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Pesaro 2008
Pierpaolo Bellucci
Pesaro eucaristica
Guida
al Museo Diocesano
Pesaro 2008
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INDICE
• Pesaro nell’Ottocento
• Il museo diocesano
4. Sala dell’Eucaristia
• La pisside eburnea
• Le confraternite a Pesaro
• Glossario
• Bibliografia
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LA CHIESA HA BISOGNO DELL’ARTE
tratta dalla lettera agli artisti di Giovanni Paolo II, echeggia il pensiero di Paolo VI e
piena coerenza con la scelta di diventare egli stesso, nell’Incarnazione, icona di Dio
del progetto del Padre realizzato in Cristo. La Chiesa a sua volta ha bisogno dell’arte
e dei valori della tradizione cristiana per svolgere la missione evangelica. Uno storico
della teologia farebbe opera incompleta se non riservasse la dovuta attenzione alle
dei veri luoghi teologici”. Fino ad ieri, i musei ecclesiastici si consideravano poco più
contenuto delle opere come parte integrante del loro magistero e nel luogo deputato
a questo scopo: la Chiesa. Oggi invece la situazione è diversa, anzi quasi capovolta.
stessi a riproporre i contenuti della fede attraverso l’arte ecclesiastica. Non sarebbe
esagerato affermare che per molti nostri contemporanei è ormai più sacro il museo,
con la sua evidente funzione sociale a funzione della collettività, che la cattedrale,
l’uomo è più aperto all’attività culturale che a quella cultuale, incontriamolo nei
musei, fin quando non sarà lui stesso a voler tornare in chiesa. Il compito dei musei
vantaggio particolare. A differenza del museo laico, dove la pala d’altare si trova
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tutte in un unico sistema culturale, con il filo conduttore contestuale che è la liturgia
(il 90% degli oggetti esposti nei musei sono stati creati per uso liturgico). Ricostruire
questo contesti significa dare senso alle opere e nel contempo valorizzare al massimo
il museo così definito verrebbe ad essere un affare per preti e vescovi. Lo stesso
vocabolario contiene anche l’aggettivo “ecclesiale”, che si riferisce alla “Chiesa, nel
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LE RADICI DELLA CHIESA PESARESE
all’età apostolica. La realtà diocesana era in gran parte coincidente con l’estensione
regolare, in coincidenza con la linea mediana del tratto di Flaminia che congiungeva
settentrionale della diocesi medievale, in gran parte segnato dal corso del fiume
agro-romano avesse ereditato l’ubicazione delle primitive ecclesiae (VI secolo), a loro
tipologie plebane: pievi vallive lungo il corso del Foglia, come San Martino in Foglia,
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approfittarne, giovandosi di nuove annessioni, mentre Pisaurum rimase estranea al
archeologico-epigrafico, unica data certa nella storia cittadina è rappresentata dal 541
d.C., quando la civitas subì distruzioni ad opera delle truppe capeggiate da Vitige nel
lasciar decadere questi centri costieri, utili per i traffici commerciali. Il brutale
dei primi santi cittadini non pone indicazioni circa la data di cristianizzazione di
Pisaurum. La vita di San Terenzio è stata redatta attorno al XIII secolo, mentre si
sanno dati più precisi su San Decenzio e San Germano, i quali sarebbero giunti a
Roma dalle regioni britanniche nel 296 d.C., dove ricevettero il battesimo e si
uccisi il 28 ottobre del 312 d.C.; ancor più fumosa è la leggenda che illustra le gesta di
Sant’Eracliano, il quale visse nella prima metà del IV secolo, fu vescovo a Pesaro ed
era conosciuto per essere erudito di sacra dottrina. Chi non indica Terenzio come
patrono, ma la cui effettiva esistenza non è certa di autenticità. Seguono sul soglio
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storiografia locale pesarese individua nella chiesa di San Decenzio il primo luogo di
ritrovo della comunità cristiana, anche se interventi recenti fanno risalire alla zona
trovare sotto l’attuale via Canonica, all’altezza del primo litostroto dei mosaici del
Duomo. Solo in seguito la comunità si sarebbe spostata nella zona suburbana, dopo
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PESARO NELL’OTTOCENTO
delineare i mutamenti che hanno profondamente cambiato la città negli ultimi 150
anni. La fonte sono le due guide di Pesaro scritte da Giuliano Vanzolini, nel 1864 e
nel 1883.
in cui la forma differente delle colline rompe la monotonia della pianura. La figura
circondata da mura alte e solide, guarnite di bastioni e cinte da un fosso largo, nel
convento dei Cappuccini, o Collina, perché dà sulla strada che porta ai colli vicini. La
seconda porta è detta Fanestra, perché conduce a Fano (sarebbe l’odierno piazzale
Matteotti, e via Cialdini era la strada che conduceva verso Fano, passando per il
borgo periferico di Muraglia). La terza è detta Porta Sale, perché lì vicino si conserva
quarta entrata è detta Porta del Porto, perché conduce al canale dove sono ancorate le
barche dei marinai. La quinta si chiama Porta Rimini (ancora esistente), e sorge
davanti al c.d. Ponte Vecchio che cavalca il fiume Foglia. Attraverso questa porta
s’imbocca la strada per Rimini. Sulla parte alta delle mura girava un’ampia strada
che nel 1830 fu ridotta a pubblico passaggio, con filari di alberi esotici che rendono
delizioso il luogo.
Le strade principali. Le vie interne sono discretamente ampie e ben selciate. Fra esse
primeggia via San Francesco, che partendo da Porta Fano attraversa piazza Maggiore
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(l’attuale piazza del Popolo), e dopo questa prende il nome di Corso, fiancheggiata
da edifici eleganti appartenuti per lo più a casate nobili. In fondo al Corso si trova
Un’altra arteria importante è via San Carlo (oggi via Passeri), che dalla piazza del
Trebbio (piazza Lazzarini) arrivano sino a Porta Rimini. Dal Trebbio parte via dei
Calzolai (via Branca), prosegue nella piazza e sfocia in via Rossini. Un’altra strada
parte quasi di fronte all’umile casa natale di Gioacchino Rossini, fiancheggia palazzo
la montata della Ginevra arrivando nella zona del Ghetto grande, e termina in
vicinanza della caserma dei monaci. Altra via degna di nota l’odierna via Mazzini,
che dalla chiesa di San Giovanni arriva sino alla pescheria. Fuori dalla città, via Doria
va dalla barriera del porto sino alla dogana, in strada del porto. Quest’ultima, parte
dal bastione del Carmine sotto la torre dell’osservatorio, correndo lungo il canale per
Le piazze. Tre sono le più frequentate. Quella del Trebbio è la più ampia, ornata di
una piccola fontana e fiancheggiata in parte dal teatro. La piazza Maggiore, di forma
quadrata, a cui fanno corona grandiosi edifici, ornata anch’essa da una fontana, da
cui sgorga acqua purissima. Piazza del Porto è la più piccola, e la fontana che ospita
Il porto. La larghezza del porto canale è 35 metri. Nel 1855 ci furono due piene, che
portarono l’acqua a strabordare, e l’accumulo dei detriti rese più difficile l’entrata nel
Geografia cittadina. Pesaro è posta alla latitudine di 43° 55’, e alla longitudine di 10°
34’. Nei punti più alti raggiunge l’altezza sul livello del mare di 15 metri, nei punti
più bassi di soli tre metri. Il piano antico era molto più basso, e se ne ha prova nei tre
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autorevole, a detta del Vanzolini, è però il tentativo del conte Paoli di scavare per 4.7
metri sotto Porta Fano, rinvenendo parte della Flaminia. I monti circostanti di
maggiore importanza sono il San Bartolo, alto 180 metri, e l’Ardizio: entrambi
appartengono a quella catena di colline che, costeggiando il mare dalla foce del
Musone, arrivano sino a Cattolica, per una lunghezza complessiva di 90 km. Nel
circondario, la serie di colline più alte cammina da Fosso Sejore verso l’Arzilla,
Pesaro in una conca di rara bellezza. Un’altra catena abbraccia Candelara, Calibano
l’Imperiale e Caprile.
E’ raro che in estate il termometro superi 32°, e che in inverno scenda sotto i meno 6°,
anche se nel 1863 arrivò sino a meno 12°. Nel decennio 1853-63 la media annuale è
stata di 17°, suddivisa in 8° nella stagione invernale, 15° in primavera, 26° in estate e
Le parrocchie. In città sono sei. Cattedrale, San Giacomo, San Michele Arcangelo, San
Cassiano, Santa Lucia, San Niccolò. All’esterno sono cinque: Trebbiantico, Santa
Roncaglia.
Statistiche sugli abitanti. I 19.905 abitanti totali (città e contado), sono così suddivisi:
10.740 entro le mura, 1.807 al Porto, 833 nelle ville di Santa Maria delle Fabbrecce,
abitanti. Le famiglie sono 2.525 in città e 1.784 nelle ville. In totale i nuclei sono 4.299.
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Si contano 3.957 capifamiglia, di cui 3.390 uomini e 567 donne. In totale ci sono 10.255
maschi e 9.650 femmine. I celibi maschi sono 6.238, le femmine 5.158 (11.396). i
coniugati sono 7.046, i vedovi 476 uomini e 987 donne. Parlano il francese in quattro,
l’inglese in due. I cattolici sono 19.685, gli atei due, gli ebrei 218. Abbiamo 5.736
under 15, 5.346 tra i 15 e i 30 anni, 7.206 tra i 30 e i 60 anni, 1.697 over 60, precisando
che il più anziano ha 94 anni. In 788 sanno leggere, in 4.782 leggere e scrivere, 14.335
sono analfabeti.
armaioli, quattro arrotini, sette avvocati, 64 barbieri, quattro becchini, 130 bottegai,
278 calzolai, 55 camerieri, sei cantonieri, 20 cappellai, dieci carbonai, 63 carrettieri, sei
cordai, 180 cucitrici, 40 cuochi, 14 droghieri, 116 fabbri, 82 facchini, 163 falegnami, 18
muratori, 81 negozianti, nove notai, 121 ortolani, 38 osti, 134 pensionati, 108
437 studenti, 7.065 disoccupati, 616 servi (uomini e donne), 620 soldati, 16 stallieri,
144 tessitrici.
Pesaro 20 anni dopo. Nel 1883 la popolazione sale a 21.150 abitanti (+ 1.245 rispetto
al 1864), di cui 11.123 in città, 2.057 al porto, 3.642 a Fabbrecce, 2.858 a Calibano e
Paterniano (1.126), San Nicolò (4.006), Santi Cassiano ed Eracliano (3.953), Santa
Maria di Loreto (690), San Giuliano in Trebbiantico (1.081), San Pietro in Calibano
(2.474), Santa Maria delle Fabbrecce (1.953), San Matteo di Roncaglia (879), Santa
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Maria in Cuspisano (748, di nuova erezione), Santo Stefano di Candelara (398, idem),
San Giovanni in Monteluro (62, idem). Nella guida viene fatto un bilancio sulla
tavole statistiche non offrono soddisfacenti risultati, poiché il numero degli alfabeti è
ancora alto (955 obbligati, 876 iscritti, 79 mancanti di cui 26 assenti ingiustificati, 76
primarie, urbane e rurali, e la stretta applicazione delle ultime leggi che rendono
obbligatoria l’istruzione, fanno ben sperare che nella crescente generazione anche a
serali e festive, 27 insegnanti e 1.520 iscritti (900 maschi e 620 femmine). Dal punto di
vista industriale, “sei filande a vapore lavorano tra i sei e gli otto mesi l’anno,
impiegando 850 operaie, mentre le 11 filande a fuoco diretto lavorano quattro mesi e
impiegano 170 operaie. Quattro officine meccaniche occupano 130 operai, tra cui
primeggia quella di casa Albani, che possiede anche una raffineria di zolfo e un
Ottone Hoz. A seguire, uno stabilimento ortofrutticolo è posto fuori Porta Rimini, tre
fornaci di laterizi danno lavoro per sei mesi a 150 operai. Due stabilimenti
tipografici, tra cui quello della ditta Annesso Nobili, occupano 60 operai. Tre
litografie, tre fabbriche di ceramiche, una di sapone e candele, una di letti di ferro,
quattro fabbriche di paste delle quali una a vapore, due fabbriche d’acqua di Seltz e
Turismo in città. Nella guida del Vanzolini si fa una proposta di giro turistico per la
l’annessa chiesa di Sant’Ubaldo, seguitando per via San Francesco con l’omonima
chiesa e quella di San Rocco, palazzo Baldassini e la chiesa dei Servi. Passeggiando
sui bastioni delle mura, visitare la fortezza e le mura del Duomo. Arrivati nella
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Pandolfo Collenuccio, casa Rossini, palazzo Toschi Mosca, palazzo Reggiani (già
Tornati in piazza Maggiore, si scende per il Corso, dando uno sguardo a casa
Belenzoni, e girando a destra si risale verso piazza Mosca, con casa Vaccai. Passando
Perticari, osservare la casa di Giulio Perticari. Tornati nel Corso, osservare la casa
dove nacque Simone Cantarini, la chiesa del Nome di Dio e quella di Sant’Agostino,
proseguendo fino al porto canale. Ritornando sulle proprie orme, si può imboccare
via Cassi con la chiesa dei Monaci, proseguendo per l’ospedale San Salvatore e la sua
tempio dei Frati Minori Riformati, e la vicina chiesa di San Francesco di Paola,
seguitando per via Almerici fino alla chiesa della Misericordia. Poi casa Antaldi, il
museo Passeri, la chiesa di Santa Lucia, il teatro Rossini, la chiesa dei Cappuccini
salutata la casa del pittore Gian Andrea Lazzarini, la chiesa della Madonna delle
Maggiore.
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IL MUSEO DIOCESANO
Il museo diocesano testimonia l’operato della Chiesa pesarese nel tempo. Narra la
culto e per la catechesi, per la cultura e per la carità. Il museo diocesano serve a
come Seminario a partire dal 1785 per volontà dei vescovi Barsanti prima e Luvini
poi, e per opera di due architetti: il pesarese Giannandrea Lazzarini (1710-1801), che
1905 e il 1930.
1. Nella sala del sarcofago di San Decenzio è ricomposto quel piccolo museo che si
trovava nell’atrio del Vescovado, costituito nel 1775 dal vescovo De Simone con
reperti romani e paleo-cristiani provenienti dal c.d. ninfeo sacro pesarese. Elementi
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unificanti sono i due sarcofagi: quello proveniente dalla chiesa di San Decenzio,
attestazione dell’arte ravennate del VII secolo, e quello alto-medievale, della metà
2. Nella sala dei mosaici si ha modo di riflettere sul prezioso tappeto pavimentale.
3. Nella sala dei reperti archeologici sono esposti oggetti emersi negli scavi del 1990.
3. La sala del Lazzarini e del ‘700 pesarese mostra la ricchezza artistica del secolo,
4. La sala dei tessuti contiene abiti liturgici caratterizzati dalla varietà dei motivi
decorativi.
6. La sala degli argenti contiene arredi liturgici di argentieri del XIX secolo.
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1. SALA DEL SARCOFAGO DI S. DECENZIO
In questa sala si è idealmente ricomposto quel piccolo museo allestito nel 1775 dal
capitelli marmorei rilavorati in epoca medievale. Elementi unificanti della sala sono i
due sarcofagi, quello di San Decenzio, con motivi paleo-cristiani, e quello alto-
medievale.
coperchio a baule. La decorazione, dalla forte valenza simbolica, della fronte attuale
della cassa presenta al centro un clipeo con monogramma cristologico tra due palme
e due agnelli. Nella parte posteriore appare lo stesso monogramma tra pavoni
di vite e grappoli d’uva (simboli del sangue di Cristo), che si dipanano tra due
cantari buccellati.
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stata fatta da un’equipe d’archeologi, tra i quali Giambattista Passeri, Gian Andrea
intravedendo l’epigrafe sul bordo in alto, unica parte scoperta del sarcofago, visto
collocato nell’atrio del Vescovado. Il rilievo della fronte presenta la mano divina tra
due personaggi entro una cornice con epigrafe latina (versetto 16 del salmo 117). Nel
3 Sarcofago alto-medievale.
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2. SALA DEI MOSAICI
Questa sala propone una riflessione sui due tappeti musivi conservati nel Duomo. I
secolo, quello sottostante (inferiore di circa 70 cm) è del IV secolo. Durante gli scavi
archeologici effettuati tra il 1990 e il 2003, è stato effettuato lo strappo d’alcune parti
4Una fotografia del tappeto musivo sotto il pavimento della Cattedrale di Pesaro. Si tratta
del litostroto del VI secolo d.C., mentre le fessure che si intravedono permettono la visione
del primo litostroto, risalente al IV secolo d.C.
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alle mura, in prossimità di una delle quattro porte urbiche (quella posta in direzione
scoppiò verso la metà del IV secolo per il dominio dell'Italia tra i Bizantini
Roma che era la capitale religiosa, con Ravenna che era la capitale politica, con
Cattedrale distrutta. Alla fine venne ripristinato il potere di Bisanzio, dove era
L'iscrizione completa è: "Con l'aiuto di Dio e con l'intercessione della Beata Vergine
5Il plastico presenta il frammento del tappeto bizantino, mentre il pavimento inferiore è una
copia.
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Maria, Giovanni, uomo illustre, stratega di rango consolare, originario della Provincia della
Misia, ha fatto costruire dalle fondamenta questa Basilica, con ogni devozione". Pochi sono i
resti della città romana: soprattutto epigrafi, reperti di pavimenti a mosaico di edifici
Guerra Gotica del 535. Al fermano Giambattista Carducci si deve lo scoprimento dei
mosaici superiori, che erano già noti agli studiosi locali fin dal ‘600, così come si
tavole planimetriche del Carducci, nel 1867, ci furono dibattiti durati più di 30 anni,
finché, nei primi anni del ‘900, i mosaici vennero di nuovo ricoperti.
simboli delle anime alla fonte della verità. Successivamente si inseriscono nuove
sagittario, pavoni, cervi, uccelli vampiri, un ghepardo con collare, una balena che
divora brandelli umani, con accanto un moncone e una testa, una nave che si collega
più vasti risalgono al XII-XIII secolo, poco prima che la Cattedrale subisse radicali
Vengono dunque sostituite parti dei pannelli geometrici del VI secolo, inserendo
nuove figurazioni (vedi paragrafo precedente). Più sotto, a circa 60 cm dal litostroto
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comunità cristiana pesarese ha espresso, ricollegando l'eredità della cultura romana
sotto il Duomo Pesaro. Essi hanno portato alla luce rinvenimenti di epoca romana
ceramici).
6Fonte: www.arcidiocesipesaro.it
7La vetrina con alcuni reperti, frutto dei lavori di scavo effettuati sotto il sagrato della
Cattedrale, tra il 1990 e il 2003.
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4. SALA DELL’EUCARISTIA
Appena si entra nella sala dell’Eucaristia si riconosce uno splendido ostensorio, con a
fianco un tabernacolo dorato, e di fronte tre croci d’altare: si tratta di oggetti liturgici
ancora utilizzati per celebrazioni di un certo rilievo. Al centro della sala si trova la
elezione a vescovo di Ravenna nel 546 d.C.: è un raro oggetto liturgico (tre esemplari
al mondo dello stesso valore), usato per portare l’Eucaristia al di fuori degli edifici
sacri, trova qualche analogia con le due pissidi eburnee conservate a Berlino e al
Louvre. Nella pisside sono raffigurati i tre miracoli della guarigione dell’emorroissa,
della figlia di Giairo e del cieco nato. I sacri eventi alludono al ritorno alla vita, e
drammaticità.
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La pisside eburnea. Provvista di coperchio, misura 7.5 cm d’altezza (con il coperchio
della figlia di Giairo. I primi due episodi sono collegati fra loro. Da una parte una
corona d’alloro contenente una croce dai bordi profilati, dall’altra una colonna
baccellata che sorregge degli archetti, dividono le prime due scene dal miracolo della
sarcofagi risalenti ai primi secoli dopo Cristo, ma con differente disposizione della
scena. Nella scena della guarigione del cieco nato viene rappresentato Gesù nell’atto
testimoni del miracolo. Non dovrebbe alludere alla guarigione del cieco di Betsaida
(Mc 8,22-26), né a quella del cieco della piscina di Siloe (Gv 9,1-41), che prevedono
l’imposizione delle mani sulla persona da guarire, bensì dovrebbe riferirsi alla
guarigione del cieco di Gerico (Lc 18,35-43). A differenza del miracolo della
guarigione dell’emorroissa, qui Gesù non tocca il malato ma lo illumina. Ci sono due
testimoni del miracolo: a sinistra San Paolo, con la barba appuntita e la fronte calva; a
destra San Pietro, per la barba arricciata e i capelli corti. I due episodi corrispondono
L’emorroissa s’inginocchia e tocca con la mano destra l’orlo della veste di Cristo,
mentre costui si avvicina alla fanciulla seduta sul letto. All’evento sono presenti i
madre sulla destra in atto di avvicinarsi a Gesù con le mani velate, dietro al letto il
padre con un’espressione di dolore e intorno a Gesù ci sono i tre apostoli (a sinistra
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Giacomo e Giovanni, ai piedi del letto Pietro). Analizzando la pisside da un punto di
vista stilistico notiamo che le figure sono curate nell’intaglio, rispettando una certa
Pietro, il più austero Paolo e il più angosciato Giairo. La pisside può essere riferita ad
Costantinopoli.
Saletta del crocifisso ligneo. Oltrepassando la sala della pisside eburnea, si entra in
una saletta dove sono esposti oggetti attinenti al tema eucaristico, come il trono per
sacro per la cristianità poiché, in mancanza di cibo, si lascia beccare la sua stessa
sacro, poiché rappresenta Cristo che offre il suo corpo come nutrimento spirituale
per l’umanità. Crocifisso ligneo: è di colore rosso, e come molti crocifissi del basso
rimanere sotto la croce. In alto San Cristoforo, in basso Sant’Antonio Abate: la loro
presenza può essere riferita ai santi protettori della chiesa in cui era posto, oppure
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13 Crocifisso ligneo datato alla fine del Trecento. E’ opera di un tale soprannominato
“maestro del crocifisso di Pesaro”. E’ realizzato con tempera su tavola, e la provenienza non
è stata identificata.
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La sala è dedicata alla confraternita del Ss. Sacramento, associazione laica tra le 15
esistenti a Pesaro, istituita nel 1550. La confraternita, che annovera fin dalle sue
origini quali propri custodi i duchi Guidobaldo II Della Rovere (1514-1574) e la sua
malati e nel seppellire i defunti. Aveva il suo oratorio nella chiesa attigua al sagrato
del Duomo, intitolata originariamente al Buon Gesù, dal nome della compagnia
proprietaria dell’edificio con la quale si era fusa nel 1568. A documentare la storia
dell’associazione sono qui esposti alcuni pregevoli manufatti, i quali, allontanati dal
sconsacrazione dell’oratorio avvenuta nel 1956, sono oggi valorizzati nel museo.
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L’arredo dei tre altari, con i relativi dipinti e la scultura del Cristo crocifisso che si
interessamento del parroco, Giuseppe Garattoni, dove sono ancora oggi visibili. Gli
nomi degli iscritti, l’insegna caratterizzata dall’iconografia del corpo e del sangue di
Cristo, raccolti dal calice, e la banda funebre per l’accompagnamento dei confratelli
defunti.
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16Tabella con i nomi degli iscritti alla Confraternita del Ss. Sacramento. Risale all’epoca
dell’episcopato di monsignor Clemente Fares (1856-1896), il primo degli iscritti.
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17Insegna della confraternita. Al centro una copia di dimensioni ridotte del “Mistero
dell’Eucaristia”.
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LE CONFRATERNITE
regione, città, sa di avere nel proprio trascorso storico un debito umano e culturale
con una o più confraternite. Per scoprire le origini e il significato delle confraternite
occorre risalire alle vicende delle prime comunità cristiane, narrate negli Atti degli
Apostoli. Esse, alla stessa maniera delle confraternite nate nel periodo tardo-
medievale, avevano le loro assemblee legiferate da statuti, con funzionari addetti chi
alla cassa, chi ad altre mansioni amministrative. Il fenomeno trova il suo humus
Si ponevano come fine primario una serie di azioni caritative a vasto raggio: la difesa
dei deboli, il servizio ai sofferenti, la gestione degli ospedali, la sepoltura dei morti,
l’aiuto ai carcerati. Essendo questi poli di intervento già ben definiti ed operativi fin
accentratore non solo in ambito religioso, ma anche sotto il profilo politico. Sul piano
religioso, manifestano l’impegno del mondo laico nel suo tentativo di situarsi fra la
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tentativi di frenaggio dell’attività delle stesse. Utili allo studio delle confraternite
sono:
• Statuti: rappresentano il punto di vista dei funzionari, dei vescovi e dei consiglieri
deontologico.
• Gli Atti delle Visite, le relazioni di vescovi e visitatori apostolici dopo le visite alle
era invitato a fare ogni tre anni, dal quale doveva risultare lo stato della diocesi in
nulla esaminati, perché dispersi fra archivi di Stato, diocesani e privati. Si tratta di
verbali delle riunioni ufficiali, dai quali possiamo conoscere i problemi interni ad
all’incuria del tempo anche gli elenchi alfabetici degli associati, mentre restano
monastiche (i vari Terz’Ordini), non assumono voti di alcun genere e non sono tenuti
caritative. In base al criterio delle finalità, una delle classificazioni riconosce due
modelli:
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• Confraternite di culto; si dividevano in confraternite festive, deputate
Gli associati impegnavano una parte cospicua dei loro averi per far fronte alle spese,
assumeva un proprio habitus particolare, ossia tutto un corredo che i suoi soci
indossavano nelle cerimonie ufficiali. La divisa era importante per ogni confraternita,
al punto che i nuovi entrati avevano un mese di tempo per farsela cucire: doveva
essere di un determinato tessuto e colore, con disegni sul petto, e doveva essere
compagnia.
Obblighi religiosi
3. Vespro serale.
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Le confraternite oggi. Dopo le vicissitudini legislative sulla natura giuridica delle
è giunti nel 2000 ad un decreto della Cei che vara lo Statuto della confederazione
con le finalità di un tempo. A livello locale, risale al 1949 un decreto del vescovo
LE CONFRATERNITE A PESARO
che avevano formato nel 1465 l’ospedale dell’Unione, mentre in precedenza si erano
denominate Compagnia del San Salvatore. Tra la fine del ‘500 e i primi del ‘600, si
aggiungevano altre confraternite annesse alle varie parrocchie, come quelle della
Carità e del Ss. Sacramento (contigue alla Cattedrale), quella di S. Maria della Scala,
di San Donino (annessa alla parrocchia di San Nicolò), dei Crociferi (presso S.
Spirito), di San Rocco, della Carità, della Ss. Concezione, di San Giuseppe, di Santa
Maria del Ben Morire, trasferita nel 1714 presso la chiesa del Suffragio.
La confraternita del Nome di Dio. Citiamo (in lingua corrente) la prima pagina del
manoscritto n° 2 del “Libro della Creazione della Chiesa”, dove viene raccontata la
nascita della Confraternita del Nome di Dio. “Il 6 febbraio 1573 nella chiesa parrocchiale
di S. Martino in Pesaro, è stata istituita la venerabile compagnia del SS. Nome di Dio. Alcuni
devoti, ispirati dallo Spirito Santo, si sono radunati in questa chiesa per esercitare con
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confratelli è recitare l’Ufficio della Beata Vergine in tutte le feste e le vigilie dell’anno. Inoltre,
avendo saputo che in Spagna è stata istituita una Confraternita intitolata al Nome di Dio,
volta ad estinguere il pessimo vizio della bestemmia, piacque a loro di dare questo nome anche
alla loro Confraternita”. Padre Miniato Fiorentino si poneva come guida dei confratelli,
i quali: “cresciuto il fervore delle opere buone, aggiunsero alla recita dell’Ufficio della Beata
Vergine, anche l’incarico di seppellire i morti, soprattutto poveri. Decisero di vestire un abito
nero e deliberarono di vestire con tale abito anche tutti i poveri morti che andavano a
seppellire. Nel 1576, con licenza del vescovo Simonetta, fu concesso ai confratelli di chiedere
fondi per le loro attività: cominciarono dunque a seppellire quei poveri che. Portavano la bara
a spalla, e alcuni di loro seguivano il feretro facendo luce con le torce. Facevano poi celebrare
una messa di Requiem per queste anime. Questa carità veniva osservata anche nei confronti
dei poveri giustiziati”. Era tempo di provvedere ad una sede più adatta, in quanto San
Martino non faceva più al caso loro. Il 5 giugno 1577 fu posta la prima pietra in un
papa Paolo V: ordinò l’unione di più confraternite, per evitare la dispersione dei
Roma.
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La confraternita dell’Annunziata. Fu istituita dal Beato Cecco e dalla Beata
mandato di seppellire i morti poveri. La Beata Michelina la dotò della propria casa,
quelle attuali, con facciata su via dell’Annunziata e retro al fianco sinistro del Palazzo
Mosca. Nel 1782 venne soppressa dal vescovo Barsanti in esecuzione della bolla di
Pio VI. Ripristinata nel 1786, le fu assegnata la chiesa di San Rocco, ove ritornò nel
1814 alla caduta del Governo Italico napoleonico che l’aveva sciolta nei primi anni
concessa bel 1782 alla famiglia Mosca: una volta estinto il detto casato, ritornò nelle
tante altre aventi lo stesso titolo, sorte in diocesi grazie alla divulgazione delle
in Roma. Sua prima sede fu la cappella del Ss. Sacramento in Duomo: nel 1568
accettò di unirsi alla confraternita del Buon Gesù, per cui il numero di aderenti arrivò
alle 230 unità del 1618. Nel 1612 venne decisa la sistemazione dell’urna di San
Terenzio nella cappella del Ss. Sacramento, e la Confraternita, dovendo trovare altro
luogo dove porre la propria sede, decise la costruzione della chiesa del SS.
Sacramento, alla sinistra della Cattedrale, lungo l’ex Decumano. Con l’avvento dei
francesi prima e dell’unità d’Italia poi, questa confraternita non corse alcun rischio di
estinzione, proprio per il suo carattere devozionale. Fu soppressa nel 1949 dal
vescovo Porta. Nel 1957 fu presentata istanza alla Soprintendenza alle Gallerie per le
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Marche, affinché venisse concessa facoltà di trasferire gli altari, le pale e gli altri
oggetti di culto, nella chiesa di San Lorenzo in Tavullia, in ripristino ai danni subiti
Leonardo (detta Santa Maria Nuova) in via dei Calzolai (oggi via Branca) un collegio
gentiluomo pesarese. Essendo sorti pesanti attriti tra i domenicani e i confratelli, nel
confratelli vestirono la nuova divisa per la prima volta nel 1576. Dal 1579 si
occuparono non solo del rosario, ma anche del soccorso ai prigionieri e ai poveri e
Leonardo fu soppressa, tutta l’area fu assegnata alla Cattedrale. La chiesa rimase alla
campanile. Nel 1620, abbattuta la chiesa per l’ampliamento del Palazzo Ducale, il
collegio della Carità prese sede nella chiesa della SS. Annunziata.
conglobate nella c.d. Unione, per garantire una maggiore efficienza dell’ospedale San
ipotizzabile che risalga all’XI-XII secolo). Ebbe sede lungo la via allora denominata
dei Fondachi, oggi Corso XI Settembre, poco prima dell’attuale sede della Banca
dell’Adriatico. Qui, fin da tempi remoti, ebbe sede un oratorio detto la “Scola”, dove
ebbe vita questa compagnia. Nel 1536 venne riordinata dal vescovo, poi cardinale,
Giacomo Simonetta (1528-1537). Nel 1714 la chiesa, ormai consunta, fu demolita e poi
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rifabbricata con il rinnovo di tutte le attrezzature (spesa 14.000 scudi). Sul fronte della
chiesa era stata posta la statua di Sant’Andrea. Verso la fine del ‘700, per
Sant’Andrea) poco oltre l’arco della Ginevra, lasciata libera dai confratelli della
misericordia. Questa chiesa venne demolita nel 1811, e i marinai del porto
acquistarono la statua del santo, collocandola sul sagrato della loro chiesa, intitolata a
S. Maria della Scala o del Porto. Nel 1812 i confratelli stesero un nuovo statuto, in
quanto erano andati perduti quelli precedenti, e non si sapeva più quali fossero le
funzioni di questa pia unione. Rimasta in vita solo come ente giuridico, fu soppressa
La confraternita della Misericordia. Nacque prima del 1300, anche se alcuni storici
riportano la data di costituzione al 1362. Ebbe sede nella chiesetta posta accanto al
Volto della Ginevra, che prese il nome di Misericordia Vecchia (oggi detta di
Sant’Andrea), dopo che nel 1602 questa compagnia si costruì una nuova chiesa
nell’attuale via Mazza. Nel 1777 durante il capitolo che sancì l’elezione a priore del
canonico Saverio Marini, venne deciso che l’attenzione prioritaria dei confratelli
all’insegnamento del catechismo. Per questo motivo, tale compagnia venne detta
impegno non avrebbe esonerato la pia unione da tutti gli altri obblighi delle altre
avrebbero dovuto esibire un certificato di idoneità redatto dal rispettivo parroco. Nel
sorsero alcuni dissapori tra i confratelli, che tornarono assieme nel 1841. Nel 1860 i
beni vennero indemaniati in seguito all’arrivo delle truppe unitarie. Trasferita dalla
chiesa di via Mazza a quella di San Giacomo, venne dichiarata estinta nel 1953, ad
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opera del vescovo Borromeo: la chiesa venne venduta dalla diocesi per far fronte a
una delle cinque confraternite dell’Unione del S. Salvatore. Nel 1467 la Confraternita
costruì una nuova chiesa, detta di S. Antonio Nuovo, che fungeva da Oratorio o Scola
come allora veniva chiamata, contigua alle mura cittadine a sinistra della strada
ottenne il permesso di aprire una porta che desse sull’esterno della cinta muraria, per
garantire un migliore afflusso di fedeli nei giorni festivi. In seguito questa chiesa
enne arricchita di opere pittoriche, attribuite, tra gli altri, al Luffoli e al Veronese.
Ingente era il patrimonio di oggetti liturgici e arredi sacri, e nel 1688 venne compiute
correttrice della bestemmia. Nel 1713, in detta chiesa, era stata eretta la Pia Unione
della Buona Morta, poi aggregata all’Ordine di S. Antonio Abate: nel giorno 17
distrutta nel 1944 durante un bombardamento aereo delle forze alleate. Nel 1947 i
confratelli rimisero l’autorità nelle mani del vescovo Porta: quanto salvato dalle
ruberie degli sciacalli, fu assegnato dal vescovo Borromeo ad altri edifici di culto per
La compagnia di S. Maria della Scala o del Porto. Pare sia stata eretta al principio
del secolo XVI: si sa infatti che nel 1523 papa Clemente VII avesse concesso alla
confraternita la libertà di servirsi della chiesa del Porto. Nel 1589 vennero stampati e
approvati dal vescovo Benedetti gli statuti, che andarono perduti nel 1692 per una
grande inondazione che colpì la zona del Porto. Nel 1740 i nuovi statuti vennero
approvati dal vescovo Canali: soppressa nel 1809 ad opera del Regno Italico, patì
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anche la requisizione dei beni. Nel 1814 venne ricostituita, e nel 1822 iniziarono i
diocesi nel 1940 trasferì i beni alla parrocchia di S. Maria del Porto.
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5. SALA DI GIAN ANDREA LAZZARINI
Il ‘700 ha avuto tre protagonisti noti a livello non solo locale: Annibale Olivieri, Gian
impronte sempre rilevanti. Nato a Pesaro nel 1710, nel corso degli studi romani
assorbì lo stile classico, evidente nelle tre pale d’altare, eseguite dal 1744 al 1748,
custodite nella chiesa della Maddalena. E’ stato il progettista nel 1788 del Palazzo del
museo: “Madonna e i Santi”, “San Luigi Gonzaga comunicato da San Carlo”, “San Nicola e
del coperchio dorato commissionato al Lazzarini per coprire l’urna di San Terenzio,
in seguito ai lavori di recupero dei resti mortali del santo pesarese. Nel coperchio è
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Gian Andrea Lazzarini. Un interessante campo d’indagine è la vita culturale
pesarese alla metà del ‘700. Nelle Marche i riflessi dei fermenti rivoluzionari
arrivano attutiti dall’ambiente ostile a qualsiasi novità. Sarà l’ingresso delle truppe
Passeri (morto nel 1780) è non solo culturale, ma anche politica, pur se ricopre la sua
carica pubblica con atteggiamento schivo. Annibale Olivieri (morto nel 1789) è
segretario della Colonia Isaurica che è centro di confluenza degli intellettuali locali. Il
canonico Gian Andrea Lazzarini, il più giovane dei tre, è attivissimo nel lasciare
l’impronta del suo gusto progettando palazzi e chiese della città, raffigurando in
gioventù pesarese nel catechismo e nelle Belle Arti senza chiedere compenso,
incrementando anche le attività artigiane, come una fabbrica di maioliche sorta nel
1764. Le difficoltà economiche pesanti in quegli anni, gravati dalla rovinosa carestia
del 1764, aggiunte ai contrasti burocratici con Roma, erano mali ormai cronici nella
Legazione di Urbino come in tutto lo Stato Pontificio, fin dal 1631, anno di
devoluzione del suddetto territorio alla Santa Sede. Basta confrontare le risultanze di
due visite (1747 e 1750) del card. Stoppani, a cui si deve la costruzione del porto di
Pesaro, per notare come nella Legazione vigesse l’assoluto immobilismo. Stoppani si
lamentava di come risultassero del tutto disattese le ordinanze che aveva emanato. Il
card. Doria tentò in seguito di mettere ordine con saggezza nel groviglio dei decreti
politica illuminata del Doria sembra riflettersi anche nell’aumento della popolazione
di Pesaro, che passa dagli 8.948 abitanti del 1770, ai 10.134 del 1788, ai 10.567 del
1792. La crisi economica pare non disturbare l’operato del Lazzarini: nato da famiglia
povera il 19 novembre 1710, nel palazzo che ancora esiste in Piazza Lazzarini e che
reca sulla facciata una lapide commemorativa. Il padre, Carlo, muore quando il
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primogenito ha appena 17 anni: a lui resta il compito di provvedere alla madre e ai
fratelli. Nel 1734 è ordinato sacerdote, ma già si dedica ampiamente allo studio delle
scienze. Piccolo di statura, semplice di costumi, di poche parole con tutti tranne che
con gli amici con i quali sa essere allegro e scherzoso. La pittura resterà per tutta la
sua vita un’attività complementare, alla quale si dedicherà solo qualche ora al giorno.
1749-1759 è ricco di spostamenti (Cesena, Faenza, Forlì, San Leo, Macerata). Nel 1759
torna a Roma, dove resta un anno prima di rientrare nella città natale: dal 1760
comincia l’attività a fianco dell’Olivieri e del Passeri. E’ del 1763 la progettazione del
portale della chiesa del Nome di Dio e il palazzo Mazzolari. Nel 1777 diventa
canonico della Cattedrale, l’anno seguente esegue per il coro del Duomo la Madonna
con Bambino, disegna la figura giacente di San Terenzio e lavora al restauro della
chiesa di San Decenzio, che assumerà l’aspetto attuale nel 1787. Nel 1788 inizia la
A cavallo degli anni ’90 esegue le tele del Seminario e della chiesa dell’Eremo di
Monte Giove. Tra il 1794 e il 1796 dipinge ancora: Pesaro pagana, La Madonna, San
Giuseppe e il Bambino presso la culla, Pesaro cristiana, due Riposi in Egitto e una
Madonna con Bambino. Mancano pochi anni alla morte, giunta il 7 settembre 1801,
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25Bozzetto dell’edificio del seminario, in via Rossini, ora Palazzo Lazzarini, sede del museo
diocesano. Costruito tra il 1785 e il 1788, sotto l’episcopato di Giuseppe Maria Luvini (1785-
1790). Il Lazzarini ne fu l’ideatore e il progettista, mentre la revisione fu affidata a Giovanni
Antinori di Camerino (1734-1792), già architetto pontificio, in servizio a Roma e a Lisbona. La
collaborazione fra i due fu molto stretta, ed i lavori di restauro del 1905 hanno reso
impossibile la distinzione delle due mani. Nel 1905 è stata rifatta la facciata e l’atrio, donando
nuova freschezza all’intero edificio, che appare comunque più severo nei lineamenti rispetto
a Palazzo Olivieri, sede del liceo musicale, e Palazzo Mazzolari, anch’esso in via Rossini.
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LE OPERE PITTORICHE DEL LAZZARINI
Tela ovale. Riportabile ai primi anni dell’esperienza romana (1734-40), per l’impianto
tradizionalmente classicistico.
E’ la prima delle tre pale, destinate all’altare maggiore, per la chiesa di Santa Maria
e consegnata alle suore della Maddalena nel 1744. Esistono documenti e notizie
relativi alla commissione e al pagamento del quadro, il cui prezzo fu fissato in 125
scudi papali.
Era collocata all’altare di destra della chiesa della Maddalena. Consegnata nel 1746
E’ la replica, retrosegnata, firmata e datata 1753, del quadro consegnato alle monache
quadro che venne poi acquistato dall’Olivieri. Appare evidente, soprattutto nei
rimane di qualità.
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6. Riposo in Egitto 3 (tela 74x102)
Oltre a quanto già detto nella nota al quadro precedente, è il caso di suggerire un
accostamento tra questo Riposo solitario e quello aulico di S. Maria Maddalena. Nel
vasto, disteso, dolcissimo paesaggio qui si posa l’intimità domestica di Maria che sta
rami.
8. Santissima Trinità
Proviene dalla chiesa della SS. Trinità all’Ospedale, ora demolita, che sorgeva
all’angolo di via Mazzini con via Cairoli, e risale al 1759, in un periodo che precede
9. Battesimo di Gesù
Commissionato dal Fantuzzi nel 1766, si hanno controverse notizie sulla destinazione
Monastero di San Bartolo di Urbino; per Bonamini non pervenne mai al Fantuzzi e fu
venduto dagli eredi al marchese Antaldi, e poi passò alla Cattedrale di Urbino.
Eseguita nel 1777, l’anno della nomina a Canonico della Cattedrale. Riproduce
l’affresco, rinvenuto nel 1752 nella cripta di San Decenzio, rappresentante San
Pogonato.
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11. Madonna con Bambino
Affiorano qui ricordi anche romani: il miracolo di San Gregorio di Andrea Sacchi
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26Copia dell’affresco proveniente dalla chiesa di San Decenzio (1777). Da sinistra: San
Germano diacono, San Decenzio vescovo, San Terenzio vescovo, e l’imperatore d’Oriente
Costantino Pogonato (IX secolo d.C.).
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7. SALA DEI TESSUTI
In questa sala sono esposti alcuni paramenti rappresentativi del patrimonio tessile
diocesano, per motivi decorativi e per tipologia, afferenti ai secoli XVIII e XIX. Tra gli
abiti liturgici esteriori propri della dignità episcopale e presbiterale, sono ravvisabili
nell’uso dal Concilio Vaticano II (1964), e i diversi indumenti propri di ciascun grado
più in uso), la stola, propria del diacono e del sacerdote. Al centro della sala sono
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32 Piviale di manifattura francese, verde con fiori e melagrane (prima metà del XVIII secolo).
Appartenente al Capitolo della Cattedrale.
33 Velo omerale (XIX secolo).
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8. SALA DELLA SCULTURA LIGNEA
Sono raccolte alcune sculture risalenti ai secoli XVII e XVIII. Raffigurano Santi e
Madonne col Bambino, in prevalenza del tipo della Madonna di Loreto, la cui
coronata con il triregno, con il Bambino benedicente in braccio che regge il globo
sul tetto della Santa Casa, purtroppo perduta, a ricordo della traslazione dell’edificio
a Loreto, avvenuta nel 1294. Il Cristo deposto, lungo più di due metri, dalle lunghe
piedi.
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35 “Madonna con Bambino”, si tratta di uno dei primi manufatti in legno raffiguranti la
Madonna di Loreto, ancora di carnagione rossiccia, come era in origine, prima che gli
interventi di restauro non gli dessero il colorito scuro, che la ha caratterizzata fino ad oggi.
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36 Cristo deposto (XVI secolo), ritrovato nel 2004 da don Gino Rossini.
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9. SALA DEGLI ARGENTI
Alla produzione di argentieri romani e marchigiani attivi nel corso del XIX secolo è
dedicata questa sala. Le botteghe ottocentesche continuano, almeno fino agli anni ’70
sugli indirizzi del gusto neoclassico, anche europeo - si pensi allo stile Impero fiorito
ghirlande, palmette, ovoli, rosette, foglie d’acanto, greca. Tra gli oggetti liturgici dei
quali si è persa familiarità, anche in seguito agli aggiornamenti del rito, menzioniamo
il purificatoio, il vaso che conteneva l’acqua in cui il sacerdote lavava le dita ogni
cerimonie religiose, è nota con il nome di bugia pontificale (dal francese bougie =
candela). E’ insegna onorifica propria del vescovo e degli alti prelati, confermata
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10. OPERE INSERITE SUCCESSIVAMENTE
Bambino e i santi Isidoro e Domenico, sono tre opere artistiche collocate nelle sale del
museo diocesano durante la stagione estiva 2008. La storica dell’arte Grazia Calegari
Bonvesin e Jacobello del Fiore viventi all’inizio del secolo XV. La leggenda narra che
sia giunto nella spiaggia della Vallugola, quale relitto del naufragio di una nave
A questa chiesa appartiene anche la pala d’altare con Madonna in trono e i santi
Apollinare e Cristoforo, di autore sconosciuto. La tela risale all’inizio del XVI secolo,
ed è stata forse ordinata dagli Sforza in una bottega d’artisti di Cotignola. L’ultima
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Madonna con Bambino e i santi Isidoro e Domenico. Il quadro è stato ritrovato nella
Infine, merita una menzione la statua lignea di San Francesco di Paola, collocata nella
discreto valore, molto simile al San Francesco Saverio facente parte dell’eredità della
E' stato davvero un evento, parola ormai abusata ma in questo caso sacrosanta. Al
Museo diocesano sono entrate tre opere, una del Quattrocento, una del Cinquecento,
una del Seicento, di grande importanza storica, artistica e religiosa: il crocifisso ligneo
Madonna col Bambino e santi, ritrovata nella Collegiata di San Michele a Sant'Angelo
conoscenze, nel collegare i significati delle opere del territorio alla vasta, smisurata
serietà di questi rapporti con le emozioni forti provenienti da opere per secoli amate
storia fatta di leggende e di miracoli, oltre che un'origine artistica di tutto rispetto. Si
racconta che sia venuto dal mare, spedito da Venezia in una cassa approdata sulla
riva di Vallugola, si devono alla sua presenza infinite storie miracolose, di fatti
Informazioni tratte da “Il Nuovo Amico” n° 25 del 6 luglio 2008, nell’articolo firmato da Rita
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Luccardini.
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dolorosi pubblici e privati, si festeggia il lunedì di Pasqua con sentiti pellegrinaggi
stratificato, oggi quasi tangibile al museo diocesano con la presenza del Crocifisso
scolpito da Antonio di Bonvesin e dipinto dal più famoso Jacobello del Fiore, forse
verso la fine del primo decennio del Quattrocento. I rapporti tra Venezia e le Marche
erano, come si sa, strettissimi: in particolare nella zona di Pesaro, dove Jacobello ha
eseguito altre importanti opere, due delle quali ancora visibili. Sono il trittico oggi nel
santuario delle Grazie e il polittico della Beata Michelina ai musei civici. Quanto alla
degli Sforza. Dovrebbe trattarsi di Francesco Zaganelli, anche se non sono mancate
attribuzioni al più giovane Girolamo Marchesi, anch'egli di Cotignola. I due santi che
musicante, sono legati alla storia del territorio: Apollinare primo vescovo di
Ravenna, al quale la chiesa del castello era dedicata, e Cristoforo col Bambino Gesù
dell'Impero d'Occidente, di cui esistono segni incredibili e purtroppo non visibili nei
mosaici del VI secolo della Cattedrale di Pesaro. Alle due opere nate per
Casteldimezzo, borgo sul mare abitato da pescatori, si aggiunge infine la tela del
coltivazioni. L'autore è Giovan Giacomo Pandolfi che firma il suo quadro, dato per
perso e ritrovato anni fa nella cantina della Collegiata, restituito alla conoscenza dal
parroco don Enrico Giorgini, che ne ha segnalato alla Diocesi l'urgente necessità di
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restauro. Il Lions Club Pesaro ha con intelligente disponibilità raccolto l'invito, e il
quadro è stato recuperato per opera di Letizia Bruscoli e restituito alla comunità. Si
tratta di una delle numerose opere del pittore pesarese (circa ottanta tra Pesaro, le
Marche e Rieti), e sicuramente precede l'attività finale del Pandolfi alla chiesa del
Nome di Dio, avvenuta tra il 1634 e il 1636. I due santi legati da sguardi e gesti alla
Madonna col Bambino e angeli, sono Isidoro agricoltore, protettore dei raccolti e
altro spaccato di vita seicentesca, col realismo tipico del pittore che rappresenta gli
azzurre, e della tenerezza degli angioletti bambini. Il senso della vita e della
speranza, nelle tre opere entrate al museo diocesano: a cosa serve entrare nei Musei
se non si tocca con mano questa appartenenza comune tra noi e il passato, questa
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I SANTI E BEATI DI PESARO
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SAN TERENZIO. Patrono di Pesaro, la sua festa si celebra il 24 settembre. Esiste una
tradizione antica, la cui fonte è una passio, che narra la vita e il martirio del santo,
pesaresi nei secoli XV e XVI, non contribuisce a fare luce completa su questo santo.
conquistata dai Romani nel 7 d.C. A causa delle feroci persecuzioni anticristiane
avrebbe dedicato la sua attività al servizio, morendo martire il 24 settembre del 247.
39L’abside della Cattedrale di Pesaro. Si riconoscono le vetrate con i maggiori santi pesarese,
realizzate nel 1950 da Alessandro Galluzzi.
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risalente al VI-VII secolo, scoperto nel 1752 dal Lazzarini nella cripta della Basilica di
San Decenzio. In tale affresco si riconosce san Terenzio raffigurato in abiti sacri e con
all'arte militare (come si può vedere nella vetrata del Gallucci esposta al Museo
guerriero a cavallo, con un elmo in testa, camminava sulle mura della città in atto di
non avrebbe provocato tra i pesaresi altro che un morto e pochi feriti. Fu per questo
che il santo venne proclamato patrono della città (20 marzo 1802). La tipologia del
martire come guerriero s’impose su tutte le altre; ciò, tuttavia, non costituisce una
prova che San Terenzio sia stato un soldato, perché la sua militanza potrebbe essere
interpretata in senso simbolico e spirituale. Avvolti nel mistero sono anche la morte e
il luogo della sepoltura. Secondo la passio San Terenzio sarebbe morto martire il 24
settembre del 247 nei pressi dell'Abbazia di San Tommaso in Foglia, dove il suo
corpo sarebbe stato gettato in un invaso di acque, denominate "acque cattive": ciò
solforose, che ancora oggi non solo zampilla persino nei periodi di grandi siccità, ma
risorge tenacemente ogni volta che si tenti di deviarla o coprirla. Il corpo di San
Terenzio sarebbe poi stato prelevato da una certa Teodosia che l'avrebbe trasportato
e sepolto nella zona di Villa Caprile, denominata da sempre "Valle di San Terenzio".
chiesa del Cimitero. Infine, verso la metà del sec. VI, le reliquie furono trasportate dal
vescovo Felice nella nuova Cattedrale (l'attuale), costruita sulle rovine di un antico
edificio pagano. Il corpo di San Terenzio venne deposto nel 1447 dal vescovo
Benedetti sopra l'altare maggiore in un' urna di legno. Attualmente una nuova urna,
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aperta sul davanti per dare visibilità al corpo (con abiti donati nel 1817 dal conte
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SANTI DECENZIO E GERMANO. La loro festa si celebra il 29 ottobre. I due fratelli,
Decenzio Vescovo e Germano Diacono, sono gli unici (oltre a San Terenzio) di cui ci
rimane memoria tra i tanti martiri che anche a Pesaro suggellarono col sangue la loro
fede. Originari della Britannia e convertiti alla fede cristiana nel 296 a Roma, giunsero
a Pesaro dopo essersi miracolosamente liberati dal carcere in cui erano rinchiusi.
Ordinati ministri del Signore, fecero opera di evangelizzazione, scatenando l’odio dei
pagani, che li uccisero a colpi di bastone nella notte del 28 ottobre 312, proprio nel
tempo in cui l’imperatore Costantino entrava vittorioso in Roma, dopo aver sconfitto
Massenzio sul Ponte Milvio. I corpi dei due martiri, gettati dagli uccisori in mare,
vennero risospinti lungo il corso del Genica poco lontano da Pesaro, dove furono
ritrovati e sepolti da alcuni fedeli. In quel luogo venne costruita la prima basilica
dedicata a Decenzio e Germano. Nel 1625 nella cripta della Basilica fu ritrovato il
sarcofago di marmo del VII secolo, con i resti dei due Santi fratelli collocati dentro
una cassa rivestita di seta, di circa un metro. Si dubita tuttavia che le reliquie siano
ancora nel vecchio sarcofago. Quando esso fu successivamente rinvenuto, nel 1913,
infatti, il coperchio era rotto da un lato e, nella ricognizione fatta da mons. Tei,
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vita di Sant’Eracliano, pastore della Chiesa pesarese dal 321 al 359 d.C. Erano anni
drammatici per la Chiesa, lacerata dai primi saccheggi barbarici e dal diffondersi di
dottrine ereticali che costituirono una forza disgregante al suo interno, tanto più che
grazie all’editto del 313. Sant’Eracliano visse questi contrasti difendendo con
dal prete alessandrino Ario, che negava la natura divina di Cristo. La coraggiosa
difesa della fede gli costò la vita, che morì in carcere. La morte avvenne il 9 dicembre.
custodito il corpo, oggi perduto. Ne è rimasta solo una reliquia, ora conservata nella
francescano di cui si abbia notizia, Cecco, figlio di Zanferdino, nacque a Pesaro verso
il 1270 da ricca famiglia. Rimasto privo di entrambi i genitori, donò i suoi beni ai
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poveri e, sentendosi attratto dalla Regola che San Francesco aveva dettato nel 1221
per i laici, entrò nel 1300 nel Terz’Ordine Francescano, dedicandosi alla vita eremitica
in un piccolo “romitorio” sul Monte Granaro (oggi Monte Ardizio), costruito da frate
Pietro Crisci da Foligno, con il quale inizialmente Cecco trascorse i suoi giorni in
penitenza e preghiera. Quando frate Pietro venne richiamato nella sua città, Cecco si
dedicò alla raccolta di elemosine, non solo per sostenere ospedali, restaurare chiese o
donare la dote a giovani orfane, ma anche per costruire romitori dedicati alla
Vergine. Il primo di questi, eretto tra il 1319 e il 1323 sulle sponde del fiume Metauro
poco lontano da Fano, venne intitolato alla “Madonna di Ponte Metauro”. Un altro,
costruito sulla costa del Monte Accio (ora San Bartolo), di fronte all’attuale Convento
delle Suore dell’Ordine Serve di Maria, fu dimora del Beato per tanto tempo. Nel
1347 fondò, con la Beata Michelina, la confraternita “della Ss. Annunziata” con lo
scopo di servire gli infermi negli ospedali e di seppellire i morti. Fece testamento
di Monte Granaro. Il suo corpo rimase per un po’ di tempo nella chiesetta campestre;
maggiore della Vergine, quindi, dopo varie traslazioni, nell’attuale cappella dei
vescovi. Il culto del Beato venne confermato dalla Santa Sede nel 1859.
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43 La tomba del Beato Cecco, conservata nella cappella dei vescovi della Cattedrale.
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BEATA MICHELINA METELLI. La sua festa si celebra il 19 giugno. Nacque nel
1300 a Pesaro da una nobile famiglia, originaria di Farneto. Dopo aver sposato un
nobile Malatesta, rimase vedova a 20 anni e non volle più risposarsi. Un incontro
fondamentale per la sua vita fu quello con Soriana, una pellegrina che aveva ospitato
in casa e che la colpì tanto con la sua bontà, religiosità e distacco dalle cose del
mondo, da indurla a riavvicinarsi alla fede, dalla quale si era allontanata. Dopo
l’evento doloroso della morte del figlio, rimasta sola, decise di diventare terziaria
Cecco, fondò la confraternita dell’Annunziata, alla quale donò la sua casa nel
quartiere di San Nicolò, con lo scopo di assistere gli infermi e seppellire i morti. Si
dalla casa in cui abitava (in un vicolo di fronte alla chiesa di San Cassiano oggi
denominato via Michelina Metelli) fino alla chiesa di San Francesco (attuale
Santuario della Beata Vergine delle Grazie). Della sua vita si narra che un giorno,
placare il mare burrascoso, che rischiava di far naufragare il suo vascello. Il culto
della Beata Michelina fu approvato da papa Clemente XII nel 1737. Il quadro situato
nel Santuario della Madonna delle Grazie, sopra l’altare della Beata, è opera del
pesarese Consoli, ed è copia del dipinto “L’estasi della Beata Michelina” del Barocci
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44 A sinistra, la “Beata Michelina” di Federico Barocci. A destra, la cappella della beata, nel
santuario della Beata Vergine delle Grazie,
45 Il reliquiario della Beata Michelina conservato nel museo diocesano.
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terminati gli studi, sentì di non essere portato per la carriera forense, e ritornò al
tentava di separare due amici in una rissa, ferì alla coscia uno dei due contendenti,
seppure involontario, gli fece comprendere che solo offrendo totalmente la sua vita a
Dio avrebbe potuto trovare pace e perdono. Nel 1362, Giansante decise di entrare nel
vicino convento dei Frati Minori di Santa Maria di Scotaneto, dove chiese di essere
accolto come “fratello laico”, con il nome di fra Sante. Visse dedito al servizio ai
chiedere ed ottenere dal Signore di avere la stessa piaga e gli stessi dolori sofferti
suo fisico, finché nella notte tra il 14 e il 15 agosto, nella festa della Madonna Assunta
del 1394, chiuse la sua vita terrena. Al momento della morte sul campanile del
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convento brillò una luce misteriosa e al mattino una folla di fedeli si recò a rendere
evitare che il corpo, divenuto bello e profumato da pallido e macilento che era,
venisse danneggiato per ricavarne delle reliquie. Fu sepolto nella fossa comune dei
frati nonostante il parere contrario del popolo: quando nel 1395 si vide sul terreno
fiorire un giglio che aveva le radici nel cuore del beato, il suo corpo venne tumulato
in una tomba scavata nel muro della chiesa del convento, a sinistra dell’ingresso. Nel
1769 le spoglie di “fra Sante” furono collocate sotto l’altare di una cappella a lui
dedicata, in fondo alla navata minore della chiesa. A questa traslazione seguì
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47“Il Beato Sante benedice i bambini e guarisc i malati”, tela posta al centro della cappella del
beato, nell’omonimo santuario di Mombaroccio.
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BEATA SERAFINA SFORZA. La sua festa si celebra il 9 settembre. Il nome
originario era Sveva da Montefeltro, nata a Pesaro nel 1434, dal duca Guidantonio e
reggendo la Signoria di Pesaro, dal momento che il marito era costantemente fuori
città, essendo occupato in impegni militari al soldo di altre signorie. Nel 1457
Alessandro si stabilì a Pesaro, e non solo ospitò a corte le sue amanti, ma costrinse la
calunnia di adulterio, facendola relegare in convento. Sveva nel 1460 accettò la vita
monastica ed entrò nel monastero del Corpus Domini di Pesaro, vivendo un calvario
di estremo dolore. Solo nel 1468, Alessandro Sforza, scosso dall’esempio di vita della
sposa, si convertì e restituì a Sveva tutta la dote, affinché potesse utilizzarla per opere
di carità e per le necessità del monastero, che dirigeva in qualità di badessa. Venerata
subito dopo la morte, avvenuta l’8 settembre 1478, grazie ai miracoli ottenuti per sua
intercessione, nel 1754 Sveva fu proclamata beata da Benedetto XIV, che la dichiarò
trova nella cappella della Cattedrale, assieme a quello della Beata Felice Meda e del
Beato Cecco.
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BEATA FELICE MEDA. La sua festa si celebra il 30 settembre. La Beata Felice
nacque a Milano nel 1378 dalla nobile famiglia Meda. Rimasta orfana, distribuì il suo
delle Clarisse di Sant’Orsola a Milano, dove nel 1425 fu eletta badessa. Nel 1439 le
venne ordinato, per suggerimento di San Bernardino da Siena (che gli donò il
crocifisso ligneo esposto nella cappella dei vescovi, in Cattedrale), vicario generale
dei Frati Minori, di venire a Pesaro con sette consorelle, per essere badessa di un
nuovo monastero, chiamato del “Corpus Domini”. Felice obbedì e s’impose subito
per la sua modestia, perché, pur trovando ad accoglierla a Cattolica una delegazione
Governò per cinque anni il nuovo monastero, che lo stesso Galeazzo provvide ad
arredare interamente in seguito alla guarigione miracolosa della figlia Elisabetta. Nel
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BEATO PIETRO GIACOMO. La sua festa si celebra il 23 giugno. Nato a Pesaro nel
1447, si sentì chiamato alla vita monastica e scelse di entrare tra gli Agostiniani nel
teologia, insegnò a Perugia, Bologna e Firenze. Dopo aver lasciato la scuola per
obbedienza, andò a predicare. Nel 1492 fu eletto Ministro Provinciale del Piceno.
Scaduti i tre anni di mandato, preferì ritornare nella solitudine di Valmanente. Morì
nel 1496. Il titolo di Beato gli venne riconosciuto nel 1849 da Pio IX.
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della diocesi di Barcellona, in Spagna, non sappiamo quando sia venuto in Italia.
Sembra che, intorno al 1365, si fermasse in prossimità della chiesa di San Bartolomeo
sul Monte Accio (oggi San Bartolo), che allora era denominato “Monte degli Eremiti”,
perché molti vi costruivano le loro “celle” e i loro “romitori” (vedi il Beato Cecco).
49Il corpo incorrotto del Beato Pietro Giacomo, conservato nella chiesa di San Nicola in
Valmanente, a pochi chilometri dal centro di Pesaro.
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Ricordato come uno dei 12 fondatori dell’Ordine Girolamita, Pietro Gualcerano
istituì proprio sul San Bartolo, nel 1380, un cenobio di cui fu posto a capo per la vita
esemplare. In tale carica morì nel 1418. Venne sepolto nella chiesa di San Bartolo, in
una tomba di marmo vicina all’ingresso, sulla sinistra, dove si vedono due teschi,
uno dello stesso Pietro e l’altro del compagno Giovanni da Valenza, morto anch’egli
nel romitorio del San Bartolo in concetto di santità nel 1400. Tutt’ora il 2 maggio di
ogni anno tante famiglie salgono sul colle San Bartolo per far benedire i propri
bambini, in quanto il Beato Pietro è stato eletto patrono delle famiglie della diocesi.
Francesco a Mondaino, dove ricevette l’abito dei Frati Minori Conventuali. Compiuti
mandato dal pontefice San Pio V con la flotta cristiana come confessore del Duca di
Urbino. Desideroso di una vita più mortificata, andò in Spagna, dove si unì agli
tomba è irreperibile.
Mocogno (Modena), può essere considerato pesarese perché visse a lungo e morì a
Pesaro. Nato prima della metà del secolo XV, entrò nel convento dei Domenicani di
Pesaro lo accolse a partire dal 1481, nel vecchio convento dei Domenicani, che lo ebbe
come priore, tanto che molti, ritenendolo già santo, ricorrevano a lui. Si narra che
abbia risuscitato un bambino per l’insistenza della madre, una certa Ludovica,
moglie di un medico di Pesaro, alla quale però il Beato aveva predetto che lo avrebbe
perso comunque in tenera età (il bambino morì a 14 anni). Morì a Pesaro il 21
settembre 1498, come ricordava una lapide in lingua latina collocata nell’ex chiesa di
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San Domenico, dove il Beato fu sepolto nel 1510. Dopo la soppressione del convento
di San Domenico le reliquie di fra Marco furono traslate nella chiesa di San
Francesco, e poi nella cappella di San Terenzio in Cattedrale, ove rimasero fino alla
restituzione a Modena.
BEATO PAOLO BIGONI. Servo di Maria e fondatore del Convento di Santa Maria
di Montegranaro. Nato a Chiari (Brescia), è vissuto gran parte della sua vita a Pesaro,
dove giunse per predicare. Fu priore del convento di Montegranaro, provinciale della
Pesaro come vescovo, rifiutò l’incarico per vivere in semplicità. Alla sua morte,
BEATO TOMMASO VITALI. Nato ad Endenna (Bergamo) nel 1425, entrò nella
comunità dei Servi di Maria. Quando venne ordinato sacerdote, gli fu affidato
fondato dal Beato Paolo Bigoni, e già luogo di vita e morte del Beato Cecco. Qui morì
il 21 dicembre 1490. Molti miracoli, avvenuti per sua intercessione, resero rinomato
questo umile religioso, venerato a Pesaro e Bergamo. Il suo corpo, custodito nella
San Francesco sotto l’altare dedicato ai Sette Fondatori dell’Ordine dei Servi di
Maria.
BEATO UGOLINO MALATESTA. Eremita vissuto a Pesaro tra il XIII e XIV secolo,
ritirato a vita penitente in un piccolo terreno isolato sul fiume Foglia, poi detto “Selva
della Madonna”. Qui sorgeva fino al 1716 una chiesetta dove era venerata una statua
lignea della Madonna con Bambino, detta “Madonna della Misericordia”, della quale
si crede sia stato scultore lo stesso Ugolino. La statua, dopo la demolizione della
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chiesetta per ordine del vescovo Spada, fu trasferita nella chiesa di San Donato di
Belvedere Fogliense, dove è ancora custodita. Sotto l’altare maggiore della stessa
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L’ULTIMO RITROVAMENTO
COLOMBARONE - Corre l’anno 743 dopo Cristo, e il papa Zaccaria parte da Roma
lungo la via Flaminia alla volta di Ravenna per incontrare il comandante militare dei
bizantina si incontrano a cinquanta miglia dalla città, nella basilica di San Cristoforo
ad Aquilam. Questo racconta una fonte medievale, il Liber Pontificalis, ma nei secoli
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Le ricerche e gli scavi
prendendo come riferimento una “chiesola” ancora esistente. Dopo la sua morte
tutto viene di nuovo dimenticato e la stessa è demolita nel 1858. Nel 1980 ripartono
gli studi, con l’identificazione del luogo delle ricerche settecentesche e l’avvio degli
riportare alla luce i resti di epoca bizantina, ma anche di scoprire una storia lunga
molti secoli, fatta di una ricca villa, di una basilica e di una pieve: in tutto sedici secoli
La villa tardo-antica
L’area circostante vede già in età romana un alto numero di fattorie e un piccolo
villaggio posto lungo la via Flaminia, strada che rappresenta il più importante asse di
collegamento tra Roma e il nord dell’Italia. Ma è verso la fine del III secolo dopo
Cristo che nasce una lussuosa villa, la residenza di campagna di un ricco possidente
terriero o di un funzionario statale. Sono tuttora visibili molti dei mosaici databili tra
della villa prevede un ingresso articolato attorno ad un cortile porticato, seguito dal
settore principale che ha come punti di maggiore interesse due sale da banchetto e da
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cerimonie. Sono inoltre stati individuati un settore termale, alcune stanze di carattere
Nel VI secolo alcuni settori della villa vengono abbandonati, mentre il settore di
diventa l’aula di culto con abside, affiancata da una torre campanaria. Attorno nasce
un’area cimiteriale. Nei secoli successivi (VII-X) la chiesa viene più volte modificata,
assumendo dimensioni notevoli. Alla fine del Medioevo (XII secolo) la chiesa più
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GLOSSARIO
delle letture.
• AMITTO: panno di lino o cotone che il sacerdote pone sulle spalle prima di
indossare il camice.
• AMPOLLINE: piccoli vasi che contengono il vino e l’acqua per la Messa: possono
• BADALONE: grande leggio collocato nella zona absidale al centro del coro.
nicchie o tabernacoli.
• BOSSOLO: vasetto o scatolina utilizzata per contenere il sale del rito del
processionale.
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• BROCCATO: tessuto di seta nel quale su un fondo di raso figurano disegni di
• CALICE: composto da una coppa, in oro o argento dorato, sostenuta da uno stelo
celebrazione eucaristica.
maggiore.
• CATTEDRA: seggio del vescovo o del papa per la celebrazione dei riti. Dal
dell’Eucaristia.
paramenti diversi colori: bianco per Natale, Pasqua e feste del Signore, della
Madonna e santi non martiri; rosso per domenica delle Palme, Venerdì Santo,
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Pentecoste, feste degli apostoli e dei martiri; verde per il tempo ordinario; violaceo
tempo di Avvento e Quaresima; nero, non più utilizzato dalla liturgia, veniva
usato per le liturgie dei defunti; l’oro può essere usato al posto del bianco, rosso e
consacrate.
• COTTA: veste corta e con ampie maniche usata dal clero con funzione ordinaria.
• CROCE ASTILE: sorretta da una lunga asta, è portatile e viene utilizzata per
simboli evangelici.
Cristo in rilievo.
rilievo, viene utilizzata nelle liturgie solenni, specie della Settimana Santa.
• DALMATICA: veste liturgica indossata dai diaconi sopra la stola che si porta
sulla spalla.
legno.
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• DOSSALE: ripiano decorativo posto sopra l’altare realizzato in vari materiali,
• ENCOLPIO: custodia per reliquia a volte con iscrizioni incise da portare al collo.
Terra Santa.
recanti il testo per la benedizione del cero pasquale, illustrata con miniature
dipinte in senso inverso al testo, che iniziava con la parola latina exultet. Venivano
reliquie.
processionali.
• GRADUALE: raccolta dei brani, tratti dal libro dei salmi o dai vangeli, che nella
tecnica della tipografia era appena nata. Sono detti anche quattrocentine.
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• INSEGNA: contrassegno ligneo o metallico con l’emblema della confraternita,
Madonna.
Messa.
corporazione.
del sodalizio.
dell’anno.
durante le celebrazioni.
forma della coppa che poggia su un sostegno o base. E’ in coppia con il turibolo.
eucaristica.
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• PALIOTTO: rivestimento anteriore dell’altare sotto la mensa. Può essere
realizzato in cuoio o stoffa, secondo i colori liturgici, in legno o marmo, con temi
figurativi eucaristici.
• PASTORALE: bastone con parte terminale ricurva a spirale, simbolo del ruolo di
• PATENA: piccolo piatto tondo d’oro o d’argento su cui il sacerdote posa l’ostia
• PIVIALE: mantello aperto davanti e lungo fino ai piedi, indossato dal sacerdote
riservate al vescovo.
dita.
monumentale.
• SALTERIO: l’insieme dei salmi; può indicare anche il libro della liturgia delle
ore.
• SCAPOLARE: doppia immagine benedetta che viene appesa al colle con fettucce.
lucignolo.
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• SPEGNITOIO: piccolo utensile a forma di campana usato per spegnere le
candele.
“Vera Croce”.
processioni.
• TABELLA: tabella lignea in cui inserire le targhette con i nomi dei confratelli.
• TURIBOLO: piccolo braciere per l’incenso a forma di vaso retto da tre catenelle
• VASETTI PER OLI SANTI: tre vasi usati per la custodia degli oli santi.
• VELO DA CALICE: quadrato di stoffa che serve per coprire il calice: segue i
colori liturgici.
• VELO OMERALE: paramento indossato come uno scialle, col quale prendere
l’ostensorio.
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BIBLIOGRAFIA
2003.
Oliveriana.
Pesaro 2004.
• Grazia Calegari, Scene dal Seicento: i confratelli e la chiesa del Nome di Dio a
Pesaro.
• www.archeopesaro.it
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LAVORO SVOLTO NELL’ARCO DI 14 MESI, DA MAGGIO 2007 A LUGLIO 2008
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