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Aesthetica Preprint

Supplementa
La maledizione della parola
di Fritz Mauthner
Centro Internazionale Studi di Estetica
Il Centro Internazionale Studi di Estetica
un Istituto di Alta Cultura costituito nel novembre del 1980 da un gruppo
di studiosi di Estetica. Con D.P.R. del 7 gennaio 1990 stato riconosciuto Ente
Morale. Attivo nei campi della ricerca scientica e della promozione culturale,
organizza regolarmente Convegni, Seminari, Giornate di Studio, Incontri, Tavole
rotonde, Conferenze; cura la collana editoriale Aesthetica

e pubblica il perio-
dico Aesthetica Preprint

con i suoi Supplementa. Ha sede presso lUniversit


degli Studi di Palermo ed presieduto n dalla sua fondazione da Luigi Russo.
Aesthetica Preprint

Supplementa
la collana editoriale pubblicata dal Centro Internazionale Studi di Esteti-
ca a integrazione del periodico Aesthetica Preprint

. Viene inviata agli stu-


diosi im pegnati nelle problematiche estetiche, ai repertori bibliograci, alle
maggiori biblioteche e istituzioni di cultura umanistica italiane e straniere.
Aesthetica Preprint
Supplementa
22
Settembre 2008
Centro Internazionale Studi di Estetica
Fritz Mauthner, 1849-1923
Fritz Mauthner
La maledizione della parola
Testi di critica del linguaggio
a cura di Luisa Bertolini
Il presente volume viene pubblicato col contributo del MIUR (PRIN 2006, respon-
sabile scientico prof. Gianna Gigliotti) Universit degli Studi di Roma Tor
Vergata, Dipartimento di Ricerche Filosoche.

Indice
Presentazione: Fritz Mauthner e la maledizione della parola
di Luisa Bertolini
1. Linguaggio e metafora in Fritz Mauthner 7
2. Il linguaggio come metafora 13
3. Metafora e rappresentazione 23
4. La teoria della metafora 34
Bibliograa 59
La maledizione della parola: Testi di critica del linguaggio
di Fritz Mauthner
Critica del linguaggio
Prefazione 77
Introduzione 78
Lessenza del linguaggio 79
Linguaggio e socialismo 90
La superstizione della parola 93
Pensare e parlare 96
Anima e sensi 100
Larte della parola 102
La metafora 104
Dizionario di Filosoa
Signicato (Bedeutung) 117
Coscienza (Bewusstsein) 120
Cosa (Ding) 121
Unit (Einheit) 123
Conoscere (Erkennen) 129
Umorismo (Humor) 132
Ridere (Lachen) 140
Bello (Schn) 140
Verit (Wahrheit) 148
Mondo aggettivo 152
Mondo sostantivo 154
Mondo verbale 155
Le tre immagini del mondo
Le tre nuove categorie 161
Dappertutto tre mondi. Lattore 166
Epilogo 166
Indice dei nomi 169
7
Presentazione
Fritz Mauthner e la maledizione della parola
di Luisa Bertolini
1. Linguaggio e metafora in Fritz Mauthner
Mauthner del tutto Mauthner, vorrei dire pi di quanto lo sia.
un uomo intelligente e pieno di spirito, ma c una stoffa di seta
che credo si chiami cangiante. Si presenta molto bene, ma non si sa
se sia verde, rossa oppure marrone; Mauthner evoca sempre qualcosa,
quando per si vuol dire: mi permetta, gi andato via Mauthner
lospite pi splendido, ma insieme anche il cameriere pi ordinario,
quello che ti porta via il piatto proprio quando stai per cominciare.
Cos lo scrittore berlinese Theodor Fontane ci presenta Fritz Mauthner,
cogliendo in pochi tratti il carattere delluomo e del pensatore
1
: il con-
tributo di questo losofo per lunghi anni dimenticato e in Italia poco
conosciuto
2
si pu riassumere infatti nel lavoro critico contro ogni
ovviet e pregiudizio losoco e nellindividuazione dellanalisi del lin-
guaggio come terreno fondamentale per questa operazione. Lapprodo
una posizione radicalmente scettica e nominalistica che sembra esaurirsi
nellosservazione arguta e brillante che svuota ogni cosa di senso e lascia
il lettore a mani vuote. Da una pi attenta considerazione del percorso
intellettuale di questo autore emergono per alcuni nuclei tematici che
rivelano maturit teoretica e ritornano nella losoa contemporanea,
mostrando una sua fortuna, per cos dire, sotterranea.
Mauthner indica come compito di tutta la sua produzione intellet-
tuale la critica del linguaggio e nella ricostruzione posteriore delle sue
Erinnerungen
3
afferma di esservi stato in un certo modo predestinato
in quanto ebreo nato in una provincia slava dellImpero austro-unga-
rico, dove il tedesco era la lingua degli impiegati, della formazione,
della poesia e dei parenti; il ceco la lingua dei contadini e delle donne
di servizio, ma anche la lingua storica del regno di Boemia; lebraico,
la lingua sacra dellAntico testamento, divenuta il Mauscheldeutsch dei
rigattieri ebrei, ma anche talora degli eleganti uomini di commercio
4
.
In un altro passo lo scrittore attribuisce per il fallimento della scrit-
tura poetica proprio a questo, al cattivo tedesco di Praga, il tedesco
cartaceo
5
, troppo articiale, imposto dal padre, oppure il cosiddetto
Kleinseitner Deutsch, il tedesco con inuenze austriache, parlato nel
suo quartiere, oppure ancora il misto di tedesco e ceco, denito con
8
spregio Kuchelbmisch, il ceco della servit; di qui il rancore, che dure-
r per tutta la vita, per lassenza di una lingua madre e di un dialetto,
mescolato al risentimento per la mancanza di uneducazione religio-
sa
6
. Orgoglio e rancore insieme caratterizzano del resto tutte le svolte
principali della sua vita intellettuale: labbandono degli studi per la
poesia, la scelta della carriera giornalistica a Berlino, la svolta losoca
e il primo allontanamento dalla citt nel quartiere di Grnewald, la
fuga da Berlino e gli studi losoci e scientici a Freiburg e, inne, la
scelta dellisolamento a Meersburg, sul lago di Costanza.
Mauthner era nato il 22 novembre del 1849 a Horschitz (Horice),
una piccola cittadina della Boemia orientale, vicino a Kniggrtz e
Sadowa, come egli ricorda con una punta di orgoglio nazionalistico te-
desco
7
, da padre ebreo non religioso e da madre antireligiosa, in
una famiglia borghese completamente assimilata che pochi anni dopo,
nel 1855, si era trasferita a Praga per dare ai gli unistruzione adegua-
ta. Lo scrittore ricostruisce con astio il periodo della sua formazione e
del suo insuccesso scolastico: dalla scuola privata elementare ebraica,
la Klippschule (scuola dellabbicc), al Piaristengymnasium, scuola cat-
tolica, dove met degli studenti erano ebrei e non mancava qualche
protestante, e inne nel Kleinseitner Gymnasium
8
, liceo di lingua te-
desca. Alle lamentele contro lastrattezza e la meccanicit degli studi
si accompagna linsofferenza per la preparazione superciale in tutte e
tre le lingue della sua formazione, il tedesco, il ceco e lebraico. Il 1866
segna una svolta politica: la vittoria prussiana nella guerra contro lAu-
stria con la battaglia di Sadowa e loccupazione di Praga provocano nel
giovane Mauthner il passaggio da un coscienza genericamente austriaca
(non eravamo per la grande Germania
9
; noi austriaci dovevamo ri-
manere i signori della Germania (credevamo di esserlo), per poter poi,
in casa, farla nita con i cechi
10
) a un nazionalismo grande-tedesco
con tratti talora fanatici e deciso odio anticeco
11
. Lacutizzarsi del con-
itto etnico, la progressiva diminuzione della componente tedesca nella
Praga della seconda met dellOttocento
12
, la rovina nanziaria del
padre che muore nel 1874, costituiscono lo sfondo del periodo degli
studi universitari in giurisprudenza e del loro abbandono, anche in se-
guito a un attacco di emottisi, a favore della poesia. Queste premesse,
a cui si aggiunge lo scarso successo letterario, rendono comprensibile
la scelta, nel 1876, del trasferimento a Berlino.
Mauthner sceglie Berlino e non Vienna, la citt pi veloce del mon-
do contro la capitale della lentezza: Berlino la sola capitale tedesca del
futuro
13
, centro oltre che della politica e delleconomia, della scienza
e della cultura, del giornalismo, delle riviste culturali, della produzio-
ne libraria e della critica teatrale. Qui si rivolge a Arthur Levysohn,
direttore di uno dei giornali pi importanti della citt, il Berliner Ta-
geblatt delleditore Rudolf Mosse
14
. Non trova immediatamente una
collocazione ssa, ma dalla met del 1877 collabora regolarmente per
9
sette anni al settimanale Deutsches Montags-Blatt, dello stesso edi-
tore, come scrittore satirico e critico teatrale. La fama improvvisa gli
deriva dalle parodie pubblicate su questo giornale a partire dallinizio
di giugno del 1878, raccolte lanno dopo in un libro con il titolo Nach
berhmte Muster
15
, al quale fanno seguito anche alcuni romanzi.
Nellambiente culturale berlinese questo signore altissimo e magro,
con naso adunco e una lunga barba che lo fa assomigliare a un anti-
co profeta
16
, sembra a suo agio. La sua gura di intellettuale ebreo
assimilato
17
si colloca al centro della vita culturale della capitale
18
.
Molto ampio anche lo spettro delle sue conoscenze personali: com-
prende nomi come Lou Andreas-Salom, Else Lasker-Schler, Oskar
Maria Graf, Richard Beer-Hofman, Kurt Hiller, Hermann Hesse, Erich
Mhsam, Theodor Fontane, Maximilian Harden, Gerhard Hauptmann,
Theodor Mommsen, Walter Rathenau e Franz Oppenheimer
19
. Anche
sul piano personale questo momento appare sereno, segnato dal matri-
monio con Jenny Ehrenberg e dalla nascita dellunica glia Grete.
Mauthner non per soddisfatto di un successo che gli pare troppo
efmero e mondano, si lamenta di aver speso tanti anni in un lavoro
maledetto e di esserne a ragione stanco. Ma gi dal 1891 egli aveva
iniziato, la notte, quasi in segreto, un nuovo e imponente lavoro lo-
soco di analisi e di critica del linguaggio. Le radici psicologiche di
questa scelta risalgono ancora pi indietro (un primo abbozzo, gettato
nel fuoco, nel 1873, poi la ripresa segreta del tema e ventisette anni di
preparazione, come ci dice Mauthner nella prefazione); decisivo sembra
per lincontro con il giovane scrittore anarchico Gustav Landauer.
Nonostante la diversit del carattere e delle opinioni politiche, per molti
versi contrapposte
20
, Landauer di stimolo e di concreto aiuto nella
stesura dellopera, soprattutto dopo la morte della moglie di Mauthner
nel gennaio del 1896 e linsorgere di una grave malattia agli occhi. I tre
grossi volumi dei Beitrge zu einer Kritik der Sprache verranno pubbli-
cati tra il 1901 e il 1902 dalleditore Cotta e ottengono una risonanza
maggiore di quanto lautore lamenti
21
, non paragonabile per al suo
successo come scrittore satirico.
Per altri versi la critica del linguaggio ha origine proprio nellattivit
giornalistica, nellatto di mimesi dello scrittore di parodie che si na-
sconde dietro la maschera del linguaggio altrui, per forzarne i momenti
pi deboli e rivelarne il pregiudizio; nasce dallavventarsi contro il lin-
guaggio che egli usa quotidianamente con successo, dal voler scavare
da autodidatta nella cultura losoca e scientica del suo tempo alla
ricerca della superstizione della parola, oscillando, come rivela nella
prefazione, tra momenti di presunzione e momenti di abbattimento e
morticazione
22
.
Il primo volume dei Beitrge prende avvio dallimpossibilit di de-
nire lessenza del linguaggio che immediatamente si declina nelle diver-
se lingue, nei dialetti, nelle lingue particolari, nelle lingue individuali,
10
spesso diverse nelle diverse fasi della vita, presente solo nel suono
pronunciato che svanisce nellattimo. Alla mancanza di una denizione
analitica suppliscono allora le metafore che si accumulano una sullaltra
e che si esauriscono nellaffermazione pragmatica che il linguaggio non
altro che luso del linguaggio. Con la metafora eraclitea che rafgura
lincessante mutamento del signicato delle parole nellimmagine delle
gocce dacqua della corrente di un ume Mauthner inizia la disso-
luzione di qualsiasi fondamento che assicuri al mondo e al soggetto
conoscente una qualsiasi continuit e solidit. Come per il seguace di
Eraclito del Teeteto platonico le sostanze si sgretolano nel mutamento
e le qualit si presentano solo negli attributi sensibili, nella consapevo-
lezza che il compito critico esigerebbe, come pretendeva Socrate
23
, un
nuovo linguaggio e che il linguaggio a nostra disposizione appunto
il nostro linguaggio.
Il problema diventa ancor pi evidente per il linguaggio della psi-
cologia cui Mauthner addebita di aver prodotto la duplicazione del
mondo in interno ed esterno, linguaggio e pensiero, memoria e co-
scienza, e di aver applicato al mondo interno il linguaggio del mondo
esterno. Mauthner vi trova tuttavia alcune indicazioni importanti che
si concludono nella teoria, se cos si pu chiamare, dei Zufallssinne,
in gran parte ripresa dalla concezione di Ernst Mach, con qualche
suggestione ricavata da Schopenhauer e Nietzsche. La tesi consiste
nellaffermazione che i nostri organi di senso, costituitisi nel corso di
una evoluzione biologica che ha seguito vie traverse e casuali in una
storia senza leggi, sono simili a ltri che lasciano passare solo una
minima parte delle caratteristiche delle cose, che sono quindi inadat-
ti a cogliere linnita complessit del reale e sufcienti soltanto allo
scopo di orientarsi nel mondo, di sopravvivere e di comunicare. Le
rappresentazioni, le immagini che ci facciamo delle cose, si modicano
continuamente come in un caleidoscopio e il concetto contenuto nella
parola, cerniera provvisoria per un complesso di sensazioni, sorge dalla
straticazione di rappresentazioni simili, ma non identiche, che scivola-
no luna sullaltra senza potersi mai sovrapporre in modo esatto. Mau-
thner per consapevole della provvisoriet di una simile denizione,
sa che in questa enunciazione vi sono aspetti metaforici, immagini che
inducono allinganno, come il concetto di immagine, appunto.
Nella disamina delle teorie del linguaggio contemporanee, contenu-
ta nel secondo e nel terzo volume, Mauthner accoglie sostanzialmen-
te la teoria dei neogrammatici e in particolare di Hermann Paul che
aveva accentuato la dissoluzione dellapriori di una lingua presupposta
come unitaria nella comunit dei parlanti che raccontano storie comu-
ni. Nonostante alcune critiche che rimangono alla supercie, Mauthner
condivide con Paul limpostazione della ricerca delle condizioni di
possibilit dellaccordo linguistico, laccento posto sulluso individuale
della lingua, sulla discrepanza tra lutilizzazione della parola da parte
11
dellindividuo e quella sancita dalluso, laffermazione dellimpossibi-
lit di comunicare il contenuto rappresentativo mediante la parola, il
ricoscimento del carattere polisemico del linguaggio e dellinevitabilit
del malinteso. La classicazione dei mutamenti linguistici costituisce
poi la premessa della teoria della parola come metafora che Mauthner
elabora aggiungendovi altre suggestioni provenienti dalla losoa del
linguaggio e dallestetica.
La pubblicazione dei Beitrge avviene in un periodo della vita di
Mauthner di difcolt e di depressione; nellottobre del 1905 si trasfe-
risce a Freiburg con lintenzione di dedicarsi agli studi, lontano dai ru-
mori della grande citt e dallattivit giornalistica. A dicembre scrive
Khn segue il cane
24
, e nelle lettere agli amici Mauthner riferisce
di lunghe passeggiate con il cane nella solitudine e nel dubbio di non
riuscire pi a vivere. Riprende per lentamente gli studi, frequenta
luniversit seguendo corsi di matematica e di discipline scientiche,
conosce Hans Vaihinger e per suo tramite entra nella societ kantiana,
incontra Martin Buber, per il quale scrive la breve monograa divulga-
tiva Die Sprache. Ma la novit principale la frequentazione di Hedwig
Straub, scrittrice ebrea e tedesca
25
, che aveva studiato losoa a Zurigo
con Avenarius, il teorico relativista dellesperienza pura
26
, e medicina a
Parigi e che aveva poi lavorato come medico per dieci anni tra i bedui-
ni nel deserto del Sahara. Con laiuto della Straub, che diverr la sua
seconda moglie, Mauthner affronta un lavoro nuovo e impegnativo, la
stesura di un dizionario dei principali termini losoci.
Das Wrterbuch der Philosophie, questo Mauthner voleva come ti-
tolo, non per vanit, scrive nellintroduzione, ma perch con larticolo
determinativo egli non intendeva il dizionario come unico o migliore,
ma il dizionario dei termini che la losoa ha usato, il dizionario della
nostra losoa. La losoa, a sua volta, teoria del conoscere e la
teoria del conoscere critica del linguaggio, rassegnazione scettica di
fronte allimpossibilit di conoscere il mondo, che non vuole presentar-
si come pura negazione, ma come il nostro miglior sapere. Nel circolo
di memoria, pensiero e linguaggio termini che si sovrappongono e
spesso vengono identicati le parole sono soltanto i segni per ri-
cordare o i nomi per le esperienze senza nome, numerose, troppe per
essere senza parole e senza nome
27
. Nel corso di una storia priva di
leggi e di direzione le parole migrano assieme agli uomini e alle cose
che essi portano con s e con esse migrano anche i concetti astratti.
Egli sceglie allora poco pi di duecento parole della losoa, delle
quali non ricostruisce letimo alla ricerca di un signicato originario,
ma ne segue le migrazioni (Wortwanderungen) attraverso le deriva-
zioni, i prestiti (Entlehnungen) e i calchi (Lehnbersetzungen). Non
quindi un catalogo del mondo, ma un insieme di piccole monograe
dei concetti astratti, di concetti morti e di concetti apparenti (Schein-
begriffe), ai quali nulla corrisponde nella nostra esperienza. Mauthner li
12
chiama concetti sostantivi, ipostatizzazioni arbitrarie del linguaggio,
capaci tuttavia di dare vita a rappresentazioni che diventano motivo
dellagire, pregiudizi in grado di provocare una guerra di religione o
la caccia alle streghe. La decostruzione critica assume cos anche una
dimensione pratica nella consapevolezza della potenza psicologica di
tali concetti, delle loro radici nellessenza stessa del linguaggio: i con-
cetti della losoa dato che la losoa inizia l dove nisce il sapere
dellesperienza rimangono sospesi nelle pi alte regioni tra il pericolo
dellapparenza e il pericolo dellantica mistica
28
.
La critica del linguaggio della losoa si esprime gi nellimposta-
zione enciclopedica che riuta lordinamento gerarchico per sostituirlo
con il criterio infantile dellordine alfabetico
29
, prende di mira le pa-
role pi usate, trasforma la domanda sullessenza nellindagine sulluso
del nome. Ne risulta una disamina dei problemi pi importanti della
storia del pensiero che rivela conoscenze amplissime, ma anche conclu-
sioni affrettate e soggettive. In ogni caso la materia pi ordinata, le
conoscenze scientiche si sono ampliate anche alle discipline matema-
tiche e siche, il tono a parte qualche caso anche clamoroso
30
pi
pacato. A questo non certo estranea la presenza della Straub con la
sua personalit delicata e tenace, con le sue conoscenze linguistiche e
scientiche.
Con Hedwig, che sposer lanno seguente, si trasferisce nel 1909 a
Meersburg sul lago di Costanza in una casa di vetro, la Glaserhusle,
dove trascorre gli ultimi anni dedicandosi a un componimento poetico
sulla gura del Buddha, alla mistica e ai quattro volumi dellopera Der
Atheismus und seine Geschichte im Abendlande, pubblicata nel 1920.
Anche questo lavoro concepito come critica del linguaggio e parte
dalla disamina dei concetti di Dio, eresia, superstizione, ateismo e di
altri termini legati alla storia delle religioni, in particolare della religio-
ne cristiana. La ricostruzione della liberazione dal concetto di Dio
31

prende in considerazione allora anche le critiche losoche, le soluzioni
eretiche, le lotte contro il potere della Chiesa. La scepsi conoscitiva e
linguistica impedisce una soluzione materialistica e trasforma lateismo
in una mistica senza Dio, nella quale non vi nome per un Dio, come
non vi sono nomi adeguati per le cose del mondo
32
. Ma lidillio del
Buddha di Meersburg era gi stato avvelenato da alcune polemiche
politiche e religiose, ma soprattutto dallo scontro con Landauer per gli
articoli nazionalistici che Mauthner aveva scritto allinizio della guerra
mondiale e per il suo giudizio negativo sulla partecipazione dellamico
alla Repubblica dei consigli di Monaco, nella repressione della quale
Landauer aveva trovato la morte, assassinato in prigione.
Nel suo ultimo anno di vita Mauthner riassume le sue tesi loso-
che nello scritto Die drei Bilder der Welt, interrotto dalla morte, il 29
giugno del 1923.
13
2. Il linguaggio come metafora
La losoa di Mauthner non ha propriamente un inizio, e non vor-
rebbe averlo, eppure la sua critica del linguaggio prende avvio proprio
nel modo pi classico, con la citazione dal Vangelo di Giovanni: in
principio era la parola
33
. Con la parola continua per gli uomini
sono al principio del conoscere e rimangono fermi se restano presso la
parola; chi voglia procedere oltre, deve liberarsi dalla parola e dalla su-
perstizione della parola, riscattare il mondo dalla tirannia del linguag-
gio
34
. Sembra un punto di partenza, ma lautore ci avverte subito che
lespressione in principio muta il suo senso appena procediamo oltre
nel pronunciare le cinque parole della proposizione in principio era
la parola. Subito dopo, la metafora della scala accresce il disagio del
lettore disorientato. I suoi gradini ci incatenano al linguaggio dellat-
timo, di quel determinato gradino che abbiamo toccato anche solo di
sfuggita e solo con le punte dei piedi, anche se ci siamo costruiti da
noi i gradini per quellattimo. Del resto non troviamo la scala, perch
Mauthner come far Wittgenstein lha distrutta: devo annientare
il linguaggio passo dopo passo dietro di me e davanti a me e dentro
di me, devo distruggere ogni piolo della scala mentre salgo. Chi vuole
seguire, ricostruisca i pioli per poi distruggerli di nuovo
35
.
La circolarit di questo inizio si manifesta nella struttura delle pri-
me pagine. In effetti non questo linizio: come ha notato Elisabeth
Bredeck, le prime pagine del testo presentano una successione apparen-
temente scoordinata di citazioni e annotazioni: prima lepistola dedica-
toria di Descartes dei Principia, a cui seguono, nella seconda edizione,
la prefazione con il programma di critica del linguaggio e lindice, poi
le citazioni di Locke, Vico, Hamann, Jacobi e Kleist
36
. Linvocazione
dello spirito cartesiano si accosta al richiamo allempirismo e alla tra-
dizione asistematica. Lapproccio al tema gi decostruzione.
Lo stile della scrittura riette questa tensione: Mauthner non vuole
procedere verso la verit, il linguaggio diventa un mezzo di sperimenta-
zione, viene piegato e rotto, alla ricerca di una formulazione libera da
norme e pregiudizi
37
. uno stile espressionistico, capace di far sentire
davvero la lingua, provocatorio nelluso compiaciuto degli ossimori
38
,
scandito dagli scarti e dagli slittamenti improvvisi verso il basso, nella
sciatteria ostentata della lingua da mercato. Non sempre il risultato
felice: talora lautore risolve con arguzia ebraica un intreccio comples-
so, altrove si perde in lunghe divagazioni che gli prendono la mano.
Rimane lobiettivo di presentare lo scetticismo linguistico nellanda-
mento stesso della lingua nella quale il signicato della parola ripetuta
slitta, viene trasposto, diventa ostensione della metafora.
Forse questa la ragione della sua fortuna tra i letterati e della
sfortuna presso i loso. Dalle lettere che Mauthner scrive a Hugo
von Hofmannsthal, dopo la pubblicazione della Chandos-Brief
39
, tra-
14
spare lorgoglio di ritrovare nelle riessioni del protagonista, lo scrittore
classico che si commiata dalla parola, leco di molti passaggi della sua
critica del linguaggio
40
e limbarazzata richiesta di un adeguato rico-
noscimento. Nonostante la reticenza del poeta ad ammettere di aver
trovato esclusiva ispirazione dalle tesi del losofo
41
su una problematica
daltronde molto presente nella letteratura austriaca del tempo, sappia-
mo che nella sua biblioteca sono presenti il primo e il terzo volume dei
Beitrge e che nei fogli del Nachlass Mauthner viene citato pi volte
42
.
Christian Morgenstern, il poeta del grottesco e dellassurdo, si dichiara
invece esplicitamente seguace di Mauthner e attribuisce alla lettura della
Kritik der Sprache lessere venuto in chiaro sullessenza del linguaggio,
giusticazione teorica del suo gioco poetico con la parola
43
.
Mauthner letto anche da Samuel Beckett e James Joyce, quando,
tra il 1929 e il 30 a Parigi, Joyce sta lavorando alla contaminazione
linguistica di Finnegans Wake e Beckett cerca nei Beitrge qualcosa che
possa servire alla scrittura di Joyce; ne copia su un quaderno come
riferisce a Linda Ben-Zvi anche un lungo passo sul nominalismo e
sulla sua indimostrabilit, sullinutilit della parola
44
. Sempre nellam-
bito della sperimentazione linguistica, ma in un diverso contesto, negli
anni sessanta, il viennese Oswald Wiener, nel suo romanzo di decostru-
zione, die verbesserung von mitteleuropa, lo cita come provvisorio rife-
rimento per una scelta ancor pi radicale di rinuncia al linguaggio
45
.
Inne Jorge Luis Borges afferma di consultare spesso il Wrterbuch der
Philosophie di Mauthner e a lui si ispira in alcuni racconti
46
.
La difdenza dellaccademia si conferma invece con il passare degli
anni; nonostante lopinione di Ernst Mach che prevedeva un ricono-
scimento, lento ma certo
47
, la letteratura critica tarda a prenderlo in
considerazione e il suo nome rimane legato alla proposizione 4.0031 del
Tractatus logico-philosophicus, nella quale Wittgenstein afferma: tutta
la losoa critica del linguaggio. Ma non nel senso di Mauthner.
Solo a partire dal saggio di Gershon Weiler del 1958 iniziato uno stu-
dio pi attento del suo pensiero; eppure ancora Hans Khn, il critico
che gli dedica il testo analitico pi completo, corredato dallintera bi-
bliograa dei suoi scritti, lo intitola Gescheiterte Sprachkritik, il naufra-
gio della critica del linguaggio. Gli studi successivi, che prenderemo in
considerazione in relazione a problemi specici, hanno certamente un
approccio pi cauto, eppure afora spesso lidea che Mauthner non sia
proprio un losofo. In un certo senso non lo , e non ha voluto esserlo.
Egli rimane ai margini della tradizione losoca, scarta problemi, che a
noi continuano a parere importanti, con battute di spirito che ci lascia-
no stupefatti per la supercialit; in qualche altro passo sembra voler
cancellare con un solo gesto di insofferenza lintero impianto dei temi
della Critica della ragion pura e di un secolo successivo di interpretazio-
ni. A tutto questo si aggiungono le querimonie sullaccademia che san-
no pi di risentimento che di consapevolezza. Mauthner propone per
15
un cambiamento del punto di vista che richiede unattenzione inedita
alla dimensione empirica del linguaggio. Per questo la sua riduzione
della losoa a critica del linguaggio mantiene una dimensione losoca
e permette di tornare ai temi di prima con uno sguardo diverso: dopo
si ascolta, si pensa, si parla diversamente
48
. Del resto la losoa non
ha mai preteso di fare di pi e lo stesso Wittgenstein nir per fare una
critica del linguaggio proprio nel senso di Mauthner
49
.
Partiamo allora dallindicazione di Elisabeth Bredeck che, nel sag-
gio sulle metafore del conoscere in Mauthner, suggerisce una lettura,
per cos dire, non letterale dellopera: dopo un iniziale approccio ana-
litico che cercava nel testo la contraddizione e lincoerenza, concede
una valutazione pi indulgente che ci presenta lunica possibilit di
approccio allopera di Mauthner, la lettura delle sue metafore. Il lavoro
della studiosa americana parte dallanalisi della circolarit dellinizio e
nisce con la citazione dantesca dei primi versi del II canto del Paradi-
so che chiude i Beitrge
50
: un nuovo gioco sullinizio e la ne: Dante
allinizio del suo percorso verso la verit garantita da Dio
51
, Mauthner
davvero alla ne e con il sorriso beffardo di chi dice al lettore che il
suo suggerimento a non seguirlo arriva troppo tardi.
La conclusione non del tutto una sorpresa perch lo stile argo-
mentativo di Mauthner procede n dalle prime pagine nel continuo
spostamento del piano del discorso, nella posizione di sempre nuove
domande metasiche che riguardano lessenza del linguaggio e nello
svuotamento delle stesse domande. Cos nella prefazione alla seconda
edizione dei Beitrge Mauthner denisce come obiettivo principale del
suo lavoro losoco lindagine sullessenza del linguaggio, ma sug-
gerisce immediatamente limpossibilit di una denizione: il linguaggio
un termine generale, astratto, inafferrabile, perch costituito dalla
massa enorme di tutti i suoni umani [...] detti o scritti dagli uomini
per comprendersi in un qualche luogo della terra
52
e, nello stesso
tempo, si presenta soltanto nella singola parola, nel singolo suono che
svanisce appena lo si pronunciato; il linguaggio concluder poco
pi avanti propriamente non esiste, preso in s una non-cosa senza
essenza (ein wesenloses Unding)
53
.
Eppure lintenzione di lavorare sullessenza del linguaggio non sem-
bra un semplice espediente, perch la critica del linguaggio viene de-
nita come un compito inevitabile. Ma se non possibile un approccio
analitico lunica strada sembra la metafora e la prima metafora che
Mauthner usa nei Beitrge per descrivere il linguaggio eraclitea: la
corrente del ume rende in immagine il carattere instabile dei signi-
cati; il ume, paragonato alla singola lingua, muta a sua volta il suo
corso con landare del tempo. Non soddisfatto del uire dellacqua,
lautore accenna alla possibilit di paragonare la lingua a una corrente
daria e al letto di questa corrente. Ma limmagine del ume sugge-
risce anche linutilit al ne di coglierne lessenza dello studio
16
geograco-scientico che ne ricostruisca il percorso o la costituzione
sico-chimica e richiama la mitologia delle divinit uviali che rego-
lano il usso dellacqua. La trinit di pensiero, logica e grammatica,
alla quale attribuiamo un valore normativo ed esterno al linguaggio,
si nasconde piuttosto dentro di esso
54
.
Limpossibilit di denire il linguaggio se non mediante metafore,
conduce Mauthner alla tesi che il linguaggio semplicemente e prag-
maticamente luso del linguaggio. Luso suggerisce una nuova metafora:
il linguaggio un gioco di societ le cui regole diventano pi cogenti
quanti pi giocatori vi partecipano
55
, ma anche la bella immagine del
linguaggio come citt del socialismo realizzato, nelle condutture della
quale scorrono luce e veleno, acqua e sporcizia
56
. Di qui si moltipli-
cano le metafore della maledizione: il linguaggio lostetrica dalle dita
sporche che uccidono la partoriente
57
, la sferza con la quale ognuno
guardiano e schiavo dellaltro, la scimmia addomesticata del circo
che si crede un artista, la diavolessa che ha promesso alluomo i frutti
dellalbero della conoscenza e in cambio gli ha dato un frutto cancero-
geno, parole per cose, etichette per bottiglie vuote
58
; il linguaggio il
vecchio frac del signore di Gerlach, rammendato no a non essere pi
lo stesso
59
, laringa immersa nella soluzione salata del pensiero
60
, il
veleno prodotto dalluomo che gli antichi chiamavano antropotoxina
61
.
Laccumulo di metafore vecchie e nuove modica il signicato di quelle
tradizionali e rivela non solo che il linguaggio non un catalogo del
mondo, ma che alla sua essenza appartiene il malinteso, lincompren-
sione, la sinonimia (in senso aristotelico, per cui il bue e luomo, in
quanto animali, sono sinonimi) e i pi gravi malintesi si manifestano
nella morale, nella politica, nel diritto, nella cultura, dove le parole
ridono come a casa propria
62
.
Il crescendo delle metafore ha per anche un senso teoretico, vuole
condurci alla tesi che la parola in quanto tale metafora; essa non ha
a che vedere n con il mondo esterno, n con quello interno, carica
solo della sua storia, non evoca immagini, ma immagini di immagini
di immagini in uno sviluppo senza ne di metafora in metafora
63
.
Questa autoreferenzialit della parola ha senso soltanto nella poesia,
dove la maledizione diventa magia e le parole, che conservano la ric-
chezza della metafora originaria, hanno peso scrive Mauthner citando
Maeterlink grazie al silenzio in cui sono immerse
64
. Il silenzio di una
mistica senza Dio, che si pone con il sentimento di fronte a una realt
inafferrabile al pensiero, laltro esito dello scetticismo linguistico di
Mauthner. Linvocazione del silenzio, apparentemente in contraddizione
con la scrittura di migliaia e migliaia di pagine, rimane un avvertimento
critico: guardando al passato egli scrive la critica del linguaggio
scetticismo, guardando al futuro misticismo
65
. La nostra analisi si
limita allo sguardo verso il passato.
Lesposizione della tesi che la parola metafora si trova circa a
17
met del secondo volume dei Beitrge e si colloca dopo la critica alla
questione dellorigine del linguaggio. Rovesciando il rapporto trascen-
dentale tra Ursprung ed Entstehung, Mauthner riuta con decisione la
questione delle origini del linguaggio e preferisce parlare di evoluzione
della lingua, proponendoci di provare di nuovo con una metafora che
prende il concetto nel senso pi ovvio e comune e nisce con una
nuova domanda su questo senso. La domanda posta volontariamente
in modo banale: qual il nutrimento che fa crescere il linguaggio?
La metafora dellorganismo, gi criticata altrove
66
, introduce la tesi
centrale: il linguaggio, che forse deriva dalle espressioni primordiali
dello stupore, della gioia e del dolore, si sviluppa e questa per
il nostro autore una vera e propria ipotesi attraverso la metafora:
il linguaggio scrive cresciuto e ancor oggi cresce a partire dal-
la memoria umana (e memoria umana a sua volta solo linguaggio)
soltanto mediante la trasposizione (bertragung, rtorriv) di una
parola denita (fertig) su unimpressione indenita, mediante confronto
dunque, mediante questo atto eterno del -peu-prs, mediante questo
innito circoscrivere e parlar gurato, che costituisce la forza artistica
e la debolezza logica del linguaggio
67
.
Lidea del carattere essenzialmente metaforico del linguaggio non
certo una concezione originale di Mauthner; se ne potrebbero cercare
le tracce in innumerevoli li che annodano la storia della losoa con
la rinascita della retorica, con le teorie del conoscere, con le ricerche
psicologiche e la nascita della semantica. Le tracce lontane vengono
cercate da Mauthner nellanalisi gnoseologica del rapporto tra la pa-
rola e la cosa degli empiristi inglesi e nella riessione sul linguaggio
di Vico, Hamann e von Humboldt; gli inussi pi diretti si possono
individuare invece nel dibattito psicologico e linguistico della ne Ot-
tocento. Del resto il carattere originale della posizione di Mauthner
non consiste tanto nella elaborazione di una nuova teoria, dato che
tutti gli elementi che ne fanno parte si possono rintracciare nei suoi
predecessori, ma come ha notato Weiler nel sottomettere questi
elementi allidea dominante della critica del linguaggio
68
. Questa im-
postazione richiede che anche la nostra ricerca debba considerare le
tesi dellautore in continuo dialogo con le posizioni teoriche che egli
riprende, critica e decostruisce.
La prima fonte citata dal nostro autore Locke e pi volte egli si
ripromette di dedicare unanalisi adeguata al suo libro sul linguaggio, il
terzo del Saggio sullintelligenza umana. Il pensatore inglese non consi-
dera per la metafora come uno strumento per comprendere la natura
del linguaggio in generale; quando parla della metafora, la considera
come un vero e proprio inganno nel suo alludere a incerte somiglian-
ze pi che analizzare e distinguere
69
. Mauthner interessato per a
questo elemento di ambiguit che egli ritrova nel rapporto stabilito
da Locke tra parola e idea, nellaffermazione che le parole sono segni
18
sensibili per le idee; il che stava a signicare che esse non sono segni
delle cose e nemmeno delle idee che stanno nella mente dellaltro,
che il loro contenuto rappresentativo del tutto privato: lesempio di
Locke quello delloro, nel quale il bambino vede solo il colore bril-
lante, mentre altri possono aggiungervi il peso, la malleabilit e altre
caratteristiche. Ma la soggettivit della rappresentazione viene argina-
ta da Locke con la distinzione tra vari tipi di idee; le idee semplici,
corrispondenti alle qualit sensibili, resistono allalbero di Porrio e
alla denizione per via della differenza specica (non c nulla che
posso tralasciare dallidea di bianco e di rosso per farle concordare
nel genere colore), e in questa loro originariet possono essere in
qualche modo esibite e riprodotte. Nei modi misti invece, come nel
caso di giustizia o beatitudine, abbiamo a che fare con concetti
astratti e combinati in modo del tutto arbitrario; nel caso poi delle
sostanze egli sembra propenso a considerarle come una collazione di
caratteristiche da enumerare
70
, difcilmente risolvibile in una chiara
determinazione del signicato. Nella denizione delloro allora lenu-
merazione aggiunger al colore giallo la duttilit, la fusibilit, la ssit
e cos via senza pretendere di penetrare nella sua essenza reale che ci
rimane sconosciuta. Questa cautela critica alla base dellacuta analisi
dellambiguit e delle oscurit del linguaggio che si accompagna alla
consapevolezza della difcolt di questo compito: tanto difcile il-
lustrare il vario signicato e le molteplici imperfezioni delle parole,
quando non abbiamo altro che parole per farlo, una frase che, ab-
biamo visto, compare tra le citazioni che introducono la trattazione
dellessenza del linguaggio nel primo volume dei Beitrge
71
. In Locke
Mauthner trova quindi lattenzione posta sulla funzione del linguaggio
nel processo stesso della conoscenza, lidea della discrepanza tra con-
tenuto rappresentativo e parola e quindi la necessit, nella formazione
dei concetti astratti, di far uso di parole provenienti dalle operazioni
su cose sensibili trasferendole ai processi del pensiero
72
.
Per laffermazione dellorigine metaforica del linguaggio poi ancor
pi pertinente il riferimento a Vico, che egli cita subito dopo
73
. Nel
pensatore napoletano Mauthner trova prima di tutto unattenzione alla
lingua come documento della storia dellumanit e al suo legame con
la storia delle cose, in una prospettiva antirazionalistica, come di-
mostra laltra citazione posta allinizio dei Beitrge, accanto a quella di
Locke: homo non intelligendo t omnia. Questa impostazione trova
conferma nel racconto metaforico delle origini della storia ideale eterna
che fa precedere geneticamente il parlar gurato alluso dei termini
propri: la metafora allora, come accorciata Favoletta, condensa in un
universale fantastico phantastische Gattungsbegriff, traduce Mauthner
gli eventi della natura e del cielo e li attribuisce allimmagine di una
divinit, il nome della quale prende forma dal grido della paura. Tutte
le lingue procedono quindi nel dare alle cose inanimate trasporti del
19
corpo animato, e delle sue parti, e degli humani sensi e umane passioni,
il che corrisponde a una delle denizioni di Quintiliano
74
. Vico pro-
cede oltre nellesame della metonimia, che veste concetti astratti con
leffetto al posto della causa (la morte pallida), e della sineddocche che
trasporta la parte al tutto, mentre assegna la gura dellironia a tempi
pi tardi, quelli della riessione
75
.
Mauthner scrive per di essere arrivato a Vico solo in un secondo
momento, dopo aver elaborato la propria teoria e attraverso una sug-
gestione di Goethe
76
; lo considera pi un precursore della critica del
linguaggio che uno stimolo diretto al proprio lavoro. Del resto latten-
zione alla funzione della metafora non solo in ambito retorico e poetico,
ma come strumento teorico in grado di spiegare aspetti fondamentali
dellevoluzione del linguaggio in generale, era elemento acquisito nel-
la losoa e nella linguistica dellOttocento tedesco. Mauthner stesso
traccia un lo che collega Vico, Hamann e Herder
77
e, nonostante
sia decisamente dalla parte di Herder nel negare lorigine divina del
linguaggio
78
, rivela una maggiore afnit e simpatia per le affermazioni
oracolari del Mago del Nord che aveva letto nelle gure della Bibbia la
traduzione del dialetto di Dio nel linguaggio delluomo.
Hamann fonte di ispirazione in primo luogo per lo stile, per il
suo lento prendere avvio nel groviglio dei titoli, delle dediche spesso
occasionali e incomprensibili, dei motti duplici e triplici
79
, per la sua
sensibilit per la lingua che accosta la profezia a intermezzi scurrili,
per la sua predilezione per la maschera, la parodia e, non ultimo, la
metafora. E le metafore che scorrono una sullaltra nellAesthetica in
nuce dipanano la tesi sullorigine del linguaggio dalla poesia, lingua
materna del genere umano
80
, nel ventaglio delle immagini che dal-
la prima parola di Dio, sia la luce, alla creazione delluomo a sua
immagine, proseguono in un crescendo di citazioni che devono esse-
re state modello al lavoro di Mauthner. La trasposizione che avviene
nel processo metaforico viene spiegata da Hamann con una ulteriore
metafora: pensare tradurre: da un linguaggio di angeli in un lin-
guaggio di uomini, ossia pensieri in parole, fatti in nomi, immagini in
segni, che possono essere poetici o kyriologici, storici, o simbolici o
geroglici e losoci o caratteristici
81
e questa stessa esigenza di
rendere in immagine, di mettere mani, piedi, ali
82
alle astrazioni e
alle ipotesi alla base della metacritica alla Critica della ragion pura
dellamico Kant, che Mauthner cita a pi riprese. In questo breve testo
Hamann aveva richiamato la tesi di Berkeley, ripresa da Hume, che
tutte le idee generali non sono altro che idee particolari congiunte a
una certa parola che d loro un signicato pi esteso e fa s, alloccor-
renza, che ne richiamino altre individuali simili a loro. Il linguaggio
diventava cos, come sottolinea Mauthner, primo e ultimo organo e
criterio della ragione, senza altra garanzia allinfuori delluso e della
tradizione
83
. Contro lidolo della pura ragione Hamann richiama la
20
priorit genealogica del linguaggio: suoni e lettere sono le pure forme
a priori, dalle quali sorge la lingua pi antica della musica, come dal
ritmo del polso e del respiro la prima misura del tempo e dalle gu-
re del disegno e della pittura la determinazione dello spazio
84
. Non
idee innate, dice, ma certo matrici che vanno a ricomporre la frattura
kantiana tra sensibilit e intelletto, facendo scorrere tra luna e laltro
schiere di intuizioni e di concetti.
Si pu quindi considerare Mauthner come il continuatore di questa
metacritica della ragione ed egli stesso ha la pretesa di presentare le
proprie ricerche come continuazione e completamento dellimpresa
del losofo di Knigsberg, come critica della ragione impura Kritik
der unreinen Vernunft, scrive Lktenhaus a proposito, usando per
unespressione di Gerber
85
come trasformazione della critica della
ragione in critica del linguaggio. Il primo passo in questa direzione
stato fatto, secondo Mauthner, proprio da Kant nella Kritik der Ur-
teilskraft, da intendersi come una critica dei concetti e delle parole
nellambito del bello; sarebbe stato meglio scrive che fosse stato
cos anche per la ragion pura: avremmo la critica del linguaggio
86
.
Certamente la disamina kantiana della forma soggettiva del giudizio
estetico, della funzione dellimmaginazione, dellanalogia e delle ipoti-
posi simboliche nella terza critica doveva essere importante per Mau-
thner, ma egli non entra nel merito.
Le metacritiche di Hamann e Herder costituiscono poi solo una
prima tappa di un processo di relativizzazione e di storicizzazione del-
lapriori che prosegue nel corso dellOttocento con la trasposizione del
trascendentale dal pensiero al linguaggio attuata da von Humboldt
87
,
con la dialettica tra a priori e a posteriori nello spirito dei popoli della
Vlkerpsychologie di Steinthal e si conclude nellestrema dinamicizzazione
delle analisi dei neogrammatici sulluso della lingua e lo scarto indi-
viduale
88
. Mauthner trae le conseguenze di questo percorso e in questo
senso lo si pu senzaltro considerare, come scrive Lia Formigari,
partecipe di un approccio attualistico al tema del linguaggio che ha
il suo lontano ascendente nel concetto di rvryrio di von Humboldt
e nello stesso tempo il punto di non ritorno di quella tradizione
89
.
La ripresa della visione della lingua come qualcosa di continuamente,
in ogni attimo, transeunte, non opera (r yov), ma attivit (r vr yrio),
secondo la famosa denizione di von Humboldt
90
, avviene infatti solo dal
lato della denizione dellatto individuale del parlare, mentre laccento
posto sulla produttivit conoscitiva, sulla creazione della soggettivit e la
ducia nella corrispondenza tra rappresentazioni proprie e altrui, fondata
sul riferimento alla totalit della lingua, vengono lasciate cadere nella
critica antimetasica. Nello stesso tempo la frattura che si aperta tra
contenuto rappresentativo e parola pronunciata, teorizzata dal principale
esponente dei neogrammatici, Hermann Paul, e ripresa da Mauthner,
rappresenta davvero un punto di non ritorno.
21
Nella ricostruzione storica delle teorie sul linguaggio del secondo
volume dei Beitrge von Humboldt rimane un riferimento molto im-
portante e lammirazione per la sua presa di posizione politica auten-
ticamente liberale e contraria a ogni dispotismo si mescola al consenso
per la tesi che le lingue in ultima analisi con una leggera forzatura di
Mauthner rimangono creazioni dellindividuo
91
. A Mauthner piace
il carattere asistematico di un pensiero che non perviene a denizioni
conclusive, e non tanto perch le consideri ovvie, ma proprio perch
non ne viene davvero a capo, forse per il carattere circolare di ogni
discorso sul linguaggio. Queste osservazioni rimandano allimpossibilit
di cogliere lessenza del linguaggio se non per mezzo di metafore, alla
considerazione della lingua come un tessuto, una rete di analogie
in cui si cristallizzata una visione del mondo
92
, come un cerchio dal
quale possibile uscire solo passando in unaltra lingua metafora
questa che ritorna nei Beitrge ma in una visione unitaria, a sua volta
resa in metafora con limmagine del prisma
93
.
Mauthner passa invece subito alla critica delle formulazioni, a suo
parere oscillanti e contraddittorie, sullo spirito che creerebbe la lingua
e sulla lingua che creerebbe lo spirito; ripete laccusa di Steinthal nei
confronti del maestro, di voler cio dedurre il linguaggio dal pensie-
ro, mentre sarebbe pi semplice ricavare dal linguaggio le leggi del
pensiero. In particolare il nostro autore riprende il concetto di innere
Sprachform, che von Humboldt aveva posto a fondamento della diversa
attenzione delle lingue ai diversi aspetti delle cose, del prevalere del-
la componente intellettiva oppure di quella sintetica, e gli conferisce
un senso del tutto diverso ed empirico. Ritiene che questo concetto
sia nalistico e contraddittorio, perch assegna una forma a qualcosa
di interiore che non pu aver forma, indicando talora linsieme delle
idee che fanno riferimento alla lingua, talora luso del linguaggio
94
. In
concreto per il losofo illuminista, come Mauthner non si fa scrupolo
di denire von Humboldt
95
, intenderebbe per forma interiore della
lingua una cosa diversa a ogni paragrafo: la logica del pensiero come
essa si esprime nella grammatica oppure la grammatica astratta come
si esprime nelle singole forme linguistiche e qualche volta persino il
tertium comparationis che compare alla fantasia nella formazione di
nuove parole
96
. Non dobbiamo allora prenderlo alla lettera, la forma
interna soltanto la nostra sensibilit (Gefhl) linguistica per la nostra
madrelingua che ci fa intendere una parola inesistente come ierbte
come un imperfetto del verbo altrettanto inesistente ierben.
Per dimostrare la sua tesi della parola come metafora, Mauthner at-
tinge per al bagaglio delle argomentazioni e degli esempi degli studi di
semantica, che non solo avevano individuato nella creazione dellespres-
sione gurata uno dei principali processi che accompagnano il muta-
mento semantico, ma ne avevano fornito anche una trattazione analitica.
Mauthner conosce e cita numerosi studi di semasiologia, il lone di
22
ricerca che nella Germania dellOttocento costituisce la premessa della
nascita della semantica, disciplina inaugurata dalla pubblicazione, nel
1897 a Parigi, del testo di Michel Bral Essai de smantique. Science des
signications. Di Bral cita il detto: noi siamo, pi o meno, dei dizionari
viventi della lingua francese
97
, invero per criticarlo subito dopo per la
mancanza di un approfondimento psicologico. Ma lapproccio semantico
dello studioso francese era vicino alla critica del linguaggio per il concet-
to non normativo delle leggi linguistiche che si limitano a rilevare delle
regolarit, per la concezione del rapporto tra le parole e le cose e per
limportanza centrale della metafora. La logica del linguaggio per Bral
una logica di tipo particolare, avanza per tappe, devia, sosta e riparte,
procede per analogie e contiene continui riferimenti soggettivi. Bral
dedica poi una particolare attenzione alla metafora, affermando come
sia spesso difcile riconoscere le metafore pi antiche, ormai scolorite;
esse poi non rimangono legate alla lingua in cui nascono, ma viaggiano
da un idioma a un altro. Questo contribuisce a dare alla parola un
carattere polisemico: il linguaggio designa le cose, ma in modo incom-
pleto e inesatto; i sostantivi racchiudono solo quella parte di verit che
pu essere racchiusa da un nome e che necessariamente pi piccola
quanto maggiore il grado di realt posseduto dalloggetto
98
. Il lin-
guaggio conclude con una tesi che Mauthner ripete pi volte pu
solo restituirci leco del nostro stesso pensiero
99
.
Il linguista pi vicino a Mauthner per Hermann Paul: egli lo
cita spesso, anche se talora in maniera polemica
100
. Lesponente prin-
cipale del movimento dei neogrammatici, inuenzato dal darwinismo
di Spencer, aveva proposto un approccio radicalmente empiristico alla
scienza del linguaggio, considerata come disciplina storica, disamina
delle espressioni degli uomini nel loro operare concreto. Mauthner in-
dica il passo in avanti compiuto da Paul rispetto alla Vlkerspychologie
nel focalizzare linteresse sullindividuo, sulluso linguistico del parlante
e sulle condizioni di possibilit di comprensione da parte dellinterlo-
cutore, e di giungere cos allidea fondamentale che ogni innovazione
fonetica e semantica sia opera dellindividuo
101
. Nei Prinzipien der
Sprachgeschichte Mauthner poteva trovare unimpostazione psicologica
di stampo herbartiano, centrata sul meccanismo, conscio e inconscio,
di aggregazione delle rappresentazioni nella mente dellindividuo, e
unindagine sul rapporto tra questo piano, privato e incomunicabile, e
luso linguistico. La spiegazione storico-genetica dei mutamenti fonetici
e semantici, fondata sulla dialettica di signicato usuale di un termine e
di signicato occasionale
102
, era basata sul riconoscimento del carattere
polisemico di molte parole in uso e sulla necessit quindi di rendere
tale signicato univoco e concreto allo scopo della comprensione tra
parlanti. Queste deviazioni dalluso comune venivano classicate da Paul
secondo gli opposti princip della specializzazione
103
e dellampliamento
del signicato
104
, princip ai quali egli aveva aggiunto il trasferimento
23
a quanto collegato nello spazio, nel tempo e per causa
105
. La metafora
diventava allora uno dei mezzi pi importanti per la creazione di nomi
per complessi rappresentativi per i quali non esistono ancora parole
che li designino, ma anche per quelli che gi possedevano un nome,
costituendo un complesso di immagini sedimentate che caratterizza le
differenze di interesse degli individui e dei popoli.
La rassegna dei tipi di metafora di Paul non rappresenta per sol-
tanto un fondo di idee ed esempi a cui attingere
106
: il nuovo rap-
porto stabilito dallanalisi dei neogrammatici tra linguistica e psicologia
e il riferimento a Herbart impegnano Mauthner a fare i conti con la
tradizione degli studi di psicologia
107
, aprendo un altro ventaglio di
prospettive che richiedono una sintesi.
3. Metafora e rappresentazione
In un primo momento sembra senzaltro di poter denire la con-
cezione mauthneriana della metafora con il cattivo attributo di psico-
logica, riconducendola alla categoria peggiorativa di psicologismo,
se intendiamo con questo termine la dissoluzione dellapriori e la sua
spiegazione in termini genetici. Lo stesso Mauthner ribadisce pi volte
di voler ridurre la losoa a psicologia e per la linguistica afferma che
essa costituisce soltanto un capitolo della psicologia
108
. Nello stesso
tempo per il nostro losofo afferma che lo psicologismo sarebbe la
verit, se la nostra psiche non dovesse parlare
109
, se la parola potesse,
per cos dire, assomigliare alla rappresentazione. Ma lidea della parola
come metafora collegata al suo carattere polisemico, ambiguo, non
riconducibile a un concetto denito, ma a una pluralit di rappresen-
tazioni; in ogni momento egli scrive sono presenti una quantit di
rappresentazioni individuali che stanno pronte fuori della cruna della
nostra coscienza
110
e che passiamo velocemente in rassegna. Alla pa-
rola corrisponde la sedimentazione di rappresentazioni simili, mai eguali
per, che uttuano una sullaltra, senza poter combaciare in modo esat-
to. Pi avanti lautore torner a riettere sul termine rappresentazione
che gi indicherebbe unattivit spirituale complessa, richiedendo a sua
volta la mediazione del linguaggio
111
: provvisoriamente possiamo dire
allora che la parola evoca un mondo di associazioni, un complesso di
sensazioni e di percezioni sensibili. Gli organi di senso a loro volta non
sono poi certamente lo specchio del mondo, essi hanno avuto unevo-
luzione casuale, orientata dai criteri delleconomia e del bisogno, costi-
tuiscono quindi dei ltri, dei setacci, che lasciano passare soltanto una
minima parte delle caratteristiche delle cose
112
. Questa selezione stata
essenziale per la vita quotidiana, perch una congurazione pi precisa
degli organi di senso che ci facesse percepire differenze microscopiche,
come ad esempio lintera variazione delle oscillazioni ondulatorie stu-
24
diate dalla sica nel campo dei suoni e dei colori, non avrebbe reso
possibile lorientamento delluomo nel mondo.
Sul piano gnoseologico una conoscenza trasparente del mondo rima-
ne impossibile: intelletto e mondo non combaciano, non si adattano lun
laltro come un guanto alla mano o la mano al guanto (e con questo ro-
vesciamento allude alla rivoluzione copernicana di Kant, e stando alla
metafora non ci nemmeno dato sapere se nel guanto vi sia davvero
una mano
113
); il mondo svanisce nellillusione, dissolto nelle ombre del
mito della caverna di Platone e coperto dal velo di Maya delle antiche
dottrine dei Veda interpretate da Schopenhauer, coinvolgendo anche
il soggetto nel mistero dellinconoscibile. Ma lo scetticismo radicale,
applicato allambito del soggetto del conoscere, apre un nuovo piano
di indagine per la critica del linguaggio e la seconda parte del primo
volume dei Beitrge si presenta come unacuta disamina delle teorie
psicologiche del tempo che ne individua alcune importanti aporie. La
duplicazione del mondo attuata dal materialismo, dallo spiritualismo, ma
anche dal parallelismo psico-sico ha, secondo Mauthner, come imme-
diata conseguenza lapplicazione al mondo interno dei concetti elaborati
per il mondo esterno, con il risultato di costruire enigmi senza soluzione
sul rapporto tra anima e corpo e problemi senza senso, come il tentativo
di individuare la collocazione dellanima o la diatriba sullanima degli
animali
114
. Allo stesso modo la psicologia siologica, che scopre nel
cervello i correlati sici delle associazioni psichiche, non farebbe altro
che raddoppiare lenigma
115
, e Fechner, che chiama parallele due cose
che invero coincidono, risolverebbe il problema del rapporto tra sico
e psichico soltanto a parole: i pesci commenta Mauthner con una
metafora vedono la supercie del mare da sotto, gli uccelli dallalto
e in psicologia noi ci troviamo nellimbarazzante situazione di un uomo
che possa guardare solo da un lato lo specchio del mare
116
. Anima e
corpo sono quindi solo parole, metafore appunto; lio, con i suoi con-
ni incerti e incostanti, illusione delle illusioni
117
, la coscienza vuoto
pleonasmo
118
: lo specchio del nostro cervello riette di volta in volta
quello che gli davanti, ma non si pu guardarvi dentro come in uno
specchio oculare
119
.
Mauthner afferma di aver maturato queste sue convinzioni nel suo
periodo di formazione a Praga; fa risalire lidea della povert dei nostri
cinque sensi, della struttura contingente della sensibilit, alla lettura di
Nietzsche (ma su questo pi avanti) e sostiene di essere stato stimolato
alla critica del linguaggio da una conferenza sul principio di conser-
vazione del lavoro che Ernst Mach aveva tenuto a Praga nel 1872. Si
tratta invero di una ricostruzione a posteriori
120
, ma questo non toglie
che si possano rintracciare nelle pagine dei Beitrge molte suggestioni
che derivano con evidenza dalla rilettura del lavoro di Mach.
Il testo della prolusione contiene una disamina critica dei concetti
fondamentali della sica considerati secondo il motto la storia ha fatto
25
tutto, la storia pu mutare tutto
121
. I concetti, sostiene Mach, sono
astrazioni che debbono essere sempre riconducibili ai fenomeni sus-
sunti; per alcuni concetti abbiamo scordato il percorso compiuto per
raggiungerli e li chiamiamo metasici
122
. La scienza si deve limitare alla
connessione pi ampia possibile dei fatti, senza cercare di immaginare
qualcosa dietro i fenomeni, e deve essere consapevole che quello che
li tiene insieme sempre una forma arbitraria, che varia con il no-
stro punto di vista culturale
123
. Universalizzare questo punto di vista,
come tenta di fare la concezione meccanica del mondo, signica, per
Mach, ritornare alla metasica; la conclusione kantiana: se il mondo
una macchina, in cui il movimento di certe parti determinato dal
movimento di altre, nulla per determinato per lintera macchina
124
.
Accanto poi al procedimento che collega i fenomeni, la scienza ha
anche il compito di scomporre i fatti complessi in fatti pi semplici,
non ulteriormente scomponibili: questi fatti-base, come egli li chiama,
non sono altro che incomprensibilit non abituali ridotte a incompren-
sibilit abituali e la scelta di questi fatti-base questione di comodit,
storia e abitudine
125
. In breve, la conferenza di Praga conteneva tutti
i presupposti per una critica del linguaggio della metasica nella scien-
za, come Mauthner riconosce pi volte.
La critica al meccanicismo veniva poi confermata dalle ricerche
successive dello scienziato sullo spazio e sul tempo della percezione,
sui suoni e sui colori, esposte nel libro Die Analyse der Empndun-
gen, la cui prima edizione del 1886. Nelle Osservazioni preliminari
antimetasiche, che introducono le ricerche siologiche, il punto di
partenza del nostro conoscere viene descritto fenomenologicamente:
colori, suoni, calore, pressioni, spazi, tempi ecc. sono connessi fra
loro in modo molteplice e ad essi sono legati disposizioni, sentimenti e
volizioni. Da questo tessuto emerge ci che relativamente pi stabile
e durevole, imprimendosi nella memoria ed esprimendosi nella parola.
Come relativamente pi durevoli si segnalano innanzitutto complessi
coordinati (funzionalmente) nello spazio e nel tempo di colori, suoni,
pressioni ecc., i quali proprio perci assumono nomi specici e ven-
gono indicato come corpi (Krper). Tali complessi non sono affatto
persistenti in senso assoluto
126
. In questa formulazione Mach evita
lespressione complessi di sensazioni: gli elementi sono sensazioni al
livello dellastrazione, dellidealizzazione, cio dellordinamento di una
serie che permette di renderli oggetto di esperimento
127
; essi scrive
Mach sono sensazioni soltanto sotto un certo rispetto: un colore
un oggetto sico in relazione alla sorgente di luce, una sensazione
in relazione alla retina
128
. I complessi di elementi si compongono poi
variamente e possono esigere una descrizione sica o siologica oppure
psicologica: in relazione allelemento ordinatore si danno diverse im-
magini del mondo, come dir Mauthner, oppure reti a diverse maglie,
come dir Wittgenstein.
26
Questo approccio permetteva a Mach di sfuggire alla duplicazione
metasica di soggetto e oggetto, di fenomeno e cosa in s, di illusione
e realt: la matita immersa nellacqua, emblema dellillusione dei sensi,
risulta otticamente spezzata, ma tattilmente e metricamente diritta. I
complessi, ordinati herbartianamente in modo seriale (ordinamento
spaziale e temporale, serie cromatica o tonale), sono poi scomponibili
senza il residuo di una cosa in s: la sostanza, al contrario, non altro
che lipostatizzazione di unentit che viene staccata dalla serie delle
sensazioni in base a unistanza di totalit.
E semplice complesso di elementi risultava anche laltro polo del
conoscere, lio, che perdeva cos la sua identit denita. Mach sancisce
in questo modo la ne dellio, fonte, a suo dire, di tutte le assurdit me-
tasiche, e indica come premessa di questa concezione unosservazione
di Lichtenberg sulla difcolt di tracciare una netta linea di demarca-
zione tra le rappresentazioni che dipendono da noi e quelle che non
ne dipendono. Lichtenberg osservava che non si dovrebbe dire ich
denke, ma piuttosto es denkt, allo stesso modo in cui si dice es
blitzt
129
. Riassumendo con un appunto di Mach: Mondo e io sono
pi o meno soltanto sintesi (Zusammenfassungen) arbitrarie
130
.
Mach offriva cos alla cultura del suo tempo un approccio ai con-
cetti di io, cosa, spazio, tempo e causa, che costitu un punto di rife-
rimento non solo per scienziati, ma anche per scrittori e letterati: la
sua critica al feticismo del linguaggio, alla superstizione della parola
come egli si esprime in Erkenntnis und Irrtum, citando lantropologo
Tylor
131
ritorna in espressioni e in immagini, spesso con richiami
espliciti, in tutta la riessione sulla crisi della parola, sul divario, ormai
riconosciuto, tra le parole e le cose, nella dissoluzione e nelle estreme
difese dellio nella letteratura della Vienna dellinizio del Novecento
(basti citare Musil, Hofmannsthal e Weininger). Non stupisce quindi
che Mauthner nel periodo della stesura dei Beitrge torni a quella
lontana suggestione, legga i libri di Mach e cerchi anche di stabilire
un contatto personale con il pensatore moravo
132
.
La denizione del rapporto tra sico e psichico come semplice
diversit di rapporti tra elementi che possono essere oggetto di de-
scrizione da parte della sica, della siologia oppure della psicologia,
linutilit di riferirsi a una componente ulteriore che faccia da sostrato
ai due ambiti come ancora il parallelismo tendeva a fare ritorna
nelle analisi gnoseologiche e antropologiche di Mauthner, nellaffer-
mazione della diversit solo di grado tra il pensiero animale e quello
delluomo, nella denizione dellintelletto come capacit intuitiva che si
sviluppa per necessit di sopravvivenza biologica, nella considerazione
della memoria non solo come sedimentazione psichica, ma anche ma-
teriale delle esperienze in tutte le vie sensibili e motorie
133
. Quando
Mach paragona lattivit della memoria alluso di vecchi violini ben
suonati e Mauthner si meraviglia di quante tracce mnemoniche debba
27
contenere lala di un uccello, non si tratta di banali osservazioni ma-
terialistiche, ma della considerazione della natura in una prospettiva
storica e delluomo come parte di essa. Nellanalisi del linguaggio que-
sto signica di nuovo partire dalla sua dimensione naturale: Mauthner,
come Mach, afferma che si impara a parlare come si impara a respirare
e a camminare
134
.
Katherine Arens, che ha ampiamente analizzato il debito intellet-
tuale di Mauthner nei confronti di Mach, lo riassume nel paradigma
del funzionalismo, nellaffermazione cio del valore contingente dei
modelli teorici che, di volta in volta, si presentano come sistemazio-
ni parziali dei dati empirici in funzione di determinati problemi da
risolvere
135
. Questa impostazione del problema del conoscere non
approdava per in Mach a un esito scettico, non alla rassegnazione,
alla rinuncia compiaciuta e malinconica dellIgnorabimus di du Bois-
Reymond (e che in alcuni momenti ritroviamo anche in Mauthner),
n si presentava come unincursione dello scienziato nel campo della
losoa che si ripromettesse di risolverne gli enigmi; in Erkenntnis
und Irrtum egli si denir un cacciatore domenicale della losoa
136
:
un cacciatore, possiamo dire, capace di muoversi senza assunzioni pre-
concette e di colpire nel segno i preconcetti di unintera tradizione
del pensiero.
Anche Mauthner, quando si interroga sulla possibilit di fare della
linguistica una scienza, si paragona al viaggiatore che pu solo descrive-
re i costumi di un popolo, ma egli espande il modello funzionalistico di
Mach nella direzione dello scetticismo: il mondo immagine soggettiva
dei nostri Zufallssinne, la scienza non ha alcun fondamento possibile, la
logica vuota tautologia, il soggetto metasico ridotto allio empirico,
a sua volta frantumato nellindeterminatezza dei suoi conni. A questo
proposito con unosservazione simile a quella di Mach e di Lichtenberg,
Mauthner sostiene: la mia sensazione verde, grn, signica origina-
riamente che io vengo begrnt, il prato mi verdeggia, begrnt mich
137
.
Limitarsi alla descrizione fenomenologica farebbe quindi saltare le ca-
tegorie della grammatica; lautocritica del linguaggio diviene il suicidio
del linguaggio.
Il confronto con Mach si fa poi pi serrato a partire dal periodo
nel quale Mauthner sta ultimando il secondo volume dei Beitrge e
appare ancora pi chiaramente nel terzo. Oltre alla lettura dellAnalisis,
delle Vorlesungen e della Mechanik, Mauthner ha affrontato anche la
Wrmelehre (uscita nel 1896) che nellultima parte tratta con ampiezza
il linguaggio della scienza. Lapplicazione del modello biologico darwi-
niano allo sviluppo delle idee scientiche in termini di trasformazione e
di adattamento permette a Mach lapprofondimento di alcune riessioni
sulla teoria del conoscere. Si tratta in primo luogo del processo psico-
logico dellassociazione, della comparazione come base dellastrazione:
cos, ad esempio, i termini indicanti colore, forse nati dallarte del ta-
28
tuaggio che riproduce le tinte dei ori e dei frutti, divengono autonomi,
astratti, vengono intesi senza pensare al loro primitivo riferimento. La
formazione del concetto deriva allora dallindividuazione dellugua-
glianza di una parte di un complesso di sensazioni con una parte di
un altro complesso, che permette lassociazione per somiglianza. Ma
il passaggio pi interessante di questa trattazione, almeno dal punto
di vista di Mauthner, il rapporto che Mach stabilisce tra concetto e
intuizione. Il concetto afferma Mach enigmatico: se lo consideria-
mo dal punto di vista logico, lo vediamo come il prodotto psichico pi
preciso e determinato, se ne cerchiamo il contenuto intuitivo, reperiamo
soltanto unimmagine confusa. Il procedimento di formazione delle idee
viene paragonato alla composizione delle gure della pittura dellantico
Egitto, che non corrispondono a ununica percezione visiva, ma sono
composte di percezioni diverse: la testa e il capo sono rappresentati
di prolo, ma la copertura del capo e il petto si vedono di fronte; si
tratta di una sorta di percezione intermedia che appunta lattenzione
su alcuni aspetti e ne trascura altri. Nella stessa nota, che rimanda a
questa osservazione contenuta in una conferenza, Mach cita Paul Carus
che denisce il concetto in analogia alle somiglianze di famiglia che il
suocero Hegeler aveva osservato in alcune foto composte da Galton
138
.
Limmagine individuale, come le foto dei singoli componenti della
famiglia, il concetto non sta in rapporto con una immagine denita,
con una rappresentazione nita (fertig), piuttosto unindicazione a
esaminare alcune caratteristiche della rappresentazione, a individuare
le somiglianze di famiglia. Acquisire un concetto signica allora avvia-
re un sistema di operazioni che si pu apprendere solo nella prassi,
nellesercizio, come ci si deve esercitare per imparare la matematica o
una lingua straniera. La denizione del concetto in Mauthner ripren-
de allora questa impostazione nellaffermare che il concetto non in
relazione con una determinata rappresentazione, ma con una catena
o un tessuto, una rete o ancor pi esattamente un piccolo mondo, un
microcosmo di associazioni di idee, un microcosmo che non uni-
dimensionale come una catena, non bidimensionale come un tessuto
o una rete, ma tridimensionale o, in relazione al tempo, quadridimen-
sionale come un mondo
139
.
Nel capitolo sul linguaggio della Wrmelehre Mach, riprendendo
lidea del carattere operativo dellacquisizione del concetto, sostiene che
i segni sonori hanno preso senso e signicato alla presenza di osservatori
comuni e di una comune attivit, citando Geiger
140
e Noir
141
, ma que-
sti riferimenti non sembrano a Mauthner sufcienti, egli pensa di essere
andato pi avanti di questi autori nella critica del linguaggio
142
.
Nel Wrterbuch der Philosophie (1910) Mauthner continua a fare ri-
ferimento al pensiero di Mach in numerose voci e con molte citazioni,
lo considera anche una fonte per la sua teoria delle tre immagini del
mondo. Ora ha anche a disposizione Erkenntnis und Irrtum (1905), il
29
testo epistemologico che riassume e approfondisce i risultati di tutta la
riessione di Mach sulla formazione dei concetti scientici, sulla loro
radice nel precategoriale e nel linguaggio ordinario. La parola viene
denita come centro di associazioni, viene indagata nel sua dimensione
magica e superstiziosa, nella sua funzione nel processo di astrazione,
nei suoi signicati mutevoli e nei suoi trasferimenti e, in una nota,
troviamo anche il riconoscimento dello stimolo ricevuto dalla lettura
degli scritti di Mauthner. In particolare vanno poi segnalate le pagi-
ne in cui Mach tratta il concetto di analogia e afferma limportanza
delluso euristico delle immagini nella scienza
143
.
Mauthner si propone per la losoa un compito analogo a quello
che Mach ha svolto nei confronti dei principali concetti della scienza,
ma il diverso punto di vista e la differenza delloggetto in questione
svelano la dimensione scettica e radicale del progetto del losofo. Lor-
dinamento alfabetico, triviale (termine dal paradossale doppio senso:
volgare o riferito alla cultura del trivio medievale), brutale e infanti-
le, si adatta perfettamente alla dimensione circolare del suo pensiero,
alla condensazione in nuclei decentrati dellargomentazione; non solo,
esso rappresenta lunico ordine possibile che permette i rimandi da un
qualsivoglia punto ad un altro e una consultazione semplice. Lenciclo-
pedia losoca che espone lo stato della losoa sancisce nel contem-
po la mancanza del suo fondamento, limpossibilit di individuare un
criterio gerarchico nel nostro conoscere, di mettere ordine nel sape-
re; e nelletimo del termine (ryxuxo) Mauthner non vuole cogliere
lidea di completezza, ma del girare in cerchio, del mordersi la coda
144
.
Nella rassegna dei tentativi storici di sistemazione enciclopedica, oltre
allapprezzamento per il dizionario storico e critico di Bayle, lessico
di conversazione di tutti gli spiriti scettici
145
, troviamo una citazione
di Stumpf a conferma della provvisoriet e della circolarit del sistema
delle scienze: gli oggetti delle scienze non sono disposti come cerchi
concentrici intorno a un unico punto centrale, ma formano parecchie
ondate, che si incrociano partendo da punti centrali autonomi
146
.
Al posto di concetti puri, ai quali siano state strappate, derubate
per via di astrazione (un calco coniato da Boezio del greco r o oir -
ore, usato da Aristotele e tradotto in un altro contesto da Cicerone
con detractio) tutte le caratteristiche concrete, troviamo soltanto le pa-
role in uso nella losoa, parole che sono migrate, sono state trasferite,
traslate, assieme alle cose e ai popoli, portando con s, nelle derivazioni,
nei prestiti, nelle traduzioni e nei calchi, molteplici sfumature di senso.
Mauthner non crede quindi alla possibilit di una denizione rigorosa
dei singoli termini, afferma che una denizione pulita sarebbe tauto-
logica, illusoria, come la pretesa di calmare la fame con un men che
pone accanto ai nomi francesi la loro traduzione in tedesco
147
.
Questo non vale solo per le parole della losoa, ma in genere per
tutte le nostre parole. Possiamo dire che una parola ha signicato allo
30
stesso modo in cui possiamo dire che una cosa ha delle propriet,
anche se non c una cosa al di fuori e accanto alle sue propriet. Il
signicato appartiene alla parola, non c un signicato in s, un signi-
cato obiettivo-ideale e qui Mauthner scrive frettolosamente, tra
parentesi: Husserl; lo possiamo indicare solo pressappoco, ricostruendo
la storia della parola, criticando il signicato momentaneo, riportando
la discussione su quel signicato.
Lindeterminatezza dei concetti e delle parole viene descritta con
laiuto del termine fringe, che forse possiamo rendere con margine
(Saum), alone (Hof), e che viene utilizzata da William James per
indicare limprecisione dei conni della rappresentazione. Mauthner
se ne serve indifferentemente per la rappresentazione e per la parola e
riprende limmagine uida della mente dello psicologo americano che
deriva lorlo sfrangiato delle rappresentazioni dalla successione delle
onde delle impressioni che parzialmente si sovrappongono, accostan-
dola alla teoria delle onde del linguista Johannes Schmidt.
Per altri versi le parole, tutte le parole, sono gi da sempre concetti,
a diversi gradi di astrazione, e indicano gi da subito di aver perso il ri-
ferimento allintuizione immediata; esse si formano attraverso il processo
dellassociazione che non affatto governato da leggi stabili, sistemate
nei paragra della teoria psicologica, ma da regolarit (Gesetzmssigkeit
e non Notwendigkeit) che mutano da una lingua allaltra dando vita
a sfere associative diverse, condizionate dalluso linguistico. Mauthner
non nega che vi siano innumerevoli similarit nelle associazioni, come
vi una sorta di imprecisa comprensione nella prassi del linguaggio; si
tratta per di somiglianze, afnit, parentele (ma non di sangue), analo-
gie che escludono lidenticazione completa
148
. Analogia addirittura
un errore logico che inferisce da propriet simili conosciute propriet
simili sconosciute, esigenza psicologica di generalizzazione, semplice
comparazione che non pu essere scambiata con la conclusione logica
della proporzione matematica
149
. Lapplicazione di conclusioni analo-
giche inconsce colpevole della creazione del linguaggio metaforico,
improprio, non scientico che abbiamo usato per descrivere in imma-
gini lintera nostra vita interiore e abbiamo poi riportato allesterno, per
penetrare nellinterno delle cose, per spiegarne la loro natura
150
.
Viene cos ribadita la disgregazione del soggetto e delloggetto del
conoscere, dellio e della cosa. Ci che comunemente chiamiamo cosa
(Ding, Sache) non quindi altro che il machiano complesso di sensa-
zioni, e questa cosa soltanto una rappresentazione astratta (Gedan-
kending), una cosa del pensiero. Mauthner precisa che con questo
non intende un concetto inventato, uno Scheinbegriff, come potrebbe
essere ad esempio lidea di strega, n un fenomeno o unapparenza
(Erscheinung) nel senso di Berkeley e Kant, e nemmeno una cosa in s,
come continuano a sostenere i neokantiani, ma semplicemente la causa
(Ursache) delle sensazioni, aggiungendo subito dopo che lo stesso con-
31
cetto di causa un enigma
151
. Se poi una cosa isolata propriamente
non esiste, come afferma il nostro autore citando di nuovo Erkenntnis
und Irrtum, non esiste nemmeno un io isolato, esso non che la catena
dei vissuti: cosa e io, insomma, sono nzioni provvisorie
152
.
Mauthner cerca per di procedere oltre. Mentre Mach in Erken-
ntnis und Irrtum articola la sua disamina critica degli strumenti concet-
tuali legati alla ricerca scientica mantenendo le distinzioni e la ducia
nel loro valore conoscitivo, anche se provvisorio, Mauthner opera una
riduzione del pensiero a linguaggio, del concetto a parola, della parola
a immagine, dellimmagine a immagine di immagine. Lidenticazione
delle funzioni del pensare e del parlare invero non completa, perch
anche in questo caso si tratta, possiamo dire, di diversi giochi lingui-
stici, e dipende dallestensione che attribuiamo ai due concetti
153
, ma
questa cautela non viene sempre rispettata e spesso Mauthner ribadisce
lidentit di pensiero e linguaggio, la valenza di mera parola del con-
cetto, la natura metaforica del concetto stesso.
I diversi punti di vista da cui guardare il mondo che Mach aveva
connesso alla possibilit di combinare in modo diverso il complesso di
elementi, ma che aveva sempre ricondotto alla descrizione scientica
diventano in Mauthner tre categorie grammaticali che egli chiama le
tre immagini del mondo. Egli mantiene il termine greco di categoria,
svuotandone il senso logico e conoscitivo, sulla scia dellinterpretazione
grammaticale delle categorie aristoteliche di Trendelenburg: xotgyori v
scrive signica semplicemente asserire; forse allora sarebbe me-
glio usare il termine Aussaglichkeit, o Aussagenmglichkeit, possibilit
di asserire, ma Mauthner si accontenta del linguaggio in uso, consa-
pevole di dover lavorare sullo slittamento del signicato. Le categorie
della grammatica sono dunque: laggettivo, il sostantivo e il verbo, ma
anche qui non nel senso delle forme grammaticali tradizionali. Si tratta
di vere e proprie categorie della grammatica che trasferiscono dalla
scienza alla losoa la concezione machiana dei punti di vista.
Il mondo aggettivo il mondo delle impressioni sensoriali, dellespe-
rienza immediata, del dato; si presenta frantumato, pointilliert, come
un quadro dipinto dai divisionisti, descritto da parole come blu, ru-
moroso, dolce, duro, ma anche giusto, bello, che inlzano
limpressione con la punta dellago dellattimo
154
. Esso ci consegna le
propriet delle cose, senza permetterci di interrogarci su cosa esse siano
al di l delle loro propriet; il suo linguaggio, per essere coerente, do-
vrebbe essere costituito appunto di soli aggettivi, come nella grammati-
ca dellemisfero boreale del mondo immaginario di Uqbar nel racconto
di Borges, che non dice luna, ma una serie di aggettivi accostati.
Il mondo sostantivo d il nome alla sostanza, integra questo lin-
guaggio sensistico con concetti mitologici, inventando gli dei, gli spiriti,
le forze, le cause, ma anche le cose, le singole cose, che sono tutte ipo-
statizzazioni. Il mondo delle idee platoniche, immagini originarie delle
32
cose, smascherate nel loro carattere apparente, irreale, il paradigma
losoco di questo bisogno umano. Lerrore di Platone allora nella
pretesa di farlo valere come lunica immagine possibile del mondo;
esso invece pura parvenza.
Il mondo verbale congiunge le sensazioni mediante lattivit della
memoria e le trasforma nel mondo del divenire, nel mondo uente di
Eraclito, descritto dalle parole come passare, morire, godere,
soffrire, causare, obbedire. Nei Beitrge Mauthner aveva asse-
gnato a questa categoria il carattere della nalit e dello scopo, nel
Wrterbuch limita questa dimensione a una parte dei verbi allo scopo
di inserirvi anche quelli che designano mutamenti nella natura. Da no-
tare poi che non tutti i verbi appartegono al mondo verbale; lesempio
pi pregnante il caso del verbo essere (sein) che, secondo Mauthner,
appartiene evidentemente al mondo sostantivo
155
.
Egli conclude poi lesposizione della voce verbale Welt, ultima
delle tre nellordine alfabetico e nellordine della scrittura, assegnando
allestensione dellaggettivo lapproccio artistico al mondo, allestensione
del sostantivo il mistico, allestensione del verbale la scienza. Preoccu-
pato che questa partizione potesse apparire come una trinit di mondi
accostati luno allaltro, Mauthner ribadisce che il mondo ci dato una
volta soltanto, ma che questo unico mondo pu essere visto come una
somma di impressioni sensoriali oppure come un ordinamento di cose
oppure come una serie di mutamenti e cos conclude nel suo ultimo
scritto Die drei Bilder der Welt ciascuno di questi mondi costituisce
una cosa in s per gli altri due
156
, senza che sia possibile tradurre i tre
linguaggi luno nellaltro o sovrapporre queste immagini per raggiun-
gere una concezione unitaria del mondo.
Nella voce Als ob della seconda edizione del dizionario il nome
di Mach ricompare tra gli esponenti di quella che egli chiama Philo-
sophie der Fiktion, che possiamo tradurre con una leggera forzatura
con losoa della nzione, tenendo presente che il ricorso a questo
termine con etimo latino indica il carattere creativo e inventivo del
conoscere, piuttosto che il travisamento di una verit, peraltro dichia-
rata inesistente. La denuncia dellinganno del linguaggio, che si articola
nellaffermazione del carattere illusorio del conoscere e nella negazione
dellesistenza di una cosa in s che ci assicuri lomogeneit dei fenome-
ni, la conseguente impossibilit di fondare i valori e la radicalit di una
religione senza dio sembrano legare insieme i nomi che egli cita: oltre
a Mach, Steinthal, Lange, Laas, Vaihinger, Forberg e Nietzsche.
Nel caso di Vaihinger si tratta piuttosto di una conferma che di
una fonte
157
. Lo studioso di Kant aveva elaborato una losoa che
ha molti punti di contatto con quella del nostro autore: il pensiero
umano viene trattato alla stregua dei processi biologici naturali come
un insieme di azioni e reazioni dellanimo a carattere nalistico e sog-
gette allevoluzione: il nostro organismo, immerso in un complesso di
33
sensazioni contraddittorie e soffocato dalle spire di un mondo esterno
a esso ostile, produce e inventa, per sopravvivere, artici del pensiero
che danno vita, accanto allarte della logica pura, a forme indirette,
meno nitide e rigorose, spesso contraddittorie rispetto al dato e in s
stesse, ma di innegabile valore euristico. La scala dellarticiosit va,
come scrive anche Mauthner, dalle nzioni massime della morale alle
nzioni minime della scienza, ma lintero mondo delle nostre rappre-
sentazioni affetto dalla soggettivit e non certo destinato a diventare
unimmagine immediata dellessere.
Particolare interesse dato alle nzioni simboliche o analogiche,
che vengono analizzate con argomenti molto simili alla teoria della me-
tafora di Mauthner. In modo afne alla creazione poetica e mitica il
procedimento analogico si costituisce nellappercezione di una nuova
intuizione da parte di una funzione rappresentativa nella quale esiste
una relazione simile, una proporzione analoga a quella della serie gi
osservata delle sensazioni
158
. Il pensiero elabora cio simboli o immagi-
ni che non intendono riprodurre la realt al modo di uno specchio, ma
introduce in essa forme di comparazione e connessioni che ne intessono
i li dispersi
159
.
Vaihinger si rivela vicino a Mauthner anche nelluso delle metafore
che descrivono la funzione provvisoria dei concetti-nzione (non la loro
falsit che sarebbe espressa da immagini come gli occhiali colorati o
lo specchio deformante, immagine questultima che troviamo invece in
Mauthner). Egli sostiene che tutto ci che incontriamo nella vita quoti-
diana e nella scienza e che va sotto il nome di conoscenza un insieme
di gusci vuoti; rovescia cos il senso della critica di Herbart allapriori
kantiano come guscio vuoto e afferma la validit puramente strumen-
tale di tali gusci, che si rompono quando non servono pi, quando il
ne viene raggiunto
160
. Denisce i concetti anche come cerniere che
chiudono provvisoriamente la combinazione delle sensazioni
161
, oppure
come pezzi di ricambio del meccanismo del pensiero
162
. Unaltra
metafora suggerisce lidea che tra mondo interno e mondo esterno vi
sia una zona di permutazione, dove i valori dei due mondi sono illu-
soriamente assimilati gli uni a quelli dellaltro, dove reso possibile
un vivo scambio fra i due e dove la sottile carta-moneta dei pensieri
scambiata nelle pesanti monete della realt, dove, viceversa, il metallo
della realt viene dato in cambio di quella merce leggera, che ha reso
possibile lo scambio. [] Poich si posseduta molta carta-moneta
falsa, si sono introdotte furtivamente molte idee false, che non pos-
sono essere trasformate in valori materiali; non senzaltro sufciente
tener conto del valore nominale della carta, ma si deve far riferimento
allaggio sulloro, che essa pu fare
163
.
Nonostante quindi le vie del conoscere e quelle dellessere siano
eterogenee, si possono ottenere risultati che permettono di orientar-
ci
164
. A questo proposito sono interessanti alcune note di Vaihinger
34
sul fatto che nel usso della percezione ricorrano determinate forme
strutturali che hanno una certa, precisa coloritura che ci permette di
ssare gli oggetti come sostanze, come cose con delle propriet. Non vi
sono cose senza propriet n propriet senza cose: il concetto di zuc-
chero una nzione, il concetto di bianco altrettanto una nzione,
ma lo zucchero bianco un fatto. Il complesso qui ricomposto
permette in qualche modo il passaggio dal pensiero che sembra opera-
re per perifrasi alla prassi della comunicazione che richiede la nzione,
lerrore della sostanza. Mauthner preferisce un esempio diverso: lo
zucchero dolce; con questo risulta forse pi chiara la distinzione
tra il riferimento alla sensazione di dolce e la regola del gioco del
linguaggio che chiama dolce e la sensazione e lo zucchero, mentre nella
nostra coscienza non troviamo altro che la sensazione di dolce
165
. La
conclusione del nostro autore assume anche in questo caso una colo-
ritura pi scettica, che nega non solo la possibilit della comprensione
del mondo, ma anche la sua conoscenza.
4. La teoria della metafora
Nella critica del linguaggio non poteva mancare la disamina della
tesi di Aristotele, che Mauthner presenta con laccusa di voler spiegare
il linguaggio gurato della poesia dal punto di vista logico, risolvendo
ogni metafora nella proporzione matematica, completa o incompleta.
La seduzione poetica consisterebbe allora nel lasciar indovinare uno
o due membri, e qui lautore accenna agli esiti barocchi di questa im-
postazione e non risparmia dellironia a proposito dellesempio della
coppa come scudo di Dioniso
166
. A differenza per di tutti gli altri
luoghi nei quali il nostro autore accenna o tratta del losofo greco e,
nonostante la conoscenza superciale dei suoi testi e della letteratura
critica, che gli verr rimproverata dai recensori del libriccino polemico
su Aristotele del 1904
167
, qui il nominalista si sofferma sulla teoria
aristotelica e prende sul serio la sua analisi concettuale.
Non solo il problema gli appare cruciale per lesito della sua analisi
critica, ma egli ha anche a disposizione una serie di studi lologici e
losoci, apparsi in quegli anni in Germania, che convergono nella tesi
del carattere essenzialmente metaforico della parola proprio a parti-
re dalla disamina della tesi dello stagirita. Nella lettura di Aristotele
Mauthner utilizza ampiamente il testo di Alfred Biese, Die Philosophie
des Metaphorischen, che era stato pubblicato nel 1893, e la sua biblio-
graa che comprende il lavoro di Kurt Bruchmann, Psychologischen
Studien zur Sprachgeschichte (1888), e limportante libro sui tropi di
Gustav Gerber, Die Sprache als Kunst (1871, seconda edizione 1884),
che il nostro autore invero non cita mai, anche se rivela sorprendenti
analogie con le sue conclusioni.
35
La prima mossa del nostro autore consiste nel sottolineare in Ari-
stotele luso del termine metafora come titolo generale dei tropi.
Anche Biese aveva ravvisato in questo un merito del losofo greco,
nellaver riconosciuto cio anche nella metonimia e nella sineddocche il
momento della bertragung, del trasferimento. Su questo Mauthner
decisamente daccordo: Aristotele scrive parla greco e per metafora
intende traslato, non un termine tecnico secondo la classicazione
della retorica latina. Il problema solo apparentemente una questione
di termini ed stato pi volte rilevato nella storia della teoria della
metafora: lambiguit delluso aristotelico che chiama metafora sia
la gura come tale, il tropo, la trasposizione di un termine, sia la me-
tafora in senso stretto, la gura retorica della somiglianza, rivela un
interesse per il processo stesso della trasposizione e estende lindagine
dal nome a tutte le entit del linguaggio portatrici di senso
168
. Tale
ampliamento permette di individuare nella teoria aristotelica qualcosa
di pi dellanalisi di un semplice meccanismo di sostituzione, che
alla base della concezione della metafora come ornamento retorico
o poetico, e di coglierne invece una dimensione gnoseologica, di sta-
bilirne il valore semantico. Naturalmente le riessioni novecentesche
sulla metafora approfondiranno questo approccio facendo ricorso agli
sviluppi della logica e della linguistica, ma molte intuizioni e riessioni
erano gi state formulate in queste letture di ne Ottocento. Questa
prima affermazione di Mauthner sembra quindi cogliere bene lo spirito
dellindagine di Aristotetele, ponendosi immediatamente sul piano del
oyo semantico o linguistico
169
.
Il punto di partenza di Aristotele era, quindi, la denizione della
metafora come r aioo , come trasferimento dal linguaggio ordinario,
normale, consueto (parola come xu iov) a un uso sempre pi alterato
(Morpurgo-Tagliabue scrive: al limite). La traduzione di xu iov stata
a lungo discussa nella storia dellinterpretazione e la resa con termine
proprio aveva accentuato lopposizione con gurato, ma nel contesto
di una teoria che tende a escludere qualsiasi termine proprio il pro-
blema di cosa intendesse il losofo su questo punto non viene nemmeno
affrontato. A Mauthner interessa invece il processo di associazione che
sta alla base del traslato.
Nella Poetica, per, il criterio della classicazione , almeno allini-
zio, quello della sostituzione: luso pi ordinario quello di ricorrere
a un termine generico per un fatto specico o di impiegare termini di
specie per concetti di genere. Nonostante compaia gi qui un processo
di confronto logico-intuitivo
170
, questo diviene pi esplicito con la
metafora da specie a specie, come esempio della quale Aristotele cita
due versi di Empedocle: con la spada di bronzo avendogli attinta la
vita (come si attinge da una fonte con una tazza), e con la tazza di
indistruttibile bronzo avendo reciso lacqua (come con una spada)
171
.
Inne la metafora per analogia: si chiamer perci la coppa scudo di
36
Dioniso e lo scudo coppa di Ares, oppure: la vecchiezza sera della
vita; secondo la proporzione tra due rapporti. Questo accostamento
importante spiega Mauthner per chiarire la differenza tra la meta-
fora che pone il rapporto in modo immediato e la similitudine che si
esplicita nel come. Vi sono similitudini complesse continua che
diventano sprone per una fantasia poetica, come quella omerica, che
dimenticano il paragone di partenza e procedono oltre, e similitudini
in senso stretto; esse si basano su tre termini, come nel caso di capelli
neri come il carbone, che egli chiama regola del tre. Il tertium
comparationis ancora unaltra cosa e si riferisce a un concetto pi
generale, al colore, nel caso dei capelli e del carbone, allattributo, nel
caso della coppa di Dioniso e dello scudo di Ares.
La metafora quindi, a differenza della similitudine, un paragone
di due rapporti, nel qual viene tralasciato il concetto pi comune.
Nellesempio di Mauthner la prudenza la madre della saggezza, la
saggezza si rapporta alla prudenza, come la glia alla madre; il tertium
comparationis che la madre abbia procreato la glia. Si potrebbe
anche pensare che la glia sia simile alla madre oppure che sia obbe-
diente, ma noi non lo pensiamo. Lautore individua qui un punto es-
senziale della teoria aristotelica: la cogenza dellimmagine. Anche Biese
sottolinea questo momento dellimmagine e afferma esplicitamente che
Aristotele ha riconosciuto lessenza del metaforico nellanalogia, nella
proporzione, nella relazione tra due rapporti offerta allintuizione e
chiama Veranschaulichung questa visualizzazione che egli, come vedre-
mo, estender a tutti i processi dello spirito umano.
Questa impostazione va quindi molto oltre il criterio della sostitu-
zione, della cui insufcienza lo stesso Aristotele si era gi reso conto
nella Poetica, quando aveva aggiunto una metafora pi poetica (detto
del sole: seminando la divina amma) e la possibilit di negazione
di una propriet della parola estranea: lo scudo come coppa senza
vino (estraneo ad Ares). Ma ci che pi importa che la posizione di
Aristotele si approfondisce nella Retorica, dove laccento spostato
seguo la lettura di Morpurgo-Tagliabue sulla densit del signicato,
sullicasticit, sullevidenza. Ad Aristotele non interessa luso ordinario
del nome, la catacresi; egli non indaga lorigine del linguaggio nel senso
che sar di Mauthner, ma approfondisce la metafora come ootriov,
come eloquio eminente, urbano, vivace e arguto. Le metafore sono
allora tanti piccoli veloci sillogismi
172
, sillogismi retorici che egli
chiama entimemi
173
; nella trattazione della metafora per laccento
posto non tanto sul contenuto, ma sulloperazione stessa, sulla necessit
di una comprensione immediata, facile e veloce
174
. Lordine della nuo-
va classicazione dei tipi di metafora risulta allora rovesciato rispetto
alla Poetica e il criterio diverso: le metafore o otri o non vengono pi
presentate come processi sostitutivi di generi e specie, ma come pro-
cessi associativi: di concetti, di immagini, di parole
175
. Ne risulta in
37
primo luogo la maggior efcacia rispetto alla similitudine che esplicita
nel come la relazione tra i termini e si prolunga nel paragone. Nel-
la nuova rassegna la metafora-concetto corrispondente al quarto
tipo della Poetica, lanalogia o proporzione, strutturata per corrispon-
denze e antitesi viene poi distinta da una metafora pi semplice
e tuttavia assai felice
176
, la metafora-immagine, che naturalmente
pu addizionarsi alla prima. In questo caso non avviene una semplice
sostituzione, e nemmeno si tratta di una similarit indenita: vengono
accostati a sorpresa alcuni aspetti dellattributo. Essa consiste quindi
nel mettere sotto gli occhi (ao o o tev aoiri v) le cose in atto, il che
pu voler dire che esse devono essere viste come presenti o in procinto
di accadere, ma pu anche signicare che esse sono animate, r uo,
personicate.
A questa estensione del signicato corrisponde in Biese limpor-
tanza data alla dimensione del processo metaforico, inteso come la
sintesi dellinterno e dellesterno, linteriorizzazione dellesterno e lin-
carnazione dello spirituale, non solo nel linguaggio, ma in genere in
tutta lattivit simbolica
177
. La Veranschaulichung diventa presentazione
di qualcosa di vivente (o di morto) in atto, animazione dellinanimato,
analogia tra interno ed esterno che ci costringe a trasformare il mo-
vimento esterno in un supposto movimento interno allo spirito e a
trasferirlo poi alle cose, dando vita alla materia inerte. Sarebbe allora
implicita nella teoria aristotelica la possibilit di intendere la metafo-
ra come un processo essenziale e necessario dello spirito umano che
trasforma la realt secondo le proprie leggi, facendo principio del co-
smo lunit di psichico e sico che sente in s stesso e che trasferisce
dallinterno allesterno, dallanimato al corporeo, dal microcosmo al
macrocosmo
178
. Cos lassunto di fondo dellestetica di Vischer che il
vedere qui, il vedere con gli occhi dellartista non possa essere se-
parato dallanimare, che tutti i mezzi della visualizzazione portino alla
personicazione, diviene un criterio generale per affermare il carattere
antropomorco del linguaggio.
Alla base di questa concezione del mondo sta lidea che il linguaggio
sia interamente simbolico: la parola scrive Biese immagine sen-
sibile della vita interiore, copia di ci che viene sentito, immagine so-
nora (Lautbild) dellimmagine della rappresentazione
179
. Subito dopo
cita Gerber: tutte le parole sono immagini sonore (Lautbilder) e sono
rispetto al loro signicato in s e dallinizio dei tropi
180
. Avviene in
questo modo un doppio allontanamento dalla cosa: la sensazione non
accoglie la cosa, anche se la determinatezza dello stimolo in contatto
con essa, ne soltanto limmagine; il suono pronunciato, a sua volta,
immagine sonora della rappresentazione, e unimmagine non un
raddoppiamento delloriginale, ne riproduce solo i tratti essenziali.
Mauthner parla a sua volta della parola come immagine di immagine,
come metafora che pu condurre solo ad altre metafore. Rimaniamo
38
imprigionati allinterno dellimmagine; ci che noi sappiamo del mondo
esterno scrive Mauthner altrove sempre un simbolo, una metafora
che non pu raggiungere il tertium comparationis, come in un ballo in
maschera in una citt sconosciuta, riconosciamo di avere davanti delle
maschere, ma non chi le indossi (aggiunge: e dobbiamo far attenzione
qui anche al signicato di riconoscere)
181
. Nel prendere le distanze
dagli altri autori che elaborano uninterpretazione molto vicina alla sua,
Mauthner accentua cos il carattere scettico della sua posizione. Egli non
condivide i presupposti psicologici di Biese che, a suo dire, rimangono
legati alla teoria delle facolt dellanima, n i suoi esiti ontologici. Non
cita per Gerber: forse non coglie nemmeno questo riferimento di Biese,
forse non accetta la classicazione dei tropi di Gerber
182
, certo non pu
aderire alla sua concezione schopenhaueriana ed estetica del linguaggio
come arte
183
. Cita per curiosamente unaffermazione di Kurt Bruch-
mann che, dopo il riferimento alla metafora per analogia in Aristotele,
conclude: allora quasi tutto il linguaggio sarebbe analogia o metafora;
Bruchmann aggiunge per: questultima tesi la sostiene G. Gerber
184
.
Mauthner sorvola su questultimo riferimento e, pur apprezzando la
spiegazione psicologica di Bruchmann, protesta contro il quasi: la
reticenza di Bruchmann a considerare il linguaggio come essenzialmente
metaforico deriverebbe dal residuo metasico e teleologico contenuto
nel principio di minima misura della forza del suo maestro Avenarius
che farebbe ancora uso dei concetti di forza e di intenzione.
La posizione di Mauthner appare pi chiara se si considera latteg-
giamento che egli assume nei confronti di Friedrich Nietzsche, lettore
di Gerber, del quale ripete, in Wahrheit und Lge, con parole identi-
che e con gli stessi esempi, la teoria della parola come metafora
185
.
Mauthner sembra non conoscere questo saggio apparso nel 1896; nei
Beitrge le sue citazioni sono tratte quasi tutte dal volume XII delle
opere curate da Koegel. Egli per riconosce pi volte limportanza di
Nietzsche nella sua formazione in relazione alla concezione evolutiva
degli organi di senso, allidea di una selezione arbitraria dei dati da
parte dei sensi, al concetto di caso nello sviluppo della storia e cita un
passo di Menschliches, Allzumenschliches, laforisma 11, il linguaggio
come presunta scienza, che egli afferma esprime quasi un suo
pensiero di fondo
186
: lidea di porre con il linguaggio un mondo ac-
canto al mondo, lillusione di avere nel linguaggio la conoscenza del
mondo, la fede nella verit trovata, la credenza nellassolutezza della
logica e nella precisione della matematica. Solo oggi scriveva Niet-
zsche comincia a balenare il dubbio che con la fede nel linguaggio
si sia propagato un mostruoso errore, fortunatamente troppo tardi
perch ci possa far tornare indietro lo sviluppo della ragione, che
poggia su quella fede
187
. Mauthner commenta con un gioco di parole:
Nietzsche riveste le parole del linguaggio con i segni della regalit, ma
pone nuda sul trono la cosiddetta ragione, cio il linguaggio stesso
188
;
39
prosegue poi rimproverando a Nietzsche, troppo pensatore e troppo
poeta, di aver limitato la critica del linguaggio allambito morale, di non
averla estesa al linguaggio come strumento di conoscenza e, inne, di
essersi limitato a lamentarne linefcacia espressiva, vale a dire lunica
cosa che il linguaggio, a suo dire, sa fare. Laccusa potrebbe apparire
ingiusticata anche soltanto alla lettura dei testi citati da Mauthner,
dove luso strategico della metafora rivela lintenzione decostruttiva
della scrittura nella moltiplicazione dei punti di vista, addirittura para-
dossale se si ripercorre, sotto la guida della lettura di Sara Kofman, il
crescendo delle metafore di Wahrheit und Lge
189
. Mauthner si rende
conto che la sua tesi fondamentale deve molto a Nietzsche, ma nellaf-
fermare la necessit di tenere rigorosamente distinti il linguaggio come
strumento di conoscenza dal linguaggio come strumento artistico
190
,
il lavoro losoco dalla poesia, formula un appunto critico importante
(un timore che egli nutre forse anche per la propria opera) ricordando
come Nietzsche rimanga ingabbiato nellincantamento del linguaggio.
Mauthner non si accorto che in Aristotele avrebbe potuto trovare
anche qualcosa daltro. Nei capitoli X e XI della Retorica, alle prese
con la classicazione degli o otri o, Aristotele aveva individuato infatti,
accanto alla metafora concettuale per analogia e alla metafora eidetica,
un terzo gruppo di metafore che Morpurgo-Tagliabue chiama metafo-
re verbali: un mero scambio di termini, un gioco di parole, che crea
sensi e non sensi e provoca sorpresa
191
. La propriet di questo tipo
di metafore di essere elocuzioni a effetto (ruooxiouvto) e la capa-
cit di sorprendere, implicita in ogni tipo di metafora, prende forma
dallinganno spiritoso
192
, dalloaotg, che non precisamente una
falsit, e implica come gi aveva notato Untersteiner
193
un piacere,
un compiacimento da parte di chi si lascia ingannare. La seduzione
deriva dallequivoco, dal paradosso, dal doppio senso, dallaforisma,
in breve: dal gioco del linguaggio con s stesso. Morpurgo-Tagliabue
ne indica il principio nellambiguit verbale, origine di una tradizione
estetica e poetica che, attraverso gli asiani, i provenzali, i barocchi,
giunge alle poetiche odierne e arriva no a Finnegans Wake
194
.
Mauthner, senza riferirsi alla fonte greca, fa della metafora verbale il
perno della sua analisi della parola
195
, affermando che alla base di ogni
cambiamento di signicato sta il Witz, il motto di spirito, larguzia
196
.
Lindicazione della sua pretesa conoscitiva viene giusticata etimologi-
camente: Witz scrive deriva da wissen e nel medio alto tedesco ha
lesclusivo signicato di Verstand e alcune parole composte ne conser-
vano ancora il signicato: Muttertwitz (senso comune), Aberwitz (follia,
mancanza di buon senso), Wahnwitz (follia, assurdit), Vorwitz (sac-
centeria). Lutero lo intende cos e questa accezione si trova ancora in
Lessing e Goethe; solo nel corso del Settecento la parola ha assunto il
signicato del francese esprit e designa unattitudine umoristica oppure
le sue singole espressioni e nella lingua studentesca si degradata no
40
a signicare barzelletta
197
. Mauthner ne spiega il signicato come
capacit di cogliere nessi inediti: ogni metafora arguta (witzig). La
lingua attualmente parlata da un popolo la somma di milioni di Wit-
ze, la raccolta delle pointe di milioni di aneddoti, la storia dei quali
andata perduta
198
. Pi avanti usa il termine Wippchen, scherzo, sber-
leffo, che accentua la mancanza di senso. Se le parole tengono ferme
le somiglianze vicine, il mutamento semantico consiste nellestensione
del concetto, metaforica o witzig, alle somiglianze pi lontane. E queste
somiglianze sono pi evidenti a chi ne estraneo piuttosto che a un
conoscitore: per gli europei commenta i Cinesi sono tutti uguali,
per il cittadino tutte le mucche, per lo straniero tutti i membri di una
famiglia
199
.
Con questo lautore non vuole certo darci una legge assoluta e
precisa, n sostenere che in tutti i mutamenti semantici sia presente
un Witz oppure una componente iperbolica ed esagerata, legata alla
trasposizione del concetto e condensata nellesempio curioso: wenn
Blaubeeren grn sind, sind sie rot
200
. Egli anzi sostiene che il lin-
guaggio prende spesso vie secondarie o scorciatoie, che ci fanno con-
tinuamente oscillare tra la presenza e loblio del signicato metaforico:
dietro di noi rovine, davanti a noi costruzioni nuove, con noi la casa in
cui dimoriamo; dietro di noi una lingua morta, davanti a noi il sentore
di nuovi concetti, con noi un ondeggiare e un intrecciarsi (ein Wogen
und Weben) di metafore, che stanno per diventare parole senza senso
e quindi utilizzabili
201
.
Nel delineare il processo di progressivo oblio del valore metaforico
delle parole Mauthner fa spesso riferimento ai paragra sul Witz della
Vorschule der Aesthetik di Jean Paul Richter e cita pi volte lafferma-
zione che ciascuna lingua, sotto laspetto delle relazioni intellettuali,
un vocabolario di metafore sbiadite
202
. Ma nel nono programma della
Vorschule Mauthner ha potuto trovare ancora molto altro: in primo
luogo un fondo di idee e di immagini, unafnit di stile nel pensiero
asistematico e nella scrittura che procede senza un preciso ordine di
inventario, con giochi di prestigio, ritorni rapsodici e riferimenti a
volte oscuri, tta di dettagli minimi e di giochi linguistici. Ladislao
Mittner racconta del suo scrivere a getto continuo, del riempire mi-
gliaia di schede su tutto quanto riuscisse a leggere da autodidatta, nel
tentativo di prendere possesso di ogni sfumatura del reale, ma la sua
scrittura ci fornisce, al posto di un catalogo del mondo, uno schedario
impossibile da consultare. In questo specchio frantumato dellestetica
romantica, che afda alle metafore dellumorismo e del Witz il compito
di unimprobabile sintesi, il losofo della parodia ha reperito gli spunti
principali della sua concezione del linguaggio.
Richter parte dalla premessa che denisce larguzia nel senso pi
ampio come larte in s del paragonare (Vergleichen)
203
: il primo e
pi facile paragone tra due rappresentazioni gi arguzia, parto mi-
41
racoloso (Wunderbegurt) del nostro io creatore, invenzione senza me-
diazioni, genialit frammentaria, come aveva scritto Schlegel; scopre
rapporti di somiglianza tra grandezze incommensurabili, somiglianze
tra il mondo dei corpi e il mondo degli spiriti, lequazione tra s e
il mondo esterno, pertanto tra due intuizioni. In questo contesto gi
Richter aveva indicato la parentela tra Witz e wissen, il signicato di
Witz come genio e aveva elencato i sinonimi nelle diverse lingue: Geist,
esprit, spirit, ingeniosus, legando in maniera molto stretta facolt cono-
scitiva ed espressione linguistica
204
.
Invero Jean Paul inizia lesposizione del Witz citando lantica de-
nizione aristotelica secondo la quale larguzia sarebbe il potere di
trovare somiglianze lontane e la critica come generica e contradditoria
in quanto suppone una somiglianza dissimile. Largomento non sembra
peraltro convincente e lascia intravedere una sorta di puntiglio lessi-
cale, ma egli procede subito oltre; la natura decostruttiva del suo stile
argomentativo gli impedisce di riposare in una determinazione precisa,
gli fa pensare subito alla possibilit di un motto di spirito nel quale
la somiglianza diventa eguaglianza e leguaglianza diventa eguale a s
stessa nel circolo arguto (esempio: limare la lima del critico). Torna poi
di nuovo al concetto, riconosce che larguzia sa scovare somiglianze
che si celano dietro alle dissimiglianze e risolve la denizione con la fa-
mosa metafora: larguzia in senso stretto il prete travestito che sposa
tutte le coppie
205
. Non coppie qualsiasi perch la componente este-
tica non si presenta in ogni accostamento casuale, essa nasce grazie
alla rapidit dei giochi di prestigio e di parole esibita dal linguaggio,
il quale cos abile da riuscire a spacciare somiglianze dun mezzo,
un terzo, un quarto, per vere e proprie eguaglianze grazie a un solo
segno e predicato comune
206
. Questa posizione di eguaglianza pren-
de il genere per la specie, il tutto per la parte, la causa per leffetto e
viceversa, scrive una truffa (Volteschlagen) del linguaggio
207
,
linganno del tropo.
Fin qui eravamo per nellambito della trattazione del Witz non
gurato (unbildlich), che accosta quindi senza somiglianza di immagine
(un esempio dello stesso autore : le donne e gli elefanti hanno paura
dei topi), ma in questo capitolo Richter inserisce anche la trattazione
della metafora, che egli intende come Witz gurato (bildlich), dove la
fantasia ha un ruolo preponderante rispetto allintelletto, e alla truffa
subentra la magia. stato notato che il passaggio dal motto di spirito
alla metafora o addirittura la loro coincidenza non sono spiegati in
modo persuasivo, ma proprio questo scarto argomentativo che serve
a Mauthner per connettere metafora e Witz, per riproporre a un nuovo
livello lenigma del linguaggio sospeso tra maledizione e magia. Secon-
do Jean Paul le metafore si avvalgono dello stesso potere misterioso
che fonde lanima e il corpo e che permette di riconoscere nei tratti di
un volto lespressione di un sentimento spirituale; egli le chiama in-
42
carnazioni della lingua (Sprachmenschwerdungen) che in tutti i popoli
si corrispondono: e non vi nessuno tra essi che chiami lerrore luce
e la verit tenebre
208
. Certo, aggiunge, non vi sono segni assoluti,
perch ogni segno a sua volta una cosa e ogni cosa ha un signicato
e una valenza denotativa, ma largomento si conclude in un salto logico
con limmagine dellisola degli spiriti circondata da un mare straniero
che allude allindicibile.
Accostata a Dio, la metafora viene denita da un crescendo di im-
magini: cintura di Venere, cordone ombelicale che lega lo spirito alla
natura, piccolo ore poetico, espressione questa che d origine a una
divagazione sul profumo dei ori, sullolfatto e il gusto, e si conclude
con unoperazione di cambio: com bello scoprire dunque che le
metafore, queste transustanziazioni dello spirito, sono eguali ai ori, i
quali regalano al corpo una grazia cos pittorica, ma anche allo spirito,
quasi come colori spirituali, come spiriti in ore
209
. La metafora
un doppio tropo
210
che pu animare il corpo o incarnare lo spirito,
allora la parola primitiva che univa lio e il mondo, precedente lespres-
sione propria.
La collocazione centrale del Witz nel programma poetologico di
Jean Paul e la considerazione della metafora sotto il titolo di bildliche
Witz capovolge il rapporto stabilito dalla tradizione tra i due concetti
(Kant nellAnthropologie lo aveva considerato semplice condimento e
lo aveva contrapposto alla seriet del giudizio
211
), conferisce al Witz la
capacit estetica, ma anche cognitiva che collega acume (Scharfsinn)
e profondit di pensiero (Tiefsinn) di cogliere nella trama del sensibi-
le, negli inniti accostamenti possibili, limmagine pertinente, il colore
giusto: di solito scrive attraverso la metafora che si trova la via
del paragone
212
. La magia della metafora rimanda allunit originaria
di materia e pensiero che perpetua nel linguaggio leco delle cose; la
sua potenza non deriva da un mondo di idee sovrapposto allio, quasi
un secondo mondo al di l del primo, un mondo dato una secon-
da volta (unespressione che abbiamo trovato anche in Mauthner).
La monade della metafora, come ha scritto Eugenio Spedicato che
sottolinea questo riferimento leibniziano
213
, esclude materialismo e
idealismo, esterno ed interno; le sue capacit combinatorie considera-
no reale ogni pensiero e fantasia, cos come afferma Jean Paul un
arcobaleno.
Unulteriore conseguenza della trattazione della metafora-Witz in
questa parte del Proscholium, laccostamento al comico romantico,
allumorismo, denito come sublime alla rovescia, intuizione geniale
che avvia nella teoria estetica la riessione sui modi disarmonici del
bello, incapace ormai di trascendersi nel sublime, poich il sublime
stesso non ne rappresenta che un momento, che immediatamente si
rovescia nel suo contrario, senza possibilit n di anelito verso lin-
nito, n di mediazione
214
. In questo modo per la riessione estetica
43
di Jean Paul assume un signicato metasico e teologico, come appare
dallaffermazione secondo cui, per ogni angelo che ride delluomo,
c un arcangelo che ride di lui, e sopra tutti vi un Dio che ride di
tutto. La poesia deforma il mondo sensibile nello specchio concavo
che essa rivolge verso lidea, lo rende angoloso, allungato e slacciato,
dipingendolo con i colori della fantasia e dellarguzia, ma anche la
losoa mescola ragione e follia e il suo emblema Diogene, che gli
antichi chiamavano un Socrate forsennato
215
. Laccostamento di ra-
gione e passione serve a Richter per scoprire lessenza dellumorismo
nella sua maschera tragica, che scrive egli porta se non sul volto,
nella mano
216
.
Mauthner, che considera Jean Paul pi ne come critico che come
scrittore di romanzi, riprende la teoria del Witz e dellumorismo nelle
voci del Wrterbuch che trattano questo tema. In particolare nella voce
Humor, dopo aver ricostruito le doglie del parto della parola tede-
sca, la storia della traduzione dellinglese Humour con Laune da parte
di Lessing e la successiva correzione, entra nel merito della distinzione
di Richter tra umorismo e ironia. Contro la concezione romantica che
confondeva i due termini e niva col ridurre lumorismo alla sempli-
ce gura retorica dellironia, che nge di affermare quello che nega,
Mauthner afferma, sulla scia di Jean Paul, la centralit di questo tema
nella losoa e il suo legame con il tragico. Non risparmia poi alcune
critiche allautore della Clavis chtiana per esser rimasto troppo legato
ai giochi romantici dellironia; lo stesso Goethe, che con la gura di
Mestofele si molto avvicinato allumorismo, non ha compreso che
la propriet dellumorismo, il riso dell'umorismo, lo pu possedere
soltanto un uomo; e Mestofele non un uomo
217
.
I temi di Jean Paul vengono trattati da Mauthner anche attraverso
la lettura pi sistematica che ne aveva fatto lestetico tedesco per ec-
cellenza
218
, Friedrich Theodor Vischer. La sua indagine sul bello
219

si presenta da subito come teoria del sublime e del comico, modi di-
sarmonici del bello che ne evidenziano la frattura e la sproporzione.
Limpossibilit di trovare una qualsiasi gura genuinamente sublime
che non si dissolva nel nulla, intaccata dal comico nelle sue diverse
forme del comico ingenuo, del comico dellintelletto, del Witz, e del
comico della ragione, dellumorismo, viene introdotta dalle metafore
dello sgambetto, del naufragio, della bolla di sapone che scoppia. Il
procedere hegeliano per triadi un ordine apparente che nasconde
una rafnata sensibilit estetica e una disperazione speculativa
220
.
Invero, per quanto riguarda il tema della metafora come Witz, Vischer
rimette in ordine la partizione dellestetica, sottolineando il carattere
di inadeguatezza dellimmagine nel Witz e spostando la disamina della
metafora nel capitolo sulla poesia. Quando per delinea i momenti del
comico e afferma che lumorismo giunge al cuore del mondo, cita le
metafore di Richter che compendiano la descrizione del sublime rove-
44
sciato nelle immagini di Merope, luccello che sale in cielo dalla parte
della coda, e del saltimbanco che danza sulla testa e beve il nettare dal
basso verso lalto. Lumorismo dissolve allora nella derisione cosmica
(un termine di Jean Paul) la stoltezza e la follia del mondo impersonata
dalla gura di Don Chisciotte
221
.
Mauthner, che apprezza pi Vischer per il suo romanzo umoristico
Auch Einer che per le sue partizioni sistematiche, traduce nel suo lin-
guaggio i tre livelli del comico: il primo gradino, quello dellumorismo
ingenuo, non secondo lui nemmeno umoristico; il secondo quel-
lo che possiamo gustare in Shakespeare, Swift, un po meno in Sterne,
e anche in Jean Paul e Vischer; il terzo non altro che la concezione
del mondo del tutto libera della mente veramente losoca, il sacro
riso del losofo, la superiorit rispetto a tutto laffannarsi e il pensare
delluomo, la rassegnazione di un grande cuore
222
.
Lumorismo resiste alla denizione: ci sono gure umoristiche, non
lumorismo
223
; lo stesso Vischer scrive Mauthner che afferma come
necessario il concetto di umorismo, riconosce che la sua realizzazione
rimane un compito, che esso soltanto un postulato della teoria
224
.
Rimane in ogni caso un termine della modernit: forse lo possedeva
Socrate, ma i Greci non conoscevano lumorismo e uccisero il loro
unico umorista
225
.
Da questo punto di vista non stupisce che Mauthner non potesse
accettare la teoria del riso di Bergson, al quale dedica una specica
voce del Wrterbuch. Si tratta di un articolo nazionalistico e sciovinista,
abbozzato nellaprile e scritto nellagosto del 1914, allinizio della gran-
de guerra, nel quale Mauthner chiama il losofo francese che aveva
denito barbari i tedeschi sartino volenteroso della moda losoca
parigina
226
, giocoliere dei concetti, esempio della capacit francese
(di alcuni francesi, invero: salva Poincar, Voltaire e Anatole France)
di intrattenere senza dire nulla. Ma il saggio sul riso che pi lo indi-
spone, forse per la spiegazione del riso come gesto sociale che reprime
le eccentricit, certamente per la sua riduzione al piano dellintelletto,
a meccanizzazione della vita, a resistenza della materia nei confronti
dello slancio vitale, tutti concetti metasici, secondo il nostro, che non
gli fanno cogliere il tragico nel comico e gli fanno attribuire il comico
nel don Chisciotte alla sbadataggine
227
.
E il riso del losofo supera poi, secondo Mauthner, anche lumori-
smo tragico del cavaliere dalla trista gura: il losofo scettico ride di
tutto ci che vi di sacro nella vita di tutti giorni, ma sa di appartene-
re a questa quotidianit priva di eroi; si allontana dal mondo, ma non
diventa un bermensch
228
, si accontenta di indicare il carattere witzig
nel nostro linguaggio quotidiano. Lessing aveva usato per denire il
Witz la metafora della stoffa cangiante: una stoffa di cui non si pu
dire se sia azzurra o rossa, verde o gialla; che tutte e due, che da
questo lato appare cos, dallaltro appare in modo diverso; un gioco
45
della moda, un divertimento per bambini. Esattamente la stessa me-
tafora che Fontane ha usato per descrivere Mauthner
229
.
Questo lavoro stato svolto nellambito della Scuola superiore di studi di
losoa dellUniversit di Roma Tor Vergata, dellUniversit dellAquila e
dellUniversit della Tuscia-Viterbo.
Ringrazio il prof. Luigi Russo per aver accolto questo studio nella collana
da lui diretta.
Ringrazio inoltre la prof. Gianna Gigliotti che ha seguito con rigore e de-
licatezza lo svolgersi della ricerca. Un grazie anche al prof. Luigi Perissinotto
per avermi suggerito il tema, alla prof. Lia Formigari per alcune importanti
indicazioni teoriche sui temi dello psicologismo e della linguistica, al prof. Elio
Franzini per i consigli sul taglio della ricerca, al prof. Luigi Ambrosiani per la
revisione della traduzione.
Ringrazio inne il prof. Alessandro Cavagna per i suggerimenti sullo stile
dati con autorevole leggerezza. Un grazie inne a mia glia Maddalena.
Dedico questo studio al mio amico Ugo Ischia perch, credo, gli sarebbe
piaciuto, e ne avrebbe riso.
1
Lettera a Otto Brahm, 3 dicembre 1893, in Fontane 1910, pp. 312-13.
2
Pochi sono gli studi dedicati a questo autore in Italia: Albertazzi 1986 e Mastroddi
2002. Alcuni passi dei Beitrge sono stati tradotti in italiano da Michela Mastroddi nel sito
di Dialegesthai. Recentemente sono stati tradotti da Luciano Franceschetti anche i primi
due volumi dellAteismo e la sua storia in Occidente per il sito dellUnione degli Atei e degli
Agnostici Razionalisti.
3
Unanalisi dettagliata dellattendibilit della ricostruzione autobiograca degli anni
praghesi nelle Erinnerungen iniziate nel 1913, ma pubblicate dopo la guerra, nel 1918 si
trova in Khn 1975 che percorre analiticamente tutte le fasi della vita e del lavoro letterario
e losoco di Mauthner. Per il periodo di Praga cfr. anche Ravy 2004.
4
Mauthner 1918, pp. 32-33. Mauschel signica ebreo, giudeo in senso spregiativo.
5
Mauthner 1918, p. 49.
6
Ritchie Robertson attribuisce a Mauthner lorigine del mito del cattivo tedesco di
Praga; lo spiega come purismo linguistico oscurantista che si collega allesaltazione dei dialetti
tedeschi del mondo contadino e alla polemica contro il linguaggio del giornalismo, espressione
della modernit giudaica; cfr. Robertson 2004.
7
Per un approfondimento del contrasto tra lorigine ebraica e la scelta nazionalistica cfr.
Goldwasser 2004 e Robertson 2004.
8
Kleinseite il nome tedesco di Mala Strana.
9
Mauthner 1918, p. 72.
10
Ivi, p. 73.
11
Luso del termine ceco anzich boemo ha una connotazione storico-politica: boemo
comprende il riferimento alle due lingue, ceco ha una connotazione esclusivamente etnico-
linguistica; cfr. Ravy 2004, n. 20, p. 27.
12
Nel 1857 la popolazione della capitale boema era: 33,37% tedeschi, 55,92% boemi; nel
1869, 17,91% tedeschi, 81,50% boemi, nel 1900 la percentuale dei tedeschi scende a 7,46;
cfr. Ravy 2004, p. 38, n. 45. Sugli ebrei a Praga nella seconda met dellOttocento cfr. anche
Le Rider 1994: allinizio dellOttocento Praga sembra una citt tedesca, parlano ceco solo
i domestici e gli artigiani. Un secolo pi tardi la parte tedesca in netta diminuzione e nel
1900 il 40% della popolazione tedesca, ridotta al 7,5%, costituita in gran parte da ebrei.
Un numero crescente di ebrei si dichiara di lingua ceca, anche se continua a mandare i gli
alla scuola tedesca. Anche la vita culturale vede ora una forte presenza ceca.
46
13
Cos si esprime Mauthner in un articolo di giornale del 1878, citato in Thunecke
2004, p. 83.
14
In un manoscritto datato 9 novembre 1922 (Zu Lebenserinnerungen II) Mauthner ri-
corda il redattore capo e il suo editore con giudizi taglienti sulla loro preparazione culturale;
cfr. Betz - Thunecke 1984.
15
Il primo volume, con 17 parodie di scrittori e autori noti, raggiunge la diciottesima
edizione gi nel 1879, il secondo, scritto sullonda del successo, arriva alla tredicesima edizio- edizio-
ne dopo tre anni, nel 1902 esce il volume che contiene tutte le 22 satire. Nel 1923, anno della
morte dellautore, le edizioni sono circa cinquanta, cfr. Schneider 2004, pp. 105-06.
16
Bab, citato in Khn 1975, n. 213, p. 175.
17
Il conitto tra il sentimento di identit ebraica e identit culturale tedesca analizzato in
Weiler 1963 e Goldwasser 2004. Mauthner non nega la sua identit ebraica, la riconosce anzi
come ein Duktus im Gehirn, un ductus nel suo cervello (lettera a Landauer del 10 ottobre
1913), non tanto eredit biologica, ma caratteristica dello stile e richiamo alla tradizione intel-
lettuale ebraica scettica ed eretica, costituisce insomma un pezzo della sua critica (Goldwas-
ser 2004, p. 61). In un articolo, apparso postumo sul Menorah Journal nel febbraio del 1924,
Mauthner si esprime per cautamente sulla connessione tra scetticismo e tradizione ebraica;
richiama Spinoza, critico invero, ma non scettico, e Maimon, troppo minuzioso per e micro-
scopico nellargomentare; riconosce che forse vi qualcosa di comune tra lebreo e la scepsi:
forse proprio questa passione per largomentare atomistico che si arresta di fronte al sistema
ma conclude tutto questo comune anche a Nietzsche, pi scettico di qualsiasi ebreo, e
allo scaldo Ibsen che predica la menzogna (il testo si trova in Betz-Thunecke 1989).
18
Collabora anche con Allgemeine Zeitung, Klnische Zeitung, Schorers Famili- Famili-
enblatt e Die Nation, dirige dallottobre del 1889 la rivista Deutschland che conuir
(nisce per essere scritta quasi interamente da lui) alla ne dellanno successivo nel Magazin
fr Literatur; cfr. Betz-Thunecke 1984-1985.
19
Cfr. Deft 1994 e Arens 2001. Per ricostruire il periodo berlinese sono particolarmente
interessanti le lettere di Fontane: possediamo solo le lettere di Fontane a Mauthner, quasi
nessuna di Mauthner a Fontane; datano dal 20 dicembre 1888 al 6 dicembre 1898 e riguar-
dano le reciproche recensioni e la collaborazione alla rivista Deutschland. Gli argomenti
del confronto sono i temi principali della cultura e della politica, le pubblicazioni, il teatro,
le dimissioni di Bismarck, le critiche di Harden a Guglielmo II, la riessione insomma sul
linguaggio della letteratura e della critica (un esempio interessante sono le considerazioni
di Fontane sui discorsi del Kaiser come manipolazioni del linguaggio e della logica; cfr.
Betz-Thunecke 1985, n. 293, p. 23). Emerge un giudizio accorto di Fontane sulla scrittura
letteraria dellamico, del quale apprezza lo stile scoppiettante e la forza satirica (in particolare
in Xanthippe), ma ne rileva il pericolo di innescare una bomba che poi viene scagliata nella
direzione sbagliata (lettera n. 9). Positive sono anche le recensioni da parte di Mauthner che
pubblica lanteprima di Stine di Fontane sulla rivista, ma le osservazioni critiche, spesso su
elementi secondari (ad esempio luso dei nomi veri delle ditte berlinesi), sembrano celare un
certo rancore che si esprimer pi esplicito nei ricordi pi tardi. Le ultime lettere accennano
ai mali del vecchio letterato e alla malattia agli occhi di Mauthner che ormai ha deciso di
abbandonare limpegno letterario e dedicarsi alla losoa: Ja die Philosophie!, commenta
Fontane, e spera non si tratti di etica (che gli ebrei come egli scrive altrove sanno ben
trattare solo per secondi ni, lettera n. 60 e note); cfr. Betz - Thunecke 1984-1985.
20
Hanna Deft suggerisce che il ricorso allepistolario (anche nei periodi in cui i due non
erano lontani e le lettere erano premessa dei colloqui diretti) fosse anche la condizione per
la mediazione della scrittura che evitava il confronto verbale e diretto di questa lunga
amicizia tra personalit cos diverse: lo scettico melanconico e il visionario passionale, il
sostenitore di Bismarck e lanarchico, il fautore dellassimilazione ebraica e il sionista della
cultura, lo storico dellateismo e il rivoluzionario; cfr. Deft 1994, p. XIV.
21
Cfr. Khn 1975, pp. 323-24.
22
B I, p. XV. Le abbreviazioni usate indicano: B Beitrge zu einer Kritik der Sprache,
Mauthner 1999; W Wrterbuch der Philosophie: Neue Beitrge zu einer Kritik der Sprache,
Mauthner 1997; 3BW Die drei Bilder der Welt: Ein Sprachkritischer Versuch, Mauthner 1925;
tra parentesi indicato il numero della pagina della traduzione italiana.
23
Platone, Teeteto, 183b.
24
Khn 1975, p. 230.
25
Maria Hedwig Luitgardis Straub (Emmendingen nel Baden-Wrtenberg 1872 - Meers-
burg 1945); pseudonimo: Harriet Straub, scrittrice e giornalista.
47
26
Richard Avenarius (Parigi 1843 - Zurigo 1896) , con Mach, un esponente del-
lempiriocriticismo; un losofo relativista e radicale, che elabora una concezione funzionalistica
di un sapere senza fondamenti. A Hedwig Straub e a Mauthner doveva senzaltro piacere la
proposta di Avenarius di attenersi al punto di vista del losofo greco che si reca al mercato
non per vendere o per comperare, ma per contemplarne landirivieni. Ma non solo questo:
Avenarius prendeva le mosse dallassunzione del concetto di esperienza in senso molto largo,
come linsieme di asserzioni (Aussagen) degli individui sul loro ambiente, per poi procedere a
una critica analitica; cfr. Avenarius 2004, pp. 3-5 (pp. 7-8). Lintendere lesperienza in senso lato
come esperienza asserita poneva sullo stesso piano la credenza superstiziosa, losservazione
scientica e la teoria losoca, rivelando la relativit di molti concetti. Il procedimento di
puricazione dellesperienza doveva allora ricomporre una visione del mondo antecedente
alle partizioni speculative che separano psichico e sico. Mauthner nei Beitrge lo aveva citato
pi volte accanto a Mach e aveva notato il carattere passionale che sottendeva allesposizione
troppo astratta della sua teoria del conoscere; cfr. B I, p. 338.
27
W I, p. XVI.
28
Ivi, p. CXXX.
29
Ivi, p. 386.
30
Un esempio la voce, piena di offese scioviniste, dedicata a Bergson, W I, p. 162 ss.
31
Mauthner 1989, p. V (p. I).
32
Cfr. Sprl 1997, p. 50 e Khn 1975, p. 251 e p. 91 ss.
33
Leco del Faust di Goethe che protesta contro la sterilit della parola lascia intendere
il primato conferito allazione: im Anfang war die Tat, aveva concluso il mago, stanco delle
astrattezze della cultura, ma in Mauthner si conclude ancora pi radicalmente: in principio
era la parola, e Dio era una parola (Im Anfang war das Wort, und Gott war ein Wort) (W
II, p. 19); per una bella analisi delle numerose ricorrenze di questa citazione in Mauthner e
per un confronto con la concezione del linguaggio di Goethe cfr. Lktenhaus 2004.
34
B I, p. 1 (p. 78).
35
Ivi, pp. 1-2 (pp. 78-79) .
36
Nella lettera a Elisabetta del Palatinato, in apertura dei Principia, Descartes accosta
al proposito di un losofare con discorsi semplici e chiari, di dire solo ci che certo per
esperienza o per ragione, una nota di leggerezza, dato che il libro non dovr essere letto e
compreso da un qualche vecchio gimnososta, ma da una giovane e bella principessa (Weiler
pensa si tratti di una dedica a Clara Levysohn); Locke: tanto difcile illustrare il vario
signicato e le molteplici imperfezioni delle parole, quando non abbiamo che parole per
farlo; Vico: homo non intelligendo t omnia; Hamann a Jacobi: capisci allora il mio
principio del linguaggio della ragione, che cerco cio di trasformare, con Lutero, tutta la
losoa in una grammatica?; nella successiva lunga citazione di Jacobi la storia della loso-
a viene descritta come un dramma nel quale ragione e linguaggio giocano il ruolo dei due
Menecmi di Plauto e, uscita dalla catastrofe con Kant, non ancora critica del linguaggio;
Kleist: lidea viene nel parlare.
37
Katherine Arens, con queste stesse motivazioni, denisce lo stile di Mauthner im-
pressionistico, pittura delle sensazioni soggettive che mutano a ogni nuovo punto di vista e
distruggono la consistenza della cosa in s. In questo senso la denizione di espressionismo
non mi sembra contrapposta; cfr. Arens 1984, cap. I.
38
Per fare soltanto un esempio, Mauthner denisce la sua concezione con le parole se-
guenti: un misticismo saldo e vicino alla terra insieme a una scepsi distaccata e serenamente
celeste (B I, p. XV).
39
I primi contatti tra Mauthner e Hugo von Hofmannsthal (Vienna 1874 - Rodaun 1929)
risalgono al 1892, ma lo scambio epistolare inizia dopo lottobre del 1902, dopo la pubblica-
zione della Lettera, e si conclude nel 1912 per una serie di incomprensioni.
40
Hugo von Hofmannsthal 1980; cfr. il capitolo La ruggine dei segni. Hofmannsthal e
la Lettera di Lord Chandos in Magris 1984.
41
Il poeta aveva risposto: i miei pensieri hanno preso una strada simile, talvolta entu-
siasmati, altre volte angosciati dalla metaforicit del linguaggio, lettera a Mauthner del 3
novembre 1902 (Stern 1978).
42
Al di l dellinutile questione della priorit, altri passi del Nachlass, riportati da Stern,
mostrano espliciti riferimenti di Hofmannsthal alla critica del linguaggio di Mauthner; un
esempio soltanto: il libro di Mauthner ora qui come un grido moriamo e non arriviamo
ad alcun risultato (non datato).
43
Christian Morgenstern (Monaco di Baviera 1871 - Merano 1914) ottenne la fama con
48
i Galgenlieder (Canti patibolari), pubblicati nel 1905. Al cinquantasettesimo compleanno di
Mauthner, il 22 novembre del 1907, gli dedica questo breve scherzo: Aus dem Anzeigenteil
einer Tageszeitung des Jahres 2407 | Vorankndigung | 22. November Fritzmauthnertag 22.
November | Spectaculum grande | Groes Wrterschieen! Preise bis zu 1000 M! | Mit-
telpunkt der Veranstaltung | Zehnmaliges Erschieen des Wortes | Weltgeschichte | Durch
je zehn Scarfschtzen | Zehn deutscher Stmme. | Erinnerungszeichen! | Kaltes Buffet! |
Schieplatz Neu-Kaputt. Vis vis dem Luftschiffhafen | Das Festkomit | Der Vereinigung
zur ordnungsmssigen Erschieung | verurteilter Wrter. (Dagli annunci di un quotidiano
dellanno 2407 | preavviso | 22 novembre giornata di Fritz Mauthner 22 novembre | Spectacu-
lum grande | grande esercitazione di tiro alle parole! | prezzi no a 1000 marchi | centro della
manifestazione: | fucilazione per dieci volte della parola | Weltgeschichte (storia del mondo)
| da parte di ben dieci tiratori scelti | di dieci stirpi germaniche. | Cotillons! | Buffet freddo!
| Piazza del tiro Nuovo kaputt. Vis vis allaeroporto. | Il comitato per i festeggiamenti |
dellunione per la fucilazione regolare delle parole condannate); Wiener 1972, p. CXXIII.
44
Sono le pp. 617-18, B III, cf. Ben-Zvi 1980, Ben-Zvi 1984, pp. 65-88. Lernout riferisce
del diverso approccio di Joyce e di Beckett al testo di Mauthner: Joyce legge il primo volume
dei Beitrge, o almeno le prime cento pagine, allo scopo di ricavarne espressioni e intuizioni
da riutilizzare; Beckett pi interessato allimpianto teorico complessivo della critica del lin-
guaggio e alla sua coerenza; cfr. Lernout 1994, p. 26. Rimane per importante la consonanza
di alcuni motivi in Joyce e in Beckett e sono i temi che Umberto Eco individua nella sua
interpretazione di Finnegans Wake: la forzatura dei limiti del linguaggio nelle metamorfosi
continue che dissolvono la ssit delle parole, il richiamo agli archetipi e al ritmo ciclico
della storia di Vico, il gioco del calembour che si sostituisce allordine categoriale; cfr. Eco
1966, cap. III. Beckett riassume questi temi nel saggio Dante Bruno. Vico... Joyce cogliendo
lelemento centrale della poetica del Work in progress: la scrittura di Joyce non su qual-
cosa: quel qualcosa, quando il senso sonno, le parole vanno a dormire, [] quando il
senso sta danzando le parole danzano (Beckett 1929). Per il richiamo di Beckett ai temi dei
Beitrge cfr. anche Skerl 1974.
45
Oswald Wiener (Vienna 1935), cibernetico, matematico, losofo e letterato, scrive:
guardai verso lalto e vidi una nuvola innaturale fatta di parole nella quale stava scritto a
lettere di amma: FMAUTHNER BEITRGE 3AUFLAGE P176FF BIS SEITE 232 ERSTER BAND! Ho
sentito subito da dove provenisse il vento. (le pagine citate indicano il capitolo Denken
un Sprechen; Wiener 1985).
46
In Tln, Uqbar, Orbis Tertius (Finzioni) Borges, spiato da uno specchio, racconta di una
teoria degli specchi intesi come oggetti abominevoli, al pari della copula, perch moltiplicano
il numero degli uomini. La ricerca della fonte della bizzarra tesi riconduce a una fantastica
dottrina gnostica riportata da una sola copia di unenciclopedia nellarticolo dedicato allim-
maginario paese asiatico di Uqbar e confermata dal ritrovamento fortuito dellundicesimo
volume della storia di quella civilt. La cultura di questo pianeta si rivela berkeleyana: lessere
del mondo viene identicato con il percipi, esso non un insieme di oggetti nello spazio,
ma una serie eterogenea di atti indipendenti collocati nel tempo. Gli idiomi della regione
australe rimandano a una congetturale Ursprache, nella quale non esistono sostantivi, ma
solo forme verbali (non c luna, ma lunare, luneggiare); in quella dellemisfero boreale vi
sono solo aggettivi e il sostantivo si forma per accumulazione di aggettivi (luna diventa, ad
esempio, aereo-chiaro sopra scuro-rotondo). In questo caso si tratta di un oggetto reale, ma
la letteratura piena di oggetti ideali alla Meinong e vi sono poemi costituiti di una sola
parola, corrispondente a un solo oggetto, loggetto poetico creato dallautore. La scienza
fondamentale naturalmente la psicologia che studia il meccanismo delle rappresentazioni
che dissolve il perdurare delle sostanze nel tempo e la connessione causale degli eventi: la
percezione di una fumata allorizzonte, e poi del campo incendiato, e poi della sigaretta mal
spenta che provoc lincendio, considerato come un esempio di associazione di idee. La
conseguenza linvalidazione delle scienze e il moltiplicarsi di sistemi che non cercano la
verit, ma la sorpresa, dato che la losoa pu essere solo gioco dialettico, losoa della n-
zione, Philosophie des Als Ob. La relativit dei sistemi si basa sullimpossibilit di identicare
con un nome il sussistere di una cosa: ogni sostantivo ha solo carattere metaforico e la storia
delle nove monete perdute e ritrovate diventa simile al caso di nove uomini che in nove notti
successive dovrebbero provare il medesimo dolore. Il processo di generalizzazione rivela pi
somiglianze che identit e moltiplica gli oggetti reali no alla scoperta di oggetti secondari,
gli hrnir, duplicazioni allinnito delle cose primitive. Un solo esempio, ma si potrebbero
analizzare anche altri racconti; cfr. Dapa 1993.
49
47
Lettera di Mach a Mauthner del 24 dicembre 1901, in Haller-Stadler 1988, p. 235.
48
Weiler 1986, p. XVI.
49
Nella letteratura critica il riferimento di Wittgenstein a Mauther stato gi ampiamente
analizzato (cfr. in particolare Weiler 1970 e Leinfellner 1969). Accomuna i due autori (mi
riferisco soprattutto al secondo Wittgenstein) la concezione immanente del linguaggio secondo
la quale esso non governato da strutture formali esterne e precostituite: grammatica e logica
si nascondono nel linguaggio; non vi in esso unessenza che ne costituisca propriamente
il mistero; non vi unimmagine mentale specchio di un oggetto, il mondo non dato due
volte; nemmeno si tratta di dubitare seriamente dellesistenza degli oggetti del mondo; non
vi un esterno e un interno; rimanere dentro il linguaggio non signica impossibilit di
parlare delle sensazioni e dei sentimenti, signica invece saper distinguere dentro il linguag-
gio, far vedere dove non funziona; il linguaggio semplicemente il suo uso, una forma di
vita; la sua indagine impone un approccio asistematico, il vagare di un viandante, lalbum di
schizzi; bisogna sempre tenersi liberi dalla losoa, saper smettere di fare losoa e, inne,
riconoscere lindicibile, il mistico. Spesso simili sono anche le metafore e qualche volta si
avverte in Wittgenstein leco di qualche espressione, del tono di Mauthner.
50
Bredeck 1992, p. 126.
51
O voi che siete in piccioletta barca, | desiderosi dascoltar, seguiti | dietro al mio legno
che cantando varca, | tornate a riveder li vostri liti: | non vi mettete in pelago, ch forse, |
perdendo me, rimarreste smarriti. | Lacqua chio prendo gi mai non si scorse.
52
B I, p. 5 (p. 81).
53
Ivi, p. 181 (p. 99).
54
Ivi, p. 11 (p. 85).
55
Ivi, p. 26 (p. 91).
56
Ivi, p. 27 (p. 93).
57
Ivi, p. 28.
58
Ivi, pp. 86-87.
59
Ivi, pp. 53-54: si riferisce a un racconto di Wilhelm von Merckels.
60
Ivi, p. 176 (p. 96).
61
Ibidem.
62
Ivi, p. 66.
63
Ivi, p. 115 (p. 104).
64
Ivi, p. 119.
65
A IV, p. 447; cfr. Bredeck 1992, p. 117.
66
B I, p. 28.
67
B II, p. 451 (p. 105).
68
Weiler 1970, p. 1.
69
Locke 2007, L II, cap. XI, 2; L III, cap. X, 34.
70
Locke 2007, L III, cap. XI, 22.
71
Ivi, L III, cap. VI, 19.
72
Ivi, L III, cap. I, 5.
73
Aveva a disposizione la traduzione della Scienza Nuova di Wilhelm Ernst Weber del
1822.
74
Inst. VIII, VI, 9.
75
Vico 2004, pp. 155-56
76
Nel diario del 5 marzo 1787 del Viaggio in Italia Goethe annota di aver ricevuto da
Filangieri la Scienza nuova come se fosse una reliquia: ne d una rapida scorsa e velocemente
ne deduce che Vico potesse essere una sorta di patriarca per gli italiani alla maniera di Ha-
mann per i tedeschi; cfr. Goethe 1993, pp. 207-08 (pp. 212-13).
77
B II, p. 480: sicuramente Hamann ha letto Vico, forse anche Herder lo ha letto sos-
tiene Mauthner. In effetti, nelle lettere a Herder, Hamann scrive di aver iniziato a fatica la
lettura della Scienza Nuova e accenna alla dipintura, cfr. Marienberg 2006, p. 7s.
78
Mauthner rimprovera a Herder di aver successivamente abbandonato questa tesi, espo-
sta nella Abhandlung ber den Ursprung der Sprache del 1772, e afferma che quanto Herder
scrive di importante nella Metakritik contro Kant deriva in realt da Hamann; cfr. B II, pp.
45-47. La Metacritica di Herder rappresentava per, in un certo senso, un rovesciamento
della tesi di Hamann: come spiega Ilaria Tani, la radice ultima dellunicazione tra sensibi-
lit e intelletto rimandava in Hamann al linguaggio come emanazione della parola creatrice
di Dio, mentre il carattere impuro e storicamente condizionato della ragione di Herder si
fondava sullautonoma capacit degli organi di senso di procedere a ununicazione sintetica
50
(senza ricorso allapriori) che lasciava nella parola un residuo iconico, garanzia del legame
con lesperienza; cfr. Tani 1993.
79
Mittner 1964, I, p. 302.
80
Hamann 1952, p. 197 (p. 113).
81
Ivi, p. 199 (p. 115).
82
Ivi, p. 208 (p. 126).
83
Ivi, p. 283; B I, p. 334.
84
Ivi, p. 286.
85
Lktenhaus 1999, p. X; Gerber 1961, Vorwort alla seconda edizione del 1884.
86
B I, p. 32.
87
Formigari 1988, p. 63.
88
Anna Morpurgo Davies accenna a questo lo che collega Hermann Paul a Steinthal e
Humboldt; cfr. Morpurgo Davies 1996, p. 336.
89
Formigari 2001, p. 238.
90
Humboldt 1960, 8.
91
B II, p. 56.
92
Cfr. Di Cesare 2000, pp. LI ss.
93
Di Cesare spiega la metafora del prisma come capacit di dare valore alla diversit
senza perdere il riferimento unitario: per Locke osserva il linguaggio un mezzo ottico
che falsica gli oggetti, per Leibniz lo specchio meraviglioso dello spirito umano, per
Humboldt un prisma capace di rifrangere il mondo con angolazioni sempre nuove; segue
la citazione dallEssai sur les langues du nouveau Continent del 1812: le lingue assomigliano
nel loro insieme a un prisma di cui ogni faccia mostra luniverso sotto un colore diversamente
sfumato (Di Cesare 2000, p. XLVIII).
94
B II, p. 59.
95
Sulla collocazione storica di von Humboldt tra Settecento e Ottocento, tra illuminismo
e idealismo tedesco, sulleredit che riceve dal passato e sulla sua inuenza nellOttocento e
nel Novecento e sulle diverse e opposte risposte, cfr. Morpurgo Davies 1996, pp. 147-48.
96
Cfr. B II, p. 59.
97
Ivi, p. 67.
98
Bral 1897, cap. XVIII.
99
Ibidem.
100
Mauthner osserva che in un passaggio Paul sembra pensare alla possibilit di comu-
nicare il contenuto delle rappresentazioni mediante la trasformazione di associazioni rappre-
sentative indirette in dirette: con queste parole, scrive Mauthner, non riesco a pensare a nulla;
cfr. B II, p. 73. Nonostante questa critica, peraltro forzata, Paul rimane il punto di riferimento
di Mauthner, mentre gli altri esponenti del movimento dei neogrammatici vengono liquidati
velocemente con laccusa di voler stabilire delle precise leggi fonetiche per puro fanatismo
scientista e gusto per lo specialismo.
101
Cfr. B II, p. 73.
102
Intenderemo dunque con signicato usuale lintero contenuto rappresentativo che
per i membri di una comunit linguistica si lega a una parola, con signicato occasionale quel
contenuto rappresentativo che il parlante lega alla parola nel pronunciarla e che si aspetta
che anche lascoltatore vi leghi; Paul 1960, p. 75 (p. 61).
103
Esempio: Schirm (= che ripara) diventa parapioggia, parasole; Paul 1960, pp.
87-88 (p. 74).
104
Esempio: fertig (= pronto per il viaggio) diventa pronto, nito; Paul 1960, p.
91 (p. 79).
105
Paul analizza le metafore basate sulla somiglianza dellaspetto esteriore (esempio: Kopf,
detto dellinsalata), sullidentit della funzione (Haupt = capo, capo di una famiglia, di una
stirpe, di una congiura; anche nei composti: Hauptsache..), sul trasferimento delle espressioni
spaziali alla dimensione temporale (lang), a quella psichica (non-spaziale; ein Gedanke geht
mir im Kopfe herum), da un senso allaltro (sss, anche per lolfatto e per ludito) e sullabi-
tudine a intendere i processi delle realt inanimate in analogia con i processi della propria
attivit (schreiende Farben); Paul 1960, p. 95 ss. (p. 84 ss.).
106
B II, p. 260: Hermann Paul, der mir Idee und Beispiele bietet. Per altri versi il
linguista non considera la metafora come titolo generale per tutti i tropi della retorica antica
e rimane lontano dallesito scettico del nostro autore.
107
Per la particolare collocazione della psicologia in Hermann Paul cfr. Morpurgo Davies
1996. Lautrice spiega la posizione di Delbrck, indifferente nelladottare la teoria psicologica
51
di Steinthal e di Wundt, e quella di Paul, per il quale ladozione di un modello psicologico
fu motivo di ripensamenti profondi. Paul si riferisce, attraverso Steinthal, allassociazionismo
di Herbart, ma limpossibilit di comunicare il contenuto delle rappresentazioni in quanto
tale richiede, a suo parere, un atto di ricreazione nellascoltatore. Se quindi la psicologia
scienza che analizza il meccanismo delle rappresentazioni, la linguistica dovr tener conto
dellelemento storico, culturale e sociale (non semplicemente diacronico). Lassunto implicito
conclude Anna Morpurgo Davies , ancora una volta, che la scienza del linguaggio non
semplicemente una parte della psicologia (p. 340). Cfr. anche Graf 1991, pp. 56 ss.
108
B II, p. 8.
109
W III, p. 169.
110
B I, p. 113 (p. 103).
111
B III, pp. 263 ss.
112
Cfr. B I, p. 343: la metafora del setaccio prevede anche la possibilit di invertire loro
con la sabbia: dipende dal valore che attribuiamo alloro.
113
Ivi, p. 327 (pp. 100-01).
114
Cfr. ivi, pp. 262 ss.
115
Cfr. ivi, p. 238.
116
Cfr. ivi, pp. 250-51.
117
Cfr. ivi, p. 277.
118
B I, p. 666.
119
Cfr. ivi, p. 668.
120
In un articolo nel Zukunft del 2 aprile 1904 Mauthner aveva indicato Otto Ludwig,
Nietzsche e Bismarck come le tre gure pi importanti per lorigine delle sue riessioni
critiche sul linguaggio, ma nelle Erinnerungen afferma di voler aggiungere il nome di Mach,
il cui inusso, anche se dimenticato, deve essere stato importante. a suo dire lo stesso
Mach (attorno al 1895) a ricordare il giovane Mauthner che, dopo una conferenza sulla sica
a Praga nel 1872, gli chiede di potergli presentare alcune riessioni scritte e che gli fa leggere
Die Geschichte und die Wrzel des Satzes der Erhaltung der Arbeit (Mauthner 1918, p. 210).
La memoria (Mach 1872) riprodotta in Mach 1969; si tratta di un discorso tenuto il 15
novembre 1871 alla Societ reale boema e pubblicato nel 1872. In quel periodo (dal 1867 al
1895) Mach insegnava sica sperimentale nella capitale boema.
121
Mach 1872, p. 3 (p. 49). Lo scienziato formula qui una critica esplicita alla concezione
meccanicistica, riproposta da Helmholtz nel 1847 nellautorevole memoria ber die Erhaltung
der Kraft. Alla concezione dello scienziato prussiano, che riconduceva le leggi empiriche,
scoperte per i fenomeni elettrici, magnetici e termici, al principio di conservazione della forza
e alle formule di Lagrange, rinnovando il principo seicentesco della riduzione della sica alla
meccanica, Mach opponeva una distinzione analitica tra la formulazione matematica e lidea
dellimpossibilit del perpetuum mobile (impossibilit di creare lavoro dal nulla). Il principio,
nella seconda formulazione, non sarebbe allora cos nuovo, come vorrebbe Helmholtz, ma
starebbe alla base di qualsiasi ricerca scientica e, in particolare, dello straordinario sviluppo
della meccanica nel Seicento. Lestensione del principio meccanico della conservazione della
forza a principio generale della scienza e la sua identicazione con lesclusione del perpetuum
mobile avrebbero allora solo il valore di unestensione analogica. Mach, consapevole della
provvisoriet dei concetti scientici, ridenisce spazio, tempo e causa in termini funzionali e
relativi luno allaltro. Cfr. Gargani 1982, p. XV ss.
122
Cfr. Mach 1872, p. 2 (p. 48).
123
Ivi, p. 26 (p. 76).
124
Ivi, p. 36 (p. 87).
125
Ivi, p. 33 (p. 83).
126
Mach 1991a, pp. 1-2 (pp. 37-38).
127
Cfr. DElia 1977, p. 13.
128
Cfr. Mach 1991a, p. 13 (p. 47).
129
Lichtenberg 1907, p. 232, Mach 1991a, p. 23 (p. 56).
130
Notizbuch 23, 26 gennaio 1881, in Haller-Stadler 1988, p. 178: Die ganze Welt ist nur
ein Ding. Welt und Ich sind nur mehr oder weniger willkrliche Zusammenfassungen.
131
Mach 1917, p. 90 (p. 90, ma ho modicato lievemente la traduzione).
132
Lepistolario pubblicato contiene una missiva di Mach del 1889 che declina linvito
a collaborare alla rivista Deutschland e uno scambio di lettere e di libri nel 1895: Mach
spedisce il testo della conferenza Die Geschichte und die Wurzel des Satzes von der Erhaltung
der Arbeit e Die Mechanik in ihrer Entwickelung historisch-kritisch dargestellt, Mauthner ri-
52
cambia con Lgenohr, Fabeln und Gedichte in Prosa. Uno scambio pi intenso di lettere e
di testi data dal dicembre del 1901 e prosegue no alla malattia di Mach, testimoniando di
almeno due incontri. Lo scienziato moravo apprezza non solo la critica del linguaggio di
Mauthner, ma anche la sua vena satirica: a proposito dei Totengesprche dice addirittura di
essersi divertito pi che con Luciano, Voltaire e Heine, cfr. la lettera di Mach del 16 marzo
1906, in Haller-Stadler 1988, p. 240.
133
un concetto che Mach riprende da Hering, cfr. B I, p. 453.
134
Mach 1917, p. 132 (p. 130) e B I, p. 15. Lo ripete anche Wittgenstein nelle Philoso-
phische Untersuchungen nellosservazione 25. Aldo Gargani ha ricondotto lidea del linguaggio
come forma di vita di Wittgenstein a questa concezione del carattere naturale del linguaggio
di Mach, sottolineandone il carattere antirazionalistico. In questo contesto riporta anche la tesi
di Mauthner sullapriorit relativa dei nostri concetti e sulla mancanza di un loro fondamento
teorico in quanto fenomeni della vita; egli accenna anche alla funzione del caso nella selezione
dei dati empirici da parte dei Zufallssinne; cfr. Gargani 1992, p. 107 ss.
135
Mach avrebbe applicato alle idee della scienza i concetti evoluzionistici di adattamento
e di analogia che i linguisti i neogrammatici, in particolare, secondo la Arens avevano
elaborato per spiegare levoluzione della lingua come rapporto tra norma e innovazione; cfr.
Arens 1984, cap. III
136
Mach 1917, p. 7 (p. XXXVI).
137
B I, p. 299.
138
Mach 1896a, p. 419.
139
B III, p. 263.
140
Mach, 1896a, pp. 411-12. Lazarus Geiger (Frankfurt a. M. 1829-1870) in Ursprung
und Entwickelung der menschlichen Sprache und Vernunft (il primo volume era stato pubbli-
cato nel 1868; il secondo frammentario e postumo) denisce la sua ricerca come critica
empirica della ragione umana (p. 101). Il carattere empirico consiste nella ricerca etimologica
sulle parole che, come fossili, ci rivelano la relativit del sistema dei concetti del mondo primi-
tivo (esempio la mancanza del blu nel mondo greco), nella radicale convinzione dellidentit
di linguaggio e pensiero; cfr. Geiger 1868. Mauthner, che spesso sorvola sulla differenza tra
linguaggio e pensiero, precisa qui che questa identit non assoluta; essa somiglia piuttosto
ai differenti punti di vista che producono le due immagini dello stereoscopio; Geiger avrebbe
anche uneccessiva venerazione per la ragione che, nella sua teoria, emerge dal linguaggio
come una potenza di pi alto grado; cfr. B II, 661.
141
Ludwig Noir (Mainz 1829-1889) in Logos. Ursprung und Wesen der Begriffe (1885) ha
elaborato una concezione del linguaggio a partire da una lettura trascendentalista della volon-
t di Schopenhauer (cfr. Cloeren 1988, cap. XV). Ne risulta il carattere intenzionale dellatto
linguistico e la centralit della metafora: tutto il linguaggio metafora (p. 274), esso nasce
dalla metafora originaria che trasferisce il gesto in suono, individuando lagire umano comune
come presupposto del linguaggio. In questo testo Mach ha trovato conferma della sua idea
di relativit di tutti i concetti e del carattere metaforico di molti concetti della scienza (cfr.
Noir, p. 287), oltre a rinvenire alcune osservazioni particolari come lidea dellorigine dei
nomi dei colori dalla pratica del tatuaggio (ivi, p. 260). Mauthner lo accusa invece di essere
wortglubig, di credere alle parole, come dire: sulla parola.
142
Cfr. lettera a Mach del 14 febbraio 1902, in Haller - Stadler 1988, p. 237.
143
Mach 1917, p. 220 ss. (p. 216 ss.).
144
W I, p. 380.
145
Ivi, p. 382.
146
Ivi, pp. 391-92, Stumpf 1907, p. 88 (p. 205); per altri versi Stumpf ha una concezione
molto diversa del concetto e dellastrazione, contro Mach.
147
Ivi, p. 266.
148
Cfr. le voci hnlichkeit, Afnitt e Analogie in W I.
149
Cfr. W I, p. 45.
150
Cfr. ivi, pp. 47-48.
151
Cfr. ivi, p. 296 (p. 122).
152
Cfr. ivi, p. 299 (p. 123). La voce cogito sviluppa di nuovo questa tesi nella critica allego
cartesiano con il richiamo a Lichtenberg.
153
Cfr. B I, p. 220.
154
W I, p. 18.
155
Cfr. W III, p. 361.
156
3BW, p. 136.
53
157
Mauthner conosce personalmente Hans Vaihinger nel 1905, quando, appena dopo il
trasferimento a Freiburg, entra a far parte della Kantgesellschaft e viene appunto in contatto
con il suo fondatore, con il quale intrattiene una corrispondenza che si inttisce attorno al
1911, anno della pubblicazione della Philosophie des Als ob. Khn suggerisce che forse pro-
prio luscita del Wrterbuch abbia incoraggiato Vaihinger alla pubblicazione del suo scritto
giovanile. In ogni caso il nostro autore recensisce nel 1913 il testo dello studioso di Kant,
inserisce nella seconda edizione del dizionario la voce als ob e richiama pi volte la disa-
mina dellamico sui concetti-nzione nelle scienze, nelletica e nella religione. A differenza di
Mauthner per, Vaihinger prende le mosse da una conoscenza profonda dei testi kantiani; egli
infatti pi conosciuto per i due volumi del Kommentar zu Kants Kritik der reinen Vernunft,
pubblicati nel 1881 e nel 1892, e per essere stato editore dal 1896 della rivista Kant-Studien.
Il commentario si ferma allEstetica trascendentale (della quale disseziona ogni passo senza
sorvolare su nessuna delle difcolt interpretative), forse perch il passaggio alla Logica e, in
particolare alla Dialettica, alla logica dellillusione (des Scheins), lincontro con lespressione
kantiana del come se, aveva ricondotto il lologo ai temi studiati negli anni della tesi con
Laas, a quesiti pi urgenti dal punto di vista teoretico, alla concezione cio delle idee della
ragione come semplici nzioni euristiche.
158
Vaihinger 1986, p. 40.
159
In questo capitolo Vaihinger fa rientrare anche le categorie, estendendo laffermazione
kantiana dellassoluta inconcepibilit e conoscibilit del mondo dalla dialettica allanalitica,
dalla pretesa di totalit allapplicazione della singola categoria. Lintero sistema kantiano degli
apriori viene cos interpretato come un insieme di nzioni, che vanno dallo spazio, concetto
non solo soggettivo, ma pieno di contraddizioni, alla sostanza e alla causa, no alla cosa in
s. La divisione tra cose in s, cio oggetti, e altre cose in s, cio soggetti, una nzione
originaria: dal punto di vista di Vaihinger, non vi alcun assoluto, alcuna cosa in s, alcun
soggetto, alcun oggetto. Lerrore di Kant consiste nel non essersi attenuto alla convinzione,
espressa pi chiaramente nella prima edizione della Critica, che la cosa in s fosse una mera
idea, un concetto limite, esattamente nel senso in cui si parla di limiti nella matematica, un
concetto immaginario, un simbolo necessario per il calcolo, come gi Maimon aveva notato.
Finzione e non ipotesi, vero e proprio concetto contraddittorio, supposto nella piena coscienza
della sua impossibilit, la cosa in s un concetto necessario alla losoa, come limmaginario
alla matematica; dobbiamo considerare lessere reale come se vi fossero delle cose in s che
hanno effetto su di noi e che si perturbano reciprocamente.
160
Vaihinger 1986, p. 52 (pp. 48-49).
161
Ivi, p. 176 (p. 106).
162
Ivi, p. 179 (p. 110).
163
Ivi, p. 291 (p. 149). Lanalisi linguistica della nzione rivela poi la differenza del come
se dalla semplice comparazione: il come modicato dal se, dal quando (ob nellalto
medioevo equivale a wenn); non si tratta nemmeno di unanalogia reale: nel quando vi
la supposizione di una condizione e, pi precisamente, di una condizione considerata impos-
sibile. Gli esempi sono i seguenti: quando vi fossero gli innitesimali, allora la linea curva
sarebbe composta da essi; quando vi fossero gli atomi, allora la materia sarebbe formata da
loro; quando legoismo fosse lunica motivazione della condotta umana, allora se ne potreb-
bero dedurre i rapporti sociali. Nella proposizione condizionale qui espresso un irreale o
impossibile; ci nondimeno si possono dedurre delle conseguenze e la supposizione viene
mantenuta come formalmente valida. Ma ancora di pi, tra il come e il se, tra il come
e il quando, vi unulteriore proposizione sottintesa, come si pu vedere dallesempio: la
materia data a noi empiricamente deve essere considerata come sarebbe da trattare qualora
constasse di innitesimi. In tal modo espressa chiaramente la necessit (o la possibilit o la
realt) di una sussunzione sotto una supposizione impossibile o irreale. Insomma la formula
grammaticale della nzione la stessa per lerrore e pu essere la stessa per lipotesi; essa
rivela una fondamentale equivocit del linguaggio.
164
Per Vaihinger il mondo non il ne del pensiero, il ne la condotta etica che si
ispira allimperativo categorico, inteso a sua volta alla luce della nzione: ci si deve compor-
tare, come se la legge morale fosse data alluomo da un legislatore divino e non perch vi
un dio che legifera, cfr. Vaihinger 1986, parte terza, A, cap. V.
165
B I, p. 35 ss.
166
B II, p. 457 (p. 108).
167
Cfr. Khn 1975, pp. 232-33. Mauthner ha una pessima opinione di Aristotele: gli de-
dica un libriccino, pubblicato nel 1904 nella collana Die Literatur, edita da Georg Brandes.
54
La presentazione tipograca di gusto liberty, le illustrazioni di animali immaginari, a indicare
il carattere fantastico della classicazione aristotelica della natura e due riproduzioni di Ari-
stoteles und Phyllis di Hans Baldung Grien, nelle quali Fillide, lamica di Alessandro, munita
di frusta sta a cavalcioni sulla schiena del losofo innamorato, rispecchiano lo stile leggero
e polemico dellesposizione. In questo testo Mauthner non salva quasi nulla del pensiero
aristotelico, lo considera una testa mediocre, schiavo di un linguaggio che insieme dovrebbe
assicurare la verit della logica e la menzogna del disputare sostico, che procede come un
gioco di parole (wortspielerisch), fondato su sottigliezze orientali, talmudiche (p. 53), amante
della classicazione libresca, bibliolo, senza occhio per la natura che osserva come un pe-
scatore, un cacciatore, un indovino (p. 16). Da notare: si tratta dellunico libro di Mauthner
tradotto in inglese.
168
Lo nota, tra gli altri, Ricoeur 1975, cap. I.
169
In questo senso la disamina del linguaggio, esposta nella Poetica e nella Retorica, si
distingue dalle osservazioni contenute nel De interpretazione, che si incentrano sul carattere
apofantico, assertivo del logos (a differenza dellapproccio apodittico, che si basa sul pre-
supposto dellessere reale, lapofantico si applicava allanalisi del vero e del falso senza far
riferimento allessere reale), per lindividuazione di un nuovo piano dellanalisi che Morpurgo-
Tagliabue ha denito come propriamente semantico. Esso individua un nuovo punto di vista
che consiste nellesibire ogni contenuto di coscienza, prescindendo dalle modalit della loro
presentazione (Morpurgo-Tagliabue 1967, p. 102). Non vi sarebbe allora contrapposizione
tra discorso apofantico e discorso semantico, ma individuazione di due diversi piani del
logos: il discorso semantico riguarda sia lapofantico delle asserzioni, sia il non-apofantico.
Detto altrimenti anche la preghiera, ad esempio, pu essere considerata dal punto di vista
semantico; cfr. Morpurgo-Tagliabue 1967, cap. III, 9.
170
Galvano Della Volpe esamina attentamente anche il primo tipo di metafora (la sosti-
tuzione di un termine specico con uno generico) come possibile metafora viva, derivata da
un confronto logico-intuitivo. Lesempio il ristare della nave al posto di ormeggiare,
paragonato al ristare del carro sulle ruote e al ristare delluomo sulle gambe; il che met-
terebbe a confronto altre specie del genere ristare e fornirebbe una sorta di denizione
concretissima. Lautore individua anche nellesempio aristotelico del secondo tipo (che
sostituisce la specie al genere) la presenza dellimmagine: al posto di molte Omero scrive
mille e mille e rimanda al gesto del contare. Questa attenzione deriva dalla concezione
pi generale di Della Volpe che individua nella metafora un elemento conoscitivo, mentra
gli autori che la considerano soltanto dal punto di vista icastico e intuitivo tendono a non
prendere in considerazione i primi due tipi della classicazione aristotelica che, a parer loro,
producono soltanto metafore spente. Cfr. Della Volpe 1954, p. 132 ss.
171
Aristotele, Poetica, 1457b. La traduzione di Morpurgo-Tagliabue.
172
Morpurgo-Tagliabue 1967, p. 244.
173
Nella letteratura critica il procedimento dellentimema stato denito come sillo-
gismo imperfetto, sillogismo imperfetto nellespressione, incidente di linguaggio, scar-
to, ragionamento tronco che lascia al pubblico il gusto del completamento, facendo leva
sullemozione con il ricorso allarmamentario dei luoghi comuni della topica retorica e dei
luoghi specici della disciplina in questione. Invero Aristotele allinizio della Retorica aveva
ricondotto il procedimento dellentimema alla stessa facolt che presiede allelaborazione dei
sillogismi logici con la consapevolezza che nel primo caso le premesse non possono essere
necessarie, data la materia deliberativa, epidittica e giudiziaria dellargomentare: funzione
della stessa facolt scorgere il vero e ci che simile al vero, e nel contempo gli uomini
hanno una sufciente disposizione naturale per il vero e nella maggior parte dei casi colgono
la verit. Pertanto, unabile disposizione a mirare al probabile propria di una persona che
altrettanto abile nel mirare alla verit, Aristotele, Retorica, 1354b.
174
Morpurgo-Tagliabue 1967, p. 244.
175
Ivi, p. 249.
176
Ivi, p. 252.
177
Biese 1893, p. 3.
178
Cfr. Biese 1893, p. 6.
179
Biese 1893, p. 22.
180
Gerber 1961, p. 309.
181
B I, p. 339.
182
La sineddocche si colloca sul piano dei concetti sensibili, la metafora tra il sensi-
bile e non sensibile, la metonimia nellambito del sovrasensibile, cfr. Gerber 1961, p. 355.
55
183
Lo sappiamo bene dal suo paragone con la citt: il linguaggio egli scrive non
unopera darte, non solo perch non opera di un singolo, ma perch cresciuto in modo
convulso, il linguaggio cresciuto come una grande citt. Camera su camera, nestra su
nestra, abitazione su abitazione, casa su casa, strada su strada, quartiere su quartiere, e tutto
inscatolato in qualcosaltro, legato allaltro, spalmato sullaltro, attraverso tubi e fossi; segue
subito dopo la metafora della maledizione sui tubi del gas, B I, p. 27 (p. 92).
184
Bruchmann 1888, p. 187.
185
Cfr. Meijers-Stingelin 1988, un articolo che riporta tutti i passi ricopiati o ripresi quasi
alla lettera da Nietzsche.
186
B I, p. 367.
187
Nietzsche 2004a, p. 453 (p. 21).
188
B I, p. 368.
189
Nietzsche 2004b. La Kofman invero ritiene che luso della metafora e la riessione
sulla metafora nei primi scritti di Nietzsche siano ancora legati a una concezione metasica
che rimanda a unessenza del linguaggio, a un possibile linguaggio proprio, mentre negli
scritti successivi a Wahrheit und Lge il termine metafora verr sostituito con quello di
interpretazione. Questa tesi non impedisce alla Kofman di leggere in modo magistrale le me-
tafore architettoniche dellalveare, della torre, della piramide, del colombario romano e della
tela di ragno, rivelandone la molteplicit di sensi; cfr. Kofman 1972. Per quanto riguarda la
riessione di Nietzsche sulla metafora, abbiamo oggi a disposizione anche le note di Nietzsche
sul linguaggio e sulla retorica degli anni 1872-1874, vale a dire i corsi sulla grammatica latina,
sulleloquenza greca e sulla retorica antica, vero e proprio laboratorio di riessione sullo
stile. Nelle Vorlesungen ber lateinische Grammatik (1869-1870) si occupa anche dellorigine
del linguaggio ripercorrendo le principali teorie losoche e sottolineando limportanza di
Kant, il quale riconosce che le pi profonde conoscenze losoche giacciono gi pronte nel
linguaggio (ein groer Teil, viell. der grte Teil von dem Geschfte der Vernunft besteht
in Zergliederungen der Begriffe die er schon in sich vorndet; Nietzsche 1993, p. 185). A
Kant si richiama anche nel sostenere che il linguaggio prodotto dellistinto: non nel senso
di un meccanismo esteriore, ma del nocciolo interno dellessere, conforme a leggi, ma senza
coscienza. Nella Geschichte der griechische Beredsamkeit (1872-1873) il lo della ricostruzione
storica , invece, nella contrapposizione tra il fascino dei discorsi istrionici e drammatici degli
oratori come Gorgia e Crizia e la correttezza spenta dei discorsi scritti condotti con acribia;
cfr. Nietzsche 1995, pp. 367ss. Dei discorsi scritti si occupa nella Darstellung der antike
Rhetorik (1874) e, in un passo sul rapporto del retorico con il linguaggio, scrive: retorico
un attore, un libro, uno stile con cosciente uso dei mezzi tecnici. Non naturale quindi: ma
si chiede cosa signica naturale? Noi lavoriamo sullo scritto, ma chiaro che la retorica
sviluppa mezzi che sono insiti nel linguaggio. Non esiste un naturale non retorico del
linguaggio. Luomo che forma il linguaggio non afferra le cose, ma stimoli, non riproduce
sensazioni, ma riproduzioni (Abbildungen) di sensazioni, immagini. Come si pu rappresen-
tare un atto spirituale con unimmagine sonora (Tonbild)? Non sono le cose a entrare nella
coscienza, ma il modo in cui noi ci rapportiamo ad esse, il ai0ovov. La sensazione coglie
un aspetto. La lingua retorica, vuole la ooo, non lraiotgg. Tutte le parole conclude
sono tropi: sinneddoche, metafora e metonimia. Gli esempi sono quelli di Gerber, citato
esplicitamente. Non c un proprio del linguaggio, ci che decide luso. Cita anche Jean
Paul sul linguaggio come raccolta di metafore scolorite; cfr. Nietzsche 1995, p. 425 ss. A
questo periodo risale anche la traduzione della Retorica di Aristotele. Nietzsche traduce quasi
interamente il primo libro (capp. 1-13 su 15), poi passa al terzo (capp. 1-4, no al capitolo
sulla metafora). In particolare colpisce in questultima laderenza al testo e la scelta delle
parole pi semplici e appropriate etimologicamente. Per fare solo un esempio, lincipit: Die
Kunst zu reden luft der Kunst zu unterreden zur Seite (larte del parlare corre parallela
allarte di dialogare; Nietzsche 1995, p. 533).
190
B I, p. 367.
191
Morpurgo-Tagliabue 1967, p. 287.
192
Ivi, p. 288.
193
Untersteiner 1996, p. 172 s.
194
Morpurgo-Tagliabue 1967, p. 318.
195
Il Witz il lo conduttore del suo percorso intellettuale dalla parodia alla losoa.
Khn e Sprl hanno richiamato lattenzione anche su una serie di articoli apparsi anonimi
tra il 1893 e il 1897 nella rivista berlinese Das Magazin fr Literatur sotto il titolo Aus der
Mappe eines lachenden Philosophen senza attribuirli con sicurezza al nostro, ma indicandone
56
molte afnit teoriche. Forse scrive Sprl si tratta di una prova generale prima della
pubblicazione dei Beitrge: il losofo che ride vede nel dubbio linizio di tutta la losoa,
in particolare nel dubbio sul linguaggio; cfr. Sprl 1997, p. 50 ss., e Khn 1975, p. 91 ss.
196
In un saggio sulla teoria del Witz in Jean Paul Richter, Fabrizio Cambi scrive a questo
proposito: opportuno rilevare preliminarmente la difcolt di tradurre con una chiave
univoca il termine Witz sia perch radicato in un esteso arco temporale con un vastissimo
ed eterogeneo ventaglio di posizioni e di proposte interpretative, sia perch si rivela di pro-
blematica denizione nel pur circoscritto impianto teorico jeanpauliano. Nella Vorschule col
termine Witz Jean Paul intende una tecnica e un gioco linguistici che sul piano lessicale e
retorico si traducono nel motto di spirito, nella battuta satirica, nellenunciato epigramma-
tico, espressione della facolt razionale e al tempo stesso creativa dellarguzia (Witz=Geist);
Cambi 1993, p. 6.
197
W I, p. 574.
198
B II, p. 487.
199
Ivi, p. 488.
200
Ivi, p. 492.
201
Ivi, p. 495.
202
Daher ist die Sprache in Rcksicht geistiger Beziehungen ein Wrtebuch erblasster
Metapher; Richter 1963, p. 184 (p. 183). Cambi traduce in modo pi letterale: per questo
ogni linguaggio riguardo a relazioni spirituali un dizionario di metafore impallidite; Cambi
1993, n. 30, p. 23.
203
Richter 1963, p. 171 (p. 170).
204
Fabrizio Cambi nota che Jean Paul propone qui in rapida sequenza letimologia del
termine Witz, sorvolando sulla radice indogermanica vid, sul sanscrito veda, da cui in greco
(v)idea e in latino videre; si limita a far risalire letimo allantico alto tedesco wizzi con cui
gi si indicava un Wissen (ingenium). In questo modo passa sotto silenzio il mutamento di
signicato in idea spiritosa, determinatosi in area inglese, e accentua il legame tra il Witz
come facolt razionale e geniale e la sua espressione letteraria e comunicativa. La compo-
nente pragmatica recupera, secondo Cambi, anche linglese wit e la tradizione erasmiana;
cfr. Cambi 1993, p. 9 ss.
205
Richter 1963, p. 173 (p. 172).
206
Ivi, p. 174 (p. 173).
207
Ivi, p. 179 (p.178). Volteschlagen letteralmente indica, tra laltro, la mossa con una
carta truccata.
208
Ivi, p. 182 (p. 181).
209
Ivi, p. 184 (p. 182).
210
Cambi 1993, p. 23.
211
Kant 1917, pp. 221-23 (pp. 109-111: nella traduzione italiana Witz viene reso con
ingegno, spirito). Mentre in Kant il Witz capacit dellintelletto, in Schlegel e Jean Paul
discende dalla facolt dellimmaginazione e diventa prerogativa del genio, cfr. Cambi 1993.
212
Richter 1963, p. 186 (p. 184).
213
Spedicato 1994, p. 90.
214
Gianni Carchia, nei capitoli sullumorismo di Retorica del sublime, ha delineato que-
sto processo di secolarizzazione del sublime in Hegel, Jean Paul, Vischer e Pirandello, cfr.
Carchia 1990.
215
Richter 1963, p. 140 (p. 145).
216
Ivi, p. 129 (p. 136).
217
W II, p. 115 (p. 139).
218
Denizione ironica di Benedetto Croce, Croce 1965, p. 374.
219
Interessanti sono anche le osservazioni di Vischer sul linguaggio: per questo autore la
parola generalizzazione, non presenta lindividuale, dimenticando loriginario carattere di
immagine. Il linguaggio usa le parole come concetti, ma lastrazione delle parole non qual-
cosa di assoluto; la Einbildungskraft la accompagna e limmagine del genere oscilla intorno
al concetto (umschwebt), Vischer 1996, p. 8.
220
Cfr. Tavani 2000, p. 13.
221
Vischer 1967, p. 209 (p. 150).
222
W II, p. 110 (p. 136).
223
Lo dir anche Croce, riprendendo Baldensperger, un seguace di Bergson. Ma limpos-
sibilit della denizione ha in Croce un senso diverso e si ricollega al suo tentativo di ricon-
durre tutti i concetti dellestetica a quello di espressione. Cfr. Pirandello 1986, p. 131 ss.
57
224
W II, p. 111 (p. 137).
225
Ibidem.
226
W I, p. 162.
227
Ivi, p. 170.
228
W II, p. 113 (p. 138).
229
Lessing 1985, p. 330.
59
Bibliograa
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La maledizione della parola
Testi di critica del linguaggio
di Fritz Mauthner
La traduzione che segue una scelta antologica di testi di Mauthner che
affrontano i temi della critica del linguaggio, della teoria della parola come me-
tafora e delle tre immagini del mondo. I passi sono tratti dai Beitrge zu einer
Kritik der Sprache del 1906-1913 (B), dal Wrterbuch der Philosophie: Neue
Beitrge zu einer Kritik der Sprache del 1923-1924 (W) e da Die drei Bilder der
Welt: Ein Sprachkritischer Versuch (3BW), edito da Monty Jacobs nel 1925.
La maledizione della parola, Der Fluch der Sprache, il titolo di un paragrafo
dei Beitrge (B I, p. 86).
Allinizio di ogni sezione stato indicato il volume dellopera, mentre nel
testo i numeri tra parentesi tonde indicano la pagina delledizione tedesca.
stato uniformato luso del corsivo per i termini stranieri e per alcune parole che
sono oggetto di analisi; sono state lasciate nel testo le citazioni fatte dallauto-
re, completandole in nota dove stato possibile, segnalando il testo al quale
Mauthner ha fatto riferimento o, in assenza di indicazioni, facendo riferimento
a testi reperibili oppure a edizioni critiche. Il termine Sprache stato tradotto
con lingua o con linguaggio secondo il contesto. [NdC]
77
Critica del linguaggio
(dai Beitrge zu einer Kritik der Sprache)
Prefazione [alla seconda edizione]
(B I, X) Certo non sono un esperto nelle molte scienze alle qua-
li devo ricorrere per fondare ed esemplicare i miei pensieri. Non
sono un esperto in tutti questi ambiti: logica, matematica, meccanica,
acustica, ottica, astronomia, biologia delle piante, siologia animale,
storia, psicologia, grammatica, indianistica, romanistica, germanistica,
slavistica, ecc. ecc. Molti anni fa ho fatto un calcolo approssimativo.
Per il mio lavoro avrei avuto bisogno di conoscenze tratte da 50-60
discipline, nelle quali attualmente spezzettata la conoscenza del mon-
do. Per ciascuna di queste discipline una mente capace ha bisogno di
almeno 5 anni anche solo per impadronirsi delle linee di fondo del
sapere specialistico. Avrei dovuto allora lavorare senza sosta per circa
300 anni, prima di poter iniziare a mettere per iscritto le mie proprie
idee, poich i miei pensieri hanno la scomodit di non trattare la co-
noscenza del mondo attraverso il microscopio delle singole discipline.
Non sono pigro. Ci avrei messo volentieri i 300 anni, visto che non si
usa tener conto della misura della vita umana in un compito di tale
grandezza. Per mi son detto: il destino delle discipline scientiche
eccetto poche che persino i loro princip e verit non arrivino ai
300 anni, che quindi dopo un lavoro di 300 anni sarei stato esperto
solo nella disciplina studiata da ultimo, un dilettante nelle discipline
nelle quali lo studio era rimasto indietro di 10 o 20 anni, un ignorante
in tutte le altre. Cos dovetti decidermi a rinunciare alla specializza-
zione in tutte le scienze che potevano aiutare il mio lavoro; mi dovetti
accontentare in tre volte nove
1
pesanti anni di impadronirmi solo di
quante nozioni, in tutte queste discipline ausiliarie, mi sembrassero
necessarie alladempimento del mio compito.
(XI) Il mio compito. Ne avevo uno. Io non sono uno specialista. Un
compito grande e nuovo, che si posto da s: la critica del linguaggio.
E nella mia risposta
2
salgo di nuovo un po pi in alto e voglio essere
del tutto serio. Se volevo sviluppare ed esporre la mia idea che la co-
noscenza del mondo attraverso il linguaggio fosse impossibile, che non
vi fosse una scienza del mondo, che il linguaggio fosse uno strumento
inservibile per la conoscenza, se volevo sviluppare ed esporre questi
78
pensieri in modo creativo e convincente, chiaro e vivo, libero dalla
logica e dai giochi di parole, allora dovevo, come critico del linguag-
gio, conoscere proprio questo linguaggio nei suoi alti e bassi, essere
in grado di stare a sentire quello che dice il popolo
3
e poter seguire
i ricercatori nelle loro lotte sui concetti scientici. In tutti i campi del
lavoro scientico dovetti imparare a capire i princip del lavoro, del
metodo, la logica specica o il linguaggio. E forse nessuno dei piccoli
carrettieri di un qualsiasi ambito di lavoro specico, nella sua sensazio-
ne di essere simile a Dio, ha provato cos forte come me la sensazione
che i princip e il linguaggio specico di ogni disciplina non si possano
comprendere del tutto senza dissodare lintero campo di lavoro, che
un campo di detriti. Senza pi ridere, nella rassegnazione pi amara, mi
dovevo dire ogni giorno che non stavo fermo volentieri ai princip, che
volentieri sarei stato costretto ad andare oltre, a fare qualcosa di pi
di una semplice passeggiata tra le scienze. Ma non potevo indugiare,
se volevo compiere il mio lavoro. Non potevo indugiare da specialista
in nessuna disciplina. Non devo render conto se questo mi sia riuscito
semplice o difcile.
Introduzione
(1) In principio era la parola. Con la parola gli uomini sono al
principio della conoscenza del mondo e rimangono fermi se restano
presso la parola. Chi vuole procedere oltre, anche di un solo minusco-
lo passo, per il quale pu portare avanti il lavoro intellettuale di tutta
una vita, deve liberarsi dalla parola e dalla superstizione della parola,
deve tentare di riscattare il suo mondo dalla tirannia del linguaggio.
Qui nessuna prospettiva daiuto, nessun ateismo critico-linguistico.
Nellaria non c nessun appiglio. Si deve salire per gradini e ogni gra-
dino un nuovo inganno, perch esso non si libra liberamente. Anche
se ogni gradino fosse cos basso e chi salisse vi si arrestasse solo di
sfuggita, lo toccasse solo con le punte dei piedi: nellattimo del contatto
anchegli non si librerebbe liberamente, resterebbe incatenato al lin-
guaggio di questo attimo, di questo gradino. Anche se si fosse costruito
da s gradino e linguaggio per questattimo.
Nel corso del lavoro durato anni stato ogni volta vittima di un
autoinganno chi si voluto far carico della liberazione dal linguaggio,
sperando di portare a termine unopera regolare e graduale. Non un
uomo libero colui che ancora si denisce ateo, oppositore di colui che
egli nega. Non pu compiere lopera della liberazione dal linguaggio chi
inizia a scrivere un libro con fame, con amore e con vanit della parola
nella lingua di ieri, di oggi o di domani, nella lingua irrigidita di un de-
terminato sso gradino. Se voglio salire nella critica del linguaggio, che
loccupazione pi importante dellumanit pensante, devo annientare
79
il linguaggio passo dopo passo dietro di me e (2) davanti a me e dentro
di me, devo distruggere ogni piolo della scala mentre salgo. Chi vuole
seguire, ricostruisca i pioli per poi distruggerli di nuovo.
La rinuncia allautoiganno sta nella prospettiva di scrivere un libro
contro il linguaggio in un linguaggo irrigidito. Perch il linguaggio
vivo e non rimane immutato dallinizio di una frase no alla sua ne.
In principio era la parola; qui, nel pronunciare la quinta parola, la
prima parola in principio muta gi il suo senso.
Cos deve maturare la decisione o di pubblicare questo frammento
come frammento o di consegnare il tutto al redentore pi radicale, il
fuoco. Il fuoco avrebbe portato la quiete. Luomo tuttavia, nch vive,
come il linguaggio vivente e, perch parla, crede di avere qualcosa
da dire.
Quello che uccide le cimici, uccide anche il pope. []
Lessenza del linguaggio
(3) Nellaccingermi a dare una critica del linguaggio umano pro-
prio perch loggetto della mia ricerca designato con lo strumento
della ricerca stessa, cio con la parola linguaggio devo vagliare i
concetti con maggior precisione di quanto accada altrove. Sul concetto
di critica non devo certo fermarmi a lungo. Critica signica n dai
tempi antichi lattivit dellintelletto umano di dividere o di distingue-
re; losservazione attenta di due fatti simili deve di necessit condurre a
prestare attenzione alle loro caratteristiche distintive, se la differenza
abbastanza grande per i nostri organi; poich non ci sono fatti identici.
Chi promette allora la critica di un fenomeno, non promette niente di
pi e niente di meno di unosservazione scrupolosa o di unindagine
di questo fenomeno. Questo lo pu fare ciascuno in buona coscienza,
e il risultato della sua ricerca non dipende poi dalla sua volont, ma
dalla realt osservata e dalla acutezza dei suoi organi di senso.
Il linguaggio Ma che cos il linguaggio che mi sono proposto
di esaminare attentamente e che ho promesso ai lettori? Non voglio
prestare attenzione, come il compilatore di un vocabolario, alle singole
parole di una determinata lingua; non voglio, come un grammatico,
raggruppare le differenti forme di una singola lingua; non voglio nem-
meno scrivere la storia di una singola lingua e tantomeno la storia di
una famiglia linguistica, come si posta come compito inattuabile la
linguistica comparata prima per la nostra famiglia linguistica e poi
per tutte le lingue della terra. Io voglio indagare chiaramente ci che
comune alle lingue degli uomini, ci che si potrebbe graziosamente
chiamare in modo astratto lessenza del linguaggio. (4) subito evi-
dente che linguaggio in questo senso signica qualcosa di totalmente
80
diverso da una lingua o le lingue, per cui si potrebbe pur sempre
alloccorrenza pensare a qualcosa di reale, anche se questo reale, poi-
ch un suono fugace, possa a stento essere annoverato tra le cose
materiali. Ma quale reale sarebbe inne qualcosa di pi che una forma
fugace? Su questo punto non mi lascio andare a nessuna sosticheria.
Se si sono deniti i monumenti architettonici e i resti pietricati del
mondo originario come un linguaggio con il quale la preistoria del-
la cultura o della natura parla a noi, in questo caso si tratta solo di
unespressione metaforica. Se richiamiamo alla memoria i geroglici e
i caratteri cuneiformi, con i quali un qualche antico popolo cerca di
parlare con noi solo attraverso segni scritti, quindi soltanto mediante
segni visibili, allora alla base di ognuna di queste lingue, nel caso in cui
esse venissero effettivamente decifrate, vi sarebbe una lingua parlata.
Anche il linguaggio visibile delle dita dei nostri sordomuti ben solo
una ssazione, resa visibile e adattata alle relazioni, di un linguaggio
del popolo e rimanda a una lingua parlata al modo stesso della nostra
abituale scrittura. Altra lidea - cosa che non esclude certo lafnit
dei fatti - che noi, uomini che viviamo tra i libri, possiamo andare
tanto avanti nellesercizio incessante della lettura no a escludere la
lingua parlata dalla nostra coscienza; anche nella lettura degli uomini
che vivono tra i libri lavora tuttavia in modo inconscio il cosiddetto
centro del linguaggio sonoro.
Le singole lingue sono dunque raggruppamenti eccezionalmente
complicati di suoni mediante i quali i gruppi umani si comprendono.
Ma cos il linguaggio con cui ho a che fare? Qual lessenza del
linguaggio? In che rapporto il linguaggio con le lingue?
La risposta pi semplice sarebbe: il linguaggio non esiste; la pa-
rola unastrazione cos pallida che difcilmente gli corrisponde ormai
qualcosa di reale. E se il linguaggio umano fosse afdabile come stru-
mento del conoscere, se lo fosse in particolare anche la mia madre-
lingua, (5) dovrei rinunciare n dallinizio al tentativo di questa critica,
perch allora loggetto della ricerca sarebbe un astratto, un concetto
irreale e inafferrabile. Con ci mi trovo davanti al primo spiacevole
dilemma. Solo se il linguaggio umano e in particolare la mia madrelin-
gua non sono n afdabili n logici, solo allora potr scoprire dietro
lestremo astratto il linguaggio ancora qualcosa di reale; allora per,
per linafdabilit dello strumento, non potr eseguire la ricerca cos
a fondo come vorrei. In ogni caso, poich di fatto non scrivo queste
frasi introduttive allinizio delle mie osservazioni, ma in seguito a fati-
che durate anni, so gi che questo spiacevole dilemma mi perseguiter
passo dopo passo.
Quale senso abbia lastratto il linguaggio diverr un po pi chiaro
quando avremo esperito quanto astratto e irreale sia proprio ci che per
il momento in buona coscienza abbiamo assunto come un qualcosa di
reale: le singole lingue. Cosa sono poi queste singole lingue che costi-
81
tuiscono loggetto della scienza del linguaggio, quella giovane scienza
che questanno
4
ha compiuto 80 anni? Se si pensa che questa scienza
si pressata di selezionare le diverse lingue degli uomini secondo le
stirpi, i popoli e poi di nuovo secondo i dialetti e via dicendo, bisogna
riconoscere che la scienza del linguaggio possa prendere le mosse solo
provvisoriamente e con riserva dalle singole lingue. Il suo oggetto
piuttosto la massa enorme di tutti i suoni umani che mai siano stati detti
o scritti dagli uomini per comprendersi in un qualche luogo della terra.
La scienza del linguaggio si pressata di ordinare questo fondo enorme
secondo parole e modi di formazione e, successivamente o precedente-
mente, secondo una pi vicina o lontana parentela. La delimitazione
usuale secondo le lingue dei popoli e i dialetti serve, come detto, solo
a un orientamento provvisorio. Un giorno si potrebbe scoprire che la
lingua degli antichi indiani sia un parente stretto della nostra; (6) si
potrebbe scoprire che il dialetto basso tedesco pi lontano dallalto
tedesco di quanto creda labitante del Mecklenburg che parla il suo
dialetto basso tedesco. Nellambito delle lingue dellEst asiatico queste
sorprese sono evento quotidiano.
Lingue individuali Da questa situazione della scienza del linguaggio
appare chiaro che le sue singole lingue non sono unit cos chiaramente
denibili come ben si potrebbe credere. In realt anche il concetto di
lingua singola soltanto unastrazione per la gran quantit di somiglian-
ze, anzi di somiglianze molto grandi presenti nelle lingue individuali
di un gruppo umano, il cosiddetto popolo. Natura sane nationes non
creat sed individua (Spinoza, Tract. Theol.-pol., XVII
5
). Questo vale
per il diritto, la legge e i costumi come per la lingua. Dobbiamo subito
prendere atto di ci che in seguito risulter pi trasparente, e cio che
la lingua individuale di un uomo non mai perfettamente uguale a
quella di un altro e che uno stesso uomo non parla la medesima lingua
nelle diverse et della vita, anche se si fa astrazione dalle particolarit
della sua lingua infantile. Non si possono non vedere, se si fa un po
di attenzione, le diseguaglianze delle lingue individuali. Ogni scrittore
che abbia carattere si riconosce per la sua individuale e caratteristica
lingua. Anche a una distanza di cento passi. Come il quadro di un
pittore che abbia carattere. Chi non abbia un suo proprio stile, non
uno scrittore nato. Solo Dio (nella Bibbia) non ha un proprio stile.
Spinoza ci ha detto ridendo (Spinoza, Tract. Theol.-pol., II
6
): Deum
nullum habere stylum peculiarem dicendi, sed tantum pro eruditione et
capacitate Prophetae eatenus esse elegantem, compendiosum, severum,
rudem, prolixum et obscurum. Come un giornalista che vuole piacere
al suo pubblico. Solo in un grande scrittore particolarmente evidente
il fenomeno della lingua individuale. Ma anche la differenza della lingua
di un individuo nei diversi periodi della sua vita maggiore di quanto
si vorrebbe credere. Si pu presumere in generale che il singolo uomo
82
segua grosso modo levoluzione della lingua del tempo che ha vissuto,
anche se (7) molte abitudini della sua giovinezza gli rimarranno cos
impresse come nella lontananza le abitudini del suo dialetto di casa. Si
provi a immaginare un tedesco nato nello stesso anno di Walter von
der Vogelweide e che oggi, a poco pi di 700 anni di et, viva ancora
in piena freschezza di spirito e corpo. Alcune feconde utili ipotesi scien-
tiche dei nostri linguisti presuppongono ancor pi fantasia. Noi oggi
capiamo le poesie di Walther solo con laiuto di un lessico di tedesco
alto-medievale, e lo stesso Walther potrebbe capire i nostri romanzi e
articoli di giornale solo dopo studi faticosi (perch dovrebbe per di pi
imparare molti fatti); allo stesso modo sostengo: il mio uomo di sette-
cento anni parlerebbe grosso modo la lingua dei nostri giorni, sarebbe
divertito dalle abitudini del diciottesimo secolo nella lettura ad esempio
di Lessing, ma avrebbe le nostre stesse difcolt a leggere senza ausilio
scientico il suo compagno di giovent Walther. Se si incontrasse con
Walther, non si comprenderebbero lun laltro.
Il letto del ume del linguaggio Possiamo quindi dire che le lingue
individuali, di cui suole occuparsi la scienza del linguaggio come fosse-
ro cose reali, assomigliano a correnti, nelle quali in ogni singolo punto
la goccia dacqua viene nel tempo continuamente sciolta da altre gocce
dacqua e stando nello spazio in mezzo ad altre gocce dacqua vi scorre
dentro. Lantico detto greco non ci si pu bagnare due volte nello
stesso ume vale anche per il linguaggio. Le sue parole e le sue forme
sono incessantemente mutate. Se il nostro Helm
7
deriva veramente
dallantico indiano arman (gotico hilms), il cambiamento si prodotto
del tutto gradualmente in un impercettibile sfumatura del suono; ma
quanto pi insignicanti siano i cambiamenti di suono da stirpe a stir-
pe, quanto pi ogni stirpe crede e spera di consegnare pura la parola
ereditata, tanto pi incessante deve essere il usso di questi cambia-
menti perch da arman venga Helm. Qui cento anni signicano cos
poco che Helm, ad esempio, era ancora del tutto adeguato, (8) quando
gli organizzatori delle forze armate prussiane reintrodussero la parola
(insieme alla cosa) allinizio del XIX secolo, dopo che per circa due-
cento anni era rimasta reclusa in un ambito puramente storico-poetico.
Anche i mulini del linguaggio macinano lentamente, ma con sicurezza.
Allora ogni goccia che segue per rimanere allimmagine della corren-
te cos simile a quella che la precede che nessun microscopio riesce
a individuarla; eppure non escluso che lacqua di una corrente nel
corso dei secoli non modichi le parti dissolte in essa, perch si sono
esauriti dei depositi di minerali lungo il suo corso o perch inondata
pi velocemente una qualche montagna per via del diboscamento o
perch vi sono stati cambiamenti nel terreno, ecc. Quello che per la
corrente una possibilit o una probabilit poco notata, realt certa
per la lingua. Le lingue cambiano incessantemente il signicato delle
83
loro parole e nellimmensa circolazione dellultimo secolo, nel grande
spreco di nuovi concetti, la lingua riesce a mala pena a venire incontro
ai bisogni del cambiamento di signicato. Per esempio, il cambiamento
di signicato delle parole nellambito dellampio gruppo dei concetti
che riguardano le ferrovie non si compiuto completamente. Si pensi a
Platz in Platzkarte
8
. Oppure al concetto di Stunde dei berlinesi (Nach
Hamburg sind es vier Stunden
9
) e degli abitanti di montagna (Gute
vier Stund bis hinauf
10
). Per altri versi ha luogo incessantemente
il mutamento del suono, che pu essere ricondotto principalmente
allunica necessit della funzionalit siologica. Eppure, se general-
mente riconosciuto che il mutamento del suono viene attuato in gran
parte per risparmiar lavoro agli organi fonatori, anche il mutamento
delle forme di costruzione, che nisce con lallargare ed estendere
innovativamente le analogie (per esempio in tedesco la sostituzione
della coniugazione forte con quella debole, come backte
11
invece di
buk, in maniera analoga nel linguaggio infantile: trinkte
12
invece di
trank), una comodit per le vie nervose. Esempi sono quasi inutili.
In tedesco la strana parola tardo latina paraveredus (9) diventata
alla ne Pferd
13
, che inoltre viene spesso pronunciata Ferd, cos che
nella futura ortograa la p forse verr abbandonata. La parola greca
rrgoouvg (tedesco Almosen) diventata linglese alms, che viene
pronunciato ams. Qualche volta possiamo osservare al lavoro questo
segreto operare per una pronuncia pi comoda. Cos ancor oggi ogni
maestro e studente di paese scrive sehen e gehen
14
. Attori, predicatori
e loro pari si sforzano di pronunciare chiaramente la e muta. Ma nella
lingua parlata questa e muta, che nel gotico una a (saihwan), non
viene pi pronunciata e i maestri di lingua sono in imbarazzo su quale
sia la regola da formulare. Ancora pochi anni fa un linguista scriveva
che omettere questa e nella sillaba nale en (gesehn) fosse volgare. Da
allora ho visto spesso questa omissione.
Ora il cambiamento delle parole nel tempo gi pi variegato e
pi ne di quanto nora siano state contrassegnate le differenze delle
gocce dacqua che si susseguono luna dopo laltra, cos anche la dif-
ferenza delle gocce dacqua, che scorrono a anco luna dellaltra nel
letto del ume, non poi cos grande come quella delle lingue indivi-
duali tra connazionali. Se si confrontata la singola lingua con il ume
che eternamente muta, bisogna pur dire che la corrente della lingua
pi lenta, eppure nella lingua e qui sta il punto linafferrabilit
e la fuggevolezza del singolo momento mi sembra ancora pi grande.
Faremmo un passo avanti se potessimo paragonarla a una corrente
daria regolare e a un letto di questa corrente daria. Se allora non si
vuole riconoscere nella singola lingua un astratto irreale non rimarr
altro che confrontare la singola lingua con il letto stesso del ume,
con la forma che rimane eguale a s stessa, poich il letto del ume si
modica in modo sufcientemente lento.
84
Ora, se non mi sono posto il compito di seguire la forma e la storia
delle singole lingue, ma quello di osservare ci che in esse comune,
devo scoprire le loro afnit. Se non vi altra somiglianza tra le sin-
gole lingue che quella che sta nella denizione che esse servono alla
comprensione tra gli uomini, in questo caso la mia ricerca arriver pre-
sto alle ne oppure non dar alcun risultato positivo. (10) Servirebbe
per a distruggere alcune superstizioni che grammatica e logica hanno
intrecciato al linguaggio. Ma io spero di poter fare ancora un piccolo
passo pi in l. Se si confrontano tra loro le singole lingue allo stesso
modo in cui la descrizione della terra confronta tra loro i singoli letti
dei umi, in base alla loro posizione, alle loro linee e simili, mi pare
possa soltanto venirne fuori una scienza inutile. Per sarebbe anche
possibile, con attenzione molto precisa e completa conoscenza di tutte
le circostanze concomitanti, descrivere n nei dettagli ogni singolo letto
di ume come effetto della propria massa dacqua. Le note propriet
siche e chimiche dellacqua sono le sole cause del letto attuale che
poi certo insegnano di nuovo la strada alle nuove masse dacqua. Que-
sti insegnamenti sono a buon mercato come le more. Ogni pecoraio lo
capisce e lo sa anche senza essere interrogato. Tuttavia cera un tempo
nel quale lumanit spinta da un intenso bisogno di mitologia si imma-
gin un qualche dio, unimmagine maschile o femminile, seduto alla
sorgente del ume, il quale dio con nascoste intenzioni faceva uire
molta o poca acqua, acqua calda o fredda, acqua buona o cattiva nel
letto del ume o dalla sorgente. Uno strascico di questa mitologia lo
troviamo ancor oggi in espressioni come il padre Reno oppure anche
nelle ridicole gure femminili che, con improbabili brocche greche
nelle mani, rappresentano umi tedeschi su ridicoli monumenti. Lo
abbiamo fatto in buona fede, dice la gente a mo di scusa.
Mitologia nel linguaggio Nelle scienze dello spirito tuttavia, special-
mente nelle intuizioni del linguaggio umano, questo bisogno di mito-
logia ancora fortemente presente. E mi sembra proprio una forma di
mitologia quello che pensano del linguaggio non solo i preti e il volgo,
(11) quello che i linguisti copiano luno dallaltro, cio che il linguaggio
sia uno strumento del nostro pensiero (uno strumento mirabile per
giunta). Secondo questa idea, ancor oggi unanimamente condivisa, nel
letto del ume del linguaggio siede una divinit una gura maschile
o femminile il cosiddetto pensiero, che regna sul linguaggio umano
con i suggerimenti di una divinit afne, la logica, e con laiuto di una
terza divinit, la grammatica. Il risultato della mia ricerca di cui andrei
pi orgoglioso sarebbe riuscire a convincere gli uomini dellirrealt e
della pochezza di questa trinit; servire divinit irreali richiede sempre
sacrici, quindi sempre nocivo.
Ritengo che il linguaggio, il linguaggio in generale o lessenza
del linguaggio, a una considerazione pi attenta, non ne vorr pi
85
sapere della sovranit del pensiero, della logica e della grammatica.
Il linguaggio si riveler in gran parte un vuoto astratto; dove invece
noteremo effettive somiglianze tra le singole lingue, che sono anchesse
astrazioni, dove il linguaggio diverr per noi una designazione per un
atto effettivo dellagire umano, non avremo alcuna necessit di risalire
al pensiero, alla logica, alla grammatica quale origine. Piuttosto sco-
priremo che pensiero, logica e grammatica sono aspetti del linguaggio
che in un certo senso si nascondono nel linguaggio e vengono sco-
vati da oziosi fanatici dellordine. Cos in natura non c altro blu di
quello dei fenomeni blu. Sarebbe cos anche se la lingua non si fosse
data la pena di astrarre laggettivo blu. Allo stesso modo lelettricit
cera prima che la si scoprisse, rendeva cio i suoi effetti percepibili
ai nostri sensi. Come ci sono nella natura tutti gli elementi che ancora
non conosciamo.
La formazione del linguaggio (12) Alla ne per anche questa critica
vorr soltanto quello che ogni scienza del linguaggio ha voluto da
sempre: spiegare il fenomeno del linguaggio.
Spiegare il linguaggio! Anche i Greci cercavano ingenuamente qual-
cosa di simile quando discutevano se il linguaggio fosse sorto per na-
tura o mediante un legislatore. Lorigine da un legislatore deve essere
stata la risposta pi antica, quella teologica. Questa risposta poi venne
data dai meno dogmatici Greci in modo un po pi razionale rispetto ai
cristiani del medioevo; i Greci pensavano pressappoco a un legislatore
umano, a un eroe, a un inventore, come in genere onoravano tra gli
dei gli inventori delle principali attivit culturali. Sono da preferire ai
cristiani anche per aver pensato nel linguaggio a qualcosa di pi con-
creto, cio alla propria lingua nazionale, al greco. I cristiani per com-
prendere sotto questo nome i popoli del nuovo sviluppo dellOccidente
raggiunsero molto presto la coscienza che ci fossero molte lingue e di
pari dignit e concepirono dapprima il linguaggio come un astratto,
in modo che contenesse pressappoco il senso di facolt di parlare,
visto che si parlava di Dio che ha dato agli uomini il linguaggio. Questa
idea, che per noi quasi mostruosa, si trova ancora del tutto intatta e
pretesca nel resoconto, per altri versi eccellente, dei risultati ottenuti
no a oggi dalla linguistica, nelle lezioni di Whitney. Qui si dice (Die
Sprachwissenschaft, rivisto da Jolly, 1874, p. 555
15
): lorigine divina del
linguaggio da mantenere nel senso in cui la natura degli uomini in
generale dono di Dio insieme con tutti i doni innati e acquisiti. Questi
complimenti per il buon Dio possono essere ipocrisie consapevoli (con
questo non vorrei prestar fede volentieri a passi simili dellEinleitung in
die vergleichende Religionswissenschaft di Max Mller
16
); ma possono
anche essere cortesie inconsce, adattamento alla comunit popolare; e
allora appartengono anchesse allambito del mutamento semantico.
(13) Dobbiamo guardarci naturalmente dal credere che tutte queste
86
proposizioni, domande e risposte abbiano avuto lo stesso signicato in
tutti i tempi. Allevoluzione della lingua appartiene, come condizione
secondaria concomitante, che le parole subiscano un cambiamento di
signicato anche l dove noi non lo sappiamo. E dove lo sappiamo
non siamo sempre coscienti del cambiamento.
Cos i Greci hanno certo collegato al pensiero che un legislatore
avesse creato il linguaggio, lidea infantile che questo legislatore abbia
creato lunica lingua corretta, ovviamente quella greca. Non solo un
cavallo si chiamava iaao, era anche un iaao. In questo i cristiani li
superarono di nuovo poich nella loro dottrina dellorigine divina del
linguaggio era certo insita lidea di una certa arbitariet. La volont di
Dio eo ipso caso. Fu volere di Dio che ci fossero pi lingue; eppure
vi furono pi lingue di pari dignit. Larroganza nazionalistica dovette
essere originariamente estranea al cristianesimo internazionalista. Alla
trovata stravagante di dedurre etimologicamente le lingue dallebraico si
pervenne solo pi tardi, per via lologica. Non si trattava di un dogma
teologico.
fuvsei Nel momento in cui si oppose alla tesi che il linguaggio fosse
sorto 0r ori (mediante un legislatore) la nuova teoria che esso fosse sor-
to uori, a concetti ingenui erano mescolati pensieri corretti. Sarebbe
quindi del tutto falso credere i seguaci di Eraclito capaci di elabora-
re lidea attuale di uno sviluppo naturale del linguaggio. Riusciamo
a mala pena a immedesimarci nel cervello di coloro che negavano la
creazione articiale del linguaggio senza sospettare lelemento incoscio
del processo e che per di pi facevano sorgere dalla natura una lingua
giusta. Coloro che insegnavano la nascita u ori, si interrogavano pur
sempre sullorigine della lingua greca. Anche i nostri linguisti insegnano
lo sviluppo per via naturale; ma essi conoscono dai tempi di Leibniz
linconscio dellattivit umana che (14) produce tale effetto e accettano
le singole lingue come dati di fatto. La loro domanda non riguarda pi
lorigine dellunica lingua giusta, e nemmeno lorigine del linguaggio in
generale. La loro domanda del tutto circoscritta e suona pressappoco
cos: attraverso quale evoluzione storica si giunti a che noi (ad esem-
pio gli abitanti di una zona dellAltmarkt) parliamo come parliamo, a
che invece gli attuali bant parlino come parlano.
Alla domanda si riesce a rispondere solo in parte; risalendo ora
a due o tre, ora a cinquanta no a cento generazioni. Vi sono lingue
giovani e vecchie, come vi sono famiglie che sanno ancora al massimo
come si chiamasse il nonno e cosa facesse, e altre, pi orgogliose, che
possiedono ancora notizie dei loro avi. Dietro questi testimoniati svilup-
pi sta sempre per la paleontologia del linguaggio. E la domanda della
linguistica moderna cos limitata perch si accontenta di notizie cos
scarse e accetta senza curarsene le vaghe ipotesi che hanno il compito
di chiarire la preistoria.
87
Gli antichi non potevano quindi intendere come noi lastratto il
linguaggio perch non riuscivano a pensare al di l della loro lingua
nazionale (oltre la quale i Romani coltivavano anche il greco), ma non
potevano nemmeno comprendere il concreto nel linguaggio come i no-
stri ricercatori che si sono spinti effettivamente no alla massima con-
cretezza, quasi no alle onde acustiche. In quanto movimento dellaria,
il suono della lingua non viene certo determinato matematicamente,
ma sicuramente compreso sul piano sico.
Ma lidolatria innata alluomo. Egli cerca continuamente di saltare
al di l delle generazioni che conosce, che possono andare da tre a
cento, di risalire no a quelle innumerevoli che non conosce, egli si
interroga sempre di nuovo sullorigine dellinguaggio. Ma poich, se
un avveduto linguista, non potrebbe certo interrogarsi sullorigine di
una stirpe attualmente parlante, poich la domanda (15) sullorigine
ad esempio delle radici sanscrite con cui le nostre lingue indoeuropee
devono aver cominciato, suona davvero come uno scherzo infantile,
ogni ricerca sullorigine della lingua non allora pi unoccupazione
che abbia a che fare con un qualcosa di concreto, ma ci che non
ancora entrato in testa un ritorno allastratto: la lingua. In que-
sto senso la lingua pressappoco lo stesso di ci che la precedente
psicologia ha chiamato la facolt linguistica. Quindi la domanda
sullorigine della lingua, il che signica sulle prime attivit della facolt
linguistica, sarebbe la stessa della domanda sullorigine della facolt
linguistica. Il che pare un assurdo.
La facolt del linguaggio Sembra soltanto. Dobbiamo considerare an-
che il linguaggio tra le altre attivit umane allo stesso modo del cam-
minare, del respirare. Per il biologo unidea sensata non che luomo
cammini, perch ha gambe, ma che abbia gambe perch cammina; non
che luomo respiri, perch ha i polmoni, ma che abbia un polmone
perch respira.
Pi correttamente: lo sviluppo di uno strumento e la crescita dellat-
tivit procedono parallelamente. Se consideriamo ora lo strumento re-
ale del linguaggio (con strumento linguistico intendo oltre allapparato
acustico, anche tutti i muscoli e i nervi che ne sono al servizio o al
comando) come espressione fattuale di una facolt linguistica immagi-
naria, certo possibile che lo sviluppo del linguaggio umano sia andato
di pari passo con lo sviluppo degli organi linguistici delluomo.
Se ci atteniamo rigorosamente a questa idea, vediamo chiaramente
che per quanti inniti luoghi del tempo possiamo percorrere allin-
dietro alla ricerca dellorigine del linguaggio non raggiungiamo mai
un punto in cui dovremmo abbandonare lidea del suono linguistico
concreto, in cui dovremmo interrogarci sullorigine dellastratto, del
linguaggio.
Mi sembra che il valore di questo punto di vista risieda nella pos-
88
sibilit di eliminare alcune astrazioni dalluso scientico (16). Locu-
zioni quali facolt linguistica o il dono del linguaggio diventano
denitivamente superue, se viene chiaramente riconosciuto che luso
linguistico, vale a dire lesercizio dellattivit linguistica, ha sviluppato
per primo lo strumento linguistico. Si trover allora assurdo il concetto
di una facolt linguistica come si trova assurda lidea di una partico-
lare facolt motoria o di una particolare facolt respiratoria. Certo
vi maggiore comodit nello spontaneo muoversi dellanimale rispetto
al sostare in attesa delle piante; ma lo strumento del movimento si
sviluppato col muoversi. Allo stesso modo respirare con i polmoni
probabilmente pi confortevole che prendere laria nellacqua come
fanno i branchiati; ma nessun uomo potr sorvolare sullo sviluppo
graduale di questo dono, perch ogni rana ne offre un esempio.
Camminare e parlare La somiglianza tra il camminare, o altre azioni,
e il parlare diverrebbe pi evidente se n dora, con una prospettiva
pi precisa, potessimo sempre sostituire lastratto linguaggio con il
termine parlare, che designa unattivit.
Il nostro punto di vista ha inoltre il merito di far perdere lantico
senso alla domanda sullorigine del linguaggio. Lorigine deve essere
posta sempre pi indietro e la ricerca sulle radici sanscrite decade a
una storia linguistica del giorno prima. Quando anche io seguendo
linvincibile uso linguistico parlo di unorigine del linguaggio, non
penso con questo a unorigine effettiva che non riusciamo ad avvicinare,
ma a un punto del corso della corrente situato chiss dove allindietro,
a un punto di quiete, che esiste per solo nella mia rappresentazione.
I movimenti nalistici, che noi riassumiamo nel nome linguaggio
o meglio nel verbo parlare (ogni verbo un concetto ordinatore
dal punto di vista umano in vista di un ne), hanno un loro percorso
generale che dal movimento inconscio passa attraverso il volere conscio
e ritorna allinconscio, e sicuramente sia nellevoluzione generale della
lingua come nella lingua (17) dellindividuo. Le espressioni di dolo-
re e di felicit continuano a non provenire dal volere cosciente; non
provengono, per applicare un uso linguistico degli psicologi francesi,
dalla volont. Nei bambini imparare a parlare e imparare a camminare
sono ugualmente legati alla coscienza; dobbiamo allora ritenere che
anche nello sviluppo genetico della lingua ogni arricchimento, ogni
nuova sottile metafora sia stata connessa alla coscienza. Alla ne per
ogni lingua abituale diventa tanto automatica che al profano riesce ini-
zialmente difcile vedere solo nei movimenti la realt della lingua. In
fondo egli nota solo i risultati dei movimenti, i suoni, non i movimenti
stessi. Il parlare o il pensare, ogni conoscere, rimangono sempre legati
al volere conscio o inconscio, perch ogni conoscere ha la sua origine
ultima nellattenzione suscitata dallinteresse individuale e nellatten-
zione ereditata dallinteresse dei predecessori.
89
Se gli uomini non avessero imparato a parlare, e uno solo di loro
parlasse, sarebbe naturale per un osservatore interpretare il fenomeno
come una successione di movimenti e difcilmente gli verrebbe in
mente di dare a questi movimenti un nome comune. Cos, un bambi-
no posto di fronte a un bue che muggisce, percepisce chiaramente la
fatica dellanimale. Al contrario i movimenti linguistici di un individuo
che fosse il solo a parlare tra simili privi di linguaggio non sarebbero
affatto linguaggio. Cos non si pu proprio immaginare un unico uomo
che parli tra compagni senza linguaggio, come un dio parlante che per
primo doni agli uomini il linguaggio. Oppure sarebbe come labbonato
di una estesa catena telefonica che non avesse un secondo abbonato. I
suoi movimenti nalistici non sarebbero linguaggio. I suoi movimenti
nalistici diverrebbero linguaggio solo attraverso la caratteristica, che
va oltre lindividuo e la realt, di essere uguali in un gruppo di uo-
mini, di essere perci comprensibili, di essere utili. Solo come fattore
sociale la lingua, che prima dellinvenzione (18) dellarte della stampa
non era neppure raccolta in un vocabolario, diviene qualcosa di rea-
le. Il linguaggio una realt sociale; a prescindere da questa, solo
unastrazione da determinati movimenti.
Non ho bisogno di aggiungere che gli usuali concetti di volizione
e di volere sono a loro volta astrazioni alle quali non corrisponde nul-
la di reale. Cos ogni movimento della lingua si riconduce alla ne a
un impulso alla comunicazione che andrebbe ottimamente aggiunto
allimpulso a respirare, allimpulso ad alimentarsi (del quale limpulso
a respirare sarebbe solo una sottospecie), allimpulso sessuale (di cui
limpulso al nutrimento sarebbe solo un servitore), allimpulso al gioco
e allimpulso alla percezione. Limpulso alla percezione si potrebbe allo
stesso modo dividere in impulso alla visione, impulso a udire ecc. Ma
tutti questi impulsi derivano solo dallimpulso umano a classicare, il
quale degno di quelli, il che signica per leconomia della memoria
umana; nella realt psicologica pu anche non esserci alcun impulso
al di fuori della volont individuale di vivere, per la quale poi si trova
naturalmente la designazione di impulso alla sopravvivenza.
Da nessuna parte la lingua materna Non ci sono due uomini che par-
lino la stessa lingua. Nei momenti di malumore pi profondo, ognuno
avr pensato almeno una volta che nessun altro possa comprendere la
sua lingua. Metaforicamente ognuno afferra questa proposizione. Tut-
tavia non si concede facilmente che essa contenga una verit scientica
obiettiva. Una verit che si potrebbe esprimere anche cos: ciascuno
domina un frammento diverso della madrelingua comune. Scegliere
questultima parola mi riesce difcile. Capita quotidianamente infatti
di comprendere una porzione pi grande della nostra madrelingua e
di riuscire a parlarne una pi piccola; come del resto si comprende in
genere un dialetto vicino, ma si riesce a parlare solo il proprio.
90
Alla base di questa riessione sta il concetto di una lingua comune
a un popolo, (19) la madrelingua. Ma dove questa lingua realt? dove
mai? non nel singolo. Perch chi comprende solo una parte del patri-
monio di parole e di forme, usa solo una piccolissima parte di quello
che comprende. Non nei libri. Perch altrimenti non ci sarebbe stata
nessuna lingua prima dellinvenzione della scrittura. Dappertutto nei
libri c, al massimo, una raccolta di parole e regole, e le letterature che
casualmente si sono sviluppate; non c mai per neppure la possibilit
di raccogliere una lingua. Dov dunque realt lastratto linguaggio?
Nellaria. Nel popolo, tra gli uomini.
Nessuno pu vantarsi di conoscere anche solo la propria lingua.
Jacob Grimm non ha sempre osservato le sue proprie regole. Un Goe- Goe-
the usa alcune parole con incertezza, fa errori linguistici. In breve,
nessuno conosce tanto precisamente la lingua tedesca da essere sicuro
di ogni forma duso, da non trovare ogni tanto parole che non ha mai
usato, mai sentito o letto. []
Linguaggio e socialismo
Il linguaggio e il suo uso (24) Ma questo proprio lo straordinario
gioco di prestigio del linguaggio, cio che il fondamento e il segno della
sua miserabile povert vengono ritenuti enorme ricchezza, e ritenuti
a ragione dalle masse degli uomini e dagli uomini di massa: perch il
linguaggio un oggetto duso che guadagna valore con lestendersi
delluso. facile chiarire il prodigio. Tutti gli altri oggetti duso ven-
gono completamente consumati dalluso, come gli alimenti, oppure
logorati, come gli strumenti e le macchine. Se il linguaggio fosse uno
strumento, verrebbe anchesso logorato o consumato. Soltanto per le
parole vengono consumate, logorate, messe da parte, svalutate. Ma in
questo modo acquistano valore per le masse. Il linguaggio non per
un oggetto delluso, nemmeno uno strumento, non affatto un ogget-
to, non niente altro che il suo uso. Linguaggio uso del linguaggio.
Allora, che luso aumenti con luso non costituisce pi un prodigio.
Questo fatto, che non poteva certo passare del tutto inosservato, ha
subito a partire da Hegel tali tentativi di distorsione che si annoverato
il linguaggio, insieme con larte, la religione e le istituzioni statali, tra
le creazioni del cosiddetto spirito oggettivo. Propriamente spirito il
soggettivo nelluomo: nel momento in cui ora lo si scaraventa fuori dal
singolo uomo e lo si chiama oggettivo, ci si costruisce un nuovo dio,
con cui i socialdemocratici dovrebbero trovarsi daccordo. Questo spiri-
to poi pensa vuole e fa quello che la massa pensa vuole e fa. In verit il
fatto che si presenta con parole cos altisonanti come spirito oggettivo,
non altro che la dipendenza del singolo uomo dal linguaggio che egli
ha ereditato dalle masse dei suoi antenati che sono succedute le une
91
alle altre, e che ha valore duso per lui proprio perch una propriet
comune di tutti i compagni del popolo. Gli oggetti duso rimangono
inalterati (25) quando non vengono consumati dalluso degli uomini o
dalluso involontario degli agenti naturali. Il linguaggio per contro senza
uso muore, poich non un oggetto duso, ma esso stesso uso. Allora
di decisiva importanza che tutte le parti della lingua siano sempre
in uso in qualche luogo tra il popolo. Il singolo uomo non usa forse
per anni solo la decima parte delle parole che il linguaggio gli mette
a disposizione e solo una minima parte delle combinazioni di queste
parole? Il singolo, come si detto, non domina la sua madrelingua.
Altrove certo in uso un altro decimo e di tanto in tanto colpiscono
lorecchio del singolo uomo tanti centri di associazione linguistica dei
decimi non usati che alla ne una parte molto pi ampia dellintera
lingua continuamente a disposizione nellesercizio passivo.
Linguaggio, una regola del gioco Il comunismo potuto divenire
realt sul piano del linguaggio, poich il linguaggio non qualcosa
di cui ci si possa impossessare; il possesso comune possibile senza
inconvenienti, poich il linguaggio non niente altro che lafnit o
la volgare comunanza
17
della concezione del mondo. Le masse degli
uomini e gli uomini di massa si rallegrano stupiti di tale possesso e
non sospettano che si tratti di unillusione. Anche luce e aria sono in
comune, ma esse sono qualcosa, e ogni raggio di calore, ogni atomo
daria che qualcuno consuma viene sottratto a un altro. Luce e aria
sono pur sempre valori. Il cittadino li deve pagare cari. Il linguaggio
un valore solo apparente, come una regola del gioco che diventa tanto
pi cogente quanti pi giocatori vi si sottomettono, una regola per
che non vuole n cambiare, n comprendere il mondo della realt. Nel
gioco di societ del linguaggio, che si estende a tutto il mondo e quasi
lo domina, il singolo contento di pensare assieme a milioni di perso-
ne seguendo le stesse regole, quando impara ad esempio a rispondere
ai vecchi enigmi ripetendo la nuova risposta progresso, quando la
parola naturalismo diventata di moda, oppure quando le parole
libert, progresso lo eccitano e lo dominano. La storia viene fatta
da nature forti che in questo gioco di societ mondiale gridano le pa-
role alle masse degli uomini. (26) Queste nature forti vanno bene per
il mondo. La storia spirituale viene fatta da uomini eccezionali che non
vanno bene per il mondo, i quali, discostandosi dal gioco, considerano
il mondo diversamente da come lo hanno considerato le masse dei
predecessori e da come la lingua ereditata pretende, da uomini che,
senza eredit e origine, credono di conoscere il mondo in modo nuovo
e possono a mala pena ammettere che anchessi, con il sacricio della
propria vita, non hanno escogitato che piccole modiche delle regole
del gioco per il gioco di societ del mondo. Li si possono considerare
come variazioni casuali che rompono la rigida ereditariet della specie
92
e forse possono contribuire a un lieve cambiamento della specie. Essi
non sanno che farsene della propriet comune del linguaggio, e la
societ, ci che comune, non sa che farsene di loro.
Il linguaggio, non unopera darte Si chiamato cos spesso il linguag-
gio una meravigliosa opera darte che la maggioranza degli uomini ha
considerato davvero questa massa nebulosa e uttuante, che conuisce
in un concetto confuso, come unopera darte. Solo che la stessa opera
uno lha considerata una distesa erbosa, un secondo un tempio antico,
un terzo il ritratto del nonno.
Il linguaggio non pu essere unopera darte gi per il fatto che non
la creazione di un singolo. Come abbiamo gi detto, io non posso
veramente rappresentarmelo, ma posso pensare a parole che lumanit
abbia vissuto per migliaia di anni senza parole e senza concetti, senza
dubbi e senza menzogne come il mondo animale, e poi allimprovviso
sia nato un uomo gigantesco, un uomo grande come una catasta tra
uomini alti un cubito. E costui sarebbe stato un poeta. Perch il lin-
guaggio non fu mai unopera darte, ma pur sempre il mezzo artistico
della poesia. Egli avrebbe, per s e del tutto da solo, come se avesse
voluto scaricare la tensione in un tuono, desiderato con ardore, in-
ventato e completato il linguaggio. Allora sarebbe diventato unopera
darte. Lopera di un Uno. Anche un monologo per. Gli uomini alti
un cubito non lo avrebbero capito. Il linguaggio nato dal bisogno di
scaricare un tuono sarebbe potuto essere unopera darte. Il linguag-
gio nato da un istinto ordinario della comunicazione un brutto (27)
lavoro di fabbrica, raffazzonato da miliardi di lavoratori a giornata.
Il linguaggio non pu essere unopera darte perch un singolo non
pu averlo creato, e non neanche unopera darte perch non stato
creato per un bisogno grande di un uomo grande come una catasta, ma
per i piccoli bisogni di tutti. Il linguaggio cresciuto come una grande
citt. Camera su camera, nestra su nestra, abitazione su abitazione,
casa su casa, strada su strada, quartiere su quartiere, e tutto insca-
tolato in qualcosaltro, legato allaltro, spalmato sullaltro, attraverso
tubi e fossi, e se gli si pone davanti uno zul e gli si dice che quella
un opera darte, allora quellasino ci crede, eppure a casa ha la sua
capanna, rotonda e libera.
Volgarit del linguaggio Se per il linguaggio non unopera darte,
proprio per questo no a oggi lunica istituzione della societ che
effettivamente si fonda su basi socialistiche. Davvero la citt, come il
linguaggio, ha i suoi tubi del gas che portano luce avvelenata in tutte
le stanze, i tubi di piombo che portano unacqua infetta in tutte le
cucine, le condutture che fanno gorgogliare vivacemente sotto terra la
sporcizia di milioni di uomini in bella simmetria con la vita di super-
cie verso nuovi territori dellumanit a venire, le marcite. Ma caligine,
93
acqua putrida e letame non sono ancora dappertutto bene comune.
Lesattore delle tasse regola il rubinetto e pretende denaro. Per questo
il linguaggio una cosa ancor pi divertente. Per dirla chiara: nei suoi
tubi arrugginiti scorrono insieme luce e veleno, acqua pura e contagio
e schizzano fuori dalle giunture gratis e dappertutto in mezzo agli uo-
mini; lintera societ non altro che unenorme opera idraulica gratuita
costruita per questo miscuglio; ogni singolo un doccione, e di bocca
in bocca la sorgente torbida si vomita addosso e si mischia gravida e
contagiosa, ma infruttuosa e infame, e per questo non c propriet e
nemmeno diritto e nemmeno potere. Il linguaggio un bene comune.
Tutto appartiene a tutti, tutti ci fanno il bagno, tutti lo respirano, e
tutti lo producono da s.
(28) Gli utopisti sperano e insegnano che un giorno lintera natura
diventer comune cos come lo il linguaggio, solo quando ogni pro-
priet sar comune e a buon mercato come il linguaggio. []
La superstizione della parola
(158) Platone e altri buoni loso del Medioevo si richiamano spes-
so ai versi di Omero, come se il poeta fosse unautorit per il mondo
reale. Quei versi non sono per loro citazioni ornamentali, n sostegno
morale delle loro argomentazioni, ma sono davvero qualcosa come prin-
cip dottrinali. Oggi siamo diventati pi rafnati. Ma le parole che il
popolo ha escogitato per necessit o per superstizione vengono sempre
ancora trattate come se lesistenza di una parola fosse una dimostrazio-
ne per la realt di quello che designa.
Il termine comunissimo signicare (bedeuten) ci pare una paro-
dia dello sviluppo del linguaggio. Dal signicato originario produrre
qualcosa mediante unindicazione (Hindeutung), ad esempio indicare
(bedeuten) a qualcuno di fare qualcosa, diventato con il tempo una
designazione per tutti i casi in cui si indica qualcosa daltro, di estra-
neo, di impreciso. Il linguaggio si sviluppato mediante metafore, cos
che una parola nisce col signicare qualcosa daltro da quello che
signica. Adesso per signicativo (bedeutend) si intende importante;
ancora Goethe, che amava molto il termine, intende per bedeutend
qualcosa come tipico, caratteristico. Sarebbe bene circoscrivere que-
sto termine abusato alla spiegazione delle metafore; ad esempio nella
proposizione lei contava diciassette primavere, primavera signica
anni.
La superstizione umana possedeva per in signicare una parola
perfetta per questo suo indicare un segno in un evento futuro o in
un fatto nascosto; e poich aveva la parola, la usava. Allora dietro ai
fenomeni della natura si nascose la potenza degli dei che rendevano
noto il futuro e locculto con segni e prodigi, cos come i sacerdoti
94
rivelano con parole il futuro e locculto. Allora ci si chiese: cosa signi-
ca questo terremoto? Cosa signica questo mostro? Cosa signica
questa cometa?
(159) Oggi si fatta tremenda chiarezza e si sono consegnati ter-
remoti, mostri e comete alla scienza. Ma se si trova da qualche parte
nelluso linguistico una parola, ormai debole e vecchia, che non si
comprende pi, si chiede allora con la stessa superstizione: cosa si-
gnica anima? cosa signica ragione? cosa signica materia? Quando
la geologia insegnava ancora che Dio aveva creato le rocce e insieme
aveva subito impresso i calchi di piante e animali, ci si chiedeva: cosa
signicano questi prodigi della natura? Ora i calchi di piante e animali
si spiegano con la formazione della terra e con la storia dellevoluzione
delle specie e si chiede: cosa signica evoluzione?
rebus La maggioranza degli uomini soffre della debolezza di cre-
dere che, perch c una parola, la parola deve esserci per qualcosa;
perch c una parola, alla parola deve corrispondere qualcosa di reale.
Come se ogni disgregazione in una pietra debba essere il calco di una
pianta! Oppure come se una linea scarabocchiata per caso da un pazzo
debba sempre essere un rebus con una soluzione.
La lingua viene usata in generale proprio cos. Non solo la gente
comune e chi come si dice abbia anche solo una mezza cultura
acchiappa al volo parole nuove e straniere che non comprende, per
ricamare il suo modello di chiacchiera con smancerie o con affettazio-
ne, ma anche dotti e ricercatori e pensatori hanno da sempre cavillato
su testi antichi in disfacimento per sciogliere enigmi che vi avevano
messo dentro loro. Si creduto seriamente di trovare e di risolvere
rebus nei disegni di singoli ori come negli scheletri di teste di pesce.
Questi erano per passatempi per met coscienti. Si sono volute spie-
gare le linee decorative dellantica America con laiuto dei caratteri
ebraici. Queste erano pazzie. Si voluto da sempre applicare e lo si
fa ancora il pensiero pi intenso di uomini vivi, cio le associazioni
delle loro esperienze vive, a resti di parole di generazioni morte che
si perdono nella lontananza del tempo, si sono voluti da sempre con-
vertire in nuovo alimento gli escrementi degli antichi con laiuto di
succhi gastrici di organi viventi. E qui non si fa (160) nientaltro che
voler risolvere senzaltro un rebus che non lo , oppure del quale non
si capisce la lingua. Come ad esempio quando ricercatori in tutto e
per tutto moderni continuano a cercare di denire lanima, lo scopo,
lorganismo, la vita, la morte oppure anche il linguaggio, le categorie,
le radici, semplicemente perch esistono le parole.
Deve essere un perfetto folle chi ha inserito il giocattolo dei rebus
nelle nostre riviste di passatempi. Certo sarebbe bello parlare con i
fatti invece che con le parole, rebus invece che verbis. Ma il suggeritore
di rebus semplica soltanto la comoda scrittura delle lettere. Io credo
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seriamente che siano malati di spirito quelli che compongono i nostri
orrendi rebus (eccetto gli scherzi); e che siano solo bambini quelli che
per antica consuetudine si occupano delle opere di questi pazzi.
Feticismo del linguaggio Nelle scienze il feticismo delle parole viene
praticato molto di pi che nelluso linguistico comune; come anche
il teologo che costruisce un sistema dal fantasma della superstizione
popolare, o che lo porta avanti, pratica un feticismo peggiore del sem-
plice contadino che semplicemente crede al fantasma.
Noi siamo portati pi facilmente a ritenere i teologi del Medioevo
o i teologi degli antropofagi come teorici di un sapere morto, come
lo sono del resto anche i professori attuali di teologia; vediamo anche
chiaramente che nella storia delle scienze si sono praticate mistica-
zione e idolatria con concetti che oggi sono invecchiati, ma non siamo
disposti ad accettare con facilit lo stesso per i concetti pi elevati
della scienza del momento. Eppure la personicazione e la deicazione
oggi la stessa dei tempi antichi. Le singole forze giocano oggi lo
stesso ruolo delle qualitates occultae di un tempo. E anche se gli stu-
diosi ci sbattono il naso, negano lerrore della personicazione e cos
continuano a pensare, appena si credono non osservati, nello stesso
modo infantile. Per il medico le singole (161) malattie sono forze per-
sonali, nonostante Virchow, personicazioni che egli combatte. Per lo
scienziato della natura le specie diventano personicazioni, nonostante
Darwin, anche se non lo si vuol riconoscere. Lerrore diventa ancor pi
visibile laddove la percezione di s esprime in maniera incontrollabile
le rappresentazioni di fondo. La psicologia pullula di personicazioni.
Ad esempio allanima umana vengono attribuite tre personicazioni:
lintelletto, la ragione e la fantasia. Neppure teste altrimenti libere
che nellintroduzione o nel capitolo nale o in un qualche altro luogo
appropriato esprimono il loro miglior punto di vista riescono facil-
mente a liberarsi dallimmagine che ognuna di queste tre sottodivinit
presieda a una determinata attivit dellanima come il presidente di
una sezione ministeriale. esattamente lo stesso processo per cui i
Greci deicarono per i grandi ambiti del vivere determinate divinit
protettrici e poi per le sezioni pi piccole personicarono ninfe speciali
come le driadi e le oreadi.
Il concetto di un dio panteistico non per nulla pi metaforico
del concetto di un dio monoteistico o politeistico. Cos nella vita del
popolo il concetto di sovranit si impersonato dapprima nel capo
della stirpe, poi nel re della comunit popolare, poi nellinsieme dello
stesso popolo; la sovranit non era per altro che il bisogno di tutti di
proteggersi dalla bestialit del singolo. Patriarchia, monarchia e demo-
crazia (panarchia) furono forme diverse dello stesso bisogno. Il grande
errore dellanarchismo sta nel non vedere la bestialit degli uomini, nel
negare il bisogno della costrizione, nel credere di aver superato questo
96
bisogno per aver scosso i fondamenti logici e la legittimit delle singole
forme di potere. Nelle prime democrazie (panarchie) moderne venne
in voga anche il panteismo sistematico. []
Pensare e parlare
(176) Il pi grave ostacolo alla conoscenza della verit che gli
uomini tutti credono di pensare, mentre parlano soltanto, ma anche
che i teorici del pensiero e gli psicologi parlano tutti quanti di un
pensiero per il quale il parlare dovrebbe essere nel migliore dei casi
lo strumento. Oppure la veste. Ma questo non vero; non c pensare
senza parlare, cio senza parole. O meglio: non c proprio un pen-
sare, c solo il parlare. Il pensare il parlare valutato al suo prezzo
di mercato.
Se solo potessi dire forte abbastanza come sono comuni le parole
di tutti i giorni, le parole della lingua comune tra uomini comuni! Le
parole sono aringhe sotto sale, merce vecchia conservata. Chi crede di
pensare ha fame di comunicazione, e per questo gli piace la vecchia
merce conservata sotto sale. E se si vuole, si pu mettere a confronto il
pensiero con la soluzione salata delle aringhe, che bagna tanto meglio
la roba conservata quanta meno merce c ancora nellestensione e nel
concetto del grosso barile; la soluzione, in s senza valore e senza for-
za, considera s stessa come la cosa principale e in essa i garzoni di
bottega e le cuoche e altri uomini pensanti rimestano con dita sporche
per acchiappare una misera aringa e poi leccar via dalle dita il liqui-
do, per poter dire in tono solenne con slancio
18
e seriet da bottega:
questo sa di sale, questo il pensare. E gli uomini che parlano sono il
sale della terra.
Peggio ancora che con lestetica del pensare va con letica. La me-
dicina pi antica, che ancora non sapeva degli effetti dellacido car-
bonico espirato, attribuiva la pericolosit dellaccalcarsi degli uomini
a un veleno, lantropotoxina. La vera antropotoxina o veleno umano
il parlare.
Non si d un pensare al di l del parlare, una logica al di l della
teoria del linguaggio, un logos al di l delle parole, idee al di l delle
cose, come non esiste una forza vitale al di sopra del vivente, un calore
al di sopra della sensazione di calore, (177) la caninit al di sopra dei
cani. E chi trova diletto in parole astratte, pu sempre parlare di una
facolt del parlare che porta al parlare. Il suo sapere ne guadagner
tanto quanto il sapere che gli animali si muovono liberamente perch
sono mobili. Oppure meglio ancora: che gli animali si muovono libe-
ramente per rendere possibile la motilit. Gli uomini parlano perch
(essi pensano) possiedono la facolt di parlare. Gli uomini parlano per
mostrare la loro facolt di parlare (per poter pensare).
97
Lerrore nato proprio dal fatto che si attribuito al pensare, alla
facolt di parlare (Sprachigkeit) come a tutti gli altri termini che in
tedesco niscono in -heiten, -keiten e -schaften un certo ch di fanta-
smatico, di divino, di sovrumano, come ccare un diadema su un corpo
senza testa. In questo caso allora le -eiten, -keiten e -schaften, e con loro
naturalmente il pensiero, dovrebbero essere qualcosa di ultra decoroso.
Ma di solito il parlare in tutta evidenza un cicaleccio, nei casi miglio-
ri un comando da cameriere, una chiacchiera. Allora dietro il parlare
sciocco ci deve essere il pensare, lastratto acefalo con il diadema del re.
Suona terribilmente rafnato: il pensare. Chi pensa, parla. E viceversa:
chi parla, pensa. Se ne deve desumere come sia comune il pensare.
Lidentit di pensare e parlare devessere un tesi molto antica, se gi
lasserzione di Platone che il pensare un parlare interiore conteneva
un giudizio su due concetti deniti in modo chiaro; infatti non se ne
viene a capo con la relativa qualit del parlare ad alta o a bassa voce,
tanto meno da quando sono stati segnalati sentimenti motorii nel par-
lare muto o nel pensare articolato. Lidenticazione di pensare e par-
lare per sempre unidea cos arrischiata che anche in questo libro,
ogni volta che il pensare stato identicato con il parlare, la voce della
coscienza linguistica ha poi subito messo in guardia di fronte a questa
identit. La critica del linguaggio suicida, perch la critica scaturisce
dalla ragione, dunque dal linguaggio. Gi nel 1784
19
Hamann scriveva
(178) a Herder: Anche se io avessi leloquenza di Demostene, non
dovrei che ripetere tre volte una sola parola: ragione linguaggio
oyo. Rosicchio questo osso con midollo e lo rosicchier no alla
morte. Non semplice modestia se qui Hamann parla del suo osso
con midollo, e poi di nuovo del suo letamaio (in contrapposizione
al giardino delle delizie di Herder; con losso midollare pensa certa-
mente anche allos mdullaire del Prologo al Gargantua e, in aggiunta,
al cane losoco di Platone). di pi. La critica del linguaggio pi
sospetta di ogni altra disciplina scientica. Lo strumento, il linguag-
gio, si ribella, vuole intervenire. Anche nella proposizione: ragione
linguaggio. La cosa cos difcile perch anche oggi non possediamo
ancora una chiara denizione n del parlare n del pensare. Lincer-
tezza sullessenza del linguaggio potrebbe ancora andare, perch se
non altro per gli scopi pratici si ha allincirca una rappresentazione
nellusare la parola linguaggio. Lessenza del pensiero invece cos
inafferrabile che ogni volta ci si rappresenta qualcosa di diverso, a
seconda che si dia al pensiero questo e quel predicato. Se si dice il
pensare linguaggio, nel pensare ci si rappresenta proprio subito, o
lo si anticipa immediatamente, proprio il parlare.
Per un certo tempo ho pensato di risolvere il problema accostando
i termini: il linguaggio sarebbe identico alla ragione, ma non allintel-
letto. Con questo avevo in mente la distinzione usuale nella forma pi
completa e decisa datagli da Schopenhauer. La spiegazione d lim-
98
pressione che la ragione sia un pensiero in concetti o in parole: tanto
pi se la ragione viene derivata dal sentire (vernehmen) e sentire=udire
pare chiaramente indicare il comprendere attraverso la comunicazione
linguistica. Ma sentire (vernehmen) nella lingua pi antica non signi-
cava niente altro che il percepire (Wahrnehmen), cosicch la bella
etimologia ci lascia in asso.
Ragione e intelletto Atteniamoci nondimeno alla comoda distinzione,
che certo non luso linguistico generale, ma lo di molti pensatori,
(179) cio alla distinzione seguente: la ragione comprende le attivit
mentali che si realizzano in concetti o parole, lintelletto le attivit
mentali che hanno come ne di volta in volta lorientamento nel mon-
do della realt attuale o nel presente attuale; sembra cos possibile, a
un primo sguardo, identicare ragione e linguaggio, e lasciar invece
lavorare lintelletto senza linguaggio. Si sarebbe ottenuta o avviata cos
una bella denizione, se solo le cose stessero in modo cos semplice.
Ma in questa distinzione tra ragione e intelletto interviene purtrop-
po lantico pregiudizio delle facolt dellanima personicate. Se si vuole
rendere in immagine lintera distinzione, in un qualche posto del ca-
stello siede lo spirito umano come padrone, e ragione e intelletto sono
tutti e due suoi ministri, per il mondo esterno e per quello interno. Se
si riconosce poi lo spirito, insieme a ragione e intelletto, come qualcosa
di divenuto (meglio: come parola che designa un divenire eterno, come
la storia designa ci che eternamente avviene), come una parola per
le combinazioni in evoluzione di dati ricavati dai sensi in evoluzione,
allora le competenze di ambedue queste facolt dellanima si spostano
in modo davvero strano.
Si pu poi sempre identicare con il linguaggio lattivit mentale
in parole o concetti, ma se avremo riconosciuto il linguaggio come
la memoria dellumanit, la ragione in questo senso non sar niente
altro che lapplicazione della memoria individuale, che ha ereditato e
acquisito la memoria dellumanit. La siologia, anche la pi recente,
ci pianta in asso. Si denita la memoria, intesa qui come memoria
individuale acquisita, come la disposizione di determinate parti ner-
vose a rievocare le impressioni sensibili che sono state percepite. La
coscienza ereditata deve allora essere un tipo di disposizione che per,
ritornando al nucleo dellovulo umano, deve basarsi su unaltra succes-
sione ereditaria rispetto alla memoria individuale ereditata. Come che
sia, nessun uomo avrebbe raccolto da solo esperienze sufcienti (180)
a partire dalle quali costruire lenorme impalcatura della sua lingua
materna (nelle classicazioni latenti della quale insita a priori tutta la
sua conoscenza del mondo e tutto il suo concludere, dunque tutto il
suo pensare); la parte di gran lunga maggiore della sua lingua, quella
che egli ritiene memoria acquisita, egli lha ereditata; per questo luomo
qualunque usa la sua lingua in maniera cos priva di pensiero; e per
99
nulla vale pi che per il linguaggio il detto quello che hai ereditato
da tuo padre, acquistalo per possederlo. C nelluso del linguaggio
una massa spropositata di beni ereditati, non acquisiti, non vagliati,
che vengono usati sulla ducia. Si potrebbe esprimere tutto questo
anche con una facezia storico-losoca: che luomo pensante dovrebbe
utilizzare solo concetti acquisiti, che egli per inconsciamente esprime
molto pi spesso concetti innati. Naturalmente non penso con questo
ai concetti innati della pi antica psicologia, ma a ci che, nel nostro
linguaggio quotidiano, insito nelle classicazioni e nelle astrazioni ere-
ditate, non vagliate. Chi lo abbia chiaro non dubiter che noi, fossimo
anche dottori in losoa, usiamo parole come pianta, animale, cielo,
luce, parlare, pensare, ragione, intelletto, vita, morte, salute, malattia
e cos via, proprio allo stesso modo in cui il pulcino appena uscito
dalluovo becca il seme, come il merlo costruisce il suo nido. Le attivit
mentali degli animali classicate come inferiori allintelletto umano le
chiamiamo istinto; le attivit mentali in parole, classicate come atti-
vit superiori dellintelletto umano, le chiamiamo ragione. Ma gi a un
primo approccio abbiamo imparato che in questa ragione insita una
massa di attivit mentali ereditate, non acquisite individualmente, non
vagliate, quindi istintive. Non mi si obietti ora di nuovo che la lingua
ancora qualcosa di diverso dalle sue parti, che lastratto linguaggio
qualcosa al di fuori delle parole. Se si tolgono via da un edificio
tutte le pietre e tutto il resto del materiale, pu rimanere unimmagine
mnemonica, ma ledicio non c pi. Il linguaggio (181) in s una
non-cosa senza essenza (ein wesenloses Unding
20
) e pu sempre ancora,
se diverte qualcuno, essere posto come uguale al pensiero.
Pensare senza parlare Ora per si effettuano molto spesso operazioni
intellettuali senza lintervento del linguaggio e sono tuttavia operazioni
mentali. Quando un ingegnere deve costruire un ponte di cento metri,
usa certo abitualmente il linguaggio, ma solo nch formule e simili
facilitano il lavoro. Se avesse a disposizione travi della lunghezza ne-
cessaria e una forza sica adeguata, lavorerebbe in silenzio, in un senso
diverso rispetto agli osservatori. E di fatto la vera e propria costruzione
del ponte si realizza benissimo ancora senza parole, le ordinazioni alle
singole fabbriche richiedono tuttal pi un paio di espressioni tecniche
e di cifre. Questo lavoro dellintelletto. Se un uomo oppure un cane
saltano un fosso, misurano la distanza senza parole, il che ancora
lavoro dellintelletto. Se luomo o il cane vedono una fragola o una
lepre al di l del fosso, e cos hanno solo interpretato una modica-
zione sulla loro retina e lhanno proiettatata al di l del fosso, quello
che li attira di nuovo lavoro dellintelletto. Tutte le attivit mentali
dellintelletto si riducono a questultimo tipo di lavoro intellettuale,
allinterpretare le impressioni dei sensi (anche il semplice vedere, sen-
tire, ecc. , come ora sappiamo, lavoro dellintelletto, un interpretare
100
stimoli, che diventano sensazioni solo attraverso lintelletto). Questa
attivit non per niente altro che una ereditata capacit di adat-
tamento dellindividuo agli stimoli esterni, a ci che noi chiamiamo
realt. Senza concetti o parole non se la cava n luomo n il cane.
Rapporti di grandezza e immagini mentali sono rappresentazioni ere-
ditate, e in essi ci manca la coscienza di parole e concetti, solo perch
queste attivit intellettuali sono state esercitate allinnito, da quando
esistono organismi sulla terra, e perch queste attivit in questo modo
sono diventate automatiche. C soltanto una rappresentazione che
stata ancor pi esercitata, che diventata nostra solo attraverso innu-
merevoli esperimenti (182): la pi alta rappresentazione che costruisce
il mondo, il mondo della realt l fuori. Questa rappresentazione ci
risulta comicamente indimostrabile, perch incessantemente dimostra-
ta. Ogni volta che mangiamo, dimostriamo che il mondo esterno pu
diventare mondo interno. Lattivit dellintelletto ci sembra priva di
concetti, perch non c sguardo e movimento delle dita senza che si
metta in pratica il concetto di spazio ecc. Se il fosso che un uomo deve
saltare largo un metro, cio non pi largo del passo umano che egli
ha praticato da sempre, luomo salta al di l senza pensarci; il suo in-
telletto lavora automaticamente. Se il fosso ha una larghezza inusuale,
luomo ci pensa prima di saltare, e il cane forse abbaia. Se la distanza
addirittura di cento metri e lingegnere non cos esercitato per questa
larghezza da compiere automaticamente il salto, allora lintelletto non
lavora pi in silenzio: lingegnere pensa e scrive cifre.
Soltanto la natura non ha nessun intelletto, nessuna ragione, nessuna
lingua. Chi potesse prendere la natura come maestra, sarebbe saggio
senza linguaggio. Natura dice Spinoza nel Tractatus teologico-politi-
cus, I 21 nobis dictat, non quidem verbis, sed modo longe excellen-
tiore. Noi per non possiamo scrivere quello che la natura ci detta.
Anima e sensi
Zufallssinne (327) Forse riusciamo a fare un passo avanti oltre la
tautologia se ci serviamo del concetto che ci proprio, quello di sensi
accidentali. Forse su questa strada impariamo quello che nel migliore
dei casi possiamo farcene del concetto di anima.
Il nostro nuovo concetto di sensi accidentali si contrappone alla
concezione, assunta inconsapevolmente sia dai loso che dagli uomini
pi semplici, che da un lato vi sia il mondo, dallaltro lato luomo con
organi adeguati per linsieme dei fenomeni del mondo. In questa rap-
presentazione la cultura losoca non cambia granch. Che il contadino
riconosca che il guanto si adatta alla mano, oppure che Kant riconosca
che la mano (il mondo dei fenomeni) si adatta nel guanto (lintelletto),
dal nostro punto di vista indifferente. Kant pensa, proprio come il
101
contadino, che intelletto e mondo sono fatti luno per laltro come il
guscio per la chiocciola, come (328) i rispettivi organi genitali di una
specie animale, come la scimitarra curva e la guaina curva. A mio pa-
rere le dispute metasiche vecchie di millenni su come sia da spiegare
laccordo tra mondo esterno e vita interiore, a mio parere gli enormi
errori metasici, da quando esistono il teismo, loccasionalismo e il dar-
winismo, dipendono dal fatto che nessuno vuole accorgersi della natura
dei sensi accidentali, dal fatto che nessuno nora si mai accorto di
quanto poco il mondo e i nostri poveri cinque sensi siano adatti luno
agli altri, di come piuttosto gli organismi abbiano sviluppato questi
disperati cinque sensi nei loro bisogni vitali, per adattare s, cio la
loro vita e quella della loro prole, alla vita che li circonda. Il mondo
esterno un oceano di realt e di possibilit, di elementi e di forze,
forse di possibilit divenute reali. Cosa ne sappiamo? I nostri sensi non
bastano per una qualche conoscenza della realt nemmeno nellambito
della semplice chimica fatta in casa. A malapena distinguiamo larsenico
dallo zucchero senza ricorrere allo stratagemma di far giocare un orga-
no di senso contro laltro. Mediante questo e altri stratagemmi siamo
arrivati a distinguere allincirca ottanta elementi; noi ci rendiamo conto
della brutale assurdit di questa cifra e non sappiamo come cavarcela e
che pesci pigliare quando allimprovviso un inglese astutamente scopre
nellestensione pi ampia di tutte le sostanze, nellaria, nuovi elementi.
Dunque nemmeno per la spigolosa sfacciataggine (die Eckigkeit und
Dreckigkeit) dellatomismo chimico bastano i nostri sensi. Nemmeno
per le forze! Secondo lattuale concezione dei sici qui fuori ci sono
ovunque oscillazioni, dappertutto, allinnito. Se i nostri sensi doves-
sero farcela e se si dovessero prendere alla lettera queste oscillazioni,
come dovrebbe apparire una pallina daria della grandezza di una goc-
cia di rugiada? Nello stesso tempo, pi fortemente o pi debolmente,
in essa dovrebbero oscillare ogni calore, ogni luce, ogni suono che da
un qualunque punto o sulla terra o sullultima stella della via lattea
tracci la sua onda; e dovrebbe continuare a oscillare no allinnito
(329) ogni suono, ogni colore, ogni processo di riscaldamento e ogni
scarica elettrica, che in un qualche tempo in un qualche punto della
terra o in qualche punto della via lattea abbia dato inizio al cerchio
della sua onda imperitura. Le oscillazioni, che in una particella daria
si incrociano in modo caotico e pur armonioso, quando in una sala
da concerto lorchestra intera fa risuonare un accordo complicato con
tutti i suoi suoni e gli armonici di tutti gli strumenti, questo andirivieni
di onde, indistricabile da qualsiasi formula matematica, lo si potrebbe
dire la quiete pi assoluta in confronto allincrocio cosmico delle onde
di ogni pallina daria della grandezza di una goccia di rugiada. Ma
cosa percepiscono i nostri sensi in questa innit di supposte oscilla-
zioni? Non sappiamo nulla ad esempio delle oscillazioni intermedie tra
le oscillazioni dei suoni e quelle sensibili del calore che riempiono il
102
mondo. I nostri sensi casualmente non hanno avuto interesse ad adat-
tarsi a queste oscillazioni.
Larte della parola
Poesia e concetti (B I, 111) Se si chiede a uno scolaro o a un maestro
di scuola cosa sia un concetto, risponder pressappoco cos: una rap-
presentazione generale che viene astratta dalle singole rappresenta-
zioni. Noi abbiamo secondo questi maestri di scuola innumerevoli
rappresentazioni singole di alberi, conosciamo abeti, querce, (112) noci
ecc, conosciamo tante specie di abeti, di ogni tipo innumerevoli indi-
vidui. Togliamo ora da queste immagini secondo la dottrina corrente
lelemento accidentale: la grandezza, il colore, la forma delle foglie
ecc. e otteniamo cos la rappresentazione generale, il concetto.
Che non succeda cos nella nostra testa, lo ha gi sostenuto il fan-
tastico Berkeley contro Locke, e invero molto rigorosamente. Egli non
potrebbe rappresentarsi un triangolo che non abbia una forma deter-
minata, che non sia acuto, retto o scaleno.
Che le nostre rappresentazioni generali o concetti si formino me-
diante astrazioni lo si pu far credere alla gente per gusci vuoti come:
virt, immortalit e simili. Appena per vi un riscontro con il mondo
reale, dovrebbe sembrare evidente, senza bisogno di dimostrarlo, che
propriamente non ci sono rappresentazioni generali, che nella nostra
memoria ci sono solo indistinte rappresentazioni simili, che scorrono
una nellaltra, che stanno come scorta dietro i concetti e dalle quali la
fantasia trae fuori di continuo quelle che adopera in quel momento o
che lassociazione inconscia le procura.
Con questo non si deve dimenticare che solo in pochi ritengono
anche necessario nelluso della parola rifornire tutte le volte il singolo
concetto o la parola con la scorta delle rappresentazioni e, in que-
sto modo, renderle o mantenerle vitali. Il comune lettore di romanzi
(come lo scrittore pasticcione) non si rappresenta nulla con una frase
come: i cavalli trottavano attraverso il prato, e quando egli crede
tuttavia di capire le parole a lui ben note, avviene che la scorta delle
rappresentazioni sta dietro i concetti, proprio come la melodia innita
dellorchestra wagneriana dietro le parole cantate, e che inconsciamen-
te un qualche cosa di nebuloso si presenta insieme in cavallo, trottare,
prato. Di qui derivano le molte frasi sciocche da romanzo che fanno lo
spasso del Kladderadatsch
22
. Ella copr il suo volto con entrambe
le mani e allung verso il conte la destra aristocraticamente ne. Lo
scrittore pasticcione lo pu scrivere solo perch egli usa il concetto
senza rappresentazione. (113) E in questo egli ancora pi ricco di
fantasia del suo lettore, di Tizio e di Caio.
Cos senza rappresentazione usa la scienza le sue parole, solo che
103
essa le applica con una ducia spensierata come segni matematici inal-
terati. Il cavallo un mammifero vien detto quasi senza alcuna rap-
presentazione
23
.
Va cos nelluso comune dei chiacchieroni e dei dotti. Accade diver-
samente quando la ricerca linguistica o un imbarazzo ci costringono a
far cadere una luce abbagliante su un concetto o su una parola; sentia-
mo allora come una quantit di rappresentazioni individuali si ammassi
davanti alla cruna della nostra coscienza, pronta a passarci attraverso e a
far rivivere il concetto. Possiamo poi rappresentare molte cose una dopo
laltra e abbiamo lautoillusione di una rappresentazione generale.
Poich ora per il ricordo di una singola rappresentazione ben si
sbiadisce e sfuma, ma non pu mai davvero in senso proprio connet-
terla con unaltra, sembra addirittura impossibile che si dia una vera
e propria rappresentazione o concetto generale. Cos allora ci che
pure ben conosciamo come rappresentazione generale o concetto, come
parola fuori di noi?
Una mescolanza, come del resto si trova nel sogno, e che possibi-
le nella veglia solo per il concorso della cosiddetta fantasia, la fantasia
poetica, che certo cos simile al sogno. Senza questo concorso non
sarebbe stato possibile nessun linguaggio, nessun concetto singolo. Fu
un genio poetico colui che per primo nei tempi pi antichi riusc a
ssare le sue singole rappresentazioni di abeti, querce ecc. mediante
il segno sonoro albero, e di nuovo oggi solo un modo della fantasia
poetica collega ancora rappresentazioni vivaci alla parola albero.
Con questo si accorda bene la mia teoria, cio che il linguaggio si
formato mediante metafore e cresce mediante metafore, se la fantasia
poetica deve continuamente integrare e far rivivere le parole.
Poesia e metafora (114) [] Il lettore che non ha letto la mia opera
per la seconda volta un libro vuoto quello che non bisogna leggere
due volte non sapr ancora molto del concetto dei sensi accidentali.
Ma avr accettato con favore come gi si possa spiegare, senza allonta-
narsi dal punto di vista di Lessing, la collocazione eminente della poesia
nei confronti di tutte le altre arti possibili e la menzogna della soprav-
valutazione del dramma. Ora per verremo a conoscenza di ci che fa
di nuovo vacillare ogni teoria delle arti, che cio i nostri cinque sensi
sono sensi accidentali e il nostro linguaggio, formatosi dai ricordi di que-
sti sensi accidentali ed estesosi mediante conquiste metaforiche a tutto
il conoscibile, non sono mai in grado di dare lintuizione della realt.
Lidea, per il momento ancora paradossale, che i nostri sensi siano
sensi accidentali, fa risaltare ancor pi chiaramente il valore pi elevato
della parola poetica. Come la parola o il concetto riassumono dapprima
in modo sostantivo le diverse qualit che i singoli sensi hanno percepito
come effetti ad esempio dellusignolo, per cos dire in modo preistorico,
s certo, preumano; come la parola usignolo rende per la fantasia pi
104
del ricordo di una di quelle osservazioni che lhanno suscitata, allo
stesso modo la poesia produce pi di qualsiasi altra arte, s, pi della
somma di tutte le altre arti. Lintera nostra conoscenza del mondo non
si formata dalla deduzione, ma dallinduzione, da uninduzione in-
completa, ed solo utilizzando campioni tratti dal mondo della realt
che abbiamo composto limmagine del mondo; allo stesso modo, larte
della parola unica i dati dei sensi accidentali in unimmagine che, me-
diante il suo accordo con s stessa, cio mediante la possibilit della sua
ripetizione non contraddittoria, sembra qualcosa pi che un caso.
Parole senza intuizione Ma questa elevata attivit dellarte della paro-
la, che come immagine del mondo reale nora supera ancora tutti i ten-
tativi di una conoscenza scientica, (115) ha i suoi limiti nella capacit
del linguaggio di dare delle intuizioni. Non solo la vecchia estetica, da
Aristotele a Lessing, sper mediante le parole di poter imitare la natura;
il termine imitazione non lo si usa pi, ma nessun poeta o studioso
di estetica dubita che le immagini del mondo reale si possano chiara-
mente suscitare mediante parole. Vischer dice invero: chi basa larte
sullimitazione, la considera un gioco (III, 93)
24
; poi gioca un po con
la parola gioco. Ma noi abbiamo appreso che le parole non danno
immagini e non suscitano immagini, ma solo immagini di immagini di
immagini. Nella vita pratica, di fronte al cameriere, ce la caviamo cos
bene con le parole del linguaggio che sorvoliamo dabitudine su come
il linguaggio sia incapace di raggiungere i suoi ni ultimi. Ogni singola
parola pregna della sua propria storia, ogni singola parola porta in
s uno sviluppo innito di metafora in metafora. Di fronte al cumulo
chiassoso di visioni, chi usa la parola, non sarebbe nemmeno in grado
di arrivare a parlare, se solo gli fosse presente anche una minima parte
di questo sviluppo metaforico; se per di nuovo questo non gli pi
presente, egli usa ogni singola parola soltanto nel suo valore quotidiano
convenzionale, come gettoni, e con questi gettoni d solo un valore
immaginario, non d mai intuizioni.
La metafora
(B II, 450) Sullorigine del linguaggio qualcosa di attendibile, fon-
dato sullesperienza, non lo si pu ovviamente sapere. Linduzione
allora esclusa. La deduzione da concetti porta solo a tautologie.
Se dunque, ciononostante, vogliamo rappresentarci lorigine del
linguaggio, dobbiamo farlo metaforicamente, con delle immagini, e vi
guadagneremo qualcosa di pi che con sottili asserzioni. Voglio prov-
visoriamente prendere i concetti fondamentali nel loro senso comune
e sperare che alla ne di questa riessione dobbiamo di nuovo porre
un punto interrogativo su questo senso comune.
105
La crescita del linguaggio Quello che costituisce la crescita (conserva-
zione e riproduzione) degli organismi deve ben aver dato origine alla sua
formazione. Detto in immagini: nutrizione crescita. E posso divertirmi
a immaginare che la derivazione del regno animale da quello vegetale
sia avvenuta quando un che di simile a un organismo parassita (vege-
tale) per fame e invidia si sia rivoltato, abbia trattenuto il nutrimento
circondandolo, formando quindi uno stomaco e poi sia stato costretto
a spinger fuori da s degli arti per procurare a questo stomaco il nutri-
mento che non poteva pi succhiare da parassita. E ancor prima la vita
potrebbe essersi divisa dalla materia inerte quando a una molecola pi
capace si avvicin del nutrimento. So che questa nzione non spiega
nulla; la capacit della molecola rimanda a sua volta alla questione
dellorigine della vita. Ma certamente la questione viene semplicata
dallimmagine. Allora cos che costituisce la crescita della lingua? Qual
il nutrimento spirituale della lingua?
mediante trasposizione Se distinguo in maniera del tutto netta tra
la crescita repentina delle nostre conoscenze della realt (che sono
osservazioni delle cose e sempre precedono il linguaggio, la (451) loro
parola) e la crescita organica del linguaggio stesso, cio quella delle leg-
gi di natura, dei concetti, delle inferenze, in breve del chiacchiericcio
umano, allora giungo allidea che il linguaggio cresciuto e ancor oggi
cresce a partire dalla memoria umana (e la memoria umana a sua
volta solo linguaggio) soltanto mediante la trasposizione (rtorriv)
di una parola denita (fertig) su unimpressione indenita, mediante
il confronto dunque, mediante questo atto eterno del -peu-prs, me-
diante questo innito circoscrivere e parlare gurato, che costituisce
la forza artistica e la debolezza logica del linguaggio. I due o cento
signicati di una parola o di un concetto sono altrettante metafore o
immagini e, dato che oggi non conosciamo assolutamente il signicato
originario di nessuna parola, dato che la prima etimologia si colloca in-
niti anni addietro rispetto alla nostra conoscenza di questo signicato,
allora nessuna parola ha mai altro signicato che quello metaforico.
Siamo cos abituati a questo uso che non lo sentiamo mai come
una mancanza quando denominiamo con immagini persino i concetti
pi impellenti, quelli che devono avere anche gli animali, utilizzando
termini contrastanti tratti da ambiti quasi contrapposti. Quando in una
lingua straniera dobbiamo formare una perifrasi anche soltanto per
una parola rara, ci vergognamo e lo sentiamo come unincapacit. Ma
non lo avvertiamo come metafora, non ci vergognamo affatto, quando
deniamo il tempo con espressioni spaziali (lungo, breve), quando de-
niamo laltezza del suono con concetti spaziali o di colore (profondo,
chiaro); lo vediamo bene nelle nostre lingue obsolete.
La nostra lingua cresce mediante metafore. E si pu dire davvero
che ogni metafora viene dapprima usata consciamente e poi entrata
106
ad arricchire lorganismo del linguaggio, quando non la si avverte pi
come metafora.
Cos sarebbe allora una pura supposizione che la metafora, che
determina la crescita del linguaggio, ne abbia causato anche lorigine.
A questo proposito non riesco per ora (452) a pensare ancora nulla.
Si ha una qualche impressione, ma ancora chiacchiera. La tesi che la
metafora abbia creato il linguaggio diventa per pensabile, compren-
sibile, davvero illuminante, se io ora ripeto che la metafora opera una
mediazione tra i concetti di spazio, tempo e suono.
Metafore naturali dello spazio Chi in un paese straniero, del quale
non conosce la lingua, vuole dire grande, aprir molto le braccia;
questo un gesto del tutto naturale. ( naturale che lanimale non lo
abbia.) Chi vuol dire piccolo avviciner i palmi delle mani. Cosa
succederebbe allora, se anche lintero apparato vocale partecipasse alla
gesticolazione? Cosa, se glottide e bocca si rinserrassero, dicendo poi
i, per imitare un piccolo spazio, glottide e bocca si aprissero, facen-
do o, per imitare uno spazio grande? Cosa, se questo fosse gi una
metafora? Se poi il suono venisse trasposto dallo spazio al tempo, ai
colori, ecc.? Ammetto che con questa ipotesi sembra davvero di aver
ottenuto qualcosa per la questione dellorigine del linguaggio.
E seppure a Platone non sia certo venuta in mente una simile inter-
pretazione della sua onomatopea (formazione delle parole), si potrebbe
a buon diritto chiamare onomatopea una metafora originaria. Infatti le
nostre presunte imitazioni, per quanto appartengano al linguaggio ef-
fettivo e non siano degli scherzi, non sono imitazioni pappagallesche di
suoni naturali articolati e classicati in consonanti e vocali, ma imitazioni
metaforiche (per es. di melodie mediante sillabe), che ci sono divenute
cos abituali che noi sentiamo trasposta nella natura (hineinhren) la no-
stra onomatopea metaforica. Il cuculo non canta c o qualcosa di simile
a c, non u o qualcosa di simile a u. E tuttavia noi lo sentiamo
cantare cu-c e crediamo di imitare con il suo nome il suo richiamo.
Ora per devo stare attento a non diventare io stesso un servitore
del linguaggio e credere di aver spiegato con la metafora della metafo-
ra qualcosa di reale. una parola (453) che ho fatto crescere mediante
la mia osservazione ipotetica. Questo tutto. E di nuovo non tutto.
Devesserci tuttavia dietro lo spazio del nostro linguaggio qualcosa
di nascosto nel mondo reale, apparentato allo spazio, se lapparato
fonatorio, quando vuole rendere in immagine rappresentazioni spa-
ziali, diventa esso stesso immagine spaziale. E cos pu esserci dietro
listinto verso metafore cos audaci (come la trasposizione dallo spazio
al tempo, dal colore al suono) una cogenza che sta nei rapporti non
svelati del mondo reale. Il linguaggio metafora; ma la metafora copre
in qualche modo il mondo.
In questa idea dellorigine del linguaggio nulla cambia se pensiamo
107
che mai un singolo uomo pu aver creato in s il linguaggio, che il
linguaggio essenzialmente qualcosa di intersoggettivo, un prodotto
sociale, che il monologo qualcosa di malato. Al contrario: cos come
la perifrasi (in una lingua parlata male) diventa necessaria solo quando si
viene in contatto con una nazione straniera, cos la metafora della lingua
originaria, lonomatopea originaria, la mimesi metaforica mediante il
suono, pu essere sorta proprio anche per lesigenza di comunicare re-
ciprocamente, in un tempo in cui ognuno era straniero tra stranieri. []
Max Mller (455) Max Mller arriva abbastanza vicino alla convin-
zione che ogni mutamento di signicato sia metaforico. Ma si preclude
la via distinguendo nettamente tra due tipi di metafora, tra metafora
poetica e metafora radicale, e cos non si accorge di non avere il diritto
di parlare di unimmagine per la cosiddetta metafora radicale, se non
fosse esistita psicologicamente, in un qualche momento del mutamento
semantico, una metafora poetica. Egli non considera come solo luso
frequente della metafora poetica labbia resa cos impoetica, cos auto-
matica, che inne sembr presente alla coscienza linguistica il semplice
mutamento semantico. A questo proposito gi il vecchio Quintiliano
sapeva considerare pi correttamente lorigine del mutamento seman-
tico dalla metafora; ed ben questo il senso della sua sorprendente
proposizione (Libro IX, 3, allinizio: Si antiquum sermonem nostro
comparemus, paene iam quidquid loquimur gura est).
Queste idee dellimportanza della metafora per la storia del linguag-
gio, anzi dellidentit della metafora con il mutamento semantico, si era
gi consolidata in me, quando fui stimolato da uno scrittore che mi era
no ad allora sconosciuto a inseguire oltre questo pensiero. Fino ad
allora la mia guida era stato Locke, la cui teoria del passaggio da signi-
cati concreti ad astratti in fondo spiegava soltanto meglio lantica parola
di Quintiliano. Bast semplicemente tralasciare il paene per riconoscere
il dominio assoluto della metafora nel mutamento semantico. Con ci
lattivit di creazione graduale del linguaggio apparve graziosamente
come una creazione poetica, come ci che anche in ogni singolo caso
pu avere un ulteriore valore.
Vico Allora la mia attenzione fu attirata da una parola di Goethe
su Vico e ora mi getto con grandi attese sulla sua opera senza mai
rimanerne deluso. (456) Questuomo straordinario ingiustamente se-
midimenticato. Per dire subito lultima cosa che devo al pensare no
in fondo le sue idee: ogni formazione linguistica non pu essere niente
altro che un mutamento semantico metaforico, perch il concetto di
metafora non in fondo niente altro che unespressione tradizionale,
che ci deriva dalle scuole di retorica, insopportabilmente pedante, per
lessenziale nella nostra vita spirituale, per quello per cui noi abbiamo
la nuova espressione associazione di idee. []
108
Jean Paul Prima per di tentare di fondare lessenza psicologica della
metafora, vorrei ancora riportare quello che il nostro immaginico Jean
Paul ha espresso in modo cos squisito sul signicato linguistico della
metafora: Come nello scrivere lideograa anticip la scrittura alfa-
betica, cos nel parlare la metafora, adatta a designare rapporti e non
oggetti, fu la parola primitiva, che lentamente n per scolorarsi, sino a
diventare espressione propria. Lanimazione e lincarnazione mediante
tropi costituivano ancora ununit in quel tempo in cui lio e il mon-
do erano ancora fusi insieme. Perci ciascuna lingua, sotto laspetto
delle relazioni intellettuali, un vocabolario di metafore sbiadite
25
.
Jean Paul era imparentato con il nostro Hamann, come Hamann con
Vico. E gi Hamann aveva predicato (Aesthetica in nuce
26
): Lintero
tesoro della conoscenza umana e della beatitudine consiste in imma-
gini. Il suo Bacone, e quello di Vico, aveva detto: ut hieroglyphica
literis, sic parabolae argumentis antiquiores. Il devoto Hamann si era
riservato la possibilit di mescolare conoscenza e beatitudine; ma per
la questione della teoria della conoscenza, cio per il lato psicologico
della questione, Jean Paul, Vico e Bacone non avevano unidea chiara.
Wilhelm Wundt ha collegato molto bene (in tutti e due i primi volumi
della sua Vlkerpsychologie) la metafora con il gesto sonoro, meno
bene con il mutamento semantico. Ernst Elster (Prinzipien der Litera-
turwissenschaft
27
) ha un po rafnato la poetica della metafora. Alfred
Biese ha scandagliato pi a fondo e ha scritto una Philosophie des
Metaphorischen davvero degna di essere letta. (457) Ma anche Biese, al
quale devo abbastanza materiale, non penetra al centro del problema
della teoria della conoscenza.
Aristotele Il concetto di metafora, come viene spiegato nelle nostre
scuole, risale ad Aristotele. Cos da duemila anni la metafora passa
per la trasposizione (conscia) di una denominazione che propriamente
signica qualcosaltro, sia essa la trasposizione dal concetto pi vasto
al pi ristretto, o dal concetto pi ristretto al pi vasto. Lintenzione
di questa denizione di spiegare in senso logico il linguaggio im-
maginico della poesia. Questa intenzione e quindi la limitazione alla
metafora artistica risulta chiaramente dal modo in cui Aristotele cerca
di risolvere ogni metafora in una proporzione matematica completa o
incompleta. Ad esempio la coppa di Dioniso sta a questo dio come lo
scudo sta al dio Ares; si potrebbero quindi scambiare luno con laltro
i termini della proporzione in maniera del tutto meccanica e dire in
modo arguto che la coppa sia lo scudo di Dioniso (il che sarebbe pur
sempre spiritoso) o che lo scudo sia la coppa di Ares (il che sarebbe
davvero insulso). Un altro esempio: la vecchiaia: la vita = la sera : il
giorno; dopo di che si pu dire che la vecchiaia la sera della vita
o che la sera la vecchiaia del giorno. Il fascino di questa manie-
ra poetica di esprimersi (che del resto ha imperversato malamente al
109
tempo di Shakespeare, in particolare come marinismo, gongorismo,
eufuismo o come estilo culto in Inghilterra, Italia e Spagna, persino
negli scritti dei maestri, e che oggi ridiviene pericolosa come art pour
lart) consiste naturalmente nel tralasciare, nel lasciar indovinare uno
dei quattro termini della proporzione. Dove la comparazione ancor
pi semplice da indovinare, vengono subito tralasciati due termini;
Aristotele porta lesempio dello spargersi (secondo limmagine del se-
minatore) dei raggi del sole.
Lidea di Aristotele di chiarire la metafora con la proporzione ma-
tematica non ha nulla a che fare con il processo o la condizione psico-
logica, quale (458) si riveler a noi la metafora; nondimeno la trovata
rimane ingegnosa. Ci pu aiutare a distinguere il concetto di metafora,
apparentemente cos ben conosciuto, dai numerosissimi concetti attigui.
Ci sono infatti con questo rimango provvisoriamente nellambito della
poetica paragoni nei quali si giunge a qualcosa di pi e a qualcosa di
meno che ai quattro termini di una proporzione. Se il paragone pi
complicato, esso pu estendersi a un tipo di similitudini che sono cono-
sciute in particolare come similitudine omeriche, nelle quali per certo la
fantasia del poeta suole dimenticare lattivit di comparazione e cavalca
una tratta pi in l montando un cavallo nuovo; se invece la similitudine
non contiene nemmeno indirettamente quei quattro termini, al posto
della proporzione sta, per cos dire, una regola del tre (capelli neri come
il carbone), allora la si chiama una similitudine in senso stretto. Devo
essere un po pedante prima di proseguire; lo richiede loccuparsi di
antiche denizioni. Vorrei notare infatti che il famoso tertium compara-
tionis non n la regola del tre n uno dei tre o quattro termini nella
proporzione; sempre un concetto pi alto (il colore nel caso dei capelli
e del carbone, lattributo nel caso in cui venga paragonata la coppa di
Dioniso con lo scudo di Ares). Dove la metafora (come specica Vischer
III, p. 1221
28
) pi poetica della similitudine nel lasciar indovinare
il segno di paragone: il come o il quasi un prendere le distanze
da una supposta prosa, cio dal confondere immagine e contenuto; e
proprio per questo motivo precipita in essa .
La similitudine Nella similitudine (in senso stretto) molto facile
dimostrare che il processo psicologico porta allevoluzione del linguag-
gio. probabile che le stesse designazioni di colore pi antiche, e che
a noi appaiono senza possibilit di paragone, fossero dapprima delle
similitudini; in parole come il tedesco lila (in francese il lill, mentre
il tedesco violett il francese la violetta) la similitudine chiara; nelle
designazioni dei colori di moda (rosso ruggine, verde reseda, color
torre Eiffel e simili) non si pu nemmeno dire con sicurezza se sia
ancora (459) presente una similitudine cosciente o gi un nuovo con-
cetto di colore.
La metafora quindi, a differenza della similitudine a tre termini in
110
senso stretto, il tipico paragone di due rapporti, nel quale divenuto
abituale lasciare inespresso il concetto pi comune. Nella proposizione
la prudenza la madre della saggezza ognuno capisce: la saggezza si
rapporta alla prudenza, come la glia alla madre. Il tertium compara-
tionis tanto per non rinunciare alla pedanteria qui che la madre
abbia generato la glia. Si potrebbe anche pensare che la glia sia
simile alla madre, che la glia sia obbediente nei confronti della ma-
dre; ma il mondo della realt nella nostra anima non ci lascia proprio
pensare a un tale non-senso. Se noi udiamo i tre concetti prudenza,
madre e saggezza, lassociazione del pensiero getta un ponte tra loro
soltanto nel concetto del generare, non nel concetto dellubbidienza.
Impareremo presto come sia importante anche per la metafora questa
necessit, questa cogenza della connessione di immagini.
Tropi Ancora una cosa. Se qui applico il termine metafora, abbastan-
za in accordo con la spiegazione di Aristotele (il quale parlava greco;
per lui dunque la parola metafora, trasposizione, non era ancora un
termine tecnico straniero), allintero gruppo delle immagini cosiddette
poetiche o ai tropi, sono daccordo con il pi recente uso linguistico
che non sa pi molto che farsene delle distinzioni della retorica an-
tica. Mi sembra evidente che un grande numero delle specie, in cui
tradizionalmente sono ripartiti i tropi, cada comunque sotto lantico
concetto della metafora, cio dello scambio dei concetti di due oggetti
confrontati. Su questo si potrebbe scrivere un saggio inutile: come gli
antichi maestri della retorica hanno utilizzato le sterili categorie logiche
per ricavare tali sottospecie. Ancora Salomon Maimon ha pensato a
un simile sistema dei tropi, che sarebbe diventato simile (o uguale?) al
sistema (460) delle categorie (Lebensgeschichte, II, p. 261
29
). Lascer
volentieri a qualcun altro il compito di scrivere questo saggio e mi
limiter a fornire solo alcuni esempi. Se si scambiano tra loro specie
e genere, la parte e il tutto (lei aveva vissuto 15 primavere), questo si
chiama sineddoche, se si scambiano causa ed effetto (egli un grosso
sacco di denaro), si chiama metonimia, se si paragona lanimato con
linanimato (il piede del monte), si chiama personicazione; ma non
appartiene proprio pi al nostro stile di pensiero fare simili distinzioni
scolastiche. Ci accontentiamo del fatto che alla base di tutti questi
modi di dire sta il processo psicologico della comparazione; e luomo
ha bisogno di accontentarsi, non di pensare oltre.
Ci sono alcuni altri tropi che a prima vista non sembrano ricon-
ducibili al concetto del paragone metaforico, per es. liperbole e liro-
nia. Ma sembra soltanto. Finch rimaniamo nellambito della poetica,
lintenzione di ogni espressione gurata di questo tipo certamente
quella di rafforzare lintuibilit. Se qualcuno dice primavera al posto di
anno, sacco di denaro al posto di uomo ricco o piede del monte (che
gi diventato lingua, per la quale non abbiamo quindi pi nessuna
111
espressione propria), egli vuole solo illuminare con pi forza la rappre-
sentazione, e questo comporta sempre una forma di ingrandimento. In
ogni metafora c qualcosa di iperbolico. E lironia raggiunge lo stesso
scopo in una piccola perifrasi, quando ad es. chiama il Chimborasso
un nano, e cos, acuendo la contraddizione, rende particolarmente evi-
dente la grandezza del monte. Ora, che mi si conceda o meno questa
spiegazione delliperbole, io uso tuttavia la parola metafora nel senso
del tropo o del paragone gurato in generale, la qual cosa mio dirit-
to, avendolo detto esplicitamente. []
Metafora e Witz (487) Ogni metafora arguta (witzig). La lingua
attualmente parlata da un popolo la somma di milioni di arguzie
(Witze), la raccolta delle pointe di milioni di aneddoti, la storia dei
quali andata perduta. A questo riguardo dobbiamo pensare che gli
uomini del periodo della creazione del linguaggio fossero pi divertenti
(488) degli attuali buffoni che vivono delle loro arguzie. Si potrebbe
persino sostenere in generale che luomo tanto pi arguto, quanto
pi ignorante, il che non contraddice certo lessenza dellarguzia.
Larguzia scorge somiglianze lontane. Le somiglianze vicine si possono
ssare subito con concetti o parole. Il mutamento semantico consiste
nella conquista di queste parole, nellestensione metaforica o arguta del
concetto alle somiglianze pi lontane. E queste pi lontane somiglian-
ze colpiscono, si sa, piuttosto lestraneo che il conoscitore. Leuropeo
trova simili tra loro tutti i cinesi, il cittadino tutte le mucche, lestraneo
tutti i membri di una famiglia. Lignoranza rende spassoso (witzig). La
non conoscenza trova velocemente le somiglianze. Ne ho esperienza
anche in me stesso: mi colpiscono somiglianze nelle melodie in cui il
musicista sa che sono stato ingannato dalla casuale somiglianza di due
toni collegati.
Non mi si torni a dire che ogni singola arguzia, ogni singola me-
tafora stata necessaria nella storia del mutamento semantico, perch
quindi devesserci sotto una legge. Anche il corso di un ruscello neces-
sario nel senso che ogni pi piccola goccia dacqua obbedisce alla legge
di gravit e quindi il ruscello, la somma delle sue gocce, deve seguire
questo corso e nessun altro. Si pu pur sempre denire secondo legge
la gravit, ma il corso del ruscello rimane casuale, proprio in relazione
alla forza di gravit. Mi devo guardare continuamente dal confondere
la necessit con la legalit. E la storia del mutamento semantico anche
molto pi irregolare: essa somiglia piuttosto alla gura che lacqua ver-
sata disegna su una tavola. Anche in questo caso ogni goccia obbedisce
alla legge di gravit, ciononostante la gura casuale.
E se riettiamo su quale enorme mutamento semantico sia presente
nelle parti del discorso non indipendenti, per esempio nelle essioni
e nelle preposizioni, con quale audacia metaforica la nostra forma del
genitivo o la nostra preposizione in designa, tastando attorno a s,
112
le relazioni pi distanti, (489) riconosceremo allora, anche a partire
da qui, la casualit non solo della materia della lingua, ma anche della
forma della lingua.
Ampliamento metaforico Secondo il nostro modo di esprimerci il
mutamento semantico delle parole riguarda molto spesso solo lam-
pliamento dei concetti. Solo nel suo risultato ultimo chiamiamo infat-
ti il restringimento un mutamento; il processo stesso la perdita di
un gruppo di altri signicati. Lampliamento per consiste di regola
nellapplicazione metaforica, nella limitazione di un nuovo contenuto.
Questo rapporto diventa molto chiaro in una parola relativamente nuo-
va come ala. Il signicato dellala come ala di uccello (propriamente
non cos semplice dal punto di vista etimologico) presente a noi tutti;
non quindi per niente difcile mostrare al mugnaio che parla delle ali
del suo mulino a vento, allufciale che parla delle ali della sua armata,
al signore che parla delle ali del suo castello, che si intende in senso
metaforico la parte laterale del mulino, dellarmata, della casa, come
unala di uccello la parte laterale del corpo delluccello. Anche una
mente semplice arriver da s a comprendere che Flgel (ala, piano-
forte a coda) ha ricevuto il suo nome dalla somiglianza con unala di
uccello triangolare e arcuata.
In connessione con ampliamenti di questo tipo succede poi che
venga affermato solo lambito che stato conquistato e che il possesso
antico vada perduto, dove poi quando la connessione non chiara
sembra esserci un puro mutamento semantico senza ampliamento.
In francese e in italiano lespressione antica per Kopf (capo, chef)
diventata cos abituale nel suo signicato metaforico di guida, che
quella originaria andata perduta; e tralasciando quanti miseri anni
prima lo stesso signicato originario possa essere stato una metafora.
Lo sostitu testa, tte, cos come Topf (pentola), il che era per una
metafora molto comune, nch non diventata cos generale che ha
cessato di essere comune. In tedesco non molto diverso. (488) Haupt
(s, certo un prestito dal latino caput, nonostante la sua formazione
anomala) viene usato per testa quasi solo da rimatori senza gusto. Kopf
di nuovo una pura metafora, certo per la somiglianza del cranio con
una coppa (lat. cuppa). Se Kopf dovesse lentamente restringersi, in una
nuova metafora, al signicato di intelletto, potrebbe forse venire in
auge (come pentola e coppa) una delle parole ora gi popolari o solo
gergali come zucca, melone ecc., per designare la parte pi nobile del
corpo. In svedese testa si dice panna, pentola.
Il mutamento semantico per ampliamento del concetto porta anche
a un fenomeno che i linguisti e i profani hanno spesso gi notato, senza
che se ne sia riconosciuto il suo carattere metaforico. Si detto spesso
che il signicato delle parole sbiadisce, che esse perdono la loro precisa
denizione e quindi il loro antico valore proprio come la moneta
113
spicciola. Certo, con ci esse ampliano di solito il loro concetto, il loro
ambito di validit; in questo modo divengono per solo pi utilizzabili,
non di maggior valore. Gli esempi sono quasi superui; per lo pi si cer-
ca lorigine di gene e del tedesco sich genieren (imbarazzarsi) nellebraico
Gehenna (inferno) passando attraverso le pene dellinferno e il martirio
per arrivare alla costrizione e al disturbo, no allinsignicante imbaraz-
zo, che per noi il signicato di questa parola straniera. Labitudine di
certe cerchie di applicare a banalit ora questa ora quella parola enorme
offre esempi meno convincenti, ma pi quotidiani; cos vengono a galla
improvvisamente parole come gigantesco, colossale, spaventoso, dette a
proposito delle cose pi ridicole, per scomparire subito di nuovo da
questo gergo e far posto ad altre novit. Non sempre scompaiono. La
nostra parola di comodo sehr (molto) si formata allo stesso modo.
Si formata da una parola che signicava doloroso, veemente, violento
e va confrontata con linglese sore. Nel dialetto viene usato cos arg
(originariamente: cattivo, di poco valore) nel senso di sehr. []
Le metafore vanno e vengono (495) Si pu dire che il mutamento
semantico delle parole non compiuto ntanto che luso metaforico
avvertito come tale. Luso metaforico solo limpalcatura per la nuova
costruzione. questo oscillare della nostra memoria tra uso conscio e
inconscio di metafore a fare una grande differenza tra buoni e cattivi
scrittori, tra poeti e non poeti, e si pu dire che nellenorme costru-
zione della memoria umana, come si presenta in ci che chiamiamo
astrattamente la lingua di un popolo, si pu sempre solo abitare in un
luogo di conne. Dietro di noi rovine, davanti a noi costruzioni nuo-
ve, con noi la casa in cui dimoriamo; dietro di noi una lingua morta,
davanti a noi il sentore di nuovi concetti, con noi un ondeggiare e
un intrecciarsi (ein Wogen und Weben) di metafore, che stanno per
diventare parole senza senso e quindi utilizzabili. Se facciamo bene
attenzione, in molti ambiti linguistici si fanno ancora sentire le tracce
di antiche metafore. Non si pu pi risvegliare la metafora nelle forme
pure delle parole, nelle sillabe di derivazione, la si pu tuttal pi anco-
ra dimostrare. In parole come il latino: amabo (forse: ama-fuo), gotico:
habaida (haben tat ich), francese: dirai (dire-ai) la composizione di due
parole la si pu ancora rintracciare storicamente; ma il cammino sul
quale questi concetti, certo in un primo tempo grossolani, dellesser
fatto, del fare, dellavere si avvicinavano, in una qualche ardita
iperbole, ai verbi, il cammino sul quale queste parole si univano alla
rappresentazione di un concetto temporale, persero la loro intuibilit,
persero il tratto iperbolico, il cammino sul quale poi la parola, diven-
tata un semplice strumento, fu imitata analogicamente, nch essa n
come sillaba formale grammaticale e mor, questo cammino non lo si
pu pi ricostruire; si pu solo profetizzare che queste parole, una vol-
ta in ore, dopo aver percorso un tale mutamento semantico, in futuro
114
spariranno dalla lingua, come le desinenze latine sono scomparse dal
francese, quelle germaniche dallinglese, a parte alcuni residui; poi le
lingue avranno bisogno di nuove forme e parole che un tempo erano
in ore deperiranno in questa loro funzione. Succede con le parole
come con le generazioni degli uomini: qui e l si estinguono delle fa-
miglie, ma la stirpe umana diventa sempre pi grande; infatti da ogni
parte emergono nuove stirpi e nuovi individui, e proprio ci che vale
per le parole pi forti che nullichiamo usandole come desinenze, vale
anche per il diverso impiego formale delle parole.
Nel tedesco andata perduta la declinazione antica, non in modo
cos completo come nellinglese e nel francese, certo per in maniera
abbastanza rilevante. Al posto delle antiche forme dei casi dovettero
entrare in uso nuove preposizioni, e dovettero prestarsi a questo parole
sature. Anche qui ondeggia e si intreccia nella lingua una confusione
di utilizzo conscio e inconscio di tali parole. In dank o kraft (grazie a
questa legge, in forza di questa legge) si ha ancora coscienza delluso
gurato; in mit (con), durch (mediante) non pi da lungo tempo. Nes-
sun tedesco sente pi che lo strumento, per mezzo (durch) del quale,
con (mit) il quale viene compiuta unazione, sta in mezzo tra colui che
compie lazione e latto, che latto passa attraverso lo strumento, che
lo strumento sta nel mezzo. Il francese che usa puisque nel senso di
perch difcilmente ha la sensazione di ripetere cos una metafora che
cerca di rispondere alla domanda forse pi difcile di tutta la loso-
a, ponendo la successione nel tempo come una successione causale,
la sensazione (497) che in puisque (latino postquam) la congiunzione
temporale dopo che diventata il causale perch. A questo proposito
non dovremmo dimenticarci che il viennese fa sorridere il tedesco del
nord quando usa, come il francese, nachdem (dopo che) nel senso di
perch. Oltre a questo forse ci viene in mente che anche il nostro weil
non si formato in altro modo che come unantica trasformazione di
Weile, che altro non vuol dire che tempo, forse anche riposo.
Wippchen Lantica parola Wippchen (Hermann Paul la spiega con
Faxen, buffoneria), da quando fu chiamato cos il corrispondente di
guerra di un giornale umoristico, passata a designare gli accostamenti
ridicoli, preferiti nelle sue notizie, delle vignette di protesta.
Ci vuole molto spirito (Witz) ed esercizio per accumulare questo
tipo di scherzi. Stettenheim, il virtuoso del gioco di parole, ha perfe-
zionato questo passatempo, facendone la sua specialit, ma nelle sue
mani il gioco diventato quasi meccanico, cos che il suo seguace
Alexander Moszkowski nello stesso spirito riuscito a essere molto
pi incisivo. Lavorando in questo vasto campo, tutti e due avrebbero
per ragione di stupirsi che le loro allegre violazioni del linguaggio
ci aiutano a penetrare pi a fondo da un nuovo lato nellessenza del
linguaggio. Anche dei professori potrebbero stupirsene. Potrebbero.
115
Nessun linguaggio senza Wippchen A Stettenheim non sarebbe venuto
in mente di elaborare questa contraffazione e spingerla no in fondo,
se non lavesse trovata molto spesso in articoli considerati seri. Lironica
rubrica delle lettere del Kladderadatsch brulica di Wippchen, che
sono stati perpetrati inconsciamente da giornalisti frettolosi. Spesso an-
che dai migliori scrittori si pu sentir dire che nessuno sicuro di non
aver scritto qualche volta qualcosa di simile. Ma qui per me si tratta di
stabilire che piccoli Wippchen inconsci, che per questo possono anche
non avere un effetto comico e che quasi sempre vengono ignorati, sono
(498) fenomeni di ogni giorno; forse niremo addirittura con il dubita-
re che non sia possibile una lingua senza Wippchen nascosti.
Se consideriamo solo in generale il processo psicologico dal punto
di vista che ho esposto qui a proposito dello sviluppo del linguaggio
umano, questo triste risultato emerge subito logicamente e scienti-
camente. E se per questo dovessi dare a credere pi che persuadere,
potrei accontentarmi, come altri scrittori di libri, della logica e della
scienza. Sappiamo infatti che tutte le parole del nostro linguaggio sono
giunte al loro signicato mediante applicazione gurata. Ogni parola
ritorna ora naturalmente in ogni suo signicato a unaltra rappresenta-
zione gurata. Non si pu certo tralasciare il fatto che gi nellaccosta-
mento banale di due parole risulta una commistione di due immagini
divergenti. Prendiamo un esempio qualsiasi, pi semplice e meglio
. Se la parola del sanscrito per la nostra parola da esso derivata (?)
Tochter (glia) proviene davvero dalla rappresentazione di una mun-
gitrice (forse perch il compito di mungere spettava come privilegio
alla glia di casa), quando limmagine della mungitrice viveva ancora
nella coscienza della lingua, ci doveva essere un Wippchen ogni volta
che si diceva: la mungitrice fa il fuoco o ricama o partorisce. Con que-
sto tralascio del tutto il fatto che il far fuoco, il ricamare, il partorire
ritornino a loro volta ad altre rappresentazioni gurate. Certo oggi lo
dicono solo i lologi che la nostra Tochter (allo stesso modo lo slavo
dcera) era collegata un tempo con limmagine della mungitrice. Con
questo la possibilit di avvertire il Wippchen scomparsa. Ma non
si pu negare allora che dietro a quasi tutte le connessioni di parole
della lingua siano nascosti questi antichissimi Wippchen. Addirittura si
deve ritenere un caso pi raro se capita che le immagini di due parole
collegate combacino. Come se ad esempio quando qualcuno dice che
la Tochter (499) gli ha dato da bere del latte. Eppure mi si deve con-
cedere che nella frase c qualcosa che suona originario, patriarcale.
Linsieme dellimmagine ha qualcosa di intimamente vero.
Contaminazione I cultori della scienza del linguaggio non si stupiran-
no di apprendere di essere stati loro a formulare la teoria dei Wippchen
quando applicarono a certe formazioni linguistiche basate sullerrore
lespressione dotta contaminazione. Contaminazione signica propria-
116
mente contagio. Nella linguistica, spiega Hermann Paul, la contami-
nazione il processo per cui due forme di espressione sinonimiche
si introducono contemporaneamente nella coscienza, cos che nessuna
delle due si realizza in modo puro, ma si costituisce una nuova forma,
nella quale si mescolano elementi delluna con quelli dellaltra.
1
[Gli ultimi nove anni sono quelli della stesura dellopera, ma il numero nove sembra
contenere anche suggestioni sacre, Cfr. Ludger Lktenhaus, Einleitung des Herausgeber, B
I, p. IX, n. 1]
2
[Sta rispondendo alle critiche di incompetenza.]
3
[Dem Volke aufs Maul sehen knnen, lespressione di Lutero e riguarda i criteri
per la traduzione della Bibbia.]
4
[1896.]
5
[Baruch Spinoza, Tractatus theologico-politicus, Hamburgi, apud Henricum Khnrat,
1670, p. 217.]
6
[Ivi, p. 34.]
7
[Elmo.]
8
[Platz, luogo, posto, diventa posto a sedere in Platzkarte, biglietto di prenotazione.]
9
[Per Hamburg ci vogliono quattro ore]
10
[Buone quattro ore n su.]
11
[Imperfetto di backen, cuocere al forno.]
12
[Imperfetto di trinken, bere.]
13
[Cavallo.]
14
[Vedere e andare.]
15
[William Dwight Whitney, Die Sprachwissenschaft: Vorlesungen ber vergleichende Sprach-
forschung, bearb. u. erw. von Julius Jolly, Ackermann, Mnchen 1874 (Olms, Hildesheim - New
York 1974)].
16
[Friedrich Max Mller, Einleitung in die vergleichende Religionswissenschaft, Trbner,
Strassburg 1874.]
17
[Gemeinsamkeit = comunanza, Gemeinheit = volgarit: gemein = comune, volgare.]
18
[In tedesco Ladenschwung sinonimo di Ladenschwengel, garzone.]
19
[Lettera dell8 agosto.]
20
[Unding si usa in tedesco anche nel senso: non cosa, una follia, una chimera.]
21
[Baruch Spinoza, Tractatus theologico-politicus, cit., p. 16.]
22
[Settimanale satirico berlinese, 1848-1944.]
23
[Diversa la rappresentazione per la parola tedesca: Sugetier, animale che succhia, viene
allattato.]
24
[Theodor Vischer, Aesthetik oder Wissenschaft des Schnen, Mcken, Reutlingen-Leipzig
1846-1858 (Georg Olms Verlag, Hildesheim - Zrich - New York 1996, III, p. 108).]
25
[Jean Paul Richter, Vorschule der Aesthetik, in Smtliche Werke, Abt. I, V Bd., hg. von
Norbert Miller, Hanser, Mnchen 1963, p. 184.]
26
[Johann Georg Hamann, Aesthetica in nuce, in Smtliche Werke, Verlag Herder, Wien,
II, p. 197.]
27
[Verlag von Max Niemeyer, Halle, 1911.]
28
[Theodor Vischer, Aesthetik oder Wissenschaft des Schnen, cit., VI, p. 75).]
29
[Salomon Maimon, Lebensgeschichte, hg. von Karl Philipp Moritz, II, Vieweg, Berlin
1793.]
117
Dizionario di Filosoa
(voci dal Wrterbuch der Philosophie)
Signicato (Bedeutung)
(W I, 146) Non pot sfuggire allattenzione dei grammatici che le
parole della loro disciplina, le parole della lingua ordinaria hanno un
contenuto, un senso, un signicato; allo stesso modo non pot sfuggire
allattenzione dei logici che il contenuto dei loro concetti e i signicati
delle loro proposizioni sono legati al linguaggio umano. La conseguen-
za delluna e dellaltra attenzione fu che davvero presto comparve la
distinzione tra la parola (la proposizione) e il suo signicato. Come tra
il parlare e il pensare. Questa era una distinzione morta, una proce-
dura anatomica, nch non si not esplicitamente che anche la parola
viva ha un signicato.
Le parole morte si trovano soltanto sul tavolo anatomico degli stu-
diosi di etimologia e nei dizionari. Poi anche nei cattivi libri. Nella
lingua viva non si pu staccare la parola dal suo signicato come non
si pu staccare un organismo dalla sua anima; chi si accorgesse che
proprio non esiste unanima particolare al di fuori della lingua, sarebbe
propenso a denire il signicato lanima delle parole.
Una parola che non avesse signicato non sarebbe una parola del
linguaggio, come la maggior parte delle parole di un papagallo non
sono ancora parole del linguaggio.
Ora, ogni lettore avveduto di dizionari deve essersi accorto che in
un lungo articolo di un dizionario serio si trovano molti signicati della
parola, ma non si trova mai il signicato; quanto pi un dizionario
piccolo e misero, tanto pi si limita a indicare in modo falso e fuor-
viante ununica traduzione, il signicato. (147) Lo sforzo di rendere
ogni parola di una lingua con una parola dellaltra che un errore
evidente negli strumenti pi miseri impiegati per lapprendimento o
per luso pratico di una lingua straniera, e che nei viaggi in paesi stra-
nieri diventa la fonte di confusioni innite e spesso spassose proprio
questo sforzo era no a poco tempo fa lideale dei lessici losoci e in
generale delluso losoco delle parole. Ladepto della losoa incap-
pava a ogni passo, durante il suo viaggio nel paese straniero del pen-
siero astratto, in parole straniere e ne cercava la spiegazione dapprima
in un dizionario delle parole straniere della losoa; qui imparava velo-
118
cemente in modo sicuro il signicato di tutti i termini tecnici losoci.
Man mano che invecchiava, quanto pi diligentemente si dedicava alla
storia della losoa, leggendo cio le opere originali dei pensatori pi
signicativi di tutti i tempi, gli doveva diventare sempre pi chiaro
che i termini tecnici della losoa (accanto alle loro traduzioni e so-
stituzioni) non hanno un unico vero, immutabile signicato, che non
c proprio il signicato accanto ai signicati. I dizionari losoci pi
nuovi, quello tedesco di Eisler e quello inglese di Baldwin e qui vor-
rei ringraziare tutti e due per le innumerevoli indicazioni bibliograche
hanno compreso che si pu conoscere il signicato di un termine
solo dalla storia del termine, e arricchiscono questa storia reperendo
materiali dovunque; invero tutti e due i lessici si preoccupano troppo
spesso di ssare oltre a ci anche il signicato, come se ci fosse ancora
una volta un qualche concetto al di fuori della sua storia. Quello che
si pu notare a proposito del signicato attuale della parola lo si pu
denire solo peu prs, tracciando una linea risultante dalle direzioni
presenti, in lotta tra loro, e decidendo di attenersi a questa risultante
per la concezione del mondo del presente o perno per la concezione
del mondo denitiva; anche il signicato attuale di tutte le parole
divenuto storicamente. Il dizionario della losoa, che non ha osato
chiamarsi un dizionario losoco, pu aggiungere a ogni saggio di una
storia della parola (148) anche una critica al signicato del momento
o ai signicati in conitto.
Da questo si vede che cosa si ottiene quando nelle pi moderne
esposizioni della logica il discorso verte su un signicato in s, su un
signicato obiettivo-ideale (Husserl). Ma a dire il vero anche qui vi
al fondo una differenza che, se fosse stata chiara, avrebbe dovuto
metter ne allinutile ricerca del signicato. Penso alla differenza tra
concetto e signicato.
Di una parola si pu dire cha ha signicato; come si pu dire di
una cosa che ha delle propriet, anche se la cosa non nulla al di
fuori e accanto alle sue propriet. Cos anche la parola non pi una
possibile parte costitutiva del linguaggio se le si toglie il suo signicato.
Il signicato pu essere giusto oppure sbagliato, chiaro oppure oscu-
ro, usuale oppure occasionale, preso in generale oppure limitato a un
ambito ristretto, pu appartenere al linguaggio comune o del mestiere:
il signicato appartiene sempre indissolubilmente alla parola e nella
psicologia reale del pensiero non lo si pu separare dalla parola. Il
signicato un puro concetto psicologico.
Il concetto ha un signicato solo nella logica. Non corretto dire:
la parola ha un concetto. Il concetto non una propriet della parola,
invece la parola stessa, nel momento in cui con essa si eseguono delle
operazioni logiche.
Non saprei dire chi abbia coniato per primo la parola tedesca Be-
deutung (signicato) in questo senso psicologico; quando si dice che
119
qualcosa di irreale, ad esempio un sogno, bedeute (signichi) qualcosa
di reale, bisogna prima deuten (interpretare) il sogno perch esso abbia
un senso; cos bedeuten viene ancora usato molto spesso, e fu usato in
tempi pi antichi, per interpretare, per linterpretazione (Auslegen)
di parole della propria lingua in relazione a parole straniere o oscure
o equivoche. Per questa ragione sarebbe molto seducente derivare la
parola primitiva deuten, come la parola deutsch, dallantico alto te-
desco diot (popolo), (149) cos che deuten potesse signicare: render
popolare, comprensibile. Deutsch era gi in gotico = pagano, popola-
resco; Lutero poteva tradurre ooo con undeutsch (non tedesco),
nel senso di undeutlich (non chiaro). (Nelle scuole ebraiche si usa
molto spesso, come ho avuto modo di imparare, la domanda: Was
ist taitsch? nel senso di che cosa signica?) Se si considera per
originale il signicato attuale di deuten, cio indicare, dare un segno,
orixvuvoi, allora Bedeutung potrebbe (non posso dimostrarlo) essere
unantica traduzione di connotatio, parola usuale nel Medioevo e di-
venuta di recente un termine inglese con Mill. Non giusto tradurre
linglese connotation con il tedesco Mitbezeichnung (connotazione) o
Nebenbedeutung (signicato secondario); il sufsso be (antico alto te-
desco bi = nuovo alto tedesco bei) in Bezeichnung (designazione), in
Bedeutung rende gi sufcientemente il sufsso latino con e lo ha gi
tradotto; connotation nel senso di Mill vuole esprimere propriamente
solo il contenuto semantico di una parola, ma, accanto a questo, anche
il contenuto in opposizione al contesto logico; non ci dobbiamo pi
preoccupare di ci che, con meticolosa distinzione, esprimeva conno-
tatio nelluso linguistico degli scolastici.
Sul mutamento semantico ho gi parlato esaurientemente (B II, pp.
248ss.); sarebbero ora da confrontare i Prinzipien der Sprachgeschichte
di Paul (terza edizione, p. 67
1
) e lEssai de Smantique di Bral. Tutti
e due questi ricercatori si erano evidentemente stancati di indagare
oltre sul mutamento fonico secondo presunte leggi; Bral esprime que-
sta sensazione in maniera graziosa nelle Ide de ce travail: Si lon se
born aux changements des voyelles et des consonnes, on rduit cette
tude aux proportions dune branche secondaire de lacoustique et de
la physiologie; si lon se contente dnumrer les pertes subies par le
mcanisme grammatical, on donne lillusion dun dice qui tombe en
ruines
2
. Il pi rigoroso Paul, che non possiede orecchio meno ne
dello studioso francese per la forma interna della lingua, tiene in mag-
gior conto il contesto delle scienze in questione, si accontenta anche
della designazione tradizionale del mutamento semantico; io non oso
decidere se sia meglio che la nuova disciplina (150) debba chiamarsi
semantica o semasiologia; in qualsiasi modo la si chiami, la nuova di-
sciplina, pi feconda della teoria del mutamento fonico, potrebbe dare
i contributi pi validi alla storia del pensiero umano.
La teoria inglese del signicato (signics) non davvero molto lon-
120
tana dalla critica del linguaggio. Distingue con precisione tra signicato
usuale (luso linguistico dominante), signicato individuale (lintenzione
del parlante o dello scrittore nelluso di una parola) e il signicato
del valore di una rappresentazione. In questultimo senso bedeutend
stata una parola molto amata dallultimo Goethe; gi Jacob Grimm ha
registrato con amore e delicatezza questo uso individuale: Goethe usa
la parola troppo spesso, come se essa non fosse passata dalla rappre-
sentazione pi vivace di colui che ti adora, di colui che ti fa presagire,
senza che tu te ne renda conto, anche senza esagerare, in quella pi
astratta di ci importante, decisivo, eccezionale, grande
3
; e Grimm
nota gi che nel linguaggio comune unbedeutend (= insigniant) pre-
cede questo bedeutend (signicans).
Coscienza (Bewusstsein)
(174) Il sostantivo coscienza non esprime proprio nullaltro che
la somma di quelle attivit interne che con unaltra parola chiamiamo
la nostra vita spirituale. Ci sono parole-somma (Summenworte), come
appunto vita, che hanno diritto di esistenza nel linguaggio scientico;
a queste parole utilizzabili non appartiene coscienza, e io cercher
di mostrare il difetto del concetto di coscienza che lo differenzia dal
concetto di vita. Ora la parola coscienza ancora pi inutilizzabile di
altre parole-somma sostantive dello stesso tipo, poich il suo contenuto
coincide del tutto con quello di altre parole, dalle quali la superstizione
della parola degli psicologi vorrebbe di nuovo distinguerla. talmente
chiaro che da circa centanni nel linguaggio comune si dice spirito,
spirituale l dove la scienza parla di espressioni della coscienza. Meno
chiaro purtroppo che anche i concetti di io, memoria, linguag-
gio sono solo sinonimi di coscienza. Se per il sentimento dellio
unillusione, se il sentimento dellio solo il sentimento vissuto di aver
ricordi, sentimento che noi chiamiamo individuale, perch non c un
altro tipo di ricordi, se detto altrimenti lenigma della personalit
tuttuno con lenigma della memoria; se inoltre la nostra vita, diciamo,
animale, il nostro corpo ereditato e le sue funzioni, sono tuttuno con
la memoria degli organismi; se inne la nostra vita spirituale o il nostro
linguaggio sono tuttuno con i ricordi ereditati del nostro popolo e di
nuovo dellumanit: con ci lidenticazione di coscienza e memoria,
personalit e linguaggio non invero dimostrata logicamente; tuttavia
questa idea inusuale si avvicina alla spiegazione.
Anche senza ricondurre la coscienza allattivit della memoria, la
parola coscienza dopo pi di duemila anni di servizio (la sua storia
(175) va dai neoplatonici n oltre Wolff, che coni il termine tedesco)
in procinto di essere licenziata; la nuova psicologia non la ama e
non trova pi alcuna differenza tra cosciente e psichico; solo gli
herbartiani, e agli herbartiani appartiene anche Wundt, si trascinano
ancora avanti con la parola divenuta superua e si danno pena di ri-
121
empire la vecchia forma linguistica con nuove rappresentazioni. Cos
arrangiata, essa nita nella raccolta dei concetti losoci dismessi
come un animale imbalsamato: paglia nella pelle graziosa.
Mi si potrebbe obiettare: se coscienza vuol dire lo stesso che vita
spirituale o psichica, e se questa vita interna, o come altro la si voglia
chiamare, anche una realt, anzi persino la realt pi certa e forse
lunica, il modo di dirla non importa e si potrebbe lasciare in vita la
parola antica, ripulita dalla polvere scolastica. Ma vita spirituale
evidentemente unespressione gurata e d una falsa immagine della
rappresentazione. La falsit invero, che si nasconde in tutti questi so-
stantivi astratti, comune al concetto di vita e di coscienza: non c
una vita, unaltra volta, accanto alle espressioni della vita, non c una
coscienza, unaltra volta, accanto agli atti della coscienza. Tutti i so-
stantivi astratti danno lillusione a un critico del linguaggio, che fosse
giovane e forte abbastanza, di poter spazzar via con una scopa di ferro
i sostantivi astratti in una grande riforma del linguaggio. I sostantivi
concreti dovremo ben tenerceli nch vogliamo conservare il credo
mistico nella realt dellamato mondo.
Cosa (Ding)
(295) Abbiamo imparato a riconoscere che la totalit delle cose,
che la si sia chiamata materia (Materie) o anche sostanza (Stoff), una
rappresentazione o, con altro termine, unastrazione (Gedankending).
Quello che noi chiamiamo materia un determinato complesso di
sensazioni conforme a leggi (Mach). Non cos semplice riconosce-
re che questa critica del concetto generale di sostanza vale anche per
quella che viene comunemente chiamata cosa (Ding), una singola cosa,
un oggetto, una cosa (Sache). Verremo a sapere ancor pi precisamente
che Ding e Sache sono due calchi che provengono dalluso giuridico dei
Latini e in origine signicavano loggetto controverso di un processo,
che al contrario Gegenstand un calco di obstantia (objectivum), che
proviene dalla losoa e che, nel suo signicato, gi (296) alludeva
in modo oscuro a questioni di teoria del conoscere: Gegenstand ci
che sta di fronte allio, la rappresentazione del quale deriva insieme da
qualcosa di esterno alla ragione umana e dallimpiego della ragione.
Tutte queste espressioni vengono usate nel linguaggio comune senza
particolari distinzioni per le singolarit del reale, per le piccole e grandi
realt, per le quali il realismo ingenuo nemmeno cerca una spiegazione,
ma che di una spiegazione hanno davvero molto bisogno. Poich tutte
queste cose non sono invero reali, sono piuttosto le cause di una met
del nostro mondo reale, quello esterno. Una mela non che la causa
delle sensazioni: rotondo, rosso, dolce, ecc.; e non c una seconda
volta accanto alle sensazioni, delle quali causa; non c poi unaltra
volta ancora. In questo senso tutte le cose sono soltanto astrazioni,
soltanto rappresentazioni. E qui ci si deve guardare dallo scambiare
122
rappresentazione (Vorstellung) e apparenza (Erscheinung). Apparenze
(nel senso di Berkeley e Kant) sono anche le sensazioni aggettive date
immediatamente; queste per non sono astrazioni, non rappresentazio-
ni; esse sono s gi in qualche modo elaborate dallapparato centrale del
nostro cervello, nel momento in cui arrivano alla coscienza, ma le sen-
sazioni non sono ancora elaborate dalla ragione o dal linguaggio, non
sono ancora astrazioni o rappresentazioni, come lo sono le cose. Non
sappiamo dire delle cose pi di questo, che cio tutte le cose sono solo
astrazioni. La teoria del conoscere, che applica alle cose la proposizione
di Mach: quello che chiamiamo una cosa un determinato complesso,
conforme a leggi, di sensazioni connesse tra loro, si distingue solo per
un particolare dal realismo ingenuo che crede di percepire sensibilmen-
te proprio le cose, solo per questo: che essa vede un problema dove
il cosiddetto sano buonsenso non vede nulla e non cerca nulla. Tutti
gli enigmi dei concetti di causa, sostanza, legge, unit si nascondono
dietro il fatto che si costretti ad assumere un determinato complesso
conforme a legge (297) che i nostri sensi non rivelano e che per questo
apre la strada alla seduzione del sensismo.
Kant, e ancor pi chiaramente i neokantiani, hanno indagato il rap-
porto tra le sensazioni e le loro cause, il rapporto tra il mondo agget-
tivo e il mondo causale o verbale; i neokantiani hanno conservato la
terminologia di Kant e, in maniera completamente sbagliata, chiamano
cose in s le cause della sensazione aggettiva; recentemente credono
di aver riconosciuto le vere cose in s nelle energie. Le energie per
non sono affatto cose, anche se sono oggetti del pensiero. Le cose
appartengono al mondo sostantivo, anche se sono tutte solo astrazio-
ni. Mi pare allora e da qui vorrei prendere le mosse che, secondo
questa concezione, non abbia nessun senso che qualcuno si interroghi
sulla cosa in s dellastrazione; sarebbe come se si volesse decidere di
designare proprio le sensazioni aggettive come cose in s relative delle
astrazioni sostantive, il che abbastanza paradossale.
Ovviamente non intendo per astrazioni degli pseudoconcetti; infatti
questi (strega, miracolo) si segnalano per il fatto che a loro nel mondo
sensibile non corrisponde nulla. Allidea che tutte le cose siano solo
astrazioni ci si abitua meglio con concetti come: ombra, amma, vento,
tuono. Il tuono non esiste una seconda volta, sostantivamente, accanto
alle nostre sensazioni di tuono; la amma non esiste una seconda volta,
oltre e accanto agli effetti, come causa dei quali noi la proiettiamo, la
ipostatizziamo o come dir si voglia; esattamente allo stesso modo la
mela non c due volte, una volta nel mondo aggettivo e una volta in
quello sostantivo. Noi sorridiamo con superiorit del bambino, cui era
stato promesso un viaggio, il quale lontano da casa, dopo aver visto
nuove montagne e laghi e boschi, chiede: allora ma dov il viag-
gio?. Noi siamo infantili allo stesso modo quando chiediamo al sico:
allora ma dov la mela, la mela in s? La mela accanto (298) e al di
123
fuori delle sue qualit? Pretendiamo due volte la mela che la natura
nonostante la sua onnipotenza ci pu dare soltanto una volta.
Cos arrivo a un nuovo paradosso, che per pu sembrare qualcosa
di strano solo dal punto di vista del realismo ingenuo, non invece se-
condo la concezione del mondo che ha imparato qualcosa da Hume: le
nostre rappresentazioni di unastrazione (di un ens rationis) sono molto
pi chiare delle nostre rappresentazioni di una cosa corporea. Ho detto
pocanzi che le nostre impressioni sensibili sono le cose in s relative,
che non ha nessun senso cercare ancora una volta e in aggiunta cose in
s dietro le cose reali, e dover credere alla loro esistenza. Ho chiamato
cose in s relative le sensazioni; qualcosa di assoluto non c.
Tutte le cose corporee o i corpi sono appunto gi rappresentazioni.
Soltanto che le astrazioni non ci inducono dapprima a cercare dietro
di esse una seconda esistenza, mentre i corpi danno sempre di nuovo
adito a questa doppia visione, non appena riutiamo di accontentarci
del sensismo. E questo non lo possiamo evitare, perch lassunzione
di un mondo reale dietro le impressioni sensibili un istinto dellin-
telletto umano.
la stessa difcolt che si presenta per il sentimento dellio, che
crede esserci, accanto e al di fuori della catena continua dei nostri
vissuti, ancora un io a parte che tiene insieme questa catena. Proprio la
stessa difcolt. La durata per noi il contrassegno dellio. La durata
per noi il contrassegno delle cose. Inconsciamente, spinti da un istinto,
poniamo un io qualsiasi nelle cose; introiezione la si chiamata; ne era
a conoscenza gi Hume, molto prima che Avenarius coniasse questa
brutta parola. Lidea stata espressa nel modo migliore da Mach (Er-
kenntnis und Irrtum, p. 15
4
); egli considera la cosa e lio problemi
ttizi: rimane il fatto che non esiste, in senso stretto, una cosa isolata.
Solo se si considerano in modo preferenziale dipendenze pi forti e
vistose, e si trascurano (299) quelle pi deboli, che si notano meno,
ci consentita, a un livello provvisorio di indagine, la nzione di cose
isolate. Anche lantitesi tra io e mondo si basa sulla stessa distinzione
in gradi delle differenze. Non c un io isolato, come non c una cosa
isolata. Cosa e io sono nzioni provvisorie dello stesso tipo.
Unit (Einheit)
(360) Nella mia Kritik der Sprache (B III, p. 142 ss.) ho gi richia-
mato lattenzione sulle difcolt del concetto di unit. N le unit,
con le quali lo scolaro oggi crede di dover lavorare, n lunit logica
tra il concetto che sussume e quello sussunto, nemmeno inne lunit
psicologica della cosiddetta autocoscienza, (361) sono cos semplici
da denire, come credono gli scolari, i logici e gli psicologi; e queste
applicazioni della parola si lasciano ancor meno chiaramente inquadra-
re in un unico concetto di unit. (Nel suo piccolo scritto Rge einer
merkwrdigen Sprachverwirrung unter den Weltweisen, 1809
5
, Carl Le-
124
onhard Reinhold ha richiamato lattenzione sulla confusione tra unit e
connessione [Zusammenhang] negli epigoni di Kant, ma senza interesse
per la storia delle parole e nel suo tipico modo incerto di andare a
tastoni). In tedesco Einheit, per quanto possa suonare sorprendente,
entrata nelluso comune solo nel XVIII secolo. Adelung la considera an-
cora come un neologismo del tutto inusuale: La propriet per cui una
cosa una; la propriet per cui una cosa in determinate circostanze
rimane la stessa; la propriet per cui pi cose [] costituiscono solo
uno e proprio lo stesso essere (Trinit); la propriet per cui una cosa
indivisibile (monas). Si deve qui notare che cosa andato perso
per il nostro senso della lingua: una propriet; soltanto nel contare,
secondo Adelung, lunit designa la cosa stessa, ntanto che essa
una; poi, come cosa, essa ha un plurale. Adelung non conosce ancora
le unit plurali, per es., nel dramma le unit di luogo ecc. Unit, un
sostantivo dei nuovi loso, ricavato dal numerale uno, che esprime
il latino unitas
6
. Quindi Adelung sentiva ancora in Einheit il calco
di unitas. Dei tentativi pi antichi di rendere unitas con una radice
e un sufsso tedeschi, nella lingua rimasto solo Einigkeit (unit),
ma non nel senso di Einstimmgkeit (accordo), ma nel termine tecnico
Dreieingkeit (trinit). Cos la lingua conservatrice della fede pu dire
ancor oggi per lUno o lunico Dio der einige Gott.
Einigkeit era un modo di aggirare il problema, propriamente un
calco di una unicitas non pi esistente; poich Einigkeit connette il
sufsso keit (derivato da heit) a ein trasfomato nellaggettivo einig,
cos che il suono k deriva due volte dalla sillaba nale -ig. I nuovi
loso di Adelung (362) erano Leibniz e Wolff. Leibniz fu colui che
per primo us la parola Einheit per unit e la parola monadi per le
sue Einheiten. Il neologismo Einheit passato dal tedesco con lieve
modica allolandese, allo svedese e al danese e, almeno nellolandese,
viene sentito come germanismo.
Che Einheit sia un calco di unitas per il mio lettore non occorre
dirlo e nemmeno dimostrarlo. Che il latino unitas fosse un calco del
greco ovo , suoner ancora pi strano, eppure essenziale alla parola
latina e alla greca, come originariamente a quella tedesca, che essa si-
gnichi la propriet dellessere uno; non pu non dare nellocchio che
unitas fosse usato in senso metaforico per Einigkeit, non ancora ovo ;
che ovo designasse ancora lunit sul dado, unitas non pi. Una
proposizione come mundi, quae nunc partes sunt, aliquando unitas
fuit (Giustino, II, I, 14) esprime con parole latine uno stato danimo
greco. Spingendomi ancora pi in l, mi chiedo come i Greci siano
giunti al loro termine astratto ovo senza effettuare un calco. Riettia-
mo solo su questo: o vo non signica in greco uno (ri ), ma unico; in
ogni caso le due parole si convertono luna nellaltra: Platone dice ora
ovo ora rvo. Al tardo neoplatonismo non posso fare riferimento.
Lantico signicato di ovo, solo, solitario, che ritorna curiosamente
125
nelluso di Einigkeit in Kaisersberg, ha dato vita a unintera famiglia di
vocaboli (es. ovootg iov). In altre formazioni del greco ovo signica
sempre solo oppure unico. Fino a che non mi si indica il passo in cui
un pensatore greco ha formato, in modo autonomo e consapevole, a
partire da questo ovo con la sillaba nale -o, il concetto dellunit
matematica o logica, io continuo a credere al calco della parola greca
da una fonte orientale o egizia.
Prima di andare avanti o di tornare indietro, vorrei richiamare lat-
tenzione su come un certo senso della lingua poli-storico cooperi allin-
ternazionalit, s allintertemporalit (363) delle nostre scienze. C un
sistema losoco che si chiama dottrina delle monadi, perch tutto ci
che composto alla ne di un possibile processo di divisione viene
ricondotto alle parti semplici, dando a queste il nome di monadi. Nel
Medioevo si sarebbe giustamente potuto dire unit o unicit. Ma se
Leibniz, al posto di monadi, avesse detto unit (il che era assoluta-
mente lo stesso), ben difcilmente la dottrina che le unit siano semplici
avrebbe ottenuto tutta questa fama.
Littr indica dodici gruppi di signicato della parola unit; ma an-
che il suo acume positivistico naufraga davanti al compito di collegare
logicamente questi gruppi. (1) Lunit come elemento del numero, (2)
lunit che posta a fondamento del confronto di qualsivoglia grandez-
za sica, (3) le monadi semplici o sostanze di Leibniz, (4) gli atomi o le
molecole della chimica, (5) la propriet dellindiviso, che mette insieme
lunit di Dio e lunit ad esempio di una specie animale, (6) lunit
dellindividuo, (7) lunit del carattere, (8) le cosiddette tre unit di
Aristotele (le unit di azione, di luogo e di tempo, uno slogan che ha
dominato tanto a lungo nel dramma francese, che il plurale le tre
unit divenuto un concetto unitario quasi come i nostri dieci co-
mandamenti; Voltaire parla spesso delle tre unit); (9) lunit del tipo
nellanatomia comparata, (10) lunit della materia che sta alla base del
materialismo moderno, (11) lunit della malattia o dellimmagine della
malattia nella patologia; (12) la cosiddetta unit tattica dellarte della
guerra, il battaglione, lo squadrone e la batteria. Sarebbe una perdita
di tempo gi solo criticare lordinamento logico di questa analisi. Ma
gli esempi della prima sezione mostrano come sia potuta andare di
nuovo persa lantichissima e giusta idea di Euclide, che cio lunit o
luno sia il fondamento del contare, ma non esso stesso un numero.
Nientedimeno che Pascal, pensatore e matematico, dice (Geom. I
7
):
lunico motivo (363) per non attribuire lunit ai numeri questo:
Euclide e i primi aritmetici dovevano dare pi propriet che fossero
proprie a tutti i numeri, fuorch allunit; ora, per non dover ripetere
che tale e talaltra condizione di ogni numero, allinfuori dellunit, era
soddisfatta, esclusero piuttosto lunit dal concetto di numero, con la
libert, che ciascuno ha, di dare delle denizioni.
La causa del disordine che si presenta in quasi tutte le trattazioni
126
del concetto di unit sta nel fatto che il concetto di unit passa subito
da due scienze tra loro inconciliabili alluso linguistico generale o in
ogni caso superciale. Ed certo del tutto diverso se luso metaforico
del concetto di unit parte dallunit numerica della matematica o
dalla cosidetta unit dellautocoscienza, e quindi da una psicologia,
che farebbe del cosiddetto io il punto di partenza e la fonte di tutti gli
altri concetti di unit. A questo si aggiunge ancora la logica formale,
che vorrebbe ricondurre a un solo concetto le unit aritmetiche, cio
le unit di misura poste di volta in volta arbitrariamente, e le unit or-
ganiche, quindi le unit collegate, mediante un qualche io individuale
anche se sbiadito. Questo concetto presenterebbe lulteriore difcolt
di tener separati le parole o i concetti di unit e semplicit e in questo
caso non c possibilit di mettere ordine nelluso linguistico.
A meno che non ristabiliamo nel nostro uso linguistico o nel senso
interno della lingua quello che dal tempo di Adelung andato perduto:
il carattere qualitativo (Eigenschaftlichkeit) dellunit logica e concet-
tuale e il carattere non qualitativo (Nichteigenschaftlichkeit) dellunit
numerica. E qui scopriamo, forse con nostra sorpresa, che possiamo
afferrare facilmente e denire il concetto astratto di unit, che sem-
bra essere uno dei concetti pi generali e pi difcili, che persino gli
animali lo possono afferrare vagamente meglio del concetto di unit
numerico, luno, apparentemente cos infantilmente semplice.
Il concetto astratto di unit, che per primo stabilisce il concetto di
cosa (365) nel sostantivo, il concetto di ne nel verbo, la connessione
di causa ed effetto nella meccanica, capace di unestensione generale
cos vasta, da poter essere esteso a ogni numero o gruppo di numeri
maggiore. La data di oggi, 4.12.1907, la si pu comprendere come
unit; in questo senso 2, 3, ecc. sono unit. Questo concetto di unit
certo il mio cane non lo possiede. Ma lunit del concetto di cosa deve
essergli comprensibile, perch altrimenti non riconoscerebbe i singoli
uomini e le singole cose. Lui non pu pensare o scrivere in modo
discorsivo e scolastico con Leibniz ce qui nest pas vritablement
un tre, nest non plus vritablement un tre, ma per il mio cane io
sono primariamente un uomo, perch sono un uomo. Deve aver per-
cepito la mia astratta unit, mentre la mia unit numerica non riesce
a contarla.
Devo qui parzialmente correggere laffermazione che lunit non sia
ancora un numero e che il primo numero sia il due. Solo lunit astratta
che deve essere stata precedente a ogni contare, ovviamente a ogni
pensare o parlare, non ancora un numero; un numero diventa per
naturalmente lunit numerica, perch appartiene al sistema numerico,
ma solo dopo che un sistema numerico stato completato. Altrimenti
non potremmo contare con luno. Possiamo contare certamente anche
con lo zero e con il differenziale; ma lo zero e il differenziale scompaio-
no, devono scomparire di nuovo, prima di esprimere il risultato esatto;
127
luno rimane esatto nel risultato. 1+1 esattamente 2 (1+1 = 2), 1 =
1: lunit astratta giunge a espressione solo nella denominazione. Se
nellultima uguaglianza ho avuto in mente 1 cm, il risultato 1 cm

,
se pongo al suo posto 10 mm, devo calcolare 1 = 10 = 100 e 1

cm
= 100

mm. Voglio mostrare con un esempio, se possibile ancora pi
elementare, come si distinguano il concetto astratto di unit e quello
numerico. Se di notte sento il campanile battere luna o le cinque, vuol
dire che stato necessario lo sviluppo culturale di secoli perch io fossi
in grado di collegare al numero dei colpi (366) il concetto di questo
numero e quanto richiamano uno o cinque rintocchi; il sistema nume-
rico dovette prima essere diventato unabitudine meccanica, unabitu-
dine proprio dei bambini piccoli dei popoli acculturati, perch io possa
contare come uno il primo rintocco dopo la mezzanotte e collegargli la
rappresentazione corrispondente, e non bisogna nemmeno dimenticare
che la suddivisione del giorno in 24 ore, e poi la numerazione per due
volte da uno a dodici, un ulteriore accomodamento arbitrario. Si pu
ammaestrare un cane, un cavallo, a distinguere i colpi da uno a dodici;
ma gli animali non hanno il nostro sistema numerico, essi non sanno
che si pu andare avanti a contare cos, non hanno lunit numerica; a
prescindere del tutto dal fatto che sarebbe difcile far loro apprendere
le associazioni di pensiero del nostro confrontare le ore e sarebbe dif-
cile che essi potessero distinguere le otto di mattina dalle otto di sera.
Tuttavia il cane deve pur percepire lunit astratta di un colpo, perch
altrimenti non avrebbe percepito il colpo come un rumore individuale
che per esempio lo induce ad abbaiare. Potrei anche dire cos: la via
verso lunit numerica scende in basso a partire dai numeri pi alti; la
via dellunit astratta sale al sistema numerico. Il cane non possiede il
nostro sistema numerico e non pu mai raggiungere lunit numerica,
luno; il cane per possiede il concetto astratto di unit, lunit della
cosa, ma non raggiunge per questo il sistema numerico, perch ha pur
sempre meno capacit spirituali delluomo. E perch in origine stato
comunque un enorme passo avanti passare dallunit della cosa al con-
tare le cose. In breve: se noi poniamo lunit numerica, gi esercitiamo
(ben lontani dalleseguire il pi semplice atto di pensiero) unarte, la
scienza applicata dellaritmetica, il cui esercizio ci divenuto tanto abi-
tuale nel far di conto, come avviene da circa 600 anni, che riteniamo
scienza applicata lapplicazione dei concetti pi semplici.
(367) Ma non cos. E ora, alla ne, comprenderemo perch i
numeri non sono mai parole come le altre parole, perch i numeri
propriamente cadono fuori dallarchitettura della grammatica. I numeri
si collegano nel discorso ai sostantivi, come se fossero i loro aggettivi;
essi non hanno per niente a che fare con il mondo delle parole che
indicano delle qualit, con le Eigenschaftswrtern, come noi interpre-
tiamo in tedesco la categoria di aggettivo. Nella forma grammaticale e
anche nellapplicazione metaforica i pronomi possessivi e gli ordinali
128
rientrano grammaticalmente negli aggettivi. Il mio secondo fratello ag-
giunge al nome fratello due aggettivi che aiutano a determinare in
modo inequivocabile un individuo. Soggettivo mio tanto quanto un
aggettivo come buono; ancor pi soggettiva proprio la determinazio-
ne il secondo. Ma se dico io ho quattro fratelli, al mio giudizio soprag-
giunge immediatamente, forse in modo deittico, un nuovo elemento
reale, che altrettanto importante come un qualsiasi sostantivo, verbo
o aggettivo, ma che, nonostante questo, rimane senza forma in senso
grammaticale. Nella maggior parte delle lingue. Spesso solo i primi tre
numeri in tedesco no a circa 150 anni fa hanno la declinazione
del nome; al nominativo e allaccusativo (prima anche al genitivo e al
dativo) venivano persino distinti i tre generi: zween, zwo e zwei; solo a
partire da Adelung si imposta la forma del neutro, dopo che persino
Goethe e Schiller avevano scambiato le forme. Crederei che questo
carattere aggettivo dei primi numeri non derivi semplicemente dal fat-
to che vengono usati particolarmente spesso; forse ha contribuito la
formazione analogica del linguaggio infantile, forse la circostanza, che
si colloca a un livello pi profondo, che tutti i numeri molto piccoli si
possono percepire con uno sguardo, di colpo, senza contare, e quindi
i numeri molto piccoli possono essere afferrati senza usare laritmetica,
davvero quasi come aggettivi o come impressioni sensoriali.
Cos lanalisi grammaticale toglie senza misericordia il concetto
astratto di unit e quanto gli consegue nelle applicazioni logiche,
psicologiche (368) e metasiche dal concetto di unit numerica e
dopo una simile considerazione pu sembrare un caso che si possano
esprimere con la stessa parola le pi alte essenzialit di ogni genere
e il numero pi piccolo. Ma tutti e due i concetti si avvicinano nuo-
vamente quando tentiamo di forzare le categorie della grammatica.
Io ho sostenuto (cfr. in particolare B III, p. 94 ss.), e lo ritengo uno
dei risultati pi fruttuosi della critica del linguaggio, la tesi che lag-
gettivo, che Aristotele non poteva ancora registrare, la parte del
discorso originaria e iniziale (visto che abbiamo gi dovuto spezzetta-
re la lingua nelle parti del discorso), la tesi che tutti i dati dei nostri
organi di senso, quindi il fondamento di tutto ci che nel nostro
intelletto, quindi nel nostro pensiero, ha propriamente e del tutto in
senso proprio natura qualitativa, aggettivo. La realt naturale non si
preoccupa certo del linguaggio umano n tantomeno delle parti gram-
maticali del discorso; ma se potessimo comprendere la realt naturale
immeditamente senza parole, se possedessimo delle tenaglie adeguate
per questa comprensione, allora dovrebbero essere tenaglie aggettive.
Daltronde lintelletto umano si sforza da secoli di spiegare la realt
naturale, dal punto in cui deve sospendere la descrizione, con lipotesi
di unit innitamente piccole, uguali o disuguali. Appartiene allunit
gi presso gli scolastici il fatto di essere indivisibile, indivisibile nella
meccanica o nel pensiero. Ora, per me, da questo punto di vista, il
129
pi esterno, del tutto indifferente rappresentarsi queste unit come
cieche o vedenti, con o senza nestre, come monadi o come atomi;
nella storia della losoa di fatto lottano da millenni la dottrina delle
monadi e la dottrina atomistica, senza che mai un pensatore abbia sa-
puto dire cosa fossero le monadi, cosa fossero gli atomi, a parte il fatto
di essere unit. Oggi, nonostante Leibniz, Fechner e Hartmann, siamo
immersi n sopra i capelli nellatomistica; domani torner di moda una
nuova monadologia. Sarebbe possibile ununicazione delle due ipotesi
solo se si appianasse lopposizione che ho appena indicato. In tutte le
monadi qualicate (Dio come monas (369) monadum lo si trova pi
di mille anni prima di Leibniz, in Sinesio, lamico cristiano di Ipazia)
c la qualit piuttosto che lunit astratta, negli atomi non qualicabili
c la mancanza di qualit piuttosto che lunit numerica. Se non fosse
altro che un caso relativo della storia delle parole ad aver legato in
un incantesimo i due i concetti cos distanti di unit, noi potremmo
comprendere il carattere qualitativo (Eigenschaftlichkeit) dellunit nu-
merica, luno, e con questo la propriet dei numeri in generale; allora
avremmo sciolto lenigma del mondo. Fino alla prossima e migliore
posizione del problema. Temo per che il concetto di unit, quello
numerico come quello astratto, corrisponda solo a un bisogno umano,
alla povert del linguaggio umano, che non sia natura, e se dovessimo
riuscire a sciogliere questo enigma e unicare il concetto astratto di
unit con il concetto numerico di unit, ci sarebbe ancora una volta
soltanto una nuova losoa, che si chiamerebbe una nuova spiegazione
del mondo, ci sarebbe ancora una volta soltanto un nuovo libro con
nuove sequenze di parole. E, dato che persino il riso soltanto umano,
la natura non potrebbe nemmeno riderci su.
Il concetto di unit, in tutte le lingue colte, un concetto numerico,
lunit numerica. Esso pu essere sorto, non etimologicamente, ma
psicologicamente, dallunit dellautocoscienza, dallatto della memoria
individuale, atto che ci rispecchia il fenomeno primordiale dellunit,
il sentimento umano dellio. Questo concetto psichico di unit venne
poi trasferito agli esseri organici, alle specie, a unit casuali o storiche,
come potremo vedere meglio nella nostra ricerca sul concetto di forma,
vedere cio che il linguaggio ci che non pu comprendere in altro
modo il mondo della realt e il mondo interno, se non cercando di
ordinare secondo unit, forme o concetti ci che o la memoria della
specie ha gi ordinato davvero o che linteresse umano vuole ordinare
per potergli dare un nome.
stata una fortuna che luno o lunit (370) sia lunico degli innu-
merevoli numeri a essere un concetto, una parola come altre parole.
Conoscere (Erkennen)
(441) Non sarebbe onesto se in questo piccolo saggio volessi segui-
re il concetto nel suo passaggio dal signicato sensibile a quello sovra-
130
sensibile, se volessi prendere le mosse dal signicato pi decisamente
sensibile, perch nel linguaggio del tedesco biblico vuol dire lo stesso
che consumare il coito; tuttavia non ancora chiarita la questione se
erkennen abbia unantichissima connessione con zeugen (generare)
(come assume Grimm) oppure se il senso di copulare sia un calco (al
di l del latino e del greco) dallebraico
8
. La parola, presa nel signi-
cato corrente di riconoscere, ha pur sempre un contenuto puramente
sensibile; si riconosce qualcosa che prima si visto o sentito, in una
sua caratteristica sensibile. Nelluso odierno del linguaggio (in passato
kennen coincideva del tutto con erkennen) il processo molto pi co-
sciente dellErkennen si distingue dal processo inconscio del kennen
per il fatto che il presso er (secondo Paul) designa veramente un pro-
cesso momentaneo (442) e precisamente insieme levento e il risultato;
si potrebbe anche dire: in kennen sta pi un ricordo in potentia, in
erkennen pi un ricordo in actu.
Il processo che avviene in un uomo quando riconosce un fenomeno
sensibile dovrebbe spiegarlo la psicologia, in particolare la psicologia -
siologica. Un termine usato da Ziehen, che voleva ricondurre il perdura-
re di una impressione alla sintonizzazione di determinate cellule corticali
del cervello, fa graziosamente pensare al paragone con il telegrafo senza
li, nel quale vengono prodotti dei segnali solo quando lapparecchio
ricevente viene sintonizzato su una determinata lunghezza donda. Ma
se si osserva bene, questo tentativo di spiegazione solo unimmagine.
Del resto sono soltanto immagini anche le ricerche meno stimolanti
che negano nelloggetto conosciuto una qualit conoscitiva obiettiva e
ammettono solo un sentimento conoscitivo soggettivo. Inoltre, dato che
dovrebbe esserci prima una spiegazione della formazione dei concetti,
e la psicologia fallisce gi ai primi passi, possiamo trarne la conclusione
che la sola psicologia importante, quella del pensiero, non esiste proprio.
Questo di passaggio; volevo soltanto richiamare lattenzione sul fatto
che il concetto di erkennen, anche nel suo signicato pi semplice, ci
noto solo mediante lintrospezione, quindi supercialmente.
Luso linguistico attuale, specie negli scritti di carattere spirituale,
utilizza il termine per indicare unesperienza mentale pi intensa. Gi
nella traduzione della Bibbia di Lutero erkennen (Vulgata, intelligere)
viene paragonato una volta al vedere e al sentire senza i sensi (Marco,
IV, 12); ancora in Kant erkennen non propriamente unespressione
tecnica della losoa, ma viene usato senza precisione per intuire,
capire, comprendere. Probabilmente non sbaglio nellosservare
che la prima parola che ne deriva, Erkenntnis, ma ancor pi le nuove
forme pi nobili Erkenntnistheorie e Erkenntniskritik, ci costringono
a scorgere nella parola base erkennen unattivit eccezionale della no-
stra facolt di pensare. (443) Come in ogni verbo anche in erkennen
nascosto uno scopo. Ci stiamo abituando sempre pi a esprimere con
lespressione fondamentale Erkenntnistheorie lunico scopo di tutta la
131
scienza e di tutta la losoa; ci consideriamo dal punto di vista della
conoscenza (wir sehen uns nach Erkenntnis), abbiamo cio il deside-
rio di imparare a conoscere il mondo che ci circonda nel suo essere
e di comprenderlo nel suo divenire. Lessere del mondo crediamo di
poterlo ancora sapere (wissen), il divenire del mondo lo dobbiamo
conoscere (erkennen). Secondo lattuale uso linguistico il sapere di-
ventato cos quasi una condizione del conoscere. Non ho bisogno di
aggiungere che questo rapporto dei due concetti, sapere e conoscere,
sottoposto alla storia contingente delle mode linguistiche; altre lingue
colte hanno sviluppato la relativa opposizione in modo un po diverso,
cos che sarebbe impreciso tradurre in francese o in inglese quello che
ho formulato n qui a proposito del termine tedesco.
La piccola opposizione relativa, anche perch se mi si concede
la tendenza che si affermata nelluso linguistico contemporaneo la
scienza del mondo progredisce sempre pi e si arresta proprio l dove
comincia il desiderio di conoscere. Sappiamo molto (molto pi che nel
Medioevo) del mondo reale nello spazio, del mondo aggettivo dei sen-
si. Lo chiamiamo una crescita del sapere, se si tratta di fare, mediante
concetti via via sempre pi elevati, un catalogo del mondo molto asi-
stematico ed eternamente lontano dallideale. Se un tale catalogo del
mondo fosse poi possibile, sarebbe ununit solo apparente del sapere
nel concetto pi alto e pi vuoto, nel concetto di essere. Soltanto una
tale unit del sapere anche solo nel mondo aggettivo si chiamerebbe
conoscenza secondo luso linguistico in evoluzione.
Anche del mondo verbale o del mondo del divenire abbiamo dav-
vero un cumulo di conoscenze incommensurabilmente pi grande ri-
spetto al Medioevo, ma anche qui siamo molto lontani da ununit del
sapere storico proprio (444) allo stesso modo che nel mondo aggettivo
dei sensi. Linvidiabile monismo, invidiabile per il suo accontentarsi
di s, per essere lultima parola dello spirito umano, dovrebbe pro-
prio teorizzare ununit pi alta rispetto alla conoscenza del mondo
aggettiva e verbale, ununit pi alta del mondo topograco e storico,
del mondo dello spazio e del mondo del tempo. Ma il monismo ha
una pericolosa somiglianza con una istituzione religiosa per il fatto di
essere di nuovo solamente unaspirazione verso il limite del sapere e
non una rivelazione credibile; infatti, se non altro per amore di un vero
metodo critico, non avremmo avuto bisogno di una parola nuova. I
grandi pensatori e i grandi ricercatori ai quali si richiama volentieri il
monismo non erano monisti.
Io penso allora che lattuale tendenza delluso linguistico porter
a intendere con conoscenza unaspirazione che dovrebbe raggiungere,
ai limiti del sapere relativo, un sapere assoluto.
Una conoscenza in questo senso, una conoscenza assoluta impos-
sibile, perch ogni conoscenza ritorna alla ne alla conoscenza sensibile
e i nostri sensi accidentali sono troppo rozzi anche solo per permettere
132
nel mondo sensibile un conoscere denitivo, una conoscenza che giun-
ga al fondamento ultimo. Il microscopio non ci mostra mai la natura
del sangue o lattivit dei nervi no alle cause ultime. Per una cono-
scenza assoluta dellorganismo ci vorrebbe di pi, cio la conoscenza
quasi inimmaginabile dei processi vitali che fanno agire il sangue sulle
vie nervose e i nervi sulle vie del sangue. E questo in innumerevoli
casi. Non possiamo penetrare nella natura no ai fondamenti ultimi,
per non parlare poi delle connessioni e tessiture dei fondamenti ultimi.
Arriviamo cos a una confessione umiliante dove un po di humour
pu produrre una svolta. Conoscenza dei fondamenti ultimi solo
una parola del desiderio. Laltra parola del desiderio, Dio, altret-
tanto unespressione per la causa ultima di tutto ci che avvenuto
in natura. (445) Uno scolastico devoto del Medioevo potrebbe essere
soddisfatto di questo risultato, che quindi la parola Dio e la parola
conoscenza signichino pressappoco la stessa disposizione delluomo
che si eleva. Soltanto che non sarebbe soddisfatto dellaffermazione
che tutte due le parole siano povere allo stesso modo.
Umorismo (Humor)
(W II, 104) un concetto cos nuovo che no a ora non si riu-
sciti a darne una denizione. N i primi inventori inglesi della cosa, n
i Tedeschi, che lhanno imitata e migliorata, sono riusciti a penetrare
lessenza dellumorismo. Persino per i Francesi, che della parola hanno
preso a prestito la forma dagli Inglesi, la cosa rimane ancor oggi una
creazione straniera; per questa hanno cominciato a usare la parola
inglese humour e impiegano la parola quasi esclusivamente per lumo-
rismo inglese e per quello tedesco, per quanto lo siano riusciti a com-
prendere; gli Italiani, il cui umore corrisponde esattamente al francese
humeur, hanno introdotto per questo termine la parola umorismo.
Il termine Humor nuovo ed nazional-germanico. Ci si inutil-
mente sforzati di scoprire nei Greci e nei Romani qualcosa che cor-
rispondesse al nostro umorismo. E va forse imputato a questi sforzi
che siano fallite le denizioni dellestetica losoca (proprio nei nostri
migliori umoristi e nei migliori teorici dellumorismo, in Jean Paul e
Vischer).
Su questo punto vorrei richiamare qui lattenzione soltanto di sfug-
gita. Si voluto spiegare lumorismo come un concetto subordinato
del comico, perch lumorismo riesce a suscitare il sorriso e il riso, e
perch il riso veniva suscitato negli antichi unicamente e soltanto me-
diante il comico. La letteratura comica dei Greci e dei Romani assai
ricca; il genio comico di Aristofane nel suo genere non stato mai
superato; ma di quello che noi chiamiamo umorismo nei comici anti-
chi non se ne trova (105) nemmeno un barlume. Piuttosto si possono
rintracciare tratti umoristici in alcuni caratteri realistici dei tragici. Ci
troviamo qui di fronte a uno dei molti casi nei quali lantichit, model-
133
lo a quanto si dice del nostro mondo spirituale, era troppo semplice,
troppo poco complicata, troppo lineare, per poter anche solo presagire
i nostri pi moderni stati danimo e concetti.
La connessione pedante al concetto di comico sbagliata proprio
perch lumorismo esattamente vicino al comico come al pathos, il
contrario del comico. Si pensi al ridere no alle lacrime che lumo-
re porta nel suo blasone. E non un caso che nel momento in cui
gli Inglesi hanno preso coscienza del signicato del loro umorismo,
in Francia uninfelice imitazione portava alla commedia lacrimevole.
Larmoyant, malinconico, sentimentale, umoristico, tutti questi concetti
erano ancora estranei ai Greci e ai Romani.
La storia della parola parte dalla Grecia, passa per Roma, per la
Francia e lInghilterra e arriva in Germania; passa per anche attra-
verso diverse discipline scientiche. La psicologia medica dellantichit
introdusse lidea di quattro uidi, dei quattro humores, la corretta me-
scolanza o dosaggio (temperamentum) dei quali necessaria alla salute.
Anche alla salute dellanima, al buon umore (gute Stimmung); e cos
ora il temperamentum, ora gli humores divennero in psicologia lespres-
sione per ci che siamo soliti chiamare, a conclusione della storia di
unaltra parola, il carattere; in questo signicato si trova molto spesso il
francese humeur. Nella realistica e individualistica Inghilterra la parola,
nella forma humour, diventata una parola di moda per le tendenze
individuali dei tipi originali, per le stranezze del comportamento, per
quello che gli Inglesi chiamano altrimenti fancy, whim; nei poeti della
commedia, come Ben Johnson e anche Shakespeare, la parola viene
spesso usata, perch si voleva metterla in ridicolo. Quando poi Shake-
speare attraverso la traduzione di Schlegel divenne quasi un classico
tedesco, la parola Humor, della quale non si not luso ironico, da noi
pass (106) a indicare la stranezza comica di un carattere individuale;
e poich i romantici vi ricavarono a ragione relazioni con la loro po-
esia trascendentale o la loro ironia romantica, lestetica losoca del
tempo si impadron del concetto di umorismo; si credette di analizzare
lumorismo di Shakespeare, ma si giunse a un nuovo ideale tedesco di
umorismo, per il quale non vi era alcun esempio nella storia del con-
cetto. Vorrei per subito notare che gli humores della psicologia medica
adesso ci sembrano infantili, perch la patologia umorale, che era in
vigore un secolo e mezzo fa, attualmente o al momento sostituita da
unaltra teoria, la patologia cellulare; e vorrei notare che lhumeur della
precedente psicologia appartiene oggi gi alla psicologia popolare, che
tenuta meno in considerazione, perch la parola di moda temperamento
(che certamente appartiene al gruppo degli humeurs) stata sostituita
dalla parola di moda carattere, che gode di una sempre pi alta consi-
derazione, perch questa estetica losoca up to date.
Per la storia decisiva della parola in Inghilterra e in Germania
importante un passo dellEssay of dramatic poesy di Dryden (1668) e
134
la traduzione che di questo passo ha dato il giovane Lessing nel saggio
XIII della sua Biblioteca teatrale. Questo saggio XIII certo tutto dello
stesso Lessing, anche se quanto precede dovette essere di Nicolai. Il
giovane Lessing allora premette: ricordo anche che, quando voglio
tradurre la parola, rendo Humour con Laune, perch non credo che si
trover qualcosa di pi adatto in tutta la lingua tedesca. Dopo questa
spiegazione egli fa dire a Dryden: Lo Humor la stravaganza ridicola
nei rapporti per cui un uomo si distingue da tutti gli altri. Gli antichi
hanno molto poco di questo nelle loro commedie; infatti il yroi ov del-
la commedia greca antica, di cui Aristofane era lesponente principale,
non aveva lo scopo di imitare un determinato uomo, quanto piuttosto
di far ridere il popolo con un colpo di scena insolito (107) che aveva in
s per lo pi qualcosa di innaturale o di osceno
9
. [] Successivamente,
nella commedia moderna i poeti cercarono di esprimere lg0o degli
uomini, come nelle loro tragedie il ao 0o. Solo che questo g 0o conte-
neva semplicemente il carattere generale degli uomini e i loro costumi
come essi si presentano: vecchi, amanti, servitori, cortigiane, scrocconi
e altre persone di questo tipo, come le troviamo nelle loro commedie
[] ma per quanto riguarda i Francesi, sebbene essi abbiano la pa-
rola humeur nella loro lingua, ne fanno un uso assai parco nelle loro
commedie e nelle farse, che altro non sono che cattive imitazioni del
yroiov o del ridicolo della commedia antica. Del tutto diverso negli
Inglesi, che intendono per umorismo una qualche abitudine, passione
o tendenza licenziosa che, come gi detto, propria di una persona
che con questa stranezza si distingue subito da tutte le altre. Se questo
umorismo viene rappresentato in maniera vivace e naturale, suscita per
lo pi il piacere maligno che si tradisce nel riso, che del resto tutte le
deviazioni dallordinario sono in grado di suscitare molto efcacemente.
Ma in questo modo il riso solo casuale, dipende dal fatto che le per-
sone rappresentate siano stravaganti o bizzarre; il piacere al contrario
gli essenziale come lo ogni imitazione della natura. Allora il genio
proprio e la pi grande maestria del nostro Ben Johnson consistono
nella descrizione di questo umorismo o buon umore che egli aveva
notato in certe determinate persone
10
.
Si noti quanto poco questa esposizione corrisponda al nostro con-
cetto di umorismo; il riso devessere solo casuale, dipendere solo dai
caratteri strani e buffoneschi, quindi dalla materia, mentre noi nellumo-
rismo pensiamo prima di tutto alla forma soggettiva (108) dellattivit
poetica; il ragionamento di Dryden corrisponde piuttosto abbastanza
precisamente a ci che chiamiamo realismo o naturalismo del dramma;
e linglese ha proprio ragione quando contrappone alla commedia fran-
cese la nuova e nazionale esigenza di rappresentare in modo naturale
i caratteri specici.
Il Lessing maturo della Hamburgischen Dramaturgie tornato anco-
ra una volta sulla storia della parola (1768), nel saggio 93, in una nota
135
che si ricollega sia a Dryden che a Ben Johnson: la parola Humor era
tornata di moda e venne abusata nella maniera pi ridicola. Egli cita
un passo di Ben Johnson:
As when some one peculiar quality
Doth so possess a Man, that it doth draw
All his affects, his spirits, and his powers
In their construction, all to run one way,
This may be truly said to be a humour.
(Quando una qualche peculiare qualit di un uomo lo possiede in
modo tale da coinvolgere nella sua tutte le sue passioni, i suoi spiriti
e le sue forze, da incanalarle tutte in una sola via, questo lo si pu
veramente chiamare umorismo) [] Lumorismo, che noi ora consi-
deriamo cos eccellente negli Inglesi, era allora in loro in gran parte af-
fettazione e in particolare il rendere ridicola questa affettazione descrive
lumorismo di Ben Johnson. [] Ne ho raccolto diligentemente degli
esempi (Lessing pensa di individualizzare larte degli antichi), esempi
che desideravo anche solo poter mettere in ordine per rivedere con
loccasione un errore che diventato abbastanza generale. Ho tradotto
cio ed ora quasi comune umorismo con Laune (buon umore) e
credo consapevolmente di essere stato il primo ad averlo tradotto cos.
Ho sbagliato e desidererei che non mi avessero seguito. Credo infatti
di poter dimostrare in modo inconfutabile che umorismo e Laune sono
cose del tutto diverse e, in determinate condizioni, del tutto opposte.
Laune pu diventare umorismo (109), ma lumorismo, al di fuori di
questo unico caso, non mai Laune. Avrei dovuto indagare meglio la
derivazione della nostra parola tedesca e il suo uso comune e rietterci
meglio. Ho concluso troppo in fretta che, dato che Laune esprime
il francese humeur, potesse esprimere anche linglese humour; ma i
Francesi stessi non possono tradurre humour con humeur
11
; penso
di sapere come Lessing sia giunto a questa correzione. Tra il 1758 e il
1768 cade la pubblicazione di una lettera di Voltaire allAbb dOlivet,
il cancelliere dellAccademia francese. Voltaire lamenta che la lingua
francese sia impoverita dalla massa di libri inutili, che abbia perso le
belle espressioni che in inglese si sarebbero mantenute, come dsap-
point e partie. A proposito del nostro tema scrive (20 agosto 1761):
Je trouve, par exemple, plusieurs mots qui ont vieilli parmi nous,
qui sont mme entirement oublis, et dont nos voisins les Anglais se
servent heureusement. Ils ont un terme pour signier cette plaisanterie,
ce vrai cornique, cette gaiet, cette urbanit, ces saillies qui chappent
un homme sans quil sen doute; et ils rendent cette ide par le mot
humeur, humour, quils prononcent yumour; et ils croient quils ont
seul cette humeur, que les autres nations nont point de terme pour
exprimer ce caractre desprit. Cependant, cest un ancien mot de no-
tre langue, employ en ce sens dans plusieurs comdies de Corneille.
136
Au reste, quand je dis que cette humeur est une spce durbanit,
je parle un homme instruit, qui sait que nous avons appliqu mal
propos le mot durbanit la politesse, et quurbanitas signiait Rome
precisment ce quhumour signie chez les Anglais.
Ho presentato in maniera esauriente le doglie del parto della parola
tedesca, delluso linguistico tedesco, perch essa ha acquisito un cos
alto credito proprio a partire dallestetica tedesca che sempre vuol es-
sere metasica del bello. Persino i due eccellenti umoristi, Jean Paul e
Vischer, che hanno scritto sullumorismo tutto quello che vale la pena
di leggere, si sono sentiti in dovere di entrare nel merito di tutto (110)
larmamentario losoco. Jean Paul parla di una totalit dellumorismo,
di un nito applicato allinnito, e con tutta la sua arguzia non ha reso
teoricamente comprensibile lumorismo come ha fatto attraverso alcu-
ne gure umoristiche dei suoi romanzi. Vischer, che ha fatto seguire
abbastanza tardi alla sua teoria lesempio del suo delizioso romanzo
umoristico
12
, si affaticato invano ad applicare il modello di Hegel
al concetto di umorismo; egli stesso deve essere scoppiato in una ri-
sata umoristica liberatoria, quando da vecchio signore, ha riaperto la
sua Aesthetik ai paragra 205-22. Mi sempre sembrato che Vischer
abbia costruito con le sue astrazioni esangui una denizione piuttosto
di losoa che di umorismo. Mi sono molto sforzato di tradurre la
metasica di Vischer nella lingua di un uomo non del tutto incapace
di apprezzare i componimenti umoristici; ho anche cercato di tradurre
i tre gradi dellumorismo in ricordi artistici: il primo grado o lumori-
smo ingenuo non ancora proprio umorismo; il secondo o lumorismo
sguaiato corrisponde pressappoco a quello che possiamo gustare proprio
come umorismo in Shakespeare e Swift, in minor misura in Sterne, in
Jean Paul e Vischer. Ma cos lumorismo del terzo grado, lumorismo
in senso proprio, quello grande e libero? Temo davvero che lumorismo
libero non sia niente altro che la concezione del mondo del tutto libera
della mente veramente losoca, il sacro riso del losofo, la superiorit
rispetto a tutto laffannarsi e il pensare delluomo, la rassegnazione di
un grande cuore; e tutta (111) questa grandezza la possiamo sentire e
apprezzare come umorismo solo quando il losofo per caso anche
uno scrittore umoristico e utilizza a tal ne lumorismo del primo e del
secondo grado (Witz, Laune, ironia, baldanza, malinconia) per rappre-
sentare la sua concezione del mondo in un personaggio umoristico. Non
si pu denire lumorismo, perch non esiste umorismo nel mondo so-
stantivo, n come cosa reale, n come astrazione; c umorismo solo nel
mondo aggettivo; ci sono pensatori con humour (anche tra uomini del
tutto sobri; umoristi lo diventano solo quando scrivono libri); ci sono
gure umoristiche, umoristiche per losservatore o per il lettore. Trovo
una involontaria confessione di questo fatto, che cio la denizione di
umorismo proprio non esista, nello stesso Vischer (ivi, p. 472
13
): il
concetto di questo umorismo (dellumorismo libero, dellumorismo al
137
pi alto grado) necessario, la sua realizzazione rimane un compito.
Si potrebbe dire la stessa cosa per molti bei concetti. Dio, libert, feli-
cit sono necessari; la loro realizzazione rimane un compito; il che non
esclude che esistano uomini (relativamente) santi, felici, liberi. Anche
lumorismo del pi alto grado solo un postulato della teoria.
Ho altre eresie sul cuore.
Non vero che i Greci abbiano gi conosciuto qualcosa come lumo-
rismo. A questo proposito si cita sempre Aristofane, a suo modo certo
insuperabile. Ma tutti i suoi talenti arguzia (Witz), satira e ironia
non cambiano il fatto che egli non ha mai creato una gura umoristi-
ca; il signicato pi profondo rende pi pregevole il Witz, ma non lo
trasforma in umorismo. Ci fu forse una volta un greco che possedeva
umorismo: Socrate; ma i Greci non compresero lumorismo e uccisero
il loro unico umorista.
Non vero che il grande umorismo sia una scoperta dello spirito
germanico. Shakespeare fu certamente un pensatore con dello humour;
ma egli solo occasionalmente ha prestato alle sue gure tratti umoristici;
umoristico al grado pi alto (112) era Amleto, eppure il suo poeta volle
chiaramente creare una gura tragica; e anche Amleto diventa umoristi-
co solo dove egli, il disperato, rimane fedele in maniera ridicola (witzig)
al suo ruolo. Swift nel suo Gulliver sempre witzig; umoristico soltanto
dove come narratore esce dal ruolo. C ununica gura umoristica che
corrisponde interamente alla denizione del grande umorismo, e que-
sta gura non germanica: don Chisciotte; Cervantes voleva scrivere
unallegra parodia; ma don Chisciotte, il suo eroe comico, era buono,
nobile, valoroso, saggio, era un uomo eccellente; lo scrittore si affezion
al suo eroe comico, e solo allora il Don Chisciotte divenne il capolavo-
ro dellumorismo (soprattutto nella seconda parte, nellira consapevole
contro la comicit del meschino prosecutore, Avellaneda). Lumorismo
non mai unastrazione. Non credo di contraddirmi se ciononostante
ora cerco unaltra parola per umorismo, se cerco di trovare un nome
per quello che i Tedeschi pressappoco intendono quando, dal tempo
dei loro romantici, parlano di umorismo. Intendono la maniera mi-
gliore del ridere, il sacro riso, il riso di chi ha superato il mondo e che
ridendo ha superato anche s stesso. Si sente spesso dire che luomo
si distingue dallanimale per il ridere, che luomo lanimale che ride;
e Schopenhauer ha costruito su questo la sua teoria del ridicolo: ne
sarebbe lorigine la sussunzione inaspettata di un oggetto sotto un con-
cetto eterogeneo. Io vorrei sapere dove si nasconde questa sussunzione
quando un intero circo ride del volto stupido di Hanswurst preso a
schiaf. C un ridere cos comune che si avrebbe quasi la voglia di
chiamarlo un ridere animale. Il ridere pu rafnarsi in un ridere su
scherzi via via sempre migliori dellarguzia spiritosa, dei motti di spirito
artistici. Il ridere su una sorpresa musicale di Haydn gi molto vicino
al ridere che io ho in mente, ma ancora felicit. Il sentimento che
138
stato chiamato in modo cos stucchevole dolore cosmico (Weltschmerz)
quando diventato una maniera (113) e una smora, per il suo sacro
riso il sentimento del superamento del mondo non ha nemmeno bi-
sogno di una pausa, come Haydn; il sentimento del superamento del
mondo ride nel modo pi sacro della quotidianit alla quale appartiene
consapevolmente anche colui che ride. Chi non sa di appartenervi, chi
si ritiene un oltreuomo, non conosce ancora il sacro riso, non ancora
un losofo, forse una gura tragico-umoristica del pi alto grado, il
nuovo Don Chisciotte.
La parola umorismo con la quale si indicato questo sacro riso si
ridotta molto male. Non solo ai nostri tempi, in cui gli editori di
piatto ciarpame possono denire s stessi umoristi e denire racconti
umoristici le loro merci, proprio il piatto ciarpame. Gi Jean Paul ha
parlato dei cosiddetti umoristi che non saprebbero che rivelare il loro
divertito sentirsi a proprio agio. E con questo Jean Paul non pensava
ancora agli scarabocchi della comicit pi volgare che oggigiorno ci
viene imbandita sotto il titolo di racconti umoristici; egli pensava a
scritti comici di medio valore che al suo tempo erano molto stimati e
che ancor oggi sono citati con onore nella storia della letteratura.
Jean Paul, che come critico, non sempre come scrittore, possede-
va un gusto straordinariamente ne, aveva dovuto difendersi da una
concezione dellumorismo diventata dominante tra i romantici: dalla
confusione tra umorismo e ironia. Jean Paul, il pi soggettivista di tutti
i narratori, dovette fare una fatica particolare per liberarsi dal soggetti-
vismo dogmatico di Fichte; altrettanta fatica per superare il romantici-
smo dogmatico. Jean Paul fu davvero quello di cui i leader romantici si
vantavano solo con parole forbite, un educatore alla vita; leducazione
romantica allarte non gli bastava. Che il pi alto punto di vista della
considerazione del mondo si chiamasse umorismo o ironia, in ogni caso
egli mirava alla cosa in s: seriamente, non per gioco. Critici e cani
non utano rose e ori puzzolenti, (114) ma amici e nemici (Vorschule
der Aesthetik, p. 307
14
). Egli vide la distanza tra il modello dellironia
romantica e il genio ironico. Il Gulliver di Swift nello stile meno,
nello spirito pi umoristico della sua favola sta alto sulla rupe Tar-
pea dalla quale questo spirito fa precipitare il genere umano (cit., p.
240
15
). Chi apprezzava cos tanto uno Swift, non poteva accontentarsi
del giochetto romantico dellironia.
Ironia (ri evri o = nzione) notoriamente il nome di una gura
retorica; questa gura consiste nel fatto che il parlante chiede con
particolare insistenza il giudizio allascoltatore affermando il contrario;
lascoltatore deve trovare da s ci che si intende e in questo modo
viene reso pi attento che non mediante lesposizione diretta della ve-
rit. chiaro, anche senza la mia pedante spiegazione, che la gura
dellironia designa solo la forma di un pensiero, non il pensiero stesso.
Il pi saggio dei Greci, Socrate, aveva esercitato lironia per educare
139
al pensiero i suoi giovani amici; ma qualsiasi sciocco ironico quando
con un tempo da lupi parla di bel tempo, quando chiama bella ragaz-
za una prostituta brutta e ripugnante. chiaro allora che i romantici
scambiarono la forma con la cosa, il gioco dellironia con la seriet
della riessione, quando identicarono schematicamente la loro ironia
con lumorismo, quando (Friedrich Schlegel) denirono lironia lo stato
danimo che guarda al di l di tutto, si innalza innitamente sopra
tutto ci che condizionato, anche al di sopra della propria arte, virt
o genialit. Nei protoromantici non si trova nemmeno un barlume di
quello che chiamiamo umorismo; nemmeno negli attuali neoromantici.
Per questo uno spirito cos penetrante come Novalis pot identicare
in un unico e medesimo respiro lironia romantica e lumorismo. Per
dimostrarlo mi basta riportare due frasi di un frammento dal Blten-
staub (115) (Schriften, ed. da Minor, II, p. 117
16
), da lui stesso pubbli-
cato. Quello che Friedrich Schlegel caratterizza in modo cos acuto
come ironia, a mio parere, non niente altro che la conseguenza, il
carattere dellaccortezza, la vera presenza di spirito. Lironia di Schlegel
mi sembra essere lumorismo autentico [] Lumorismo un atteggia-
mento di maniera assunto arbitrariamente. Larbitrario quello che vi
di piccante. Si potrebbe ridere: il superamento del mondo, il supe-
ramento del proprio pensiero e del proprio sentimento, loltrelosoa,
diventata una maniera di scuola.
Ho creduto di dover mostrare lillusione dei Romantici, la loro con-
fusione tra umorismo e ironia, per far ora comprendere i motti di Goe- Goe-
the sullumorismo, che raramente sono stati citati. Goethe aveva a suo
tempo mantenuto la parola tramandata nellantico signicato inglese, nel
senso di meraviglia; cos usa il termine ancora in Dichtung und Wahrheit,
quando racconta dello Humor audace delle sue ragazzate. Poi luomo
maturo conobbe il concetto nel travisamento dei romantici. E vanno
contro questo travisamento frasi come (Sprche in Prosa, 108
17
): non
c nulla di volgare in ci che, espresso nella distorsione di una smora,
sembri umoristico; poi: lumorismo uno degli elementi del genio, ma
appena prevale, ne solo un surrogato; accompagna larte decadente, la
distrugge, inne la annienta (701
18
). Si confronti anche quello che egli
(456) adduce contro i tormenti psicologici degli ipocondriaci, umoristi
e Heautontimorumenoi
19
.
E Goethe, che si liberato dei propri tormenti ipocondriaci con
la creazione del Werther, ha tuttavia creato anche Mestofele, che si
avvicina abbastanza allideale di una gura umoristica. Quel poco che
ancora ci manca non pu essere la superiorit spirituale, dato che
Goethe era saggio. Non pu essere la bont danimo, che non deve
mancare nel poeta umoristico, dato che Goethe era buono. Ma la pro-
priet dellumorismo, il riso dellumorismo lo pu possedere soltanto
un uomo; e Mestofele non un uomo, (116) soltanto lironia per-
sonicata. lapice dellironia, quello che i romantici una generazione
140
dopo esigevano come qualcosa di nuovo. Inoltre Goethe era troppo
concreto per spendersi nel soggettivismo dellumorismo; inne, troppo
egoista per amare una delle sue gure no allumorismo.
Ridere (Lachen)
(269) Il muscolo che provoca nel volto umano segnatamente lespres-
sione mimica del ridere con il sollevare il labbro superiore lo zygo-
maticus major e non il risorius; ciononostante questultimo muscolo ha
mantenuto il suo simpatico nome e pu continuare a portarlo, perch
bene se il nome antico viene mantenuto a ricordo di antiche rap-
presentazioni. Ricordo il particolare anche solo perch questo termine
sbagliato mi sembra essere un analogo degli sforzi senza ne di trarre
conclusioni dalla somiglianza dei movimenti espressivi che denominia-
mo ridere e sorridere, di connettere indissolubilmente lumorismo con
il ridicolo (das Lcherliche, yroi ov). In genere il sorriso viene spiegato
come un riso indebolito anche da quei ricercatori che (come Hecker)
hanno spiegato molto bene il riso come leffetto di un solletico interiore,
per cos dire di un solletico dovuto allo scambio veloce di rappresen-
tazioni messe a confronto. Certo, il sorriso pu anche essere un riso
indebolito; nel malato che troppo debole per attivare con sufciente
vivacit il gioco dei muscoli; in chi triste, se ad esempio la giovane
madre, nel dolore che prova subito dopo la morte dello sposo, riesce
appena a sorridere allo scherzo del bimbo, scherzo per il quale avrebbe
altrimenti riso forte.
Ma c anche un sorridere diverso da quello che pu essere provo-
cato in ogni uomo da un oggetto adeguato, ma soltanto in un soggetto
particolare, e che pu essere provocato quasi da ogni osservazione,
non solo da unarguzia: penso al sorriso di superiorit dellumorismo
losoco. Forse si imparer a riconoscere che i movimenti espressivi
mimici hanno anche questa somiglianza con le parole del linguaggio
umano: non si possono tradurre sempre in modo univoco. Si sa che le
combinazioni non sono cos semplici, come credeva la mimica antica.
Lo sguardo penetrante, il pianto e la stessa espressione del disprezzo
e dellamarezza possono mettere in gioco i muscoli che provocano il
sorriso. Amarezza e disprezzo devono essere superati se si (270) deve
poter parlare della concezione del mondo dellumorismo pi libero;
ma riso, amarezza, disprezzo possono giocare in qualche modo agli
angoli della bocca, se il volto mostra unespressione umoristica. Con
il ridicolo, il yroiov, non ha molto a che vedere n la storia della
parola Humor n il concetto troppo dilatato che ora (invero solo in
Germania) viene collegato alla parola; non pi che il musculus risorius
con il risus.
Bello (Schn)
(W III, 75) Omero e Sofocle, Fidia e Raffaello, Dante e Shakespe-
141
are, Leonardo da Vinci e Sebastian Bach hanno creato opere che an-
cor oggi troviamo belle; hanno creato senza lestetica, senza nemmeno
sapere che un giorno ci sarebbe stata una scienza del bello; molto
prima della scoperta dellestetica Greci e Romani, Inglesi e Tedeschi
avevano nella loro lingua parole che esprimevano la sensazione (76):
questo mi piace. Omero diceva xoo di uomini e volentieri di donne,
di manzi e di cani, di vestiti e di armi, ma anche nel senso di buono
o di appropriato, di venti, di discorsi; conosceva anche il sostantivo
xoo, soltanto che gli interpreti discutono se questo xoo fosse
la bellezza personicata, che veniva messa addosso agli uomini come
un vestito, o se fosse semplicemente un mezzo ornamentale. I Latini
dicevano pulcher di giovani e di ragazze, di case e di citt, per usava-
no la parola anche laddove noi diciamo bello, beato, nobile ecc. delle
cose spirituali; pulcher viene fatto derivare da fulgere (risplendere). Ora
per presso i Latini era molto popolare anche unaltra parola: bellus
(da benulus da bonus), che corrisponde al tedesco hbsch (grazioso),
niedlich (carino) o allobsoleto artig (garbato). Da bellus e dal volgare
bellitas derivano le parole romanze bello, beau, beaut, beltre con tutte
le loro famiglie, e gli Inglesi vi ricavarono il loro beautiful (da beauty),
pressappoco come diciamo stilvoll (in perfetto stile) di un mobile.
Le lingue germaniche possedevano una parola che in inglese stata
sostituita da beautiful (anche sheen obsoleto, vale a dire ancora in
uso nella lingua poetica), ma che nellolandese e nellalto tedesco n
troppo usata: schn (bello). Letimo incerto; il gotico skauns traduce
in combinazione il greco og , ma non dobbiamo sorvolare sul fatto
che non sappiamo se i due passi principali (Filippesi, 2,6; 3,21) si rife-
riscano alla bellezza del Cristo trasgurato o gi alla successiva gura
teologica. La derivazione da schauen (guardare) non convincente; se
si dovesse accettare nuovamente la derivazione da scheinen (sembrare)
(nonostante Skeat, II, p. 58
20
riuti ogni connessione con to shine),
non si potrebbe pensare a un calco di pulcher (da fulgere); rimane
strano che (secondo Bral) anche xoo debba aver avuto il signicato
fondamentale di chiaro. Ed anche strano che il nostro schon, lavver-
bio antico di schn, venisse spesso usato in passato e venga usato oggi
come il latino belle e bene nel senso di recte, gut, wohl (bene).
Laggettivo bello (e naturalmente i suoi corrispondenti) (77) espri-
me in tutte le lingue una sensazione che conosciamo bene; e anche
se non riferito in primo luogo al piacere sessuale, come pi volte
stato ammesso (da Erasmus Darwin, da Charles Darwin, da Wilhelm
Scherer), come pure era costume in Grecia intagliare il nome dellama-
to sul tronco di un albero e scriverci sotto o xoo oppure g xog,
pot designare tra gli uomini pi semplici unimpressione piacevole.
Il predicato bello appartenne da sempre ai giudizi di valore naturali;
nel mondo dellesperienza umana, nel mondo aggettivo, ci sono stati
fenomeni belli: uomini belli, animali belli, suppellettili belle, e alla ne
142
si fece la scoperta che anche il paesaggio poteva essere denito bello.
Ma gli uomini impararono con il tempo a trasferire i fenomeni belli nel
mondo verbale, nel mondo dellagire, dal momento in cui essi produs-
sero qualcosa di bello. Essi scoprirono le arti. Ultimamente gli artisti
amano denirsi i creatori par excellence. E le arti si ostinano da secoli,
senza che ve ne sia bisogno, a cercare la bellezza anche nel mondo
sostantivo e in quello metasico. La Germania pu vantarsi di aver
indagato e denito per prima lessenza della bellezza. Scienticamente.
Come se le parole xo o, pulchritudo, bellezza, beauty, Schnheit non
fossero gi in uso prima. Si attribu il termine astratto bellezza a
donne e anche a uomini, animali, piante; si scrissero trattati sulla bel-
lezza e si cominci persino a riettere sul concetto. Il vecchio Walch
(Philosophisches Lexicon
21
) gi richiamava lattenzione sui differenti
modi di usare la parola; la si pu applicare alle sensazioni, in cui il
concetto e il gusto degli uomini sono cos differenti luno dallaltro;
[] posti davanti allaltro, bisogna contemplare la bellezza come essa
sia effettivamente in una cosa; la bellezza non sarebbe una chime-
ra, una cosa che consiste soltanto nellimmaginazione, ma qualcosa di
reale, un ordine e unarmonia composta di pezzi molteplici. Questa
annotazione precede (78) una dissertazione nella quale il famoso Bau-
mgarten formul lesigenza di una scienza specica, di una scienza
del bello (1735), e la pubblicazione di valore epocale della prima
parte dellopera stessa, lAesthetica di Baumgarten, che non ha ancora
smesso di provocare conseguenze fatali.
Lonesta Aesthetica di Baumgarten, per il contenuto, non va essen-
zialmente oltre il suo tempo; Gottsched e Blnger avevano trattato il
bello in maniera gi sufcientemente razionalistica e Breitinger aveva
tentato di istituire una dottrina del buon gusto come logica della
facolt dellimmaginazione; nuovo in Baumgarten davvero soltanto
il nome che egli d alla dottrina del gusto: oio0ovooi = percepire
(wahrnehmen), appercepire (apperzepieren), oio0gto = percepibile,
sensibile, to oi o0gtixo = ci che percepibile, il mondo sensibile. Cos
con oi o0gtixg pot essere denita la dottrina della percezione sensibi-
le. La bellezza per perfectio cognitionis sensitivae qua talis; il gusto
judicium sensuum; cos oi o0gtixg potrebbe chiamarsi la dottrina del
bello par excellence. Per noi il padre o meglio il padrino dellestetica
moderna semplicemente indigeribile per lo sforzo di istituire il bello
in parallelo con il vero e di ricondurre le verit estetiche sotto il con-
cetto di probabilit, perch esse non sono n interamente vere n inte-
ramente false: est ergo veritas aesthetica, a potiori dicta verisimilitudo,
ille veritatis gradus, qui, etiamsi non evectus sit ad completam certi-
tudinem tamen nihil contineat falsitatis observabilis (Aesth. 483
22
).
Baumgarten non si liberato dalla paura che gli si potesse obiettare,
a lui professore di losoa teoretica e morale, di aver consigliato, con
lelogio del bello, la menzogna.
143
Ma la forma conchiusa della nuova disciplina la dobbiamo allo
spirito sistematico tedesco e Kant che in genere nei suoi scritti pre-
critici spesso ha preso come fondamento delle sue lezioni i libri di
Baumgarten dopo alcune oscillazioni, ha ripreso il concetto di este-
tica e lo ha introdotto con tutto il suo credito nelle scienze losoche.
(79) Conviene sottolineare che Kant in un primo momento riut con
energia il nome estetica. Come noto, egli chiama la prima parte
della sua opera principale estetica trascendentale, vale a dire una
scienza di tutti i principi a priori della sensibilit. E poich la parola
era stata limitata erroneamente alla sensibilit del bello proprio con
Baumgarten, aggiunge in una nota tagliente (prima Critica della ragion
pura, p. 21
23
): i Tedeschi sono i soli, che si servono ora della parola
estetica, per designare con essa ci che gli altri chiamano critica del
gusto. Questa denominazione si fonda sulla falsa speranza, concepita
dalleccellente pensatore analitico Baumgarten, di sottoporre la valu-
tazione critica del bello a principi di ragione e di innalzare a scienza
le regole di tale valutazione. Questo sforzo tuttavia vano. Difatti le
regole o i criteri suddetti, riguardo alle loro fonti, sono semplicemente
empirici e non potranno quindi mai servire come leggi a priori, secon-
do le quali dovrebbe regolarsi il nostro giudizio di gusto; questultimo,
piuttosto, costituisce la vera e propria pietra di paragone per lesattezza
delle prime. Per questa ragione, consigliabile lasciar di nuovo cadere
questa denominazione e tenerla in serbo per quella dottrina che sia
vera scienza (in tal modo ci si accosterebbe anche pi da vicino al
linguaggio e al signicato degli antichi, presso i quali la partizione della
conoscenza in oi o0gto xoi vogto era assai famosa). Cos Kant tratta
la sua potente teoria dello spazio e del tempo nel capitolo esteti-
ca, che ora si chiamerebbe piuttosto fenomenologia. Nella seconda
edizione della Critica della ragion pura la protesta contro il termine
estetica gi molto attutita; solo le fonti principali si chiamano
ancora empiriche, le regole non possono mai servire a determinate
leggi a priori, la denominazione la si dovrebbe o lasciar cadere oppure
prenderla in parte in senso trascendentale, in parte in senso psicolo-
gico. Questa correzione dellanno 1787 doppiamente interessante
(cfr. ledizione dellAccademia, vol. V, Introduzione di Windelband,
p. 515 s.
24
): Kant si era rappacicato con il termine estetica, era
gi dellidea di introdurre nel suo sistema trascendentale la dottrina
del bello (il lettore confronti la Lettera a Reinhold del 28 dicembre
1787, che molto umana (80) e dimostra chiaramente la dipendenza
di Kant dallarchitettonica del proprio sistema, poich gli vengono
delle spiegazioni che non si aspettava e prevede gi per la Pasqua
successiva il suo manoscritto sullestetica con il titolo di Critica del
gusto), ma non aveva ancora aderito allidea fatale che vi siano anche
giudizi estetici a priori, che lestetica vada oltre la psicologia. Quando
egli nel 1790 pubblica la sua Kritik der Urteilskraft (le parole del titolo
144
sono scelte palesemente per ricondurre sotto un concetto, senza appa-
rente violenza, il sentimento soggettivo del bello e la dottrina di una
oggettiva nalit della natura; qui noi trattiamo propriamente qualche
aspetto della prima parte, la Critica del giudizio estetico), usa lagget-
tivo estetico quasi solo come lo usiamo comunemente, parla di giudizi
estetici, del valore estetico delle belle arti e di idee estetiche. Quasi.
Kant ha denito bene e in maniera rigorosa tutti questi concetti. In
Kant il concetto non era cos scialbo come viene usato oggi (estetico
diventato quasi un sinonimo di bello e la recente designazione esteta,
divenuta internazionale per tramite dellInghilterra, vuole estendere la
parola perno allinsieme della condotta di vita); il concetto dovette
prima diventare una parola di moda; e lo divenne solo con lallievo
di Kant, Schiller.
Almeno per la Germania Schiller ha sulla coscienza labuso delle
parole estetica e bellezza. Non sono serviti a salvarlo nemmeno le sue
aspirazioni di losoa dellarte. Esse cadono nella grande pausa impro-
duttiva tra i drammi giovanili, geniali e immaturi, e le opere consape-
volmente classicheggianti che hanno dominato il gusto tedesco per due
intere generazioni. Schiller ha presentato tre volte la sua estetica: nelle
conferenze, nelle lettere ber die sthetische Erziehung des Menschen
e inne nei frammenti che scrisse a Krner per il grande progetto di
unestetica, Kallias oder ber die Schnheit. Schiller era ancora in tutto
pi dipendente da Kant di quanto egli stesso credesse e ammettesse.
Occasionalmente (81) aveva scherzato (Hempels Schillerausgabe, Bd.
XV, p. 690
25
) sui poveri pasticcioni che rimestavano nella losoa
kantiana; ma anche lui un kantiano non indipendente e maneggia i
concetti kantiani in maniera losocamente incerta, anche se con unabi-
lit cos sorprendente che il pubblico letterario del tempo pens che
Kant fosse stato migliorato da Schiller. La bellezza non niente altro
che la libert nel fenomeno. Unazione libera una bella azione se
coincidono autonomia dellanimo e autonomia nel fenomeno. La bel-
lezza la natura nel suo essere conforme allarte. Il grande passo che
Kant aveva fatto oltre Baumgarten consisteva nella liberazione di ci che
estetico da ci che logico, nella liberazione del concetto di bellezza
dal concetto di perfezione. Kant distingue tra bellezza libera (pulchri-
tudo vaga) e bellezza puramente aderente (pulchritudo adhaerens); solo
la bellezza libera del tutto pura e Schiller formula con irritazione
questo pensiero un arabesco o qualcosa di simile, considerato come
bellezza, pi puro della pi alta bellezza delluomo. Schiller riuta
questa feconda osservazione di Kant: in realt mi pare che essa fallisca
completamente il concetto della bellezza (p. 683). Schiller non ha certo
criticato il fatto che Kant, in fondo un estraneo allarte, abbia scelto tra
gli altri un esempio mostruoso a sostegno della sua tesi, il fatto che egli
annoveri lintera musica senza testo in questi arabeschi. La violenta
lotta di Kant per incorporare la dottrina del bello nel suo sistema tra-
145
scendentale rimasta per Schiller un qualcosa di estraneo. Ancora nel
1792 Schiller vede Kant fermo al 1787, quando voleva ripartire il ter-
mine estetica tra la metasica e la psicologia. Molto inferiore rispetto
a Kant, Schiller vuole andare al di l della psicologia, non dal punto
di vista della teoria del conoscere, ma solo in modo fuorviante; vuole
scoprire la bellezza sostantiva dietro il sentimento aggettivo del bello.
Egli scrive a Krner (XV, p. 646): io credo di aver scoperto il concetto
oggettivo del bello, che si qualica eo ipso anche come principio del
gusto e che Kant dispera di trovare. (82) Ebbene s: la bellezza la
libert nel fenomeno.
La differenza essenziale tra Schiller e Goethe si manifesta in modo
chiaro nel fatto che Goethe, che invece ha riettuto veramente sullarte,
non mai diventato uno scrittore di losoa dellarte; le sue innume-
revoli esternazioni occasionali non passano mai dal mondo aggettivo
del bello al mondo sostantivo e metasico della bellezza astratta. Per
questo Goethe non aveva alcuna considerazione per lattivit artistica
in quanto tale, egli vedeva la nullit nelle opere dei piccoli talen-
ti. Il gusto non lo si pu proprio formare nella mediocrit, ma solo
nelleccellenza (Gesprche V, p. 35
26
). Goethe era superiore a Kant
e a Schiller nel fatto che, senza limitarsi alla poesia, aveva studiato a
fondo le arti gurative e larchitettura ed era pervenuto con passione
ad alcune opinioni anche nella musica, che gli era estranea.
Kant si era occupato molto della poesia pi antica, mentre ebbe
a mala pena loccasione di lasciar agire su di s la grande musica o
addirittura le opere delle arti gurative. Cos egli cre la sua estetica
dal profondo dellanimo e dai libri e non fu per niente cosciente della
mancanza di esperienza. Tuttavia, senza uscire da Knigsberg, ha an-
che tenuto spesso lezioni sullantropologia e, in questo caso, in maniera
del tutto ingenua, ha detto della sua citt natale che la sua grandezza e
la sua posizione privilegiata potevano sostituire tutte le altre fonti an-
tropologiche: Una grande citt, centro di uno Stato, dove si trovano
i consigli locali di governo, che possiede ununiversit (per la cultura
scientica) ed anche sede di commercio marittimo, che per mezzo
di umi favorisce il trafco dallinterno e coi paesi nitimi e lontani di
diverse lingue e costumi, una tal citt, come per esempio Knigsberg
sul Pregel, pu esser presa come sede adatta per lampliamento della
conoscenza delluomo e per la conoscenza del mondo, la quale vi pu
essere acquistata anche senza viaggiare (83) (Anthropologie, Vorrede,
p. VII
27
). Allo stesso modo Knigsberg dovette ben sostituire in lui
anche lesperienza estetica.
Le cose non andarono diversamente per Schiller, nel momento in
cui prese a scrivere la sua grande estetica. Burke, Sulzer, Webb, Mengs,
Winckelmann, Home, Batteux, Wood, Mendelssohn accanto a cinque o
sei cattivi compendi li possiede gi; ma egli desidera da Krner (lettera
dell11 gennaio 1793) ancora pi libri, sempre soltanto libri. Anche i
146
pittori italiani li vuole conoscere dalle incisioni. Anche sullarchitettura
desiderava persino troppo volentieri un buon libro. Dubito di potermi
fare delle idee sulla musica, poich il mio orecchio troppo vecchio;
tuttavia non temo che la mia teoria della bellezza possa far naufragio
nellarte musicale.
Non si obietti che non si pu pretendere da nessuno che vivesse
alla ne del Settecento la competenza che oggi si pretende con diritto
da ogni professore di storia dellarte e da ogni miglior critico darte.
Qui non si tratta certo della storia dellarte, ma dellestetica, della
teoria del bello. Si dovevano indagare i sentimenti estetici e a questo
ufcio si dedicarono uomini che confrontarono le grandi opere stru-
mentali di Bach e di Mozart con gli arabeschi, che non avevano mai
visto un quadro originale di Raffaello o di Rembrandt e che affronta-
vano perno la poesia con le vecchie regole. Non strano che da que-
sto studio concettuale dellarte scaturisse il nuovo dogma: lessenziale
delloggetto artistico di non suscitare interesse.
Questa dottrina, che io sappia, stata elaborata per la prima volta
da Burke, loriginale inglese, che aveva chiaramente ricavato dai qua-
dri dei pittori suoi contemporanei il suo grazioso ideale di bellezza.
Non si dimentichi che poco prima (1745) Hogarth aveva sbalordito il
mondo con la scoperta della curva della bellezza. Anche Burke aveva
la sua morbida curva della bellezza; secondo lui le propriet naturali
di un belloggetto sono: (1) proporzionata piccolezza; (2) levigatezza;
(3) diversa direzione delle parti; [] (5) ne costruzione, (6) colori
vivaci (84), che per non devono essere troppo stridenti; (7) se tuttavia
ci devessere un colore stridente, deve venir mitigato da altri. Burke
ora dice Schiller rende cos la frase: la bellezza suscita inclinazione
senza desiderio di possesso.
A questo pensiero gi stata data la forma da Kant e poi in modo
molto pi brillante da Schopenhauer; il pieno godimento del bene e
del piacevole sarebbe connesso allinteresse; invece il pieno godimento
che denisce il giudizio estetico sarebbe privo di ogni interesse; il giu-
dizio estetico sarebbe del tutto disinteressato, mentre loggetto di un
simile giudizio sarebbe molto interessante. Gi questo modo di parlare,
che ancora domina lestetica delle nostre scuole, contiene lesagerazio-
ne, la menzogna, alla quale dovette portare la nuova disciplina, perch
essa aveva sostantivato loggetto di tutte le sue ricerche, la bellezza.
Finch la bellezza era una qualit nei fenomeni, una qualit in certa
misura obiettiva, una forza delle opere belle che desta in noi il compia-
cimento estetico, si poteva almeno dire di questa cosa inesistente che
essa non avesse alcuna relazione con il nostro interesse o con la nostra
volont. Prima per che ci fosse una scienza estetica invero anche
da quando c cera solo un sentimento che determinati fenomeni
suscitano in noi e che dipende proprio dal nostro interesse. Anche se
bello non deve aver designato originariamente e da principio ci che
147
appare piacevole nellaltro sesso (dove certo non del tutto da esclu-
dere presso i non-esteti il desiderio del possesso brutale), certo per
laggettivo bello stato esteso progressivamente dai fenomeni corporei
alle opere darte, e queste opere darte le vogliamo sentire o vedere,
facendo del tutto astrazione dal fatto che non siamo sempre dei barba-
ri che vorrebbero anche possedere queste opere darte. Lerrore nella
famosa mancanza di interesse del piacere umano mi sembra stare nel
fatto che nellinteresse si sia pensato a un interesse dei cinque sensi,
allutilit per il singolo uomo o per lumanit, al fatto che (85) non si
sia considerato quanto profondamente dipendano dalla volont umana
tutti i giudizi di valore, ai quali appartengono anche i giudizi estetici.
La menzogna della mancanza di interesse nellinteresse artistico di
cui si chiacchiera diventa chiarissima quando si pensa ai loso che
hanno fatto un ulteriore passo avanti e, in modo del tutto conseguente,
hanno chiamato il godimento estetico privo di passione. Solo uno scrit-
tore darte che non avesse mai esperito la sensazione del bello, potrebbe
spingersi cos lontano. Possono esserci delle persone che proprio non
conoscono uneccitazione pi forte e passionale di quella che connes-
sa alludire una sinfonia di Beethoven, lottava per esempio, al primo
sguardo sulla Madonna Sistina, alla prima lettura del Faust. Tutto viene
sconvolto, le fondamenta della volont che la coscienza non raggiunge.
Odio e amore sono eccitati, si spinti allazione e questo gli scrittori
darte lo chiamano mancanza di interesse, mancanza daffetto.
Tra i miei esempi della forza eccitatrice delle arti pu far eccezione
la musica, poich la musica agisce in modo immediato sul sentimento.
Allora per la musica dovrebbe essere esclusa dallambito dellarte di-
sinteressata, il che non si pu tuttavia pensare seriamente. Lo stesso
Hanslick, famoso estetico musicale, del quale ora piace negare i meriti a
causa del suo odio contro Wagner, lo si intende male se si ritiene la sua
teoria del bello musicale come una estetica formale pura. Anchegli
d contenuto alla musica, solo che il contenuto ha da essere musicale.
In confronto allarabesco la musica in realt unimmagine, tale che il
suo oggetto non pu essere racchiuso in parole ed esaurito dai concetti.
In musica c senso e continuit, ma intesi in senso musicale; essa
un linguaggio che noi parliamo e comprendiamo, ma che non siamo
in grado di tradurre (p. 79
28
). Non c nella musica alcuna contrap-
posizione tra forma e contenuto. A che cosa si vuole dare il nome di
contenuto? Ai suoni stessi? Certo, ma essi hanno gi una forma. Che
cosa chiameremo forma? (86) Ancora una volta i suoni stessi, ma in
quanto sono una forma compiuta (p. 213
29
). Allesercizio di un se-
colo di estetica scientica che, non contento di indagare il sentimento
aggettivo del bello, ha voluto scoprire nelle opere darte e persino nella
natura la bellezza obiettiva, sostantiva, a questo esercizio, ufcioso e
quindi spesso ipocrita, riuscito di degradare il bello. Larte o la bel-
lezza obiettiva venne sopravvalutata e considerata una divinit; tutti gli
148
artisti creatori (avrei quasi detto alla berlinese Knstlehr) divennero
sacerdoti dellarte. Nessuna meraviglia che questa gente proveniente
dal mondo verbale (pittore, scultore, poeta, compositore sono nomina
agentis) si sia subito messa insieme in una casta di sacerdoti che salva-
guarda gli interessi di casta al servizio della sua arte disinteressata! Che
miracolo che, dopo le chiacchiere di maniera sul signicato dellarte,
ogni Knstlehr si ritenga o si dichiari un superuomo e pretenda decime,
da omuncoli e donnine! E il bello aggettivo, lunico vero in questo
mondo, diventato allora una merce, una merce di scambio dei sacer-
doti dellarte. Anche qui il sacerdote digerisce il cibo che i fedeli hanno
portato da mangiare al dio.
Verit (Wahrheit)
(409) La scepsi dubbio. Chi crede, crede a una verit. La verit
personicata, la verit eterna, la stabilis veritas, perch gi di per s
Dio, sta davanti al credente (410) Agostino in modo quasi grottesco.
Erit veritas etiamsi mundus intereat. Se la verit attenga alle cose o
al pensiero umano, alle nostre rappresentazioni o ai nostri giudizi, su
questo si losofato allinnito. Tutti i logici hanno limitato il concetto
di verit al pensiero o al giudizio: Aristotele, Tommaso, Descartes, ma
anche Hobbes.
Ora che ci avviciniamo alla ne della ricerca e che la parola verit
non costituisce pi per noi un feticcio, possiamo entrare con serenit nel
merito della disputa antica. Chi colloca la verit nelle cose, presta fede ai
suoi sensi; nel momento in cui crede due volte alle sue impressioni sen-
soriali, le pone due volte, una volta dal lato del soggetto e una volta da
quello delloggetto, ne deduce laccordo tra apparenza e realt e chiama
verit il fatto che cose identiche siano identiche. Chi pone la verit nel
suo giudizio, conferisce al concetto di verit un contenuto, se possibile,
ancora minore: in primo luogo egli giudica (ovviamente in modo corret-
to, vale a dire: secondo la sua miglior consapevolezza logica), poi crede
alla correttezza dei suoi corretti giudizi e chiama questa sua credenza
verit. Hobbes, che io ho collocato tra i pensatori che ponevano la verit
soltanto nel giudizio, ha gi tratto le conseguenze di questa posizione.
Noi non conosciamo altri giudizi che quelli linguistici; quindi vero e
falso sono attributi del discorso, delle parole, di una proposizione. E
una proposizione vera, se il predicato contiene in s il soggetto. Non
credo di travisare la posizione del potente Hobbes, se la espongo nel
modo seguente: solo le proposizioni tautologiche sono vere.
Ci sono sempre stati dei dogmatici, uomini che credettero solo al
Dio onnisciente e innitamente buono che non avrebbe potuto in-
gannarci nella fede nella sua verit, oppure uomini che credettero in
un sistema rigido. Ci sono sempre stati gli spiriti liberi, gli eretici in
religione e in losoa, gli scettici, che applicarono lidea che tutta la
nostra conoscenza relativa anche al concetto del conoscere pi alto,
149
alla verit. Herbart (noi (411) viviamo nelle relazioni e non abbiamo
bisogno di altro), Spencer (noi pensiamo nelle relazioni) si sono
spaventati proprio della parola eretica relativit; essi non negano affat-
to lassoluto, il reale, esso per noi semplicemente unknowable. Non
sappiamo proprio niente altro che relazioni, perch il nostro sapere
esso stesso solo una relazione, un rapporto dellio con laltro. Solo un
logico logicista (Stocklogiker) come Husserl pu volerlo negare: ci
che vero, assoluto, vero in s. In fondo del tutto corretto: si
dovrebbe solo chiamare vero il vero assoluto, quindi non usare proprio
la parola vero.
Questo relativismo del concetto di verit lo ha espresso bene Goe- Goe-
the in tutta la sua saggezza: se io conosco il mio rapporto con me
stesso e con il mondo esterno, lo chiamo verit. E cos ciascuno pu
avere la sua verit ed comunque sempre la stessa. Oltre a questo
Goethe ha anche affermato chiaramente che il concetto di verit ade-
risce alle parole (Spr. i. Pr. 51
30
): lerrore si ripete continuamente
nellazione, per questo non ci si deve stancare di ripetere il vero nelle
parole. Sarebbe utile se il pi saggio dei Tedeschi venisse citato pi
spesso di quanto accade nelle diatribe losoche.
Il timore del relativismo deriva propriamente dal fatto che i dog-
matici assumono verit eterne, assolute non solo nellambito del co-
noscere, ma anche allinterno del santuario della morale. Se anche le
verit morali venivano dichiarate relative, allora anche il mondo doveva
cadere a pezzi. Allora la menzogna e il diavolo non erano pi neri.
Allora la menzogna non era pi peccato, e allumanit veniva strappato
via ogni valore. Il giudizio di valore sul concetto di verit, la mescolan-
za internazionale di verit e di veridicit agivano di comune accordo,
quando ci si spaventava di fronte alla difesa antimorale della menzogna
di Nietzsche. Di fronte alla dottrina di Nietzsche: che lerrore sia il
principio che mantiene in vita.
Le declamazioni contro la menzogna come vero e proprio vizio
diabolico sono state da sempre comuni ai teologi cristiani (nonostante
il Vangelo di Giovanni, 7, 8 ss.); in ambito losoco Kant (412) ha
cercato per primo di fondare questa ripugnanza di fronte alla menzo-
gna nella facolt del linguaggio delluomo in modo piatto, infantile e
senza gusto (secondo le parole di Schopenhauer); questa ripugnanza
incondizionata si baserebbe per sullaffezione o sul pregiudizio;
noto che Schopenhauer approva la menzogna almeno laddove sarebbe
permessa come legittima difesa. Anche Bacone, il ne conoscitore degli
uomini, un difensore della menzogna; nel suo saggio Della verit egli
paragona la verit a una perla cha fa la sua miglior gura di giorno, ma
non raggiunge mai il prezzo di un diamante che si lascia osservare al
meglio al bagliore di una candela; la mendace mascherata del mondo;
la mescolanza con la menzogna e linganno sarebbe simile allaggiun-
ta di metallo comune nelle monete doro e dargento, aggiunta che
150
solo rende il metallo adatto alla lavorazione. Spessissimo la menzogna
viene giusticata o addirittura lodata dai poeti che certo a essa sono
i pi vicini; non mai stato detto qualcosa di pi benigno di quello
che viene detto da Grillparzer alla ne della sua commedia satirica,
condensato di umanit e saggezza, Weh dem, der lgt: La mala erba
(la menzogna), a quel che vedo, non si estirpa. | Ed fortuna se poi
vi cresce sopra il grano
31
.
Non mai stato detto qualcosa di pi terribile di quello che viene
detto da Ibsen nellAnatra selvatica: il medico Relling salva le persone
che gli sono care conservando in loro la menzogna vitale, il principio
stimolante, il cauterio che mette loro sulla nuca. Cos una menzogna
vitale lo scherzo che egli ha escogitato per mantenere luomo in vita:
se alluomo medio si toglie la menzogna vitale, gli si toglie contem-
poraneamente anche la felicit. [...] Non usi la parola straniera ideali;
poich labbiamo gi la nostra buona parola menzogne
32
.
Ibsen conserv la parola, e la menzogna vitale che la conservava
corrisponde sorprendentemente bene al pensiero di Nietzsche sulluti-
lit biologica dellerrore. difcile, come sempre in Nietzsche, far fun-
zionare questo pensiero in modo netto e chiaro. Non perch Nietzsche
non abbia lasciato un sistema, nemmeno perch sia stato uno scrittore
di aforismi. proprio di Nietzsche la splendida affermazione: la vo-
lont di sistema una mancanza di onest
33
. Gli aforismi sono sempre
mezze verit; poich (413) per non abbiamo mai la verit intera, la
met diventa pi dellintero. Anche la mania, spinta no al patologico,
di passare con le stampelle del linguaggio da antitesi di giochi linguistici
a paradossi che eccedono se stessi pu solo raramente intorbidire il
piacere limpido per la personalit scettica di Nietzsche. Ma linteresse
passionale di Nietzsche per il pensiero in tutte le sue poesie concet-
tuali riguarda la vita, riguarda linversione dei valori della vita; egli
ha portato avanti ricerche nellambito della teoria del conoscere solo
accidentalmente, ed era cos poco contento di queste irruzioni, di questi
fuochi darticio o di questi lampi di genio, che quasi non li pubblic
mai, che non ci mostr mai limpalcatura del suo losofare, abbastanza
non-tedesco, visto che il pi grande losofo tedesco diventato famoso
soprattutto grazie allimpalcatura con cui schiaccia spesso s stesso e
noi. Lideale tedesco dellintellettuale sarebbe di lasciare stare limpalca-
tura attorno a ogni duomo per tempi inniti. Nietzsche ha pensato solo
di rado in modo concluso, ma la profanazione pietosa di cadaveri lo ha
buttato sul mercato, e ora si cerca di ricostruire la teoria del conoscere
di Nietzsche solo dai volumi disordinati del Nachlass.
Errore e menzogna diventano per Nietzsche concetti interscambiabili
perch egli, in questo non-tedesco e di nuovo il pi tedesco dei Te-
deschi, non era un commerciante del negozio del pensiero speculativo,
ma soffriva troppo profondamente per il suo pensiero che egli sentiva
profondamente. Come si pu continuare a vivere, se si penetrati con
151
lo sguardo nella menzogna vitale? Se si sgomitolano le illusioni che man-
tengono in vita? Nella risposta a questa domanda faustiana sta tutto il
Nietzsche, malato affascinante. La massa crede alle illusioni, quindi non
si lascia disturbare. Il pensatore che giunto dietro il segreto deller-
rore vitale o della menzogna vitale, affonda, se un codardo. Solo il
pi forte, il povero Nietzsche malato, sopporta la verit che non ci sia
nessuna verit.
La falsit di un giudizio non per noi ancora, per noi, unobiezio-
ne contro di esso []. La questione no a che punto questo giudi-
zio promuova e conservi la vita, conservi la specie e forse addirittura
concorra al suo sviluppo; e noi siamo fondamentalmente propensi ad
affermare che i giudizi pi falsi (414) [] sono per noi i pi indi-
spensabili, [] che rinunciare ai giudizi falsi sarebbe un rinunciare
alla vita, una negazione della vita
34
. La verit ha un valore morale,
la non-verit ne ha uno biologico. Essere conforme al vero (wahrhaft)
signica dire menzogne in gruppo. Diciamo veri gli errori che sono
diventati carne. Nietzsche chiama vero ci che ci utile, come luma-
nit n dai tempi dellorigine ha chiamato buono ci che gli era utile.
Con la stessa sequenza di parole i pragmatisti intendono qualcosa di
diverso. Nietzsche ha potuto ripetere contro il concetto di verit quello
che sempre Spinoza aveva enunciato contro il concetto di bene. Basta
una sola considerazione per dargli ragione: lumanit non ha mai pos-
seduto la verit n dal suo esistere e tuttavia ha continuato a vivere.
Solo che di nuovo un gioco con le parole chiamare con il termine
della negazione e dellinsulto, errore o menzogna, il positivo, che solo
pu essere ci che mantiene in vita, perch non lo conosciamo
35
. Ci
che unknowable, unknowable, che lo si celebri come lassoluto o
lo si designi senza rispetto come errore. La voce inglese agnosticism
non poi cos male.
In riferimento al linguaggio Richter, invero in modo infelice, nel suo
libro che peraltro vale la pena di leggere per il suo grande valore ha
classicato lagnosticismo individualistico di Nietzsche come scetticismo
biologico; Nietzsche valuta verit ed errore dal punto di vista biologico;
scetticismo biologico ricorda un po la caserma dellartiglieria a ca-
vallo (me la ricorda anche lo scetticismo linguistico con cui Richter
onora anche le mie idee, Richter, II, p. 453
36
). Nietzsche non voleva,
come Hume, essere chiamato scettico. Gli scettici greci che coerente-
mente denirono impossibile ogni giudizio, non avrebbero nemmeno
potuto vivere, se fossero stati del tutto coerenti. Lasino di Buridano,
che a causa della mancanza di libert del volere, del volere umano
(avrei detto io), deve morire di fame tra due fascine di eno esattamen-
te uguali, sembra un asino pi intelligente rispetto allasino scettico che
non pu mangiare la sua unica fascina, perch dubita della realt del
eno, e non sa nemmeno se sia un asino e se possa davvero mangiare.
Allo stesso modo avrebbe dovuto far morire di fame lumanit questo
152
asino scettico, se essa avesse vissuto secondo la teoria scettica, lunica
verit. Nietzsche, appassionato della vita, non volle essere un tal scetti-
co, certo nemmeno uno scettico biologico. Si pu chiamare la sua teoria
relativismo individualistico, se proprio la si vuol classicare: ci che
mi manda in rovina per me non vero, cio una relazione falsa del
mio essere con altre cose. Infatti c solo una verit individuale una
relazione assoluta un non senso. Non possediamo allora nessuna
verit che sia assoluta, dobbiamo accontentarci delle opinioni, della
credenza (Glauben) che ci viene incontro come surrogato della verit
per la terza volta.
Il linguaggio si stanca a forza di dimenarsi pietosamente con tali
concetti. Vero dovrebbe essere ci che corrisponde alla realt. Chiamia-
mo credenza il nostro rapporto con le rappresentazioni o con i giudizi,
quando li consideriamo veri, cio quando non sappiamo che sono veri,
quando quindi non li consideriamo veri. Sarebbe molto meglio (416)
optare per la rassegnazione, entrare nellordine degli Ent-sagenden di
Goethe.
La lingua tedesca ha formulato una volta un Witz pazzesco e ha
tolto la pelle al concetto di verit. Unasserzione di verit era nel me-
dio alto tedesco allwaere (antico alto tedesco alawr = verissimus).
Quando non si sent pi la sua origine, ne venne fuori per mutamen-
to fonetico alber, da Gottsched e Gellert albern. Noi sappiamo cosa
signica ora questo antico alwaere. Lutero traduce: ein Alber glubt
alles (uno sciocco crede a tutto, Spr. Sal. 14, 1537).
Mondo aggettivo
(W I, 17) Il termine grammaticale adjektivum notoriamente la
traduzione del greco rai0rtov; anche noto che Aristotele che in
ogni caso non era un grammatico non aveva alcuna idea della cate-
goria dellaggettivo, che per lui rai0rtov consisteva nel caso speciale
dellepitheton ornans poetico. In seguito, con rai0rtov i grammatici
greci continuavano a pensare in primo luogo a elogio o biasimo, ma
aggiunsero lentamente alle propriet dellanima e del corpo altre parole
qualitative.
Se mai i Greci fossero stati portati alla ricerca gnoseologica, come
fondatore della logica Aristotele avrebbe comunque dovuto prendere
in considerazione anche il signicato grammaticale dellaggettivo.
Nella mia Kritik der Sprache (B II, p. 94 s.) ho cercato di mostrare
che laggettivo nella storia della grammatica la parte del discorso
pi giovane, ma nella storia dellintelletto la pi antica. Cosa sia una
cosa me lo dicono le sue propriet, al di fuori di esse la domanda
metasica. La costituzione della corporeit a partire dalle qualit si
completa a livello prelinguistico; anche la scimmia, quando mangia una
mela, probabilmente mette insieme a partire dalle qualit di liscio, dol-
ce, rosso, pesante, ecc. lipotesi della cosa-mela
38
. Il mondo aggettivo
153
lunico mondo a noi accessibile mediante le impressioni sensoriali; il
mondo sostantivo lo stesso mondo dato ancora una volta, concepito
sotto lipotesi della cosalit.
Non credo di avere la tendenza a costringere le mie osservazioni
in un sistema. Ma lapplicazione di una concezione del mondo che
ci terr occupati ancora per molto al concetto di appercezione mi
trae fuori dallisolamento nominalistico. Il linguaggio umano, che si
costituisce attraverso lappercezione ed costituito dallappercezione,
ha formato da sempre tre categorie, con laiuto delle quali cercava di
comprendere il mondo: laggettivo, il verbo e il sostantivo. Mi sembra
ora possibile (18) ripartire ancora una volta in queste tre categorie, in
modo diverso da come stato fatto nora, il processo interno delle
appercezioni che nel loro insieme costituiscono il pensiero.
C un mondo aggettivo, lunico mondo del quale facciamo espe-
rienza in modo immediato attraverso i sensi; tutte le nostre sensazioni,
tutti i nostri dati dei sensi sono aggettivi; aggettive sono inoltre anche
tutte le nostre sensazioni dellanima, i nostri giudizi di valore, tutto ci
che chiamiamo giusto, buono, bello ecc. Questo mondo aggettivo si
frantuma in singole impressioni, non si costituisce in forme unitarie,
lo si potrebbe chiamare un mondo a puntini (pointilliert).
Se vogliamo congiungere i punti in unit, se vogliamo dirigere lat-
tenzione su delle unit (con questo non bisogna dimenticare che latten-
zione viene stimolata da unit o forme misteriose nelle cose), dobbiamo
considerare, cio pensare, cio rivolgere la capacit di appercepire alle
impressioni dei sensi. La congiunzione delle sensazioni in unit median-
te lattivit della memoria la si potrebbe chiamare il mondo verbale (un
po pi audace dellespressione mondo aggettivo di poco fa). Oppure,
mettendo sullo stesso piano attivit ed efcacia, il mondo causale. Il
mondo a puntini delle impressioni passive dei sensi si trasforma me-
diante loperare dellappercezione nel mondo in divenire, nella trama
del mondo, in ci che uisce.
Le masse delle appercezioni o il pensare non sono in questione pri-
ma che il pensare sia giunto alla parola. Abbiamo parole per il mondo
aggettivo (blu, rumoroso, dolce, duro, giusto, bello), ma tutte queste
parole inlzano limpressione con la punta dellago del momento e non
ci lasciano scorgere o addirittura descrivere la cosiddetta totalit. Il
mondo aggettivo il mondo dellanimale. Il mondo verbale vi si ag-
giunge e ha designazioni per il divenire e il trascorrere, per il godere
e il soffrire, per il cambiare e il rimanere, per il causare e lobbedire.
Il mondo verbale lo si pu descrivere. Tuttavia limpertinente parola
umana lo vorrebbe anche spiegare. Vorrebbe trovare unespressione
non solo per le sensazioni del momento e per i mutamenti (19) nello
spazio, ma anche per lessente, per ci che permane nel tempo, per le
sostanze. E la parola impertinente si crea (solo per s, la parola per la
parola) il mondo sostantivo, il mondo delle cose e delle forze, il mondo
154
degli dei e degli spiriti, un mondo del quale la memoria dellumanit
non sapeva nulla prima che la parola se lo fosse procurato. E poich
il mondo sostantivo gode della pi alta considerazione tra il popolo
e parimenti da sempre stato, presso i muti del cielo, presso i pi
profondi pensatori o i mistici, il mondo della nostalgia, cos non avrei
nulla in contrario se si volesse chiamare il mondo sostantivo del tutto
irreale: il mondo mistico.
Mondo sostantivo
(W II, 262) Abbiamo conosciuto lunico mondo della nostra espe-
rienza, il mondo reale, il mondo del sensismo, come quel mondo per
la descrizione del quale il linguaggio ha a disposizione i suoi aggettivi;
abbiamo supposto che laggettivo sia davvero la pi giovane parte del
discorso della grammatica, ma la pi antica parte del discorso nella
storia dellintelletto. Abbiamo gi spiegato l che il linguaggio ha creato
a suo uso e consumo il mondo sostantivo, il mondo degli dei e degli
spiriti, il mondo delle cose e delle forze. Il mondo sostantivo il mondo
mitologico.
Questa rappresentazione sarebbe una banalit se si pensasse soltan-
to che i sostantivi astratti, con cui una ragione sincera non sa pensare
nulla, appartengono a un mondo mitologico. No. Non solo gli dei e
gli spiriti sono mitologici, ma anche le forze apparentemente ben co-
nosciute della sica e della biologia sono cause mitologiche; anche le
cose stesse, le cose singole della nostra esperienza aggettiva sono solo
simboli nei quali riassumiamo le cause mitologiche dei loro effetti ag-
gettivi. Per i sostantivi astratti la spiegazione ancora pi semplice.
Le lingue germaniche hanno pi delle altre la tendenza a designare
le cose astratte, quelle cose delle quali sappiamo ancor meno rispetto
alle cose corporee, con parole doppie che, per il mio senso della lingua,
hanno in s qualcosa di pleonastico. Freundschaft (amicizia) non dice,
nella mia relazione con N., niente (263) di pi del fatto che noi siamo
Freunde (amici); lattuale sufsso -schaft era originariamente lo stesso
che stato e venne poi a designare un concetto collettivo. Brgerschaft
(cittadini), Judenschaft (ebrei) non dicono niente di pi che Brger (cit-
tadini), Juden (ebrei); Wissenschaft (scienza), lo zainetto pieno di sapere,
niente di pi di wissen (sapere). Anche il sufsso -heit era una paro-
la autonoma e designava una condizione; Freiheit (libert), Gleichheit
(uguaglianza) non dicono niente di pi di frei (libero), gleich (uguale);
-heit per, come -schaft, ha assunto il signicato di un collettivo, e Chri-
stenheit (cristianit) non dice niente di pi di Christen (cristiani); certa-
mente solo un turco che parla tedesco direbbe Christenschaft; inne si
mette -heit in modo del tutto pleonastico in Gottheit (divinit), Schnheit
(bellezza). Anche -tum era una parola autonoma; se diciamo Eigentum
(propriet), non pensiamo niente di pi che con laggettivo eigen (pro-
prio), che propriamente il participio di un antico verbo dimenticato
155
eigan, che signica besessen (posseduto), in contrapposizione a una cosa
senza padrone; soltanto il capriccio delluso linguistico distingue tra
Eigentum, Eigenheit e Eigenschaft; un tempo si diceva mein Eigen dove
ora diciamo mein Eigentum.
poi solo un caso della storia della lingua che le cose concrete non
abbiano forme cos forzate delle parole. Che non diciamo Pferdeding
(cosa-cavallo), Apfelding (cosa-mela) per Pferd, per Apfel o forse Pfer-
detum, Apfelheit; il francese maison derivato dallaltrettanto astratto
latino mansio, luogo nel quale si rimane. In un certo senso i sostantivi
pi concreti sono pseudoconcetti proprio come i mostri concettuali
pi astratti della scolastica.
Se per una temeraria formazione analogica non ci fossimo abituati
ad attribuire quasi a ogni sostantivo le stesse categorie del caso, del
numero e persino del genere, riconosceremmo subito in queste catego-
rie larticiosit, lirrealt della formazione del sostantivo. Avvertirem-
mo subito che i sostantivi astratti non possono avere alcun rapporto
di declinazione tra loro, alcun rapporto numerico in relazione a noi e
davvero nessuna somiglianza con le differenze di genere degli animali.
Larticiosit della distinzione di genere (264) evidente anche nella
maggior parte dei sostantivi concreti; la declinazione dei sostantivi con-
creti come da tempo ha dimostrato la linguistica si per formata
solo metaforicamente secondo limmagine di alcuni rapporti spaziali e
simula soltanto una conoscenza di relazioni delle quali possiamo asserire
qualcosa sempre soltanto in immagine; anche il numero dei sostantivi
concreti non nel mondo dellesperienza, non nella singola cosa reale,
non mai un effetto delle cose su di noi, ma solo nel mondo verbale,
nel bisogno di ordine delluomo. I numeri infatti non sono percezioni,
non sono modi aggettivi.
Lintelletto umano che, seguendo un istinto remoto, certamento ere-
ditato dallanimale, concepisce le cause comuni delle impressioni agget-
tive come sostantivi, simula quindi un mondo sostantivo proprio con
gli stessi mezzi con i quali lo scherzo ottico dei sici simula per noi la
presenza di un corpo mediante specchi disposti abilmente e lenti scelte
in modo appropriato. Ho gi detto da qualche parte che potremmo
credere a ragione di percepire una mela se un un giocoliere sovrumano
potesse simulare per noi la forma, il colore, la consistenza, il gusto e il
profumo di una mela. Solo che noi ci saziamo con la cosiddetta mela
reale che possiamo digerire; ma anche questo dipende di nuovo dagli
effetti aggettivi della mela reale, effetti che un giocoliere ancor pi
sovrumano potrebbe simulare.
Mondo verbale
(W III, 359) I. Nel nostro pensiero o nel nostro linguaggio, accanto
al mondo aggettivo, lunico vero mondo dellesperienza o del sensismo,
c anche un mondo sostantivo (360) dellessere o dello spazio, che
156
abbiamo conosciuto come il mondo mitologico e (a un livello pi alto)
come il mondo della mistica; c poi per anche un mondo verbale, il
mondo del divenire. Lo spazio la condizione del mondo sostantivo,
il tempo la condizione del mondo verbale. Spazio e tempo si distin-
guono essenzialmente per il fatto che lo spazio viene consumato solo
in relazione a un determinato tempo, il tempo invece viene sempre
consumato quasi come una forza, appena accade qualcosa. Nellabisso
del concetto di causa mi sembra di intravedere la possibilit di dire
che spazio e tempo siano le condizioni dellesperienza, che lo spazio
sia la condizione dellessere, il tempo la condizione del divenire, ma
che in nessuno di questi casi si possano chiamare cause lo spazio e il
tempo.
Kant ha aggirato la difcolt, che Hume non aveva proprio notato,
assegnando al soggetto lo spazio e il tempo come forme dellintuizione,
togliendoli alle cose in s, che egli riteneva proprio le cose-cause origi-
narie (Ur-sachen). Ma almeno il tempo, come condizione del divenire,
non lo si pu staccare n dal soggetto n dalloggetto, a meno che non
lo si pensi misticamente del tutto inesistente. Il mondo verbale non
vede altro che il modo dellinterazione, quello che noi chiamiamo le re-
lazioni delle cose con noi e le relazioni delle cose tra di loro. Il divenire
e il trascorrere, cio il mondo oggettivo, liberato dalla superstizione del
realismo ingenuo, oggetto del mondo verbale: laver effetto; ma anche
laver effetto su di noi, che viene immediatamente colto come mondo
aggettivo, appartiene anchesso appena lo abbiamo riconosciuto come
un aver effetto al mondo verbale. Il sapere di un mondo aggettivo, il
formare dei concetti, il pensare o il parlare sono verbali.
Il concetto pi generale per questo divenire, per questo usso delle
cose, sarebbe il concetto di movimento. E qui lespressione mondo
verbale non sembra del tutto appropriata, perch i verbi non designa-
no sempre attivit o movimenti o mutamenti in generale, ma spesso
(almeno ora) (361) stati di quiete. Ho detto: almeno ora, perch non
si pu del tutto escludere la supposizione che originariamente i nostri
termini che indicano tempo e attivit designassero di regola unattivi-
t di carattere sensibile, anche se non posso ammettere lassunzione
ulteriore di tutti i sanscritisti che tutte le cosiddette radici linguistiche
siano sempre state allorigine concetti di attivit.
Non voglio nemmeno negare che nellespressione mondo verbale
(per il mondo del divenire e del nostro sapere del divenire) siano conte-
nuti alcuni errori minimali. I termini che designano propriamente delle
attivit a cui ho pensato in un primo tempo nella teoria dello scopo
nel verbo (B III, p. 59), non hanno, nella psicologia del linguaggio,
esattamente lo stesso carattere dei verbi che designano unattivit della
natura sica: un movimento per es. dellacqua, del suono, della luce
o del calore; dal suo punto di vista, la grammatica distingue poi verbi
transitivi e intransitivi, oggettivi e soggettivi. Tuttavia alla ne credo
157
che in tutte le nostre lingue i verbi, che esprimono attivit spirituali o
persino stati di quiete, siano solo creazioni analogiche secondo la forma
e la forma linguistica interna dei verbi; le desinenze verbali ricordava-
no che il soggetto faceva qualcosa, che combinava qualcosa. E questa
rappresentazione confusa noi la colleghiamo ancor sempre con tutti i
verbi (Zeitwrter).
Non la colleghiamo per con il verbo pi generale, quindi quello
pi vuoto di tutti i verbi, con il concetto di essere. Ancora una volta
non posso negare che mi provoca un imbarazzo linguistico il fatto che
questo verbo generalissimo non possa essere inserito nel mondo verba-
le e sia invece proprio un sinonimo del mondo sostantivo. Posso solo
ricorrere alluso linguistico: noi trasferiamo le cause del mondo agget-
tivo nei sostantivi di cui esprimiamo la realt o lessere solo quando
crediamo di sapere qualcosa delle relazioni di queste ipostasi cosali.
(362) II. Naturalmente la divisione dei tre mondi secondo le parti
del discorso pi importanti della grammatica la si deve intendere solo
cum grano salis. Lindeterminatezza del senso grammaticale (cfr. B III,
p. 1 s.) si rivela chiaramente soprattutto nel fatto che non possiamo
dire esattamente cosa siano un aggettivo, un sostantivo, un verbo; la
logica, vale a dire la logica scolastica, certo derivata dalla grammatica
attraverso una non chiarezza di Aristotele, diventata storica, ma con
questo la grammatica non diventata logica. Allideale dei concetti
logici corrispondono solo i sostantivi, in quanto designano individui e
poi concetti di genere pi generali e sempre pi generali. Gli aggettivi
sono da sempre determinazioni di impressioni sensibili o di sensazioni,
ma nella logica scolastica si devono usare ancor sempre come predicati
di giudizi e di conclusioni di implicazione. Nel senso della logica di
implicazione i verbi non sono poi per nulla concetti, essi non designa-
no concettualmente, come abbiamo visto (B III, p. 59), la somma di
percezioni uguali o simili, essi piuttosto riuniscono insieme una somma
di modicazioni progressive sotto un concetto di ne. Nella dottrina
della deduzione della logica scolastica si pu usare in modo preciso
come copula propriamente solo il concetto di essere; e questo concetto
conviene, come abbiamo appena visto, piuttosto al mondo sostantivo
che a quello verbale.
Cos ho anche ammesso lerrore di forma della mia divisione in tre
del mondo del linguaggio: che cio si possa percepire in modo imme-
diato uno scopo nel verbo solo nelle parole che indicano attivit sensi-
bili, in maniera pi chiara in assoluto nei verbi oggettivi, il cui oggetto
sostantivo soltanto una ripetizione tautologica dello scopo nel verbo,
ad esempio: scavare uno scavo, costruire una costruzione, ecc.
Non nascondo che nella mia teoria dello scopo nel verbo ci sia ler-
rore di una generalizzazione. Questo stesso errore per lo hanno fatto
prima di me le nostre lingue, formando, per lanalogia con i verbi di
sensazione, una quantit (363) di verbi, nei quali un tale ne evidente
158
non lo si poteva sentire immediatamente o non lo si poteva sentire per
nulla. Voglio tentare di difendere il concetto di scopo nel verbo per
alcuni grandi gruppi. Le attivit sensibili delluomo sono espresse da
verbi che riassumono in uno scopo innumerevoli mutamenti microscopi-
ci parziali oppure deducono linsieme dei mutamenti da una cosiddetta
causa nale; secondo luso scientico del linguaggio i mutamenti nella
natura extraumana, dei quali sappiamo qualcosa in quanto relazioni
reciproche tra le cose, non ritornano a cause nali, ma a cosiddette
cause efcienti. Crediamo per di aver imparato dalla nostra critica
del linguaggio che tutte le forze, anche quelle della natura inorganica,
sono forze che hanno una direzione, che esse si sottraggono al concetto
di causalit, che il concetto di direzione sarebbe utilizzabile in questo
senso, utilizzabile provvisoriamente, come il concetto pi generale, a
lungo cercato, per le antiche cause originarie e per le antiche cause
nali. La nostalgia del nostro tempo, che stanco della concezione
meccanicistica del mondo, scivola volentieri senza aver rielaborato
il concetto di direzione verso la concezione del panpsichismo che
non vorrebbe pi considerare teleologia e causalit come termini in
contrasto. Per una simile concezione non mi sembra assurdo, anzi mi
sembra necessario, nel verbo, trasferire lo scopo, dai verbi che indicano
attivit sensibili anche a quelli, innumerevoli, che designano un qualche
effetto reciproco delle cose, che designano le relazioni reciproche dei
sostantivi. Avrei potuto parlare, in maniera pi pregnante e pi corri-
spondente a questa spiegazione, piuttosto che di uno scopo nel verbo,
di una direzione nel verbo; ma una buona prova per le nuove idee se
esse si possono esprimere in parole semplici; e poi dodici anni fa non
ero ancora venuto a capo del concetto di direzione.
Si pu interpretare un altro grande gruppo di verbi estendendo a
essi il concetto di iterativo; essi sono molto pi diffusi che da noi nelle
lingue antiche, poi nel turco e in molte (364) lingue africane. Qui molte
o moltissime azioni parziali vengono riunite in un concetto verbale che
certo non sempre esprime una azione complessiva conforme a scopo,
ma spesso unattivit biologica dellorganismo, quindi teleologicamente
utile (respirare, digerire). In moltissimi casi i verbi di stato che non
designano alcun movimento hanno un senso imparentato con quello dei
verbi iterativi. Certo a molti verbi di stato sta alla base unico e solo il
concetto di tempo; una connessione con gli iterativi non sarebbe quasi
applicabile senza costruzione. Ma in questo contesto mi posso accon-
tentare del fatto che i verbi si chiamano tutti in tedesco Zeitwrter e
non ho bisogno di arrabbattarmi a mettere ordine nella confusione che
la formazione analogica e la grammatica ha portato nella classicazione
dei verbi delle nostre lingue pi conosciute i verbi dei selvaggi non
si possono spesso classicare allindoeuropea.
159
1
[Niemeyer, Halle 1898.]
2
[Michel Bral, Essai de smantique. Science des signications, Hachette, Paris 1897, p.
1 (Saggio di semantica, trad. it. di Arturo Martone, Liguori, Napoli 1990, p. 3).]
3
[Jacob Grimm, Wilhelm Grimm, Deutsches Wrterbuch, Hirzel, Leipzig 1854-1960,
I, Sp. 1227.]
4
[Barth, Leipzig 1906 (p. 16).]
5
[Industrie-Comptoir, Weimar.]
6
[Johann Christoph Adelung, Grammatisch-kritisches Wrterbuch der Hochdeutschen
Mundart, Breitkopf und Compagnie, Leipzig 1793-1801.]
7
[Blaise Pascal, De lesprit gomtrique, ditions eBook France, p. 13.]
8
Non ho dubbi che il signicato di copulare sia un calco limitato al linguaggio biblico,
forse in ebraico un eufemismo castigato. La parola ebraica jada interessante anche da un
altro punto di vista. Gli antichi ebrei possedevano tre parole distinte per il percepire con
la vista, con ludito e con il gusto; tutte e tre le parole potevano designare metaforicamente
una conoscenza (Erkennen) spirituale; ma solo jada, la percezione mediante la vista, venne
trasferita al coito.
9
Lesempio di Socrate, come Aristofane lo port in scena, non mi sembra scelto feli-
cemente; egli e Cleone corrispondevano secondo lidea degli ateniesi proprio allumorismo
come lo intese Dryden e come ancora lo concep Lessing.
10
[Gotthold Ephraim Lessing, Von Johann Dryden und dessen dramatischen Werken,
Thetralische Bibliothek, 4. Stck, in Werke und Briefe, hg. von Wilfried Barner et al., V, hg.
von Gunter E. Grimm, Deutscher Klassiker Verlag, Frankfurt a. M., 1997, pp. 175-77.]
11
[Gotthold Ephraim Lessing, Hamburgische Dramaturgie, in Werke und Briefe, hg. von
Wilfried Barner et al., VI, hg. von Klaus Bohnen, Deutscher Klassiker Verlag, Frankfurt am
Main, 1985, p. 643.]
12
Auch Einer un modello esemplare per una nuova teoria (I, p. 448). DallAesthetik
di Vischer: La personalit umoristica non ha bisogno [] di essere un Falstaff del tutto
sregolato. Catarro e occhi di gallina gli bastano per rendere una natura innitamente infelice,
come richiede lumorismo; infatti essa deve sentire lorganizzazione spirituale, il che vuol dire:
essere impedita nelladempimento dei ni pi puri, disturbata nei momenti pi belli, dal tossi-
re, sofarsi il naso, sputare, starnutire e zoppicare. Essa in questo cos sensibile come carne
nuda in una ferita, un uovo sgusciato [Theodor Vischer, Aesthetik oder Wissenschaft des
Schnen, cit. (Georg Olms Verlag, Hildesheim - Zrich - New York 1996, I, pp. 486-87)].
13
[Theodor Vischer, Aesthetik oder Wissenschaft des Schnen, cit., I, pp. 486-87.]
14
[Jean Paul Richter, Vorschule der Aesthetik, cit., p. 153.]
15
[Ivi, p. 126.]
16
[Novalis, Blthenstaub, in Schriften, hg. von Paul Kluckhohn u. Richard Samuel, Ko-
hlhammer, Stuttgart 1981, II, pp. 425-27.]
17
[Johann Wolfgang von Goethe, Sprche in Prosa, hg. von Harald Fricke, in Smtliche
Werke, Briefe, Tagebcher und Gesprche, hg. von Friedmar Apel et al., Deutsche Klassiker
Verlag, Frankfurt am Main 1993, XIII, p. 13.]
18
[Ivi, p. 334.]
19
[Ivi, pp. 157-58.]
20
[Walter W. Skeat, An Etymological Dictionary of the English Language, 1835-1912, The
Clarendon Press, Oxford.]
21
[Johann Georg Walch, Philosophisches Lexicon, Gleditsch, Leipzig 1726.]
22
[Alexander Gottlieb Baumgarten, Aesthetica, Frankfurt am Oder 1750-1758 (LEstetica,
trad. it a cura di Salvatore Tedesco, Aesthetica, Palermo, 2000).]
23
[Immanuel Kant, Kritik der reinen Vernunft (1. Au.), in Kants gesammelte Werke, hg.
von der Kniglich Preussischen Akademie, Georg Reimer, Bd. IV, Berlin 1903, p. 30 (Critica
della ragion pura, trad. it. a cura di Giorgio Colli, Adelphi, Milano 1995, pp. 76-77).]
24
[Immanuel Kant, Kritik der reinen Vernunft (2. Au.), in Kants gesammelte Werke,
cit., Bd. V, Berlin 1911 (Critica della ragion pura, trad. it. cit. pp. 775-77).]
25
[Friedrich Schiller, Kallias oder ber Schnheit, in Werke, Bd. XV, Hempel, Berlin 1870.]
26
[Si tratta del colloquio con Johann Peter Eckermann del 26 febbraio 1824.]
27
[Immanuel Kant, Anthropologie in pragmatischer Hinsicht, in Kants gesammelte Werke,
cit., Bd. VII, Berlin 1917, pp. 120-21 (Antropologia pragmatica, trad. it. di Giovanni Vidari e
Augusto Guerra, Laterza, Roma - Bari 1985, p. 4.]
28
[Eduard Hanslick, Vom Musikalisch-Schn, Barth, Leipzig 1891 (Il Bello musicale, trad.
it. di Leonardo Distaso, Aesthetica, Palermo 2001, p. 65).]
160
29
[Eduard Hanslick, Vom Musikalisch-Schn, cit. (p. 115).] Con non poca sorpresa e
gioia ho trovato nel mio connazionale Hanslick anche la distinzione tra mondo sostantivo e
mondo aggettivo, naturalmente senza le connesse riessioni critiche.
30
[Johann Wolfgang von Goethe, Sprche in Prosa, cit., p. 31.]
31
[Franz Grillparzer, Weh dem, der lgt, in Dramatische Werke, Bergland Verlag, Wien
1961, III, p. 96 (Guai a dire bugie!, trad. it. di Cesare De Marchi, Greco & Greco editori,
Milano 1991, p. 146.]
32
[Cfr. Henrik Ibsen, Die Wildente, in Dramen, Artemis & Winkler, Dsseldorf - Zrich,
deutsche bersetzung von Christian Morgenstern et al., p. 456 (Lanitra selvatica, in Teatro,
trad. it. di Alda Castagnoli Manghi e Hanne Coletti Grnbaum, Utet, Torino 1982, pp. 195-
96; ho modicato lievemente la traduzione italiana).]
33
[Friedrich Nietzsche, Gtzen-Dmmerung, in Smmtliche Werke, hg. von Giorgio Colli
und Mazzino Montinari, de Gruyter, Berlin, VI, (Crepuscolo degli idoli, trad. it. di Ferruccio
Masini, nota introduttiva di Mazzino Montinari, Adelphi, Milano 1983, p. 28).]
34
[Friedrich Nietzsche, Jenseits von Gut und Bse, in Smmtliche Werke, hg. von Gior-
gio Colli und Mazzino Montinari, de Gruyter, Berlin, V, p. 18 (Al di l del bene e del male,
trad. it. di Ferruccio Masini, nota introduttiva di Giorgio Colli, Adelphi, Milano 1983, pp.
9-10).]
35
Un detto molto citato di Schiller va bene qui tuttal pi come ornamento: Solo ler-
rore la vita, | e il sapere la morte. Questi versi si trovano nella poesia Kassandra, sono
drammaticamente introiettati nellanima della profetessa e intendono propriamente il sapere
profetico del destino futuro; questo stato danimo viene espressa dallo scolaro di Kant in ma-
niera ancor pi incisiva nei versi: tu (il dio) mi hai dato il futuro, | ma ti prendesti lattimo.
Certo Schiller generalizza lo stato danimo di Cassandra: ogni sapere rende infelici. Giova
alzare il velo? Chi si rallegra della vita se ha guardato nel suo fondo?. Nonostante questo
c unulteriore distanza tra il paradosso di Nietzsche dellutilit biologica e la poetica antitesi
di Schiller. Per un motivo molto semplice. Schiller non intende per nulla lerrore, lopposizione
alla verit. Egli intende il non-sapere, in contrapposizione al sapere. Egli ha soltanto messo
errore direi con il cappello in mano al posto di non-sapere per via del ritmo fastidioso. E
come punizione e perch quasi richiede lopposizione a errore, il passo viene spesso citato in
modo errato, da Fontane, da Raoul Richter: Solo lerrore la vita, | e la verit la morte.
36
[Raoul Richter, Friedrich Nietzsche: sein Leben und sein Werk, 15 Vorlesungen, Drr,
Leipzig 1903.]
37
[Martin Luther, Sprche Salomonis.]
38
B II, p. 94 s.
161
Le tre immagini del mondo
(da Die drei Bilder der Welt)
Le tre nuove categorie
(3BW, 1) Il nostro mondo c una volta soltanto, ma noi non pos-
siamo vederlo in una sola volta. Del resto anche il sole c soltanto
una volta nel nostro sistema planetario, ma noi non possiamo proprio
vederlo direttamente e a occhio nudo, ma solo mediatamente, nei suoi
effetti, come causa di fenomeni del tutto diversi, che sono poi stati
classicati nella nostra conoscenza della luce, del calore e dellelet-
tricit. Inoltre possiamo guardare il sole solo nellimmagine o in im-
magini. Quando con unosservazione eccezionale vediamo un doppio
arcobaleno lunare, abbiamo davanti a noi tre immagini del sole per lo
meno simili nella loro essenza; invece i fenomeni della luce, del calo-
re e dellelettricit non li designamo volentieri come immagini, simili
nella loro essenza, dellunico sole; abbiamo avuto bisogno di un tempo
innito per scoprire alcune relazioni tra questi tre fenomeni naturali.
Il mondo, parola con la quale cerchiamo ora di abbracciare il tutto
in una volta che ne abbiamo o non ne abbiamo ora conoscenza
per un complesso di fenomeni ancora pi grande e pi aggrovigliato
rispetto al sole, e allora (2) avremo bisogno di un tempo ancora pi
lungo per giungere alle relazioni segrete delle immagini che ci si of-
frono al posto del mondo stesso.
Non abbiamo altra immagine del mondo che quella del linguaggio;
non sappiamo nulla del mondo, n per noi stessi n per comunicarlo
ad altri, se non ci che si lascia dire in una qualche lingua umana.
Una lingua propria, una sorta di lingua sovrumana, la natura non ce
lha, la natura muta, solo luomo pu dire qualcosa su di s e sulla
natura, sul mondo.
Gi anni fa, nel mio Wrterbuch der Philosophie, ho tentato di mo-
strare, brevemente e in modo per me insoddisfacente, che vi sono tre
diversi punti di vista per raggiungere unimmagine dellunico mon-
do, che noi ci disegnamo unimmagine aggettiva, una sostantiva e una
verbale del mondo, ciascuna separata dallaltra. Ora voglio tentare la
disamina delle condizioni e delle particolarit di queste tre immagini.
Innanzi tutto voglio porre la questione senza promettere di riuscire a
dare una risposta univoca se sar mai possibile tradurre luno nellal-
tro i tre linguaggi nei quali queste tre immagini si formeranno davanti
162
a noi; sovrapporre queste tre immagini in modo tale che ne possa sca-
turire unimmagine unitaria e corretta di un unico mondo. Chiamer
di regola i tre punti di vista (3) le tre categorie della conoscenza del
mondo, anche se non mi piace il gergo inutile degli eruditi; ho per
motivi sufcienti per usare il concetto ingrigito di categoria nel suo
signicato originario. Ho imparato da Trendelenburg
1
che Aristotele
diciamo cos prese le mosse dal ricercare una tavola dei pi alti
concetti metasici e, quando enunci la sua tavola delle categorie, che
ha avuto tanta inuenza, trov soltanto i concetti grammaticali no
allora sconosciuti. Anche luso logico delle categorie in Aristotele ,
pi di quanto egli supponesse, unanalisi della proposizione semplice;
nota bene: della proposizione greca. Le categorie di Aristotele, al raf-
namento e al miglioramento delle quali hanno dedicato molta fatica
le teste migliori no a Kant, non sono niente di pi e niente di meno
che le pi alte determinazioni concettuali che si possono esprimere
come predicato di una qualche cosa. Che proprio Aristotele abbia
scompaginato tutta intera la sua tavola con la sua prima categoria,
che poi le casualit della grammatica greca abbiano provocato guasti
ancora peggiori, questo va al di l del nostro discorso. Basta dire:
xotgyoriv non signica in Aristotele assolutamente nulla di pi che
asserire (aussagen), xotgyoi oi e xotgyog oto (praedicamenta) nulla
di pi che asserzioni (Aussagen), nel migliore dei casi possibilit di
asserzione. (4) Naturalmente i Greci dellepoca successiva, gli arabi e
gli scolastici non avrebbero potuto mettere assieme intere biblioteche
su questi semplici concetti, se dietro alle asserzioni non fosse stato
nascosto ogni sorta di enigma della grammatica, della logica e dellon-
tologia: tutti gli enigmi del linguaggio appunto. Categoria divenne
un terminus technicus e rimase unespressione tecnica da quando la
parola non signic pi ogni asserzione possibile, ma solo lasserzione
predicativa di uno dei concetti pi alti. In questo senso la categoria
appartiene al pi antico patrimonio linguistico della losoa. Ora, poi-
ch non mi aspetto nessun vantaggio per la conoscenza del mondo n
dallantica tavola delle categorie, n da una qualsiasi nuova tavola, n
dalle categorie grammaticali, n da quelle logiche, poich credo di aver
smascherato linusso dannoso della grammatica e della logica, poich
inoltre un termine logorato viene reso quanto meno innocuo se gli si
fa compiere un mutamento di signicato e gli si toglie il signicato
logorato, per questo voglio chiamare le tre possibilit di asserzione, su
cui si basano le tre sole possibili immagini del mondo, appunto le tre
categorie. Alla ne della ricerca sapremo che anche in questo caso si
tratta di scoperte o di invenzioni linguistiche, che le tre categorie, o
punti di vista o possibilit di asserzione, (5) conducono allesigenza di
costituire per la comprensione del mondo aggettivo, di quello sostan-
tivo e di quello verbale ogni volta un nuovo strumento, ogni volta una
nuova lingua. Se fossi un purista della lingua, avrei certo potuto dire
163
asseribilit (Aussglichkeiten) al posto di categorie; ma nessuno
protester sulla antica cattiva parola, mentre della nuova buona parola
si sarebbe inorriditi.
Provvisoriamente voglio tentare di mostrare la differenza della mia
nuova dottrina delle categorie da quella antica solo in un unico punto.
Le antiche tavole delle categorie, per quanto fossero diverse tra loro,
credevano alla possibilit di conoscere il mondo attraverso il linguaggio,
credevano a una logica interna del linguaggio umano, credevano alla
possibilit di penetrare con laiuto del linguaggio umano (hoministisch)
la natura non umana. Singoli pensatori hanno ben riconosciuto che le
lingue nazionali esistenti non corrispondono allideale di uno strumen-
to di conoscenza; allora si sper in una lingua losoca che dovesse
eliminare le mancanze delle lingue costituitesi storicamente; ma tutti i
loso furono invero razionalisti proprio nella speranza di istituire, con
lo strumento del linguaggio umano, che lintelletto umano comune ha
creato, unimmagine assolutamente simile al mondo. So bene di aver
apportato ancora una volta un cambiamento di signicato al termine
razionalismo (6); proprio il critico del linguaggio peraltro viene biasi-
mato o lodato per il dovere o il diritto di usare in modo un po diverso
da quello tradizionale ogni concetto del suo linguaggio scientico; del
resto proprio la necessit di esaminare laccordo di ogni parola traman-
data con la cosa (con la lingua) dimostra a sua volta la necessit della
critica del linguaggio. Razionalistica mi sembra allora ogni tipo di lo-
soa sia che essa ritenga s stessa teologica, idealistica, materialistica
o critica che non abbia abbandonato il pregiudizio di possedere nella
lingua umana unimmagine della natura, di poter istituire mediante il
linguaggio umano unimmagine della natura; il pregiudizio del linguag-
gio pu essere superato solo riconoscendo che parlare e pensare sono
ununica e identica attivit delluomo e non che il linguaggio come
si suole dire sia uno strumento del pensiero; riconoscendo che ragio-
ne (ratio) e linguaggio sono concetti intercambiabili. Il seguace della
critica del linguaggio non si stupir allora che anche il pregiudizio
religioso, ad esempio la fede nel migliore dei mondi, sia soltanto un
caso particolare del pregiudizio generale del linguaggio; (7) si aggiunge
semplicemente al dominio divino, che ha creato il mondo e luomo e
il linguaggio, anche la pretesa, propriamente una pretesa etica, che il
linguaggio, un qualsiasi linguaggio preso a caso e contingente, debba
corrispondere alla natura, debba essere utilizzabile come unimmagine
simile alla natura. []
(11) La losoa ingenua del linguaggio umano evidente ha da
sempre cercato di integrare i concetti sensistici o aggettivi con grosso-
lane rappresentazioni sostantive e verbali; tutte le nostre lingue comuni
formano in questo modo un miscuglio delle mie tre categorie o mondi;
la lingua aggettiva comune pullula di sostantivi e di verbi. Ma anche
le due uniche possibili concezioni del mondo, sovrasensibili e sovraag-
164
gettive, hanno trovato gi molto presto il loro unilaterale ritrattista, il
mondo sostantivo in Platone, il mondo verbale, che avr inuenza solo
molto pi tardi, in Eraclito; non ho qui lintenzione (12) di esporre la
storia della losoa e voglio limitarmi a stabilire una connessione tra
ciascuna delle mie categorie e questi famosi sistemi, non per richia-
marmi allautorit di Platone o di Eraclito, ma soltanto per mettere in
guardia dal pericolo della parzialit dellimmagine del mondo sostantiva
e di quella verbale.
Platone non importa sotto quali inussi voleva inoltrarsi al di
l delle percezioni sensibili, senza oggetto e irreali, inesistenti, verso la
conoscenza dellessere, e invent il mondo sostantivo: le idee divennero
per lui le immagini originarie delle cose del mondo sensibile, smasche-
rate nel loro non essere. Ma per il fatto che queste idee erano allo stes-
so tempo una sorta di causa delle singole cose percepibili sensibilmente,
egli confuse di nuovo, certo senza accorgersene, il mondo sostantivo
con quello verbale. Egli incorse gi duemila anni prima nellerrore certo
inevitabile che Kant avrebbe ripetuto nel fare della cosa in s la causa
del fenomeno; ma poich questo smarrimento del platonismo non ebbe
conseguenze negative e non ne poteva avere prima che ci si dedicasse
alle nuove scienze della natura, mi limito a questo accenno. Pi impor-
tante e pi istruttivo per il mio scopo pu essere richiamare il fatto che
il platonismo (13) venga a coincidere davvero proprio con lidealismo,
che attribuisce un essere solo alle idee e non alle cose sensibili, ma che
anche lopposto dellidealismo, il realismo, imparentato con il sensismo,
possa sorgere dallidealismo, nel momento in cui vengono assunti vari
livelli e gradi di idee, nel momento in cui alle specie e alle sottospecie
e inne anche alle singole cose vengono assegnate, pressappoco come
angeli custodi, idee particolari, nel momento in cui e Platone come
tutti i Greci non era uno spirito critico a ogni concetto di genere, e
con ci a ogni cosa, propriet e relazione possibili vengano ascritte idee
particolari. Sembra che Platone stesso in tarda et abbia solennemente
celebrato la propria dottrina delle idee e abbia voluto intendere come
idee solo le idee portatrici di valore; alle sue riessioni originarie si
avvicina molto la distinzione tra idee e fenomeni, tra mondo sostantivo
e mondo aggettivo, ma anche molto vicino il pericolo di ravvisare in
ogni singola cosa reale la copia di unimmagine originaria, lrioeov
di unidea.
Quanto anche Platone fosse lontano dal formulare coscientemente
con la sua dottrina delle idee una delle tre possibili categorie della
comprensione del mondo, di comprendere il mondo sostantivo come
una delle tre immagini parziali del mondo, lo si capisce ancor pi chia-
ramente dal fatto che (14) nel Medioevo la grande contesa tra il rea-
lismo della parola (da non confondere con il realismo gnoseologico o
ingenuo appena citato) e il nominalismo potevano ricollegarsi alle idee
o ai concetti-genere di Platone. So bene che lintera disputa divenne
165
cos violenta dapprima per via delle ricerche linguistiche e logiche a
cui posero mano Aristotele e i suoi seguaci e inne solo a causa delle
coercizioni della teologia cristiana, ma la disputa ruotava pur sempre
solo attorno alla domanda: le idee o concetti di genere hanno una pi
alta realt o non hanno punto realt?
Allinterno della Scolastica i nominalisti considerati dal punto di
vista dello sviluppo spirituale umano furono i sostenitori dellillumi-
nismo e furono precursori del moderno psicologismo e della critica del
linguaggio, i realisti della parola furono i sostenitori di un sapere teolo-
gico apparente, di un pregiudizio del sovrannaturale. Cos ci siamo abi-
tuati a considerare le parti in lotta, certo non del tutto a torto. Chi ora
per prenda in considerazione la possibilit di dividere la comprensione
del mondo nelle tre immagini parziali, per poi riunicarle laddove sia
possibile, si pone unaspettativa pi alta persino di quella dello sviluppo
spirituale umano, e non pu prender partito unilateralmente n per i
realisti della parola n per i nominalisti. (15) Ogni losoa, no a questa
formulazione provvisoriamente ultima della domanda da parte della cri-
tica del linguaggio, , come si detto, razionalismo o dipendenza dalla
parola. Razionalisti nel senso dellilluminismo erano naturalmente i no-
minalisti, che riconobbero cos presto i concetti di genere, e con ci tutti
i sostantivi, come prodotti del cervello umano; razionalisti, pressappoco
nel senso di Hegel, erano per anche i realisti della parola che vollero
ignorare i fenomeni del mondo sensibile o aggettivo e si costruirono al
di l del mondo terreno un mondo sostantivo nel quale i concetti o le
idee si muovevano secondo leggi proprie, noncuranti delle propriet
sensibili dei loro fenomeni corporei. Questi realisti della parola poterono
ritenersi i veri discepoli di Platone, tanto pi in buona coscienza perch
lassunzione di un mondo delle idee incorporeo era espressa nello stesso
Platone in modo estremamente confuso; lidenticazione del mondo
delle idee e del mondo dello spirito unaggiunta molto posteriore; il
regno delle idee, almeno nella disposizione originaria, non comprende
soltanto le idee pi generali, pi alte e portatrici di valore (del bello, del
buono), ma anche le immagini originarie sostantive di ogni fenomeno,
anche se esso sia brutto o volgare; il regno delle idee divenne allora
il rifugio degli artisti o degli uomini pii che non volevano sporcarsi le
mani con i fenomeni del mondo sensibile, (16) del mondo aggettivo.
Un cristiano certamente Platone non lo era stato, ma un artista e un
mistico lo fu. A questo proposito di una certa importanza e non vi
certo pericolo di sopravvalutarlo il fatto che lunico grande mistico
tedesco, Meister Eckhart, lardente cercatore di Dio ed eretico, che
ha fecondato con i suoi pensieri lo sviluppo spirituale della teologia
e della losoa, non fosse un illuminista, non un nominalista, ma un
sostenitore del realismo della parola come pi tardi Wiclef e Hus e
in pi un discepolo fedele del maestro dellordine, san Tommaso; per
Meister Eckhart il mondo sostantivo era pi vero del mondo aggettivo
166
anche se non lo espresse in questi termini , la realt ideale pi vera
della comune realt corporea, la conoscenza era il vero essere, tanto
che non credo di giocare con la parola persino la mistica pi pura
fu un segreto razionalismo. Infatti i realisti della parola non potevano
considerare il loro mondo sostantivo come una delle tre immagini che
a pari diritto rappresentano il mondo, perch nella loro litigiosa limi-
tatezza lo consideravano come il mondo pi bello e pi vero; perch
persino Meister Eckhart vide nella natura naturata, quella che cade
sotto i sensi o aggettiva, quasi uno scarto della natura innaturata, del
pi alto sostantivo, dellunico essere, di Dio. (17) Lo ripeto: non ho sco-
modato Platone per cucire una vecchia toppa su un vestito nuovo, ma
davvero per mostrare, accostando la mia categora sostantiva alla dottrina
sorprendentemente longeva delle idee, come persino questo maestro di
un mondo apparentemente sostantivo non pensasse di presentare la sua
inaudita concezione del mondo come una semplice immagine del mondo
o come unimmagine accanto ad altre due immagini del mondo dello
stesso valore, egualmente simili ed egualmente dissimili. []
Dappertutto tre mondi. Lattore
(166) Egli un artista. Si calato per settimane in un ruolo. E ora
si trasforma tutte le volte che sta sul palcoscenico, dalle sette alle dieci:
egli d ci che pi profondo, egli il meglio. Un povero diavolo,
quando non un dio creatore. Inavvicinabile. Uno spirito libero.
Anche se un dio, nelle pause e scorno e cruccio! anche in
momenti di lavoro disturbanti e disturbati, uno schiavo senza libert.
Schiavo della plebe e della sua professione. Gli batteranno le mani?
A lui pi che agli altri? O meno? Gli verr dato il suggerimento come
lo pu aspettare? Funziona il trucco come lo voleva lui? Non si nota
che si nge pi giovane di quello che ? Pi giovane? Secondo quale
calendario?
un poveruomo. Dopo le dieci. Quando arriva a casa. Dai suoi
cari o dalla moglie invecchiata o dai bambini pieni di pretese. Conti.
Fatture. Fame. Anche sete. Torna allora a casa? Oppure il suo ruolo
la sua casa? Oppure la scena la sua casa?
Quale di questi mondi il suo vero mondo?
Epilogo
(167) Mi restano ancora da cercare alcune povere parole a proposito
di una nostalgia che non pu essere un compito, a proposito di un
desiderio che non posso n mettere in dubbio n credere di soddisfa-
re, a proposito dellistanza di unire in una le tre immagini del mondo.
Nessuna delle tre immagini pu essere giusta, perch ciascuna gravata
dalla maledizione del suo specico linguaggio gurato; forse lunicazio-
ne non sar possibile, perch ununicazione dei tre linguaggi almeno
nora non stata altrimenti possibile che in una delle nostre lingue
167
comuni, che appunto sono ancora pi inadeguate alla conoscenza del
mondo rispetto ai linguaggi parziali, da me pensati nello spirito, delle
tre sole possibili visioni del mondo. Un paragone potrebbe aiutarmi a
chiarire lincapacit del pensiero umano ad affrontare un tale ultimo
compito. Si tentato di inventare fotograe con i cosiddetti colori na-
turali. Si sono assunti con straodinaria arroganza tre colori fondamen-
tali, dalla mescolanza dei quali si deve poter ricavare qualsiasi colore
dellesperienza; poi con laiuto di ltri colorati si sono realizzate tre di-
verse fotograe dello stesso oggetto, ciascuna per ognuno dei tre colori
fondamentali; e inne si cercato di ottenere, sovrapponendo le tre im-
magini parziali, i colori naturali. Il risultato fu grazioso e sorprendente;
tuttavia non si pu parlare seriamente di fotograe in colori naturali. In
primo luogo questi signori devono riconoscere spontaneamente di non
poter utilizzare nella colorazione nel processo di stampa i colori puri
fondamentali dello spettro, ma solo i colori sporchi dei corpi chimici.
Ma lerrore proprio del procedimento sta ancora pi a fondo: anche i
ltri colorati che vengono usati per le immagini parziali sono scelti a
seconda del senso accidentale del colore di determinati uomini e non
assicurano in nessun modo che le immagini parziali corrispondano ai
colori fondamentali ideati. Non ho bisogno di spiegare che parimenti
i ltri dellintelletto umano non sono sufcientemente sovrumani per
formare in una precisa selezione uno dei tre linguaggi parziali e che
dunque una sovrapposizione dei tre linguaggi gurati non potrebbe
produrre unimmagine naturale unitaria dellunico mondo.
Nellimpulso invincibile di ritornare al di l della divisione neces-
saria delle tre immagini al loro congiungimento, allunica immagine
dellunico mondo, in un momento favorevole mi sembr percorribile
unaltra via (169), la cui descrizione, per la breve durata del momento
favorevole, non sembr un semplice paragone. Quello che io cercai
di comprendere in un faticoso lavoro intellettuale, la spaccatura delle
categorie umane e la loro ripartizione nei tre linguaggi delle tre imma-
gini del mondo sole possibili, questo prima non lo ha visto o avvertito
nessuna ricerca conoscitiva, mentre da sempre stato gioiosamente
praticato dagli artisti. Voglio subito ammettere che le tre arti, che ora
voglio porre in relazione con le mie tre categorie, sono scelte con un
certo arbitrio, non si distinguono con un rigore cos esclusivo e non
si completano come le tre categorie. Ma il confronto pu non essere
inutile.
Dappertutto dove regna larte vera forse essa stessa ideale irrag-
giungibile al quale i pi grandi possono solo avvicinarsi un genio
comprende lunico mondo senza concetti, senza linguaggio. Forse anche
nel vero pensiero della cosiddetta losoa ci sono tali ore solen-
ni del comprendere senza parole. Ore mattutine del risveglio, quando
improvvisamente cade il velo del giorno e in una notte chiara come il
giorno aperto laccesso al segreto dellUno-tutto. Laccesso si chiude
168
di nuovo appena il ricercatore tenta il primo passo sulla via intravista.
Il chiarore si oscura di nuovo appena egli apre gli occhi. (170) La com-
prensione si disgrega appena egli vuole incantarla per s o per altri in
concetti o parole.
LUno-tutto era annodato soltanto nellio silente; alle prime parole
ad alta voce precipita ogni unit, anche quella dellio. Niente si lascia
pi dire.
1
[Adolf Trendelenburg, Geschichte der Kategorienlehre, Bethge, Berlin 1846, p. 2 ss.]
169
Indice dei nomi
Aarsleff, H., 64.
Abel, G., 62.
Adelung, J. C., 124, 128.
Agrippa von Nettesheim, H. C., 59,
60.
Albertazzi, L., 45, 61.
Alighieri, D., 15, 140.
Amicone, A P., 67.
Andreas-Salom, L., 9.
Ansell-Pearson, K. J., 61.
Arens, K., 27, 46, 47, 52, 61, 62.
Aristofane, 132, 134, 137, 159.
Aristotele, 29, 34-36, 38, 39, 53- 55,
59, 62, 71, 104, 108-110, 125, 128,
148, 152, 157, 162, 165.
Arnaud, E., 64.
Avellaneda, A. F. de, 137.
Avenarius, R., 11, 38, 47, 62, 123.
Bab, J., 46.
Bach, J. S., 141, 146.
Bachelard, G., 62.
Bachmann, J., 65.
Bachmann M., 65.
Bacone, F., 108, 149.
Bahr, H., 63.
Baldung Grien, H., 54
Baldwin, J. M., 118.
Barth, P., 62.
Barthes, R., 62.
Batteux, C., 145.
Baumgarten, A. G., 142-144, 159.
Bayle, P., 29.
Beckett, S., 14, 48, 69, 72.
Beer-Hofman, R., 9.
Beethoven, L. van, 147.
Behler, E., 62.
Beninc, P., 62.
Ben-Zvi, L., 14, 48, 62, 63.
Beradt, M., 63 .
Bergson, H., 44, 47, 56, 63, 72.
Berkeley, G., 19, 30, 102, 122.
Berlage, A., 63.
Berlin, I., 63.
Bertinetto, P. M., 67.
Betz, F., 46, 63.
Biese, A., 34-38, 54, 63, 108.
Bismarck, O. von, 46, 51.
Black, M., 63.
Blackmore, J., 63.
Bloch-Zavfel, L., 63.
Blumenberg, H., 63.
Boezio, S., 29.
Bohnen, K., 69.
Bois-Reymond, E. du, 27.
Bolzano, B., 68.
Bongioanni, A., 69.
Borges, J. L., 14, 31, 48, 63, 65.
Bornmann, F., 71.
Brahm, O., 45.
Brandes, G., 53.
Bral, M., 22, 63, 119, 141.
Bredeck, E., 13, 15, 49, 63, 64.
Breitinger, J. J., 142.
Brentano, F., 61.
Briosi, S., 64.
Broch, H., 64.
Bruchmann, K., 34, 38, 55, 64.
Buber, M., 11.
Blnger, G. B., 142.
Buridano, G., 151.
Burke, E., 145, 146.
Cambi, F., 56, 64.
Cantelli, M., 64.
Carchia, G., 56, 64.
Carpitella, M., 71.
Carus, P., 28.
170
Cassirer, E., 64.
Castagnoli Manghi, A., 160.
Castellani, E., 66.
Cervantes, M. de, 137.
Cicero, V., 69.
Cicerone, M. T., 29.
Cleone, 159.
Cloeren, H., 52, 64.
Coletti Grnbaum, H., 160.
Colli, G., 71, 159, 160.
Conte, A. G., 74.
Cossmann, P. N., 64.
Crizia, 55.
Croce, B., 56, 64, 66.
Cubeddu, I., 67.
DAmico, M. G., 69.
DAngelo, P., 64.
DElia, A., 51, 64.
DOlivet, P. J. T., 135.
Dapa, S. G., 48, 65.
Darwin, C., 95, 141.
Darwin E., 141.
De Lorenzo, G., 72.
De Man, P., 65.
De Marchi, C., 160.
Deft, A., 46, 65.
Delbrck, B., 50.
Della Volpe, G., 54, 65.
Demostene, 97.
Deridda, J., 65.
Descartes, R., 13, 47, 148.
Di Cesare, D., 50, 65, 67.
Distaso, L. 159.
Dorati, M., 62.
Dryden, J., 133-135, 159.
Eckermann, J. P.,159.
Eckhart, J., 165, 166.
Eco, U., 48, 65.
Ehrenberg, J., 9.
Eisen, W., 65.
Eisendle, H., 65.
Eisler, R., 118.
Elisabetta di Boemia, 47.
Emanuele, P., 69.
Empedocle, 35.
Eraclito, 10, 32, 86, 164.
Eschenbacher, W., 65.
Euclide, 125.
Fabbri, P. 62.
Fano, V., 73.
Fechner, G. T., 24.
Fichte, J. G., 138.
Fidia, 140.
Filangieri, G., 49.
Fontane, T., 7, 9, 45, 46, 63, 65, 68,
160.
Forberg, F. K., 32.
Formigari, L., 20, 50, 65, 67.
France, A, 44.
Franceschetti, L., 45.
Franzini, E., 65.
Freud, S., 66.
Fuchs, G., 65.
Fzesi, N., 65.
Gabriel, G., 66.
Galton, F., 28.
Gardini, N., 63.
Gargani, A., 51, 52, 66, 70.
Garroni, E., 66, 67.
Geiger, L., 28, 52, 66.
Gellert, J. C., 152.
Genette, G., 66.
Gerber, G., 20, 34, 37, 38, 50, 54, 55,
66, 70, 73.
Gessinger, J., 64.
Giacomini, U., 67.
Gigliotti, G., 66.
Giovanni, ev.,13, 149.
Giustino, M. G., 124.
Gloy, K., 65.
Goethe, J. W. von, 19, 39, 43, 47, 49,
66, 90, 93, 107, 120, 128, 139, 140,
145, 149, 159, 160.
Goldwasser, J., 45, 46, 66.
Gombocz, W. L., 74.
Gorgia, 55.
Gottsched, J. C., 142, 152.
Graf, O. M., 9.
Graf, G., 51, 66.
Grampa, G., 72.
Grillparzer, F., 150, 160.
Grimm, 90, 120, 130.
Gruppe, O. F. , 60.
Grzybowski, W., 66.
Guerra, A., 67, 159.
Guglielmi, G., 66.
Guglielmino, S., 71.
Guglielmo II, 46.
Gustafsson, L.,66.
Guzzardi, L., 70.
171
Haller, R., 49, 51, 52, 66, 74.
Hamann, J. G., 13, 17, 19, 20, 47, 49,
50, 63, 66, 67, 70, 97, 108, 116.
Hanslick, E., 147, 159, 160.
Harden, M., 9, 46.
Hrting, P., 60.
Hauptmann, G., 9.
Haydn, J., 137, 138.
Hecker, E., 140.
Hegel, G. W. F., 56, 66, 90, 136, 165.
Hegeler, E. C., 28.
Heine, H, 52.
Helmholtz, H. von, 51.
Henne, H., 67.
Henry, A., 67.
Herbart, J. F., 23, 33, 51, 148.
Herder, J. G., 19, 20, 49, 67, 73, 97.
Hering, E., 52.
Herzog W., 69.
Hesse, H., 9.
Hiller, K., 9.
Hirsch, R., 67.
Hobbes, T., 148.
Hofmannsthal, H. von, 13, 26, 47,
67.
Hogarth, W., 146.
Hohenegger, H., 67.
Home, H., 145.
Humboldt, W. von, 17, 20, 21, 50, 65,
67.
Hume, D., 19, 123, 151, 156.
Husserl, E., 30, 118, 149.
Ibsen, H., 46, 150, 160.
Irmscher, H. D., 67.
Jacobi, F. H., 13, 47.
Jacobs, M., 60.
James, W., 30.
Janik, A, 67.
Johnson, A. B., 66.
Johnson, B., 134, 135.
Johnson, M., 68.
Johnston, W., 67.
Jolly, J., 116.
Joyce, J., 14, 48, 69.
Jung, J., 65.
Kaiser, C., 67, 69.
Kaisersberg, J. G. von, 125.
Kampits, P., 67.
Kant, I, 19, 20, 24, 30, 32, 42, 47, 49,
53, 55, 56, 67, 74, 100, 122, 124,
130, 143-146, 149, 156, 159, 162,
164.
Kappstein, T., 68.
Kierkegaard, T., 72.
Kleist, H. von, 13, 47.
Knobloch, C., 68.
Koegel, F., 38.
Kofman, S., 39, 55, 68.
Krner, C. G., 144, 145.
Kraus, K., 73.
Krieg, M., 68.
Khn, J., 11, 14, 45-47, 53, 55, 56,
68.
Khtmann, A., 68.
Kurzreiter, M., 68.
Ksgen, F. L., 68.
Kutter, U., 68.
Laas, E., 32, 53.
Lacoue-Labarthe, P., 68, 71.
Lagrange, J. L., 51.
Lakoff, G., 68.
Landauer, G., 9, 12, 46, 61, 68.
Lange, F. A, 32, 61, 72.
Lanza, D., 62.
Lasker-Schler, E., 9.
Le Rider, J., 45, 68.
Leibniz, G., 50, 86, 124, 125.
Leinfellner, E., 62, 64, 66, 68, 69, 71-
74.
Leonardo, 141.
Lernout, G., 48, 69.
Lessing, G. E., 39, 43, 44, 57, 69, 82,
103, 104, 134, 135, 159.
Levisohn A., 8.
Levisohn C., 47.
Lichtenberg, G. C., 26, 27, 51, 52,
69.
Liede, A., 69.
Lindau, H., 69.
Littr, E., 125.
Lo Piparo, F., 69.
Locke, J., 13, 17, 18, 47, 49, 50, 69,
102, 107.
Lofrida, M., 65.
Longobardi, G., 62.
Lorusso, A. M., 65, 69, 70.
Lucentini, F., 63.
Luciano, 52.
Ludwig, O., 51.
172
Lktenhaus, L., 20, 47, 50, 61, 69,
116.
Lutero, M., 39, 47, 116, 119, 130, 152,
160.
Macchia R., 63.
Mach, E., 10, 14, 24-29, 31, 32, 47,
49, 51, 52, 60, 62-64, 66, 69, 70,
73, 121-123.
Maeterlink, M., 16.
Magris, C., 47, 67, 70.
Maimon, S., 46, 53, 110, 116.
Manetti, G., 70.
Marco, ev.,130.
Marienberg, S., 49, 70.
Marinelli, M. C., 68.
Marmo, C., 65.
Martone, A., 63, 159.
Masini, F., 160.
Mastroddi, M., 45, 70.
McGuiness, B., 74.
Meijers, A., 55, 70.
Meinong, A., 48.
Melandri, E., 63.
Mendelssohn, M.,145.
Mengs, A, R., 145.
Merckels, W. von, 49.
Meschiari, A., 70.
Mill, J. S., 119.
Miller, N., 72.
Mittner, L., 40, 50, 70.
Mommsen, T., 9.
Mongr (Hausdorf F.), 70.
Montanari, F., 62.
Montefusco Calboli, L., 70.
Montinari, M., 71, 160.
Morgenstern, C., 14, 47, 160.
Morpurgo Davies, A., 50, 51, 70.
Morpurgo-Tagliabue, G., 35, 36, 39,
54, 55, 70.
Mortara Garavelli, B., 70.
Mosse, R., 8.
Moszkowski, A., 115.
Mozart, W. A., 146.
Mhsam, E., 9.
Mller M., 70, 85, 107, 116.
Mller-Lauter, W., 62, 71.
Musil, R., 26.
Nancy, J.-L., 71.
Nautz, J., 68, 71.
Nehrlich, B., 71.
Nietzsche, F., 10, 24, 32, 38, 39, 46,
51, 55, 61- 63, 65- 68, 70-73, 149-
152, 160.
Noir, L., 28, 52, 71.
Novalis, 159.
Nyri, J. C., 68.
Ogden, C. K., 71.
Omero, 93, 140, 141.
Oppenheimer, F., 9.
Pagliaro, A, 71.
Pascal, B., 125, 159.
Paul, H., 10, 20, 22, 23, 50, 51, 56, 71,
72, 114, 116, 119, 130.
Pautrat, B., 71.
Pavolini, L., 71.
Perissinotto, L., 71.
Pestalozzi, K., 71.
Pinotti, A., 71, 74.
Pirandello, L., 56, 71, 72.
Pizer, J., 71.
Placido, B., 63, 72.
Platone, 24, 32, 46, 93, 97, 164, 165.
Plauto, T. M., 47.
Pniower, O., 65.
Poincar, H., 44.
Porrio, 18.
Proust, M., 65.
Pupi, A., 67, 71.
Quintiliano, M. F., 19, 107.
Raffaello Sanzio, 140, 146.
Rahden, W. von, 64.
Rapp, C., 62.
Rathenau, W., 9.
Ravy, G., 45, 71.
Reale, A., 71, 72.
Reinhold, K. L., 124, 143.
Rembrandt, 146.
Richards, I. A., 71, 72.
Richter, J. P., 40-44, 55, 56, 64, 72,
108, 116, 132, 136, 138, 159.
Richter R., 151, 160.
Ricoeur, P., 54, 72.
Rilke, R. M., 65.
Robertson, R., 45, 72.
Rossi, D., 64.
Rousseau, J.-J., 65.
Saccone, E., 65.
173
Salaquarda, J., 62, 72.
Santulli, F., 72.
Sauerland, K., 66.
Savj-Lopez, P., 72.
Scherer, W., 141.
Schiller, F., 128, 144-146, 159, 160.
Schlegel, F., 41, 56, 133, 139.
Schleichert, H., 64, 66, 68, 69, 72, 74.
Schlenther, P., 65.
Schmidt, J., 30, 60.
Schneider, G., 46, 72.
Schoeller, B., 67.
Schopenhauer, A., 10, 24, 52, 72, 137,
146, 149.
Schulte, J., 74.
Serzisko, F., 72.
Shakespeare, W., 44, 109, 133, 136,
137, 140.
Silvestri Stevan, G., 62.
Skeat, W. W., 141, 159.
Skerl, J., 48, 72.
Socrate, 10, 137, 138, 159.
Sofocle, 140.
Sosio, L., 70.
Spedicato, E., 42, 56, 72.
Spencer, H., 22, 149.
Spinicci, P., 72.
Spinoza, B., 46, 59, 60, 63, 81, 100,
116.
Spitzer, L., 73.
Sprl, U., 47, 55, 56, 73.
Stadler, F., 49, 51, 52, 66.
Steinthal, H., 21, 32, 50, 51.
Stern, M., 47, 60, 73.
Sterne, L., 136.
Stettenheim, J., 115.
Stingelin, M., 55, 70.
Straub, H., 11, 12, 46, 47, 60, 69.
Stumpf, C., 29, 52, 73.
Sulzer, J. G., 145.
Swift, J., 44, 136-138.
Tani, I., 49, 50, 67, 73.
Tavani, E., 56, 73, 74.
Thalken, M., 73.
Thiele, J., 69, 73.
Thunecke, J., 46, 62, 63, 66, 68, 69,
71- 73.
Tommaso, 148, 165.
Toulmin, S., 67.
Trendelenburg, F. A, 31, 162, 168.
Trotta, G., 73.
Tylor, E. B., 26.
Ullman, B., 73.
Untersteiner, M., 55, 73.
Vahrenkamp, R., 68, 69, 71.
Vaihinger, H., 11, 32, 33, 53, 73.
Vasoli, C., 72.
Venturelli, A., 72.
Verdino, A., 62.
Vertone, S., 64.
Vico, G., 13, 17-19, 47, 49, 70, 107,
108.
Vidari, G., 67, 159.
Vidusso Feriani, M., 67.
Violi, P., 68.
Virchow, R., 95.
Vischer, F. T., 37, 43, 44, 56, 73, 74,
104, 109, 116, 132, 136, 159.
Vogelweide, W. von, 82.
Voltaggio, F., 73.
Voltaire, 44, 52, 125, 135.
Wagner, R., 147.
Walch, J. G., 142, 1159.
Weber, W. E., 49.
Weiler, G., 14, 17, 46, 47, 49, 74.
Weininger, O., 26.
Whitney, W. D., 85, 116.
Wiener, O., 14, 48, 74.
Winckelmann, J. J., 145.
Windelband, W., 143.
Wittgenstein, L., 13, 14, 25, 52, 67, 68,
70, 71, 74.
Wolff, C., 120, 124.
Wolters, G., 70.
Wundt, W., 51, 108, 120.
Zecchi, L., 66.
Ziehen, G. T., 130.

1 Breitinger e lestetica dellIlluminismo tedesco, di S. Tedesco
2 Il corpo dello stile: Storia dellarte come storia dellestetica a partire da Semper,
Riegl, Wlfin, di A. Pinotti
3 Georges Bataille e lestetica del male, di M. B. Ponti
4 Laltro sapere: Bello, Arte, Immagine in Leon Battista Alberti, di E. Di Stefano
5 Tre saggi di estetica, di E. Migliorini
6 Lestetica di Baumgarten, di S. Tedesco
7 Le forme dellapparire: Estetica, ermeneutica ed umanesimo nel pensiero di Ernesto
Grassi, di R. Messori
8 Gian Vincenzo Gravina e lestetica del delirio, di R. Lo Bianco
9 La nuova estetica italiana, a cura di L. Russo
10 Husserl e limmagine, di C. Cal
11 Il Gusto nellestetica del Settecento, di G. Morpurgo-Tagliabue
12 Arte e Idea: Francisco de Hollanda e lestetica del Cinquecento, di E. Di Stefano
13 Pta quasi creator: Estetica e poesia in Mathias Casimir Sarbiewski, di A. Li Vigni
14 Rudolf Arnheim: Arte e percezione visiva, a cura di L. Pizzo Russo
15 Jean-Bapiste Du Bos e lestetica dello spettatore, a cura di L. Russo
16 Il metodo e la storia, di S. Tedesco
17 Implexe, fare, vedere: Lestetica nei Cahiers di Paul Valry, di E. Crescimanno
18 Arte ed estetica in Nelson Goodman, di L. Marchetti
19 Attraverso limmagine: In ricordo di Cesare Brandi, a cura di L. Russo
20 Prima dellet dellarte: Hans Belting e limmagine medievale, di L. Vargiu
21 Esperienza estetica: A partire da John Dewey, a cura di L. Russo
22 La maledizione della parola, di F. Mauthner
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Collana editoriale del Centro Internazionale Studi di Estetica
Presso il Dipartimento FIERI dellUniversit degli Studi di Palermo
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Stampato in Palermo dalla Tipolitograa Luxograph s.r.l.
Registrato presso il Tribunale di Palermo il 27 gennaio 1984, n. 3
Iscritto al Registro degli Operatori di Comunicazione il 29 agosto 2001, n. 6868
Associato allUnione Stampa Periodica Italiana
ISSN 0393-8522
Direttore responsabile Luigi Russo
The Curse of the Word
Fritz Mauthner was a German-speaking Jewish-Bohemian writer
and eccentric intellectual active in Berlin between the end of the
nineteenth and the beginning of the twentieth century. His cri-
tique of language is based on the assumption that the word as
such is a metaphor, a transposition of denite terms on indenite
impressions, and that it is enclosed within an image that can only
refer to other images. This skeptical conclusion nds conrmation
through a comparison with a variety of traditions of thought.
This volume by Luisa Bertolini (luisa@bertolini.ws) presents, for
the rst time in Italian translation, a wide selection of Mauthners
work, and reconstructs Mauthners sustained critical dialogue with
authors who have theorised the metaphorical character of lan-
guage. Mauthners thesis brings together a variety of philosophical
approaches: Vicos narration of the origins, the empiricist critique
of abstraction, Herders and Hammans metacritique of reason,
von Humboldts and Steinthals dynamic interpretation of Kants a
priori, Hermann Pauls research on semantic change, Ernst Machs
functionalist conception of the I and the thing and his theory
of the concept as a system of operations, as well as Vaihingers
philosophy of pretence.
Mauthners reading of Aristotles theory of metaphor through
Biese and Bruchmann, and in ways that parallel the approach of
Gerber and Nietzsche, enables a close examination of the met-
aphor based on analogy and of the metaphor-image, while his
analysis of verbal metaphors (according to Morpurgo-Tagliabues
classication) intersects with Jean Paul Richters and Theodor
Vischers. The verbal metaphor is pivotal to Mauthners thesis that
semantic change is essentially based on Witz, on the wit that dis-
closes remote similarities. The critique of language expresses itself
in the humour of the philosopher, who is amused by everything
that is held sacred in daily life but also knows that he belongs to
this daily life without heroes. His expressionist style of writing
reects, in the circularity of an approach that never grasps the
object in question, his asystematic thought and relativistic results.
It does not come as a surprise, then, that Mauthners fame is
greater among writers (for example, Joyce and Borges, to mention
just two) than among philosophers. The exception is Wittgenstein,
who, notwithstanding his quotation in Tractatus, ends up articulat-
ing a critique of language quite akin to Mauthners.
Centro Internazionale Studi di Estetica, Viale delle Scienze, I-90128 Palermo

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