistema puramente deduttivo del tutto opposto alla mia struttura mentale. Le sue conclusioni non mi convincono mai, e dopo aver letto qualcuna delle sue discussioni mi successo molte volte di dire a me stesso: Ecco un bell'argomento da lavorarci sopra una mezza dozzina d'anni. Le sue fondamentali generalizzazioni (che qualcuno ha paragonato per importanza alle leggi di Newton!), e che sono forse utilissime in campo filosofico, sono di tal natura che non appaiono utilizzabili, in campo strettamente scientifico. Sono piuttosto definizioni che non leggi di natura e non aiutano a predire ci che accadr in casi particolari. Comunque sia, a me non sono state di alcuna utilit. Al netto dei limiti soggettivi del punto di vista di Darwin, il brano mette a fuoco in modo obiettivo lincommensurabilit tra la teoria filosofica dellevoluzione di Spencer e la teoria scientifica dellevoluzione di Darwin, facendoci comprendere che ha poco senso porsi il problema di chi precedette e influenz chi. La competitivit, in ogni caso, affliggeva anche Darwin, il quale solo in una successiva edizione dellOrigine delle specie cit Spencer e oltretutto presentandolo in modo riduttivo come un anti-creazionista. Spencer mor a Brighton nel 1903. Postuma fu pubblicata la sua Autobiografia.

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TAPPA 1

SPENCER: LA LEGGE DELLEVOLUZIONE COSMICA


Levoluzione, nel suo aspetto primario, un mutamento da forme meno coerenti a forme pi coerenti, conseguente alla dissipazione del movimento e allintegrazione della materia. [] I fatti provano che tale carattere egualmente manifesto sia nei primi mutamenti che si suppone luniverso abbia subito nel suo complesso, sia negli ultimi mutamenti che ritroviamo nella societ e nei prodotti della vita sociale. Dappertutto lunificazione procede in diversi modi simultaneamente. Nellevoluzione del sistema solare, o di un pianeta, o di un organismo, o di una nazione, vi una progressiva unificazione dellintera massa. Essa pu venir prodotta dalla crescente densit della materia gi contenuta in essa o dallaggiungersi di materia che ne era prima separata oppure da entrambe le cose; ma comporta in ogni caso una perdita di movimento relativo. Nello stesso tempo le parti, nelle quali la materia si divisa, si consolidano ciascuna al suo interno. Lo constatiamo nella formazione dei pianeti e dei satelliti, sviluppatasi parallelamente alla concentrazione della nebulosa che ha dato origine al sistema solare; lo constatiamo nella crescita di organi distinti, la quale progredisce di pari passo con la crescita di ciascun organismo; lo constatiamo infine nella nascita di particolari centri industriali e di particolari masse di popolazione, che accompagna la nascita di ogni societ. [] Ovviamente se, mentre avvenuta la trasformazione dallincoerente al coerente, si sono avute anche altre trasformazioni, la massa, in luogo di rimanere uniforme, necessariamente diventata multiforme: la proposizione identica. Dire che la re-distribuzione primaria accompagnata da redistribuzioni secondarie significa dire che, insieme al mutamento da uno stato di dispersione a uno di concentrazione, vi pure un mutamento da uno stato omogeneo a uno eterogeneo. Le componenti della massa, integrandosi, si differenziano. [] Levoluzione, se da un lato un mutamento dallomogeneo alleterogeneo, daltro lato costituisce un mutamento dallindefinito al definito. Insieme al passaggio dalla semplicit alla complessit vi quello dalla confusione allordine, da un sistemazione indeterminata a una sistemazione determinata. Lo sviluppo, non importa di quale tipo, presenta non soltanto una moltiplicazione di parti diverse, ma anche un aumento della distinzione con cui queste parti si definiscono luna rispetto allaltra. [] Procedendo in questo modo, e fatta la dovuta aggiunta, la formula definitiva pu essere cos stabilita: levoluzione unintegrazione di materia e una concomitante dissipazione di movimento, durante cui la materia passa da unomogeneit indefinita e incoerente a uneterogeneit definita e coerente, e durante cui il movimento conservato subisce una trasformazione parallela. H. Spencer, Primi principi, parte II, trad. di Pietro Rossi, in Positivismo e societ industriale, ed. cit. Spencer concepisce e pratica la filosofia come una scienza delle scienze, cio come una scienza generale e totale, consistente nella sintesi dei risultati particolari delle scienze settoriali. Tale sintesi si configura come una teoria dellevoluzione cosmica, secondo la

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quale tutta la realt un processo continuo e necessario di perfezionamento, bench diversificato a seconda dei suoi diversi livelli. Per fondare questa sua teoria Spencer innanzitutto riprende dalla scienza moderna i principi canonici della conservazione della materia e del movimento. Secondo lui, infatti, la realt costituita da 3 principi generali: 1. lindistruttibilit della materia: tutto materiale, ovvero fisico, e la materia eterna, ossia non si genera n si distrugge; 2. la continuit del movimento: la materia composta da corpuscoli dotati di un moto perenne, che non si interrompe mai n si esaurisce, ma soltanto si redistribuisce; 3. la persistenza della forza: la forza, o energia, che produce movimento anchessa permanente e inesauribile e soggetta unicamente alla redistribuzione e alla trasformazione. Insomma, anche per Spencer vale la tradizionale sentenza materialistica, secondo cui nulla si crea, nulla si distrugge, tutto continuamente si trasforma. Questi 3 principi, secondo Spencer, sono altrettanti pilastri della legge dellevoluzione, la legge unica e universale dalla quale dipendono tutte le altre leggi e tutti i fenomeni naturali della realt. La legge universale dellevoluzione consiste nel passaggio necessario, continuo e graduale di tutte le cose: a) dallomogeneit alleterogeneit; b) dallincoerenza alla coerenza; c) dallindefinitezza alla definitezza. In primo luogo, evoluzione, afferma Spencer, significa che la natura passa da uno stato di indifferenziazione, oppure da stati di bassa differenziazione, a stati sempre pi alti di differenziazione. P.e., dalla nebulosa originaria, miscuglio indifferenziato di gas e polveri, si sono evoluti pianeti, stelle, comete, satelliti, meteoriti, ecc.; dagli organismi monocellulari di sono evoluti gli organismi pluricellulari; dalle societ primitive prive di classi e ceti sociali si sono evolute le societ moderne stratificate in classi e ceti. In secondo luogo, evoluzione vuol dire che la natura passa da stati di minore coesione della materia di cui fatta a stati di sempre maggiore coesione, integrazione, compattamento, dipendenza reciproca e interazione tra le parti. P.e., un pianeta pi coerente, ovvero coeso, della nebulosa originaria; un delfino pi coerente di un lombrico: se fatto a pezzi muore, a differenza del lombrico che invece si moltiplica; la solidariet sociale tra i cittadini di uno Stato democratico moderno maggiore di quella tra i sudditi di uno Stato dispotico antico. In terzo luogo, levoluzione consiste nella trasformazione della natura da una condizione di indeterminazione e confusione a una condizione di determinazione e distinzione, cio a una condizione in cui ogni parte di qualcosa pi specializzata e quindi funzionale allinsieme. P.e., il sistema solare pi definito della nebulosa originaria in quanto ben distinto in Sole e pianeti, ognuno dei quali dotato di un moto di rivoluzione proprio e al contempo correlato a tutti gli altri dallinterazione gravitazionale; gli organi interni di un mammifero sono pi distinti e quindi meglio interconnessi di quelli di un gasteropode; in una societ moderna la divisione e la specializzazione dei lavori e delle professioni molto maggiore che nelle societ primitive, e ci si traduce in una maggiore produttivit e quindi in una maggiore ricchezza. E chiaro che per Spencer omogeneit, incoerenza e indefinitezza, da un lato, e eterogeneit, coerenza e definitezza, dallaltro, sono sfaccettature di un medesimo e unitario stato naturale. In particolare il trinomio eterogeneit, coerenza e definitezza, cio i requisiti dellevoluzione, si sintetizzano in una condizione di articolazione, specializzazione, complessit e funzionalit. In una parola, levoluzione secondo Spencer consiste nellaccrescimento del grado di organizzazione degli enti naturali.

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Tuttavia Spencer sostiene che levoluzione non un processo infinito. Pertanto, raggiunto il livello massimo di organizzazione levoluzione sar temporaneamente seguita dalla dissoluzione, cio da una dinamica opposta a quella evolutiva, al termine della quale si riavvier un nuovo ciclo di evoluzione. Spencer declina la sua legge universale dellevoluzione in 3 modalit parzialmente diverse: 1. levoluzione inorganica, propria della realt meccanico-chimica, studiata da astronomia, fisica e chimica; 2. levoluzione organica, propria della realt vivente, studiata dalla biologia e dalla psicologia; 3. levoluzione superorganica, propria della civilt umana, studiata dalla sociologia e dalletica. In particolare, levoluzione organica si basa, secondo Spencer, sul principio delladattamento degli organismi allambiente in cui vivono. In altre parole, lambiente stimola luso e quindi lo sviluppo di organi sempre pi differenziati e specializzati che si trasmettono e si perfezionano di generazione in generazione. Questa modalit evolutiva riguarda non solo il corpo ma anche la psiche, la quale si trasforma adattandosi sempre meglio allambiente. In questa prospettiva Spencer elabora una teoria della mente umana che concilia empirismo e criticismo kantiano. Secondo Spencer, infatti, la mente umana a livello ontogenetico, cio di sviluppo di ogni singolo individuo, possiede, come aveva sostenuto Kant, forme a priori (spazio, tempo, causalit, ecc.), cio criteri di organizzazione razionale innati, non derivati dallesperienza. Tuttavia, a livello filogenetico, cio di sviluppo della specie umana, quelle forme a priori hanno avuto un origine empirica, cio sono a posteriori , in quanto sono il prodotto selettivo delle esperienze accumulate e trasmesse nei millenni da milioni di individui umani. In altri termini, dai primi sapiens sapiens in poi, gli uomini hanno messo a fuoco per induzione, a partire da singole intuizioni sensibili, delle regole generali. Tali regole, trasmesse per eredit biologica, sono state perfezionate e sedimentate da ogni nuova generazione fino a cristallizzarsi in quelle che per Kant erano le forme trascendentali della ragione umana. Ma il livello pi alto di evoluzione quello superorganico, cio quello proprio della civilt umana. La sua superiorit, afferma Spencer, dovuta al suo carattere collettivo. In altri termini, ladattamento della specie umana allambiente pi efficace di quello delle altre specie viventi perch basato sul pi alto grado di cooperazione tra gli individui appartenenti alla specie e quindi su una maggiore specializzazione. In questo senso, levoluzione storico-sociale dellumanit un progresso da forme pi semplici a forme sempre pi complesse di cooperazione sociale. Pi specificatamente, Spencer circoscrive 2 funzioni sociali fondamentali: 1. la funzione militare, connessa al bisogno vitale di aggredire e difendersi; 2. la funzione industriale, relativa al bisogno di nutrimento. In relazione alla modalit di queste 2 funzioni strategiche, Spencer classifica 3 tipi di societ corrispondenti ad altrettanti periodi del progresso storico-sociale dellumanit: 1. la societ militare, tipica dellet antico-medioevale, caratterizzata da un potere statale dispotico, dalla subordinazione dellindividuo alla collettivit e da forme coercitive di cooperazione, corrispondenti a un basso grado di coesione sociale; 2. la societ industriale, tipica dellepoca moderno-contemporanea, caratterizzata da un potere statale liberale, dalla subordinazione della collettivit allindividuo e da forme libere di cooperazione basate sullinteresse egoistico, corrispondenti a un grado medio di coesione sociale; 3. la societ altruistica, che sar propria della nuova epoca post-contemporanea, caratterizzata dalla progressiva riduzione del potere statale fino alla sua scomparsa, dalla completa conciliazione e integrazione di individui e collettivit, da forme altruistiche di cooperazione, corrispondenti al massimo grado di coesione sociale. 209

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In questo modo, la sociologia evoluzionistica di Spencer sfocia nella previsione scientifica dellavvento imminente di una nuova societ umana concepita come il traguardo del progresso storico. Questa previsione per non fondata da Spencer solo sullevoluzione storico-sociale ma anche e soprattutto sullevoluzione etica dellumanit, che peraltro sincronica e strettamente intrecciata con quella storico-sociale. In modo analogo al suo evoluzionismo psicologico, levoluzionismo etico di Spencer consiste in unoriginale sintesi della tradizione utilitaristica inglese e della morale kantiana del dovere. Secondo Spencer, a livello ontogenetico, ogni individuo umano trova innata in s la legge morale, ovvero un imperativo categorico che, in nome del puro dovere, lo obbliga razionalmente ad agire in modo universale e a reprimere quindi gli impulsi naturali e i moventi egoistici. Ma a livello filogenetico, la legge morale il prodotto di miriadi di esperienze pratiche che progressivamente hanno portato gli uomini a capire che il criterio migliore di comportamento quello della maggiore felicit per il maggior numero, ovvero che il comportamento altruistico pi vantaggioso di quello egoistico. In questo modo nella coscienza umana si gradualmente costituito e sempre pi messo a punto limperativo categorico teorizzato da Kant che stato poi trasmesso ereditariamente da una generazione allaltra, trasformandosi cos in una regola universale a priori fine a se stessa, ovvero del tutto disinteressata, che deve essere seguita solo per dovere. Secondo Spencer, levoluzione etica futura porter gli uomini a seguire sempre pi spontaneamente e dunque sempre pi facilmente e sempre pi spesso la legge morale. In altre parole, per Spencer luomo diventer in futuro sempre pi istintivamente altruista e questo gli permetter di avvertire e subire sempre meno lopposizione degli impulsi e dei moventi egoistici, cio di infrangere sempre meno la legge morale. E chiaro che su questa evoluzione etica verso la perfezione morale, e dunque verso lagire spontaneamente e pienamente altruistico, che Spencer fonda la sua previsione scientifica di una futura societ priva di un potere statale.

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SCOPERTA

LA REALTA COME CAOS INDETERMINABILE

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CANNOCCHIALE SU LORIZZONTE STORICO-CULTURALE 1873-1913 1. Il capitalismo monopolistico e la II rivoluzione industriale Dal 1873 al 1896 leconomia europea fu colpita da una nuova crisi di sovrapproduzione, pi grave e pi lunga delle precedenti, che fu chiamata dai contemporanei grande depressione. Essa diede avvio a un gigantesco processo di ristrutturazione economica che segn la fine del modello di sviluppo liberista e laffermazione di un nuovo modello di sviluppo di tipo monopolistico e protezionistico. Tale modello si venne costruendo con la concentrazione delle imprese, attuata attraverso fusioni tra aziende originariamente concorrenti. Il risultato fu la formazione di monopoli e oligopoli che disponendo di maggiori capitali dinvestimento poterono innovare tecnologicamente gli apparati produttivi. In questo modo le aziende riuscirono ad aumentare la produttivit e ricostituire ampi margini di profitto. Alla concentrazione del sistema aziendale corrispose la concentrazione del sistema produttivo, che port alla nascita della grande fabbrica, in cui erano accentrati enormi macchinari e grandi masse di operai, sottoposti a un costante controllo e a una rigida disciplina basata sui nuovi metodi di organizzazione del lavoro (parcellizzazione delle mansioni, definizione dei loro tempi massimi, adattamento delloperaio ai ritmi delle macchine) teorizzati dallingegnere americano Taylor e applicati per la prima volta nellindustria automobilistica Ford di Chicago. La ristrutturazione del sistema industriale innesc una nuova fase di ripresa e sviluppo di tali proporzioni quantitative e innovazioni qualitative da caratterizzarsi come un nuovo stadio nel processo storico dellindustrializzazione. Infatti, non solo larea dei paesi industrializzati si allarg ulteriormente, con lingresso dellItalia e della Russia, ma soprattutto si verific un salto di qualit nellinnovazione tecnologica in seguito a una vera e propria esplosione di invenzioni che mutarono il volto della civilt occidentale marcandone lo sviluppo per mezzo secolo almeno. 2. La belle poque e la societ di massa Costruita per lEsposizione universale del 1889 quale simbolo del progresso tecnico, la torre Eiffel di Parigi il monumento emblematico della belle poque, il lungo periodo di pace e sviluppo di cui lEuropa godette tra la guerra franco-prussiana del 1870/71 e la Grande guerra del 1914/18. La popolazione aument dai circa 300 milioni del 1870 ai 450 milioni del 1913, il massimo tasso di crescita della storia europea. La durata media della vita, a sua volta, tocc i 55 anni, grazie al calo della mortalit reso possibile dallo sviluppo della batteriologia (Pasteur, Koch), che permise di individuare e combattere gli agenti della polmonite, della tubercolosi, del colera, del tifo, della difterite e della peste. In questo modo la durata media della vita ebbe un incremento complessivo nellarco dell800 di ben ventanni, cio di oltre il 60%. Eppure la belle poque fu al tempo stesso un periodo di rapidi, radicali e vastissimi sconvolgimenti sociali con un lungo strascico di miserie, sofferenze e frustrazioni che negli anni accumularono un enorme potenziale di aggressivit diffusa. La ristrutturazione e il rilancio del sistema economico, infatti, comportarono innanzitutto massicce ondate migratorie che dalle campagne si riversarono nei grandi poli industriali dei paesi europei e oltreoceanici, generando il nuovo proletariato dequalificato e a basso costo delle grandi fabbriche che viveva in condizione di miseria nelle periferie. Ma in secondo luogo la ristrutturazione capitalistica colp anche la borghesia tradizionale provocando il declassamento di molti elementi del suo strato intermedio - piccoli e medi imprenditori e commercianti, piccoli professionisti e impiegati -, vittime dei fallimenti o degli accorpamenti aziendali. Nel fuoco di questi processi, venne forgiandosi la nuova societ di massa caratterizzata dalla concentrazione della popolazione nei centri urbani, dal maggior numero di contatti e frequentazioni tra gli individui, ma insieme dalla spersonalizzazione e dalla anonimia delle relazioni, e dalla 212

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tendenza alluniformit culturale indotta a diversi livelli dal comune riferimento a un unico mercato di prodotti, dai mezzi di comunicazione di massa (giornali, radio, cinematografo), dalle nuove forme politiche e sociali di aggregazione (partiti di massa, sindacati), dai sempre pi estesi e pervasivi apparati statali (esercito, scuola). 3. La crisi dello Stato liberale La prima ripercussione politica di questi mutamenti sociali fu la grandiosa espansione del movimento operaio sia a livello socio-economico - con la nascita di sindacati nazionali - sia a livello politico - con la nascita dei nuovi partiti socialisti e la fondazione della II internazionale di orientamento marxista. Il rafforzamento dei sindacati nel corso della lunga fase di crescita economica si tradusse in unondata di lotte contrattuali che strapp forti aumenti salariali, migliorando il tenore di vita delle masse operaie e bracciantili e insieme provocando un allargamento della domanda che contribu alla ripresa economica. La diffusione in tutti i paesi industrializzati dei partiti socialisti mut radicalmente gli equilibri politici sui quali era nato e si era sviluppato il sistema politico liberale. Il movimento socialista, infatti, da un lato impose un progressivo allargamento del diritto di voto fino al suffragio universale maschile; dallaltro aument gradualmente i suoi consensi e la sua rappresentanza parlamentare, arrivando cos a costituire unoggettiva e temuta minaccia per legemonia dei partiti liberaldemocratici. In questo modo la necessit di rendersi elettoralmente competitivi spinse i partiti liberal-democratici a varare alcune riforme sociali finalizzate ad acquisire consensi elettorali anche dagli strati proletari e al contempo a disinnescare le istanze rivoluzionarie dei partiti socialisti al fine di integrarli nel sistema politico. Contemporaneamente, per evitare il rischio di esplosioni rivoluzionarie e per tutelare gli interessi della borghesia e della piccola borghesia, la classe dirigente liberale abbandon la tradizionale politica liberista di laisser-faire e cominci ad attribuire allo Stato un ruolo di propulsore e regolatore dello sviluppo economico sia attraverso lincremento delle commesse pubbliche sia attraverso ladozione del protezionismo doganale. Legemonia liberaldemocratica per non era erosa solo da sinistra ma anche da destra, a causa della nascita di nuovi movimenti politici di stampo reazionario e nazionalistico, che assorbirono e diffusero le idee razzistiche e xenofobe teorizzate da Gobineau (Saggio sullineguaglianza delle razze umane, 1853-55) e da H.S. Chamberlain (I fondamenti del diciannovesimo secolo, 1899), trovando un seguito, per il momento minoritario ma pur sempre consistente, soprattutto tra la piccola borghesia che si sentiva minacciata dallemancipazione del proletariato. Il colonialismo imperialistico In connessione con questa dinamica economico-sociale e politica, il colonialismo europeo raggiunse il suo culmine, ovvero la sua fase imperialistica, basata sulla generalizzazione del dominio politico diretto o indiretto. Limperialismo infatti trov una potente spinta nella convergenza e nellintegrazione di una vasta e diversificata serie di fattori e di interessi: a livello economico, la ricerca di nuovi mercati protetti, di ulteriori commesse pubbliche e di maggiori occasioni di speculazione finanziaria; a livello politico-militare, una facile modalit di attuazione della politica di potenza e insieme di attivazione di una valvola di sfogo alle tensioni dirette tra gli Stati europei; a livello sociale, la crescita demografica e le aspettative di lavoro, di promozione sociale e di arricchimento; a livello ideologico, lesigenza di suscitare e al contempo di soddisfare lo spirito patriottico e nazionalistico delle masse. La deriva verso la I guerra mondiale Anche a causa dellaccumulo delle tensioni legate alla competizione imperialistica, nel primo decennio del 900 lEuropa cominci a scivolare verso la Grande guerra. A livello politico internazionale, durante la belle poque si erano vieppi inaspriti i conflitti bilaterali tra Francia e Germania per lAlsazia-Lorena, Austria e Italia per il Trentino e Trieste, Austria e Russia per 213

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legemonia sui Balcani, e soprattutto tra Inghilterra e Germania per legemonia continentale. Questultimo contrasto spinse lInghilterra a uscire dal suo splendido isolamento, ad abbandonare il suo ruolo di arbiter super partes delle controversie internazionali e a scendere nellarena europea. In questo modo il conflitto Inghilterra-Germania si trasform da bilaterale in multilaterale, in quanto le due massime potenze europee divennero i centri di coagulo di due sistemi di alleanze contrapposte la Triplice Alleanza (Germania, Austria, Italia) e la Triplice Intesa (Inghilterra, Francia, Russia). Dopo lattentato di Sarajevo, fu questa polarizzazione in blocchi antagonisti che trasform la guerra locale tra Austria, da una parte, e Serbia e Russia, dallaltra, in una guerra globale. Questa dinamica politica internazionale si intrecci strettamente con le dinamiche politiche e sociali interne dei diversi Paesi. Sul piano politico, la concorrenza dei movimenti nazionalistici spinse le lite politiche liberal-democratiche ad assumere posizioni pi nazionalistiche, e quindi bellicistiche, onde evitare la perdita di consenso da parte dellopinione pubblica piccolo borghese; al contempo, la minaccia socialista, considerata pi pericolosa per il suo potenziale rivoluzionario, le indusse a vedere nella guerra una opportunit per deviare la lotta di classe e per bloccare lavanzata operaia. In modo speculare, le frange pi radicali dei partiti socialisti europei, i cosiddetti sindacalisti rivoluzionari e gli anarchici, erano favorevoli allo scoppio della guerra perch credevano che essa potesse innescare una rivoluzione. Questa situazione politica affondava le sue radici in un contesto sociale nel quale i livelli di aggressivit individuale e di violenza diffusa si erano impennati a causa dellintreccio di diversi processi. Da una parte la lunga e potente crescita economica a cavallo del secolo aveva provocato un forte aumento delle aspettative di crescita del reddito e di ascesa sociale, cui fece seguito, se non una diminuzione, quanto meno una stasi delle opportunit reali di miglioramento a causa di una nuova fase di stagnazione economica cominciata sul finire del primo decennio del 900. A ci si aggiunsero la sempre pi aspra concorrenza economica scatenata dal capitalismo monopolistico e protezionistico, e la sempre pi acuta tensione internazionale non solo tra gli Stati ma anche tra i popoli europei. La convergenza sincronica di questi tre processi si tradusse nella diffusione di sentimenti di deprivazione relativa, di precariet e di incombente minaccia, ovvero in uno stato psicologico generalizzato di frustrazione e depressione. Tale condizione psicologica costitu il terreno di coltura delle idee e delle pratiche violente che incanalarono e sfogarono frustrazione e depressione in aggressivit contro individui e gruppi catalogati come nemici. Il pi evidente e inquietante campanello dallarme dellesito politico violento di questa situazione psicologica di massa fu la recrudescenza dellantisemitismo in tutti i paesi europei. Anche la produzione culturale concorse a provocare la situazione bellica. In parte essa favor direttamente la scelta di entrare in guerra, come nei casi paradigmatici del filosofo Sorel, teorizzatore della guerra di classe e della violenza come madre della storia, del poeta futurista Martinetti, propugnatore della violenza e della guerra come unica igiene dei popoli, del poetavate DAnnunzio, che nei suoi romanzi e nei suoi drammi diffuse una versione riduttiva, imperniata sulla forza e sulla prevaricazione, del modello del superuomo del filosofo Nietzsche. In parte essa non si oppose al diffondersi degli atteggiamenti nazionalistici e bellicistici e li favor indirettamente alimentando il sentimento di crisi, decadenza e prossima dissoluzione della civilt. Una riprova di ci si ebbe in quello che lintellettuale francese Benda chiam il tradimento dei chierici, cio nellarruolamento da parte di ogni stato belligerante dei propri intellettuali pi famosi non solo per sostenere la causa dellintervento nella guerra ma anche e soprattutto per condurre la fondamentale lotta propagandistica contro i popoli e gli stati nemici. I casi pi clamorosi furono quelli di Bergson in Francia, di Mann in Germania, di DAnnunzio in Italia. La II rivoluzione scientifica La sempre maggiore interazione tra innovazione tecnologica e scienza teorica, connessa alla II rivoluzione industriale, e insieme lampliamento e la sempre maggiore integrazione della comunit 214

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scientifica internazionale diedero un nuovo, potente impulso allestensione e allapprofondimento della ricerca scientifica, che giunse cos alla scoperta di nuove anomalie rispetto al paradigma meccanico newtoniano che aveva dominato l800. In questo modo si avvi la II rivoluzione scientifica che port allabbandono del paradigma meccanicistico e alla definizione di nuovi paradigmi relativistico e quantistico. La svolta si ebbe nel 1873 con lelaborazione della teoria elettromagnetica da parte di J.C. Maxwell. Le equazioni con cui Maxwell descriveva e unificava i fenomeni elettromagnetici, infatti, risultavano in contrasto con il principio classico della relativit galileiana. Fu questa anomalia che nel 1905 spinse A. Einstein alla formulazione della sua prima teoria della relativit - detta ristretta o speciale, perch valida solo per il moto rettilineo uniforme. Mentre Einstein elaborava la sua rivoluzione scientifica a livello della fisica macroscopica, una rivoluzione ancora pi radicale si andava compiendo nella fisica microscopica. Essa prese lavvio da unanomalia rispetto alle leggi della termodinamica classica mostrata dai fenomeni di interazione tra la materia e le radiazioni. Lanomalia venne spiegata nel 1900 da M. Planck con lelaborazione della teoria dei quanti. La teoria quantistica fu applicata nel 1913 da N. Bohr alla descrizione dei fenomeni subatomici e in particolare del movimento degli elettroni, scoperti nel 1897. Il modello di Bohr si rivel efficace ma al prezzo di sovvertire le leggi della meccanica classica. La rivoluzione psicanalitica Ma ancora pi dirompente fu leffetto arrecato, nellambito delle discipline psicologiche, ma con enormi influenze sulla letteratura e larte successive, dalla psicanalisi di S. Freud. Freud infatti arriv alla scoperta dellinconscio quale fondamento di tutta la psiche umana, facendo crollare il presupposto secolare della psicologia secondo cui la sfera dello psichico si identificava con quella della coscienza razionale. Questa, inoltre, non solo veniva ridimensionata da totalit a piccola parte della psiche, ma soprattutto era drasticamente depotenziata in quanto epifenomeno dellinconscio. Si trattava di un nuovo sconvolgimento della concezione delluomo che si aggiungeva, a pochi anni di distanza, moltiplicandone gli effetti dirompenti, a quello provocato da Darwin che dopo aver elaborato la teoria evoluzionistica laveva applicava alla realt delluomo (Lorigine delluomo, 1871), sostenendone la discendenza dai primati e sovvertendo cos la millenaria teoria creazionistica, pilastro della fede religiosa. La crisi della cultura occidentale Il processo di formazione di unindustria culturale di massa, iniziato alla fine del 700 e acceleratosi nel corso dell800, comp un salto di qualit grazie allinnovazione tecnologica della II rivoluzione industriale, alla formazione della societ di massa e alle nuove funzioni acquisite dagli Stati. Da un lato il potenziamento delle tecniche tradizionali di stampa permise la crescita e la maggiore diffusione della produzione editoriale (quotidiani, riviste, libri) anche attraverso luso di nuovi prodotti, come il feuilleton o romanzo dappendice, finalizzati al consumo popolare di massa. Dallaltro lato, innovazioni tecnologiche quali il grammofono, la fotografia, il cinematografo moltiplicarono le forme e le possibilit di comunicazione e diffusione capillare della cultura a livello di massa. Allo stesso tempo gli Stati, con lestensione dellobbligo scolastico e della scuola pubblica, e la maggiore esigenza di istruzione a scopo di promozione economico-sociale fecero aumentare la domanda di libri ma anche le opportunit di lavoro intellettuale. Di conseguenza il ceto intellettuale dal maestro elementare al musicista si espanse enormemente. La sua laicizzazione era ormai pressoch totale e la sua estrazione ormai prevalentemente piccolo borghese. Gli intellettuali finirono cos per riflettere nella loro azione e della loro opera sia le aspirazioni di ascesa economico-sociale dei piccolo borghesi sia le caratteristiche strutturali della loro condizione di classe media posta tra lincudine della grande borghesia imprenditoriale e il martello del proletariato organizzato. Di qui il loro ondeggiare tra atteggiamenti sociali, politici e culturali opposti ma comunque estremi e il loro ribellismo confuso e praticato in modi antagonistici, 215

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ma accomunato dal rigetto della realt moderna, della cultura borghese, dello status quo sociale e politico. A questa evoluzione dellindustria culturale e del ceto intellettuale corrispose il primo emergere di una cultura della crisi della civilt occidentale. Scienziati, filosofi, letterati, artisti, seppur per vie diversissime, convergettero nel mettere in dubbio e nel rovesciare il patrimonio culturale consolidato. Le teorie scientifiche vennero ribaltate e la stessa immagine della scienza rivoluzionata, le certezze filosofiche sgretolate sotto i colpi di una critica spietata, i canoni realistici dellespressione artistica stravolti da nuove poetiche soggettivistiche che rifiutavano ogni regola. E significativa da questo punto di vista la convergenza intorno allo spartiacque del 1870 di opere innovative della massima rilevanza, che tagliano trasversalmente tutti gli ambiti culturali: Lorigine delluomo (1871) di Darwin, Il battello ebbro (1871) e Una stagione allinferno (1873) di Rimbaud; La nascita della tragedia (1872) di Nietzsche, I demoni (1872) di Dostoevskij; il Trattato sullelettromagnetismo (1873) di Maxwell. Si tratta di opere che hanno due denominatori comuni: la messa in discussione di credenze consolidate e la convinzione angosciata di una fine imminente. In campo letterario Dostoevskij, pur dal punto di vista di un credente e secondo i canoni stilistici del realismo, metteva in scena nei suoi romanzi labbandono di massa della fede in Dio e la conseguente crisi morale della societ. Dal canto suo Rimbaud, prototipo del poeta maledetto, espresse il pi drastico rifiuto delle convenzioni sociali, dei valori morali, dei principi estetici della civilt occidentale, teorizzando e praticando il derglment (sregolatezza, deragliamento) di tutti i sensi come unica via per giungere a scoprire e a realizzare una dimensione autentica di vita. Se gli anni 70 rappresentarono il punto di svolta, fu nel ventennio successivo che si avvi e si impose quella mutazione culturale destinata a sovvertire i valori fondamentali della civilt occidentale. Essa si manifest innanzitutto in campo letterario a partire dal 1882, anno di nascita di quel movimento letterario e culturale dallemblematico nome di decadentismo. In quellanno infatti il poeta francese Verlaine pubblic la poesia Arte poetica, che divenne il manifesto della nuova corrente letteraria improntata al totale ripudio di ogni forma di realismo. In essa Verlaine teorizza la riduzione della poesia a puro suono musicale (La musica prima di ogni altra cosa), lirregolarit del verso, il gusto della sfumatura e della vaghezza allusiva, il rigetto delle rime e delleloquenza tradizionale. Ma se Arte poetica indica i principi formali del Decadentismo, la successiva Languore (1883) che ne esprime a pieno i sentimenti e la visione del mondo. Verlaine si paragona allimpero romano nel periodo delle invasioni germaniche, simbolo per eccellenza della decadenza, della fine, della dissoluzione. Ogni possibilit di vita si ormai consumata: tutto gi stato provato, tutto si dimostrato vano. La poetica di Verlaine fu ripresa e sviluppata da Pascoli, per il quale il poeta deve essere un fanciullino. Come tale egli rifiuta la razionalit oggettiva delladulto e si affida a una sensibilit infantile che non coglie le cose come si presentano oggettivamente, ma come le sente in modo istintivo, immediato, soggettivo. Il poeta divenne cos un veggente, capace di intendere il linguaggio simbolico delle cose, sognando a occhi aperti, mettendo sullo stesso piano reale e irreale. Anche il linguaggio della poesia deve essere quello del fanciullo. Questi sente la realt in modo alogico, sconnesso, frammentario e dunque la poesia deve rinunciare alla sintassi per la paratassi e per lanalogia. Se Languore fu il manifesto del Decadentismo a livello della poesia, il romanzo rebours (1884) di Huysmans lo fu a livello della prosa. Il suo protagonista, Des Esseintes, un uomo che, dopo aver trascorso la propria vita allinsegna dellestetismo abbinando con cura maniacale piaceri sensibili e raffinatezza culturale, si ritrova estenuato e in preda a una sempre pi profonda nevrosi. Il personaggio di Huysmans fu poi ripreso, pur in modo del tutto particolare, da Stevenson in Il dottor Jekyll e Mr Hyde (1886), e soprattutto da DAnnunzio nel Piacere (1889) e da Wilde nel Ritratto di Dorian Gray (1890). I protagonisti di questi romanzi additarono come modello umano agli intellettuali e ai piccoloborghesi, quello dellesteta, che si contrapponeva sia ai valori di

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perbenismo, risparmio e moderazione della borghesia sia a quelli di solidariet e lotta di classe del proletariato, assumendo tratti tipici dellantica aristocrazia. Il romanziere che espresse per con pi radicalit la crisi del soggetto umano borghese anticipando i grandi romanzieri del primo 900 - fu Pirandello con Il fu Mattia Pascal (1904), il cui protagonista un caso di sdoppiamento della personalit, in quanto ha abbandonato unidentit per costruirsene artificialmente unaltra, ma destinato a rimanere spaccato tra luna e laltra, a non poter pi essere nessuna delle due. Ma Pirandello fu anche e soprattutto un grande drammaturgo. I personaggi dei suoi drammi sono uomini disgregati, dalla personalit alterata, maniacale o schizoide, emblemi del caos dellesistenza. Soprattutto i drammi Pirandelliani Cos (se vi pare), 1917 inscenarono la frammentazione della realt in un ventaglio illimitato di punti di vista diversi e contrapposti, trasmettendo un messaggio di radicale relativismo e soggettivismo. Nello stesso anni in cui Wilde pubblicava il suo pi famoso romanzo, il pittore fiammingo Vincent Van Gogh (1853-1890) dipingeva il suo ultimo quadro - Campo di grano con volo di corvi - e poi si dava la morte. Come gi Rimbaud, Van Gogh espresse latmosfera del decadentismo sia nella sua vicenda personale - prima del suicidio, soffr di depressione e di psicosi - sia nella sua pittura postimpressionistica che anticip lespressionismo, che come il decadentismo propugnava una poetica antinaturalistica, di trasfigurazione soggettivistica della realt alla ricerca della verit nascosta in essa. Un altro pittore che medi il passaggio dallimpressionismo allespressionismo fu il norvegese Edvard Munch (1863-1944), esponente della corrente esistenziale del movimento simbolista. Munch si ispir alla filosofia di S. Kierkegaard ed ha il merito di aver contribuito alla sua diffusione al di fuori dei Paesi scandinavi allinterno dei quali era rimasta confinata per tutto l800. Nei suoi quadri Munch esprime i temi dellesistenzialismo di Kierkegaard e in particolare quelli dellangoscia e della disperazione (Disperazione,1892) in quanto sentimenti che manifestano la limitatezza e conflittualit interna dellio. La reazione al neorealismo impressionista port successivamente allemergere delle prime avanguardie artistiche contemporanee, lespressionismo, il cubismo e il futurismo. Le avanguardie svilupparono il senso della crisi della civilt europea e insieme lesigenza di rinnovamento del linguaggio artistico fino alle pi radicali conseguenze. La tendenza espressionistica nacque nel 1905, lanno in cui Einstein pubblicava la teoria della relativit, con la fondazione quasi contemporanea di due circoli artistici, i fauves (belve) a Parigi, di cui fu leader Matisse, e Die Brcke (Il ponte) a Dresda, i cui principali esponenti furono Kirchner e e Heckel. LEspressionismo intende larte come proiezione immediata, spontanea - e pertanto formalmente caotica - di sentimenti e stati danimo soggettivi, realizzabile attraverso il privilegiamento e luso libero del colore e la deformazione del disegno. Come i simbolisti e i postimpressionisti, e pi in generale come i decadentisti, gli espressionisti negano valore allapparenza sensibile e cercano lassoluto (la gioia di vivere o lo spirito cosmico o il grido originario) in una realt invisibile, penetrabile solo dalla sensibilit artistica. Ma a differenza dei primi non la cercano in una pi profonda e misteriosa natura, celata in quella apparente, ma nelle risorse e nelle forme dellarte stessa. Negli stessi anni, grazie alle opere di Braque e Picasso, comincia a definirsi unaltra nuova tendenza, quella del cubismo, che in apparenza contraddiceva quella espressionista in quanto muoveva dallesigenza di un realismo totale, cio di rappresentare loggetto reale da una molteplicit di punti di vista simultanei. Tuttavia proprio per questo estremo realismo geometrico il cubismo giunse a produrre una rottura ancora pi radicale delle forme di rappresentazione tradizionali e della visione della realt. Anche il Futurismo pittorico legato al Futurismo letterario di Martinetti (Mafarka il futurista, 1910) e nato ufficialmente nel 1910 a Milano con il Manifesto dei pittori futuristi promosso da Boccioni, Balla, Carr - si contrappose alla tradizione in nome di un nuovo realismo. Ma la realt per i futuristi erano i pi avanzati prodotti della civilt industriale - lautomobile, lareoplano, la luce elettrica - in quanto simboli del progresso umano. La rivoluzione dei contenuti rappresentativi 217

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si tradusse cos in quella del linguaggio figurativo: rappresentare una macchina significa rappresentare la velocit, ma per farlo occorre deformare sia loggetto sia lo spazio. Loggetto in movimento infatti modifica lo spazio circostante e a sua volta ne viene modificato. Anche nella musica, prese avvio una tendenza al sovvertimento delle forme classiche del linguaggio musicale. Gi Wagner si era mosso in questa direzione con la sua melodia infinita. I suoi seguaci (Franck, Bruckner, Mahler) cominciarono a mettere in crisi il sistema armonico privilegiando il cromatismo cio la scelta di semitoni non presenti nella scala tonale classica. Contemporaneamente Debussy, pur mentendosi fedele al tonalismo, crea una musica in cui assente lo sviluppo tematico. Per questa via negli anni successivi la musica perverr alla rivoluzione dodecafonica.

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Messaggio nella bottiglia


125. Luomo folle12. Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna13 alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: Cerco Dio! Cerco Dio!14. E poich proprio l si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio15, suscit grandi risa. E forse perduto? disse uno. Si perduto come un bambino? fece un altro. Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si imbarcato? E emigrato? - gridavano e ridevano16 in una gran confusione. Il folle uomo balz in mezzo a loro e li trapass con i suoi sguardi: Dove se n andato Dio? - grid - ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi ed io! Siamo noi tutti i suoi assassini17! Ma come abbiamo fatto questo? Come potremmo vuotare il mare bevendolo fino allultima goccia? Chi ci dette la spugna per strusciar via lintero orizzonte? Che mai facemmo a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole?18 Dov che si muove ora? Dov che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non il nostro un eterno precipitare? E allindietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso?19 Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si fatto pi freddo? Non seguita a venire notte, sempre pi notte?20 Non dobbiamo accendere lanterne la mattina21? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dei si decompongono! Dio morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di pi sacro e di pi possente22 il mondo possedeva fino ad oggi, si dissanguato sotto i nostri coltelli; chi deterger da noi questo sangue? Con quale acqua potremo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali giuochi sacri dovremo noi inventare? Non troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo

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Il filosofo, ovvero Nietzsche stesso, che comprende e annuncia verit ritenute folli perch contrarie al senso comune e scomode da sccettare. 13 Da sempre simbolo della conoscenza, ma in questo contesto anche una provocazione delluomo folle che come se dicesse agli uomini che la luce naturale - cio il buon senso - non sufficiente per comprendere a fondo la realt. Ma potrebbe esserci anche una polemica con Platone che nel mito della caverna aveva considerato la luce del fuoco simbolo della conoscenza sensibile - inferiore alla luce solare - simbolo della conoscenza razionale delle idee. 14 Ovviamente le parole delluomo folle non riflettono il suo pensiero ma hanno lo scopo di attirare lattenzione e di provocare la reazione degli astanti. 15 Nietzsche considera lateismo un fenomeno storico, un dato di fatto dellepoca contemporanea. 16 La folla al mercato professa un ateismo superficiale, inconsapevole e non comprende lironia delluomo folle. 17 Sono state le conquiste scientifiche e tecniche delluomo contemporaneo a scardinare la fede in Dio. 18 Metafore del carattere sovraumano delleliminazione di Dio, rappresentato dal mare, dallorizzonte e dal Sole. 19 Metafore del possibile disorientamento esistenziale dovuto alla mancanza di un punto di riferimento assoluto. 20 Metafore del nichilismo, cio della perdita di senso della vita e quindi del suo rifiuto. 21 Ripresa della metafora iniziale: dal momento che venuto meno il Sole, simbolo di Dio, luomo ora dovr usare la luce artificiale, cio una conoscenza basata unicamente sulluomo. 22 Per quanto infondata, la fede in Dio secondo Nietzsche ha avuto un fondamentale ruolo educatore e propulsore.

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noi stessi diventare di23, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai unazione pi grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virt di questazione, ad una storia pi alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!. A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anchessi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gett a terra la sua lanterna che and in frantumi e si spense. Vengo troppo presto24 prosegu - non ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perch siano vedute e ascoltate. Questazione ancor sempre pi lontana da loro delle pi lontane costellazioni: eppure son loro che lhanno compiuta! Si racconta ancora che luomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo . Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?.
F. Nietzsche, La gaia scienza, parte III, a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi 1965

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Luomo non pu limitarsi a lasciare il vuoto al posto di Dio, deve invece sostituirlo con unalternativa, deve cio elaborare un senso umano della vita assumendosi cos il ruolo di un dio. 24 La coscienza di Nietzsche del carattere profetico e quindi inattuale della sua filosofia.

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VIAGGIO I

LA VITA COME GIOCO DELLA VOLONTA DI POTENZA


ROTTA A LA FILOSOFIA DEL MARTELLO Nella storia della filosofia occidentale, Friedrich Nietzsche rappresenta una rottura e un punto di svolta. Il suo pensiero infatti una confutazione tanto spietata quanto tagliente dellintera tradizione metafisica razionalistica nata da Socrate e culminata nei grandi sistemi idealistici e positivistici dell800. In questo senso, la filosofia di Nietzsche potrebbe essere classificata come uno degli esempi pi radicali e attuali dello scetticismo. Sennonch essa esorbita anche da questo filone per la sua originalit, che ne fa un caso unico nel panorama filosofico occidentale. In Nietzsche, innanzitutto, la critica filosofica alla metafisica si amplia e si approfondisce fino a diventare una critica storico-antropologica dellintera civilt occidentale. In secondo luogo lattuazione di questa istanza critica globale sfocia nellannuncio profetico di una rivoluzione culturale capace di dare origine a un superuomo, cio a un nuovo tipo di uomo e a una nuova epoca dellumanit basati su valori alternativi a quelli della modernit. Per ultimo, ma non meno importante, le diverse forme e i variegati stili letterari e poetici in cui Nietzsche esprime il suo pensiero costituiscono non solo e non tanto un peculiare e magari stravagante modo di filosofare, quanto soprattutto la cifra della valenza profetica del suo messaggio, che ambisce a proporsi in questo modo come unalternativa alla millenaria religione cristiana. Per questi motivi, il pensiero di Nietzsche pu essere considerato uno spartiacque tra la filosofia ottocentesca e quella novecentesca. A parte la questione della sua influenza sulla genesi della teoria psicanalitica di Freud, Nietzsche infatti uno dei riferimenti fondamentali sia dellesistenzialismo sia dellermeneutica. Ma in un modo o nellaltro, implicitamente o esplicitamente, tutti i grandi filosofi novecenteschi, anche quelli a lui pi avversi, dovettero fare i conti con la sua critica e le sue idee. VITA DI UN CAPITANO FRIEDRICH WILHELM NIETZSCHE Nacque nel 1844 a Rcken, nei pressi di Lipsia, nella Germania centro-orientale, allepoca facente parte del regno di Prussia. Entrambi i suoi nonni erano stati pastori luterani e suo padre lo era egli stesso. Alla devozione della sua famiglia per la dinastia Hohenzollern si devono i suoi nomi propri, attribuitigli in onore del re Federico Guglielmo IV. Primogenito, ebbe una sorella di nome Elisabeth e un fratello che mor ad appena due anni. Ma lesperienza pi drammatica dellinfanzia di Nietzsche fu la lunga malattia e la morte del padre per necrosi cerebrale quando lui aveva solo cinque anni. Terminate le elementari, Nietzsche svolse gli studi superiori prima al ginnasio di Naumburg poi nella prestigiosa scuola di Pforta, ricevendone una formazione umanistica rigorosa ma una lacunosa istruzione scientifica. Contemporaneamente impar a suonare il pianoforte ed acquis una notevole educazione musicale, destinata a incidere non poco sulla sua sensibilit e sui suoi stessi orientamenti filosofici. Negli anni giovanili, Nietzsche credette a lungo che la sua vocazione professionale fosse quella del musicista. Invece, conclusi gli studi ginnasiali, nel 1864 si iscrisse alla facolt di teologia delluniversit di Bonn, assecondando i desideri della madre. Lanno successivo, per, abbandon la fede cristiana, complice la lettura di Vita di Ges di D.F. Strauss, entrando per la prima volta in contrasto con la madre. Sullonda di questo cambiamento interiore, Nietzsche si trasfer alluniversit di Lipsia iscrivendosi alla

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facolt di filologia. A Lipsia lesse due libri fondamentali per la genesi della sua filosofia - Il mondo come volont e rappresentazione di A. Schopenhauer e Storia del materialismo di F.A. Lange - e divent amico del futuro filologo Erwin Rohde. Proprio nel periodo di Lipsia, cominci a soffrire di disturbi fisici - emicranie e reumatismi - che lo avrebbero perseguitato per tutta la vita aggravandosi negli anni. Alla loro origine probabile che vi fosse la sifilide, malattia contagiosa che pu colpire il sistema nervoso. Nonostante il suo precario stato di salute, Nietzsche svolse il servizio militare volontario, rimanendo oltretutto ferito in una caduta da cavallo. Alla fine del 1868 incontr personalmente Richard Wagner, di cui gi conosceva e ammirava la musica. Lanno successivo, i suoi primi saggi filologici sulla letteratura greca gli valsero a soli 25 anni una cattedra presso luniversit di Basilea, in Svizzera. Nel periodo di Basilea conobbe J. Burckhardt, il grande storico del Rinascimento, strinse una profonda e duratura amicizia con F. Overbeck, storico della chiesa cristiana, frequent Wagner che abitava nei pressi di Lucerna, si leg ai suoi allievi H. Koselitz - ribattezzato da Nietzsche Peter Gast - e Paul Re. Oltre ad attendere ai suoi corsi universitari, Nietzsche utilizz la biblioteca universitaria per approfondire le sue conoscenze scientifiche. Nel 1870 partecip alla guerra francoprussiana come infermiere ma si ammal di dissenteria e difterite e venne ricoverato in ospedale. Nel 1872 pubblic La nascita della tragedia dallo spirito della musica (in seguito ribattezzata La nascita della tragedia. Ovvero: grecit e pessimismo), un saggio apparentemente filologico ma sostanzialmente filosofico. Si tratta infatti di unopera che trae spunto dal problema delle origini della tragedia greca - da Nietzsche rintracciate nei riti in onore del dio Dioniso - per proporre unimmagine anticlassicista della civilt greca e soprattutto uninterpretazione dellintero sviluppo storico della civilt occidentale finalizzata alla profezia di una imminente rivoluzione culturale. Alla interpretazione tradizionale - per la quale la civilt greca si identifica con la cultura apollinea basata sui criteri della moderazione, della chiarezza, della razionalit, dellindividualit, del mascheramento estetico della tragicit della vita - Nietzsche contrappone uninterpretazione dualistica dellorigine e dello sviluppo della civilt greca secondo la quale la cultura apollinea sempre affiancata dalla pi antica cultura dionisiaca fondata sui principi delleccesso, dellebbrezza, della musica danzata, dello scatenamento degli istinti, del superamento della tragicit della vita e dellindividualit nella fusione orgiastica con lunit primordiale della natura. Nel V secolo d.C. le due culture antagoniste trovano un equilibrio e una conciliazione, dando origine al miracolo letterario della tragedia. Ma gi con lultimo grande tragico, Euripide, questo equilibrio comincia a spezzarsi, in quanto, a causa dellinfluenza di Socrate, la cultura dionisiaca sopraffatta e definitivamente soffocata dalla cultura apollinea. Socrate infatti impone la fede nella ragione, nella morale e nellottimismo in nome dellesistenza di un mondo metafisico perfetto. Da lui ha origine cos quella civilt occidentale - fondata sul supremo principio della razionalit scientifica e morale - che secondo Nietzsche raggiunge il suo culmine e insieme il suo limite storico nellepoca contemporanea. Nietzsche auspica perci il ritorno della cultura dionisiaca, cio di una cultura basata sul primato dellarte e in particolare della musica tragica, identificata nelle opere liriche di Wagner. Con lunica eccezione dellamico Rohde, La nascita della tragedia suscit reazioni negative tra i filologi accademici che la criticarono per lo scarso rigore metodologico e la scarsa obiettivit. Nel 1873, mentre cominciava ad accusare sempre pi gravi disturbi alla vista, Nietzsche pubblic la prima delle sue quattro Considerazioni inattuali, David Strauss, luomo di fede e lo scrittore, cui seguirono Sullutilit e il danno della storia per la vita (1874), Schopenhauer come educatore (1874) e Richard Wagner a Bayreuth (1876). In questi saggi Nietzsche prosegue il discorso avviato nella Nascita della tragedia svolgendo una critica della cultura contemporanea nella prospettiva di una rivoluzione culturale ispirata allarte. In particolare nella seconda inattuale, la pi significativa, Nietzsche polemizza 222

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contro leccesso di sapere storico della cultura ottocentesca, che vincola gli uomini al passato e impedisce loro di creare un nuovo futuro, e contro le filosofie storicistiche che teorizzano ladattamento passivo a un presunto corso necessario della storia. Per indicare il giusto modo di utilizzare la storia Nietzsche distingue tre tipi di atteggiamento storico: 1) latteggiamento monumentale che cerca nella storia i personaggi e gli eventi pi elevati come fonti dispirazione e modelli per lazione nel presente; 2) latteggiamento antiquario, che si dedica alla ricostruzione del passato perch lo venera e desidera conservarlo come tale; 3) latteggiamento critico, che al contrario giudica il passato e ne condanna gli aspetti negativi per legittimare lazione volta a costruire una nuova realt futura. Per Nietzsche non bisogna seguire in modo unilaterale uno solo di questi atteggiamenti bens contemperarli luno con laltro in modo da evitare il loro difetti e da utilizzarne i rispettivi vantaggi. In questa sintesi, per, Nietzsche pone laccento sullatteggiamento critico, che pi degli altri esprime lesigenza di un cambiamento storico, e inoltre esalta larte e la religione come potenze sovrastoriche e perci capaci di scuotere luomo dal suo attaccamento al presente e al passato per spingerlo a costruire una nuova epoca. A partire dal 1874 Nietzsche ademp sempre pi faticosamente ai suoi impegni accademici, a causa dellulteriore peggioramento delle sue condizioni di salute cui si aggiunse una crisi psicologica legata ai ricordi della malattia e della morte del padre. La sua precaria condizione psico-fisica lo spinse prima a sospendere linsegnamento e poi a presentare le sue dimissioni dalluniversit (1879). Tuttavia negli stessi anni Nietzsche scrisse e pubblic, il giorno del centenario della morte di Voltaire, Umano, troppo umano (1878), che insieme a Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali (1881) e a La gaia scienza (1882) forma il trittico della cosiddetta fase illuministica del pensiero nietzscheano. In queste opere infatti Nietzsche imprime una svolta alla sua filosofia, emancipandosi dallinfluenza di Schopenhauer, rinunciando a individuare nellarte il principio della sua rivoluzione culturale e valorizzando invece la scienza. Nietzsche per riabilita la scienza non in nome delloggettivit della verit scientifica, ma perch ne apprezza illuministicamente lo spirito critico, antimetafisico e pi in generale antitradizionalistico, nonch il rigore e la seriet metodologica. In questo senso, Nietzsche fonde liberamente la sua cultura storica e umanistica con le scienze naturali, in particolare la biologia, allo scopo di dimostrare che tutti i presunti valori ideali e assoluti su cui si costruita la civilt occidentale hanno avuto unorigine e una formazione storica a partire da impulsi naturali e relativi. Utilizzando il nuovo stile aforistico, allo scopo di indurre una maggiore e attiva riflessione nel lettore, la critica nietzscheana colpisce a 360 gradi tutti gli aspetti della tradizione metafisica: sul piano gnoseologico, Nietzsche confuta la possibilit di una verit oggettiva e assoluta, sostenendo che tutti i principi e le nozioni scientifiche non sono altro che elaborazioni soggettive, interpretazioni prospettiche, errori funzionali alla conservazione della specie umana; sul piano morale, Nietzsche sostiene innanzitutto che non esistono n il libero arbitrio n la responsabilit personale in quanto ogni individuo originariamente agisce per raggiungere il piacere ed evitare il dolore; in secondo luogo spiega che i presunti valori altruistici in realt sono fondati sullutilit e linteresse sociali i quali si sono storicamente imposti e sostituiti allutilit e allinteresse individuale; sul piano culturale, Nietzsche ritiene che religione, filosofia e arte, nellintento di dare un fondamento assoluto ai valori conoscitivi e morali, hanno costruito e diffuso, ognuna con i propri strumenti, la credenza in un mondo soprannaturale perfetto ed eterno, svalutando cos la dimensione terrena e soffocando gli impulsi vitali delluomo; sul piano socio-politico, Nietzsche ritiene che gli Stati si siano serviti della credenza in valori assoluti per imporre ed estendere i loro poteri, sfruttando il bisogno di

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sicurezza degli individui disposti a barattare la propria libert con migliori condizioni di vita. La critica storica di Nietzsche culmina e trova la sua sintesi conclusiva nella tesi della morte di Dio, cio della fine della credenza nel fondamento di tutti i valori assoluti e di tutti i mondi ideali ultraterreni. Nietzsche da un lato propone la morte di Dio come un dato di fatto della civilt contemporanea, dallaltro la interpreta come lesito ultimo e pi pericoloso del nichilismo da sempre latente nella cultura occidentale a causa del suo carattere ascetico e antivitale. Con la morte di Dio, infatti, vengono meno i valori in cui luomo occidentale ha sempre creduto, viene meno il senso assoluto della vita che Dio garantiva e la vita sembra non avere pi alcun senso. Di conseguenza si diffonde il nichilismo passivo, che si manifesta nel pessimismo, nel senso della decadenza, nel risentimento nei confronti dellesistenza. Ma se il nichilismo passivo un segno di debolezza e di esaurimento vitale, la morte di Dio pu anche essere per Nietzsche la manifestazione di un nichilismo attivo, cio di una volont di distruzione di tutti i principi ideali che soffocano la vita. In questo senso il nichilismo attivo un sintomo di forza e rinascita e si realizza negli spiriti liberi, cio negli uomini che considerano la morte di Dio come la grande occasione per vivere in modo del tutto autonomo e personale. Nel maggio del 1882 Nietzsche conobbe a Roma Lou Salom, figlia diciannovenne di un generale russo, colta e poliglotta, presentatagli dallex allievo e amico Re. Nietzsche credette di aver trovato in lei il suo vero discepolo, e le chiese di sposarlo. Salom declin lofferta matrimoniale, ma accett di partecipare a una sorta di sodalizio filosofico con i due uomini, entrambi innamorati di lei. I tre progettarono di trasferirsi ad abitare insieme a Parigi o a Lipsia. Nellimmediato per si limitarono a frequentarsi per alcuni mesi a Lucerna e Tautenburg. Questa frequentazione fu comunque sufficiente a provocare una nuova, violenta rottura tra Nietzsche e sua madre e sua sorella, le quali volevano che troncasse ogni rapporto con Salom. In ottobre Nietzsche, Re e Salom passarono un mese insieme a Lipsia, al termine del quale per decisero di separarsi. Nietzsche sent deluse le proprie aspettative nei confronti di Re e Salom, che a loro volta decisero di andare a Parigi da soli. In seguito alla separazione Nietzsche si trasfer sulla riviera ligure, cadde in stato depressivo, medit di suicidarsi e abus di farmaci e alcol. Eppure proprio in tale condizione critica scrisse Cos parl Zarathustra di cui pubblic la prima parte gi nel maggio 1883 (la pubblicazione completa segu nel 1885). Lopera segna una nuova svolta nella produzione di Nietzsche, che pur senza rinunciare alla critica ambisce ora soprattutto a proporre una concezione del mondo e una tavola di valori alternative a quelle metafisicocristiane. Questo intento si riflette anche nella scelta del genere letterario, quella del poema filosofico, e dello stile linguistico, una sorta di prosa poetica in versetti, sul modello dei Vangeli. Dal punto di vista del contenuto filosofico, Cos parl Zarathustra centrato sullannuncio del superuomo (bermensch), cio di un nuovo essere che sta alluomo come luomo allanimale. I caratteri fondamentali con i quali Nietzsche tratteggia tale essere destinato a superare luomo sono: la trasvalutazione dei valori, ovvero la sostituzione dei tradizionali valori ideali e assoluti con nuovi valori naturali e relativi: per esempio dellaltruismo con lindividualismo, dellamore per il prossimo con legoismo, delluguaglianza con laristocrazia, dellumilt con lorgoglio, della debolezza con la forza; della sottomissione con il dominio; del cattivo gusto con la bellezza, della volgarit con lo stile, ecc.; la volont di potenza, cio la pulsione a incrementare incessantemente le proprie capacit e le proprie possibilit di vita; la creativit, cio la libera e autonoma capacit individuale di stabilire il senso della vita e del mondo, di porre nuovi valori, di individuare i fini dellesistenza;

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la danza, in quanto simbolo di una modalit giocosa, gioiosa e artistica di vivere la vita; leterno ritorno, cio la convinzione dellinfinito ripetersi ciclico di ogni vita, intesa sia come accettazione volontaria di tutto il passato sia come redenzione della vita dalla sua limitatezza temporale sia come conferimento a ogni attimo presente di un valore assoluto. Tra il 1883 e il 1884 Nietzsche, dopo una breve riconciliazione, entr nuovamente in urto con la sorella, a causa del fidanzamento di lei con Bernhard Frster, noto agitatore nazionalista e antisemita., che spos poi nel 1885. In continuo vagabondaggio da una citt allaltra, negli anni successivi Nietzsche scrisse e pubblic Al di l del bene e del male (1886) e Genealogia della morale (1887). In queste opere, forte della nuova prospettiva filosofica guadagnata, Nietzsche torna a smantellare con pi radicalit che mai la tradizione culturale occidentale. In particolare, in Al di l del bene e del male, Nietzsche porta alle estreme conseguenze la sua precedente critica al soggetto cosciente e razionale, negando ogni possibilit di considerare lio come origine dei pensieri. Egli afferma infatti che i pensieri sorgono spontaneamente, indipendentemente dalla volont individuale. Nella Genealogia della morale invece Nietzsche torna a concentrarsi sul problema della genesi storica della cultura occidentale riprendendo e completando lanalisi avviata nella Nascita della tragedia. Secondo Nietzsche, nellantichit la morale dominante quella dei signori-guerrieri, improntata ai valori del corpo, della forza, dellorgoglio e del coraggio. Ma la casta sacerdotale - costretta dal suo ruolo a una condotta di vita pi regolare e ascetica - per rivalsa concepisce una nuova morale basata su valori opposti, cio sullanima, la debolezza, lumilt e la vilt. Questa nuova morale negatrice della vita si afferma inizialmente soprattutto tra gli ebrei - che Nietzsche considera un popolo sacerdotale - per poi diffondersi in tutto lOccidente attraverso il cristianesimo. Essa trova ladesione delle masse diseredate diventando la morale degli schiavi o del gregge, la quale nel corso dei secoli riesce a prevalere sulla morale dei signori, sconfiggendoli e sottomettendoli. Lo Stato nazionale moderno, la democrazia, il socialismo e lemancipazione femminile per Nietzsche non sono altro che versioni moderne della morale del gregge. Nellautunno del 1887 Nietzsche progett una nuova opera, cui attribuiva un valore decisivo - dal titolo ipotetico di La volont di potenza. Saggio di una trasvalutazione di tutti i valori -, e intraprese il primo tentativo di stenderne una redazione definitiva, scrivendone alcune parti e rifondendovi materiali precedentemente elaborati. Nel 1888 a Torino, dove aveva trasferito la sua dimora, Nietzsche invece utilizz una parte degli appunti e abbozzi della Volont di potenza per comporre Il crepuscolo degli idoli (1888) e Lanticristo (pubblicato postumo). Nel Crepuscolo Nietzsche torna a criticare Socrate e la tradizione metafisica, professandosi ultimo discepolo di Dioniso. NellAnticristo invece attacca violentemente il cristianesimo in quanto religione del senso di colpa, dellautomortificazione e della negazione della vita, salvando tuttavia la figura di Cristo, considerato uno spirito libero sui generis. In autunno Nietzsche scrisse Ecce homo. Come si diventa ci che si , una sorta di autobiografia filosofia, in cui indica il senso ultimo della sua filosofia nella contrapposizione di Dioniso, il dio dellaffermazione della vita, al Crocifisso, cio al dio cristiano della negazione della vita. Contemporaneamente continu a scrivere appunti e a rielaborare il materiale gi predisposto per la pubblicazione della Volont di potenza. Dai frammenti rimastici emerge in particolare il tentativo di elaborare una nuova teoria dellessere e del cosmo sulla base della volont di potenza, in quanto principio primo e unico di ogni cosa. Nel gennaio 1889 a Torino Nietzsche diede forti segni di squilibrio psichico. Ricoverato in clinica psichiatrica, Nietzsche ne fu dimesso nel 1890 ma non recuper pi la sanit mentale e pass gli ultimi dieci anni della sua vita affidato alle cure prima della madre e 225

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poi della sorella, delle quali aveva lasciato ironicamente scritto che erano la pi forte obiezione contro la sua teoria delleterno ritorno. Nietzsche mor a Weimar il 25 agosto del 1900. Dopo la sua morte, la sorella Elisabeth e lex allievo e amico Peter Gast raccolsero tutti i suoi appunti inediti, li ordinano per temi a loro discrezione e li pubblicarono con il titolo La volont di potenza, in una prima edizione ridotta nel 1901 e in una seconda completa nel 1906.

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TAPPA 1 NIETZSCHE: APOLLINEO E DIONISIACO


Sotto lincantesimo del dionisiaco non solo si restringe25 il legame fra uomo e uomo, ma anche la natura estraniata, ostile o soggiogata celebra di nuovo la sua festa di riconciliazione col suo figlio perduto, luomo. La terra offre spontaneamente i suoi doni, e gli animali feroci delle terre rocciose e desertiche si avvicinano pacificamente. Il carro di Dioniso tutto coperto di fiori e ghirlande: sotto il suo giogo si avanzano la pantera e la tigre.

Nietzsche, La nascita della tragedia, 1


Alla base della riflessione filosofica di Nietzsche vi la convinzione di una crisi epocale della civilt occidentale e lesigenza di accertarne le ragioni per individuarne una via duscita. Da ci Nietzsche spinto a esaminare la cultura greca, in quanto matrice originaria di tutto il successivo sviluppo culturale e civile dellOccidente. La prima tesi alla quale la sua indagine perviene che la cultura greca nacque e si svilupp a partire da due principi fondamentali: a) limpulso apollineo, legato cio al dio Apollo; b) limpulso dionisiaco, connesso cio al dio Dioniso. Limpulso apollineo, secondo Nietzsche, trova la sua pi immediata espressione fisiologica nel sogno, inteso come costruzione mentale di una realt illusoria bella e gioiosa. Gli antichi greci rappresentarono tale impulso in Apollo, dio Limpulso apollineo, secondo Nietzsche, trova la sua pi immediata espressione fisiologica nel sogno, inteso come costruzione mentale di una realt illusoria bella e gioiosa. Gli antichi greci rappresentarono tale impulso in Apollo, dio della luce, della preveggenza e della scultura. Apollo infatti per Nietzsche il simbolo del principium individuationis, cio del principio dellindividualit finita e delimitata, dunque della misura, della determinazione, della chiarezza. Tale principio si esprime artisticamente nella raffigurazione dai confini nitidi e precisi tipica della scultura. Date queste sue caratteristiche, limpulso apollineo alla base della religione olimpica greca, la quale fu appunto la modalit in cui i greci riuscirono a trasfigurare esteticamente e quindi a sopportare la vita. Infatti allorigine della civilt greca vi era, secondo Nietzsche, la coscienza dellinsensatezza della vita, contenuta nella terribile massima mitologica secondo cui la cosa migliore per un uomo sarebbe non essere mai nato e, una volta nato, morire il prima possibile. Appunto per controbilanciare illusoriamente il dolore di questa tremenda verit, i greci, attraverso larte plastica, crearono lOlimpo, un mondo umano sublimato, potenziato, circonfuso di bellezza e di felicit. Limpulso dionisiaco invece ricondotto da Nietzsche allo stato di ebbrezza prodotto da bevande narcotiche o dalleccitazione fisiologica indotta dalla primavera o anche dallesaltazione provocata dalla danza e dalla sfrenatezza sessuale nelle feste orgiastiche. Gli antichi greci rappresentarono tale impulso in Dioniso, dio del vino, della natura e della musica - insieme demone crudele e dolce dominatore - che Nietzsche interpreta come il simbolo dellabolizione del principium individuationis, cio come simbolo dellunit primigenia indifferenziata, della volont di vita originaria da cui scaturiscono tutte le cose. Per questo, Dioniso limpulso interiore che spinge ogni uomo a fondersi con gli altri
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Nel senso di si fa pi stretto.

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uomini e al tempo stesso con gli animali, le piante e tutta la natura, a trasgredire le norme etiche e le convenzioni sociali. Tale impulso si esprime e si realizza nella musica intesa come poesia musicata, cantata e soprattutto danzata. Nella musica dionisiaca, per Nietzsche, luomo raggiunge il massimo potenziamento di tutte le sue capacit simboliche, si esprime simbolicamente non solo attraverso la bocca, la parola e il volto, ma attraverso il movimento di tutte le parti del corpo. Attraverso la musica il seguace di Dioniso diventa cos come un dio olimpico, in quanto non pi solo artista ma egli stesso si fa opera darte e giunge a squarciare il velo dellapparenza sensibile per penetrare nella terribile essenza della realt - la volont di vita - fino a coincidere con essa raggiungendo cos una gioia totale. Secondo Nietzsche, la dialettica tra gli impulsi apollineo e dionisiaco fu alla base di tutta levoluzione della civilt greca. Dopo loriginario dominio dionisiaco, che si espresse nella mitologia dei titani, si afferm lapollineo con la poesia epica di Omero, quindi nuovamente prevalse il dionisiaco che fu ancora una volta soppiantato dallapollineo dellarte dorica. Per, per quanto opposti e in conflitto tra loro, apollineo e dionisiaco, per Nietzsche, sono in realt impulsi complementari. La trasfigurazione estetica apollinea, infatti, ha bisogno dellimpulso vitale del dionisiaco e a sua volta questultimo necessita della attenuazione e della trasfigurazione illusoria dellapollineo. E questa la condizione di quel fenomeno unico e irripetibile che fu per Nietzsche la conciliazione di apollineo e dionisiaco allinizio dellet classica. Tale conciliazione si realizz nella tragedia greca in quanto basata sullequilibrio tra il coro e il mito - che rappresentano lelemento dionisiaco - e la vicenda drammatica e i dialoghi - che costituiscono lelemento apollineo. Nella tragedia, il coro dionisiaco, afferma Nietzsche, aveva la funzione di eccitare gli spettatori per fare in modo che allapparire delleroe protagonista essi non vedessero un attore mascherato ma avessero una visione estatica delleroe in quanto alter-ego di Dioniso. La vicenda tragica infatti per Nietzsche una rappresentazione della vita di Dioniso, che secondo il mito fu fatto a pezzi e sbranato dai Titani. In questo senso Nietzsche interpreta Dioniso come il dio che sperimenta su di s il dolore del principium individuationis, cio della suddivisione dellunit originaria nella molteplicit degli individui. Ci significa che la verit dionisiaca consiste appunto nella consapevolezza che lindividuazione la causa prima di ogni sofferenza umana. Ma Dioniso anche il dio della rinascita, cio del ritorno allunit sorgiva. In questo senso la tragedia aveva per Nietzsche lo scopo di infondere nel pubblico la speranza nel superamento della sofferenza individuale attraverso il ritorno alluno primordiale. Lequilibrio tra apollineo e dionisiaco che produsse la tragedia greca fu per Nietzsche un miracolo temporaneo. Dopo i primi grandi tragediografi Eschilo e Sofocle, il terzo, Euripide, svalorizz il coro, dando priorit alla vicenda drammatica e soprattutto incentrandola su dialoghi costruiti come dispute dialettiche. Poich Euripide era pur sempre un autore tragico, Nietzsche considera la sua opera come un suicidio della tragedia. Ma in realt per Nietzsche Euripide fu solo lesecutore di un delitto che aveva il suo mandante in Socrate. Euripide, infatti, trasfuse il razionalismo e il moralistico ottimismo di Socrate nella tragedia, soffocandone cos lo spirito dionisiaco. In questa senso, Socrate rappresenta per Nietzsche il prototipo di un nuovo tipo di uomo destinato a eliminare luomo tragico e ad affermarsi nella civilt occidentale fino a raggiungere il culmine nella modernit. Socrate infatti l uomo teoretico, cio luomo

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razionale e morale, luomo che si realizza nella conoscenza scientifica del mondo apparente. Ma un tale uomo condannato allinsoddisfazione in quanto la conoscenza razionale, irretita dallapparenza sensibile, non pu attingere alla verit dionisiaca. Di conseguenza, luomo teoretico si sforza di raggiungere la felicit, ma al contrario, allontanandosi sempre pi dallunica verit, quella della volont di vita, recide le sue radici vitali, si inaridisce e diviene preda dellinsensatezza e dellangoscia. In questa prospettiva, Nietzsche interpreta la crisi della civilt contemporanea come il sintomo dellesaurimento del razionalismo socratico e insieme della rinascita dello spirito dionisiaco. Questa rinascita destinata a manifestarsi in un nuovo primato dellarte dionisiaca, con il ritorno della musica, del mito e della tragedia. Nietzsche vede le prime manifestazioni di tale ritorno nellopera dei musicisti tedeschi del 700 e dell800 - Bach, Beethoven e soprattutto il suo contemporaneo Richard Wagner - e nelle filosofie di Kant e Schopenhauer che hanno evidenziato i limiti insuperabili della scienza e valorizzato larte.

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TAPPA 2

NIETZSCHE: LA CRITICA DELLA TRADIZIONE METAFISICA Tutto ci di cui abbiamo bisogno e che allo stato presente delle singole scienze pu esserci veramente dato una chimica delle idee e dei sentimenti morali, religiosi ed estetici (...); ma che avverrebbe, se questa chimica concludesse col risultato che anche in questo campo i colori pi magnifici si ottengono da materiali bassi e persino spregiati? Nietzsche, Umano troppo umano, 1 Secondo Nietzsche la metafisica consiste essenzialmente nel postulare lesistenza di una realt superiore, ideale, razionalmente perfetta, composta di cose in s. Tale realt permette ai metafisici di far credere che vi siano principi conoscitivi e valori morali assoluti in base ai quali luomo pu dare un senso certo, oggettivo, universale alla propria vita. Nietzsche si propone di smantellare tale credenza, conducendo una rigorosa e radicale indagine critica della tradizione metafisica occidentale. Questa indagine si caratterizza come una filosofia storica in quanto assume come presupposto che gli assoluti della metafisica siano costruzioni edificate dalluomo nel corso del suo sviluppo storico. Per Nietzsche, per, la filosofia storica fa propri anche i metodi e i risultati delle scienze naturali configurandosi cos come una chimica delle idee e dei sentimenti, cio unanalisi degli elementi primi reali che sono alla base dei principi ideali della metafisica. Infatti, la produzione di tali principi si pu spiegare in analogia al processo chimico della sublimazione: come lacqua pu passare direttamente dallo stato solido del ghiaccio allo stato gassoso del vapore, rendendosi per cos dire irriconoscibile e quasi invisibile, allo stesso modo gli istinti vitali e i sentimenti naturali delluomo possono trasformarsi in alti principi e valori ideali dissimulando la loro bassa origine fisiologica. Il fondamento primario della metafisica , secondo Nietzsche, il fenomeno fisiologico del sogno. I primi uomini, infatti, credettero che il sogno fosse un altro mondo, diverso da quello della veglia ma con lo stesso grado di realt. E il sogno, dunque, lorigine della scissione metafisica tra mondo fisico e mondo ideale, corpo e anima, uomini e dei. Il sogno, in questa prospettiva, forn agli uomini primordiali la prima, elementare forma di logica. Infatti, afferma Nietzsche, il sogno una rappresentazione immaginaria delle cause delle sensazioni che il corpo prova durante il sonno. Per esempio se qualcuno dormendo sente caldo pu sognare di trovarsi nel deserto e identificare nel sole cocente sognato la causa della sua sensazione di calore. In tal modo, i primi uomini, anche in condizioni di veglia, si abituarono a considerare cause dei fenomeni naturali le prime immagini fantastiche che venivano loro in mente e a rovesciare il rapporto tra causa ed effetto: anzich considerare le cose reali come cause delle proprie immagini, consideravano le proprie immagini come cause delle cose reali. Per Nietzsche questa la genesi della credenza nella cosa in s. In uno stadio storico pi avanzato, continua Nietzsche, luomo scopr il linguaggio che divenne il fondamento dello sviluppo di tutte le grandi civilt. La potenza del linguaggio si dimostr cos grande che esso fin per lassumere agli occhi delluomo il carattere di un mondo a s stante, autonomo da quello reale. In questo modo i nomi finirono con lessere considerati essenze reali che racchiudevano in s lintera conoscenza delle cose naturali. Per questo la scoperta del linguaggio va considerata, secondo Nietzsche, il primo gradino nella costruzione della conoscenza scientifica.

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Chiarita la genesi della metafisica in generale, Nietzsche passa a considerarne i suoi singoli aspetti, a cominciare da quello della conoscenza. Egli rileva che la metafisica ha concepito e rappresentato conoscitivamente la realt empirica come un grande quadro che da sempre mostra invariabilmente lo stesso disegno. Il suo scopo ultimo era di scoprire lautore del quadro, cio la cosa in s. Per Nietzsche la scienza metafisica era completamente fuori strada, in quanto quel quadro stato dipinto gradualmente nel corso di migliaia di anni e il suo autore non nessun altro che luomo. Infatti, afferma Nietzsche, se il mondo sensibile oggi cos colorato - cio se ai nostri occhi manifesta un ordine razionale - ci accade perch luomo per secoli ha indagato il mondo in base alle sue aspettative scientifiche, morali, religiose ed estetiche, ha perci proiettato sulla realt le sue forme mentali e lha cos conformata a lui. In questa prospettiva, Nietzsche dimostra che perfino la logica e la matematica si fondano sullarbitrio umano. La logica infatti si basa sui presupposti: dellidentit di un ente con se stesso e delluguaglianza di due enti, ma tali presupposti sono falsi in quanto: nella realt ogni cosa cambia continuamente e non vi sono mai due cose uguali. Anche i presupposti della matematica sono falsi, dal momento che in natura non esistono linee rette, veri cerchi, misure di grandezza assolute. In conclusione ci che dalla scienza metafisica viene chiamato mondo per Nietzsche non altro che lesito di una serie di fantasie e di errori che sono nati a poco a poco nel corso dellevoluzione storica e sono cresciuti su se stessi fondendosi luno con laltro fino a trasformarsi in una seconda realt. Ma qual la causa di queste fantasie e di questi errori? Nietzsche risponde che listinto di conservazione umano, cio la pulsione delluomo a cercare il piacere e a sfuggire il dolore. Insomma, la metafisica stata s un errore, ma un errore funzionale alla sopravvivenza e al miglioramento delle condizioni di vita dellumanit. Anche la storia dei sentimenti morali per Nietzsche la storia di un errore e della sua evoluzione. Essa si svolge in varie tappe: originariamente le azioni vengono dette buone o cattive a seconda che sia utili o dannose; progressivamente si dimentica lorigine di queste denominazioni e ci si immagina che il bene e il male siano propriet intrinseche di determinate azioni; in seguito le azioni sono considerate neutre e il bene e il male vengono attribuiti alle motivazioni che ne sono alla base; infine si ritengono buoni o cattivi non i singoli motivi ma i singoli uomini in quanto fonti dei motivi. In questo modo, secondo Nietzsche, nel tempo si venuta costituendo e consolidando la credenza nella responsabilit morale e nella libert del volere delluomo. In realt, si tratta di due errori naturali. Infatti le azioni umane sono conseguenze necessarie delle influenze di eventi passati e presenti. Dunque nessun uomo responsabile n del suo essere, n delle sue motivazioni pratiche, n delle sue azioni, n delle loro conseguenze. Giudicare, afferma pertanto Nietzsche, significa essere ingiusti. Quello che vale per la conoscenza e la morale, vale anche per la religione e larte. Nessuna religione, secondo Nietzsche, ha mai contenuto una sola verit, ma ognuna nata dalla paura e dal bisogno ed cresciuta sugli errori della ragione. Anche la trasfigurazione estetica e fantastica della realt operata dallarte un errore, finalizzato ad alleviare la durezza la vita umana. 231

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Ma pure come rimedio larte ha perso la sua attualit, perch essa espressione dellet fanciullesca dellumanit, basata sullemotivit, lirruenza, la facile credenza. In questo senso larte per Nietzsche un ricordo della giovinezza delluomo, una reliquia del suo passato. Nel presente, luomo artistico, secondo Nietzsche, deve essere sostituito dalluomo scientifico, poich questo rappresenta un tipo duomo pi maturo, pi avveduto, pi preciso ed equilibrato. Tuttavia, proprio lo sviluppo dellerrore metafisico ha portato luomo a un grado superiore di conoscenza e ha originato nellet presente una nuova scienza critica consapevole del fatto che non esistono verit assolute. Per Nietzsche, per, non bisogna accontentarsi di raggiungere la consapevolezza che gli assoluti metafisici sono degli errori privi di fondamento. Al contrario, tenendo ferma questa consapevolezza, bisogna rivalutare gli errori del passato metafisico comprendendone le motivazioni storico-psicologiche, riconoscendone la funzione formativa e prevedendo i rischi del loro smascheramento. Per esempio, le credenze metafisiche passate hanno spronato gli uomini a intraprendere la costruzione di istituzioni e opere pur sapendo che sarebbero state ultimate solo dopo secoli. La fine della metafisica dunque rischia di produrre un uomo incapace di intraprendere grandi e durature imprese. Ancora, la metafisica attribuiva al cammino storico umano una meta finale, stimolando lattivit degli individui. La caduta degli assoluti, facendo venir meno anche tale credenza, potrebbe portare gli uomini a convincersi dellinutilit della vita e dellagire. Tuttavia, secondo Nietzsche, proprio comprendendo la funzione delle credenze metafisiche e reagendo ai rischi del loro crollo, luomo moderno ha di fronte a s la pi alta delle possibilit storiche, cio quella di non evolversi pi inconsciamente ma di svilupparsi consapevolmente in una nuova civilt, creando migliori condizioni di nascita, di alimentazione, di educazione, di istruzione, di organizzazione economica. In questo senso, afferma Nietzsche, il progresso, se non pi considerabile necessario, rimane certamente possibile. E la scienza - intesa come sapere critico - pu sostituire la metafisica, suscitando quella fede nei suoi risultati capace di spingere gli uomini a imprese grandi e durature. Essa inoltre pu sviluppare una conoscenza delle condizioni della civilt che le consenta di individuare gli scopi comuni dellumanit e di fondare cos su di essi una nuova morale autenticamente universale.

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TAPPA 3 NIETZSCHE: LA GENESI STORICA DELLA MORALE Come? e se la verit fosse il contrario? Come? e se nel bene fosse insito anche un sintomo di regresso, come pure un pericolo, una seduzione, un veleno, un narcoticum , attraverso il quale a un certo punto il presente vivesse a spese dellavvenire? [...] Cos che precisamente la morale sarebbe responsabile del fatto che una in s possibile suprema possanza e magnificenza del tipo uomo non mai stata raggiunta? F. Nietzsche, Genealogia della morale, Prefazione Una volta appurato che i valori ideali su cui si costruita la civilt occidentale hanno unorigine e unevoluzione storica, Nietzsche approfondisce la sua indagine concentrandosi in particolare sulla questione per lui cruciale, quella cio della morale. Approfondendo le sue radici, le analisi dei psicologi inglesi, secondo Nietzsche, mostrano tutta la loro parzialit, in quanto si sono arrestate ad alcuni fenomeni psicologici di superficie - come labitudine - trascurando la dimensione storica. Secondo loro, infatti, la morale nacque allorch gli uomini che ne beneficiavano chiamarono buone le azioni individuali che risultavano utili per se stessi. Successivamente, per abitudine, essi ne dimenticarono lutilitarismo e giunsero a considerarle semplicemente buone in s. Al contrario, per Nietzsche, lindagine storica attesta che originariamente la denominazione di buono non fu coniata dai beneficiari di un comportamento altrui, bens dagli uomini nobili e potenti che giudicavano buone le proprie azioni, in opposizione a quelle cattive degli uomini volgari, di bassi sentimenti, plebei. In questo senso la morale nacque, per Nietzsche, da un pathos della distanza che non ha nulla a che vedere con lutilitarismo, anzi ne la radicale negazione. Questa tesi trova riscontro nellanalisi etimologica la quale dimostra che il termine buono presso i popoli antichi significava spiritualmente nobile, mentre cattivo stava per plebeo, cio indicava luomo comune, banale, codardo. Gli aristocratici antichi, continua Nietzsche, giudicavano buone le azioni libere, forti e gioiose che essi compivano nella loro vita dedita alla guerra, allavventura, alla caccia, alla danza e ai tornei. Pertanto la morale aristocratica presupponeva una sana e potente costituzione fisica. Tuttavia una parte dellaristocrazia antica era costituita dalla casta sacerdotale, la quale costru una propria specifica morale per valorizzare la sua condizione e la sua funzione. A tal fine, diversamente dai guerrieri, i sacerdoti fecero coincidere lopposizione buonocattivo con quella puro-impuro, intendendo per puro colui che si lava, segue una dieta per evitare le malattie della pelle e non frequenta donne dalle quali potrebbe contrarre malattie veneree. In quanto contraria allazione e al rischio, la morale igienista e prudente dei sacerdoti, per Nietzsche, fu espressione di uomini malsani e deboli che mascherarono il loro senso di inferiorit nei confronti dei guerrieri con il disprezzo per la vita e per la realt sensibile. La morale sacerdotale, secondo Nietzsche, nellantichit si radic in modo particolare nel popolo ebraico. Questo, infatti, sentendosi impotente nei confronti di dominatori e nemici, seppe escogitare una speciale forma di vendetta: la trasvalutazione dei valori, consistente nel rovesciare il primato dellazione, della forza e della salute nel primato della contemplazione, della debolezza e della infermit. In questo modo gli ebrei sostituirono loriginaria equazione buono = nobile, potente, bello, felice, caro agli dei, con lequazione

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contraria buono = miserabile, povero, impotente, umile, sofferente, indigente, deforme. Gli antichi buoni divennero pertanto uomini malvagi, crudeli, lascivi ed empi, destinati alla dannazione eterna. La sete di vendetta della morale ebraica raggiunse poi il suo vertice nella dottrina cristiana che annunciava la beatitudine ai poveri, agli infermi, ai derelitti. In questo senso, per Nietzsche, la crocifissione di Cristo fu la mossa decisiva di un grande piano degli ebrei per diffondere in tutta lumanit, cio tra tutti i loro nemici, la loro morale antivitale. Il mito paradossale e inebriante di un Dio che si fa uccidere per il bene dellumanit fu infatti lo strumento pi efficace grazie al quale gli ebrei riuscirono a far trionfare la loro trasvalutazione dei valori. Con la diffusione del cristianesimo alla fine dellepoca antica la morale ebraica sconfisse definitivamente la morale signorile sostituendosi dappertutto ad essa. Lunica, vera redenzione cristiana del genere umano, afferma Nietzsche, fu appunto leliminazione dei signori a favore del dominio generalizzato dei plebei e degli schiavi. Infatti, essendo gli ebrei un popolo di schiavi, la loro morale trov ladesione e il sostegno della maggioranza schiavizzata dellumanit antica che rovesci cos il dominio delllite aristocratica romana. Nel corso di questo processo storico, lantica morale sacerdotale si struttur in una forma definitiva che Nietzsche chiama morale degli schiavi, caratterizzandola come: una morale non dellazione ma della reazione: infatti mentre la morale aristocratica una morale dellaffermazione immediata di se stessi, la morale degli schiavi si manifesta solo come negazione di tutto ci che le opposto; una morale del risentimento, cio basata su una vendetta immaginaria, consistente nel destituire di valore il comportamento che si incapaci di praticare e quindi si costretti a subire, prefigurando una dimensione ultraterrena dove esso sar punito; una morale della passivit, in quanto per essa la felicit non consiste nella vita attiva ma in una condizione di pace, di quiete, di inattivit. Secondo Nietzsche, mentre il nobile parte dallassunzione di se stesso come buono per giungere a definire il diverso come cattivo, lo schiavo al contrario parte dallidentificazione del suo nemico come malvagio e quindi determina per antitesi il buono, ovvero se stesso. In questa sostituzione del cattivo con il malvagio si misura tutta la distanza tra morale aristocratica e morale degli schiavi. Mentre infatti il cattivo era semplicemente il plebeo in quanto volgare, il malvagio il nobile in quanto aggressore e dominatore. Ma il comportamento del nobile, per Nietzsche, del tutto naturale. Infatti nel fondo di ogni guerriero aristocratico sta una belva feroce, una magnifica bionda bestia desiderosa di combattimento, vittoria e bottino, che ricorrentemente deve trovare uno sfogo nelle guerre, nelle invasioni e nelle razzie. Cos come insensato rimproverare i rapaci perch si nutrono di agnelli, allo stesso modo non si pu pretendere che un individuo dotato di forza non la manifesti nella sopraffazione e nella volont di dominio. Una certa quantit di forza, infatti, costitutiva della natura umana e sgorga da istinti insopprimibili. Secondo Nietzsche, se si giunti a disconoscere questa elementare verit, ci avvenuto perch si frainteso lagire umano considerandolo il prodotto di un soggetto libero e responsabile. Infatti, allo stesso modo in cui separa il fulmine dal lampo, lindividuo debole distingue la forza dalla sua attuazione, credendo che possano esistere luna senza laltra. In questo modo egli stabilisce che lindividuo forte, in quanto soggetto autonomo delle sue azioni, sceglie liberamente di aggredirlo, e lo pu cos giudicare moralmente colpevole. Ma le cose per Nietzsche stanno esattamente allopposto: cos come il lampo tuttuno col fulmine, la sopraffazione tuttuno con luomo forte. 234

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Simmetricamente del tutto naturale che i deboli siano portati a svalutare la prepotenza e lorgoglio a favore della sottomissione e dellumilt. Anche in questo caso si tratta di un automatismo biologico analogo a quello di quegli animali che in situazione di pericolo si fingono morti, in quanto non sono capaci di una reazione pi efficace. Ma il debole non si accontenta affatto di questo, bens ha bisogno che la sua debolezza appaia come una libera scelta a favore di un comportamento morale. Il suo menzognero istinto di conservazione lo spinge cos a inventare il soggetto - ovvero lanima - per poter trasformare la sua debolezza in merito. Se il processo di civilizzazione consiste essenzialmente nel trasformare la belva umana in un animale domestico, allora - afferma Nietzsche - la morale del risentimento stata il suo strumento fondamentale. In base a questa morale, infatti, le lite aristocratiche sono state umiliate e sottomesse insieme ai loro valori e ideali. Ma lepoca contemporanea dimostra, secondo Nietzsche, che la civilt europea non affatto unautentica civilt. Al contrario, in quanto immenso contenitore di istinti repressi e di bisogni di compensazione, essa costituisce un regresso, un decadimento della civilt antica. Infatti, il trionfo della morale degli schiavi ha prodotto per Nietzsche un tipo duomo represso, mansuefatto, mediocre, che oltretutto coltiva lillusoria pretesa di essere meta e culmine della storia umana. E in questo contesto che si sviluppato e dilaga il nichilismo: immeschinitosi e livellantosi, recise le sue radici istintive e vitali, luomo europeo diventa sempre pi stanco di s, non nutre pi alcuna aspirazione superiore, avverte che tutti i suoi valori vacillano e sprofondano nel nulla.

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TAPPA 4

NIETZSCHE: LA MORTE DI DIO


Il carattere complessivo del mondo invece caos per tutta leternit, non nel senso di un difetto di necessit, ma di un difetto di ordine, articolazione, forma, bellezza, sapienza [...] Non esistono sostanze eternamente durature: la materia un errore, n pi n meno del dio degli Eleati. [...] Quando sar che tutte queste ombre dIddio non ci offuscheranno pi? Quando avremo sdivinizzato del tutto la natura! Quando potremo iniziare a naturalizzare noi uomini, insieme alla pura natura, nuovamente ritrovata, nuovamente redenta! F. Nietzsche, La gaia scienza, 109 Nietzsche interpreta tutta la storia della cultura occidentale postsocratica come uno sviluppo in forme differenziate e sempre pi radicali di un medesimo errore: la credenza in una realt ideale ultraterrena. Sul fondamento di tale credenza luomo occidentale ha edificato la religione, la metafisica, la morale, larte, la scienza, ovvero un insieme articolato di valori funzionali a dare un senso assoluto alla sua vita. Ma per ottenere questo risultato luomo occidentale ha dovuto sacrificare la dimensione terrena e naturale della vita, dal momento che questa risultava inferiore e subordinata alla dimensione ideale e ultraterrena. In questo senso la storia della civilt occidentale per Nietzsche la storia dellaffermazione sempre pi ampia e profonda del nichilismo, inteso innanzitutto come soffocamento della vitalit naturale delluomo. Paradossalmente, per, proprio lultimo e pi raffinato prodotto dello sviluppo della cultura occidentale - cio la scienza moderna - ha sgretolato il suo fondamento originario, la credenza, appunto, in un mondo metafisico e in un principio unico e assoluto di tutte le cose. Pi precisamente, afferma Nietzsche, sono state la stessa morale cristiana, la puntigliosit dei suoi esami di coscienza, la sua rigorosa esigenza di verit che al culmine della loro evoluzione hanno prodotto la conoscenza scientifica e attraverso di essa hanno portato alla scoperta dellinesistenza di Dio e di ogni principio assoluto. Secondo Nietzsche, lepoca contemporanea segna oggettivamente lesaurimento della possibilit di credere nellesistenza di Dio. Infatti le scoperte della scienza, i progressi della tecnologia, la crescita economica e levoluzione sociale hanno spazzato via le condizioni culturali, psicologiche e materiali che spingevano luomo alla fede religiosa e, insieme, alle convinzioni metafisiche. A questa situazione oggettiva non corrisponde, per, una presa di coscienza soggettiva da parte delluomo occidentale. Questo infatti o continua per tradizione e abitudine a credere in Dio e negli assoluti metafisici; o subisce il fascino delle ombre di Dio, cio di nuove ideologie metafisiche che, pur essendo formalmente atee, in realt sono versioni camuffate della religione e della metafisica tradizionali in quanto sono basate sullassolutizzazione di un principio astratto; o rimane indifferente, non si pone il problema ed evita di prendere posizione; o ancora, pur ritenendosi e dichiarandosi ateo, non consapevole di cosa significhi esserlo. Di fronte a questi atteggiamenti, Nietzsche si attribuisce il compito filosofico di annunciare la morte di Dio, cio di diffondere la consapevolezza del significato profondo di questo evento e di provocare una chiara presa di posizione. Innanzitutto, infatti, gli uomini devono comprendere che Dio non morto di morte naturale ma che sono stati essi stessi ad assassinarlo, cio che la fine della fede in Dio un effetto del loro sviluppo culturale,

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quindi delle loro stesse azioni. In secondo luogo gli uomini devono essere consapevoli delle implicazioni profonde e delle conseguenze della morte di Dio. Lannuncio della morte di Dio non ha un significato esclusivamente religioso. Dio infatti per Nietzsche il simbolo di tutti i principi assoluti ideali e razionali. In questo senso accettare e comprendere levento della morte di Dio significa prendere atto che il mondo puro caos, cio che non possiede nessun ordine interno, nessun valore, nessun fine. Ci comporta il rigetto di tutte le cosmologie razionali tanto di quella organicistica, che considera il cosmo un essere vivente quanto di quella meccanicistica, che considera il cosmo una macchina. Contro la cosmologia organicistica, Nietzsche rileva che se il mondo fosse un essere vivente dovrebbe estendersi, nutrirsi, crescere. Ma tutto ci assurdo, come anche assurdo rinvenire unanalogia tra luniverso intero e i piccoli organismi viventi nati sulla superficie di uno dei suoi innumerevoli pianeti. Alla cosmologia meccanicistica, Nietzsche obietta invece che il concetto di macchina implica sempre quello di un artefice che si costruisce e usa uno strumento in vista di un fine. Si tratta dunque di una concezione smaccatamente antropomorfica, di una proiezione della mentalit umana sulluniverso. Il fatto poi che nel nostro sistema solare sia stato possibile scoprire un ordine di tipo meccanico nei movimenti planetari non costituisce una prova a favore della cosmologia meccanicistica. Niente infatti ci autorizza a pensare che ci che avviene nella nostra piccolissima porzione duniverso debba avvenire anche in tutto luniverso. Al contrario, basta osservare la via lattea per trovare indizi sufficienti a ipotizzare che fuori del nostro sistema solare i moti degli astri siano irregolari e imperfetti. In ogni caso, continua Nietzsche, non ha alcun senso parlare di perfezione o imperfezione, razionalit o irrazionalit delluniverso. Luniverso infatti non ha nulla in comune con luomo, non possiede ragione, sensibilit, perfezione, bellezza, nobilt, ma nemmeno caratteri contrari. E dunque insensato pensare che luniverso sia governato da leggi di natura o che possieda degli scopi. Ma altrettanto insensato ritenere che esso sia guidato dal caso, in quanto il concetto di caso dipende sempre per opposizione da quello di scopo. Quindi se luniverso non possiede scopi non pu nemmeno essere il regno del caso. Tantomeno esso fondato su rapporti di causa e effetto. Infatti tutti gli eventi naturali costituiscono un continuum, cio un flusso senza distinzioni in cui impossibile separare un elemento da un altro facendo del primo la causa e del secondo leffetto. In conclusione per Nietzsche bisogna rifiutare tutte le immagini antropomorfiche delluniverso e accettare lunica plausibile perch naturale: luniverso non altro che un caos infinito aperto a infinite interpretazioni. La morte di Dio e la sdivinizzazione delluniverso costituiscono per per lumanit occidentale il massimo pericolo. Infatti per secoli Dio stato il pilastro dellassolutezza dei suoi valori religiosi, scientifici, morali, estetici. Dunque insieme a Dio crollano tutti i valori e la possibilit di attribuire al mondo e alla vita un senso oggettivo e assoluto. Di fronte alluomo occidentale si spalanca cos labisso del nulla. A chi accetta lateismo sembra, afferma Nietzsche, che il sole sia tramontato, che il dubbio offuschi ogni cosa, che il mondo assuma una luce crepuscolare e funerea, che tutto diventi estraneo, vecchio, decrepito. In altre parole, sembra che lesistenza sia insensata e che non vi sia pi nulla per cui valga la pena di vivere. Luomo occidentale sprofonda cos nel pessimismo e nel decadentismo, che altro non sono che la manifestazione aperta e radicale del nichilismo da sempre latente nella civilt occidentale ma finora coperto e compensato dalla fede in un senso assoluto della vita.

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Proprio contro il dilagare del nichilismo, Nietzsche sostiene che di fronte alla morte di Dio non si pu rimanere indifferenti e inerti, limitandosi a lasciare un vuoto al posto di Dio. Se luomo si assunto la responsabilit di uccidere Dio, ora gli spetta lonere, ma anche lonore, di rimpiazzare la sua funzione, di sostituirsi a Dio come fondamento del senso della vita. Questo il compito dello spirito libero, cio di colui che fa della morte di Dio loccasione per sconfiggere il nichilismo, sia quello virulento dl presente sia quello latente del passato, e raggiungere la completa liberazione. Infatti lo spirito libero comprende che senza pi Dio luomo pu finalmente condurre la sua vita in modo pienamente libero, senza costrizioni esteriori, senza condizionamenti e limiti precostituiti, creando liberamente i suoi valori e scegliendo liberamente le sue mete. Forte di questa consapevolezza, lo spirito libero reagisce gioiosamente alla morte di Dio, interpretando questo evento non come un tramonto, ma come unaurora, cio come la nascita di una nuova epoca, la pi alta della storia umana.

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TAPPA 5

NIETZSCHE: LANNUNCIO DEL SUPERUOMO


Luomo un cavo teso tra la bestia e il superuomo, - un cavo al di sopra di un abisso. Un passaggio periglioso, un periglioso essere in cammino, un periglioso guardarsi indietro e un periglioso rabbrividire e fermarsi. La grandezza delluomo di essere un ponte e non uno scopo: nelluomo si pu amare che egli sia una transizione e un tramonto. Nietzsche, Cos parlo Zarathustra, parte I, Prologo di Zarathustra Per Nietzsche il dilagare del nichilismo - cio della perdita di senso della vita - il sintomo incontrovertibile non di una crisi congiunturale ma della fine definitiva della civilt occidentale nata dallassassinio socratico dellimpulso dionisiaco. Tale fine coincide con lesaurimento stesso della funzione storica della specie umana e apre le porte al ritorno di Dioniso con la genesi di una nuova specie di esseri razionali destinata a dare origine a una nuova, pi elevata forma di civilt. Questo nuovo essere razionale chiamato da Nietzsche bermensch , che significa sia oltreuomo o uomo nuovo - in quanto rappresenta uno stadio evolutivo pi avanzato rispetto alluomo -, sia superuomo o uomo superiore poich dotato di maggiori capacit vitali delluomo. Secondo Nietzsche lbermensch il senso della terra, cio egli incarna il valore capace di rappresentare il nuovo senso della vita dopo la morte di Dio e il crollo di tutti i valori ideali. In altre parole, lbermensch il valore che pu sostituire Dio, evitando che al posto di questultimo resti il vuoto e che quindi dilaghi il nichilismo. Si tratta, per, di un principio diverso da Dio, in quanto mentre Dio ultraterreno e assoluto, lbermensch del tutto terreno e relativo. In quanto principio terreno, lbermensch non concepito da Nietzsche come una verit assoluta - cio allo stesso modo di Dio - ma come una favola, cio come unopinione soggettiva e relativa. Lindagine storica condotta da Nietzsche ha infatti dimostrato che tutte le verit della civilt occidentale - a cominciare da quella dellesistenza di Dio - erano in realt favole, libere interpretazioni creative, credute erroneamente verit oggettive e assolute per secoli. Da questo punto di vista non vi alcuna differenza tra la favola di Dio e quella dellbermensch. Ma mentre la prima era una favola inconsapevole perch camuffata da verit assoluta, la seconda una favola consapevole che si sa e si propone apertamente come tale. Daltra parte ci nulla toglie al suo valore. Infatti, dopo la morte di Dio, completamente consumato il senso delle contrapposizioni tra mondo ideale e mondo fisico, realt e apparenza, verit e opinione. Dunque ritenere che una favola non sia vera assurdo tanto quanto pensare che sia vera. La coscienza di questo paradosso una condizione essenziale dellbermensch. Nel caratterizzare lbermensch Nietzsche usa spesso espressioni evoluzionistiche che rimandano alle teorie di Lamarck, Darwin e Spencer. Tali espressioni hanno per una valenza retorica, sono cio metafore finalizzate a enfatizzare la radicalit della transizione dalluomo allbermensch, considerata da Nietzsche equivalente a quella dellevoluzione biologica che segn il passaggio dalla scimmia alluomo. In realt, Nietzsche non concepisce la transizione dalluomo allbermensch come unevoluzione biologica necessaria, bens come una rivoluzione culturale intenzionale e solamente possibile.

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Infatti, la transizione dalluomo allbermensch viene descritta da Nietzsche come il risultato di tre metamorfosi dello spirito umano, cio della sua mentalit e della sua cultura: il cammello, simbolo delluomo morale, che si sottopone con forza e pazienza al carico del dovere, che si umilia di fronte a Dio e si sottomette ai valori ideali e assoluti; il leone, simbolo dello spirito libero, delluomo che si ribella al giogo di Dio e dei valori assoluti e che ingaggia una lotta mortale con il drago del tu devi in nome dell io voglio; il fanciullo, simbolo dellinnocenza, delloblio del passato, di un nuovo inizio e soprattutto del gioco creativo che d origine a nuovi valori. Lbermensch infatti colui che vive la vita come un gioco e una danza gioiosi e opera di conseguenza una trasvalutazione dei valori, cio rovescia gli antichi valori ideali, improntati allo spirito di seriet, per sostituirli con nuovi valori terreni ispirati allo spirito della leggerezza. Il primo nuovo valore che lbermensch istituisce quello del corpo in quanto per lui solo il corpo esiste e lanima non altro che una parola con la quale si designa una funzione del corpo. I sensi e la ragione sono solo strumenti del corpo e lo stesso Io dipende dal S, cio da un principio impersonale inconscio che tuttuno con il corpo. E infatti il S che guida lIo, che gli fa provare piacere o dolore, che stimola cos la sua attivit pensante. In questo senso, afferma Nietzsche, nel corpo vi pi sapienza che nella ragione. La rivalutazione del corpo ha come immediata conseguenza la piena riabilitazione delle passioni. Le virt ideali sono morte, e le sole virt ammissibili sono quelle terrene, quelle cio che nascono dalle passioni e che consistono nel perseguimento del pi alto obiettivo di ogni passione. In questa prospettiva, non vi sono per lbermensch passioni cattive e anche linvidia, la collera e lodio sono buone in quanto la guerra un ingrediente essenziale del gioco della vita. La guerra - intesa sia come rivalit tra gli individui sia come scontro violento tra gruppi costituisce un valore per lbermensch. Secondo Nietzsche, infatti, lbermensch si realizza solo nella lotta con un nemico. Di conseguenza il falso valore del lavoro - inteso come attivit ripetitiva in cui lindividuo si sottomette alla societ - va sostituito con lautentico valore della guerra e, a sua volta, il falso valore della pace va sostituito con lautentico valore della vittoria. In questa prospettiva, Nietzsche afferma che non vero che la guerra giustificata solo da una buona causa, ma, al contrario, che la guerra per essa che rende buona una causa. Infatti, a suo parere, la guerra e il valore in battaglia hanno contribuito maggiormente allo sviluppo dellumanit dellamore cristiano per il prossimo. Al valore della guerra corrisponde il disvalore dello Stato. Nietzsche intende infatti per Stato non solo linsieme delle istituzioni politiche, ma anche la societ di massa da esse organizzata e dominata. In questo quadro lo Stato per Nietzsche un mostro edificato su una doppia menzogna: che esso rappresenti lordine di Dio in terra e insieme la massima realizzazione di un popolo. Al contrario lo Stato per definizione la soppressione di un popolo. Esso si regge solo sul consenso dei superflui, cio delle masse umane prodotte dallabnorme e incontrollata crescita demografica. Da queste masse lo Stato adorato come un vero idolo perch apparentemente provvede a garantire le loro condizioni materiali di vita. In realt lo Stato per Nietzsche un prodotto dei predicatori di morte e, in cambio del benessere materiale, trasforma tutti gli uomini in morti viventi. Il punto cruciale della trasvalutazione dei valori costituito dal rovesciamento del principio cristiano dellamore per il prossimo. Secondo Nietzsche, lbermensch si realizza amando se stesso, cio comprendendo la propria personalit e sviluppando al massimo le 240

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proprie capacit. In questa prospettiva, lamore altruistico solo una compensazione della mancanza di amore per se stessi e lattaccamento al prossimo non altro che un modo per evitare di assumersi la responsabilit di occuparsi di se stessi. Di conseguenza allamore per il prossimo - cio per luomo vicino e presente, ovvero per luomo contemporaneo - Nietzsche contrappone lamore per il pi lontano, per luomo futuro, ovvero per lbermensch; lamicizia, intesa come una relazione in cui ogni individuo stimola laltro a essere se stesso e a sviluppare le proprie potenzialit non solo con la reciproca stima ma anche e soprattutto con la critica vicendevole e con la lotta: il proprio amico - sostiene in questo senso Nietzsche - deve essere il proprio migliore nemico. La radicalit dellindividualismo nietzscheano si manifesta al massimo grado nella concezione della libera morte. Lbermensch infatti lindividuo consapevole che non esiste vita ultraterrena, che la morte segna la sua fine definitiva e la cui unica preoccupazione di morire al momento giusto per trasformare cos la morte in una festa. In altre parole, per Nietzsche bisogna evitare sia di morire troppo presto - quando ancora non si sono raggiunte le massime capacit proprie della maturit - sia di morire troppo tardi - quando ormai si sono conseguite tutte le proprie potenzialit e si sopravvive a se stessi. Per morire al momento giusto vi sono due vie: o togliersi liberamente la vita o morire in battaglia. Una morte di questo genere rappresenta, afferma Nietzsche, il degno compimento di una vita veramente vissuta e costituisce per i vivi un potente stimolo alla vita.

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TAPPA 6 NIETZSCHE: LA VOLONTA DI POTENZA Tutti gli scopi, le mete, i significati non sono che espressioni e metamorfosi dellunica volont che inerisce a ogni accadere, la volont di potenza; lavere scopi, mete, intenzioni, il volere in genere equivalgono a un voler diventare pi forti, a un voler crescere, e in pi a volere anche i mezzi [...]. F. Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, 11, 96 Secondo Nietzsche il concetto di forza, su cui si impernia la spiegazione scientifica del mondo, deve essere integrato sul piano filosofico dal principio della volont di potenza. Infatti, afferma Nietzsche, ci che gli scienziati sono soliti chiamare forza, distinguendola in attrattiva e repulsiva, non che una parola vuota dal momento che la forza solamente dedotta dalla constatazione di una serie di effetti ma mai constatata in s stessa in quanto causa. Ne consegue che il contenuto reale della forza la volont di potenza e che pertanto tutti i fenomeni e le leggi naturali devono essere interpretati come sue manifestazioni. A ulteriore sostegno di questa sua tesi, Nietzsche rileva che non possibile pensare a una forza attrattiva che non contenga unintenzionalit, cio la volont di impadronirsi di qualcosa. Inoltre, il susseguirsi senza variazioni di certi fenomeni non prova lesistenza di una legge naturale, bens soltanto che una forza non pu essere altrimenti da come . Pertanto erroneo credere che il ripetersi uniforme di un fenomeno dipenda dal fatto che un ente naturale obbedisce al comando di una legge esterna e superiore. Al contrario, un fenomeno si ripete allo stesso modo perch lente da cui deriva costituito internamente di volont di potenza, si basa cio su un medesimo e univoco principio. In questo senso i comportamenti degli enti naturali non sono n liberi n determinati. In essi infatti libert e necessit coincidono in quanto sono le manifestazioni della loro identit pi profonda. La volont di potenza, in quanto principio unico di ogni cosa e di ogni evento, per Nietzsche va distinta nettamente sia dalla volont, intesa come facolt cosciente in base alla quale luomo, come soggetto razionale, pu comportarsi liberamente; sia dalla volont di essere o di vita, intesa come istinto inconscio di sopravvivenza e conservazione, ovvero come pulsione a mantenere la propria esistenza e a prolungarla il pi possibile. La volont di potenza infatti una pulsione inconscia che mira per non al mantenimento della vita bens allaccrescimento della forza vitale e alla conquista e al dominio di tutti i mezzi a tal fine necessari. Essa pertanto subordina a questo fine anche la conservazione dellesistenza, nel senso che preferisce un pi alto livello di vitalit a una durata pi lunga dellesistenza. In questa prospettiva Nietzsche d anche un fondamento cosmologico alla volont di potenza. Il cosmo infatti possiede una quantit limitata e costante di energia. Di conseguenza la natura si basa su un principio di economicit, ovvero di risparmio energetico, che corrisponde alla volont di potenza. Voler diventare pi forti significa infatti ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo, cio con il livello minimo di dissipazione energetica. In questo quadro, Nietzsche sostiene che ancora possibile attribuire un senso al concetto di Dio: quello di massimo grado dello sviluppo della volont di potenza.

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Questo nuovo significato di Dio connesso al carattere ciclico dello sviluppo della volont di potenza. Essa infatti, secondo Nietzsche, alterna eternamente fasi di divinizzazione, cio di crescita, e fasi di sdivinizzazione, cio di deperimento, in cui si riduce ai minimi livelli. Ci dovuto al fatto che il mondo, in quanto manifestazione della volont di potenza, rifugge uno stato duraturo e stabile. Dunque, anche Dio, cio il culmine supremo del potenziamento del mondo, non concepibile come uno stato di equilibrio. Una volta raggiunto questo livello limite, la volont di potenza non pu smettere di voler crescere e per questo impiega la sua forza a distruggere quanto aveva costruito per poter tornare poi a ricostruirlo ancora una volta. Il fenomeno fondamentale della natura in quanto volont di potenza, afferma Nietzsche, il sacrificio di molti individui inferiori per rendere possibili pochi individui superiori. Ci vale anche e soprattutto per la specie umana, in cui la maggior parte degli individui sono solo un mezzo per ottenere individui pi forti, cio dotati di un pi alto grado di energia vitale. Per questo la volont di potenza anche impulso al dominio, alla sopraffazione e alla sottomissione del pi debole da parte del pi forte. Anzi Nietzsche giunge ad auspicare non solo la nascita di una nuova aristocrazia di dominatori, di signori della terra, ma il divieto di procreare e perfino la castrazione per gli individui fisicamente deformi o psichicamente malati. Ci nonostante, Nietzsche polemizza aspramente con levoluzionismo darwiniano, e soprattutto con il darwinismo sociale, sotto diversi aspetti: per leccessiva influenza attribuita alle condizioni ambientali esterne, laddove il fattore fondamentale della vita la potenza interna che usa le condizioni esterne come strumenti; per la tesi secondo cui la lotta per lesistenza e la selezione naturale eliminano gli individui deboli e favoriscono quelli forti, mentre al contrario per Nietzsche penalizzano i forti e avvantaggiano i deboli in quanto questi sono pi fecondi e capaci di coalizzarsi, avendo cos dalla loro la supremazia numerica; per lidea che vi sia una progresso evolutivo complessivo delle specie e della natura, quando invece esso si attua solo allinterno di ogni specie con lemergere di alcuni tipi superiori e oltretutto in modo temporaneo perch questi, essendo pi complessi, muoiono con maggiore facilit. In riferimento specifico allessere umano, la volont di potenza indicata da Nietzsche come un principio alternativo a quello della felicit. In altre parole, non ha senso per Nietzsche ritenere che lindividuo agisca per conseguire la sua felicit. Il comportamento individuale infatti finalizzato allaumento della potenza, cio delle capacit e delle possibilit di vita. In questo senso non si deve nemmeno pensare che sia il piacere il criterio del comportamento umano. Infatti il vero piacere solo il sintomo del conseguimento di un incremento di potenza. Il fine essenziale del comportamento umano non deve essere dunque il piacere, ma la crescita della potenza e il piacere deve essere solo la sua conseguenza e insieme, per cos dire, il suo termometro. A sua volta, il dispiacere - ovvero il dolore - deriva dalle limitazioni esterne che la volont di potenza individuale incontra nel suo sforzo di espansione. Infatti, in quanto forza, la volont di potenza pu realizzarsi soltanto vincendo delle resistenze. In altri termini accrescere la propria potenza significa lottare contro unopposizione per ridurla sotto il proprio dominio. Da questo punto di vista, il dispiacere non altro che il modo di avvertire le resistenze e le opposizioni. Ma proprio per questo esso non

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da considerare negativo in quanto un ingrediente fondamentale della realizzazione della volont di potenza e quindi dello stesso piacere. Secondo Nietzsche, lattivit conoscitiva delluomo una manifestazione della volont di potenza. Come tale essa fondamentalmente un interpretare strettamente legato e subordinato ai diversi punti di vista individuali. Anche valutare - sia nel senso di giudicare sia in quello di porre dei valori - unespressione dellimpulso individuale a incrementare la forza vitale e come tale relativo e funzionale a questo impulso. In questo senso Nietzsche afferma che laumento della potenza lunico criterio della verit teoretica e pratica, precisando che da ci consegue che non vi alcuna differenza di principio tra verit ed errore. La verit infatti non altro che un errore funzionale alla volont di potenza. Per Nietzsche anche la bellezza una delle forme essenziali in cui si manifesta laumento della potenza. In altri termini la volont di potenza significa anche tensione al proprio abbellimento, cio a una maggiore armonia sia delle passioni interiori sia dei movimenti e dei comportamenti fisici. In questo senso Nietzsche afferma che il vertice dello sviluppo individuale della volont di potenza il grande stile. Da un intenso desiderio di bellezza nasce larte che per Nietzsche induce lebbrezza, un particolare stato di piacere che corrisponde a unalta sensazione di potenza. I veri artisti infatti sono individui straripanti di vita, esuberanti e sensuali, e le opere darte autentiche sono quelle che non si limitano a riprodurre la realt cos com ma che rappresentano e anticipano una realt pi piena, pi forte, pi potente. In questa prospettiva, larte considerata da Nietzsche come il massimo stimolante alla vita, come una spinta al raggiungimento della massima potenza, come redenzione dal caos e dal dolore, cio dalla vitale tragicit dellesistenza.

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TAPPA 5 NIETZSCHE: LA TEORIA DELLETERNO RITORNO


Ci che fu: ecco la pietra che la volont non pu rovesciare. [...] Tutto ci che fu frammento ed enigma, e spaventevole caso, finch non dica la volont creatrice: Ma cos io volli!. F. Nietzsche, Cos parl Zarathustra, Della redenzione La volont di potenza per Nietzsche il principio capace di liberare lindividuo umano trasformandolo in bermensch, cio in un essere che si sa e si vive apertamente come perenne tensione ad accrescere la sua potenza vitale. Eppure, afferma Nietzsche, la volont di potenza sembra essere prigioniera del cos fu, ovvero sembra incapace di ricomporre in ununit sensata gli enigmatici frammenti del proprio passato, riscattandoli dallinsensatezza del caso. Infatti mentre essa pu dare un senso alle proprie azioni future, non pu darlo a quelle passate, in quanto esse precedono la nascita dell bermensch. Al limite del passato si aggiunge il limite del futuro. Lbermensch sa di dover morire e sa che ha una sola vita, quella terrena. Che senso ha il suo potenziamento se destinato a interrompersi e ad annichilirsi? Il carattere finito, effimero e parziale della vita terrena sembra renderla insensata e favorire la credenza in una vita ultraterrena infinita come unico modo per dare un senso alla vita terrena. Ma ci sarebbe la negazione dell bermensch. Come possibile uscire da questa impasse? La soluzione di Nietzsche che la volont di potenza totalmente e liberamente creativa, in quanto possiede unillimitata capacit di interpretazione della realt e di produzione di valori e significati. In questa prospettiva, essa pu dissolvere lostacolo del cos fu trasformandolo in un cos io volli!. In altre parole, Nietzsche sostiene che la volont di potenza pu liberarsi dal peso dellimmodificabilit del passato interpretandola, e quindi ricreandola, come un suo libero e intenzionale prodotto, cio riconoscendola come il frutto della propria libera scelta. La soluzione che cos Nietzsche offre al problema del passato interpretabile a due livelli: su un piano individuale, come un riconoscimento di tutti i propri comportamenti passati; su un piano storico-culturale, come una accettazione di tutta la tradizione nichilistica della cultura occidentale. La reinterpretazione del proprio passato come un prodotto della volont di potenza non per per Nietzsche solo il cambiamento soggettivo del proprio punto di vista e del proprio giudizio. Al contrario, il cos io volli! per Nietzsche un atto pratico con una fondamentale e primaria implicazione ontologica, cio comporta listituzione e laccettazione di una nuova concezione del tempo e in ultima analisi dellessere in quanto perenne divenire. Infatti la decisione con cui lindividuo, in quanto volont di potenza, riconosce il suo passato come voluto da lui significa volere che esso torni nel futuro, desiderare di ripetere ancora una volta le stesse azioni compiute nel passato. Ma ci a sua volta comporta che lindividuo, in quanto volont di potenza, deve credere nelleterno ritorno di tutti gli eventi e nella circolarit del tempo. In questo modo, infatti, insieme al limite del passato, superato anche quello del futuro: il potenziamento finito che l

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bermensch attua nella sua vita limitata non si annichilisce, in quanto destinato a ritornare infinite volte, cio si eterna. La teoria delleterno ritorno presentata da Nietzsche innanzitutto in forma simbolica. Nietzsche paragona lattimo presente a una porta dalla cui soglia si dipartono in direzioni opposte due sentieri di lunghezza indefinita che rappresentano luno il tempo passato e laltro il tempo futuro. I due sentieri apparentemente diversi e contrastanti in realt si uniscono, costituendo pertanto un unico sentiero. La metafora nietzscheana significa che il tempo un flusso infinito in quanto circolare e che dunque tutto quello che accadr deve gi essere accaduto e viceversa che tutto ci che gi accaduto dovr accadere nuovamente. In altre parole nellinfinito trascorrere del tempo tutti gli eventi sono destinati a ripetersi perennemente. La teoria delleterno ritorno proposta da Nietzsche come libera produzione creativa della volont di potenza, ovvero dellbermensch. Nietzsche per ne elabora anche unargomentazione razionale di carattere cosmologico. Secondo Nietzsche, luniverso : senza inizio e senza fine e dunque eterno; costituito da una quantit fissa e immutabile di energia; spazialmente finito e circondato dal nulla; privo di vuoto e totalmente pieno di centri di forza e onde di energia che in un gioco eterno si combinano e si scombinano senza alcun scopo. Dal momento che il tempo infinito e i centri/onde di energia sono finiti, ogni loro possibile combinazione deve realizzarsi infinite volte. Inoltre, poich tra ogni combinazione e la sua ripetizione devono intercorrere tutte le altre possibili combinazioni e poich ogni combinazione concatenata alle altre in un ordine di successione stabile, ne consegue che luniverso un ciclo che si ripetuto infinite volte e che destinato infinitamente a ripetersi. Questo ciclo per Nietzsche caratterizzato dal perenne alternarsi di una fase di creazione e di crescita e di una fase di deperimento e di distruzione. In questo senso Nietzsche definisce dionisiaco il suo universo. Per Nietzsche la conoscenza sempre interpretazione e come tale sempre una funzione della volont di potenza. Di conseguenza la stessa teoria delleterno ritorno non pu essere considerata una verit certa fondata sulla sua intrinseca razionalit. Essa assume un valore soltanto per lindividuo che la istituisce con un atto della sua volont di potenza. Anche questa tesi esposta da Nietzsche in forma simbolica. Egli narra che Zarathustra, il profeta dellbermensch , subito dopo aver formulato il pensiero delleterno ritorno, vede un giovane pastore che si contorce soffocato da un grosso serpente entratogli in bocca. Grazie allincitamento di Zarathustra, il pastore morde il serpente e si trasforma: egli appare illuminato e ride di un riso sovraumano. Nel racconto di Nietzsche, il serpente rappresenta leterna circolarit del tempo e il soffocamento langoscia che inizialmente lidea delleterno ritorno pu provocare nellindividuo. A sua volta il morso del pastore il simbolo della decisione individuale di totale accettazione delleterno ritorno. Infine la trasfigurazione del pastore e il suo riso sono metafore della trasformazione delluomo nellbermensch e del suo modo gioioso e lieve di vivere la vita.

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In questo senso con la teoria delleterno ritorno Nietzsche indica i criteri in base ai quali lbermensch deve concepire e vivere il tempo: la realt divenire, cambiamento perenne, ma il divenire ha il carattere e la dignit piena dellessere in quanto destinato a ripetersi e dunque eterno; ogni attimo, ogni azione, ogni situazione della vita, essendo destinati a tornare eternamente, hanno valore assoluto e vanno vissuti come tali; poich non vi alcuna meta finale, ogni momento della vita non deve essere subordinato strumentalmente a uno scopo ultimo ma deve essere vissuto pienamente come fine a se stesso. Questa concezione del tempo chiaramente connessa allidea dionisica della vita come gioco e danza, cio come successione di esperienze fini a se stesse dal momento che producono in s stesse valore, senso e soddisfazione. In questo modo, secondo Nietzsche, langoscia dovuta alla finitezza temporale della vita e alla precariet di ogni azione pu essere completamente debellata. VIAGGI PASSATI&VIAGGI PRESENTI Con la sua teoria delleterno ritorno Nietzsche si riallaccia consapevolmente alla filosofia greca presocratica. Elementi di una concezione ciclica del tempo sono attestabili gi in Anassimandro - che concepisce il cosmo come una eterna vicenda di morte e rinascita -, in Empedocle - secondo cui il cosmo trascorre eternamente dallamore allodio e dallodio allamore - ma soprattutto in Eraclito e negli stoici, per i quali luniverso alterna perennemente una fase di espansione vitale e una fase di contrazione distruttiva cosicch tutti gli eventi sono destinati a ripetersi eternamente nello stesso modo in virt della perfezione divina del divenire universale. La teoria nietzscheana delleterno ritorno si differenzia da queste antiche dottrine cosmologiche in quanto ha unorigine e un primario significato antropologico - nasce cio dal pensiero dell bermensch ed finalizzata a connotarlo. Il suo fondamento inoltre non oggettivo, bens soggettivo, in quanto consiste in un atto di volont dellindividuo. Fatte salve le debite differenze, inoltre possibile collegare la teoria nietzscheana delleterno ritorno - soprattutto nella sua versione cosmologica - a una delle 3 varianti della teoria scientifica contemporanea del big bang, quella secondo la quale lespansione delluniverso ha un limite, raggiunto il quale unimplosione (big crunch) riaggrumerebbe tutta lenergia cosmica nella singolarit iniziale.

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VIAGGIO II LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA CONTEMPORANEA


ROTTA A LA PSICANALISI, O PSICOLOGIA DEL PROFONDO Nel corso dell800, il successo del positivismo nella comunit scientifica in campo psicologico aveva favorito laffermazione della tesi organicistica secondo la quale la malattia psichica sempre conseguenza di un difetto neurologico, ossia di un danno cerebrale, o, pi in generale, del sistema nervoso. Bench di formazione scientificopositivistica, Freud giunge alla convinzione che la realt psichica, seppure strettamente connessa a quella fisiologica, possiede una propria irriducibile autonomia. Sul piano medico, ci significa che esistono malattie psichiche non dipendenti da lesioni o malformazioni organiche. Per Freud, pertanto, la scienza psicologica deve scoprire i principi costitutivi e le leggi della psiche allo scopo di elaborare una efficace terapia delle malattie psichiche. In questa prospettiva, Freud attua una rivoluzione teorica sostenendo il carattere prevalentemente inconscio della psiche: lIo, ossia la coscienza, non che la punta delliceberg psichico; la sua parte pi estesa, ovvero determinante, sommersa, cio non cosciente. Pi precisamente Freud denomina Es (Esso) il principio fondamentale della vita psichica e sostiene che lEs consiste nella libdo. Con questo termine (in latino voglia, brama) Freud intende unenergia vitale originaria di carattere sessuale il cui unico scopo procurarsi il piacere corporeo. Per adattarsi alla realt naturale e sociale, una parte dellEs si trasforma in Io, cio in coscienza sensitiva e intellettiva, e in Super-io, cio nellinsieme dei valori e delle norme comportamentali che ogni societ inocula negli individui attraverso leducazione. Il corollario della teoria freudiana dellEs una tesi ancora pi rivoluzionaria in quanto, contraddicendo la mentalit comune tradizionale, risulta sconvolgente non solo per la comunit scientifica ma per lintera comunit umana: fin dalla nascita i bambini provano e soddisfano desideri sessuali. La sessualit infantile per diversa, secondo Freud, da quella genitale, propria degli adulti, e inoltre si evolve nel tempo: prima orale, poi anale, quindi fallica e solo alla fine delladolescenza diventa compiutamente genitale. Soprattutto nel cruciale passaggio dalla fase fallica a quella genitale, il divieto dellincesto, la norma morale che per Freud fonda la civilt, ingenera il complesso di Edipo/Elettra: il bambino desidera il genitore del sesso opposto e quindi odia il genitore del proprio sesso, in quanto rivale, ma al tempo stesso ne teme la possibile reazione punitiva. In questo modo il bambino vive un conflitto che pu essere superato solo se rinuncia al soddisfacimento del proprio desiderio, identificandosi con il genitore del proprio sesso. Cos facendo egli introietta le norme morali, costituendo il proprio Superio, e di conseguenza indirizza il proprio desiderio su un individuo esterno alla famiglia con cui possibile soddisfarlo. Il mancato o il carente superamento del complesso di Edipo/Elettra genera le nevrosi, cio le malattie psichiche. La psicanalisi, secondo Freud, pu curare le nevrosi riportando alla coscienza e facendo ricordare e rivivere al paziente le situazioni emotivo-relazionali che le hanno prodotte. A questo scopo Freud mette a punto 3 tecniche fondamentali: la libera associazione, linterpretazione degli atti mancati, cio parole o gesti involontari, e soprattutto linterpretazione dei sogni. Grazie a queste tecniche possibile, secondo Freud, scandagliare linconscio e far riaffiorare alla coscienza i traumi rimossi, cio dimenticati, perch insopportabili per lIo. In una fase ulteriore della sua ricerca, Freud configura lEs in modo dualistico: esso non solo ros , cio istinto vitale, ma anche thnatos , cio pulsione di morte, intesa come

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desiderio di tornare alla condizione originaria della materia inanimata, ovvero alla quiete assoluta. La pulsione di morte spiega cos la violenza insita in ogni individuo, che pu manifestarsi sia nel masochismo, cio come violenza contro se stessi, sia nel sadismo, cio come violenza contro gli altri. Freud stesso dichiara la portata rivoluzionaria della teoria psicanalitica per la concezione delluomo e quindi della civilt umana. Egli sostiene, infatti, che la psicanalisi rappresenta la terza e pi grave ferita narcisistica, cio della sua autostima, inferta dal progresso scientifico alluomo: dopo che Copernico aveva sovvertito la centralit cosmica della Terra e Darwin la superiorit delluomo rispetto agli animali, la psicanalisi ha scoperto che luomo non pi padrone nemmeno a casa sua, dal momento che lIo cosciente agito dallEs inconscio. VITA DI UN CAPITANO SIGMUND FREUD Sigmund Freud nacque nel 1856 a Freiberg, in Moravia - oggi regione della Repubblica Ceca, allora appartenente allImpero austro-ungarico degli Asburgo -, dalla seconda moglie di un piccolo commerciante ebreo che, quando Freud aveva quattro anni, ebbe un rovescio economico e si trasfer con la famiglia a Vienna. Qui Freud visse infanzia e giovinezza nellatmosfera politica innovativa del regno di Francesco Giuseppe, il quale nel 1867 emancip definitivamente gli ebrei concedendo loro pieni diritti politici. Dopo aver acquisito una vasta formazione umanistica, grazie ai suoi eccellenti risultati scolastici, che gli permisero di sopperire alle difficolt economiche, frequent la facolt di Medicina, concentrandosi sullo studio del sistema nervoso, ma si interess anche di filosofia e segu i corsi di Franz Brentano dedicati allanalisi delle attivit psichiche. Conseguita la libera docenza in neuropatologia nel 1885, vinta una borsa di studio, approfond la propria formazione a Parigi, nella clinica della Salptrire, sotto la guida del famoso neuropatologo Martin Charcot. Oggetto della ricerca e della terapia di Charcot era la sindrome psicopatologica allora denominata isteria (dal greco hystra, utero), caratterizzata da sintomi eterogenei, quali paralisi, convulsioni, cecit, e ritenuta esclusivamente femminile. La sintomatologia isterica non era imputabile a traumi o difetti del sistema nervoso e pertanto listeria era derubricata a simulazione o autosuggestione dagli psichiatri positivistici. Charcot, invece, sosteneva lidea innovativa che listeria avesse cause psichiche le quali potevano essere ricercate ed eliminate tramite lipnosi. Tornato a Vienna, ormai convinto dellautonomia della sfera psichica e dellefficacia terapeutica della parola, nonch dellesistenza di unisteria maschile, Freud si scontr con il conservatorismo e, insieme, lantisemitismo dellambiente medico ufficiale. Privo di sostegno economico familiare, rinunci alla carriera universitaria e decise di esercitare privatamente la professione di medico delle malattie nervose, proseguendo in tal modo la sua ricerca basata sulluso dellipnosi finalizzata per a far ricordare al paziente i suoi vissuti passati. Nel 1886 Freud apr il suo studio e spos Martha Bernays dalla quale avrebbe avuto poi sei figli. Negli anni successivi, divenne amico e collaboratore di Josef Breuer che praticava anche lui lipnosi con uguale scopo, in particolare per il caso della paziente Anna O. Nel 1895 Freud e Breuer pubblicarono insieme Studi sullisteria, esposizione dei casi clinici sui quali entrambi avevano lavorato. Successivamente, a differenza di Breuer, che riteneva che la terapia catarchica da loro usata possa portare alla guarigione una volta che il paziente avesse riacquisito coscienza degli eventi traumatici causa dei sintomi isterici, Freud si convinse che tutti i vissuti riemersi grazie allipnosi avessero un fondamento affettivo-sessuale e che pertanto la terapia dovesse arrivare a far emergere i vissuti sessuali dei pazienti. Breuer non condivise questo convincimento e anzi, quando si accorse che Anna O. era innamorata di lui, interruppe la cura e al tempo stesso la collaborazione con Freud. Verificando nella pratica clinica la sua nuova tesi, Freud, invece, credette di scoprire, in un primo tempo, che 249

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i traumi psichici causa dellisteria fossero fondamentalmente episodi di seduzione, molestie o addirittura violenze sessuali subite nellinfanzia dalle pazienti da parte di parenti e in particolare dei padri. Pi avanti, per, Freud rettific la sua tesi appurando che in molti casi i ricordi delle violenze sessuali subiti non corrispondono a fatti reali ma a fantasie, fermo restando che queste possono essere altrettanto traumatiche di un evento reale. Ne trasse la conclusione che quello che conta per la terapia psichica non il fatto oggettivo, ma il vissuto soggettivo. In ogni caso, Freud arriv cos a mettere a fuoco la tesi fondamentale della teoria psicanalitica: lesistenza di una psiche inconscia caratterizzata dalla pulsione sessuale e determinante per il comportamento umano. Su questa base, negli ultimi anni del XIX secolo Freud elabor i fondamenti di una nuova teoria psicologica: la psicanalisi, definita psicologia del profondo, ossia dellinconscio. In questa fase di incubazione, divenne molto importante per Freud lamicizia e la collaborazione con Wilhelm Fliess, un medico di Berlino, anche lui appassionato studioso di fisiologia sessuale, che aiut Freud a superare i propri dubbi e le proprie resistenze nei confronti della sua scandalosa teoria. Nel prosieguo della loro sempre pi assidua collaborazione, Freud e Fliess posero sempre pi al centro dei loro studi e della loro discussione il tema della bisessualit costituzionale di ogni essere umano. Per, soprattutto in seguito alla morte di suo padre (1896), Freud si rese conto di essere psicologicamente dipendente da Fliess e intraprese un lungo processo di autoanalisi che lo port prima al distacco e poi alla dolorosa rottura con Fliess, ma anche allelaborazione compiuta della sua teoria. Tra il 1900 e il 1905, Freud rese pubblica la teoria psicanalitica attraverso tre opere-cardine: Linterpretazione dei sogni (1900), in cui interpreta il sogno come manifestazione mascherata di desideri sessuali inconsci in base allesposizione e alla decifrazione dei simboli di sogni personali e dei suoi pazienti; Psicopatologia della vita quotidiana (1901), in cui illustra e analizza numerosi e spesso spassosi casi di atti mancati (lapsus, gaffe, amnesie, sbadataggini, smarrimenti, gesti maldestri, ecc.) interpretati come altrettante espressioni dellinconscio; Tre saggi sulla teoria sessuale (1905), in cui afferma lesistenza di una sessualit infantile e ricostruisce le tappe evolutive della sessualit dalla nascita allet adolescenziale. In seguito alla pubblicazione e diffusione di questi libri, Freud usc dallisolamento e coagul intorno a s un gruppo sempre pi folto di medici e psicologi organizzando un vero e proprio movimento. Nel 1909 pubblic due resoconti approfonditi di casi clinici Caso clinico del piccolo Hans e Caso clinico delluomo dei topi -, entrambi esempi paradigmatici di analisi e terapia psicanalitiche. Nel 1910 esce Cinque conferenze sulla psicanalisi, trascrizione di conferenze divulgative tenute lanno precedente negli USA dove ottenne quellapprezzamento che in Europa ancora non aveva ricevuto -, e soprattutto fond ufficialmente la Societ Psicoanalitica Internazionale, divisa in numerose sezioni nazionali. Gi un anno dopo, per, si verific la prima scissione, quella di Alfred Adler (1870-1937), seguita nel 1913 da quella pi grave di Carl Gustav Jung (18751961), che Freud considerava suo possibile successore alla guida della SPI. Per converso, negli anni seguenti Freud allacci un rapporto umano e professionale sempre pi stretto con Lou Salom, la scrittrice russa, ormai cinquantenne, che era stata amica di Nietzsche e amante di Rilke, e che lo aveva conosciuto nel 1911, diventando poi sua allieva e quindi ella stessa psicanalista e collaboratrice, fino alla sua morte nel 1937. Dal 1913 al 1920, Freud svilupp e approfond la prima versione della sua teoria psicanalitica in opere quali Totem e tab (1913), in cui spiega lorigine dei due divieti istitutivi della civilt quello delluccisione del padre e quello dellincesto da cui deriva il complesso di Edipo/Elettra; Introduzione al narcisismo (1914), sulla costituzione dellIo in base al riversamento su esso di una quota della libdo; Metapsicologia (1915), in cui espone una versione pi teorica e sistematica della psicanalisi; Introduzione alla psicanalisi (1917), esposizione dei capisaldi della teoria psicanalitica in forma accessibile al grande pubblico; Al di l del principio del piacere (1920), in cui Freud teorizza il dualismo psichico tra pulsione di vita e pulsione di 250

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morte. In particolare, la composizione di questultima opera fu influenzata dallesperienza della I guerra mondiale, la cui conclusione coincise per Freud con la perdita di una figlia e di un nipotino a causa dellinfluenza spagnola. Nel 1923 a Freud, grande fumatore di sigari, fu diagnosticato un tumore alla mandibola, che poi lavrebbe afflitto sempre pi fino alla morte. Ci nonostante, nellultimo ventennio della sua vita e della sua riflessione, Freud continu ad approfondire aspetti della teoria psicanalitica in opere quali LIo e lEs (1923), Nevrosi e psicosi (1924), Il tramonto del complesso edipico (1924), Autobiografia (1925), Sessualit femminile (1931), Analisi terminabile e interminabile (1937), Compendio di psicanalisi (1940), e soprattutto estese la teoria psicanalitica allinterpretazione dei fenomeni storico-sociali in opere come Psicologia delle masse e analisi dellIo (1921), in cui spiega psicanaliticamente la tendenza delle masse a identificarsi con leader politici autoritari; Lavvenire di unillusione (1927), in cui illustra la teoria psicanalitica dellorigine delle religioni di cui prevede il progressivo esaurimento; Il disagio della civilt (1930), in cui teorizza lesistenza di un Super-io della civilt e sulla sua base spiega il fondamento della societ umana; Luomo Mos e la religione monoteistica (1938) in cui Freud torna a interpretare psicanaliticamente la religione, in particolare quella ebraica. Nel 1933 Hitler conquist il potere in Germani e negli anni succesivi i libri di Freud furono bruciati sulle piazze in quanto espressioni della scienza ebrea. Nel 1938 i nazisti conquistarono lAustria e diedero inizio alla persecuzione anche nei confronti degli ebrei austriaci. Grazie alla sua fama e alle protezioni di cui godeva allestero, si trasfer con la famiglia a Londra, dove fu accolto con grandi onori, per salvare non s ma la figlia Anna. Le sue quattro sorelle, e le loro famiglie, invece, morirono nei lager nazisti. Nel 1939, il tumore mandibolare di Freud si aggrav facendolo soffrire in modo non pi sopportabile e tale da impedirgli la stessa attivit intellettuale. Freud, che fino a quel momento aveva ridotto al minimo luso dei medicinali, sopportando il dolore pur di mantenere intatta la lucidit mentale, decise che era giunta per lui lora di morire e chiese al suo medico di iniettargli una dose mortale di morfina. Lopera di Freud negli anni successivi alla sua morte e nel corso di tutto il XX secolo si diffuse sempre pi e influenz in profondit non solo la psicologia, ma lintera cultura, in particolare la filosofia, la letteratura e il cinema. Per citare solo alcuni di centinaia di esempi: Lessere e il nulla (1943) di J.P. Sartre, Eros e civilt (1955) di H. Marcuse, La coscienza di Zeno (1923) di Italo Svevo, Agostino (1944) di Alberto Moravia, Marnie (1964) di Alfred Hitchcock, Shutter Island (2009) di Martin Scorsese.

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TAPPA 1 FREUD: I PRINCIPI DELLA PSICHE: ES, IO, SUPER-IO Il pi antico e il migliore significato del termine inconscio quello descrittivo; chiamiamo inconscio un processo psichico di cui dobbiamo supporre lesistenza per esempio, perch la deduciamo dai suoi effetti ma del quale non sappiamo nulla. La nostra relazione con questo processo la stessa che abbiamo con un processo psichico che ha luogo in un altro uomo, salvo che , appunto, nostro. Volendo esprimerci ancora pi correttamente, modificheremo la proposizione nel senso che chiamiamo inconscio un processo quando dobbiamo supporre che al presente sia in atto bench, al presente, non ne sappiamo nulla. [...] Per spiegare, per esempio, un lapsus verbale, ci vediamo costretti a supporre che quella data persona avesse avuto lintenzione di dire una certa cosa. Lo indoviniamo con certezza dallavvenuta perturbazione nel discorso; ma lintenzione non si era fatta valere, dunque era inconscia. [...] La considerazione di questi rapporti dinamici ci permette adesso di distinguere due specie di inconscio: uno, che si trasforma facilmente in conscio, in condizioni spesso ricorrenti, e un altro, nel quale questa conversione avviene difficilmente, solo a patto di un notevole dispendio di forze, o in cui forse non avviene mai. [...] Chiamiamo preconscio quellinconscio che solo latente, e quindi diventa facilmente conscio, e riserviamo allaltro la designazione di inconscio. Abbiamo ora tre termini: conscio, preconscio e inconscio, con i quali possiamo destreggiarci nella descrizione dei fenomeni psichici. [...] Adeguandoci alluso linguistico di Nietzsche e seguendo un suggerimento di Georg Groddeck, lo [linconscio, ndr] chiameremo dora in poi Es. Questo pronome impersonale sembra particolarmente adatto a esprimere il carattere precipuo di questa provincia psichica, la sua estraneit allIo. [...] A parte il nuovo nome, non aspettatevi che abbia da comunicarvi molto di nuovo sullEs. E la parte oscura, inaccessibile della nostra personalit; il poco che ne sappiamo, labbiamo appreso dallo studio del lavoro onirico e della formazione dei sintomi nevrotici; di questo poco, la maggior parte ha carattere negativo, si lascia descrivere solo per contrapposizione allIo. AllEs ci avviciniamo con paragoni: lo chiamiamo un caos, un calderone di eccitamenti ribollenti. Ce lo rappresentiamo come aperto allestremit verso il somatico, e che ivi accolga in s i bisogni pulsionali, i quali trovano cos la loro espressione psichica, senza che sappiamo dire in quale substrato. Attingendo alle pulsioni, esso si riempie di energia, ma non ha unorganizzazione, non produce una volont collettiva, ma solo lo sforzo per procurare soddisfacimento ai bisogni pulsionali rispettando il principio di piacere. Le leggi del pensiero logico non valgono per i processi dellEs, soprattutto non il principio di contraddizione. Impulsi contrari sussistono uno accanto allaltro, senza annullarsi e diminuirsi a vicenda; tuttal pi, sotto la dominante costrizione economica di scaricare lenergia, confluiscono in formazioni di compromesso. Non vi nulla nellEs che si possa paragonare alla negazione, e si osserva pure con sorpresa uneccezione allassioma dei filosofi, secondo cui spazio e tempo sarebbero forme necessarie dei nostri atti mentali. Nulla si trova nellEs che corrisponda allidea di tempo, nessun riconoscimento di uno scorrere temporale e [...] nessunalterazione del 252

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processo psichico ad opera dello scorrere del tempo. Impulsi di desiderio che non hanno mai varcato lEs, ma anche impressioni che sono state sprofondate nellEs dalla rimozione, sono virtualmente immortali, si comportano dopo decenni come se fossero appena accaduti. Solo quando sono divenuti coscienti mediante il lavoro analitico, essi possono venir riconosciuti come passato, venir svalutati e privati della loro carica energetica, e su ci si fonda, e non in minima parte, leffetto terapeutico del trattamento analitico. [...] E ovvio che lEs non conosce n giudizi di valore, n il bene e il male, n la moralit. Il fattore economico o, se volete, quantitativo, strettamente connesso al principio di piacere, domina tutti i processi. Cariche pulsionali che esigono la scarica: ecco tutto ci che, a parer nostro, vi nellEs. Freud, Introduzione alla psicanalisi, Lezione 31, trad. di Marilisa Tonin Dogana ed Ermanno Sagittario, Boringhieri Freud descrive la psiche e spiega la sua attivit in base a due topiche (dal greco tpos, luogo), cio due mappe, tra loro complementari, ognuna delle quali suddivisa in 3 aree: 1) inconscio, preconscio, conscio; 2) Es, Io, Super-io. Per comprenderle bisogna innanzitutto precisare che Freud parla di topiche in senso metaforico, in quanto esse non rispecchiano dei luoghi effettivi la psiche non fisica e dunque non spazialmente divisibile ma delle forze, delle funzioni, che oltretutto interagiscono tra loro. In secondo luogo, le due mappe, bench non collimino, si sovrappongono, in quanto inconscio, preconscio e conscio sono propriet di Es, Io e Superio. Semplificando, lEs totalmente inconscio, lIo conscio e preconscio, il Super-io in parte conscio e in parte inconscio. Come vedremo, per, alcune esperienze traumatiche dellIo possono essere sprofondate nellEs inconscio e riportate, con la terapia psicanalitica, allIo cosciente: pertanto ci sono anche parti dellIo inconsce e parti acquisite dellEs che possono tornare a far parte della coscienza. Relativamente alla prima topica, Freud denomina: a) inconscio un contenuto psichico (p.e. un ricordo connesso a una o pi emozioni) che influenza il nostro comportamento senza che ne abbiamo la minima consapevolezza, e che in certi casi pu diventare cosciente ma solo ricorrendo alla terapia psicanalitica; b) preconscio un contenuto psichico non immediatamente cosciente che pu essere portato alla coscienza con un nostro atto mentale intenzionale; c) conscio un contenuto psichico di cui siamo immediatamente coscienti in un dato istante. Passando alla seconda topica, Freud chiama: a) Es: la forza psichica primaria, e quindi fondamentale, basata sul principio del piacere; b) Io: la forza psichica secondaria, basata sul principio di realt, che si forma a partire dalla nascita di ogni individuo per la modificazione di una parte dellEs; c) Super-io: la forza psichica basata sui valori e le norme morali, che si forma soprattutto a partire dalla seconda infanzia. LEs, dunque, per Freud la forza determinante della psiche. Freud lo connota come libdo, cio al contempo come: " lenergia vitale originaria: per cos dire, il propellente dellagire umano; " un desiderio essenzialmente sessuale, ovvero che mira a un soddisfacimento tramite il piacere corporeo; " una tensione o carica psichica, il cui accumulo implica sofferenza e che pertanto cerca necessariamente di scaricarsi. 253

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Come tale, lEs un ribollire di pulsioni, cio di desideri irrefrenabili, del tutto alieno a regole e quindi privo di qualsiasi ordine razionale. LEs dunque non rispetta alcun limite e non sa cosa sia la contraddizione, vuole tutto e il contrario di tutto. E subito. Infatti, afferma Freud, lEs non conosce lo scorrere del tempo, dunque fissato a una sorta di eterno presente, cio alla perenne sussistenza e sollecitazione dei propri impulsi. In questo senso, lEs inconscio per costituzione, in quanto parla un linguaggio incompatibile con quello razionale dellIo e pertanto lIo non in grado di pensarlo. Come mai allora esiste un Io? Quale la sua funzione? LIo, afferma Freud, il prodotto della modificazione di una parte dellEs, cio di una quota di energia libidica. Esso si forma per permettere allEs di adattarsi alla realt naturale, ovvero per consentire allindividuo di soddisfare le proprie pulsioni senza subire danni psico-fisici da parte delle forze naturali, di animali o anche di altri uomini, e innanzitutto evitando la morte. P.e., evitando di annegare in un fiume, piuttosto che di patire la fame (infatti, se si soddisfacesse solo il desiderio sessuale non si avrebbe modo di procurarsi il cibo), o ancora di essere assalito da belve piuttosto che malmenato da altri uomini. Per svolgere questa funzione, lIo deve possedere la capacit di conoscere la realt esterna, ma anche la propria realt interiore. Per questo deve essere cosciente. Grazie alla coscienza, lIo pu guidare lEs a soddisfare i propri desideri in modo non nocivo, cio nella massima sicurezza possibile, e, a tal fine, possiede anche la capacit di incanalare e perfino di frenare lEs, cio di indurlo, se necessario, a rimandare il soddisfacimento di una pulsione. LIo rimane, tuttavia, subordinato allEs, in quanto ne uno strumento, e quindi spesso prevaricato dallEs, e quindi messo in pericolo, e comunque costretto prima o poi ad assecondarlo. In questo senso, Freud paragona il rapporto Es-Io a quello di un cavallo e del suo cavaliere, precisando per che spesso il cavallo a decidere dove andare. A sua volta il Super-io si sviluppa dalla modificazione di una parte dellEs - e dunque si nutre anchesso di una quota di energia libidica - ma in relazione alla comunit umana, innanzitutto alla famiglia. In altri termini, lEs costretto a produrre il Super-io per adattarsi alle regole (norme morali, usi e costumi, pregiudizi della tradizione) della convivenza sociale. Pertanto mentre lIo nasce con luomo naturale, il Super-io nasce con la civilt umana, un prodotto della civilizzazione. In questo senso, ladattamento del Superio consiste nellinteriorizzare le regole di comportamento sociale e nellabituarsi a rispettarle. Tali regole consistono fondamentalmente in proibizioni, le pi antiche e principali delle quali fondative dunque della civilt - sono, sostiene Freud, il divieto di uccidere il proprio padre e il divieto dellincesto. In questo senso, il Super-io un insieme di norme morali ma anche una sorta di guardiano interno pronto a punire ogni trasgressione con il senso di colpa, cio scaricando aggressivit contro lIo. Dunque con la formazione del Super-io, ai limiti posti dallambiente naturale si aggiungono quelli ancora pi pesanti imposti dallambiente sociale. Ne segue che il compito di guida dellIo si fa pi problematico, perch non si tratta pi per lIo di trovare una mediazione solo tra due bens tra tre contendenti: Es, realt naturale, comunit umana. In questo senso Freud paragona lIo a un servo costretto a obbedire contemporaneamente a tre padroni, anzi a tre tiranni, con la conseguenza di fallire spesso e di provare unangoscia pressoch costante.

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TAPPA 2 FREUD: LEVOLUZIONE DELLA SESSUALITA UMANA E innanzitutto un errore insostenibile negare al bambino una vita sessuale e supporre che la sessualit inizi soltanto al tempo della pubert, con la maturazione dei genitali. Al contrario, il bambino ha fin dallinizio una ricca vita sessuale, che si differenzia in molti punti da quella ritenuta in seguito normale. Ci che noi chiamiamo perverso nella vita degli adulti si scosta dalla normalit nei seguenti punti: primo, per lincuranza della barriera delle specie (dellabisso tra uomo e animale); secondo, per lo scavalcamento della barriera del disgusto; terzo, di quella dellincesto (del divieto di ricercare soddisfacimento sessuale con stretti consanguinei); quarto, di quello delluguaglianza di sesso; e, quinto, per il trasferimento del ruolo dei genitali ad altri organi e parti del corpo. Tutte queste barriere non esistono fin dallinizio, ma vengono erette solo a poco a poco nel corso dello sviluppo e delleducazione. Il bambino piccolo ne libero. Egli non conosce ancora il grande abisso tra uomo e bestia; lorgoglio con cui luomo si separa dallanimale cresce in lui solo pi tardi. Inizialmente non prova alcun disgusto di fronte agli escrementi, ma lo apprende lentamente, sotto linflusso delleducazione; rivolge le sue prime brame sessuali e la sua curiosit sulle persone a lui pi vicine e, per altri motivi, pi care: sui genitori, sui fratelli, su chi ha cura di lui: e infine si evidenzia in lui [...] il fatto che egli non si aspetta piacere solo dalle parti sessuali, ma che molte altre parti del corpo reclamano per s la medesima sensibilit, permettono analoghe sensazioni di piacere e possono quindi svolgere il ruolo di genitali. Il bambino pu quindi venir definito perverso polimorfo e, se esercita tutti questi impulsi solo in forma rudimentale, ci dipende, da una parte, dalla loro minor intensit rispetto a periodi successivi della vita. E dallaltra, dal fatto che leducazione reprime subito energicamente tutte le manifestazioni sessuali del bambino. [...] Cos il primo oggetto della componente orale della pulsione sessuale il seno materno, il quale soddisfa il bisogno di nutrizione del lattante. La componente erotica, che viene contemporaneamente soddisfatta durante il poppare al seno, si rende poi indipendente come atto del succhiare, abbandona loggetto estraneo e lo sostituisce con una zona del proprio corpo. La pulsione orale diventa autoerotica, come lo sono sin dallinizio le pulsioni anali e le altre pulsioni erogene. [...]. [...] gi a partire dal terzo anno, non ci son pi dubbi per quanto riguarda la vita sessuale del bambino: a questepoca i genitali cominciano gi a destarsi; ne risulta regolarmente, forse, un periodo di masturbazione infantile, quindi di soddisfacimento genitale. [...] Allincirca dal sesto fino allottavo anno si pu notare un arresto e una regressione dello sviluppo sessuale che, nei casi pi favorevoli al bambino dal punto di vista culturale, merita il nome di periodo di latenza. [...] Sarete ora impazienti di sapere che cosa contenga questo terribile complesso edipico. Il nome ve lo dice. Voi tutti conoscete la leggenda greca del re Edipo, che destinato dal fato a uccidere suo padre e a prendere in sposa sua madre, che fa di tutto per sfuggire alla sentenza delloracolo e che poi si punisce accecandosi, dopo aver appreso che ha nondimeno commesso, inconsapevolmente, entrambi questi delitti. [...]

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Che cosa si pu dunque scoprire del complesso edipico mediante losservazione diretta del bambino, allepoca della scelta oggettuale precedente il periodo di latenza? Ebbene, si vede facilmente che il maschietto vuole avere la madre soltanto per s, avverte come incomoda la presenza del padre, si adira se questi si permette segni di tenerezza verso la madre e manifesta la sua contentezza quando il padre parte per un viaggio o assente. Spesso d diretta espressione verbale ai suoi sentimenti, promette alla madre che la sposer. Freud, Introduzione alla psicanalisi, lezioni 13 e 21, ed. cit. Corollario fondamentale ed eclatante della teoria dellEs di Freud la tesi secondo cui anche i bambini hanno una vita sessuale. Secondo Freud, se gli adulti non si accorgono della sessualit infantile solo perch identificano la sessualit con la sessualit genitale, cio con la forma di sessualit, propria dellet adulta, fisiologicamente legata alla funzione riproduttiva. Ma la sessualit, per Freud, si evolve dalla nascita fino allet adulta, dunque si manifesta nellinfanzia in altre forme e solo al termine delladolescenza assume la forma genitale. In questo senso, Freud elabora una periodizzazione dello sviluppo sessuale umano: a) fase orale (1 anno); b) fase anale (2 anno); c) fase fallica (3-4 anno); d) fase di latenza (dal 5 anno alladolescenza); e) fase genitale (al termine delladolescenza). La sessualit orale la prima forma di sessualit ed strettamente connessa alla suzione del latte materno. Quando il neonato si alimenta al seno della madre, afferma Freud, prova uno specifico piacere di natura sessuale per il contatto tra le sue labbra e il capezzolo materno. Questo lo porta poi a provare piacere nel succhiare anche parti del proprio corpo, p.e. il dito, oppure degli oggetti, p.e. il ciucciotto. La successiva sessualit anale invece basata sul piacere che il bambino prova nellurinare e soprattutto nel defecare, anche in connessione alla progressiva acquisizione della capacit di controllare i propri sfinteri e quindi di opporsi o cedere al bisogno di espellere le proprie feci. Nella fase fallica, invece, il bambino scopre i propri organi sessuali, naturalmente ancora non sviluppati, e cerca il piacere derivante dalla loro stimolazione. Complessivamente, dunque, la sessualit del bambino autoerotica. Per verso il 5 anno lo sviluppo della fase fallica arriva alle soglie di quella genitale: il bambino non cerca pi soddisfazione erotica solo in se stesso ma anche e soprattutto negli altri, in particolare nei propri genitori: seppur confusamente, il desiderio sessuale del bambino si orienta verso la madre, quello della bambina verso il padre. Ma nella societ umana vige il divieto dellincesto, che secondo Freud , insieme al divieto di uccidere il padre, la regola fondativa della morale e quindi della civilt. Gli adulti hanno introiettato questo divieto e quindi, almeno normalmente, non assecondano e anzi contrastano i desideri incestuosi infantili e gli atti finalizzati a soddisfarli. Il bambino e la bambina, di conseguenza, provano gelosia e sviluppano sentimenti aggressivi rispettivamente verso il padre e verso la madre, vissuti come concorrenti e quindi come ostacoli al soddisfacimento dei propri desideri. Ma ovviamente i bambini sono e si sentono pi deboli degli adulti. Pertanto nello stesso momento in cui provano aggressivit nei confronti dei genitori del proprio sesso temono anche di essere puniti da loro. Secondo Freud, il timore della punzione si palesa al bambino come paura della castrazione e nella bambina come invidia del pene. Il bambino, infatti, osservando la differenza tra il proprio organo genitale e quello femminile immagina che la bambina sia 256

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un maschio evirato e quindi teme che anche lui possa subire lo stesso destino. La bambina, invece, immagina di aver gi subito la punizione dellevirazione e di conseguenza prova l invidia del pene, associata a un senso di inferiorit nei confronti dei maschi. Poich la paura della punzione prevale sul desiderio di unirsi col genitore del sesso opposto, la bambina e il bambino rinunciano al proprio desiderio, reprimono la propria aggressivit e anzi si immedesimano col genitore del proprio sesso, introiettando e facendo cos propri il loro ruolo sessuale femminile o maschile e al contempo le loro norme di comportamento sociale. In questo modo nei bambini si forma gradualmente il Super-io, costituito da una porzione di energia dellEs usata per limitare il soddisfacimento dei desideri dellEs. Naturalmente per imbrigliare lEs, il Super-io esercita una pressione sullIo e nel caso di trasgressione lo punisce con la colpevolizzazione, ossia scaricando contro di lui aggressivit. Freud sostiene che lIo in grado di mediare il conflitto, altrimenti inconciliabile, tra Es e Super-io grazie alla capacit di deviare una parte della libdo dal suo oggetto, il soddisfacimento del desiderio sessuale, per investirla e consumarla in altri oggetti, cio nelle attivit civili, per esempio nello studio o nel lavoro, ma anche nello sport, nei giochi, nella lettura, nellespressione artistica. Freud denomina questa deviazione della libdo sublimazione, utilizzando un termine che, non a caso, in chimica indica il passaggio immediato della materia dallo stato solido a quello gassoso e che Nietzsche aveva adoperato per indicare la trasformazione/mascheramento dei valori corporali egoistici in valori ideali altruistici. In questa prospettiva, tutta la civilt umana per Freud si fonda sulla sublimazione di massicce quote di libdo. Freud denomina complesso di Edipo, in riferimento ai maschi, e complesso di Elettra, in riferimento alle femmine, linsieme del processo psichico che si svolge nellet della latenza, cio linsieme delle relazioni affettive e dei vissuti emotivi che lo caratterizzano. Edipo ed Elettra, infatti, sono i due protagonisti di antichi miti greci, ripresi e attualizzati nelle tragedie greche del V secolo. Edipo, inconsapevolmente, uccide il padre Laio e sposa sua madre Giocasta; Elettra, consapevolmente, odia la madre Clitemnestra e fomenta il fratello Oreste perch la uccida per vendicare loro padre, Agamennone. I miti di Edipo e Elettra sono per Freud una delle prove della fondatezza e delluniversalit del processo psichico che egli battezz, anche per questo, con i nomi dei loro protagonisti. Ma non questa n la sola n la principale prova empirica che Freud adduce a favore della sua teoria. Laltra pi importante, anzi, le molte altre pi importanti sono quelle che emergono progressivamente dallesperienza terapeutica di Freud, cio da molti casi di pazienti analizzati, in particolare di pazienti donne. La loro psicanalisi fa affiorare, secondo Freud, fantasie di rapporto sessuale con i rispettivi padri. Il complesso di Edipo/Elettra per Freud svolge un ruolo cruciale nello sviluppo psichico dellindividuo. Infatti, se esso si dipana in modo equilibrato conduce il bambino a diventare un adulto psichicamente sano: sulla base dellidentificazione col genitore del proprio sesso, durante la crescita adolescenziale, egli sviluppa simultaneamente i propri organi sessuali, il proprio ruolo sessuale e il proprio Super-io, raggiungendo al termine lo stadio genitale della sessualit e la possibilit di soddisfare la propria libdo con un coetaneo al di fuori della propria famiglia in un sano rapporto di coppia. Ma il complesso di Edipo/Elettra pu anche rimanere irrisolto, ovvero pu essere vissuto in modo squilibrato, e in questo caso ladulto caratterizzato da malattie psichiche. Schematicamente, p.e., se lEs subisce una repressione pesante, e si sviluppa quindi un Super-io molto esigente e schiacciante, lindividuo adulto soffre di nevrosi; se, invece, la limitazione dellEs insufficiente, il Super-io troppo debole, e lindividuo adulto portato alle perversioni, cio a assumere comportamenti sessuali contrari alle norme morali comuni. Inoltre possibile che ladulto rimanga libidicamente fissato, perlopi in modo parziale, nei casi pi gravi anche in modo totale, al suo desiderio infantile per il genitore 257

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del sesso opposto e non riesca cos a stabilire una relazione di coppia soddisfacente e stabile con un altro individuo.

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TAPPA 3 FREUD: LA TERAPIA PSICANALITICA In un articolo destinato al vasto pubblico (Neue Freie Press, 29 agosto 1900) sulla Formazione dei lapsus, Meringer mette in risalto il significato pratico che talvolta si ritrova nelle sostituzioni di parole, soprattutto quando una parola viene sostituita con unaltra di senso opposto. Certamente ci si ricorder ancora del modo in cui il presidente della Camera dei Deputati austriaco ha aperto una volta una seduta: Signori, disse, constato la presenza di tanti deputati e pertanto dichiaro la seduta chiusa. Lilarit generale provocata da questa dichiarazione lo avvert immediatamente del suo errore ed egli si corresse. Il caso pu essere spiegato plausibilmente in questo modo: dentro di s, il presidente si augurava di arrivare presto a chiudere questa seduta, dalla quale non si aspettava niente di buono; e questo desiderio, come spesso succede, riusc parzialmente ad esprimersi; e cos disse chiusa anzich aperta, cio esattamente il contrario di quanto era nelle sue intenzioni. Varie volte ho constatato che questa sostituzione di un nome da parte del suo contrario un fenomeno molto frequente. Strettamente associati nella nostra coscienza verbale, situati in regioni molto vicine, i termini opposti si richiamano reciprocamente con grande facilit. [] 7) Sto analizzando unaltra paziente. A un certo punto sono costretto a dirle che certi dati emersi dallanalisi mi fanno pensare che, nel ricordo di cui ci stiamo occupando, essa doveva vergognarsi della sua famiglia e rimproverare a suo padre qualcosa che non avevamo ancora chiarito. Essa dice che non se ne ricorda proprio, e ritiene infondati i miei sospetti. Ma proprie lei inserisce nella conversazione considerazioni sulla sua famiglia: Devo essere giusta con loro; sono persone come se ne vedono poche, sono pieni di avarizia [Geiz] volevo dire: sono pieni di spirito [Geist]. Ed ecco scoperto il rimprovero che essa aveva rimosso dalla memoria. E capita spesso che lidea espressa nel lapsus sia proprio quella che si voleva rimuovere [.]. Freud, Psicopatologia della vita quotidiana, trad. C. Galassi, Newton Compton, pp. 72-73 e 77. E facile dimostrare che spesso i sogni si rivelano, senza alcuna maschera, come adempimenti di desideri; cosicch ci si pu meravigliare che il linguaggio dei sogni non sia stato gi compreso da lungo tempo. Per esempio, c un sogno che io posso produrre in me quando voglio, per modo di dire sperimentalmente. Se la sera mangio sardine, olive o qualsiasi altro cibo molto salato, durante la notte mi viene sete e mi sveglio. Ma il mio risveglio preceduto da un sogno che ha sempre lo stesso contenuto, cio che sto bevendo. [] La sete d vita al desiderio di bere ed il sogno mi mostra quel desiderio soddisfatto; nel fare ci sta eseguendo una funzione, che facile indovinare: io ho un buon sonno e non sono solito farmi svegliare da qualsiasi bisogno fisico. Io posso calmare la mia sete sognando che sto bevendo, allora non ho bisogno di svegliarmi per soddisfarla. [] Ladempimento di un desiderio si pu dedurre altrettanto facilmente da qualche altro sogno che ho raccolto tra persone normali. Un mio amico, che conosce la mia teoria dei sogni e ne ha parlato a sua moglie, mi disse un 259

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giorno: Mia moglie mi ha pregato di dirti che ieri ha sognato di avere le mestruazioni. Tu puoi capire che cosa significa. Naturalmente lo comprendevo. Il fatto che questa giovane sposa avesse sognato le mestruazioni significava che non le aveva avute. Potevo ben ritenere che sarebbe stata felice di continuare a godere la sua libert per un altro po di tempo, prima di affrontare le fatiche della maternit. [] Sembra in effetti impossibile che i sogni di angoscia ammettano la generalizzazione dei sogni come adempimenti dei desideri; anzi fanno quasi diventare unassurdit questa affermazione. Tuttavia non difficile affrontare queste obiezioni apparentemente definitive. Basta tenere presente che la mia teoria non si basa sulla valutazione del contenuto evidente del sogno, ma si riferisce ai pensieri che si manifestano attraverso il lavoro di interpretazione, come celati dietro il sogno. E fuor di dubbio che ci siano sogni il cui contenuto manifesto estremamente penoso. [] Il fatto che il fenomeno della censura e quello della deformazione del sogno coincidano nei minimi particolari giustifica la supposizione che entrambi abbiano un analogo fattore determinante. Possiamo quindi presumere che, nel singolo individuo, i sogni ricevano una forma dallazione di due forze psichiche [], una delle quali costruisce il desiderio espresso nel sogno, mentre laltra esercita una censura su questo desiderio del sogno e produce di conseguenza una deformazione della sua espressione. [] Un sogno pi cupo mi stato raccontato da una paziente, sempre come obiezione alla mia teoria dei sogni come desiderio. La paziente, che era una ragazza, cominci cos: Come ricorder, mia sorella ha ora solo un figlio, Karl; ha perduto il pi grande, Otto, mentre io vivevo ancora con lei. Otto era il mio preferito; si pu dire che lho allevato io. Sono naturalmente affezionata anche al pi piccolo, ma non quanto lo ero a quello che morto. Questa notte dunque ho sognato che vedevo Karl morto davanti a me. Giaceva nella sua piccola bara con la mani incrociate e intorno a lui cerano tante candele, proprio come il piccolo Otto, la cui morte era stata per me un tale colpo. Ora mi dica lei, che cosa pu significare? [] La ragazza era rimasta orfana da piccola ed era stata allevata in casa di una sorella molto pi grande. Tra gli amici che frequentavano la casa cera stato un uomo che aveva fatto unimpressione durevole sul suo cuore. Per un certo tempo era sembrato che i suoi rapporti, poco notati, con lui si sarebbero conclusi con un matrimonio; ma questo felice esito era stato impedito dalla sorella, i cui motivi non erano mai stati completamente spiegati. Dopo la rottura, luomo cess di frequentare la casa; e poco dopo la morte del piccolo Otto, al quale intanto aveva rivolto il suo affetto, anche la mia paziente si stabil in una casa da sola. Non riusc comunque a liberarsi dellattaccamento per lamico della sorella. Il suo orgoglio la induceva ad evitarlo; non riusciva per a trasferire il suo amore su alcuno degli ammiratori che si erano intanto presentati. Quando veniva annunciato che loggetto del suo amore, un letterato, avrebbe dato una conferenza in qualche posto, ella si trovava invariabilmente tra gli uditori; e approfittava di ogni occasione per vederlo da lontano, in terreno neutrale. Ricordai che mi aveva detto il giorno prima che il professore sarebbe andato ad un particolare concerto e che anche lei aveva intenzione di andarci e di godere della sua vista ancora una volta. Questo era 260

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accaduto il giorno precedente il sogno ed il concerto avrebbe avuto luogo il giorno in cui mi raccont il sogno. Fu quindi semplice per me costruire la corretta interpretazione e le chiesi se poteva ricordare qualcosa avvenuta dopo la morte del piccolo Otto. Mi rispose subito: Naturalmente; il professore venne a trovarci di nuovo dopo una lunga assenza e lo vidi ancora una volta vicino alla bara del piccolo Otto. Questo era proprio quanto mi aspettavo e interpretai il sogno in questo modo: Se morisse laltro ragazzo, accadrebbe la stessa cosa. Lei passerebbe la giornata dalla sorella e verrebbe certamente il professore per fare le sue condoglianze, cos lei potrebbe vederlo di nuovo nelle stesse condizioni dellaltra volta. Il sogno non significa altro che il suo desiderio di vederlo di nuovo, desiderio che lei combatte internamente. Io so che lei ha un biglietto per il concerto di oggi. Il suo sogno era un sogno di impazienza: anticipava il fatto che lei lo vedr oggi, tra poche ore. Freud, Linterpretazione dei sogni, trad. di A. Ravazzolo, Newton Compton, pp. 135, 137, 144, 150-151, 157-158 La teoria psicanalitica di Freud finalizzata alla terapia delle malattie psichiche, in particolare delle nevrosi, ossia dei disturbi psico-comportamentali che non implicano una deformazione della percezione della realt (p.e. stati allucinatori) come avviene invece nelle psicosi (p.e. le diverse forme di schizofrenia o di paranoia), oggetto di terapia psichiatrica. Esempi immediati e leggeri di nevrosi sono i tic, ovvero movimenti ricorrenti e incontrollati del corpo, o le fobie, cio le paure/repulsioni eccessive verso qualcosa, p.e. nei confronti dei cani. Altri esempi, pi gravi, di nevrosi sono p.e. la gelosia ossessiva o gli attacchi di panico. In linea generale per Freud le nevrosi sono caratterizzate dalla coazione a ripetere: il nevrotico costretto, inconsapevolmente, a ripetere lo stesso comportamento nonostante si sia rivelato e continui a rivelarsi insoddisfacente e fallimentare e quindi fonte di sofferenza. Secondo Freud, le nevrosi si generano soprattutto nella situazione psicorelazionale da lui chiamata complesso di Edipo/Elettra. In tale situazione alcuni atti o discorsi o accadimenti possono costituire per il bambino o la bambina dei traumi psichici, cio danni o ferite che non colpiscono il corpo ma la psiche. P.e., pu essere un trauma tanto vedere un cane bere nel proprio bicchiere, quanto sentir dire da un genitore che preferisce il proprio fratello o sorella, oppure osservare o udire o anche solo immaginare i propri genitori mentre hanno rapporti sessuali, piuttosto che subire delle vere e proprie molestie sessuali da un parente o da un adulto. Non il fatto di per s a essere traumatico. Lo diventa se in relazione ad esso il bambino o la bambina provano una pulsione emotiva desiderio, disgusto, rabbia che vivono come una vergogna e non sono quindi in grado di accettare e di esprimere per paura di essere puniti fino alla perdita dellamore dei genitori. Il trauma psichico dunque consiste nella repressione di un impulso, pi precisamente nella sua rimozione. Con questo termine, Freud designa lo spostamento di unesperienza costituita da fatti ma soprattutto dalle emozioni con cui certi fatti sono stati vissuti dallarea della coscienza a quella dellinconscio. In tal senso, la rimozione una reazione difensiva e protettiva dellIo incapace di controllare e sciogliere il conflitto tra lEs, fonte delle pulsioni, e il Super-io, che vieta lespressione delle pulsioni. In altre parole, lIo dimentica lesperienza vissuta in modo da evitare un conflitto lacerante. Ma la rimozione ha comunque un prezzo: la pulsione rimossa costituisce un grumo di energia libidica che non pu scaricarsi ma che nemmeno pu essere distrutto, annullato. Esso rimane come imprigionato nellinconscio e la sua ritenzione rende necessaria una compensazione, una sorta di soddisfacimento sostitutivo, che per si configura come un atto psichico menomato, in quanto la psiche come mutilata. Tale compensazione appunto il 261

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comportamento nevrotico, p.e. un tic o una fobia o una gelosia ossessiva, o, in casi pi gravi, p.e. la frigidit o limpotenza sessuali. In base a questa teoria diagnostica delle nevrosi, Freud sostiene che la terapia psicanalitica deve consistere essenzialmente nel riportare alla coscienza le esperienza vissute rimosse, ovvero nel conseguire l abreazione. E decisivo aver chiaro che labreazione non riducibile alla consapevolezza intellettiva astratta. Essa consiste soprattutto del riportare a galla gli impulsi rimossi, cio nellacquisizione di una consapevolezza emotiva. In altre parole, si tratta di rivivere la situazione traumatica rimossa, in maniera tale che gli impulsi libidici repressi possano essere questa volta manifestati e accettati, affrontando e superando cos il conflitto che ne aveva provocato la rimozione. In questo modo la ferita psichica si rimargina e di conseguenza il comportamento nevrotico scompare. Ma come possibile indagare ci che per costituzione inconscio? Freud individua tre modalit fondamentali che corrispondono alle tecniche terapeutiche della psicanalisi: 1) le libere associazioni; 2) linterpretazione degli atti mancati; 3) linterpretazione dei sogni. La tecnica delle libere associazioni consiste nel sollecitare il paziente a collegare parole/immagini nel modo pi immediato e quindi spontaneo possibile. P.e., se il paziente parla di una sciarpa rossa questa immagine pu essere collegata con la muleta del torero, quindi con la corrida, quindi con un combattimento cruento o una morte violenta. Attraverso la catena associativa il paziente pu arrivare a esprimere uno o pi elementi di un vissuto inconscio frutto di una rimozione. Gli atti mancati sono parole, frasi, comportamenti non intenzionali, omissioni verbali o comportamentali, che possiamo cio pronunciare o (non) compiere, in modo indipendente o addirittura contrario alla nostra volont: p.e., i cosiddetti lapsus linguae (dire: porco anzich parco, o Marco al posto di Giorgio), oppure gli atti maldestri (rompere un bicchiere o mettere un libro nel frigorifero oppure un panetto di burro in libreria), dimenticanze (saltare un appuntamento, non riuscire a ricordare un nome o una parola), smarrimenti di oggetti, o ancora le gaffe (raccontare una barzelletta sullavarizia dei genovesi a un genovese). Gli atti mancati sono considerati da Freud manifestazioni dellEs, ovvero dellinconscio, e, adeguatamente interpretati, possono anchessi portare alla comprensione di un contenuto rimosso. I sogni, secondo Freud, sono manifestazioni dei nostri desideri, ovvero delle pulsioni inconsce dellEs. Infatti durante il sonno, la vigilanza e quindi la censura dellIo risultano indeboliti e ci consente allEs inconscio di parlare pi ampiamente e pi liberamente. Ma il linguaggio dellEs non quello dellIo. LEs infatti parla per immagini, per cos dire in modo teatrale o cinematografico, le sue raffigurazioni e azioni sceniche hanno una valenza emotiva e simbolica, le sue trame narrative non sono logiche, cio non rispettano la spaziotemporalit e il nesso di causa/effetto, bens analogiche, cio connesse per somiglianza anche solo di un dettaglio, ovvero basate sulle associazioni tipiche delle figure retoriche, quali la sineddoche, la metonimia, ecc. In particolare, spesso il linguaggio onirico dellEs utilizza la condensazione, ovvero concentra in un oggetto-simbolo pi significati/riferimenti, p.e. un anziano pu rappresentare il nonno, ma al tempo stesso anche il padre e il fratello maggiore, e lo spostamento, ovvero un oggetto-simbolo ne rappresenta un altro diverso, p.e. una zia rappresenta in realt la madre. Per interpretare correttamente i sogni, al fine di comprendere i desideri/impulsi che comunicano, secondo Freud, occorre dunque distinguere il loro contenuto manifesto e il loro contenuto latente. Compito dello psicanalista quello di decifrare il contenuto manifesto per estrarne il contenuto latente, cio il messaggio mascherato che consiste in un certo desiderio/impulso inconscio. Per comprendere la problematicit di tale opera di decifrazione, necessario considerare anche unulteriore difficolt: lIo, seppur in modo 262

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attenuato, continua a svolgere il suo controllo e quindi a opporsi a manifestazioni troppo esplicite dellEs. Di conseguenza molti sogni non si ricordano o si ricordano in modo parziale e frammentario, oppure sono addirittura interrotti da un risveglio improvviso, come nel caso degli incubi. Proprio gli incubi, daltra parte, sembrerebbero smentire la tesi freudiana secondo cui tutti i sogni esprimono desideri. Essi infatti manifestano paura, terrore, panico. In realt, afferma Freud, la paura che proviamo durante un incubo la reazione dellIo allemergere di un desiderio inconscio che lIo non in grado di sopportare. La paura, in questo senso, un campanello dallarme finalizzato a provocare il risveglio in modo da bloccare la manifestazione dellEs. Dunque, al contrario di quanto si pu comunemente credere, lincubo manifestazione dei desideri pi profondi e dei contenuti pi rimossi. Per comprendere appieno, per, il processo terapeutico psicanalitico, spesso chiamato semplicemente analisi, occorre tener presente che le tre tecniche della libera associazione, dellinterpretazione degli atti mancati e dellinterpretazione dei sogni sono usate in modo correlato e intrecciato tra loro; che lanalisi necessita di tempo e di gradualit, ovvero che lindagine procede in base a correzioni e perfezionamenti successivi; che lanalista deve costantemente misurarsi con quella che Freud chiama resistenza, cio con la tendenza dellIo del paziente ad opporsi al disvelamento delle esperienze rimosse, e quindi a negare o a depistare le interpretazioni analitiche. Proprio allo scopo di ridurre questa resistenza, lanalista deve favorire il rilassamento del paziente questa la funzione del lettino sul quale Freud fa stendere i suoi pazienti e soprattutto indurre il transfert, cio fare in modo che il paziente stabilisca con lui un rapporto di affetto e fiducia, simile a quello vissuto con i propri genitori, ovvero che trasferisca nellanalista il proprio padre e la propria madre. In altre parole, solo se lanalista sentito come un secondo padre o una seconda madre, il paziente pu confidarsi e accettare quei desideri/impulsi che i propri genitori naturali gli avevano impedito, con la loro educazione, di accettare, ingenerando in lui la nevrosi. Ma questo comporta anche che il paziente proietti sullanalista i sentimenti aggressivi o comunque negativi covati nei confronti dei propri genitori, ovvero che li esprima e li riviva credendo, almeno inizialmente, di provarli per il proprio analista.

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TAPPA 4 FREUD: PULSIONE DI VITA E PULSIONE DI MORTE La nostra concezione stata dualistica fin dallinizio, e oggi da che i termini opposti non sono pi chiamati pulsioni dellIo e pulsioni sessuali, ma pulsioni di vita e pulsioni di morte lo pi decisamente che mai. [] Abbiamo preso le mosse dalla grande contrapposizione fra le pulsioni di vita e le pulsioni di morte. Lo stesso amore doggetto ci mostra una seconda polarit di questo tipo, quella fra amore (tenerezza) e odio (aggressivit). Magari riuscissimo a mettere in rapporto fra loro queste due coppie polari, a far risalire luna allaltra! Abbiamo sempre riconosciuto la presenza di una componente sadica nella pulsione sessuale; come sappiamo essa pu rendersi autonoma e sotto forma di perversione, dominare lintera attivit sessuale di un individuo. Essa compare anche, come pulsione parziale dominante, in una di quelle che ho chiamato organizzazioni pregenitali. Ma come possibile derivare la pulsione sadica, che mira a danneggiare loggetto, dallEros che preserva la vita? Non pare naturale supporre che questo sadismo sia in realt una pulsione di morte che sotto linfluenza della libido narcisistica [cio rivolta verso lIo, ndr] stata costretta ad allontanarsi dallIo, per cui pu manifestarsi soltanto in relazione alloggetto? Il sadismo entra al servizio della funzione sessuale nel modo seguente: nella fase orale di organizzazione della libido limpossessamento erotico coincide ancora con lannientamento delloggetto, pi tardi la pulsione sadica si separa, e, infine, nella fase del primato genitale, si subordina alla meta della riproduzione assumendosi la funzione di sopraffare loggetto sessuale nella misura in cui lo richiede lesecuzione dellatto sessuale. Si potrebbe dire che il sadismo espulso dallIo ha indicato la strada alle componenti libidiche della pulsione sessuale, e che pi tardi queste ultime si accalcano nelloggetto. Quando il sadismo originario non si attenua n si mescola con altre pulsioni, si determina, nella vita amorosa, la nota ambivalenza amoreodio. [] Osservazioni cliniche ci avevano costretti, in passato, a ritenere che il masochismo, e cio la pulsione parziale complementare al sadismo, debba essere inteso come un sadismo che tornato a rivolgersi contro lIo del soggetto. Ma una pulsione che abbandona loggetto per indirizzarsi sullIo non affatto diversa, in linea di principio, da una pulsione che compie il movimento inverso dallIo alloggetto tema di cui ci stiamo attualmente occupando. Il masochismo, e cio il volgersi della pulsione contro lIo del soggetto, sarebbe dunque in realt un ritorno a una fase precedente della storia della pulsione stessa, sarebbe una regressione. Linterpretazione del masochismo che avevo dato in passato dovrebbe essere rettificata in un punto, perch troppo perentoria: il masochismo potrebbe anche avere carattere primario, possibilit che avevo allora escluso. [] Laver riconosciuto che la tendenza dominante della vita psichica, e forse della vita nervosa in genere, lo sforzo che trova espressione nel principio di piacere, inteso a ridurre, a mantenere costante, a eliminare la tensione interna provocata dagli stimoli (il principio del Nirvana, per usare unespressione di Barbara Low), in effetti uno dei pi forti argomenti che ci inducono a credere nellesistenza delle pulsioni di morte. S. Freud, Al di l del principio del piacere, traduzione di A.M. Marietti e R. Colorni, Boringhieri Il proseguimento e lapprofondimento della ricerca psicanalitica, basati sullinterazione tra riflessione teorica e pratica terapeutica, spingono Freud a ipotizzare che la vita psichica si imperni su un dualismo ancora pi profondo e radicale di quello che oppone il principio del piacere e il principio di realt.

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Il principio del piacere espressione diretta dellEs, libdo, cio desiderio sessuale, allo stato puro e immediato. Il principio di realt sovrintende alla realizzazione effettiva del desiderio sessuale, il cui soddisfacimento, altrimenti, sarebbe puramente immaginario oppure potrebbe mettere in pericolo la sopravvivenza dellindividuo. In questo senso, il principio di realt coincide con lIo, ossia con listanza psichica dotata delle capacit di percezione, attenzione e ragionamento e soprattutto di limitazione, differimento, adattamento della libdo. Freud giunge a comprendere che lIo si costituisce in base a un processo che chiama narcisismo, rifacendosi anche in questo caso a un mito greco, quello del giovane Narciso che si innamora della propria immagine riflessa nellacqua, ovvero di se stesso. Il narcisismo consiste nel fatto che una quota della libdo viene distolta dal suo investimento sulloggetto esterno e investita invece sul soggetto stesso, ovvero sullIo, che cos si costituisce e tende a conservarsi. In questa prospettiva, da un lato il principio di realt tuttuno con la pulsione di conservazione, dallaltro, pur differenziandosi dal principio del piacere, ovvero dalla libdo sessuale rivolta allesterno, non altro che una sua trasformazione, cio appunto una libdo narcisistica, lamore dellIo per se stesso. In realt, secondo Freud, al di l del dualismo relativo Io/Es, principio di realt/principio del piacere, nella psiche si annida un dualismo assoluto, quello tra: " una pulsione di vita, ros, che alla base sia del narcisismo, cio della valorizzazione dellIo, sia della libdo sessuale che spinge lindividuo a stabilire con gli altri rapporti affettivi e costruttivi; " una pulsione di morte, Thnatos, che alla base dei comportamenti aggressivi e distruttivi di ogni individuo non solo contro gli altri (sadismo) ma anche contro se stesso (masochismo). Freud giunge a teorizzare lesistenza di una pulsione di morte a partire dalle sue osservazioni cliniche, in particolare dei fenomeni psichici del sadismo e della coazione a ripetere. Infatti, nella libdo sessuale rivolta alloggetto, cio a un altro individuo, sempre rinvenibile una componente sadica, cio aggressivo-distruttiva nei confronti dellaltro. Freud sostiene che in origine, nella fase orale della sessualit, la componente sadica addirittura prevalente, in quanto il bambino assimila il possesso erotico allannientamento delloggetto damore. Con levoluzione della sessualit fino alla fase genitale, il sadismo si attenua sino a esprimersi in quel grado minimo di aggressivit necessario allattuazione dellunione sessuale. Ma in ogni caso, bench subordinato e funzionale alla libdo, il sadismo rimane per Freud un impulso irriducibile a ros, alla pulsione di vita. A sua volta, la coazione a ripetere, tipica di molte nevrosi, quella sorta di automatismo che spinge il nevrotico a ripetere ossessivamente un comportamento fonte di sofferenza psichica, perfino quando diventato consapevole che la causa del suo malessere. Nella coazione a ripetere Freud rileva la presenza di una tendenza fondamentale allodio di se stessi, a scaricare aggressivit distruttiva non contro laltro ma contro il proprio Io, in altre parole al masochismo. Ancor pi del sadismo, il masochismo non pu essere ricondotto, secondo Freud, alla pulsione di vita, ma deve essere imputato a una pulsione del tutto opposta, la pulsione di morte. Addirittura, in questa prospettiva, Freud giunge ad ipotizzare che il masochismo sia la forma originaria di manifestazione della pulsione di morte, la quale solo in un secondo momento si esprime nel sadismo, spostando il suo investimento aggressivo dal soggetto interno alloggetto esterno. In altre parole, per Freud il masochismo degli adulti una modalit regressiva del sadismo, ovvero un ritorno indietro della pulsione di morte dalla sua forma pi evoluta alla sua forma primitiva. Ma com possibile che la psiche alberghi originariamente una pulsione di morte? Come pu convivere ros con Thnatos, sua negazione assoluta? Per risolvere questi problemi, Freud si basa su una teoria generale della realt naturale. Egli sostiene che lo stato originario, e quindi fondamentale della natura, la materia inorganica, meccanica, priva di 265

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vita. Di conseguenza, esiste per Freud una tendenza regressiva originaria in tutti gli esseri viventi, cio una tendenza a tornare alla condizione primaria di materia non vivente, ovvero appunto a morire. Tale tendenza confermata dal principio di costanza, caratteristico di tutti gli esseri viventi a partire dai primissimi organismi unicellulari, secondo il quale ogni animale tende a scaricare la tensione energetica che gli stimoli esterni gli suscitano in modo da raggiungere una condizione interna di rilassatezza. In altre parole, il soddisfacimento dei desideri ha come scopo ultimo lassenza di qualsiasi desiderio, ovvero la quiete totale propria della materia non vivente.

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TAPPA 5 FREUD: IL SUPER-IO DELLA CIVILTA Lanalogia tra il processo dincivilimento e il cammino dello sviluppo individuale si presta a essere significativamente estesa. Infatti, si pu sostenere che anche la comunit sviluppi un Super-io, sotto il cui influsso si compie levoluzione civile. [] Il Super-io di unepoca della civilt ha unorigine simile al Super-io dellindividuo; basato sullimpressione che hanno lasciato dietro di s grandi personalit di capi: uomini dotati di una forza spirituale capace di trascinare gli altri, o uomini in cui una delle tendenze umane abbia trovato lo svolgimento pi forte e pi puro e sovente perci anche pi unilaterale. [] Lo studio e la terapia delle nevrosi cinducono a muovere due rimproveri al Super-io individuale: esso si preoccupa troppo poco, nella severit dei suoi imperativi e divieti, della felicit dellIo, in quanto non tiene abbastanza conto delle resistenze contro lubbidienza: della forza pulsionale dellEs in primo luogo e, inoltre, delle difficolt del mondo circostante reale. Quindi siamo molto spesso obbligati, per i nostri intenti terapeutici, a combattere il Superio e ci sforziamo di ridurre le sue pretese. Obiezioni del tutto analoghe possiamo sollevare contro le esigenze etiche del Super-io della civilt. Anchesso non si preoccupa abbastanza degli elementi di fatto nella costituzione psichica degli esseri umani; emana un ordine e non si domanda se sia possibile eseguirlo. Presume, anzi, che lIo delluomo sia psicologicamente in grado di sottostare a qualsiasi richiesta, che lIo abbia un potere illimitato sul suo Es. Questo un errore, e anche negli uomini cosiddetti normali la padronanza dellEs non pu superare certi limiti. Esigendo di pi, si produce nellindividuo la rivolta o la nevrosi, o lo si rende infelice. [] Il problema fondamentale del destino della specie umana a me sembra sia questo: se, e fino a che punto, levoluzione civile riuscir a padroneggiare i turbamenti della vita collettiva provocati dalla pulsione aggressiva e autodistruttiva degli uomini. In questo aspetto proprio il tempo presente merita forse particolare interesse. Gli uomini adesso hanno esteso talmente il proprio potere sulle forze naturali, che giovandosi di esse sarebbe facile sterminarsi a vicenda, fino allultimo uomo. Lo sanno, donde buona parte della loro presente inquietudine, infelicit, apprensione. E ora c da aspettarsi che laltra delle due potenze celesti, lEros eterno far uno sforzo per affermarsi nella lotta con il suo avversario [Thnatos: la pulsione di morte, ndr] parimenti immortale. Ma chi pu prevedere se avr successo e quale sar lesito? S. Freud, Il disagio della civilt, trad. A.M. Marietti e R. Colorni, Boringhieri, 7-8 Freud ritiene che la teoria psicanalitica possa essere applicata non solo alla spiegazione della vita psichica individuale ma possa anche essere estesa alla spiegazione della vita sociale. Da questo punto di vista, innanzitutto Freud si impegna nella spiegazione psicanalitica della possibilit stessa della comunit umana, ovvero dellorigine della societ. Infatti, la costituzione psichica naturale dellindividuo include la tendenza di ogni uomo ad aggredire e distruggere gli altri, nata dalla necessit di deviare la pulsione di morte da s verso lesterno. Stando cos le cose, com possibile la convivenza pacifica tra gli uomini, ovvero 267

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la loro cooperazione civile? Freud risponde che possibile grazie alla formazione del Super-io individuale, ovvero dellinsieme di regole introiettate nel processo educativo che hanno la funzione di limitare non solo il soddisfacimento dei propri desideri ma anche la tendenza naturale alla violenza contro gli altri. Ma il Super-io pu svolgere la sua funzione limitativa solo in quanto ha la capacit di esercitare una pressione coercitiva sullIo, ovvero di punirlo se trasgredisce le regole e di minacciarlo di punizione per indurlo a rispettare le regole. Dunque il Super-io, sostiene Freud, deve possedere una forza psichica autonoma e contraria allIo. Da dove viene tale forza? Essa, afferma Freud, una quota della pulsione di morte non pi scaricata contro gli altri bens, come in origine, contro lIo. Lo strumento che il Super-io usa per punire o minacciare lIo, ossia per obbligarlo a rispettare le regole sociali, il senso di colpa che percepito da ogni individuo come angoscia morale, cio come un dolore interiore associato a una senzazione di schiacciamento o contrazione. Ma come possibile che lIo, dopo aver deviato verso lesterno la pulsione di morte, e quindi laggressivit, grazie alla pulsione di vita investita narcisisticamente su di s, torni a rivolgerla, pur solo parzialmente, contro di s? Cosa lo spinge, o lo costringe, ad attuare questo processo masochistico? La soluzione di Freud incardinata sulla natura debole, e quindi necessariamente dipendente dagli altri, dellessere umano. In altre parole, per risolvere il problema, Freud si schiera a favore della antica tesi della natura sociale delluomo: ogni individuo umano originariamente legato agli altri perch altrimenti, vivendo da solo, si priverebbe della protezione sia nei confronti degli elementi naturali sia nei confronti di altri individui pi forti e dunque metterebbe in pericolo la propria sopravvivenza. Stando cos le cose, ogni individuo spinto a limitare la propria aggressivit verso gli altri, e quindi a rivolgerne una parte contro di s, perch teme che, se non lo facesse, perderebbe la protezione degli altri. Insomma, il senso di colpa si costruisce sulla paura della perdita dellamore altrui e, di converso, il conseguimento dellamore degli altri per Freud il criterio fondamentale della morale, ci che stabilisce se unazione buona o malvagia. Avendo cos messo in luce la radice sociale del Super-io individuale, Freud introduce una nuova tesi, ancor pi radicale: esiste un Super-io della civilt, una sorta di Super-io collettivo, che, oltretutto, il motore dellevoluzione della civilt, cio del progresso storico, e dunque muta con le diverse epoche della storia. Il Super-io della civilt si forma in modo analogo a quello individuale: se il Super-io individuale si costituisce in base allinteriorizzazione delle figure parentali, in particolare del padre, il Super-io sociale si sviluppa a partire dellimpressione suscitata nella collettivit umana da alcune grandi personalit storiche dotate di unenorme forza spirituale di convincimento oppure di una certa capacit naturale posseduta in quantit straordinaria. In alcuni casi tali uomini carismatici sono derisi, insultati, maltrattati e perfino uccisi. Freud cita lesempio paradigmatico di Ges Cristo per sostenere che sono proprio gli uomini eccezionali misconosciuti e perseguitati coloro che pi hanno contribuito alla formazione e allo sviluppo del Super-io civile. Perch? Freud spiega lapparente paradosso, ipotizzando, sulla scorta di Darwin, che nellepoca primitiva la specie umana vivesse in orde, cio piccole comunit tribali, guidate da un unico maschio adulto che aveva il monopolio delle donne ed esercitava il dominio sugli altri maschi-figli. Crescendo, i figli maschi si sarebbero coalizzati per uccidere il padre-padrone e se ne sarebbero cibati per acquisirne la forza. Ma una calamit naturale o una sventura casuale avrebbe suscitato nei figli il senso di colpa per il delitto commesso e il bisogno di espiarlo attraverso la divinizzazione e il culto religioso del padre ucciso. Analogamente, nella storia successiva, uomini straordinari come Ges Cristo ma Freud avrebbe potuto citare anche Socrate o Giulio Cesare avrebbero riattivato e rafforzato il senso di colpa, ovvero il Super-io.

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Per, secondo Freud, c anche un altro aspetto per il quale il Super-io della civilt simile al Super-io individuale: anche il primo, come il secondo, impone agli uomini di seguire un comportamento ideale, anzi sempre pi ideale, e, in caso contrario, anchesso punisce attraverso langoscia. A differenza dellideale del Super-io individuale, quello del Super-io civile si configura come unetica, cio come un sistema ordinato, esaustivo e soprattutto universale di regole comportamentali. In questo senso il principio etico cristiano ama il prossimo tuo come te stesso, lesempio emblematico delletica e della sua idealit. Per Freud, infatti, da un lato rappresenta in linea di principio il massimo fondamento della convivenza civile, dallaltro per di fatto irrealizzabile, perch non tiene conto delleffettiva natura delluomo. Di conseguenza, Freud muove al Super-io civile una forte critica: esso pretende troppo dalluomo, perch non tiene conto delle sue inestirpabili pulsioni naturali. Ci non ha solo e tanto come conseguenza linfelicit individuale, quanto la nevrosi o addirittura la ribellione, cio lo scatenamento della violenza troppo e troppo a lungo repressa. In altri termini, lideale etico del Super-io della civilt rischia di produrre proprio leffetto distruttivo che vorrebbe evitare. Per questo Freud dichiara di non poter unirsi al coro degli intellettuali che esaltano la civilt umana e il suo inarrestabile progresso. Daltra parte, Freud aggiunge anche di comprendere le ragioni di chi sostiene che la civilt inevitabile, ovvero che improponibile un ritorno allo stato naturale originario. In tal senso, Freud ammette, non senza rammarico, di non essere un profeta, cio di non avere la capacit di indicare alluomo europeo contemporaneo una via duscita alla sua crisi di civilt. Di fatto, per, Freud ci d unindicazione almeno parziale: la civilt non si pu e non si deve eliminare e, con essa, di conseguenza, nemmeno il Super-io e linevitabile quota di infelicit che esso comporta; ma questa pu e deve essere circoscritta al minimo necessario, attenuando le richieste del Super-io, abbassandone decisamente le pretese idealistiche, in modo da legittimare le insopprimibili esigenze naturali delluomo, il cui soddisfacimento indispensabile a dargli quella parziale felicit che sola rende apprezzabile la vita.

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ROTTA B LA TEORIA DELLA RELATIVITA E LA TEORIA DEI QUANTI Nel corso dellOttocento la ricerca scientifica si estende e si intensifica sulla base del paradigma materialistico-meccanicistico risalente a Galileo e Newton, la cosiddetta fisica classica. Nel 1873 il fisico inglese Maxwell pubblica il Trattato sullelettromagnetismo, contenente una teoria matematica organica e completa della forza elettromagnetica. Lunificazione definitiva del magnetismo e dellelettricit, nonch della luce, considerata un tipo di radiazione elettromagnetica, sembra rappresentare il trionfo della fisica classica. Eppure, paradossalmente, proprio la teoria elettromagnetica di Maxwell implica unanomalia del paradigma materialistico-meccanicistico: la costanza della velocit della luce, pari a 300.000 km/s. Ci significa che la velocit della luce non aumenta n diminuisce mai per qualsiasi sistema di riferimento, ovvero per qualsiasi osservatore. P.e., il raggio di luce emesso dalla torcia di un pedone fermo ha la stessa velocit di quello emesso da unauto in corsa a 300 allora, piuttosto che da unaereo che vola alla velocit del suono. Per comprendere il significato dellesempio fatto basta compararlo con un esempio analogo in cui il pedone, lauto o laereo sparano un proiettile nel senso del loro moto: il proiettile sparato dallauto pi veloce di quello sparato dal pedone, e quello sparato dallaereo lo ancora di pi di quello sparato dallauto. Infatti in tutti e tre i casi la velocit del proiettile data dalla somma della sua velocit, quella impressagli dalla pistola, e della velocit del sistema di riferimento (pedone, auto, aereo) dal quale sparato. In altre parole, dalle equazioni di Maxwell risulta che la luce, e in generale tutte le onde elettromagnetiche, non rispetta il principio di composizione (addizione o sottrazione) delle velocit, secondo il quale, p.e., se su un tram che va a 60 km/h io cammino a 5 km/h nel suo stesso senso di marcia, la mia velocit di 65 km/h (rispetto a un osservatore esterno) mentre se vi cammino a 5 km/h nel senso di marcia opposto (cio muovendomi verso il retro) la mia velocit 55 km/h (sempre rispetto a un osservatore esterno). Ma il principio di composizione delle velocit, a sua volta, parte integrante del principio di relativit galileiana, secondo il quale tutti i moti meccanici inerziali (cio rettilinei uniformi) sono relativi uno allaltro: se sono in unauto in movimento non posso stabilire che mi muovo e a quale velocit se non in relazione a un sistema di riferimento esterno, p.e. un albero o una casa. Il punto che il principio di relativit galileiana, grazie a semplici equazioni (dette trasformazioni galileiane), permette di tradurre i fenomeni meccanici di un sistema di riferimento in quelli di ogni altro, ovvero permette di unificare tutti i fenomeni meccanici, cio di avere le leggi fisiche uniche e invarianti per tutta la realt. Dunque, la scoperta della costanza della velocit della luce colpisce al cuore la fisica classica, introducendo un dualismo tra fenomeni meccanici e fenomeni elettromagnetici e incrinandone la fiducia nella possibilit di disporre di una conoscenza unitaria del mondo fisico. La reazione della comunit scientifica alla scoperta teorica di Maxwell di scetticismo per non dire di rifiuto. Alcuni la mettono alla prova con opportuni esperimenti, altri cercano di confutarla a livello teorico-matematico: sia gli uni sia gli altri falliscono. Einstein lo scienziato che, invece, accetta la costanza della velocit della luce come un dato reale e ne deduce due conseguenze fisico-teoriche rivoluzionarie: n lo spazio n il tempo sono grandezze assolute, entrambi sono relativi, cio variano al variare del sistema di riferimento. Questa tesi costituisce il nucleo e, insieme, il punto di partenza della teoria della relativit che Einstein elabora in due stadi e che pertanto risulta articolata in due parti: " la teoria della relativit ristretta (o speciale), che riguarda tutti i fenomeni fisici (sia meccanici sia elettromagnetici) riconducibili al moto inerziale, cio al moto rettilineo uniforme; 270

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la teoria della relativit allargata (o generale), che comprende anche i fenomeni fisici riconducibili ai moti accelerati, ovvero a tutti i tipi di moti. Ma a partire dal 1900, ad opera di numerosi scienziati (Planck, lo stesso Einstein, Bohr, De Broglie, Heisenberg, Born, Schroedinger, Dirac, Pauli, Feynman, Bell, e altri ancora), nasce e si sviluppa una teoria ancora pi rivoluzionaria di quella della relativit: la teoria dei quanti. Quanto il nome che viene dato alle particelle elementari (dapprima fotoni, elettroni, protoni, neutroni, poi i quark, i neutrini, ecc.), cio ai mattoni della materia, dal momento che esse consistono in pacchetti o grumi di energia che si trasmette, ovvero aumenta o diminuisce dintensit, solo per multipli interi di un valore piccolissimo (detto costante di Planck), cio in modo discreto o discontinuo. La teoria dei quanti si contrappone alla fisica classica in primo luogo perch sostiene che le particelle elementari possono essere sia onde sia corpuscoli e che impossibile determinarne con esattezza il moto e la posizione; in secondo luogo perch teorizza che una stessa particella/onda possa essere in pi luoghi simultaneamente, possa attraversare aree inaccessibili, possa emergere dal vuoto, e possa trasmettere informazioni a unaltra particella istantaneamente, cio a velocit infinita. Ma, per questi stessi, motivi la teoria dei quanti in contrasto con la stessa teoria della relativit di Einstein, secondo la quale la natura deterministica, lenergia continua e la velocit della luce non superabile. Il contrasto ancor pi stridente non appena si metta a fuoco che i corpi oggetto della teoria della relativit sono composti di particelle elementari e dunque dovrebbero comportarsi come ci di cui sono costituiti.
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VITA DI UN CAPITANO ALBERT EINSTEIN Nacque nel 1879 a Ulm, citt della Germania sud-occidentale, non lontana da Tubinga, sede della famosa universit dove avevano studiato Schelling ed Hegel. La sua famiglia era di origini ebraiche, ma non credente, e nel 1880 si trasfer a Monaco di Baviera, dove il padre Hermann e il fratello Jakob, ingegnere, fondarono una piccola azienda elettromeccanica. Einstein segu liter degli studi scolastici tedeschi di quegli anni, coltivando un particolare interesse, fin dai 10 anni e fino ai 16, per la filosofia, poi rimpiazzata dalla fisica. A partire dai sei anni, per volont della madre musicista, studi il violino che continu poi a suonare per tutta la vita. Lo zio invece lo stimol nello studio dellalgebra, e pi in generale della matematica, nel quale Einstein rivel fin dallinizio una sorprendente capacit. Per alcuni anni limpresa familiare si espanse ma poi fu schiacciata dalla concorrenza. Cos nel 1894, gli Einstein si trasferirono prima a Pavia, nella stessa casa dove aveva vissuto Ugo Foscolo, poi a Milano, nella speranza di poter trovare condizioni pi favorevoli a un nuovo tentativo imprenditoriale. Albert fu per lasciato a Monaco presso un parente, perch non interrompesse i suoi studi liceali. Ma, oltre a soffrire la lontananza dei genitori, Einstein aborriva la scuola tedesca, sia per il peso eccessivo del greco e del latino sia per la disciplina marziale. Da bambino era scoppiato in pianto assistendo a una parata militare e si era fatto promettere dai genitori che non avrebbe mai dovuto fare il soldato da grande. Ma nel II Reich tedesco era quasi impossibile per un maschio evitare il servizio militare, a meno di andare allestero e rinunciare alla cittadinanza tedesca. Fu cos che nel dicembre del 1894 Albert Einstein buss alla porta della casa italiana dei suoi genitori: approfittando dellinvito del suo professore di Greco ad abbandonare lIstituto che frequentava, Einstein di propria iniziativa aveva deciso di abbandonare per sempre la scuola tedesca e la stessa Germania e di partire per lItalia. I suoi genitori furono costretti ad accettare la sua decisione. Einstein cos termin gli studi superiori presso un liceo svizzero. Ottenuto poi il ritiro della cittadinanza tedesca, e dunque libero da qualsiasi obbligo militare, nel 1896 Einstein pot iscriversi al Politecnico di Zurigo. Negli anni universitari Einstein divenne amico del suo compagno di studi Marcel 271

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Grossmann, che diventer un importante matematico, e si innamor di una sua compagna di corso, lunica donna ammessa al Politecnico, una ragazza serba, Mileva Maric, di quattro anni pi grande di Einstein, per alcuni brutta per altri di una bellezza inquietante, di certo claudicante a causa di una malformazione allanca. In realt era una donna dallo sguardo deciso e sensuale, con un volto dai caratteri forti e marcati, grandi occhi scuri, naso e labbra quasi africane, che potevano darle un aspetto mascolino. Negli anni universitari, Einstein mise in secondo piano gli studi matematici puri e si dedic prevalentemente agli studi fisici, in particolare allo studio degli esperimenti di laboratorio. Come scrisse nella sua autobiografia, era affascinato dal contatto diretto con lesperienza. Nel 1900 Einstein consegu la laurea che gli permetteva di insegnare Matematica e Scienze nelle scuole superiori. Ma il suo obiettivo era diventare assistente di un docente universitario, cio intraprendere da subito la carriera universitaria. Pertanto nellimmediato punt a ottenere un dottorato di ricerca sulla base di una sua dissertazione scientifica. Come se non bastasse decise di sposarsi con Mileva Maric scontrandosi con lopposizione dei genitori. Ma Einstein si dovette scontrare anche e soprattutto con il tradizionalismo, i pregiudizi e gli intrighi di potere dellambiente accademico e alla fine decise di ritirare la sua dissertazione e di rinunciare al dottorato. In compenso nel 1901 ottenne la cittadinanza svizzera e questo gli permise di trovarsi un lavoro, dal momento che, senza il dottorato, non sarebbe stato altrimenti in grado di mantenersi e soprattutto di sposarsi. Dapprima fece il supplente in una scuola tecnica, poi diede ripetizioni in un collegio privato. Einstein viveva con Mileva Maric in un monolocale arredato con lessenziale e in ristrettezze economiche. Per aumentare le sue entrate decise allora di dare anche ripetizioni private e mise uninserzione su un quotidiano di Berna: Lezioni private di Matematica e Fisica per studenti universitari e di scuola superiore tenute con la massima accuratezza da Albert Einstein, diplomato al Politecnico federale, Gerechtigkeitsgasse 32, primo piano. Lezioni di prova gratuite. In base a questo annuncio, Einstein conobbe lo studente romeno Maurice Solovine, divent suo amico e con lui fond lAkademie Olympia: un circolo di intellettuali amici che si riuniva in casa di Einstein per discutere di volta in volta una diversa opera classica, di carattere filosofico o scientifico, spesso nel corso di una cena. Einstein apprezzava molto la buona cucina, anche se non poteva permettersi cibi costosi. Eppure lamore per la conoscenza superava in lui ogni altro piacere. Gli amici, infatti, una sera gli avevano comprato del caviale e glielo avevano fatto mangiare a sorpresa, senza dirgli prima cosa fosse. Impegnato a parlare del principio dinerzia in Galileo, Einstein lo mangi come se fosse pane e solo dopo aver finito e aver saputo cosa aveva mangiato si rammaric di non avergli dedicato la dovuta attenzione. Allinizio del 1902 Milena diede alla luce una bambina, Lieserl. In seguito alla morte del padre, Einstein nel 1903 pot finalmente sposare Mileva con rito civile. Poco dopo, grazie allinteressamento del padre dellamico Grossmann, Einstein riusc a ottenere lassunzione a tempo indeterminato come impiegato dellUfficio brevetti di Berna. Ci nonostante dal 1903, la figlia Lieserl spar nel nulla. Lipotesi pi attendibile sulla sua scomparsa che Einstein, che avrebbe voluto un maschio, convinse Mileva a lasciarla in adozione a qualche suo parente serbo. Lanno successivo nacque il primo figlio maschio, Hans Albert, che sarebbe diventato un brillante ingegnere idraulico. Nel 1905 Einstein lasci Berna e si trasfer a Lione. LAkademie Olympya si sciolse per sempre. Einstein aveva scelto la carriera e rinunciato ai sogni giovanili. Proprio il 1905 lannus mirabilis (espressione coniata per la prima volta in riferimento al 1666 di Newton) nel quale Einstein scrisse e pubblic cinque saggi (Su un punto di vista euristico relativo alla produzione e alla trasformazione della luce, Una nuova determinazione delle dimensioni molecolari, Sul moto di piccole particelle in sospensione nei liquidi a riposo come prescritto dalla teoria cinetico-molecolare del calore, Sullelettrodinamica dei corpi in moto, Linerzia di un corpo di un corpo dipende dal suo contenuto denergia?), che rendevano note altrettante 272

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scoperte teoriche: il carattere quantistico della luce in relazione alleffetto fotoelettrico (da cui in seguito venne tratta la nozione di fotone, il quanto di energia luminosa), un nuovo metodo per calcolare le dimensioni delle molecole e del numero di Avogadro, la dimostrazione teorica dellesistenza degli atomi (sperimentalmente confermata in seguito da J.-B. Perrin), la teoria della relativit ristretta e infine la famosa equazione E=mc2, che ne rappresentava il coronamento. Una tale produttivit teorica, a giudizio degli stessi scienziati, era straordinaria, se non del tutto incredibile. Per questo qualcuno ha ipotizzato che le teorie di Einstein, in particolare quella della relativit, siano state il frutto di una ricerca comune di Einstein e di Mileva Maric. Non ci sono elementi sufficienti n per affermarlo n per escluderlo. E quasi certo, per, che Mileva Maric collabor con Einstein nelleffettuazione dei lunghi e complessi calcoli matematici su cui si basavano le teorie einsteiniane, fornendogli un aiuto decisivo. Con la pubblicazione dei suoi cinque saggi nel 1905, la comunit scientifica accademica cominci a cambiare atteggiamento nei confronti di Einstein: nel 1908 divenne libero docente a Berna, lanno dopo docente associato a Zurigo, nel 1911 docente ordinario a Praga, nel 1912 docente ordinario a Zurigo. Nel frattempo, nel 1910, Mileva ebbe un terzo figlio, un altro maschio che fu chiamato Eduard, e che in seguito, dopo essere diventato psichiatra, fu affetto da una grave forma di schizofrenia e pass la sua vita negli ospedali psichiatrici. La fulminea carriera accademica di Einstein non era affatto conclusa. Anzi era ancora agli esordi. Nel 1913 Einstein ricevette la visita dei famosi scienziati tedeschi Planck e Nernst che gli comunicarono la richiesta di essere eletto nellAccademia prussiana delle scienze, senza obbligo dinsegnamento, e quindi con la possibilit di dedicarsi totalmente alla ricerca in collaborazione con i massimi scienziati dellepoca, nonch con uno stipendio speciale, di gran lunga superiore ai precedenti, pur notevoli. Avendo avuto la garanzia che non avrebbe dovuto riprendere la cittadinanza tedesca, Einstein accett e si trasfer a Berlino nellaprile del 1914. In realt, in seguito Einstein, messo sotto pressione, accett di riprendere la cittadinanza tedesca. Bench i suoi rapporti col marito si fossero gi deteriorati, Mileva lo segu coi figli a Berlino ma, poco dopo, mentre scoppiava la I guerra mondiale, torn a Zurigo con i figli definitivamente. Nel 1919 Mileva Moric e Albert Einstein divorziarono consensualmente e nello stesso anno Einstein spos la cugina Elsa, anche lei divorziata e con due figlie. Ma nemmeno il secondo matrimonio and meglio. Come con Milena, anche con Elsa, Einstein si disamor ben presto e allacci relazioni con molte altre donne, soprattutto pi giovani di lui. Nonostante i continui tradimenti del marito, Elsa non lo lasci mai, fino alla sua morte nel 1936. Dopo linizio della Grande guerra, Einstein ader al Manifesto degli europei, una presa di posizione contro la guerra di una minoranza di scienziati e intellettuali tedeschi, in contrapposizione al manifesto bellicista e filomilitarista sottoscritto precedentemente dalla stragrande maggioranza degli scienziati e degli intellettuali tedeschi. Durante gli anni della guerra, Einstein si dedic totalmente allelaborazione della sua teoria della relativit generale, che pubblic nel 1916 con il saggio intitolato I fondamenti della teoria della relativit generale, e che complet nel 1917 pubblicando il saggio Considerazioni cosmologiche sulla teoria della relativit generale. Gi durante la guerra, lo scienziato inglese Eddington prov a sfruttare uneclissi di Sole e a organizzare una spedizione per controllare sperimentalmente la predizione di Einstein sulla deflessione dei raggi stellari che giungono sulla Terra passando vicino al Sole. Il primo tentativo fall, a causa della guerra in corso, ma il secondo, nel 1919 a guerra finita, sullisola di Principe, nel golfo di Guinea, riusc e conferm la previsione einsteiana basata sulla teoria della relativit generale. Il risultato fu ratificato da unaltra spedizione di scienziati, contemporanea, ma nel Nord del Brasile. Quando, nel novembre del 1919, la notizia arriv a Londra e fu pubblicata sui giornali, Einstein divenne improvvisamente lo scienziato pi famoso del mondo.

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Lanno successivo, per, Einstein perdette la madre e cominci a essere oggetto di attacchi e diffamazioni dei movimenti antisemitici tedeschi, che negli anni successivi si sarebbero fatti sempre pi numerosi e drastici. Nel 1921, Einstein ricevette il premio Nobel, ma non per la sua teoria della relativit, bens per la teoria delleffetto fotoelettrico e della natura quantistica della luce. In ogni caso, Einstein diede alla ex moglie Mileva Moric tutti i soldi del premio. Negli anni 20 e 30, sul piano scientifico Einstein lavor dapprima alla dimostrazione teorica, sulla base dellequazione della relativit generale, del carattere statico, ovvero stazionario, delluniverso. A tal fine introdusse una ulteriore grandezza chiamata poi costante cosmologica -, interpretabile come una forza repulsiva, che, compensando ed equilibrando la forza attrattiva gravitazionale, garantiva appunto la staticit delluniverso. Nel 1929, la scoperta da parte di Hubble dellallontanamento reciproco delle galassie falsific clamorosamente la teoria einsteiana e lo stesso Einstein dichiar che si era trattato del pi grande errore scientifico che aveva commesso. Paradossalmente, alla fine degli anni 90, gli scienziati sono invece tornati a teorizzare lesistenza di una gravit repulsiva per spiegare laccelerazione, sperimentalmente accertata, del moto centrifugo delle galassie. Questo, naturalmente, senza mettere in discussione la teoria del big bang, ma solo rivedendo le ipotesi sugli esiti futuri dellespansione delluniverso. Il secondo fronte scientifico sul quale Einstein combatt fino alla morte fu quello della teoria dei quanti. Einstein era fermamente convinto che la natura si basasse sul principio di causalit e quindi credeva nel determinismo, come attesta la sua famosa sentenza metaforica: Dio non gioca a dadi. La teoria quantistica, invece, sostenendo lindeterminatezza oggettiva del comportamento delle particelle elementari, minava lo stesso principio di causalit, in quanto rendeva impossibile per principio ogni previsione esatta. Einstein fino alla fine sostenne che la teoria dei quanti era incompleta, ovvero che non teneva conto di alcune variabili nascoste, una volte scoperte le quali tutte le sue stranezze si sarebbero spiegate in modo causale e deterministico. Di fatto, per, bench ancora dal 1945 al 1955 lavorasse assiduamente allelaborazione di una teoria unificata, cio capace di conciliare relativit, elettromagnetismo e quantismo, allo scopo di superare il dualismo onda-corpuscolo, il principio di indeterminazione e tutte le stranezze del quantismo, Einstein non riusc mai a completarla e a metterla a punto in modo soddisfacente. Daltra parte, a partire dagli anni 20, Einstein si dedic sempre di pi, da un lato, al sostegno del movimento sionista e, dallaltro, alla promozione del pacifismo nel mondo. Durante il suo primo viaggio negli USA, nel 1921, si prodig per raccogliere finanziamenti per la costruzione dellUniversit ebraica di Gerusalemme, fondata da Chaim Weizmann, presidente dellOrganizzazione mondiale del sionismo e futuro primo presidente di Israele. Nel 1925 Einstein firm con Gandhi, che incontr personalmente, il manifesto contro il servizio militare obbligatorio, da lui considerato il principale fattore dei nazionalismo e delle guerre. Nel 1932 partecip alla Conferenza per il disarmo, ma pi in generale durante tutti gli anni 20 e 30 tenne numerosi discorsi e conferenze in Germania e in tutto il mondo per sostenere la causa pacifista. Proprio alla fine del 1932, ormai consapevole del destino della Germania, Einstein torn negli USA, diede le dimissioni dallAccademia delle scienze e rinunci, per la seconda volta, alla cittadinanza tedesca. Dopo un ultimo tour in Europa, nel 1933 Einstein si stabil definitivamente negli USA (avrebbe ottenuto la cittadinanza americana nel 1940), dove divenne docente allUnivesit di Princeton e, in seguito, strinse unamicizia particolarmente forte ed emblematica con il matematico Kurt Goedel, lautore del famoso teorema di incompletezza (1931). Nel 1939, in una lettera inviata a F.D. Roosevelt, Einstein avvert il presidente USA che i nazisti stavano conducendo ricerche per costruire una bomba atomica e che avevano la possibilit di raggiungere lobiettivo e, pertanto, lo sollecit ad avviare un analogo 274

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programma di ricerca per evitare che la Germania nazista potesse ottenere la superiorit militare a livello mondiale. Einstein lasci scritto che era consapevole delle conseguenze che luso di unarma atomica avrebbe comportato, e di quanto ci contrastasse con il suo ideale pacifista, ma che considerava ancora pi terribile la possibilit che il nazismo imponesse il suo dominio sul mondo intero. Ci nonostante, Einstein non partecip in alcun modo al progetto Manhattan di costruzione della bomba atomica americana e quando Truman nel 1945 fece sganciare due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, Einstein condann recisamente la decisione del presidente USA, e negli anni successivi non smise di pentirsi della lettera scritta a Roosevelt. Nel secondo dopoguerra, riprese e radicalizz la sua azione di propaganda a favore del pacifismo, teorizzando la necessit del disarmo e di un governo mondiale capace di evitare i conflitti bellici.Infine, negli ultimi decenni della sua vita, Einstein si occup anche di religione. Bench non credesse nellesistenza di un Dio personale, Einstein credeva nellesistenza di un dio-natura, di un ordine naturale necessario, cio professava una sorta di panteismo scientifico, alla maniera di Spinoza, cui si richiamava esplicitamente. In particolare, Einstein valorizzzava la religione come ricerca di un fine etico universale dellumanit, in quanto riteneva che la scienza potesse conoscere solo ci che ma assolutamente non indicare ci che deve essere. In questo senso, significativa la sentenza einsteiniana, parafrasi di quella di Kant: La religione senza scienza cieca, la scienza senza religione zoppa. Einstein mor nel 1955 e, per sua volont, fu cremato e le sue ceneri disperse nellaria. VITE DI CAPITANI PLANCK, BOHR, DE BROGLIE, HEISENBERG, SCHRDINGER, DIRAC, BORN, PAULI, FEYNMAN, BELL La teoria dei quanti il frutto della pi ampia e prolungata opera collettiva della scienza. Tale opera si pu far cominciare dal 1900, con la scoperta della legge fondamentale della teoria quantistica (E=hv) da parte del fisico tedesco Max Karl Planck (1858-1947), che ebbe il Nobel nel 1918. Lopera fu poi proseguita dal danese di Niels Bohr (1885-1962), in riferimento al quale si parla di scuola di Copenaghen, il quale elabor il modello quantistico dellatomo (Nobel nel 1922) e formul il principio di complementarit; dal francese Louis-Victor de Broglie (1892-1987), che appur la natura quantistica degli elettroni e fu premiato con Nobel nel 1929; il tedesco Werner Heisenberg (1901-1976), che enunci il principio di indeterminazione (1927), premio Nobel nel 1932, direttore del progetto tedesco per la costruzione della bomba atomica durante la II guerra mondiale, progetto che fall forse anche per volont delo stesso Heisenberg; laustriaco Erwin Schroedinger (1887-1961) che coni il concetto di funzione donda e ne formul lequazione fondamentale, Nobel nel 1933; linglese Paul Dirac (1902-1984), che elabor una teoria e una formula dei moti quantistici alternative a quelle di Schroedinger e ipotizz a livello teorico lesistenza dei positroni (elettroni con carica positiva, confermati sperimentalmente nel 1932), Nobel nel 1933; Max Born (1882-1970) che elabor linterpretazione probabilistica della meccanica quantistica secondo cui lequazione della funzione donda aveva una validit meramente statistica, premio Nobel 1954; laustriaco Wolfgang Pauli (1900-1958) che stabil il principio di esclusione, secondo cui non possono esistere nello stesso atomo due elettroni con gli stessi numeri quantici, e previde teoricamente lesistenza del neutrino, Nobel nel 1954; lo statunitense Richard Feynman (1918-1988), che elabor un nuovo metodo matematico per il calcolo delle interazioni tra le particelle elementari detto diagramma di Feynman, Nobel nel 1965; lirlandese Stewart John Bell (1928-1990) autore del teorema di Bell che confuta la tesi einsteiana secondo cui la meccanica quantistica potrebbe essere riconfigurata in modo deterministico in base a una teoria a variabili nascoste. 275

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TAPPA 1 EINSTEIN: LA TEORIA DELLA RELATIVITA RISTRETTA O SPECIALE

Il regolo rigido risulta dunque pi corto quando in moto che non quando in quiete, e tanto pi corto quanto pi rapidamente si muove. [...] Come conseguenza del proprio moto lorologio cammina pi lentamente che non quando in quiete.
A. Einstein, Relativit, parte I, 12 La teoria della relativit ristretta (o speciale) ha questo nome perch, da un lato, una nuova versione del principio di relativit galileiana; dallaltro, perch circoscritta, come il principio di relativit galileiana, ai fenomeni fisici inerziali, cio riconducibili a moti rettilinei uniformi. La novit della relativit einsteiniana consiste, innanzitutto, nel comprendere non solo i fenomeni meccanici, come quella galileiana, ma anche quelli elettromagnetici. E proprio linclusione dei fenomeni elettromagnetici che porta Einstein a riconcepire e riformulare il principio di relativit galileiana. Questo stabiliva che il moto rettilineo uniforme di un sistema di riferimento (un corpo compatto, p.e. una nave, un treno, unauto, un uomo che cammina) sempre relativo a un altro sistema di riferimento in quiete relativamente al primo (p.e. un promontorio, una stazione, una casa, un albero). Dunque, un osservatore (p.e. il passeggero di un treno che si muove a velocit fissa su un binario rettilineo) allinterno di un sistema di riferimento, se non pu guardare fuori di esso, non in grado di stabilire se il sistema stesso fermo o in movimento. Proprio questa relativit (che non ha nulla a che vedere col relativismo delle opinioni o dei valori) fonda linvarianza, cio luniformit, delle leggi fisico-meccaniche e quindi lunit della natura. Infatti, se allinterno di un sistema di riferimento un osservatore non in grado di stabilire se fermo o si sta muovendo, ci significa che in un sistema di riferimento in moto rettilineo uniforme tutto accade allo stesso modo che in un sistema di riferimento in quiete, ovvero che i fenomeni fisici, e quindi le leggi della fisica, sono gli stessi al variare dei sistemi di riferimento. La relativit galileiana applicata al calcolo delle velocit comporta che si pu determinare la velocit di un corpo inerziale sempre e solo in riferimento a un altro corpo, fermo o in quiete. Per calcolare la mia velocit in riferimento a diversi osservatori devo applicare il semplice principio di composizione delle velocit. P.e., se allinterno di un tram che va a 30/h io cammino a 5 km/ora nella sua stessa direzione e verso, relativamente a un passeggero seduto mi muovo appunto a 5 km/ora, ma per un pedone in attesa alla fermata io mi muovo a 35 km/h, in quanto devo sommare alla mia velocit quella del tram. Se un pedone cammina sul marciapiede parallelo alla rotaia del tram nella mia stessa direzione e nello stesso verso a 2 km/h, per lui io mi muovo a 33 km/h, perch alla mia velocit devo sottrarre quella del pedone. Ma per la teoria elettromagnetica di Maxwell, la velocit della luce costante. Ci significa, riprendendo lesempio precedente, che se io cammino nel tram con una torcia elettrica accesa in mano (direzionata verso lavantreno del tram) la velocit della luce (300.000 km/s) la stessa sia per il passeggero seduto, sia per il pedone in attesa alla fermata sia per il pedone che cammina parallelamente. In altre parole, il moto della luce non relativo, ma assoluto e quindi il principio di composizione delle velocit non si applica alla luce. Ma, ci comporta una divisione tra mondo meccanico e mondo elettromagnetico.

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E proprio questa divisione che la teoria della relativit evita, riconfermando linvarianza dei fenomeni e delle leggi fisiche per tutti i sistemi inerziali, anche quello elettromagnetici. Tanto che Einstein avrebbe preferito chiamare la sua nuova teoria della relativit teoria dellinvarianza. Ma cosa permette a Einstein di unificare fenomeni meccanici e fenomeni elettromagnetici? In primo luogo, Einstein assume che la costanza della velocit della luce sia un fatto reale inoppugnabile. Dunque, il punto di partenza della teoria della relativit einsteiana che la velocit della luce lunica grandezza assoluta. Di conseguenza, lo spazio e il tempo, che per la fisica classica erano assoluti, diventano invece relativi. Perch? Per rispondere, Einstein prende in considerazione la simultaneit di due fenomeni elettromagnetici, ovvero luminosi. P.e.: immaginiamo una carrozza di un treno in moto rettilineo uniforme con al centro una lampada spenta e due persone ai lati opposti, la persona A appoggiata al lato dalla parte del senso di marcia, la persona B dalla parte opposta al senso di marcia. Sia A sia B guardano verso la lampada equidistante da ognuno di loro. Quando si accende la lampada, due raggi di luce raggiungono rispettivamente gli occhi di A e di B. Poich hanno la stessa velocit e percorrono la stessa distanza, A e B vedono la lampada accendersi nello stesso istante. I due fenomeni sono simultanei. Ma per una terza persona C, ferma alla stazione, che vede passare la carrozza nellistante in cui si accende la luce, B vede la luce prima di A, ovvero i due eventi che per A e B (appartenenti allo stesso sistema di riferimento) sono simultanei, non sono simultanei per C (che appartiene a un altro sistema di riferimento). Com possibile? Dal punto di vista di C, nel pur infinitesimale tempo in cui il raggio di luce sparato dalla lampada si muove verso A, A si allontana da esso, quindi la distanza che il raggio deve percorrere maggiore della met della lunghezza del vagone, dunque il raggio impiega pi tempo. Viceversa, ma sempre dal punto di vista di C, B durante il moto del raggio verso di lui si avvicina a esso (gli si muove incontro), pertanto la distanza che il raggio di luce deve percorrere per raggiungere B minore della met della lunghezza del vagone; di conseguenza il raggio ci mette meno tempo a percorrerla. Conclusione: per C, la luce raggiunge prima B e poi A, ovvero i due eventi non sono simultanei. (Se qualcuno si chiede come faccia C a vedere il momento in cui la luce raggiunge gli occhi di B e A, basta immaginare che B e A abbiano in mano uno specchietto rivolto obliquamente in parte verso la lampada e in parte verso C.) Ora, il punto fondamentale che se al posto della lampada considerassimo un uomo con due pistole in mano, rivolte luna verso A e laltra verso B, che spara loro, anche per C i due proiettili raggiungerebbero A e B nello stesso istante. Perch? Perch il moto dei proiettili, a differenza di quello della luce, relativo, ovvero non costante/assoluto. Dunque ad esso si applica il principio di composizione delle velocit. Pertanto, il proiettile che va verso A deve percorrere pi spazio ma possiede una velocit maggiore data dalla somma della sua velocit di sparo e della velocit del treno, mentre il proiettile che va verso B deve percorrere meno spazio ma la sua velocit minore di quella dellaltro, perch alla sua velocit di sparo si deve sottrarre la velocit del treno. Risultato: le diverse velocit compensano le differenti distanze e i proiettili anche per C colpiscono A e B nello stesso momento. (E oltretutto in questo caso non c bisogno che A e B abbiano in mano uno specchietto perch C se ne possa accorgere!). In altre parole, la non simultaneit per C della visione dellaccensione della lampada da parte di A e B dovuta alla propriet esclusiva che la luce possiede, appunto la costanza della sua velocit, e che la rende refrattaria allapplicazione del principio di composizione delle velocit. Daltra parte, la luce il medium che ci permette di conoscere tutti i fenomeni. Tutto quello che vediamo lo vediamo perch la luce trasporta ai nostri occhi, o alle nostre apparecchiature sperimentali, le informazioni relative alla realt fisica. Dunque, ci che vale per la luce generalizzabile a tutta la realt fisica. 277

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A questo punto, Einstein pu trarre la prima, grande conclusione rivoluzionaria: nelluniverso non esistono due eventi simultanei, la simultaneit vale solo allinterno di un sistema di riferimento per gli osservatori che ne fanno parte, ma non vale per tutti gli altri sistemi di riferimento esterni, dunque non generalizzabile. Ma quando diciamo simultaneit, ci riferiamo a una delle due grandi coordinate fisiche: il tempo. La simultaneit stabilita dal tempo, data cio da due eventi che accadono nello stesso istante temporale. Pertanto, dire che non esistono due eventi simultanei per tutti i sistemi di riferimento implica affermare che il tempo non scorre nello stesso modo per tutti i sistemi di riferimento, ovvero che non esiste un tempo assoluto o, utilizzando una metafora, che non c un grande orologio unico che batte la stessa ora per tutto luniverso, ma tanti orologi diversi per ogni sistema di riferimento che battono ore diverse. Si tratta di una tesi radicalmente controintuitiva, cio che cozza col nostro buon senso, con il senso comune. Per questo difficile comprenderla, perch una parte della nostra stessa mente la rifiuta come assurda. Eppure Einstein ha dimostrato teoricamente, e molti altri scienziati lo hanno confermato sperimentalmente, che le cose stanno cos: il tempo rallenta allaumentare della velocit del sistema di riferimento. P.e., per un uomo sulla superficie della Terra, allinterno di un aereo che si muove nellatmosfera sopra di lui il tempo scorre pi lentamente che per lui, ovvero gli orologi dei passeggeri sono pi lenti del suo. La differenza per talmente piccola e il viaggio aereo talmente breve che nessuno in grado di accorgersene. Ma considerando una sonda spaziale che viaggia per mesi a velocit molto pi elevate diventa invece evidente. (Questo non significa, in ogni caso, che un uomo che viaggiasse per mesi o anni in una sonda spaziale avrebbe pi tempo libero, ovvero che vivrebbe pi a lungo. Infatti, insieme al tempo battuto dallorologio, rallenta anche il tempo di tutti i movimenti, ossia rallentano in proporzione tutti i movimenti, da quelli degli arti al battito cardiaco, alla trasmissione neuronale degli impulsi elettro-chimici che sono alla base della nostra attivit mentale. Insomma, chi viaggia a grandi velocit, rispetto a noi sulla Terra, per cos dire si bradipizza.) La relativit del tempo teorizzata da Einstein pu essere illustrata e argomentata in modo quasi intuitivo, se prendiamo in considerazione un particolare tipo di orologio, ossia un orologio a luce. Esso costituito da 2 specchi piatti, rivolti luno verso laltro, alla distanza di 15 cm, che si rimbalzano un fotone, cio lunit minima di luce. Ogni miliardo di andirivieni lorologio segna 1 secondo. Se lorologio fotonico fermo il fotone rimbalza con traiettorie perpendicolari agli specchi. Ma se lorologio si muove, p.e. da sinistra verso destra, la traiettoria del fotone diventa obliqua e, allaumentare della velocit, sempre pi orizzontale, cio sempre pi parallela agli specchi. Infatti, mentre il fotone viaggia da uno specchio allaltro, gli specchi si muovono verso destra e il fotone anche, e dunque la sua traiettoria la risultante del moto verticale perpendicolare agli specchi e del contemporaneo moto orizzontale da sinistra a destra parallelo agli specchi. (Naturalmente, sempre assumendo che noi osservatori del movimento dellorologio fotonico siamo in quiete rispetto ad esso.) Ne consegue che la traiettoria del fotone tra i due specchi pi lunga se lorologio fotonico si muove, e diventa tanto pi lunga quanto pi velocemente lorologio si sposta. Pertanto, essendo costante la velocit della luce (cio non potendo essere incrementata dal moto degli specchi), in un orologio a luce in moto il fotone impiega pi tempo a rimbalzare da uno specchio allaltro. Risultato finale: in un orologio a luce in moto un secondo dura di pi che in un orologio a luce in quiete rispetto ad esso, ovvero lorologio in moto segna un tempo minore di quello in quiete. (E come se usassimo un metro taroccato, cio pi lungo di quello autentico, per misurare una lunghezza: la misura sarebbe pi corta che con il metro esatto.)

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Ma secondo Einstein non solo il tempo che varia al variare del sistema di riferimento, bens anche lo spazio. Pi precisamente, per Einstein lo spazio, e quindi ogni corpo/sistema di riferimento, si contrae, ovvero si accorcia nella direzione del moto, tanto pi quanto pi aumenta la velocit. Anche in questo caso, a basse velocit, laccorciamento talmente piccolo che i nostri sensi non sono in grado di rilevarlo. Per questo guardando una F1 lanciata a 300 km/h o un jet supersonico non potremmo mai notare il loro restringimento. Ma avvicinandoci alla velocit della luce tutto cambia. P.e., un corpo che si muova al 98% della velocit della luce si restringe dell80%, ossia lungo 1/5 di quanto lungo quando osservato in quiete. Per rendere pi intuitiva la tesi di Einstein, immaginiamo che un pilota di F1 misuri la sua auto ferma ottenendo come risultato 4 m. Dopodich parte per sfrecciare a 300 km/h sul rettilineo. Il suo meccanico, fermo sulla pista, misura a sua volta la lunghezza della F1 in movimento. Come fa? Si munisce di un cronometro, quando il muso della F1 arriva sulla linea del traguardo schiaccia il cronometro e quando il bordo della coda della F1 sulla linea del traguardo rischiaccia il cronometro per fermarlo. Moltiplicando il tempo registrato dal cronometro per la velocit della F1 (300 km/h) il meccanico ottiene la lunghezza dellauto. Infatti, s=t.v, cio lo spazio/lunghezza il prodotto della velocit per il tempo. Attenzione: cos come possiamo considerare il meccanico in quiete rispetto al pilota che viaggia sulla F1 a 300 km/h, allo stesso modo possiamo considerare il pilota in quiete e il meccanico in moto, in senso opposto a quello della F1, alla velocit di 300 km/h. Ricordiamoci, infatti, che i sistemi inerziali sono perfettamente simmetrici, ed dunque la stessa cosa dire che A si muove verso destra a 300 km/h rispetto a B in quiete e dire che B si muove a 300 km/h verso sinistra rispetto ad A in quiete. Stando cos le cose, per il pilota il tempo del suo meccanico scorre pi lentamente del suo. Dunque il cronometro del meccanico misura un tempo minore rispetto a quello che potrebbe misurare il pilota sulla F1 (per arrivare a battere un decimo di secondo il cronometro ci mette di pi, quindi batte un minor numero di decimi di secondo). Come fa il pilota a misurare il tempo di passaggio dellauto sul traguardo? Con un cronometro, assumendo che sia la linea del traguardo, cio la pista, che si muove prima verso e poi sotto la sua F1 ferma. Pertanto, applicando la formula s=t.v, essendo t minore, il meccanico misura e vede la F1 pi corta di come laveva vista il pilota prima della partenza e di come la vede anche dopo stando dentro di essa mentre sfreccia a 300 km/h. Facciamo il punto della situazione. In base a quanto abbiamo considerato, Einstein dimostra che: " il tempo di un sistema di riferimento rallenta allaumentare della sua velocit per gli osservatori di un altro sistema di riferimento supposto in quiete rispetto al primo; " lo spazio di un sistema di riferimento in moto, e quindi tutti i corpi in esso presenti, si accorcia longitudinalmente nel verso del moto per gli osservatori di un altro sistema di riferimento supposto in quiete rispetto al primo. Ricordando che spazio e tempo erano considerati grandezze assolute, uniche e uniformi per tutto luniverso, possibile valutare la portata rivoluzionaria della relativit einsteiana. Naturalmente una teoria fisica non pu essere compiutamente tale se non ha una forma matematica, ovvero se non esprimibile in formule. In questo senso, Einstein utilizza le trasformazioni di Lorentz, ovvero le formule gi elaborate dal fisico olandese Lorentz per equiparare i fenomeni elettromagnetici. Ma Einstein a dare un significato fisico compiuto alle formule che Lorentz aveva dedotto matematicamente dalle quattro equazioni fondamentali della teoria elettromagnetica di Maxwell. Infatti, inquadrandole nella teoria della relativit ristretta, Einstein, da un lato, le spiega concettualmente, cio spiega come mai in esse spazio e tempo variano al variare della velocit; dallaltro lato, le fa diventare le formule di trasformazione sostitutive di quelle di Galileo, che erano inapplicabili ai 279

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fenomeni elettromagnetici. In tal modo Einstein ristabilisce lunit della fisica: grazie alle nuove trasformazioni relativistiche, tutti i fenomeni (sia meccanici sia elettromagnetici) di un sistema di riferimento possono essere trasformati in quelli di un altro sistema di riferimento. In altri termini, Einstein dimostra che possibile unificare tutti i fenomeni fisici, confermando cos che le leggi della natura sono le stesse in tutto luniverso. Paradossalmente, proprio grazie alla relativit dello spazio e del tempo, cio allesistenza di tanti e diversi spazi e tempi nelluniverso. Ma la concezione dello spazio e del tempo di Einstein rivoluzionaria anche per un altro aspetto. Mentre la fisica classica considerava spazio e tempo due realt e due parametri distinti e indipendenti, per Einstein spazio e tempo si influenzano a vicenda a tal punto da dover essere considerati una cosa sola: lo spaziotempo (o crontopo), ovvero il continuum quadridimensionale. Perch quadridimensionale? Perch per Einstein il tempo va concepito come unulteriore dimensione simile alle tre dimensioni spaziali: lunghezza, larghezza, altezza. A questo punto Einstein si pone un ulteriore problema, implicito nelle sue precedenti conclusioni: perch il tempo rallenta, ovvero diminuisce, allaumentare della velocit, e viceversa? Ovvero: possibile trovare una spiegazione pi profonda della relativit dello spaziotempo? La soluzione di Einstein legata proprio al concetto di quadridimensionalit. Infatti, se il tempo una dimensione come le tre dimensioni spaziali, allora, deduce Einstein, ci si pu muovere a diverse velocit nel tempo cos come ci si muove a diverse velocit nello spazio. Dunque, tutti i corpi nelluniverso si muovono sia spazialmente sia temporalmente. La quiete assoluta non esiste. Innanzitutto perch quando assumiamo che un corpo in quiete rispetto a un secondo corpo, non solo possiamo considerarlo in moto rispetto al secondo fermo, come si visto, ma anche comunque in moto rispetto a un terzo corpo. P.e., un uomo seduto su una panchina fermo rispetto a un ragazzo che si muove in bici nella pista ciclabile davanti alla panchina, ma in moto rispetto al Sole, in quanto sappiamo che la Terra si muove intorno a se stessa e intorno al Sole. In secondo luogo, anche un uomo seduto si muove nel tempo, anzi quanto pi in quiete tanto pi velocemente viaggia nella dimensione temporale. In altre parole, Einstein intuisce che nelluniverso tutto si muove sia spazialmente sia temporalmente. Da questa intuizione deduce che ogni corpo fisico pu distribuire la sua velocit di movimento tra lo spazio e il tempo: se va pi veloce nello spazio va pi lento nel tempo e viceversa. Ecco la ragione di fondo della relativit dello spaziotempo. Sulla base di tale ragione, Einstein si pone un ulteriore problema: ma perch la luce si muove a 300.000 km/s, perch non di pi e non di meno, perch 300 km/s la velocit massima delluniverso e perch solo la luce, ovvero le radiazioni elettromagnetiche, la raggiungono? La risposta di Einstein che tutti i corpi sono dotati di una velocit pari a quella della luce, ovvero 300.000 km/s, solo che ne utilizzano la maggior parte per viaggiare nel tempo e quindi nello spazio sono pi lenti. Pertanto, afferma Einstein, solo la luce ha il privilegio di viaggiare nello spazio a 300.000 km/s perch non si muove nel tempo. In altre parole, i fotoni non invecchiano sono tali e quali come quando si sono formati e tali e quali rimangono. Ma anche questa soluzione apre a Einstein la possibilit di porsi un ennesimo problema: perch la luce pu permettersi di non viaggiare nel tempo? Per risolvere anche questo problema Einstein giunge alla formulazione della tanto semplice quanto rivoluzionaria legge che sintetizza e corona la sua teoria della relativit ristretta:

E=mc2

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Questa formula significa che lenergia cinetica, pi precisamente il suo incremento o diminuzione, uguale al prodotto della massa di un corpo per un enorme coefficiente, il quadrato della velocit della luce. Se lenergia cinetica, cio la velocit, di un corpo aumenta, la massa aumenta proporzionalmente. P.e., anche un granello di polvere se mi colpisce a un alta velocit pu ferirmi, mentre a una bassa velocit innocuo (sempre che non finisca nellocchio). Perch? Perch ad alta velocit la sua massa aumenta e con essa la sua forza durto e di penetrazione. Quanto pi un corpo si avvicina alla velocit della luce tanto pi la sua massa aumenta e tanta pi energia occorre per ottenere un ulteriore aumento della sua velocit. Infatti, la seconda legge della meccanica stabilisce che F=ma (dove a=accelerazione). A una velocit prossima a quella della luce anche la massa pi piccola si approssima a una grandezza infinita e per accelerarla ulteriormente occorrerebbe una forza/energia infinita. Poich niente e nessun pu disporre di unenergia infinita, nessun corpo dotato di massa pu raggiungere la velocit di 300.000 km/s. Perch, allora, il fotone pu raggiungerla? Perch privo di massa, energia pura. La formula conclusiva della relativit ristretta distrugge unaltra certezza della fisica classica: la netta distinzione tra energia/forza, da un lato, e massa/materia, dallaltro. La formula di Einstein, infatti, asserisce lequivalenza di energia e massa, ovvero afferma che sono due conformazioni che una stessa sostanza assume al variare della sua velocit. In altri termini, significa che lenergia massa enormemente velocizzata e la massa energia fortemente rallentata. E, al contempo, che una piccolissima quantit di massa consiste, e quindi pu trasformarsi, in una enorme quantit di energia. Lumanit ne ebbe la tanto tragica quanto inoppugnabile prova quando meno di un etto di uranio si trasform nella pi potente esplosione della storia (fino a quel momento). Era il 6 agosto 1945 e la citt giapponese di Hiroshima fu letteralmente incenerita. Lequivalenza di massa ed energia ribadisce la tesi einsteiana secondo cui tutto si muove, niente fermo, statico, inerte, passivo. Ma tale tesi contiene unulteriore implicazione rivoluzionaria: per la relativit di Einstein non esistono propriamente cose, o corpi, ma solo eventi, cio azioni, movimenti.

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TAPPA 2 EINSTEIN: LA TEORIA DELLA RELATIVITA ALLARGATA O GENERALE

Secondo la teoria della relativit generale, le propriet geometriche dello spazio non sono autonome, ma sono determinate dalla materia. [...] I calcoli indicano [...] che se la materia fosse uniformemente distribuita luniverso dovrebbe risultare di necessit sferico (o ellittico). Poich la materia non uniformemente distribuita nei dettagli, luniverso reale diverger nelle singole parti da quello sferico, cio sar quasi-sferico. Esso sar per necessariamente finito.
A., Einstein, Relativit, parte II, 32 Con la teoria della relativit ristretta (o speciale) Einstein ha conferito piena dignit teorica alla costanza della velocit della luce, ovvero al fatto, gi sperimentalmente comprovato, che la velocit della luce (300.000 km/s) quella massima consentita nelluniverso, una sorta di limite di velocit universale irraggiungibile da tutti i corpi fuorch dalla luce (e da ogni altro tipo di radiazione elettromagnetica). Grazie alla spiegazione teorica einsteiana, infatti, la velocit della luce assurge a unico valore assoluto della fisica. Proprio per questo, per, la teoria della relativit ristretta contraddice la teoria gravitazionale newtoniana, cio la teoria-regina della fisica classica. Per Newton, infatti, la forza gravitazionale una forza che agisce: " da un lato, a distanza nel vuoto, cio fa s che due corpi si attraggano senza alcun contatto tra loro e senza nemmeno un mezzo che ne permetta un contatto indiretto (come, p.e., le onde sonore che partendo da una sorgente si trasmettono al ricevente attraverso il mezzo dellaria); " dallaltro, in modo istantaneo, cio con una velocit infinita (p.e., secondo la teoria gravitazionale newtoniana, se il Sole in questo istante sparisse, immediatamente la Terra partirebbe per la tangente). Dunque le due teorie, quella di Newton e quella di Einstein, almeno per questo aspetto erano incompatibili. E questa incompatibilit che spinge Einstein a proporsi di elaborare una nuova teoria gravitazionale, alternativa a quella newtoniana; ma a tale impresa lo spinge anche, e forse soprattutto, il suo desiderio di affrontare e risolvere il pi grande mistero (cos laveva definito lo stesso Newton) della fisica classica, rimasto insoluto dal 1687, lanno in cui Newton aveva reso pubblica la sua teoria gravitazionale: che cos la forza di gravit? Di cosa fatta? In cosa consiste? Cosa la origina? Newton stesso aveva affermato di essere in grado di descriverla matematicamente in modo perfetto, cio di capire come funzionava, ma non di spiegare, rimanendo su un piano scientifico, cosa fosse e come potesse agire. Addirittura aveva dichiarato lui per primo che la concezione di una forza agente a distanza nel vuoto una assurdit. Per svelare il segreto della forza gravitazionale, Einstein si basa su una nuova, grande intuizione teorica: lequivalenza tra accelerazione e gravitazione. In altre parole, un moto accelerato, secondo Einstein, produce gli stessi effetti, ovvero ha le stesse caratteristiche, di un campo gravitazionale (Einstein riprende da Maxwell il concetto di campo, cio di porzione di spazio in cui in ogni punto presente e agisce una forza). Per spiegare questo nuovo principio di equivalenza, Einstein ricorre a un esperimento mentale, invitandoci a immaginare una larga porzione di spazio vuoto (ovvero in cui non presente alcuna forza) in cui si trovi una grande cassa (delle dimensioni di una stanza) contenente un uomo. Questuomo non subisce nessuna forza gravitazionale, dunque fluttua allinterno della cassa tanto che deve assicurarsi con corde al pavimento per evitare che anche un suo piccolo movimento degli arti lo catapulti verso il soffitto a causa della legge di azione e reazione. (Quello che Einstein ha immaginato quello che noi abbiamo

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visto nei filmati sugli astronauti nelle capsule spaziali in orbita intorno alla Terra.) Sopra il coperchio della cassa, nel lato esterno, continua Einstein, viene fissato un gancio cui legata una corda. A un certo punto la corda viene tirata con forza in crescita costante. La cassa allora comincia a muoversi di moto uniformemente accelerato. Da un altro corpo di riferimento, esterno alla cassa e assunto in quiete rispetto ad essa, la cassa apparir acquisire una velocit sempre maggiore. Luomo nella cassa, invece, comincer a stare in piedi da solo sul pavimento, grazie alla pressione che ora questo esercita su di lui. Se lascia andare un oggetto che prima teneva in mano, egli ora lo vedr cadere sul pavimento. Studiando la caduta di altri oggetti allinterno della cassa, potr constatare che si tratta di un moto uniformemente accelerato. Insomma: la sua situazione fisica la stessa di quella di chi si trova sulla superficie terrestre ed sottoposto alla forza di gravit. Una situazione analoga a quella ipotizzata da Einstein, ma decisamente pi praticabile, quella che possiamo sperimentare allinterno di un ascensore di un grattacielo (solitamente pi veloce) almeno fin quando accelera: ci sembra di essere pi pesanti, ovvero di essere schiacciati verso il pavimento dellascensore. Salvo che dentro lascensore agisce gi la forza gravitazionale e quindi ci sembra di essere pi pesanti del normale. Ipotizzando che la forza gravitazionale cessi e che lascensore salga con unaccelerazione uniforme di 9,8 m/s2 ci sentiremmo esattamente come ci sentiamo quando siamo in piedi sulla superficie terrestre. Ancora, ipotizzando che i cavi dellascensore si spezzino, cadendo ci sentiremmo privi di peso, fluttuanti e immobili come luomo della cassa nello spazio vuoto, dal momento che la nostra accelerazione verso il centro della Terra corrisponde esattamente alla forza gravitazionale e quindi annulla la percezione che ne abbiamo, ovvero la percezione di essere pesanti e pressati verso il pavimento. Einstein si serve del principio di equivalenza tra moto accelerato e forza gravitazionale, innanzitutto, per allargare il suo principio di relativit (fino a questo momento ristretta, cio limitata ai moti inerziali) anche ai moti accelerati, cio a tutti i moti. In che modo? Immaginiamo di essere allinterno di un treno in moto rettilineo uniforme, con le cortine dei finestrini abbassate. Come sappiamo, non possiamo stabilire se siamo in moto o in quiete. Dunque il principio di relativit regna sovrano e con esso lunit della fisica, dal momento che, se non posso stabilire se sono in moto o in quiete, ci significa che i fenomeni fisici sono gli stessi in un corpo in quiete e in uno in moto inerziale. Per, se il treno accelera (o frena) immediatamente lincanto della relativit sembra dissolversi: sento chiaramente che il treno si sta muovendo perch mi sento spinto contro lo schienale del sedile (o viceversa in caso di frenata). Invece, lincanto relativistico non si spezza: grazie al principio di equivalenza posso spiegare la mia sensazione in un altro modo, ugualmente scientifico: il treno fermo, ma entrato in azione un campo gravitazionale la cui sorgente alle mie spalle (oppure davanti a me) e che quindi mi attrae allindietro (oppure in avanti). In tal modo, possibile affermare che i fenomeni fisici sono gli stessi sia in un sistema di riferimento in quiete, sia in uno in moto inerziale, sia in uno in moto non inerziale, cio accelerato (o decelerato). In altri termini, Einstein con la relativit allargata fonda lunit della natura e delle sue leggi, ovvero della scienza fisica. Ma, in secondo luogo e soprattutto, Einstein utilizza lequivalenza tra accelerazione e gravitazione per dissolvere il mistero della forza di gravit. A tal fine, prende in considerazione un caso particolare di moto accelerato, il moto rotatorio. Per esempio, immaginiamo una giostra a alta velocit (del tipo di quelle che nei Luna Park vengono chiamate Tornado o Rotor o Centrifuga), costituita da una piattaforma circolare chiusa con paratie lungo tutta la circonferenza. Quando comincia a ruotare tutti quelli che vi sono saliti sono schiacciati di schiena alle paratie tanto che se anche la piattaforma si inclinasse o, al limite, si rovesciasse, nessuno cadrebbe (ovviamente a seconda della velocit di rotazione). Il moto circolare uniforme della giostra simula un moto accelerato, nel senso che ha gli stessi effetti fisici. Poich la piattaforma un cerchio, il rapporto tra raggio e 283

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circonferenza, per degli osservatori esterni in quiete (noi stessi sospesi in aria, p.e. arrampicati su un alto lampione della luce), pari a 2" (6,28 c.ca). Ipotizziamo che uno degli ospiti della giostra (A), strisciando lungo la piattaforma, ne misuri il raggio, e un altro (B) la circonferenza nel verso del moto. Per la teoria della relativit i corpi in moto si accorciano nel verso del loro moto. Poich A misura il raggio in direzione perpendicolare al verso del moto della giostra, il suo metro non si accorcia e quindi la misura del raggio corrisponde a quella della piattaforma in quiete (ovvero alla lunghezza del raggio come noi la osserviamo dallalto del lampione cui siamo abbarbicati). Invece, il metro di B si accorcia perch posto nella direzione del moto e quindi la lunghezza della circonferenza misurata da B sar maggiore della sua lunghezza a giostra ferma (ovvero della lunghezza della circonferenza come noi la osserviamo dal lampione), in quanto un metro pi corto sta un maggior numero di volte in una stessa lunghezza. Conclusione: il rapporto tra circonferenza misurata da B e raggio misurato da A maggiore di 2", perch il raggio sta un numero maggiore di volte nella circonferenza maggiorata. Ma in questo modo sembra risultati violata la geometria euclidea. Dunque anche Euclide aveva commesso un errore? No, risponde Einstein, la geometria euclidea coerente, logica, ineccepibile. E allora come possibile che i corpi accelerati non ne rispettino le regole? La soluzione di Einstein una rivoluzione nella rivoluzione, perch scardina una concezione millenaria che nessuno aveva mai messo in dubbio, che cio appariva naturale, ovvia. Bisogna pensare, afferma Einstein, che lo spazio reale non coincida con lo spazio della geometria euclidea, cio con lo spazio piano, ovvero lo spazio in cui le 3 dimensioni altezza, larghezza, lunghezza sono rappresentabili come 3 rette perpendicolari luna allaltra. In che altro modo, allora, potrebbero essere rappresentabile? Come si pu configurare uno spazio diverso da quello euclideo? Einstein aiutato a rispondere dalla sua conoscenza delle geometrie non-euclidee, elaborate nel corso dellOttocento sulla base della variazione del V postulato di Euclide: " la geometria iperbolica che, a partire dal postulato che per un punto passano infinite rette parallele a una retta data, costruisce uno spazio concavo (p.e., la superficie di una terrina o, meglio, di una sella), in cui la somma degli angoli interni di un triangolo risulta <180; " la geometria ellittica che, a partire dal postulato che per un punto non passa alcuna retta parallela a una retta data, costruisce uno spazio convesso (p.e., la superficie di un pallone, o della Terra), in cui la somma degli angoli interni risulta >180. Solo che, fino ad Einstein le geometrie non-euclidee erano considerate costruzioni puramente teoriche che poco o nulla avevano a che fare con la realt, mentre Einstein le promuove a descrizioni dello spazio fisico reale. P.e., la piattaforma circolare della giostra in moto assume la forma geometrico-spaziale che avrebbe un cerchio disegnato su una superfie concava a sella. Per farsene unimmagine si pu disegnare su un foglio di carta un cerchio, tracciare al suo interno 3 diametri, poi piegare leggermente allindentro il foglio in modo che il cerchio disegnato si incurvi (piegando invece il foglio allinfuori, si ottiene, sempre approssimativamente, un cerchio ellittico). Oppure, oppure, sempre per avere unimmagine intuitiva della modificazione dello spazio, si pu ricorrere allesperienza degli specchi concavi e convessi del Luna Park (forse Einstein ne era un frequentatore assiduo), che deformano la nostra figura allungandola e assottigliandola, oppure abbassandola e allargandola. Collegando lesperimento mentale della giostra con i nuovi tipi di spazio scoperti dalle geometrie non-euclidee, Einstein pu arrivare a sostenere che i moti accelerati implicano una deformazione dello spazio. Poich laccelerazione equivalente alla gravitazione, Einstein subito dopo pu concludere che il campo gravitazionale consiste in una deformazione dello spazio, pi precisamente nella sua incurvatura. Dunque, il mistero

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della forza gravitazionale comincia a diradarsi: Einstein ha scoperto una prima propriet della gravitazione. Ma non basta. Come si sa, per la relativit ristretta, lo spazio non esiste separatamente dal tempo, e viceversa. Non esistono lo spazio e il tempo, ma esiste lo spaziotempo, il continuum quadridimensionale. Dunque, gi cos intuibile che ci che vale per lo spazio, in rapporto allaccelerazione e alla gravitazione, deve valere in qualche modo anche per il tempo. Perch e in quale modo? Tornando allesperimento della giostra (siamo di nuovo aggrappati al lampione a guardarla girare dallalto), possiamo ipotizzare che B se ne stia fermo contro la paratia, cio su un punto della circonferenza del disco, mentre A seduto in un punto del disco vicino al centro. Entrambi girano allunisono, ma B percorre nel suo moto una circonferenza pi lunga di quella interna percorsa da A, cio B fa pi strada di A nello stesso intervallo di tempo. Ne segue che B sul bordo si muove pi velocemente di A vicino al centro. Per la relativit ristretta, lorologio di B rallenta rispetto a quello di A. Se A si avvicinasse alla paratia, a mano a mano il suo orologio rallenterebbe fino a sincronizzarsi con quello di B. Poich muovendosi dal centro al bordo A aumenta la sua accelerazione, ci significa che laccelerazione produce la deformazione, ovvero lincurvatura, anche del tempo. Facendo due volte 2+2, ne deduciamo che il campo gravitazionale produce lincurvatura dello spaziotempo. Einstein cos pu rispondere alla domanda cui Newton non era riuscito a rispondere (almeno rimanendo sul piano scientifico): che cos la gravit? La risposta , appunto, lincurvatura dello spaziotempo, cio una propriet o conformazione dello spaziotempo. Ma non ancora finita, perch Einstein, come ognuno di noi a questo punto, non pu non chiedersi: cosa produce lincurvatura dello spaziotempo? Questa volta la risposta, strettamente legata alla teoria newtoniana, : la massa, cio la presenza di corpi materiali in diversi punti dello spaziotempo. P.e., nel nostro sistema planetario, il Sole, loggetto di massa maggiore, incurva lo spaziotempo circostante con unintensit direttamente proporzionale alla sua massa e inversamente proporzionale al quadrato della distanza dal suo centro. Per tradurlo visivamente (sempre in modo approssimativo), possiamo immaginare lo spaziotempo (anche se riusciamo a visualizzare solo lo spazio) come un telo elastico al cui centro ci sia una boccia molto pesante. La boccia produce nel telo elastico una specie di buca (o una specie di cratere) la cui pendenza (a imbuto) maggiore intorno alla boccia e sempre minore a mano a mano che ci si allontana dalla boccia. Se una pallina da ping-pong fosse fatta rotolare sul telo fino a superare il bordo della buca/imbuto vi cadrebbe dentro con una accelerazione sempre maggiore a mano a mano che si avvicina alla boccia in quanto la parete della buca diventerebbe sempre pi verticale. Se sostituiamo alla pallina da ping-pong un oggetto, p.e. un vaso lasciato cadere da un balcone, e alla boccia la Terra, abbiamo la spiegazione della caduta dei gravi e della legge (terrestre) di accelerazione (9,8 m2/s) nella versione offerta da Einstein. Se la pallina da ping-pong avesse una sufficiente dose di energia cinetica, e se fosse annullato lattrito del telo e dellaria, essa, una volta entrata in buca, continuerebbe a ruotare sul suo bordo intorno alla boccia, come i ciclisti o le auto da corsa sulle curve paraboliche. Se sostituiamo alla boccia il Sole e alla pallina da ping-pong la Terra (o Giove o Marte), otteniamo la spiegazione dei moti orbitali ellittici dei pianeti (e dei satelliti intorno ai pianeti) secondo Einstein. Solo che questa descrizione assai limitata, non solo perch solo spaziale ma anche perch solo bidimensionale. Anche lincurvatura del solo spazio 3D, a tre dimensioni, cio la buca di prima dovremmo immaginarla tridimensionale, una specie di buca sferica in cui si pu cadere da sopra, da sotto e da ogni lato. Ma con un ulteriore slancio immaginativo ci si pu avvicinare. Ancora pi difficile, per non dire impossibile, visualizzare, e quindi rendere almeno un po intuitiva, la curvatura del tempo. Essa, comunque, comporta che un orologio rallenti tanto pi quanto pi aumenta lintensit di un campo gravitazionale. P.e., in unastronave che 285

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viaggi verso il Sole, il tempo rallenta quanto pi lastronave si avvicina al Sole anche per il solo effetto del campo gravitazionale (cio senza considerare la velocit dellastronave), rispetto a noi rimasti sulla superficie della Terra. E importante considerare che in tal caso (a differenza che nei moti inerziali) il sistema di riferimento degli astronauti e il nostro non sono simmetrici. In altre parole, nellambito dei fenomeni gravitazionali (e accelerati o decelerati) si pu stabilire chi in quiete rispetto a chi in modo univoco. Nellesempio, il tempo degli astronauti pi vicini al Sole rallenta rispetto al nostro e sarebbe erroneo pensare che per gli astronauti il nostro tempo rallenti rispetto a loro. Dunque, mentre Newton aveva concepito la forza gravitazionale come una specie di laccio invisibile e immateriale (assurdo!) con cui il Sole (come fosse un cow-boy) afferra e fa ruotare intorno a s i pianeti (come fossero cavalli da domare: insomma una grande rodeo planetario); Einstein descrive il campo gravitazionale come una grande curva parabolica dello spazio che costringe i pianeti a curvare le loro traiettorie in quanto non possono che muoversi nello spazio, come unauto da corsa nella pista (con la differenza che i pianeti non possono mai uscire di pista, a meno che il Sole sparisca). In altre parole, nella versione di Einstein, la gravitazione non una forza che agisce a distanza nel vuoto, bens grazie al contatto tra i corpi e lo spazio-campo gravitazionale (tenendo presente che lenergia gravitazionale pu avere la forma sia di unonda sia di uno sciame di corpuscoli, i gravitoni). Ci si potrebbe chiedere: una curva parabolica la si pu percorrere pi in alto o pi in basso: quale delle possibili traiettorie curve intorno al Sole percorrono i pianeti e perch? La risposta di Einstein semplice: quella pi facile per ognuno di loro, cio quella che comportano il minor consumo di energia cinetica. Naturalmente Einstein descrive la sua nuova teoria gravitazionale anche, e anzi innanzitutto, in forma matematica. In tal senso, le sue equazioni dimostrano che la forza gravitazionale si muove alla stessa velocit della luce e dunque a velocit finita, bench la massima consentita nelluniverso. Per comprenderlo in modo intuitivo, torniamo al precedente esempio del telo elastico: quando vi si pone al centro la boccia la buca intorno ad essa non si forma immediatamente, la curvatura dovuta al peso della boccia si propaga nel telo gradualmente come londa prodotta da un sasso lanciato in uno stagno. Quindi se il Sole sparisse in questo momento (se la boccia fosse tolta dal telo) passerebbero 8 minuti (il tempo che un raggio di luce impiega a percorrere la distanza Sole-Terra) prima che la Terra partisse per la tangente. Su questa base, a differenza di quella di Newton, la teoria gravitazionale di Einstein si accorda con la teoria della relativit ristretta. Ci non significa che per Einstein la teoria newtoniana sia del tutto erronea e quindi da archiviare. Einstein, infatti, la considera un sottoinsieme della teoria della relativit generale, cio una teoria valida, e la cui celebre formula era quindi ancora utilizzabile, ma con un grado di precisione inferiore. Tanto la teoria della relativit ristretta quanto quella della relativit generale sono elaborate da Einstein a tavolino, ovvero in modo teorico-matematico, sulla scorta di dati sperimentali gi noti. In altre parole, Einstein non autore di scoperte sperimentali (almeno nellambito della teoria della relativit) e nemmeno di esperimenti di controllo della sua teoria. Per, in primo luogo, trova una prima conferma sperimentale applicando le sue equazioni gravitazionali al calcolo dellorbita di Mercurio. Perch proprio Mercurio? Perch la formula di Newton si applicava adeguatamente alle orbite osservate degli altri pianeti (quelli noti dallantichit) ma non a quella di Mercurio che presentava unanomalia, la precessione del perielio, cio una piccola deviazione rispetto allorbita prevista dalla legge gravitazionale newtoniana. Invece, in base alle equazioni einsteiane, la descrizione dellorbita di Mercurio coincide con lorbita osservata, ovvero include e spiega la precessione del perielio. La teoria della relativit generale, per, trova una conferma sperimentale ancora pi importante. E Einstein stesso a suggerire come mettere sperimentalmente alla prova la 286

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sua teoria gravitazionale: verificando se i raggi stellari che da una stella arrivano alla Terra, passando vicino al Sole, sono o non sono deflessi, cio deviati dal campo gravitazionale solare. Nel 1919, lo scienziato inglese Eddington, approfittando di uneclissi solare, verifica che effettivamente i raggi solari non solo sono deflessi ma soprattutto lo sono proprio nella misura deducibile dalle equazioni di Einstein: 0.00049 gradi.

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TAPPA 3 PLANCK, EINSTEIN, BOHR, DE BROGLIE, HEISENBERG, SCHRDINGER, BORN, PAULI, FEYNMAN, BELL E MOLTI ALTRI: LA TEORIA DEI QUANTI Occorre essere molto prudenti nella fraseologia di una qualunque affermazione concernente il comportamento delle particelle atomiche. Infatti non abbiamo assolutamente bisogno di parlare di particelle. Per molte esperienze pi comodo parlare di onde corpuscolari [...]. Ecco perch Bohr ha sostenuto la necessit di utilizzare due immagini che ha chiamato complementari. W. Heisenberg, Fisica e filosofia Un tempo i giornali scrivevano che solo dodici uomini al mondo erano in grado di capire la teoria della relativit. Non penso che sia vero. Forse c stato anche un momento in cui un uomo solo ne capiva qualcosa, perch era lunico che ci stava pensando, prima di scrivere il suo articolo. Ma dopo la pubblicazione, la teoria stata capita da molta gente, certo pi di una dozzina di persone. Invece penso di poter affermare con sicurezza che nessuno capisce la meccanica quantistica. R. Feynman, La legge fisica, Boringhieri 1996 (1965), p. 140 La meccanica quantistica dice che la natura assurda dal punto di vista del senso comune. E concorda pienamente con gli esperimenti. Quindi spero che accetterete la natura per quello che : assurda. R. Feynman, QED, La strana teoria della luce e della materia, Adelphi 1989 (1988), p. 15 Se nellambito dellelettrodinamica emerge lanomalia della costanza della velocit della luce, i fisici termodinamici vedono la loro costruzione teorica incrinarsi a causa della scoperta di unaltra anomalia, quella del cosiddetto corpo nero. Questo il nome un po sinistro, forse non per caso che gli scienziati danno a una specie di forno utilizzato per alcuni esperimenti sullemissione e lassorbimento dellenergia elettromagnetica: un parallelepipedo di metallo ermeticamente chiudibile e isolato, tranne che per un piccolo foro laterale indispensabile per osservare cosa accade al suo interno (che dunque risulta buio) riducendo al minimo la dispersione di energia allesterno. Riscaldandolo a 180 il suo colore diventa rosso scuro, poi giallo e infine bianco intenso (quello che gli antichi alchimisti chiamavano calor bianco, che altro non che emissione di luce). Ma il problema che gli scienziati si pongono non riguarda il technicolor, bens il calcolo dellenergia totale delle onde elettromagnetiche presenti allinterno del forno riscaldato. Dalla teoria elettromagnetica di Maxwell si deduce necessariamente che dentro il forno possono generarsi solo onde con un numero intero di picchi e di ventri, in modo tale che ogni onda si incastri esattamente tra le pareti. Questo vincolo, naturalmente, riduce enormemente il numero delle onde che un forno pu contenere (vietando onde di lunghezza corrispondente, p.e., ai numeri irrazionali). Tuttavia, i numeri interi sono infiniti e dunque nel forno possono generarsi infinite onde. Poich le leggi della termodinamica stabilivano che ogni tipo donda, indipendentemente dalla sua lunghezza, fornisse la stessa quantit denergia, la conclusione manifestamente inaccettabile: nel forno si dovrebbe sviluppare unenergia infinita! Pertanto lesperimento del corpo nero sembra smentire uno dei gioielli della scienza ottocentesca: appunto la teoria termodinamica.

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Nel 1900, il fisico tedesco Max Planck riesce a disinnescare lanomalia del corpo nero, sulla base di unintuizione fondamentale: lenergia non continua, ma discontinua, ovvero discreta. In parole pi semplici, costituita di pacchetti, ovvero di grumi energetici, cio segmentata in quantit minime, chiamate tecnicamente quanti. In termini scientifici, ossia pi precisamente, Planck elabora la legge quantistica dellenergia: lenergia si trasmette solo in valori interi, esattamente in multipli interi di una grandezza minima data dal prodotto della frequenza dellonda (v) e di un coefficiente ultraminuscolo (1,05 x 10-27 g x cm2/s, aritmeticamente equivalente circa a un miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo) chiamato costante di Planck (h). Lincredibile piccolezza di h importante, perch spiega come mai la realt fisica (che fatta di energia, spazio compreso, in quanto pervaso di energia gravitazionale) ci appaia continua mentre discreta: i quanti sono talmente piccoli e fitti che neanche con il pi potente microscopio possibile distinguerli e dunque ci sembrano un tuttuno. Come un quadro divisionista che visto da lontano sembra dipinto con colori continui, mentre visto da vicino ci accorgiamo che composto da tanti puntini separati luno dallaltro; oppure come una scala con gradini di altezza talmente piccola che, osservata a una certa distanza, ci appare uno scivolo. Planck sintetizza la sua legge nella formula: E=hv. Questa formula significa che lenergia di un onda direttamente proporzionale alla sua frequenza (e quindi inversamente proporzionale alla sua lunghezza) e che ogni tipo donda composta da pacchetti di energia di quantit appunto pari al prodotto della sua frequenza per h. Forte della sua formula, Planck affronta e risolve lenigma del corpo nero ipotizzando che al suo interno le onde che hanno una frequenza maggiore di un certo valore/soglia (ovvero quelle pi corte), e che dunque sono composte da pacchetti energetici sempre pi grandi, non forniscono apporto energetico. In altre parole, stranamente ma realmente, lenergia complessiva che si sviluppa allinterno del corpo nero fornita unicamente da un numero finito di onde pi lunghe e quindi la sua quantit totale, per quanto possa essere grande, rimane pur sempre finita. Per comprendere meglio la spiegazione di Planck, si pu ricorrere a questo esempio analogico: dobbiamo comprare una bibita da una distributrice automatica che funziona solo con monete da 10, 20, 50 centesimi di euro e non d resto; una bibita costa 80 centesimi. Se inseriamo nella distributrice 8 monete da 10, 4 da 20 o 1 da 50 e 3 da 10 o una da 20 e una da 10, otteniamo una bibita; se inseriamo una moneta da 1 # o da 2 # la distributrice si tiene le monete ma non ci eroga la bibita (naturalmente si tratta di speciali bibite energetiche, tipo quelle per gli atleti; e altrettanto naturalmente non si pu protestare per riavere indietro gli euro incautamente inseriti). Appresa la legge di Planck, Einstein la utilizza per spiegare il fenomeno sperimentale, detto effetto fotoelettrico, dellemissione di elettroni da parte di alcuni metalli quando sono investiti dalla luce. Secondo Einstein, anche la luce che, ricordiamoci, un tipo di radiazione/onda elettromagnetica ha una natura quantistica, cio costituita da grumi minimi di energia, chiamati fotoni. In altre parole, la luce uno sciame di fotoni (una lampadina da 10 W emette circa 100 miliardi di miliardi di fotoni al secondo) i quali, se sufficientemente energetici, come minuscoli proiettili colpiscono gli elettroni pi esterni degli atomi di metalli e li sbalzano via. In questo modo, Einstein d una connotazione fisica alla legge di Planck, che di per s solo una funzione matematica, ridando attualit allipotesi di Newton, che aveva sostenuto che la luce aveva una natura corpuscolare. La teoria fotonica della luce di Einstein apre un conflitto nella comunit scientifica, che fino alla scoperta einsteiniana era convinta che la luce avesse invece una natura

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ondulatoria. Tale convinzione si basa sul famoso esperimento delle due fenditure effettuato da Young allinizio dell800. Esso consta di 3 elementi: 1. una sorgente di luce (una semplice lampadina); 2. una lamina opaca con due fenditure verticali, cio due aperture rettangolari perpendicolari rispetto alla base della lamina e tra loro parallele; 3. una lastra fotografica, e quindi impressionabile dalla luce, posta dietro alla lamina. Dopo aver acceso la luce la lastra fotografica mostra un disegno chiamato figura dinterferenza, cio unalternanza di strette strisce verticali nere (cio non colpite e dunque non impressionate dalla luce) e bianche (colpite e quindi impressionate dalla luce), che si sfumano verso i bordi della lastra che rimangono del tutto neri. Questo disegno era stato giudicato da Young la prova sperimentale della natura ondulatoria della luce. Infatti, le onde possono interagire tra loro amplificando o cancellando i loro effetti. P.e., quando due onde marine per cos dire si incastrano (ovvero quando i picchi delluna collimano con quelli dellaltra e i ventri delluna con quelli dellaltra) rafforzano linnalzamento (picchi) o labbassamento (ventri) dellacqua; quando invece, per cos dire, si scontrano (ovvero quando i picchi delluna toccano i ventri dellaltra e viceversa) attenuano o addirittura annullano sia linnalzamento sia labbassamento dellacqua (che dunque rimane liscia come se non ci fossero onde). Similmente, le onde luminose, dopo essere passate per le due feritoie, in alcuni casi si incastrano in altri si scontrano, per cui alcune arrivano a toccare la lastra (impressionandoloa, cio producendo le bande verticali bianche), altre si annullano a vicenda (ed ecco perch delle bande rimangono nere: il fenomeno dellinterferenza impedisce che le onde luminose arrivino a impressionare la lastra fotografica nelle aree che rimangono appunto nere, cio non impressionate). Per comprendere appieno il significato dellesperimento delle due fenditure, bisogna tener presente che se al posto della sorgente di luce ci fosse una mitragliatrice che sparasse proiettili allimpazzata nella direzione delle feritoie della lastra, sul muro retrostante (meglio non usare una lastra fotografica: non ce n bisogno per rilevare dove finiscono i proiettili e andrebbe subito in pezzi) si disegnerebbero due fasce rettangolari verticali senza intonaco in corrispondenza delle feritoie della lastra. E intuitivo perch. Ma cos dovrebbe risultare ancora pi intuitivo capire perch il fatto che la luce, passando dalle due feritoie, produca una figura dinterferenza (e non due sole bande bianche) confuta la tesi che essa abbia una natura corpuscolare: se fosse fatta di fotoni, la luce dovrebbe produrre lo stesso effetto dei proiettili della mitragliatrice. Dunque, lesperimento delleffetto fotoelettrico avvalora lipotesi che la luce sia corpuscolare, mentre lesperimento delle due fenditure corrobora lipotesi che la luce abbia natura ondulatoria. In altre parole, ci sono due esperimenti contraddittori. Com possibile? Naturalmente, gli scienziati si impegnano a risolvere il nuovo enigma, ripetendo gli esperimenti e ideandone nuove varianti. Una di queste, per, fornisce un risultato ancora pi stupefacente ed enigmatico. Si tratta di un esperimento identico a quello di Young, tranne per un decisivo particolare: la sorgente luminosa emette un quanto di energia luminosa, cio un fotone, alla volta, con un intervallo di alcuni secondi tra luno e laltro. Dopo molto tempo, si controlla la lastra fotografica. Come risulta impressionata? Con la stessa figura dinterferenza che si era formata nella prima versione youngiana dellesperimento. Se prima era difficile pensare che molti fotoni costituissero unonda, capace di attraversare entrambe le fenditure e poi interferire con altre onde formate da altri fotoni; ora sembra impossibile credere che un solo fotone possa costituire unonda capace di passare per entrambe le fenditure e interagire con se stessa! Daltra parte quale altra spiegazione si potrebbe dare? Il mistero si infittisce.

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C di pi: chiudendo prima la fenditura di destra e sparando un fotone alla volta per un certo tempo, poi chiudendo quella di sinistra e riaprendo quella di destra e sparando di nuovo un fotone alla volta per un certo tempo, sulla lastra non risulta la figura dinterferenza, ma due pi grandi bande bianche verticali in corrispondenza delle fenditure. Insomma, in questo caso i fotoni si comportano come i proiettili della mitragliatrice. La contraddizione ancora pi diretta e acuta. Com possibile che quando entrambe le fenditure sono aperte ovvero ci sono pi possibilit di colpire la lastra fotografica i fotoni non riescono a colpire parti della lastra che invece colpiscono quando aperta una sola fenditura, cio quando le possibilit di colpire la lastra si restringono? Sarebbe come dire che fotoni che potevano passare per la fenditura sinistra, quando solo questa era aperta, non riescono pi a passarci quando aperta anche laltra! Come se non bastasse, lo scienziato francese De Broglie prov a ripetere i vari tipi di esperimenti delle due fenditure, utilizzando, invece della luce, degli sciami di elettroni. Per la fisica classica gli elettroni erano indubitabilmente delle particelle dotate di massa a riposo, e come tali ben distinti dalle onde elettromagnetiche (tra cui la luce) prive di massa a riposo. Ma De Broglie, sulla scorta degli esperimenti relativi alla luce, sospetta che cos come la luce, che sembrava unonda, mostra di avere anche propriet corpuscolari, simmetricamente lelettrone, che sembrava una particella, possa manifestare propriet ondulatorie. I risultati sperimentali confermano la sua intuizione: gli elettroni impressionano la lastra negli stessi modi dei fotoni, in particolare formano figure dinterferenza quando entrambe le fenditure della lastra sono aperte. E un esito clamoroso che, da un lato, conferma lequivalenza materia/energia, gi teorizzata da Einstein (E=mc2), dallaltro, attesta la doppia natura di tutte le particelle elementari: fotoni, elettroni, protoni, neutrini che siano, tutti sono sia onde sia corpuscoli! Il fisico danese Bohr si assume la responsabilit, e lonore, di sancirlo ufficialmente, enunciando il principio di complementarit, secondo il quale tutte le particelle elementari, cio tutti i costituenti primi della massa/energia, devono essere considerati scientificamente sia onde sia corpuscoli, ovvero n onde n corpuscoli. Ma in tal modo la scienza non infrange il venerando principio di non-contraddizione? Per i fisici classici s, ma per Bohr no perch egli stabilisce che la doppiezza delle particelle elementari ha un limite: esse non mostrano e non possono mostrare entrambe le nature contemporaneamente, cio nellambito di uno stesso tipo di esperimento. Questo vincolo per Bohr sufficiente a salvaguardare la scienza dalla sovversione della logica elementare, presupposto di qualsiasi discorso razionale, senza daltra parte impedirle di spiegare la realt. Quasi contemporaneamente, il fisico tedesco Heisenberg enuncia un secondo principio fondamentale della teoria quantistica, destinato a diventare ancora pi celebre: il principio di indeterminazione, secondo il quale non possibile determinare allo stesso tempo sia la posizione sia la velocit di una particella elementare. Pi precisamente, Heisenberg stabilisce che la precisione della misurazione della velocit di una particella inversamente proporzionale alla precisione della misurazione della sua posizione, per cui quanto pi si misura precisamente la velocit tanto pi rimane indeterminata la posizione e quanto pi si misura precisamente la posizione tanto pi rimane indeterminata la velocit. Come mai? A causa delleffetto di disturbo prodotto dallosservazione. La perturbazione dellosservazione conoscitiva sulloggetto conosciuto era nota anche ai fisici classici che, di conseguenza, avevano introdotto nel protocollo dei propri esperimenti metodi e tecniche per renderla praticamente nulla. Un esempio analogico: io posso osservare la posizione di una pallina da baseball in volo colpendola con una mazza e deviandola, oppure sfiorandola con la guancia e quindi non interferendo con il suo moto. Ma la seconda modalit nel mondo microscopico dei quanti non possibile. Perch? In 291

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prima approssimazione, Heisenberg risponde che le osservazioni delle particelle elementari si basano sulla luce, la cui energia non pu essere ridotta a meno di un quanto, cio di un fotone. Ma un fotone sufficiente a perturbare un elettrone o un protone osservati. Pi precisamente: lenergia di un fotone direttamente proporzionale alla frequenza della sua onda e quindi inversamente proporzionale alla lunghezza della sua onda. Per localizzare una particella elementare, pi londa lunga, meno precisa la localizzazione (immaginate di voler localizzare un oggetto normale, p.e. un quaderno, su un pavimento, utilizzando una rete: pi le sue maglie sono larghe pi la localizzazione vaga; pi sono strette, ovviamente mai pi piccole del quaderno, pi la localizzazione precisa). Dunque per localizzarla precisamente occorrerebbero onde luminose corte. Ma a queste corrisponde una grande frequenza, dunque una grande energia, quindi una forte perturbazione del moto della particella (pi o meno come leffetto della mazza da baseball sulla pallina) che impedisce di misurarne con precisione la velocit. E viceversa. Per capire leffetto dirompente del principio di indeterminazione, bisogna ricordare che, nella fisica classica, velocit e posizione di un corpo sono i due elementi necessari e sufficienti per prevederne il comportamento futuro e passato. Allinizio dell800 Laplace aveva di fatto enunciato il principio di determinazione della fisica classica, affermando appunto che se fosse possibile conoscere velocit e posizione di tutti i corpi delluniverso in un solo istante, sarebbe possibile ricostruire tutto il passato e prevedere tutto il futuro delluniverso stesso. Ora il determinismo laplaciano, condiviso da quasi tutta la comunit scientifica ottocentesca, crolla: poich non mai possibile conoscere al contempo velocit e posizione anche di una sola particella elementare, per principio impossibile determinarne il comportamento, tanto quello passato quanto quello futuro. Per un altro aspetto, il principio di indeterminazione fornisce quantomeno un inquadramento teorico alla anomalia del comportamento di fotoni ed elettroni messo in luce ( proprio il caso di dirlo) dagli esperimenti delle due fenditure, in particolare quelli in cui fotoni ed elettroni sono centellinati, cio emessi uno alla volta. Come pu uno stesso fotone passare per entrambe le fenditure? Ovvero, come pu un elettrone che passa per la fenditura A quando quella B chiusa, non passarvi pi quando anche B aperta? Una prima risposta che il suo comportamento indeterminato e indeterminabile. Ma naturalmente la scienza non pu rinunciare alla spiegazione e alla previsione, a meno di rinnegare se stessa. Pertanto i fisici quantistici rinunciano s al determinismo, ma non alla ricerca di metodi capaci di poter spiegare e prevedere almeno parzialmente i comportamenti quantistici. Cos, ulteriori studi e ricerche, permettono loro di mettere a punto due metodi efficaci: " un metodo probabilistico basato sul concetto di ampiezza donda (e la relativa formula matematica detta funzione donda), dovuto soprattutto ai fisici Schrdinger, austriaco, e Born, inglese di origine tedesca; " un metodo statistico basato sul concetto di somma dei cammini (e la relativa formula detta integrale di Feynman) dovuto al fisico statunitense Feynman. Quanto al primo metodo, ricordato che lampiezza di un onda la sua altezza (nelle onde sonore maggiore lampiezza maggiore il volume del suono), esso si basa sullassunto, sperimentalmente testato, che la probabilit di trovare una particella in un certo punto della sua onda direttamente proporzionale allampiezza. Immaginiamo un piano ondulato con delle colline pi o meno alte: la probabilit maggiore che una particella elementare si trovi sul colle pi alto. Poniamo che un colle/ampiezza sia il doppio di un altro. Allora ci sar il doppio di probabilit di trovare la particella sul primo rispetto che sul secondo. Ci significa che, considerando i moti di pi particelle, mediamente ogni due volte che una particella si localizza sul colle/ampiezza pi alto, una volta si localizza su 292

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quello alto la met. Insomma, secondo Schrdinger e Born, il comportamento quantistico poteva essere spiegato e previsto in base al calcolo probabilistico, che era gi stato sviluppato e usato dalla fisica classica per prevedere i moti delle molecole dei gas. Lenigma dellesperimento delle due fenditure, in tal senso, era almeno parzialmente risolto pensando che ogni fotone/elettrone ha una certa probabilit di passare dalla fenditura A ma anche una certa probabilit di passare dalla fenditura B e che quindi queste due funzioni donda (o onde di probabilit) interferiscono tra loro. Feynman decisamente pi radicale. Secondo lui bisogna assumere non solo che una particella passi contemporaneamente per entrambe le fenditure ma anche che percorra tutte le traiettorie possibili dalla sorgente alla lastra, ovvero che passi sia solo da una fenditura, sia solo dallaltra, o ancora che vi passi dopo aver zigzagato tra la lamina e la lastra, per non dire dopo aver girato intorno alla Luna, ecc. insomma, sarebbe come dire che, prima di decidere quale percorso fare, una particella li prova tutti e poi ne sceglie uno e lo percorre. (Chiaro no? No? Allora avete capito!) Il metodo messo a punto da Feynman per prevedere il percorso effettivo della particella consiste nellassegnare un numero a tutti i percorsi annusati (i cammini) e poi farne la media: il percorso di volta in volta risultante da questa particolare somma dei cammini quello buono. (Insomma: il percorso, non un percorso. Chiaro? No? C.s.!) I risultati matematici del metodo della somma dei cammini coincidono perfettamente con quelli della funzione donda. Ossia: una nuova dualit complementare, due interpretazioni fisiche degli eventi sperimentali per del tutto convergenti negli esiti matematici e pertanto entrambe scientificamente valide. Non ancora tutto. Sulla base dei risultati teorici e matematici conseguiti, i fisici quantistici proseguono la loro ricerca con nuovi e sempre pi raffinati esperimenti che li convincono definitamente di quattro propriet, tanto fondamentali quanto assurde, delle particelle elementari: " la sovrapposizione di stati, cio il fenomeno gi evidenziatosi nei primi esperimenti delle due fenditure, della compresenza simultanea di una particella in pi luoghi; " l effetto tunnel, per il quale una particella possiede un certo grado di probabilit di attraversare regioni spaziali che le sarebbero precluse (p.e. esempio per la presenza di una forza repulsiva), che sarebbe come dire ma solo un esempio analogico che noi avremmo una buona probabilit di passare attraverso un muro (se fossimo una particella elementare, ma essendo invece un aggregato di miriadi di particelle, la nostra probabilit effettiva di attraversare un muro si approssima allo zero, in modo tale che dovremmo aspettare molto pi di 15 miliardi di anni, let stimata delluniverso, perch possa davvero accaderci: dunque, armiamoci di santa pazienza!); " la fluttuazione energetica: tutte le particelle si redistribuiscono continuamente lenergia complessiva delluniverso, in modo tale che ognuna pu sempre, per cos dire, prenderne in prestito una quota per incrementare la propria energia, allunica condizione di restituirla tanto pi rapidamente quanto maggiore il prestito ottenuto, in modo tale da poter superare un ostacolo (immaginiamo analogicamente un dosso) che altrimenti non sarebbero state in grado di superare (un caso particolare di effetto tunnel) o addirittura in modo tale da generarsi dal vuoto, ovvero dal nulla (apparente, perch per la fisica quantistica, tutto lo spazio pervaso di energia), come nel caso delle cosiddette particelle virtuali, p.e. un elettrone e un positrone (lantiparticella dellelettrone) che appaiono improvvisamente in uno spazio apparentemente vuoto, ma solo per poche frazioni di frazioni di secondo, perch subito si annichiliscono a vicenda, avendo carica opposta; 293

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l entanglement (intreccio, correlazione), consistente nel fatto che due particelle possono scambiarsi informazioni in modo istantaneo anche a distanza di milioni di anni luce, in modo tale che, p.e., se una muta il suo spin (il verso di rotazione sul proprio asse) immediatamente lo muta anche laltra.

Questi effetti speciali delle particelle elementari danno luogo e come sarebbe potuto essere altrimenti? a numerose interpretazioni filosofiche, le pi significative delle quali sono:
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quella di Einstein e di altri fisici: la teoria dei quanti una teoria incompleta, in quanto non riuscita ancora a scoprire delle variabili nascoste, grazie alla conoscenza e al calcolo delle quali i comportamenti quantistici perderebbero tutte le loro stranezze e sarebbero spiegabili in modo del tutto coerente con la teoria della relativit (Einstein pro domo sua?); quella mentalistica: la natura in s caos, ma losservazione conoscitiva delluomo le impone un ordine, ovvero le particelle sanno di essere osservate e calcolate e allora e solo allora, in relazione alla mente umana, si comportano regolarmente (p.e. si manifestano in un luogo ben preciso, rinunciando alla loro ubiquit, almeno temporaneamente); quella degli universi paralleli: non esiste un solo universo infinito, esistono infiniti universi infiniti e paralleli, che per in qualche modo sono in relazione tra loro cosicch una stessa particella in un universo in un luogo, in un altro in un altro luogo, ecc. Tutte le sue infinite dislocazioni negli infiniti universi sono per collegate tra loro e questo spiega perch, p.e., una particella pu sembrarci contemporaneamente in pi luoghi.

Al di l delle interpretazioni filosofiche, la teoria quantistica ottiene conferme sperimentali e perfezionamenti teorico-matematici per tutto il 900, sicch indubbio che la rivoluzione scientifica moderna ha riproposto un nuovo dualismo nellambito della fisica: quello tra la teoria della relativit e la teoria dei quanti, ossia tra la fisica dei corpi macroscopici e delle massime grandezze e la fisica dei corpi microscopici e delle grandezze minime. Le due teorie, infatti, non sono compatibili almeno per due aspetti: a) lo spaziotempo per la teoria relativistica continuo, per la teoria quantistica discreto, ossia discontinuo; b) per la teoria relativistica linformazione non pu trasmettersi a velocit superiori a quella della luce, mentre per la teoria quantistica pu trasmettersi istantaneamente, cio a velocit infinita. Naturalmente la ricerca scientifica attuale ha come obiettivo fondamentale lunificazione delle due teorie. Negli ultimi anni lobiettivo stato avvicinato ma non ancora raggiunto.

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VIAGGIO III LA FILOSOFIA DELLA SCIENZA POST-RIVOLUZIONARIA Canocchiale su Lorizzonte storico-culturale 1914-1945 La II guerra dei Trentanni Alcuni storici hanno denominato il periodo 1914-1945 la II guerra dei Trentanni, volendo cos sottolineare che il suo fondamentale carattere bellico. E certamente fuor di dubbio che questo trentennio aperto e chiuso dalle 2 pi cruente guerre della storia mondiale, che insieme occupano un terzo della sua durata, e che i restanti 20 anni centrali sono connotati prima dagli effetti delluna e poi dalle premesse dellaltra. In questo senso non forzato concepire le due guerre mondiali come il primo e il secondo tempo di ununica guerra di cui il periodo intermedio rappresent un lungo armistizio, o una pace armata, se non addirittura una guerra fredda, cio una guerra strisciante, non ancora dichiarata e combattuta apertamente. Questa interpretazione appare ancor pi convincente se consideriamo che lo spartiacque dellintero periodo costituito dalla grande crisi economica mondiale del 1929 che ebbe la funzione di trait dunion tra le due guerre calde non solo perch fu una delle conseguenze strutturali della prima e una delle cause determinanti della seconda, ma anche perch innesc una nuova fase di guerra economica, di proseguimento della I guerra mondiale con mezzi economici e politici e spinse a cercare una sua soluzione nella guerra aperta, la II guerra mondiale, che in questo senso non altro che il proseguimento della guerra economico-politica con mezzi militari. Ma ancora pi chiaramente la tesi della II guerra dei Trentanni trova conferma nelle numerose e devastanti guerre civili che insanguinano lEuropa nel ventennio 1916-1939: la guerra civile russa, conseguente alla rivoluzione del 1917, e le guerre civili italiana, tedesca e spagnola (solo per citare le maggiori), premesse dellinstaurazione dei regimi dittatoriali fascista, nazista e franchista. Da queste guerre civili, inoltre, prende avvio la costruzione dei totalitarismi in Unione sovietica, Italia e Germania, i quali con la loro violenza legale sistematica e generalizzata, e in particolare con il ricorso al metodo dello sterminio degli oppositori, reali o immaginari, rappresentano il suggello del carattere bellico del periodo. Non a torto, anche se facendone un indebito uso insieme assolutizzante e assolutorio, alcuni storici hanno interpretato il periodo considerato come caratterizzato essenzialmente da una guerra civile europea, che si combatt al tempo stesso tra Stati nemici e, allinterno degli Stati, tra fazioni politiche di diverso orientamento ideologico (liberaldemocratico, nazifascisma, comunista). La genesi del Novecento come secolo del Male Questinterpretazione tanto pi significativa in quanto gli eventi storici compresi nel periodo 1914-1945 sono quelli che hanno dato la loro impronta allintero Novecento, inteso come secolo del Male, ovvero come il secolo in cui lumanit ha compiuto e al contempo ha subito i crimini peggiori e pi vasti, pi generalizzati, contro i diritti delluomo. Basti pensare che gli storici hanno stimato in 187 milioni gli individui uccisi direttamente o indirettamente a causa della violenza di altri uomini. Di questi circa 36 milioni sono vittime di guerre classiche, le restanti 150 di repressioni, deportazioni, stermini, genocidi, guerre civili, dovute allazione repressiva degli Stati e allazione militare di movimenti sovversivi. Dopo la fine della Grande guerra, i diversi moventi della quasi totalit di questi morti sono riconducibili al conflitto mondiale a 3 tra Stati democratico-capitalistici occidentali (USA, GB, F), totalitarismo nazifascista e totalitarismo comunista, un conflitto che impervers 295

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nel mondo fino al crollo dellURSS nel 1991. Se, in una prima fase, ovvero nella II guerra mondiale, lalleanza tattica tra stati democratico-capitalistici e totalitarismo comunista consent lannientamento del totalitarismo nazi-fascista, in una seconda fase, ovvero durante la cosiddetta guerra fredda (1947-1989), si scontrarono Stati democraticocapitalistici e totalitarismo comunista. In entrambi i casi la continuit storica con la I guerra mondiale e con il primo dopoguerra appare evidente. I fattori politici internazionali della I guerra mondiale Se il Novecento si caratterizza come il secolo del Male e se la II guerra dei Trentanni ne fu il periodo costitutivo, la I guerra mondiale ne rappresent sicuramente la genesi. In questo senso la questione delle cause dello scoppio della Grande guerra acquista un rilievo decisivo. Linnesco della guerra mondiale fu il risultato di una convergenza sincronica di molteplici fattori politici, sociali e culturali. A livello politico internazionale, nella cosiddetta belle poque - il quarantennio di pace europea precedente il 1914 -, si erano vieppi inaspriti i conflitti bilaterali tra Francia e Germania per lAlsazia-Lorena, Austria e Italia per il Trentino e Trieste, Austria e Russia per legemonia sui Balcani, e soprattutto Inghilterra e Germania per legemonia continentale. Tali conflitti in un primo momento avevano trovato nellespansione coloniale di tipo imperialistico una camera di compensazione e insieme una valvola di sfogo. Ma progressivamente limperialismo si trasform in fattore catalizzatore della guerra. Esso infatti permise da un lato ai vertici militari dei diversi paesi di acquisire un maggiore peso politico e di sperimentare nuove tecniche belliche e repressive. Paradigmatici in questo senso linvenzione inglese dei campi di concentramento, usata per vincere la resistenza dei Boeri in Sudafrica, e il genocidio della popolazione africana degli Herero da parte dei tedeschi. Da un altro lato, limperialismo favor laccumulo di ulteriori motivi di tensione tra le potenze europee. Esso raggiunse il culmine quando si esaurirono i territori a disposizione per la colonizzazione e la Germania cap definitivamente di aver perso la gara per la loro conquista. Il fattore internazionale decisivo per lo scoppio della guerra fu per il conflitto economico e politico-militare tra Inghilterra e Germania. Esso infatti spinse lInghilterra a uscire dal suo splendido isolamento, ad abbandonare il suo ruolo di arbiter super partes delle controversie internazionali e a scendere nellarena europea. In questo modo il conflitto Inghilterra-Germania si trasform da bilaterale in multilaterale, in quanto le due massime potenze europee divennero i centri di coagulo di due sistemi di alleanze contrapposte la Triplice Alleanza (Germania, Austria, Italia) e la Triplice Intesa (Inghilterra, Francia, Russia). Dopo lattentato di Sarajevo, fu questa polarizzazione in blocchi antagonisti che fece degenerare la guerra locale tra Austria, da una parte, e Serbia e Russia, dallaltra, in una guerra globale. I fattori politici interni della I guerra mondiale Questa dinamica politica internazionale si intrecci strettamente con le dinamiche politiche e sociali interne dei diversi Paesi. Sul piano politico, la formazione della societ di massa e la politicizzazione delle masse operaie e contadine provocarono la crisi della forma classica dello Stato liberale a causa del divario crescente tra le capacit politiche delle classi dirigenti tradizionali e la nuova situazione sociale e politica sempre pi complessa e sempre pi polarizzata. La centralit e il potere dei politici liberali erano minacciati, da un lato dalla sempre pi ampia diffusione dei nuovi movimenti nazionalistici di ideologia razzistica e reazionaria, e dallaltro dalla formidabile crescita dei partiti socialisti e pi in generale del movimento operaio. La prima minaccia spingeva le lite politiche tradizionali ad assumere posizioni 296

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pi nazionalistiche, e quindi bellicistiche, onde evitare la perdita di consenso da parte dellopinione pubblica piccolo borghese a causa della sempre pi incisiva e capillare propaganda nazionalistica a favore della guerra imperialistica; la minaccia socialista, considerata di gran lunga pi pericolosa per il suo potenziale rivoluzionario, le induceva a vedere nella guerra uno strumento utile per deviare la lotta di classe e per bloccare lavanzata operaia. In modo speculare, le frange pi radicali dei partiti socialisti europei, i cosiddetti sindacalisti rivoluzionari e gli anarchici, erano favorevoli allo scoppio della guerra perch credevano, in base agli esempi storici della Comune di Parigi e della rivoluzione russa del 1905, che essa potesse innescare una rivoluzione. Questa situazione politica affondava le sue radici in un contesto sociale nel quale i livelli di aggressivit individuale e di violenza diffusa si erano impennati a causa dellintreccio di diversi processi. Da una parte la lunga e potente crescita economica a cavallo del secolo aveva provocato un forte aumento delle aspettative di crescita del reddito e di ascesa sociale, cui fece seguito, se non una diminuzione, quanto meno una stasi delle opportunit reali di miglioramento a causa di una nuova fase di stagnazione economica cominciata sul finire del primo decennio del 900. Daltra parte la II rivoluzione industriale, coi suoi processi di ristrutturazione, concentrazione e urbanizzazione, aveva prodotto sconvolgimenti sociali di portata biblica innescando nuovi fenomeni di declassamento, impoverimento e marginalizzazione. A ci si aggiunsero la sempre pi aspra concorrenza economica scatenata dal capitalismo monopolistico e protezionistico, e la sempre pi acuta tensione internazionale non solo tra gli Stati ma anche tra i popoli europei. La convergenza sincronica di questi tre processi si tradusse nella diffusione di sentimenti di deprivazione relativa, di precariet e di incombente minaccia, ovvero in uno stato psicologico generalizzato di frustrazione e depressione. Tale condizione psicologica costitu il terreno di coltura delle idee e delle pratiche violente che incanalarono e sfogarono frustrazione e depressione in aggressivit contro individui e gruppi catalogati come nemici. Il pi evidente e inquietante campanello dallarme dellesito politico violento di questa situazione psicologica di massa fu la recrudescenza dellantisemitismo in tutti i paesi europei. I fattori culturali e filosofici della I guerra mondiale Poich per lagire umano sempre mediato ideologicamente, non si pu comprendere la deriva verso la guerra senza considerare la situazione culturale europea. Da questo punto di vista, due appaiono le tendenze culturali pi rilevanti. La prima quella del pensiero razionalistico ottocentesco: idealismo, positivismo e marxismo, pur in modi diversi e anche antitetici, convergevano nel sostenere e diffondere una fiducia pressoch assoluta nel capacit prometeiche dellumanit, nella inesorabilit del progresso nonch nella necessit del ricorso, ancorch parziale e controllato, alla violenza. Tali tradizioni di pensiero, che contribuirono a formare una coscienza collettiva portata a sottovalutarre i limiti e gli errori delluomo, caratterizzavano soprattutto le generazioni mature e le leadership politiche sia della destra sia della sinistra. La seconda tendenza, che si afferma alla fine dell800, quella del pensiero vitalistico, che demol il primato della razionalit classica in nome del primato della pulsionalit naturale e dellattivit creatrice soggettiva. Questo filone, pi eterogeneo del primo, ebbe i suoi capostipiti nella teoria della volont di potenza e del superuomo di Nietzsche, e nella teoria dellinconscio di Freud, ma comprese anche lo storicismo tedesco, in particolare Simmel con il suo dualismo vita/forme oggettive, levoluzionismo idealistico di Bergson, la filosofia spiritualistica dellazione di Blondel, e soprattutto il neomarxismo di Sorel, che esaltava la creazione di miti funzionali alla rivoluzione e luso della violenza non tanto come ostetrica (Marx) ma come madre della storia. Il pensiero vitalistico esasper la visione prometeica delluomo, svincolandola anche dai limiti parziali postile dal pensiero razionalistico ottocentesco, cio dai criteri della razionalit conoscitiva, dallistanza morale 297

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delluniversalit, dal senso politico della gradualit. Esso trov oltretutto una forte corrispondenza e un formidabile veicolo di diffusione nelle nuove correnti letterarie e artistiche, ovvero nel decadentismo basti pensare a Pascoli, DAnnunzio, Pirandello e soprattutto nel futurismo di Martinetti, idolatra della violenza e propagandista della guerra come sola igiene del mondo. Attraverso la decisiva mediazione di questi movimenti artistico-letterari, la filosofia vitalistica aliment culturalmente le nuove generazioni e i nuovi movimenti politici di estrema destra e di estrema sinistra, ovvero i partiti nazionalisti, le correnti massimalistico-rivoluzionarie dei partiti socialisti, i sindacalisti rivoluzionari, gli anarchici. E chiaro che entrambi questi filoni filosofici seppur in forme e in gradi diversi colludevano con le dinamiche politiche e sociali in quanto, lungi dallo smorzare e arginare la crescita delle aspettative e della disponibilit alla violenza, la legittimavano e la fomentavano. Una riprova di ci si ebbe in quello che lintellettuale francese Benda chiam il tradimento dei chierici, cio nellarruolamento da parte di ogni stato belligerante dei propri scrittori, artisti, filosofi e uomini di cultura non solo per sostenere la causa dellintervento nella guerra ma anche e soprattutto per condurre la fondamentale lotta propagandistica contro i popoli e gli stati nemici. I casi pi clamorosi furono quelli di Bergson in Francia, di Mann in Germania, di DAnnunzio in Italia. Lo svolgimento e la conclusione della prima guerra mondiale Il primo scacco dellerronea coscienza collettiva in base alla quale la civilt europea si gett nella guerra fu rappresentato dal fallimento quasi immediato di tutte le previsioni sul suo decorso. Mentre infatti la quasi totalit delle classi dirigenti politiche e militari si aspettavano una guerra breve basata su poche grandi battaglie risolutive, nel giro di pochi mesi la forbice tra le nuove armi, segnatamente la mitragliatrice, e le antiquate strategie militari trasform la guerra di movimento in una guerra di posizione basata sulle trincee e soprattutto in una guerra di logoramento, ovvero di scontro e distruzione di enormi risorse umane, tecnologiche ed economiche. La Grande guerra cos si tradusse ben presto in un drastico peggioramento delle condizioni di vita non solo e tanto dei soldati in trincea quanto anche delle popolazioni civili, e di conseguenza in un fattore di radicale destabilizzazione interna di tutti gli Stati coinvolti, che si manifest in ammutinamenti militari al fronte e rivolte operaie e contadine in patria. Il caso pi estremo e clamoroso fu in questo senso quello della rivoluzione russa che, partita come rivoluzione liberal-democratica si trasform in pochi mesi, sotto la guida di Lenin e del partito bolscevico, nella prima rivoluzione socialista vittoriosa. Da essa nacquero lURSS, il primo Stato socialista basato sulla dittatura del proletariato, e la III internazionale comunista che promosse la nascita di partiti comunisti in Europa e in tutti i paesi del mondo sulla base della dottrina marxista-leninista e della subordinazione agli interessi dellUnione sovietica. In questo modo, la prima guerra mondiale non solo produsse un nuovo evento catastrofico di massa una cruentissima guerra civile con milioni di morti ma favor la genesi del primo regime totalitario della storia e con esso di un nuovo, potentissimo fattore di violenza, dovuto sia alla contrapposizione frontale tra Stati comunisti e Stati non comunisti sia allazione rivoluzionaria dei partiti comunisti allinterno degli stati non comunisti. Al netto dei morti della guerra civile russa, il bilancio umano del I conflitto mondiale fu di 8,5 milioni di morti e 20 milioni di feriti su 62 milioni di soldati coinvolti. Nellambito di questo massacro, si consum ad opera dei turchi un nuovo genocidio, preludio di quelli pi vasti e atroci della seconda guerra mondiale: quello della popolazione armena, le cui stime variano da 1 a 2 milioni di vittime. Alle perdite umane si aggiunsero naturalmente le disastrose perdite economiche.

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Polarizzazione e destabilizzazione dei paesi europei nel primo dopoguerra Una volta terminata, lenorme distruttivit della Grande guerra ebbe un lungo e pesante strascico negli enormi problemi economici di ricostruzione e riconversione produttiva, di disoccupazione, di inflazione selvaggia e falcidie dei risparmi. Inoltre essa lasci in eredit labnorme potenziamento dellintervento e del controllo dello Stato sulleconomia e sulla societ che stravolse in modo irreversibile le basi delleconomia liberista e del sistema politico liberale classici. Ma soprattutto il primo dopoguerra fu caratterizzato da una nuova impennata delle aspettative e delle rivendicazioni sociali: nei paesi usciti vincitori, anche in seguito alle promesse di ricompense, per esempio in terre, fatte dalle autorit nel corso del conflitto milioni di soldati tornati dal fronte, provati da anni di una vita misera e precaria, pretendevano come ricompensa un netto miglioramento della loro condizione economicosociale; nei paesi vinti, la perdita di credibilit e la caduta dei precedenti regimi politici incentivarono la nascita e i tentativi di eversione politica di nuovi movimenti estremisti sia di destra (fascismo, nazismo) sia di sinistra (partiti comunisti, gruppi anarchici). Se in una prima fase, non a caso chiamata biennio rosso, liniziativa politica eversiva sembr essere in mano alla sinistra socialista, comunista e anarchica ben presto tutti i tentativi rivoluzionari fallirono e liniziativa fu assunta dalla destra reazionaria, soprattutto in Italia, dove il movimento fascista di Mussolini, dopo aver condotto una guerra civile contro i partiti e i sindacati della sinistra, prima riusc ad andare al governo e poi impose un regime dittatoriale. Negli stessi anni o poco dopo, altri regimi autoritari filofascisti presero il potere con le armi in Ungheria, Polonia, Bulgaria, Spagna, e in generale movimenti di stampo fascista sorsero e tentarono la conquista del potere con la violenza in tutti i Paesi europei, perfino nellavanzata Inghilterra, patria storica del liberalismo. La fine delleurocentrismo e lassenza di un equilibrio internazionale Se, a livello delle situazioni politiche interne, la Grande guerra ebbe una continuit nelle guerre civili aperte o striscianti che insanguinarono i paesi europei negli anni 20, essa non si pu considerare del tutto conclusa nemmeno sul piano dei rapporti internazionali fra gli Stati. A questo livello, va innanzitutto chiarito che la I guerra mondiale segn la fine non solo dellegemonia mondiale inglese ma anche della centralit politica dellEuropa nel mondo. Specularmente, lintervento degli USA nel 1918 e lo sbarco dellesercito americano in Europa segnarono linizio della egemonia mondiale statunitense cui si abbin lavvio, seppur timido, del processo di decolonizzazione mondiale dovuto soprattutto alla crescita dei movimenti indipendentistici nazionali nei paesi coloniali, ma anche al dissanguamento delle potenze europee nella guerra e al sostegno internazionale statunitense in funzione antieuropea. In questo senso si pu senzaltro affermare che, ad eccezione degli USA, tutti gli Stati europei, non solo i vinti ma anche i formali vincitori, uscirono sconfitti dalla Grande guerra. Consapevole del ruolo centrale acquisito dal proprio paese, il presidente democratico Wilson impose il principio di nazionalit come criterio fondamentale per la definizione della nuova carta geopolitica europea e promosse la costituzione della Societ della nazioni come antidoto allo scoppio di nuovi conflitti. Ci nonostante dal un lato la rigidit della Francia lo costrinsero ad accettare la tesi della totale responsabilit tedesca nellesplosione della guerra e le conseguenti condizioni di pace vessatorie imposte alla Germania; dallaltro lato, il voto contrario del Congresso americano alla partecipazione degli USA alla Societ delle nazioni gli imped di affidare agli USA il ruolo di garante internazionale della pace mondiale. Di conseguenza, mentre lumiliazione politica e la spoliazione economica della Germania producevano un nuovo forte potenziale di conflittualit proprio nel cuore dellEuropa, lisolazionismo degli USA faceva s che non ci fosse alcuna potenza in grado di esercitare un ruolo di arbitro internazionale e unazione deterrente nei confronti della 299

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possibilit di nuove guerre. In questo modo i trattati di Parigi non si pu dire proprio fossero trattati di pace, in quanto non garantivano affatto lequilibrio internazionale europeo e mondiale e anzi erano fonte di nuovi fattori di forte squilibrio. Lo sconvolgimento interno e internazionale della grande crisi del 1929 Se la guerra non riespose gi negli anni 20 lo si dovette da un lato alla necessit per tutti gli Stati di far fronte alla crisi sociale e politica interna, di riparare i danni prodotti dalla guerra e di ricostituire il proprio sistema economico e il proprio apparato militare; dallaltro alla ripresa economica internazionale che permise sia un aumento dei redditi popolari sia la disponibilit di capitali necessaria per la ricostruzione e il rilancio degli apparati produttivi. Tale ripresa per era in gran parte drogata dal naturale sovradimensionamento della domanda conseguente ai periodi di guerra e soprattutto dalla ricchezza degli USA i quali non avevano subito danni al proprio apparato produttivo, si erano anzi arricchiti prestando ingenti capitali agli Stati dellIntesa e ora erano nelle migliori condizioni concorrenziali per poter esportare i loro prodotti sui mercati europei. Ne consegu un vero e proprio boom delleconomia americana che in una prima fase fece da volano anche alla ripresa delle economie europee e permise inoltre ai banchieri americani di prestare capitali alla Germania sia per pagare lingente debito di guerra alla Francia sia per rilanciare la sua economia. In questo modo nella seconda met degli anni 20 la situazione interna tedesca sembrava stabilizzarsi allinterno di un quadro istituzionale democratico, i mercati mondiali sembravano riaprirsi al libero scambio e i rapporti internazionali europei avviarsi alla completa distensione. Invece, proprio a causa delle sue basi prevalentemente congiunturali, in un secondo momento il boom delleconomia americana si trasform in un boomerang scatenando la pi grave e vasta crisi della storia del capitalismo mondiale, la grande crisi del 1929. Infatti, una volta che le economie europee si riavviarono e che gli Stati europei riuscirono a ridimensionare i loro debiti con gli USA, le esportazioni di prodotti statunitensi in Europa e lafflusso degli interessi europei negli USA diminuirono. Contemporaneamente il mercato interno statunitense raggiunse una provvisoria saturazione di beni di consumo durevoli (radio, frigo, auto). Si gener cos una nuova crisi di sovrapproduzione i cui effetti furono amplificati dalla vertiginosa speculazione azionaria al rialzo e dal conseguente catastrofico crollo della Borsa di Wall Street. La costruzione degli Stati totalitari sovietico, fascista, nazista e nipponico La crisi, aggravata dalle politiche economiche rigidamente deflazionistiche adottate dai governi di quasi tutti gli Stati, dilag per tutto il mondo provocando il ritorno al protezionismo e alla pi aspra concorrenza economica fra aziende nazionali, linasprimento del totalitarismo sovietico, limbocco definitivo della via totalitaria da parte del fascismo, lavvio del Giappone sulla strada del totalitarismo e dellimperialismo pi aggressivo, la nascita del totalitarismo nazista e la conseguente rapida riacutizzazione delle tensioni politiche internazionali. In questo modo i campi di concentramento furono sadicamente raffinati e moltiplicati, fino a trasformarsi in campi di sterminio, strumenti implacabili di nuovi e pi vasti genocidi quali quelli degli ebrei europei, dei kulak russi, dei coreani e dei cinesi. In particolare, la nuova destabilizzazione economica della Germania, a soli pochi anni di distanza dalla catastrofe economica dei primi anni 20, fu il fattore propulsivo della conquista del potere da parte del Partito nazista di Hitler, che sotto il 3% prima del 1929, nel 1933 ottenne la maggioranza relativa dei voti e dei seggi e con essa il diritto di insediarsi alla guida del governo. Con il possesso del potere legittimo, Hitler, seguendo le orme di Mussolini, ma molto pi rapidamente di lui, impose la sua dittatura personale e riusc a costruire in pochi anni il pi spietato e meglio organizzato dei regimi totalitari. 300

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Contemporaneamente, diede avvio a una politica estera aggressiva che puntava a smantellare una dopo laltra le restrizioni militari e territoriali imposte alla Germania dal trattato di pace e ad arrivare allaggressione militare e alla guerra di espansione imperiale in condizioni di forza. Banco di prova della nuova guerra mondiale e insieme preludio di essa, fu la Guerra civile spagnola che vide la partecipazione militare della Germania nazista e dellItalia fascista a sostegno del generale reazionario Franco contro il governo repubblicano legittimo e i militanti della sinistra democratica, socialista, comunista e anarchica, aiutati unicamente dallURSS. Vinta la guerra di Spagna e cementate le alleanze militari con lItalia e il Giappone, Hitler si garant con il patto Ribbentrop-Molotov la neutralit dellURSS e invase la Polonia scatenando la seconda guerra mondiale. La cultura tra le due guerre mondiali In sintonia con la temperie storico-culturale di quegli anni, per la cultura occidentale il periodo tra le due guerre mondiali sia apr nel segno di Il tramonto dellOccidente (1918-22), opera del filosofo della storia tedesco Oswald Spengler, che annunciava la prossima fine della civilt europea e laurora di una nuova civilt russo-orientale. Tuttavia, la 'cultura della crisi' fra le due guerre mondiali segn un periodo tra i pi fecondi e significativi della storia della civilt occidentale, perch le esperienze della Grande guerra, della rivoluzione russa, dellinstaurazione dei totalitarismi e della deriva verso un secondo conflitto mondiale impressero unancor pi radicale e innovativa tensione tragica e autocritica alla produzione culturale, soprattutto in ambito artisticoletterario. La percezione del prossimo avvento di una crisi epocale - gi espressasi dal decadentismo e dalle prime avanguardie artistiche a cavallo tra il XIX e il XX secolo - si trasform nella descrizione del suo accadimento e stigmatizzazione dei suoi effetti catastrofici, attraverso nuovi contenuti e nuovi linguaggi. Ci avvenne innanzitutto nella produzione letteraria di romanzi, che come mai prima abbin a unincredibile profusione quantitativa un altissimo livello qualitativo. Proust in Alla ricerca del tempo perduto (1913-1927) narr le contraddizioni e gli scacchi dellesistenza umana indicando nella rimemorazione artistica lunica precaria possibilit di riscatto dallinsensatezza. Joyce in Ulisse (1922) trasforma lavventura delleroe greco simbolo delluomo occidentale nella peregrinazione urbana di un uomo qualunque tradito dalla moglie. Musil in Luomo senza qualit (1930-33) fa del crollo dellimpero asburgico una metafora della dissoluzione della civilt occidentale, denuncia limpossibilit del superuomo di Nietzsche in un mondo privo di valori assoluti e offre come unica via duscita la fuga regressiva nellamore incestuoso tra fratello e sorella. Mann nella Montagna incantata (1924) per rappresentare il disfacimento del mondo occidentale utilizza invece la metafora di un sanatorio per malati terminali di tubercolosi. Pirandello in Uno, nessuno e centomila (1927) rappresenta lo sfarinamento dellio, lesplosione in una miriade di frammenti dellidentit individuale. Svevo in La coscienza di Zeno (1923) mostra, seppure in toni pi ironici e leggeri, limpotenza umana a modificare la propria condizione. Ma fu soprattutto Kafka, forse la pi lucida e radicale coscienza artistica della crisi, in La metamorfosi (1916), Il processo (1925) e Il castello (1926), a denunciare lassurdit della condizione delluomo nei suoi protagonisti totalmente in balia di un destino o di un potere assolutamente superiore, schiacciante, irrazionale, nei confronti del quale lunico atteggiamento possibile quello dellaccettazione autoannichilatoria. I romanzi di questi scrittori, vere pietre miliari della letteratura occidentale, sono accomunati dalla denuncia dellinsensatezza della vita e della irrimediabile finitudine e difettosit delluomo. Leroe del romanzo ottocentesco e in generale della tradizione classica divent un antieroe un inetto, un escluso, un

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tradito, un fuggitivo, un perseguitato, un malato o addirittura un essere deforme, un mostro, mezzo uomo e mezzo insetto. Parallelamente avvenne una rivoluzione nella forma: venne meno il narratore onnisciente, la continuit spazio-temporale viene disarticolata, si impone lo stream of consciousness, il flusso di coscienza, cio il tentativo di riprodurre la corrente spontanea dei pensieri usando un discorso paratattico privo di punteggiatura e delle congiunzioni logiche tradizionali. La medesima visione delluomo e unanaloga rottura della forma classica si espressero, in modo non meno alto ed emblematico, nella produzione poetica, a cominciare da La terra desolata (1922) di Thomas Eliot, profonda e vibrata denuncia della perdita delle radici culturali e civili delluomo occidentale, passando per Lallegria (1916-1931) di Ungaretti, cantore della sofferenza e della precariet della vita del soldato che si fa per metafora dellintera vita umana, fino ad arrivare a Ossi di seppia (1925) e a Le occasioni (1939) di Montale, rappresentazione di un mondo inaridito e corroso attraverso due simboli fondamentali: quello della petraia, che ne esprime appunto la desolazione e la sterilit, e quello del meriggio, del sole a picco, simbolo del suo disfacimento. In questa situazione al poeta non resta che il compito negativo di riconoscere la finitudine delluomo, di segnalare limpossibilit di credere in una spiegazione assoluta del mondo e in una sua palingenesi, di testimoniare che il male di vivere un dato costitutivo e insuperabile della condizione umana.. Pi ancora che nei grandi romanzi, nella poesia del primo 900 il senso della crisi non si manifesta solo e tanto nei contenuti quanto soprattutto nella forma: nella frammentazione spazio-temporale di Eliot, nello stile ermetico di Ungaretti, rapido ed essenziale, che utilizza il lessico quotidiano e una sintassi elementare, disgrega le forme metriche tradizionali ed enfatizza i vuoti e le pause, producendo unaccesa intensit ritmica, fonica ed emotiva; nella disgregazione dellio lirico tradizionale della poesia classica e nella ricerca di una nuova interpretazione simbolica della realt attraverso luso di un sapiente impasto linguistico di termini aulici e quotidiani. La crisi trov una rappresentazione anche nelle opere teatrali di Luigi Pirandello, Bertold Brecht e Eugene ONeill. Questultimo, in particolare, in Il lutto si addice ad Elettra, intenzionale versione negativa dellOrestea di Eschilo, trasfigur la Grande guerra nella guerra di secessione americana e rappresent le vicende tragiche di una famiglia puritana dellalta borghesia americana minata dallistinto di morte facendone una vivida metafora della natura nichilistica della civilt occidentale e del suo prossimo disfacimento. Nel campo delle arti plastiche, da un lato le avanguardie del primo Novecento (espressionismo, futurismo, cubismo, astrattismo) svilupparono pi radicalmente le loro poetiche, dallaltro emersero nuove e pi estreme avanguardie come il dadaismo di Man Ray, Picabia e Duchamp - che aveva come programma la totale distruzione della cultura del passato, attraverso la sua riduzione a nonsenso, paradosso, assurdo e come il surrealismo di Ernst, Mir, Dal, che si rifaceva invece esplicitamente a Freud rifiutando ogni rappresentazione della realt a favore del mondo dei sogni. Vecchie e nuove avanguardie artistiche portarono a esiti ancora pi sconvolgenti la rottura delle forme figurative tradizionali. Per esse infatti lo scopo della pittura non poteva pi essere quello di imitare o anche trasfigurare la realt esterna ma doveva essere quello di rappresentare luniverso interiore della psiche umana. Questa per non si configurava come una coscienza razionale, esprimibile in forme chiare e distinte, bens - freudianamente - come un Es inconscio contenente forze misteriose e irrazionali. Lesigenza di cogliere e riprodurre tali forze rese necessari il rigetto di ogni forma di realismo e il ricorso alla rappresentazione astratta o simbolica. In questo modo le avanguardie pittoriche portarono alle estreme conseguenze la generale tendenza artistica a dissolvere il significato logico nel

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significante simbolico che fu laltra faccia - quella formale - della crisi della razionalit classica e dei valori tradizionali della civilt europea. La rivoluzione artistica operata dalle avanguardie pittoriche ebbe un impatto di massa di gran lunga superiore al passato grazie alla sua influenza sulla nascente arte cinematografica e alle gi prodigiose capacit di diffusione del cinema. A parte i casi del regista francese dadaista Cocteau e di quello spagnolo surrealista Bunuel, che si avvalse anche della collaborazione diretta di Dal, la cinematografia che con maggior rigore e potenza artistica rappresent la crisi della cultura, sia a livello di contenuto che a quello formale, fu quella espressionistica tedesca. Il suo film-manifesto fu Il gabinetto del dottor Caligaris (1919) di R. Wiene, le cui scenografie furono realizzate da tre pittori espressionisti secondo i canoni del movimento e nel quale si riproponeva in chiave horror il tema pirandelliano della pluralit relativistica delle realt. Ancora pi significativi di questa tendenza furono i film di Lange (Il dottor Mabuse , 1921; M-Il mostro di Duesseldorf , 1931) e Murnau (Nosferatu il vampiro, 1922), che, utilizzando anchessi soggetti horror, espressero lo stato danimo di apprensione e paura che caratterizzava la popolazione europea, e in particolare la nazione tedesca, nel primo dopoguerra. Analogamente, in campo musicale lesito artistico pi rivoluzionario fu la dodecafonia di Arnold Schoenberg, che cre una nuova sintassi della musica. Mentre nella musica tonale tradizionale larmonia data dallassunzione di un suono unitario privilegiato, la musica dodecafonica, o atonale, rinuncia a tale ordine per basare larmonia sul rapporto paritetico fra tutti i 12 suoni componenti la scala musicale, con dirompenti effetti espressivi di dissonanza. Non meno numerosi e non meno sconvolgenti furono gli sviluppi che si ebbero negli stessi anni nellambito della ricerca scientifica. La teoria psicoanalitica di Sigmund Freud aveva raggiunto una configurazione sistematica prima della guerra. Ora Freud le impresse una svolta, fra l'altro riconoscendo nella psiche l'azione antitetica di due pulsioni fondamentali: Eros, o principio di vita, e Thanatos, o principio di morte. La svolta freudiana, che implicava una visione decisamente pi critica e pessimistica delluomo e della civilt, ebbe vaste ricadute culturali, data lenorme influenza esercitata, come si visto, dalla teoria psicoanalitica sulla produzione artistica. Nella fisica, scienza interessata in quei decenni da profondi rivolgimenti, si svilupp la rivoluzione scientifica cominciata con Planck (teoria dei quanti, 1900) ed Einstein (teoria della relativit ristretta, 1905). Nel 1915 Einstein rese nota la teoria della relativit generale, che completava il paradigma relativistico con una nuova versione della gravitazione universale, basata sulla curvatura dello spazio indotta dalla presenza delle masse planetarie e stellari. Nella fisica delle particelle si raggiunsero risultati ancora pi sconvolgenti, con gli sviluppi della teoria quantistica che portarono a definire un quadro in contrasto con la teoria classica newtoniana e con la stessa relativit di Einstein. Infatti da un lato il principio di indeterminazione (1927) di Werner Heisenberg afferm che la misurazione sperimentale di una particella ne altera necessariamente le caratteristiche, e quindi le teorie fisiche non possono avere una dimostrazione incontrovertibile; dallaltro il principio di complementarit (1927) di Niels Bohr stabil che la materia pu presentare una doppia natura, corpuscolare oppure ondulatoria, a seconda dei contesti in cui la si considera. Lesito pi dirompente della nuova rivoluzione scientifica fu il dualismo di paradigmi che essa instaur. Infatti la teoria quantistica, valida per i fenomeni subatomici non risultava compatibile con la teoria della relativit, valida per i fenomeni astrofisici, provocando una spaccatura della realt fisica tanto pi grave in quanto in linea di principio i fenomeni macrofisici dovrebbero dipendere da quelli microfisici.

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A completare lo scardinamento della solida e rassicurante visione scientifica ottocentesca, il matematico Goedel enunci nel 1931 il teorema di incompletezza, secondo cui qualsiasi sistema assiomatico-deduttivo include una proposizione indecidibile. Ci significava che anche la conoscenza matematica parziale in quanto contiene un limite strutturale invalicabile. Insomma letteratura, arti plastiche, cinema, scienze umane e scienze naturali convergevano, confermandosi e rafforzandosi reciprocamente, nella denuncia non solo e non tanto dei profondi e insuperabili limiti della ragione quanto soprattutto della sua inferiorit rispetto alle componenti irrazionali della realt naturale, sia a livello di psiche umana sia a livello di mondo fisico. La diffusa consapevolezza di questa inferiorit dissolse la concezione tradizionale delluomo come soggetto razionale capace di controllare, grazie alla conoscenza e alla morale, le forze naturali e di essere cos artefice del proprio destino. Ormai storicamente bruciata la possibilit di affidarsi a un Dio trascendente, la coscienza culturale della crisi epocale delluomo occidentale non poteva che sfociare nella dilagante affermazione del nichilismo. La filosofia tra le due guerre mondiali In sintonia con la temperie storico-culturale di quegli anni, per la filosofia il periodo tra le due guerre mondiali sia apre e si svolge nel segno di Il tramonto dellOccidente (1918-22), opera del filosofo della storia Spengler, che annunciava la prossima fine della civilt europea e laurora di una nuova civilt russo-orientale. Nellatmosfera apocalittica diffusa dal successo del libro di Spengler, sorsero e si svilupparono 4 nuovi principali indirizzi filosofici: 1) lesistenzialismo; 2) il neospiritualismo cristiano; 3) lepistemologia (neopositivismo, pragmatismo, razionalismo critico); 4) il pensiero totalitario (attualismo e neomarxismo). Lesistenzialismo sicuramente il filone filosofico in cui pi direttamente e nettamente si espresse il clima storico-culturale dinterludio tra le due guerre mondiali. Esso non fu una scuola ma un orientamento comune declinato in modi assai diversificati. Come tale pu essere suddiviso in un esistenzialismo ontologico, proprio del primo Heidegger, quello di Essere e tempo (1927); in un esistenzialismo religioso ma aconfessionale, proprio di Jaspers a partire da Filosofia (1932); in un esistenzialismo umanistico e ateo tipico di Sartre (Lessere e il nulla, 1943). Il comune denominatore di questi filosofi fu la denuncia della finitezza, della colpevolezza e della nullit della condizione umana, in aperta e aspra polemica con il prometeismo delle filosofie ottocentesche e primonovecentesche. Anche il rinnovamento dello spiritualismo cristiano si manifest in varie forme che in parte intersecano lo stesso esistenzialismo laico: il neotomismo, che ebbe il suo pi rilevante esponente in Maritain (Umanesimo integrale, 1936); il personalismo di Mounier (Esprit, 1932); la nuova teologia di Barth (Lepistola ai romani, 1919), sviluppata poi da Bultmann (Fede e comprensione, 1933), che con il suo ritorno a Kierkegaard anticip e prepar lesistenzialismo, in particolare quello di Heidegger; infine lesistenzialismo cristiano, di cui furono esponenti di rilievo Marcel (Giornale metafisico, 1927; Essere e avere , 1935), e i pensatori russi Berdjaev (Lo spirito di Dostoevskij, 1932) e Sestov (Kierkegaard e la filosofia esistenziale, 1936). Pur con significative differenze, questi pensatori sono accomunati dalla riproposizione del primato del Dio cristiano trascendente, dalla subordinazione delluomo a Dio, e dunque dalla sua drastica limitazione, e dalla valorizzazione della dimensione comunitaria delluomo in polemica con le filosofie individualistiche. Molto diverso dai due precedenti, fu invece il nuovo filone epistemologico, ovvero innanzitutto il neopositivismo (o empirismo logico) e laffine pragmatismo americano. Il punto di avvio del neopositivismo fu la pubblicazione nel 1922 del Tractatus logicophilosophicus di Wittgenstein, ma ufficialmente il neopositivismo nacque nel 1924 con la 304

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costituzione del Circolo di Vienna, i cui principali esponenti furono Schlick (Sul fondamento della conoscenza, 1934), Carnap (coautore del manifesto della scuola: La concezione scientifica del mondo, 1929; La costruzione logica del mondo, 1928); Neurath (Sociologia empirica, 1931). Teorizzando il principio di verificabilit come unica norma della verit, i neopositivismi riaffermarono che le scienze sperimentali sono lunico tipo di conoscenza veriteria e scomunicarono la filosofia metafisica, rigettando cos in blocco tutte le tradizioni di pensiero dell800 e del primo Novecento. Anche a causa della fuga in America dei neopositivisti austro-tedeschi, a causa dellavvento del Nazismo, il neopositivismo si contamin con il pragmatismo - la corrente filosofica americana gi nata nell800 con James e Peirce - in particolare con lo sviluppo che ad esso impresse lo strumentalismo di Dewey (Ricostruzione filosofica, 1920). Laddove il neopositivismo tendeva a privilegiare lautonomia teoretica della scienza, il pragmatismo accentuava il valore veritativo dellefficacia pratico-applicativa delle teorie. Dalla critica al neopositivismo, inoltre, prese spunto il razionalismo critico di Popper (La logica della scoperta scientifica, 1934) che a sua volta il punto di partenza della nuova filosofia della scienza del secondo Novecento. Tutti questi indirizzi sono accomunati dalla valorizzazione della ricerca scientifica e al contempo della liberal-democrazia, e non a caso finirono con il collocarsi tutti nel contesto socio-politico del mondo anglo-sassone. Pur avendo una concezione critica della ragione umana, essi si differenziarono dallesistenzialismo e dallo spiritualismo per la maggior fiducia nelle capacit umane e nella possibilit di un rilancio della civilt occidentale appunto grazie alla scienza e alla democrazia. Un quarto e ultimo gruppo di nuovi indirizzi filosofici caratterizzato dalla comune organicit ai totalitarismi storici, sia a quello fascista sia a quello sovietico. E il caso, da un lato, dellattualismo di Gentile (Teoria generale dello spirito, 1916) - una forma di idealismo che assolutizza la volont e lazione pratica e al contempo teorizza la totale realizzazione dellindividuo nello stato etico - che divent il principale e pi dignitoso riferimento filosofico-culturale del fascismo. Dal lato opposto, invece, si svilupp un nuovo marxismo, che ebbe il suo punto di partenza in Lenin (Imperialismo, fase suprema del capitalismo , 1916), e prosegu con Lukacs (Storia e coscienza di classe, 1923), Korsch (Marxismo e filosofia, 1923), Gramsci (Quaderni del carcere, composti dal 1929 al 1935, e pubblicati tra il 1948 e il 1951). Questo filone reinterpret il marxismo in senso rivoluzionario valorizzando la volont e lazione del soggetto rivoluzionario e teorizzando la ferrea guida del partito sulla classe operaia come condizione prima della rivoluzione. Da questo punto di vista, pur nella diametrale antitesi, lattualismo gentiliano e il neomarxismo convergevano nellaffermazione del primato dellazione e nellindicare nella sovversione dello stato liberal-democratico e nella plasmazione dell uomo nuovo da parte dello Stato totalitario la risposta alla crisi della civilt occidentale. Il pensiero totalitario, dunque, riconobbe e assunse, come gli altri, il carattere epocale della crisi europea, ma per interpretarlo e proporlo, a differenza degli altri indirizzi filosofici contemporanei, come largomento pi convincente a favore della necessit storica di una palingenesi socio-politica. In questo senso, questo filone di pensiero tenne ferma e port anzi a sviluppi ancora pi estremi e devastanti il prometeismo della tradizione filosofica ottocentesca e primonovecentesca.

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ROTTA A IL NEOPOSITIVISMO Negli ultimi anni dellOttocento, emerge, sia allinterno della comunit scientifica sia in ambito filosofico, una tendenza a criticare e a superare limmagine positivistica della scienza. Tale tendenza si pu denominare convenzionalismo, in quanto i suoi protagonisti, bench in modi differenti e a volte perfino contrastanti, sono accomunati dalla tesi secondo cui la scienza un linguaggio e, come tale, una convenzione, cio una costruzione umana la cui universalit frutto di un accordo collettivo, sempre da aggiornare e perfezionare. In altre parole, i convenzionalisti rimettono in discussione la concezione forte delloggettivit e della verit propria dei positivisti, secondo i quali, invece, la scienza era lunica conoscenza vera in quanto riproduceva la realt nella sua oggettivit e come tale era univocamente e definitivamente universale. Lassioma su cui i positivisti avevano fondato questa concezione della scienza era quello dei fatti: la scienza certo costituita da generalizzazioni induttive e da teorie universali, ma queste sono saldamente ancorate a dati empirici indipendenti da qualsiasi operazione mentale dello scienziato e quindi immuni da deformazioni soggettivistiche. Questo assioma confutato da tutti i convenzionalisti, per i quali, invece, non esistono fatti, cio contenuti dellesperienza del tutto indipendenti dal modo in cui lo scienziato li percepisce e soprattutto li organizza. La scienza, infatti, non una semplice riproduzione della realt, ma un linguaggio che parla della realt, cio un ordinamento e una connessione dei dati dellesperienza, e come tale include criteri e modalit propri della soggettivit umana. Per esempio, secondo il fisico ceco Ernst Mach (1838-1916), la scienza non conoscenza delle cose ma delle loro relazioni funzionali, ovvero un ordinamento economico, cio sintetico ed efficace, dei fatti reali; per il matematico francese Jules-Henri Poincar ( 1854-1912) ogni teoria scientifica, seppur in gradi diversi, incorpora una dose di creativit cui fonte esclusiva la mente dello scienziato; per il filosofo francese Edouard Le Roy (1870-1954), la scienza una ricostruzione strumentale dei fatti reali, cio una produzione creativa degli scienziati finalizzata a permetterci di interagire con la realt nel modo pi efficace possibile dal punto di vista pratico-utilitaristico; per il fisico ed epistemologo francese Pierre Duhem (1861-1916), una teoria non pu essere confermata, ovvero confutata, da un fatto sperimentale, in quanto lo svolgimento e linterpretazione di ogni esperimento implica il riferimento a un insieme vasto e variegato di altre teorie, il che comporta che non esiste un fatto sperimentale puro, ma ogni fatto sperimentale intriso di teoria. Al convenzionalismo reagiscono, nel periodo tra le due guerre mondiali, altri scienziati e filosofi della scienza, che, da un lato, riprendono la concezione della scienza dei positivisti, dallaltro, per, la rinnovano e la declinano in termini pi rigorosi e sofisticati. Per questo sono classificati come neopositivisti o positivisti logici o ancora empiristi logici. Essi, pur accettando la tesi convenzionalistica del carattere linguistico della scienza, e cio della distinzione tra i fatti reali e i fatti scientifici, sono convinti di poter individuare le condizioni semantiche e le regole sintattiche in base alle quali il linguaggio scientifico pu pretendere alla rappresentazione oggettiva, e quindi universale e necessaria, della realt fisica. In questa prospettiva, i neopositivisti individuano nella verificabilit sperimentale il principio sul quale possibile fondare la verit scientifica.

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VITE DI CAPITANI SCHLICK, WITTGENSTEIN, CARNAP, HAHN, NEURATH, RTEICHENBACH Il neopositivismo si coagul intorno al circolo di Vienna, promosso dal fisico tedesco Moritz Schlick (Berlino 1882-Vienna 1936), il quale nel 1922, nominato docente di scienze induttive allUniversit di Vienna, cominci ad organizzare i suoi seminari nella forma di riunioni periodiche aperte a filosofi, matematici, fisici, giuristi, ecc. Grande importanza ebbe, nel definire lindirizzo del circolo, la lettuta e la discussione del Tractatus logicophilosophicus (1921) del filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein (Vienna 1889-Cambridge 1951), il quale nel 1927 partecip in prima persona ad alcuni incontri del circolo, pur non facendone parte. Membro influente del circolo di Vienna fu invece il tedesco Rudolf Carnap (Wuppertal 1891-Santa Monica 1970), anchegli docente allUniversit di Vienna ed autore di La costruzione logica del mondo (1928), prima opera propriamente positivista. Il saggio-manifesto del circolo Concezione scientifica del mondo - fu invece pubblicato lanno successivo a firma di Carnap, del matematico austriaco Hans Hahn (1879-1934 Vienna) e del sociologo austriaco Otto Neurath (Vienna 1882, Oxford 1945). Al circolo di Vienna si affianc, nei medesimi anni, un altro gruppo di neopositivisti, animato a Berlino dal filosofo della scienza e docente universitario Hans Reichenbach (Amburgo 1891-Los Angeles 1953), codirettore, insieme a Carnap, della rivista Erkenntnis (1930-40). Con lavvento del nazismo, gli intellettuali positivisti emigrarono in Inghilterra e negli USA, dove continuarono la loro ricerca e il loro insegnamento.

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TAPPA 1 IL PRINCIPIO DI VERIFICABILITA E il metodo dellanalisi logica che essenzialmente distingue il recente empirismo e positivismo dalla precedente versione che aveva un orientamento pi biologico e psicologico. Se qualcuno afferma c un Dio, il fondamento primo del mondo linconscio, c unentelechia che il primo principio dellorganismo vivente, noi non gli diciamo: ci che dici falso, ma gli chiediamo: cosa vuoi dire con queste proposizioni?. Allora appare che vi una netta demarcazione tra due tipi di proposizioni. Ad un tipo appartengono proposizioni come quelle che vengono enunciate dalla scienza empirica, il cui significato pu essere determinato dallanalisi logica o, pi precisamente, mediante la riduzione a pi semplici proposizioni su dati empirici. Le altre proposizioni, alle quali appartengono quelle citate sopra, si rivelano vuote di significato se le si prende nel senso in cui le intendono i metafisici. Uno pu, naturalmente, reinterpretarle spesso come proposizioni empiriche; ma allora esse perdono il contenuto emotivo che solitamente essenziale alla metafisica. La metafisica e la teologia credono, ingannandosi, che le loro proposizioni dicano, o denotino, uno stato di cose. Lanalisi, tuttavia, dimostra che queste proposizioni non dicono niente, ma esprimono semplicemente un certo stato danimo. Lespressione di tali sentimenti verso la vita pu essere una cosa importante, ma il modo pi appropriato per far ci larte, la poesia lirica o la musica. E pericoloso invece scegliere la forma linguistica di una teoria, in quanto viene simulato un contenuto teoretico dove non esiste affatto. H. Hahn, O. Neurath, R. Carnap: La concezione scientifica del mondo, 1929 Stabilire il significato di una frase equivale a stabilire le regole, in accordo con le quali essa deve essere usata, il che lo stesso che stabilire il modo in cui essa deve venire verificata (o falsificata). Il significato di una proposizione il metodo usato per verificarla. [] Il risultato delle nostre considerazioni che la verificabilit, condizione necessaria e sufficiente del significato, la possibilit logica di verificazione: essa assicurata dalla costruzione della frase secondo le regole che definiscono i termini. M. Schlick: Significato e verificazione, 1936 Secondo i neopositivisti, la scienza lunico linguaggio capace di rappresentare oggettivamente, e cio in modo veritiero, la realt, assunto che la realt coincide con il mondo fisico. Il linguaggio scientifico, infatti, a differenza di tutti gli altri, rigoroso, cio costituito da regole logiche e metodologiche che garantiscono la sua corrispondenza alla realt. Le regole logiche sono fondamentalmente due: " la regola semantica, in base alla quale ogni termine deve avere una ed una sola definizione, che descriva precisamente un oggetto o a uno stato di cose reali, e quindi deve essere usato in una sola accezione universale; " la regola sintattica, per cui i termini devono essere collegati in proposizioni in base ai principi della logica (p.e. principio di non-contraddizione, principio di causaeffetto, deduzione, induzione) e alle norme della sintassi. In questo quadro, le proposizioni fondamentali, quelle che assicurano la corrispondenza del linguaggio scientifico alla realt, sono chiamate dai neopositivisti protocolli. Con tale 308

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termini i neopositivisti denominano le proposizioni singolari che si riferiscono immediatamente a un oggetto o a uno stato di cose (p.e. questo tavolo rotondo, sul tavolo ci sono due bicchieri, i raggi solari hanno scaldato il pavimento, ecc.). In ultima analisi, dunque, la verit scientifica si basa sui protocolli. Ma come possibile accertarsi della corrispondenza tra i protocolli e la realt? La risposta a questa domanda conduce alla regola metodologica fondamentale, secondo i neopositivisti, ossia al principio di verificazione in base allesperienza: un protocollo vero quando unesperienza o un esperimento certificano che corrisponde a uno stato di cose reale; falso quando unesperienza o un esperimento smentiscono che corrisponda a uno stato di cose reali. P.e., se io voglio verificare se vero il protocollo questo cucchiaino esposto ai raggi solari si dilatato, devo misurarlo quando caldo e poi quando, dopo averlo messo allombra, diventato freddo e confrontare le due misurazioni. A loro volta le leggi scientifiche, che sono proposizioni universali, p.e. il calore dilata i metalli, si verificano in base al maggior numero possibile di protocolli confermativi in assenza di protocolli confutativi. In altre parole, una legge scientifica vera quando ottiene molte conferme sperimentali, traducibili in altrettanti protocolli a suo favore. In questo modo i neopositivisti fondano la scienza sul procedimento logico dellinduzione: le leggi e le teorie scientifiche sono il prodotto di generalizzazioni induttive tratte da numerosi protocolli veri, ovvero da numerosi esperimenti positivi. Tuttavia, i neopositivisti introducono unulteriore distinzione in merito al principio di verificazione. Essi, infatti, lo articolano in verificazione in senso stretto e in verificabilit. Con verificazione intendono lavvenuta certificazione sperimentale di un protocollo, con verificabilit la possibilit reale, effettiva, di una verificazione. P.e., sostiene Schlick, il protocollo sullaltra faccia della Luna esistono montagne di tremila metri, anche se non stato ancora verificato, pu esserlo e quindi in futuro potrebbe essere verificato. Al contrario, il protocollo Dio onnipresente non mai stato verificato n mai potr esserlo, per principio, in quanto al termine Dio non corrisponde alcun oggetto fisico. In questo senso, la verificazione certifica la scientificit effettiva di una proposizione, mentre la verificabilit ne certifica il significato, ovvero la significativit sul piano scientifico. In termini pi semplici, il principio di verificabilit cio la possibilit di principio che una proposizione sia verificata sperimentalmente un criterio di significanza scientifica, ossia permette di selezionare le proposizioni che possono essere giudicate vere o false, e dunque hanno rilevanza conoscitiva, separandole da quelle (p.e. Dio onnipresente) che non possono essere giudicate n vere n false, in quando sono prive di significato conoscitivo, cio sono scientificamente insensate. Se una proposizione verificabile in seguito potr essere effettivamente verificata e se lo sar positivamente allora diventer una proposizione non solo scientificamente sensata ma anche vera. Sulla base di questa impostazione, i neopositivisti confutano spietatamente tutta la tradizione filosofica di stampo metafisico. Infatti, in base al principio di verificabilit, secondo i neopositivisti, tutte le teorie filosofico-metafisiche risultano insiemi di proposizioni prive del minimo significato conoscitivo. Esse hanno solo un valore emotivo, sono forme di effusione sentimentale. I filosofi, afferma Carnap, sono dei musicisti e oltretutto dei musicisti falliti. In altre parole, per i neopositivisti, la filosofia non vale neanche come effusione sentimentale, in quanto la forma appropriata per esprimere e rappresentare i sentimenti e le emozioni larte.

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ROTTA B IL FALSIFICAZIONISMO O RAZIONALISMO CRITICO Karl Popper rovescia la filosofia della scienza del neopositivismo con una nuova impostazione che chiamata falsificazionismo o fallibilismo. Ma Popper stesso autodenomina la sua filosofia razionalismo critico, richiamandosi alla tradizione di Kant e prima ancora di Socrate. Secondo Popper la scienza non si basa sulla verificabilit delle sue proposizioni, ma sulla loro falsificabilit, cio sulla possibilit che esse siano sottoposte a esperimenti potenzialmente capaci di confutarle. In questo senso, la scoperta scientifica non nasce dallinduzione, ma da unintuizione teorica pura dalla quale si ricavano deduttivamente delle conseguenze singolari che vengono sottoposte al vaglio di esperimenti. Dunque il criterio di demarcazione tra scienza e non scienza la possibilit di confutare una teoria in base a severi controlli sperimentali. Ma ci per Popper non significa che una teoria, o una proposizione, non falsificabile siano prive di significato conoscitivo. Infatti, p.e., la teoria atomistica di Democrito, di stampo metafisico, allinizio del 900 diventata una teoria scientifica. Dunque la filosofia ha un significato logico, ovvero una valenza conoscitiva, bench non abbia validit scientifica in quanto, a differenza della scienza, non se ne pu stabilire il grado di verosimiglianza, cio di approssimazione al vero. Per Popper infatti nemmeno una teoria scientifica pu essere considerata vera, in quanto la verit esiste ma luomo non pu conoscerla. La scientificit dunque non si basa sullalternativa secca vero/falso, ma sulla maggiore o minore verosomiglianza relativa. VITA DI UN CAPITANO KARL RAIMUND POPPER Macque a Vienna il 28 luglio 1902. Da giovane, durante il biennio rosso (1919-20) fu attratto dalle idee socialiste, che da adulto avrebbe rigettato. Negli anni Venti ammesso, come assistente sociale, all'Istituto pedagogico di Vienna, da cui esce abilitato nel 1927. Sono anni in cui fa molte esperienze intellettuali (musica, fisica, matematica, politica) e lavora per un certo periodo presso la clinica di consulenza per l'infanzia di Alfred Adler, psicanalista in dissidio con Freud. Nel 1928 si laurea in filosofia con lo psicologo Karl Bhler e l'anno seguente ottiene la qualifica di insegnante di matematica e fisica nelle scuole medie, dove insegner dal 1930 al 1936. Nel 1934 pubblica la prima edizione di La logica della scoperta scientifica col titolo La logica della ricerca. Bench non fosse membro del Circolo di Vienna, Popper intrattiene rapporti con Hans Hahn, Rudolf Carnap, e Herbert Feigl, con Otto Neurath, e pi tardi con Kurt Gdel e Alfred Tarski. Dopo l'occupazione nazista dell'Austria nel 1938, a causa della sua origine ebraica, emigra in Nuova Zelanda, dove insegna, dal 1937 al 1945, al Canterbury University College di Christchurch, e dove scrive e pubblica tra il 1944 e il 1945 La miseria dello storicismo e La societ aperta e i suoi nemici. All'inizio del 1946 accetta il lettorato di logica e poi di metodologia alla London School of Economics dove, nel 1949, diventa professore ordinario e successivamente capo del Dipartimento di Filosofia. Nel 1959 pubblica la seconda edizione di La logica della scoperta scientifica e nel 1963 Congetture e confutazioni. Lasci linsegnamento universitario nel 1969. A partire dagli anni Cinquanta Popper ha avuto numerosissimi riconoscimenti per la sua attivit di ricerca: dalla nomina a membro della Royal Society sino all'investitura del titolo di baronetto nel 1965. morto nel 1994.

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TAPPA 1 POPPER: IL PRINCIPIO DI FALSIFICABILITA Ma io ammetter certamente come empirico, o scientifico, soltanto un sistema che possa essere controllato dallesperienza. Queste considerazioni suggeriscono che, come criterio di demarcazione, non si deve prendere la verificabilit , ma la falsificabilit di un sistema. In altre parole: [] un sistema empirico deve poter essere confutato dallesperienza. K. Popper: Logica della scoperta scientifica, p. 22 Secondo Popper, la conoscenza nasce dallo scontro tra una nostra aspettativa e unesperienza che la contraddice. In questo modo sorge un problema e la conoscenza si origina e si sviluppa come tentativo di risolverlo. Ma se le cose stanno cos, allora lattivit conoscitiva presuppone sempre una conoscenza innata cio un patrimonio conoscitivo acquisito costituito da: attitudini, disposizioni, funzioni geneticamente ereditate; teorie religiose, mitiche, filosofiche, artistiche, scientifiche elaborate precedentemente e trasmesse culturalmente. Questa conoscenza innata svolge, a giudizio di Popper, due funzioni fondamentali: suscita aspettative a priori che orientano losservazione spingendoci a mettere a fuoco solo alcuni aspetti della realt che diventano cos esperienza; ci fornisce il materiale di base per poter ideare ipotesi di soluzione dei problemi che di volta in volta ci si presentano. In base a queste due funzioni giungiamo a elaborare delle teorie, cio dei sistemi di asserti universali. Le teorie infatti non sono altro che uno sviluppo raffinato delle nostre disposizioni innate a rilevare delle somiglianze e a stabilire delle connessioni regolari tra le nostre esperienze. Le teorie per non sono tutte uguali. Vi infatti per Popper una demarcazione decisiva tra le teorie scientifiche e quelle non scientifiche o metafisiche. Il criterio di tale demarcazione non la verit, in quanto di nessuna teoria possibile stabilire la completa corrispondenza alla realt empirica. Ci che fa la differenza tra teorie scientifiche e no che le prime, diversamente dalle seconde, consentono una maggiore possibilit di critica perch sono empiricamente controllabili. In particolare il controllo empirico delle teorie scientifiche si basa sul principio di falsificabilit, cio sulla possibilit di dimostrarne la falsit. Il controllo empirico delle teorie scientifiche si attua grazie a una procedura metodologica di tipo ipotetico-deduttivo, che Popper chiama anche metodo per prova ed errore. Tale procedura consiste nei seguenti passaggi: ideazione di una teoria generale avente il valore di unipotesi di soluzione di un problema; deduzione delle conseguenze della teoria generale, cio dei fatti particolari che essa predice; confronto tra le deduzioni particolari ricavabili dalla teoria e i fatti sperimentali, o meglio, come dice Popper, gli asserti-base singolari che gli esperimenti stabiliscono. Se gli asserti-base concordano con le predizioni teoriche allora la teoria ha superato il controllo critico e ottiene un parziale attestato di validit; in caso contrario la teoria risulta falsificata e dunque non pu essere considerata scientificamente valida.

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Secondo Popper, lesempio migliore di teoria scientifica rappresentato dalla teoria della relativit di Einstein. Essa infatti fu originata dallinaspettata scoperta sperimentale dellinvarianza della velocit della luce, che contraddiceva il principio di composizione delle velocit cio dallemergere di un problema rispetto alla fisica classica; fu elaborata in modo puramente teorico come ipotesi fisico-matematica di soluzione del problema priva di prove sperimentali; ma Einstein stesso ne indic le conseguenze singolari in base alle quali poteva essere falsificata: per esempio la deviazione dei raggi luminosi provenienti dalle stelle a causa del campo gravitazionale del Sole; tale predizione rese possibile lesperimento di Eddington del 1919 che accert che un raggio di luce stellare passante vicino al Sole viene deflesso nella misura matematica prevista dalla teoria della relativit. Dunque, una teoria scientifica se, e solo se, indica la possibilit di confutarla mettendola alla prova con rigorosi esperimenti. Il principio di falsificabilit si fonda per Popper su di una decisiva asimmetria logica: " il pi ampio numero di esperimenti favorevoli a una teoria non sufficiente a dimostrare la sua verit; " invece un solo esperimento sfavorevole sufficiente a dimostrare che una teoria non vera. Infatti una teoria, in quanto universale per definizione, deve valere per una totalit infinita di fatti singolari. Dunque mentre i controlli sperimentali non possono per principio verificare tutti i fatti che una teoria predice, un solo controllo negativo basta per confutarne luniversalit. Per esempio, laver osservato mille cigni bianchi non sufficiente a dimostrare la verit dellasserto universale tutti i cigni sono bianchi, perch esistono o esisteranno sempre molti altri cigni che non abbiamo osservato; ma sufficiente losservazione di un cigno nero per confutare quellasserto universale. In altre parole, la scienza non si fonda sulla verifica empirica affermativa ma sul controllo empirico negativo perch mentre la prima sempre incompleta e quindi dubbia, il secondo completo e dunque certo. Lo scienziato, secondo Popper, un uomo diverso da tutti gli altri in quanto mentre la maggior parte degli uomini si sforza di dimostrare di aver ragione, lo scienziato cerca di dimostrare di avere torto. In altre parole, lattivit scientifica deve consistere non nel tentativo di trovare conferme alle teorie proprie o altrui, bens nel tentativo incessante di falsificarle. Tale tesi paradossale si giustifica in base a due fondamentali motivazioni: solo un esperimento ideato e realizzato con la ferma volont di falsificare una teoria se non riesce nel suo intento costituisce una conferma fondata della sua validit; a differenza della conferma di una teoria, la falsificazione di una teoria ci apre nuove vie di ricerca e stimola cos laccrescimento della nostra conoscenza. Quando una teoria scientifica viene falsificata non pi valida ovvero attuale, pur conservando sempre un parziale grado di verosimiglianza. Quando invece resiste ai tentativi di falsificazione conseguendo una conferma sperimentale empiricamente corroborata cio pu e deve essere considerata scientificamente valida e attuale fino a prova contraria.

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TAPPA 2 POPPER: IL PRINCIPIO DI VEROSIMIGLIANZA Lo status della verit intesa in senso oggettivo, come corrispondenza ai fatti, con il suo ruolo di principio regolativo, pu paragonarsi a quello di una cima montuosa, normalmente avvolta tra le nuvole. Uno scalatore pu non solo avere difficolt a raggiungerla, ma anche non accorgersene quando vi giunge, perch pu non riuscire a distinguere, nelle nuvole, fra la vetta principale e un picco secondario. Questo tuttavia non mette in discussione lesistenza oggettiva della vetta; e se lo scalatore dice dubito di aver raggiunto la vera vetta, egli riconosce, implicitamente, lesistenza oggettiva di questa. Lidea stessa di errore, o di dubbio (nella semplice accezione usuale) comporta il concetto di una verit oggettiva, che possiamo essere incapaci di raggiungere. K. Popper: Congetture e confutazioni, p. 388 Popper ha una concezione realistica della verit. Egli infatti riprende e riabilita la concezione tradizionale, legata al senso comune, della verit come corrispondenza tra asserti, cio proposizioni, e fatti, cio stati di oggetti. Rifacendosi al logico polacco Tarski, Popper afferma che possibile stabilire rigorosamente la corrispondenza asserti/fatti grazie alla distinzione tra: " il linguaggio oggetto, cio il linguaggio con cui parliamo dei fatti " il metalinguaggio semantico, cio il linguaggio con cui possiamo parlare sia del linguaggio oggetto sia dei fatti. Grazie allutilizzo di questi due linguaggi possiamo affermare con certezza che lasserto Il gatto sulla poltrona dorme (linguaggio oggetto) vero se, e solo se, sulla poltrona c un gatto che dorme (metalinguaggio semantico). In altre parole il metalinguaggio semantico per Popper il fondamento logico-razionale della possibilit di stabilire in modo rigorosamente certo la corrispondenza asserti/fatti. Sulla base di questa concezione della verit, Popper sostiene che nessuna teoria scientifica potr mai conseguire la verit in modo pieno e assoluto. Infatti: " una teoria scientifica soltanto se pu essere empiricamente controllata sui fatti; " una teoria scientifica per costituzione un sistema di asserti universali, ovvero si riferisce a una totalit di fatti in linea di principio infinita; " ma gli scienziati non potranno mai controllare la corrispondenza degli asserti di una teoria a tutti gli infiniti fatti cui si riferisce. Dunque anche ipotizzando per assurdo che uno scienziato scopra una teoria vera, n lui n lintera comunit scientifica potrebbero accertarsene e dunque esserne coscienti. In altri termini: la scienza non pu conoscere la verit. Stando cos le cose, secondo Popper tutte le teorie scientifiche devono essere considerate e usate come semplici congetture, ovvero come ipotesi sicuramente relative e fallibili, e pertanto inevitabilmente destinate, prima o poi, a essere falsificate da un fatto. Nondimeno, Popper afferma con forza che non possiamo n dobbiamo rinunciare alla convinzione che la verit esista. Infatti: un solo fatto contrario a una teoria pu attestarne la falsit dunque se non possiamo accertarci della verit di una teoria, possiamo raggiungere una piena certezza riguardo alla sua falsit ma, poich la falsit la negazione della verit, la certezza della falsit di qualcosa implica la certezza dellesistenza della verit.

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Insomma, se la scienza, e dunque luomo, non pu mai arrivare a possedere la verit solo per i suoi limiti, non perch la verit non esiste. La possibilit di stabilire la superiorit di una teoria scientifica rispetto a unaltra Per Popper, inoltre, il fatto che tutte le teorie scientifiche siano congetture fallibili non implica che esse siano tutte equivalenti. E, infatti, possibile stabilire che una teoria migliore di un'altra in base a due semplici criteri: " maggiore quantit di informazioni ovvero di riferimenti empirici " maggiore capacit di spiegazione e comprensione. Entrambi questi criteri si traducono e si sintetizzano in un unico criterio fondamentale: " la maggiore possibilit di controllo e di falsificabilit. In altre parole, secondo Popper, una teoria migliore quando permette agli scienziati di sottoporla a controlli empirici pi numerosi e pi severi, ovvero quando offre pi ampie e rigorose possibilit di dimostrarne la falsit in base a fatti contrari. In base alla sua concezione della scienza, Popper giunge a una conclusione paradossale, cio del tutto contraria al senso comune: mentre comunemente si crede che una teoria scientifica sia pi valida di unaltra se la prima pi probabile della seconda Popper afferma che se una teoria pi valida di unaltra allora meno probabile di questultima. La tesi di Popper ha un fondamento logico. Per capirlo, basta considerare il seguente esempio: " lasserto domani sorger il sole pi probabile dellasserto domani sorger il sole e piover " ma il primo di gran lunga meno falsificabile del secondo, dal momento che le sue implicazioni empiriche sono di gran lunga pi ristrette. Dallesempio facile ricavare che le teorie pi probabili, cio quelle che hanno pi probabilit di ottenere conferme positive dallesperienza, sono quelle che hanno minore ricchezza conoscitiva. Ma sarebbe assurdo giudicare migliore una teoria con minore ricchezza conoscitiva. Dunque la maggiore probabilit non pu essere il criterio della scienza. Dal momento che, anche se irraggiungibile, la verit esiste, dire che una teoria migliore di unaltra, per Popper equivale a dire che pi vicina alla verit di unaltra. Ci significa che la scienza pu e deve adottare la verit come criterio regolativo della propria evoluzione, cio che se deve rifuggire lobiettivo di possedere la verit deve per porsi quello di approssimarsi sempre di pi alla verit. Infatti solo in questo modo la scienza pu produrre quella continua crescita del sapere che una sua propriet essenziale. In altri termini: di una teoria scientifica non possiamo stabilire se vera in assoluto, ma possiamo e dobbiamo stabilire se pi o meno verosimile cio vicina al vero di unaltra. Dunque nella pratica scientifica il principio di verit va tradotto in quello di verosimiglianza. Grazie a tale principio possibile affermare che levoluzione della scienza stata, almeno finora, un progresso. Infatti, possiamo affermare che la teoria astronomica di Keplero pi verosimile di quella di Copernico, quella di Newton pi verosimile di quella di Keplero e quella di Einstein, infine, pi verosimile di quella di Newton.

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