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La maledizione della parola
di Fritz Mauthner
Centro Internazionale Studi di Estetica
Il Centro Internazionale Studi di Estetica
un Istituto di Alta Cultura costituito nel novembre del 1980 da un gruppo
di studiosi di Estetica. Con D.P.R. del 7 gennaio 1990 stato riconosciuto Ente
Morale. Attivo nei campi della ricerca scientica e della promozione culturale,
organizza regolarmente Convegni, Seminari, Giornate di Studio, Incontri, Tavole
rotonde, Conferenze; cura la collana editoriale Aesthetica
e pubblica il perio-
dico Aesthetica Preprint
Supplementa
la collana editoriale pubblicata dal Centro Internazionale Studi di Esteti-
ca a integrazione del periodico Aesthetica Preprint
,
se pongo al suo posto 10 mm, devo calcolare 1 = 10 = 100 e 1
cm
= 100
mm. Voglio mostrare con un esempio, se possibile ancora pi
elementare, come si distinguano il concetto astratto di unit e quello
numerico. Se di notte sento il campanile battere luna o le cinque, vuol
dire che stato necessario lo sviluppo culturale di secoli perch io fossi
in grado di collegare al numero dei colpi (366) il concetto di questo
numero e quanto richiamano uno o cinque rintocchi; il sistema nume-
rico dovette prima essere diventato unabitudine meccanica, unabitu-
dine proprio dei bambini piccoli dei popoli acculturati, perch io possa
contare come uno il primo rintocco dopo la mezzanotte e collegargli la
rappresentazione corrispondente, e non bisogna nemmeno dimenticare
che la suddivisione del giorno in 24 ore, e poi la numerazione per due
volte da uno a dodici, un ulteriore accomodamento arbitrario. Si pu
ammaestrare un cane, un cavallo, a distinguere i colpi da uno a dodici;
ma gli animali non hanno il nostro sistema numerico, essi non sanno
che si pu andare avanti a contare cos, non hanno lunit numerica; a
prescindere del tutto dal fatto che sarebbe difcile far loro apprendere
le associazioni di pensiero del nostro confrontare le ore e sarebbe dif-
cile che essi potessero distinguere le otto di mattina dalle otto di sera.
Tuttavia il cane deve pur percepire lunit astratta di un colpo, perch
altrimenti non avrebbe percepito il colpo come un rumore individuale
che per esempio lo induce ad abbaiare. Potrei anche dire cos: la via
verso lunit numerica scende in basso a partire dai numeri pi alti; la
via dellunit astratta sale al sistema numerico. Il cane non possiede il
nostro sistema numerico e non pu mai raggiungere lunit numerica,
luno; il cane per possiede il concetto astratto di unit, lunit della
cosa, ma non raggiunge per questo il sistema numerico, perch ha pur
sempre meno capacit spirituali delluomo. E perch in origine stato
comunque un enorme passo avanti passare dallunit della cosa al con-
tare le cose. In breve: se noi poniamo lunit numerica, gi esercitiamo
(ben lontani dalleseguire il pi semplice atto di pensiero) unarte, la
scienza applicata dellaritmetica, il cui esercizio ci divenuto tanto abi-
tuale nel far di conto, come avviene da circa 600 anni, che riteniamo
scienza applicata lapplicazione dei concetti pi semplici.
(367) Ma non cos. E ora, alla ne, comprenderemo perch i
numeri non sono mai parole come le altre parole, perch i numeri
propriamente cadono fuori dallarchitettura della grammatica. I numeri
si collegano nel discorso ai sostantivi, come se fossero i loro aggettivi;
essi non hanno per niente a che fare con il mondo delle parole che
indicano delle qualit, con le Eigenschaftswrtern, come noi interpre-
tiamo in tedesco la categoria di aggettivo. Nella forma grammaticale e
anche nellapplicazione metaforica i pronomi possessivi e gli ordinali
128
rientrano grammaticalmente negli aggettivi. Il mio secondo fratello ag-
giunge al nome fratello due aggettivi che aiutano a determinare in
modo inequivocabile un individuo. Soggettivo mio tanto quanto un
aggettivo come buono; ancor pi soggettiva proprio la determinazio-
ne il secondo. Ma se dico io ho quattro fratelli, al mio giudizio soprag-
giunge immediatamente, forse in modo deittico, un nuovo elemento
reale, che altrettanto importante come un qualsiasi sostantivo, verbo
o aggettivo, ma che, nonostante questo, rimane senza forma in senso
grammaticale. Nella maggior parte delle lingue. Spesso solo i primi tre
numeri in tedesco no a circa 150 anni fa hanno la declinazione
del nome; al nominativo e allaccusativo (prima anche al genitivo e al
dativo) venivano persino distinti i tre generi: zween, zwo e zwei; solo a
partire da Adelung si imposta la forma del neutro, dopo che persino
Goethe e Schiller avevano scambiato le forme. Crederei che questo
carattere aggettivo dei primi numeri non derivi semplicemente dal fat-
to che vengono usati particolarmente spesso; forse ha contribuito la
formazione analogica del linguaggio infantile, forse la circostanza, che
si colloca a un livello pi profondo, che tutti i numeri molto piccoli si
possono percepire con uno sguardo, di colpo, senza contare, e quindi
i numeri molto piccoli possono essere afferrati senza usare laritmetica,
davvero quasi come aggettivi o come impressioni sensoriali.
Cos lanalisi grammaticale toglie senza misericordia il concetto
astratto di unit e quanto gli consegue nelle applicazioni logiche,
psicologiche (368) e metasiche dal concetto di unit numerica e
dopo una simile considerazione pu sembrare un caso che si possano
esprimere con la stessa parola le pi alte essenzialit di ogni genere
e il numero pi piccolo. Ma tutti e due i concetti si avvicinano nuo-
vamente quando tentiamo di forzare le categorie della grammatica.
Io ho sostenuto (cfr. in particolare B III, p. 94 ss.), e lo ritengo uno
dei risultati pi fruttuosi della critica del linguaggio, la tesi che lag-
gettivo, che Aristotele non poteva ancora registrare, la parte del
discorso originaria e iniziale (visto che abbiamo gi dovuto spezzetta-
re la lingua nelle parti del discorso), la tesi che tutti i dati dei nostri
organi di senso, quindi il fondamento di tutto ci che nel nostro
intelletto, quindi nel nostro pensiero, ha propriamente e del tutto in
senso proprio natura qualitativa, aggettivo. La realt naturale non si
preoccupa certo del linguaggio umano n tantomeno delle parti gram-
maticali del discorso; ma se potessimo comprendere la realt naturale
immeditamente senza parole, se possedessimo delle tenaglie adeguate
per questa comprensione, allora dovrebbero essere tenaglie aggettive.
Daltronde lintelletto umano si sforza da secoli di spiegare la realt
naturale, dal punto in cui deve sospendere la descrizione, con lipotesi
di unit innitamente piccole, uguali o disuguali. Appartiene allunit
gi presso gli scolastici il fatto di essere indivisibile, indivisibile nella
meccanica o nel pensiero. Ora, per me, da questo punto di vista, il
129
pi esterno, del tutto indifferente rappresentarsi queste unit come
cieche o vedenti, con o senza nestre, come monadi o come atomi;
nella storia della losoa di fatto lottano da millenni la dottrina delle
monadi e la dottrina atomistica, senza che mai un pensatore abbia sa-
puto dire cosa fossero le monadi, cosa fossero gli atomi, a parte il fatto
di essere unit. Oggi, nonostante Leibniz, Fechner e Hartmann, siamo
immersi n sopra i capelli nellatomistica; domani torner di moda una
nuova monadologia. Sarebbe possibile ununicazione delle due ipotesi
solo se si appianasse lopposizione che ho appena indicato. In tutte le
monadi qualicate (Dio come monas (369) monadum lo si trova pi
di mille anni prima di Leibniz, in Sinesio, lamico cristiano di Ipazia)
c la qualit piuttosto che lunit astratta, negli atomi non qualicabili
c la mancanza di qualit piuttosto che lunit numerica. Se non fosse
altro che un caso relativo della storia delle parole ad aver legato in
un incantesimo i due i concetti cos distanti di unit, noi potremmo
comprendere il carattere qualitativo (Eigenschaftlichkeit) dellunit nu-
merica, luno, e con questo la propriet dei numeri in generale; allora
avremmo sciolto lenigma del mondo. Fino alla prossima e migliore
posizione del problema. Temo per che il concetto di unit, quello
numerico come quello astratto, corrisponda solo a un bisogno umano,
alla povert del linguaggio umano, che non sia natura, e se dovessimo
riuscire a sciogliere questo enigma e unicare il concetto astratto di
unit con il concetto numerico di unit, ci sarebbe ancora una volta
soltanto una nuova losoa, che si chiamerebbe una nuova spiegazione
del mondo, ci sarebbe ancora una volta soltanto un nuovo libro con
nuove sequenze di parole. E, dato che persino il riso soltanto umano,
la natura non potrebbe nemmeno riderci su.
Il concetto di unit, in tutte le lingue colte, un concetto numerico,
lunit numerica. Esso pu essere sorto, non etimologicamente, ma
psicologicamente, dallunit dellautocoscienza, dallatto della memoria
individuale, atto che ci rispecchia il fenomeno primordiale dellunit,
il sentimento umano dellio. Questo concetto psichico di unit venne
poi trasferito agli esseri organici, alle specie, a unit casuali o storiche,
come potremo vedere meglio nella nostra ricerca sul concetto di forma,
vedere cio che il linguaggio ci che non pu comprendere in altro
modo il mondo della realt e il mondo interno, se non cercando di
ordinare secondo unit, forme o concetti ci che o la memoria della
specie ha gi ordinato davvero o che linteresse umano vuole ordinare
per potergli dare un nome.
stata una fortuna che luno o lunit (370) sia lunico degli innu-
merevoli numeri a essere un concetto, una parola come altre parole.
Conoscere (Erkennen)
(441) Non sarebbe onesto se in questo piccolo saggio volessi segui-
re il concetto nel suo passaggio dal signicato sensibile a quello sovra-
130
sensibile, se volessi prendere le mosse dal signicato pi decisamente
sensibile, perch nel linguaggio del tedesco biblico vuol dire lo stesso
che consumare il coito; tuttavia non ancora chiarita la questione se
erkennen abbia unantichissima connessione con zeugen (generare)
(come assume Grimm) oppure se il senso di copulare sia un calco (al
di l del latino e del greco) dallebraico
8
. La parola, presa nel signi-
cato corrente di riconoscere, ha pur sempre un contenuto puramente
sensibile; si riconosce qualcosa che prima si visto o sentito, in una
sua caratteristica sensibile. Nelluso odierno del linguaggio (in passato
kennen coincideva del tutto con erkennen) il processo molto pi co-
sciente dellErkennen si distingue dal processo inconscio del kennen
per il fatto che il presso er (secondo Paul) designa veramente un pro-
cesso momentaneo (442) e precisamente insieme levento e il risultato;
si potrebbe anche dire: in kennen sta pi un ricordo in potentia, in
erkennen pi un ricordo in actu.
Il processo che avviene in un uomo quando riconosce un fenomeno
sensibile dovrebbe spiegarlo la psicologia, in particolare la psicologia -
siologica. Un termine usato da Ziehen, che voleva ricondurre il perdura-
re di una impressione alla sintonizzazione di determinate cellule corticali
del cervello, fa graziosamente pensare al paragone con il telegrafo senza
li, nel quale vengono prodotti dei segnali solo quando lapparecchio
ricevente viene sintonizzato su una determinata lunghezza donda. Ma
se si osserva bene, questo tentativo di spiegazione solo unimmagine.
Del resto sono soltanto immagini anche le ricerche meno stimolanti
che negano nelloggetto conosciuto una qualit conoscitiva obiettiva e
ammettono solo un sentimento conoscitivo soggettivo. Inoltre, dato che
dovrebbe esserci prima una spiegazione della formazione dei concetti,
e la psicologia fallisce gi ai primi passi, possiamo trarne la conclusione
che la sola psicologia importante, quella del pensiero, non esiste proprio.
Questo di passaggio; volevo soltanto richiamare lattenzione sul fatto
che il concetto di erkennen, anche nel suo signicato pi semplice, ci
noto solo mediante lintrospezione, quindi supercialmente.
Luso linguistico attuale, specie negli scritti di carattere spirituale,
utilizza il termine per indicare unesperienza mentale pi intensa. Gi
nella traduzione della Bibbia di Lutero erkennen (Vulgata, intelligere)
viene paragonato una volta al vedere e al sentire senza i sensi (Marco,
IV, 12); ancora in Kant erkennen non propriamente unespressione
tecnica della losoa, ma viene usato senza precisione per intuire,
capire, comprendere. Probabilmente non sbaglio nellosservare
che la prima parola che ne deriva, Erkenntnis, ma ancor pi le nuove
forme pi nobili Erkenntnistheorie e Erkenntniskritik, ci costringono
a scorgere nella parola base erkennen unattivit eccezionale della no-
stra facolt di pensare. (443) Come in ogni verbo anche in erkennen
nascosto uno scopo. Ci stiamo abituando sempre pi a esprimere con
lespressione fondamentale Erkenntnistheorie lunico scopo di tutta la
131
scienza e di tutta la losoa; ci consideriamo dal punto di vista della
conoscenza (wir sehen uns nach Erkenntnis), abbiamo cio il deside-
rio di imparare a conoscere il mondo che ci circonda nel suo essere
e di comprenderlo nel suo divenire. Lessere del mondo crediamo di
poterlo ancora sapere (wissen), il divenire del mondo lo dobbiamo
conoscere (erkennen). Secondo lattuale uso linguistico il sapere di-
ventato cos quasi una condizione del conoscere. Non ho bisogno di
aggiungere che questo rapporto dei due concetti, sapere e conoscere,
sottoposto alla storia contingente delle mode linguistiche; altre lingue
colte hanno sviluppato la relativa opposizione in modo un po diverso,
cos che sarebbe impreciso tradurre in francese o in inglese quello che
ho formulato n qui a proposito del termine tedesco.
La piccola opposizione relativa, anche perch se mi si concede
la tendenza che si affermata nelluso linguistico contemporaneo la
scienza del mondo progredisce sempre pi e si arresta proprio l dove
comincia il desiderio di conoscere. Sappiamo molto (molto pi che nel
Medioevo) del mondo reale nello spazio, del mondo aggettivo dei sen-
si. Lo chiamiamo una crescita del sapere, se si tratta di fare, mediante
concetti via via sempre pi elevati, un catalogo del mondo molto asi-
stematico ed eternamente lontano dallideale. Se un tale catalogo del
mondo fosse poi possibile, sarebbe ununit solo apparente del sapere
nel concetto pi alto e pi vuoto, nel concetto di essere. Soltanto una
tale unit del sapere anche solo nel mondo aggettivo si chiamerebbe
conoscenza secondo luso linguistico in evoluzione.
Anche del mondo verbale o del mondo del divenire abbiamo dav-
vero un cumulo di conoscenze incommensurabilmente pi grande ri-
spetto al Medioevo, ma anche qui siamo molto lontani da ununit del
sapere storico proprio (444) allo stesso modo che nel mondo aggettivo
dei sensi. Linvidiabile monismo, invidiabile per il suo accontentarsi
di s, per essere lultima parola dello spirito umano, dovrebbe pro-
prio teorizzare ununit pi alta rispetto alla conoscenza del mondo
aggettiva e verbale, ununit pi alta del mondo topograco e storico,
del mondo dello spazio e del mondo del tempo. Ma il monismo ha
una pericolosa somiglianza con una istituzione religiosa per il fatto di
essere di nuovo solamente unaspirazione verso il limite del sapere e
non una rivelazione credibile; infatti, se non altro per amore di un vero
metodo critico, non avremmo avuto bisogno di una parola nuova. I
grandi pensatori e i grandi ricercatori ai quali si richiama volentieri il
monismo non erano monisti.
Io penso allora che lattuale tendenza delluso linguistico porter
a intendere con conoscenza unaspirazione che dovrebbe raggiungere,
ai limiti del sapere relativo, un sapere assoluto.
Una conoscenza in questo senso, una conoscenza assoluta impos-
sibile, perch ogni conoscenza ritorna alla ne alla conoscenza sensibile
e i nostri sensi accidentali sono troppo rozzi anche solo per permettere
132
nel mondo sensibile un conoscere denitivo, una conoscenza che giun-
ga al fondamento ultimo. Il microscopio non ci mostra mai la natura
del sangue o lattivit dei nervi no alle cause ultime. Per una cono-
scenza assoluta dellorganismo ci vorrebbe di pi, cio la conoscenza
quasi inimmaginabile dei processi vitali che fanno agire il sangue sulle
vie nervose e i nervi sulle vie del sangue. E questo in innumerevoli
casi. Non possiamo penetrare nella natura no ai fondamenti ultimi,
per non parlare poi delle connessioni e tessiture dei fondamenti ultimi.
Arriviamo cos a una confessione umiliante dove un po di humour
pu produrre una svolta. Conoscenza dei fondamenti ultimi solo
una parola del desiderio. Laltra parola del desiderio, Dio, altret-
tanto unespressione per la causa ultima di tutto ci che avvenuto
in natura. (445) Uno scolastico devoto del Medioevo potrebbe essere
soddisfatto di questo risultato, che quindi la parola Dio e la parola
conoscenza signichino pressappoco la stessa disposizione delluomo
che si eleva. Soltanto che non sarebbe soddisfatto dellaffermazione
che tutte due le parole siano povere allo stesso modo.
Umorismo (Humor)
(W II, 104) un concetto cos nuovo che no a ora non si riu-
sciti a darne una denizione. N i primi inventori inglesi della cosa, n
i Tedeschi, che lhanno imitata e migliorata, sono riusciti a penetrare
lessenza dellumorismo. Persino per i Francesi, che della parola hanno
preso a prestito la forma dagli Inglesi, la cosa rimane ancor oggi una
creazione straniera; per questa hanno cominciato a usare la parola
inglese humour e impiegano la parola quasi esclusivamente per lumo-
rismo inglese e per quello tedesco, per quanto lo siano riusciti a com-
prendere; gli Italiani, il cui umore corrisponde esattamente al francese
humeur, hanno introdotto per questo termine la parola umorismo.
Il termine Humor nuovo ed nazional-germanico. Ci si inutil-
mente sforzati di scoprire nei Greci e nei Romani qualcosa che cor-
rispondesse al nostro umorismo. E va forse imputato a questi sforzi
che siano fallite le denizioni dellestetica losoca (proprio nei nostri
migliori umoristi e nei migliori teorici dellumorismo, in Jean Paul e
Vischer).
Su questo punto vorrei richiamare qui lattenzione soltanto di sfug-
gita. Si voluto spiegare lumorismo come un concetto subordinato
del comico, perch lumorismo riesce a suscitare il sorriso e il riso, e
perch il riso veniva suscitato negli antichi unicamente e soltanto me-
diante il comico. La letteratura comica dei Greci e dei Romani assai
ricca; il genio comico di Aristofane nel suo genere non stato mai
superato; ma di quello che noi chiamiamo umorismo nei comici anti-
chi non se ne trova (105) nemmeno un barlume. Piuttosto si possono
rintracciare tratti umoristici in alcuni caratteri realistici dei tragici. Ci
troviamo qui di fronte a uno dei molti casi nei quali lantichit, model-
133
lo a quanto si dice del nostro mondo spirituale, era troppo semplice,
troppo poco complicata, troppo lineare, per poter anche solo presagire
i nostri pi moderni stati danimo e concetti.
La connessione pedante al concetto di comico sbagliata proprio
perch lumorismo esattamente vicino al comico come al pathos, il
contrario del comico. Si pensi al ridere no alle lacrime che lumo-
re porta nel suo blasone. E non un caso che nel momento in cui
gli Inglesi hanno preso coscienza del signicato del loro umorismo,
in Francia uninfelice imitazione portava alla commedia lacrimevole.
Larmoyant, malinconico, sentimentale, umoristico, tutti questi concetti
erano ancora estranei ai Greci e ai Romani.
La storia della parola parte dalla Grecia, passa per Roma, per la
Francia e lInghilterra e arriva in Germania; passa per anche attra-
verso diverse discipline scientiche. La psicologia medica dellantichit
introdusse lidea di quattro uidi, dei quattro humores, la corretta me-
scolanza o dosaggio (temperamentum) dei quali necessaria alla salute.
Anche alla salute dellanima, al buon umore (gute Stimmung); e cos
ora il temperamentum, ora gli humores divennero in psicologia lespres-
sione per ci che siamo soliti chiamare, a conclusione della storia di
unaltra parola, il carattere; in questo signicato si trova molto spesso il
francese humeur. Nella realistica e individualistica Inghilterra la parola,
nella forma humour, diventata una parola di moda per le tendenze
individuali dei tipi originali, per le stranezze del comportamento, per
quello che gli Inglesi chiamano altrimenti fancy, whim; nei poeti della
commedia, come Ben Johnson e anche Shakespeare, la parola viene
spesso usata, perch si voleva metterla in ridicolo. Quando poi Shake-
speare attraverso la traduzione di Schlegel divenne quasi un classico
tedesco, la parola Humor, della quale non si not luso ironico, da noi
pass (106) a indicare la stranezza comica di un carattere individuale;
e poich i romantici vi ricavarono a ragione relazioni con la loro po-
esia trascendentale o la loro ironia romantica, lestetica losoca del
tempo si impadron del concetto di umorismo; si credette di analizzare
lumorismo di Shakespeare, ma si giunse a un nuovo ideale tedesco di
umorismo, per il quale non vi era alcun esempio nella storia del con-
cetto. Vorrei per subito notare che gli humores della psicologia medica
adesso ci sembrano infantili, perch la patologia umorale, che era in
vigore un secolo e mezzo fa, attualmente o al momento sostituita da
unaltra teoria, la patologia cellulare; e vorrei notare che lhumeur della
precedente psicologia appartiene oggi gi alla psicologia popolare, che
tenuta meno in considerazione, perch la parola di moda temperamento
(che certamente appartiene al gruppo degli humeurs) stata sostituita
dalla parola di moda carattere, che gode di una sempre pi alta consi-
derazione, perch questa estetica losoca up to date.
Per la storia decisiva della parola in Inghilterra e in Germania
importante un passo dellEssay of dramatic poesy di Dryden (1668) e
134
la traduzione che di questo passo ha dato il giovane Lessing nel saggio
XIII della sua Biblioteca teatrale. Questo saggio XIII certo tutto dello
stesso Lessing, anche se quanto precede dovette essere di Nicolai. Il
giovane Lessing allora premette: ricordo anche che, quando voglio
tradurre la parola, rendo Humour con Laune, perch non credo che si
trover qualcosa di pi adatto in tutta la lingua tedesca. Dopo questa
spiegazione egli fa dire a Dryden: Lo Humor la stravaganza ridicola
nei rapporti per cui un uomo si distingue da tutti gli altri. Gli antichi
hanno molto poco di questo nelle loro commedie; infatti il yroi ov del-
la commedia greca antica, di cui Aristofane era lesponente principale,
non aveva lo scopo di imitare un determinato uomo, quanto piuttosto
di far ridere il popolo con un colpo di scena insolito (107) che aveva in
s per lo pi qualcosa di innaturale o di osceno
9
. [] Successivamente,
nella commedia moderna i poeti cercarono di esprimere lg0o degli
uomini, come nelle loro tragedie il ao 0o. Solo che questo g 0o conte-
neva semplicemente il carattere generale degli uomini e i loro costumi
come essi si presentano: vecchi, amanti, servitori, cortigiane, scrocconi
e altre persone di questo tipo, come le troviamo nelle loro commedie
[] ma per quanto riguarda i Francesi, sebbene essi abbiano la pa-
rola humeur nella loro lingua, ne fanno un uso assai parco nelle loro
commedie e nelle farse, che altro non sono che cattive imitazioni del
yroiov o del ridicolo della commedia antica. Del tutto diverso negli
Inglesi, che intendono per umorismo una qualche abitudine, passione
o tendenza licenziosa che, come gi detto, propria di una persona
che con questa stranezza si distingue subito da tutte le altre. Se questo
umorismo viene rappresentato in maniera vivace e naturale, suscita per
lo pi il piacere maligno che si tradisce nel riso, che del resto tutte le
deviazioni dallordinario sono in grado di suscitare molto efcacemente.
Ma in questo modo il riso solo casuale, dipende dal fatto che le per-
sone rappresentate siano stravaganti o bizzarre; il piacere al contrario
gli essenziale come lo ogni imitazione della natura. Allora il genio
proprio e la pi grande maestria del nostro Ben Johnson consistono
nella descrizione di questo umorismo o buon umore che egli aveva
notato in certe determinate persone
10
.
Si noti quanto poco questa esposizione corrisponda al nostro con-
cetto di umorismo; il riso devessere solo casuale, dipendere solo dai
caratteri strani e buffoneschi, quindi dalla materia, mentre noi nellumo-
rismo pensiamo prima di tutto alla forma soggettiva (108) dellattivit
poetica; il ragionamento di Dryden corrisponde piuttosto abbastanza
precisamente a ci che chiamiamo realismo o naturalismo del dramma;
e linglese ha proprio ragione quando contrappone alla commedia fran-
cese la nuova e nazionale esigenza di rappresentare in modo naturale
i caratteri specici.
Il Lessing maturo della Hamburgischen Dramaturgie tornato anco-
ra una volta sulla storia della parola (1768), nel saggio 93, in una nota
135
che si ricollega sia a Dryden che a Ben Johnson: la parola Humor era
tornata di moda e venne abusata nella maniera pi ridicola. Egli cita
un passo di Ben Johnson:
As when some one peculiar quality
Doth so possess a Man, that it doth draw
All his affects, his spirits, and his powers
In their construction, all to run one way,
This may be truly said to be a humour.
(Quando una qualche peculiare qualit di un uomo lo possiede in
modo tale da coinvolgere nella sua tutte le sue passioni, i suoi spiriti
e le sue forze, da incanalarle tutte in una sola via, questo lo si pu
veramente chiamare umorismo) [] Lumorismo, che noi ora consi-
deriamo cos eccellente negli Inglesi, era allora in loro in gran parte af-
fettazione e in particolare il rendere ridicola questa affettazione descrive
lumorismo di Ben Johnson. [] Ne ho raccolto diligentemente degli
esempi (Lessing pensa di individualizzare larte degli antichi), esempi
che desideravo anche solo poter mettere in ordine per rivedere con
loccasione un errore che diventato abbastanza generale. Ho tradotto
cio ed ora quasi comune umorismo con Laune (buon umore) e
credo consapevolmente di essere stato il primo ad averlo tradotto cos.
Ho sbagliato e desidererei che non mi avessero seguito. Credo infatti
di poter dimostrare in modo inconfutabile che umorismo e Laune sono
cose del tutto diverse e, in determinate condizioni, del tutto opposte.
Laune pu diventare umorismo (109), ma lumorismo, al di fuori di
questo unico caso, non mai Laune. Avrei dovuto indagare meglio la
derivazione della nostra parola tedesca e il suo uso comune e rietterci
meglio. Ho concluso troppo in fretta che, dato che Laune esprime
il francese humeur, potesse esprimere anche linglese humour; ma i
Francesi stessi non possono tradurre humour con humeur
11
; penso
di sapere come Lessing sia giunto a questa correzione. Tra il 1758 e il
1768 cade la pubblicazione di una lettera di Voltaire allAbb dOlivet,
il cancelliere dellAccademia francese. Voltaire lamenta che la lingua
francese sia impoverita dalla massa di libri inutili, che abbia perso le
belle espressioni che in inglese si sarebbero mantenute, come dsap-
point e partie. A proposito del nostro tema scrive (20 agosto 1761):
Je trouve, par exemple, plusieurs mots qui ont vieilli parmi nous,
qui sont mme entirement oublis, et dont nos voisins les Anglais se
servent heureusement. Ils ont un terme pour signier cette plaisanterie,
ce vrai cornique, cette gaiet, cette urbanit, ces saillies qui chappent
un homme sans quil sen doute; et ils rendent cette ide par le mot
humeur, humour, quils prononcent yumour; et ils croient quils ont
seul cette humeur, que les autres nations nont point de terme pour
exprimer ce caractre desprit. Cependant, cest un ancien mot de no-
tre langue, employ en ce sens dans plusieurs comdies de Corneille.
136
Au reste, quand je dis que cette humeur est une spce durbanit,
je parle un homme instruit, qui sait que nous avons appliqu mal
propos le mot durbanit la politesse, et quurbanitas signiait Rome
precisment ce quhumour signie chez les Anglais.
Ho presentato in maniera esauriente le doglie del parto della parola
tedesca, delluso linguistico tedesco, perch essa ha acquisito un cos
alto credito proprio a partire dallestetica tedesca che sempre vuol es-
sere metasica del bello. Persino i due eccellenti umoristi, Jean Paul e
Vischer, che hanno scritto sullumorismo tutto quello che vale la pena
di leggere, si sono sentiti in dovere di entrare nel merito di tutto (110)
larmamentario losoco. Jean Paul parla di una totalit dellumorismo,
di un nito applicato allinnito, e con tutta la sua arguzia non ha reso
teoricamente comprensibile lumorismo come ha fatto attraverso alcu-
ne gure umoristiche dei suoi romanzi. Vischer, che ha fatto seguire
abbastanza tardi alla sua teoria lesempio del suo delizioso romanzo
umoristico
12
, si affaticato invano ad applicare il modello di Hegel
al concetto di umorismo; egli stesso deve essere scoppiato in una ri-
sata umoristica liberatoria, quando da vecchio signore, ha riaperto la
sua Aesthetik ai paragra 205-22. Mi sempre sembrato che Vischer
abbia costruito con le sue astrazioni esangui una denizione piuttosto
di losoa che di umorismo. Mi sono molto sforzato di tradurre la
metasica di Vischer nella lingua di un uomo non del tutto incapace
di apprezzare i componimenti umoristici; ho anche cercato di tradurre
i tre gradi dellumorismo in ricordi artistici: il primo grado o lumori-
smo ingenuo non ancora proprio umorismo; il secondo o lumorismo
sguaiato corrisponde pressappoco a quello che possiamo gustare proprio
come umorismo in Shakespeare e Swift, in minor misura in Sterne, in
Jean Paul e Vischer. Ma cos lumorismo del terzo grado, lumorismo
in senso proprio, quello grande e libero? Temo davvero che lumorismo
libero non sia niente altro che la concezione del mondo del tutto libera
della mente veramente losoca, il sacro riso del losofo, la superiorit
rispetto a tutto laffannarsi e il pensare delluomo, la rassegnazione di
un grande cuore; e tutta (111) questa grandezza la possiamo sentire e
apprezzare come umorismo solo quando il losofo per caso anche
uno scrittore umoristico e utilizza a tal ne lumorismo del primo e del
secondo grado (Witz, Laune, ironia, baldanza, malinconia) per rappre-
sentare la sua concezione del mondo in un personaggio umoristico. Non
si pu denire lumorismo, perch non esiste umorismo nel mondo so-
stantivo, n come cosa reale, n come astrazione; c umorismo solo nel
mondo aggettivo; ci sono pensatori con humour (anche tra uomini del
tutto sobri; umoristi lo diventano solo quando scrivono libri); ci sono
gure umoristiche, umoristiche per losservatore o per il lettore. Trovo
una involontaria confessione di questo fatto, che cio la denizione di
umorismo proprio non esista, nello stesso Vischer (ivi, p. 472
13
): il
concetto di questo umorismo (dellumorismo libero, dellumorismo al
137
pi alto grado) necessario, la sua realizzazione rimane un compito.
Si potrebbe dire la stessa cosa per molti bei concetti. Dio, libert, feli-
cit sono necessari; la loro realizzazione rimane un compito; il che non
esclude che esistano uomini (relativamente) santi, felici, liberi. Anche
lumorismo del pi alto grado solo un postulato della teoria.
Ho altre eresie sul cuore.
Non vero che i Greci abbiano gi conosciuto qualcosa come lumo-
rismo. A questo proposito si cita sempre Aristofane, a suo modo certo
insuperabile. Ma tutti i suoi talenti arguzia (Witz), satira e ironia
non cambiano il fatto che egli non ha mai creato una gura umoristi-
ca; il signicato pi profondo rende pi pregevole il Witz, ma non lo
trasforma in umorismo. Ci fu forse una volta un greco che possedeva
umorismo: Socrate; ma i Greci non compresero lumorismo e uccisero
il loro unico umorista.
Non vero che il grande umorismo sia una scoperta dello spirito
germanico. Shakespeare fu certamente un pensatore con dello humour;
ma egli solo occasionalmente ha prestato alle sue gure tratti umoristici;
umoristico al grado pi alto (112) era Amleto, eppure il suo poeta volle
chiaramente creare una gura tragica; e anche Amleto diventa umoristi-
co solo dove egli, il disperato, rimane fedele in maniera ridicola (witzig)
al suo ruolo. Swift nel suo Gulliver sempre witzig; umoristico soltanto
dove come narratore esce dal ruolo. C ununica gura umoristica che
corrisponde interamente alla denizione del grande umorismo, e que-
sta gura non germanica: don Chisciotte; Cervantes voleva scrivere
unallegra parodia; ma don Chisciotte, il suo eroe comico, era buono,
nobile, valoroso, saggio, era un uomo eccellente; lo scrittore si affezion
al suo eroe comico, e solo allora il Don Chisciotte divenne il capolavo-
ro dellumorismo (soprattutto nella seconda parte, nellira consapevole
contro la comicit del meschino prosecutore, Avellaneda). Lumorismo
non mai unastrazione. Non credo di contraddirmi se ciononostante
ora cerco unaltra parola per umorismo, se cerco di trovare un nome
per quello che i Tedeschi pressappoco intendono quando, dal tempo
dei loro romantici, parlano di umorismo. Intendono la maniera mi-
gliore del ridere, il sacro riso, il riso di chi ha superato il mondo e che
ridendo ha superato anche s stesso. Si sente spesso dire che luomo
si distingue dallanimale per il ridere, che luomo lanimale che ride;
e Schopenhauer ha costruito su questo la sua teoria del ridicolo: ne
sarebbe lorigine la sussunzione inaspettata di un oggetto sotto un con-
cetto eterogeneo. Io vorrei sapere dove si nasconde questa sussunzione
quando un intero circo ride del volto stupido di Hanswurst preso a
schiaf. C un ridere cos comune che si avrebbe quasi la voglia di
chiamarlo un ridere animale. Il ridere pu rafnarsi in un ridere su
scherzi via via sempre migliori dellarguzia spiritosa, dei motti di spirito
artistici. Il ridere su una sorpresa musicale di Haydn gi molto vicino
al ridere che io ho in mente, ma ancora felicit. Il sentimento che
138
stato chiamato in modo cos stucchevole dolore cosmico (Weltschmerz)
quando diventato una maniera (113) e una smora, per il suo sacro
riso il sentimento del superamento del mondo non ha nemmeno bi-
sogno di una pausa, come Haydn; il sentimento del superamento del
mondo ride nel modo pi sacro della quotidianit alla quale appartiene
consapevolmente anche colui che ride. Chi non sa di appartenervi, chi
si ritiene un oltreuomo, non conosce ancora il sacro riso, non ancora
un losofo, forse una gura tragico-umoristica del pi alto grado, il
nuovo Don Chisciotte.
La parola umorismo con la quale si indicato questo sacro riso si
ridotta molto male. Non solo ai nostri tempi, in cui gli editori di
piatto ciarpame possono denire s stessi umoristi e denire racconti
umoristici le loro merci, proprio il piatto ciarpame. Gi Jean Paul ha
parlato dei cosiddetti umoristi che non saprebbero che rivelare il loro
divertito sentirsi a proprio agio. E con questo Jean Paul non pensava
ancora agli scarabocchi della comicit pi volgare che oggigiorno ci
viene imbandita sotto il titolo di racconti umoristici; egli pensava a
scritti comici di medio valore che al suo tempo erano molto stimati e
che ancor oggi sono citati con onore nella storia della letteratura.
Jean Paul, che come critico, non sempre come scrittore, possede-
va un gusto straordinariamente ne, aveva dovuto difendersi da una
concezione dellumorismo diventata dominante tra i romantici: dalla
confusione tra umorismo e ironia. Jean Paul, il pi soggettivista di tutti
i narratori, dovette fare una fatica particolare per liberarsi dal soggetti-
vismo dogmatico di Fichte; altrettanta fatica per superare il romantici-
smo dogmatico. Jean Paul fu davvero quello di cui i leader romantici si
vantavano solo con parole forbite, un educatore alla vita; leducazione
romantica allarte non gli bastava. Che il pi alto punto di vista della
considerazione del mondo si chiamasse umorismo o ironia, in ogni caso
egli mirava alla cosa in s: seriamente, non per gioco. Critici e cani
non utano rose e ori puzzolenti, (114) ma amici e nemici (Vorschule
der Aesthetik, p. 307
14
). Egli vide la distanza tra il modello dellironia
romantica e il genio ironico. Il Gulliver di Swift nello stile meno,
nello spirito pi umoristico della sua favola sta alto sulla rupe Tar-
pea dalla quale questo spirito fa precipitare il genere umano (cit., p.
240
15
). Chi apprezzava cos tanto uno Swift, non poteva accontentarsi
del giochetto romantico dellironia.
Ironia (ri evri o = nzione) notoriamente il nome di una gura
retorica; questa gura consiste nel fatto che il parlante chiede con
particolare insistenza il giudizio allascoltatore affermando il contrario;
lascoltatore deve trovare da s ci che si intende e in questo modo
viene reso pi attento che non mediante lesposizione diretta della ve-
rit. chiaro, anche senza la mia pedante spiegazione, che la gura
dellironia designa solo la forma di un pensiero, non il pensiero stesso.
Il pi saggio dei Greci, Socrate, aveva esercitato lironia per educare
139
al pensiero i suoi giovani amici; ma qualsiasi sciocco ironico quando
con un tempo da lupi parla di bel tempo, quando chiama bella ragaz-
za una prostituta brutta e ripugnante. chiaro allora che i romantici
scambiarono la forma con la cosa, il gioco dellironia con la seriet
della riessione, quando identicarono schematicamente la loro ironia
con lumorismo, quando (Friedrich Schlegel) denirono lironia lo stato
danimo che guarda al di l di tutto, si innalza innitamente sopra
tutto ci che condizionato, anche al di sopra della propria arte, virt
o genialit. Nei protoromantici non si trova nemmeno un barlume di
quello che chiamiamo umorismo; nemmeno negli attuali neoromantici.
Per questo uno spirito cos penetrante come Novalis pot identicare
in un unico e medesimo respiro lironia romantica e lumorismo. Per
dimostrarlo mi basta riportare due frasi di un frammento dal Blten-
staub (115) (Schriften, ed. da Minor, II, p. 117
16
), da lui stesso pubbli-
cato. Quello che Friedrich Schlegel caratterizza in modo cos acuto
come ironia, a mio parere, non niente altro che la conseguenza, il
carattere dellaccortezza, la vera presenza di spirito. Lironia di Schlegel
mi sembra essere lumorismo autentico [] Lumorismo un atteggia-
mento di maniera assunto arbitrariamente. Larbitrario quello che vi
di piccante. Si potrebbe ridere: il superamento del mondo, il supe-
ramento del proprio pensiero e del proprio sentimento, loltrelosoa,
diventata una maniera di scuola.
Ho creduto di dover mostrare lillusione dei Romantici, la loro con-
fusione tra umorismo e ironia, per far ora comprendere i motti di Goe- Goe-
the sullumorismo, che raramente sono stati citati. Goethe aveva a suo
tempo mantenuto la parola tramandata nellantico signicato inglese, nel
senso di meraviglia; cos usa il termine ancora in Dichtung und Wahrheit,
quando racconta dello Humor audace delle sue ragazzate. Poi luomo
maturo conobbe il concetto nel travisamento dei romantici. E vanno
contro questo travisamento frasi come (Sprche in Prosa, 108
17
): non
c nulla di volgare in ci che, espresso nella distorsione di una smora,
sembri umoristico; poi: lumorismo uno degli elementi del genio, ma
appena prevale, ne solo un surrogato; accompagna larte decadente, la
distrugge, inne la annienta (701
18
). Si confronti anche quello che egli
(456) adduce contro i tormenti psicologici degli ipocondriaci, umoristi
e Heautontimorumenoi
19
.
E Goethe, che si liberato dei propri tormenti ipocondriaci con
la creazione del Werther, ha tuttavia creato anche Mestofele, che si
avvicina abbastanza allideale di una gura umoristica. Quel poco che
ancora ci manca non pu essere la superiorit spirituale, dato che
Goethe era saggio. Non pu essere la bont danimo, che non deve
mancare nel poeta umoristico, dato che Goethe era buono. Ma la pro-
priet dellumorismo, il riso dellumorismo lo pu possedere soltanto
un uomo; e Mestofele non un uomo, (116) soltanto lironia per-
sonicata. lapice dellironia, quello che i romantici una generazione
140
dopo esigevano come qualcosa di nuovo. Inoltre Goethe era troppo
concreto per spendersi nel soggettivismo dellumorismo; inne, troppo
egoista per amare una delle sue gure no allumorismo.
Ridere (Lachen)
(269) Il muscolo che provoca nel volto umano segnatamente lespres-
sione mimica del ridere con il sollevare il labbro superiore lo zygo-
maticus major e non il risorius; ciononostante questultimo muscolo ha
mantenuto il suo simpatico nome e pu continuare a portarlo, perch
bene se il nome antico viene mantenuto a ricordo di antiche rap-
presentazioni. Ricordo il particolare anche solo perch questo termine
sbagliato mi sembra essere un analogo degli sforzi senza ne di trarre
conclusioni dalla somiglianza dei movimenti espressivi che denominia-
mo ridere e sorridere, di connettere indissolubilmente lumorismo con
il ridicolo (das Lcherliche, yroi ov). In genere il sorriso viene spiegato
come un riso indebolito anche da quei ricercatori che (come Hecker)
hanno spiegato molto bene il riso come leffetto di un solletico interiore,
per cos dire di un solletico dovuto allo scambio veloce di rappresen-
tazioni messe a confronto. Certo, il sorriso pu anche essere un riso
indebolito; nel malato che troppo debole per attivare con sufciente
vivacit il gioco dei muscoli; in chi triste, se ad esempio la giovane
madre, nel dolore che prova subito dopo la morte dello sposo, riesce
appena a sorridere allo scherzo del bimbo, scherzo per il quale avrebbe
altrimenti riso forte.
Ma c anche un sorridere diverso da quello che pu essere provo-
cato in ogni uomo da un oggetto adeguato, ma soltanto in un soggetto
particolare, e che pu essere provocato quasi da ogni osservazione,
non solo da unarguzia: penso al sorriso di superiorit dellumorismo
losoco. Forse si imparer a riconoscere che i movimenti espressivi
mimici hanno anche questa somiglianza con le parole del linguaggio
umano: non si possono tradurre sempre in modo univoco. Si sa che le
combinazioni non sono cos semplici, come credeva la mimica antica.
Lo sguardo penetrante, il pianto e la stessa espressione del disprezzo
e dellamarezza possono mettere in gioco i muscoli che provocano il
sorriso. Amarezza e disprezzo devono essere superati se si (270) deve
poter parlare della concezione del mondo dellumorismo pi libero;
ma riso, amarezza, disprezzo possono giocare in qualche modo agli
angoli della bocca, se il volto mostra unespressione umoristica. Con
il ridicolo, il yroiov, non ha molto a che vedere n la storia della
parola Humor n il concetto troppo dilatato che ora (invero solo in
Germania) viene collegato alla parola; non pi che il musculus risorius
con il risus.
Bello (Schn)
(W III, 75) Omero e Sofocle, Fidia e Raffaello, Dante e Shakespe-
141
are, Leonardo da Vinci e Sebastian Bach hanno creato opere che an-
cor oggi troviamo belle; hanno creato senza lestetica, senza nemmeno
sapere che un giorno ci sarebbe stata una scienza del bello; molto
prima della scoperta dellestetica Greci e Romani, Inglesi e Tedeschi
avevano nella loro lingua parole che esprimevano la sensazione (76):
questo mi piace. Omero diceva xoo di uomini e volentieri di donne,
di manzi e di cani, di vestiti e di armi, ma anche nel senso di buono
o di appropriato, di venti, di discorsi; conosceva anche il sostantivo
xoo, soltanto che gli interpreti discutono se questo xoo fosse
la bellezza personicata, che veniva messa addosso agli uomini come
un vestito, o se fosse semplicemente un mezzo ornamentale. I Latini
dicevano pulcher di giovani e di ragazze, di case e di citt, per usava-
no la parola anche laddove noi diciamo bello, beato, nobile ecc. delle
cose spirituali; pulcher viene fatto derivare da fulgere (risplendere). Ora
per presso i Latini era molto popolare anche unaltra parola: bellus
(da benulus da bonus), che corrisponde al tedesco hbsch (grazioso),
niedlich (carino) o allobsoleto artig (garbato). Da bellus e dal volgare
bellitas derivano le parole romanze bello, beau, beaut, beltre con tutte
le loro famiglie, e gli Inglesi vi ricavarono il loro beautiful (da beauty),
pressappoco come diciamo stilvoll (in perfetto stile) di un mobile.
Le lingue germaniche possedevano una parola che in inglese stata
sostituita da beautiful (anche sheen obsoleto, vale a dire ancora in
uso nella lingua poetica), ma che nellolandese e nellalto tedesco n
troppo usata: schn (bello). Letimo incerto; il gotico skauns traduce
in combinazione il greco og , ma non dobbiamo sorvolare sul fatto
che non sappiamo se i due passi principali (Filippesi, 2,6; 3,21) si rife-
riscano alla bellezza del Cristo trasgurato o gi alla successiva gura
teologica. La derivazione da schauen (guardare) non convincente; se
si dovesse accettare nuovamente la derivazione da scheinen (sembrare)
(nonostante Skeat, II, p. 58
20
riuti ogni connessione con to shine),
non si potrebbe pensare a un calco di pulcher (da fulgere); rimane
strano che (secondo Bral) anche xoo debba aver avuto il signicato
fondamentale di chiaro. Ed anche strano che il nostro schon, lavver-
bio antico di schn, venisse spesso usato in passato e venga usato oggi
come il latino belle e bene nel senso di recte, gut, wohl (bene).
Laggettivo bello (e naturalmente i suoi corrispondenti) (77) espri-
me in tutte le lingue una sensazione che conosciamo bene; e anche
se non riferito in primo luogo al piacere sessuale, come pi volte
stato ammesso (da Erasmus Darwin, da Charles Darwin, da Wilhelm
Scherer), come pure era costume in Grecia intagliare il nome dellama-
to sul tronco di un albero e scriverci sotto o xoo oppure g xog,
pot designare tra gli uomini pi semplici unimpressione piacevole.
Il predicato bello appartenne da sempre ai giudizi di valore naturali;
nel mondo dellesperienza umana, nel mondo aggettivo, ci sono stati
fenomeni belli: uomini belli, animali belli, suppellettili belle, e alla ne
142
si fece la scoperta che anche il paesaggio poteva essere denito bello.
Ma gli uomini impararono con il tempo a trasferire i fenomeni belli nel
mondo verbale, nel mondo dellagire, dal momento in cui essi produs-
sero qualcosa di bello. Essi scoprirono le arti. Ultimamente gli artisti
amano denirsi i creatori par excellence. E le arti si ostinano da secoli,
senza che ve ne sia bisogno, a cercare la bellezza anche nel mondo
sostantivo e in quello metasico. La Germania pu vantarsi di aver
indagato e denito per prima lessenza della bellezza. Scienticamente.
Come se le parole xo o, pulchritudo, bellezza, beauty, Schnheit non
fossero gi in uso prima. Si attribu il termine astratto bellezza a
donne e anche a uomini, animali, piante; si scrissero trattati sulla bel-
lezza e si cominci persino a riettere sul concetto. Il vecchio Walch
(Philosophisches Lexicon
21
) gi richiamava lattenzione sui differenti
modi di usare la parola; la si pu applicare alle sensazioni, in cui il
concetto e il gusto degli uomini sono cos differenti luno dallaltro;
[] posti davanti allaltro, bisogna contemplare la bellezza come essa
sia effettivamente in una cosa; la bellezza non sarebbe una chime-
ra, una cosa che consiste soltanto nellimmaginazione, ma qualcosa di
reale, un ordine e unarmonia composta di pezzi molteplici. Questa
annotazione precede (78) una dissertazione nella quale il famoso Bau-
mgarten formul lesigenza di una scienza specica, di una scienza
del bello (1735), e la pubblicazione di valore epocale della prima
parte dellopera stessa, lAesthetica di Baumgarten, che non ha ancora
smesso di provocare conseguenze fatali.
Lonesta Aesthetica di Baumgarten, per il contenuto, non va essen-
zialmente oltre il suo tempo; Gottsched e Blnger avevano trattato il
bello in maniera gi sufcientemente razionalistica e Breitinger aveva
tentato di istituire una dottrina del buon gusto come logica della
facolt dellimmaginazione; nuovo in Baumgarten davvero soltanto
il nome che egli d alla dottrina del gusto: oio0ovooi = percepire
(wahrnehmen), appercepire (apperzepieren), oio0gto = percepibile,
sensibile, to oi o0gtixo = ci che percepibile, il mondo sensibile. Cos
con oi o0gtixg pot essere denita la dottrina della percezione sensibi-
le. La bellezza per perfectio cognitionis sensitivae qua talis; il gusto
judicium sensuum; cos oi o0gtixg potrebbe chiamarsi la dottrina del
bello par excellence. Per noi il padre o meglio il padrino dellestetica
moderna semplicemente indigeribile per lo sforzo di istituire il bello
in parallelo con il vero e di ricondurre le verit estetiche sotto il con-
cetto di probabilit, perch esse non sono n interamente vere n inte-
ramente false: est ergo veritas aesthetica, a potiori dicta verisimilitudo,
ille veritatis gradus, qui, etiamsi non evectus sit ad completam certi-
tudinem tamen nihil contineat falsitatis observabilis (Aesth. 483
22
).
Baumgarten non si liberato dalla paura che gli si potesse obiettare,
a lui professore di losoa teoretica e morale, di aver consigliato, con
lelogio del bello, la menzogna.
143
Ma la forma conchiusa della nuova disciplina la dobbiamo allo
spirito sistematico tedesco e Kant che in genere nei suoi scritti pre-
critici spesso ha preso come fondamento delle sue lezioni i libri di
Baumgarten dopo alcune oscillazioni, ha ripreso il concetto di este-
tica e lo ha introdotto con tutto il suo credito nelle scienze losoche.
(79) Conviene sottolineare che Kant in un primo momento riut con
energia il nome estetica. Come noto, egli chiama la prima parte
della sua opera principale estetica trascendentale, vale a dire una
scienza di tutti i principi a priori della sensibilit. E poich la parola
era stata limitata erroneamente alla sensibilit del bello proprio con
Baumgarten, aggiunge in una nota tagliente (prima Critica della ragion
pura, p. 21
23
): i Tedeschi sono i soli, che si servono ora della parola
estetica, per designare con essa ci che gli altri chiamano critica del
gusto. Questa denominazione si fonda sulla falsa speranza, concepita
dalleccellente pensatore analitico Baumgarten, di sottoporre la valu-
tazione critica del bello a principi di ragione e di innalzare a scienza
le regole di tale valutazione. Questo sforzo tuttavia vano. Difatti le
regole o i criteri suddetti, riguardo alle loro fonti, sono semplicemente
empirici e non potranno quindi mai servire come leggi a priori, secon-
do le quali dovrebbe regolarsi il nostro giudizio di gusto; questultimo,
piuttosto, costituisce la vera e propria pietra di paragone per lesattezza
delle prime. Per questa ragione, consigliabile lasciar di nuovo cadere
questa denominazione e tenerla in serbo per quella dottrina che sia
vera scienza (in tal modo ci si accosterebbe anche pi da vicino al
linguaggio e al signicato degli antichi, presso i quali la partizione della
conoscenza in oi o0gto xoi vogto era assai famosa). Cos Kant tratta
la sua potente teoria dello spazio e del tempo nel capitolo esteti-
ca, che ora si chiamerebbe piuttosto fenomenologia. Nella seconda
edizione della Critica della ragion pura la protesta contro il termine
estetica gi molto attutita; solo le fonti principali si chiamano
ancora empiriche, le regole non possono mai servire a determinate
leggi a priori, la denominazione la si dovrebbe o lasciar cadere oppure
prenderla in parte in senso trascendentale, in parte in senso psicolo-
gico. Questa correzione dellanno 1787 doppiamente interessante
(cfr. ledizione dellAccademia, vol. V, Introduzione di Windelband,
p. 515 s.
24
): Kant si era rappacicato con il termine estetica, era
gi dellidea di introdurre nel suo sistema trascendentale la dottrina
del bello (il lettore confronti la Lettera a Reinhold del 28 dicembre
1787, che molto umana (80) e dimostra chiaramente la dipendenza
di Kant dallarchitettonica del proprio sistema, poich gli vengono
delle spiegazioni che non si aspettava e prevede gi per la Pasqua
successiva il suo manoscritto sullestetica con il titolo di Critica del
gusto), ma non aveva ancora aderito allidea fatale che vi siano anche
giudizi estetici a priori, che lestetica vada oltre la psicologia. Quando
egli nel 1790 pubblica la sua Kritik der Urteilskraft (le parole del titolo
144
sono scelte palesemente per ricondurre sotto un concetto, senza appa-
rente violenza, il sentimento soggettivo del bello e la dottrina di una
oggettiva nalit della natura; qui noi trattiamo propriamente qualche
aspetto della prima parte, la Critica del giudizio estetico), usa lagget-
tivo estetico quasi solo come lo usiamo comunemente, parla di giudizi
estetici, del valore estetico delle belle arti e di idee estetiche. Quasi.
Kant ha denito bene e in maniera rigorosa tutti questi concetti. In
Kant il concetto non era cos scialbo come viene usato oggi (estetico
diventato quasi un sinonimo di bello e la recente designazione esteta,
divenuta internazionale per tramite dellInghilterra, vuole estendere la
parola perno allinsieme della condotta di vita); il concetto dovette
prima diventare una parola di moda; e lo divenne solo con lallievo
di Kant, Schiller.
Almeno per la Germania Schiller ha sulla coscienza labuso delle
parole estetica e bellezza. Non sono serviti a salvarlo nemmeno le sue
aspirazioni di losoa dellarte. Esse cadono nella grande pausa impro-
duttiva tra i drammi giovanili, geniali e immaturi, e le opere consape-
volmente classicheggianti che hanno dominato il gusto tedesco per due
intere generazioni. Schiller ha presentato tre volte la sua estetica: nelle
conferenze, nelle lettere ber die sthetische Erziehung des Menschen
e inne nei frammenti che scrisse a Krner per il grande progetto di
unestetica, Kallias oder ber die Schnheit. Schiller era ancora in tutto
pi dipendente da Kant di quanto egli stesso credesse e ammettesse.
Occasionalmente (81) aveva scherzato (Hempels Schillerausgabe, Bd.
XV, p. 690
25
) sui poveri pasticcioni che rimestavano nella losoa
kantiana; ma anche lui un kantiano non indipendente e maneggia i
concetti kantiani in maniera losocamente incerta, anche se con unabi-
lit cos sorprendente che il pubblico letterario del tempo pens che
Kant fosse stato migliorato da Schiller. La bellezza non niente altro
che la libert nel fenomeno. Unazione libera una bella azione se
coincidono autonomia dellanimo e autonomia nel fenomeno. La bel-
lezza la natura nel suo essere conforme allarte. Il grande passo che
Kant aveva fatto oltre Baumgarten consisteva nella liberazione di ci che
estetico da ci che logico, nella liberazione del concetto di bellezza
dal concetto di perfezione. Kant distingue tra bellezza libera (pulchri-
tudo vaga) e bellezza puramente aderente (pulchritudo adhaerens); solo
la bellezza libera del tutto pura e Schiller formula con irritazione
questo pensiero un arabesco o qualcosa di simile, considerato come
bellezza, pi puro della pi alta bellezza delluomo. Schiller riuta
questa feconda osservazione di Kant: in realt mi pare che essa fallisca
completamente il concetto della bellezza (p. 683). Schiller non ha certo
criticato il fatto che Kant, in fondo un estraneo allarte, abbia scelto tra
gli altri un esempio mostruoso a sostegno della sua tesi, il fatto che egli
annoveri lintera musica senza testo in questi arabeschi. La violenta
lotta di Kant per incorporare la dottrina del bello nel suo sistema tra-
145
scendentale rimasta per Schiller un qualcosa di estraneo. Ancora nel
1792 Schiller vede Kant fermo al 1787, quando voleva ripartire il ter-
mine estetica tra la metasica e la psicologia. Molto inferiore rispetto
a Kant, Schiller vuole andare al di l della psicologia, non dal punto
di vista della teoria del conoscere, ma solo in modo fuorviante; vuole
scoprire la bellezza sostantiva dietro il sentimento aggettivo del bello.
Egli scrive a Krner (XV, p. 646): io credo di aver scoperto il concetto
oggettivo del bello, che si qualica eo ipso anche come principio del
gusto e che Kant dispera di trovare. (82) Ebbene s: la bellezza la
libert nel fenomeno.
La differenza essenziale tra Schiller e Goethe si manifesta in modo
chiaro nel fatto che Goethe, che invece ha riettuto veramente sullarte,
non mai diventato uno scrittore di losoa dellarte; le sue innume-
revoli esternazioni occasionali non passano mai dal mondo aggettivo
del bello al mondo sostantivo e metasico della bellezza astratta. Per
questo Goethe non aveva alcuna considerazione per lattivit artistica
in quanto tale, egli vedeva la nullit nelle opere dei piccoli talen-
ti. Il gusto non lo si pu proprio formare nella mediocrit, ma solo
nelleccellenza (Gesprche V, p. 35
26
). Goethe era superiore a Kant
e a Schiller nel fatto che, senza limitarsi alla poesia, aveva studiato a
fondo le arti gurative e larchitettura ed era pervenuto con passione
ad alcune opinioni anche nella musica, che gli era estranea.
Kant si era occupato molto della poesia pi antica, mentre ebbe
a mala pena loccasione di lasciar agire su di s la grande musica o
addirittura le opere delle arti gurative. Cos egli cre la sua estetica
dal profondo dellanimo e dai libri e non fu per niente cosciente della
mancanza di esperienza. Tuttavia, senza uscire da Knigsberg, ha an-
che tenuto spesso lezioni sullantropologia e, in questo caso, in maniera
del tutto ingenua, ha detto della sua citt natale che la sua grandezza e
la sua posizione privilegiata potevano sostituire tutte le altre fonti an-
tropologiche: Una grande citt, centro di uno Stato, dove si trovano
i consigli locali di governo, che possiede ununiversit (per la cultura
scientica) ed anche sede di commercio marittimo, che per mezzo
di umi favorisce il trafco dallinterno e coi paesi nitimi e lontani di
diverse lingue e costumi, una tal citt, come per esempio Knigsberg
sul Pregel, pu esser presa come sede adatta per lampliamento della
conoscenza delluomo e per la conoscenza del mondo, la quale vi pu
essere acquistata anche senza viaggiare (83) (Anthropologie, Vorrede,
p. VII
27
). Allo stesso modo Knigsberg dovette ben sostituire in lui
anche lesperienza estetica.
Le cose non andarono diversamente per Schiller, nel momento in
cui prese a scrivere la sua grande estetica. Burke, Sulzer, Webb, Mengs,
Winckelmann, Home, Batteux, Wood, Mendelssohn accanto a cinque o
sei cattivi compendi li possiede gi; ma egli desidera da Krner (lettera
dell11 gennaio 1793) ancora pi libri, sempre soltanto libri. Anche i
146
pittori italiani li vuole conoscere dalle incisioni. Anche sullarchitettura
desiderava persino troppo volentieri un buon libro. Dubito di potermi
fare delle idee sulla musica, poich il mio orecchio troppo vecchio;
tuttavia non temo che la mia teoria della bellezza possa far naufragio
nellarte musicale.
Non si obietti che non si pu pretendere da nessuno che vivesse
alla ne del Settecento la competenza che oggi si pretende con diritto
da ogni professore di storia dellarte e da ogni miglior critico darte.
Qui non si tratta certo della storia dellarte, ma dellestetica, della
teoria del bello. Si dovevano indagare i sentimenti estetici e a questo
ufcio si dedicarono uomini che confrontarono le grandi opere stru-
mentali di Bach e di Mozart con gli arabeschi, che non avevano mai
visto un quadro originale di Raffaello o di Rembrandt e che affronta-
vano perno la poesia con le vecchie regole. Non strano che da que-
sto studio concettuale dellarte scaturisse il nuovo dogma: lessenziale
delloggetto artistico di non suscitare interesse.
Questa dottrina, che io sappia, stata elaborata per la prima volta
da Burke, loriginale inglese, che aveva chiaramente ricavato dai qua-
dri dei pittori suoi contemporanei il suo grazioso ideale di bellezza.
Non si dimentichi che poco prima (1745) Hogarth aveva sbalordito il
mondo con la scoperta della curva della bellezza. Anche Burke aveva
la sua morbida curva della bellezza; secondo lui le propriet naturali
di un belloggetto sono: (1) proporzionata piccolezza; (2) levigatezza;
(3) diversa direzione delle parti; [] (5) ne costruzione, (6) colori
vivaci (84), che per non devono essere troppo stridenti; (7) se tuttavia
ci devessere un colore stridente, deve venir mitigato da altri. Burke
ora dice Schiller rende cos la frase: la bellezza suscita inclinazione
senza desiderio di possesso.
A questo pensiero gi stata data la forma da Kant e poi in modo
molto pi brillante da Schopenhauer; il pieno godimento del bene e
del piacevole sarebbe connesso allinteresse; invece il pieno godimento
che denisce il giudizio estetico sarebbe privo di ogni interesse; il giu-
dizio estetico sarebbe del tutto disinteressato, mentre loggetto di un
simile giudizio sarebbe molto interessante. Gi questo modo di parlare,
che ancora domina lestetica delle nostre scuole, contiene lesagerazio-
ne, la menzogna, alla quale dovette portare la nuova disciplina, perch
essa aveva sostantivato loggetto di tutte le sue ricerche, la bellezza.
Finch la bellezza era una qualit nei fenomeni, una qualit in certa
misura obiettiva, una forza delle opere belle che desta in noi il compia-
cimento estetico, si poteva almeno dire di questa cosa inesistente che
essa non avesse alcuna relazione con il nostro interesse o con la nostra
volont. Prima per che ci fosse una scienza estetica invero anche
da quando c cera solo un sentimento che determinati fenomeni
suscitano in noi e che dipende proprio dal nostro interesse. Anche se
bello non deve aver designato originariamente e da principio ci che
147
appare piacevole nellaltro sesso (dove certo non del tutto da esclu-
dere presso i non-esteti il desiderio del possesso brutale), certo per
laggettivo bello stato esteso progressivamente dai fenomeni corporei
alle opere darte, e queste opere darte le vogliamo sentire o vedere,
facendo del tutto astrazione dal fatto che non siamo sempre dei barba-
ri che vorrebbero anche possedere queste opere darte. Lerrore nella
famosa mancanza di interesse del piacere umano mi sembra stare nel
fatto che nellinteresse si sia pensato a un interesse dei cinque sensi,
allutilit per il singolo uomo o per lumanit, al fatto che (85) non si
sia considerato quanto profondamente dipendano dalla volont umana
tutti i giudizi di valore, ai quali appartengono anche i giudizi estetici.
La menzogna della mancanza di interesse nellinteresse artistico di
cui si chiacchiera diventa chiarissima quando si pensa ai loso che
hanno fatto un ulteriore passo avanti e, in modo del tutto conseguente,
hanno chiamato il godimento estetico privo di passione. Solo uno scrit-
tore darte che non avesse mai esperito la sensazione del bello, potrebbe
spingersi cos lontano. Possono esserci delle persone che proprio non
conoscono uneccitazione pi forte e passionale di quella che connes-
sa alludire una sinfonia di Beethoven, lottava per esempio, al primo
sguardo sulla Madonna Sistina, alla prima lettura del Faust. Tutto viene
sconvolto, le fondamenta della volont che la coscienza non raggiunge.
Odio e amore sono eccitati, si spinti allazione e questo gli scrittori
darte lo chiamano mancanza di interesse, mancanza daffetto.
Tra i miei esempi della forza eccitatrice delle arti pu far eccezione
la musica, poich la musica agisce in modo immediato sul sentimento.
Allora per la musica dovrebbe essere esclusa dallambito dellarte di-
sinteressata, il che non si pu tuttavia pensare seriamente. Lo stesso
Hanslick, famoso estetico musicale, del quale ora piace negare i meriti a
causa del suo odio contro Wagner, lo si intende male se si ritiene la sua
teoria del bello musicale come una estetica formale pura. Anchegli
d contenuto alla musica, solo che il contenuto ha da essere musicale.
In confronto allarabesco la musica in realt unimmagine, tale che il
suo oggetto non pu essere racchiuso in parole ed esaurito dai concetti.
In musica c senso e continuit, ma intesi in senso musicale; essa
un linguaggio che noi parliamo e comprendiamo, ma che non siamo
in grado di tradurre (p. 79
28
). Non c nella musica alcuna contrap-
posizione tra forma e contenuto. A che cosa si vuole dare il nome di
contenuto? Ai suoni stessi? Certo, ma essi hanno gi una forma. Che
cosa chiameremo forma? (86) Ancora una volta i suoni stessi, ma in
quanto sono una forma compiuta (p. 213
29
). Allesercizio di un se-
colo di estetica scientica che, non contento di indagare il sentimento
aggettivo del bello, ha voluto scoprire nelle opere darte e persino nella
natura la bellezza obiettiva, sostantiva, a questo esercizio, ufcioso e
quindi spesso ipocrita, riuscito di degradare il bello. Larte o la bel-
lezza obiettiva venne sopravvalutata e considerata una divinit; tutti gli
148
artisti creatori (avrei quasi detto alla berlinese Knstlehr) divennero
sacerdoti dellarte. Nessuna meraviglia che questa gente proveniente
dal mondo verbale (pittore, scultore, poeta, compositore sono nomina
agentis) si sia subito messa insieme in una casta di sacerdoti che salva-
guarda gli interessi di casta al servizio della sua arte disinteressata! Che
miracolo che, dopo le chiacchiere di maniera sul signicato dellarte,
ogni Knstlehr si ritenga o si dichiari un superuomo e pretenda decime,
da omuncoli e donnine! E il bello aggettivo, lunico vero in questo
mondo, diventato allora una merce, una merce di scambio dei sacer-
doti dellarte. Anche qui il sacerdote digerisce il cibo che i fedeli hanno
portato da mangiare al dio.
Verit (Wahrheit)
(409) La scepsi dubbio. Chi crede, crede a una verit. La verit
personicata, la verit eterna, la stabilis veritas, perch gi di per s
Dio, sta davanti al credente (410) Agostino in modo quasi grottesco.
Erit veritas etiamsi mundus intereat. Se la verit attenga alle cose o
al pensiero umano, alle nostre rappresentazioni o ai nostri giudizi, su
questo si losofato allinnito. Tutti i logici hanno limitato il concetto
di verit al pensiero o al giudizio: Aristotele, Tommaso, Descartes, ma
anche Hobbes.
Ora che ci avviciniamo alla ne della ricerca e che la parola verit
non costituisce pi per noi un feticcio, possiamo entrare con serenit nel
merito della disputa antica. Chi colloca la verit nelle cose, presta fede ai
suoi sensi; nel momento in cui crede due volte alle sue impressioni sen-
soriali, le pone due volte, una volta dal lato del soggetto e una volta da
quello delloggetto, ne deduce laccordo tra apparenza e realt e chiama
verit il fatto che cose identiche siano identiche. Chi pone la verit nel
suo giudizio, conferisce al concetto di verit un contenuto, se possibile,
ancora minore: in primo luogo egli giudica (ovviamente in modo corret-
to, vale a dire: secondo la sua miglior consapevolezza logica), poi crede
alla correttezza dei suoi corretti giudizi e chiama questa sua credenza
verit. Hobbes, che io ho collocato tra i pensatori che ponevano la verit
soltanto nel giudizio, ha gi tratto le conseguenze di questa posizione.
Noi non conosciamo altri giudizi che quelli linguistici; quindi vero e
falso sono attributi del discorso, delle parole, di una proposizione. E
una proposizione vera, se il predicato contiene in s il soggetto. Non
credo di travisare la posizione del potente Hobbes, se la espongo nel
modo seguente: solo le proposizioni tautologiche sono vere.
Ci sono sempre stati dei dogmatici, uomini che credettero solo al
Dio onnisciente e innitamente buono che non avrebbe potuto in-
gannarci nella fede nella sua verit, oppure uomini che credettero in
un sistema rigido. Ci sono sempre stati gli spiriti liberi, gli eretici in
religione e in losoa, gli scettici, che applicarono lidea che tutta la
nostra conoscenza relativa anche al concetto del conoscere pi alto,
149
alla verit. Herbart (noi (411) viviamo nelle relazioni e non abbiamo
bisogno di altro), Spencer (noi pensiamo nelle relazioni) si sono
spaventati proprio della parola eretica relativit; essi non negano affat-
to lassoluto, il reale, esso per noi semplicemente unknowable. Non
sappiamo proprio niente altro che relazioni, perch il nostro sapere
esso stesso solo una relazione, un rapporto dellio con laltro. Solo un
logico logicista (Stocklogiker) come Husserl pu volerlo negare: ci
che vero, assoluto, vero in s. In fondo del tutto corretto: si
dovrebbe solo chiamare vero il vero assoluto, quindi non usare proprio
la parola vero.
Questo relativismo del concetto di verit lo ha espresso bene Goe- Goe-
the in tutta la sua saggezza: se io conosco il mio rapporto con me
stesso e con il mondo esterno, lo chiamo verit. E cos ciascuno pu
avere la sua verit ed comunque sempre la stessa. Oltre a questo
Goethe ha anche affermato chiaramente che il concetto di verit ade-
risce alle parole (Spr. i. Pr. 51
30
): lerrore si ripete continuamente
nellazione, per questo non ci si deve stancare di ripetere il vero nelle
parole. Sarebbe utile se il pi saggio dei Tedeschi venisse citato pi
spesso di quanto accade nelle diatribe losoche.
Il timore del relativismo deriva propriamente dal fatto che i dog-
matici assumono verit eterne, assolute non solo nellambito del co-
noscere, ma anche allinterno del santuario della morale. Se anche le
verit morali venivano dichiarate relative, allora anche il mondo doveva
cadere a pezzi. Allora la menzogna e il diavolo non erano pi neri.
Allora la menzogna non era pi peccato, e allumanit veniva strappato
via ogni valore. Il giudizio di valore sul concetto di verit, la mescolan-
za internazionale di verit e di veridicit agivano di comune accordo,
quando ci si spaventava di fronte alla difesa antimorale della menzogna
di Nietzsche. Di fronte alla dottrina di Nietzsche: che lerrore sia il
principio che mantiene in vita.
Le declamazioni contro la menzogna come vero e proprio vizio
diabolico sono state da sempre comuni ai teologi cristiani (nonostante
il Vangelo di Giovanni, 7, 8 ss.); in ambito losoco Kant (412) ha
cercato per primo di fondare questa ripugnanza di fronte alla menzo-
gna nella facolt del linguaggio delluomo in modo piatto, infantile e
senza gusto (secondo le parole di Schopenhauer); questa ripugnanza
incondizionata si baserebbe per sullaffezione o sul pregiudizio;
noto che Schopenhauer approva la menzogna almeno laddove sarebbe
permessa come legittima difesa. Anche Bacone, il ne conoscitore degli
uomini, un difensore della menzogna; nel suo saggio Della verit egli
paragona la verit a una perla cha fa la sua miglior gura di giorno, ma
non raggiunge mai il prezzo di un diamante che si lascia osservare al
meglio al bagliore di una candela; la mendace mascherata del mondo;
la mescolanza con la menzogna e linganno sarebbe simile allaggiun-
ta di metallo comune nelle monete doro e dargento, aggiunta che
150
solo rende il metallo adatto alla lavorazione. Spessissimo la menzogna
viene giusticata o addirittura lodata dai poeti che certo a essa sono
i pi vicini; non mai stato detto qualcosa di pi benigno di quello
che viene detto da Grillparzer alla ne della sua commedia satirica,
condensato di umanit e saggezza, Weh dem, der lgt: La mala erba
(la menzogna), a quel che vedo, non si estirpa. | Ed fortuna se poi
vi cresce sopra il grano
31
.
Non mai stato detto qualcosa di pi terribile di quello che viene
detto da Ibsen nellAnatra selvatica: il medico Relling salva le persone
che gli sono care conservando in loro la menzogna vitale, il principio
stimolante, il cauterio che mette loro sulla nuca. Cos una menzogna
vitale lo scherzo che egli ha escogitato per mantenere luomo in vita:
se alluomo medio si toglie la menzogna vitale, gli si toglie contem-
poraneamente anche la felicit. [...] Non usi la parola straniera ideali;
poich labbiamo gi la nostra buona parola menzogne
32
.
Ibsen conserv la parola, e la menzogna vitale che la conservava
corrisponde sorprendentemente bene al pensiero di Nietzsche sulluti-
lit biologica dellerrore. difcile, come sempre in Nietzsche, far fun-
zionare questo pensiero in modo netto e chiaro. Non perch Nietzsche
non abbia lasciato un sistema, nemmeno perch sia stato uno scrittore
di aforismi. proprio di Nietzsche la splendida affermazione: la vo-
lont di sistema una mancanza di onest
33
. Gli aforismi sono sempre
mezze verit; poich (413) per non abbiamo mai la verit intera, la
met diventa pi dellintero. Anche la mania, spinta no al patologico,
di passare con le stampelle del linguaggio da antitesi di giochi linguistici
a paradossi che eccedono se stessi pu solo raramente intorbidire il
piacere limpido per la personalit scettica di Nietzsche. Ma linteresse
passionale di Nietzsche per il pensiero in tutte le sue poesie concet-
tuali riguarda la vita, riguarda linversione dei valori della vita; egli
ha portato avanti ricerche nellambito della teoria del conoscere solo
accidentalmente, ed era cos poco contento di queste irruzioni, di questi
fuochi darticio o di questi lampi di genio, che quasi non li pubblic
mai, che non ci mostr mai limpalcatura del suo losofare, abbastanza
non-tedesco, visto che il pi grande losofo tedesco diventato famoso
soprattutto grazie allimpalcatura con cui schiaccia spesso s stesso e
noi. Lideale tedesco dellintellettuale sarebbe di lasciare stare limpalca-
tura attorno a ogni duomo per tempi inniti. Nietzsche ha pensato solo
di rado in modo concluso, ma la profanazione pietosa di cadaveri lo ha
buttato sul mercato, e ora si cerca di ricostruire la teoria del conoscere
di Nietzsche solo dai volumi disordinati del Nachlass.
Errore e menzogna diventano per Nietzsche concetti interscambiabili
perch egli, in questo non-tedesco e di nuovo il pi tedesco dei Te-
deschi, non era un commerciante del negozio del pensiero speculativo,
ma soffriva troppo profondamente per il suo pensiero che egli sentiva
profondamente. Come si pu continuare a vivere, se si penetrati con
151
lo sguardo nella menzogna vitale? Se si sgomitolano le illusioni che man-
tengono in vita? Nella risposta a questa domanda faustiana sta tutto il
Nietzsche, malato affascinante. La massa crede alle illusioni, quindi non
si lascia disturbare. Il pensatore che giunto dietro il segreto deller-
rore vitale o della menzogna vitale, affonda, se un codardo. Solo il
pi forte, il povero Nietzsche malato, sopporta la verit che non ci sia
nessuna verit.
La falsit di un giudizio non per noi ancora, per noi, unobiezio-
ne contro di esso []. La questione no a che punto questo giudi-
zio promuova e conservi la vita, conservi la specie e forse addirittura
concorra al suo sviluppo; e noi siamo fondamentalmente propensi ad
affermare che i giudizi pi falsi (414) [] sono per noi i pi indi-
spensabili, [] che rinunciare ai giudizi falsi sarebbe un rinunciare
alla vita, una negazione della vita
34
. La verit ha un valore morale,
la non-verit ne ha uno biologico. Essere conforme al vero (wahrhaft)
signica dire menzogne in gruppo. Diciamo veri gli errori che sono
diventati carne. Nietzsche chiama vero ci che ci utile, come luma-
nit n dai tempi dellorigine ha chiamato buono ci che gli era utile.
Con la stessa sequenza di parole i pragmatisti intendono qualcosa di
diverso. Nietzsche ha potuto ripetere contro il concetto di verit quello
che sempre Spinoza aveva enunciato contro il concetto di bene. Basta
una sola considerazione per dargli ragione: lumanit non ha mai pos-
seduto la verit n dal suo esistere e tuttavia ha continuato a vivere.
Solo che di nuovo un gioco con le parole chiamare con il termine
della negazione e dellinsulto, errore o menzogna, il positivo, che solo
pu essere ci che mantiene in vita, perch non lo conosciamo
35
. Ci
che unknowable, unknowable, che lo si celebri come lassoluto o
lo si designi senza rispetto come errore. La voce inglese agnosticism
non poi cos male.
In riferimento al linguaggio Richter, invero in modo infelice, nel suo
libro che peraltro vale la pena di leggere per il suo grande valore ha
classicato lagnosticismo individualistico di Nietzsche come scetticismo
biologico; Nietzsche valuta verit ed errore dal punto di vista biologico;
scetticismo biologico ricorda un po la caserma dellartiglieria a ca-
vallo (me la ricorda anche lo scetticismo linguistico con cui Richter
onora anche le mie idee, Richter, II, p. 453
36
). Nietzsche non voleva,
come Hume, essere chiamato scettico. Gli scettici greci che coerente-
mente denirono impossibile ogni giudizio, non avrebbero nemmeno
potuto vivere, se fossero stati del tutto coerenti. Lasino di Buridano,
che a causa della mancanza di libert del volere, del volere umano
(avrei detto io), deve morire di fame tra due fascine di eno esattamen-
te uguali, sembra un asino pi intelligente rispetto allasino scettico che
non pu mangiare la sua unica fascina, perch dubita della realt del
eno, e non sa nemmeno se sia un asino e se possa davvero mangiare.
Allo stesso modo avrebbe dovuto far morire di fame lumanit questo
152
asino scettico, se essa avesse vissuto secondo la teoria scettica, lunica
verit. Nietzsche, appassionato della vita, non volle essere un tal scetti-
co, certo nemmeno uno scettico biologico. Si pu chiamare la sua teoria
relativismo individualistico, se proprio la si vuol classicare: ci che
mi manda in rovina per me non vero, cio una relazione falsa del
mio essere con altre cose. Infatti c solo una verit individuale una
relazione assoluta un non senso. Non possediamo allora nessuna
verit che sia assoluta, dobbiamo accontentarci delle opinioni, della
credenza (Glauben) che ci viene incontro come surrogato della verit
per la terza volta.
Il linguaggio si stanca a forza di dimenarsi pietosamente con tali
concetti. Vero dovrebbe essere ci che corrisponde alla realt. Chiamia-
mo credenza il nostro rapporto con le rappresentazioni o con i giudizi,
quando li consideriamo veri, cio quando non sappiamo che sono veri,
quando quindi non li consideriamo veri. Sarebbe molto meglio (416)
optare per la rassegnazione, entrare nellordine degli Ent-sagenden di
Goethe.
La lingua tedesca ha formulato una volta un Witz pazzesco e ha
tolto la pelle al concetto di verit. Unasserzione di verit era nel me-
dio alto tedesco allwaere (antico alto tedesco alawr = verissimus).
Quando non si sent pi la sua origine, ne venne fuori per mutamen-
to fonetico alber, da Gottsched e Gellert albern. Noi sappiamo cosa
signica ora questo antico alwaere. Lutero traduce: ein Alber glubt
alles (uno sciocco crede a tutto, Spr. Sal. 14, 1537).
Mondo aggettivo
(W I, 17) Il termine grammaticale adjektivum notoriamente la
traduzione del greco rai0rtov; anche noto che Aristotele che in
ogni caso non era un grammatico non aveva alcuna idea della cate-
goria dellaggettivo, che per lui rai0rtov consisteva nel caso speciale
dellepitheton ornans poetico. In seguito, con rai0rtov i grammatici
greci continuavano a pensare in primo luogo a elogio o biasimo, ma
aggiunsero lentamente alle propriet dellanima e del corpo altre parole
qualitative.
Se mai i Greci fossero stati portati alla ricerca gnoseologica, come
fondatore della logica Aristotele avrebbe comunque dovuto prendere
in considerazione anche il signicato grammaticale dellaggettivo.
Nella mia Kritik der Sprache (B II, p. 94 s.) ho cercato di mostrare
che laggettivo nella storia della grammatica la parte del discorso
pi giovane, ma nella storia dellintelletto la pi antica. Cosa sia una
cosa me lo dicono le sue propriet, al di fuori di esse la domanda
metasica. La costituzione della corporeit a partire dalle qualit si
completa a livello prelinguistico; anche la scimmia, quando mangia una
mela, probabilmente mette insieme a partire dalle qualit di liscio, dol-
ce, rosso, pesante, ecc. lipotesi della cosa-mela
38
. Il mondo aggettivo
153
lunico mondo a noi accessibile mediante le impressioni sensoriali; il
mondo sostantivo lo stesso mondo dato ancora una volta, concepito
sotto lipotesi della cosalit.
Non credo di avere la tendenza a costringere le mie osservazioni
in un sistema. Ma lapplicazione di una concezione del mondo che
ci terr occupati ancora per molto al concetto di appercezione mi
trae fuori dallisolamento nominalistico. Il linguaggio umano, che si
costituisce attraverso lappercezione ed costituito dallappercezione,
ha formato da sempre tre categorie, con laiuto delle quali cercava di
comprendere il mondo: laggettivo, il verbo e il sostantivo. Mi sembra
ora possibile (18) ripartire ancora una volta in queste tre categorie, in
modo diverso da come stato fatto nora, il processo interno delle
appercezioni che nel loro insieme costituiscono il pensiero.
C un mondo aggettivo, lunico mondo del quale facciamo espe-
rienza in modo immediato attraverso i sensi; tutte le nostre sensazioni,
tutti i nostri dati dei sensi sono aggettivi; aggettive sono inoltre anche
tutte le nostre sensazioni dellanima, i nostri giudizi di valore, tutto ci
che chiamiamo giusto, buono, bello ecc. Questo mondo aggettivo si
frantuma in singole impressioni, non si costituisce in forme unitarie,
lo si potrebbe chiamare un mondo a puntini (pointilliert).
Se vogliamo congiungere i punti in unit, se vogliamo dirigere lat-
tenzione su delle unit (con questo non bisogna dimenticare che latten-
zione viene stimolata da unit o forme misteriose nelle cose), dobbiamo
considerare, cio pensare, cio rivolgere la capacit di appercepire alle
impressioni dei sensi. La congiunzione delle sensazioni in unit median-
te lattivit della memoria la si potrebbe chiamare il mondo verbale (un
po pi audace dellespressione mondo aggettivo di poco fa). Oppure,
mettendo sullo stesso piano attivit ed efcacia, il mondo causale. Il
mondo a puntini delle impressioni passive dei sensi si trasforma me-
diante loperare dellappercezione nel mondo in divenire, nella trama
del mondo, in ci che uisce.
Le masse delle appercezioni o il pensare non sono in questione pri-
ma che il pensare sia giunto alla parola. Abbiamo parole per il mondo
aggettivo (blu, rumoroso, dolce, duro, giusto, bello), ma tutte queste
parole inlzano limpressione con la punta dellago del momento e non
ci lasciano scorgere o addirittura descrivere la cosiddetta totalit. Il
mondo aggettivo il mondo dellanimale. Il mondo verbale vi si ag-
giunge e ha designazioni per il divenire e il trascorrere, per il godere
e il soffrire, per il cambiare e il rimanere, per il causare e lobbedire.
Il mondo verbale lo si pu descrivere. Tuttavia limpertinente parola
umana lo vorrebbe anche spiegare. Vorrebbe trovare unespressione
non solo per le sensazioni del momento e per i mutamenti (19) nello
spazio, ma anche per lessente, per ci che permane nel tempo, per le
sostanze. E la parola impertinente si crea (solo per s, la parola per la
parola) il mondo sostantivo, il mondo delle cose e delle forze, il mondo
154
degli dei e degli spiriti, un mondo del quale la memoria dellumanit
non sapeva nulla prima che la parola se lo fosse procurato. E poich
il mondo sostantivo gode della pi alta considerazione tra il popolo
e parimenti da sempre stato, presso i muti del cielo, presso i pi
profondi pensatori o i mistici, il mondo della nostalgia, cos non avrei
nulla in contrario se si volesse chiamare il mondo sostantivo del tutto
irreale: il mondo mistico.
Mondo sostantivo
(W II, 262) Abbiamo conosciuto lunico mondo della nostra espe-
rienza, il mondo reale, il mondo del sensismo, come quel mondo per
la descrizione del quale il linguaggio ha a disposizione i suoi aggettivi;
abbiamo supposto che laggettivo sia davvero la pi giovane parte del
discorso della grammatica, ma la pi antica parte del discorso nella
storia dellintelletto. Abbiamo gi spiegato l che il linguaggio ha creato
a suo uso e consumo il mondo sostantivo, il mondo degli dei e degli
spiriti, il mondo delle cose e delle forze. Il mondo sostantivo il mondo
mitologico.
Questa rappresentazione sarebbe una banalit se si pensasse soltan-
to che i sostantivi astratti, con cui una ragione sincera non sa pensare
nulla, appartengono a un mondo mitologico. No. Non solo gli dei e
gli spiriti sono mitologici, ma anche le forze apparentemente ben co-
nosciute della sica e della biologia sono cause mitologiche; anche le
cose stesse, le cose singole della nostra esperienza aggettiva sono solo
simboli nei quali riassumiamo le cause mitologiche dei loro effetti ag-
gettivi. Per i sostantivi astratti la spiegazione ancora pi semplice.
Le lingue germaniche hanno pi delle altre la tendenza a designare
le cose astratte, quelle cose delle quali sappiamo ancor meno rispetto
alle cose corporee, con parole doppie che, per il mio senso della lingua,
hanno in s qualcosa di pleonastico. Freundschaft (amicizia) non dice,
nella mia relazione con N., niente (263) di pi del fatto che noi siamo
Freunde (amici); lattuale sufsso -schaft era originariamente lo stesso
che stato e venne poi a designare un concetto collettivo. Brgerschaft
(cittadini), Judenschaft (ebrei) non dicono niente di pi che Brger (cit-
tadini), Juden (ebrei); Wissenschaft (scienza), lo zainetto pieno di sapere,
niente di pi di wissen (sapere). Anche il sufsso -heit era una paro-
la autonoma e designava una condizione; Freiheit (libert), Gleichheit
(uguaglianza) non dicono niente di pi di frei (libero), gleich (uguale);
-heit per, come -schaft, ha assunto il signicato di un collettivo, e Chri-
stenheit (cristianit) non dice niente di pi di Christen (cristiani); certa-
mente solo un turco che parla tedesco direbbe Christenschaft; inne si
mette -heit in modo del tutto pleonastico in Gottheit (divinit), Schnheit
(bellezza). Anche -tum era una parola autonoma; se diciamo Eigentum
(propriet), non pensiamo niente di pi che con laggettivo eigen (pro-
prio), che propriamente il participio di un antico verbo dimenticato
155
eigan, che signica besessen (posseduto), in contrapposizione a una cosa
senza padrone; soltanto il capriccio delluso linguistico distingue tra
Eigentum, Eigenheit e Eigenschaft; un tempo si diceva mein Eigen dove
ora diciamo mein Eigentum.
poi solo un caso della storia della lingua che le cose concrete non
abbiano forme cos forzate delle parole. Che non diciamo Pferdeding
(cosa-cavallo), Apfelding (cosa-mela) per Pferd, per Apfel o forse Pfer-
detum, Apfelheit; il francese maison derivato dallaltrettanto astratto
latino mansio, luogo nel quale si rimane. In un certo senso i sostantivi
pi concreti sono pseudoconcetti proprio come i mostri concettuali
pi astratti della scolastica.
Se per una temeraria formazione analogica non ci fossimo abituati
ad attribuire quasi a ogni sostantivo le stesse categorie del caso, del
numero e persino del genere, riconosceremmo subito in queste catego-
rie larticiosit, lirrealt della formazione del sostantivo. Avvertirem-
mo subito che i sostantivi astratti non possono avere alcun rapporto
di declinazione tra loro, alcun rapporto numerico in relazione a noi e
davvero nessuna somiglianza con le differenze di genere degli animali.
Larticiosit della distinzione di genere (264) evidente anche nella
maggior parte dei sostantivi concreti; la declinazione dei sostantivi con-
creti come da tempo ha dimostrato la linguistica si per formata
solo metaforicamente secondo limmagine di alcuni rapporti spaziali e
simula soltanto una conoscenza di relazioni delle quali possiamo asserire
qualcosa sempre soltanto in immagine; anche il numero dei sostantivi
concreti non nel mondo dellesperienza, non nella singola cosa reale,
non mai un effetto delle cose su di noi, ma solo nel mondo verbale,
nel bisogno di ordine delluomo. I numeri infatti non sono percezioni,
non sono modi aggettivi.
Lintelletto umano che, seguendo un istinto remoto, certamento ere-
ditato dallanimale, concepisce le cause comuni delle impressioni agget-
tive come sostantivi, simula quindi un mondo sostantivo proprio con
gli stessi mezzi con i quali lo scherzo ottico dei sici simula per noi la
presenza di un corpo mediante specchi disposti abilmente e lenti scelte
in modo appropriato. Ho gi detto da qualche parte che potremmo
credere a ragione di percepire una mela se un un giocoliere sovrumano
potesse simulare per noi la forma, il colore, la consistenza, il gusto e il
profumo di una mela. Solo che noi ci saziamo con la cosiddetta mela
reale che possiamo digerire; ma anche questo dipende di nuovo dagli
effetti aggettivi della mela reale, effetti che un giocoliere ancor pi
sovrumano potrebbe simulare.
Mondo verbale
(W III, 359) I. Nel nostro pensiero o nel nostro linguaggio, accanto
al mondo aggettivo, lunico vero mondo dellesperienza o del sensismo,
c anche un mondo sostantivo (360) dellessere o dello spazio, che
156
abbiamo conosciuto come il mondo mitologico e (a un livello pi alto)
come il mondo della mistica; c poi per anche un mondo verbale, il
mondo del divenire. Lo spazio la condizione del mondo sostantivo,
il tempo la condizione del mondo verbale. Spazio e tempo si distin-
guono essenzialmente per il fatto che lo spazio viene consumato solo
in relazione a un determinato tempo, il tempo invece viene sempre
consumato quasi come una forza, appena accade qualcosa. Nellabisso
del concetto di causa mi sembra di intravedere la possibilit di dire
che spazio e tempo siano le condizioni dellesperienza, che lo spazio
sia la condizione dellessere, il tempo la condizione del divenire, ma
che in nessuno di questi casi si possano chiamare cause lo spazio e il
tempo.
Kant ha aggirato la difcolt, che Hume non aveva proprio notato,
assegnando al soggetto lo spazio e il tempo come forme dellintuizione,
togliendoli alle cose in s, che egli riteneva proprio le cose-cause origi-
narie (Ur-sachen). Ma almeno il tempo, come condizione del divenire,
non lo si pu staccare n dal soggetto n dalloggetto, a meno che non
lo si pensi misticamente del tutto inesistente. Il mondo verbale non
vede altro che il modo dellinterazione, quello che noi chiamiamo le re-
lazioni delle cose con noi e le relazioni delle cose tra di loro. Il divenire
e il trascorrere, cio il mondo oggettivo, liberato dalla superstizione del
realismo ingenuo, oggetto del mondo verbale: laver effetto; ma anche
laver effetto su di noi, che viene immediatamente colto come mondo
aggettivo, appartiene anchesso appena lo abbiamo riconosciuto come
un aver effetto al mondo verbale. Il sapere di un mondo aggettivo, il
formare dei concetti, il pensare o il parlare sono verbali.
Il concetto pi generale per questo divenire, per questo usso delle
cose, sarebbe il concetto di movimento. E qui lespressione mondo
verbale non sembra del tutto appropriata, perch i verbi non designa-
no sempre attivit o movimenti o mutamenti in generale, ma spesso
(almeno ora) (361) stati di quiete. Ho detto: almeno ora, perch non
si pu del tutto escludere la supposizione che originariamente i nostri
termini che indicano tempo e attivit designassero di regola unattivi-
t di carattere sensibile, anche se non posso ammettere lassunzione
ulteriore di tutti i sanscritisti che tutte le cosiddette radici linguistiche
siano sempre state allorigine concetti di attivit.
Non voglio nemmeno negare che nellespressione mondo verbale
(per il mondo del divenire e del nostro sapere del divenire) siano conte-
nuti alcuni errori minimali. I termini che designano propriamente delle
attivit a cui ho pensato in un primo tempo nella teoria dello scopo
nel verbo (B III, p. 59), non hanno, nella psicologia del linguaggio,
esattamente lo stesso carattere dei verbi che designano unattivit della
natura sica: un movimento per es. dellacqua, del suono, della luce
o del calore; dal suo punto di vista, la grammatica distingue poi verbi
transitivi e intransitivi, oggettivi e soggettivi. Tuttavia alla ne credo
157
che in tutte le nostre lingue i verbi, che esprimono attivit spirituali o
persino stati di quiete, siano solo creazioni analogiche secondo la forma
e la forma linguistica interna dei verbi; le desinenze verbali ricordava-
no che il soggetto faceva qualcosa, che combinava qualcosa. E questa
rappresentazione confusa noi la colleghiamo ancor sempre con tutti i
verbi (Zeitwrter).
Non la colleghiamo per con il verbo pi generale, quindi quello
pi vuoto di tutti i verbi, con il concetto di essere. Ancora una volta
non posso negare che mi provoca un imbarazzo linguistico il fatto che
questo verbo generalissimo non possa essere inserito nel mondo verba-
le e sia invece proprio un sinonimo del mondo sostantivo. Posso solo
ricorrere alluso linguistico: noi trasferiamo le cause del mondo agget-
tivo nei sostantivi di cui esprimiamo la realt o lessere solo quando
crediamo di sapere qualcosa delle relazioni di queste ipostasi cosali.
(362) II. Naturalmente la divisione dei tre mondi secondo le parti
del discorso pi importanti della grammatica la si deve intendere solo
cum grano salis. Lindeterminatezza del senso grammaticale (cfr. B III,
p. 1 s.) si rivela chiaramente soprattutto nel fatto che non possiamo
dire esattamente cosa siano un aggettivo, un sostantivo, un verbo; la
logica, vale a dire la logica scolastica, certo derivata dalla grammatica
attraverso una non chiarezza di Aristotele, diventata storica, ma con
questo la grammatica non diventata logica. Allideale dei concetti
logici corrispondono solo i sostantivi, in quanto designano individui e
poi concetti di genere pi generali e sempre pi generali. Gli aggettivi
sono da sempre determinazioni di impressioni sensibili o di sensazioni,
ma nella logica scolastica si devono usare ancor sempre come predicati
di giudizi e di conclusioni di implicazione. Nel senso della logica di
implicazione i verbi non sono poi per nulla concetti, essi non designa-
no concettualmente, come abbiamo visto (B III, p. 59), la somma di
percezioni uguali o simili, essi piuttosto riuniscono insieme una somma
di modicazioni progressive sotto un concetto di ne. Nella dottrina
della deduzione della logica scolastica si pu usare in modo preciso
come copula propriamente solo il concetto di essere; e questo concetto
conviene, come abbiamo appena visto, piuttosto al mondo sostantivo
che a quello verbale.
Cos ho anche ammesso lerrore di forma della mia divisione in tre
del mondo del linguaggio: che cio si possa percepire in modo imme-
diato uno scopo nel verbo solo nelle parole che indicano attivit sensi-
bili, in maniera pi chiara in assoluto nei verbi oggettivi, il cui oggetto
sostantivo soltanto una ripetizione tautologica dello scopo nel verbo,
ad esempio: scavare uno scavo, costruire una costruzione, ecc.
Non nascondo che nella mia teoria dello scopo nel verbo ci sia ler-
rore di una generalizzazione. Questo stesso errore per lo hanno fatto
prima di me le nostre lingue, formando, per lanalogia con i verbi di
sensazione, una quantit (363) di verbi, nei quali un tale ne evidente
158
non lo si poteva sentire immediatamente o non lo si poteva sentire per
nulla. Voglio tentare di difendere il concetto di scopo nel verbo per
alcuni grandi gruppi. Le attivit sensibili delluomo sono espresse da
verbi che riassumono in uno scopo innumerevoli mutamenti microscopi-
ci parziali oppure deducono linsieme dei mutamenti da una cosiddetta
causa nale; secondo luso scientico del linguaggio i mutamenti nella
natura extraumana, dei quali sappiamo qualcosa in quanto relazioni
reciproche tra le cose, non ritornano a cause nali, ma a cosiddette
cause efcienti. Crediamo per di aver imparato dalla nostra critica
del linguaggio che tutte le forze, anche quelle della natura inorganica,
sono forze che hanno una direzione, che esse si sottraggono al concetto
di causalit, che il concetto di direzione sarebbe utilizzabile in questo
senso, utilizzabile provvisoriamente, come il concetto pi generale, a
lungo cercato, per le antiche cause originarie e per le antiche cause
nali. La nostalgia del nostro tempo, che stanco della concezione
meccanicistica del mondo, scivola volentieri senza aver rielaborato
il concetto di direzione verso la concezione del panpsichismo che
non vorrebbe pi considerare teleologia e causalit come termini in
contrasto. Per una simile concezione non mi sembra assurdo, anzi mi
sembra necessario, nel verbo, trasferire lo scopo, dai verbi che indicano
attivit sensibili anche a quelli, innumerevoli, che designano un qualche
effetto reciproco delle cose, che designano le relazioni reciproche dei
sostantivi. Avrei potuto parlare, in maniera pi pregnante e pi corri-
spondente a questa spiegazione, piuttosto che di uno scopo nel verbo,
di una direzione nel verbo; ma una buona prova per le nuove idee se
esse si possono esprimere in parole semplici; e poi dodici anni fa non
ero ancora venuto a capo del concetto di direzione.
Si pu interpretare un altro grande gruppo di verbi estendendo a
essi il concetto di iterativo; essi sono molto pi diffusi che da noi nelle
lingue antiche, poi nel turco e in molte (364) lingue africane. Qui molte
o moltissime azioni parziali vengono riunite in un concetto verbale che
certo non sempre esprime una azione complessiva conforme a scopo,
ma spesso unattivit biologica dellorganismo, quindi teleologicamente
utile (respirare, digerire). In moltissimi casi i verbi di stato che non
designano alcun movimento hanno un senso imparentato con quello dei
verbi iterativi. Certo a molti verbi di stato sta alla base unico e solo il
concetto di tempo; una connessione con gli iterativi non sarebbe quasi
applicabile senza costruzione. Ma in questo contesto mi posso accon-
tentare del fatto che i verbi si chiamano tutti in tedesco Zeitwrter e
non ho bisogno di arrabbattarmi a mettere ordine nella confusione che
la formazione analogica e la grammatica ha portato nella classicazione
dei verbi delle nostre lingue pi conosciute i verbi dei selvaggi non
si possono spesso classicare allindoeuropea.
159
1
[Niemeyer, Halle 1898.]
2
[Michel Bral, Essai de smantique. Science des signications, Hachette, Paris 1897, p.
1 (Saggio di semantica, trad. it. di Arturo Martone, Liguori, Napoli 1990, p. 3).]
3
[Jacob Grimm, Wilhelm Grimm, Deutsches Wrterbuch, Hirzel, Leipzig 1854-1960,
I, Sp. 1227.]
4
[Barth, Leipzig 1906 (p. 16).]
5
[Industrie-Comptoir, Weimar.]
6
[Johann Christoph Adelung, Grammatisch-kritisches Wrterbuch der Hochdeutschen
Mundart, Breitkopf und Compagnie, Leipzig 1793-1801.]
7
[Blaise Pascal, De lesprit gomtrique, ditions eBook France, p. 13.]
8
Non ho dubbi che il signicato di copulare sia un calco limitato al linguaggio biblico,
forse in ebraico un eufemismo castigato. La parola ebraica jada interessante anche da un
altro punto di vista. Gli antichi ebrei possedevano tre parole distinte per il percepire con
la vista, con ludito e con il gusto; tutte e tre le parole potevano designare metaforicamente
una conoscenza (Erkennen) spirituale; ma solo jada, la percezione mediante la vista, venne
trasferita al coito.
9
Lesempio di Socrate, come Aristofane lo port in scena, non mi sembra scelto feli-
cemente; egli e Cleone corrispondevano secondo lidea degli ateniesi proprio allumorismo
come lo intese Dryden e come ancora lo concep Lessing.
10
[Gotthold Ephraim Lessing, Von Johann Dryden und dessen dramatischen Werken,
Thetralische Bibliothek, 4. Stck, in Werke und Briefe, hg. von Wilfried Barner et al., V, hg.
von Gunter E. Grimm, Deutscher Klassiker Verlag, Frankfurt a. M., 1997, pp. 175-77.]
11
[Gotthold Ephraim Lessing, Hamburgische Dramaturgie, in Werke und Briefe, hg. von
Wilfried Barner et al., VI, hg. von Klaus Bohnen, Deutscher Klassiker Verlag, Frankfurt am
Main, 1985, p. 643.]
12
Auch Einer un modello esemplare per una nuova teoria (I, p. 448). DallAesthetik
di Vischer: La personalit umoristica non ha bisogno [] di essere un Falstaff del tutto
sregolato. Catarro e occhi di gallina gli bastano per rendere una natura innitamente infelice,
come richiede lumorismo; infatti essa deve sentire lorganizzazione spirituale, il che vuol dire:
essere impedita nelladempimento dei ni pi puri, disturbata nei momenti pi belli, dal tossi-
re, sofarsi il naso, sputare, starnutire e zoppicare. Essa in questo cos sensibile come carne
nuda in una ferita, un uovo sgusciato [Theodor Vischer, Aesthetik oder Wissenschaft des
Schnen, cit. (Georg Olms Verlag, Hildesheim - Zrich - New York 1996, I, pp. 486-87)].
13
[Theodor Vischer, Aesthetik oder Wissenschaft des Schnen, cit., I, pp. 486-87.]
14
[Jean Paul Richter, Vorschule der Aesthetik, cit., p. 153.]
15
[Ivi, p. 126.]
16
[Novalis, Blthenstaub, in Schriften, hg. von Paul Kluckhohn u. Richard Samuel, Ko-
hlhammer, Stuttgart 1981, II, pp. 425-27.]
17
[Johann Wolfgang von Goethe, Sprche in Prosa, hg. von Harald Fricke, in Smtliche
Werke, Briefe, Tagebcher und Gesprche, hg. von Friedmar Apel et al., Deutsche Klassiker
Verlag, Frankfurt am Main 1993, XIII, p. 13.]
18
[Ivi, p. 334.]
19
[Ivi, pp. 157-58.]
20
[Walter W. Skeat, An Etymological Dictionary of the English Language, 1835-1912, The
Clarendon Press, Oxford.]
21
[Johann Georg Walch, Philosophisches Lexicon, Gleditsch, Leipzig 1726.]
22
[Alexander Gottlieb Baumgarten, Aesthetica, Frankfurt am Oder 1750-1758 (LEstetica,
trad. it a cura di Salvatore Tedesco, Aesthetica, Palermo, 2000).]
23
[Immanuel Kant, Kritik der reinen Vernunft (1. Au.), in Kants gesammelte Werke, hg.
von der Kniglich Preussischen Akademie, Georg Reimer, Bd. IV, Berlin 1903, p. 30 (Critica
della ragion pura, trad. it. a cura di Giorgio Colli, Adelphi, Milano 1995, pp. 76-77).]
24
[Immanuel Kant, Kritik der reinen Vernunft (2. Au.), in Kants gesammelte Werke,
cit., Bd. V, Berlin 1911 (Critica della ragion pura, trad. it. cit. pp. 775-77).]
25
[Friedrich Schiller, Kallias oder ber Schnheit, in Werke, Bd. XV, Hempel, Berlin 1870.]
26
[Si tratta del colloquio con Johann Peter Eckermann del 26 febbraio 1824.]
27
[Immanuel Kant, Anthropologie in pragmatischer Hinsicht, in Kants gesammelte Werke,
cit., Bd. VII, Berlin 1917, pp. 120-21 (Antropologia pragmatica, trad. it. di Giovanni Vidari e
Augusto Guerra, Laterza, Roma - Bari 1985, p. 4.]
28
[Eduard Hanslick, Vom Musikalisch-Schn, Barth, Leipzig 1891 (Il Bello musicale, trad.
it. di Leonardo Distaso, Aesthetica, Palermo 2001, p. 65).]
160
29
[Eduard Hanslick, Vom Musikalisch-Schn, cit. (p. 115).] Con non poca sorpresa e
gioia ho trovato nel mio connazionale Hanslick anche la distinzione tra mondo sostantivo e
mondo aggettivo, naturalmente senza le connesse riessioni critiche.
30
[Johann Wolfgang von Goethe, Sprche in Prosa, cit., p. 31.]
31
[Franz Grillparzer, Weh dem, der lgt, in Dramatische Werke, Bergland Verlag, Wien
1961, III, p. 96 (Guai a dire bugie!, trad. it. di Cesare De Marchi, Greco & Greco editori,
Milano 1991, p. 146.]
32
[Cfr. Henrik Ibsen, Die Wildente, in Dramen, Artemis & Winkler, Dsseldorf - Zrich,
deutsche bersetzung von Christian Morgenstern et al., p. 456 (Lanitra selvatica, in Teatro,
trad. it. di Alda Castagnoli Manghi e Hanne Coletti Grnbaum, Utet, Torino 1982, pp. 195-
96; ho modicato lievemente la traduzione italiana).]
33
[Friedrich Nietzsche, Gtzen-Dmmerung, in Smmtliche Werke, hg. von Giorgio Colli
und Mazzino Montinari, de Gruyter, Berlin, VI, (Crepuscolo degli idoli, trad. it. di Ferruccio
Masini, nota introduttiva di Mazzino Montinari, Adelphi, Milano 1983, p. 28).]
34
[Friedrich Nietzsche, Jenseits von Gut und Bse, in Smmtliche Werke, hg. von Gior-
gio Colli und Mazzino Montinari, de Gruyter, Berlin, V, p. 18 (Al di l del bene e del male,
trad. it. di Ferruccio Masini, nota introduttiva di Giorgio Colli, Adelphi, Milano 1983, pp.
9-10).]
35
Un detto molto citato di Schiller va bene qui tuttal pi come ornamento: Solo ler-
rore la vita, | e il sapere la morte. Questi versi si trovano nella poesia Kassandra, sono
drammaticamente introiettati nellanima della profetessa e intendono propriamente il sapere
profetico del destino futuro; questo stato danimo viene espressa dallo scolaro di Kant in ma-
niera ancor pi incisiva nei versi: tu (il dio) mi hai dato il futuro, | ma ti prendesti lattimo.
Certo Schiller generalizza lo stato danimo di Cassandra: ogni sapere rende infelici. Giova
alzare il velo? Chi si rallegra della vita se ha guardato nel suo fondo?. Nonostante questo
c unulteriore distanza tra il paradosso di Nietzsche dellutilit biologica e la poetica antitesi
di Schiller. Per un motivo molto semplice. Schiller non intende per nulla lerrore, lopposizione
alla verit. Egli intende il non-sapere, in contrapposizione al sapere. Egli ha soltanto messo
errore direi con il cappello in mano al posto di non-sapere per via del ritmo fastidioso. E
come punizione e perch quasi richiede lopposizione a errore, il passo viene spesso citato in
modo errato, da Fontane, da Raoul Richter: Solo lerrore la vita, | e la verit la morte.
36
[Raoul Richter, Friedrich Nietzsche: sein Leben und sein Werk, 15 Vorlesungen, Drr,
Leipzig 1903.]
37
[Martin Luther, Sprche Salomonis.]
38
B II, p. 94 s.
161
Le tre immagini del mondo
(da Die drei Bilder der Welt)
Le tre nuove categorie
(3BW, 1) Il nostro mondo c una volta soltanto, ma noi non pos-
siamo vederlo in una sola volta. Del resto anche il sole c soltanto
una volta nel nostro sistema planetario, ma noi non possiamo proprio
vederlo direttamente e a occhio nudo, ma solo mediatamente, nei suoi
effetti, come causa di fenomeni del tutto diversi, che sono poi stati
classicati nella nostra conoscenza della luce, del calore e dellelet-
tricit. Inoltre possiamo guardare il sole solo nellimmagine o in im-
magini. Quando con unosservazione eccezionale vediamo un doppio
arcobaleno lunare, abbiamo davanti a noi tre immagini del sole per lo
meno simili nella loro essenza; invece i fenomeni della luce, del calo-
re e dellelettricit non li designamo volentieri come immagini, simili
nella loro essenza, dellunico sole; abbiamo avuto bisogno di un tempo
innito per scoprire alcune relazioni tra questi tre fenomeni naturali.
Il mondo, parola con la quale cerchiamo ora di abbracciare il tutto
in una volta che ne abbiamo o non ne abbiamo ora conoscenza
per un complesso di fenomeni ancora pi grande e pi aggrovigliato
rispetto al sole, e allora (2) avremo bisogno di un tempo ancora pi
lungo per giungere alle relazioni segrete delle immagini che ci si of-
frono al posto del mondo stesso.
Non abbiamo altra immagine del mondo che quella del linguaggio;
non sappiamo nulla del mondo, n per noi stessi n per comunicarlo
ad altri, se non ci che si lascia dire in una qualche lingua umana.
Una lingua propria, una sorta di lingua sovrumana, la natura non ce
lha, la natura muta, solo luomo pu dire qualcosa su di s e sulla
natura, sul mondo.
Gi anni fa, nel mio Wrterbuch der Philosophie, ho tentato di mo-
strare, brevemente e in modo per me insoddisfacente, che vi sono tre
diversi punti di vista per raggiungere unimmagine dellunico mon-
do, che noi ci disegnamo unimmagine aggettiva, una sostantiva e una
verbale del mondo, ciascuna separata dallaltra. Ora voglio tentare la
disamina delle condizioni e delle particolarit di queste tre immagini.
Innanzi tutto voglio porre la questione senza promettere di riuscire a
dare una risposta univoca se sar mai possibile tradurre luno nellal-
tro i tre linguaggi nei quali queste tre immagini si formeranno davanti
162
a noi; sovrapporre queste tre immagini in modo tale che ne possa sca-
turire unimmagine unitaria e corretta di un unico mondo. Chiamer
di regola i tre punti di vista (3) le tre categorie della conoscenza del
mondo, anche se non mi piace il gergo inutile degli eruditi; ho per
motivi sufcienti per usare il concetto ingrigito di categoria nel suo
signicato originario. Ho imparato da Trendelenburg
1
che Aristotele
diciamo cos prese le mosse dal ricercare una tavola dei pi alti
concetti metasici e, quando enunci la sua tavola delle categorie, che
ha avuto tanta inuenza, trov soltanto i concetti grammaticali no
allora sconosciuti. Anche luso logico delle categorie in Aristotele ,
pi di quanto egli supponesse, unanalisi della proposizione semplice;
nota bene: della proposizione greca. Le categorie di Aristotele, al raf-
namento e al miglioramento delle quali hanno dedicato molta fatica
le teste migliori no a Kant, non sono niente di pi e niente di meno
che le pi alte determinazioni concettuali che si possono esprimere
come predicato di una qualche cosa. Che proprio Aristotele abbia
scompaginato tutta intera la sua tavola con la sua prima categoria,
che poi le casualit della grammatica greca abbiano provocato guasti
ancora peggiori, questo va al di l del nostro discorso. Basta dire:
xotgyoriv non signica in Aristotele assolutamente nulla di pi che
asserire (aussagen), xotgyoi oi e xotgyog oto (praedicamenta) nulla
di pi che asserzioni (Aussagen), nel migliore dei casi possibilit di
asserzione. (4) Naturalmente i Greci dellepoca successiva, gli arabi e
gli scolastici non avrebbero potuto mettere assieme intere biblioteche
su questi semplici concetti, se dietro alle asserzioni non fosse stato
nascosto ogni sorta di enigma della grammatica, della logica e dellon-
tologia: tutti gli enigmi del linguaggio appunto. Categoria divenne
un terminus technicus e rimase unespressione tecnica da quando la
parola non signic pi ogni asserzione possibile, ma solo lasserzione
predicativa di uno dei concetti pi alti. In questo senso la categoria
appartiene al pi antico patrimonio linguistico della losoa. Ora, poi-
ch non mi aspetto nessun vantaggio per la conoscenza del mondo n
dallantica tavola delle categorie, n da una qualsiasi nuova tavola, n
dalle categorie grammaticali, n da quelle logiche, poich credo di aver
smascherato linusso dannoso della grammatica e della logica, poich
inoltre un termine logorato viene reso quanto meno innocuo se gli si
fa compiere un mutamento di signicato e gli si toglie il signicato
logorato, per questo voglio chiamare le tre possibilit di asserzione, su
cui si basano le tre sole possibili immagini del mondo, appunto le tre
categorie. Alla ne della ricerca sapremo che anche in questo caso si
tratta di scoperte o di invenzioni linguistiche, che le tre categorie, o
punti di vista o possibilit di asserzione, (5) conducono allesigenza di
costituire per la comprensione del mondo aggettivo, di quello sostan-
tivo e di quello verbale ogni volta un nuovo strumento, ogni volta una
nuova lingua. Se fossi un purista della lingua, avrei certo potuto dire
163
asseribilit (Aussglichkeiten) al posto di categorie; ma nessuno
protester sulla antica cattiva parola, mentre della nuova buona parola
si sarebbe inorriditi.
Provvisoriamente voglio tentare di mostrare la differenza della mia
nuova dottrina delle categorie da quella antica solo in un unico punto.
Le antiche tavole delle categorie, per quanto fossero diverse tra loro,
credevano alla possibilit di conoscere il mondo attraverso il linguaggio,
credevano a una logica interna del linguaggio umano, credevano alla
possibilit di penetrare con laiuto del linguaggio umano (hoministisch)
la natura non umana. Singoli pensatori hanno ben riconosciuto che le
lingue nazionali esistenti non corrispondono allideale di uno strumen-
to di conoscenza; allora si sper in una lingua losoca che dovesse
eliminare le mancanze delle lingue costituitesi storicamente; ma tutti i
loso furono invero razionalisti proprio nella speranza di istituire, con
lo strumento del linguaggio umano, che lintelletto umano comune ha
creato, unimmagine assolutamente simile al mondo. So bene di aver
apportato ancora una volta un cambiamento di signicato al termine
razionalismo (6); proprio il critico del linguaggio peraltro viene biasi-
mato o lodato per il dovere o il diritto di usare in modo un po diverso
da quello tradizionale ogni concetto del suo linguaggio scientico; del
resto proprio la necessit di esaminare laccordo di ogni parola traman-
data con la cosa (con la lingua) dimostra a sua volta la necessit della
critica del linguaggio. Razionalistica mi sembra allora ogni tipo di lo-
soa sia che essa ritenga s stessa teologica, idealistica, materialistica
o critica che non abbia abbandonato il pregiudizio di possedere nella
lingua umana unimmagine della natura, di poter istituire mediante il
linguaggio umano unimmagine della natura; il pregiudizio del linguag-
gio pu essere superato solo riconoscendo che parlare e pensare sono
ununica e identica attivit delluomo e non che il linguaggio come
si suole dire sia uno strumento del pensiero; riconoscendo che ragio-
ne (ratio) e linguaggio sono concetti intercambiabili. Il seguace della
critica del linguaggio non si stupir allora che anche il pregiudizio
religioso, ad esempio la fede nel migliore dei mondi, sia soltanto un
caso particolare del pregiudizio generale del linguaggio; (7) si aggiunge
semplicemente al dominio divino, che ha creato il mondo e luomo e
il linguaggio, anche la pretesa, propriamente una pretesa etica, che il
linguaggio, un qualsiasi linguaggio preso a caso e contingente, debba
corrispondere alla natura, debba essere utilizzabile come unimmagine
simile alla natura. []
(11) La losoa ingenua del linguaggio umano evidente ha da
sempre cercato di integrare i concetti sensistici o aggettivi con grosso-
lane rappresentazioni sostantive e verbali; tutte le nostre lingue comuni
formano in questo modo un miscuglio delle mie tre categorie o mondi;
la lingua aggettiva comune pullula di sostantivi e di verbi. Ma anche
le due uniche possibili concezioni del mondo, sovrasensibili e sovraag-
164
gettive, hanno trovato gi molto presto il loro unilaterale ritrattista, il
mondo sostantivo in Platone, il mondo verbale, che avr inuenza solo
molto pi tardi, in Eraclito; non ho qui lintenzione (12) di esporre la
storia della losoa e voglio limitarmi a stabilire una connessione tra
ciascuna delle mie categorie e questi famosi sistemi, non per richia-
marmi allautorit di Platone o di Eraclito, ma soltanto per mettere in
guardia dal pericolo della parzialit dellimmagine del mondo sostantiva
e di quella verbale.
Platone non importa sotto quali inussi voleva inoltrarsi al di
l delle percezioni sensibili, senza oggetto e irreali, inesistenti, verso la
conoscenza dellessere, e invent il mondo sostantivo: le idee divennero
per lui le immagini originarie delle cose del mondo sensibile, smasche-
rate nel loro non essere. Ma per il fatto che queste idee erano allo stes-
so tempo una sorta di causa delle singole cose percepibili sensibilmente,
egli confuse di nuovo, certo senza accorgersene, il mondo sostantivo
con quello verbale. Egli incorse gi duemila anni prima nellerrore certo
inevitabile che Kant avrebbe ripetuto nel fare della cosa in s la causa
del fenomeno; ma poich questo smarrimento del platonismo non ebbe
conseguenze negative e non ne poteva avere prima che ci si dedicasse
alle nuove scienze della natura, mi limito a questo accenno. Pi impor-
tante e pi istruttivo per il mio scopo pu essere richiamare il fatto che
il platonismo (13) venga a coincidere davvero proprio con lidealismo,
che attribuisce un essere solo alle idee e non alle cose sensibili, ma che
anche lopposto dellidealismo, il realismo, imparentato con il sensismo,
possa sorgere dallidealismo, nel momento in cui vengono assunti vari
livelli e gradi di idee, nel momento in cui alle specie e alle sottospecie
e inne anche alle singole cose vengono assegnate, pressappoco come
angeli custodi, idee particolari, nel momento in cui e Platone come
tutti i Greci non era uno spirito critico a ogni concetto di genere, e
con ci a ogni cosa, propriet e relazione possibili vengano ascritte idee
particolari. Sembra che Platone stesso in tarda et abbia solennemente
celebrato la propria dottrina delle idee e abbia voluto intendere come
idee solo le idee portatrici di valore; alle sue riessioni originarie si
avvicina molto la distinzione tra idee e fenomeni, tra mondo sostantivo
e mondo aggettivo, ma anche molto vicino il pericolo di ravvisare in
ogni singola cosa reale la copia di unimmagine originaria, lrioeov
di unidea.
Quanto anche Platone fosse lontano dal formulare coscientemente
con la sua dottrina delle idee una delle tre possibili categorie della
comprensione del mondo, di comprendere il mondo sostantivo come
una delle tre immagini parziali del mondo, lo si capisce ancor pi chia-
ramente dal fatto che (14) nel Medioevo la grande contesa tra il rea-
lismo della parola (da non confondere con il realismo gnoseologico o
ingenuo appena citato) e il nominalismo potevano ricollegarsi alle idee
o ai concetti-genere di Platone. So bene che lintera disputa divenne
165
cos violenta dapprima per via delle ricerche linguistiche e logiche a
cui posero mano Aristotele e i suoi seguaci e inne solo a causa delle
coercizioni della teologia cristiana, ma la disputa ruotava pur sempre
solo attorno alla domanda: le idee o concetti di genere hanno una pi
alta realt o non hanno punto realt?
Allinterno della Scolastica i nominalisti considerati dal punto di
vista dello sviluppo spirituale umano furono i sostenitori dellillumi-
nismo e furono precursori del moderno psicologismo e della critica del
linguaggio, i realisti della parola furono i sostenitori di un sapere teolo-
gico apparente, di un pregiudizio del sovrannaturale. Cos ci siamo abi-
tuati a considerare le parti in lotta, certo non del tutto a torto. Chi ora
per prenda in considerazione la possibilit di dividere la comprensione
del mondo nelle tre immagini parziali, per poi riunicarle laddove sia
possibile, si pone unaspettativa pi alta persino di quella dello sviluppo
spirituale umano, e non pu prender partito unilateralmente n per i
realisti della parola n per i nominalisti. (15) Ogni losoa, no a questa
formulazione provvisoriamente ultima della domanda da parte della cri-
tica del linguaggio, , come si detto, razionalismo o dipendenza dalla
parola. Razionalisti nel senso dellilluminismo erano naturalmente i no-
minalisti, che riconobbero cos presto i concetti di genere, e con ci tutti
i sostantivi, come prodotti del cervello umano; razionalisti, pressappoco
nel senso di Hegel, erano per anche i realisti della parola che vollero
ignorare i fenomeni del mondo sensibile o aggettivo e si costruirono al
di l del mondo terreno un mondo sostantivo nel quale i concetti o le
idee si muovevano secondo leggi proprie, noncuranti delle propriet
sensibili dei loro fenomeni corporei. Questi realisti della parola poterono
ritenersi i veri discepoli di Platone, tanto pi in buona coscienza perch
lassunzione di un mondo delle idee incorporeo era espressa nello stesso
Platone in modo estremamente confuso; lidenticazione del mondo
delle idee e del mondo dello spirito unaggiunta molto posteriore; il
regno delle idee, almeno nella disposizione originaria, non comprende
soltanto le idee pi generali, pi alte e portatrici di valore (del bello, del
buono), ma anche le immagini originarie sostantive di ogni fenomeno,
anche se esso sia brutto o volgare; il regno delle idee divenne allora
il rifugio degli artisti o degli uomini pii che non volevano sporcarsi le
mani con i fenomeni del mondo sensibile, (16) del mondo aggettivo.
Un cristiano certamente Platone non lo era stato, ma un artista e un
mistico lo fu. A questo proposito di una certa importanza e non vi
certo pericolo di sopravvalutarlo il fatto che lunico grande mistico
tedesco, Meister Eckhart, lardente cercatore di Dio ed eretico, che
ha fecondato con i suoi pensieri lo sviluppo spirituale della teologia
e della losoa, non fosse un illuminista, non un nominalista, ma un
sostenitore del realismo della parola come pi tardi Wiclef e Hus e
in pi un discepolo fedele del maestro dellordine, san Tommaso; per
Meister Eckhart il mondo sostantivo era pi vero del mondo aggettivo
166
anche se non lo espresse in questi termini , la realt ideale pi vera
della comune realt corporea, la conoscenza era il vero essere, tanto
che non credo di giocare con la parola persino la mistica pi pura
fu un segreto razionalismo. Infatti i realisti della parola non potevano
considerare il loro mondo sostantivo come una delle tre immagini che
a pari diritto rappresentano il mondo, perch nella loro litigiosa limi-
tatezza lo consideravano come il mondo pi bello e pi vero; perch
persino Meister Eckhart vide nella natura naturata, quella che cade
sotto i sensi o aggettiva, quasi uno scarto della natura innaturata, del
pi alto sostantivo, dellunico essere, di Dio. (17) Lo ripeto: non ho sco-
modato Platone per cucire una vecchia toppa su un vestito nuovo, ma
davvero per mostrare, accostando la mia categora sostantiva alla dottrina
sorprendentemente longeva delle idee, come persino questo maestro di
un mondo apparentemente sostantivo non pensasse di presentare la sua
inaudita concezione del mondo come una semplice immagine del mondo
o come unimmagine accanto ad altre due immagini del mondo dello
stesso valore, egualmente simili ed egualmente dissimili. []
Dappertutto tre mondi. Lattore
(166) Egli un artista. Si calato per settimane in un ruolo. E ora
si trasforma tutte le volte che sta sul palcoscenico, dalle sette alle dieci:
egli d ci che pi profondo, egli il meglio. Un povero diavolo,
quando non un dio creatore. Inavvicinabile. Uno spirito libero.
Anche se un dio, nelle pause e scorno e cruccio! anche in
momenti di lavoro disturbanti e disturbati, uno schiavo senza libert.
Schiavo della plebe e della sua professione. Gli batteranno le mani?
A lui pi che agli altri? O meno? Gli verr dato il suggerimento come
lo pu aspettare? Funziona il trucco come lo voleva lui? Non si nota
che si nge pi giovane di quello che ? Pi giovane? Secondo quale
calendario?
un poveruomo. Dopo le dieci. Quando arriva a casa. Dai suoi
cari o dalla moglie invecchiata o dai bambini pieni di pretese. Conti.
Fatture. Fame. Anche sete. Torna allora a casa? Oppure il suo ruolo
la sua casa? Oppure la scena la sua casa?
Quale di questi mondi il suo vero mondo?
Epilogo
(167) Mi restano ancora da cercare alcune povere parole a proposito
di una nostalgia che non pu essere un compito, a proposito di un
desiderio che non posso n mettere in dubbio n credere di soddisfa-
re, a proposito dellistanza di unire in una le tre immagini del mondo.
Nessuna delle tre immagini pu essere giusta, perch ciascuna gravata
dalla maledizione del suo specico linguaggio gurato; forse lunicazio-
ne non sar possibile, perch ununicazione dei tre linguaggi almeno
nora non stata altrimenti possibile che in una delle nostre lingue
167
comuni, che appunto sono ancora pi inadeguate alla conoscenza del
mondo rispetto ai linguaggi parziali, da me pensati nello spirito, delle
tre sole possibili visioni del mondo. Un paragone potrebbe aiutarmi a
chiarire lincapacit del pensiero umano ad affrontare un tale ultimo
compito. Si tentato di inventare fotograe con i cosiddetti colori na-
turali. Si sono assunti con straodinaria arroganza tre colori fondamen-
tali, dalla mescolanza dei quali si deve poter ricavare qualsiasi colore
dellesperienza; poi con laiuto di ltri colorati si sono realizzate tre di-
verse fotograe dello stesso oggetto, ciascuna per ognuno dei tre colori
fondamentali; e inne si cercato di ottenere, sovrapponendo le tre im-
magini parziali, i colori naturali. Il risultato fu grazioso e sorprendente;
tuttavia non si pu parlare seriamente di fotograe in colori naturali. In
primo luogo questi signori devono riconoscere spontaneamente di non
poter utilizzare nella colorazione nel processo di stampa i colori puri
fondamentali dello spettro, ma solo i colori sporchi dei corpi chimici.
Ma lerrore proprio del procedimento sta ancora pi a fondo: anche i
ltri colorati che vengono usati per le immagini parziali sono scelti a
seconda del senso accidentale del colore di determinati uomini e non
assicurano in nessun modo che le immagini parziali corrispondano ai
colori fondamentali ideati. Non ho bisogno di spiegare che parimenti
i ltri dellintelletto umano non sono sufcientemente sovrumani per
formare in una precisa selezione uno dei tre linguaggi parziali e che
dunque una sovrapposizione dei tre linguaggi gurati non potrebbe
produrre unimmagine naturale unitaria dellunico mondo.
Nellimpulso invincibile di ritornare al di l della divisione neces-
saria delle tre immagini al loro congiungimento, allunica immagine
dellunico mondo, in un momento favorevole mi sembr percorribile
unaltra via (169), la cui descrizione, per la breve durata del momento
favorevole, non sembr un semplice paragone. Quello che io cercai
di comprendere in un faticoso lavoro intellettuale, la spaccatura delle
categorie umane e la loro ripartizione nei tre linguaggi delle tre imma-
gini del mondo sole possibili, questo prima non lo ha visto o avvertito
nessuna ricerca conoscitiva, mentre da sempre stato gioiosamente
praticato dagli artisti. Voglio subito ammettere che le tre arti, che ora
voglio porre in relazione con le mie tre categorie, sono scelte con un
certo arbitrio, non si distinguono con un rigore cos esclusivo e non
si completano come le tre categorie. Ma il confronto pu non essere
inutile.
Dappertutto dove regna larte vera forse essa stessa ideale irrag-
giungibile al quale i pi grandi possono solo avvicinarsi un genio
comprende lunico mondo senza concetti, senza linguaggio. Forse anche
nel vero pensiero della cosiddetta losoa ci sono tali ore solen-
ni del comprendere senza parole. Ore mattutine del risveglio, quando
improvvisamente cade il velo del giorno e in una notte chiara come il
giorno aperto laccesso al segreto dellUno-tutto. Laccesso si chiude
168
di nuovo appena il ricercatore tenta il primo passo sulla via intravista.
Il chiarore si oscura di nuovo appena egli apre gli occhi. (170) La com-
prensione si disgrega appena egli vuole incantarla per s o per altri in
concetti o parole.
LUno-tutto era annodato soltanto nellio silente; alle prime parole
ad alta voce precipita ogni unit, anche quella dellio. Niente si lascia
pi dire.
1
[Adolf Trendelenburg, Geschichte der Kategorienlehre, Bethge, Berlin 1846, p. 2 ss.]
169
Indice dei nomi
Aarsleff, H., 64.
Abel, G., 62.
Adelung, J. C., 124, 128.
Agrippa von Nettesheim, H. C., 59,
60.
Albertazzi, L., 45, 61.
Alighieri, D., 15, 140.
Amicone, A P., 67.
Andreas-Salom, L., 9.
Ansell-Pearson, K. J., 61.
Arens, K., 27, 46, 47, 52, 61, 62.
Aristofane, 132, 134, 137, 159.
Aristotele, 29, 34-36, 38, 39, 53- 55,
59, 62, 71, 104, 108-110, 125, 128,
148, 152, 157, 162, 165.
Arnaud, E., 64.
Avellaneda, A. F. de, 137.
Avenarius, R., 11, 38, 47, 62, 123.
Bab, J., 46.
Bach, J. S., 141, 146.
Bachelard, G., 62.
Bachmann, J., 65.
Bachmann M., 65.
Bacone, F., 108, 149.
Bahr, H., 63.
Baldung Grien, H., 54
Baldwin, J. M., 118.
Barth, P., 62.
Barthes, R., 62.
Batteux, C., 145.
Baumgarten, A. G., 142-144, 159.
Bayle, P., 29.
Beckett, S., 14, 48, 69, 72.
Beer-Hofman, R., 9.
Beethoven, L. van, 147.
Behler, E., 62.
Beninc, P., 62.
Ben-Zvi, L., 14, 48, 62, 63.
Beradt, M., 63 .
Bergson, H., 44, 47, 56, 63, 72.
Berkeley, G., 19, 30, 102, 122.
Berlage, A., 63.
Berlin, I., 63.
Bertinetto, P. M., 67.
Betz, F., 46, 63.
Biese, A., 34-38, 54, 63, 108.
Bismarck, O. von, 46, 51.
Black, M., 63.
Blackmore, J., 63.
Bloch-Zavfel, L., 63.
Blumenberg, H., 63.
Boezio, S., 29.
Bohnen, K., 69.
Bois-Reymond, E. du, 27.
Bolzano, B., 68.
Bongioanni, A., 69.
Borges, J. L., 14, 31, 48, 63, 65.
Bornmann, F., 71.
Brahm, O., 45.
Brandes, G., 53.
Bral, M., 22, 63, 119, 141.
Bredeck, E., 13, 15, 49, 63, 64.
Breitinger, J. J., 142.
Brentano, F., 61.
Briosi, S., 64.
Broch, H., 64.
Bruchmann, K., 34, 38, 55, 64.
Buber, M., 11.
Blnger, G. B., 142.
Buridano, G., 151.
Burke, E., 145, 146.
Cambi, F., 56, 64.
Cantelli, M., 64.
Carchia, G., 56, 64.
Carpitella, M., 71.
Carus, P., 28.
170
Cassirer, E., 64.
Castagnoli Manghi, A., 160.
Castellani, E., 66.
Cervantes, M. de, 137.
Cicero, V., 69.
Cicerone, M. T., 29.
Cleone, 159.
Cloeren, H., 52, 64.
Coletti Grnbaum, H., 160.
Colli, G., 71, 159, 160.
Conte, A. G., 74.
Cossmann, P. N., 64.
Crizia, 55.
Croce, B., 56, 64, 66.
Cubeddu, I., 67.
DAmico, M. G., 69.
DAngelo, P., 64.
DElia, A., 51, 64.
DOlivet, P. J. T., 135.
Dapa, S. G., 48, 65.
Darwin, C., 95, 141.
Darwin E., 141.
De Lorenzo, G., 72.
De Man, P., 65.
De Marchi, C., 160.
Deft, A., 46, 65.
Delbrck, B., 50.
Della Volpe, G., 54, 65.
Demostene, 97.
Deridda, J., 65.
Descartes, R., 13, 47, 148.
Di Cesare, D., 50, 65, 67.
Distaso, L. 159.
Dorati, M., 62.
Dryden, J., 133-135, 159.
Eckermann, J. P.,159.
Eckhart, J., 165, 166.
Eco, U., 48, 65.
Ehrenberg, J., 9.
Eisen, W., 65.
Eisendle, H., 65.
Eisler, R., 118.
Elisabetta di Boemia, 47.
Emanuele, P., 69.
Empedocle, 35.
Eraclito, 10, 32, 86, 164.
Eschenbacher, W., 65.
Euclide, 125.
Fabbri, P. 62.
Fano, V., 73.
Fechner, G. T., 24.
Fichte, J. G., 138.
Fidia, 140.
Filangieri, G., 49.
Fontane, T., 7, 9, 45, 46, 63, 65, 68,
160.
Forberg, F. K., 32.
Formigari, L., 20, 50, 65, 67.
France, A, 44.
Franceschetti, L., 45.
Franzini, E., 65.
Freud, S., 66.
Fuchs, G., 65.
Fzesi, N., 65.
Gabriel, G., 66.
Galton, F., 28.
Gardini, N., 63.
Gargani, A., 51, 52, 66, 70.
Garroni, E., 66, 67.
Geiger, L., 28, 52, 66.
Gellert, J. C., 152.
Genette, G., 66.
Gerber, G., 20, 34, 37, 38, 50, 54, 55,
66, 70, 73.
Gessinger, J., 64.
Giacomini, U., 67.
Gigliotti, G., 66.
Giovanni, ev.,13, 149.
Giustino, M. G., 124.
Gloy, K., 65.
Goethe, J. W. von, 19, 39, 43, 47, 49,
66, 90, 93, 107, 120, 128, 139, 140,
145, 149, 159, 160.
Goldwasser, J., 45, 46, 66.
Gombocz, W. L., 74.
Gorgia, 55.
Gottsched, J. C., 142, 152.
Graf, O. M., 9.
Graf, G., 51, 66.
Grampa, G., 72.
Grillparzer, F., 150, 160.
Grimm, 90, 120, 130.
Gruppe, O. F. , 60.
Grzybowski, W., 66.
Guerra, A., 67, 159.
Guglielmi, G., 66.
Guglielmino, S., 71.
Guglielmo II, 46.
Gustafsson, L.,66.
Guzzardi, L., 70.
171
Haller, R., 49, 51, 52, 66, 74.
Hamann, J. G., 13, 17, 19, 20, 47, 49,
50, 63, 66, 67, 70, 97, 108, 116.
Hanslick, E., 147, 159, 160.
Harden, M., 9, 46.
Hrting, P., 60.
Hauptmann, G., 9.
Haydn, J., 137, 138.
Hecker, E., 140.
Hegel, G. W. F., 56, 66, 90, 136, 165.
Hegeler, E. C., 28.
Heine, H, 52.
Helmholtz, H. von, 51.
Henne, H., 67.
Henry, A., 67.
Herbart, J. F., 23, 33, 51, 148.
Herder, J. G., 19, 20, 49, 67, 73, 97.
Hering, E., 52.
Herzog W., 69.
Hesse, H., 9.
Hiller, K., 9.
Hirsch, R., 67.
Hobbes, T., 148.
Hofmannsthal, H. von, 13, 26, 47,
67.
Hogarth, W., 146.
Hohenegger, H., 67.
Home, H., 145.
Humboldt, W. von, 17, 20, 21, 50, 65,
67.
Hume, D., 19, 123, 151, 156.
Husserl, E., 30, 118, 149.
Ibsen, H., 46, 150, 160.
Irmscher, H. D., 67.
Jacobi, F. H., 13, 47.
Jacobs, M., 60.
James, W., 30.
Janik, A, 67.
Johnson, A. B., 66.
Johnson, B., 134, 135.
Johnson, M., 68.
Johnston, W., 67.
Jolly, J., 116.
Joyce, J., 14, 48, 69.
Jung, J., 65.
Kaiser, C., 67, 69.
Kaisersberg, J. G. von, 125.
Kampits, P., 67.
Kant, I, 19, 20, 24, 30, 32, 42, 47, 49,
53, 55, 56, 67, 74, 100, 122, 124,
130, 143-146, 149, 156, 159, 162,
164.
Kappstein, T., 68.
Kierkegaard, T., 72.
Kleist, H. von, 13, 47.
Knobloch, C., 68.
Koegel, F., 38.
Kofman, S., 39, 55, 68.
Krner, C. G., 144, 145.
Kraus, K., 73.
Krieg, M., 68.
Khn, J., 11, 14, 45-47, 53, 55, 56,
68.
Khtmann, A., 68.
Kurzreiter, M., 68.
Ksgen, F. L., 68.
Kutter, U., 68.
Laas, E., 32, 53.
Lacoue-Labarthe, P., 68, 71.
Lagrange, J. L., 51.
Lakoff, G., 68.
Landauer, G., 9, 12, 46, 61, 68.
Lange, F. A, 32, 61, 72.
Lanza, D., 62.
Lasker-Schler, E., 9.
Le Rider, J., 45, 68.
Leibniz, G., 50, 86, 124, 125.
Leinfellner, E., 62, 64, 66, 68, 69, 71-
74.
Leonardo, 141.
Lernout, G., 48, 69.
Lessing, G. E., 39, 43, 44, 57, 69, 82,
103, 104, 134, 135, 159.
Levisohn A., 8.
Levisohn C., 47.
Lichtenberg, G. C., 26, 27, 51, 52,
69.
Liede, A., 69.
Lindau, H., 69.
Littr, E., 125.
Lo Piparo, F., 69.
Locke, J., 13, 17, 18, 47, 49, 50, 69,
102, 107.
Lofrida, M., 65.
Longobardi, G., 62.
Lorusso, A. M., 65, 69, 70.
Lucentini, F., 63.
Luciano, 52.
Ludwig, O., 51.
172
Lktenhaus, L., 20, 47, 50, 61, 69,
116.
Lutero, M., 39, 47, 116, 119, 130, 152,
160.
Macchia R., 63.
Mach, E., 10, 14, 24-29, 31, 32, 47,
49, 51, 52, 60, 62-64, 66, 69, 70,
73, 121-123.
Maeterlink, M., 16.
Magris, C., 47, 67, 70.
Maimon, S., 46, 53, 110, 116.
Manetti, G., 70.
Marco, ev.,130.
Marienberg, S., 49, 70.
Marinelli, M. C., 68.
Marmo, C., 65.
Martone, A., 63, 159.
Masini, F., 160.
Mastroddi, M., 45, 70.
McGuiness, B., 74.
Meijers, A., 55, 70.
Meinong, A., 48.
Melandri, E., 63.
Mendelssohn, M.,145.
Mengs, A, R., 145.
Merckels, W. von, 49.
Meschiari, A., 70.
Mill, J. S., 119.
Miller, N., 72.
Mittner, L., 40, 50, 70.
Mommsen, T., 9.
Mongr (Hausdorf F.), 70.
Montanari, F., 62.
Montefusco Calboli, L., 70.
Montinari, M., 71, 160.
Morgenstern, C., 14, 47, 160.
Morpurgo Davies, A., 50, 51, 70.
Morpurgo-Tagliabue, G., 35, 36, 39,
54, 55, 70.
Mortara Garavelli, B., 70.
Mosse, R., 8.
Moszkowski, A., 115.
Mozart, W. A., 146.
Mhsam, E., 9.
Mller M., 70, 85, 107, 116.
Mller-Lauter, W., 62, 71.
Musil, R., 26.
Nancy, J.-L., 71.
Nautz, J., 68, 71.
Nehrlich, B., 71.
Nietzsche, F., 10, 24, 32, 38, 39, 46,
51, 55, 61- 63, 65- 68, 70-73, 149-
152, 160.
Noir, L., 28, 52, 71.
Novalis, 159.
Nyri, J. C., 68.
Ogden, C. K., 71.
Omero, 93, 140, 141.
Oppenheimer, F., 9.
Pagliaro, A, 71.
Pascal, B., 125, 159.
Paul, H., 10, 20, 22, 23, 50, 51, 56, 71,
72, 114, 116, 119, 130.
Pautrat, B., 71.
Pavolini, L., 71.
Perissinotto, L., 71.
Pestalozzi, K., 71.
Pinotti, A., 71, 74.
Pirandello, L., 56, 71, 72.
Pizer, J., 71.
Placido, B., 63, 72.
Platone, 24, 32, 46, 93, 97, 164, 165.
Plauto, T. M., 47.
Pniower, O., 65.
Poincar, H., 44.
Porrio, 18.
Proust, M., 65.
Pupi, A., 67, 71.
Quintiliano, M. F., 19, 107.
Raffaello Sanzio, 140, 146.
Rahden, W. von, 64.
Rapp, C., 62.
Rathenau, W., 9.
Ravy, G., 45, 71.
Reale, A., 71, 72.
Reinhold, K. L., 124, 143.
Rembrandt, 146.
Richards, I. A., 71, 72.
Richter, J. P., 40-44, 55, 56, 64, 72,
108, 116, 132, 136, 138, 159.
Richter R., 151, 160.
Ricoeur, P., 54, 72.
Rilke, R. M., 65.
Robertson, R., 45, 72.
Rossi, D., 64.
Rousseau, J.-J., 65.
Saccone, E., 65.
173
Salaquarda, J., 62, 72.
Santulli, F., 72.
Sauerland, K., 66.
Savj-Lopez, P., 72.
Scherer, W., 141.
Schiller, F., 128, 144-146, 159, 160.
Schlegel, F., 41, 56, 133, 139.
Schleichert, H., 64, 66, 68, 69, 72, 74.
Schlenther, P., 65.
Schmidt, J., 30, 60.
Schneider, G., 46, 72.
Schoeller, B., 67.
Schopenhauer, A., 10, 24, 52, 72, 137,
146, 149.
Schulte, J., 74.
Serzisko, F., 72.
Shakespeare, W., 44, 109, 133, 136,
137, 140.
Silvestri Stevan, G., 62.
Skeat, W. W., 141, 159.
Skerl, J., 48, 72.
Socrate, 10, 137, 138, 159.
Sofocle, 140.
Sosio, L., 70.
Spedicato, E., 42, 56, 72.
Spencer, H., 22, 149.
Spinicci, P., 72.
Spinoza, B., 46, 59, 60, 63, 81, 100,
116.
Spitzer, L., 73.
Sprl, U., 47, 55, 56, 73.
Stadler, F., 49, 51, 52, 66.
Steinthal, H., 21, 32, 50, 51.
Stern, M., 47, 60, 73.
Sterne, L., 136.
Stettenheim, J., 115.
Stingelin, M., 55, 70.
Straub, H., 11, 12, 46, 47, 60, 69.
Stumpf, C., 29, 52, 73.
Sulzer, J. G., 145.
Swift, J., 44, 136-138.
Tani, I., 49, 50, 67, 73.
Tavani, E., 56, 73, 74.
Thalken, M., 73.
Thiele, J., 69, 73.
Thunecke, J., 46, 62, 63, 66, 68, 69,
71- 73.
Tommaso, 148, 165.
Toulmin, S., 67.
Trendelenburg, F. A, 31, 162, 168.
Trotta, G., 73.
Tylor, E. B., 26.
Ullman, B., 73.
Untersteiner, M., 55, 73.
Vahrenkamp, R., 68, 69, 71.
Vaihinger, H., 11, 32, 33, 53, 73.
Vasoli, C., 72.
Venturelli, A., 72.
Verdino, A., 62.
Vertone, S., 64.
Vico, G., 13, 17-19, 47, 49, 70, 107,
108.
Vidari, G., 67, 159.
Vidusso Feriani, M., 67.
Violi, P., 68.
Virchow, R., 95.
Vischer, F. T., 37, 43, 44, 56, 73, 74,
104, 109, 116, 132, 136, 159.
Vogelweide, W. von, 82.
Voltaggio, F., 73.
Voltaire, 44, 52, 125, 135.
Wagner, R., 147.
Walch, J. G., 142, 1159.
Weber, W. E., 49.
Weiler, G., 14, 17, 46, 47, 49, 74.
Weininger, O., 26.
Whitney, W. D., 85, 116.
Wiener, O., 14, 48, 74.
Winckelmann, J. J., 145.
Windelband, W., 143.
Wittgenstein, L., 13, 14, 25, 52, 67, 68,
70, 71, 74.
Wolff, C., 120, 124.
Wolters, G., 70.
Wundt, W., 51, 108, 120.
Zecchi, L., 66.
Ziehen, G. T., 130.
1 Breitinger e lestetica dellIlluminismo tedesco, di S. Tedesco
2 Il corpo dello stile: Storia dellarte come storia dellestetica a partire da Semper,
Riegl, Wlfin, di A. Pinotti
3 Georges Bataille e lestetica del male, di M. B. Ponti
4 Laltro sapere: Bello, Arte, Immagine in Leon Battista Alberti, di E. Di Stefano
5 Tre saggi di estetica, di E. Migliorini
6 Lestetica di Baumgarten, di S. Tedesco
7 Le forme dellapparire: Estetica, ermeneutica ed umanesimo nel pensiero di Ernesto
Grassi, di R. Messori
8 Gian Vincenzo Gravina e lestetica del delirio, di R. Lo Bianco
9 La nuova estetica italiana, a cura di L. Russo
10 Husserl e limmagine, di C. Cal
11 Il Gusto nellestetica del Settecento, di G. Morpurgo-Tagliabue
12 Arte e Idea: Francisco de Hollanda e lestetica del Cinquecento, di E. Di Stefano
13 Pta quasi creator: Estetica e poesia in Mathias Casimir Sarbiewski, di A. Li Vigni
14 Rudolf Arnheim: Arte e percezione visiva, a cura di L. Pizzo Russo
15 Jean-Bapiste Du Bos e lestetica dello spettatore, a cura di L. Russo
16 Il metodo e la storia, di S. Tedesco
17 Implexe, fare, vedere: Lestetica nei Cahiers di Paul Valry, di E. Crescimanno
18 Arte ed estetica in Nelson Goodman, di L. Marchetti
19 Attraverso limmagine: In ricordo di Cesare Brandi, a cura di L. Russo
20 Prima dellet dellarte: Hans Belting e limmagine medievale, di L. Vargiu
21 Esperienza estetica: A partire da John Dewey, a cura di L. Russo
22 La maledizione della parola, di F. Mauthner
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Collana editoriale del Centro Internazionale Studi di Estetica
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Stampato in Palermo dalla Tipolitograa Luxograph s.r.l.
Registrato presso il Tribunale di Palermo il 27 gennaio 1984, n. 3
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Associato allUnione Stampa Periodica Italiana
ISSN 0393-8522
Direttore responsabile Luigi Russo
The Curse of the Word
Fritz Mauthner was a German-speaking Jewish-Bohemian writer
and eccentric intellectual active in Berlin between the end of the
nineteenth and the beginning of the twentieth century. His cri-
tique of language is based on the assumption that the word as
such is a metaphor, a transposition of denite terms on indenite
impressions, and that it is enclosed within an image that can only
refer to other images. This skeptical conclusion nds conrmation
through a comparison with a variety of traditions of thought.
This volume by Luisa Bertolini (luisa@bertolini.ws) presents, for
the rst time in Italian translation, a wide selection of Mauthners
work, and reconstructs Mauthners sustained critical dialogue with
authors who have theorised the metaphorical character of lan-
guage. Mauthners thesis brings together a variety of philosophical
approaches: Vicos narration of the origins, the empiricist critique
of abstraction, Herders and Hammans metacritique of reason,
von Humboldts and Steinthals dynamic interpretation of Kants a
priori, Hermann Pauls research on semantic change, Ernst Machs
functionalist conception of the I and the thing and his theory
of the concept as a system of operations, as well as Vaihingers
philosophy of pretence.
Mauthners reading of Aristotles theory of metaphor through
Biese and Bruchmann, and in ways that parallel the approach of
Gerber and Nietzsche, enables a close examination of the met-
aphor based on analogy and of the metaphor-image, while his
analysis of verbal metaphors (according to Morpurgo-Tagliabues
classication) intersects with Jean Paul Richters and Theodor
Vischers. The verbal metaphor is pivotal to Mauthners thesis that
semantic change is essentially based on Witz, on the wit that dis-
closes remote similarities. The critique of language expresses itself
in the humour of the philosopher, who is amused by everything
that is held sacred in daily life but also knows that he belongs to
this daily life without heroes. His expressionist style of writing
reects, in the circularity of an approach that never grasps the
object in question, his asystematic thought and relativistic results.
It does not come as a surprise, then, that Mauthners fame is
greater among writers (for example, Joyce and Borges, to mention
just two) than among philosophers. The exception is Wittgenstein,
who, notwithstanding his quotation in Tractatus, ends up articulat-
ing a critique of language quite akin to Mauthners.
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