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SUKHAVATI E SAMSARA

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SUKHAVATI E SAMSARA:
LA NON-DUALIT NEL BUDDISMO DELLA TERRA
PURA
Di John Paraskevopoulos - Articolo rilasciato alla XII Conferenza Biennale dell'Ass.ne Internazionale di Studi Buddisti Shin

Non vi niente che possa distinguere il Samsara dal Nirvana Non vi niente che possa distinguere il Nirvana dal Samsara Nagarjuna, Mulamadhyamakakarika, XXV:19Questi celebri versi tratti da Nagarjuna hanno risuonato in tutta la storia del Buddismo Mahayana, stabilendo una delle caratteristiche pi salienti con cui esso si distinto dalla non-ambigua interpretazione dualistica della tradizione Theravadin. Mentre la dottrina provocativa e paradossale di Nagarjuna ben rinomata, un fiero dibattito continua ancora ai giorni nostri sul significato e le implicazioni di asserire l'identit di Nirvana e Samsara. Di fronte alla nostra esperienza del mondo di tutti i giorni, com che possiamo fare per capire questa asserzione che confonde? Sono in grado, queste importanti nozioni buddiste, di mantenere qualche sorta di intelligibile significato quando Nagarjuna insiste che non c' discernibile differenza tra loro? Queste difficolt divennero pi acute col sorgere della scuola della Terra Pura che riconobbe Sukhavati (la terra 'ornata di beatitudine') come un reame trascendente, separato dal mondo del Samsara coi suoi infiniti gironi di non-significativa sofferenza. Tuttavia, l'influenza della implacabile dottrina di Nagarjuna era tale che gener una certa pressione su alcuni esponenti della dottrina della Terra Pura, i quali sentirono il bisogno di riconciliare le intuizioni del Madhyamika con la loro propria tradizione. Questo inevitabilmente port alla visione, comune ancor oggi, che questo stesso mondo, se visto correttamente dalla prospettiva illuminata, non nientaltro che la stessa Terra Pura, considerata come uguale al Nirvana. Questarticolo argomenter che l'idea che il Samsara fondamentalmente indistinguibile dal Nirvana non ha luogo nel Buddismo dellaTerra Pura; che essa una distorsione del suo vero messaggio, e che pericoloso dalla prospettiva pastorale del semplice credente comune. Tuttavia, si argomenter anche che c' un 'modo intermedio' (Via di Mezzo) che immagina una relazione ontologica e non-dualista tra questi due reami, e cio che il Samsara dovrebbe essere considerato una manifestazione o emanazione del Nirvana o, pi precisamente, del Dharmakaya (realt ultima), coscch evitata una rigida dualit tra di essi e, riconoscendo al tempo stesso la presenza di Sukhavati nello stesso Samsara, non si nemmeno costretti ad ammettere una rigida identit tra loro. Nel suo lavoro seminale sul Buddhismo[1], Edward Conze presenta fedelmente la comprensione Buddista del Nirvana come segue: Abbiamo detto che il Nirvana permanente, stabile, imperituro, immobile, senza-et, immortale, non-nato, e non-divenuto, che il potere, beatitudine e felicit, il sicuro rifugio, il ricovero, ed il luogo di inattaccabile sicurezza; che la vera Verit e la Realt Suprema; che il Bene, la suprema mta e che il solo completamento della nostra vita, l'eterna, ignota e incomprensibile Pace. Alla luce di questo, facile apprezzare lacuto paradosso presentato dalla provocativa dichiarazione di Nagarjuna. Perch il mondo, pi sicuramente, non si presenta come un luogo di serena beatitudine, pace e felicit. Il prevalere della sofferenza in questo reame di nascita-e-morte abbastanza pi che evidente. Gli attributi della nostra esistenza in questo mondo Saha, come il Buddha lo descrisse (un mondo in cui il dolore e le sofferenze devono essere 'sopportate') , in realt, una completa antitesi alla succitata descrizione del Nirvana. Il nostro mondo pieno di incertezza, impermanenza, pericolo, ansia e dolore. L'esperienza che la vita essenzialmente e assolutamente insoddisfacente comune a tutte le persone, anche a coloro che sono ricchi, sani, e che apparentemente non desiderano nulla. Dopo tutto, la sofferenza pu assumere molte forme sottili come la noia, lansia, la malinconia ed un generale senso di vuoto. Anche se la propria vita percepita come se fosse comoda e senza bisogni, il realizzare che in questo mondo le circostanze della vita di molti altri non son meno che orribili, dovrebbe angosciare quelli che hanno un minimo di sensibilit e di empatia. Se non altro, almeno linteresse personale ed una consapevolezza dellimpermanenza dovrebbero condurre alla conclusione che nessuno immune dalle crudeli vicissitudini dei cambiamenti di fortuna e inaspettate calamit.
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In vista di queste considerazioni, siamo impegnati ad accettare qualche sorta di irriducibile dualit tra i reami della beatitudine e della sofferenza, cos come insegnato nella primitiva tradizione Buddista? In altre parole, gli ordini di realt sono cos totalmente separati da non aver niente a che fare l'uno con l'altro? Nagarjuna, chiaramente, si mette davanti a questo bivio e li identifica segnalando cos un importante rottura con la tradizione primitiva. Di sicuro, Nagarjuna cerca di offrire una quantit di argomenti filosofici per giustificare la sua posizione, molti dei quali possono piuttosto colpire il lettore moderno come astrusi ed impenetrabili. Ciononostante, nessuno di questi argomenti sembra aiutare ad alleviare la forte impressione che ci che Nagarjuna sta dichiarando , a livello intuitivo, profonda-mente controproducente. Effettivamente, ci si potrebbe anche chiedere se i termini di questa identit sono in grado di mantenere un qualche senso, se non c' nessuna significativa distinzione che viene fatta tra loro. Al depresso e confuso uomo della strada, la stessa idea che il Samsara Nirvana, e che non c' un minimo di differenza tra loro, potr colpirlo come un esimio non-senso che vola davanti ad ogni sua esperienza. Questo non significa che non vi sono n gioia e n soddisfazioni in queste sue esperienze; solo che la quantit delle sofferenze nel mondo sembra fortemente precludere la sua totale identificazione con il Nirvana se davvero questo termine inteso in un senso convenzionale. Nelle tradizioni teistiche, dove c' pi di una differenza annunciata tra il mondo del quotidiano e, per dire, 'il Cielo' o i reami paradisiaci, questultimi sono in grado di rimanere comprensibili oggetti di speranza e aspirazione, bench siano postumi. Queste tradizioni, tuttavia, sono state anche corrotte da ci che noto come 'il problema del male'; vale a dire riconciliando la bont ed onnipotenza di Dio con il male e le sofferenze comuni in un mondo che considerato una 'voluta creazione' di un tale essere. Il Buddismo non ha mai formulato alcun genere di 'volont-divina', come non ha sottoscritto mai una creazione come rigidamente immaginata dal teismo convenzionale, n ad una realt divina considerata come esistente indipendentemente dal mondo. Ciononostante, c un modo in cui, dalla prospettiva Buddista, si pu avere una soddisfacente visione della relazione tra Nirvana e Samsara se si riluttanti nellaccettare la formulazione di Nagarjuna della loro identit, come parola finale? Ed a questo punto, dovrebbe essere chiaro se si sta parlando di Buddismo Theravada o Mahayana, nel farsi questa domanda poich i due veicoli differiscono marcatamente nelle loro rispettive concezioni. Il primo sembra essere rigidamente dualistico mentre il secondo stato considerato tradizionalmente come ampiamente non-dualistico (ovvero, quando considerato nell'insieme e non solo nella sua variet Madhyamika). Dato che il punto focale di questo articolo il Buddismo della Terra Pura, noi ci limiteremo a considerare le implicazioni della non-dualit come base per ottenere una comprensione migliore della visione Mahayana su questa questione. All'inizio, abbiamo detto che il Buddismo Mahayana abbraccia un enorme ordine di diverse filosofie, pratiche e visioni del mondo. Ora, non nostra intenzione discutere qui come ogni scuola veda le cose in modo diverso, solo tenteremo di fornire una comprensione della non-dualit che potrebbe servire come base per lintero Mahayana. Di conseguenza, lo scopo sar di suggerire un approccio che parta dalla rigida identificazione di Nagarjuna di Samsara e Nirvana, ma che renda una maggior giustizia alla sensibilit delle persone comuni che potrebbero considerare troppo incomprensibile ed estrema la sua decisione in vista della loro esperienza del mondo. Alla replica che io sto ignorando la pi autorevole delle asserzioni riguardo a questa questione, la mia risposta sar: (a) nella misura in cui Nagarjuna abbia ragione, la sua intuizione deve riflettere una coscienza illuminata di cui oggi la maggioranza dei Buddisti nel mondo sono tutti privi; (b) Nagarjuna, seppur tenendo una venerabile posizione nella tradizione Mahayana, non parla per tutta quanta la tradizione; e (c) non si possono ignorare i successivi sviluppi del pensiero Mahayana sia in Cina che in Giappone che, sicuramente, offrono un pi soddisfacente e sostenibile resoconto della non-dualit. Nagarjuna non cerc mai di fornire un sistema filosofico totalmente comprensibile. Il suo principale scopo fu di spingerci fuori da certi modelli di pensiero inveterati e privi di senso critico che portavano alla confusione, e rivelare i limiti del linguaggio nel tentare di descrivere la realt suprema, che in definitiva elusiva, informale ed ineffabile. A tal riguardo, egli fu estremamente efficace ed agevol molto la dispersione del pensiero confuso. Nondimeno, questi sono solamente fondamenti su cui pi tardi successivi pensatori procedettero a costruire resoconti della realt pi positivi, pi comprensibili e di pi vasta portata. Occasionalmente, si incontrano Buddisti soddisfatti di s che sono convinti della superiorit della loro propria posizione semplicemente perch non sono aderenti ad una dottrina spirituale che li costringa a credere in Dio o alla creazione, come se tale credenza fosse di primo acchitto inferiore o difettosa. In effetti, il Buddismo non ha mai creduto di aver bisogno di tali concetti e vede certe contraddizioni irresolvibili inerenti in se stesse. Nondimeno, importante notare che anche nozioni Buddiste come il karma o la pratitya-samutpada, in cui cos tante riserve sono sostenute, non sono certo prive di loro proprie difficolt e paradossi filosofici. A volte, si portati a pensare che le scelte spirituali che si fanno, possano esser fatte non con considerazioni di logica e razionalit, ma con il temperamento mentale, lesperienza della vita, e le particolari necessit culturali, emotive e psicologiche. In questi casi, abbiamo bisogno di districare il significato di termini come 'Dio' e 'creazione', con uno sguardo a comprendere meglio il senso con cui il Buddismo pu o non pu accettarli.

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Prima di tutto, noi abbiamo bisogno di riconoscere che il Buddismo Mahayana d apertamente credito all'esistenza di una realt suprema che, come abbiamo visto, non nota solo come Nirvana (che lo stato della totale e completa liberazione dall'ignoranza e dalla sofferenza) ma anche come l'Assoluto Dharmakaya o la 'realt ultima' divina caratterizzata dagli attributi di 'eternit, beatitudine, vero-S e purezza'[2]. Il Dharmakaya trascendente, nel senso che non pu essere identificato col mondo dei sensi o con l'intelletto umano; ovvero, oltre qualsiasi cosa che si possa concepire o percepire. , nondimeno, anche immanente in ci che risiede nell cuore di tutte le cose, delle quali anche la sorgente ultima. L'immanenza di questa realt anche quella che ci permette di avere la conoscenza esperienziale di esso, dato che noi diveniamo consapevoli della sua esistenza attraverso quella parte di noi che condivide la sua natura. In altre parole, noi veniamo gradualmente a conoscerlo come il vero agire di questa realt che conosce se-stessa tramite noi. La scuola Hua-Yen che sorse in Cina e fu fondata sulla base del famoso 'Avatamsaka Sutra', offre una delle pi esplicite interpretazioni della realt suprema nel Buddismo: Il pensiero Hua-Yen vede tutti i fenomeni come espressioni di ununica mente originalmente pura ed indifferenziata [3]. Secondo il Hua-Yen: La totale diversit tra l'esperienza senziente e il mondo esperito - il soggettivo e l'oggettivo, il vero ed il falso, il puro ed il contaminato, il latente e il manifesto - vista rimanere, o crescere, da una comune fonte noetica[4]. Questa visione della realt divenne assai influente nello sviluppo di dottrine che in seguito fiorirono in Cina, Corea e Giappone. Si pu vedere la genesi di questa dottrina nel Buddha Eterno del Sutra del Loto, il Buddha di Luce Infinita (Skt. Amitabha; Giapp. Amida) dei sutra popolari della Terra Pura ed il cosmico Buddha Mahavairocana ('Grande Sole') preminente nella scuola esoterica Shingon, che vede ogni realt come una manifestazione di questo Buddha e che lo associa al Dharmakaya stesso: Lo Shingon postula un tipo di panteismo in cui l'intero universo una manifestazione, un'emanazione della centrale divinit solare Mahavairocana.... (il quale ) il centro del cosmo.... il punto verso cui si muove ogni integrazione e da cui prende forma la molteplicit del mondo fenomenico [5]. Quindi, quanto diverso il Dharmakaya dalle concezioni teistiche di Dio? Senza voler sembrare troppo prolissi, sarebbe giusto dire che, secondo il Mahayana, il mondo una spontanea manifesta-zione o espressione di questa realt, per esempio nel modo in cui il sole emana luce e calore o che un fiore trasuda la sua fragranza. Ex nihilo, non c alcun disegno consapevole o voluta creazione. Questa manifestazione un eterno processo ciclico e non ha un'origine nel tempo. Similmente, anche il Samsara, che in modo ultimo radicato nel Dharmakaya, senza un inizio. Si potrebbe disputare che i due reami non dovrebbero essere collegati tra loro in questo modo, ma se uno connesso alla non-dualit (io penso che dovrebbe essere il modo che riguarda il Mahayana) non si pu logicamente evitare, poi, la conclusione che il Samsara un reame instabile che, in qualche modo, deve essere dipendente dalla realt eterna del Dharmakaya. In realt, non c' altra scelta. Lungi dal considerare il Samsara come una realt completamente separata (come penso che solo un Theravadin pu fare) o che in qualche modo sia identico a come dichiar Nagarjuna (ma in un modo che , discutibilmente, incomprensibile), bisogna per forza dar credito a questa dipendenza. Inoltre, questa stessa non-dualit che rende intelligibile la nozione centrale del Mahayana dell'interdipendenza di tutte le cose, perch sotto l'ingannevole mondo di apparenze simili al sogno, noi troviamo che realmente non c' niente di sostanziale che veramente divida un essere da un altro. A questo punto, ci si potrebbe chiedere: Se il Buddismo procede in questo sentiero, non che anche esso ha bisogno di una teo-conclusione, o una spiegazione di come un mondo pieno di insondabile sofferenza sia sorto da un reame di purezza e beatitudine?[6] Se la formulazione del Hua-Yen si pu permettere di servire come standard anche per noi, sembrerebbe che il mondo, in un certo senso, sia un riflesso o espressione del Dharmakaya stesso. come se questa realt stesse manifestandosi in una modalit limitata ed incompleta, eppure questa modalit non nientaltro che una dimensione di se-stessa. L'Assoluto, come conseguenza della sua natura infinita, presume le innumerevoli forme limitate per esprimersi come mondo. D.T. Suzuki ha affermato: Il Dharmakaya, essendo 'il vuoto' stesso e non avendo esistenza fisica tangibile, deve incarnarsi in una forma e si manifesta come una pianta di bamb, come una massa di fogliame, come un pesce, come un uomo, come un Bodhisattva, come una mente, ecc. Ma queste stesse manifestazioni non sono il Dharmakaya, che qualcosa di pi delle forme o idee o modalit di esistenza[7]. Tuttavia, tutto questo ha un costo. Il Dharmakaya, 'accondiscendendo' cos a se-stesso, assume anche le forme di imperfezione ed evanescenza, come prezzo da pagare per questa manifestazione [8]. Da un lato, perci, il bisogno di Dio evitato perch questo processo visto come spontaneo e non come un atto intenzionale di volont divina consapevole che crea qualcosa altro oltre se-stesso. La realt del male e della sofferenza una diretta conseguenza del vivere in un mondo imperfetto e limitato dove le cose sono difettose e incomplete, non pienamente realizzate e 'vuote', come direbbe Nagarjuna; cio, non in possesso di un 'essere-proprio' (svabhava), ma sempre dipendenti dalle altre cause e condizioni per la loro esistenza, e quindi in un continuo stato di fluire. Inoltre, siccome il Dharmakaya non onnipotente (come Dio nelle religioni teistiche), le

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condizioni del Samsara come noi le sperimentiamo non possono essere altro che quelle che loro sono; esse non possono essere arbitrariamente cambiate da un qualche decreto divino. Il Samsara, per definizione senza-pace, fuggevole, insaziabile ed insoddisfacente - non pu mai diventare un paradiso terrestre perch non possiede gli attributi del Nirvana, e cio, eternit, beatitudine, purezza e vero S, che sono riservati solamente per ci che incondizionato. La vera questione per i Buddisti, perci, non 'Perch c' il male?' ma 'Perch c' la manifestazione?' Perch mai limmutabile e sereno stato del Nirvana, questo reame di puro essere, diventato questa valle di lacrime? Oltre a rispondere che nella sua natura esprimersi spontaneamente come il vario e complesso mondo del Samsara, con tutte le sue gioie, orrori e perplessit, non c' risposta che possa facilmente essere data, perch come si pu dar conto alla spontaneit naturale? Come potrebbe il sole non illuminare? Come pu una rosa non emanare il suo profumo? L'implicazione, ovviamente, che questa involontaria 'creazione', per mancanza di una parola migliore, un necessario corollario di questa 'Vita Infinita' (Amitayus, che uno dei nomi del Buddha nella tradizione della Terra Pura) e non la conseguenza di una decisione progettata. Si potrebbe dire, allora, che questo il mistero ultimo che il Buddismo lascia irrisolto, piuttosto che il problema del male, che ha cos tanto agitato i teologi nelle religioni teistiche. Finora, la nostra discussione potuta sembrare un p unilaterale o anche negativa. Abbiamo puntato il dito pi sulle caratteristiche della trascendenza e, cos sembra, meno sulla visione dell'immanenza. Chiaramente, sono richieste entrambe per mantenere unequilibrata ed ortodossa visione, malgrado il loro apparente contrasto, perci, cosa possiamo dire sull'immanenza? Questo concetto, nella dottrina Theravadin era ampiamente assente, ma il Mahayana insistette sulla presenza della Buddha-natura in ogni essere senziente, come mezzo per il quale lilluminazione era possibile. Secondo questa visione, non si pu divenire un Buddha, se non attraverso il funzionamento del Buddha allinterno - se nel cuore del limitato non dimorasse gi linfinito, allora gli esseri limitati non potrebbero essere liberati n mai potrebbero ottenere la realizzazione del loro vero S, sperimentato come Nirvana. Tuttavia, vi sono alcune altre dimensioni nellimmanenza che necessitano di essere indicate ed esse riguardano le nostre esperienze di amore e di bellezza. Limiti di spazio impediscono una estesa discussione di queste dimensioni, basti per dire che, dalla prospettiva della non-dualit, il Mahasukha ('Grande Beatitudine') del Nirvana non pu non permeare anche il reame del Samsara. Nel Risveglio della Fede, troviamo un'importante distinzione fatta fra la 'essenza' della Talit che immutabile, inconcepibile ed eterna, e gli 'attributi' della stessa Talit che servono ad infondere l'oscurit del Samsara con le radianti influenze e qualit della Buddha-natura. A tal riguardo, il testo parla di 'permeazione' (vasana), nel senso cio che la Talit 'permea' o 'profuma' il Samsara[9]. Di conseguenza, possibile considerare tutti quegli esempi quando nella vita siamo di fronte ad un'esperienza di profondo amore, gioia o bellezza, come effimera traccia o come una 'eco' della superna beatitudine del Nirvana nel nostro mondo di tutti i giorni: Per Kukai (fondatore della scuola Shingon), tutto ci che bello parte integrale della Buddha-natura[10]. Tali esperienze sono anche 'unitive', nel senso che ci costringono a trascendere la nostra individualit frammentata ed a cercare lunione al cuore dellesistenza con una realt pi alta, come pure servono a ricordarci di quanto noi spesso siamo anche alienati da questa realt superiore. Riassumendo, la dottrina della non-dualit permette la riconciliazione di due nozioni apparentemente contraddittorie, dato che essa preserva la trascendenza ultima e linconciliabilit della realt suprema, accentuando, allo stesso tempo, l'identit - non cos severa come dichiara Nagarjuna - ed una sorta di 'non-differenza' (per usare un'espressione semplice) di Nirvana e Samsara. Proprio come i vari pezzi di oggetti di arte ceramica sono della stessa natura, dato che essi sono tutti fatti di creta, cos le varie manifestazioni, simili ad una maga (maya), della mente di illuminazione e non-illuminazione, sono aspetti della stessa essenza, la Talit[11]. In altre parole, il mondo 'non altro' che la Talit o il Dharmakaya, in virt del fatto di essere una estensione di questa stessa 'realt', anche se per il mondo non la stessa cosa di questa realt, a causa della sua impermanenza, imperfezione e molteplici limitazioni. Ora, bench in ritardo, dovremmo cercare di ricollegarci alla discussione precedente sul Buddismo della Terra Pura. Lo sviluppo di questa scuola di Buddismo avvenne in risposta ad una quantit di fattori che avrebbero pesato pesantemente sulle persone ai tempi del suo inizio, e cio: (a) il bisogno di rendere lAssoluto Buddista accessibile e possibile alle persone ordinarie tramite l'uso di un ricco e positivo simbolismo ideato per accrescere l'aspirazione per lilluminazione; e (b) un riconoscimento acuto della difficolt di raggiungere la piena illuminazione nella vita presente durante l'Era Decadente del Dharma. Pi di qualche altra tradizione del Buddha-Dharma, la scuola della Terra Pura stata la pi sensibile alle implicazioni della sofferenze e della vita samsarica, per i sinceri individui che lottano nella ricerca dellilluminazione contro la loro personale debolezza e le barriere apparentemente insormontabili della rabbia, avidit e ignoranza. Di fronte alla incapacit di sradicare i difetti e i paradossi della condizione umana, gli insegnamenti della Terra Pura propongono la speranza a coloro la cui perfezio-ne spirituale disperatamente elusiva, tramite l'assicurare la liberazione ultima e lilluminazione per tramite dellazione di Amida Buddha come dimensione personale attiva

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del Nirvana. Perci, il suggerimento che il Nirvana e questo mondo di sofferenza sono identici pu servire soltanto a combinare l'ansia e la disperazione che possono essere gi sentite da coloro che credono che in questo mondo le condizioni prevalenti siano proprio lantitesi di ci che il Nirvana dovrebbe essere. Di conseguenza, il mondo come tale non pu essere considerato un appropriato oggetto di aspirazione spirituale e il cercare di convincere le persone che in essenza, questo mondo saha identico alla Terra Pura, se noi solamente potessimo approfondire abbastanza la nostra fede per percepirla[12] fa solo violenza a coloro che semplicemente sono incapaci di realizzare questa identit e che non possono venire a patti con la nozione che tutta la sofferenza e il disagio del nostro mondo, in qualche modo, sono essenzialmente 'nirvaniche' per natura. Anche un Buddha illuminato sarebbe certamente incapace di vedere, per esempio, la tortura o l'abuso crudele di un piccolo bambino come una 'gioia', come se la revulsione e il crepacuore che noi naturalmente sentiremmo in un tal caso potrebbe in qualche modo essere congedato come conseguenza del nostro non vedere il mondo attraverso occhi illuminati! Fra le tante variet di Buddismo, la maggior parte degli insegnamenti della Terra Pura merita l'epiteto 'ultramondano', spesso erroneamente applicato nell'insieme a tutto il Buddismo. La dottrina della Terra pura insegna che questo mondo un'arena di inevitabile sofferenza e frustrazione, e sostiene la vivida prospettiva di una rinascita in un altro mondo migliore, in cui la malattia, il dolore e la morte non esistono. Questo mondo una trappola senza speranza dalla quale noi possiamo scappare solo grazie al potere di Amitabha. A meno che noi non si raggiunga la rinascita nella Terra Pura, la pace e la felicit, per non parlare dellilluminazione, oltre la nostra portata... [13]. Alla luce della dura realt di questo mondo saha, cos com da tutti noi sperimentato, bisogna per forza credere che l'esortazione di accettare il Samsara come identico al Nirvana si pu considerare seriamente una sorta di aiuto o conforto per coloro che stanno cercando la liberazione (moksha) da un simile mondo e dalle sue debilitanti passioni ed illusioni. Diversamente, una tale visione potrebbe essere fortemente dannosa alla salute mentale e spirituale di ognuno. Nel suggerire che questo , in realt, il modo come un Buddha vede il mondo e che nemmeno sarebbe impossibile per una persona ordinaria che in questa vita raggiunge lilluminazione (con lappropriata comprensione) precludersi la probabilit di essere capace di verificare questa dichiarazione. Perci, essa non pu servire come uno strumento adatto per coloro che desiderano dare un senso al mondo alla luce del Buddha-Dharma. Il mondo , realmente, un riflesso della 'realt ultima' ma non pu, in virt di questo fatto, essere considerato la stessa cosa come questa realt. Questa potrebbe ben essere la chiave per districare il mistero della non-dualit. Il Samsara 'non altro' che il Nirvana, perch il Mahayana riconosce solo una realt che si manifesta attraverso molte svariate forme e possibilit, ma il Samsara non pu mai essere sperimentato come Nirvana a causa delle inerenti limitazioni di tutto ci che diverso e altro dall'Infinito. Comunque, l'esperienza diretta di questa realt nel mezzo della torbidezza del Samsara possibile, anche se restano i limiti al nostro status come esseri senzienti ordinari e non illuminati (Skt. prthagjana ; Giapp. bombu). Questa esperienza, nota come shinjin, segna l'entrata della 'Luce Infinita' del Buddha (Amitabha) nella nostra coscienza illusa. Tale risveglio, lungi dal trasformarci in individui totalmente illuminati, rinforza la profonda consapevolezza della nostra stessa ignoranza o nescienza, e la nostra bassezza, mentre ci permette di sperimentare un p della gioia e della illuminazione del Nirvana, in questo stesso mondo di nascita-e-morte. Forse cos che dovremmo comprendere le parole di Shinran quando dice: Quando la Fede si risvegliata nelle menti illuse e contaminate delle persone 'ordinarie', esse sono rese consapevoli che la stessa 'nascita-e-morte Nirvana' [14]. A questo punto, noi ci troviamo in un vicolo cieco, proprio quando ci avviciniamo ai molti limiti che il linguaggio pu esprimere, in cui inevitabile il paradosso e dove, forse, meglio rimanere silenziosi. Se le precedenti speculazioni metafisiche vi sono sembrate troppo arcane e confondenti, allora siete invitati ad abbracciare una nuova ma risvegliata semplicit, cercando conforto nelle seguenti parole: Il Buddha allora disse allanziano Shariputra: Se tu da qui viaggi verso ovest, passando centomila koti di terre del Buddha, arriverai ad una terra chiamata 'Massima Beatitudine', dove c' un Buddha chiamato 'Amida'. Lui ora sta vivendo l, insegnando il Dharma :(Il Sutra su Amida Buddha). NOTE: 1. Edward Conze, Buddhism: its essence and development (Harper & Row 1975), p.40. 2. Il Risveglio della Fede: Attribuito ad Asvaghosha trad. con commentario, da Yoshito S. Hakeda (Columbia UniversitY Press: New York 1967), p.65. 3. Jacqueline Stone, Original Enlightenment and the Transformation of Medieval Japanese Buddhism (University of Hawaii Press, 1999), p.7. 4. Robert M. Gimello, Chih-yen (602-668) and the Foundation of Hua-yen Buddhism (PhD disserta-tion, Columbia University, 1976), p.411. 5. E. Dale Saunders, Buddhism in Japan (University of Pennsylvania Press, Philadelphia, 1964), pp.161 & 168
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6. vedi Peter N. Gregory The Problem of Theodicy in the Awakening of Faith in Religious Studies, N. 22.1 (1986), pp.63-78. 7. D.T.Suzuki The Buddhist Conception of Reality The Eastern Buddhist Vol. VII, No.2 (ottobre 1974) 8. vedi Frithjof Schuon, The Transcendent Unity of Religions (Theosophical Publishing House, 1984), pp.52-53. 9. Hakeda, p.59. 10. Saunders, p.161. 11. Hakeda, pp.45-46. 12. Nikkyo Niwano, Buddhism for Today: A Modern Interpretation of the Threefold Lotus Sutra (Tokio: Kosei Publishing Co., 1990), Ch.17. 13. J.C.Cleary, nella sua introduzione a Pure Land Pure Mind (Sutra Translation Committee of the United States and Canada, 1994). 14. The Shoshin Ge tr. Daien Fugen et al. (Ryukoku University: Kyoto 1961), p.36.; ********************************************************************************** Torna Indietro E

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