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STANZE

DI ANGELO POLIZIANO
di Alberto Asor Rosa
Letteratura italiana Einaudi
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In:
Letteratura Italiana Einaudi. Le Opere
Vol. I, a cura di Alberto Asor Rosa,
Einaudi,Torino 1992
Letteratura italiana Einaudi
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Sommario
1 Genesi e storia. 4
1.1. Loccasione per lopera. 4
1.2. Congetture sulla genesi del testo. 8
2. La struttura formale. 13
3. Linvenzione: lettere ed allegoria. 15
4-5. Il significato poetico dellopera. 25
6. Nota bibliografica. 34
Letteratura italiana Einaudi
3
1. Genesi e storia.
1.1.Loccasione per lopera.
Poesia doccasione, le Stanze, anche se lammirante stupore di lettori convinti del-
lautonomia dellarte rilutta ad ammetterlo. Loccasione fu fornita dalla giostra ban-
dita a Firenze, per volont del Magnifico (ma, formalmente, per ordine dei Capitani
di parte guelfa), verso la fine del 1474 e l svoltasi, nella piazza di Santa Croce, il 29
gennaio del 1475, onde festeggiare la conclusione della lega venticinquennale stipu-
lata tra Milano, Venezia e Firenze il 2 novembre dellanno precedente. Destinato a
riportare il primo onore, a vincere cio (ma non per questo vincitore sicuro e
scontato)
1
, era Giuliano, fratello minore di Lorenzo e, nato nel 1453, non ancora
ventiduenne. Cos, le fortune della Repubblica sarebbero apparse una volta di pi,
agli occhi del popolo fiorentino, indissolubilmente legate con quelle dei Medici.
Loperazione, tuttavia, non sarebbe stata perfetta, se i poeti non avessero fat-
to da cassa di risonanza alla memorabile impresa. Sei anni prima, il 7 febbraio del
1469, Lorenzo stesso aveva trionfato in unaltra giostra, bandita allora per festeg-
giare degnamente la vittoria riportata dalla Firenze medicea sulle truppe di Bar-
tolomeo Colleoni, che Venezia, sia pure non ufficialmente, aveva messo a disposi-
zione dei fuoriusciti fiorentini coinvolti poco prima nella congiura ordita contro
Piero de Medici da Luca Pitti, Dietisalvi Neroni, Niccol Soderini ed Agnolo
Acciaiuoli. In quelloccasione quando i tempi privilegiavano ancora i modi del-
la vecchia letteratura comunale , a cantare lavvenimento era stato invitato Luigi
Pulci, che, in 160 ottave, aveva descritto e il corteo dei partecipanti alla giostra e,
immediatamente dopo, la giostra vera e propria
2
. Ora, nel nuovo clima culturale
1
Tutti dnno per scontata la manipolazione della giostra. In realt, non doveva essere cos facile determinarne il risul-
tato. In questa del 1475, ad esempio, si verificarono incidenti, anche gravi, che nessuno avrebbe potuto prestabilire chi
dovessero colpire e chi dovessero risparmiare: uno dei concorrenti, Piero degli Alberti, al quale era stato ucciso sotto il
cavallo, fu costretto al ritiro; ad un altro, Piero Guicciardini, visto che gli era stato spezzato in due lo scudo, il padre or-
din di uscire dal combattimento; infine, uno degli adhortatores (dei padrini, cio, o buriassi) di Iacopo Pitti (vincito-
re, costui, del secondo premio) fu trafitto da un colpo infertogli nella gola e mor pochi giorni dopo. Se di queste notizie
siamo debitori allopuscolo di F. CORSINI, De equestri certamine opusculum ad Petrum Guicciardinum amicum suum,
pubblicato da P. O. Kristeller (Un documento sconosciuto sulla giostra di Giuliano de Medici, in Studies in Renaissance
Thought and Letters, Roma 1956, pp. 437-50), da una lettera di Filippo Sacramoro al duca di Milano in data 29 novem-
bre 1474, sappiamo che lopinione pubblica dava come favorito non Giuliano de Medici, ma Luigi di messer Agnolo
della Stufa (il documento pubblicato in E. FUMAGALLI, Nuovi documenti su Lorenzo e Giuliano de Medici. II. Ga-
leazzo Maria Sforza e la giostra del Magnifico Giuliano, in Italia medioevale e umanistica, XXIII (1980), pp. 141-64.
2
Si legge ora, col titolo La giostra (ma la tradizione a stampa suggerirebbe piuttosto quello di La giostra del Magni-
fico Lorenzo de Medici; quella manoscritta anepigrafa), in L. PULCI, Opere minori, a cura di P. Orvieto, Milano
1986, pp. 61-120 (che ne ritrae il testo dalla tesi di laurea di G. Casagli, discussa presso la Facolt di Lettere dellUni-
versit di Firenze, relatore il prof. M. Martelli, nellanno accademico 1972-73). Nei Ricordi (cfr. il cappello introdutti-
vo alla Giostra cit., p. 55), Lorenzo annot: [... ] Per seguire e fare come gli altri, giostrai in sulla piazza di Santa Cro-
ce e, bench darmi e di colpi non fussi molto strenuo, mi fu giudicato il primo onore, cio un elmetto fornito da-
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dominato dal neoplatonismo ficiniano, lo stesso ufficio si assumevano da una par-
te, in latino, Naldo Naldi, dallaltra, in volgare, Angelo Poliziano. Luno che gi
aveva esaltato Cosimo nella Bucolica e, nei tre libri delle Elegiae, lintera famiglia
dei Medici componeva nel giro di pochi mesi i 425 esametri dellHastiludium,
finiti di trascrivere, nel codice Nouvelles Acquisitions 476 della Bibliothque Na-
tionale di Parigi, il 6 novembre del 1475
3
; laltro, invece, a dispetto delle sue con-
clamate capacit dimprovvisatore, non sarebbe mai riuscito almeno a quello
che comunemente si pensa a completare un poemetto di non cospicue propor-
zioni, nonostante ci lavorasse, seppur saltuariamente, per quasi quattro anni.
Il confronto tra i due testi si rivela interessante per pi ragioni e, tra le altre,
per quello che sembra, tra i due poeti, una sorta di scambio dei ruoli e delle par-
ti: il Naldi infatti, pur scrivendo in latino, si attiene, nella costruzione della sua
operetta, alle indicazioni fornitegli dalla tradizione volgare e, astenendosi (non
diversamente da quanto aveva fatto un Pulci) dal dividere il suo Hastiludium in
pi libri, alla descrizione del corteo dei giostranti fa seguire, senza soluzione di
continuit, la rievocazione della giostra; Poliziano al contrario, che pur scrive in
volgare, ricorre ad uninvenzione, almeno in relazione al genere, decisamente
nuova ed originale, pi vicina ai modi di certa poesia della latinit argentea e a
quel gusto di mescolare favola e realt, tipico di non poche selve di Stazio e,
anche, di quella sorta di selva che lAmbra di Lorenzo
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: ed era un po come
riento, con un Marte per cimiero. Giuliano, pi robusto del fratello e pi incline alle arti marziali, si sarebbe invece
comportato valorosamente nella giostra del 75. Gentile Becchi gi precettore di Lorenzo e, dallottobre del 1473,
vescovo dArezzo scriveva, in data 3 febbraio 1475, a Niccol Michelozzi (figlio del celebre architetto e cancelliere
di Lorenzo): Ingannmi Giuliano: credetti stesse contento al sicondo honore, havendo hauto Lorenzo il primo; ma
chi glile poteva negare, avanzando gli altri di 21 colpi, che con manco si suole vincere una giostra?. E passo della let-
tera (inedita, conservata nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Fondo Ginori Conti, XXIX 81, c. 111) im-
portante anche perch ribadisce come lopinione pubblica (e lo fa anche, in qualche modo, Poliziano allinizio del se-
condo libro delle Stanze) mettesse in relazione reciproca le prove dei due fratelli. Sulla giostra del 1469, oltre al poe-
metto di Luigi Pulci, possediamo un dettagliato ricordo in prosa, che Pietro Fanfani pubblic (cfr. Ricordo duna gio-
stra fatta a Firenze a d 7 febbraio 1468 sulla piazza Santa Croce, in Il Borghini, II (1864), pp. 474-83 e 530-42),
estraendolo dal codice Magliabechiano VIII 1503. Altre indicazioni sulle due giostre medicee e sulle altre, fiorentine
e non, si recuperano (oltre che dallintroduzione dellOrvieto) da R. TRUFFI, Giostre e cantori di giostre. Studi e ri-
cerche di storia e di letteratura, Rocca San Casciano 1911. Su armeggerie e giostre nella Firenze quattrocentesca si leg-
ger utilmente (con ampia bibliografia sullargomento) R. C. TREXLER, Public Life in Renaissance Florence, 1980
(trad. it. Il rituale della celebrazione: le forme cavalleresche e la festa di S. Giovanni, in Teatro e culture della Rappresen-
tazione. Lo spettacolo in Italia nel Quattrocento, a cura di R. Guarino, Bologna 1988, pp. 71-119).
3
Cfr. N. NALDI, Bucolica, Volaterrais, Hastiludium, Carmina varia, a cura di W. L. Grant, Firenze 1974, p. 133 (in
apparato, la subscriptio: Naldi de Naldis carmen explicit, transcriptum per [...] ex originali ipsius Naldi sexto no-
vembris 1475). Il Naldi torn in seguito sul suo poemetto, fornendone una nuova redazione, che ci stata trasmessa
dallincunabolo forse fiorentino del 1487 circa (cfr. Brunet 12740: una copia alla Nazionale di Roma, 70.4.F.21); lievi
mutamenti (n tali da autorizzare a parlare di una diversa redazione) presenta il codice 604 della Biblioteca Corsinia-
na di Roma (45 E 4), terzo e ultimo testimone dellimportante poemetto.
4
Il rilievo gi stato fatto, in parte, da Giosue Carducci nel saggio premesso alla sua edizione delle Stanze (cfr. G.
CARDUCCI, Delle poesie toscane di Angelo Poliziano, in A. POLIZIANO, Le Stanze, lOrfeo e le Rime rivedute su i
codici e su le antiche stampe e illustrate con annotazioni di varii e nuove da Giosue Carducci, Firenze 1863, p. XLVIII):
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Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
se, da una parte, il mondo classico si ravvivasse in un soffio di moderna fiorenti-
nit, mentre, dallaltra, la Firenze quattrocentesca accennava a drappeggiarsi in
panni classicamente curiali.
Non ho ricordo di altri poemetti latini che, prima di quello del Naldi, siano
stati destinati in Firenze alla celebrazione di pubbliche giostre
5
. Quando invece,
poco dopo il 29 gennaio del 1475, Filippo di Bartolomeo di Bertoldo Corsini
fedele amico di Lorenzo e del partito mediceo, detentore di una solida cultura
latina, volgarizzatore dei Sermoni di san Leone Magno (stampati a Firenze nel
1485 con una prefazione di Marsilio Ficino)
6
compose in forma di lettera in-
viata a Piero Guicciardini un suo opuscolo De equestri certamine, aveva forse in
mente il precedente di Francesco Petrarca, il quale descrisse, in sua senile (IV,
3) al retore Pietro da Moglio
7
, i giochi svoltisi a Venezia nel giugno del 1364 on-
Pel genere delle invenzioni e pel modo della trattazione esso calcato su lo stampo dei carmi encomiastici, misti di
favola e di lirica, che abbondano nella letteratura latina da Stazio fino allultima decadenza del secolo V. Nel poema to-
scano come nelle selve latine del nostro autore Stazio e Claudiano appariscono essere fra gli antichi quelli che pi ab-
biano avuto parte nel formare a un peculiar modo di concezioni la sua fantasia. Losservazione di notevole acutez-
za: si ricorder, infatti, che proprio allora usciva a stampa lo Stazio commentato da Domizio Calderini (cfr. STAZIO,
Sylvae cum commentario Domitii Calderini, Sweinhem e Pannartz, Roma 1475), di cui Poliziano si occuper ripetuta-
mente, fino al corso accademico che, nel 1480-81, dedicher appunto alle Sylvae di Stazio (cfr. A. POLIZIANO, Com-
mento inedito alle Selve di Stazio, a cura di L. Cesarini Martinelli, Firenze 1978; che, utilizzato a dovere, fornirebbe
non poco nuovo materiale per un commento alle Stanze).
5
Sui precedenti latini del poemetto del Naldi (non pi di due: uno del Guarino, perduto, ed uno di Giannantonio
Campano), da lui con ogni probabilit ignorati, cfr. R. TRUFFI, Giostre e cantori cit., pp. 77-80 (per il Guarino) e 94-
96 (per il Campano).
6
Per queste notizie su Filippo di Bartolomeo Corsini (1440-96), cfr. P. O. KRISTELLER, Studies in Renaissance
cit., p. 443. Lepistola commendatoria premessa dal Ficino, dopo il proemio dellautore, al volgarizzamento dei Ser-
moni leonini, si legge in ID., Supplementum Ficinianum [], Firenze 1937, II, pp. 183-84.
7
Non trovo che la lettera petrarchesca sia nota nel giro degli storici dello spettacolo (n viene ricordata in quello
degli studiosi delle Stanze polizianee o della letteratura italiana); ed invece di grande interesse, se come a me sem-
bra vi si descrivono e larmeggeria e la giostra: Multos quidem festos dies vario apparatu celebritas hec deduxit.
Duobus tandem tota res ludis clauditur, quibus ego nunc propria nomina latina non habeo; dicam tamen, ut intelligas:
alter nempe discursus, alter concursus, ut arbitror, dici potest. In altero enirn recto calle decurrunt singuli, in al-
tero singuli singulis hinc inde concurrunt. Uterque ludus equester, sed inermis primus, nisi quod, hastis et clipeis de-
currentes, sericis exuviis vento effusis, quandam bellici actus imaginem representant; at secundus armatus et duelli
species quedam. Itaque in illo quidem elegantie plurimum, periculi minimum; in hoc autem artificio par discrimen:
unde non sat proprie hastiludium Galli vocant, quod nomen primo magis convenit: illo enim vere luditur, hoc cer-
tatur (il testo quello inedito da me stesso criticamente fissato sul fondamento dei pi autorevoli testimoni mano-
scritti e a stampa; Per molti giorni si prolungarono, ed in molte svariate forme luna allaltra conseguitando si molti-
plicarono le feste, e furono tutte alla perfine con due solenni spettacoli conchiuse: de quali io non so veramente qual
potrebbessere il nome nella lingua latina: ma mi far a discorrerli in modo che tu mintenda. Luno potrebbe chia-
marsi corsa, e laltro giostra. Perocch in quello corrono ad un per uno per la stessa via; in questo corrono gli uni in-
contro agli altri; sono ambedue giochi equestri; ma il primo si fa senza adoperare le armi, e presenta alcun che di guer-
riero solo perch i cavalieri correndo brandiscono le aste, imbraccian gli scudi e fanno svolazzare al vento seriche ban-
diere. Ma nel secondo delle armi si fa uso, ed ha sembianza d duello: ond che in quello si fa mostra di destrezza, ma
non si corre alcun risico, mentre in questo pari alla bravura il pericolo, n so perch i Francesi lo chiamino giuoco
alla lancia [hastilidium], nome che meglio al primo si converrebbe: che in quello si giuoca, ed in questo si combatte:
cito dalla versione volgare, F. PETRARCA, Lettere senili, volgarizzate e dichiarate con note da G. Fracassetti, I, Fi-
renze 1869, pp. 230-31).
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Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
de celebrare la fulminea vittoria riportata da Luchino Dal Verme contro i Crete-
si ribellatisi alla Serenissima. Cos come ad una non povera tradizione di volgari
ricordi di giostre si rifaceva chi, anche lui in volgare, ne scrisse uno della nostra
giostra, copiato nel manoscritto II.IV.324 della Biblioteca Nazionale Centrale di
Firenze
8
.
Variet, come si vede, di scelte formali. Ma, quanto a Poliziano, non era solo
questione di forma: non pura e semplice cronaca, versificata quanto si voglia raf-
finatamente, quello che egli si prefiggeva di fare; quel che voleva era piuttosto
proporre una lettura filosofico-religiosa dellavvenimento che era chiamato a can-
tare. vero, infatti, che levento, come gi ho detto, doveva sottolineare il rap-
porto tra i successi di Firenze e i successi dei Medici; ma la vittoria di Giuliano,
ove Dio (oltre che gli uomini) glielavesse concessa, avrebbe anche dovuto simbo-
leggiare, tangibilmente per cos dire, e a un tempo legittimare il passaggio del se-
condogenito di Piero dalladolescenza alla virilit: non in relazione al numero de-
gli anni, dacch fino ai ventotto si protraeva allora ladolescenza (n prima dei
venticinque si diveniva maggiorenni), ma in relazione al ruolo che quel giovane
era chiamato a svolgere da allora in poi nel quadro della vita pubblica cittadina.
Questo era quanto Poliziano si proponeva di cantare: come quella vittoria fosse
stata la rappresentazione, in un certo senso, scenica dellingresso di Giuliano, al
fianco di Lorenzo, nella direzione effettiva, seppure non ufficiale, della politica
fiorentina.
In questo senso, la composizione delle Stanze si configura come uno dei tanti
episodi della politica culturale laurenziana, tesa a concentrare lattenzione dei
Fiorentini e non solo di quelli colti su iniziative che si proponevano sempre
come di eccezionale rilievo. E non da pensare, in considerazione di tutto questo,
che Poliziano o abbia rimandato di molto linizio della sua poetica fatica o, per
molto tempo, ne abbia protratto la conclusione. Tutti infatti dnno per certo che
egli abbia lasciato incompiuto il suo poemetto; ma la cosa tuttaltro che sicura e
anzi, a giudizio almeno di chi scrive, non molto probabile. Sar comunque il caso
di guardare agli elementi in nostro possesso e dinquadrare correttamente, sul lo-
ro fondamento, il problema. E poich quegli elementi sono piuttosto di ordine fi-
lologico che non di ordine documentario, bisogner pure rapidamente delineare
di fronte agli occhi del lettore un abbozzo di storia della tradizione delle Stanze e
di critica del loro testo, limitatamente a quanto pu servire alla ricostruzione del-
la loro genesi.
8
Il ricordo si legge alle cc. 122-35; stato parzialmente edito da G. POGGI, La giostra medicea del 1475 e la Pal-
lade del Botticelli, in LArte, V (1902), pp. 71-77, e da G. MAZZATINTI, Inventari dei Manoscritti delle Bibliote-
che dItalia, XI, Forl 1901, pp. 27-29.
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Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
1.2. Congetture sulla genesi del testo.
Il manoscritto 2723 della Biblioteca Riccardiana di Firenze, minuziosamente stu-
diato da Daniela Delcorno Branca per la sua edizione delle Rime polizianee
9
, fu
per lungo tempo ritenuto il pi antico testimone delle Stanze. E in effetti, per la
parte che cinteressa e che trasmette il poemetto, esso fu redatto tra il 1480 ed il
1487 e vi confluirono due canali di diversa derivazione: luno, che travas nel co-
dice (cc. 1-34) le Stanze e lOrfeo, non possibile stabilire donde provenga; lal-
tro, che nel manoscritto condusse i rispetti e le canzoni a ballo, discende invece
assai chiaramente, insieme con altri manoscritti (lAdditional 16439 del British
Museum di Londra; il Pluteo XL.44 della Biblioteca Mediceo-Laurenziana di Fi-
renze; il Canoniciano Italiano 99 della Bodleian Library di Oxford), da una sillo-
ge di rime comprendente, oltre ai rispetti ed alle canzoni a ballo di Poliziano,
anche rispetti di pi persone, una delle due Selve di Lorenzo, le canzoni di Dan-
te, ecc. , che, non giunta fino a noi ma ricostruibile con buona approssimazione,
fu messa insieme in ambiente laurenziano nel corso degli anni Settanta.
Oltre che da questo manoscritto, le Stanze ci sono state trasmesse (a quello
che si sapeva fino a non molto tempo fa) da altri sei testimoni utili per la costitu-
zione del testo: cinque manoscritti (il codice 1576 della Biblioteca Riccardiana di
Firenze; il Magliabechiano II.X.54 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze;
il codice 51 della Biblioteca Oliveriana di Pesaro; il manoscritto Italiano 1543 del-
la Bibliothque Nationale di Parigi; il gi ricordato Additional 16439 del British
Museum di Londra) e una stampa, la princeps uscita a Bologna nel 1494 presso
leditore Platone dei Benedetti
10
. Da questa edizione derivarono tutte le altre, fino
a quella veneziana del 1541
11
, che, riproducendone una del 1526, curata o, per dir
meglio, raffazzonata da Tizzone Gaetano
12
, serv di modello a tutte quelle che ap-
parvero in seguito, fino alla cominiana del 1728
13
, riprodotta poi, a sua volta, fino
alledizione carducciana (Firenze 1863), con la quale, fondata com su una nuo-
va collezione di alcuni manoscritti (e, in particolare, del Riccardiano 2723), co-
mincia la vera e propria storia ecdotica moderna del poemetto.
Ledizione carducciana fu fedelmente esemplata per quasi cento anni; finch,
nel 1954, usc per i tipi di Loescher-Chiantre di Torino ledizione critica a cura
9
Cfr. A. POLIZIANO, Rime, edizione critica a cura di D. Delcorno Branca, Firenze 1986, pp. 48-54 (ma si veda an-
che, della medesima studiosa, Il manoscritto Riccardiano 2723 e la formazione delle antiche sillogi di Rime del Poliziano
(1976), in Sulla tradizione delle Rime del Poliziano, Firenze 1979, pp. 31-63 e 133-41): donde quanto qui si dice sul codice.
10
Cfr. V. PERNICONE, Introduzione alla sua edizione critica di A. POLIZIANO, Stanze [] cominciate per la gio-
stra di Giuliano de Medici, Torino 1954, pp. XIII-XXI e XXIV-XXX.
11
A. POLIZIANO, Stanze [] cominciate per la giostra del Magnifico Giuliano di Piero de Medici, Venezia 1541.
12
Su questa edizione (ID., Le Stanze bellissime [] da messer Tizzone Gaetano di Pofi diligentemente riviste, Ve-
nezia 1526), cfr. G. CARDUCCI, Delle poesie cit., pp. XC sgg.
13
A. POLIZIANO, Lelegantissime Stanze [], Padova 1728.
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di Vincenzo Pernicone, il cui testo salvo alcune correzioni (in prevalenza pro-
poste da chi scrive in occasione di una sua edizione delle Stanze per i tipi delledi-
tore Tallone di Alpignano nel 1979)
14
a tuttoggi quello vulgato. Il Pernicone
ritenne che, dei tre rami in cui, a suo avviso, si articola la tradizione del poemetto,
si dovesse privilegiare quello costituito dal Riccardiano 2723, dallAdditional
16439 e dal Parigino Italiano 1543, il primo (come si detto) del penultimo de-
cennio del secolo XV, il terzo degli ultimissimi anni del medesimo secolo
15
, il se-
condo del secolo XVI ineunte, ma tutti e tre dipendenti il primo direttamente,
gli altri due attraverso un intermediario comune da un medesimo capostipite;
mentre agli altri due rami, rappresentati ciascuno da un testimone (il Riccardiano
1576 e la princeps bolognese: del codice Magliabechiano, il Pernicone pensava
non doversi tenere alcun conto), si sarebbe dovuto far ricorso solo per controlla-
re lattendibilit della lezione trasmessa dal ramo principale.
Alle testimonianze note al Pernicone, Guglielmo Gorni ne aggiunse, nel 1975,
unaltra, costituita da un lacerto contenuto nel Palatino 1190 da ordinare della Na-
zionale di Firenze e comprendente le sole ottave 1-12, 3 e 37-46 del secondo libro
16
.
Non in questo recupero stava comunque il contributo pi importante del Gorni, ma
nel fatto che egli, nella medesima occasione e nel corso del medesimo lavoro, accer-
tava come uno dei due manoscritti Riccardiani, il fino ad allora un po trascurato
1576 (contenente il solo primo libro del poemetto), fosse stato redatto da quellAn-
tonio di Tuccio Manetti che autore di una Vita del Brunelleschi e della pi ricca tra
le redazioni della Novella del Grasso, studioso della Commedia dantesca e della sua
geografia, copista di numerose opere (dantesche specialmente, o con Dante connes-
se) si guadagnato un suo posto, per quanto modesto, nel quadro della letteratu-
ra volgare fiorentina del Quattrocento
17
. Lidentificazione del copista permise al
Gorni di datare, mediante lo studio delle filigrane, la compilazione di questa testi-
monianza e di assegnarla con certezza a un tempo non posteriore al 1480. Ma fu
proprio sul fondamento di questi accertamenti che il Gorni pens anche, applican-
do alle Stanze il metodo che il Wilkins aveva applicato al canzoniere petrarchesco, di
poter ricostruire la genesi delle Stanze, distribuendola in tre diverse e successive fasi
redazionali attestateci dal successivo e triplice diverso configurarsi della tradizione
14
Cfr. M. MARTELLI, Nota al testo, acclusa alla sua edizione di A. POLIZIANO, Stanze cominciate per la giostra
di Giuliano de Medici, Alpignano 1979, pp. 127-31.
15
Sul codice parigino si veda ora R. CASTAGNOLA, Milano ai tempi di Ludovico il Moro. Cultura lombarda nel
codice italiano 1543 della Nazionale di Parigi, in Schifanoia, V (1988), pp. 101-85.
16
Cfr. G. GORNI, Novit su testo e tradizione delle Stanze di Poliziano, in Studi di filologia italiana, XXXIII
(1975), pp. 241-64.
17
Sulla figura di Antonio Manetti, Cfr. D. DE ROBERTIS, Antonio Manetti copista, in Tra latino e volgare per Car-
lo Dionisotti, a cura di G. Bernardoni Trezzini, O. Besomi, L. Bianchi, N. Casella, V. Ferrini Cavalleri, G. Gianella e
L. Simoni, Padova 1974, pp. 367-409; A. MANETTI, Vita di Filippo Brunelleschi preceduta da La novella del Grasso,
edizione critica a cura di D. De Robertis, con introduzione e note di G. Tanturli, Milano 1976.
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manoscritta e a stampa del poemetto: 1) nel 1478 (o poco dopo), quando ancora
delle Stanze non era stato composto che il primo libro, questo solo primo libro An-
tonio di Tuccio Manetti avrebbe trascritto nel Riccardiano 1576; 2) in seguito, tra il
1480 e il 1487, il poeta avrebbe composto le 46 ottave del secondo libro (ma non i
versi 4-8 dellottava 12 e 2-8 dellottava 14, dove per il momento restarono due lacu-
ne) ed avrebbe corredato di rubriche marginali il solo primo libro, portando il poe-
metto a una fase di elaborazione corrispondente a quella attestataci dallaltro codice
Riccardiano, dal Parigino e dal Londinese (mentre il Magliabechiano, da ascrivere
sostanzialmente a questa fase redazionale, costituirebbe tuttavia un anello interme-
dio per qualche aspetto tra questa fase appunto e quella successiva); 3) tra il 1488 e
il 1494, infine, il Poliziano cos come ci attestato dalla princeps avrebbe colma-
to le due lacune e redatto le didascalie del secondo libro, ma non avrebbe pensato di
comporre (o a comporre non sarebbe riuscito?) neppure unaltra ottava, quando
pure, per completare lopera, presumibile che non gli restasse molto da fare.
Alla ricostruzione della genesi del poemetto proposta dal Gorni, chi scrive que-
ste pagine ne oppose, nel 1984, una sua propria, piuttosto alternativa che sostituti-
va
18
. Lipotesi (che ritengo, nonostante le vivaci obiezioni mossele dal Gorni
19
, an-
cora valida e, forse, preferibile ad ogni altra) , corredata di qualche nuova conside-
razione, questa: le Stanze, composte per intero e di getto nei mesi immediatamente
successivi allo svolgimento della giostra, sarebbero state riprese in mano dal poeta
dopo il 26 aprile 1476, onde modificare, alla luce di un imprevisto e ferale avveni-
mento (la morte di Simonetta Cattaneo, verificatasi appunto in quella data), la pri-
ma parte del secondo libro: in essa Poliziano avrebbe fatto s che Iulio, per via di un
sogno, fosse preammonito dellimminente morte della sua amata; immutata, invece,
doveva restare la seconda e conclusiva parte del secondo libro, quella che, secondo
ogni verisimiglianza, conteneva la descrizione del corteo e la rievocazione del tor-
neo: che tuttavia, ove veramente cos fossero andate le cose, non sarebbe pi stata
rimessa al suo posto e, irrimediabilmente perduta, sarebbe caduta dalla tradizione.
Certo, non si pu escludere che le cose si siano svolte come ha pensato il
Gorni; la ricostruzione, tuttavia, proposta da chi scrive, anche se non imposta,
almeno suggerita e consigliata da vari ordini di considerazioni: 1) che la lavora-
zione del poemetto si sia protratta per quasi un ventennio, senza che tuttavia lau-
tore riuscisse a portare a compimento, almeno in una prima stesura, unopera di
modesta estensione (sulla quale, oltretutto, sarebbe tornato a lavorare saltuaria-
mente e casualmente, senza precise spinte esterne), bens possibile (e che cosa
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Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
18
Cfr. M. MARTELLI, Considerazioni intorno alla contaminazione nella tradizione dei testi volgari, in AA.VV., La
critica del testo. Problemi di metodo ed esperienze di lavoro (Lecce 22-26 ottobre 1984), Roma 1985, pp. 127-49.
19
Cfr. G. GORNI, Le gloriose pompe (e i fieri ludi) della filologia italiana, oggi, in Rivista di letteratura italiana,
IV (1986), pp. 391-410.
non possibile?), ma n probabile n verisimile; 2) con la supposizione di reitera-
te e prolungate cure prestate al poemetto mal si accorda, oltre alla sua incomple-
tezza, la presenza di certe evidenti trascuratezze e di certi vistosissimi errori (fra i
quali quello di I, 28, 5-6, dove a Megera si fa fare quello che Virgilio ci assicura
aver fatto Aletto)
20
, che Poliziano poteva s commettere, ma che difficilmente
avrebbe omesso di eliminare, se avesse rivisto, emendato, migliorato il suo testo;
3) le varianti interessano costantemente circoscritte sezioni di voci, al massimo le
singole parole, non mai la struttura del verso, della strofa o, anche, del periodo e
della frase: esse, quindi, hanno tutte le caratteristiche delle innovazioni tradizio-
nali e, oltretutto, preterintezionali
21
; 4) non mancano infine testimonianze esterne
che, pur non affermandolo esplicitamente, permettono tuttavia di supporre che le
Stanze furono portate a compimento, ma non mai limate.
Circa questultimo punto, infatti, sar il caso di precisare che le uniche fonti
donde proviene la notizia di un abbandono delle Stanze da parte del poeta prima
che esse fossero terminate sono costituite dalla lettera del Sarzio al protonotario
Antonio Galeazzo Bentivogli, premessa alledizione del 1494, di cui il Sarzio stes-
so fu il curatore ([...] certe stanze del mio et tuo gentilissimo Politiano [...] le
quale lui gi compose, bench per alcuni respecti o impedimenti non condusse al
fine)
22
e la didascalia conclusiva che si legge nei codici Parigino e Riccardiano
2723 (La soprascripta opera fu dallo auctore lasciata imperfecta)
23
, nonch, di
poco variata (La soprascripta opera dallo auctore non fu finita), nella princeps
bolognese. notizia verosimilmente da far risalire ad una sola fonte attendi-
bile? Intanto, sappiamo bene che Alessandro Sarti (latinamente, Sarzio) non era
insolito a manipolare i testi che sincaricava di pubblicare
24
; mentre, dallaltra par-
20
Cfr. infatti, Aeneis, VII, 475-76: Dum Turnus Rutulos animis audacibus implet, | Allecto in Teucros stygiis se
concitat alis (VIRGILIO, Eneide, introduzione e traduzione con testo a fronte di R. Calzecchi Onesti, Torino 1967,
p. 278: Mentre Turno colma daudacia i Rutuli, Aletto si volge con lali infernali ai Troiani), con quel che segue: e
quel che segue , oltretutto, lepisodio del cervo.
21
Si vedano elencate, per quanto riguarda il codice di mano del Manetti, in G. GORNI, Novit sul testo cit., pp.
260-61, dove vengono presentate come varianti dautore pi che manifeste e tipiche infedelt di copista (omissioni, ad
esempio, di monosillabi, sostituzioni di particelle equipollenti, inevitabili innovazioni formali, ecc.).
22
La lettera riprodotta anche in V. PERNICONE, Introduzione cit., pp. XXVI-XXVII.
23
Il Pernicone (ibid., p. 81) dice in verit che la didascalia nel solo codice Parigino; ma il Gorni (Novit sul testo
cit., p. 253) ne ha accertato, ai raggi della lampada di Wood, la presenza anche nel Riccardiano.
24
Sul comportamento del Sarti editore, si potr consultare M. MARTELLI, Il Libro delle epistole di Angelo Poli-
ziano, in Interpres, I (1978), pp. 184-255; e leccellente nota 23 (pp. 29-30) in A. TISSONI BENVENUTI, LOrfeo del
Poliziano, con il testo critico delloriginale e delle successive forme teatrali, Padova 1986, di cui vorrei riportare (non so-
lo perch si oppone in sostanza allidea di una pluriredazionalit delle Stanze) questaurea sentenza: Purtroppo non ba-
ster al futuro editore delle Stanze che la lezione di Bo (= princeps bolognese) non sia palesemente erronea perch diven-
ti automaticamente una variante dautore: il vaglio dovr essere molto fitto, anche perch da dimostrare che il Polizia-
no si soffermasse a correggere e limare un testo che non aveva voluto finire. Quanto alla consapevolezza che il Polizia-
no (secondo il Gorni ed altri) avrebbe avuto delliniziativa del Sarti e che invece, non solo in obbedienza al buon senso
ma anche in considerazione dei documenti, la Tissoni Benvenuti nega, si veda avanti, alla fine di questo paragrafo.
Letteratura italiana Einaudi
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Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
te, contro lattendibilit di quella notizia si ergono due documenti tuttaltro che
trascurabili. Il primo costituito da un brano della Sylva in scabiem, che Polizia-
no, secondo la pi probabile tra le ipotesi fin qui formulate dagli studiosi, com-
pose nellestate del 1477
25
. In essa il poeta, dichiarandosi impotente ormai, a cau-
sa di un terribile ed improvviso male che lo ha colpito, a dedicarsi al canto, rievo-
ca i suoi passati meriti poetici, di latinizzatore dellIliade e di cantore delle mar-
ziali gesta di Giuliano de Medici. Questi, i vv. 245-62 della Sylva:
Ille ego sum, o socii, quamqam ora animosque priores
fortuna eripuit, qui quondam heroa canendo
proelia et exhaustos Rhoeteo in Marte labores,
ibam altum spirans; quique olim immania bella
Cosmiadae Etruscis aggressus credere Musis,
cantabam patulo quantum sese aequore ferret
Iulius armipotens, cum suspiratus amanti
ah nimium! nymphae, ferratos durus in hostes
ingrueret, sublime volans, claususque minaci
casside et undantem flammis thoraca coruscoque
umbonem Phoebo radiatus, iapige campum
persultarit equo, ac tota cervice superstans,
arma, viros victor subversaque quadrupedantum
pectora pulvereis trifida trabe funderet arvis:
altaque magnanimi vel bello exempla secutus
fratris, olympiaco iuvenilia tempora ramo
cinxit et aeternum peperit sibi Marte triumphum.
Haec quondam memorata mihi
26
.
25
La Sylva in scabiem il capolavoro di Poliziano, scoperto nel 1952 da Paul Oskar Kristeller e pubblicato nel 1954
da Alessandro Perosa (cfr. A. POLIZIANO, Sylva in scabiem, testo inedito a cura di A. Perosa, Roma 1954) con am-
pia introduzione e dotto commento stata recentemente ripubblicata, con versione italiana a fronte, da Paolo Or-
vieto (cfr. ID., Sylva in scabiem, a cura di P. Orvieto, Roma 1989). Il curatore, che identifica la misteriosa malattia de-
scritta da Poliziano nella selva con lira, una virulenta perturbazione dellanima, ritiene accettabile, a conclusione di
una lunga ricostruzione (pp. 8-44), la datazione della Sylva al 1477, anche se finisce per ritenere pi soddisfacente il
biennio 1479-80.
26
ID., Sylva in scabiem, ed. Perosa cit., pp. 43-44 (Amici, bench la Fortuna mi abbia privato della voce e dellan-
tica baldanza, sono pur io quello che un tempo andavo cantando con alta ispirazione le eroiche battaglie e le fatiche
affrontate nella guerra troiana; io, quello che un tempo, osando mettere in versi toscani la fiera giostra del Cosmiade,
andavo cantando altres come grande larmipotente Iulio scorresse per lampio campo di battaglia, quando, desidera-
to (ahi troppo!) dallinnamorata ninfa, crudo piombava sui loricati nemici e, ergendosi alto sul destriero, chiuso den-
tro lelmo minaccioso, la corazza e lo scudo irraggiati dal lampeggiare di Febo, scalpitava a volo per larena sul calabro
cavallo; e, tutti superando dellintera testa, rovesciava vincitore armi, eroi, rivolti petti di quadrupedi sulla polvere del
terreno con lasta munita di triplice punta; e, anche in guerra seguendo lesempio del magnanimo fratello, cinse di
olimpica fronda le giovani tempie e si procacci in battaglia immortale trionfo. Questo un tempo cantai). Pu essere
utile ricordare che la trifida trabs del v. 258 non il tridente, ma la cosiddetta lancia a domenini, dalla triplice
punta e pi pericolosa di quella a grappella: per quanto Filippo Sacramoro, ambasciatore milanese a Firenze, scri-
vesse al suo duca, in data 17 novembre 1474, che la giostra sarebbe stata combattuta con lance di questultimo tipo
(cfr. E. FUMAGALLI, Nuovi documenti cit., p. 147), si dovette poi optare per laltro (su cui, cfr. ibid., p. 157, nota 2).
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Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
Questo un tempo cantai; e sembra improbabile che Poliziano desse, e con
tanta abbondanza di particolari descrittivi, per gi fatto ci che fatto non era mai
stato: a parte tutto, non avrebbe potuto pi logicamente dire che la malattia gli
impediva di portare a termine un lavoro che, a termine, avrebbe desiderato di
portare? Quanto al secondo documento, esso costituito da una lettera di Gio-
vanni Pico della Mirandola, non datata, ma da assegnare al 1483 , con la quale
il filosofo chiedeva allamico di inviargli alcune sue opere: la latinizzazione di
Epitteto, quanto dellIliade aveva fino a quel momento tradotto, quello che in vol-
gare aveva cantato di Giuliano de Medici e tutte le liriche latine: Praeterea Epic-
tetum tuum et quae de Homero in hanc usque diem a te translata sunt; item quae
de Iuliano Medice sermone patrio et quaecunque alia Latino sermone composui-
sti ad me missa omnino velim
27
; e il lettore non mancher di osservare come Pi-
co distingua tra ci che era ancora in fieri lIliade e ci che, seppur non per-
fettamente limato liriche latine, Epitteto, poema in onore di Giuliano , a com-
pimento era stato tuttavia condotto.
2. La struttura formale.
Il poemetto, nella forma in cui ci pervenuto (corrispondente, con ogni probabi-
lit, a quanto il Poliziano, rinunciando a completarlo, ne scrisse), consta di un pri-
mo canto (125 ottave) e delle prime 46 Stanze del secondo.
Quanto al primo canto, dopo la protasi (ottava 1), linvocazione ad Amore
(ottave 2-3) e quella a Lorenzo de Medici (ottava 4), con annessa recusatio per
non aver cantato ancora le sue imprese (ottave 5-6) e per aver interrotto la versio-
ne omerica (ottava 7), Poliziano apre la vera e propria narratio. Lazione ha origi-
ne dallatteggiamento che Iulio (nome classico e poetico di Giuliano de Medici),
prima di innamorarsi a sua volta, ha nei confronti dellamore (ottave 8-12): egli,
infatti, ostenta la sua disapprovazione nei confronti di chi si sottomette al giogo di
Cupido (ottave 13-16) e loda, al contrario, la caccia (ottave 16-19), prendendone
loccasione per una celebrazione dellet delloro (ottave 20-21); ed per questo
che Amore, pregatone da alcuni suoi seguaci, decide di vendicarsi di Iulio, facen-
dolo innamorare (ottave 22-23). , questo, lantefatto.
Comincia a questo punto la descrizione della caccia (ottave 24-33, 6), nel cor-
so della quale Amore, formatala con le proprie mani di lieve aria, fa apparire da-
vanti a Iulio una candida cerva che, inutilmente inseguita e fatta bersaglio dei suoi
Letteratura italiana Einaudi
13
Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
27
G. PICO, Opera omnia, Basel 1572 (ristampa anastatica, con una premessa di E. Garin, Torino 1971), pp. 372-
73: Vorrei inoltre ad ogni modo che mi fossero inviati il tuo Epitteto e quanto fino ad oggi hai tradotto da Omero; e
anche i versi che, in lingua materna, hai composto in onore di Giuliano de Medici, nonch tutti gli altri in latino.
colpi, lo attira nel folto del bosco fino alla radura coperta di soffice erba e di fiori
variopinti (ottave 33, 7-37). In questa radura, scomparsa la cerva, subentra al suo
posto Simonetta: analogamente, alla descrizione della caccia, succede quella della
donna (ottave 38-59), che vi rivela con dolcissima voce la propria identit e la
propria condizione anagrafica (ottave 51-54). una giovane della famiglia geno-
vese dei Cattaneo, venuta a Firenze sposa di Marco di Piero Vespucci, che, secon-
do una filosoficamente gentile usanza di allora, Giuliano de Medici aveva eletto a
sua dama, e di cui, anche nella finzione poetica, Iulio, ferito da una saetta che
Cupido gli scaglia dagli occhi della donna, perdutamente sinnamora. La prima
parte del canto si chiude con il bozzetto che ritrae i compagni di Iulio che, inutil-
mente aspettatolo e inutilmente cercatolo (ottave 60-64), lo ritrovano finalmente,
a notte fatta, quando tornano a casa (ottave 65-67).
Come si vede, in questa prima parte del canto la narrazione procede per suc-
cessivi quadri, piuttosto giustapposti luno allaltro che non luno dallaltro ge-
nerati. Ed un lunghissimo quadro quello che, dopo unottava di collegamen-
to (68) e una dinvocazione a Erato (69), costituisce in pratica lintera seconda
parte del canto. In questa parte, lazione si ferma. Poliziano, infatti, fa ricorso a
una figura retorica, fortunatissima nellambito delle opere narrative la topothe-
sa di parkbasin (o descriptio loci per digressum) di cui prolunga lestensione,
eccezionalmente, per ben 53 ottave. Il luogo che viene descritto prima che vi si
trasporti lazione il regno di Venere; ed solo dopo averlo descritto che Polizia-
no ci comunica che appunto qui arriva Amore (121, 1: Or poi che ad ale tese ivi
pervenne [...]). Il ricorso a questa figura accentua la sensazione di un altro qua-
dro che si aggiunge ai precedenti. Ma anche la descrizione del regno di Venere
procede per quadri giustapposti: prima, la sua ubicazione e il suo clima (ottave
70-72); poi, i suoi abitanti, gli Amori cio e le personificazioni degli effetti e degli
atti che ad Amore si accompagnano (ottave 70-76); seguono le innumerevoli va-
riet dei fiori, irrorati dallacqua purissima di una fonte (ottave 77-79), delle pian-
te (ottave 82-85, 4), degli animali (ottave 85, 5-91). Dopo aver nuovamente ricor-
dato che qui vengono spesso Amore, i suoi fratelli, Venere e Pasitea (ottava 92),
Poliziano passa alla descrizione del palazzo di Venere e, in particolare, dei basso-
rilievi che adornano le sue porte (ottave 93-120).
Con lottava 121 riprende la narrazione. In questo palazzo arriva Amore, che
trova la madre a letto, appena disciolta dallamplesso di Marte (ottave 121-24). Il
canto sinterrompe con le domande che la madre rivolge al figlio intorno alla ra-
gione della sua visita; e con la risposta del figlio si apre quello successivo: sicch,
con bellartificio retorico, tra la partizione narrativa e quella formale viene a cor-
rere uno scarto di qualche ottava. Amore comunica alla madre di avere acquisito
al suo corteggio di fedeli un tanto personaggio quanto Iulio, e la prega anche, in
Letteratura italiana Einaudi
14
Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
considerazione dei meriti del suo maggiore fratello Lauro (cio Lorenzo de Me-
dici), di far s che questultimo sia finalmente riamato da Lucrezia Donati (ottave
1-13). La dea acconsente (ottava 14); ma prima vuole che sia Iulio a combattere
per la gloria di lei e del figlio.
Le restanti ottave hanno lufficio di condurre lazione fino alla vigilia della
giostra, la cui ispirazione opera di Venere, la quale invia i sogni ad infiammare il
cuore dei giovani toscani e comanda al Sonno, marito di Pasitea, di annunciare a
Iulio quale futuro di gloria (per la vittoria nella giostra) e di dolore (per la morte
di Simonetta) lo attende (ottave 15-40). Le ultime sei ottave sono infine occupate
dalle preghiere che Iulio, svegliatosi e memore del sogno, rivolge a Pallade, ad
Amore e alla Gloria.
Con ogni probabilit a meno che Poliziano non pensasse di complicare la
sua invenzione con episodi secondari , il poemetto avrebbe dovuto a questo
punto ospitare la descrizione della sfilata dei giostranti e dei loro accompagnatori
e la rievocazione del combattimento. Se poi, dopo questa rievocazione, il poemet-
to fosse concluso, ovviamente impossibile dire.
3. Linvenzione: lettera ed allegoria.
Onde conseguire lobiettivo propostosi, Poliziano immagin una favola ispirata
alla triplice suddivisione della vita umana, che la teologia del cristianesimo aveva
recuperato, risemantizzandone le conclusioni, dalla filosofia classica: il tutto rivi-
vendo nella luce che, sul tema plurisecolare, diffondeva allora, ravvivandola di
nuovo fascino, lesegesi platonizzante di Marsilio Ficino. Lettera ed allegoria, in
un rapporto di evidente complementarit, dovevano fronteggiarsi nel poemetto
e a vicenda sorreggersi. Di quella della lettera, voglio dire si detto nella se-
zione 2.
La favola tuttavia, come gi si accennato, nientaltro doveva costituire se
non laccattivante integumentum o velo, che in un suo variopinto ammanto na-
scondesse agli occhi dei profani il messaggio che lopera era incaricata di portare
28
.
Nel quadro di questa allegoria, Simonetta rappresentava la pratica delle quattro
virt cardinali (o morali, o civili) prudenza, fortezza, giustizia, temperanza , sul-
le quali fondata la vita politica (o attiva). Rivelatore , in questo senso, il discor-
so che Simonetta fa a Iulio, quando ella appare al giovane nel mezzo della foresta:
a lui, prima di tutto, la giovane donna dice di non essere quale la sua mente inva-
no auguria (I, 51, 1), quale cio vanamente va immaginando ed augurandosi che
28
Per quanto riguarda lallegoresi delle Stanze, si veda M. MARTELLI, Simbolo e struttura delle Stanze, postfa-
zione ad A. POLIZIANO, Stanze cit., pp. 89-131.
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Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
ella sia; Simonetta ha capito, infatti, che il suo innamorato si illude di essere gi ar-
rivato al sommo della scala damore e di star contemplando, davanti a s, se non la
bellezza divina (alla cui visione luomo non pu essere ammesso che dopo la mor-
te), almeno quella dellangelo, corrispondente tradizionalmente alla vita contem-
plativa o teoretica. appunto questillusione che la donna, saggiamente, si preoc-
cupa di dissipare, spiegando poi a Iulio, attraverso tutta una serie di precisazioni
cifrate ma indubitabili, come ella sia da identificare con la virt civile. A Iulio in-
fatti che, scorgendo in lei un non so che di divino (1, 42, 8) ed tanto vero quan-
to inevitabile che ve lo discerna, se anche la vita attiva, ove sia rettamente intesa e
praticata, discende da Dio ed alla sua volont ottempera , pensa erroneamente di
essere gi asceso al terzo gradino dellesperienza amorosa, quello della contempla-
zione, Simonetta fornisce eloquenti informazioni sulla sua identit e sulla sua con-
dizione: ella sposata (come colei che non ignora la vita dei sensi, ma la pratica
entro i limiti della legge e, nellambito del matrimonio, al solo fine della procrea-
zione e della conservazione della specie umana); viene spesso in quel pratello (co-
me colei che armonizza la propria opera con quella della natura, che va secondan-
do insieme ed ingentilendo); frequenta la chiesa (come colei che organizza nella
societ civile il culto divino e ad esso presiede). Per questo, a Simonetta ride at-
torno tutta la foresta, di cui disacerba le cure ed allevia noie e dolori per quanto le
possibile, nei limiti cio di quello che consentito ad unattivit pur sempre emi-
nentemente umana. La donna (I, 43, 5-8), si muove ed agisce con la regalit che
propria della legge e del potere civile, ma anche con la mansuetudine e con la cle-
menza che non si possono disgiungere dalla vera giustizia e dal governo legittimo:
versi regali davvero e mansueti, la cui bellezza, a parte tutto il resto, non si rivela
pienamente se non alla luce del loro pi nascosto significato:
[...]
Rideli attorno tutta la foresta,
e quanto pu sue cure disacerba:
nellatto regalmente mansueta,
e pur col ciglio le tempeste acqueta
29
.
Alla scoperta della donna, Iulio condotto dalla cerva, che gli appare nel
mezzo della selva. Tradizionale e, allepoca, noto ad ognuno il significato delluna
e dellaltra. La selva la conoscenza sensuale e, dalla conoscenza sensuale indi-
sgiungibile, il peccato, la nostra vita terrena, insomma, quanto pi affascinante di
lusinghe e di promesse, tanto pi referta di delusioni e di disinganni: Sylva, ave-
va detto Petrarca nel bel latino di una sua celebre senile (IV, 5) a proposito di
quella in cui, nel primo libro dellEneide, Venere appare ad Enea:
29
A. POLIZIANO, Stanze, ed. Martelli cit., p. 22.
Letteratura italiana Einaudi
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Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
Sylva vero vita hec, umbris atque erroribus plena perplexisque tramitibus atque in-
certis et feris habitata hoc est difficultatibus et periculis multis atque occultis , in-
fructuosa et inhospita, et herbarum nitore et cantu avium et aquarum murmure id est
brevi et caduca specie, et inani ac fallaci dulcedine rerum pretereuntium atque laben-
tium accolarum oculos atque aures interdiu leniens ac demulcens, lucis in finem hor-
ribilis ac tremenda, adventuque hyemis ceno feda, solo squalida, truncis horrida fron-
dibusque spoliata
30
.
E Cristoforo Landino, nel terzo libro delle Disputationes Camaldulenses (fini-
te di comporre due o tre anni prima che Poliziano componesse le Stanze), collo-
cato allun estremo della catena che lega tutto lesistente Dio, allaltro situava la
hyle, o materia, latinamente, appunto, sylva:
Nihil igitur deo superius, nihil silva inferius, nihil hoc praestantius, nihil illa vilius. Me-
dia vero inferiora superant, a superioribus vincuntur. Est igitur deus et silva, haec au-
tem materia est, ex qua omnia corpora sunt []
31
.
Ma, tra Petrarca e Landino (per non parlare dellormai troppo citato Coluc-
cio Salutati, del Petrarca oltretutto discepolo ideale), Jean Gerson, tra la fine del
Trecento e linizio del Quattrocento, aveva organizzato, nel De mystica theologia,
il cosmo su un ritmo ternario, tre per lui essendo le potenze conoscitive delluo-
mo: lintelligenza semplice, la ragione, la conoscenza sensuale; a queste tre poten-
ze conoscitive ne corrispondevano tre affettive: la synderesis o voluntas divi-
na, lappetitus rationahlis, lappetitus sensualis
32
: ed era facile riconoscere
nei tre gradini le tre forme di vita, di cui si parlava allinizio di questo paragrafo:
la filargica (o voluptuaria), la pratica (o activa), la contemplativa (o theoretica), cui
la filosofia classica, da Platone in poi, aveva fatto presiedere rispettivamente tre
dee: Venere, Giunone, Pallade.
Daltra parte, risalendo a monte, che il lucus, il bosco, fosse immagine dei
beni temporali era creduto anche, nel secolo XII, da Bernardo Silvestre; il quale,
commentando lEneide a beneficio dei suoi scolari, arrivato al v. 118 del libro VI,
interpretava la voce lucos (boschi, selve) come beni temporali. La selva, in-
30
Cfr. F. PETRARCA, Opera quae extant omnia [...], Basel 1554, II, p. 869 (rist. anast., Ridgewood N.J. 1965; ma
il testo qui dato dopo aver effettuato una parziale collazione sui manoscritti) (La selva questa vita, piena dombre
e davvolgimenti, e di attorti sentieri ed incerti, abitata da fiere e cio da molte e nascoste pericolose difficolt , ste-
rile ed inospitale; essa, col nitore delle erbe e il canto degli uccelli e il mormorio delle acque (con la breve e caduca bel-
lezza, cio, e con la vana e fallace dolcezza delle cose che scivolano via cos rapide), alletta e blandisce durante il gior-
no gli occhi e gli orecchi di coloro che vi abitano; ma, al tramontare del sole, si rivela orrida e temibile, sozza di fango
allarrivare dellinverno, scabra nel fondo, irta di tronchi, spoglia di fronde).
31
C. LANDINO, Disputationes camaldulenses, a cura di P. Lohe, Firenze 1980, p. 178 (Niente, dunque, al di so-
pra di Dio, niente al di sotto della selva; niente che abbia pi pregio di quello, niente che sia pi vile di questa: nel
mezzo, ci che supera linferiore ed superato dal superiore. Dio e la selva, insomma: e, quanto a questa, essa la ma-
teria, donde deriva tutto il corporeo).
32
Cfr. J.-CH. GERSON, De mystica theologia, I, 9, 8, a cura di A. Combes, Padova 1958, p. 25.
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Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
fatti, gli sembrava avere tre qualit in tutto simili a quelle dei beni terreni: in
quella non penetra la luce del sole, in questi quella della ragione; impraticabile il
bosco per la moltitudine dei diversi sentieri, e impraticabili i beni temporali per
la infinita variet delle vie che, senza condurvi, sembrano soltanto condurre al
sommo bene; averno, infine, il bosco di Virgilio, perch senza ver (primavera),
quasi senza piacere, cos come impotenti a procurarci vero piacere sono i beni
temporali
33
.
Da Petrarca a Landino, da Bernardo Silvestre a Gerson: se si creduto di do-
ver indulgere allaccumulo disordinato delle referenze culturali (ma le citazioni
potevano essere senza fine, dal commento platonico di Calcidio alle Genealogie di
Giovanni Boccaccio)
34
, stato soltanto perch il lettore si rendesse pienamente
conto dei meccanismi associativi di quella cultura; non era possibile, insomma,
parlare di selva, senza che, al di l del simbolo, si sciorinassero tutti i significati di
cui esso era portatore. Essa la vita terrena o la materia, o la conoscenza sen-
suale, o lappetito dei sensi: il pi basso gradino dellessere, in ogni caso; e nel mo-
do di lettura, evidentemente, si rifletteva un modo di vita. Quando, nel 1333, Pe-
trarca era passato attraverso la selva delle Ardenne doveva avere provato, davve-
ro, la sensazione e formulato la convinzione che Dio gli fornisse, in sunto, lim-
magine dellintero suo viaggio terreno; n altro, scrivendo i due stupendi sonetti
176 e 177 dei Rerum vulgarium fragmenta, aveva fatto se non mettere in versi quel
preciso pensiero.
Cos per la cerva. Essa, formata da Amore di lieve aere, , nella sua inconsi-
stente bellezza, limmagine dei beni caduchi della terra e dei vani diletti dei sen-
si. Un significato, questo, che essa assume dun colpo, non fossaltro perch in
mezzo alla selva della vita che appare a Iulio: daltra parte, non altro che la vo-
luptas sconcia, amara, inconsistente, caduca aveva voluto Petrarca che signi-
ficasse Venere, apparsa ad Enea, come si detto, in mezzo alla selva. Ma si stia
attenti: niente di per s, se tutto viene da Dio, pu essere negativo, tale divenen-
do solo per il cattivo uso che noi ne facciamo; cos, proprio il vano piacere che
ci proviene dalla bellezza sensuale che avvia la nostra anima nella sua faticosa ri-
cerca di Dio: noi crediamo di amare un bel corpo, mentre in esso non amiamo se
non il pallido riflesso della bellezza divina. Di essa, non di questo o di quel cor-
po, la nostra anima in effetti assetata; ed solo dopo avere esperimentato la im-
prendibile vanit dei beni terreni dopo aver corso e corso, senza raggiungerla,
33
BERNARDO SILVESTRE, Commentum [...] super sex libros Eneidos Virgilii, edizione critica a cura di J. W. Jo-
nes ed E. F. Jones, Lincoln Neb. - London 1977, p. 53.
34
Sul significato della selva nel medioevo, si pu utilmente consultare la voce compilata da Eugenio Ragni per lEn-
ciclopedia Dantesca, V, Roma 1976, pp. 137-42.
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Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
dietro alla cerva , che lanima nostra pu innalzarsi al gradino successivo, quel-
lo della vita civile, in cui la bellezza divina risplende pi luminosa, quasi, usciti
dal tumultuoso intrico di una foresta, ci affacciassimo alla calma serena di una
fiorita radura.
Verso il principio del secolo, ser Domenico di maestro Andrea da Prato ave-
va immaginato qualcosa di molto simile; e lo aveva narrato in una struttura metri-
ca inedita ed ingegnosa, un rimolatino, come lo definisce, il cui inizio pu esse-
re interessante riprodurre in queste pagine:
In una valle tra due montagnette,
dov un giardino adorno
con fonte in mezzo e intorno selve folte,
nel qual Gemini il caldo mai non mette,
perch orizzonte intorno
vi fan degli arbusce le fronde molte
(da Eolo lun monte il prato guarda,
s che i fiori e lerbette
non mutan mai la lor ridente vista,
non par per freddo agghiacci o per caldo arda:
in questo luogo strette
sente spesso da Amor la mentre trista),
co miei bracchetti giva un d cacciando:
pi presta che leoparda
innanzi mi si fece una cervetta;
a seguitarla cominciai sgridando.
La qual, come gagliarda,
ben dimostrava aver nel corso fretta.
E, corso che avea alquanto, si volgea
nella vista spregiando
me e miei cani, e poneasi a giacere;
e tanto fe cos, che gi mavea
stracco, s che ansando
lascia la andare e puosimi a sedere.
E simile ella allato a me si puose:
onde io, che maccorgea
desta malvagia e falsa selvaggina,
la qual facea ver me viste sdegnose,
con furia mi movea,
ammettendogli i can con gran ruvina.
Ma dentro al bosco, che 1 giardin circonda,
sbito si nascose;
e quasi la credeva aver smarrita,
quando mi si mostr tra fronda e fronda;
ondio lafaticose
Letteratura italiana Einaudi
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Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
gambe movei, ed ella era gi uscita
di quel gran bosco fero, folto e ombroso,
quella cerbia gioconda,
ed era entrata gi nel bel giardino.
Io la seguia col cor desideroso,
ed ella alla chiara onda
della fontana, donde esce un bel pino,
maspettava, specchiando il falso viso.
Con lanimo angoscioso
ver lei mi mossi, anoiando il suo strazio,
la qual fu in forma di augelletto miso.
Io, come puroso
di tal trasmutazion, rimasi sazio,
vedendo in Filumena lei conversa
35
.
Linvenzione, ricalcata su quella deglinnumerevoli precedenti romanzi se-
gnalati dalla dottrina del Proto
36
, anticipa manifestamente quella delle Stanze.
vero che, nella lirica di Domenico, la cerva si trasforma in usignolo; ma, per il re-
sto, glingredienti sono gli stessi che nel Poliziano: la caccia (con i bracchetti, di
dantesca memoria), lapparizione della cerva, la sua velocissima corsa, il suo in-
gannevole indugio, il lungo inseguimento nel bosco fero, folto ed ombroso, larri-
vo in un bel giardino, la metamorfosi conclusiva. In chiave non c di che dubi-
tarne , cos la favola di ser Domenico come quella di Poliziano. E quale fosse la
chiave, ove non bastasse quello che finora si detto, ci pu esaurientemente chia-
rire Girolamo Benivieni. Il quale, contemporaneo ed amico di Poliziano (ma an-
che di Pico e caro al Magnifico), in una sua canzone non si sa con precisione
quando composta, ma pubblicata nel 1500 al n. 19 del suo filosofico Commento
riprende, con le medesime parole, ora delluno e ora dellaltro, linvenzione di ser
Domenico da Prato e di Angelo Poliziano:
Io seguitavo el corso
dun leggier cervo in caccia
e gi in parte ero scorso,
drieto alla amata traccia,
onde lalma e gioconda
luce splender vedeo tra fronda e fronda.
Non ard limpia e cruda
torma de feri cani
35
DOMENICO DA PRATO, In una valle tra due montagnette, in Lirici toscani del Quattrocento, a cura di A. Lan-
za, 2 voll., Roma 1973-75, I, pp. 503-4 (sono i vv. 1-49): dal quale mi allontano e per la restituita scansione strofica e
per linterpunzione.
36
Cfr. E. PROTO, Elementi classici e romanzi nelle Stanze del Poliziano, in Studi di letteratura italiana, I
(1899), pp. 318-38.
Letteratura italiana Einaudi
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Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
metter nellalma e nuda
luce e lor denti insani,
ma stupefatti insieme
restaro, e io quasi huom che honora e teme.
Scenden gli ardenti e puri
raggi in fra rami umbrosi,
n pria a miei infermi e obscuri
occhi, a cui fur gi abscosi,
nudo quel sol ne apparse,
che in s gli accolse, e 1 leggier cervo sparse
37
.
Sono le strofe 3-5 di una canzone (ma sarebbe meglio chiamarla ode, visto
che di una vera e propria ode si tratta), che continua per altre nove strofe; e var-
rebbe la pena di leggerla tutta. Sennonch quel che ora cinteressa costituito
dalle strofe qui riprodotte: non solo come riecheggiamento delle Stanze del Poli-
ziano (inseguimento del cervo in un bosco, sparizione del cervo stesso, che, que-
sta volta, lascia il posto allo splendore del sole), ma anche e soprattutto perch
questo riecheggiamento fornito di un minuziosissimo commentario che, allesti-
to dallautore, pu fungere da tanto pertinente quanto illuminante esegesi anche
del testo polizianeo. Dice, dunque, il Benivieni:
Descripta in qualche modo e come lineata la excellentia di epsa sanctissima Trinit
quanto a una confusa e suboscura notitia di quella, il che facemmo inella prima stanza,
e quanto alla distinctione et modo di procedere delle persone divine, il che habiamo
facto inella seconda; in questa terza vedremo come la anima, gi per quello che decto
avida e sitibonda della fruitione dun tanto bene divenuta, ma indegna, ancora di esse-
re assumpta a el nudo e puro conspecto di quello, cerca inelle creature, vede e contem-
pla la sua imagine; dalla quale come lei, quando ordinatamente procede, possa in virt
della gratia di Dio ultimamente a el destinato porto della sua beatitudine condursi, as-
sai per quello che di sopra si dice manifesto.
Io seguitavo el corso dun leggier cervo (vv. 13-14), cio di epsa bellezza sensibile, la
quale meritamente, per non partirsi dalla gi presa translatione del bosco, del colle e
delle acque, rispecto alla sua velocit significata in questo luogo per el cervo, in caccia
(v. 14), inella inquisitione della bellezza divina, e gi in parte ero scorso (v. 15), cio die-
tro a quella imagine, similitudine e vestigii della divina bellezza, per le quali lei, in que-
ste cose sensibile relucendo, cos ci guida e conduce alla cognizione e per questa allo
amore di se medesima, come per e vestigii di alcuna creatura sensibile si perviene in co-
gnizione e notitia di quella, onde, per virt della quale contemplatione, lalma e giocon-
da luce (vv. 17-18), della divina bellezza, splender, per liberale participazione, vedeo,
con gli occhi dello intellecto, tra fronda e fronda (v. 18), cio tra queste cose sensibile, le
quali non incongruamente, per servare la medesima traslatione, sono in questo luogo
37
Cfr. G. BENIVIENI, Commento sopra a pi sue canzone et sonetti dello amore e della bellezza divina, Firenze
1500, cc. XXXv-XXXVIv.
Letteratura italiana Einaudi
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Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
per le fronde significate, imperoch cos come le fronde mancano di fructo e, per la lo-
ro levit a ogni vento piegandosi, poco tempo si preservano, cos queste cose sensibile
sono, e maxime a chi rectamente non le usa, non solo infructuose, ma pestifere, cadono
a ogni aura e a ogni movimento di fortuna e quasi in uno soffio si anihilano e in fumo si
risolvono.
Non ard limpia ecc. Bench el senso sia principio dogni nostra cognizione, nien-
tedimeno, perch, quando la anima, in se medesima raccolta, vagheggia e contempla le
cose divine, le quali solo con gli occhi della mente si discernono, lascia in tutto el mini-
sterio de sentimenti esteriori, lo officio de quali non si extende fuori delle cose sensi-
bili, di qui che, volendo io, secondo lordine premesso, in questa quarta stanza de-
monstrare el profecto della anima amante, dixi come lei era gi in tanto da queste cose
materiali e sensibili elevatasi, che inella contemplatione di epsa divina bellezza pi non
usava el ministerio de sentimenti exteriori, nonobstante che lei per quelli fussi in prima
ad questo grado pervenuta.
Non ard limpia e cruda torma deferi cani (vv. 19-20), cio di epsi sentimenti exte-
riori, e quali non immeritamente per la loro ingordigia sono decti cani, metter nellalma
e nuda (v. 21), cio da ogni qualit sensibile depurata, luce, della intelligibile bellezza, e
lor denti, loro actione, insani (v. 22) veramente e furiosi, quando da el freno della ragio-
ne ritenuti non sono. E perch tanta la grandezza e la excellentia di Dio che, quando
la anima amante tutta in lui si raccoglie, manca (come dice el Profeta) inel primo in-
gresso della casa di quello, ultimamente soggiunsi: ma stupefacti (v. 23), per el rapto del-
lo intellecto, restaro epsi sentimenti esteriori, e io, e epsa anima rest ancora lei stupe-
fatta e attonita quanto a ogni altra sua potentia e virt inferiore, quasi huom che honora
e teme (v. 24), cio in similitudine di colui che vede cosa la quale gli genera e per la sua
maiest honore e reverentia e per la excessiva sua virt horrore e spavento.
Scendien gli ardenti ecc. Tocco inelle due precedenti stanze e in uno certo modo
pregusto lo ascenso della anima in Dio mediante epse cose sensibile, in questa quinta
stanza sotto brieve compendio si insinua e demonstra onde loro habbino tanta efficacia
e virt in ridurre le anime a Dio. E brevemente accennando questo nascere solo da al-
cuni quasi raggi del divino sole relucenti in qualunque cosa creata, dixi: scendien gli ar-
denti e puri raggi (vv. 25-26), emanationi e influxi di epso divino e superceleste sole Dio
benedecto, in fra rami umbrosi (v. 26), cio in fra e corporei e subobscuri obiecti di
queste cose materiale e sensibile, lo aspecto delle quali perch scoprendosi per loro,
cio per quella luce la quale, in loro da Dio participata, resplende, scoprendosi, dico, in
qualche modo agli occhi intrinseci della anima contemplante la pura e intelligibile luce
dello auctore di quella, si anihila subito e dispare immediatamente, soggiunsi: n pria a
miei infermi e obscuri occhi (vv. 27-28), intellectuali, nudo, da ogni sensibile qualit, quel
sol, superceleste e divino, ne apparse (v. 29), mediante epsa luce impressa e participata
in queste cose materiale, che in s gli accolse, per amorosa transfusione, e l leggier cervo,
e epsa sensibile bellezza, sparse (v. 30) dalla anima contemplante, imperocch, apren-
dosi in simile rapto gli occhi dello intellecto, con e quali si pu vedere epsa divina e in-
telligibile bellezza, conseguentemente si chiugono e obscurano quelli del corpo
38
.
38
Ibid.
Letteratura italiana Einaudi
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Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
Unombra, una vana effigie (I, 36, 1) o labile immagine di altra e pi alta bel-
lezza anche, come ormai chiunque pu senza sforzo alcuno intendere, la cerva
di Poliziano. Ed lei, bellezza corporea e materiale indubbiamente, ma tale che in
s accoglie un raggio della divina bellezza a lei per divina participazione elargita,
che guida Iulio, Giuliano de Medici, per entro lintricata selva della vita fino alla
radura, dove appare quella Simonetta che, a mezzo tra il folto bosco dei sensi e la
incorporea intelligibilit del divino, si configura come organizzazione del terreno
secondo le leggi che Dio, attraverso la Natura, cispira. In questo senso, appunto,
Simonetta figura della vita civile.
N solo nelle Stanze di Angelo Poliziano. Come, infatti, tutti sanno, il Co-
mento di Lorenzo sinaugura con quattro sonetti dedicati alla morte di Simonetta
Cattaneo, evidentemente composti, insieme con le relative prose esegetiche, poco
dopo la morte della giovane donna, avvenuta come gi si detto il 26 aprile
del 1476. Lautore sente il bisogno di giustificare un comportamento apparente-
mente tanto strano quanto quello per cui la morte, che normalmente conclude
la nostra esperienza umana, si trova qui invece sulle soglie del libro e allinizio del-
la storia ideale del protagonista. Se questo avviene, egli chiarisce, per una preci-
sa ragione: la morte di Simonetta infatti intesa come morte alla vita imperfetta e,
se finalizzata a se stessa, sterile del corpo, e nascita a quella perfetta e fruttuosa
dello spirito; il tutto in obbedienza a quello di Giovanni (12, 24): Amen amen,
dico vobis, nisi granum frumenti cadens in terram mortuum fuerit, ipsum solum
manet; si autem mortuum fuerit multum fructum adfert
39
, o di Paolo (1 ad Co-
rinthios, 15, 35-36): Sed dicet aliquis: Quomodo resurgent mortui? qualive cor-
pore venient? Insipiens, tu quod seminas non vivificatur, nisi prius moriatur
40

per questo che la morte sta in apertura del Comento: essa simboleggia il passaggio
dal secondo gradino della scala dellessere, quello della vita attiva (imperfetta an-
cora, in quanto rivolta a cure terrene), al terzo, della contemplazione, almeno nei
limiti che ci sono imposti dalla carne in cui la nostra anima prigioniera, perfetta.
Alla bella defunta (alla quale, come io credo, non per altro sono dedicati quattro
sonetti, se non perch essa, fondandosi sulle quattro virt cardinali, esige un so-
netto per ciascuna di quelle virt), alla bella defunta, dicevo, che Lorenzo afferma
di avere amato di un amore impersonale e come in confuso, succede la nuova ed
ancor pi bella donna, che egli vagheggia con soli gli occhi della mente
41
.
39
(In verit, in verit vi dico, se il chicco di grano, caduto nella terra, non morto, esso rimane solo, se invece
morto, porta molto frutto).
40
(Ma qualcuno domander: Come risuscitano i morti? Con qual corpo ritorneranno? Stolto! Quello che semini
non viene vivificato, se prima non muore).
41
Cfr. LORENZO DE MEDICI, Comento, in ID.,Opere, a cura di A. Simioni, I, Bari 1939
2
, pp. 23-25.
Letteratura italiana Einaudi
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Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
Quanto al significato di cui accreditata, la Simonetta di Lorenzo identica
a quella di Poliziano. Le pagine che nel Comento la riguardano fungono da ampia
glossa per le ottave che Poliziano le dedica nelle Stanze. Siamo tra il 1474 e il
1478: Lorenzo e Poliziano compongono, in un intensissimo commercio poetico e
culturale, lOrfeo
42
e le Stanze, il Comento e gran parte delle Selve
43
, molte delle
canzoni a ballo, molti rispetti spicciolati e continuati. Se mai il criterio dellinter-
testualit ha avuto buoni argomenti per farsi invocare nella lettura di opere lette-
rarie, questo il caso e questo il momento in cui c impossibile non ascoltare
quel suo invito. E c da ritenere per certo che, nella loro prima redazione o, al-
meno, nella loro prima concezione , le Stanze non altro si proponessero di canta-
re se non il passaggio di Iulio dalla conoscenza e dallappetito sensuali (dalla vita
filargica, se si preferisce, e dalla Venere terrestre) alla conoscenza razionale e alla
vita attiva (o civile o politica, cui presiede Giunone): cos Lorenzo, collocando in
apertura del suo Comento la morte di quella donna, di cui, condottovi dalla cerva,
Giuliano si era allinizio dellanno precedente innamorato, faceva muovere se
stesso dal punto cui allora arrivava il suo pi giovane fratello.
Lascesa di Giuliano dal primo al secondo gradino della scala dellessere veni-
va decisa, nelle Stanze, da Amore, cio da Dio, e prevista da Venere in tutti i suoi
passaggi: i fatti e gli avvenimenti terreni venivano cos ricondotti ad una preordi-
natrice volont superiore. Sta in questo la giustificazione strutturale della lunga
descrizione del regno e della reggia di Venere: platonico mondo delle idee o miti-
ca et delloro o cristiano paradiso terrestre che si voglia ritenere, li che si deci-
de la decisione di Giuliano di partecipare ad una giostra, il cui significato tanto
complesso doveva, come si vede, apparire agli occhi dei fiorentini colti. La terra e
il terreno nientaltro erano, per Poliziano e per chi era ammesso alla comprensio-
ne del sottile suo gioco riservato agli eletti, se non la temporale proiezione di un
intemporale divino.
Ma quando Simonetta mor, Poliziano pot ben pensare che quella morte do-
vesse trovar posto nel poemetto, presagitavi per via dun sogno, e che, per via di
quel sogno, vi si dovesse delineare la futura storia del giovane protagonista, fino
alla sua ascesa, guidatovi dalla donna ormai assunta alla gloria del paradiso, al
vertice sommo del suo faticoso e doloroso itinerario in Dio. Di qui ove la nostra
42
Per la datazione dellOrfeo, cfr. quello che, contro alla proposta di Giovan Battista Picotti (cfr. G.B. PICOTTI,
Sulla data dellOrfeo e delle Stanze di Agnolo Poliziano (1914), in ID., Ricerche umanistiche, Firenze 1955, pp. 87-
119) ha chiarito Antonia Tissoni Benvenuti (LOrfeo del Poliziano cit., pp. 58-70).
43
Per la datazione delle Selve, mi attengo a quella da me proposta in M. MARTELLI, Studi laurenziani, Firenze
1965, pp. 135-68, che non vedo ragione di modificare dopo ledizione critica delle Selve (infelicemente ribattezzate
cfr. la recensione di Stefano Carrai, in Rivista di letteratura italiana, V (1987), pp. 195-99 Stanze), a cura di R. Ca-
stagnola, Firenze 1986.
Letteratura italiana Einaudi
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Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
ricostruzione della genesi del poemetto e della sua storia redazionale abbia una
qualche probabilit di accostarsi al vero la decisione di rifare la prima parte del
secondo libro; o, se si preferisce ritenere che le Stanze non siano mai state com-
piute, la decisione di dare un diverso sviluppo ad una storia che era stata inizial-
mente concepita altrimenti. Comunque siano andate le cose, la parte conclusiva
del poemetto non fu inclusa n nella scarna tradizione manoscritta n nella prin-
ceps bolognese, condotta certissimamente allinsaputa del poeta.
Questultima, infatti che, oltre alle Stanze e allOrfeo, contiene anche il cele-
berrimo rispetto Che fai tu, Ecco (col titolo Stanza ingeniosissima del prefato auc-
tore fuor di materia) e la canzone a ballo Non potr mai dire Amore (col titolo Can-
zonetta) , si conclude con il seguente colophon:
Qua finiscono le Stanze composte da messer Angelo Politiano, facte per la giostra de
Giuliano fratello del Magnifico Lorenzo di Medici de Fiorenzi insieme con la festa de
Orpheo et altre gentileze stampate curiosamente a Bologna per Platone delli Benedicti,
impressore accuratissimo de lanno M.CCCC.LXXXXIIII, a d nove de Agosto
44
.
Ledizione, dunque, usciva il 9 dagosto del 1494: Poliziano non sarebbe mor-
to che un mese pi tardi, nella notte tra il 28 e il 29 settembre; i Medici erano an-
cora in Firenze, n Piero immaginava che tre mesi dopo, il 7 novembre, lui e tutta
la famiglia sarebbero stati costretti allesilio. Perch mai, vivente il poeta ed impe-
ranti i Medici, un editore si sarebbe arrogato larbitrio di curare una stampa di
opere incompiute ed eterogenee, che Poliziano, a parte il rispetto su Eco, non
avrebbe certo voluto che andassero in pubblico? Se poi si tiene conto del fatto che
neppure allora la data messa in calce ad un libro corrispondeva sempre a quella
della sua uscita, potremo anche non immotivatamente sospettare che la princeps
dovesse essere assegnata non ad un paio di mesi prima, ma ad un paio di mesi do-
po la morte di Poliziano, quando alcuni Medici Piero, Giuliano e Giovanni si
fermarono appunto, giuntivi tra il 10 e l11 di novembre, a Bologna, prima tappa
del loro esilio
45
. In quelloccasione, infatti, essi poterono ben pensare che utile alla
loro causa fosse riproporre allattenzione dItalia la figura del loro poeta ufficiale.
4-5. Il significato poetico dellopera.
In quel suo mirabile saggio del 1863, Giosue Carducci aveva ben isolato la marca
stilistica delle Stanze (e, in genere, della poesia polizianea), additandola nella fu-
44
La dichiarazione si legge a p. 85 dellanastatica (A. POLIZIANO, Opera Omnia, a cura di I. Maier, III, Torino
1971) della princeps bolognese. Stupisce che alcuni storici della letteratura continuino a ritenere che Poliziano fosse e
consapevole e consenziente in occasione della princeps, quando il Sarzio stesso afferma (p. 3) il contrario: Credo an-
chora che, se alquanto al Politiano dispiacer che queste sue stanze da lui gi disprezate si stampino, [...].
45
Cfr. G.B. PICOTTI, La giovinezza di Leone X, Milano 1928 (rist. anast., con una premessa di M. Petrocchi e
unintroduzione di C. Violante, Roma 1981), pp. 587-89.
Letteratura italiana Einaudi
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Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
sione di originale primitivit e di conveniente imitazione, di vigorosa rudezza e di
morbida grazia, di lezione degli antichi e di sentimento della popolaresca moder-
nit, di atticit e di fiorentinismi, di finitezza dellarte e di espressione familiare. E
sar il caso di ricondurre il fatto non tanto ad una pura e semplice questione di
gusto, quanto alla circostanza che le Stanze (e, in genere, la poesia polizianea) ven-
nero a trovarsi nel punto di confluenza storica di due diverse spinte culturali.
Poliziano si forma, infatti, nella Firenze del giovanissimo Lorenzo e del gi
maturo Luigi Pulci, da loro accogliendo un magistero stilistico che risale certo fi-
no a Burchiello, ma che trova il suo pi grande rappresentante in Francesco dAl-
tobianco degli Alberti. Proveniente da queste fonti, resta in lui e non solo nella
sua poesia volgare, ma anche, e forse pi, in quella latina il gusto dellinfrazione
sintattica, dellespressione popolare e idiomatica, dellimprovvisa macchia di co-
lore, della violenza verbale, della divaricazione tra strutture formali e strutture se-
mantiche. a questo marchio di fabbrica, da ricondurre nel segno dellormai as-
sai ben conosciuto espressionismo fiorentino del Quattrocento, che Poliziano
uniforma la sua opera, quando guarda con particolare interesse a poeti dalla non
aurea latinit uno Stazio, un Marziale, un Giovenale e, soprattutto, un Persio,
come a suoi modelli privilegiati, sia quando si concede alla tentazione della speri-
mentazione linguistica (si pensi a rispetti come il XXVII la Serenata o Lettera in
istrambotti o a canzoni a ballo come quelle, grandi, in ottonari) in ambito volga-
re, sia quando, in ambito latino, sinoltra in quellepopea dellorrido che la gi
ricordata Sylva in scabiem o nella variopinta multiformit di un pezzo eccezionale
come il prologo ai plautini Menaechmi.
Tutto questo dicevo resta avvertibile, nel Poliziano, come sottofondo on-
nipresente della sua poesia. E tuttavia, un tale gusto tende ad equilibrarsi, dallal-
tra parte, in un movimento che, suggerito dalla assidua lezione dei classici, orien-
ta Poliziano verso la simmetria, la concinnitas, leleganza della stilizzazione. Cos,
quel sostrato denso di greve realt quotidiana, che nella sua poesia hanno deposi-
tato un Capitolo di vecchiezza di Francesco dAltobianco o un Morgante di Luigi
Pulci, sopravvive s, ma come nellaria rarefatta della pi aggraziata tra le lettera-
riet. N si tratta dellalternarsi di zone pertinenti alle due diverse e ben distin-
guibili sfere di competenza, ma della costante compresenza di timbri apparente-
mente divergenti e miracolosamente armonizzati. Si ricordi (1, 29-31) il momento
pi tumultuoso della caccia, nel corso della quale si decider il destino di Iulio:
Spargesi tutta la bella compagna,
altri alle reti, alla via pi stretta;
chi serba in coppia e can, chi gli scompagna,
chi gi 1 suo ammette, chi l richiama e alletta;
chi sprona il buon destrier per la campagna,
Letteratura italiana Einaudi
26
Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
chi ladirata fera armato aspetta,
chi si sta sovra un ramo a buon riguardo,
chi in man lo spiede e chi sacconcia el dardo.
Gi le setole arriccia e arruota e denti
el porco entro 1 burron; gi duna grotta
spunta gi 1 cavriuol; gi e vecchi armenti
de cervi van pel pian fuggendo in frotta;
timor glinganni della volpe ha spenti;
le lepri al primo assalto vanno in rotta;
di sua tana stordita esce ogni belva;
lastuto lupo vie pi si rinselva
e, rinselvato, le sagace nare
del picciol bracco pur teme il meschino;
ma 1 cervio par del veltro paventare,
de lacci el porco o del fero mastino.
Vedesi lieto or qua or l volare
fuor dogni schiera el gioven peregrino;
pel folto bosco el fer caval mette ale,
e trista fa qual fera Iulio assale
46
.
Sospetto, indubbiamente sospetto, lapparente realismo della descrizione:
certo, quellammettere o aizzare i cani e quello scompagnarli, quello spronare i
destrieri, quello star fermi alla posta, soprattutto quellaccenno, garbatamente co-
mico, alla paura di chi, onde non correre rischi, si rifugiato sopra i rassicuranti
rami di un qualche albero; e poi, le figure delle singole fiere, cinghiali e caprioli e
cervi e lepri e lupi; lo scorazzare infine dellimpetuoso e giovane cavaliere tutto
questo ed altro ancora ci dichiara la volont di evocare davanti ai nostri occhi una
scena di vita vissuta, sottolineata dalla scelta, sia pure sorvegliatamente discreta,
di un lessico, di una morfologia, di una sintassi appartenenti al fiorentino con-
temporaneo
47
. Eppure, una tale scena si ricompone, al di l dellapparente tumul-
to, nellarmoniosa simmetria delle strutture sintattiche e di quelle retoriche: sar
ora lorganizzazione di unintera ottava (la 29) e dei suoi singoli versi (3-4) o dei
suoi distici (vv. 5-7) sulla legge fondamentale della bipartizione, fino alla sua con-
clusione su un verso perfettamente bilanciato nei suoi due emistichi e nelle due
met di uno zeugma speculare: Chi in man lo spiede e chi sacconcia el dardo
(dove il primo emistichio deve farsi prestare dal secondo il verbo sacconcia il
secondo dal primo il complemento, in man); sar ora invece sufficiente a toglierle
ogni reale e cruda ferinit la presenza, al centro di unimmagine che dipinge lirto
46
A. POLIZIANO, Stanze, ed. Martelli cit., pp. 15-16.
47
Cfr. G. GHINASSI, Il volgare letterario nel Quattrocento e le Stanze del Poliziano, Firenze 1957, p. 47 (per la-
spetto fonomorfologico), p. 81 (per gli aspetti sintattici e ritmici) e pp. 143-46 (per le scelte lessicali).
Letteratura italiana Einaudi
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Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
e feroce atteggiarsi di un cinghiale, di unestesa allitterazione: Gi le setole arric-
cia e arruota e denti | el porco entro il burron (30, 1-2); sar ora, se si vuole, la
complicazione sofisticata di uno zeugma e di un chiasmo, oltrech di unepifrasi
(vv. 3-4 dellottava 31); sar infine altro, che sarebbe sovrabbondante forse mette-
re in rilievo: fatto sta che ogni tumulto del contingente e del temporale sembra
andare ad immobilizzarsi nellastratta prospettiva di una al tutto innaturale geo-
metrizzazione dello spazio. Cos, ci veniamo accorgendo che il messaggio prove-
niente al lettore dallallegoria essere gli avvenimenti terreni che si stanno can-
tando non altro se non la proiezione temporale di un sovrannaturale ed eterno di-
segno si conferma in quello suggeritoci dalle strutture stilistiche, nellincontrar-
si cio, secondo che diceva Giosue Carducci, di non saprei dire se opposti o com-
plementari registri.
stato fatto spesso, certo guardando alle ottave dedicate alla nascita di Vene-
re, cos come essa raffigurata nelle porte che chiudono la reggia della dea (1, 90-
I02), il nome di Sandro Botticelli. Ma, ora che ci si trova di fronte a queste movi-
mentatissime ed assolutamente immobili scene di caccia, altri nomi affiorano alla
nostra memoria e (come gi a quella di Guido Di Pino)
48
tra di essi il nome di
Paolo Uccello, quello, in particolare, della omologa Scena di caccia dellAshmo-
lean Museum di Oxford: l dove il tumulto che rapisce le esili figurine umane e gli
snelli segugi e i raccolti cavalli , in realt, quanto di meno tumultuoso sia dato
dimmaginare, tutto avviato com verso un unico punto di fuga, posto al centro
del quadro e sotto la protettrice chioma di impenetrabili ed imperturbabili alberi.
E si ritorni dopo avere osservato la tavola di Paolo (ma si potrebbero citare an-
che la Principessa liberata da San Giorgio della Raccolta Lanckoroswski di Vienna
o la stessa, celeberrima, Battaglia di San Romano) ad un altro passaggio delle
Stanze, a quella sorta di intermezzo comico che, nellarco di otto ottave (1, 60-67),
dipinge lo sconcerto, il timore, le ansie dei compagni che, restati loro nel fitto del-
la selva, cercano e chiamano inutilmente Iulio: solo con gli occhi ancora pieni dei
dipinti di Paolo Uccello, saremo in grado di godere pienamente quella perfetta
fusione di cronaca quotidiana e di stilizzata astrazione che costituisce la cifra del-
lepisodio.
questo equilibrio dei contrari, questa concordia discorde, il tratto che, con-
tinuamente, torna a presentarsi di fronte allintelligenza critica ed alla sensibilit
48
Cfr. G. DI PINO, Gusto figurativo nella poesia volgare del Poliziano, in Lettere italiane, VII (1955), pp. 130-
44; poi col titolo Il linguaggio visivo del Poliziano e il mito albertiano di Narciso, in ID., Umanit e stile, Messina-Fi-
renze 1957, pp. 65-86. Per il rapporto Poliziano-Botticelli, pi degli altri si terr presente A.B. FERRUOLO, Botti-
cellis Mythologies, Ficinos "De amore", Polizianos "Stanze per la giostra: their circle of love, in Art Bulletin,
XXXVII (1955), pp. 17-25.
Letteratura italiana Einaudi
28
Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
stilistica del lettore: immobile mobilit, innaturale realismo, letteraria drammati-
cit, o in qualunque altro modo la nostra capacit di evocare ossimori vorr ca-
ratterizzare lo stile polizianeo. Ecco Iulio, allinizio della caccia: quale sicurezza,
quale empito in lui, di fronte allimmagine della cerva, che Amore ha composto di
lievissimo aere! Si leggano la fine dellottava 34 e linizio della 35:
[]
E come tra le fere paventose
al gioven cacciator sofferse quella,
lieto spron il destier per lei seguire,
pensando in brieve darli agro martire.
Ma poi che nvan dal braccio el dardo scosse,
del foder trasse fuor la fida spada,
e con tanto furor il corrier mosse,
che 1 bosco folto sembrava ampia strada
49
.
Lapparizione della bellezza sensibile (come la definiva Benivieni) si ac-
compagna con la tanto baldanzosa quanto illusoria certezza di poterla conqui-
stare in un possesso queto e non alienabile. il dramma eterno delluomo. Ma
fate che il folto bosco, lintricata selva della vita, appaia sulle prime ampia stra-
da, ed ecco che impossibile ci risulta ignorare il ricordo di Dante (Inferno, V, 20:
Non tinganni lampiezza de | lintrare!)
50
e, attraverso di esso, quello di Virgi-
lio (Aeneis, VI, 126-29: [] Facilis descensus Averno; | Noctes atque dies pa-
tet atri ianua Ditis; | Sed revocare gradum superasque evadere ad auras, | Hoc
opus, hic labor est []
51
, per risalire fino al monito evangelico (Mattheus, 7,
13: Intrate per angustam portam, quia lata et spatiosa via est, quae ducit ad
perditionem, et multi sunt qui intrant per eam)
52
. Come laleatoria storia della-
nima umana sembra quietarsi nella fuga prospettica di citazioni letterarie, cos,
nello svilupparsi dellepisodio, il dato drammatico sembra risolversi in quello
erudito.
Un esempio render meglio lidea del fenomeno. La bella fera, per una sor-
ta di peregrina ipallage, assume su di s quei caratteri di stanchezza e di lan-
guore, che saranno ben presto in effetti dellincauto, ma eletto cacciatore (otta-
va 36):
49
A. POLIZIANO, Stanze, ed. Martelli cit., p. 18.
50
D. ALIGHIERI, La Divina Commedia, testo critico stabilito da G. Petrocchi con una nota introduttiva, Torino
1975, p. 19.
51
VIRGILIO, Eneide cit., p. 212 (facile la discesa allAverno: notte e giorno la porta del nero Dite sta aperta: ma
riportare il passo, uscire allaria di sopra, questo limpegno, qui la fatica).
52
(Entrate per la porta stretta, poich larga la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione e molti sono
quelli che entrano per essa).
Letteratura italiana Einaudi
29
Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
Quanto pi segue invan la vana effigie,
tanto pi di seguirla invan saccende;
tuttavia preme sue stanche vestigie,
sempre la giunge, e pur mai non la prende:
qual fino al labro sta nelle onde stigie
Tantalo, e 1 bel giardin vicin gli pende,
ma qualor lacqua o il pome vuol gustare,
subito lacqua e 1 pome via dispare
53
.
vero: tutto sembra concorrere ad esprimere limmediatezza duno stato
danimo. Il parallelismo lessicale, in primo luogo, che, sottolineando la correla-
zione sintattica, caratterizza i primi due versi dellottava, mette in rilievo singola-
re il lemma vano Quanto pi segue nvan la vana effigie, Tanto pi di seguirla
invan saccende , quasi a sviluppare il tema centrale dellepisodio, gi inaugu-
rato (ma come se il lettore solo ora fosse costretto ad accorgersene) al v. 1 del-
lottava precedente: Ma poi che nvan dal braccio el dardo scosse. Cos, nel-
lartifcio retorico della repetitio pare tradursi la natura del fenomeno cui il pas-
so si riferisce, un lavoro ripetitivo per eccellenza, lavoro senza fine e senza fine
deluso (ed suggerimento che, daltra parte, il v. 4 sincarica di ribadire attraver-
so il meccanismo dellantitesi sempre... pur mai e la bipartizione del verso
in due corrispondenti e speculari isocola), sicch tutta lottava tende a presenta-
re, nella sua intima contraddittoriet, la contraddittoriet intima di una speranza
che, diretta ai beni terreni, non ha che cosa sperare. Tutto questo vero, dicevo.
Eppure, gli artifici retorici, di cui or ora ho parlato, sono tanto insistiti ed in tale
evidenza, che essi quasi finiscono per richiamare su di s lattenzione non in
quanto mezzi espressivi, ma in quanto puri e semplici artifici retorici. Lappas-
sionata drammaticit del messaggio si coniuga con la geometrica impassibilit
delle forme.
E non si tratta soltanto dellorganizzazione della strofa su periodi simmetrici
distici o tetrastici, in prevalenza
54
, spesso correlati tra loro; n dellinclinazio-
ne a bipartire il verso sulle due sue equivalenti e bilanciate met; n, infine, di tut-
ta una serie di figure retoriche ispirate al parallelismo delle corrispondenze, tra le
quali il chiasmo, gi osservato dal fiuto di Giuseppe De Robertis, non che una
tra le molteplici manifestazioni di un solo fondamentale motivo. E soprattutto il
continuo ricorso alla atemporale classicit delle fonti che riconduce la contingen-
te vicenda ad un mondo che la contingenza del quotidiano sormonta e cancella. E
basterebbe ripensare allottava che ho riportato un attimo fa ed allufficio che vi
53
A. POLIZIANO, Stanze, ed. Martelli cit., p. 19.
54
G. GHINASSI, Il volgare letterario cit., pp. 68-82.
Letteratura italiana Einaudi
30
Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
svolge il tetrastico conclusivo, ampliando nellarco di quattro versi un rapido
schizzo di Ovidio (Metamorphoseon libri, IV, 458-59). lo stesso ufficio che, nel
corso di tutto il poemetto, assolve il reimpiego delle tessere di pi svariata prove-
nienza. Il Nannucci prima, il Carducci e il Proto poi, pi recentemente Ghino
Ghinassi, Vittore Branca, Lucia Cesarini Martinelli e Rossella Bessi
55
hanno por-
tato successivi e preziosi contributi per una precisa valutazione del debito che Po-
liziano contrasse nei confronti della poesia latina, greca e volgare: Claudiano e Si-
lio Italico, Omero e Virgilio, Teocrito e Ovidio, Stazio e Seneca e Petrarca e Dan-
te e Boccaccio tutti, a turno, forniscono immagini, espressioni, epiteti, la cui di-
sparata provenienza sottolinea la consapevolezza che tutto ha da essere riportato
allunica matrice della letterariet.
Non solo, dunque, umano e divino, ma anche e si tratta manifestamente
di termini equivalenti vita e letteratura. E vorrei sottolineare, a questo propo-
sito, la tendenza di Poliziano del Poliziano delle Stanze, beninteso a far sem-
pre nuovamente capo alle medesime formule, nel tentativo, direi, di cogliere in
un oggetto o in un movimento, eludendo qualunque tentazione di realistica mi-
mesi, non laccidente contingente e caduco, ma la sostanza eterna e necessaria.
Strano, questo, ma indubitabile trompe-lil: il fenomeno, infatti, credo sia da
attribuire, almeno in parte, alla foga frettolosa della composizione e alla eviden-
te assenza di ogni lavoro di lima; fatto sta che anche esso contribuisce allatmo-
sfera particolare che si respira nelle Stanze. Si veda, infatti. Al v. 8 dellottava 34,
gi qui sopra ricordata, Iulio pensa, apparsagli la cerva e spronato il destriere
dietro di lei, di poterle dare in breve agro martire, memore forse, oltre che
del dantesco aspro martiro (Inferno, XVI, 6), dellovidiana acris caedes
(Metamorphoseon libri, XI, 401-2) o dei ciceroniani acrioria supplicia (In Ca-
tilinam, I, 1, 3); ma il lettore non si , dal canto suo, dimenticato che identica
formula era gi occorsa allottava 9, v. 4: Dando sovente a fere agro martire.
Non diversamente per altre tessere. Allottava 26, v. 3 del primo libro, Iulio,
preparandosi alla caccia, fa frenare il corridor superbo, ma neppure questa
volta ci siamo dimenticati che lo stesso lupo, gi a 8, 6, aveva frenato, se non
un superbo, un gentil corridore. Cos, il bosco sempre e soltanto folto:
55
Cfr. A. POLIZIANO, Stanze per la giostra del Magnifico Giuliano di Piero de Medici, illustrate per la prima vol-
ta con note dellabate V. Nannucci, Firenze 1812; ID., Rime, con illustrazioni di V. Nannucci e L. Ciampolini, Firen-
ze 1814. Gi citati i lavori del Carducci, del Proto e del Ghinassi; quanto a L. Cesarini Martinelli, intendo riferirmi al
saggio In margine al commento di Angelo Poliziano alle Selve di Stazio, in Interpres, I (1978), pp. 86-145; di R.
BESSI, Per un nuovo commento alle Stanze del Poliziano, in Lettere italiane, XXXI (1979), pp. 309-41. Fonda-
mentale, per i rapporti con i Trionfi petrarcheschi e con la boccacciana Amorosa visione, V. BRANCA, Tre note poli-
zianee. 2. Unidea per le Stanze, AA.VV., Letteratura e critica. Studi in onore di Natalino Sapegno, II, Roma 1975, pp.
218-23.
Letteratura italiana Einaudi
31
Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
Gi circundata avea la lieta schiera il folto bosco (27, 1-2); Pel folto bosco el
fer caval mette ale (31, 7); Romper la via dove pi l bosco folto (35, 2);
Che 1 bosco folto sembrava ampia strada (35, 4).
Procediamo ancora un po per questo sentiero. Se Iulio, prima dinnamorar-
si, vedeva talora nel cieco labirinto errare un miserello amante (I, 12, 1-2),
ecco che le due voci cieco ed errare (a prescindere da miserello, per il cui ritorno
bisogner aspettare 22, 5) vanno subito proponendosi come elementi di una de-
terminata situazione; e, subito, nellottava seguente Iulio trover modo di dire:
Scuoti, meschin del petto il cieco errore (v. 1), Costui che 1 vulgo errante chia-
ma Amore (v. 5) e A una Cieca peste, a un mal giocondo. E quel meschin
che apre lottava 13 non pu fare a meno di tornare al primo verso dellottava 14:
Ah quanto uom meschin, che cangia voglia | Per donna [...]. E, quasi in una
catena, lo stesso modo interiettivo, con cui si apre questa ottava 14 si dichiara co-
me pura e semplice formula fissa, se ritorna al v. 5 dellottava 15 (Ah quanto
fra pi miseri dolenti) e al v. 1 dellottava 33 (Ah quanto a mirar Iulio fera co-
sa), mentre, di poco variato, era gi comparso al v. 1 dellottava 10 (Ah quante
ninfe per lui sospirorno).
In un quadro come questo, ci appare del tutto naturale che Poliziano torni ad
impiegare continuamente un aggettivo, fero, facendo ampio posto anche nella sua
forma sostantivata al femminile: fero il cavallo di Iulio a 31, 7; fero il ma-
stino a 31, 4; fera cosa mirare Iulio a 33, 1; fera la vendetta dAmore a 33,
7 e tutto questo m mezzo a fere fuggitive in caccia (17, 2), a fere che si de-
stano dai loro covili (27, 3), a fere adirate (29, 6), a fere triste (31,8), a fere
che, pur ardite, sinselvano (32, 5), a fere paventose (34, 5), finch sulla scena fa
la sua apparizione la fera per eccellenza, quella che, bella a 35, 5, scompare
una volta per tutte tra 37, 8 e 38, 1.Sbaglieremmo ove volessimo denunciare una
tal quale povert di linguaggio: il disegno che si delinea fermo nella sua gracile es-
senzialit non da accreditare sul conto di quella che sembr in passato a qualche
interprete la primitiva secchezza di un ancora ingenuo artefice. La carenza di va-
riet si risolve al contrario in suggestione deternit: negli oggetti del mondo su-
blunare gi si scorgono le caratteristiche del divino regno di Venere, dove fiori ed
animali e piante, delineati nei loro tratti eterni ed immutabili Cresce labeto
schietto e sanza nocchi (82, 1), Surge robusto el cerro e alto el faggio (83, 1),
Pruovon lor punga e daini paurosi (87, 1) e cos via , vogliono essere conside-
rati come gli archetipi del vivente, cos come esse si trovano nel mondo delle idee
o paradiso terrestre che vogliamo chiamarlo. I due livelli dellessere selva terre-
na e celeste regno di Venere si rivelano, oltre che nel dato teorico, proprio in
questo tratto stilistico, inveramento questo di quello e, viceversa, corporeizzazio-
ne quello di questo.
Letteratura italiana Einaudi
32
Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
Regno di Venere, dunque, o mente angelica, in cui si trovano le forme esem-
plari di tutte le cose. Poliziano reinterpreta le sue fonti classiche (soprattutto il De
nuptiis Honorii et Mariae di Claudiano) alla luce di una tradizione volgare e cri-
stiana che passa anche attraverso Dante; il quale, nel XXVIII del Purgatorio (vv.
118-20), si era fatto dire da Matelda:
E saper di che la campagna santa
dove tu se, dogne semenza piena,
e frutto ha in s che di l non si schianta
56
.
Questo anche il regno di Venere del Poliziano: la santa campagna, al cui
centro si alza il palazzo della dea e, alimentata dai due ruscelli confusi in un unico
corso dacqua dal dolce-amaro licore, la fontana della vita, fons vitae, piena do-
gne semenza; o, in termini platonici, dogni forma o idea di vita. La tradizione me-
dievale del giardino deliziano (hortus delitiarum) sopravvive nelle vesti della
classicheggiante stilizzazione polizianea. A monte delle Stanze, per questo verso,
non diversamente che per tutti gli altri, sta unimponente tradizione, di maggiori
e di minori, a volte di minimi, tra il Boccaccio dellintroduzione alla IV giornata
del Decameron e il Bonciani del troppo poco noto Giardino
57
.
Per questo ci sembra che solo alla luce del suo significato allegorico piena-
mente si sveli il messaggio poetico affidato da Poliziano al suo poemetto: quella-
ria dincanto e di sovrannaturale che molti lettori hanno visto circolare per le ot-
tave polizianee sembra essere non altro che il raggio della bellezza divina che pe-
netra, scendendo dallalto dei cieli, nella opacit sempre pi densa del terreno. Il
regno di Venere lidea eterna del pratello dove appare Simonetta; Simonetta
limprovviso fermarsi della imprendibile mobilit della candida cerva. Per questo,
dal corporeo traluce lo spirituale, dal terreno il celeste, dallumano il divino, lar-
te di Poliziano propiziando la fusione di dati altrimenti inconciliabili.
Ma il lettore pu ormai vedere da s che cosa significasse in realt laffasci-
nante diagnosi di Giosue Carducci. Nellincontro di opposita che caratterizza lar-
te polizianea originale primitivit e conveniente imitazione; vigorosa rudezza e
morbida grazia; lezione degli antichi classici e sentimento della popolaresca mo-
dernit; atticit e fiorentinismi; finitezza dellarte ed espressione familiare , quel-
li che sincontrano sono gli elementi di una coppia originaria e fondamentale: lu-
mano e il divino. Nella primitivit, nella rudezza, nella popolaresca modernit,
nel fiorentinismo, nellespressione familiare, riaffiorer ogni volta il contingente e
Letteratura italiana Einaudi
33
Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
56
D. ALIGHIERI, La Divina Commedia cit., p. 256.
57
Il poemetto ci stato trasmesso in due redazioni: una, dal codice C sup. 35 della Biblioteca Ambrosiana di Mi-
lano, assunta a testo da Antonio Lanza nei suoi Lirici toscani cit., I, pp. 305-23; laltra, ancora inedita, dal codice Pan-
ciatichi 25 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.
la caduca mobilit dellumano; nellimitazione letteraria, nella eleganza dello stile,
nel classicismo dellantichit, nella finitezza dellarte, nellatticit, si rifaranno
ogni volta avanti il necessario e limmutabile eternit del divino. Non era certo
per una impudica cortigianeria che Poliziano immaginava dal regno di Venere es-
sere discesa la decisione di quella giostra che, ove Giuliano lavesse davvero vinta,
doveva celebrare la fortuna di Firenze, il successo dei Medici, la gloria del loro
pi giovane rampollo. La cronaca e si tratta ancora di due termini opposti si
presentava come attuazione terrena di un disegno deciso in cielo. Loccasione co-
me aveva detto il platonico Porfirio era occasione verso lintelligibile: ma anche,
dellintelligibile, sensibile manifestazione
58
.
6. Nota bibliografica.
La letteratura critica intorno alle Stanze si mossa finora lungo quattro direttrici,
restate in sostanza costantemente indipendenti luna dallaltra: lindagine filologi-
ca e testuale; quella storica e documentaria; quella filosofica ed erudita; quella sti-
listica ed estetica.
Quanto al primo punto, nel paragrafo 1.2 di questo studio sono state antici-
pate, perch indispensabili alla ricostruzione della genesi del poemetto, le notizie
relative alla sezione della bibliografia riguardante il problema ecdotico. Baster
qui completare quello schizzo, registrando lo studio di P. VECCHI GALLI, Ac-
cessioni polizianee in una miscellanea di poesie cortigiane (il nuovo testimone delle
Stanze), in Studi e problemi di critica testuale, XXXII (1986), pp. 1329, in
cui lautrice ragguaglia sul codice n. 10 del Convento di SantAntonio in Bologna,
scoperto dal padre Celestino Piana (cfr. C. PIANA, Codici medioevali e rinasci-
mentali nel convento di S. Antonio a Bologna, in Xenia Medii Aevi historiam illu-
strantia oblata Thomae Kaeppeli O. P., a cura di R. Creytens e P. Kunzle, II, Roma
1978, pp. 595-600) e contenente, tra laltro, anche il primo libro delle Stanze (di
cui si parla in particolare alle pp. 21-29).
Sullavvenimento cui le Stanze sono dedicate si terranno presenti i seguenti
documenti insieme con gli studi ad essi dedicati:
1) G. A. AUGURELLO, Amica ad magnanimum Iulianum Medicem. une-
legia di 134 versi (preceduti da altri 22, in nome dellautore, di protasi e dinvoca-
zione alle Muse), nella quale si finge che una fanciulla verosimilmente Simonet-
ta Cattaneo esprima il suo orgoglio per la vittoria riportata da Giuliano nella
giostra e ricordi i timori e le ansie con cui ella ha vissuto la vigilia e lo svolgersi del
Letteratura italiana Einaudi
34
Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
58
Inutile ricordare che Guida verso lintelligibile (Aforma prj ta\ noht) il titolo di unopera di Porfirio arri-
vata fino a noi.
combattimento. Giovanni Aurelio Augurello, riminese, vissuto tra il 1441 e il
1524, stimato dal Bembo, fu anche auditore del Poliziano allo Studio (cfr. I. DEL
LUNGO, La giostra di Giuliano, in ID., Florentia. Uomini e cose del Quattrocen-
to, Firenze 1897, pp. 397-402).
2) N. NALDI, Hastiludium, di cui gi si detto (cfr. comunque: A. HALU-
BEI, tude sur la joute de Juien et sur les bucoliques ddies Laurent de Mdicis,
in Humanisme et Renaissance, III (1936), pp. 169-86 e 309-26; N. NALDI, Bu-
colica. Volaterrais. Hastiludium. Carmina Varia, a cura di W. L. Grant, Firenze
1974, p. 13, con ledizione del poemetto alle pp. 119-33).
3) F. CORSINI, De equestri certamine opusculum ad Petrum Guicciardinum
amicum suum, pubblicato da P. O. Kristeller (Un documento sconosciuto sulla gio-
stra di Giuliano de Medici, in P. O. KRISTELLER, Studies in Renaissance Thou-
ght and Letters, Roma 1956, pp. 437-50).
4) Descrizione anonima della giostra in prosa volgare, inedita nel codice II.
IV. 324 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, cc. 122-35 (cfr. G. POG-
GI, La giostra medicea del 1475 e la Pallade del Botticelli, in LArte, V (1902),
pp. 71-77).
Altri documenti sulla giostra sono stati pubblicati da C. DE FABRICZY, An-
drea Del Verrocchio a servizio dei Medici, in Archivio storico dellarte, serie II, I
(1895), pp. 163-76; da E. TEDESCHI, Alcune notizie fiorentine tratte dallArchi-
vio Gonzaga di Mantova. Seconda met del secolo XV, Badia Polesine 1925; soprat-
tutto da E. FUMAGALLI, Nuovi documenti su Lorenzo e Giuliano de Medici, in
Italia medioevale e umanistica, XXIII (1980), 141-64 (corrispondenti alla secon-
da parte del lavoro, Galeazzo Maria Sforza e la giostra del Magnifico Giuliano).
Nellambito della ricerca storica, sar anche da segnalare A. NERI, La Simo-
netta, in Giornale storico della letteratura italiana, V (1885), pp. 131-41. Ormai
superato il lavoro di G. B. PICOTTI, Sulla data dellOrfeo e delle Stanze di
Agnolo Poliziano (1914), in ID., Ricerche umanistiche, Firenze 1955, p. 87-119.
Sul significato dellimpresa adottata da Giuliano per la giostra e sulla Pallade
del Botticelli, cfr. R. WITTKOWER, Transformations of Minerva in Renaissance
imagery, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, II (1938-39), pp.
194-205; R. M. RUGGIERI, Letterati, pittori e poeti intorno alla giostra di Giulia-
no de Medici (1959), in ID., Lumanesimo cavalleresco italiano da Dante al Pulci,
Roma 1962, pp. 163-98; S. SETTIS, Citarea su una impresa di bronconi, in Jour-
nal of the Warburg and Courtauld Institutes, XXXIV (1971), pp. 135-77 (donde
muovono altri lettori e commentatori: M. L. DOGLIO, Metamorfosi, simbolo e
favola. Per una lettura delle Stanze del Poliziano, in Italianistica, XII (1983),
pp. 197-216; S. CARRAI, Introduzione alla sua edizione di A. POLIZIANO,
Stanze. Fabula di Orfeo, Milano 1988).
Letteratura italiana Einaudi
35
Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
Nello studio ora citato, il Settis discute un altro lavoro di R. M. RUGGIERI,
Spiriti e forme epico-cavalleresche nella Giostra del Poliziano (1959), in ID.,
Umanesimo cavalleresco cit., pp. 135-62, importante per aver rimesso in circola-
zione unidea gi avanzata nello studio di E. PROTO, Elementi classici e romanzi
nelle Stanze del Poliziano, in Studi di letteratura italiana, I (1899), pp. 318-
338, quella cio per cui, nelle Stanze, si darebbe luogo a una serie di petrarcheschi
trionfi: un Triumphus Cupidinis (linnamoramento del giovane), un Triumphus
Pudicitiae (la resistenza di Simonetta), un Triumphus Mortis (la morte di lei), un
Triumphus Famae o Gloriae e un Triumphus Aeternitatis. Una tale lettura delle
Stanze ha in realt qualche cosa in comune con lintuizione di fondo su cui si svol-
gono queste nostre pagine: a tal punto che Vittore Branca, il quale gi, isolando
nel poemetto (e a solo titolo esemplificativo) una insigne quantit di citazioni e di
echi dai Trionfi del Petrarca (ma anche dalla boccacciana Amorosa visione) aveva
brillantemente sviluppato la proposta del Ruggieri (cfr. V. BRANCA, Tre note po-
lizianee. 2. Unidea per le Stanze, in AA.VV., Letteratura e critica. Studi in onore
di Natalino Sapegno, II, Roma 1975, pp. 218-23), ripubblicando quel suo lavoro
in V. BRANCA, Poliziano e lumanesimo della parola, Torino 1983, pp. 44-54,
pot schedare e registrare, come concorde con la sua, anche linterpretazione che
delle Stanze aveva dato il sottoscritto nel suo saggio del 1979 (Cfr. M. MARTEL-
LI, Simbolo e struttura delle Stanze, postfazione alla mia edizione di A. POLI-
ZIANO, Stanze cominciate per la giostra di Giuliano de Medici, Alpignano 1979,
pp. 89-125) e che alla base di questo capitolo. Naturalmente, lidea di trionfi
che, in una sorta di climax, si vincono lun laltro s coerente con la nostra, ma a
patto che i trionfi siano ridotti a tre: un Triumphus Cupidinis (la cerva, o vita vo-
luptuaria); un Triumphus Pudicitiae (Simonetta, o vita activa: e tuttuno col
Triumphus Gloriae, visto che la gloria terrena si conquista nellesercizio della vita
attiva); un Triumphus Aeternitatis (Simonetta, o vita theoretica, quando ella, fatta
celeste, dal cielo assume la guida di Iulio). Ed idea profondamente cristiana, che
cristianissimamente era stata cantata e vissuta da Francesco Petrarca: sicch pu
stupire che il Ruggieri parli poi, nel suo studio, di un paganesimo integrale delle
Stanze, procedendo a unopposizione che, da una parte, vede schierato il solo Po-
liziano, dallaltra tutta la letteratura epico-cavalleresca, dalla Chanson de Roland
fino alla Gerusalemme liberata.
Ruggero M. Ruggieri concludeva il suo studio con una proposta di lettura
poetica delle Stanze indipendente, se non mi sbaglio, da quanto in quel suo lavo-
ro la precedeva e ad esso, nel fatto, del tutto estranea. Se per lo studioso ad ispi-
rare le Stanze era stato in pratica il gusto sovrano dellarte, il fatto che una tale
proposta si collocava nellambito di quella corrente che, ora con pi sciolta ed
ora con pi frenata ammirazione (ma anche ora con pi avvertibile ed ora con
Letteratura italiana Einaudi
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Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
meno fastidioso disagio), aveva identificato nel gusto della sapiente ornamenta-
zione classicheggiante il vero centro ispiratore del poemetto. Ed era eredit di
lontana data. Francesco Ambrosoli, esprimendo notevoli riserve sul programma
della rivista Il Poliziano, che Carducci e i suoi amici si apprestavano a varare,
scriveva in data 25 ottobre 1858 una lettera ai Compilatori della rivista (Lette-
ra del professore Francesco Ambrosoli ad uno dei compilatori del Poliziano, in
Il Poliziano. Studi di letteratura, I (1859), pp. 7-9; la citazione a p. 9), nella
quale esprimeva i suoi timori circa la possibilit che si rinnovasse un errore stato
gi lungamente dannoso allItalia, di chiamar letteratura la forma, cio la lingua e
lo stile, (perciocch, aggiungeva, non daltro che di lingua e di stile possono
arricchirci oggid gli scritti del Poliziano); e prevedeva un possibile insuccesso
della rivista, dacch i giovani erano ormai convinti e, a suo parere, non ingiusta-
mente che il suo programma, fondato sulla promozione dei severi studi di filolo-
gia, conduceva inevitabilmente a quella fallace ed eccessiva imitazione dei Latini
e dei Greci, nella quale si era estinta la vera letteratura italiana, e dalla quale non
aveva saputo rendersi immune neanche il Poliziano (sulla presa di posizione del-
lAmbrosoli ma anche sulla visione che il Carducci ebbe del Poliziano si po-
tr vedere M. MARTELLI, Carducci e la letteratura italiana da Petrarca a Polizia-
no, in Carducci e la letteratura italiana. Studi per il centocinquantenario della na-
scita di Giosue Carducci. Atti del Convegno di Bologna, (11-13 ottobre 1985), a cu-
ra di R. Avesani, G. Billanovich, M. Ferrari, G. Pozzi e M. Regoliosi, Padova
1988, pp. 193-21I).
La lettera dellAmbrosoli, pubblicata nel primo numero del Poliziano, ri-
fletteva la comune coscienza critica del patriota italiano tipo alle soglie dellu-
nit nazionale. E se ad essa abbiamo lasciato tanto spazio perch su questa co-
mune coscienza critica si sarebbe di l a breve fondato Francesco De Sanctis, per
stilare, nella Storia (1870) e in un capitolo che sintitolava appunto, come ad em-
blema di tutta unepoca, a quelle Stanze il cui autore aveva avuto uno squisito
sentimento della forma nella piena indifferenza di ogni contenuto (cfr. F. DE
SANCTIS, Storia della letteratura italiana, a cura di B. Croce, Bari 1949
4
, p. 365)
, un giudizio sul poemetto in cui la condanna nei confronti dellassenza di ogni
ideale riusciva a stento a far posto ad un freddo apprezzamento nei confronti di
una perizia artistica, donde per altro non poteva nascere se non unispirazione
episodica, frammentaria, analitica. Con la volont di salvare il Poliziano-poeta si
scontra, nella riflessione desanctisiana, la necessit di condannare il Poliziano-let-
terato. di qui, infatti mentre la lettura carducciana viene praticamente dimen-
ticata , che ha origine lindisponente disagio, che ha lasciato malamente riposare
la critica di obbedienza crociana, quella soprattutto fra le due guerre, ma anche i
suoi epigoni.
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Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
difficile ormai per noi comprendere da quali motivazioni fosse spinto e
per quali strade si muovesse un lavoro critico che, come quello, prescindesse da
ogni interesse di carattere teorico, che, rivolto ad accertare il pensiero filosofico
o lorientamento ideologico dun autore, correttamente considerasse luniverso
stilistico di unopera non altro se non la metafora epistemologica di quel pensie-
ro e di quellorientamento. E si ha a volte, scorrendo studi e saggi di quel perio-
do, la sensazione, se non del totalmente gratuito, almeno dellassolutamente in-
dimostrabile. Le caratterizzazioni che successivamente si proposero allora della
poesia delle Stanze sembrano, per questo, non superare i limiti della pura an-
che se ora pi fine ed ora men fine impressione. Cos, con maggiore o con mi -
nore simpatia nei confronti delloggetto, ci fu chi parl di musicalit e chi di pit-
toricit, chi di malinconia e di presaga mestizia, chi di frammentariet s, ma di
frammenti in s perfetti, chi di commossa rievocazione del mondo classico, chi
di spiritualizzata sensualit, chi di fanciullesca primitivit, chi di gusto e chi di
valori figurativi, chi di succoso lavoro dellape, chi perfino (forse pensando a
Supp) di poeta-contadino (ecco una parca lista di titoli, appartenenti a quelle-
poca: A. FUMAGALLI, Angelo Poliziano, Roma-Milano-Napoli s.d.; A. MOMI-
GLIANO, Il motivo dominante della poesia del Poliziano, nella sua edizione di A.
POLIZIANO, Le Stanze, lOrfeo e le Rime, Torino 1921; E. RHO, La lirica di
Angelo Poliziano, I. La poesia volgare, Torino-Genova 1923; G. VACCARELLA,
Poliziano, Torino 1925; P. MASTRI, Prefazione ad A. POLIZIANO, Rime, Fi-
renze 1929; M. ROSSI, La poesia di Angelo Poliziano, in Annali della istruzione
media, VI (1930), pp. 485-516; G. DE ROBERTIS, Larte del Poliziano, nella
sua edizione di A. POLIZIANO, Le Stanze, lOrfeo e le Rime, Firenze 1932; ID.,
Le Stanze o dellottava concertante, in ID., studi, Firenze 1953_, pp. 62-68; ID.,
Le Stanze o del chiasmo, ibid., pp. 69-75; L. MALAGOLI, Le Stanze e lOr-
feo e lo spirito del Quattrocento, Roma 1941; ID., Il Poliziano poeta, in AA.VV.,
Il Poliziano e il suo tempo. Atti del IV Convegno internazionale di studi sul Rina-
scimento (Firenze, 23-2 6 settembre 1954), Firenze 1957, pp. 41-45; R. LO CA-
SCIO, Il lavoro dellape e la poesia delle Stanze, ibid., pp. 289-331; A. RUSSI,
Un luogo delle Stanze e la poesia del Poliziano, in Annali della Scuola Norma-
le Superiore di Pisa, XX (1951), pp. 129-39; G. C. OLI, Valori figurativi nelle-
ducazione poetica del Poliziano, in Rinascimento, X (1959), pp. 197-220). Ma
tutto questo senza che mai le disparate caratterizzazioni avvertissero la neces-
sit di appoggiarsi su solide ricerche condotte nellambito del pensiero polizia-
neo. Ma si sa: fu quella lepoca in cui alla poesia del passato si guard con gli
stessi strumenti con cui la critica militante guarda da sempre al prodotto uscito il
giorno prima dalla tipografia. Al lettore, giudicare se il nostro lavoro sia stato ca-
pace di superare questi limiti.
Letteratura italiana Einaudi
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Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa
I titoli forniti in questo paragrafo si riferiscono esclusivamente alle Stanze n
tengono conto delle sezioni ad esse dedicate nelle opere generali; daltronde essi,
limitandosi a definirne le fondamentali linee direttrici, non pretendono neppure
di esaurire la bibliografia relativa al poemetto. Studiosi e lettori che desiderino
farlo potranno utilmente consultare i seguenti strumenti bibliografici: B. MAIER,
Agnolo Poliziano, in I classici italiani nella storia della critica, diretto da W. Binni,
I. Da Dante a Marino, Firenze 1954, pp. 231-56; R. LO CASCIO, Poliziano, in
Storia della Critica, diretta da G. Petronio, VIII, Palermo 1970; D. DEL CORNO
BRANCA, Rassegna polizianesca (1967-71), in Lettere italiane, XXIV (1972),
pp. 100-12; A. BETTINZOLI, Rassegna di studi sul Poliziano (1972-1986), ibid.,
XXXIX (1987), pp. 53-125. E sta infine per uscire laggiornamento bibliografico
curato da Rossella Bessi per la nuova edizione del Quattrocento vallardiano di Vit-
torio Rossi.
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Stanze di Angelo Poliziano - Alberto Asor Rosa

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