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In nomine Jesu
La chiesa e la confraternita
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INTRODUZIONE
La chiesa del Nome di Dio è l’unico esempio rimasto a Pesaro di edificio religioso
e disposte nel giro di alcuni decenni tutte le strutture decorative, gli altari, le cornici,
le sculture e i fregi lignei dipinti in oro e nero, le tele ad olio di vario formato.
restaurato nel 1912, e prima ancora era stato ornato del portale in pietra d’Istria nel
1763 dall’architetto pesarese Gian Andrea Lazzarini. Fu fatta costruire, a partire dal
1577, dalla Compagnia del Nome di Dio, una delle più ricche tra le numerose
la Circoncisione di Gesù, che fu posto sopra l’altare maggiore nel 1590. Vennero poi
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PRIMA PARTE
PANORAMA STORICO
Nel 1570 era forte la paura dovuta alla minaccia turca, che metteva in pericolo il
persistere della cristianità in Europa. L’anno dopo, la vittoria del 7 ottobre a Lepanto
come baluardo della Controriforma. Da Madrid, nel 1568 era tornato a Pesaro
Francesco Maria II Della Rovere. Questi era coetaneo con Guidubaldo del Monte,
Guidubaldo morì nel 1574, e con lui finiva un’epoca che già la ribellione degli
parrocchiali e a quelle degli ordini conventuali e monastici, gli edifici religiosi delle
Gesù, che avevano formato nel 1465 l’ospedale dell’Unione, mentre in precedenza si
erano denominate Compagnia del S. Salvatore. Tra la fine del ‘500 e i primi decenni
del ‘600, si aggiungevano altre Confraternite annesse alle varie chiese o parrocchie,
come quelle della Carità e del SS. Sacramento (contigue alla Cattedrale), quella di S.
Maria della Scala, di S. Donino (annessa alla parrocchia di S. Nicolò), dei Crociferi
(presso S. Spirito), di S. Rocco, della Carità, della SS. Concezione, di San Giuseppe, di
Santa Maria del Ben Morire, trasferita nel 1714 presso la Chiesa del Suffragio.
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Citiamo (in lingua corrente) qui di seguito la prima pagine del manoscritto n° 2 del
“Libro della Creazione della Chiesa”, dove viene raccontata la nascita della
“Il 6 febbraio 1573 nella chiesa parrocchiale di S. Martino in Pesaro, è stata istituita la
venerabile compagnia del SS. Nome di Dio. Alcuni devoti, ispirati dallo Spirito Santo, si sono
radunati in questa chiesa per esercitare con maggiore devozione e progresso spirituale, le
opere salutari. Il principale intento di questi confratelli è recitare l’Ufficio della Beata Vergine
in tutte le feste e le vigilie dell’anno. Inoltre, avendo saputo che in Spagna è stata istituita una
Confraternita intitolata al Nome di Dio, volta ad estinguere il pessimo vizio della bestemmia,
ispirati dallo Spirito Santo piacque a loro di dare questo nome anche alla loro Confraternita, e
Padre Miniato Fiorentino si poneva come guida dei confratelli, i quali, dopo poco
tempo:
“Cresciuto il fervore delle opere buone, aggiunsero alla recita dell’Ufficio della Beata Vergine,
anche l’incarico di seppellire i morti, soprattutto poveri. Decisero dunque di vestire un abito
nero e deliberarono di vestire con tale abito anche tutti i poveri morti che andavano a
seppellire. Nel 1576, con licenza del vescovo Simonetta, fu concesso ai confratelli di chiedere
fondi per le loro attività: cominciarono dunque a seppellire quei poveri che morivano, andando
in processione con la croce e vestendo i corpi dei morti con l’abito nero. Portavano la bara a
spalla, e alcuni di loro seguivano il feretro facendo luce con le torce. Facevano poi celebrare
una messa di Requie per queste anime. Questa carità veniva osservata anche nei confronti dei
poveri giustiziati”.
Era tempo di provvedere ad una sede più adatta, in quanto San Martino non faceva
più al caso loro. Il 5 giugno 1577 fu posta la prima pietra in un sito di proprietà di
Giacomo Pavoli, previo accordo con i frati agostiniani. La costruzione, ad opera del
accompagnata da quella della SS. Concezione, con la quale sarebbe poi rimasta legata
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da cerimonie comuni, come la visita scambievole nel giorno della propria festa. Il
più confraternite, per evitare la dispersione dei fedeli, cosicché compagnie come la
nostra si unirono con altre affini, anche di altre città. I confratelli del Nome di Dio si
aggregarono alla Confraternita dell’Orazione e Morte di Roma e con quella del Nome
di Dio, sita ugualmente nella “città eterna”. Da un punto di vista storico-politico, non
andava bene al popolo, che non era più oppresso dei tanti tributi e dazi determinati
da quel tenore si spese: nella pace claustrale del palazzo urbinate, della Villa
Imperiale, del Palazzo Ducale di Pesaro e di quello di Urbania, l’ultimo Della Rovere
2I testi sono tratti da Grazia Calegari, Scene dal ‘600: i confratelli e la chiesa del Nome di Dio a
Pesaro.
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SECONDA PARTE
“Circoncisione”, evento collegato alla festa più solenne per la Compagnia, quella del
1° gennaio. Nasceva una lunga contesa col pittore di Urbino, chiuso nella nevrastenia
dei rimandi e delle interruzioni, e sollecitato con pagamenti anticipati. Solo nel 1590
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il centro focale di convergenza. Oggi nella chiesa è presente la copia in formato
ridotto realizzata dal pesarese Carlo Paolucci (1733-1803), che sostituisce l’originale
finito al Louvre. Dunque l’altare maggiore della chiesa del Nome di Dio significava
scanalate, capitelli corinzi, doppio timpano con angeli e festoni che innalzano il
di “scelta d’immagine”. Sempre nel 1581 veniva sistemato l’altare laterale sinistro,
dove un crocifisso ligneo donato dal confratello Giulio Quintavalli veniva inserito su
nero ed oro. Nel 1587, infine, si costruiva l’altare di destra, con la stessa partitura
lignea, per la quale era destinata la tela del mantovano Teodoro Ghisi, che raffigura
Le decisioni definitive per la decorazione totale della Chiesa furono prese dai
confratelli a partire dal 1617. Si cominciò dal soffitto, decidendo un progetto unitario,
Pandolfi, entrambi appartenenti alla Confraternita, per una spesa globale di circa
3000 scudi. La tecnica scelta fu quella della copertura con tele ad olio e cornici in
completamente di quadri dipinti agli altari e alle pareti, forse su imitazione del Nome
Lizzola. Gli autori, però, saranno diversi, e le opere verranno accostate in maniera
non preordinata. Anche nelle Marche non c’erano precedenti di ambienti così
decorati, e si suppone che sia stato seguito l’esempio di Venezia, dove troviamo casi
simili al nostro. L’accorso tra il Cortese e il Pandolfi è uno spaccato di cultura locale
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nel biennio 1617-19, un concentrato di spettacolarità tardo-manieristica e di
sensibilità pittorica che precede, in forma rigida e contenuta, gli illusionismi dei
seguire le immagini col viso alzato fino al termine del percorso, né si ha una radicale
dalle “Gerarchie spirituali” e dalle “Gerarchie temporali”, ed esaltato agli angoli dai
lettura delle immagini che parte dal centro della Chiesa, seguendo al successione
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6Il quadro che domina il proscenio del soffitto della chiesa, raffigurante il Trionfo del Nome
di Dio.
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TERZA PARTE
Nel 1634 il ducato di Pesaro è ormai sotto la gestione pontificia e vive i primi tempi
di una decadenza politica aggravata dai contrasti tra la parte montana di Urbino e
quella marittima di Pesaro, fino a qualche anno prima abbastanza controllati dalla
disciplina ducale. Francesco Maria II Della Rovere, morto nel 1631, si era incupito in
Ubaldo, nel 1623, aveva reso disperata e totale. La pressione del papato romano si era
fatta allora più opprimente, la quiete del ducato più snervata ed ansiosa, anche
provocando liti tra fazioni e successive condanne. La scelta di Urbania come ritiro
Per circa 10 anni, dopo la copertura del soffitto, non si affrontarono grosse spese da
parte dei confratelli. Nel 1629, era urgente la sostituzione del vecchio organo con uno
nuovo, che venne costruito e posto in opera nel 1631, in modo da essere inserito tra le
due finestre della parete d’ingresso e da porsi come fulcro della successiva struttura
lignea del palco con balaustra. All’organaro Paci, oltre al prezzo di 150 scudi, fu dato
in cambio l’organo vecchio, donato dal confratello Marcello Barignani. Poi, nel 1634,
ancora Giovan Giacomo Pandolfi. Ai fianchi dell’organo, in due sottili strisce di tela,
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L’operato alle pareti dello scenografo Nicolò Sabbatini
A lavorare nella chiesa del Nome di Dio si avvicenda un giovane scenografo, Nicolò
Sabbatini, che troviamo attivo nella suddetta chiesa tra il 1634 e il 1636, quando
predispone la spartizione delle pareti in analogia al Trattato da lui scritto dal titolo
lo spazio scenico in tre superfici sovrapposte: la stretta fascia monocroma che scorre
sotto il soffitto, i dieci grandi quadri del registro mediano, le tele monocrome della
parte inferiore.
suonando e cantando.
devozionali della Confraternita. Si insiste ancora, come nel soffitto, nel ribadire un
dalle profezie delle Sibille ai quattro episodi biblici che alludono alla liberazione (“Il
passaggio del mar Rosso”, “Davide e Golia”, “Il trionfo di Giuseppe”, “Il trasporto
dell’arca”), ai miracoli (“San Pietro guarisce lo storpio”, “San Paolo libera l’ossessa”),
fino alle scene evangeliche dell’”Annuncio a Maria” e del “Sogno di Giuseppe” che
retroguardia in questi anni, rispetto al prevalente culto dei Santi e alla diffusione di
episodi del Nuovo Testamento. Ci sono invece singolari analogie con i soggetti delle
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9 “Immacolata Concezione”.
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10 “Inferno”.
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La fascia inferiore
della Via crucis, i confessionali, i paliotti d’altare, i tabernacoli, gli angeli lignei
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reggilampada, le balaustre, l’ornamentazione dell’organo con cariatidi, teschi con
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12 Organo.
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13 Tabernacolo.
14 Angeli reggilampada.
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La sagrestia
Lo stato di gravissimo degrado delle strutture lignee e delle pareti decorate costituite
in parte da carta incollata (nel soffitto), rende abbastanza precaria anche la lettura
dell’ambiente, sul quale non abbiamo dettagliate notizie d’archivio. Sono però
(alcuni pannelli decorativi completamente rifatti nel 1941). Si accede alla sagrestia
dalla porta che si apre a sinistra, all’altezza del presbiterio, sotto lo stemma
(attorniato da due angeli lignei) di papa Innocenzo XII Pignatelli, al quale è dedicata
la lunga iscrizione posta dopo che il pontefice divenne confratello del Nome di Dio,
nel 1691. Le strutture reali di una sagrestia sono schermate e nascoste, in un gioco di
“trompe-l’oeil” che fa scorrere davanti agli occhi solo una continua successione di
alla mano del Pandolfi, oltre alla decorazione delle porte, i dipinti posti sopra i sedili
Bambino Gesù, e la tela dell’altare, con angeli che sorreggono il monogramma del
Nome di Dio. Sul soffitto sono incassati vari dipinti, di diversi autori del ‘600 e ‘700,
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QUARTA PARTE
elaborato di Teodoro Briguglio, che per l’appunto prende il nome riportato nel titolo
(“Una lettura della chiesa del Nome di Dio”). Si tratta di un’ampia riflessione di carattere
contenuto nella chiesa. Infatti, lo stesso Briguglio sostiene che le pitture, i mosaici e in
generale le decorazioni delle chiese hanno una loro logica sequenziale, un fraseggio
“Biblia pauperum”, ovvero la catechesi con l’arte rivolta in particolar modo alle
persone semplici, che non hanno alle spalle una grande cultura teologica.
Il primo sguardo
della buona morte”, si ha l’immediata sensazione che questo luogo sia connesso alla
quale siano totalmente banditi i colori: questo influisce nella percezione delle
Il soffitto
provata all’ingresso: stando col naso all’insù, si rimane attratti dalla grande tela
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verso la spalla destra, rivolto quindi in direzione dell’osservatore. Accanto si nota
una rappresentazione dell’Inferno, nella quale i corpi dei defunti, spogliati degli abiti
sprigiona il concetto che morte e inferno hanno il loro antidoto salvifico nell’opera
redentrice di Gesù: il concetto espresso nella tela è sottolineato dalla frase che la
contorna e recita:
La frase è una citazione tratta dalla lettera di san Paolo ai Filippesi (2,10):
l’aiuto di una mediazione determinante operata da una persona come noi? Ed ecco
Maria nel momento della sua assunzione al Cielo, accolta da angeli e putti in estatica
all’immagine che di Maria dà il libro dell’Apocalisse (12,1): “Una donna vestita di sole”.
tutti gli uomini, come scrive san Paolo ai Corinzi: “Cristo è risuscitato dai morti,
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Sul lato destro del soffitto sono rappresentati Abacuc e Davide, mentre sul lato
fiumi Pison, Ghicon, Tigri ed Eufrate, che sgorgano dal paradiso terrestre (Genesi
2,10-14). Così come i fiumi biblici vogliono sottintendere l’idea che fossero destinati
dal Creatore ad irrigare e rendere fertile le terre emerse, così le parole dei profeti
Con Abacuc si tende a confortare l’uomo nel suo porsi l’eterno quesito: perché Dio si
serve di un popolo pagano ed empio come quello caldeo per redimere Israele dalle
sue infedeltà? Perché si serve del male per ricondurre le sue creature al bene? Perché
concluderà con Gesù, eterno redentore: dunque la sua potenza salvifica è destinata a
dell’infedeltà del popolo. Assieme a questo, Isaia annuncia la promessa che “un
giorno un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue
radici” (Isaia 11,1), che è il più esplicito riferimento a Gesù quale diretto discendente
In corrispondenza della grande scena centrale del trionfo del Nome di Dio, a destra
fra i profeti Abacuc e Davide e a sinistra fra Isaia e Salomone, ci sono rispettivamente
duce Francesco Maria II Della Rovere. Nel giovane a sinistra, anch’egli inginocchiato
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e con le spalle coperte da un ampio mantello, è raffigurato il duca Federico Ubaldo,
Leggere le pitture della chiesa del Nome di Dio comporta qualche artificio:
innanzitutto la chiesa deve essere divisa in parti ben distinte l’una dall’altra: l’aula, il
presbiterio e, all’interno del presbiterio, vanno distinte le pareti laterali dalla parete
di fondo alla quale è addossato l’altare maggiore. Le otto grandi tele che ornano le
pareti dell’aula, raccontano storie che costituiscono un itinerario che si dipana dal
accomunati dalla verità di fede che Cristo era atteso fin dal più remoto passato. Per
leggere le tele secondo il loro senso voluto dallo scenografo, può essere utile tracciare
Le sibille
La sibilla Cumana è la più famosa tra le sue consorelle. Da Apollo ebbe il dono della
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sua immagine nell’oratorio. Anche la sibilla Eritrea, benché a causa del riferimento
romano e cristiano, è anch’essa accomunata fra quelle voci del lontano paganesimo
che hanno intuito l’unicità di Dio. Il testo di tale profezia è fissato sul rotolo di papiro
E’ da notare che la figura di Giuseppe è in una posizione defilata rispetto agli altri
personaggi che affollano la scena. Al primo sguardo si è attratti dai due cavalli
bianchi che trainano il carro: inoltre salta all’occhio il cagnolino, che sembra aver
causato la caduta di uno spettatore o, ancora, dal grosso tamburo che risuona dei
colpi del musicante. La scenografia all’interno della quale si svolge il trionfo tributato
a Giuseppe Ebreo per aver salvato l’Egitto da lunghi anni di carestia, rappresenta un
vecchio edificio del Comune con il noto balcone ad angolo. Il complesso è stato
demolito nel 1932 perché vetusto e reso quasi inagibile in seguito ai terremoti del
1916 e 1930. Sulla destra è riconoscibile il palazzo Baviera. Fra i due edifici si apre
l’attuale via San Francesco, nella quale si intravede il portale trecentesco della chiesa
di San Francesco. Al termine della via si erge Porta Fanestra, demolita nel 1914. La
stessa via è documentata in una delle tarsie del coro ligneo della chiesa di
ebraico, che in quell’occasione ha potuto constatare la potenza di Dio. Non per nulla
alla tela sono legate le parole: “Omnipotens nomen eius”. La potenza del nome del
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verso l’alto, come a volere indicare l’origine del prodigio del quale lui e tutto il
popolo stanno beneficiando. Non altrettanto convinti sembrano gli altri personaggi, a
Davide e Golia
E’ la potenza del nome del Signore che ha messo in tensione il corpo di Davide
facendone vibrare ogni singolo muscolo, ed è la potenza del nome del Signore che ha
Il trasporto dell’Arca
che, dopo aver messo la preziosa cassa sotto la protezione di un suo angelo, invita
collegamento col testo biblico, citiamo Esodo 23,20, “Ecco io mando un angelo davanti a
te per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato”. Con questo
quadro si conclude l’iter illustrativo delle pareti dell’aula. Alle pareti laterali, però, si
dovrà ritornare per leggere le tele monocrome che fanno da spalliere ai sedili.
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Le pareti del presbiterio
L’ordine con il quale poter leggere le varie parti pittoriche (nell’ottica metodologica
1. Annuncio a Maria
2. Sogno di Giuseppe
3. Circoncisione di Gesù
4. San Luca
5. San Giovanni
6. San Marco
7. San Matteo
vissuto: è una Maria pensosa, assorta nella lettura di un libro. Si ha l’impressione che
Nel grande quadro (“Il sogno di Giuseppe”) posto a destra dell’altare maggiore
gli elementi connessi con il suo mestiere di artigiano: il banco da falegname, una
grande pialla accostata al muro e, sul piano di lavoro, altri attrezzi fra cui una
tenaglia e grossi chiodi. In questa scena viene fatto riferimento a Matteo 1,21,
richiamato dalla frase: “Vocabis nomen eius Jesum”, ovvero, “Lo chiamerai Gesù”.
importa che sia la copia ridotta dell’originale, oggi conservata al Louvre. Questo
quadro emana sprazzi di luce capaci di illuminare tutto il complesso. Per descrivere
il soggetto dipinto non ci sono parole migliori di quelle dell’evangelista Luca (2,21):
“Quando furono passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù,
come era stato chiamato dall’angelo prima di essere concepito nel grembo della madre”.
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L’imposizione del nome ad ogni nuova creatura e la conseguente circoncisione sono,
stessa chiesa e della confraternita al “Nome di Dio”. E’ a questo punto del percorso
L’esplorazione delle pitture che figurano sulla parete dell’altare maggiore non
sarebbe completa senza la citazione dei quadri monocromi posti in basso, attorno al
vita e le opere del Messia. Gli evangelisti sono raffigurati in ambienti indefiniti: li
riportata è: “In nomine Iesu surge”, ovvero “Nel nome di Gesù, cammina”. A seguire
troviamo “San Paolo libera l’ossessa”: Paolo e Sila stanno percorrendo le vie di
Filippi, e l’Apostolo è infastidito dalle grida di una giovane indovina. Paolo risponde
“In nome Iesu exire”, ovvero “Nel nome di Gesù ti ordino di partire da lei” (Atti 16,18).
I riquadri monocromi che fungono da spalliere ai sedili raffigurano figure eccelse che
hanno segnato la storia della Chiesa, in particolare nei primi secoli. La sequenza dei
4. Sant’Agostino (354-430)
7. Sant’Ambrogio (334-397)
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8. San Gregorio (540-604)
Dopo aver parlato di questi giganti della vita mistica e spirituale, viene dedicato
spazio alle persone comuni: questa pagina importante nella lettura del significato
teologico dell’oratorio del Nome di Dio, si trova in alto al limite delle pareti laterali,
al confine col soffitto. E’ una ristretta fascia monocroma affollata di figure di bambini
confortano i sofferenti, accolgono i senza tetto, perdonano le offese, pregano Dio per i
vivi e per i morti. Queste opere di misericordia sono volte a rendere operante nella
nostra vita il “Nome di Dio”. A questo riguardo è bene meditare Matteo 25,34-46.
La sagrestia
Da una porta che si apre nella parete sinistra si accede ad un locale dalla duplice
stupisce per l’abbondanza di luce che fluisce dalle due finestre poste a lato
dell’altare, e per i colori che sembrano piovere dal soffitto riccamente decorato. Si
ipotizza che questa sovrabbondanza di luce sia stata posta in essere per rasserenare
l’animo di quanti dovevano riunirsi in quest’ambiente per parlare dei problemi della
confraternita. Sulla porta secondaria del locale si legge un cartiglio che recita: “I
confratelli col proprio denaro finirono di ornare questo oratorio mentre decorrevano 17
chiesa avvenne nel ‘700, allorché le forme del barocco avevano già cominciato a
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PARVULUS NATUS EST NOBIS ET FILIUS DATUS EST NOBIS 17
La parete di fondo
scopre che nella struttura esterna dell’organo sono inserite delle scritte che
rasserenano l’animo:
• IN SONO TUBAE
• LAUDATE DOMINUM
• IN PSALTERIO ET CITHARA
• IN TIMP. ET CHORO
• IN CHORDIS ET ORG.
• IN CYMBALIS BENESONANTIBUS
• IN CYMBALIS IUBIL.
Si tratta di citazioni prese dal salmo 150, che nella sua interezza recita così:
“Alleluia. Lodate il Signore nel suo santuario, lodatelo nel firmamento della sua potenza,
lodatelo per i suoi prodigi, lodatelo per la sua immensa grandezza, lodatelo con squilli di
tromba, lodatelo con arpa e cetra, lodatelo con timpani e danze, lodatelo sulle corde e sui
flauti, lodatelo con cembali sonori, lodatelo con cembali squillanti, ogni vivente dia lode al
Signore. Alleluia”.
17 “Poiché un bimbo è nato per noi, ci è stato dato un figlio” (Isaia 9,5).
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QUINTA PARTE
PANDOLFI
Giovanni Antonio e allievo dello Zuccari, è artista rappresentativo per le sue molte
conservata nella chiesa di Santa Caterina di Rieti. Sempre a Rieti nel 1600 dipinse una
sua città, dipinse una “Madonna” destinata alla Santa Casa di Loreto. E’ datata 1610
decorazione dell’oratorio del Nome di Dio a Pesaro, lavoro durato 19 anni, dal 1617
SABBATINI
Nicola Sabbatini (1574-1614), nobile pesarese, studiò sotto Guidubaldo Del Monte e
Pesaro. Nel 1598 costruì una cappella nella chiesa della Madonna dei Servi a Pesaro.
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I TESTI SONO FRUTTO DI UNA RIELABORAZIONE DELL’AUTORE SULLA
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