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UNIVERSITA DEGLI STUDI DI NAPOLI

FEDERICO II
FACOLTA DI LETTERE E FILOSOFIA

TESI DI LAUREA
IN
TEORIA DELLINTERPRETAZIONE

FILOSOFIA DELLA POTENZA


E DIFESA DELLA SOGGETTIVITA
IN EMMANUEL LEVINAS

Relatore
PROF. FABIO CIARAMELLI

Candidato
DE MAIO CARMELO

ANNO ACCADEMICO
2001-2002

INDICE

Prefazione

IX

SEZIONE PRIMA

LA FILOSOFIA DELLA POTENZA


CAPITOLO PRIMO

FILOSOFIA, POTENZA E SOGGETTIVITA


1. LA FILOSOFIA OCCIDENTALE
2. FILOSOFIA E POTENZA
3. KANT, HEIDEGGER E LA TOTALITA
a. Kant e il potere totalizzante dellappercezione trascendentale
b. Heidegger e la verbalit del verbo essere
c. Essere come il y a e potere del Dasein
4. SOGGETTO ED ESSERE
5. LA LIBERTA
6. RAPPRESENTAZIONE E PRESENZA
7. ESSERE E FENOMENO
CAPITOLO SECONDO

CONDIZIONE ONTOLOGICA DELLUOMO

3
6
18

42
50
57
68

1. GNOSEOLOGIA E ONTOLOGIA
2. IL GODIMENTO
3. IL VIVERE DI...
4. DIPENDENZA E INDIPENDENZA
5. LINTENZIONALITA
6. LA DIMORA
7. LAVORO E RAPPRESENTAZIONE COME CONQUISTA DI SE
8. LATEISMO E POSTERIORITA DELLANTERIORE
9. LA SENSIBILITA
10. LINGUAGGIO E IDENTITA
11. LA FILOSOFIA OCCIDENTALE E LUOMO

SEZIONE SECONDA

LALTRO DELLONTOLOGIA
CAPITOLO PRIMO

ESPLOSIONE DELLA SOGGETTIVITA


1. STORICITA DEL VIVENTE UOMO
2. LIDEA DELLINFINITO
3. ALTRI COME LUOGO DI PRODUZIONE CONCRETO
DELLIDEA DELLINFINITO
4. DESIDERIO E IDEA DELLINFINITO
5. LA MESSA IN QUESTIONE DELLIDENTITA DELLIO
6. LA SEPARATEZZA DEL SOGGETTO
7. LA FEMMINILITA
8. LO SPOSTAMENTO DELLA FILOSOFIA LEVINASSIANA
9. LA FISSIONE DELLA SOGGETTIVITA

CAPITOLO SECONDO

ETICA, ONTOLOGIA E TRASCENDENZA

77
81
88
95
102
110
118
123
132
138
145

1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.

LETICA
CREAZIONE EX NIHILO
LINGUAGGIO ONTOLOGICO E LINGUAGGIO ETICO
IL TERZO
RESPONSABILITA E LIBERTA
LA MORTE E IL TEMPO
DIO

Bibliografia

PREFAZIONE
Il presente lavoro si propone di offrire una lettura della filosofia di Levinas tenendo
presente soprattutto due tematiche che sono tra i punti centrali del pensiero del filosofo:
la filosofia occidentale come filosofia della potenza e la soggettivit non come sostanza
che il fondamento del tutto, bens nel senso di scarto irrecuperabile di s a s,
inquietudine, non-riposo, che si traduce positivamente come responsabilit per laltro
uomo.
Vista la sostanziale unit tematica delle opere edite nel corso della produzione
filosofica del pensatore, si scelto un approccio fondamentalmente sincronico della sua
filosofia, mirante a coglierla, partendo dai due presupposti sopra citati, nella sua essenza.

Bench laspetto filosofico e quello religioso siano in Levinas strettamente


intrecciati, abbiamo scelto di non trattare questultimo, nella convinzione che il filosofo
sia riuscito nel suo intento: far parlare alla filosofia (che la filosofia occidentale, erede
di quella greca) la lingua dellEbreo.
La preoccupazione maggiore di Levinas, infatti, consiste nel superare la filosofia
dellessere, la quale viene interpretata come cultura della potenza che d prova di s
nellimperialismo del Medesimo sullAltro. Stare nellessere, invero, significa conatus
essendi, ovvero sforzo dessere, tendenza a preservarsi nel proprio essere: Per luomo
che ha come proprio affare lessere da fare, da compiere, da svolgere secondo il
proprio modo dessere, lessenza consiste nellaver-da-essere1. Il dominio della
dedizione allopera dellessenza da parte del soggetto conduce al trionfo dellessere, il
quale si presenta alla coscienza: questa non altro che lesposizione dellessere a se
stesso. Sotto questa ottica, il potere rappresentativo dellio il servigio reso allessere
per far s che esso possa apparire come tale, un momentaneo scarto di s a s necessario
a che si realizzi la piena trasparenza.
Il presentarsi dellEssere il presentarsi della Totalit, perch esso, nella sua
essenza, consiste nellessere un contenitore che racchiude tutto. Nonostante la critica
heideggeriana a questa concezione appena descritta dellessenza, nemmeno il filosofo
tedesco riesce a superarla, perch il suo nulla (interpretato da Levinas non come nulla
assoluto, ma come il y a, cio anonimato, accadere impersonale, indistinto scorrere) resta
sempre quellorizzonte a partire dal quale si schiudono gli enti. Certo, per Heidegger
lEssere non n un Universo n un Ente Supremo, ma resta comunque ci che illumina
e domina gli essenti come un Neutro: lEssere-Totalit non oltrepassato da questa
filosofia.
In questa situazione si frantuma lalterit, individuata dal filosofo francese nel
rispetto per laltro, in quanto limmanenza della totalit altro non se non lo Stesso che
non ha nulla fuori di s e rispetto al quale il diverso solo la sua modificazione. Senza
dubbio il dispiegamento dellessere uno scarto temporale, ma solo momentaneo, dato
che la raccolta, per il tramite della rappresentazione del soggetto, della dispersione

Cfr. E. Levinas, Dio, la morte e il tempo, Jaca Book, pag. 65

temporale degli istanti nel presente consiste nello Stesso che ritrova lo Stesso, ovverosia
il riconoscimento del Medesimo come tale.
Visto che cos, sorge inevitabile una domanda: che ne dellaltro? Che ne della
trascendenza? Della trascendenza, dellalterit, del rispetto dellaltro, ne nulla.
Laberrazione della filosofia occidentale stata quella di aver voluto assolutizzare
questo discorso, cadendo nellerrore morale di far violenza allaltro e nellerrore
teoretico di considerare lessere come infinito. Anche questo secondo aspetto stato uno
sbaglio, perch la totalit, o pi precisamente, lEssere, caratterizzato dalla finitezza,
visto che, per potersi riconoscere come tale, deve dispiegarsi ed essere accolto in un
diverso s, bench questultimo non sia altro che la sua presentazione alla coscienza.
Sicuramente lo scarto viene sincronizzato (il tempo dellessere il tempo del suo
dispiegarsi), ma questo non la giustificazione dellinfinito dellessere: Lesse
dellessere attraverso il quale lente ente un affare del pensiero e inerisce
immediatamente allo Stesso. Donde lindifferenza nei confronti del pensiero che si
muove al di fuori dellessere e, nello stesso tempo, una certa indigenza dellessere
costretto ad un diverso s, ad un soggetto chiamato a raccogliere la manifestazione,
essendo questa recettivit necessaria alla sua stessa vita di essere. E in questo senso che
nellessere vi finitezza2.
Ora, se lo stare alla luce dellessere e fare filosofia intorno ad esso comportano il
totalitarismo, o meglio, il dominio sullaltro, occorre un modo di vivere e un modo di
filosofare che siano come un altrimenti che essere, ossia unuscita dallessere. Questo
non un essere altrimenti, perch sempre essere , e non nemmeno il non essere
essere e non-essere sono sempre entro lessenza dellessere , ma laltro dellessere, il
terzo escluso; una cosa impossibile? Senza dubbio, ma se il nostro riferimento la
logica formale, il cui terzo principio enuncia che una cosa o A o non-A, e quindi non
si d terzo. Se invece ci mettiamo in unaltra sfera, nella logica levinassiana, questo
discorso non solo possibile, ma significa anche relazione con lalterit che rimane
sempre tale. E, questo, un tipo di relazione dove il soggetto in rapporto con laltro
senza che annulli laltro, e viceversa; Levinas ha diversi termini e diverse locuzioni per

Ivi, pag. 203

pronunciare il paradosso di questo rapporto: Desiderio, faccia a faccia, relazione


asimmetrica, relazione etica, idea dellInfinito ecc.
Il logico formale non potrebbe accettare questo discorso, perch il differente per
lui il non-A. Infatti, il principio del terzo escluso viene simbolizzato precisamente in
questo modo: p V p. Laltro, in questa formula, il non-p, perch esso differisce da p.
Ora, lo specifico della filosofia levinassiana consiste nel considerare questa differenza
come una cattiva alterit, perch relativa e negativa (non-p la negazione di p e perci
acquista consistenza in riferimento ad esso). Rispetto a questo, laltrimenti che essere (il
terzo escluso) non unalterit relativa, cio non si costituisce in riferimento
allidentico, ma assoluta, ossia una meraviglia che trascende lordine della
manifestazione: Lesteriorit non una negazione, ma un miracolo una meraviglia3.
Lentrata in gioco di questa dimensione altra dallessere la decostruzione della
presunta assolutezza dellessere e la sua subordinazione alletica, la quale, a differenza di
quanto creda il pensiero dellOccidente, non un derivato dellontologia, ma una vera
e propria filosofia prima, allinterno della quale non c pi il soggetto come identit
che si identifica nellunit del diverso, ma compare un io che s in quanto strutturato
come laltro nel medesimo.
Letica come filosofia prima decostruisce dunque la credenza che il senso si
esaurisca nellessere, nel suo apparire, e, per converso, individua nellaltro dellessere la
vera sorgente (sorgente prima o ultima) di esso.
Trovandosi nellimpossibilit di ricercare questa dimensione nel Greco (perch la
filosofia occidentale, fin dalla nascita, stata unontologia), il filosofo si rivolge allaltro
del Greco, ossia allEbreo, lunico che permette di parlare in termini morali. La
differenza tra le due culture pu essere riassunta nei due personaggi mitici di Ulisse (la
grecit) e di Abramo (lebraismo).
Ulisse che torna ad Itaca il pensiero dellessere e dellidentit, il simbolo
delluomo che ricerca se stesso, che si basa sulla sua forza e che, nel momento in cui
parte per cercare la verit, non si trascende, ma ritorna sempre in s, nella sua patria.
Abramo, invece, il simbolo di un uomo che esce da s per una chiamata ed un appello
che vengono da altrove e si dirige in una terra straniera, non ritornando nella sua patria.
3

Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, Jaca Book, pag. 301, corsivo mio

A differenza del primo, il cui scopo il ritorno di s a s, il riposo su di s, la quiete, il


secondo la contestazione del movimento circolare, lo scarto irrecuperabile dellidentit,
linquietudine stessa. Queste due metafore, che colgono lo specifico della cultura greca e
di quella ebraica, mettono in rilievo anche un'altra osservazione, che di capitale
importanza per capire la filosofia levinassiana; quando si parla di uscita dallessere non
si intende andare in unaltra patria, in un altro luogo, casomai migliore di quello
precedente, ma vuol dire dirigersi verso il non-luogo, verso laltrove, perch letica non
nel mondo dellal di l (cosa che farebbe ricadere nellontologia), ma si produce
quotidianamente nelle relazioni sociali, il cui presupposto il rapporto asimmetrico che
consiste nella responsabilit per laltro.
Levasione dallessere, per, non si riduce ad una condanna di esso, in quanto
lintento di Levinas non quello di negarlo, bens quello di conferirgli il giusto senso.
Infatti, dopo aver trovato il senso ultimo, il filosofo non si ferma, ma fa un altro
movimento: esce dalluscita dallessere, ossia vi ritorna; solo che ora non pi come
prima, in quanto egli introduce la traccia di ci che trovato (il Bene), trasformando cos
lEssere da violenza a giustizia. Si tratta, allora, non di svilire lontologia, ma, anzi, di
darle dignit; e la dignit (come giustizia) la si pu introdurre solo se si legge lEssere a
partire dallAltro dellEssere.
Precisamente, lordine dellontologia si apre a causa della comparsa del terzo,
interpretabile come un continuo tradimento della relazione etica tra il soggetto ed Altri;
tradimento, per, che introduce lordine della giustizia.
Ma chi il terzo? Cominciamo con il determinarlo per via negativa, dicendo
anzitutto ci che non . Dunque, non Altri, e nemmeno una ripetizione dellidentico
(questa una delle contestazioni pi importanti che Levinas fa ad Husserl).
Positivamente un altro Altri, ossia un altro prossimo, presentato dalla manifestazione
del volto (la nozione di volto serve al filosofo francese per introdurre la tematica della
presentazione di Altri, il quale ad ogni istante supera lidea che io mi faccio di lui, pur
rendendosi presente a me). Se, quindi, il terzo non un prossimo direttamente, nel senso
che non entra nella dimensione del faccia a faccia, esso, essendo comunque un altro
prossimo, pu essere definito come una sorta di prossimit seconda. Inoltre, il fatto che
appartenga allordine della manifestazione, giustifica le istituzioni politiche e

lattenuazione della mia responsabilit assoluta nei confronti di Altri, legittimando, in tal
modo, lesigenza della giustizia universale: Per il fatto che laltro il terzo rispetto ad
un altro anchegli prossimo necessario che io paragoni, che pesi e soppesi. E
necessario che pensi, necessario che io prenda coscienza. Il sapere appare a questo
livello. E necessario che io sia giusto Le istituzioni e lo Stato possono essere ritrovati
a partire dal terzo che interviene nella relazione di prossimit 4. Ci, reso possibile
dalletica, depone limperialismo dello Stesso e introduce il senso nellessere.
Cos come il pensiero levinassiano non condanna lessere tout court, allo stesso
modo la critica alla filosofia occidentale, pur essendo radicale, non la coinvolge nella sua
interezza. Questo accade perch essa, nel corso della sua storia, ha presentato le tracce,
seppur debolmente, dellaltrimenti che essere: tracce visibili soprattutto nellidea
dellInfinito di Cartesio (il pi abitante nel meno senza che luno annulli laltro) e nel
Bene di Platone (come ci che al di l dellEssere, quindi non oggettivabile, non
tematizzabile).
Lintento di questa esposizione quello di fare unanalisi dettagliata di quanto
esposto sopra, al fine di mostrare come si possa porre fine alla filosofia dellingiustizia e
mettersi in contatto con laltro dellessere a partire dal fatto quotidiano delle relazioni
sociali. Laccento particolare posto sulla nozione di soggettivit deriva dallesigenza di
chiarire come sia il soggetto etico (e non il soggetto come sostanza Cartesio o come
Dasein Heidegger) a consentire il discorso sulla sorgente del senso.
Il testo si divide in due sezioni, ciascuna delle quali composta da due capitoli.
La prima La filosofia della potenza legge la filosofia come filosofia della
violenza del medesimo sullaltro (capitolo I) e la mette in relazione con la condizione
ontologica delluomo (capitolo II). Ovvero, dopo aver messo in relazione filosofia,
potenza e soggettivit, ci si chiede se sia possibile eludere lerrore o se, come in
Heidegger a proposito delloblio dellessere, questa erranza non sia tale, ma un qualcosa
di inevitabile, un destino. Quasi tutto il secondo capitolo sembra far capire che valida
la seconda opzione, perch, mettendo in relazione il soggetto e lessere, emerge una
inevitabilit del potere del soggetto trascendentale, il cui scopo quello di uccidere
4

Cfr. E. Levinas, Dio, la morte e il tempo, cit., pag. 250

tutto ci che gli si oppone in quanto altro. Ma nelle ultime battute del suddetto, per, si
verifica un cambiamento di direzione, unesplosione che sconvolge tutto ci che era
stato detto in precedenza, pur non rinnegandolo. Difatti, tutto ci che stato detto fino a
quel momento valido, solo che, visto che offriamo una lettura di Levinas, non tutto,
perch il senso non si esaurisce nellessere. In questa parte lintroduzione della
dimensione altra (dimensione etica) rimane solo a livello di accenno, mentre trattata in
maniera sistematica nella seconda sezione LAltro dellontologia , ove ci si occupa
della relazione tra il soggetto, Altri e Dio. In questultima il capitolo primo rivolge
lattenzione particolarmente alla soggettivit etica, strutturata come laltro nel
medesimo fino alla sostituzione (si fa anche una riflessione approfondita sul
cambiamento di tale nozione tra Totalit et Infini e Autrement qutre ou au-del de
lessence, forse unico approccio diacronico di questo lavoro), mentre il capitolo secondo,
pur riprendendo tematiche del precedente, si dirige verso lalterit radicale, non
dimenticando, per, il problema del linguaggio e la nozione del terzo.
La voce di Levinas non un qualcosa di isolato, ma unesigenza (esigenza
dellaltrimenti) che coinvolge anche altre discipline, come dimostra larchitettura, la
quale si sta ripensando nella sua impostazione di fondo. In questo caso il pensiero va
soprattutto a Peter Eisenman, architetto la cui produzione ha un unico fine: proporre
unarchitettura che tenti di distaccarsi dalla tradizione greco-cristiana5. Anchegli, cos
come Levinas, per realizzare il distacco si rivolge alla cultura ebraica, interpretata, dal
filosofo francese, come laltro dellessere. Difatti, uno dei temi ricorrenti che emerge
nella speculazione eisenmaniana la presenza dellassenza, che, come vedremo nel
corso delle pagine successive, laltrove cui diretto Abramo, il non-Luogo per
eccellenza. Renato Rizzi, interprete di Eisenman, sottolinea che il punto di partenza della
riflessione di questo architetto-pensatore la radice ellenica, ovvero la tematizzazione,
lordine, la quiete. Rispetto a questo, lEbreo nella sua differenza dal Greco gli serve per
mettere in questione larchitettura classica: Eisenman linfluenza della radice ellenica
si pone a fondamento della sua riflessione teorica nella contrapposizione e nella
divaricazione culturale delle due radici si colloca il presupposto fondativo della sua
critica alla tradizione dellarchitettura occidentale, classico-antropocentrica lo scopo
5

Citazione in Renato Rizzi, Peter Eisenman, Motta Architettura, pag. 7

quella di ri-posizionarla in analogia con i mutamenti spesso radicali avvenuti nelle altre
discipline, quali per esempio la filosofia o le scienze. In altre parole egli cerca di
imprimere allasse portante greco-cristiano una decisa rotazione verso quello giudaico6.
Questa posizione la stessa di Levinas. Cercheremo di chiarirci meglio.
Il filosofo, per ricercare quel Bene che viene prima dellEssere, parte dalla
tematizzazione: linizio del suo filosofare lessere e la sua apparizione. Da qui, egli
effettua una risalita, e in questo movimento trova lInfinito. Non a caso egli ha sempre
sostenuto che il suo filosofare segue il metodo fenomenologico, inteso proprio come
risalita da ci che appare alle sue condizioni di possibilit.
La portata di quanto stiamo dicendo si evidenzia in Autrement qutre ou au-del
de lessence, quando si occupa dettagliatamente della riduzione, intesa come un ridurre
il Detto al Dire, ossia lontologia allaltro da essa: Ma a questa significazione del Dire
responsabilit e sostituzione si pu risalire solo a partire dal Detto e dalla domanda
che ne di? gi interna al Detto in cui tutto si mostra. Vi si pu risalire attraverso la
riduzione solo a partire da ci che si mostra, cio dallessenza e dalleone tematizzato
lunico di cui c tematizzazione Gli enti sono e la loro manifestazione nel Detto la
loro vera essenza. La riduzione non intende assolutamente dissipare, n spiegare alcuna
apparenza trascendentale. Le strutture in cui essa comincia sono ontologiche Ma
ecco la riduzione dal Detto al Dire al di l del Logos dellessere e del non-essere al
di l dellessenza del vero e del non-vero, ecco la riduzione alla significazione
alluno-per-laltro della responsabilit (o pi esattamente della sostituzione), luogo o
non-luogo, luogo e non-luogo, utopia dellumano, la riduzione allinquietudine (nel
senso letterale del termine) o alla sua diacronia che lessere, malgrado tutte le sue forze
raccolte, malgrado tutte le forze simultanee nella sua unione, non pu eternizzare. Il
soggettivo e il suo Bene non potrebbero essere compresi a partire dallontologia. Al
contrario, a partire dalla soggettivit del Dire che la significazione del Detto potr
essere interpretata. Si pu mostrare che c questione del Detto e dellessere solo perch
il Dire o la responsabilit reclamano giustizia. Cos soltanto allessere sar resa
giustizia7.
6
7

Ivi, pp. 17 e 21
Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, Jaca Book, pp. 56-57

Alla significazione delletica, la quale d il senso allessere, si pu risalire solo a


partire dallontologia. Non potrebbe essere altrimenti, visto che il piano dellessere
originario, nel senso peculiare di arch. Essendo principio, non potremmo che partire da
esso: tutto comincia dallontologia, dalla presenza dellessere al pensiero, dalla sua
intelligibilit. La fenomenologia levinassiana ha come punto di partenza lessere, solo
che, nel suo movimento, effettua una sorta di trascendenza in indietro, una
retroscendenza8 che lo conduce al di qua dellorigine, ossia al non-luogo, al
pre-originario che, proprio perch prima del prima, condiziona lorigine e le
conferisce significazione. Il pre-originario non unorigine a sua volta, perch se lo
fosse sarebbe ancora essere: paradosso dellaltrimenti che essere derivante dal suo
anacronismo.
Non aggiungiamo nulla a quanto detto in riferimento a questa tematica, perch essa
trattata approfonditamente nel testo. Ci soffermiamo solo un attimo sul rapporto
Eisenman-Levinas: entrambi partono (inevitabilmente) dallessere (radice ellenica,
dice Rizzi) per ri-posizionarlo attraverso una rotazione possibile solo per il tramite
dellaltro dellessere (asse giudaico, troviamo scritto nella citazione che commenta
larchitetto-pensatore).
Ci piace chiudere la nostra prefazione, che in fondo una postfazione perch
scritta sempre dopo il libro, come Levinas stesso ammette riportando alcune delle frasi
pi suggestive della sua filosofia:
Intendere un Dio non contaminato dallessere una possibilit umana non meno
importante e non meno precaria di quella di trarre lessere dalloblio in cui sarebbe
caduto nella metafisica e nellontoteologia9.
Bisogna trovare alluomo una parentela diversa da quella che lo lega allessere il
che permetter, forse, di pensare questa differenza tra me e laltro, questa
disuguaglianza, in un senso completamente opposto alloppressione10.

Espressione di S. Strasser citata nella prefazione di S. Petrosino, La fenomenologia dellunico, in E. Levinas,


Totalit e Infinito, cit., pag. XVIII, nota 11
9
Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 2
10
Ivi, pp. 219-220

Chiamiamo etica una relazione i cui termini non siano uniti da una sintesi
dellintelletto, n dalla relazione tra il soggetto e loggetto e in cui, tuttavia, un termine
pesi, o sia importante, o abbia significato per laltro, i cui termini siano legati da un
intrigo non esauribile n districabile dal sapere11.

Sezione Prima
LA FILOSOFIA DELLA POTENZA

11

Cfr. E. Levinas, Scoprire lesistenza, Raffaello Cortina Editore, pag. 262, nota 3

Capitolo Primo
FILOSOFIA, POTENZA E SOGGETTIVITA

1. LA FILOSOFIA OCCIDENTALE

Buon punto di partenza per la nostra esposizione sulla filosofia della potenza in
Levinas la definizione data dal filosofo francese in De Dieu qui vient lide: la
storia della filosofia occidentale stata una distruzione della trascendenza 12.
In riferimento a quanto citato, occorre innanzitutto osservare cosa stata la filosofia
occidentale fino ad ora.
Aristotele, come sappiamo, divideva le scienze in tre tipologie: scienze teoretiche,
pratiche e poietiche.
Tra le scienze teoretiche era inclusa quella che egli definiva filosofia prima, alla
quale attribuiva la qualit di essere la regina delle scienze, in quanto, a differenza di tutte
le altre scienze le cosiddette filosofie seconde, che studiavano loggetto nella sua
particolarit, essa si occupava della realt in generale, ovvero il suo oggetto non era
lessere particolare, ma lessere in quanto tale, lessere in quanto essere.
A questa filosofia prima fu dato in seguito il nome di ontologia, o metafisica.
La filosofia, in senso stretto, ontologia, dato che il suo scopo quello di
rispondere alla domanda che cosa lessere in quanto essere: ogni filosofo, nellintera
storia della filosofia, non ha fatto altro che inserirsi in questa schema, riempiendolo, di
volta in volta, con il proprio linguaggio.
Dire che la filosofia nasce con la pretesa di interrogarsi circa lessere, significa dire
che essa scienza del fondamento, del principio: prende atto dellesistenza della
molteplicit, e cerca di risalire allunit. La sua vera passione comprendere la totalit
dellente attraverso il raggiungimento della sua essenza. Il metodo usato, per usare una
terminologia kantiana, analitico: da ci che appare la molteplicit, lente alle sue
condizioni di possibilit lunit, lessere.
Linquietudine scaturente dalla molteplicit ci contro cui si batte la filosofia, che
vuole opporre a questa la quiete dellunit. Tale lotta la si pu condurre solo risalendo
dallapparenza allessenza, visto che questultima non immediatamente manifesta.
Il fondamento di cui essa alla ricerca universale e necessario, e quindi la verit
che vuol trovare universale e necessaria: la verit non altro che un rispecchiamento
del fondamento.

12

Cfr. E. Levinas, Di Dio che viene allidea, Jaca Book, pag. 79

Tale scienza, nata in Grecia nel V sec. a.C., in tutti questi anni trascorsi ha
attraversato numerose rivoluzioni, ma, bench si dica che il secolo appena passato sia
stato il secolo della fine della metafisica, esercita ancora il suo fascino, per cui ancora
lontana la sua estinzione.
La critica alla metafisica cominciata in maniera consistente con Kant, il quale
afferm che di ci che al di l del fenomeno lapparenza noi nulla possiamo dire, e
di conseguenza non c e non pu esserci una metafisica valida.
Un altro robusto colpo di maglio tale scienza lo subisce con Nietzsche, per il quale
Dio morto. La morte di Dio pone fine a qualsiasi metafisica, in quanto con lo
smascheramento venuta meno la condizione stessa dellesistenza di tale scienza: lo
schema platonico di un mondo dellal di l il fondamento rispetto al quale soltanto
c il mondo dellal di qua lente.
Il culmine di tale critica alla metafisica raggiunto con Heidegger, e la sua
interpretazione risulta, a tuttoggi, quella vincente anche se certo non lunica. Per
questo filosofo la suddetta scienza non stata altro che un oblio dellessere, in quanto,
pur nascendo la metafisica come domanda circa lessere, lo dimentica subito perch tale
essere considerato sulla base della semplice-presenza, o, per dirla pi volgarmente,
sulla base delloggettivit. Visto che, secondo tale filosofo, lessere non un contenitore
allinterno del quale ci sono gli enti, ma un qualcosa che si offre e si ritrae, la
metafisica, basandosi sul modello della semplice presenza, cade nelloblio dellessere
perch non tiene conto di quella dimensione di ritrazione che caratterizza lessere stesso:
ritrazione che non un attributo aggiunto dopo, ma costitutiva dello stesso. Con ci
viene meno la fondamentale differenza ontologica, che quella differenza che non mette
sullo stesso piano lessere e lente, ma mantiene lessere distinto dallente.
Detto questo, ci dobbiamo chiedere se effettivamente questi filosofi, con le loro
critiche, hanno superato tale schema o se non hanno fatto altro che inserirsi in
questunico universo di discorso, tipico dellontologia.
2. FILOSOFIA E POTENZA

Nel paragrafo precedente risultato che lontologia si interroga sul senso


dellapparire e che la sua vera essenza la risalita dalla molteplicit allunit.
Ora, precisamente qui che si inserisce la critica di Levinas alla filosofia
occidentale, la quale, in fondo, la filosofia tout court; infatti, dire che tale scienza
questa risalita significa dire che essa, in quanto tale, non altro che una riduzione
dellaltro al medesimo, della trascendenza allimmanenza.
Il filosofo francese mette ben in evidenza questo aspetto, che diventa, assieme alla
tematica dellal di l, uno dei due aspetti fondamentali del suo pensiero.
Limportanza data a questa dimensione deriva dal fatto che se Nietzsche si
dichiarava lavvocato della vita, Levinas senzaltro lavvocato dellaltro, ovverosia
colui il quale difende laltro, colui il quale rivendica il rispetto dellalterit dellaltro.
Rispetto a questo, i filosofi sopra citati vengono ricondotti tutti allinterno dello
schema ontologico, e cio a quel tipo di linguaggio che nega la dimensione dellal di l.
Ma perch questo accade?
La risposta meno difficile di quanto si possa pensare.
Essendo la filosofia ricerca dellessere in quanto essere, essa vuole la verit, intesa,
questa, come senso dellapparire: si tratta del significato heideggeriano del termine
a-letheia, che, letteralmente, significa non-ascosit; qualcosa lapparire viene alla
luce dal nascosto. La privativo del termine fa capire lo stretto legame tra verit e non
verit: il manifestarsi della verit come svelamento presuppone un originario celarsi e
nascondersi da cui viene la verit stessa. La non-verit, dunque, fa parte dellessenza
della verit.
Questa concezione della verit, proposta da Heidegger, viene ripresa da Levinas, il
quale, per, accentua pi il carattere dello svelamento. Ma questo non vuol dire che il
filosofo abbandoni la concezione della non-verit, perch anche questultima adottata e
analizzata in profondit (vedremo in seguito che la non verit dalla quale deriva la verit
sar chiamata da Levinas il y a).
La dimostrazione di quanto detto si trova in Autrement qutre ou au-del de
lessence, dove troviamo la concezione della verit come svelamento dessere, visto che
questo, come accennato prima, non mai immediatamente manifesto nella sua totalit 13.
13

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pp. 29-31

Sotto questo aspetto la verit non sarebbe altro che lesibizione dellessere, ove ci
che si cerca in essa la risposta alla domanda che cosa , la quale significa nientaltro
che che cosa lessere.
In questo modo il che cosa? della verit gi avvolto dallessere perch la
domanda circa lessere sempre in rapporto allessere stesso. Non essendo mai, questo,
immediatamente e totalmente manifesto a se stesso, si produce la ricerca della verit che
vuole strappare lessere dallapparire, o meglio, desidera che lessere si dia nella sua
esaustivit.
Anche la domanda chi guarda, in questa verit, a sua volta ontologica, in
quanto essa tende a scoprire il soggetto entro una congiuntura di cose, allinterno di una
relazione, ovverosia allinterno della totalit. Il soggetto del verbo questo chi si
configura come un elemento in rapporto agli altri elementi allinterno di un insieme ben
definito. Difatti, se noi chiediamo chi il signor tale, ci aspettiamo risposte di questo
tipo: E il presidente del consiglio, o E il dottor X, o E limprenditor tal dei tali e
cos via dicendo. Ci accorgiamo, da questi esempi, che in fondo ci che interessa non
precisamente lalterit dellaltro, ma solo la posizione che il chi occupa allinterno di un
contenente dai contorni ben definiti (esempio: la risposta limprenditor tal dei tali
significa che, tra la classe finita degli imprenditori, questo individuo ha un certo posto ed
occupa un certo ruolo), ovvero la localizzazione dellelemento allinterno della totalit.
La domanda chi? si appiattisce dunque sul che cosa?, e la risposta si riferisce ad un
sistema di relazioni; in altri termini, anche la domanda chi? si interroga sullessere, per
cui anchessa altro non se non lesposizione dello stesso.
Il filosofo spinge ancora pi in l la problematica della verit introducendo il
concetto di coscienza, intesa come accoglimento dellessere; un tale discorso permette di
parlare della coscienza come ci che accoglie lessere. Rispetto a questo, la verit
diventa lesposizione dellessere a se stesso, ossia lessere che si presenta nella sua
totalit alla sua coscienza.
Il concetto di totalit suggerisce che lessere in quanto essere altro non se non ci
che non lascia nulla fuori di s; , in altre parole, il Medesimo che ritrova il Medesimo.
Nel ritrovamento di se stesso da parte del Medesimo la verit si realizza come
appropriazione. In questa ottica la filosofia non altro che lo sforzo dellidentico di

coincidere con se stesso attraverso la negazione di qualsiasi alterit; a tal fine il suo
scopo quello di ridurre tutto ci che gli si oppone in quanto altro.
Una tale filosofia, negando la trascendenza, cio ci che al di l dellidentico,
una filosofia della potenza, che, in quanto tale, una filosofia dellingiustizia. In sintesi,
quella ricerca del fondamento di cui parlavamo prima si raggiunge attraverso la violenza
sullaltro.
In tal modo si realizza quellimpostazione espletata nel Timeo secondo la quale il
cerchio del Medesimo ingloba e comprende il cerchio dellAltro 14.
Levinas, nel saggio La philosophie et lide de lInfini, dice che la filosofia la
conquista dellessere da parte delluomo attraverso la storia 15. In base a quanto detto
precedentemente capiamo solo la prima parte della frase, ma non la seconda. Perch
Levinas dice attraverso la storia? Il motivo spiegato in Autrement qutre ou au-del
de lessence.
In questa opera il filosofo mette in evidenza a tal proposito che la manifestazione
dellessere a se stesso implica una separazione dessere, in quanto la manifestazione non
e non pu essere una folgorazione in cui la totalit dellessere si mostra alla totalit
dellessere, perch questo si mostra precisamente uno sfasamento al quale si pu
dare il nome di tempo16. Nello sfasamento il tutto si stacca dal tutto ecco la temporalit
del tempo, ovvero il farsi tale del tempo. Qui listante non coincide pi con se stesso e,
tuttavia, malgrado la scissione di s a s, si verifica a questo livello un recupero in cui
nulla perduto; recupero realizzato dalla sintesi dallappercezione trascendentale. In
questo modo il Medesimo si lancia in un movimento che poi ritorna a s e la verit
diventa il Medesimo che ritrova se stesso, quindi ritrovamento, richiamo, reminiscenza,
raccolta sotto lunificazione dellIo Penso.
Ci che viene realizzato in questo movimento non lallontanamento dal presente,
ma la rappresentazione, la quale afferma il primato del sincronismo della presenza. Il
soggetto, per suo tramite, implicato nel gioco della ritenzione e della protensione che
gli permette di ridurre il tutto alla istantaneit dellistante. Si deve perci ammettere che
se vero come vero che nellontologia c la dimensione temporale, altrettanto vero
14

Cfr. E. Levinas, Di Dio che viene allidea, cit., pag. 139


Cfr. E. Levinas A. Peperzak, Etica come filosofia prima, Guerini e associati, pag. 32
16
Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 35
15

che questo tempo un tempo recuperabile dove non c diacronia, ma sincronia. In


questo movimento lessere si espone a se stesso, e la verit diventa ostensione, cio
esibizione dellessere nella sua coscienza.
Lidentit, qui, non un qualcosa di gi dato, ma consiste nellidentificare: lo
sforzo dellidentificazione dove il medesimo ritrova se stesso si compie attraverso
unorbita circolare che, unendo il principio con la fine, capovolge latto in riposo,
raggiungendo come risultato la vittoria su ogni inquietudine. In questo modo, nel corso
del cammino dellessere il Medesimo si lancia verso laltro, ma non produce un vero e
proprio accesso allalterit, dato che il ritorno a s conferma e rafforza il primato di se
stesso. Il movimento che spinge lidentico verso il non identico obbedisce alla legge del
ritorno, la quale permette al Medesimo di com-prendere laltro, in quanto il tutto viene
ridotto alla presenza del presente. Questa presenza del presente sapere, tematizzazione,
concetto. Ad essa tutto ridotto, anche Dio e il rapporto con Dio. Poi ci si sgomenta se
ad un certo punto arriva lannuncio delluomo folle: annuncio che proclama la morte
di Dio e luccisione di questa Divinit da parte delluomo 17.
In fondo linsegnamento di Nietzsche valido, ed proprio vero che se questo Dio
morto i colpevoli sono gli uomini, che, con la loro Volont di potenza, hanno voluto
ridurre tutto a s, negando quella dimensione che al di l dellimmanenza e che in
nessun modo pu essere ridotta ad essa. Un Dio tematizzato non una trascendenza, ma
un qualcosa di ridotto alla struttura circolare che non lascia nulla fuori di s.
La circolarit in cui coinvolto il Medesimo un movimento che dal Medesimo va
verso Altri per ritornare al Medesimo: in questo modo affermata la signoria del
soggetto nei confronti della trascendenza, che viene violentata, manipolata, e cos ridotta
allimmanenza della presenza del presente.
Si pu interpretare questo movimento tipico dellontologia come un movimento
dialettico, dove abbiamo un medesimo che, per potersi riconoscere come tale, deve
estraniarsi da s per poi ritornare a s. E solo nel suo ritorno a s che esso diventa
perfettamente coincidente con se stesso. E in questo modo che si rende possibile il
soggetto assoluto della filosofia hegeliana, per la quale lo spirito si appaesa presso di s
nella storia, raggiungendo un punto in cui realizza lannessione di qualsiasi alterit
17

Cfr. F. Nietzsche, La Gaia Scienza, Adelphi, af. 125, pag 162

attraverso la sua negazione. Il dominio del soggetto qui affermato con enfasi nella nota
formula hegeliana ci che razionale reale; e ci che reale razionale. Lidentit
tra pensiero ed essere, tra essere e dover essere, permette quella risoluzione del finito
nellinfinito che il punto centrale del filosofo della dialettica. Ci perch il finito, come
tale, non esiste, in quanto esso nientaltro che unespressione parziale dellinfinito, il
quale, a sua volta, la totalit delle cose finite. Ci significa che il finito, per porre se
stesso, obbligato ad opporsi a qualcosa daltro, cio ad entrare in una trama di relazioni
che forma la realt e che coincide con il tutto infinito di cui esso parte o
manifestazione. In altri termini: il finito, in quanto reale, non tale, ma lo stesso
infinito. In tal modo il reale un organismo unitario di cui tutto ci che esiste parte o
manifestazione, ed una struttura razionale che si dispiega attraverso la storia, tramite
la quale si realizza quella sintesi del molteplice che riduce ogni cosa allordine e alla
perfezione del tutto. Molteplicit, opposizione, conflitto, sono solo dei momenti di
passaggio, essenziali a che il Medesimo possa inglobare tutto ci che gli si oppone in
quanto altro. Alla fine del processo si arriva allo Spirito assoluto, dove la Ragione si
conosce nella sua infinit o assolutezza, ovvero si riconosce nel fatto che tutto spirito e
lo spirito al culmine del processo identificativo totalmente trasparente a se stesso.
Tale auto-sapersi dellassoluto non qualcosa di immediato, ma il risultato di un
processo dialettico in cui, direbbe Levinas, il Medesimo ritrova il Medesimo. La pretesa
dellassolutezza della Ragione apofantica una violenza esercitata sullaltro che nega
qualsiasi strada che porta alla trascendenza, ovverosia a quella dimensione che permette
la realizzazione dello scopo di Levinas: il rispetto dellaltro.
Ci che manca a questo soggetto assoluto la relazione, e precisamente la relazione
con laltro che una relazione sociale. Per Levinas, come vedremo in seguito, la
relazione con il trascendente proprio la relazione sociale.
Con Hegel, ma in fondo con tutta lontologia, perch questo filosofo non altro che
un momento di essa, tale relazione impossibile, dato che cade nel solipsismo, dove ad
esistere solo la monade; e la monade, diceva Leibniz, non ha porte e finestre 18: nulla le
viene dallesterno perch tutto deriva da essa.

18

Cfr. G. W. Leibniz, Principi della filosofia o la monadologia, Rusconi, pag. 61

In Totalit et Infini Levinas recita precisamente cos: Lessere in quanto essere, per
noi, monade19.
Tale affermazione portata avanti dal filosofo sulla base della convinzione che la
filosofia occidentale si fonda sullindissolubile legame tra lUno e lEssere. Lunit
eleatica stata sempre ci che ha dominato la filosofia occidentale cos come stata
finora.
Dallo schema ontologico hegeliano non si allontana di certo Nietzsche, il quale
riprende la macchina speculativa dello stesso, solo che sposta il discorso dal lato della
Ragione al lato della Volont.
Con il concetto di Volont di potenza, che imprime al divenire il carattere
dellessere e punto culminante della filosofia nietzschiana, il filosofo dello Zarathustra
non fa altro che riprendere lo spirito assoluto hegeliano: si tratta di vedere perch!
Lo smascheramento del prospettivismo fa diventare Platone rosso di vergogna, in
quanto dimostra che laddove si vedono cose ideali, esse non sono altro che cose umane,
ahi troppo umane. In altri termini, quel mondo dellal di l mondo vero, intelligibile
, rispetto al quale soltanto c il mondo dellal di qua mondo apparente, sensibile
che stato introdotto da Platone, si rivela una favola perch esso non altro che il
prodotto delluomo, il quale si garantisce cos contro lincertezza dellassenza di
fondamento che costitutiva del nostro esserci, per usare una terminologia
heideggeriana. Per dimenticanza, per, luomo non ricorda che questo mondo lo ha
prodotto egli stesso, e cos lo ritiene vero.
Lo scopo dello smascheramento proprio quello di rammentare a noi stessi che
abbiamo dimenticato questo fatto, cadendo cos nella decadenza della cultura; decadenza
derivante dal fatto che noi ci lasciamo guidare e quindi comandare da un qualcosa che
non esiste e che arbitrariamente abbiamo posto dietro al mondo. Il tutto a svantaggio
del sensibile e della vita, perch la vita il sensibile.
Di fronte a questa situazione, il filosofo ci invita a .. ridivenire buoni amici delle
cose prossime e non distogliere da esse lo sguardo sprezzante come s fatto finora,
mirando alle nuvole di l da esse e ai mali spiriti della notte20.
19
20

Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 283


F. Nietzsche, Umano troppo Umano, in Opere di Friedrich Nietzsche II, tr. it. di S. Giametta, pp. 143-144

Visto ora che si prodotto lo smascheramento, il filosofo, che non solo uno
spirito negatore, ma anche uno che afferma, cerca di essere propositivo: da qui linvito
ad essere fedeli alla terra.
Con ci Nietzsche ritiene di aver superato la metafisica, e cio la filosofia
occidentale.
Ma in realt cos non , in quanto il prospettivismo, producendo lo
smascheramento, porta al nichilismo come stato normale, rispetto al quale la comunit
prospettica chiamata a far fronte; dopo la negazione dellHinterwelt noi non siamo
altro che un quantum di forza plastica che si erge dal nulla e contro il nulla.
Ora, precisamente qui che Nietzsche, nel tentativo di superare il nulla, arretra,
rifluendo in quel vecchio schema ontologico in cui ci che sta alla base il fondamento,
cos tanto criticato finora dal filosofo stesso (questi teorici del fine dellesistenza
vogliono far dimenticare a tutti i costi dessere, in fondo, impulso, istinto, assurdit,
assenza di fondamento, si legge in Die frhliche Wissenschaft21).
Larretramento causato dal fatto che, per il superamento delluomo metafisico,
necessario negare lideale, in modo tale da realizzare la santa affermazione: lavvento del
Superuomo, ovverosia colui il quale si pone come Volont di potenza.
La Volont di potenza non la volont di esistere, ma la volont della dominazione,
la volont di volere, direbbe Heidegger; il suo movimento non il passaggio dal non
essere allessere il volere lesistenza , ma il suo autotrascendimento, il suo continuo
incremento il volere la potenza: Certo singannava colui che proclam la volont di
esistere; una tale volont falsa dacch ci che non esiste non pu volere; ma quello
che gi nellesistenza, come potrebbe ancora volere esistere? Soltanto dov vita
anche volont; ma non gi volont di vivere, bens volont di dominare!22.
La volont, dunque, tende a crescere su se stessa, e in tale continua crescita tende a
porsi come incondizionata: anchessa coinvolta nel processo identificativo che
permette di trovare lunit nella diversit. Ma in tale movimento essa incontra lostacolo
del pesante macigno del cos fu; in altri termini, la volont, per potersi riconoscere
come causa sui, si rende conto che c almeno un attimo che non riesce a padroneggiare:
21
22

Cfr. F. Nietzsche, La Gaia Scienza, cit., Libro primo, af. 1, pag. 51


Cfr. F. Nietzsche, Cos parl Zarathustra, Luigi Reverdito Editore, pag. 97

listante in cui accaduta, a partire dal quale tutto essa pu, a partire dal quale si svolge,
si incrementa. Il volente, qui, si scopre non volutosi, si sente infondato, ingiustificato.
La teoria delleterno ritorno ci che permette a Nietzsche di superare questo
limite; difatti, con essa quellimpossibilit della volont di volere a ritroso, che era il
suo rovello e la sua inquietudine, superata, in quanto essa si vuole a tal punto da
mettere le mani sulla propria genesi, divenendo cos incondizionata, causa sui, assoluta.
Heidegger spiega bene un tal movimento in Saggi e discorsi: visto che lunico mondo
il mondo dellal di qua, contraddistinto dal tempo, cio dal passare, la volont pu
diventare causa sui soltanto se questo passare permane.
Ma come fa il passare a permanere, si chiede il filosofo delloblio dellessere?
Ci possibile nella misura in cui il passare non solo sempre va, ma anche sempre
torna23.
Anche qui, come in Hegel, la circolarit ci che permette al Medesimo di
riconoscersi come tale esercitando una violenza sullaltro e negando lalterit la
trascendenza , ponendo un fondamento che tutto annette a s.
Il medesimo si trova implicato in un esercizio della potenza per il tramite della
totalit che non ha nulla di esterno.
Il Superuomo quel soggetto che chiude il circolo del medesimo attraverso un
movimento che si presenta come una spirale che annulla ci che esterno al proprio e
che prende il nome, in Totalit et Infini, di esteriorit.
Ci detto, opportuno precisare che, per quanto possa sembrare strano, la filosofia
di Nietzsche meno lontana da quella di Levinas di quanto si pensi.
Per il primo, come affermato prima, Dio morto, e ad ucciderlo sono stati gli
uomini; per quanto le motivazioni siano diverse, questo stesso discorso vale pure per il
filosofo francese. Da ci si potrebbe anche dire che quello del tedesco sia un
insegnamento valido e da tenere sempre presente per non cadere pi in questo errore che
permea di s lintera storia della filosofia occidentale. La morte del dio abitante dietro i
mondi ci che deve far riflettere per proporre un nuovo modo di pensare e di parlare;
un modo che consenta di dire la trascendenza, lalterit.

23

Cfr. M. Heidegger, Saggi e discorsi, Mursia, pag. 77

Ma perch Levinas convinto, come Nietzsche, che sia definitivamente sorpassata


ogni filosofia che tenti di spiegare la nostra esistenza e il nostro mondo alla luce di un
retromondo (Hinterwelt)?
Perch questo dio morto?
E morto davvero?
In verit, questo dio, stando alla filosofia levinassiana, non mai esistito, o meglio,
non stato mai veramente Dio. E stato il modo in cui se ne parlato ad ucciderlo. Lo si
tematizzato, dimostrato, concettualizzato; in altri termini, lo si ridotto allimmanenza
della presenza del presente, lo si ridotto alla totalit. In questo caso resta validissima la
critica heideggeriana alla metafisica, che aveva fatto di Dio soltanto il sommo ente,
dando vita a quella che egli definir ontoteologia.
In questo modo nella struttura a spirale che caratterizza il Medesimo si fatta
rientrare anche quella trascendenza che non in nessun modo rapportabile al sapere.

3. KANT, HEIDEGGER E LA TOTALITA


a. Kant e il potere totalizzante dellappercezione trascendentale
Mettendoci dal lato di altri due grandi critici della metafisica, ci accorgiamo che, in
fondo, anche per questi vale il discorso fatto per Hegel e per Nietzsche, e quindi ci
accorgiamo che il loro discorso non supera lontologia, ma interno ad essa, si inserisce
nella sua essenza, in quello che stato sempre il suo schema: la riduzione dellalterit
allidentit.
Per Kant, come dicevamo nelle prime battute della nostra esposizione, non c e
non pu esserci una metafisica valida. Ci significa che c unimpossibilit da parte del
soggetto a determinare ci che oltrepassa i limiti della sensibilit.
Visto questo discorso, donde la signoria del soggetto kantiano?

Non forse una forzatura, quella di Levinas, inserire il filosofo tedesco entro la
filosofia occidentale?
Innanzitutto occorre per dire che lopposizione al filosofo tedesco non totale, in
quanto c almeno un punto di contatto tra i due. Tale situazione sottolineata in
Autrement qutre ou au-del de lessence, quando si parla del kantismo come ci che
trova un senso allumano24.
Cosa pu voler dire questo?
E evidente che qui si sta facendo riferimento al Kant della ragion pratica, cio a
quel filosofo che si richiamava allimperativo della legge morale e lo considerava come
categorico, ossia valido indipendentemente dalle dimostrazioni a priori e a posteriori
dellesistenza di Dio fatte dalla metafisica, intendendo, con ci, di evitare di fondare
letica sullontologia.
Questo precisamente lo scopo dichiarato di Levinas, per il quale intendere un
Dio non contaminato dallessere una possibilit umana non meno importante e non
meno precaria di quella di trarre lessere dalloblio in cui sarebbe caduto nella
metafisica e nellontoteologia25.
Il fatto di non voler far derivare letica dallontologia dimostrato anche nel
discorso levinassiano circa lidea dellInfinito in Cartesio, della quale parleremo in
seguito.
Ritorniamo per il momento a Kant ed evidenziamo dove questi consente un
discorso che permetta di parlare ancora una volta della signoria del Medesimo.
Tale discorso si realizza nel Kant della ragion pura teoretica, allinterno della quale
il filosofo individua un potere unificante del soggetto che porta questultimo, in quanto
attivit, ad essere la condizione stessa dellesperienza, visto il principio che regge i
giudizi sintetici a priori: Le condizioni di possibilit dellesperienza sono ad un tempo
condizioni della possibilit degli oggetti dellesperienza, ed hanno perci valore
oggettivo in un giudizio sintetico a priori26.

24

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pp. 162-163


Ivi, pag. 2
26
Cfr. I. Kant, Critica della ragion pura, Editori Laterza, pag. 147
25

La sintesi non decide certo dellaspetto materiale delloggetto, e per lo condiziona


per quanto concerne il suo aspetto formale, esercitando cos una forza che riesce a
piegare la materia alla forma.
Ancora una volta si entra nellambito dellontologia, perch lIo penso ci che
permette lunificazione del molteplice e, quindi, ci che permette che una cosa sia.
Per questo filosofo tedesco un qualche cosa si mette in tempo e spazio, dando
origine ad un molteplice di rappresentazioni ordinato perch vengono messe luna
accanto allaltra e luna dopo laltra ma non unificato: la sintesi del molteplice
realizzata dallunit dellappercezione trascendentale attraverso le categorie; questo
consente di conciliare aspetto formale e materiale dellesperienza, dando luogo
allesperienza stessa.
Il soggetto contraddistinto da un misto di passivit e di attivit: la prima vale a
livello dellintuizione sensibile (ma anche qui un certo grado di attivit riscontrabile, se
consideriamo che il soggetto assume ed ordina ci che lo affetta), mentre la seconda vale
a livello di intelletto, il quale, per il tramite delle sintesi e seguendo il principio della non
contraddizione, organizza questo molteplice ordinato dalla sensibilit secondo il tempo e
lo spazio.
Condizione fondamentale dellesperienza in senso formale e in senso materiale
lunit dellappercezione trascendentale, la quale opera attraverso le dodici categorie.
LIo penso dice Kant deve poter accompagnare tutte le mie rappresenazioni 27.
La deduzione trascendentale, per, mette in evidenza il fatto che le categorie non
sono sempre valide, perch esse non valgono per tutti i tipi di molteplice, ma solo a
livello del molteplice ordinato dalla sensibilit.
Si inserisce in questo punto la distinzione kantiana tra pensare e conoscere, ove il
conoscere una delimitazione del pensare che, riferendo le categorie alla sensibilit,
supera il vuoto dei concetti derivante dalla mancanza dellintuizione sensibile. Il pensare
effettua ununificazione del molteplice in generale, il quale senzaltro pi ampio del
molteplice sensibile, e per non permette la legittimit delle categorie.
Seguendo la filosofia levinassiana, risulta abbastanza chiaro che il potere
totalizzante del soggetto si esercita nellunificazione, la quale consente lunit nel
27

Cfr. I. Kant, Critica della ragion pura, cit., pag. 110

diverso: lidentit, qui, sarebbe un identificare, in quanto le molteplici rappresentazioni


il diverso vengono unificate in una coscienza, ottenendo come risultato lidentit del
medesimo.
La distinzione kantiana tra pensare e conoscere non muta questo discorso,
sottolinea Levinas in De Dieu qui vient lide, in quanto, egli spiega, questo pensiero
inteso come vuoto delle cose in s, ovvero come mancanza dessere. Il pensiero, dunque,
si misura ancora in rapporto allessere che, in questo caso, gli manca. Lillusione
trascendentale sarebbe nientaltro che il dramma di unaspirazione allessere 28.
Ma si pu individuare anche un altro motivo che induce a pensare Kant come un
filosofo che pensa in maniera ontologica: lattribuzione dellintelletto a Dio, che un
punto fondamentale della sua filosofia e messo ben in evidenza da G. Giannetto in
Pensiero e disegno.
Pur distinguendo intelletto intuitivo che si riferisce al molteplice in generale e
intelletto discorsivo che si riferisce al molteplice sensibile e sostenendo che
lintelletto intuitivo non proprio delluomo, il filosofo finisce per affermare un tale
intelletto attribuendolo allEssere Supremo, che, nel nostro immaginario, prende il nome
di Dio.
Considerare lEssere Supremo come un essere dotato di intelletto significa riportare
anchesso ad un discorso che ha come proprio fondamento lidentificazione del
molteplice, visto che lintelletto viene considerato come la facolt di unificare un
molteplice in genere.
Per quanto diverso dallintelletto umano, anche a Dio comunque attribuito il
processo identificativo operato dalla coscienza, perch se si ha lintelletto allora si pensa,
e pensare significa unire delle rappresentazioni in una coscienza. Lontologia di
nuovo affermata e riguarda anche Dio che dotato della coscienza unificante, entra in
rapporto con il diverso identificando ci che identico non . Anche qui lidentit un
identificare, anche se questultimo discorso vale a livello logico e non cronologico
perch nella Divinit non c il tempo.

28

Cfr. E. Levinas, Di Dio che viene allidea, cit., pp. 149-151

Addirittura in Autrement qutre ou au-del de lessence Levinas sostiene che il


criticismo sarebbe il fondamento stesso della filosofia intesa come comprensione
dellessere29, ovvero come ontologia.
Questo perch il fondamento ultimo per la filosofia kantiana la coscienza
trascendentale, la quale lunica origine del senso e quindi insuperabile. Lapertura
allaltro viene ricompresa nello schema del soggetto totalizzante, il quale la gloria del
pensiero europeo e lo schiavo dellessere, visto che, come abbiamo detto in precedenza,
esso solo ci che permette allessere, e quindi al Medesimo, di essere perfettamente
coincidente con se stesso. Il soggetto solo una funzione, ha la funzione di disvelare
lessere, e in rapporto ad esso non niente, in quanto, una volta che lessere ha raggiunto
il suo scopo, esso si dissolve nella struttura della totalit.
Questo essere unontologia da parte del criticismo lo si nota anche nel concetto
di spazio, il quale viene considerato come forma pura della sensibilit, ovvero come
modo di rappresentazione degli enti. Essendo condizione della rappresentazione
degli oggetti, esso implica una soggettivit in grado di essere recettiva, e quindi in
grado di accogliere ci che la affetta, per poter poi unificare ci che ha gi ordinato
in un certo modo secondo il tempo e lo spazio. Lappercezione trascendentale,
ancora una volta, identificando il diverso in una coscienza permette loggettivit
dellessere, ove per oggettivit non si intende la reificazione dellessere negli enti,
ma la sua fenomenalit, ovvero il suo apparire, la sua verit, il suo gioco
velamento-disvelamento.
Vedremo in seguito che lo spazio non sar inteso in senso ontologico da
Levinas, ma sar inteso in un altro senso, come apertura allaltro senza riduzione
dellaltro allunit dellappercezione trascendentale, come esposizione senza
assunzione, che non consente pi un io come Io Penso culminante
nellautocoscienza e nellidentit in s dellidentico e del non-identico.
b. Heidegger e la verbalit del verbo essere

29

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 221

Ci possiamo ora chiedere se i tratti della filosofia dellIdentico caratterizzano


anche il pensiero proposto da Heidegger.
Malgrado la critica heideggeriana allonto-teo-logia tradizionale, la risposta di
Levinas positiva. Pur riconoscendo il valore della scoperta del senso verbale e
transitivo dellessere e dellimportanza radicale della differenza ontologica, Levinas
ritrova anche in Heidegger una tal filosofia. LEssere, bench non sia n lUniverso
n un essente supremo o fondatore, illumina e domina il pensiero come un Neutro
che, tuttavia, non abolisce, ma conferma la posizione centrale del Dasein che ha
preso il posto dellIo. Lesserci resta imprigionato nel rapporto con la fosforescenza
anonima dellEssere, in virt della quale gli si possono bens presentare gli enti, ma
non pu mai prodursi una vera alterit.
In Sein und Zeit si effettuava una critica radicale al concetto di Essere,
identificato finora con la nozione di presenza, che potremmo anche definire, con un
termine pi familiare, lobiettivit. LEssere, cio, ci che sussiste, incontrabile,
si d, presente; non a caso, del resto, lessere supremo della metafisica, Dio,
anche eterno, cio appunto presenza totale e indefettibile.
Preso atto di questa situazione, Heidegger si ripropone il problema dellessere,
interrogando quellente che ha come modo dessere proprio la domanda circa
lessere dellente. Il Dasein , per il filosofo tedesco, un sapere circa lessere, un
fatto ontologico, in quanto esso un ente che esiste solo comprendendo, e quindi il
luogo nel quale si manifesta la questione dellessere. Nonostante le acute analisi,
per, lopera, a detta dello stesso filosofo, resta incompiuta per il venir meno del
linguaggio, ancora troppo condizionato dalla metafisica. Eppure alcune tesi
fondamentali vengono fuori da essa, come ad esempio la teoria secondo cui il
pensiero occidentale ha concepito lessere sulla base della semplice-presenza.
Questo, dir in seguito il filosofo approfondendo le sue analisi circa lessere,
stato lerrore della metafisica, la quale, per effetto di ci, s quel pensiero che si
pone il problema dellessere oltre lente come tale, ma dimentica subito tale
differenza scivolando dallessere allente, mettendo, di conseguenza, lessere sullo
stesso piano dellente. Cio: la conoscenza dellente presuppone nellEsserci una
costitutiva e preliminare comprensione dellessere, e questo ci che si intende per

trascendenza dellesserci rispetto allente; tale trascendenza si riflette nel fatto che,
fin dagli inizi della storia del pensiero occidentale, la filosofia si pone il problema
dellessere dellente, cio di che cosa sia ci che costituisce lente come tale; ma,
ponendosi questo problema, il pensiero tende immediatamente a risolverlo in
maniera errato, cio a pensare lessere solo come il carattere comune di tutti gli
enti, come una specie di concetto generalissimo e astrattissimo, ricavabile da ci che
tutti gli enti hanno in comune. E visto che gli enti vengono pensati come
semplici-presenze, anche lessere, in tutta la storia della filosofia, viene pensato
come semplice-presenza, cio sul modello dellente.
LOccidente sarebbe dunque la terra del tramonto dellessere.
A partire da Cartesio, poi, loblio dellessere si realizza a tutto vantaggio della
soggettivit, la quale diventa fondamento di tutto quello che , raggiungendo il
culmine con la filosofia nietzschiana, allinterno della quale si realizza un
rovesciamento platonico che segna il dominio incondizionato del soggetto, il quale
porta al compimento della metafisica. Il pensiero diventa solo escogitazione tecnica,
avanzando cos la pretesa di manipolare lessere e perdendo qualsiasi residuo della
differenza ontologica, che quella differenza che mantiene lessere distinto
dallente.
A questo punto comincia il terzo momento della filosofia heideggeriana
dopo lanalitica esistenziale e le riflessioni sulla storia della filosofia culminata e
riassunta nellopera su Nietzsche: quello in cui il filosofo propone una nuova
concezione dellessere.
In questa nuova concezione lessere viene considerato come ereignen
accadere, o anche, transitivamente, far accadere, istituire. Ereigner, accadere;
Eregnis, evento.
In altri termini lessere, nel momento in cui getta quel progetto che
luomo, accade esso stesso, in quanto in tale progetto istituisce unapertura in cui
luomo entra in rapporto con se stesso e con gli enti, li ordina in un mondo, li fa
essere, cio apparire alla presenza. Lessere come accadere non un qualcosa che si
limita a sostituire una concezione dellessere come stabile presenzialit con una
nuova concezione che intende lessere come movimento e divenire, ma qualcosa

daltro. Il filosofo approfondisce lanalisi riflettendo sul termine Ereignis, che gli
permette di chiarire il rapporto tra luomo e lessere come reciproca
appropriazione: luomo appropriato allessere, lessere dal canto suo
consegnato

alluomo30.

Levento

questo

rapporto

di

reciproca

appropriazione-espropriazione.
Cos, nel tempo della fine della metafisica lessere non si lascia pensare pi
come semplice presenza, ma appare come evento. Insomma, lessere pu venire
pensato solo come ci che si appropria delluomo consegnandosi a lui: non solo
luomo non mai senza lessere, ma anche lessere non mai senza luomo;
laccadere non un accidente o una propriet dellessere, ma lessere stesso: n
luomo n lessere possono essere pensati come degli in s che poi entrano in
rapporto.
A questo punto lessere non pu essere pensato pi metafisicamente come
presenza, ma deve essere inteso come illuminazione, la quale accade solo nelluomo
e per luomo, il quale non ne dispone, perch lilluminazione che dispone di lui.
Una tal filosofia sarebbe un pensiero che va oltre lente come tale, in direzione
dellalterit radicale, non accessibile secondo il vecchio schema della fondazione
razionale, come ad esempio in Hegel e in Nietzsche, ove il soggetto non incontra
altro che se stesso. Una tal filosofia lascerebbe essere altro laltro e realizzerebbe
cos il vecchio sogno della metafisica, in quanto il pensiero sempre pensiero
dellessere, nel senso che lessere che pensa e che il pensiero non pu pensare che
lessere. Pertanto esso appartiene allessere, non alluomo, e questi, pensando, non
pu far altro che lasciare che lessere sia.
In verit, questo discorso non condiviso affatto da Levinas, per il quale la
filosofia heideggeriana non ha fatto altro che riassumere ed esaltare quello che
sempre stato lo schema ontologico, nonostante la sua grandezza nel mantenere la
differenza ontologica e, di conseguenza, nel far risuonare la verbalit del verbo
essere: Con Heidegger nella parola essere s risvegliata la sua verbalit, ci che in
essa avvenimento, lavvenire dellessere31.
30
31

Cfr. M. Heidegger, Identit e Differenza


Cfr. E. Levinas, Etica ed Infinito. Dialoghi con Philippe Nemo, Citt Nuova, pag. 58

Visto che per Heidegger lesistenza lo stare alla luce dellessere, c, in


questo filosofo, un primato dellesistenza umana rispetto agli oggetti che ci
circondano in quanto luomo esiste ontologicamente, ovvero esiste in rapporto
allessere, una comprensione, la questione dellessere. In tal modo la
comprensione dellessere la caratteristica e il fatto fondamentale dellesistenza
umana32. Ora, la domanda che cosa lessere? non altro che il disvelamento
originario dellessere, la sua verit, la quale non un qualcosa che si aggiunge
allessere dal di fuori, grazie alluomo, ma un evento dessere; lesistenza umana o
il Dasein, dunque, attua la verit, ovvero lo svelamento dellessere.
La verbalit del verbo essere risvegliata da Heidegger nella sua distinzione
tra ci che , lente, che corrisponde a tutti gli oggetti e in un certo senso a tutte le
persone e a Dio stesso, e lessere dellente, il quale non nessuno di questi enti, e
nemmeno lidea dellente in generale. In un certo senso, non , perch se fosse
sarebbe a sua volta un ente. Ma allora cosa questo essere dellente? Per il filosofo
tedesco esso non altro che evento, ovvero levento stesso dessere di tutti gli enti.
In altri termini, quellaccadere che permette a tutti gli enti di essere: grazie a
tale accadere che gli enti sono. E poich lesistenza umana caratterizzata dalla
comprensione dellessere, essa svelamento dellessere, evento dellessere, verit
dellessere. Heidegger considera luomo come svelamento dellessere proprio nella
concretezza particolare della sua esistenza: Che questo volgersi allessere in verit
si compia nellevento della mia esistenza particolare quaggi, che questo mio
quaggi, questo mio Da sia lavvenimento stesso della rivelazione dellessere, che la
mia umanit sia la verit costituisce lapporto principale del pensiero
heideggeriano. Lessenza delluomo in questa opera di verit; luomo non quindi
sostantivo, ma inizialmente verbo; egli , nelleconomia dellessere, il rivelarsi
dellessere, non Daseindes (Essente, ente qui), ma Dasein (Essere qui, Esserci)33.
Luomo, nella sua concretezza esistenziale, svela lessere, e far risuonare la
verbalit del verbo essere significa non effettuare quello scivolamento dallessere
allente tipico della filosofia occidentale, ma considerare questo essere come
lorizzonte a partire dal quale tutti gli enti si stagliano. In base a tale discorso la
32
33

Cfr. E. Levinas, Scoprire lesistenza, cit., pag. 64


Cfr. E. Levinas, Scoprire lesistenza, cit., pag. 67

distinzione heideggeriana tra Sein e Seindes pu essere ricondotta alla distinzione


tra verbo e sostantivo, per cui lessente ci che il soggetto del verbo essere
Esiste qualcuno che assume lessere, il quale ormai il suo essere34. In questo
consiste la grandezza di Heidegger, il quale, per il tramite di questo discorso, fa
balenare una concezione di un puro esistere senza esistente: Torniamo ancora ad
Heidegger. Vi ben nota la sua distinzione fra Sein e Seindes, essere ed essente,
ma che per ragioni di eufonia preferisco tradurre come esistere ed esistente
Heidegger distingue i soggetti e gli oggetti gli esseri che sono, gli esistenti dal
loro stesso atto di essere. Gli uni si esprimono per mezzo di sostantivi o di participi
sostantivi, laltro per mezzo di un verbo Questa distinzione heideggeriana per
me la cosa pi profonda di Sein und Zeit35.
La ragione per cui Levinas d molta importanza a questa distinzione tra verbo
e sostantivo una cosa che vedremo nella seconda sezione: per ora anticipiamo
soltanto che per il pensiero filosofico del francese essenziale la nozione di
separazione.
Ora, precisamente questa separazione che non compare in Heidegger:
Ma in Heidegger c distinzione, non separazione. Lesistere sempre colto
allinterno dellesistente Non credo che Heidegger possa ammettere un esistere
senza esistente, che gli sembrerebbe assurdo. Tuttavia, c una nozione quella di
Geworfenheit espressione di un certo Heidegger, secondo Jankelevitch che
viene tradotta abitualmente con derelizione o con abbandono. Si insiste cos su una
conseguenza

della

Geworfenheit.

Bisogna

tradurre

Geworfenheit

con

il

fatto-dessere-gettato-dentro lesistenza. Come se lesistente non potesse


apparire se non entro unesistenza che lo precede, come se lesistenza fosse
indipendente dallesistente e lesistente che vi si trova gettato non potesse mai
divenire padrone dellesistenza. E proprio per questo che c derelizione ed
abbandono. Cos si fa strada in noi lidea di un esistere che si fa senza di noi, senza
soggetto, di un esistere senza esistente36.

34

Cfr. E. Levinas, Dallesistenza allesistente, Marietti, pag. 75


Cfr. E. Levinas, Il Tempo e lAltro, Il menangolo, pag. 21
36
Ivi
35

Ci che allontana Levinas dal filosofo tedesco , come dicevamo prima,


proprio questa impossibilit della separazione, che non permette al soggetto di
essere in una vera relazione con la trascendenza, in quanto la condizione essenziale
per realizzare tale rapporto proprio un soggetto che non porti addosso il peso
dellessere, che inchioda allesistenza pura e semplice. Si tratta di quella soggettivit
che non la coscienza della presenza luminosa dellessere, bens la capacit di
lasciarsi convocare in giudizio dallal-di-l dellessere. Una soggettivit, cio, non
pi vincolata alla pesantezza ontologica, non pi incorporata allessere nel senso di
esserci come in Heidegger solo in funzione del riflettere lessere dellente. Si
tratta, in altri termini, di quella soggettivit che risponde allenigma. Una tale
soggettivit , per Levinas, la vera e propria soggettivit umana.
Lintendere dunque lessere nella sua verbalit, ovvero lessere come
avvenimento dessere, effettuazione dellessere, ancora un pensiero che pensa in
rapporto allessere, e quindi non permette una relazione con la trascendenza, in
quanto se essa ha un senso, essa pu solo significare il fatto, per lavvenimento
dessere per lesse per lessenza di passare allaltro dellessere37.
In Heidegger, invece, il Dasein non pu essere concepito senza il riferimento
allessere (lEsserci non senza il suo Essere, e lEssere non senza il suo Esserci).

c. Essere come il y a e potere del Dasein


Questo essere hiedeggeriano, per Levinas, non altro, dunque, che la luce
entro la quale gli enti diventano intelligibili; e questo significa negare la relazione
con lalterit a vantaggio di un terzo termine che proprio lessere distinto
dallente, il quale, essendo effettuazione dellessere, fa essere gli enti che poi entrano
in relazione; la cosa accade perch lente non sarebbe senza lessere. In Sein und
Zeit, infatti, secondo Levinas lunica tesi che si sostenuta che lessere
inseparabile dalla comprensione dellessere, e quindi, per dirla con Heidegger, per
conoscere lente bisogna aver compreso lessere dellente38. Ma per il filosofo
37
38

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 5


Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag 43

francese questa affermazione della priorit dellessere rispetto allente significa


subordinare la relazione con qualcuno che un ente (la relazione etica) a una
relazione con lessere dellente che, impersonale, consente il possesso39. Lontologia
heideggeriana sarebbe dunque una filosofia della potenza in quanto la relazione con
lessere consiste nel neutralizzare lente comprendendolo: in questo senso io
penso vuol dire io posso, e filosofia vuol dire tirannia, violenza, dominio
imperialista. Questo primato del Medesimo precisamente la lezione della
maieutica socratica: non ricevere nulla da altri se non ci che in me, come se, da
sempre, io possedessi ci che mi viene dal di fuori.
Lessere dellente, essendo quellorizzonte a partire dal quale le cose si
schiudono, lessere in generale, ovvero un vuoto spazio illuminato allinterno del
quale sono gli enti; questo orizzonte non il nulla, come pensava Heidegger, ma lil
y a, che potremmo tradurre con il termine c; termine che per il filosofo ebreo sta
ad indicare il verbo essere, la sua verbalit, e che non altro che un anonimo
esistere, un essere anonimo, un neutro, ovverosia la forma impersonale del verbo.
Lil y a non il nulla assoluto, perch, a differenza di quanto pensava
Heidegger, esso impossibile: Immaginiamo il ritorno al nulla di tutti gli esseri:
cose e persone. Non possibile situare questo ritorno al nulla al di fuori di ogni
evento. Ma il nulla stesso? Qualcosa accade, non fosse altro che la notte e il silenzio
del nulla. Lindeterminazione di questo qualcosa accade non quella del soggetto,
non si riferisce ad un sostantivo. E come se designasse il pronome di terza persona
nella forma impersonale del verbo, non un autore dellazione che non si conosce
bene, ma il carattere di questa azione stessa che, in qualche modo, non ha un
autore, anonima. Indicheremo questa consumazione impersonale, anonima, ma
inestinguibile dellessere, che mormora al fondo del nulla stesso, con il termine di il
y a. Nel suo rifiuto di assumere una forma personale, lil y a lessere in generale40,
cio, pi precisamente, lessere heideggeriano, o ancora, lessere nella sua
differenza con lente. Per un ulteriore chiarimento della nozione di il y a basta
immaginare il ritorno al nulla di tutte le cose, esseri e persone. Incontreremo
forse il puro nulla? Dopo questa distruzione immaginaria di tutte le cose, rimane
39
40

Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag 43


Cfr. E. Levinas, Dallesistenza allesistente, cit., pag. 50

non il qualche cosa, ma il fatto che c (il y a). Lassenza di tutte le cose ritorna
come una presenza: come il luogo in cui tutto sprofondato, come una densit
datmosfera, come una pienezza del vuoto o come il mormorio del silenzio. Dopo
questa distruzione delle cose e degli esseri, c, impersonale, qualcosa che non
soggetto, n sostantivo. Il fatto che lesistere simpone, quando non c pi nulla. Ed
anonimo: non c nulla e nessuno che prenda questa esistenza su di s. E
impersonale come piove o fa caldo. Esistere che ritorna qualunque sia la
negazione con la quale lo si neghi. C come lirremissibilit dellesistere puro41.
Linterpretazione dellessere distinto dallente in termini di il y a porta alla considerazione che
la filosofia heideggeriana sia la filosofia del Neutro, il quale condiziona il rapporto degli enti perch solo a partire da esso che questi
possono autoschiudersi. E questo il motivo per cui Levinas potr dire che una tale filosofia, subordinando la relazione etica tra
medesimo e Altro alla relazione ontologica tra essere ed ente una filosofia del dominio sullAltro in cui laltro viene dissolto
dallimpersonale presenza dellessere, la quale, bench non abbia sostantivi, e quindi cose e persone, continua ad accadere pur senza pi
soggetti che accadono. Questa presenza dellassenza, questa realt dellirrealt che tutto annulla ma che non annulla se stessa, pu
anche essere definita mormorio del silenzio, o densit del vuoto, senza negare ci che essa veramente: accadere senza soggetti,
indistinto scorrere.
E questo il motivo per cui Levinas sceglie il termine di il y a, il pronome di terza persona. Tale pronome, si badi bene, nella
forma impersonale del verbo essere, non vuol significare il soggetto ignoto di unazione di essere Lindeterminazione di questo
qualcosa accade non quella del soggetto, non si riferisce ad un sostantivo. E come se designasse il pronome di terza persona nella
forma impersonale del verbo, non un autore dellazione che non si conosce bene, ma il carattere di questa azione stessa che, in qualche
modo, non ha un autore, anonima

42

, bens il carattere anonimo dellevento stesso dellessere, che fermenta al fondo stesso del nulla.

Una tale descrizione dellil y a, ossia dellesistere senza esistenti, non per
descritta dal filosofo solo a livello formale, ma detta anche a livello di situazioni
concrete, come ad esempio nel sentimento dellorrore lo sfioramento dellil y a
lorrore che spoglia la coscienza della sua stessa soggettivit, facendola
precipitare in una partecipazione impersonale e senza vie duscita con lessere nella
sua anonimicit; orrore, dunque, come sentimento della spersonalizzazione:
Lorrore sconvolge la soggettivit del soggetto, la sua particolarit di essente. Esso
la partecipazione allil y a43. Lil y a un incatenamento allessere al di fuori
della contraddizione dellessere e del non essere, perch questo essere in generale
ingloba tutto, anche tale contraddizione. In altri termini, la negazione dellessere
non conduce al nulla assoluto, bens allanonimo il y a, che subito riempie il vuoto
lasciato dalla pura e semplice negazione dellessere. Lil y a il difetto di forma per
41

Cfr. E. Levinas, Il Tempo e lAltro, cit., pag. 22


Cfr. E. Levinas, Dallesistenza allesistente, cit., pag. 50
43
Ivi, pag. 53
42

eccellenza, ci che non distinto, non ha tempo, non ha spazio, non ha causalit:
lo si potrebbe definire, per usare una espressione a noi pi familiare, il caos.
Levinas lo definisce come quel Neutro che illumina e comanda il pensiero e che
rende possibile la comprensione.
Fondamentale in questo contesto risulta essere il discorso levinassiano
sullilluminazione, la quale la vera responsabile della negazione della
trascendenza e del trionfo della superbia dellimmanenza.
In Totalit et Infini si effettua una rigorosa critica alla luminosit: Loggetto
che svelato e scoperto, che appare, il fenomeno, loggetto visibile o toccato
Loggettivit, sempre identica a se stessa, si situerebbe nelle prospettive della vista o
dei movimenti della mano che tocca E incontestabile che loggettivazione si
esplica in modo privilegiato nello sguardo44.
Emerge da questa citazione che la vista viene considerata come lorgano della
potenza, per mezzo del quale il soggetto riesce a realizzare loggettivazione di ogni
cosa, esercitando cos un potere su ci che ancora non si offre al potere in quanto
ancora non si presentato allo sguardo. In questo caso il guardare significherebbe
definire il qualche cosa, rendendolo cos sicuro. Ancora nellopera citata il filosofo
continua la sua messa in questione del primato della luce: La vista presuppone,
come ha detto Platone, oltre agli occhi e alla cosa, la luce. Gli occhi non vedono la
luce ma loggetto nella luce. La vista quindi un rapporto con qualcosa che si
instaura allinterno di un rapporto con ci che non qualcosa. Siamo nella luce
nella misura in cui incontriamo la cosa nel nulla. La luce fa apparire la cosa
cacciando le tenebre, essa vuota lo spazio. Fa emergere appunto lo spazio come
vuoto45.
Nella Repubblica Platone dice che lorgano che ci fa vedere le cose visibili la
vista, ma che essa ha come condizione, per poter vedere, la luce 46. Questo discorso
ha ununica conseguenza: quando lanima si rivolge a ci che illuminato coglie e
conosce lessere, la verit. Tale, per Levinas, sarebbe lo schema che sta alla base
della filosofia occidentale.
44

Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pp. 192-193


Ivi
46
Cfr. Platone, La Repubblica, Editori Laterza, pp. 221-227
45

La luce sarebbe nientaltro che quellilluminazione entro la quale si produce


qualcosa e che permette alla vista di cogliere quello che in fondo diventato un
oggetto: ecco perch nella citazione fatta precedentemente si dice che la vista un
rapporto con qualcosa loggetto, lente entro un rapporto che non qualcosa
la luce, la fosforescenza. Questa riempie lo spazio cacciando le tenebre, producendo
cos quel principio il famoso fondamento di cui da sempre alla ricerca il pensiero
dellOccidente a partire dal quale ogni cosa quel che . Per principio si intende
la concezione aristotelica dellarch, per la quale esso sarebbe quel primo termine a
partire da cui una cosa , diviene o conosciuta.
In questo modo per la vista un essere viene in qualche modo dal nulla, un
qualcosa viene da un qualcosa che non precisamente un qualcosa; questo
provenire dal vuoto dunque il provenire dallorigine; a questo schema non sfugge
nemmeno Heidegger, per il quale, a che un ente si manifesti, necessaria
unapertura sullessere che non sia un essere, che non sia qualcosa; lapertura di
cui tanto ha parlato il filosofo tedesco non sarebbe altro che un vuoto spaziale, il
provenire dallorigine degli enti. Considerato in se stesso, questo vuoto spaziale il
nulla: ma non il nulla assoluto, perch, anche in presenza dellassenza di qualsiasi
oggetto particolare, questo vuoto c. Certo, non avendo gli enti non ha un
pronome, impersonale, ma c: quellil y a impersonale che lessere distinto
dallente di cui abbiamo parlato prima: il verbo stesso, la verbalit del verbo
essere, lapeiron, lindeterminato. La luce, cacciando le tenebre, non interrompe il
brusio incessante dellil y a, il suo orrore, in quanto il vuoto prodotto da essa resta
uno spessore indeterminato. Solo che il vedere nella luce la possibilit di
dimenticare questo orrore, perch la vista un potere consentito dal fatto che essa
permette di vedere loggetto, e quindi consente di definirlo mettendolo in relazione
agli altri. In questo modo si esercita un potere sullente che venuto dal nulla e lo si
riduce o oggetto del proprio s.
E questo il motivo che permette a Levinas di dire che la vista non una
trascendenza, e quindi non incontra lassolutamente altro.

Certo, essa loblio dellil y a, il mantenersi a distanza dallimpersonale, ma


ci realizzato tramite lidentificazione, ovvero tramite il potere di ridurre tutto a
s.
Heidegger, come abbiamo gi visto, si inserisce allinterno di questa tradizione
greco-platonica che ha sempre mantenuto un punto fermo: la luce, lo svelamento, il
disoccultamento, la comprensione o la pre-comprensione. Il primato dellontologia
rispetto alletica affermato dal filosofo del Dasein in questo subordinare la
relazione con lessere alla relazione con lente. In sintesi, questo filosofo pensa che il
fatto primo sia la neutralit dellesistere, che tutto subordina a s e che non ha nulla
fuori di s. Lessere dellente si configura dunque come un Logos che non verbo di
nessuno. Lerrore consiste proprio nel considerare come fatto pi importante
questo vuoto spazio illuminato che non un essere e che ci fa sprofondare nellil y a
impersonale.
Pertanto Heidegger, contrariamente a quanto possa pensare, non avrebbe
superato lontologia, ma la sua critica sarebbe stata interna allontologia stessa, e
anzi, con tale critica lavrebbe addirittura riassunta ed esaltata.
Dunque, quel pensiero che pensa lEssere n come un essere particolare n
come un genere in cui rientrerebbero tutte le particolarit, ma come latto di essere,
espresso dal verbo e non dal sostantivo, un pensiero del Neutro che illumina e
rende possibile la comprensione, affermando, cos, ancora il primato della violenza
dellimmanenza: la relazione con lessere consiste nel neutralizzare lente per
comprenderlo e per impossessarsene.
In questo senso il Dasein heideggeriano che il luogo dello svelamento
dessere e che prende il posto dellanima, della coscienza, dellIo conserva la
struttura dellIdentico. Infatti, anchesso messo in condizione di insignorirsi di se
stesso, e quindi di riscattare la sua finitezza. Il riscatto si realizza nella cura,
nellangoscia, nellessere-per-la-morte, ove esso al di l della derelizione. Questo
suo essere al di l non altro che il capovolgimento della situazione imposta, del
determinismo, perch assume su di s le possibilit, diventando di conseguenza
coincidente con se stesso. La cosa pi importante per questo soggetto, quindi, la
comprensione autentica di se stesso, rispetto alla quale non si produce un vero

accesso allalterit. Qualsiasi relazione che intrattiene con qualcosa ha bisogno


sempre della mediazione dellessere e della luminosit che si sprigiona dalla sua
fosforescenza; anche il rapporto con lAltro perci subordinato al rapporto con
lessere in generale.
In Etique comme philosophie premire Levinas si lancia in una critica serrata
verso la mortalit del Dasein, la quale ci che gli consente lipseit. La morte,
essendo la possibilit di annientarsi, la mia morte, la mia possibilit, il mio potere:
nessuno pu sostituirsi a me per morire; listante supremo della risoluzione
solitario e personale47. Cos il Dasein resta impigliato nel rapporto con la
fosforescenza anonima dellEssere, in virt della quale gli si possono bens
presentare gli essenti, ma non pu mai prodursi una vera alterit, che quella della
trascendenza. Ci dimostrato dal fatto in Sein und Zeit una delle tesi principali
proprio il fatto che la verit del Dasein che sempre mio consiste nel suo
essere caratterizzato come un essente per il quale, nel suo essere, ne va sempre di
questo essere stesso. E questo il motivo per cui il filosofo francese dir in Totalit et
Infini: Lessere inseparabile dalla comprensione dellessere, lessere gi appello
alla soggettivit48.
Anche la morte interpretata come una realt di cui ci si pu appropriare: la
morte sarebbe la possibilit del non-poter-pi-esserci.
E chiaro, a questo punto, che la finitudine del Dasein non si evince dalla
distanza che lo separa dallInfinito, ma si manifesta sulla base della sua mortalit
tendente allinautenticit. Qui lunica colpa o debito del soggetto rispetto a se
stesso, e non rispetto allaltro: e questo perch il Dasein vive nellinautenticit,
anche se ha come scopo quello di appropriarsi della sua possibilit pi propria:
lautenticit, ovvero lessere-per-la-morte.
In fin dei conti, la comprensione dellessere, che un modo dellesistenza, la
caratteristica fondamentale del Dasein. Ma nella finitudine dellEsserci, sottolinea
Levinas, che si ritrova la nozione di soggetto che noi possediamo a partire da
Descartes. Anzi, qui si tratta del principio stesso della soggettivit del soggetto:
47
48

Cfr. E. Levinas A. Peperzak, Etica come filosofia prima, cit., pag. 36


Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 43

perch c unesistenza finita il Dasein che la coscienza stessa sar possibile49.


Ci che si trova, in questa finitezza dellesistenza, la possibilit dellidentificazione
dellessere, peculiarit, questultima, della violenza e della potenza sullalterit.
Questo stato di cose si esprime nel Da del Dasein, per cui il Da sarebbe il
disvelamento dellessere, a cui Heidegger d il nome di trascendenza. La finitezza
del soggetto in questo modo pensata come il luogo nel quale lessere perviene al
proprio disvelamento. Per questo, nonostante il filosofo intenda la comprensione
dellessere che caratterizza luomo come leffetto provocato dallilluminazione
dellessere stesso, finisce con lassegnare alla soggettivit un protagonismo che la
caratteristica del pensiero occidentale. Infatti, lesserci messo in condizione di
riscattare la sua finitezza. Certo, in quanto esserci in balia del mondo, gettato,
senza averlo deciso, in seno ad esso. Ma il mondo entro cui vive non nientaltro
che lorizzonte delle possibilit offerte al movimento della sua trascendenza. Questa
trascendenza rispetto al mondo non altro che una condizione che permette al
soggetto di pervenire alla coincidenza con il centro del proprio essere.
Ancora una volta ritorna lorbita circolare, dove c un soggetto il y a che,
per potersi riconoscere come tale, deve estraniarsi da s cadere nel mondo,
derelizione

per

poi

ritornare

lautenticit

della

vita,

lessere-per-la-morte. Nel movimento di ritorno a s il Medesimo si ritrova,


divenendo completamente coincidente con se stesso.
Lassunzione dellultima delle sue possibilit lo mette, infatti, in grado di
padroneggiare tutte le altre possibilit e lo costituisce come libert. Per questo
lesserci non pu avere un vero accesso allalterit dellaltro: lessere gli appartiene,
nel senso che completamente in sua balia e non pu rifiutarsi allavventura che gli
fa vivere. E questo il motivo per cui esso non pu relazionarsi ad alcuna cosa senza
subordinarla a questa sua relazione con lessere ed questo il motivo per il quale
esso non pu aprirsi ad un ente qualsiasi senza far leva sulla mediazione dellessere
e sulla luminosit che si sprigiona dalla sua fosforescenza.
In questa situazione non pu esserci una vera e propria comunicazione con
laltro, ma solo un solipsismo che si configura come un dialogo con se stesso verit
49

Cfr. E. Levinas, Scoprire lesistenza, cit., pp. 69-70

che precisamente la vergogna dellontologia, la quale il pensiero


dellidentificazione dellidentico che tutto riduce a s: violenza dellontologia che
il vilipendio sistematico delletica.
E non pu esservi comunicazione se tutto comincia dallio, nel soggetto libero,
se tutto nellio e per lio direbbe Fichte , anche se questo soggetto identificato
come il luogo del disvelamento dellessere. Di fronte a un soggetto di questo tipo
laltro si erge come un limite, come minaccia e fonte di pericolo, che lo sfida alla
lotta

e che

nella lotta gli fa vedere

il rischio dellannientamento

dellassoggettamento.
Lontologia heideggeriana, che si attiene allobbedienza del Neutro,
allanonimo, porta fatalmente al dominio imperialista, alla tirannia, corrisponde
al radicamento nel suolo.
E questa la ragione che induce Levinas a cercare unevasione dallessere, da
quellessere heideggeriano inteso proprio come uno svolgimento impersonale che
preme con tutte le sue forze sullesserci. N nulla, n esserci, lil y a un qualcosa di
estremamente urtante ed estraneo. Il male, pertanto, non si identifica pi come una
mancanza dessere o come lo spaesamento che si prova quando si di fronte al
nulla, ma ci che ci pervade quando ci sentiamo invasi dalloppressione e quando
siamo schiacciati dal peso dessere, inchiodati, in altri termini, allesistenza pura e
semplice.
In tal modo si effettua lestinzione del soggetto, il quale perde la sua singolarit
nella vita impersonale di questo essere insopprimibile a tal punto da vincere
qualsiasi negativit e da colmare qualsiasi vuoto con lindistinto sordo e anonimo
rumorio dellil y a.
Bisogna trovare unuscita da tale orrore, e questo pu accadere solo se non si pone, e nemmeno si impone, il soggetto, ma lo
si depone, ovvero se si espropria lio dalla sua sovranit.

4. SOGGETTO ED ESSERE
Nei paragrafi precedenti abbiamo definito la verit come esposizione dellessere a
se stesso, ed abbiamo parlato della coscienza come accoglimento dellessenza

dellessere. Lessere in verit sarebbe allora lessere che si manifestato nella sua
coscienza.
Posto in questi termini, il rapporto tra essere e coscienza, cio il rapporto
essere-soggetto, risulta essere ambiguo. E infatti: nella temporalizzazione del tempo
ontologico a chi spetta il primato? Allessere o al soggetto?
Questo paragrafo costituir proprio il tentativo di rispondere a tali domande.
Prima di cominciare, per, opportuno chiarire la nozione di soggetto. Il suo
specifico lidentificazione del molteplice realizzato nellistantaneit dellistante, per cui
esso non una semplice identit, ma un identificare. Di conseguenza, lio rimane lo
stesso nei cambiamenti. Difatti, lattivit dellidentificazione permette al soggetto di
alterarsi rimanendo lo stesso attraverso il gioco delle annessioni: Lesistenza di un Io si
svolge come identificazione del diverso. In tutto ci che gli accade, in tutti gli anni che
passano, lIo rimane lo Stesso! LIo, il Se stesso, lipseit, come si dice attualmente, non
rimane immutabile al cambiamento come una roccia invasa dalle onde. La roccia invasa
dalle onde unicamente immutabile. LIo, al contrario, rimane lo Stesso trasformando
gli innumerevoli e disparati eventi in una storia, nella sua storia. E questo levento
originario dellidentificazione dello Stesso, anteriore allidentit della roccia e
condizione di tale identit50. Il soggetto, che non unidentit gi data, ma un
identificare, fa degli eventi disparati e diversi una storia, la sua storia. Lidentificazione
del diverso consente allIo nonostante tutti gli anni che lo invecchiano e tutti gli eventi
che lo coinvolgono di restare lo Stesso. Il Se-stesso non uno stato immutabile, ma un
S che tale solo nel corso del tempo, entro il quale si pone come ipseit che unifica ci
che altro da s.
Detto questo, possiamo ora analizzare il problema che ci siamo posti
precedentemente.
In Autrement qutre ou au-del de lessence il filosofo afferma che lo sfasamento
dellistante rispetto a se stesso la temporalit del tempo provoca una diacronia che
per subito viene ridotta alla sincronia del presente: il tempo dellontologia, sottolinea
ancora Levinas, il tempo del recuperabile, dove, tramite la rappresentazione, tutti gli
elementi vengono resi di nuovo presenti51.
50
51

Cfr. E. Levinas, Scoprire l esistenza, cit., pag. 190


Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 35

Lambiguit di cui parlavamo prima costitutiva dello stesso discorso levinassiano.


In effetti, per un verso, lessere, per manifestarsi, ha bisogno di una coscienza, e
quindi senza dubbio ne dipende. Per altro verso, per, esso se ne serve, perch
laccoglimento dellessere da parte della coscienza un momento essenziale allessere
stesso affinch esso possa manifestarsi nella sua totalit.
Si tratta ora di vedere se prevale la dipendenza o la padronanza dellessere rispetto
alla coscienza.
La chiave di volta per interpretare tale ambiguit laffermazione levinassiana circa
la domanda sul chi si interroga sullessere: allora la domanda chi si interrogherebbe
sullessere la risposta alla domanda chi guarda? non potrebbe dunque, a sua volta,
significare che lesposizione dellessenza52.
Risulta chiaramente da questa affermazione che il primato spetta allessere, e non al
soggetto, perch lapparire alla coscienza comporta unenfasi dellaffermazione
dellessere, e non una sua subordinazione. Infatti, lessenza che si manifesta nella verit
non viene manipolata dalla coscienza che laccoglie: questultima ha solo la funzione di
permettere allessere che esso sia, di permettere, cio, che esso raggiunga il proprio
compimento. Qualsiasi attivit del soggetto non sarebbe altro che un impedimento per
lessere, un suo parziale adombramento.
In questo modo il soggetto asservito allessere, anche se, nel momento in cui
lessere diventa totalmente trasparente a se stesso, si pone su un terreno solido,
raggiungendo quel fondamento tanto cercato e tanto interrogato che il suo riposo, la
sua quiete.
La coscienza sarebbe allora solo il momento culminante che porta al riposo dopo lo
sforzo dellidentificazione. Lessere, per giungere a tale punto, ha dovuto fare un
movimento che lo ha costretto a superare, e quindi ad annettere a s, qualsiasi
contraddizione. Il negativo del non identico viene trasformato nel positivo dellidentit
attraverso

lunificazione

del

molteplice

compiuto

nellunit

dellappercezione

trascendentale.
Di questo modo lidentit diventa affermazione del primato dessere.

52

Ivi, pag. 34

Certo, unificando il molteplice il soggetto si dimostra in grado di riscattare il reale


dal caos originario, investendolo con il pensiero che lo trasforma in un mondo, dando un
senso ad esso, ma questo potere il soggetto pu esercitarlo solo nella misura in cui esso
si configura come luogo di disvelamento dessere, in cui, grazie alla rappresentazione, la
disparit temporale degli enti si converte nella simultaneit del presente. E solo essendo
questo luogo che il soggetto pu esercitare il potere di riportare il tutto al sincronismo
della presenza. In altri termini: solo quando il soggetto il ripiego cui fa ricorso
lessenza dellessere per organizzarsi nella sua totalit strutturata che esso pu potere.
Bisognoso allinizio, lessere si lega a ci che inizialmente altro da s, ad un soggetto
che ne accoglie la manifestazione e che funziona come la recettivit necessaria
allesplicazione della sua vita, al cui apice vi il raggiungimento della totalit, in cui
scompare qualsiasi alterit e, in fondo, qualsiasi singolarit individuale, visto che tutto
in essa e nulla le fuori.
Ed proprio qui che il soggetto, che pur ha reso possibile un tal processo, al
culmine di esso si dissolve e viene a coincidere con lautodisvelamento dellessere.
Lintenzionalit della coscienza cos necessitata, subordinata ai fini dellessenza
dellessere. Il raggiungimento di tali fini la pone allinterno di una totalit tenuta
insieme, in ogni sua parte, da una rete di relazioni.
La coincidenza dellessere a se stesso raggiunta solo ora, ovvero solo quando tutti
gli elementi, tutti gli individui, si riferiscono gli uni agli altri e vengono ad occupare il
posto che spetta loro allinterno dellordine del sistema; e questo accade solo quando
tutti gli elementi di esso si sono liberati del loro peso, che precisamente la loro
individualit. Lunificazione del molteplice realizzato dalla coscienza intenzionale
attraverso il pensiero, la rappresentazione, che ri-presenta di nuovo tutti gli elementi al
sincronismo del presente, raggiunge un punto in cui la particolarit di questa coscienza
stessa si confonde con luniversalit dellappercezione trascendentale. Il soggetto, nel
momento in cui accoglie lessere, si eleva alluniversalit dellIo Penso, perdendo la sua
individualit. Lintelligibilit quindi ci che dissolve lunicit del soggetto. In tal modo
si viene ad instaurare il tipico anonimato della filosofia che abolisce non solo lalterit di
Dio, ma anche lo specifico di ciascuna individualit.

Il Medesimo, cos, annettendo tutto a s ha rinunciato alla meraviglia


dellesteriorit, tradendola con luso del suo potere.
La relazione tra sapere e potere per Levinas fondamentale, e lio penso non
disgiunto dallio posso: Bacone aveva ben saputo esprimere questa situazione con la nota
formula sapere potere.
Conoscere, per Levinas, significa riportare laltro a s, al proprio potere totalizzante
e onniglobante. Conoscere, per Levinas, sopprimere qualsiasi alterit realizzando
luguaglianza di s a s.
La filosofia, che lincarnazione di questo discorso, , quindi, unegologia. In
quanto tale, essa una filosofia della potenza, che diventa subito, immediatamente, una
filosofia dellingiustizia, e perci si affida al potere della tecnica, la cui essenza la
manomissione, la manipolazione dellente. Essa d prova di s anche nello Stato, dove
ci che viene meno la soggettivit, a tutto vantaggio di un sistema di elementi gli
individui che funzionano soltanto allinterno di esso e vittime pertanto dei suoi fini e di
un calcolo ideale.
Certo, cos garantita la pace ma non sempre , e per il prezzo da pagare la
rinuncia alla propria singolarit e il trionfo della logica dellequivalenza basata sulla
reciprocit su quella della sovrabbondanza la cui essenza la relazione asimmetrica.
La differenza tra le due logiche e il loro rapporto ben spiegata da Paul Ricoeur 53.
La logica della sovrabbondanza un dare pi di quanto dovuto, pi di quello che
giustamente preteso: insomma, dare senza esigere un ritorno.
La logica dellequivalenza, invece, basata sullo scambio, sul suo equilibrio, e
sulle distribuzioni giuste. Il suo scopo la giustizia come uguaglianza, secondo lantica
concezione del giusto come eguale.
Lo scopo del discorso ricoueriano non mira a negare la logica dellequivalenza, ma,
anzi, ad affermarla; questa, per, pu affermarsi in tutta la sua nobilt solo se interagisce
con la logica della sovrabbondanza, la quale deve essere il presupposto di questa.
Questo anche il discorso levinassiano, il quale mira a non ridurre gli individui a
mero calcolo allinterno di un sistema, ma a rispettare laltro nella sua alterit: alterit
che, come vedremo in seguito, costitutiva della soggettivit stessa.
53

Cfr. D. Jervolino, Ricoeur, Edizioni Studium, pp.135-153

Ritorniamo per ora alla filosofia della potenza.


Il suo agire lo si vede anche nella propriet privata, la quale un altro classico
esempio della riduzione dellaltro al dominio del medesimo, o nellorrore di Auschwitz
a proposito del quale qualsiasi commento risulterebbe inadeguato per descrivere una tale
atrocit, o nellenergia nucleare che conduce alla massima concentrazione di potere
politico ed economico nelle mani di una piccola lite e finalizzato fondamentalmente ad
aspetti militari.
Una tal filosofia ha una vera e propria ossessione per il potere, e, in base agli
esempi fatti, molto meno astratta di quanto si possa pensare.
E a questa cultura che Levinas si oppone, proponendo un altro universo di
discorso, per fondare, in fondo, un mondo pi umano.
Il suo scopo, da Socrate in poi, la volont di sentirsi a casa propria rispetto a ci
che a prima vista risulta alienante: lio egologico incorpora a s tutti gli essenti.
Il privilegio dellIdentico lelemento che permette di ridurre ogni alterit ad
elemento della propria immanenza. In questo modo si incorpora lintero universo, e si
ritorna alla filosofia platonica, per la quale la verit dialogo dellanima con se stessa.
La conseguenza diretta di questa tradizione che nella verit lanima non va verso
la trascendenza, ma si irretisce in una forma narcisistica di monologo, dove la coscienza
non pu in alcun modo autotrescendersi. A questo punto la filosofia diventa maieutica, e
la verit anamnesi.
La maieutica, direbbe Levinas, mi rivela soltanto ci di cui sono gi capace, e
quindi non mi rivela nulla; svela solo ci che sono gi in grado di sapere io stesso.
Nel saggio La philosophie et lide de lInfini il filosofo dedica un intero paragrafo
al primato dellidentico e al narcisismo: lo scopo di tale paragrafo proprio quello di
mettere in evidenza come il progetto della filosofia occidentale non permette di andare
verso leteronomia, in quanto ci che ad essa interessa lautonomia, ovvero il dominio
dellimmanenza sulla trascendenza, il trarre da s ogni cosa54.
In questo modo la separazione di trascendenza ed immanenza di cui tanto si
parlato nel corso dei secoli e di cui tanto si parla, diventa artificiale, buona soltanto a fare
discorsi circa il fondamento, circa quel fondamento buono che ci di cui alla ricerca
54

Cfr. E. Levinas, Etica come filosofia prima, cit., pp. 33-38

la filosofia da sempre. Ma a furia di parlare in questo senso si rimane spiazzati nel


momento in cui si produce quello smascheramento nietzschiano che tanto ha turbato la
coscienza filosofica.
Tuttavia, il progetto della filosofia non cambia, ed essa cerca nuove strade come
ad esempio quella di Heidegger per affermare quellautonomia che, letteralmente,
significa porre da s la propria legge, essere principio e fine del senso; essere, in altre
parole, sempre lo Stesso.
Ora, visto che lautonomia stata sempre ci verso cui si concentrato il discorso
filosofico occidentale, si capisce perch Levinas dice in De Dieu qui vient lide che i
Greci non ci hanno insegnato leteronomia55.
Ecco la sua rinuncia di mettersi in relazione con il trascendente, con Dio, ed ecco la
sua natura fondamentalmente atea. Sotto questo punto di vista, lOccidente sarebbe stato
senza religione cio senza la relazione al totalmente Altro.
E questo il motivo per cui la filosofia occidentale sarebbe una filosofia della
potenza, incapace, quindi, di dire quella dimensione che esattamente la sporgenza
rispetto allimmanenza, cio la sporgenza rispetto allessere tutto il Bene, direbbe
Levinas.
Privilegiando il piano del sapere e della conoscenza di s essa concepisce la verit
come ci che si offre a chi se ne appropria in piena libert.
5. LA LIBERTA
In Tecnica, medicina ed etica Hans Jonas fa un appello agli uomini tutti invitandoli
ad una maggiore responsabilit, visto gli enormi problemi di carattere sociale, politico,
fisico e morale che attanagliano lambiente in cui viviamo. Per realizzare una
diminuzione di tali problemi la loro eliminazione ormai impossibile necessario,
sempre a detta di tal filosofo, lautolimitazione della nostra libert. Anzi, la libert
possibile nella misura in cui essa non si pone come assoluta.

55

Cfr. E. Levinas, Di Dio che viene allidea, cit., pag. 41

Facendo una forzatura, e trasportando tale discorso alla filosofia levinassiana, si


potrebbe dire che il problema dellattivit onniglobante del soggetto, tipico
dellontologia, sia superabile da questa limitazione della libert.
Le cose, per, non stanno in questi termini, perch, per superare il fatto ontologico,
per Levinas non basta la limitazione di essa, ma il suo scacco, la sua messa in questione.
Il discorso di Jonas sullautolimitazione sarebbe ancora una volta un discorso ontologico.
Ma perch, come abbiamo potuto capire da queste poche righe e da ci che stato
detto, seppur implicitamente, in precedenza, la critica levinassiana allontologia una
critica alla libert?
Sembra che ci sia uno stretto legame tra ontologia e libert.
Tentare di chiarire una tale relazione costituisce lo scopo del presente paragrafo.
Cominciamo innanzitutto con il porre le premesse:
La filosofia occidentale, che ha sempre affermato il primato dellidentico, per il
filosofo francese una filosofia della libert, nel senso che questa stata sempre il suo
scopo. Per tal motivo, ci che essa ha sempre voluto stato il raggiungimento di tale
traguardo. Questo, naturalmente, vale per tutti i filosofi che finora si sono cimentati in
riflessioni tipiche del discorso ontologico.
Sorge a questo punto unaltra domanda:
Perch la filosofia, cos come stata fino a questo punto nella cultura occidentale,
una filosofia della libert?
Per dare una risposta precisa, necessario prima di tutto definire il concetto di
libert: essa pu essere considerata come lassenza di ogni coazione esterna e il
superamento di ogni alienazione attraverso lappropriazione e lintegrazione di tutto ci
che allinizio appare sorprendente ed estraneo.
Ora, se noi consideriamo Artistotele, ricordiamo che questi ha sempre sostenuto che
la filosofia nasce dalla meraviglia. Ci vuol dire ununica cosa: la tradizione filosofica
vuol superare lo stupore per arrivare a comprendere levidenza delluniversale e del
necessario, ovvero di ci che non pu essere diverso da cos com, ossia la necessit.
Spostandoci da Aristotele a Platone (facendo quindi un passo indietro), ci
accorgiamo che tale schema non cambia: la conoscenza anamnesi. Questo vuol dire che
tutto ci che sorpresa viene ridotto a forma di memoria o di interiorit.

Si evince da tale discorso che il progetto della tradizione occidentale stato


dominato sempre dalla volont di eliminare da s ogni forma di estraneit, e quindi dalla
volont di essere liberi, di sentirsi a casa propria.
Da questo desiderio nasce il soggetto occidentale, il quale vuole essere una volont
libera che tutto afferra e tutto riduce a s, esercitando un potere e una volont di
annientamento verso tutto ci che gli appare come una limitazione, verso tutto ci che
contrasta la sua volont di potenza.
Lideale del pensiero diventa allora lintegrazione di ogni cosa allinterno
dellimmanenza del sapere totale: qui coesistono libert ed immanenza.
Ma come pu realizzarsi un tale progetto filosofico, che poi, come abbiamo detto,
il progetto tout court della filosofia occidentale?
Ci accade nella riflessivit della coscienza, la quale, per mezzo del processo di
identificazione, riduce ogni estraneit allidentit.
Il solo fatto di dare un nome alle cose, ad esempio, significa identificarle, renderle
sicure. Quanto sia vero questo discorso pu essere dimostrato dal fatto che le cose che
non hanno nome fanno paura, e le si considera misteriose, generando un senso di disagio
che pu essere eliminato solo se questo mistero viene, in un certo senso, ridotto a
problema. La differenza tra mistero e problema consiste proprio in questo: il primo ci
che non ammette soluzione, mentre il secondo ci che suscettibile di essere risolto, e
se il risultato non viene raggiunto c stato solo un difetto di metodo, o di calcolo.
Ma ritorniamo adesso alla coscienza riflessiva: essa, come si pu capire in base al
discorso sopra fatto, lautonomia o la legislazione del Medesimo; perci Levinas dir
che i Greci ci hanno insegnato solo lautonomia.
E chiaro che lidentit non qualcosa di gi dato, ma unidentificazione che
avviene da parte della coscienza attraverso la storia, che, in questottica, quello
svolgimento che permette di andare incontro ad una sempre maggiore identit e quindi
ad una sempre maggiore libert, la quale, e a questo punto lo possiamo dire, si configura
come una riduzione dellaltro al medesimo; la tanto decantata ricerca delle verit non
altro che la ricerca della libert.
Ci avviene a tutti i livelli, e quindi non solo a livello teorico, ma anche pratico, e
questo favorisce lazione violenta, fino alle sue estreme conseguenze: la guerra.

A testimonianza della fedelt del nostro discorso opportuno ricordare che in


Etique comme philosophie premire Levinas mostra il concetto di libert per la filosofia
occidentale: essa adesione libera ad una proposizione, risultato di una libera ricerca.
La libert del ricercatore e del pensatore, sulla quale non pesa alcuna costrizione, si
esprime nella verit. E che cos tale libert, se non il rifiuto dellessere pensante di
alienarsi nelladesione, la conservazione della sua natura e della sua identit, il fatto di
restare identico, nonostante le terre ignote dove sembra condurre il pensiero? 56.
Eccolo, tout court, il progetto filosofico occidentale: riduzione dellaltro
allidentico, annientamento di tutto ci che limita il pensiero; in una sola parola:
Auto-nomia. Lo scopo di una tal filosofia dunque lesercizio sistematico della potenza
per identificare il diverso, che permette allIo di restare lo Stesso nonostante tutti i
cambiamenti che lo attraversano. In questo caso, la trascendenza non una trascendenza
vera e propria, ma una trascendenza interna allimmanenza stessa.
Anche nel momento in cui qualcosa affetta la libert, essa continua ad esercitare la
sua signoria, perch assume sempre ci che laffetta: in questa assunzione della
recettivit tutto identificato. A questo proposito valga a mo di esempio il concetto di
sensibilit in Kant: un qualche cosa affetta il soggetto, il quale, per, manifesta da subito
una certa attivit in questa passivit ordinando secondo il prima e il poi e secondo la
coesistenza ci che non si offre inizialmente come concetto. Lordinare in un certo
modo il molteplice, per, gi uno sforzo identificativo del soggetto che vuole essere
libero, ossia vuole che nulla gli si presenti come estraneo.
Risulta abbastanza chiaro, da quanto detto, che per libert non si sta intendendo il
libero arbitrio, ma ladeguazione tra il pensiero e la cosa.
Questa adeguazione tra il soggetto e la cosa, questa libert, raggiunge il suo apogeo
con la volont di potenza, la quale, imprimendo lessere al divenire, di un soggetto
che si ormai posto come causa sui e che quindi diventato padrone di se stesso. In altri
termini, esso si pone come assoluto: in questo modo limmanenza trionfa sulla
trascendenza, lontologia surclassa letica.
La libert si configurerebbe allora come la caratteristica di un soggetto che non
manca di nulla perch tutto ha annesso a s.
56

Cfr. E. Levinas A. Peperzak, Etica come filosofia prima, cit. pp. 31-32

Il prezzo pagato in questo movimento totalitario lateismo, ovvero la mancanza di


religione, dove per religione si intende la definizione data da Levinas in Totalit et Infini:
Noi proponiamo di chiamare religione il legame che si stabilisce tra il Medesimo e
lAltro, senza costituire una totalit; e ancora: Riserviamo alla relazione tra lessere di
quaggi e lessere trascendente che non porta ad alcuna comunit di concetto n ad
alcuna totalit il termine religione57.
Il soggetto assoluto, la libert, precisamente lattimo del ritorno del movimento
circolare del soggetto, il quale, nel suo processo di identificazione attraverso la storia,
arriva ad un punto in cui nulla pi pu annettere a s perch ha ormai gi annesso tutto a
s. E proprio in questo punto che si realizza il concetto di libert, ideale, questo,
dellintera storia della filosofia. Sotto questa ottica il raggiungimento della verit sarebbe
il raggiungimento della libert.
Unaltra importante conseguenza che deriva da queste considerazioni il fatto che,
pur avendo stupito lIo, nella verit lessere non altera lidentit dellIo stesso; in questa
permanenza dellIo, anzi, questo non ha fatto altro che lasciar essere lessere. In tal
modo si prende atto che il pensiero occidentale quel disvelamento dellAltro in cui
lAltro, manifestandosi come essere, perde la sua alterit e quindi viene ridotto allo
Stesso. Cos questa filosofia dellessere ha lessere come ultima parola, diventando di
conseguenza filosofia dellimmanenza, o dellateismo, o dellautonomia. Anche
Heidegger non si sottrae a questo discorso, perch egli, nonostante critichi la cultura
occidentale, fa sempre un discorso intorno allessere, intendendolo come quel vuoto
spazio illuminato, quellorizzonte, che tutto ingloba.
LIo, cos, resta lo Stesso, e la negativit o lalterit interna ad esso solo
apparente: unillusione, un gioco dello Stesso, un modo di identificazione di un io che
nel molteplice vede solo il modo di restare sempre uguale a s, ovvero, di raggiungere la
certezza di s; la libert diventa identificazione dello Stesso e la verit presenza totale di
s a s, trasparenza dellessere a se stesso: in fondo, lunit dellio penso, che potrebbe
essere interpretato come coincidente con ci che costituisce, il principio stesso della
libert. Questa lesistenza di un io autoctono, di un io che si sente a casa sua, che si
appaesa nel mondo in cui vive. Ed questa unesistenza che mette le mani sulla propria
57

Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 78

orgine, in quanto, non avendo nulla fuori di s, riesce a controllare anche lattimo in cui
accade il fenomeno.
Il fatto di identificarsi per il tramite di identificazioni del molteplice realizza la
verit platonica: dialogo dellanima con se stessa.
Quando Nietzsche si appellava alluomo a che ci si liberasse dallo spirito di
vendetta egli non faceva altro che desiderare il trionfo della libert; infatti, per affermare
il Superuomo gli era essenziale negare la trascendenza: questo stato il motivo di
fondo che ha indotto il filosofo dello smascheramento a mettere in questione quel mondo
dellal di l che era sempre stato il sogno del pensiero occidentale fin dalla sua nascita
e cio da Platone in poi. Quel Sono stato capito? Dioniso contro il Crocifisso
di Ecce homo non era altro che una volont poderosa quella nietzschiana che
violentava la trascendenza e se stessa per far s che si potesse realizzare un Medesimo
libero, ovvero un soggetto che non riconoscesse Altri.
Ridurre laltro al concetto, per Levinas, significa non cogliere lalterit di altri, non
avere rispetto dellaltro. E, quindi, non andare verso quellAssolutamente Altro che il
filosofo trover in Dio. Questo Dio, per, come vedremo nella seconda sezione, non sar
il sommo ente dellontoteologia, e nemmeno lessere nella sua differenza con lente, ma
sar la vera e propria trascendenza, leccedenza rispetto allessere tutto il Bene.
E questo lo scacco dellappercezione trascendentale e, ma le cose non sono
diverse, come abbiamo visto, la messa tra parentesi della mia libert.
La critica a una tale concezione della libert pu essere riassunta in queste poche
parole: Si ragiona in nome della libert dellio, come se io avessi assistito alla creazione
del mondo e come se potessi essere responsabile solo in un mondo uscito dal mio libero
arbitrio. Presunzioni di filosofi. O rinuncia di irresponsabili.
Gi qui capiamo che c un qualche cosa che precede la libert, e che quindi non la
fa diventare assoluta.
E solo in questo modo, cio sostenendo unorigine che poi vedremo non sar
lorigine propriamente detta non controllabile, che si pu evitare la violenza di un
soggetto che vuole diventare a tutti i costi lAtlante che porta sulle sue spalle tutto il peso
del mondo perch esso gli appartiene.

6. RAPPRESENTAZIONE E PRESENZA
Seguendo tale schema, si pu capire appieno il rapporto intimo tra sapere e potere,
che spinger il filosofo francese alla convinzione che il sapere , nella sua intima
essenza, potere.
Nel saggio Etique comme philosophie premire egli afferma che secondo la nostra
tradizione filosofica la correlazione tra conoscenza in quanto contemplazione
disinteressata ed essere il luogo dellintelligibile, il darsi stesso del senso. La
comprensione dellessere la semantica di questo verbo sarebbe cos la possibilit
stessa della saggezza e dei saggi e, a questo titolo, filosofia prima58.
La filosofia prima, dunque, essendo correlazione tra conoscenza ed essere, una
filosofia della libert, in quanto il conosciuto viene compreso dal sapere e quindi non
rispettato nella sua alterit. Laltro del pensiero diventa, in questo modo, propriet del
pensiero-sapere.
Ci si basa su un unico e decisivo presupposto: il tempo dellessere il presente,
rispetto al quale passato e futuro non sono altro che rappresentazioni, ovvero,
ri-presentazioni. Ridurre alla presenza tramite la rappresentazione, tramite il sapere,
unattivit che fa propria e comprende lalterit del conosciuto.
Si tratta di un afferrare! La conoscenza come concetto, come percezione, come
comprensione, rimanda dallalterit allistantaneit dellistante: c un rapporto molto
intimo tra presente e potere.
Di questa cosa era ben consapevole Nietzsche, se vero come vero che la sua
teoria delleterno ritorno dellidentico non era altro che unaffermazione dellattimo
rispetto al prima e rispetto al poi. Il passato solo il rovello della volont, la quale non
pu porsi totalmente identica a s perch ha un non controllo sulla sua origine. Il futuro
(inteso come il luogo verso il quale tende luomo), invece, solo lespressione di cose
umane, ahi troppo umane, che hanno portato lessere vivente a commettere un
mostruoso errore.
Per il filosofo tedesco leterno ritorno non solo laffermazione del tempo
circolare, ma anche qualcosaltro. La circolarit del tempo solo un presupposto
58

Cfr. E. Levinas A. Peperzak, Etica come filosofia prima, cit. pag. 47

essenziale a che la volont possa mettere le mani sulla sua genesi, ma non sufficiente.
Ci dimostrato da Zarathustra, il quale, dopo aver ascoltato il nano che stava sulle sue
spalle Tutte le cose diritte mentono. Ogni verit ricurva cos tuona: Tu, spirito di
gravit! non prendere le cose troppo alla leggera. Guarda questo attimo 59. E
ancora: O Zarathustra dissero le sue bestie le cose stesse tutte danzano per coloro
che pensano come noi: esse vengono e si porgono la mano e ridono e fuggono e
tornano indietro. Tutto va, tutto torna indietro tutto si ripresenta; eternamente gira la
ruota dellessere. Tutto muore, tutto torna a fiorire, eternamente corre lanno
dellessere. O voi, maliziosi voi ne avete gi ricavato una canzone da organetto?
Il pastore morse bene. Non pi pastore, non pi un uomo, un trasformato, un
circonfuso di luce, che rideva! Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise 60,
rispose Zarathustra.
E cos dimostrata la correlazione tra circolarit e attimo della decisione nella teoria
delleterno ritorno delluguale, il cui contenuto, a questo punto, risulta abbastanza
semplice: nellattimo della decisione che la volont si estende su tutto il suo prima e su
tutto il suo poi facendosi identica con il tempo diventando completamente coincidente
con se stessa. Nellattimo della decisione accade allora lessere che chiama lintera storia
del mondo la sua storia. In altri termini: nellattimo della decisione che il tutto, ovvero
il prima e il poi, si ri-presenta, si fa nuovamente presente, cade nella presenza (del
presente).
E questo il motivo per il quale Levinas dir che il pensiero come sapere
pensiero delluguale e delladeguato, pensiero di ci che arreca soddisfazione. La
razionalit degli esseri dipende dalla loro presenza e dalla loro adeguazione al
pensiero Il sapere ri-presentazione, ritorno alla presenza: in esso nulla potr mai
rimanere altro61.
In questo modo potere e sapere si trovano in un rapporto di identit, per cui se dico
sapere di potere dico precisamente una tautologia, ovvero non faccio altro che ripetere
nel predicato ci che gi contenuto nel soggetto: Kant definirebbe una tal cosa

59

Cfr. F. Nietzsche, Cos parl Zarathustra, cit, pp. 129-134 corsivo mio
Ivi, pp. 180-185
61
Cfr. E. Levinas A. Peperzak, Etica come filosofia prima, cit. pag. 48
60

giudizio analitico. Ci troviamo di fronte a quellidentit di identico e non-identico che


aveva ben saputo mettere in evidenza Hegel.
Questo schema, e non ci stancheremo mai di ripeterlo, domina lintera storia della
filosofia, da Platone fino a oggi. Neanche la grande rivoluzione della modernit iniziata
con Cartesio riuscita ad uscire da un tale desiderio; con il cogito, ergo sum di
Cartesio si attesta un passaggio dal cogito al sum che unappropriazione dellessere da
parte del sapere che culmina nellidentificazione tra essere e sapere. In tal modo pensare,
sapere, rappresentare, volont, essere, soggetto, totalit, libert, sono la stessa cosa, nel
senso che sono solo diversi modi di descrivere il circolo del Medesimo che non ha pi
nulla fuori di s perch, come gi detto in precedenza, ha gi tutto annesso a s.
Conoscere, dunque, un riportare laltro a s, alla propria soggettivit, inserendolo
nel proprio unico e totalizzante orizzonte. La presa di possesso da parte dellio che d
inizio alla sua identificazione (ricordiamo che lidentit un identificare) rimanda alla
filosofia come economia, ove per economia Levinas intende il suo significato
etimologico (nmos delloikos = legge/amministrazione della casa), che fa pensare ad
unattivit che coglie lessere delle cose strappandole dallanonimato di ci che il
filosofo chiamer, in Totalit et Infini, elementale, il quale non altro, per usare un
termine divenuto a noi pi familiare, che lil y a62.
La presa di possesso tipica di questo soggetto innanzitutto e per lo pi implicato
con lessere che ha come caratteristica pi propria il conatus essendi, ovvero
linteressamento (a preservarsi nel proprio essere).
Se a questo discorso aggiungiamo il potere di questa filosofia, lecito chiamare in
causa laffermazione levinassiana del saggio La philosophie et lide de lInfini:
Luomo moderno persiste nel suo essere, come un sovrano unicamente preoccupato di
salvaguardare i poteri della sua sovranit63. In questo modo non fa altro che
drammatizzarsi negli egoismi degli uni contro gli altri, tutti contro tutti, nella
molteplicit di egoismi allergici che sono in guerra gli uni contro gli altri e, cos,
insieme. La guerra il gesto o il dramma dellinteressamento dellessenza 64. LIo, cos,

62

Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 143


Cfr. E. Levinas A. Peperzak, Etica come filosofia prima, cit., pag. 49
64
Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 7
63

una sostanza egoistica incentrata sul conatus essendi che sempre pronto a fare la
guerra contro ci che limita il suo desiderio di libert.
Ma ritorniamo ancora alla rappresentazione, per chiarire la quale necessario fare
un riferimento ad Husserl.
Per il filosofo francese Edmund Husserl stato un grande pensatore in quanto ha
proposto una nuova ontologia, ove per ontologia egli intende il senso heideggeriano di
questo termine, ossia come studio del senso dellessere, gi sempre anticipato quando si
affronta lo studio degli enti allinterno delle ontologie regionali. Questa novit da
ricercarsi nel fatto che per il filosofo della fenomenologia non che gli oggetti esterni si
caratterizzino nel loro esistere perch si oppongono alla coscienza, ma per il loro vario
modo di apparire alla coscienza.
Fondamentale, per questo discorso, il concetto di intenzionalit, la quale non un
attributo di una sostanza gi esistente di per s la coscienza , ma costituisce la
soggettivit stessa del soggetto, la cui essenza consiste nel trascendersi.
Lerrore di Husserl, che non gli permette di uscire dallontologia, stato il concetto
dellintuizione visione o intuizione eidetica che si riferisce alla piena coincidenza tra
linteso e il dato e che si realizza quando lintenzione trova perfetto compimento o
riempimento. Ci permette di dire che anche Husserl cade nel primato della luce, in
quanto la verit si trova nellintuizione o nella visione.
Questo perch egli pone lintuizione come il fenomeno originario che rende
possibile la verit.
Cos, ed ecco la nuova ontologia, si pone fine al naturalismo che concepiva
lessere come materiale e si basava sulla conoscenza fisica e allidealismo che
tematizza la vita cosciente come processualit sempre presente ai suoi atti, laddove
invece essa ora considerata come svolgimento sempre alle prese con lessere
trascendente.
La nozione di intuizione permette ad Husserl di affermare il primato della coscienza
per mezzo del quale anche loggetto, nella sua oggettivit, non altro che un momento
del conferimento di senso della coscienza stessa; esso sarebbe dunque un effetto del
conferimento di senso del pensiero, il quale giunge al principio dellevidenza, cio alla

trasparenza della coscienza allessere e dellessere alla coscienza, in ununit


inscindibile.
E

in

questo

discorso

che

si

spiega

il

primato

della

coscienza

teoretico-rappresentativa: per raggiungere levidenza necessario un soggetto avente


uno sguardo cristallino.
In Totalit et Infini si mette in risalto la concezione husserliana della
rappresentazione, la quale porta allaffermazione che loggetto della coscienza, distinto
dalla coscienza, quasi un prodotto della coscienza come senso dato da essa, come
risultato in un certo senso, loggetto della rappresentazione assolutamente interno al
pensiero: malgrado la sua indipendenza sottomesso al pensiero 65. In questo caso si
tratta di quello che secondo la terminologia cartesiana diventa idea chiara e distinta.
Nella chiarezza, un oggetto, in un primo momento esterno, si d, cio si consegna a
quello che lo incontra come se fosse stato interamente determinato da esso. Nella
chiarezza lessere esterno si presenta come opera del pensiero che lo riceve 66.
Lintelligibilit, in Husserl, dunque posta come identica alla chiarezza, la quale
altro non se non ladeguazione tra pensante e pensato; adeguazione raggiunta per il
tramite della signoria esercitata dal pensante sul pensato, ove svanisce lalterit di ci
che esterno.
Il filosofo, quindi, resta fedele al pensiero occidentale, in quanto mette in atto una
relazione di potenza dove il Medesimo s in rapporto con lAltro, ma si tratta non di un
vero e proprio rapporto perch il Medesimo determina lAltro: siamo ancora nel vecchio
schema della filosofia, ove il Medesimo ritrova il Medesimo in una totale trasparenza a
se stesso tramite il gioco dellidentificazione. La rappresentazione questo movimento
che parte dal Medesimo in uno slancio di libert che nel momento in cui ritorna a s non
pi in relazione con nulla: da qui la solitudine del Medesimo stesso.
Un tale processo di identificazione dove lIo rimane lo Stesso, e rimane lo stesso
pur nellalterit perch lannette a s , si pu definire, kantianamente, unit
dellappercezione trascendentale, dato che questa determina ma non determinata e in
questo determinare costituisce. In questo senso ogni anteriorit ed ogni posteriorit si
riducono allistantaneit dellistante, e cos acquista un senso.
65
66

Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 124


Ivi, pp. 124-125

Rappresentare significa rendere nuovamente presente, ricondurre allistantaneit del


pensiero tutto ci che sembra indipendente da esso e che perci viene avvertito come una
limitazione alla sua volont di crescere sempre e comunque su se stesso: in questo che
la rappresentazione costitutiva, in questo, cio, che essa si presenta come una
condizione non condizionata.
Nellattimo in cui si rende nuovamente presente siamo nella luce dellessere che
permette levidenza, la quale elimina tutte le impurit e gli adombramenti e ci fa avere
solo idee chiare e distinte. Nella conoscenza raggiungo una tale purezza di visione che
mi permette di cogliere lessere dellente, di stare nella sua luce; sapere come visione,
essere come luce.
In questo modo lintenzionalit non altro che il compimento della libert, e la
trascendenza diventa una trascendenza nellimmanenza, ovvero una falsa trascendenza;
il pensiero unautonomia assoluta67 e la descrizione fenomenologia cerca il
significato del finito nel finito stesso68.
A questo punto sembra che Levinas non sia stato un buon lettore ed un buon critico
di Husserl, dato che egli sembra essersi dimenticato di una prima impressione
(Urimpression) teorizzata da questo filosofo.
Le cose non stanno cos, poich anche tale questione stata sottoposta a riflessione
da parte del filosofo francese.
Cominciamo con il chiarire che cosa lUrimpression per Husserl: si tratta,
innanzitutto, della passivit originaria dellistante presente che, di primo acchito, sembra
essere lo scacco dellappercezione trascendentale.
Sembra, ma non , e quindi tale teoria non scalfisce il discorso fatto in precedenza.
Ci accade perch il soggetto accoglie su di s una tale passivit e quindi tutto ci che su
di esso esercita unattrazione. Questa passivit , per il filosofo tedesco, allorigine di
ogni coscienza svolgentesi nel tempo come ritenzione del passato e come protensione
verso il futuro.
Per Levinas una tale passivit originaria , ad un tempo, passivit e spontaneit
iniziale, in quanto essa si configura come il luogo a partire dal quale linizio, lorigine
possibile il gioco delle ritenzioni e delle protensioni e, quindi, come quel luogo ove si
67
68

Cfr. E. Levinas, Scoprire lesistenza, cit., pag. 52


Ivi, pag. 105

costituisce lintenzionalit prima che il presente, il quale, come sappiamo, la presenza


dello spirito a se stesso: Nello spirito colto a livello di Urimpression lantinomia tra
spontaneit e passivit viene meno. Il presente con le sue ritenzioni e le sue protensioni
contemporaneo alla prima impressione, al primo sorgere dello spirito in cui esso si pone
e insieme domina se stesso, in cui libero69.
Insomma, lUrimpression il qui e lora a partire dai quali tutto si produce per la
prima volta: la soggettivit stessa del soggetto, la creazione originaria, la fonte prima.
Essa quel presente attorno al quale tutto si orienta; tale tempo diventa fonte di ogni
significato.
Rispetto a questa, la sensibilit si configura come la sua modificazione, il gioco
della protensione e della ritenzione di essa.
Pertanto, la sensibilit non una conoscenza confusa o oscura, o un pensiero
errante, ma il punto zero, lorigine del fatto stesso del situarsi: in questo modo che si
inaugura il principio, il fatto primo a partire dal quale tutto quel che , .
In tal caso cercato e trovato quel fondamento di cui ha sempre parlato il pensiero
dellOccidente: Husserl non dubita che un tale terreno esista. Esiste unorigine, la sua
certezza fondamentale. Tale origine, senza cui il pensiero rimane esiliato (il che
significa: senza fondamento, senza a priori), , per Husserl, impressione
originaria70. Si tratta, chiaramente, dello stesso livello del teoretico.
La filosofia, cos, resta sempre legata al presente, termine, questo, che fa
riferimento e al modo del tempo e alla manifestazione. E lessere a riunire questi due
termini; lessere presenza, e la presenza esclude il non-essere il passato e il futuro
perch li raccoglie a s: memoria e previsione sono ci che permettono il raccoglimento;
Husserl propone solo unontologia di nuovo tipo, ma non la supera, in quanto il suo
discorso ancora legato al presente; , in altri termini, ancora comprensione dellessere.
In breve, tale filosofo non supera il primato della coscienza: il presente vivente
viene tematizzato dalla coscienza stessa nella ritenzione, evitando cos di portare
qualcosa al di l dellimmanenza del Medesimo. Questo ben messo in evidenza dal
filosofo francese in Autrement qutre ou au-del de lessence: Che questa
originariamente non-oggettivante e non-oggettivata nel pensiero vivente, sia
69
70

Ivi, pag. 45
Ivi, pag. 185

tematizzabile e tematizzata nella ritenzione significa che la non-intenzionalit della


proto-impressione rientra nellordine, non conduce al-di-qua-del-Medesimo, n
al-di-qua-dellorigine Il tempo della sensibilit , in Husserl, il tempo del
recuperabile. Che la non-intenzionalit della proto-impressione non sia perdita di
coscienza, che nulla possa arrivare allessere clandestinamente, che nulla possa strappare
il filo della coscienza, significa escludere dalla coscienza la diacronia irriducibile71.
Anche nella Urimpression, dunque, non si sfugge dal tempo come presenza del
presente: il qualche cosa di cui sembra inizialmente non concettualizzabile e non
concettualizzato diventa e luno e laltro perch esso viene ritenuto, ovvero recuperato,
dalla coscienza. In questo senso c s differenza, ma nellidentit, c s modificazione,
ma si tratta di una modificazione senza cambiamento, per cui se si pu parlare di uno
scacco della rappresentazione nella proto-impressione, si deve aggiungere che la
coscienza oggettivante legemonia della rappresentazione , paradossalmente,
superata nella coscienza del presente72.
Insomma, il presente vivente comunque concepito sul modello del sapere teorico,
perch una presenza che pu sempre venire rappresentata e ripresentata attraverso la
memoria. Essere presenza, ossia divenir presente a una coscienza che se ne
impadronisce nella conoscenza, costituendo il dato nel coglierne lessenza. La tirannia
della teoresi, pertanto, non superata da Husserl neanche quando estende la teoria
dellintenzionalit alle intenzioni pratiche o emotive. A niente serve attribuire la priorit
a queste rispetto alle intenzioni teoriche, perch il modello uguale e nelluno e
nellaltro caso: si tratta dello schema della rappresentazione e della ripresentazione. Qui
il dato si presenta in carne ed ossa in un tempo in cui la dispersione pu essere raccolta
mediante la ritenzione e la protensione.

7. ESSERE E FENOMENO
Nelle pagine precedenti, seguendo Levinas, abbiamo interpretato la filosofia
occidentale come filosofia della potenza, la quale non supera limmanenza del presente
71
72

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 42


Ivi

in quanto il suo sempre un discorso intorno allessere, la cui caratteristica essenziale


la circolarit del Medesimo. Abbiamo anche visto che nemmeno i grandi pensatori della
modernit sono riusciti a superare tale schema, in quanto essi hanno fatto sempre un
discorso in cui ci che era essenziale era lessere, il quale, nella sua verit, appare
alla coscienza.
Di fronte a questa situazione, ci resta da chiedere che ne della vecchia distinzione
tra essere e apparire. E, questo, leterno problema della filosofia, la quale si fonda
proprio su questa distinzione, ovvero si basa sulla differenza tra ci che appare il non
essente e ci che il veramente vero , se ci consentita lespressione.
Per iniziare la nostra analisi sul rapporto essere-fenomeno, dobbiamo ricordare ci
che abbiamo detto in precedenza: la verit non altro che lo svelamento dellessere, e in
tanto c ricerca in quanto lessere non mai totalmente manifesto, oppure, ma la
stessa cosa, ogni manifestazione parziale e quindi apparente.
Da questa considerazione salta subito agli occhi che c uno stretto rapporto tra
essere ed apparenza: si tratta ora di stabilire la natura di questo rapporto.
Heidegger, come sappiamo, ha avuto il grande merito di aver fatto risuonare la
verbalit del verbo essere, consentendo a detta di Levinas di considerare lessere
come quellil y a anonimo che non prevede cose e sostantivi. A tale essere, che a questo
livello non ha senso, necessario il fenomenalizzarsi, grazie al quale si identifica questo
in quanto quello, per usare la terminologia levinassiana di Autrement qutre ou au-del
de lessence: grazie al fenomeno che entra in scena quello che Shophenhauer chiamava
il principium individuationis, che identifica quegli enti che poi si mettono in relazione tra
loro nella totalit.
Da questo primo punto emerge innanzitutto che tra essere e fenomeno c un
rapporto necessario: il fenomeno permette che lessere acquisti un senso e lessere la
condizione di possibilit del fenomeno. In altri termini lessere non , rispetto al
fenomeno, il nascosto, ma si presenta nella manifestazione, anzi, tale manifestazione.
Si potrebbe addirittura dire che lessere il suo stesso fenomeno, perch e solo per il
tramite dellapparire che esso pu manifestarsi a se stesso.
Una tale situazione richiesta dallo stesso movimento circolare del Medesimo, il
quale, per potersi identificare, ovvero per poter essere tale, deve apparire per

ri-comprendersi. E solo nellapparenza che il Medesimo pu unire il diverso per


diventare lo Stesso. Se non ci fosse un tale apparire non si identificherebbe, in quanto
non incontrerebbe nulla da poter comprendere, cadendo in questo modo in unidentit
vuota, cio in unidentit che una falsa identit, che non unidentit.
Traendo le conclusioni da questo secondo punto, si pu dunque affermare che
levento dessere, laccadere, lo stesso fenomenalizzarsi dellessere. Non stiamo al
livello del fenomeno di Kant, per il quale dietro al fenomeno c il noumeno, ma a livello
di ci che Heidegger definiva nel paragrafo sette di Sein und Zeit il mostrarsi: ci che
si mostra il fenomeno, ma nel mostrarsi del fenomeno ci che appare ci che ; viene
meno qualsiasi rinvio ad una presunta cosa in s che starebbe dietro lapparenza: dietro
non c nulla.
Ne deriva che il senso, qui, non sta dietro a ci che appare, ma in esso.
Shopenhauer si sbagliava quando diceva che dietro il velo di Maya cera lin s,
perch dietro il velo non c nulla.
Questo discorso stato ben capito da Heidegger, per il quale lautomostrarsi del
qualche cosa non lente, ma lessere dellente73.
Questo manifestarsi dellessere dellente precisamente ci che la filosofia
occidentale intende con la parola verit: lEssenza dellessere si manifesta nella
verit e la verit stessa del vero lapparire dellEssenza la fenomenalit
lesibizione dellessenza dellessere nella verit un presupposto permanente nella
tradizione filosofica dellOccidente74.
Secondo una tale filosofia, e per i motivi suddetti, lessere significante per il fatto
che al suo stesso andamento dessere appartiene il manifestarsi, il divenire fenomeno;
esso un gioco, un gioco di svelamento e di velamento e la sua verit non altro che il
suo manifestarsi verit come apparire dellessere. E vero che se non ci fosse il
fenomeno non ci sarebbe il nulla assoluto, ma altrettanto vero che si cadrebbe nel
freddo, oscuro, indistinto, vuoto, orribile il y a; ci perch la negazione dellessere non
conduce al puro niente, ma allimpersonale; la negazione dellessere rientra nellessenza

73
74

M. Heidegger, Essere e tempo, Longanesi e C., pp. 47-51


Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pp. 165-166, sottolineato mio

dellessere, nella cui radura luminosa dice Peperzak i fenomeni possono apparire e
ricevere la loro verit75.
Lontologizzazione del fenomeno ci che permette al Medesimo di ritrovarsi
nellaltro: ritrovamento compiuto dallunit dellappercezione trascendentale, che la
forma ultima dello spirito come sapere e che coincide con ci che costituisce, facendo
del pensiero un dialogo dellanima con se stessa, come ci aveva insegnato gi Platone.
Una tale filosofia conduce al detto hegeliano ci che reale razionale; ci che
razionale reale dove il vero ci che presente, ci che rappresentato. Gli effetti si
possono vedere empiricamente: siamo in un mondo dove a dominare limmagine,
irretiti nella retorica ingannatrice, nella propaganda e nella pubblicit, il cui scopo
quello di far credere che il senso sia lostensione, ovvero ci che appare, ci che si
mostra con vanto.
Sostenere una tale teoria significa ammettere che lontologia verit dellessere,
uno scoprire, uno svelare, un far vedere.
Pertanto, il senso non pu essere separato, come dicevamo prima, dallapparire:
esso si deve basare esclusivamente sul rappresentato e sul rappresentabile, reso possibile
dallaccoglimento della manifestazione stessa nella coscienza.
Nel momento in cui il fenomenalizzarsi dellessere viene accolto in una coscienza il
tutto viene ri-presentato, consentendo allo spirito come sapere di chiamare anticipazione
il futuro e memoria il passato. In questo modo tutto viene trattenuto nel sistema dal
Medesimo, il quale ha ormai raggiunto il punto finale dellidentificazione raccogliendo il
molteplice e appropriandosene. Lessere, a questo punto, divenuto il fenomeno
universale, o meglio, corrisponde alluniversale fenomenalizzarsi dellil y a che,
inizialmente indistinto scorrere, cade nella forme fenomeniche del tempo, dello spazio e
della causalit, trasfigurandosi in un qualcosa di distinto e di ben definito.
E il sapere che ri-presentando rende possibile un tale movimento, che non altro
che il ritrovamento e la costituzione degli enti. Il passato, rispetto a questo presente,
non altro che un presente che fu, e quindi viene recuperato nella memoria: esso si
ri-presenta.
75

Cfr. A. Peperzak, Introduzione a Altrimenti che essere, in E. Levinas A. Peperzak, Etica come filosofia prima,
cit. pag. 117

Ci che si realizza nellaccoglimento della coscienza unappropriazione


anamnestica assoluta da parte del Medesimo, il quale chiama lintera storia dellumanit
la sua storia ed il molteplice la sua identit. Leccesso di senso storico porta la coscienza
ad essere totalmente padrona di se stessa, la quale non trova la totalit del divenire, ma la
istituisce con il gioco delle ritenzioni e delle protensioni. Essa si trova non pi ad essere
un volente non volutosi, ma un volente che si voluto nel momento in cui ha accolto la
manifestazione nella coscienza.
Il Medesimo dimostra di avere una forza plastica che lo fa crescere a proprio modo
e su stesso, per dirla con Nietzsche, a tal punto da assimilare tutto quello che gli viene
dallesterno, fino a quando non giunge al punto in cui nulla pi assimila perch ha gi
ridotto a s tutto il molteplice che si presentato, ovvero fenomenalizzato, manifestato.
Alla fine di questo discorso non ci resta che sottolineare che, bench si tentati di
chiarire la natura del rapporto essere-fenomeno, non si riusciti ad evitare una certa
ambiguit: perch ci accaduto?
La risposta va ricercata nel fatto che lambiguit del rapporto costitutiva del
rapporto stesso; in En dcouvrant lexistence Levinas, parlando del Dasein e dopo aver
sottolineato

lesserci

come

evento

dessere,

recita

precisamente

cos:

Ma

contemporaneamente verbo e sostantivo, luomo, tuttavia, anche sostantivo, lo , anzi,


dabitudine76. In Autrement qutre ou au-del de lessence dedica molte pagine
allanfibologia dellessere e dellente.
Lanfibologia (doppio e ambiguo significato) dovuta dal fatto che nella
tematizzazione per una verso lente fa risuonare lessere-verbo, mentre per altro verso
lessere verbo si ammassa nellente. Pertanto, essere ed ente, nonostante la loro
differenza, finiscono per identificarsi. Gli esempi a questo proposito e in tale opera sono
molto chiari: A A, non significa solo linerenza di A a se stesso o il fatto che A
possiede tutti i caratteri di A. A A come dire il suono risuona o il rosso rosseggia.
A A sarebbe come dire A a-eggia. Nel rosso rosseggia il verbo non significa un
avvenimento, un dinamismo qualsiasi del rosso opposto al suo riposo di qualit, n
unattivit qualsiasi del rosso, il passaggio ad esempio dal non rosso al rosso larrossire
o il passaggio dal meno rosso al pi rosso, una alterazione A A non raddoppia il
76

Cfr. E. Levinas, Scoprire lesistenza, cit., pag. 93

reale. Solo nella predicazione pu intendersi lessenza del rosso, o il rosseggiare come
essenza. Solo nella predicazione laggettivo nominalizzato si intende come essenza e
temporalizzazione propriamente detta77.
Il contenuto di queste frasi abbastanza chiaro: lA A non raddoppia il reale, ma
espone la risonanza silenziosa dellessenza. Il che vuol dire che nella tematizzazione gli
enti significano, seppur ambiguamente, lessere. Anzi, che lessere non pu che
significare negli enti e quindi ambiguamente: solo nella tematizzazione che lessere
acquista significato, ma il prezzo che paga per la significazione lidentificazione con
lente. Viceversa, gli enti non espongono solo se stessi nella tematizzazione, ma fanno
risuonare la verbalit del verbo essere, che la loro essenza.
Quindi, nonostante lo sforzo heideggeriano di mantenere lessere distinto dallente,
lessere si identifica con lente. Certo, la differenza tra essere ed ente sicuramente c,
ma senza il concetto il verbo solo quellil y a anonimo che ha come caratteristica
essenziale il vuoto, e quindi la mancanza di significato: lostensione la fenomenalit
dellessere che permette a tale verbo di avere un senso.
LA A solo il momentaneo scindersi del Medesimo rispetto a se stesso che
Levinas chiama temporalizzazione del tempo, o anche sfasamento del Medesimo
rispetto a se stesso. E, in altre parole, la diacronia che per poi viene recuperata nel
momento in cui il fenomeno raggiunge il suo compimento nellaccoglienza del soggetto.
Il verbo essere campo della diacronia sincronizzabile, della temporalizzazione,
cio campo della memoria e della storiografia si fa quasi struttura e si tematizza e si
mostra come un ente. La fenomenalit lessenza diviene fenomeno si sincronizza,
si presenta78.
Lo sfasamento una necessit per il Medesimo, perch solo grazie ad esso che il
Medesimo stesso pu riconoscersi come tale. Infatti, la diacronia si tramuta in sincronia,
trasformando ci che inizialmente altro da s nel proprio dellintimit della casa,
allinterno della quale, io economo, posso occuparmi e preoccuparmi di ci che mio.
Ma occuparmi di ci che mio significa esercitare un potere di propriet su
qualcosa che pur non essendo mio deve diventare e diventa tale.
77
78

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pp. 49-50


Ivi, pag. 53

E precisamente questo quello che Levinas intende per filosofia della potenza, la
quale, avendo dominato lintera tradizione filosofica dellOccidente e subordinando
quindi sempre ad un dialogo con laltro il solipsismo della monade chiamata Medesimo,
diventa una filosofia dellingiustizia che perde la relazione con laltro.
La filosofia, in questo senso, nasce come problema dellaltro, ovvero come
problema circa ci che altro da me, ma perde subito tale questione privilegiando il
dialogo dellanima con se stessa essa: essa incapace di dire la trascendenza. In altri
termini, la filosofia della presenza, avendo come base la forza plastica del Medesimo che
a tutto si adegua perch tutto assorbe, si caratterizza per una grave assenza: non riesce ad
uscire dallimmanenza.
Chiudiamo a questo punto tale capitolo ricordando la citazione con la quale
abbiamo aperto lesposizione su Levinas: la storia della filosofia occidentale stata
una distruzione della trascendenza79.

Capitolo Secondo
CONDIZIONE ONTOLOGICA DELLUOMO

1. GNOSEOLOGIA E ONTOLOGIA
Nel primo capitolo, seguendo Levinas, abbiamo interpretato la filosofia occidentale
come filosofia che afferma il primato della totalit, non consentendo cos di dire la
79

Cfr. E. Levinas, Di Dio che viene allidea, cit., pag. 79

trascendenza e la soggettivit perch tutto fa rientrare nel sistema; in questo modo tutto
nellimmanenza perch ogni cosa non altro che parte del tutto. Rispetto a questo, il
soggetto cade in uningenuit profonda, poich, ritrovandosi alla fine della
manifestazione, crede di aver annesso tutto a s e di avere, conseguentemente, ridotto
qualsiasi trascendenza ad elemento (costitutivo) della sua immanenza. In questo somiglia
al lattante di cui parla la psicanalisi, per la quale linfante crede di essere onnipotente non
distinguendo tra ci che interno e ci che esterno.
Si tratta, chiaramente, di una pretesa illusoria, e questo vale tanto per il lattante
quanto per il soggetto della tradizione filosofica.
Ci detto, da rilevare che a quanto esplicitato si potrebbe muovere unobiezione;
si potrebbe dire, cio, che pur accettando quanto esposto in precedenza, ovvero il fatto
che il pensiero finora stato, in Occidente, un pensiero onniglobante, si lascia comunque
scoperta la dimensione del modo dessere concreto delluomo.
In altri termini, si potrebbe affermare che nel capitolo precedente si messo in
rilievo il fatto gnoseologico, dimenticando lontologia del vivente uomo; sotto questa
sfera si potrebbe avere anche un altro registro teorico, in quanto non detto che
allidentit logica debba coincidere necessariamente anche lidentit ontologica.
E proprio per rispondere a questa eventuale critica che nasce il presente capitolo, il
quale sar proprio un tentativo di delucidazione in questo senso.
Cominciamo con il ricordare che alla base dellontologia c lEssere, denominato
dal filosofo francese con il termine di il y a, il quale indica nientaltro che un indistinto
scorrere, ossia un anonimo fluire, senza sostantivi. E ovvio che a questo livello non c,
e non pu esserci, il soggetto, per cui lessere anonimo si configura come dissipazione
dello Stesso, come essere in generale: indicheremo questa consumazione
impersonale, anonima, ma inestinguibile dellessere, che mormora al fondo del nulla
stesso, con il termine di il y a. Nel suo rifiuto di assumere una forma personale, lil y a
lessere in generale80.
Emerge, da quanto detto, che il soggetto non pu essere tale se non si produce
distanziandosi da quel Neutro che non gli consente il principium individuationis.

80

Cfr. E. Levinas, Dall esistenza all esistente, cit., pag. 50

Si tratta ora di analizzare cosa permette ad un tale soggetto di prendere le distanze


dallanonimato dellessere.
Fin dallopera De lexistence lexistant Levinas si interessava del difficile
rapporto tra Esistenza (o Esistere) ed Esistente, di fronte al quale la sua preoccupazione
era quella di uscire da quella presenza inevitabile dellessere nel suo continuare ad
accadere pur senza soggetti che accadono. In questo testo facile riscontrare toni
heideggeriani, ma il filosofo tedesco non seguito completamente.
Certo, si potrebbe dire che anche Levinas mantiene la differenza ontologica, ma
si deve aggiungere che la centralit attribuita allesistente e non allesistenza, come
invece faceva Heidegger; in altri termini, il vero differente non lEssere, ma lEnte,
ossia il soggetto che si pone come sostantivo. Siamo di fronte, in altre parole, al sorgere
dellesistente nellesistenza.
La soluzione proposta mette in atto un sostantivo che diventa tale nellistante
assoluto del presente, anche se proprio nel momento in cui esso prende le distanze dallo
scorrere anonimo vi rimane impigliato. Per effetto di ci, la relazione tra questi due
termini , ad un tempo, padronanza dellesistente sullesistenza e peso dellesistenza
sullesistente81. Dunque, solo nellevento del presente che lIo diviene sostanza,
ipostasi; la scelta di questo termine dovuta al fatto, spiega il filosofo, che esso, nella
storia della filosofia, designa levento attraverso cui latto espresso dal verbo diventa un
essere designato da un sostantivo 82, cio levento del divenire sostantivo dallo sfondo
anonimo dellessere.
In tal modo lipostasi la sospensione dellil y a anonimo, lapparizione di
unidentit, il passaggio dallesistenza allesistente: Attraverso lipostasi lessere
anonimo ci che il soggetto del verbo essere e, di conseguenza, esercita una
padronanza sulla fatalit dellessere che divenuto il suo attributo. Esiste qualcuno che
assume lessere, il quale ormai il suo essere83.
Ci troviamo di fronte al ribaltamento heideggeriano della differenza ontologica,
ove il primo fatto lassunzione del proprio essere, la quale provoca una solitudine del
soggetto che ha una certa positivit in quanto essa la condizione di possibilit della
81

Ivi, pag. 70
Ivi, pag. 75
83
Ivi
82

libert dellipostasi, che in questo modo esce dallesistenza anonima acquisendo


unidentit che, bench porti con s ancora il peso dessere e resti imprigionata nella sua
identit, le permette di qualificarsi come un soggetto avente predicati che gli ineriscono.
Gi da questa considerazione su una delle prime opere di Levinas, si mette in
rilievo che anche ontologicamente luomo si pone come lo Stesso eliminando da s
qualsiasi cosa che gli risulti estranea ed alienante. In questo modo comincia a delinearsi
che il rapporto tra identit logica e identit ontologica procedono parallelamente, anche
se ancora non possiamo stabilire se esse siano perfettamente coincidenti. Per ora ci basta
solo rilevare che il fatto ontologico non cosa totalmente altra dal fatto conoscitivo, per
cui la filosofia della potenza sembra non essere il risultato di un errore umano, bench
ancora non siamo in grado di stabilire se essa sia necessitata. Pertanto, la violenza che
riduce ogni alterit in quanto alterit fa parte della natura delluomo, il quale, essendo
levento dellipostasi presente, assenza di tempo , risulta essere cominciamento a
partire da s.
La gnoseologia della tradizione filosofica, in questo senso, non altro che un
rispecchiamento dellontologia, per cui sembra quasi inevitabile che la totalit logica
conduca al totalitarismo ontico che si manifesta in quegli Stati assoluti di cui Hitler
rappresenta soltanto il suo punto culminante.
2. IL GODIMENTO
La sistematizzazione e lapprofondimento della condizione ontologica del soggetto
raggiunta con la nozione di godimento, la quale permette di chiarire, insieme alla
nozione di dimora che sar loggetto del sesto paragrafo , quellente che il soggetto
uomo.
Il godere non una tonalit affettiva facente parte di una qualche qualit
secondaria, ma la vera e propria condizione che permette alluomo di venire ad essere,
staccandosi come esistente soggettivo dallanonimo fluire dellessere in generale. Esso
la forza che rende possibile il fatto o la posizione che qualcosa differisca dal
semplice c, lavvento di un soggetto allinterno dellesistere.

Tale discorso possibile perch rende possibile la nozione di separazione, tramite


la quale soltanto lesistente si ritrae mettendosi a distanza dal neutro fluire dellesistenza
pura e semplice potendo cos stare in s: si tratta di un vero e proprio arretramento che
fa del soggetto unidentit strutturata che pu, senza alcuna difficolt, dire
tranquillamente io.
La condizione di possibilit che permette lattuarsi di termini quali separazione,
differenziazione, concentrazione su di s, arretramento, il bisogno. Introducendo questo
concetto non siamo caduti in contraddizione con quanto espletato allinizio del
paragrafo, perch il godimento deve essere inteso come verit del bisogno: Il bisogno
non pu essere interpretato come semplice mancanza, nonostante la psicologia che ne fa
Platone, n come una passivit, nonostante la morale kantiana. Lessere umano si
compiace dei suoi bisogni, felice dei suoi bisogni. Il paradosso del vivere di qualcosa
o, come direbbe Platone, la follia di questi piaceri, consiste appunto nel compiacersi di
ci da cui dipende la vita. Non dominio da una parte e dipendenza dallaltra, ma dominio
in questa dipendenza. Si tratta, forse, proprio della definizione del compiacimento e del
piacere. Vivere di, cio dipendenza che si muta in sovranit, in felicit essenzialmente
egoistica. Il bisogno Venere qualunque anche, in un certo senso, figlio di pros e di
pena la pena come sorgente di pros, al contrario del desiderio che la pena del
pros. Ci che gli manca la fonte di pienezza e di ricchezza. Dipendenza felice, il
bisogno suscettibile di soddisfazione come un vuoto che si colma. Dallesterno la
fisiologia ci insegna che il bisogno mancanza. Il fatto che luomo possa essere felice
dei suoi bisogni, indica che il piano fisiologico trasceso nel bisogno umano, che, fin dal
bisogno, siamo al di fuori delle categorie dellessere Lessenza del bisogno costituita
dalla distanza che si frappone fra luomo e il mondo dal quale esso dipende. Un essere si
staccato dal mondo di cui per altro si nutre! La parte dellessere che si staccata dal
tutto nel quale si affondavano le sue radici, dispone del proprio essere e ormai il suo
rapporto con il mondo solo bisogno. Esso si libera di tutto il peso del mondo, dei
contatti immediati e continui. E a distanza84.
Il godimento come verit del bisogno confermato dal fatto che lessenza di
questultimo non la mancanza, ma la distanza.
84

Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pp. 114-116

Interpretare il bisogno come distanza possibile solo se esso in un rapporto molto


intimo con il godimento: lessere umano si compiace dei suoi bisogni, ove in questo
rapporto il godimento ci che permette al bisogno di essere, per il soggetto, la sua
prima e pi originaria condizione di possibilit, per mezzo della quale esso si separa
dallesistenza anonima. Questo discorso reso possibile dal fatto che si gode del proprio
bisogno perch questultimo sempre proprio.
Una tale considerazione non si realizzerebbe se non ci fosse il godimento, perch in
questo caso il bisogno sarebbe mancanza, ossia mancanza di un mondo ordinato al quale
prima si apparteneva e dal quale in seguito si caduti. Linsostenibilit di questa tesi
nella filosofia levinassiana dimostrata dal fatto che per il filosofo lEssere non il
mondo intelligibile di cui parlava Platone, ma il caos originario rispetto al quale il
soggetto ha il dovere di riscattare se stesso.
Lo smascheramento nietzschiano ha dimostrato che il mondo platonico
insostenibile e che esso altro non se non lillusione della filosofia.
Questo aspetto ben evidenziato da F. Ciaramelli nella Distruzione del desiderio,
ove il pensatore fa un discorso circa il bisogno per dimostrare come quel fondamento
buono su cui si basa da sempre la filosofia teoretica non altro che la nostalgia delle
origini di questa85.
Da ci risulta che lesistenza del paradiso perduto solo unelaborazione
retrospettiva una conseguenza che maschera loriginariet dellestraneit,
determinando cos la convinzione che lidentit sia un qualcosa di gi dato, e non di
raggiunto mediante un processo di appropriazione. Tale processo costituisce lintima
essenza del bisogno, il quale ha ununica forma: trasformazione dellaltro nellidentico.
Lerrore si commette quando si pensa che una tale riduzione sia originaria, perch
in questo modo ci si illude dellesistenza, allorigine, di un mondo in cui ancora non era
avvenuta la scissione poich ancora non cera differenza tra interno ed esterno. In questo
modo si dimentica il carattere inabitabile dellorigine, caratterizzata dallirruzione
insopportabile dellestraneit e della contingenza86.
La filosofia si costituisce proprio a partire da questo oblio, ovvero presumendo di
provenire da una patria accogliente ed appagante a cui si deve ritornare: si tratta,
85
86

Cfr. F. Ciaramelli, La distruzione del desiderio, edizioni Dedalo, pag. 81


Ivi, pp. 73-74

chiaramente, di una strategia di rassicurazione. Ma lorigine (intesa come mondo del


Medesimo, secondo il linguaggio levinassiano) non veramente tale, per cui si potrebbe
parlare di anacronismo dellorigine ove lanteriore solo un risultato, una meta. In
fondo, lorigine non il punto di partenza, ma posteriore, per cui solo nel posteriore
che si accede allanteriore, ovvero solo nel dopo che si produce il prima.
Levinas, a questo proposito, ha elaborato una felicissima espressione coniando la
frase posteriorit dellanteriore, con la quale intende sottolineare che loriginario
dellontologia privo di senso, essendo inospitabilit dellorigine. Il fatto che
lidentit possa costruirsi solo a partire dallinospitabilit dellil y a mette in crisi la
pretesa della coscienza intenzionale che crede di essere costituente pensando di essere la
donazione originaria del senso.
Pertanto, solo da questo fondo oscuro che possibile lidentificazione, la quale
pu essere tale solo in un essere separato la cui condizione di possibilit il godimento.
Questo non , come dicevamo prima, una facolt del soggetto o un suo attributo, ma
un vero e proprio principio ontologico, il fondamento: Nel godimento freme lessere
egoistico. Il godimento separa impegnando nei contenuti in cui esso vive. La separazione
si esplica come lopera positiva di questo impegno. Essa non deriva da una mera frattura,
come un allontanamento spaziale. Essere separato significa essere a casa propria. Ma
essere a casa propria significa godere dellelementale Linteriorit instaurata dal
godimento non si aggiunge come un attributo ad un soggetto dotato di una vita
cosciente, come una propriet psicologica tra le altre. Linteriorit del godimento la
separazione in s, il modo in cui un fatto come la separazione pu prodursi
nelleconomia dellessere. La felicit un principio di individuazione, ma
lindividuazione in s concepibile solo allinterno, attraverso linteriorit. Nella felicit
del

godimento

in

gioco

lindividuazione,

lauto-personificazione,

la

sostanzializzazione e lindipendenza di s, oblio delle profondit infinite del passato e


dellistinto che le riassume. Il godimento appunto la produzione di un essere che nasce,
che rompe la tranquilla eternit della sua esistenza seminale o uterina, per rinchiudersi in
una persona che vivendo del mondo vive a casa propria87.

87

Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pp. 149-150

Il godimento precisamente quel fondamento che identifica il soggetto a partire


dallindeterminatezza dellimpersonale presenza dellessere facendolo sentire a casa sua;
e un essere che a casa sua unipostasi che emerge dal caos e contro il caos
posizionandosi allinterno di esso.
Il fondamento, a questo punto, sempre in rapporto al godimento: Attraverso la
posizione nellil y a anonimo si afferma un soggetto. Affermazione nel senso
etimologico della parola, posizione su un terreno fermo, su una base, condizionamento,
fondamento88. Si tratta, in altre parole, delle stessa apparizione di un esistente, di un
sostantivo nel seno di questesistenza impersonale che, a rigore, non pu essere nominata
perch puro verbo89.
Ritorna quella verbalit del verbo essere intesa come un accadere senza esistenti
rispetto alla quale la concentrazione su di s legoismo il movimento del
sostanzializzarsi di unidentit che prende le distanze da questo anonimo fluire:
Legoismo un fatto ontologico, una divisione effettiva e non un vago sogno che
aleggia alla superficie dellessere e che potrebbe essere trascurato al pari di unombra
Legoismo vita, vita di o godimento90.
In esso viene ad essere lappropriazione del molteplice nel processo identificativo
del soggetto che trasforma laltro in medesimo acquisendo, dal fondo anonimo
dellelementale, unidentit ontica che gli consente di dire io per il tramite del possesso
dellaltro: il primo movimento il passaggio dallessere allio! Grazie a questo passaggio
si sospende lanonimicit dellessere e fa la sua comparsa un dominio privato, un nome,
che non altro che il soggetto del verbo essere.
Gi a livello del nome si realizza lidentit, che trasforma lanonima indifferenza
dellessere nellinteriorit egoistica e felice del soggetto, il quale pu essere definito
come linterruzione del flusso verbale dellessere.
Il tempo presente la caratteristica fondamentale dellipostasi, in quanto proprio
nella presenza del presente che viene ad essere un essere che a partire da se stesso;
nellattimo in cui si gode che ci si trova implicati nel gioco delle identificazioni:
Essere a partire da se stesso. Per listante questo modo di essere significa essere presente.
88

Cfr. E. Levinas, Dall esistenza all esistente, cit., pp. 74-75


Ivi
90
Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 179
89

Il presente unignoranza della storia. In esso linfinito del tempo e delleternit viene
interrotto e ricomincia. Il presente quindi una situazione nellessere in cui non c solo
un essere in generale, ma in cui c un essere, un soggetto il presente arresto non
perch viene arrestato, ma perch irrompe e riannoda la durata a cui perviene a partire da
s il presente il compiersi di un soggetto, la possibilit di dare un nome
allistante91.
Non si deve pensare, per, che questa interpretazione dellipostasi come presente
implichi la negazione del passato e del futuro, perch essi si vengono a configurare come
presenti modificati che hanno il loro punto di riferimento nellistante e prendono il nome
di memoria (passato) e immaginazione (futuro).
Dunque, ci si separa dallanonimato dellessere attraverso il godimento, il quale,
essendo trasformazione dellaltro in medesimo, istituisce una propriet privata che
induce a dire che la prima parola non io, ma mio, rispetto al quale lio solo un
effetto.
In tal modo viene fuori un essere separato che si stacca dalleterno fluire del tempo
assumendo il proprio essere e ponendosi su un terreno solido che costituisce quella
quiete verso cui sempre andata alla ricerca la filosofia tradizionale.
Lessere a casa propria un essere che fa dellesterno linterno ponendosi, in questo
modo, come autarchico, autonomo. In questo senso, ovvero a livello di godimento come
venire ad essere dellipostasi, lio non determinato altrimenti che da se stesso
raggiungendo il traguardo del detto posto sul frontone del tempio di Apollo a Delfi:
Conosci te stesso.
La riflessione su di s, per, solo un momento successivo, poich essa non
potrebbe esserci in un soggetto che non si allontanato dal c per mezzo del bisogno; il
godimento, come vedremo pi avanti, non la rappresentazione, in quanto questultima
solo un qualcosa che si produce a partire dal primo.
3. IL VIVERE DI

91

Cfr. E. Levinas, Dall esistenza all esistente, cit., corsivo mio, pp. 66-67

La chiave di volta che permette al filosofo di arrivare alla tematica del godimento
il la nozione del vivere di, grazie alla quale si rende possibile la riflessione fatta nel
secondo paragrafo.
Se per un momento distogliamo lo sguardo da quanto stiamo dicendo e volgiamo
lattenzione al nostro concreto esistere, facile notare che siamo circondati di aria,
lavoro, idee, sonno, sogni, luce ecc Tutte queste cose citate impegnano e preoccupano
la nostra vita, tant vero che se noi provassimo a negarle verrebbe meno la vita stessa
(ci potrebbe essere ancora vita senza luce, acqua e aria?).
Ora, la tesi levinassiana, espletata in Totalit et Infini, consiste nellasserire che
queste cose non sono oggetti di rappresentazione, dato che noi ne viviamo: Noi
viviamo di grana, daria, di luce, di spettacoli, di lavoro, di idee, di sonno, ecc Non si
tratta di oggetti di rappresentazione. Ne viviamo. Ci di cui io vivo non neppure
mezzo di vita, come la penna mezzo rispetto alla lettera che permette di scrivere; n
uno scopo della vita, come la comunicazione scopo della lettera. Le cose di cui
viviamo non sono dei mezzi e neppure degli utilizzabili, nel senso heideggeriano del
termine. La loro esistenza non esaurita dallo schematismo utilitaristico che le mette in
luce, come lesistenza dei martelli, degli aghi o delle macchine. Esse sono sempre, in una
certa misura, e anche i martelli, gli aghi e le macchine lo sono oggetti di godimento,
che si offrono al gusto, gi ornate, abbellite. Inoltre, mentre il ricorso allo strumento
presuppone la finalit e sottolinea quindi una dipendenza nei confronti dellaltro, vivere
di mette in luce proprio lindipendenza del godimento e della sua felicit che il tratto
originale di ogni indipendenza92.
Siamo lontani, come si pu ben vedere, dalla concezione heideggeriana delle cose
come utensili, poich allin vista di viene sostituito il vivere di, caratterizzato
dallassenza di finalit.
Questa mancanza di scopi delle cose di cui il soggetto vive si trasforma in felicit,
ovvero nella gioia di dormire, di lavorare, di guardare ecc.
Levinas utilizza anche un altro termine per descrivere questa situazione:
nutrimento, definito come la trasmutazione dellaltro nel medesimo, che
nellessenza del godimento93.
92
93

Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 110


Ivi, pag. 111

Il soggetto, qui, si nutre assimilando laltro, facendo dellaltro, inizialmente


esterno, il suo s: il processo di acquisizione lalimentazione per il tramite della quale
si acquisisce lidentit dellio.
Ci di cui vivo primariamente ci di cui godo; e godere di una cosa nutrirsi di
tale cosa, assimilare laltro nel Medesimo. Per chiarire ulteriormente il discorso
opportuno fare un esempio: vivere di pane non rappresentarsi il pane, n agire su di
esso o tramite esso, bens vivere del pane nutrendosene e, in tal modo, godendone. E
sicuramente vero che io il pane me lo posso rappresentare o che posso agire su di esso o
per il suo tramite, ma il rapporto primario il godere dellattivit conoscitiva o
lavorativa, ed di tale godere che la vita si nutre. Non si tratta di negare le gnoseologia o
lazione, ma solo di affermare che queste vengono dopo, e quindi sono quel che sono in
quanto hanno come condizionamento ontologico il godimento: Per lio esistere non
significa n opporsi, n rappresentarsi qualcosa, n servirsi di qualcosa, n aspirare a
qualcosa, ma goderne94.
Di conseguenza lesistente non una semplice ipostasi che si appropriato
dellessere assumendolo su di s, ma un ente che divenuto tale nellindipendenza del
godimento, nella felicit: Si diviene soggetti dellessere, non assumendo lessere, ma
godendo della felicit, con linteriorizzazione del godimento che una esaltazione, un
fatto che al di sopra dellessere. Lente autonomo rispetto allessere. Non indica
una partecipazione allessere ma la felicit. Lente per eccellenza luomo 95.
A questo livello lesistente basta a se stesso, si trova in piena solitudine, incentrato
totalmente ed egoisticamente in un godimento pienamente soddisfatto di s, senza alcun
bisogno di rimandare ad altro: La sufficienza del godere scandisce legoismo o lipseit
dellEgo e del Medesimo. Il godimento un ritrarsi in s, uninvoluzione96.
Ci che determina lipseit dellio precisamente questa esistenza che gode dei
contenuti di cui esso vive.
Ne deriva che lio del godimento non n biologico n sociologico97.

94

Ivi, pag. 120


Ivi, pag. 119
96
Ivi, pag.118
97
Ivi, pag. 120
95

Lunicit dellio, infatti, non pu essere individuata a partire dallatomo o da un


concetto, ma a partire dalla particolarit propria della felicit del godimento: Lio non
unico come la Tour Eiffel o la Gioconda. Lunicit dellio consiste soltanto nellesistere
in un esemplare unico, ma nello esistere senza avere genere, senza essere individuazione
di un concetto. Lipseit dellio consiste nel restare fuori della distinzione
dellindividuale e del generale98.
La non partecipazione al genere legoismo della felicit che individua un essere
che a casa propria e che uscito dallessere in generale. Il sorgere a partire da s del
godimento porta ad un io che causa sui e che prende le distanze dalla verbalit del
verbo essere che continua ad accadere senza distinzioni; si verifica, a questo livello, una
rottura del concetto di partecipazione che configura il soggetto come unico ed
insostituibile nel gradimento dellelementale.
Siamo di fronte ad una emersione del soggetto dal caos originario che spinge a
considerare lautonomia dellio nella solitudine raggiunta per il tramite della violenza
sullaltro, in cui si trova unipseit che, nascendo a partire da s, si trova a porre da s le
proprie leggi.
In questa emersione il senso costantemente ricercato il piacere di ricondurre
tutto a fatto della propria identit, rispetto al quale ci che prima era estraneo adesso si
presenta come la familiarit di ci che da sempre appartenuto allintimit della casa.
La significazione dellipostasi nasce dunque dando ordine al caos, facendo
dellindistinto scorrere un qualcosa che si dissolve a tutto vantaggio della presenza del
presente, che chiude per la monade uomo nel solipsismo e nel narcisismo.
Certo, essere separato significa essere solo, ma la solitudine la condizione di
possibilit del vivente uomo che solo in questo modo pu essere ci che , appunto,
uomo.
E solo cos che quellestraneit originaria di cui parlavamo prima viene trasformata
in interiorit: ritorna linabitabilit dellorigine, la quale viene eliminata nel primo
movimento del bisogno del Medesimo: Il bisogno il primo movimento del
Medesimo99.
98
99

Ivi, pag. 118


Ivi, pag. 116

Il brusio anonimo dellil y a superato mettendosi a distanza da esso godendo dei


contenuti di cui si vive. Il godimento lorigine a partire da s, ovvero il fondamento
ontologico che vieta al soggetto di dissolversi nella mancanza di significato. Prima non
c il soggetto, non c nulla; il presente instaurato da esso la condizione di un essere
che cade nel principium individuationis. E il godimento il segno della presenza del
godimento, in virt del quale si gode di gi, si gode nellattesa di godere, si gode di
godere: La vita gode della sua stessa vita, come se si nutrisse della vita cos come si
nutre di ci che fa vivere, o, pi esattamente, come se il nutrirsi avesse questo doppio
riferimento. Prima di ogni riflessione, prima di ogni ritorno su di s, il godimento
godimento del godimento, sempre mancante a se stesso, riempiendosi di queste
mancanze promesse alla soddisfazione, soddisfacendosi gi di questo processo
impaziente della soddisfazione, godendo del suo appetito. Godimento del godimento
prima di ogni riflessione il godimento singolarizzazione di un io nel suo
ripiegamento su di s. Attorcigliamento di una matassa movimento stesso
dellegoismo100.
Per mezzo di questo appagamento che si appaga di appagamento si sospende
linsignificanza dellinerzia anonima verso cui il soggetto tenderebbe se non fosse
innanzitutto vivere di. In questo si mostra tutta la forza ontologica della felicit: ci
che sono e quello che faccio sono, ad un tempo, ci di cui vivo.
Godere significa essere separato! Il soggetto, pi che identificarsi tramite
lassunzione del proprio essere, come pure abbiamo detto prima, diventa se stesso, unico,
mediante luscita dallessere.
In realt in Levinas a questo proposito e durante levoluzione del suo pensiero, si
verifica uno spostamento, in quanto se in De lexistence lexistant parlava di
ipostatizzazione dellio mediante lassunzione, ora, ossia in Totalit et Infini, la stessa
vista pi nellottica di un concentrarsi nellintimit del godimento.
Ai fini del nostro discorso, per, la cosa piuttosto irrilevante, perch nelluno e
nellaltro caso si tratta comunque di una separazione del soggetto che mette in questione
laltro riducendolo a s mediante il processo di identificazione di un essere che,
staccandosi dallil y a, si pone come inizio e fine di se stesso.
100

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 92

In altre parole, a livello ontologico il discorso levinassiano non muta, mentre tale
spostamento avr delle conseguenze enormi sul paino etico. La cosa non deve stupire,
perch diversa lottica del filosofo nelle due opere. Infatti, mentre nella prima il
problema che reggeva lanalisi era il sorgere dellesistente sullo sfondo neutro e
impersonale dellil y a, nella seconda lanalisi retta dallintento di mostrare che
lesperienza eccezionale del rapporto con lassolutamente Altro implica un esistere in s
come separato dallaltro.
Ritorniamo, per il momento, al soggetto che si individua a partire da s per mezzo
del godimento.
Sostenere che lio una siffatta identit vuol dire sostenere che esso, nel suo
movimento di identificazione di s come vivere di, afferma una interiorit talmente
forte che capace di svilire qualsiasi estraneit che pur un qualcosa che si trova nella
sfera della verbalit del verbo essere (si deve per fare una urgente precisazione: stiamo
parlando sempre della sfera ontologica, non di quella etica, la quale ultima cosa
totalmente altra rispetto alla prima).
Il godimento, essendo vita di, non fa altro che godere dei contenuti di cui esso
vive. Ora, se prestiamo bene attenzione a quanto detto, ci accorgiamo che sembra esserci
una contraddizione nella riflessione che abbiamo fatto, perch da un lato abbiamo
sottolineato che nel bisogno troviamo un io monadico e quindi solo, dallaltro abbiamo
detto che si vive dei contenuti dai quali dipende la vita.
La presunta contraddizione si esplica nel fatto che se da un lato si manifesta
lindipendenza del godimento da qualsiasi cosa, dallaltro lato entra in gioco una
dipendenza che annulla qualsiasi tipo di indipendenza.
Come stanno effettivamente le cose?
4. DIPENDENZA E INDIPENDENZA
Se dovessimo dar conto alla logica formale, basata sul principio di non
contraddizione, per il quale non possibile che una cosa inerisca e non inerisca ad
unaltra sotto il medesimo aspetto e sotto il medesimo tempo, la contraddizione dovrebbe

essere risolta o negando la dipendenza o negando lindipendenza. Dovremmo a questo


punto fare un discorso volto a salvaguardare o luno o laltro termine a scapito dellaltro.
Problemi non ce ne sarebbero a livello di logica dialettica, perch alla fine sarebbe
di nuovo affermata la tesi per il tramite della negazione dellantitesi. Basterebbe allora
stabilire il primo termine, rispetto al quale il secondo non sarebbe altro che una
negazione del primo che viene poi dissolta dallarricchimento della tesi.
Sembrerebbe, dunque, che noi, con Levinas, abbiamo due opzioni, per cui il nostro
compito sarebbe quello di stabilire, leggendo il filosofo, verso quale logica far tendere la
nostra riflessione.
Solo che proprio perch si legge Levinas che dobbiamo rifiutare e luna e laltra
logica, dato che qui stiamo ad un altro livello di discorso.
Ma di che discorso (logica) si tratta?
Lo si potrebbe definire come lelaborazione di una nuova logica, la logica
levinassiana, con la quale si verifica un rapporto tra due termini apparentemente
contraddittori dipendenza ed indipendenza senza che siano negati nessuno dei due.
Ci resta allora da fare unanalisi sul rapporto dipendenza-indipendenza. E
precisamente questo il tipo di discorso che il filosofo francese fa a proposito del
godimento.
Abbiamo affermato che, godendo, il soggetto si separa dallessere anonimo,
ponendosi cos come indipendente e individuatesi a partire da s. Arretrando rispetto
allessere, lesistente si pone come indipendente ed autonomo nei confronti di
quellorrore che comunque sta al fondo di noi stessi. La rottura nei confronti del flusso
temporale anonimo, dato che la soggettivit si origina nellindipendenza e nella
sovranit del godimento101.
Lindipendenza raggiunta non altro che la relazione del Medesimo con loggetto
che conferma il Medesimo stesso nella sua sovranit. Certo, i contenuti di cui vivo
(laria, lacqua, la terra) sono esterni a me, e per io non ne sono schiavo, perch ne
godo. In tal modo laria, lacqua, la terra, diventano la mia acqua, la mia aria, la mia
terra.

101

Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 114

Resta il fatto, per, che questi elementi non sono stati da me creati, ma solo assunti,
ridotti; essi, perci, bench divengano miei, sono inizialmente esterni. Pertanto, entra in
gioco una dimensione di dipendenza che non si pu n negare n disconoscere.
E perch io ho bisogno di questi contenuti per vivere che c dipendenza, ma
siccome il bisogno non mancanza, bens distanza, esso si trasmuta in godimento, il
quale mi permette di assimilare laltro costituendomi come io, che sono un ente che si
staccato dal tutto.
I bisogni sono in mio potere, mi costituiscono in quanto sostantivo e non in quanto
verbo o alterit. Sicuramente resto dipendente dei contenuti vitali, ma il bisogno,
mettendomi a distanza, genera una sospensione o un aggiornamento della dipendenza
perch mi offre la possibilit di interrompere proprio al nascere lalterit dalla quale
dipendo.
Il soggetto diventa un essere che s bisognoso, ma libero, poich il bisogno,
essendo il primo movimento del Medesimo, non unignoranza dellaltro, ma il suo
sfruttamento. Mettendomi a distanza, esso mi d la possibilit di assimilare laltro
attraverso il lavoro e leconomia.
Siamo di fronte ad una situazione di indipendenza attraverso la dipendenza!
In breve: il bisogno indubbiamente dipendenza nei confronti dellaltro anche se in
esso io assimilo laltro in me; in qualche modo, quindi, ne dipendo, ne ho bisogno. Ma
siccome esso non semplice dipendenza, mancanza, come in Platone, esso mi
caratterizza come un ente che si gi staccato dal tutto, che si posto a distanza da ci di
cui ha bisogno dandomi la possibilit di intervenire su di esso col lavoro, avendo cos del
tempo per il soddisfacimento dei miei bisogni.
Il godere dellelementale quindi una rapporto tra i segni opposti della dipendenza
e della indipendenza che sono costitutivi del mio essere indipendente nella dipendenza.
Certo, lio felicit, presenza a casa propria, ma esso rimane nel non-io: la
sufficienza, qui, nellinsufficienza, perch il godimento sempre godimento di unaltra
cosa, mai di s. In questa situazione esso autoctono, cio radicato in ci che non e, in
questo radicamento, indipendente e separato. Attraverso il non bastare a se stesso dei
bisogni, il godimento basta a se stesso, per cui lio si costituisce a casa sua contro il
non-io dellorrore dellelementale da cui pur sempre proviene.

Rispetto alleternit dellanonimo fluire, lio un istante privilegiato che


interrompe la continuit scandendo degli inizi. In questo modo esso afferma la sua
signoria e il suo essere indipendente nellistantaneit dellistante.
Ma proprio il tempo, osserva Levinas, a mostrare linsufficienza del godimento.
Difatti, il tempo futuro lincertezza del godimento che produce la mancanza di
unassolutezza di fondamento tangibile proprio in ci che ha da venire, il quale sempre
lontano da ci su cui io posso potere oggi: Le incertezze dellavvenire che viziano il
godimento, ricordano al godimento che la sua indipendenza porta in s una dipendenza.
La felicit non riesce a nascondere questa imperfezione della sua sovranit il riferirsi
di tutti i modi dessere allio, allinevitabile soggettivit che si costituisce nella felicit
del godimento, non instaura una soggettivit assoluta, indipendente dal non-io. Il non-io
alimenta il godimento e lio ha bisogno del mondo che lo esalta102.
La limitazione del godimento deriva dallelementale da cui dipende, e si manifesta
nellincognita e nella preoccupazione per il domani. Limmersione nellelementale un
rapporto di godimento con i contenuti di cui viviamo che rimanda non ad una sostanza,
ma allapeiron, al nulla, ossia a quellaltra faccia del mondo che non possiede
determinazione alcuna. Infatti, nel gradimento estatico degli elementi non si in rapporto
con lInfinito che ci risveglia nella responsabilit, n con le cose determinate che
possiamo possedere con la rappresentazione, ma con un qualcosa che non ha sostanza
perch non ha luogo dorigine. Il venire da nessun luogo leccedenza rispetto allistante
del godimento che costituisce precisamente il suo limite. Il non poter possedere
unorigine acquista cos un senso temporale, perch limpossibilit del fondamento
lavvenire incerto, la preoccupazione per il domani del soggetto gaudente. Il niente
dellelementale effettivamente lesistenza senza lesistente, la notte che si traduce come
il y a; tra elementale ed il y a il rapporto molto intimo: Abbiamo appena descritto
questa dimensione notturna dellavvenire con lespressione c. Lelemento si prolunga
nel c103. In questo modo il bisogno non libert, in quanto dipendenza.
Fortunatamente, per e qui ritorna lindipendenza , il niente dellavvenire, e lo
vedremo, si muta in intervallo del tempo in cui si inseriscono il possesso e il lavoro. Il
passaggio dal godimento istantaneo alla fabbricazione delle cose si riferisce
102
103

Ivi, pag. 146


Ivi, pag. 143

allabitazione, alleconomia il lavoro pu superare lindigenza causata dallessere non


dal bisogno ma dallincertezza dellavvenire104.
Per evitare che si possa pensare che a questo punto nel gioco tra dipendenza e
indipendenza abbia avuto ragione lindipendenza perch essa ha avuto lultima parola,
opportuno ricordare quanto il filosofo afferma poche righe pi avanti: Ma il lavoro
stesso, grazie al quale vivo liberamente, garantendomi contro lincertezza della vita, non
d alla vita il suo significato ultimo. Esso diventa anche ci di cui io vivo. Io vivo di ogni
contenuto della vita anche del lavoro che garantisce lavvenire. Vivo del mio lavoro
come vivo daria, di luce e di pane105.
Il gioco inevitabile, non si pu uscire da esso, ed per questo che siamo al di
fuori della logica formale e della logica dialettica.
Tale tesi, come gi avvenuto per la descrizione dellil y a, non presentata dal
filosofo solo a livello teorico, ma ricercata anche a livello della concretezza della vita.
Tal cosa trovata nellesistenza umana come corpo, tramite il quale si ha
lopportunit di vedere empiricamente il rapporto dipendenza-indipendenza. Il corpo,
infatti, per un verso situa fisicamente nella dipendenza, essendo nudo e indigente come
radicamento e soggetto negli elementi materiali; ma per altro verso elevazione dal
basso verso lalto, e quindi presa di distanza, ovvero possibilit di trasformazione del
godimento in coscienza e lavoro. Essere corpo significa essere me stesso pur
vivendo nellaltro esistenza di questo equivoco, in cui si congiungono due direzioni
diverse, da non intendersi come due punti di vista successivi, poich proprio la loro
simultaneit costituisce il corpo106.
Di conseguenza, da un lato il corpo radicamento nel mondo senza volto degli
elementi, dallaltro lato la-casa-propria che restringe lestraneit fino a farla diventare
il proprio s: Il mio corpo non , soltanto, per il soggetto, un modo per ridursi in
schiavit, di dipendere da ci che esso non ; ma un modo di possedere e di lavorare, di
avere del tempo, di superare lalterit stessa di ci di cui io debbo vivere107.

104

Ivi, pag. 148


Ivi, pag. 149
106
Ivi, pag. 168
107
Ivi, pag. 117
105

Contro la concezione platonica del corpo come prigione dellanima, Levinas


oppone la concezione di un corpo che, pur essendo prigionia, anche liberazione da tale
incatenamento. La posizione datami dal corpo permette di essere me stesso pur vivendo
nellaltro. Ne deriva che il corpo non un oggetto tra gli altri, ma il registro entro il
quale si esercita la separazione, ove si attua concretamente quel paradosso in cui lio si
conferma nella sua sovranit e nella sua schiavit. Lelementale inizialmente non n
per lio n contro lio, ma questi, godendo e lavorando, trasforma le cose in oggetti del
suo s. Nonostante questa trasformazione, per, lio resta comunque impigliato in esso,
ne subisce le influenze; in fondo si deve registrare unimmersione in ci che altro da
s. Autoctono, nello stesso tempo sovranit e sottomissione: Lesistenza di questo
equivoco corpo la vita corpo la vita attesta, nella sua profonda paura, questo
mutamento sempre possibile del corpo-padrone in corpo-servo, della salute in malattia.
Essere corpo significa, da una parte, mantenersi, essere padrone di s, e, dallaltra parte,
mantenersi sulla terra, essere nellaltro e quindi essere impediti nel proprio corpo108.
In questo modo la sovranit dellindipendenza raggiunta per il tramite della
dipendenza nei confronti dellaltro, cosicch essa corre il rischio di un tradimento:
lalterit di cui essa vive segna gi lespulsione da un io che ha tutto in s perch non
dipende da alcunch. Solo che, godendo dellelementale, ossia della dipendenza, si
raggiunge lindipendenza; il passaggio dalla dipendenza allindipendenza dato dalla
gioia, dal godimento, il quale fa essere a casa propria in altro da s, fa essere se stessi
vivendo di altro da s. Lesistenza di questo vivere di, e non ci stancheremo mai di
ripeterlo, si concretizza nellesistenza corporea.
La dipendenza del godimento altro non se non unapertura verso laltro che,
inizialmente estraneo a me, viene ridotto, nellindipendenza, ad elemento costitutivo del
proprio io.
La conseguenza diretta che ne deriva che, se non siamo riusciti ad eliminare la
dimensione dellestraneit, come in effetti stato, anche al godimento devesi attribuire la
sfera dellintenzionalit: solo che si tratta di unintenzionalit tutta diversa rispetto a
quella della rappresentazione.
5. LINTENZIONALITA
108

Ivi, pp. 167-168

La riduzione dellaltro al medesimo del godimento segna unapertura del soggetto


verso lesterno, e visto che lintenzionalit loriginario aprirsi di uninteriorit verso
lesteriorit, e quindi il movimento grazie al quale il soggetto si apre al mondo che
fuori di esso, allora questa appartiene alla dinamica del godimento.
Levinas, qui, si allontana dal concetto di intenzione di Husserl, dato che considera
secondaria la tesi del pensatore tedesco rispetto a quella che si potrebbe definire
lintenzionalit del godimento.
Husserl considera lintenzionalit come il modo dessere della coscienza, la quale
ultima, in quanto tale, non altro che latto di trascendere se stessa. Rispetto a questo,
loggetto ci che si presenta alla coscienza, la sua evidenza alla coscienza.
Il fatto che la coscienza sia intenzionale, qui, significa senzaltro che essa rinvia a
ci che altro da s, ma anche vero che tale esterno non avrebbe senso se non ci fosse
la coscienza di, perch loggetto riceve senso proprio tramite lintenzione della
coscienza; per questo motivo, si pu affermare che il mondo ci che acquista un senso
a partire da questa.
Il pensatore, per andare alle cose stesse, mette tra parentesi il mondo la tesi
naturale per scoprire un soggetto che non nel mondo, anche se, per il principio stesso
dellintenzionalit, in correlazione con esso. Questo io, che non assolutamente
incarnato, il fondamento assoluto, nella sfera dellintenzionalit, del senso di qualsiasi
fenomeno e, perci, del mondo. In questo senso acquista particolare importanza la
distinzione tra noesi e noema: la noesi linsieme degli atti della coscienza, la quale
condiziona, in virt di questi atti, il noema, il quale s il correlato della coscienza, ma
considerato come costituito in essa. In tal modo lunit di senso conferita dallio
trascendentale, e per effetto di ci la trascendenza sempre una trascendenza
nellimmanenza.
Pertanto, landare alle cose stesse un movimento del soggetto che trova lin
s costituendolo, conferendogli senso, e la coscienza non altro che unimmediata
esibizione di senso, fondamento delle apparizioni. Lio trascendentale diventa cos la
sorgente ultima del senso la cui coscienza non costituita ma costituente.

Si deve pertanto ammettere che la riduzione fenomenologia, il cui scopo quello di


scoprire il senso, non altro che il passaggio dallio mondano allio trascendentale.
Questo discorso sullintenzionalit della coscienza come fondamento stato
sottolineato da Levinas gi a partire da De lexistence lexistant, dove egli definisce il
rapporto dellintenzionalit come ci che essenzialmente latto di dare un senso (la
Sinngebung) loggetto appare come determinato dalla struttura stessa del pensiero che
ha un senso e che si orienta attorno a un polo didentit che esso pone In Husserl il
fatto del senso caratterizzato dal fenomeno dellidentificazione, processo in cui
loggetto si costituisce. Lidentificazione di unidentit attraverso la molteplicit
rappresenta levento fondamentale del pensiero. Pensare, secondo Husserl, significa
identificare Latto di porre loggetto latto oggettivante una sintesi di
identificazione.

Mediante

tale

sintesi

ogni

vita

spirituale

partecipa

alla

rappresentazione La rappresentazione non un concetto opposto allazione o al


sentimento, ma precede entrambe109.
Il primato della rappresentazione dunque affermato nel fatto che per il filosofo
tedesco il fondamento ritrovato nellatto oggettivante, ovvero in quellatto che
realizza un possesso sulloggetto conosciuto in quanto lo mantiene identico fissandolo
una volta per tutte. La funzione di tale atto quello di fissare, stabilire, identificare
loggetto. Alla base della filosofia husserliana c quindi la rappresentazione che
identificando

costituisce

donando

senso.

Tale

rappresentazione

alla

base

dellintenzione, anche se questa non teorica (per questa filosofia la prima e ultima
parola spetta allidentificazione, e questo vale anche, ad esempio, per il sentimento e il
desiderio; infatti, ogni sentimento sentimento di un sentito, ogni desiderio desiderio
di un desiderato): Husserl sostiene che ogni intenzione o un atto oggettivante,
oppure supporta da un atto oggettivante. La posizione di un valore, laffermazione di
un voluto, implicano, secondo Ideen, una tesi dossica, la posizione delloggetto, polo
della sintesi di identificazioni in Husserl, dunque, la coscienza teorica
contemporaneamente universale e originaria110.
La rappresentazione si realizza dunque nel filosofo tedesco nellidentificazione che
si compie nellevidenza della coscienza, la qual cosa d la presenza in carne ed ossa
109
110

Cfr. E. Levinas, Scoprire l esistenza, cit., pp. 21-22


Ivi, pag. 23

delloggetto dinanzi ad essa: ecco perch la coscienza costituente: in questo modo ci


che si pone in atto la presenza dellessere al pensiero.
Questa coscienza costituente, per, per Levinas, pur non essendo un nulla, non
originaria, perch ad essa si oppone lintenzionalit del godimento, la quale di altra
natura e precede il discorso husserliano; la rappresentazione e la coscienza sono solo
effetti del vivere di: Il fatto che nella rappresentazione il Medesimo definisce
lAltro senza esserne determinato giustifica la concezione kantiana dellunit
dellappercezione trascendentale che rimane forma vuota allinterno della propria opera
sintetica. Lungi da noi lidea di partire dalla rappresentazione come da una condizione
non condizionata. La rappresentazione legata ad una intenzionalit completamente
diversa cui cerchiamo di avvicinarci in tutta questa analisi. E la sua sorprendente opera
di costituzione possibile soprattutto nella riflessione. Il fatto che abbiamo analizzato
la rappresentazione sradicata. Il modo in cui la rappresentazione legata ad una
intenzionalit completamente diversa differente da quello in cui loggetto legato al
soggetto o il soggetto alla storia Lintenzionalit del godimento pu essere descritta
per opposizione allintenzionalit della rappresentazione. Essa consiste nel dipendere
dallesteriorit sospesa dal metodo trascendentale incluso nella rappresentazione.
Dipendere dallesteriorit non equivale soltanto ad affermare il mondo ma a situarvisi
corporalmente. Il corpo lo slancio, ma anche tutto il peso della posizione 111.
Il punto cruciale che oppone il vivere di alla coscienza di lesteriorit.
Difatti, in Husserl, non si d nessun tipo di esteriorit, in quanto la rappresentazione
il potere del Medesimo di costituire lAltro, generando cos una relazione tra due
termini dove luno lAltro viene costituito dallaltro il Medesimo. Ci che
scompare, in questo movimento, la distinzione tra soggetto ed oggetto, tra interno ed
esterno, visto che nel momento in cui si rappresenta si costituisce. Prima dellio e delle
sue rappresentazioni non c nulla, nemmeno la pi piccola forma di esteriorit. La
costituzione delloggetto per il tramite della donazione di senso effettuata dalla sintesi
delle identificazioni compiuta dallappercezione trascendentale; prima del suo agire
lesterno non ha senso.

111

Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pp. 127-128

Il conferimento di senso, a sua volta, ci che d significato, ma al prezzo di


annullare qualsiasi esteriorit che dovrebbe opporsi, in quanto tale, al Medesimo.
Lessenza della rappresentazione ricondurre allistantaneit dellistante tutto ci
che dovrebbe essere indipendente da essa: la rappresentazione puro presente!
Con il suo operare viene persa lopposizione tra io e non-io a tutto vantaggio
dellavvento del Medesimo che sintetizzando i molteplici aspetti rimane inalterato,
effettuando cos un salto dal particolare alluniversale. La differenza fondamentale tra Io
e Medesimo sta proprio in questo: il primo particolare dato che gli si oppone il
non-Io, il secondo universale visto che il non io viene rappresentato e quindi
inglobato. In questo senso non c nessun a priori, nel senso che nulla viene prima del
presente della rappresentazione.
Affermare una tale tesi, per Levinas, significa ignorare quella dimensione che
antecedente a questa e che, anzi, la rende possibile; significa, in altri termini, negare il
godimento e la sua valenza ontologica.
E chiaro che, se vero come vero quello che abbiamo detto, laffermazione di
questa realt pu essere raggiunta solo se si riesce ad affermare ci che la
rappresentazione nega, e cio lesterno. Tale privilegio raggiunto dal filosofo francese
con la nozione del godimento.
In base ad essa, sicuramente il soggetto intenzionalit (si ricordi che la felicit
un fatto ontologico, ovvero struttura la soggettivit del soggetto, permette ad esso di
essere tale), quindi segnato da unapertura verso qualcosa che altro da s, ma questa
apertura non quella che si verifica a livello della coscienza costituente, la quale
astratta, disincarnata, bens fisiologica, incarnata, esistente, cio, in un soggetto
corporale che vita proprio in quanto, grazie alla corporeit, intenzionalit.
Ci di cui io vivo, infatti, non nella mia vita come il rappresentato che interno
alla rappresentazione del Medesimo e allincondizionatezza del presente del cogito.
Ci di cui io vivo una dipendenza dallelementale che grazie al godimento nutre
lio in quanto io: ritorna quel gioco di dipendenza e di indipendenza al quale abbiamo
dedicato un paragrafo intero. Certo, lil y a lindistinto scorrere, ci che non ha
forma, e per io ne dipendo, mi essenziale per potermi costituire in quanto soggetto
ne vivo!

Non possibile pi parlare di costituzione, ma se proprio vogliamo parlare di


soggetto costituente, lo possiamo fare, ma a condizione di aggiungere che, a differenza di
quanto accade in Husserl, c qualcosa che viene prima di tale costituzione e che
possiamo definire come nutrimento del costituente stesso. Il nutrimento
quellalimentazione che consente al soggetto di costituire per il tramite della
rappresentazione, un sovrappi che non pu essere a sua volta rappresentato e che,
anzi, condiziona anche il cogito che potrebbe renderlo nuovamente presente.
Il vivere di proprio la contestazione del fatto che ci possa essere una
costituzione assoluta, il ricordare al soggetto che, bench abbia potere costitutivo, la
sua condizione non incondizionata, ma condizionata.
A questa considerazione si potrebbe obiettare che nel godimento il soggetto non
incontra le cose, ma solo il difetto di forma, rispetto al quale, grazie al potere
rappresentativo, ci che inizialmente non diventa chiaro e distinto, per dirla con
Cartesio.
Senza dubbio questo vero, per cos si dimentica che le cose, nel godimento
prendono forma nellambiente in cui vengono prese. Si trovano nello spazio, nellaria,
sulla terra, per la strada, nella strada. Ambiente che resta essenziale alle cose anche
quando si riferiscono alla propriet di cui mostreremo i tratti e che costituisce le cose
come cose. Questo ambiente non si riduce ad un sistema di riferimenti operativi e non
equivale alla totalit di questo sistema lambiente ha uno spessore proprio. Le cose si
riferiscono al possesso, possono essere portate via, sono mobili; lambiente a partire dal
quale vengono a me senza eredi, fondo o terreno comune, non-possedibile,
essenzialmente, di nessuno: la terra, il mare, la luce, la citt. Ogni relazione o possesso
si situa in seno al non possedibile che avvolge o contiene senza poter essere contenuto o
avvolto. Lo definiamo elementale112.
Sullelementale il soggetto non ha potere, quindi non pu imprimervi una forma:
Lelemento non ha forme che lo contengano. Contenuto senza forma113.
Emerge da questa citazione che il godimento in rapporto allelementale, gode di
esso, per cui il soggetto immerso in un ambiente dove non si trovano cose ben definite,
112
113

Ivi, pag. 132


Ivi

ma solo elementi indeterminati, come laria, il cielo, la luce. Queste sono cose non
possedibili o manipolabili, anche se di esse viviamo perch ne godiamo.
E questa lintenzionalit del godimento che porta a due conclusioni: 1) Le cose
godute sono senza secondi fini autonomia del godimento. 2) Ci di cui godiamo non
dipende da noi insicurezza del godimento.
Pertanto, il godimento, mettendo in relazione il soggetto e il non possedibile, ci
che consente laffermazione di unesteriorit non costituita, eccedente ogni possibile
costituzione.
In

conclusione,

mentre

lintenzionalit

della

rappresentazione

costituisce

lesteriorit, lintenzionalit del godimento trova tale esteriorit allesterno, anche se poi
ma il discorso logico e non cronologico se ne impossessa.
Considerando il fatto che la seconda precede la prima, sotto questo punto di vista
lerrore di Husserl non stato quello di aver teorizzato lintenzionalit rappresentativa,
ma di averla posta alla base di qualsiasi tipo di intenzionalit, dimenticando, cos,
quellaltro tipo di intenzionalit che, concretamente, si attua nella vita come esistenza
corporea.
Esistenza che ci ricorda che il corpo una continua contestazione del privilegio,
attribuito alla coscienza, di dare senso ad ogni cosa. Esso vive in quanto questa
contestazione. Il mondo in cui io vivo non semplicemente il faccia a faccia o ci che
contemporaneo al pensiero e alla sua libert costitutiva, ma condizionamento ed
anteriorit. Il mondo che costituisco mi nutre e mi impregna. E alimento e ambiente114.
Rispetto a questo, le cose rappresentate dal soggetto, e quindi gli oggetti e il
possedibile, non annullano lazione del godimento, poich ogni cosa si propone al
godimento anche se mi impadronisco di un oggetto 115; c quindi una
subordinazione degli oggetti al godimento che permette al soggetto di godere anche di
ci che rappresenta.
Nondimeno, si deve precisare che il vivere di, mettendo il soggetto in una
condizione di dipendenza dallelementale, non genera un contatto dello Stesso con la
trascendenza. Certo, esso libera dalla partecipazione cieca e sorda ad un tutto, ma non si
114
115

Ivi, pag. 130


Ivi, pag. 134

dirige verso lesterno perch lindipendenza raggiunta attraverso il fatto di essere


immerso nellambiente.
Vedremo in seguito che essere in relazione con la trascendenza significa essere in
relazione con lInfinito. Questa anticipazione, per, ci essenziale per capire il discorso
che stiamo facendo perch lil y a non lInfinito, ma lapeiron.
6. LA DIMORA
Il soggetto che si ipostatizzato nel godimento un essere che ha arrestato il flusso
anonimo del tempo separandosi dallil y a, diventando cos un esistente allinterno
dellanonimo fluire dellesistere; in questo modo, il soggetto si fa presente a se stesso,
per cui esso entra in relazione con il tempo presente, anzi, il presente: Listante rompe
lanonimato dellessere in generale. Esso quellevento grazie a cui nel gioco dellessere
che si gioca senza giocatori, sorgono i giocatori, evento attraverso il quale nellesistenza
sorgono degli esistenti che hanno lessere come attributo Insomma, il presente il
fatto stesso che c un esistente Nellistante, lesistente domina lesistenza 116.
La contrazione ipostatica dellessere in essente, ovvero la trasformazione del puro
evento dellessere in un participio, in un essente, in un qualche cosa, pu compiersi, di
conseguenza, solo nellistante, considerato dal filosofo come punto di incrocio tra
esistenza ed esistente117.
Nellistante del godimento il soggetto a partire da s, ovvero cominciamento per
mezzo del quale ci si prende cura del proprio essere. La separazione tra essere ed ente si
produce in una messa a distanza rispetto allessere che precisamente linizio e la
condizione di quellio che rester lo stesso per via del processo identificativo.
Separandosi, il soggetto attesta un ritardo dessere nellipostasi. Questultima la
localizzazione, la posizione, il qui a partire dal quale una cosa quel che , ovvero a
partire dal quale lio acquista una forma. Ci accade perch rispetto al caos lipostasi si
posiziona in un luogo che ferma il brusio anonimo, generando la trasmutazione
dellevento in sostantivo. Cos facendo il sostantivo imprime lessere al divenire
116

Cfr. E. Levinas, Dall esistenza all esistente, cit., pag. 90


Ivi, pag. XI

117

creandosi un terreno suo dove tutto ci che incontra lesteriorit sempre e solo in
riferimento allinteriorit.
Come sottolineato prima, per, il presente del godimento manifesta il suo limite
nella preoccupazione del domani. Ora, per Levinas, per poter aver ragione del domani
lessere separato deve potersi raccogliere e avere delle rappresentazioni. Il
raccoglimento e la rappresentazione si producono concretamente come abitazione di
una dimora o di una Casa118.
Viene fuori, a questo punto, la coscienza di, che non era stata negata prima, ma
solo sospesa per far capire che essa successiva al godimento, ovvero che io apro gli
occhi solo godendo gi dello spettacolo119. Vedremo adesso questaltro tipo di
intenzionalit e la relazione molto intima, al suo interno, tra dimora e rappresentazione.
Ricordiamo che lessenza del vivere di il presente e il fatto di essere immerso
nellelementale; da qui i due limiti della felicit: 1) La preoccupazione per il domani. 2)
Non assolutezza della separazione del soggetto dallessere.
Per far s che si possano superare queste barriere necessaria unaltra dimensione
che sia capace di generare una messa a distanza dallessere di secondo grado. Ossia: se la
messa a distanza di primo grado il godimento, questa altra sfera deve essere una messa
a distanza dal godimento stesso. Quindi deve verificarsi un altro livello che completi il
processo di separazione di quel sostantivo che diventato tale nel presente del puro
verbo.
Per Levinas una tale situazione superata nel fatto che il soggetto si raccoglie su se
stesso e produce delle rappresentazioni in una dimora.
Ma che cosa la dimora?
Sarebbe sbagliato qualificarla come un oggetto tra oggetti, o come una
rappresentazione tra rappresentazioni, perch in questo caso essa si tramuterebbe in
vivere di. Infatti qualsiasi rappresentazione si tramuta in felicit, perch prima del
fatto di avere un oggetto che serve a qualcosa e quindi in vista di io godo di
questo oggetto, sono felice di esso al di l di qualsiasi finalit. La cosa non deve stupire,
perch se il godimento un principio ontologico allora il fondamento al quale tutto si
riduce: Si vive del proprio lavoro che garantisce la sussistenza; ma si vive anche del
118
119

Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 152


Ivi, pag. 131

proprio lavoro, perch esso colma (rallegra o rattrista) la vita. Loggetto visto occupa
la vita in quanto oggetto, ma la visione delloggetto la gioia della vita 120. E normale
quindi che anche la dimora venga riportata al suo solido terreno. Il discorso non muta se
la si considera come un fine ultimo, poich qualsiasi scopo, primario o secondario,
ritorna nel godimento.
Ma se non un oggetto tra oggetti, cosa la dimora?
Il ruolo privilegiato della casa non consiste nellessere il fine dellattivit umana,
ma nellesserne la condizione e, in questo senso, linizio. Il raccoglimento necessario
perch la natura possa essere rappresentata e lavorata, perch essa si delinei soltanto
come mondo, si attua nella casa. Luomo si situa nel mondo come se fosse venuto verso
di esso partendo da una sua propriet, da una casa nella quale pu, in ogni istante,
ritirarsi121.
Essendo la condizione dellattivit umana, la quale ultima si costruisce un mondo
rappresentando e lavorando, la casa non altro che la concretizzazione dellinteriorit. Il
soggetto, potendosi raccogliere, sospende limmediatezza del godimento, sempre
immerso nellambiente. Nellattimo della felicit lio si trova immediatamente in
relazione con lelementale, mentre nella dimora esso si concentra su di s sospendendo
questa istantaneit della relazione.
Il godimento di conseguenza solo il principio ontologico a partire dal quale si
produce lidentit dellio, ma tale identit non si attua in virt del godimento, bens della
dimora. Il processo il seguente: dallarch godimento comincia la condizione
dimora dellattivit umana lavoro e rappresentazione che permette al soggetto di
identificarsi.
Certo, la dimora anche una cosa tra cose, ma questo non annulla la considerazione
che ogni oggetto fossero anche gli edifici si produce a partire da essa. In altri termini,
la casa ha una duplice valenza: oggetto ed la condizione delloggetto. Ne deriva che
non la dimora a situarsi nel mondo oggettivo, ma il mondo oggettivo a situarsi
rispetto alla dimora; la priorit cade dal lato della casa, non del mondo.
Si deve pertanto ammettere che il soggetto, per il tramite della dimora, si ritira a
partire dagli elementi (ossia a partire dal godimento immediato ma incerto del domani)
120
121

Ivi, pag. 112


Ivi, pag. 155

raccogliendosi nella casa. Il raccoglimento diventa la vera e propria opera di


separazione.
Il soggetto, a questo punto, non pi immerso nellambiente, ma si pone in disparte
rispetto allanonimato della terra, dellaria, della luce; lessere separato rompe la
comunicazione puramente vegetale con gli elementi, il legame con lesistenza naturale
che la peculiarit del godimento.
La funzione originaria della casa non lo stare in un edificio, ma stabilire dei nuovi
rapporti con gli elementi.
Non si deve pensare, per, che la dimora generi un essere separato che sia
completamente vincente rispetto allelementale; non a caso, infatti, abbiamo utilizzato la
frase stabilire dei nuovi rapporti. Ci significa che stiamo ad un altro livello di
discorso, dove vero che si sospende limmediatezza del godimento e la sua
preoccupazione, ma altrettanto vero che la sospensione non avviene tramite un trionfo
netto e definitivo sullelementale, bens tramite un nuovo modo di rapportarsi ad esso:
quellil y a che mormora al fondo stesso del nulla un qualcosa con cui dobbiamo
sempre fare i conti. Pertanto la dimora, pur essendo lopera stessa della separazione, non
riesce ad avere totalmente ragione dellanonimo fluire: Il godimento estatico ed
immediato cui inghiottito in qualche modo dallabisso incerto dellelemento lio si
potuto abbandonare, si aggiorna e si concede una tregua nella casa. Ma questa
sospensione non annulla il rapporto dellio con gli elementi. La dimora resta, a suo
modo, aperta sullelemento da cui essa separa 122. Tuttavia, la distanza di secondo grado
non senza conseguenze ontologiche. E non pu esserlo perch essa consente la
definizione di un mondo, ovvero la trasformazione dellindistinto in distinto, la
trasmutazione di ci che non ha forma in case, automobili, sculture, pensieri.
Lelementale diventa insieme di oggetti e pensieri e loro relazione, essendo a
disposizione dellio. Lio che lavora un io che scopre il mondo formando cose
nellanonimo fluire. E solo in questo modo che gli elementi possono diventare cose e la
natura pu diventare mondo.
Raccogliendosi, lio si concentra su di s, sospende limmediato del godimento,
ossia le relazioni immediate con gli elementi, ed esercita un possesso su di essi. Essere a
122

Ivi, pag. 160

casa propria la riduzione dellestraneit alla familiarit della casa. Ribadiamo che il
soggiornare in una dimora non un fatto empirico, ma la condizione del fatto empirico,
per mezzo del quale lavvenire incerto del godimento si sospende.
Lintervento operato nella dimora sullelementale non altro che il lavoro, il quale
rende possibile il possesso.
Prima di inoltrarci in questaltra tematica, per, opportuno fare una precisazione,
senza la quale il nostro discorso potrebbe risultare un tantino ambiguo.
Difatti, nel paragrafo dedicato al godimento, abbiamo affermato che il godimento
una propriet, a tal punto che abbiamo detto che il primo fatto del soggetto non io,
ma mio. Nondimeno, in questo paragrafo, parlando della dimora, stiamo asserendo che
essa rende possibile il possesso. Si tratta forse di una contraddizione di Levinas? O forse
c un nostro difetto interpretativo nellanalizzare una tal filosofia?
Crediamo che non si tratti n delluno n dellaltro caso, in quanto siamo in grado
di superare lapparente contraddizione sostenendo lesistenza di due tipi di propriet:
quella del godimento e quella della dimora.
La prima si verifica a livello dellelementale, ovvero prima dellentrata in gioco
della forma, e si attua nel godere dei contenuti di cui viviamo che ancora non sono stati
oggettivati. Esempio: io godo dellaria, la quale non pu essere rappresentata.
Ciononostante, questo difetto di rappresentazione assimilato da me, ossia ridotto alla
mia propriet in quanto lorganismo, vivendo di aria, la assimila, facendo s che essa
diventi la mia aria: Il nutrirsi, come modo di riacquistare le forze, la trasmutazione
dellaltro in Medesimo, che nellessenza del godimento: unenergia altra da me,
riconosciuta come altra, riconosciuta, lo vedremo, come ci che sostiene latto che si
dirige verso di essa, diventa, nel godimento, la mia energia, la mia forza, me stesso. Ogni
godimento, in questo senso, alimentazione. Ci di cui io vivo sono contenuti vissuti che
alimentano la vita. Si vive la propria vita 123. Lo stesso discorso vale, dunque, per la luce,
per lacqua e per tutti i contenuti di cui io vivo anche per le rappresentazioni, perch
per il filosofo la coscienza di si tramuta continuamente nel vivere di: Il
processo della costituzione che si svolge ovunque ci sia una rappresentazione, si muta
nel vivere di I mezzi e gli utilizzabili che di per s presuppongono il godimento, si
123

Ivi, pag. 111, corsivo mio

offrono, a loro volta, al godimento ogni superamento del godimento rimanda sempre
al godimento124.
La seconda, invece, si verifica a livello delle cose, ovvero nella sfera delle
identificazioni per mezzo delle rappresentazioni. Qui stiamo di fronte agli oggetti, che
sono stati rappresentati e manipolati dalla coscienza di.
Il rapporto tra lintenzionalit del godimento e quella della rappresentazione lo
abbiamo gi visto, per cui inutile ribadirlo; ricordiamo soltanto che la prima precede la
seconda.
Per effetto di ci, bisogna aggiungere invece che il mondo del godimento
lambiente, ovvero la totalit priva di forma e di finalit dove gli elementi che sono al
suo interno non sono n possedibili n manipolabili. Per converso, il mondo della dimora
pu essere descritto per opposizione al precedente.
La validit della nostra interpretazione rafforzata, se non confermata, dal fatto
che, senza di essa, non si spiegherebbero affermazioni del tipo il godimento attua la
separazione atea: deformalizza la nozione di separazione che non una frattura
dellastratto, ma lesistenza a casa propria di un io autoctono 125 e partendo dalla
dimora, lessere separato rompe il legame con lesistenza naturale, immersa in un ambito
nel quale il suo godimento, senza sicurezza, contratto, si muta in preoccupazione il
raccoglimento, opera di separazione, si concretizza come esistenza in una dimora, come
esistenza economica126. Per chiarire questultima citazione, si ricordi che il
raccoglimento non il godimento, in quanto esso indica una sospensione delle reazioni
immediate sollecitate dal mondo, in previsione di una maggiore attenzione rivolta a se
stessi, alle proprie possibilit e alla situazione. Esso coincide gi con un movimento
dellattenzione liberata dal godimento immediato, poich non trae pi la propria libert
dal gradimento degli elementi127.
7. LAVORO E RAPPRESENTAZIONE COME CONQUISTA DI SE

124

Ivi, pp. 129 e 141


Ivi, pag. 115
126
Ivi, pp. 157 e 159
127
Ivi, pag. 157
125

Lallontanamento dal gradimento degli elementi si attua, come dicevamo prima, nel
lavoro.
Esso pu essere definito come lintervento operato sullelementale che consente il
possesso, sospendendo cos lavvenire incerto che la preoccupazione del godimento.
Questa azione sugli elementi, che vengono trasformati in cose, un movimento di
identificazione del soggetto che riporta il tutto nelle quattro mura di casa. Trasformando
e riportando a casa si sospende lanonimato dellelementale, si sospende, in altri termini,
il suo essere. La cosa elemento trasformato perch oggettivato, manipolato un
avere in quanto posso disporre di essa a casa mia.
La trasformazione dellessere in avere, dunque, attuata per il tramite del lavoro,
che ha ragione di quellavvenire imprevedibile che si inscrive nellinsondabile profondit
dellelemento, nellapeiron.
E questa lindipendenza dellessere di cui parlavamo prima e di fronte alla quale il
godimento ha segnato il suo scacco perch non riusciva a modificare gli elementi in cose
in quanto non aveva la facolt lavorativa. Solo questa facolt consente il trionfo del
soggetto, perch il caos, con la sua attivit, diventa ordine; ordine costituito dal soggetto
e sul quale lo stesso esercita il diritto della propriet privata.
Risulta abbastanza chiaro che una volta esercitato il possesso sulla cosa, la si pu
anche comprendere. Questo perch il lavoro, che porta al possesso delle cose, e la
rappresentazione, che me le fa comprendere, sono strettamente intrecciati.
Infatti, raccogliendosi nellintimit della casa, luomo sospende il rapporto del
godimento immediato con gli elementi, cessa di esservi semplicemente immerso, e pu
cos farne delle cose, prendendone possesso con il lavoro e fissandoli come sostanze
durevoli nella rappresentazione. Prendere possesso e comprendere sono eventi
strettamente congiunti. La mano organo di comprensione e di presa 128. In entrambi i
casi ci si distanzia dallimmersione gaudente nellelementale, si sospende lavvenire
incerto degli elementi, la loro indipendenza, e se ne fa un mondo di cose che si possono
portare a casa perch siano un avere di cui disporre. Nella sua intenzione prima, il lavoro
non un movimento di trascendenza, ma un movimento di conquista di s. Per questo
esso suppone linteriorit della casa in cui lio ha concretizzato la sua separazione.
128

Ivi, pag. 162

Considerare la mano come organo privilegiato del lavoro e della rappresentazione


significa che essa ci che mette in relazione con me, con i miei fini egoistici, le cose
che vengono sottratte allelementale: cose che, a questo livello, non hanno un principio e
una fine. La metafora della mano utilizzata perch ben descrive un soggetto che sporge
il braccio fuori dalla finestra della sua casa per afferrare le cose e per portarle in ci che
gli proprio, mettendole cos al sicuro. Contro lincertezza si oppone la sicurezza e la
stabilit.
Ne deriva che il movimento della mano rigorosamente economico, in quanto essa
si preoccupa della gestione di ci che gli proprio, riducendo lesteriorit allinteriorit.
Nel momento in cui essa prende le cose dallanonimato dellelementale, tali
elementi non sono gi un qualcosa di determinato, ma diventano tali in quanto la presa
originale li mette nel mondo dellidentificabile. Cos facendo, si calma il borbottio
anonimo del c, la confusione incontrollabile dellelementale, che preoccupa anche
allinterno del godimento stesso. La resistenza della materia senza forma cede al
lavoratore, il quale, per il tramite di questa attivit, si pone su un fondamento sicuro.
In fondo questo movimento non potrebbe essere nemmeno definito violento, dato
che le cose, prima del lavoro, non sono cose. Esse emergono solo col lavoro, per cui esso
si applica soltanto a ci che non ha volto, alla falsa resistenza della materia, allinfinito
del suo niente. Il lavoro, in fondo, non fa altro che sottrarre la materia dal suo anonimato,
dando un volto a ci che inizialmente non ha volto.
Sospendere ed avere ragione dellincertezza dellavvenire significa una cosa
soltanto: il soggetto, sottraendo lessere al suo mutamento, afferma un potere sul tempo,
su ci che non di nessuno. La conclusione che se ne trae che se ci si pone una
domanda intorno al risultato del lavoro, noi possiamo rispondere soltanto dicendo che il
prodotto del lavoro la sostanza.
Rispetto a questo, il mondo non pu essere inteso intellettualisticamente, ovvero
come uno spettacolo che si offre alla contemplazione, e nemmeno heideggerianamente,
ossia come orizzonte ultimo a partire dal quale si presentano le cose come utilizzabili
(come strumenti in vista di qualcosa), ma come possibile possesso. Ci che rende
possibile le cose non il mondo, ma la presa di possesso, per mezzo della quale lessere
caotico viene sospeso.

Rispetto a questo qualsiasi trasformazione del mondo attraverso il lavoro solo una
variazione allinterno della propriet. La scoperta del mondo un aver ragione
dellapeiron della materia a partire dal lavoro, che ha come sua condizione la dimora.
Essa sospende e aggiorna il godimento immediato superando linsicurezza della
vita, la quale ultima, a questo livello, conquista e domina il mondo. Entra in gioco, cos,
una tregua che consente una pausa di quellindistinto scorrere che noi possiamo
percepire nellorrore o nella notte.
Il soggetto senzaltro minacciato dal c, ma dispone delle facolt e dei poteri per
poter prendere tempo, per poter segnalare un trionfo su ci che gli pesa sempre come
limite, come minaccia della dissoluzione della sua identit. Esso, in fondo, si trova
sospeso in un vuoto, emerge dal caos, si identifica rispetto al caos, ma lanonimicit
sempre ci contro cui deve combattere per non correre il rischio della
dis-identificazione. Lavorando e rappresentando in una dimora si conquista mettendo a
tacere, almeno per un po, quellassenza universale che ritorna, per, come una presenza.
La situazione descritta si pu riassumere in poche parole: dallil y a al godimento al
lavoro e alla rappresentazione. E questo il motivo per cui la rappresentazione per
Levinas condizionata. La sua pretesa costitutiva smentita dalla vita, che da sempre
installata nellessere e che essa pretende di costituire. Si potrebbe dire anche che
effettivamente siamo di fronte alla costituzione, ma a patto di aggiungere, come gi
dicevamo prima, che la vita costituita dalla coscienza un qualcosa che accade a cose
fatte. Il teoretico non si confonde con il godimento; inoltre esso pretende di non avere
nessun condizionamento, avanzando in tal modo una pretesa illusoria, perch esso
condizionato dalla vita.
La possibilit di una rappresentazione costitutiva che per si fonda gi sul
godimento di un reale precostituito mette in luce il carattere radicale dello sradicamento
di chi si raccolto in una casa nella quale lio, pur essendo immerso negli elementi, si
situa di fronte ad una natura. Gli elementi di cui e in cui vivo, sono anche ci a cui mi
sono opposto. Il fatto di aver limitato una parte di questo mondo e di averla chiusa, il
fatto di avere accesso agli elementi di cui godo dalla porta e dalla finestra, realizza
lextraterritorialit e la sovranit del pensiero, anteriore al mondo cui posteriore. Per

Levinas la separazione anteriore posteriormente, e il ricordo lattuazione di questa


struttura ontologica.
Rappresentarsi ci di cui io vivo un restare esterno agli elementi in cui sono
immerso. Certo non posso abbandonare lo spazio in cui sono immerso, per posso
andare incontro a questi elementi possedendo delle cose. Solo cos il raccoglimento pu
strapparmi allimmersione, e di conseguenza identificare ci che inizialmente identico
non .
E questo il motivo per cui, per il filosofo, il soggetto non unidentit gi data, ma
unidentit da raggiungere attraverso il gioco delle identificazioni che si rendono
possibili nel lavoro e nella rappresentazione, che hanno come loro condizione la dimora.
Lessere separato, essendo a casa sua, pu raccogliersi ed avere delle
rappresentazioni. Nella casa il soggetto solo ed egoista, ed esiste economicamente.
Esistere economicamente significa prendersi cura di s, fare costantemente riferimento al
proprio, impegnarsi per preservare il proprio essere. Qualsiasi cosa a me esterna viene
riportata alla dimora, la quale mi d un luogo, quel luogo che il godimento non ha e non
pu avere, in quanto esso immerso nellelementale.
Il possesso riduce al Medesimo ci che, in un primo momento, si offre come altro.
Lesistenza economica dimora nel Medesimo. Il suo movimento centripeto, senza
riguardi per lesteriorit. In fondo, per mezzo del lavoro e della rappresentazione,
riconosco nel diverso la mia identit di Medesimo. Il lavoro dimora nelleconomia, viene
dalla casa e vi fa ritorno. Il soggetto, a questo livello, unidentit che identifica tutto ci
che gli si presenta in quanto altro.
8. LATEISMO E POSTERIORITA DELLANTERIORE
Un soggetto di siffatta risma un soggetto ateo, in quanto, essendo egoista, non fa
riferimento alla trascendenza, visto che il movimento che gli permette di essere ci che
altro non se non unuscita dallessere per il tramite di un posizionamento a partire dal
quale egli costituisce e riporta a s.
Essere atei significa essere separati, essere in un luogo ove, contro lindistinto
scorrere, c un inizio e una fine: Si pu chiamare ateismo questa separazione cos

completa che lessere separato sta assolutamente solo nellesistenza senza partecipare
allEssere dal quale separato La rottura di questa partecipazione implicata in questa
capacit. Si vive al di fuori di Dio, a casa propria, si io, egoismo. Lanima la
dimensione dello psichico attuazione della separazione, naturalmente atea. Con
ateismo intendiamo cos una posizione anteriore sia alla negazione che allaffermazione
del divino, la rottura della partecipazione a partire dalla quale lio si pone come il
medesimo e come io129.
Lateismo un qualcosa che si pone prima della negazione o dellaffermazione di
Dio, perch non un fatto morale, ma un fatto ontologico. Esso viene prima del positivo
e del negativo, dato che la condizione che permette allente di raggiungere la propria
identit.
Ci che Levinas prende di mira la tematica della partecipazione, quale ad esempio
si trova in Tommaso dAquino. Per questo filosofo gli esseri finiti hanno la loro
esistenza per partecipazione. Con questo termine si intende latto in cui le creature,
grazie a Dio, prendono parte allessere. Di conseguenza, tutti i predicati che
appartengono a Dio appartengono anche alle creatura. La sola differenza che
nellEssere supremo i predicati raggiungono il massimo grado di perfezione: non a caso
per questo filosofo Dio una perfezione, e precisamente la perfezione massima.
Lo stesso discorso vale per Leibniz, per il quale la monade non altro che
immagine di Dio, un rispecchiamento della Divinit. In altri termini, essa non altro che
lo specchio del creatore. Lidea della partecipazione il filosofo gi la espletava nel
Discours de mtaphysique, ove si presentava la sostanza individuale come la sostanza
alla quale inerivano tutti i predicati che erano di Dio, solo che, rispetto a questi ultimi,
essi erano imperfetti.
E chiaro che gli esempi nella storia della filosofia abbondano, come chiaro che
lorigine di tale discorso Platone, per il quale le cose di questo mondo non sono altro
che imitazioni volgari delle idee perfette che si trovano nel mondo dellal di l. La
partecipazione ancora pi evidente nel suo concetto di metessi, la quale indica proprio
la partecipazione delle cose alle idee, e nellidea del Bene, lidea delle idee, che

129

Ivi, pp. 56-57

comunica ad esse la loro perfezione, rimanendovi cos superiore. E questa concezione


che permetter al filosofo la teoria dellanamnesi.
Contro questa tradizione, Levinas, come dicevamo pocanzi, afferma proprio
lateismo, il quale pu essere tranquillamente definito la rottura della partecipazione.
In essa, e solo in essa, pu esserci un essere monadico, in quanto rompere la
partecipazione, separarsi, significa non trarre il proprio essere da altro, ma da s.
Lindipendenza dellesistenza implica un riconoscimento a partire da s, non da Altri o
dallinsieme delle relazioni in cui sarebbe impigliato lIo. Lo sradicamento la
caratteristica di un soggetto che non parte del tutto, che, in un certo senso, non manca
di niente, in quanto si contraddistingue per la pienezza del suo essere: la separazione
unignoranza dellaltro.
Lignoranza dellaltro anche unignoranza della storia. Levinas effettua, in
Totalit et Infini, una critica radicale alla storia degli storiografi, la quale loblio della
separazione e, quindi, dellinteriorit: Nel tempo dello storiografo, linteriorit il
non-essere130.
Tale tesi muove dalla considerazione che loggetto della storiografia sia il
raccontare le gesta dellente una volta che esso sia morto, promuovendo cos un tempo
universale allinterno del quale si inseriscono le vite degli esseri che furono. In tal modo
trionfa la totalizzazione della storia, a tutto svantaggio dellateismo, che indica una
separazione per il tramite della quale un ente ha la possibilit di installarsi e di avere un
proprio destino, cio di nascere e di morire senza che il posto di questa nascita e di
questa morte ne contabilizzi la realt131. Linteriorit un ordine diverso dal tempo
storico, e questo si dimostra gi nel fatto che linteriorit proviene dal fondo anonimo,
ovvero dal nulla: questo provenire dal nulla chiaramente un evento storicamente
assurdo, visto che il tempo storico un tempo assoluto ove si inseriscono gli enti e le
loro relazioni. Il misconoscimento del fatto che ogni io abbia la sua interiorit la
negazione di un essere che, staccandosi dallanonimo fluire, dapprima godendo e poi
lavorando e rappresentando, si sente a casa sua.
Un essere che si sente a casa propria un essere ateo, ovvero un ente che uscito
dallesistenza anonima e neutra e che si posto come ipostasi.
130
131

Ivi, pag. 53
Ivi

Il concetto di ateismo non vale solo a livello etico, ma anche nella sfera
dellontologia.
E a questo livello che il per s del soggetto diventa un dialogo dellanima con se
stessa: legoismo (o separazione, indipendenza, ateismo, godimento, dimora) lessenza
dellappercezione trascendentale, la cui sintesi del molteplice distrugge lalterit di Dio e
di Altri. Prendendo le mosse da se stesso, e staccandosi dallessere, lio produce
unidentit che obbedisce alla legge dellimmanenza, allinterno della quale non
incontriamo nulla di diverso, ma solo, al limite, delle modificazioni che permettono
comunque allio di rimanere lo stesso. Godendo, lavorando e ripresentando io mi ritrovo
coinvolto in unattivit e in una volont di potenza il cui unico rovello la fatica di ci
che mi fa resistenza per non essere ridotto a me.
La riduzione comincia nel momento in cui si strappano le cose allessere, anche se,
prima della mia attivit, non ci sono cose, ma solo elementi: sono io a formarle.
In questo modo lateismo il modo dellesistenza dellente la cui finitezza fa
riferimento al finito stesso. Difatti, limmanenza in cui ci si trova implicati, non
ammettendo nessuna forma della trascendenza, unimmanenza in cui qualsiasi
estraneit non altro che unalterit interna al soggetto, ossia ci che permette ad esso
di identificarsi esercitando una padronanza su ci che gli si presenta come altro.
Lo scopo dellidentificazione il conatus essendi, ovvero la cura del proprio essere.
Questa preoccupazione a mantenersi nellesistenza ipostatizzata, che come abbiamo visto
si pu realizzare solo con lessere a casa propria, un fatto economico. Lunico impegno
del soggetto quello di gestire ed amministrare ci che fa parte di s, senza tenere in
considerazione ci che altro da s.
I due movimenti di separazione dallessere godimento e dimora sono relativi ad
un ente che abita in una casa e resta chiuso in essa. Infatti, esso non in relazione ad
alcunch, e lo sguardo che volge al di fuori solo un mano che forma prima le cose e poi
le mette dentro. Le porte e le finestre della casa non servono per mettere in relazione il
soggetto con altri, ma solo per far uscire momentaneamente lio al di fuori di s;
movimento, questo, essenziale a che si possa ritornare a s riconoscendosi come volont
cosciente che riesce a porre la stasi a quel divenire anonimo che costituisce la minaccia
della dissoluzione dellipostasi e linquietudine del godimento.

Lateismo precisamente questo avvento del tempo presente che riesce a fermare
ci che ritroso a fermarsi, in quanto un disordine temporale di istanti che, prima
dellipostasi, non hanno nomi e aggettivi. Il presente del tempo domina anche il passato e
il futuro, in quanto essi vengono ripresentati dallio nellattivit del teoretico.
Prima di essa non c il nulla assoluto, ma un io che si gi staccato dallessere
godendo dei suoi bisogni; ma anche in questo caso c qualcosa che precede: lil y a.
Si ricordi che il passaggio il seguente: dallesistenza anonima al godimento alla
dimora.
Ma mano che si effettuano questi passaggi cresce sempre pi la violenza
sullalterit; e questo pu essere dimostrato dal fatto che se il godimento deve fare i conti
con lavvenire, la qual cosa non altro che limpossibilit di dominare ci che ha da
venire, la dimora fa saltare questo timore esercitando una signoria su ci che il limite
del godimento.
Nellattimo in cui il soggetto si fa presente a se stesso fa presa sul reale
formandolo; non si tratta di essere gettato in un mondo di cose gi esistenti, come se lio
giungesse dopo la costituzione del mondo, ma della costituzione del mondo inteso come
totalit di cose sulla quale esso esercita un possesso. Per effetto di ci il mondo il mio
mondo, ci che si offre al mio potere. Il fatto, per, che prima dellintervento del lavoro
e del possesso io sia come godimento dellelementale, fa venire alla luce che la
costituzione del mondo non originaria, in quanto, prima di essa, c gi qualcosa di cui
sono felice e di cui io ho bisogno. A questo proposito la tesi levinassiana molto chiara:
la rappresentazione non condizionata labbaglio e lerrore del pensiero, perch io apro
gli occhi solo godendo gi dello spettacolo. Pertanto, se noi volessimo negare il
teoretico, non emergerebbe lessenzialit del nulla n si dissolverebbe il soggetto, perch
ci troveremmo di fronte comunque ad unipostasi che, pur non essendo in un mondo di
forme, sarebbe sempre tale in quanto vivrebbe degli elementi.
A questo livello di profondit salterebbe la relazione contemplata dalla logica
formale, dove si hanno due termini ben definiti che entrano in relazione. Il riferimento
alla relazione tra Medesimo e Altro, ove abbiamo un medesimo formato dallinsieme
dei predicati che gli ineriscono e un altro anche questo equivalente alla totalit dei
suoi predicati. Rispetto a questo, si produce un nuovo tipo di relazione, dove i due

termini, se vogliamo, non sono pi medesimo e altro, ma proprio ed estraneo. Lessenza


di tale relazione sottolineata da F. Ciaramelli in La distruzione del desiderio, dove,
dopo aver sottolineato la polisemia dellestraneo, si evidenzia che questo non
lassolutamente altro rispetto al proprio, poich lo stesso proprio non lassolutamente
identico a s132. Il soggetto che vive di proprio la concretizzazione di questa
situazione, poich esso diventa s vivendo di ci che altro da s. Lestraneit, dunque,
nel proprio, per cui lecito affermare che c unestraneit del proprio.
Ora, con lintervento del teoretico e con la relativa costituzione del mondo,
senzaltro si dimentica che le cose stanno in questo modo, cos si comincia a vagheggiare
il mito della rappresentazione non condizionata, la quale facendo il mondo e
sospendendo lincertezza della vita, pretende di essere lorigine a partire dalla quale ogni
cosa o diviene. In effetti essa questorigine, in quanto non solo il riflesso o la presa
di coscienza della separazione, ma la sua produzione; ci dimostrato dal fatto che
lavorando e rappresentando il soggetto si toglie dallimmersione nellelementale,
divenendo cos un soggetto separato dallessere, ateo; ed essere separato significa essere
causa sui, cominciamento a partire da s, origine. Il teoretico effettivamente la
produzione della separazione. Ci non vuol dire, per, ed questa la cosa fondamentale
che dobbiamo capire, che la rappresentazione sia incondizionata, ovvero assoluta, in
quanto le resta il condizionamento della vita. Difatti, prima di essa, e quindi prima della
sua origine, a partire dalla quale, lo ribadiamo, viene ad essere un mondo, c il soggetto
gaudente e il suo relativo reale precostituito: Anteriore posteriormente, la separazione
non conosciuta cos, si produce cos.
La rappresentazione, essendo puro presente, certamente riduce ogni anteriorit del dato
allistantaneit del pensiero, e quindi riduce a s tutto ci che sembra indipendente dal
pensiero, ma sopraggiunge a cose fatte. Per via del suo potere sintetizzante, per, essa
in grado di recuperare controcorrente il condizionamento, perch stabilisce nuovi
rapporti con gli elementi che vengono ridotti a cose fissate nella presenza del presente:
in questo che la rappresentazione costitutiva (per Levinas la rappresentazione non deve
essere intesa solo nel suo senso etimologico di rendere nuovamente presente. Il suo
primato, infatti, si afferma nel fatto che essa non solo questo, perch anche puro
132

Cfr. F. Ciaramelli, La distruzione del desiderio, cit., pag. 115

presente, ossia un ridurre allistante tutto ci che indipendente dal pensiero.


Rappresentare, infatti, non ricondurre un fatto passato ad unimmagine attuale, ma il
ridurre lanteriorit del dato al presente. Di conseguenza, tale anteriorit nasce nel
presente. In questo modo la rappresentazione, essendo spontaneit pura, diventa
costitutiva, in quanto lesteriorit perde la sua alterit e viene costituita dal pensiero
stesso. Lessere, infatti, acquista un senso non perch il sincronismo della presenza
ripropone lelementale, ma perch lo oggettiva). La signoria esercitata sullelementale,
per, non assoluta, perch ogni oggetto ritorna sempre al vivere di.
Ne deriva, da questa considerazione, che lorigine la rappresentazione viene
dopo. In un certo senso si potrebbe dire che c qualcosa prima del prima, si potrebbe
dire che il prima viene dopo, anzi, esso si costituisce come origine proprio nel dopo. E
questa la famosa posteriorit dellanteriore di cui abbiamo parlato anche in precedenza.
Per descrivere questa situazione, Ciaramelli utilizza la felice locuzione
anacronismo dellorigine133, che indica appunto il fatto che solo nel dopo si accede al
prima. Il che non si limita a significare che solo nel dopo il prima si rende accessibile e
disponibile, ma dice soprattutto il fatto che proprio nel dopo e soltanto in esso, to protn
lanteriore, loriginario si produce e si costituisce come tale, cio come origine.134.
Il godimento dunque larma che Levinas utilizza per sottolineare che lorigine s
tale, ma a cose fatte. Ci significa che lorigine come tale proprio ci che non si
potr mai vivere in modo diretto n percepire in carne e ossa In se stessa lorigine
non ha alcun senso e pu acquisire solo quello che le sar conferito a posteriori E cos
facendo, solo posteriormente le si attribuisce uno statuto danteriorit che lorigine in se
stessa non poteva avere: come sarebbe potuta risultare anteriore a ci che ancora non
cera?135.

9. LA SENSIBILITA

133

Ivi, pag. 79
Ivi
135
Ivi
134

Il discorso fatto a proposito della posteriorit dellanteriore stato reso possibile


dallesistenza del godimento, il cui modo, secondo Levinas, la sensibilit:
sensibilit che il modo del godimento136.
Per capire meglio tale tematica opportuno ricordare lelementale, il quale non
altro che un contenuto senza forma, ovvero una qualit senza sostanza.
Rispetto a questo, il godimento, pur facendo essere il soggetto allinterno
dellelemento, lo libera comunque dalla partecipazione cieca e sorda ad un tutto.
Lessere-entro-lelementale non , per il filosofo, una rappresentazione, e neppure una
rappresentazione balbuziente. Essere immersi precisamente la sensibilit.
Questa non una rappresentazione oscura, perch non entra nellordine del
pensiero, ma fa parte della sfera del sentimento. Infatti, le qualit sensibili, come ad
esempio il rosso di questo tramonto, il verde di queste foglie, non sono conosciute, ma
vissute: siamo a livello della vita, non del teoretico. In questa dimensione, gli oggetti mi
accontentano nella loro finitezza, senza che essi facciano riferimento allInfinito; questo
possibile proprio a causa della sensibilit: Il finito senza linfinito possibile solo
come soddisfazione. Il finito come soddisfazione la sensibilit137.
Ne deriva che la sensibilit non ha la funzione di costituire il mondo (questa
compito della rappresentazione), ma quella di costituire la soddisfazione dellesistenza.
Sentire significa dunque essere allinterno, essere vita, godere degli elementi entro i quali
sono immerso.
Sulla distinzione tra intelletto e sensibilit Levinas molto vicino a Kant, per il
quale la prima era una facolt diversa dalla seconda. Tra sensibilit e intelletto, infatti,
pi che esserci un passaggio, cera uno salto. A livello di sensazione, per il filosofo
tedesco, non poteva esserci nessuna sintesi, visto che le forme a priori di essa tempo e
spazio si limitavano solo ad ordinare, ma non ad unificare, il molteplice delle
rappresentazioni che affettavano il soggetto.
La materia kantiana era talmente indipendente che neanche lIo Penso riusciva ad
avere ragione di essa. Infatti, esso poteva senzaltro condizionarla, ma non direttamente,
bens indirettamente, ovvero condizionando la forma.
136
137

Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 136


Ivi

Questa considerazione confermata da Levinas in Totalit et Infini, dove si


sottolinea che la forza della filosofia kantiana del sensibile consiste nel separare
sensibilit ed intelletto, nellaffermare, anche solo negativamente, lindipendenza della
materia della conoscenza rispetto alla potenza sintetica della rappresentazione 138.
Limpossibilit della sintesi crea un altro punto di contatto, che pu essere ricercato
nel fatto che esiste, a questo livello, unapparizione di ci che non chiaro e distinto.
Levinas definisce questa situazione come unapparizione senza che vi sia nulla che
appare139, e la paragona alla sua filosofia, ove la sensibilit considerata come ci che
mette in rapporto con una pura qualit senza supporto, ossia con lelemento.
Per questa ragione la sensibilit godimento, per cui essa non va descritta come un
momento della rappresentazione, ma come il fatto del godimento. Essa non una
conoscenza confusa e oscura che si opporrebbe alla conoscenza chiara e distinta ma che
rientrerebbe comunque nella rappresentazione, anche se ad un livello inferiore. La sua
essenza non la teoresi, ma la soddisfazione, e questo vuol dire che si colloca allinterno
del godimento. Mentre il teoretico, ovvero il pensiero razionale, si inquieta di fronte
allelementale, e di conseguenza, lavorando e rappresentando, instaura una lotta volta a
imporre la stasi la divenire, la sensibilit si accontenta del dato, si soddisfa di esso. La
soddisfazione del dato ci fa capire bene il perch del suo risolversi nel finito senza
riferirsi allinfinito.
Il legame con il bisogno evidente: il dato sensibile di cui si nutre la sensibilit
viene sempre a colmare un bisogno.
Inoltre essa non intenziona un oggetto ben definito, bens intenziona lelemento. Il
godimento, immergendosi nellelementale, si soddisfa senza che loggetto sia stato
costituito: La terra sulla quale mi trovo e a partire dalla quale accolgo gli oggetti
sensibili o mi dirigo verso di loro, mi basta. La terra che mi sostiene, mi sostiene senza
che io mi preoccupi di sapere che cosa sostiene la terra. Questo brano di mondo,
universo del mio comportamento quotidiano, questa citt o questo quartiere o questa
strada in cui passeggio, questo orizzonte in cui vivo, mi accontentano con la faccia che
mi offrono, io non li fondo in un sistema pi vasto. Anzi, ne sono fondato. Li accolgo
138
139

Ivi, pag. 137


Ivi

senza pensarli. Godo di questo mondo di cose come di elementi puri, come di qualit
senza supporto, senza sostanza140.
La sensibilit ci che mi consente di godere di ci che non ha forma senza
lausilio di un qualche rispecchiamento, o di qualche costruzione, o di qualche
costituzione. La soddisfazione non richiede il pensiero razionale, perch basta a se
stessa. Certo, c un difetto di forma, ma qui il soggetto felice di questo difetto, non
vuole altro, non esige un aiuto.
Questo non vuol dire che la sensibilit, non richiedendo la ragione, sia ragione cieca
o follia; e non vuol dire questo perch essa viene prima della ragione. Sentire significa
accontentarsi di quello che si sentito, godere, essere senza pensiero: la vita, che vita
di, non ha bisogno della ricerca intellettuale dellincondizionato. Questa lesigenza
della Ragione, che si trova nel finito e perci cerca linfinito, non della soddisfazione, la
quale precede la distinzione tra finito ed infinito. Noi godiamo del mondo prima di
pensare come andare dal finito allinfinito; respiriamo, camminiamo, vediamo,
passeggiamo, ecc
Con ci non si sta negando la rappresentazione, ma si sta solo descrivendo la
sensibilit, sottolineando altres ci che abbiamo fatto notare prima, e cio che la
rappresentazione condizionata, viene dopo, perch, prima di essa, luomo respira,
percepisce ecc
Di conseguenza, e questo bisogna ammetterlo, il mondo della stabilit, costituito
dal pensiero razionale, la totalit di cose stabili che, al loro fondo, resta instabile. La
priorit del godimento rispetto alla rappresentazione proprio questo: lidentit delle
cose, pur restando stabile, non impedisce il ritorno delle stesse allelemento. Si ricordi: I
mezzi e gli utilizzabili che di per s presuppongono il godimento, si offrono, a loro volta,
al godimento. Sono dei giocattoli: il bellaccendino, la bella macchina. Si fregiano di
decorazioni, si immergono nel bello in cui ogni superamento del godimento rimanda al
godimento141.
Lattivit estetica, allora, non altro che un ritorno, seppur ad un grado superiore,
al godimento e allelementale. S, ad ogni istante la coscienza di si tramuta in
vivere di, per cui il mondo sensibile il godimento di un mondo.
140
141

Ivi, pag 138


Ivi, pag. 141

Sicuramente, quindi, gli oggetti sensibili di cui godiamo possono gi avere subito
unelaborazione da parte della coscienza che li rappresenta, ma la sensibilit non li
intenziona come tali, anzi li dissolve in quellelemento anonimo in cui il godimento si
immerge.
In altri termini, luomo concreto si rappresenta le cose, facendo diventare la
separazione come coscienza di oggetti il solo fatto che si dia un nome alle cose
significa oggettivarle. Loggettivazione di esse non fa altro che mettere in comune un
mondo, al di sopra di quello conosciuto dal godimento. La rappresentazione e
lappropriazione laggiunta di un fatto nuovo alla sensibilit, il fatto, cio, di dare un
nome ed unidentit alle cose: Il mondo della percezione dunque un mondo in cui le
cose hanno unidentit e si pu vedere che la sussistenza di questo mondo possibile
solo grazie alla memoria. Lidentit delle persone e la continuit dei loro lavori
proiettano sulle cose la griglia in cui si trovano identiche le cose. Una terra abitata da
uomini forniti di linguaggio si popola di cose stabili 142. Per, queste tematizzazioni
ritornano al godimento e al suo mondo indistinto. Per chiarire una volta per tutte questa
situazione si faccia lesempio dellaccendino. Questo senzaltro formato dalluomo per
via del lavoro e della rappresentazione, e senzaltro serve a, in vista di (in questo
caso mezzo del fine di accendere una sigaretta), ma esso non resta assolutamente a
questo livello, perch io godo dellaccendino, sono felice di esso al di l della sua
funzionalit. In questo essere felice delloggetto il soggetto basta a se stesso, non ha
bisogno daltro.
Certo, leccedenza dellelementale rispetto al godimento il limite di questultimo,
la sua preoccupazione, la sua incertezza, ma questo un altro discorso, gi
abbondantemente trattato, del resto, nelle pagine precedenti.
La soggettivit del soggetto, dunque, si raggiunge nel fatto che esso si compiace in
s e si pone per s. Limmediatezza del godimento un tuffo nelle profondit
dellelemento, compiacenza della vita che ama se stessa. Compiacenza della soggettivit
che la sua egoit, la sua sostanzialit.
Siamo in un campo pre-riflessivo: La vita gode della stessa vita, come se si
nutrisse della vita cos come si nutre di ci che fa vivere, o, pi esattamente, come se il
142

Ivi, pag. 140

nutrirsi avesse questo doppio riferimento. Prima di ogni riflessione, prima di ogni
ritorno su di s, il godimento godimento del godimento, sempre mancante a se stesso,
riempiendosi di queste mancanze promesse alla soddisfazione, soddisfacendosi gi di
questo processo impaziente della soddisfazione, godendo del suo appetito. Godimento
del godimento prima di ogni riflessione, ma senza rivolgersi nel godimento verso il
godimento come la visione si rivolge verso il veduto. Al di l della moltiplicazione del
visibile in immagini, il godimento singolarizzazione di un io nel suo ripiegamento su di
s. Attorcigliamento di una matassa movimento stesso dellegoismo143.
Al di l del pensiero razionale, dunque, la sensibilit e gi luscita del soggetto
dallanonimato insignificante del c, identificazione di un essere che si soddisfa dei
contenuti di cui vive, anche se questi non hanno ancora una forma. E qualsiasi forma che
verr, che sar formata dal soggetto, ritorner sempre nellelemento, perch essa viene
risucchiata dalla felicit, la quale si accontenta del dato senza porsi il problema della sua
condizione, del suo fondamento.
Sensibilit, felicit, soddisfazione, vivere di, godimento, sono tutti sinonimi che
indicano un soggetto che si sospende dal fluire anonimo attuando una separazione che gli
permette di porsi come sostanza sottratta a ci che, in s, non ha nomi e aggettivi. In
questo movimento, non lessere che si allontana dal soggetto, ma lio che si separa
dallessere.
Nellimmediatezza del godimento accade un essere sensibile che, prima ancora del
pensiero razionale, si gi posto come unentit la cui essenza linteriorit, rispetto alla
quale lesteriorit si caratterizza come ci che deve essere superata per riportarla
allimmanenza del proprio essere.
10. LINGUAGGIO E IDENTITA
Nel processo di identificazione del soggetto, mediante il quale esso si fa presente a
se stesso riducendo lesteriorit allinteriorit, un ruolo fondamentale giocato dal
linguaggio.

143

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 92

Se la sensibilit si poneva sotto lottica del godimento e non della rappresentazione,


il linguaggio cade dal lato della seconda e non della prima.
Esso la facolt che luomo possiede di far uscire le cose dal fondo oscuro
dellelementale attraverso le definizioni, che sono lessenza del concetto. Questultimo
tale proprio perch, di fronte a cose che per noi sono simili, si forma per il tramite di un
processo che le compara facendo cadere la differenze mantenendo e accomunando le
somiglianze. Il procedimento questo: vedo i diversi animali, nessuno dei quali
identico allaltro, scarto ci che li differenzia, mantengo le note comuni, e cos mi formo
il concetto di animale. Ora, questo concetto che ho formato, stato costituito da un
processo di identificazione che ha reso identico ci che inizialmente uguale non . E lo
stesso modo di operare della scienza, solo che questa viene dopo, a meno che non si
voglia ammettere, ed lecito farlo, che il linguaggio gi una conoscenza, anche se, si
potrebbe aggiungere, ha una forza identificativa minore della scienza propriamente detta.
Questo sia detto in generale.
La formazione del concetto, in base a quanto detto, senza dubbio non riesce a
cogliere come le cose sono in s, ma permette di vivere in un mondo di forme
allinterno del quale siamo dominati dalle astrazioni che noi stessi abbiamo prodotto
che ci essenziale per la continuazione della nostra esistenza. Inoltre, a ben guardare,
tale in s non esiste, perch se proviamo ad erodere lidentit del soggetto viene fuori
lelementale, ovvero ci che, per definizione, non ha forma, non ha ordine, non
disciplina e precetta alcunch.
La conseguenza pi diretta di tale situazione concerne la sensibilit, che, pur non
essendo nella sfera del pensiero razionale, nemmeno riesce a cogliere ci che non
potrebbe essere colto perch non esiste (il fondamento buono introdotto da Platone solo
una pia illusione, una pretesa del pensiero che cerca lappagamento). Essa, sotto
questottica, come il linguaggio, in quanto il qualcosa con cui entra in relazione
lelementale comporta, per cos dire, un giudizio sensibile che il primo livello
dellidentificazione del soggetto. Le facolt sensibili ludire, il toccare, il vedere ecc
non sono altro, quindi, che giudizi della sensibilit dietro ai quali non c il noumeno,
direbbe Kant, ma il caos.

Dopo questa breve digressione, ritorniamo al linguaggio, al fine di non perdere di


vista quel rapporto tra parola, identit del soggetto e caos che abbiamo appena
accennato.
Visto quanto siamo andati dicendo, normale notare che, siccome al fondo
delluomo c la mancanza di significato derivante dal c, il soggetto, identificando,
crea da s il senso: ritorna il concetto di autonomia di cui parlavamo nel capitolo
precedente.
Il discorso appena fatto condiviso da Levinas: Loggettivit si pone in un
discorso, in un intra-ttenimento che propone il mondo Loggettivit delloggetto e il
suo significato provengono dal linguaggio144. Questultimo, pi che attestare un dialogo,
realizza un monologo, ove il soggetto in relazione solo con se stesso. La differenza tra
dialogo e monologo consiste proprio in questo: il primo presuppone una relazione che il
filosofo definir asimmetrica, ove n luno n laltro termine sovrasta laltro, mentre il
secondo presuppone una relazione che non una vera e propria relazione, perch
lattivit identificativa del soggetto una determinazione dellAltro da parte del
Medesimo senza che il secondo determini il primo. La cosa si chiarisce ulteriormente se
ricordiamo ci che abbiamo detto in precedenza a proposito della definizione: essa, che
costruisce loggetto, la liberazione dallamorfo per mezzo della tematizzazione. Questo
significa che nellontologia il linguaggio non entra in rapporto con una vera
trascendenza, visto che esso entra in rapporto con alterit come elementale e la riduce
allidentit dellidentico.
Esso, per, non costituisce il mondo dal nulla la creazione ex nihilo non gli
appartiene , ma lo forma, lo costruisce a partire di un qualcosa che gi c, anche se
questo si caratterizza per la sua mancanza di forma.
Questa situazione porta anche alla considerazione che il mondo come oggetto del
linguaggio non un per s, ma rinvia allattivit del soggetto che si mette in relazione
con lessere che sempre oltrepassato e sempre da interpretare.
Se noi applichiamo quanto detto alla relazione del soggetto con Altri, ci rendiamo
conto che in questo senso lattivit identificativa del discorso assume le sembianze della
retorica, la quale, a detta di Levinas, il fatto di chi gioca dastuzia con il prossimo 145.
144
145

Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 95


Ivi, pag. 68

Questa arte sofistica culmina nella propaganda, nelladulazione ecc. perch ci che gli
proprio la corruzione, in quanto essa va incontro allaltro uomo con lo scopo di
sollecitare il suo s, di piegare la sua volont e il suo pensiero a s.
Perci, se noi vogliamo fare un discorso etico a questo proposito, notiamo che il
linguaggio come scienza violenza, ingiustizia.
In Autrement qutre ou au-del de lessence la tematizzazione come opera
fondamentale della parola viene chiamata Detto, nel quale lessenza risuona fino al
punto di farsi nome146, e nel quale si trova il luogo di nascita dellontologia147.
Ci accade perch, nel momento in cui si produce loggettivazione, quellessere
come il y a si scopre, da verbo diventa nome. Nel momento in cui esso compie questo
movimento si raggiunge lesposizione dellessere a se stesso, alla sua coscienza. Per
capire la portata ontologica di questo discorso basta ricordare quanto stato detto nel
capitolo precedente a proposito del rapporto tra essere e coscienza e tra soggetto ed
essere; giusto per rammemorare lessenziale di ci che stato gi esplicitato, ribadiamo
soltanto che nel gioco della dipendenza e della padronanza tra essere ed ente, alla fine,
per quanto riguarda il primo, il registro della padronanza prevale su quello della
dipendenza.
Ci detto, ritorniamo al linguaggio come Detto, la cui essenza la costituzione
dellidentit. La parola ha una funzione identificante, enuncia lidealit del medesimo nel
diverso perch forma oggetti a partire da un fondo anonimo. La sua attivit, e lo
ribadiamo, razionale, non sensibile: Questo in quanto quello non vissuto, quello
detto148; il processo di razionalizzazione la costituzione di un mondo che per il
soggetto: infatti, formare a partire dal caos, significa riferimento delloggetto a me, e non
a s. Lin s solo unillusione trascendentale, direbbe Kant. La forza del soggetto
consiste proprio in questo fissare la quiete allinquietudine del divenire designando
forme che, in s, non sono gi formate.
Applicando questo nostro dire alla societ e alle sue relazione, acquista consistenza
la critica nietzschiana della verit come connotazione vincolante ed uniformemente
valida, ovvero della verit come il mentire secondo uno stile vincolante per tutti: Noi
146

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 53


Ivi, pag. 54
148
Ivi, pag. 45
147

crediamo di sapere qualcosa delle cose stesse, quando parliamo di alberi, colori, neve e
fiori e tuttavia non disponiamo che di metafore delle cose, che non esprimono in nessun
modo le essenze originarie Riflettiamo in particolare sulla formazione dei concetti:
ogni parola diviene senzaltro concetto, dal momento che essa non deve servire come
ricordo per unesperienza originaria del tutto singolare ed individualizzata, cui deve il
suo sorgere, ma piuttosto deve adattarsi a innumerevoli casi pi o meno simili e cio, in
senso stretto, mai identici, quindi a casi puramente diseguali. Ciascun concetto sorge
dalleguagliare il non eguale. Certamente mai una foglia del tutto eguale a unaltra, e
certamente il concetto di foglia formato attraverso il lasciar cadere queste differenze
individuali, ossia attraverso la dimenticanza di ci che distingue, sicch spunta lidea che
nella natura al di l delle foglie ci sia qualcosa come la foglia, una sorta di forma
originaria, sulla base della quale tutte le foglie sarebbero plasmate, disegnate, sfumate,
colorate, graffite, dipinte, ma da mani inesperte, tanto che nessun esemplare possa
riuscire corretto e sicuro come riflesso fedele della forma originaria149.
Ne deriva che se io produco la definizione di animale sicuramente una verit viene
portata alla luce quando vedo un cane e dico guarda, un animale, ma questa verit di
valore limitato, in quanto in riferimento alluomo, non in s: essa solo il prodotto
dellattivit identificativa del medesimo, il quale trasforma la natura in mondo. Il suo
procedimento questo: considerare luomo come misura di tutte le cose, dove per si
incomincia con un errore, che consiste nel ritenere che alluomo queste cose siano date
immediatamente, come puri oggetti. Egli dimentica dunque le metafore intuitive che
stanno alla base in quanto metafore, e le prende per le cose stesse 150.
Levinas e Nietzsche, qui, sono molto vicini.
Nondimeno, si potrebbe obiettare a questa nostra ultima interpretazione che mette
sullo stesso piano i due filosofi sia insostenibile, perch il primo non ha mai parlato della
verit come una menzogna vincolante per tutti, ma lha sempre considerata come
lesposizione dellessere a se stesso.

149

Cfr. F. Nietzsche, La nascita della tragedia, La filosofia nell et die Greci, Verit e menzogna, Grandi Tascabili
Economici Newton, pp. 95-96
150
Ivi, pag. 98

Per rimandare leventuale critica al mittente, noi domandiamo: Cosa significa tutto
questo? Veramente il concetto di verit levinassiano non pu essere avvicinato a quello
nietzschiano?
Niente di tutto questo!
La filosofia nietzschiana e quella levinassiana sono molto vicine, in quanto
entrambe partono da questo presupposto: lordine non un qualcosa di gi dato, ma un
qualcosa che deve essere costituito dal processo identificativo del Medesimo, la cui
essenza quella di riportare qualsiasi esteriorit allinteriorit. Questa mancanza di
ordine originaria viene chiamata dal filosofo tedesco caos, da quello francese
elementale, ma la differenza di termini non sostanziale, in quanto questi sono
sinonimi, anzi, rapportandoli tra loro, hanno lo stesso significato, obbediscono al
principio di identit.
In questo senso la verit come menzogna ci dice che essa non il coglimento della
cosa in s, cos come la verit come coscienza dellessere non lorigine ultima del
senso.
La differenza tra i due non risiede in questo, dunque, ma in unaltra cosa, ossia nel
fatto che il filosofo della Volont di potenza non sia riuscito a cogliere che c unaltra
dimensione al di fuori del caos, al di fuori dellontologia (che sar il tema dominante di
tutta la seconda sezione): si tratta di un al di l dellontologia che ci che d senso
allontologia stessa.

11. LA FILOSOFIA OCCIDENTALE E LUOMO


Giunti alla fine della descrizione relativa alla condizione ontologica delluomo, si
possono trarre le conseguenze di quel rapporto tra gnoseologia ed ontologia che abbiamo
posto allinizio di questo capitolo.
L ci siamo chiesti se la filosofia occidentale non faccia altro che rispecchiare ci
che luomo veramente , ovvero ci domandavamo se la filosofia della potenza non sia un

destino, un qualcosa di inevitabile. A questo abbiamo aggiunto che le cose funzionano in


questo modo se e solo se il rapporto tra conoscenza ed essere necessitato, ove si
intende per necessit ci che cos e che non pu essere altrimenti, cio ci che
necessario ed universale.
Ora, in base allanalisi condotta in queste pagine, ci viene da rispondere che la
risposta non pu che essere che affermativa.
Infatti, il soggetto si caratterizza per un doppio movimento, che un doppio
processo di ipostatizzazione, che lo porta ad essere tale, ossia soggetto, per il tramite di
unattivit che trasforma tutto ci che altro da s nel positivo dellidentit.
Ontologicamente, quindi, il soggetto strutturato cos: si caratterizza come una forza che
vince qualsiasi resistenza in un movimento di appropriazione che tende a crescere su se
stesso, fino a che non raggiunge lassoluto perch ad un certo punto non assimila pi in
quanto nulla pi gli si presenta come esterno.
Ci detto, se accettiamo il postulato secondo il quale la gnoseologia riflette
lontologia, inevitabilmente dobbiamo trarre questo tipo di conclusione: il pensiero
occidentale, nel corso della sua storia, non ha fatto altro che descrivere ci che esso
realmente, ossia riduzione dellaltro al medesimo. Le filosofie di uno Hegel, o di un
Nietzsche, allora, sono soltanto punti culminanti della riflessione umana che, nello sforzo
di esplicitare limplicito, arrivata finalmente a realizzare una totale coincidenza tra
essere e pensiero ( curioso il fatto che, ad esempio, in queste due filosofie si sostenga
lidentit tra conoscenza ed essere: per Hegel la logica ontologia, per Nietzsche luomo
interpretazione, ci che interpreta e come interpreta). Si segna cos il trionfo della
filosofia, la quale riesce, seppur non senza difficolt, a cogliere lessere; riesce, cio, a
rispondere in modo esaustivo alla domanda che cosa lessere.
Certo, essa filosofia della potenza, che uningiustizia, ma non si pu fare nulla
di fronte a questa situazione, perch il soggetto stesso ad essere un soggetto della
potenza.
Che le cose non stiano cos per fin troppo evidente, e Kant, di fronte a questa
situazione, avrebbe senzaltro obiettato che se la metafisica diventata scienza, cio
universale e necessaria, perch allora se ne continua a parlare? Se la si mette ancora in

questione, chiaro che essa non scienza, ovvero ancora non riuscita a cogliere ci
che effettivamente si vuole sapere.
Oltre a questo, altrettanto chiaro che, nonostante il suo progetto totalizzante, la
cultura occidentale non riesce a trionfare su un certo nucleo di resistenza che non deriva
dalla forza, perch non ontologico, ma di un altro tipo: etico.
Letica non segue lontologia, ma una dimensione della soggettivit stessa,
struttura, cio, la soggettivit del soggetto, mettendolo nella condizione di
essere-per-altri, smantellando il suo essere-per-s.
Il fatto della comparsa di questaltra dimensione che oltre lontologia, ci obbliga a
ritrattare, costringendoci a rinnegare quella necessit del rapporto che sembrava essere
cos sicura. Infatti, il sostenere che lio non solo ontologia, ma anche etica, anzi,
innanzitutto etica, ci permette di uscire dalla dimensione della violenza che sembrava
inevitabile e che provocava in noi un senso di angoscia per il suo inevitabile risultato:
mondo inumano.
Dunque, lerrore della filosofia occidentale non un errore inevitabile (che poi,
accettando la tesi del rispecchiamento, a ben vedere non sarebbe un errore, ma un crudo
e atroce giudizio retto), ma un qualcosa dal quale si pu e si deve uscire, perch la
cultura dellOccidente deve essere riportata ad una dimensione pi umana, la qual cosa
pu essere raggiunta solo rivolgendoci a questaltra sfera, cos superficialmente
trascurata nel corso di questi secoli e in questo nostro mondo.
Dicendo questo, per, sembra che noi stiamo divagando, che stiamo ad un livello di
separazione dalla filosofia di Levinas, perch, a ben guardare, questa altra ottica non
venuta fuori nelle pagine precedenti, ove abbiamo interpretato la filosofia di questo
pensatore.
Le cose, per, non sono come sembrano, poich noi ci siamo solo limitati a
descrivere la condizione ontologica delluomo, dimenticando ma volutamente quel
residuo che sfugge allontologia e che non pu in alcun modo essere inglobato da essa.
La decisione di dimenticare ci derivata dal fatto che ci premeva analizzare
dettagliatamente lessere nel suo rapporto con luomo, al fine di capire meglio, poi,
quella trascendenza che dominer le nostre considerazioni nei capitoli successivi.

Ammettiamo che le cose non sono state semplici, che pi volte si caduti nella
tentazione di dire ci che era naturale e logico dire (esempio: la dimora accoglienza, la
sensibilit ha anche un altro significato, il linguaggio non solo Detto, ma anche Dire
ecc.), tentazione vinta ma al prezzo di aver irretito il discorso, di averlo fatto muovere in
una prigione entro la quale esso premeva ad ogni istante per uscire, al cui interno era
sempre sul punto di esplodere.
Ma questo non successo, anche se la difficolt incontrata stata come
quellaffanno dello spirito151 (lo spirito che trattiene il suo respiro) che Levinas stesso
dice di aver provato, anche se al livello del pensare e del dire la trascendenza.
Affanno dello spirito che per noi derivato dalla consapevolezza del fatto che era
pi giusto far venir fuori ci che premeva per uscire, al fine di espletare che il soggetto
non si risolve nellontologia, perch questa non lorigine ultima del senso.
Rispetto a questa, letica, al di l della visione e della certezza, delinea la struttura
dellesteriorit come tale. La morale non un ramo della filosofia, ma la filosofia
prima152. Letica come filosofia prima , ad un tempo, la sorgente del senso e la
giustificazione dellEssere.

151
152

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 8


Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 313

Sezione Seconda
LALTRO DELLONTOLOGIA

Capitolo Primo
ESPLOSIONE DELLA SOGGETTIVITA

1. STORICITA DEL VIVENTE UOMO


La filosofia levinassiana non un pensiero meramente decostruttivistico, nel senso
che mira a decostruire il cogito cos come stato finora e basta, ma anche propositivo,
in quanto il filosofo, dopo aver messo in questione la tradizione occidentale
caratterizzandola come una cultura della violenza, si rivolge ad un altro tipo di cultura,
quella ebraica, che presente, anche se in maniera minoritaria e quasi sommersa, anche
nel pensiero occidentale. E questo fin dalla nascita della filosofia, se vero come vero
che le tracce di essa affiorano gi in Platone, il quale nella Repubblica pone il Bene al di
sopra dellessere, per poi trovare la sua formulazione pi rigorosa nella concezione
cartesiana dellidea dellinfinito, ad un tempo in noi e rinviante oltre di noi, non
potendo essere contenuta nel nostro essere finito.
Lo smascheramento prodotto dal filosofo francese non dunque fine a se stesso, ma
teso verso unaltra dimensione, totalmente altra rispetto a quella che ci ha dominato
fino ad oggi; per far giungere a destinazione questa tendenza, per, Levinas ha dovuto
prima decostruire, perch solo dopo aver distrutto che pu cominciare la ricostruzione,
dato che il nuovo (ma non in senso cronologico) si pu affermare nel momento in cui
sono state sottolineate le contraddizioni del vecchio (anche qui il termine non vale al
livello del temporale).
Le motivazioni che spingono il filosofo a questo tipo di discorso sono di matrice
storica, visto che egli ebreo ed ha vissuto direttamente le atrocit del terzo Reich,
durante il cui regime Levinas stato fatto anche prigioniero, vivendo lesperienza della

discriminazione razziale fino al disconoscimento della propria umanit. Grazie ad alcuni


amici, tra cui Maurice Blanchot, la moglie e la figlia riuscirono ad evitare lo sterminio,
mentre la quasi totalit degli altri suoi familiari, abitanti in Lituania (suo paese natio),
veniva assassinata dai nazisti. Lesperienza dellolocausto diverr una delle esperienze
fondamentali per la maturazione del suo pensiero. E senzaltro non priva di significato
la dedica che egli apporter alla sua opera fondamentale, Autrement qutre ou au-del
de lessence: Alla memoria degli esseri a me pi prossimi tra i sei milioni di assassinati
dai nazional-socialisti, accanto ai milioni e milioni di esseri umani di ogni confessione e
di ogni nazione, vittime dello stesso odio dellaltro uomo, dello stesso antisemitismo153.
Da questo momento in poi la condizione dellEbreo rappresenter la condizione
stessa dellessere umano in quanto tale: lebraismo diventer una categoria
dellumano.

Allo

stesso

tempo

lantisemitismo

sar

considerato

come

lanti-umanesimo, come la ripugnanza dellaltro uomo: Lantisemitismo non n la


semplice ostilit provata da una maggioranza nei confronti di una minoranza, n soltanto
una xenofobia, n un qualsiasi razzismo, fossanche la ragione ultima di questi fenomeni
da esso derivati. Perch esso la ripugnanza suscitata dallignoto dello psichismo altrui,
dal mistero della sua interiorit o, al di l di ogni agglomerazione in un insieme di ogni
organizzazione in un organismo, dalla pura prossimit dellaltro uomo, e cio dalla sua
socialit stessa154.
Lequazione posta dal filosofo, a questo punto, la seguente: la filosofia
occidentale sta alla totalit (la cui maggiore espressione, concretamente, Hitler) come
la cultura ebraica sta alla responsabilit dellaltro uomo; sulla base di questo presupposto
egli costruir lintera sua filosofia.
Che i fatti stiano in questi termini non deve meravigliare, vista la costitutiva
storicit delluomo. Probabilmente, se Levinas fosse stato musulmano, non avrebbe
sviluppato una tal filosofia; e questo per il motivo suddetto: il vivente uomo si
caratterizza per il fatto che pensa e agisce sempre in riferimento al contesto in cui vive.
La pretesa husserliana di porsi nei confronti del mondo come uno spettatore
disinteressato puramente illusoria. In questo senso vale il discorso heideggeriano,
messo bene in evidenza a proposito della tematica del circolo ermeneutico, circa
153
154

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. V


Cfr. E. Levinas, Laldil del versetto, Guida editori, pag. 279

limpossibilit di essere totalmente fuori dai pregiudizi che accompagnano le nostre


valutazioni e la nostra vita.
E chiaro che il termine storia che stiamo utilizzando non da intendersi in senso
hegeliano, per il quale la storia non altro che storiografia, ossia sapere della storia, ma
nel senso heideggeriano della storicit, la quale tende a dimostrare che questo ente
(lEsserci) non temporale perch sta nella storia, ma che, al contrario, esiste e pu
esistere storicamente perch temporale nel fondamento del suo essere 155.
Le premesse di una tal concezione della storicit si trovano in Unzeitgemsse
Betrachtungen, Zweites Stck: Vom Nutzen und Nachteil der Historie fr das Leben di
Nietzsche. Lo scopo della seconda considerazione inattuale quello di mettere in
evidenza che il soggetto umano, ancor prima di essere coscienza della storia, una
sostanza storica, un essere storico. La costitutiva storicit del vivente uomo, che il
modo specifico del suo essere, definita dal filosofo del tedesco imperfetto mai
compiuto. La locuzione chiarisce che luomo vive sotto il peso del passato: la parola
cera indica quella parola dordine con cui lotta, sofferenze e tedio si avvicinano
alluomo, per rammentargli ci che in fondo la sua esistenza qualcosa di imperfetto
che non potr mai essere compiuto che lesistenza solo un ininterrotto essere stato,
una cosa che vive del negare e del consumare se stessa, del contraddire se stessa 156.
Tradotto in altre parole, ci significa che luomo vive entro un orizzonte storico (
ogni vivente pu diventare sano, forte e fecondo solo entro un orizzonte157), ovvero che
inserito in un divenire temporale che non ha deciso. Certo, essendo riflessivo, luomo
riesce ad imporsi sul divenire, ma questa stabilizzazione impressa al tempo non mai
perfetta, per cui la vita non mai totalmente soddisfatta di se stessa.
Pertanto, la riflessione sulla storicit non pu che portare a questo tipo di
conclusione: io sono, esisto, sono concreto, e vivo in questo tempo, cio vivo in questo
orizzonte storico. Ci vuol dire che sono nientaltro che un essere finito, perch il fatto
che la mia vita si svolga in questo orizzonte significa che mi sono negate le possibilit
degli altri orizzonti.

155

Citazione in Francesco Donadio, Elogio della storicit, Paoline, pag. 15


Cfr. F. Nietzsche, Sullutilit e il danno della storia per la vita, Adelphi, pag. 7
157
Ivi, pag. 9
156

Ora, partendo da queste considerazioni, che hanno messo in evidenza come ogni
progettare delluomo sia sempre dentro una dimensione che non ha totalmente scelto,
che ogni conoscenza umana, in quanto tale, storica, e che la filosofia come
cominciamento assoluto (inizio come assenza di presupposti, come pensava Husserl)
insostenibile, si pu capire donde deriva la filosofia levinassiana.
Lebreo Levinas un uomo del XX secolo che ha vissuto i campi di sterminio e che
ha visto Heidegger avvicinarsi al nazismo: da qui, anche, una certa malevolenza nei
confronti del pensatore tedesco e la pretesa della non esaustivit del senso della cultura
greca di cui gli ultimi anni della prima met del secolo scorso sono sue manifestazioni.
Contro tutto questo il filosofo francese propone unaltra cultura, la sua cultura, per
parlare di un mondo che abbia alla sua base lumanit delluomo, sempre messa sotto
scacco, a sua detta, dal Greco.
Limpossibilit di liberarsi di esperienze pre-filosofiche condivisa dallo stesso
filosofo, per cui egli cosciente del rischio che si corre in ogni esperienza conoscitiva:
Il cammino indicato sufficientemente sicuro? Senza dubbio essa limpresa di dire
filosoficamente la trascendenza non si libera completamente dalle esperienze
pre-filosofiche, molti suoi sentieri risulteranno gi noti e molti dei suoi approfondimenti
imprudenti. Ma il bel rischio sempre da correre in filosofia 158. Qui Levinas molto
vicino ad Husserl, a quellultimo Husserl del sempre di nuovo, con la quale frase
questultimo intende dire che la descrizione fenomenologia destinata ogni volta a
ricominciare da capo, visto che il territorio della fenomenologia non pu mai essere
definito in modo compiuto e tanto meno rinchiuso in un sistema di pensiero.
Questo precisamente ci che pensa anche Levinas a proposito della
tematizzazione della trascendenza, per cui anchegli avvertir la necessit di
ricominciare sempre da capo: Pi modestamente Husserl ci avr insegnato che ogni
movimento del pensiero comporta una parte di ingenuit, la quale, nellimpresa
hegeliana stessa, risiede almeno nella sua pretesa di rinchiudere il Reale. Husserl ci avr
insegnato che la riduzione dellingenuit esige immediatamente delle nuove relazioni,
che la grazia dellintuizione comporta idee gratuite e che, se filosofare consiste
nellassicurarsi lorigine assoluta, bisogna che il filosofo cancelli la traccia dei propri
158

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 26, corsivo mio

passi e, senza tregua, le tracce della cancellatura delle tracce, in un calpestio


metodologico interminabile159.
Ci detto, opportuno sottolineare ancora una volta la differenza tra il Greco e
lEbreo. La filosofia greca presenta unistanza imperativa (e questo abbastanza chiaro
dopo aver letto la prima sezione), ove ha dominato lontologia totalitaria, nella quale
sono stati schiacciati gli individui, la guerra stata il momento risolutivo delle relazioni
umane e laltro stato visto anzitutto come il nemico. Ma non si deve pensare che la
condanna dellontologia sia radicale, in quanto, come vedremo pi tardi, Levinas ha
usato comunque il linguaggio greco per il suo nuovo pensiero ed ha tentato di
recuperarla, seppur sotto un altro punto di vista. Ci, per, non toglie nulla al fatto che il
filosofo abbia cercato la strada alternativa, considerata come la vera e propria sorgente di
senso.
In questo momento cominciano le dualit, cosicch le parole essenza, immanenza,
medesimo, tipiche della grecit, devono essere sostituite con Bene (sporgenza rispetto
allEssere), trascendenza, alterit, peculiari dellebraismo, il cui popolo ha un rapporto
privilegiato con Dio. La predilezione che Dio stabilisce con questo popolo, per, si
esaurisce interamente nellattribuzione di responsabilit: lelezione deve essere intesa in
questo senso. Il giudaismo per Levinas la coscienza della responsabilit, e quindi un
rapporto con lalterit dellaltro, con quella trascendenza che non possibile riportare
alla tematizzazione, come invece pretende di fare lOccidente. Il Dio degli Ebrei un
Dio nascosto, che conserva il segreto del proprio enigma; proprio per questo che Egli si
fa presente ad ogni istante nel rapporto che si stabilisce tra lio e laltro uomo.
Risuonano le parole di Bonhoeffer: la nostra condizione davanti a Dio. Dio ci
d a conoscere che dobbiamo vivere come uomini capaci di far fronte alla vita senza Dio.
Il Dio che con noi il Dio che ci abbandona. Davanti a Dio e con Dio siamo senza
Dio160. Lassenza di Dio precisamente la sua presenza in noi, cosa che secondo la
logica formale un assurdo. Questa non riesce a cogliere che ci troviamo di fronte ad un
Dio invisibile un Dio inimmaginabile un Dio accessibile alla giustizia 161. Luomo
non pu posare gli occhi sul divino, non gli concesso di vederlo, ma pu conoscerne
159

Ivi
Citazione in Francesco Donadio, Elogio della storicit, cit., pag. 143
161
Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 76
160

solo le tracce. Una siffatta presenza nellassenza di Dio porta dritto alla considerazione
di un Dio non come essere in s, ma come essere-per-gli-altri.
E solo un essere non egoistico che consente di parlare della trascendenza, la cui
essenza laltro della totalit. N il godimento n il lavoro e la rappresentazione
permettevano di mettere il soggetto in contatto con la trascendenza, in quanto, essendo
egoismo, restavano impigliati allEssere, il quale tutto ingloba in quanto orizzonte a
partire dal quale accadono gli enti, a partire dal quale gli enti si entizzano.
Lebreo Levinas si rivolge dunque a questaltra cultura, la cui realt fa emergere il
fatto che la questione ontologica relazione tra lessere e lente non la questione
ultima, ma preceduta da un altro tipo di relazione (relazione asimmetrica, etica), la
quale costituisce la sorgente del senso.
E a questaltra dimensione che appartengono termini tanto cari al filosofo, come ad
esempio sradicamento, dissoluzione, spaesamento, che non sono invenzioni lessicali, ma
affondano nellesperienza del dolore e della sofferenza epocale e cosmica di un
popolo162. Lo stesso termine ebreo significa, letteralmente, colui che proviene dalla
regione al di l, colui che incarna questo principio daltro 163. Si evidenzia, dunque, in
questa parola, la presenza dellassenza, il sigillo, nel nome, di una mancanza. Essendo
qualche cosa daltro, lEbreo potrebbe essere anche interpretato come il forestiero che
cerca protezione ed ospitato in mezzo ad un altro popolo 164. Il fatto di essere sempre
portato altrove costitutivo della sua natura, per cui ci che gli appartiene non la
stabilit, la quiete, ma il loro opposto linstabilit, linquietudine; la presunta cosa in
s per lebraismo impensabile. Renato Rizzi fa notare che diverso anche il concetto
di verit: per il Greco essa aletheia portare alla luce ci che nascosto , per lEbreo,
invece, emet la verit scende dallalto, dal Dio innominabile ma bisogna notare
come essa contenga anche la radice met, che vuol dire morto , cio irraggiungibile
o indipendente dalle facolt umane165.
2. LIDEA DELLINFINITO
162

Cfr. Renato Rizzi, Peter Eisenman, cit., pag. 10


Ivi, pag. 11
164
Ivi
165
Ivi, pag. 15
163

Questaltra sfera dellumano smaschera la violenza e laggressivit del soggetto, il


quale si illude di pervenire alla piena coincidenza con se stesso, senza rendersi conto di
esercitare, con il suo movimento circolare, una illimitata prevaricazione sullalterit degli
altri, i quali non sono conosciuti nel loro essere altri. Solo un soggetto spogliato delle sue
tendenze imperialistiche pu essere un soggetto responsabile verso ci che non il s; se
non c questa denudazione il senso dellumano non sar mai rispettato dagli uomini, e
fenomeni come Auschwitz saranno sempre manifestazioni con le quali si dovranno fare i
conti. La filosofia di derivazione greco-romana non riesce a far fronte a queste
espressioni di violenza, perch essa stessa violenza; , per dirla in altri termini, la
progenitrice di qualsiasi forma di tirannia. Questo vero perch il discorso che essa fa
sul soggetto sempre un discorso rivolto allEssere, considerato nel senso di orizzonte
che tutto ingloba, rispetto al quale non si d e non pu darsi la trascendenza.
Luscita da una tale situazione pu effettuarsi solo se si mette in questione
questo riferimento della soggettivit allEssenza ove la soggettivit vi attinge il suo
senso per mostrarsi come lotta per lesistenza e per lasciarsi sedurre dalla potenza del
potere Bisogna trovare alluomo una parentela diversa da quella che lo lega allessere
il che permetter, forse, di pensare questa differenza tra me e laltro, questa
disuguaglianza, in un senso completamente opposto alloppressione166.
Dunque, per poter trovare il senso dellumano si richiede uneccedenza rispetto
allontologia, ossia uno rottura dellessenza; e considerato il fatto che il discorso
ontologico porta allidentit del soggetto, si rende necessaria una disidentificazione di
esso. Si aggiunga, a questo, che se lidentit ontica corrisponde allidentit logica, per
rompere luguaglianza indispensabile uscire anche dalle categorie del sapere.
Traendo le conclusioni da tutte queste considerazioni emerge che la soggettivit
come cogito, ovvero intesa come trasparenza dellessere a se stesso, non esaurisce la
nozione di soggetto, il quale, a questo punto, poggia su un altro principio, diverso dal
sapere e che, anzi, mette in questione la presenza a se stesso di ci che si identifica per
mezzo della propria attivit.

166

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pp. 219-220, sottolineato mio

La messa in questione dellio definita dal filosofo espiazione della soggettivit,


con la quale locuzione egli intende esprimere la distruzione della supremazia del
Medesimo, assoggettato alla luce del giorno, alla sua razionalit, al suo interessamento.
In questo modo non si pi nellontologia, ma nelletica, e la soggettivit non pi
essenza, ma al di l dellessenza, che consente di destituire il per s a tutto vantaggio
del per altri.
Si tratta di un vero e proprio capovolgimento che, come dicevamo in precedenza,
pur essendo proprio della tradizione di Israele, riscontrabile anche in alcuni momenti
della filosofia greca, come ad esempio lidea dellinfinito cartesiana.
Per poter seguire linterpretazione levinassiana, per, opportuno ricordare, seppur
succintamente, la filosofia di Cartesio. Sappiamo che questo filosofo si pone il problema
della verit delle proprie idee e dei propri giudizi, individuando nel dubbio metodico il
metodo che gli permette di giungere allevidenza, ovvero allintuizione chiara e distinta;
Questa sar il principio fondamentale per lestinzione del suo dubitare, e quindi per il
raggiungimento della verit indubitabile. Per trovare tale fondamento, si deve mettere in
questione lintera conoscenza, perch, se dopo il dubbio universale resta qualcosa che
non pu essere messa pi in questione, saremo di fronte a ci che si cercava. Ora,
nessuno mi garantisce della verit delle mie conoscenze, in quanto esse possono essere
state immesse in me da uno spirito maligno che mi ha ingannato facendomi apparire
chiaro e distinto ci che invece non lo , e quindi falso e assurdo. Ma proprio nel
carattere radicale di questo dubbio si presenta il principio di una prima certezza: il
dubitare. In altri termini, posso dubitare di tutto, delle cose pensate, percepite,
immaginate e cos via, ma non di una cosa, ovvero del fatto che dubito; e se dubito vuol
dire che sono: cogito, ergo sum.
Ecco una prima certezza sulla quale fondare ogni altra conoscenza. Infatti il
principio del cogito non mi rende sicuro se non della mia esistenza e della mia evidenza,
ma lascia ancora aperta la questione delle altre esistenze ed evidenze. La cosa
dimostrata dal fatto che io sono un essere pensante che ha idee; ora, io sono sicuro che
tali idee esistono nel mio pensiero, perch sono parte di me essere pensante, ma non sono
sicuro se a queste idee corrispondono realt effettive esistenti al di fuori. Facendo
unanalisi introspettiva, mi rendo conto che dentro di me ci sono diversi tipi di idee, che

possono essere classificate come avventizie (che mi sembrano estranee o venute dal di
fuori), fattizie (formate da me stesso) e innate (che sembrano essere innate in me).
Per vedere se a queste idee corrisponde una qualche realt esterna, non mi resta
altro che chiedermi la possibile causa di esse. Mi rendo conto, cos, che tutte queste idee,
ad eccezione di quella dellio e di quella di Dio, sono prodotte da me, in quanto in esse
non c nulla di cos perfetto che non possa essere stato creato da me: Pertanto, non
necessario, sicuramente, che a idee di questa natura io assegni altro autore che me
stessoCos non rimane, a parte lidea dellio, che lidea di Dio, nella quale considerare
se vi sia qualcosa che non possa derivare da me stesso 167. Il filosofo descrive tale idea
come lidea di una sostanza infinita, indipendente, sommamente intelligente,
sommamente potente, e dalla quale siamo creati sia io stesso sia tutto quanto daltro
esista (nel caso che esista anche qualcosaltro)168.
Si tratta, evidentemente, dellidea di Dio della metafisica tradizionale; Levinas non
mira a salvare questa tradizione, ma apprezza il fatto che nel filosofo francese vi sia la
convinzione dellirriducibile originalit di questa idea, espressa nel fatto che in me c
certamente lidea di sostanza, per il fatto stesso che io sono una sostanza; per, dal
momento che sono finito, lidea di una sostanza infinita non sarebbe in me se non mi
venisse da una sostanza che infinita lo sia effettivamente 169. E necessario, quindi, che
lidea di un ente pi perfetto di me proceda da un ente che pi perfetto di me lo sia
effettivamente170. Lidea dellinfinito non potr in nessun modo risultare da una
negazione del finito, cos come invece si percepiscono la quiete e le tenebre come
negazione del movimento e della luce, poich nella sostanza infinita c pi realt che
non nella sostanza finita: E non a credere che io concepisca linfinito, anzich come
una vera idea, soltanto per negazione del finito, al modo in cui percepisco, ad esempio, la
quiete e le tenebre per negazione del movimento e della luce; ch, al contrario, intendo
chiaramente che in una sostanza infinita c pi realt che non in una finita, e che di
conseguenza, anzi, in me la percezione dellinfinito precede in qualche modo quella del
finito, vale a dire la percezione di Dio quella di me stesso 171. Difatti, come potrei
167

Cfr. R. Descartes, Meditazioni metafisiche, Economia Editori Laterza, pag. 73, corsivo mio
Ivi, pp. 73-75
169
Ivi, pag. 75
170
Ivi, pag. 79
171
Ivi, pag. 75
168

conoscere la mia finitudine (che si manifesta nei miei dubbi e nei miei altri difetti), e
cio che mi manca qualcosa, ossia che non sono in tutto perfetto, nel caso che in me non
ci fosse lidea di un ente pi perfetto di me, dal confronto con la quale riconoscere i miei
difetti?172. Di conseguenza, non pu dirsi nemmeno che lidea di Dio sia materialmente
falsa e quindi possa derivare dal nulla lesistenza di Dio quanto mai chiara e distinta
e contiene pi realt oggettiva di qualsiasi altra, per cui nessunaltra di per s pi vera
o meno sospettabile di falsit. E dico che questa idea dellente sommamente perfetto e
infinito massimamente vera, perch, anche se magari si pu fingere che tale ente non
esista, tuttavia non si pu fingere che lidea di esso non mi rappresenti niente di reale.
Dico inoltre che tale idea massimamente chiara e distinta, perch in essa contenuto
tutto quanto io percepisco chiaramente e distintamente come reale e vero e dotato di un
qualche grado di perfezione173.
Pertanto, per Cartesio quel primo principio che aveva trovato per mezzo del dubbio
metodico, lidea dellio (la conoscenza di s), richiede questa relazione con un essere che
al di sopra di me, e che risponde al nome di Dio. La soggettivit intesa
metafisicamente dal filosofo: allorch rivolgo lo sguardo della mente in me stesso,
non soltanto mi rendo conto che io sono un ente incompleto, dipendente da un altro, e
che aspira indefinitamente e sempre di pi e di meglio, ma insieme mi rendo conto che
colui da cui io dipendo ha in s tutto questo di pi, e non indefinitamente e in potenza,
bens infinitamente e in atto, e quindi Dio 174. A questo proposito bisogna aggiungere
che tale interpretazione mette in questione la lettura corrente di Cartesio (che poi quella
proposta da Heidegger), che pensa al filosofo come liniziatore del dominio
incondizionato della soggettivit, processo che culminerebbe con Nietzsche. Tale
comprensione si basa sul fatto che, siccome nel filosofo francese si certi delle cose
perch prima c la certezza di me in quanto essere pensante, allora il soggetto si
definirebbe a partire da se stesso. In questo modo, concependo la verit come certezza,
egli scopre lego cogito come costante presenza. Lego sum diviene allora subjectum,
cio: il soggetto diviene autocoscienza. La soggettivit del soggetto risulta definita in

172

Ivi
Ivi
174
Ivi, pag. 85
173

base alla certezza di questa coscienza 175; il saper-se-stesso diventerebbe cos la verit
intesa come certezza.
Facendo questa parentesi, non stiamo dicendo che tale interpretazione sia errata, ma
vogliamo solo sottolineare che se si accentua troppo il carattere dellautofondazione
della soggettivit, si dimentica il Cartesio che, dopo aver trovato la prima evidenza, va
oltre, trovando in Dio laltro del soggetto, il quale, questultimo, ha certamente dentro di
s una tale idea, per non riesce a mettere il contenuto nel contenente. Dire questo
significa dire che il soggetto non solo puro pensiero, ma una cosa che pensa.
Il discorso coincide con le convinzioni levinassiane: Sebbene Descartes abbia
definito la sostanza esclusivamente attraverso il pensiero e sebbene, a suo avviso,
cessando di pensare, lio cessa di essere, lio non puro e semplice pensiero. Se esistere
e pensare coincidono, in quale modo, infatti, la sostanza pensante pu avere lidea
dellinfinito senza essere a sua volta infinita? Attraverso lidea di perfezione il pensiero
si radica nellassoluto, ma lesistenza di un pensiero radicato nellassoluto qualcosa in
meno dellassoluto, unicamente che un pensiero, nulla pi che un pensiero La
condizione dellesistenza si distingue dallesistenza stessa. Luna infinita, laltra
finita. La cosa importante che in Descartes lesistenza finita non separata dallinfinito
e che il legame assicurato dal pensiero; che il pensiero, il quale costituisce lesistenza
del cogito nella sua interezza, si aggiunge comunque a questa esistenza ricollegandola
allassoluto. In tal modo, lesistenza umana non pensiero, ma una cosa che pensa 176.
Pertanto, lidea dellinfinito che consente una chiave di lettura di questo tipo: Prima
del cogito, lesistenza pu solo sognare di se stessa, come se restasse estranea a s. Solo
perch sospetta pu sognare di s e pu svegliarsi. Il dubbio le fa cercare una certezza.
Ma questo sospetto, questa coscienza del dubbio, presuppone lidea del Perfetto. Il
sapere del cogito rinvia cos ad una relazione con il Maestro allidea dellinfinito o del
Perfetto. Lidea dellinfinito non limmanenza dellio penso, n la trascendenza
delloggetto. Il cogito si fonda in Cartesio sullAltro che Dio e che ha posto nellanima
lidea dellinfinito, che laveva insegnata, senza suscitare semplicemente, come il
maestro platonico, la reminiscenza delle antiche visioni 177 (si noti anche la differenza
175

Cfr. M. Heidegger, Sentieri interrotti, La Nuova Italia, pp. 218-219


Cfr. E. Levinas, Scoprire lesistenza, cit., pag. 111
177
Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 85
176

del rapporto discepolo-maestro: nella filosofia greca il maestro mi fa vedere ci che so


gi, ma che per ho dimenticato. La verit, allora, non sarebbe altro che un recupero, un
richiamo in memoria; ancora una volta si dimostra lessenza dellontologia, dove nulla
mi viene dallesterno perch gi tutto contenuto in me. Invece, fondando il pensiero
sullAltro come Dio, le cose si rovesciano, visto che se la trascendenza ha messo in me
lidea del Perfetto allora io ricevo da Altri al di l della capacit dellio. Non maieutica,
perch mi si rivela, in questo modo, la verit che io non so).
Lidea dellinfinito non la rappresentazione dellinfinito, ma il contenuto che
supera il contenente, lideatum che supera lidea178, realizzando cos un pensiero che
pensa pi di quanto non pensi179. La trascendenza dellinfinito non deriva dunque dal
suo essere smisuratamente grande, o dalla sua universalit, o dalla sua capacit di essere
totalizzante e illimitata, ma dalla sua assoluta alterit. Questultima permette di
allontanarsi dal concetto di infinito di Hegel, per il quale esso era la totalit entro la
quale entravano tutte le cose finite. Per Levinas, invece, tra finito ed infinito c una
relazione particolare, che egli definisce asimmetrica, ove n luno n laltro termine
annulla il suo opposto. Agendo come alterit nei confronti della coscienza, linfinito
determina un pensiero che pensa al di l del pensabile, operando come il pi nel
meno180, il non nel dentro: il pi abita nel meno.
Il soggetto, rispetto a questo, non pi una monade chiusa in se stessa, ma un
miracolo, poich ha dentro di s tale idea, e questo significa che contiene pi delle sue
possibilit, ovvero pi di quanto possa contenere. In altre parole, non pi un soggetto
logico che non potrebbe contenere ci che lo trascende , ma una sproporzione tra
cogitato e cogitatum che non si riassorbe nella verit trovata, come invece accade
nellontologia. Inoltre, il fatto che linfinito non possa essere racchiuso nellattivit
comprensiva del soggetto, porta alla conclusione che esso sullo stesso piano del Bene
platonico, il quale al di sopra dellEssere. Leccedenza rispetto allEssere
precisamente la dimensione dellal di l, la quale si sottrae a quellorizzonte a partire dal
quale possibile che tutto ci che , .

178

Cfr. E. Levinas A. Peperzak, Etica come filosofia prima, cit., pag. 39, sottolineato mio
Ivi
180
Ivi
179

Levinas apprezza Cartesio per questo motivo, rafforzato dal fatto che questultimo
era un razionalista, il cui scopo era il raggiungimento della chiarezza e della distinzione.
Ciononostante, egli ha saputo capire che la prima verit consiste nel fatto che lio si
rende conto di essere in rapporto con ci che supera la sua comprensione.
Al filosofo non interessano le prove dellesistenza di Dio, ma la rottura dellIo
Penso: Non sono le prove dellesistenza di Dio che qui ci interessano, ma la rottura
della coscienza lidea di Dio, come significante il non-contenuto per eccellenza non
forse questa lassoluzione stessa dellassoluto oltrepassa ogni capacit 181. Tale
rottura si determina proprio perch io ho in me lidea dellinfinito, la quale non altro
che Dio in me182. Lidea dellInfinito, dunque, lInfinito in me, perch lin
dellInfinito significa ad un tempo il non e il dentro183. Il suffisso in ha quindi un
duplice senso: indica la privativo di derivazione greca e lentro di derivazione latina; in
questo modo infinito viene a significare il non finito nel finito.
Il non finito, essendo in me, il non inglobabile, il non tematizzabile, una passivit
del soggetto diversa dalla passivit ontologica, dove viene assunto ci che ci affetta. Qui
no, qui siamo in presenza di un paradosso, perch si tratta di una passivit senza
assunzione, che possiamo definire come passivit pi passiva di ogni passivit184.
Essendo passiva, essa non parte da me che sono un pensatore , ma dal pensato.
Derrida, a proposito della tematica delladdio, fa notare che lad-Dio dice
innanzitutto lidea dellinfinito185. Lad-Dio non deve essere inteso come un a non
rivederci pi, noi che prima ci conoscevamo cos bene, ma come il riferimento del
soggetto alla trascendenza, in una relazione dove n linfinito annulla il finito e n il
finito ingloba linfinito. In questa meravigliosa e paradossale situazione lo Stesso
votato allAltro; , pi precisamente, responsabilit per Altri.
Questo, prosegue il filosofo, anche il punto dellallontanamento tra Cartesio e
Levinas, in quanto il primo non si interessa della dellad-Dio, visto che il suo impegno
quello di cercare la chiarezza e la distinzione, per far s che ogni cosa rientri nel
sistema del sapere. A Levinas, invece, proprio questo interessa, e chiama allora ad-Dio
181

Cfr. E. Levinas, Di Dio che viene allidea, cit., pag. 85


Ivi, pag. 86
183
Ivi, sottolineato mio
184
Ivi, pag. 87
185
Cfr. J. Derrida, Addio a Emmanuel Levinas, Jaca Book., pag. 171
182

questa struttura straordinaria dellidea dellinfinito che non coincide n con


lauto-identificazione dellidentit n con la coscienza di s. IL fatto che la a,
ecco la svolta (tour), si volta verso linfinito186. La non fedelt di Levinas a Cartesio
sullidea dellinfinito deriva dallambiguit cartesiana del cogito, che per un verso
fondato da Dio e per altro verso fonda Dio stesso: In Cartesio rimane una certa
ambiguit su questo punto, in quanto il cogito, se da un lato poggia su Dio, dallaltro ne
fonda lesistenza187. Pertanto, il problema cartesiano la coesistenza di due punti
difficilmente conciliabili: da un lato, il pensiero fin dallinizio orientato e dominato
dallidea di Dio, e dallaltro lato, il riconoscimento dellidea di Dio dipende dal cogito.
La dellad-Dio precisamente la relazione non conoscitiva tra il Soggetto e
lAlterit, dove questultima mantiene, nel confronto del primo, unassoluta esteriorit;
questa tale perch linfinito che oltrepassa lidea dellinfinito non consente
loggettivazione188. Del resto, lidea dellinfinito eccezionale in quanto il suo ideatum
va al di l della sua idea La distanza che separa ideatum ed idea costituisce qui
appunto il contenuto dellideatum189. Limpossibilit delloggettivazione deriva dal fatto
che tale idea non rappresenta linfinito, a differenza dellidea di totalit, la quale si
oppone alla prima perch tutto fa rientrare nel sistema.

3. ALTRI COME LUOGO DI PRODUZIONE CONCRETO DELLIDEA


DELLINFINITO
La descrizione fatta nel paragrafo precedente a proposito dellinfinito in me, pur
essendo corretta, monca, poich l stata descritto solo il disegno formale di una tale
situazione, tralasciando, di conseguenza, lanalisi circa la produzione concreta di essa.
186

Ivi, pag. 172


Cfr. E. Levinas A. Peperzak, Etica come filosofia prima, cit. pp. 41-42
188
Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 49, corsivo mio
189
Ivi, pp. 46-47
187

Difatti Levinas non si limita, nel suo filosofare, a mettere in evidenza la struttura formale
di un qualche cosa, ma va oltre, cercando il luogo nel quale essa si pu esperire
concretamente.
Per cui, dopo lanalisi dellidea dellinfinito fatta sopra, non ci resta che chiederci
dove essa si produca empiricamente. La risposta di Levinas, qui, una sola:
Lesperienza, lidea dellinfinito, ha luogo nel rapporto con Altri. Lidea dellinfinito
il rapporto sociale190.
Da questa citazione emerge subito una curiosit: se il luogo Altri, siamo
sicuramente lontani dalla tradizione greco-cristiana, che individua il totalmente Altro nel
Dio unico al di sopra degli esseri finiti. Si tratta allora della soppressione di Dio?
Nientaffatto, solo che dobbiamo capire le relazioni che io e Altri stabiliamo con
lAltissimo.
Cominciamo con il determinare le caratteristiche del rapporto sociale, che pu
essere definito come la molteplicit a dispetto dellunit. La condizione fondamentale a
che si mantenga il multiplo la mancanza della tematizzazione, la quale ontologia,
ovvero riduzione di ci che altro da me allunit dellappercezione trascendentale. La
condizione di possibilit di tale rapporto Altri, il quale si mostra in maniera diversa
rispetto alla manifestazione, e di conseguenza impedisce che lio ne possa fare il suo
tema.
Il filosofo definisce questa invisibilit di Altri, questa impossibilit a ridurlo a tema,
volto. Esso il modo concreto in cui lAltro, linfinitamente altro, si presenta a me, entra
con me in quella eccezionale relazione metafisica che lidea dellinfinito delinea: Ora,
noi chiamiamo volto il modo in cui si presenta lAltro, che supera lidea dellAltro in me.
Questo modo non consiste nellassumere, di fronte al mio sguardo, la figura di un tema,
nel mostrarsi come un insieme di qualit che formano unimmagine. Il volto dAltri
distrugge ad ogni istante, e oltrepassa limmagine plastica che mi lascia, lidea a mia
misura e a misura del suo ideatum lidea adeguata. Non si manifesta in base a queste
qualit, ma kathauto. Si esprime. Il volto, in opposizione allontologia contemporanea,
introduce una nozione di verit che non lo svelamento di un Neutro impersonale, ma
unespressione191. Esso, che impossibile ridurre a concetto, allontana dalla filosofia
190
191

Cfr. E. Levinas A. Peperzak, Etica come filosofia prima, cit. pag. 39


Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 48

heideggeriana dellEssere come c e della verit come manifestazione dellEssere a se


stesso. Qui la verit acquista un altro significato, in quanto si configura come contatto
con una realt che altra dal soggetto (Nella verit il pensatore in rapporto con una
realt che distinta da lui, altra da lui. La verit indicherebbe cos il punto di arrivo di
un movimento che, partendo da un mondo intimo e familiare bench non ancora
completamente esplorato , conduce verso quanto ci estraneo, verso un laggi, secondo
la parola di Platone. Pi che un esteriorit, la verit implicherebbe la trascendenza. La
filosofia si occuperebbe dellassolutamente altro, sarebbe leteronomia in quanto tale
Ed cos che la filosofia significa metafisica e che la metafisica sinterroga sul
divino192). Leteronomia della filosofia dipende solo da questultima accezione di verit,
e quindi essa, cos come stata finora, non ha saputo cogliere la metafisica, bench ne
abbia sempre parlato, se vero come vero che essa rivolta allaltrove, e
allaltrimenti, e allaltro essa appare infatti come un movimento che parte da un
mondo che a noi ci familiare da una casa nostra e nella quale abitiamo, e va verso
una casa non-nostra ed estranea, verso un laggi 193. La verit come al di l del
disoccultamento, dunque, ci che permette alla filosofia di mettersi in contatto con la
trascendenza.
Questaltro senso della verit reso possibile, come suddetto, dal volto.
Ma che cosa il volto?
Esso non un qualcosa di ideale o di astratto (nel senso di riflessione su un qualche
cosa), ma la presenza concreta dellaltro uomo, che costantemente mette in crisi, o
disfa, le varie forme con cui io tendo a farlo entrare nel gi noto, nelle mie categorie di
pensiero. E questo il modo in cui appare Altri, per cui questa situazione potrebbe anche
essere definita come lapparizione dAltri. Certo, essendo apparizione manifestazione e
presenza, e infatti il volto appare ed presente; ma siamo di fronte ad una
manifestazione e ad una presenza totalmente altra dallontologia, talmente diversa che
consente la rottura della totalit e lentrata in gioco delletica, la quale si distingue dalla
prima perch in essa si realizza il rispetto dellalterit, negato, questo, dallattivit dellIo
Penso della tradizione occidentale (si tenga presente che letica pu essere tale solo se si
in relazione con la molteplicit, perch se il multiplo viene ridotto allunit abbiamo un
192
193

Cfr. E. Levinas A. Peperzak, Etica come filosofia prima, cit. pag. 31


Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 31

movimento violento che riduce tutto a s). La diversit consiste nel fatto che il volto
continuamente distrugge lidea adeguata che mi faccio di lui, per cui non possibile
dargli degli attributi che mi permetterebbero di rappresentarlo e, di conseguenza, di
renderlo totalmente trasparente a me stesso.
Ci mette in rilievo che Altri non sullo mio stesso piano, come se io e Altri non
avessimo una patria comune. Egli si caratterizza per il fatto che su di lui non posso
potere, perch non interamente nel mio luogo, realizzando cos quella rottura della
totalit derivante dal fatto che, al di fuori dellattivit violenta del medesimo, c un
residuo che sfugge al potere di far rientrare tutto nel sistema, e quindi sfugge allil y a.
Con Altri io stabilisco quella relazione che dal filosofo chiamata metafisica, tipica
dellidea dellinfinito. Difatti, dire che il volto sfugge al potere significa dire che nel
momento in cui si mette in relazione con il Medesimo resta separato da questultimo. La
relazione metafisica, lidea dellinfinito, proprio quel rapporto in cui i due termini di
esso non costituiscono una correlazione qualsiasi che sarebbe reversibile. La
reversibilit di una relazione nella quale i termini si leggono indifferentemente da sinistra
a destra e da destra a sinistra, li accoppierebbe, luno allaltro194. In tal modo si
distruggerebbe lalterit radicale dellAltro, anche se la distruzione comunque
impossibile a causa di questa presenza viva dellaltro uomo. Limpossibilit dipende da
ci che abbiamo detto prima: il volto si sottrae al possesso, al mio potere. Esso mi
oppone una resistenza che per non la resistenza ontologica, che fa leva sulla teoria dei
gradi (esempio sono pi forte di te e perci su di me non puoi potere), e quindi
quantitativa, ma etica, che al di l della forma, la quale non sfida i miei poteri, ma mi
chiama alla responasabilit nel comandamento in cui si raccoglie tutta la Torah: Tu non
ucciderai.
La relazione metafisica, cos, diventa una relazione etica, dove lasimmetria del
rapporto si esprime nella mia responsabilit verso lAltro al di l della sua responsabilit
nei miei confronti. Tale situazione si verifica solo perch Altri in quanto Altri (Autrui
en tant quautrui) non soltanto un alter ego; ci che io non sono. Lo non a causa del
suo carattere, o della sua fisionomia, o della sua psicologia, ma a causa della sua stessa
alterit. E, per esempio, il debole, il povero, la vedova e lorfano, mentre io sono il
194

Ivi, pag. 34

ricco e il potente195. Se Altri fosse soltanto una ripetizione dellidentico non ci sarebbe
nessuna resistenza etica, in quanto il s e la scissione da s sarebbe solo il gioco del
Medesimo, giocato dallo stesso per ritrovarsi.
Se si tiene presente quello che abbiamo detto prima, e cio che lidea dellinfinito
linfinito in me, allora dobbiamo aggiungere, a questo discorso, che la trascendenza di
Altri non un qualcosa che al di fuori di me, ma coinvolge la mia stessa soggettivit,
cosicch si pu anche affermare che laltro in me una tale situazione sar poi definita
da Levinas maternit, intesa come la gestazione dellaltro nel medesimo.
Ci detto, si capiscono chiaramente frasi quali siamo il Medesimo e lAltro 196 e
lidea dellinfinito, linfinitamente di pi contenuto nel meno, si produce concretamente
sotto le specie di una relazione con il volto. E soltanto lidea dellinfinito mantiene
lesteriorit dellAltro rispetto al Medesimo, malgrado questo rapporto Lidea
dellinfinito supera il mio potere non quantitativamente, ma, lo vedremo pi avanti,
mettendolo in questione. Non viene dal nostro fondo a priori e, perci, lesperienza per
eccellenza197.
Con tale idea il soggetto in contatto con lassolutamente altro, che per Levinas
Altri (lassolutamente Altro Altri198), ossia la presenza vivente dellaltro uomo, il
quale mi chiama al comandamento etico: Non uccidere. Questa impossibilit non tale
a livello materiale posso sempre porre fine al mio prossimo con una pistola , ma si
inserisce nella sfera della morale. Lespressione del volto non sfida la mia debolezza di
potere, ma il mio potere di potere; posso essere il pi forte di tutti, posso uccidere, ma
mai eserciter un potere assoluto su ci che mi trascende. Tale discorso vale anche,
paradossalmente, al livello dellomicidio, il quale non altro che un esercitare un potere
su ci che sfugge al potere. Ancora potere, dato che il volto si esprime nel sensibile; ma
gi impotenza, dato che il volto fa a pezzi il sensibile199. La cosa si chiarisce se si pensa
che il volto si manifesta nel sensibile e qui io posso potere , e per continuamente
disfa limmagine plastica che mi faccio di lui, ovvero ad ogni istante disfa la forma,
trascende e qui non posso pi violentare, perch esso non sul mio stesso suolo. La
195

Cfr. E. Levinas, Il Tempo e lAltro, cit., pag. 54


Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 37
197
Ivi, pag. 201
198
Ivi, pag. 37
199
Ivi, pag. 203
196

resistenza di ci che non ha resistenza la resistenza etica , che sfugge allomicidio


precisamente lepifania del volto, la cui prima parola il comandamento; di
conseguenza, essa, superando continuamente ci che vi di necessariamente plastico
nella manifestazione, etica.
Questo particolare tipo di manifestazione chiamato dal filosofo espressione, la
quale si configura come lesperienza originaria nella quale ci che si esperisce non lo
svelamento, ma la rivelazione. E precisamente qui, ossia nellepifania del volto, che io
vado al di l del fenomeno per mettermi in contatto con il noumeno (da intendersi come
laltro dellEssere) che Altri in quanto Altri. Esso non lo svelamento di un Neutro
impersonale (il caos), ma espressione. La cosa in s non si manifesta, ma si esprime.
Lessenza dellespressione lauto-presentazione, ove un essere assiste alla propria
manifestazione facendo appello a me. Difatti, per Levinas esprimersi significa disfare
continuamente la manifestazione per il tramite di un appello che mi rivolge, appello che
mi chiama alla responsabilit verso Altri ( solo in questo senso che laltro uomo
astratto, ossia nel suo essere un ente che, pur manifestandosi in un contesto culturale,
sfonda lordine del mondo, sconvolgendo cos la coscienza che in tal modo
corrisponde a questa astrazione200).
La cosa possibile perch il volto non si manifesta nella sua lussuria e nella sua
ricchezza, ma nella sua povert e nella sua indigenza. La nudit del volto significa ad
un tempo questa presenza e questa povert, per cui essa non ci che si offre a me
perch lo sveli e che, perci, verrebbe ad essere offerto a me, al mio potere, ai miei
occhi, alle mie percezioni, in una luce ad esso esterna. Il volto rivolto a me e questa,
appunto, la sua nudit. E per se stesso e non in riferimento ad un sistema 201. Ma al
tempo stesso, proprio perch entra come estraneo nel mio mondo, tale nudit anche
miseria ed indigenza che supplica ed esige il mio aiuto: La relazione con il volto non
la conoscenza di un oggetto. La trascendenza del volto , ad un tempo, la sua assenza dal
mondo in cui entra, lo sradicamento di un essere, la sua condizione di straniero, il privo
di tutto, di proletario La nudit del volto si prolunga nella nudit del corpo che ha
freddo e che si vergogna della sua nudit. Lesistenza kathauto , nel mondo, una
miseria. E qui viene alla luce che tra me e laltro c un rapporto che al di l della
200
201

Cfr. E. Levinas, Umanesimo dellaltro uomo, Il menangolo, pag. 76, corsivo mio
Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 73

retorica, ma entra nella dimensione delletica. Questo sguardo che supplica ed esige
appunto lepifania del volto come volto. La nudit del volto indigenza. Riconoscere
non significa portare il nascosto nella luce, ma riconoscere una fame. Riconoscere Altri
significa donare. Ma significa donare al maestro, al signore, a che si avvicina come voi
in una dimensione di maestosit202.
Il volto-nudo, dunque, nella sua estraneit e nella sua miseria come Altri, non fa
altro che manifestarsi come appello etico, il quale trasfigura la miseria altrui
nellAltissimo. Il contatto con questultimo proprio questo mio rispondere al volto che
mi interpella; ci mette in questione la mia libert di soggetto egoistico che tende ad
inglobare tutto ci che mi si presenta in quanto altro chiamandola alla responsabilit.
Lidea dellinfinito, quindi, si concretizza nellepifania del volto, mettendo in
relazione il soggetto con Altri, che, per il suo tramite, mette in relazione il soggetto con
Dio (la cosa si chiarir nel momento in cui si parler della tematica della traccia,
utilizzata dal filosofo per dire che nel volto iscritta la traccia di Dio). In tale idea, e a
livello formale e a livello concreto, io non sono pi in relazione con lessere dellente,
ma con la trascendenza. Volendo poi chiederci cosa venga prima, se la prima o la
seconda, rispondiamo direttamente con Levinas: La relazione con lente che si esprime
preesiste allo svelamento dellessere in generale, come base della conoscenza e come
senso dellessere; il piano etico preesiste al piano ontologico 203; grazie a questa
preesistenza che lontologia acquista un senso.
La preesistenza deriva proprio dalla presentazione del volto (lespressione), la quale
fa s che il volto si presenti come il povero, lo straniero, lorfano, che fa un appello etico
che mette in questione il soggetto, chiamato a rispondere con urgenza. La sua invisibilit,
o la sua assenza, non altro che una manifestazione che eccede la manifestazione, una
sporgenza rispetto ad essa che travalica i limiti dellintenzionalit, rendendosi cos
indipendente al mio potere: La nozione di volto ci porta verso una nozione di senso
anteriore alla mia Sinngebung e, quindi, indipendente dalla mia iniziativa e dal mio
potere204. Da questa eccedenza rispetto alla identificazione che coglie lintenzionalit ne
deriva che pi che essere lio a cogliere il volto il volto a sorprendere lio; esso, dir in
202

Ivi, sottolineato mio


Ivi, pag. 206
204
Ivi, pag. 49
203

seguito Levinas, irrompe nel fenomeno sconvolgendo lordine. Lio non ha scelto o non
ha determinato il volto, ma questo venuto dallal di l, ed venuto con il suo appello
etico che, come il filosofo far capire in Autrement qutre ou au-del de lessence,
mette in questione il tempo del soggetto che noi abbiamo visto essere il presente per
testimoniare un altro tempo, ossia il passato; tuttavia, questo tempo non il passato
dellontologia, considerato come modificazione del presente, ma un passato
pre-originario, immemorabile, irrappresentabile, anarchico.
Inoltre, cos come il volto non ha tempo nel senso che al di fuori del tempo
ontologico, inteso come momentanea separazione del s rispetto a s per ritrovarsi esso
non ha neanche un nome. Infatti, nella prima sezione abbiamo visto che il nome altro non
se non identit riduzione della molteplicit allunit , mentre qui stiamo al di fuori
del gioco che gioca il medesimo per trasformare laltro nel s. Non si deve confondere,
per, la mancanza del nome del volto con lil y a, in quanto mentre in questultimo siamo
di fronte alla verbalit del verbo dove tutto scorre indistintamente, in questo caso siamo
di fronte allunicit di un essere che mi fa appello perch lindigente. In questo senso,
allora, la mancanza di un nome proprio ci che conferma il volto nella sua unicit, al di
l dellessere e della relazione tra lessere e lente, che non la questione fondamentale.
E non lo perch oltre ad essa c la presenza di unassenza del tutto diversa da quella
del caos, la cui peculiarit quella di essere il non sintetizzabile per eccellenza.
Questa incapacit dellappercezione trascendentale a rendere nuovamente presente
ci che restio a subire tale attivit non altro, come abbiamo tentato di far capire nel
corso di questo paragrafo, che lidea dellinfinito, ovvero quellidea in cui il suo ideatum
supera lidea stessa e che si produce concretamente come presenza-assenza di un volto
verso il quale il soggetto deve mettere da parte la sua attivit identificativa per rispondere
urgentemente al suo aiuto. Tale idea che sconvolge lordine fenomenico presentando e
testimoniando lal di l dellontologia viene chiamata anche, dal filosofo, Desiderio.
4. DESIDERIO E IDEA DELLINFINITO
Il passaggio dalla natura formale alla natura empirica dellinfinito in noi stato
fatto per compiere un movimento circolare a livello di metodo da noi usato che,

partendo dalla forma per andare al concreto, ritorna alla prima, la quale, nel ritorno del
movimento, si delucida ulteriormente.
Il metodo usato possibile in virt del Desiderio, il quale la produzione formale
e non empirica, contrariamente a quanto accadeva con lepifania del volto dellidea
dellinfinito: Linfinito nel finito, il pi nel meno che si attua attraverso lidea
dellInfinito, si produce come Desiderio205. Il legame tra desiderio e idea dellinfinito
messo in evidenza da A. Peperzak, il quale, tenendo presente ci che abbiamo detto
prima, e cio che la relazione tra finito e infinito non una relazione teorica, dunque non
riguarda la conoscenza, si chiede, implicitamente, di che tipo possa essere questo
rapporto. Ora, se non la conoscenza a realizzare il rapporto, sar probabilmente
leros206 a costituirlo.
Bisogna, per, intendersi sul significato di eros, perch se lo si considera come un
bisogno allora dovremmo ragionare in termini di mancanza e di appagamento, raggiunto,
questultimo, tramite il possesso del godimento. In questo modo, per, siamo gi sulla
strada sbagliata, perch se il Desiderio ha a che fare con un pensiero che pensa pi di
quanto non pensi, certamente non pu essere messo sullo stesso piano del bisogno, che,
come abbiamo visto, si lega al godimento. Legandosi a questultimo, non riesce a
fuoriuscire dallessere, cos che lincatenamento ad esso non consente di parlare di
Desiderio come ci che si lega intimamente allidea cartesiana. Dicendo questo non
stiamo disconoscendo la necessit del valore del godimento, che come vedremo pi
avanti sar fondamentale a che si costituisca un Ego indipendente che sia in grado di
stabilire una relazione con lalterit, ma stiamo solo facendo notare che, per delineare il
disegno formale della trascendenza in noi, occorre un Desiderio che sia totalmente
diverso dal bisogno, ossia non riducibile allappetito che si placa con il raggiungimento
di ci che gli manca (esempio il cibo estingue la fame), ma che cresce nella misura in cui
si cerca di appagarlo: Non come desiderio che appagato dal possesso del Desiderabile,
ma come il Desiderio dellInfinito che suscitato dal Desiderabile invece di esserne
soddisfatto. Desiderio perfettamente disinteressato bont207.

205

Ivi, pag. 48
Cfr. E. Levinas A. Peperzak, Etica come filosofia prima, cit., pp. 104-105
207
Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 48
206

A differenza del bisogno, il Desiderio non si realizza con il possesso e non


appagato dal godimento; se volessimo definire in relazione al bisogno, potremmo solo
dire che esso irriducibile al bisogno. Infatti, mentre questultimo mira allappagamento
attraverso il possesso di ci che gli manca, il Desiderio mira allassolutamente altro, il
quale non potr mai essere colto dal soggetto: il primo ontologia movimento che dal
medesimo va allaltro per poi ritornare a s , il secondo etica movimento che dal
medesimo va allaltro senza ritornare al medesimo. Questa mancanza del ritorno che in
altri termini significa impossibilit della trasformazione dellaltro nellidentico
precisamente ci che differenzia i due termini. Il desiderabile desiderato dal desiderio
ci che non potr mai essere posseduto, per cui esso non potr mai essere pago del
raggiungimento delloggetto che desidera. Laddove si verifica la confusione tra desiderio
e bisogno, intesa come desiderio ridotto al bisogno, si cade in errore, e gli effetti deleteri
saranno visibili concretamente e immediatamente.
Nella distruzione del desiderio cos inteso F. Ciaramelli vede il verificarsi del suo
stallo, ove predomina la pubblicit, che fa assurgere il consumo a rimedio esclusivo
dellinsieme variegato di disagi, insicurezze e insoddisfazioni che essa stessa
diffonde208. Vagheggiando il soddisfacimento immediato delloggetto il desiderio
soccombe davanti al possesso pieno del desiderato. Non ha altra ragion dessere se non
lappagamento compiuto e definitivo, che innalza a oggetto degno dinteresse solo in
vista della sua abolizione come desiderio e del suo trionfo come evanescente preludio di
possesso e consumo209. Le conseguenze di tale situazione, che domina il mondo
odierno, sono angoscia, insicurezza, perdita di identit. Nelle masse di individui ridotti
a Narcisi isolati e spaesati proliferano competizione nevrotica, rivalit e invidia. La
felicit resa obbligatoria si capovolge nel suo contrario. Si moltiplicano piccole e grandi
esplosioni di aggressivit in tal modo si realizza appiattimento e omologazione
sociale210.
Il senso di tale discorso mira a mettere in evidenza come lo stallo del desiderio
sia causato dalla confusione tra desiderio e bisogno, ove il primo viene spacciato per il
secondo e viceversa, causando quella situazione in cui si realizza s pi uguaglianza, ma
208

Cfr. F. Ciaramelli, La distruzione del desiderio, cit., pag. 5


Ivi
210
Ivi, pag. 6
209

nellinvolgarimento e nellimbarbarimento; da qui lillusione di poter essere felici


immediatamente possedendo i prodotti offerti dalla pubblicit. Il risultato di questa
cultura sono evidenti: facendo sempre e comunque riferimento a noi stessi e animati
dalla volont di potenza volont di ridurre tutto ci che ci si oppone in quanto altro
non sviluppiamo relazioni sociali o almeno le sviluppiamo in maniera fasulla , in
quanto laltro colui il quale deve essere vinto perch limita la mia libert e perci si
rifiuta di piegarsi a me. Si promuove, cos, lazione violenta (della quale la guerra solo
il grado pi alto) e la riduzione ad una massa di persone sole. Levinas direbbe, a questo
proposito, che tale cultura non sostenibile, perch essa mera ontologia, dove si
dimentica laspetto etico, contraddistinto dalla mia responsabilit verso quellaltro che
vuole il mio aiuto in quanto si presenta come lindigente.
Il desiderio ridotto al bisogno, invece, essendo lappagamento del godimento, si
traduce nellesclusione dellaltro, nella dimenticanza che, al nostro fondo, c
uninospitabilit dellorigine perch siamo innanzitutto relazione con lestraneit. Non
come pensa la filosofia, in quanto non luno che viene prima del molteplice, ma il
molteplice che viene prima delluno; la filosofia che non considera questo fatto
filosofia greca una cultura che cade nellerrore di considerare desiderio e bisogno
come perfettamente coincidenti nel significato di riduzione dei molti alluno, perch
prima viene lunit, e poi si prodotta la scissione, la molteplicit. Il suo compito
diventa allora ritornare a quella pienezza dellorigine che considerata appunto come
quel qualcosa di originario che abbiamo perduto. La denuncia di Levinas proprio
rivolta a questa illusione, perch, a ben guardare, la pienezza dellorigine derivata,
solo la costruzione a posteriori (costruzione retrospettiva) che viene per considerata a
priori, ovvero come quel principio al quale appartenevamo e a cui dobbiamo tornare.
Resta da chiarire, per, perch questa relazione con lestraneit non una relazione
con il caos. Seguendo la filosofia levinassiana e, di conseguenza, quanto siamo andati
dicendo nel corso di queste pagine, la delucidazione risulta essere abbastanza chiara.
LEssere come il y a ci che suscettibile di oggettivazione, anzi, il Medesimo che
ritrova il Medesimo nel movimento di ritorno a s, mentre la Trascendenza, pur essendo
tematizzata (e questo lo vedremo pi avanti), non si chiude mai nella totalit, vista
limpossibilit di essere ridotta al medesimo per il suo provenire dallal di l, ovvero al

di fuori di quellarch che principio e fine di tutte le cose (ontologiche). Tale discorso
reso possibile dal Desiderio, o, ma la stessa cosa, dallidea dellInfinito (o dalla
presenza del volto, o dalla particella in dellinfinito).
Non a caso Levinas definisce il desiderio come Desiderio dellinvisibile, che si
configura

immediatamente

come

Desiderio

metafisico,

in

quanto

laltro

metafisicamente desiderato non altro come il pane che mangio, come il paese che
abito, come il paesaggio che contemplo, come, a volte, io posso apparire ai miei occhi:
questo io, questo altro. Con queste realt, posso nutrirmi e, in larghissima misura,
soddisfarmi, come se mi fossero semplicemente mancate. E per questo motivo la loro
alterit si riassorbe nella mia identit di pensante o di possidente. Il Desiderio metafisico
tende verso una cosa totalmente altra, verso lassolutamente altro211. Facendo
riferimento al senso comune, ossia al modo comune di intendere il desiderio, alla sua
base starebbe il bisogno: Alla base del desiderio comunemente interpretato starebbe il
bisogno; il desiderio contrassegnerebbe un essere indigente e incompleto o decaduto
dalla sua grandezza passata. Coinciderebbe con la coscienza di ci che stato perduto.
Sarebbe essenzialmente nostalgia, male del ritorno. Ma cos non potrebbe neppure
sospettare cosa sia lassolutamente altro 212. Ne deriva che se questo il modello
interpretativo, allora dobbiamo ammettere che il desiderio nasce dalla mancanza di una
pienezza perduta: in questo senso esso sarebbe nostalgia, male del ritorno, per cui si
parlerebbe di desideri soddisfatti (desideri sessuali, di fame, di sete ecc.) e si perderebbe
la dimensione dellal di l.
Un tale desiderio non mira allassolutamente altro, cosa che invece fa il Desiderio
metafisico, che non aspira al ritorno, perch il desiderio di un paese nel quale noi non
siamo mai nati. Di un paese straniero ad ogni natura, che non stato la nostra patria e nel
quale non ci trasferiremo mai213. E un Desiderio dellinvisibile perch il suo oggetto
non propriamente un oggetto che io potrei cogliere mediante la conoscenza, ma la
presenza che ad ogni istante disfa la presenza stessa. Esso non fa altro che desiderare
lassolutamente altro al di fuori della fame che pu essere soddisfatta, della sete che pu

211

Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 31


Ivi, pp. 31-32
213
Ivi, pag. 32
212

essere estinta e dei sensi che possono essere appagati 214; al di l delle soddisfazioni e
delle soddisfazioni possibili. E in questo caso che esso diventa irriducibile al bisogno:
Il bisogno si apre su un mondo che per me, ritorna a s. Persino quand sublime,
come il bisogno di salvezza, ancora nostalgia, malattia del ritorno. Il bisogno il
ritorno stesso, lansia dellio per se stesso, forma originaria dellidentificazione che
abbiamo chiamato egoismo. E assimilazione del mondo in funzione della coincidenza
con se stesso o felicit. [] A un soggetto rivolto verso se stesso, o tendenza di
persistere nel suo essere, o per il quale, secondo la formula di Heidegger, nella sua
esistenza ne va sempre della sua esistenza stessa, a un soggetto che dunque definito
dalla cura di s, e che nella felicit realizza il suo per s, noi contrapponiamo il
Desiderio dellAltro che procede da un essere gi appagato e che non desidera per s.
Bisogno di colui che non ha pi bisogni il desiderio dAltri nasce in un essere cui non
manca nulla o, pi esattamente, nasce al di l di tutto ci che pu mancargli o
soddisfarlo. Questo Desiderio dAltri, che la nostra stessa socialit, non una semplice
relazione con lessere in cui, secondo le nostre formulazioni iniziali, lAltro si trasforma
nello Stesso. Nel Desiderio lIo va verso Altri in modo da compromettere la sovrana
identificazione dellIo con se stesso, di cui il bisogno non che la nostalgia e che la
coscienza del bisogno anticipa215.
Nel bisogno opera un essere egoistico il cui scopo lidentificazione della diversit
in cui il suo fuori non altro che un fuori che si riferisce allio. Lappagamento che si
raggiunge nel godimento la prima identificazione dellio attraverso il possesso
delloggetto; a questo livello laltro recuperato dal Medesimo per mezzo di un
movimento che, partendo dallo Stesso, va verso lAltro e ritorna allo Stesso. Ma al mito
di Ulisse che ritorna a Itaca, noi vorremmo contrapporre la storia di Abramo che lascia
per sempre la sua patria per una terra ancora ignota e che interdice al suo servo persino
di ricondurre suo figlio al punto di partenza216.
Animato da questa volont, Levinas propone il Desiderio opposto al bisogno, che,
come risulta dalla citazione fatta pi su, non ha a che fare con la mancanza, ma al di l
della mancanza, si contraddistingue, cio, per la sua insaziabilit, perch non ha un
214

Ivi
Cfr. E. Levinas, Scoprire lesistenza, cit., pp. 221-222
216
Ivi, pag. 219
215

oggetto mondano capace di soddisfarlo: Desiderio insaziabile, non perch corrisponda a


una fame infinita, ma perch non reclama alcun nutrimento. Desiderio senza
soddisfazione. [] I desideri che si possono soddisfare somigliano soltanto in qualcosa
al Desiderio autentico: nella soddisfazione inferiore alle attese a o nella volutt scandita
dallaccrescimento del vuoto. [] Il vero Desiderio quello che il Desiderato non sazia
ma rende pi profondo. E bont. Non si riferisce a una patria o a una pienezza perdute,
non la malattia del ritorno e neppure nostalgia. [] Non sarebbe anche possibile
interpretare il mito platonico dellamore, figlio dellabbondanza e della miseria, come la
testimonianza che, nel Desiderio, si d lindigenza di una ricchezza, linsufficienza di ci
che sufficiente? Platone, rifiutando nel Simposio il mito dellandrogino, non ha forse
affermato la natura non nostalgica del Desiderio, la pienezza e la gioia dellessere che lo
esperisce?217.
La mancanza della soddisfazione pu attualizzarsi solo in un movimento che non
ritorna allo Stesso, e che, pi che partire da me, parte da Altri, in quanto lAltro a
irrompere nella totalit mettendo in questione il mio potere di potere facendomi un
appello, del quale possiamo parlare in termini di resistenza etica: Una messa in
questione del Medesimo che non pu essere fatta nella spontaneit egoistica del
Medesimo fatta dallAltro. Questa messa in questione della mia spontaneit da parte
della presenza dAltri si chiama etica218. In questa rottura lIo va verso Altri per non
tornare pi; il non ritorno, che impedisce al circolo di chiudersi, chiamato da Levinas
liturgia: Vorrei definire lopera dello Stesso in quanto movimento senza ritorno dello
stesso verso lAltro liturgia, allontanando per da tale termine, per ora, ogni
significato religioso, anche se alla fine delle nostre analisi una certa idea di Dio dovesse
mostrarsi come traccia. Del resto, azione assolutamente paziente, la liturgia non viene
annoverata come culto accanto alle opere e alletica. E letica stessa 219.
Il movimento etico sconvolge la coscienza della coincidenza dello Stesso con s;
questo il Desiderio, il quale misura linfinit dellinfinito220. Esso si caratterizza per il
suo essere mancanza di misura, dato che le categorie della quantit, tipiche
217

Citazione in F. Ciaramelli, La distruzione del desiderio, cit., pag. 70


Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 41
219
Cfr. E. Levinas, Scoprire lesistenza, cit., pag. 221
220
Ivi, pag. 200
218

dellontologia, non valgono in quella che la sua dimensione, ovvero la morale. Il


motivo per il quale ad esso pu essere attribuito un tale termine va ricercato nel fatto che,
essendo altro dallontologia, misura proprio la mancanza di misura, o meglio, misura
proprio perch mancanza di misura. Il termine, a questo livello, non deve essere inteso
come ci che si occupa quantitativamente del rapporto tra una grandezza e unaltra ad
essa omogenea, scelta come unit, ma come espressione di una trascendenza che in
nessuno modo pu essere riportata totalmente nellambito della totalit. In altri termini,
con questa parola si indica una distanza e una separazione della Trascendenza che
garantisce lalterit di altri contro ogni tentativo di tematizzazione fatta dalla conoscenza.
5. LA MESSA IN QUESTIONE DELLIDENTITADELLIO
La relazione del soggetto con il volto determina una situazione in cui il primo si
spoglia della sua identit per volgersi alla responsabilit. La denudazione non la
limitazione, ma la rottura della totalit, la quale fa cessare il movimento egoistico del
Medesimo, interrompendo il per s (il conatus essendi), per farlo diventare per altri.
Se il volto limitasse il Medesimo, non sarebbe rigorosamente Altro, ma soltanto un
qualcosa di sottomesso alla totalit. Ci accadrebbe perch si opporrebbe non con una
resistenza etica, ma con una resistenza ontologica, che implicherebbe un rovello per
lessere preoccupato di s, il quale, di fronte a ci che vuole limitarlo, si metterebbe
subito in moto per risucchiare ci che impedisce al suo movimento, che tende a porsi
come un assoluto, di diventare tale. Lesercizio del Medesimo si manifesterebbe allora
nella riduzione dellAltro a s. Riduzione che, senza la presenza di Altri, si manifesta gi
a livello materiale, modo dessere di un ente che si occupa solo di s, restando in questo
modo inchiodato, asservito a s: Questa maniera di occuparsi di s la materialit del
soggetto. Lidentit non una relazione inoffensiva con s, ma un asservimento a s; la
necessit di occuparsi di s221. Nulla di diverso accade se ci spostiamo dal lato della
riflessione, perch la conoscenza non in grado di superare la solitudine Inglobando
il tutto nella sua universalit, la ragione si trova a sua volta nella solitudine. Il
solipsismo la struttura stessa della ragione222.
221
222

Cfr. E. Levinas, II Tempo e lAltro, cit., pag. 28


Ivi, pag. 36

Fortunatamente lassolutizzazione della solitudine non pu accadere, perch oltre


allontologia c anche unaltra dimensione, quella etica. Questa deve essere considerata
come quella messa in questione della spontaneit egoistica del Medesimo fatta
dallAltro, vista la sua estraneit la sua irriducibilit a me, ossia ai miei pensieri e ai
miei possessi. Rispetto a questo, il Medesimo non pi attivit identificativa, ma
accoglienza dellaltro in quanto altro.
La produzione del volto destituisce, dunque, il soggetto dalla sua sovranit; questo,
per, non significa che gli arrechi unoffesa, in quanto lio non viene concretamente
spogliato delle sue potenzialit, ma le conserva intatte, visto che Altri non una
limitazione dello Stesso: Laltro non un essere che incontriamo, che ci minaccia o che
vuole impadronirsi di noi. Il fatto che refrattario al potere non implica una potenza pi
grande della nostra223. Per Levinas questa una precisazione fondamentale; il filosofo
avverte lesigenza di chiarire, perch qui c la chiave di volta dellaffermazione
dellalterit: Precisazione fondamentale: io non pongo altri (autrui) innanzitutto in
termini di libert, caratteristica nella quale implicito in partenza lo scacco della
comunicazione. Poich con una libert non pu esserci altra relazione se non quella della
sottomissione e dellasservimento. In ambedue i casi, una delle due libert annientata.
La relazione tra padrone e servo pu essere colta al livello della lotta, ma allora diventa
reciproca. Hegel ha mostrato appunto in che modo il padrone diventa il servo del servo
ed il servo il padrone del padrone224. Lalterit non dunque posta dal filosofo in
termini di libert, perch questa non capace di consentire un movimento del genere,
essendo tipica di un soggetto narcisistico che non in comunicazione con la
trascendenza. Essa non assolutamente lesistenza di unaltra libert a fianco della mia:
su questultima ho un potere, mentre quella mi assolutamente estranea, senza potere
possibile.
Pertanto, di fronte ad Altri, lIo conserva tutta la forza che ha, solo che, ricevendo
lappello etico, si vergogna di questa sua tendenza alla prevaricazione, risvegliandosi
cos nella sua responsabilit. Nellirruzione del volto lIo si sente ingiustificato e
ingiustificabile nel suo egoismo, si sente colpevole, trasfigurandosi, conseguentemente,
come soggetto che diventa tale nella responsabilit e nellospitalit accogliente Altri;
223
224

Ivi, pag. 56
Ivi

ancora potere, egli mette da parte il potere, lo sospende. Inevitabilmente, lappello


anche accusa per legoismo di un essere il cui unico scopo quello di preservarsi nel suo
essere attraverso la violenza su ci che gli si oppone in quanto altro. La vergogna
dellIo penso si tramuta, in questo modo, in responsabilit verso lindigente, come se
si avviasse un processo di sdebitamento senza fine (espiazione della soggettivit), un
processo di denucleazione di s che si realizza come bont essere responsabili significa
essere buoni che non fa pi calcoli e che si pone in contrasto con le strategie adottate
per il conseguimento dei propri interessi. Altri che chiede il mio aiuto la vergogna
verso me stesso, ossia verso la mia tendenza allimperialismo e allegoismo che uccide.
A questo livello si verifica un rovesciamento, perch mentre nellontologia io
preoccupato di s limbarazzo del soggetto la bont che un derivato della
debolezza di un essere che non riesce nella piena affermazione di s , nelletica io
preoccupato di Altri in quanto Altri la sua vergogna la mancanza di bont, intesa,
questa, come laltezza pi grande, essendo un movimento che porta allaltro e non un
ritorno su di s. La buona coscienza dello Stesso turbata da questa venuta improvvisa
che ha messo in crisi tutte le sue certezze, inquietando quel riposo dellidentico che
lo scopo della sua attivit: Solo se lidea dellinfinito significasse il crollo della buona
coscienza dellIdentico, la presenza del volto lidea dellinfinito in me potrebbe
essere la messa in questione della mia libert225.
La messa in questione dellidentit dellio una messa in questione della libert,
perch questa, come abbiamo visto nella prima sezione, ontologia, e mira ad
appropriarsi di tutto ci che gli si oppone in quanto altro. Ci che si evidenzia, in essa,
non altro che il trionfo dellIdentico, della sua autonomia, attraverso la soppressione di
ogni alterit radicale. Ribadiamo ancora una volta che Levinas non intende, per libert, il
libero arbitrio, ma ladeguazione del pensiero alla cosa. Il fatto che nemmeno in questo
caso si esce dalla filosofia della potenza, perch, pur denunciando larbitrariet del modo
suddetto di intendere la libert, comunque la si sottomette ad un fondamento ultimo
quindi ancora al Medesimo , sia esso la Coscienza trascendentale, o lo Spirito
universale, o la Ragione suprema e cos via. Il male, allora, sarebbe una limitazione della

225

Cfr. E. Levinas A. Peperzak, Etica come filosofia prima, cit. pag. 43

libert che non riesce a raggiungere il suo scopo, che riguarda lo smantellamento del
limite per precipitare nel fondamento.
Per chiarire meglio il concetto di libert come liberum arbitrium e come
adeguazione si tenga presente A. Schopenhauer, il quale si occupa e delluno e dellaltro
senso del termine. Per quanto riguarda il primo modo di intendere la libert, egli la
definisce come assenza di necessit, intesa, questultima, non in senso logico
necessario ci il cui contrario impossibile, oppure ci che non pu essere
altrimenti226 , ma nel senso del suo principio di ragion sufficiente, per cui essa diventa
ci che deriva da una data ragion sufficiente227. La stretta connessione tra
necessit e conseguenza di una data ragion sufficiente cos dimostrata, per cui
assenza di necessit sarebbe identica ad assenza di un determinata ragione
sufficiente228. Traducendo questo in termini pi semplici possiamo dire che il libero
arbitrio la capacit di volere al di l di qualsiasi determinazione.
Senza dilungarci troppo, arriviamo subito al dunque, e diciamo che per il filosofo
questa libert non esiste, perch luomo, essendo un fenomeno nel tempo e nello spazio
come gli altri, sottomesso al principio di causalit, e quindi subisce la determinazione
dei motivi (per Schopenhauer il motivo una forma della legge di causalit e vale per
luomo, mentre per i corpi inorganici si parla di cause e per quelli organici ad
eccezione delluomo, chiaramente si parla di stimoli). Inoltre, si deve anche tener
presente che lessere vivente umano ubbidisce a quello che il suo carattere intelligibile,
il quale una manifestazione noumenica della volont e dal quale deriva la sua
manifestazione fenomenica, ossia il carattere empirico, che, a differenza del primo, nel
tempo e nello spazio e, quindi, quel carattere che ritroviamo nellesperienza
fenomenica. Il filosofo, per, trova nellessere ci che non trova nel fenomeno, e quindi
la libert non si pu incontrare nelloperari deve stare nellesse soltanto nellesse
sta la libert, ma da questo e dai motivi segue necessariamente loperari229. Il principio
delloperari sequitur esse fa emergere la libert come adeguazione: Luomo fa sempre
ci che vuole e pure lo fa necessariamente. Ci dipende dal fatto che egli gi ci che
226

Cfr. A. Schopenhauer, La libert del volere umano, Universale Laterza, pag. 47


Ivi
228
Ivi, pag. 48
229
Ivi, pag. 146
227

vuole, poich da ci che segue necessariamente ci che di volta in volta fa La libert


non dunque eliminata dal mio discorso, ma soltanto spostata pi in alto, in una
regione superiore230. Adeguazione delloperari allesse perch nellEssere, ovvero nel
fondamento che nel caso di Schopenhauer la volont che c libert assoluta. Si
noti come manifestamente la sottomissione della libert ad un fondamento assoluto
sempre interna allontologia e nega, conseguentemente, laltra dimensione la
dimensione etica, che richiede la relazione con Altri in quanto Altri. Ci accade perch
riportando la libert alla volont la si riconduce a quel principio dal quale tutte le cose
derivano e nel quale tutte le cose sono: ritorna la totalit, ritorna il solipsismo del
Medesimo.
Bisogna precisare, per, che Levinas non mira ad abolire la libert, ma a dargli un
altro senso, completamente diverso da quello che ha nella filosofia tradizionale. Del
resto, come vedremo successivamente, non potrebbe dire altrimenti, visto che lIdentico
come Io spontaneo e libero che si impadronisce del mondo per sentirsi a casa sua
necessario per lattualizzarsi della relazione metafisica. Senza un certo egoismo, infatti,
la relazione tra Medesimo e Altri sarebbe impossibile. Si tratta, perci, solo di dare il
giusto senso allautonomia dellio. Per descrivere una tale situazione il filosofo parla di
investitura della libert231, intendendo, con questa locuzione, lautonomia di un ente
giusto la cui libert non violenza perch investita da altri. Linvestitura ci che non
annulla la-casa-propria del soggetto, ma la sua giustificazione che rende sensata la sua
esistenza. Ritorna ancora una volta lidea dellinfinito, che qui emerge come momento
delleteronomia nellautonomia; la prima giustifica la libert rendendola responsabile di
altri di fronte ad un appello che io non ho deciso di sentire.
Considerato il fatto che non stiamo a livello dellontologia, dove qualsiasi cosa
viene assunta, ma nella dimensione etica, tale responsabilit acquista la forma del
Desiderio metafisico, perch pi io mi assumo la responsabilit pi essa si accresce. Si
ricordi dellinsoddisfazione del Desiderio di cui abbiamo parlato prima, dove abbiamo
spiegato che esso resta tale in quanto non c nulla che pu soddisfarlo. Leteronomia
evita alla libert di assolutizzarsi cosa che sarebbe la pi grande violenza sullaltro
dandole un compito e un senso: Lesistenza non condannata alla libert, ma giudicata
230
231

Ivi, pag. 147


Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 84

e investita come libert La volont, che nellincontro con Altri viene giudicata, non fa
suo il giudizio che accoglie, perch il volto non sul mio stesso piano. Se cos fosse,
sarebbe ancora il ritorno dellIdentico a decidere in ultima istanza dellAltro;
leteronomia sarebbe cos riassorbita nellautonomia. La struttura della volont che
diventa bont non ha pi alcun rapporto con la spontaneit gloriosa e autosufficiente
dellIo e della felicit intesa come ultimo movimento dellessere, ma ne piuttosto il
rovesciamento Quanto pi divento esigente con me stesso, tanto pi grave si rende il
giudizio che mi riguarda, cio la mia responsabilit. E laggravarsi della mia
responsabilit accresce quelle esigenze.232
Il soggetto esce dalla sua solitudine per mettersi in rapporto con Altri; in esso io
sono il potente, mentre Altri il debole. Ma proprio per questo motivo che devo
prestargli soccorso. Facendo questo, sono in rapporto anche con Dio, perch Dio
comanda solo attraverso gli uomini per i quali necessario agire 233; ed essendo in
rapporto con Dio, sono in rapporto con la trascendenza, ovvero con quellideatum che
supera lidea di cui parlavamo prima: Linfinito il carattere proprio di un essere
trascendente in quanto trascendente, linfinito lassolutamente altro. Il trascendente
lunico ideatum di cui possiamo avere in noi solo unidea; esso infinitamente lontano
dalla sua idea cio esteriore perch infinito234.
Tale discorso possibile solo perch c Altri, il quale mantiene unesteriorit
assoluta rispetto a me e mette in questione la mia libert, facendomi scoprire indegno.
Nella scoperta della mia indegnit nasce la verit, perch questa non il Medesimo che
ritrova il Medesimo verit ontologica , ma rapporto con lassolutamente altro, con
Altri verit etica. Inoltre, in questultima il soggetto, spogliandosi dei suoi poteri
prevaricanti, accoglie Altri, prestandogli aiuto e rispettandolo nel suo essere altro.
Cartesio, a proposito dellidea dellinfinito, direbbe: bisogna avere lidea del Perfetto per
conoscere la propria imperfezione. La cosa, tradotta in termini levinassiani, significa:
bisogna aver accolto Altri per scoprire la mia indegnit.
La buona coscienza della coincidenza del Stesso sorpresa dalla coscienza della
vergogna di tale coscienza, ovvero dalla coscienza morale. Questultima, essendo
232

Cfr. E. Levinas A. Peperzak, Etica come filosofia prima, cit. pag. 44, sottolineato mio
Ivi, pag. 45
234
Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 47
233

laccoglienza dAltri, pu nascere, e nasce, solo quando la libert, invece di


autogiustificarsi e di vagheggiare la sua assolutezza, si sente arbitraria e violenta.
Accogliendo Altri la coscienza morale mette in crisi il sistema del mio potere, in quanto
mi rivela una resistenza non pi grande, ma diversa, totalmente diversa, che non mette in
scacco il mio potere (non potrebbe, perch non mi oppone unaltra forza, casomai
maggiore), ma lo mette in questione, facendo scoprire la libert come omicida nella sua
attivit. La libert, scoprendosi ingiustificata, arbitraria (cosa che invece non accadrebbe
se, ragionando per assurdo, non ci fosse il piano etico, ma solo quello ontologico, in
quanto, essendoci un fondamento, essa diventerebbe il movimento delladeguazione,
ovvero della rappresentazione e della evidenza, trasformandosi cos in riduzione
dellaltro in medesimo), si trasfigura in accoglienza dAltri, in coscienza della mia
ingiustizia, la quale ultima non altro che la coscienza morale: Laccoglienza daltri
ipso facto la coscienza della mia ingiustizia la vergogna che la libert prova per s. Se
la filosofia consiste nel sapere in modo critico, cio nel cercare un fondamento alla
propria libert, nel giustificarla, essa comincia con la coscienza morale nella quale
lAltro si presenta come Altri e nella quale il movimento della tematizzazione si
rovescia. Ma questo rovesciamento non equivale a conoscersi come tema intenzionato
da Altri; bens a sottomettersi ad una esigenza, ad una moralit. Altri mi misura con uno
sguardo che non paragonabile a quello con il quale lo scopro io. La dimensione di
maestosit nella quale si situa Altri, il dislivello della trascendenza. Altri
metafisico235.
La filosofia, essendo critica, non pu cadere nellerrore che pur ha quasi sempre
commesso, ossia ridurre tutto al Medesimo. E questo non lo pu fare proprio perch
critica; il senso del discorso di Levinas il seguente: se essa vuole trovare il senso della
libert, certo non pu rivolgersi al fondamento, perch la svilirebbe, in quanto la
considererebbe come violenza. Deve rivolgersi, dunque, a qualcosa daltro, e
precisamente a ci che capace di darle dignit, ovvero ad Altri. In questo senso la
filosofia nasce non dal Medesimo, ma dalla Trascendenza: Di conseguenza, se lessenza
della filosofia consiste nel risalire, al di qua di tutte le certezze, verso il principio e se la
filosofia vive di critica, il volto di Altri sarebbe linizio stesso della filosofia 236. In altri
235
236

Ivi, pp. 85-86


Cfr. E. Levinas A. Peperzak, Etica come filosofia prima, cit. pag. 46

termini, si pu anche dire che la filosofia deve iniziare dalla coscienza morale, se vero
come vero che essa considerata dal filosofo come esposizione della mia libert al
giudizio di Altri237; ed essendo questo, essa diventa il criterio supremo da cui dipendono
ogni giustizia ed ogni verit.
Altri, si ricordi, ci che sfugge al mio potere, anche se lo uccido, quindi non
diventer mai un oggetto del mio pensiero. Nella citazione della pagina precedente
Levinas parla del volto come rovesciamento della tematizzazione. Dire questo non
significa dire, e il filosofo lo specifica, che adesso sono io loggetto dellaltro, ma
significa rompere con la violenza delloggettivazione per far s che possa entrare in gioco
la morale, la sua coscienza.
Il soggetto ontologico un essere che si conosce, si rappresenta, si possiede,
libero perch unidentit che resta tale anche quando qualcosa vuol contestare il suo io,
ovvero anche quando qualcosa gli si vuole presentare come non-io. Lessenza della
libert, qui, limperialismo del Medesimo, che non indietreggia di fronte a nulla; anzi, il
qualche cosa di esterno diventa, per esso, solo un gioco, attraverso il quale egli continua
il suo processo identificativo crescendo sempre pi su se stesso. Ma quanto pi il
soggetto cresce su se stesso tanto pi il rispetto dellalterit dellaltro negato, tanto pi
aumenta la violenza.
Eppure, questa libert che non arretra davanti a nulla ha pur qualcosa rispetto alla
quale costretta ad indietreggiare: Altri. Ci che non poteva accadere a livello
ontologico accade a livello etico. Nondimeno, questo arretramento non uno scacco per
essa, ma la sua dignit, il suo vero senso, poich Altri la giustifica e la investe. La dignit
deriva dal fatto che Altri non garantisce alluomo dei poteri e un fondamento, ma lo
mette in questione invitandolo alla giustizia. Il processo, per, non avr mai fine, perch
la giustizia non potr mai essere soddisfatta, dato che, essendo in relazione con la
trascendenza, lesigenza della giustizia non altro che Desiderio Desiderio metafisico
, che, in quanto tale, non potr mai essere appagato. Ma precisamente questo, ovvero
limpossibilit di raggiungere la fine, di chiudere il circolo del Medesimo, a costituire la
sporgenza rispetto allessere tutto il Bene, Bont.

237

Ivi

Il salvataggio della libert, la quale stata recuperata nella sua dignit


provocando luscita dalla totalit, consente anche un altro ordine di considerazione:
Non che il per s sia limitato o in malafede, ma di per se stesso non che libert,
cio arbitrario e ingiustificato e, in questo senso, detestabile; io, egoismo 238. S,
detestabile perch monadico, non entra in rapporto con alcunch, o meglio, quando lo
fa solo per dissolvere la relazione per il tramite della negazione dellalterit.
Tuttavia, il volto impedisce il solipsismo, e lo fa chiamando alla responsabilit.
Ora, se consideriamo che il piano etico preesiste al piano ontologico 239 e tutto quello
che abbiamo espletato in questo capitolo ci rendiamo conto che alla domanda cosa
viene prima, il primo o il secondo? lunica risposta possibile, da dare senza la minima
esitazione, deve essere necessariamente la responsabilit viene prima della libert.
Solo che, appena diciamo questo, dobbiamo smontare il campo dagli equivoci, perch
ci non vuol dire che la responsabilit debba essere considerata alla stessa stregua
dellarch aristotelico, ossia come il principio di tutti i principi, che ci fa precipitare
nellerrore della filosofia occidentale; questa postula lesistenza di un fondamento buono
e affida al pensiero il compito e la capacit di coglierlo, cadendo, in questo modo, nella
totalit. Infatti, il fondamento fa parte senzaltro dellordine del passato, ma, nel
momento in cui il pensiero lo coglie, lo fa rappresentandolo, ossia rendendolo
nuovamente presente, creando quella situazione di dissolvimento del passato che non
pi tale perch caduto nel presente del cogito. A proposito di tale questione abbiamo
detto nella sezione prima che il tempo dellontologia il tempo del recuperabile, e
abbiamo aggiunto che, nel momento in cui c ri-presentazione, si raggiunge la verit
(ontologica), ossia limmanenza dellessere che diventa tale nella coscienza di s. Nel
tempo in cui nulla perduto non c spazio per lalterit, se vero come vero che il
tutto che si stacca dal tutto temporalit del tempo ontologico il gioco del
Medesimo, giocato da questi per ritrovarsi. Di conseguenza, nella coscienza riflessiva c
il ritorno di s a s verit.
Ora, chiaro che se noi togliamo la responsabilit dal gioco del perdersi e del
ritrovarsi per riconoscersi come tale da parte dellEssere, dobbiamo, per evitare che essa
sia mancanza di significato, introdurre un altro universo di discorso. Questo deve essere
238
239

Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 87


Ivi, pag. 206

capace di uscire dalle categorie della rappresentazione, e quindi deve essere capace di
parlare della responsabilit non in termini di presente e di dissolvimento del passato. In
altre parole, deve avere la forza di introdurre una responsabilit che sia legata ad un
passato irrecuperabile irrappresentabile che si temporalizza secondo un tempo ad
epoche separate, secondo la sua diacronia240.
Il motivo di questa esigenza deriva dal fatto che se il soggetto fosse colui il quale
decide liberamente la sua condizione di responsabile, allora assumerebbe la
responsabilit facendola diventare elemento costitutivo della sua identit; in questo caso,
e cio nel caso in cui essa soggiace alla sintesi della coscienza riflessiva che tutto riduce
a s perch tutto raccoglie in presenza, saremmo ancora al di fuori delletica, e la mia
azione responsabile non sarebbe altro che il calcolo di un essere preoccupato della cura
di s. Ma le cose non stanno cos, perch essa eccede ogni rappresentazione e quindi
ogni presente, un tempo senza origine. Ci che gli appartiene non larch, ma
lan-archia, ovvero il non inizio: La sua an-archia non potrebbe comprendersi come
semplice risalire da un presente ad un presente anteriore, come unextrapolazione di
presenti secondo un tempo memorabile, cio raggruppabile nel raccoglimento di una
rappresentazione rappresentabile241. La presenza di un passato mai abbastanza passato,
irrappresentabile, la diacronia non sincronizzabile, anteriore ad ogni iniziativa del
soggetto, che rompe con la totalit e con limperialismo del soggetto e lo fa diventare
per altri.
Sostenere, dunque, che la responsabilit prima della libert, un giudizio retto,
ma solo se non si intende questo prima come quel principio assoluto recuperabile nel
presente del cogito, bens come un prima del prima, irrecuperabile, passato sempre
passato, anteriorit pi antica dellapriori Ci fu un tempo irriducibile alla presenza,
passato assoluto, irrappresentabile242.
Limpossibilit di questa caduta del passato nel presente precisamente lal di l di
qualsiasi ontologia che elude qualsiasi tentativo di inglobare, superare, dominare Altri,
facendo di questi un qualcosa di indipendente da noi.

240

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 59


Ivi, pag. 66
242
Ivi, pp. 125 e 154
241

6. LA SEPARATEZZA DEL SOGGETTO


La relazione metafisica relazione asimmetrica richiede la presenza del volto, il
quale, nella nudit della sua forma, impedisce lattivit onniglobante del Medesimo
mettendo in crisi quellidentit raggiunta per mezzo della riduzione dellaltro in quanto
altro, che per il filosofo francese Altri.
Tuttavia, tale relazione non fa leva soltanto sul volto, ma anche sulla separatezza
del soggetto, anchessa condizione fondamentale a che si possa realizzare un rapporto tra
due termini che non si lasciano inglobare da alcunch.
La cosa fa meraviglia, se teniamo presente che finora abbiamo parlato del soggetto
separato in termini di identificazione dellidentit dellIo, la quale ultima diventata
loggetto della nostra messa in questione in questo capitolo perch essa nemica del
rispetto dellaltro, visto che, come il soggetto fichtiano, pretende di costituire anche il
non-Io.
C da dire, per, che per Levinas, come ormai sappiamo, ci sono due universi di
discorso, quello ontologico e quello etico. Di conseguenza, la meraviglia precedente
ridotta a teoresi, poich se nel primo caso si stava tenendo in considerazione un certo
ambito, ora ci stiamo volgendo in unaltra sfera, allinterno della quale chiaro (e
distinto) che non pu valere il discorso fatto per la precedente, altrimenti non ci sarebbe
nessuna differenza, e le due obbedirebbero ad un principio di identit che ridurrebbe a
gioco di parole non solo la nostra esposizione, ma anche la filosofia levinassiana. Si
aggiunga, a questo, che nella sfera delletica la negativit dei concetti si trasfigura in
positivit perch il senso deriva da essa, non dallontologia, e quindi se nei capitoli
precedenti facevamo un ragionamento prettamente ontologico, la valutazione dei termini
(Io, identit, ateismo ecc.) non poteva che essere negativa, dato che essi, mettendo tra
parentesi letica, non ricevevano il giusto senso (la stessa cosa che abbiamo fatto noi lha
fatta precisamente anche la tradizione greco-cristiana). Adesso, invece, rivolgendoci
allaltro dellontologia ci rivolgiamo alla sorgente prima o ultima del senso, e quindi
gli stessi concetti possono essere investiti da quella che poi lo specifico di essa: la
bont. Cercheremo di spiegarci meglio vedendo concretamente ci che abbiamo
affermato.

La chiave di volta contenuta in Totalit et Infini: Il Medesimo e lAltro sono tra


loro in rapporto e, nello stesso tempo, si assolvono da questo rapporto, restando
assolutamente separati. Lidea dellInfinito richiede questa separazione 243. Da questa
citazione emerge con chiarezza che la relazione metafisica, ovvero quella paradossale
relazione con lalterit, in cui la relazione non lega dei termini che si completano e che,
quindi, mancano luno allaltro, ma dei termini che bastano a se stessi. Questa relazione
Desiderio, vita di esseri che sono giunti al possesso di s 244, esige dei termini che
entrano s in rapporto, ma che, al contempo, sono in grado di assolversi da esso, in
quanto n si costituiscono in virt di esso n si risolvono in esso, ma vivono la relazione
positivamente separati, luno nella medesimezza del proprio io e laltro nellalterit della
sua assoluta esteriorit.
Certamente, dunque, Schopenhauer si sbaglia quando afferma che il rapporto solo
fenomenico e quindi lo considera come rappresentazione. Questa legame tra soggetto e
oggetto concepisce i due termini in funzione dellaltro, per cui il soggetto e loggetto
sono tali in virt del loro opposto: Sul proposito di tutta la nostra precedente
considerazione forse da osservare ancora quanto segue. In essa non abbiamo preso le
mosse n dalloggetto n dal soggetto; bens dalla rappresentazione, la quale gi li
contiene e li presuppone entrambi; poich la divisione in oggetto e soggetto la sua
forma prima, pi generale e pi essenziale noi partiamo n dalloggetto n dal
soggetto, ma dalla rappresentazione, come primo fatto della coscienza, di cui
essenzialissima forma fondamentale lo sdoppiarsi in oggetto e in soggetto 245. La
costituzione dei due termini in virt della relazione spinge questo filosofo ad affermare
che tanto il materialismo quanto lidealismo sono falsi, perch sostengono che loggetto
causa del soggetto materialismo o il soggetto causa delloggetto idealismo.
Dicendo questo, Schopenhauer cade in un duplice errore, perch se i due termini sono
tali solo nel rapporto rappresentativo, essi non solo si costituiscono per il suo tramite, ma
anche si risolvono in esso, in quanto se io tolgo la rappresentazione scompaiono anche e
il Medesimo e lAltro.

243

Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 103


Ivi, pag. 105
245
Cfr. A. Schopenhauer, Il mondo come volont e rappresentazione, Biblioteca Universale Laterza, pp. 48 e 58
244

Ma da questa critica non si sottrae nemmeno Heidegger (punto di riferimento


essenziale, assieme ad Husserl, del pensiero levinassiano), la cui filosofia del Neutro
subordina allontologia il rapporto con Altri, facendo dellintersoggettivit un noi
anteriore a Me e allAltro, unintersoggettivit neutra246.
Dunque, lio, per poter stare nella relazione metafisica, deve avere il presupposto
della sua identit, che gli consente di permanere come il Medesimo pur nelle proprie
modificazioni, ovvero pur incontrando gli oggetti che sono altro da s (sappiamo gi che
il Medesimo rimane lo Stesso in quanto in grado di riportare lalterit allidentit
dellIo Penso attraverso il possesso): Lidentificazione del Medesimo il
concreto dellegoismo. Questo essenziale per la possibilit della metafisica 247. Lidea
dellInfinito, pertanto, per potere essere quello che il non finito nel finito, miracolo
esige non solo lesteriorit di Altri, ma anche linteriorit del Medesimo, altrimenti non
potrebbe prodursi. Se il soggetto svanisse sicuramente non avremmo pi la
determinazione dellAltro da parte dellIo, ma si produrrebbe un rovesciamento
allinterno del quale questa volta sarebbe lAltro a determinare lIo. Ma allora le cose
non cambierebbero affatto, perch saremmo comunque sempre allinterno della logica
del Medesimo, la cui unica parola totalit, rispetto alla quale qualsiasi forma di
trascendenza sarebbe sempre interna allimmanenza.
Insomma, la possibilit della particella in dellinfinito pu realizzarsi solo se si
rende possibile quella situazione in cui il pi che resta sempre e comunque pi si
mette nel meno che resta sempre meno: Lidea dellInfinito presuppone la
separazione del Medesimo dallAltro248. Si faccia attenzione a questa frase: Levinas non
dice separazione dellAltro dal Medesimo (che pur esigita dalla relazione metafisica),
ma separazione del Medesimo dallAltro. Ci dimostra quanto stiamo dicendo in
queste pagine, perch non deve essere solo lAltro a distinguersi dal Medesimo, ma
anche viceversa, in quanto solo cos che i due termini possono rimanere separati (non
tragga in inganno questo dire di Levinas, quindi non si pensi, leggendolo, che non valga
la situazione inversa. Il filosofo parla in questi termini perch ha gi chiarito il contrario,

246

Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 66


Ivi, pag. 36
248
Ivi, pag. 54
247

mentre nelle pagine in cui compare la citazione si sta sforzando di far capire anche la
situazione del soggetto che si mette in rapporto con lalterit).
Sostenendo la separazione della soggettivit da Altri, quindi, non la si vuole
annullare a tutto vantaggio di questultimo, ma, cos come accadeva per la libert, le si
vuole dare il giusto senso: Questo libro si presenta allora come una difesa della
soggettivit, ma non la coglier al livello di una protesta puramente egoistica contro la
totalit, n nella sua angoscia di fronte alla morte, ma come fondata nellidea
dellinfinito249; solo se lio in grado di accogliere laltro che possibile fare un
discorso circa la trascendenza. Ma lio che in grado di rispettare lalterit dellaltro un
essere separato dallaltro, che in alcun modo pu unirsi ad esso; e se tale separazione lo
fino allateismo, definito in precedenza come legoismo di un ente che rompe la
partecipazione con il divino. A questo livello, senzaltro un motivo di gloria per il
creatore laver messo al mondo un essere capace di ateismo, un essere che, senza essere
stato causa sui, ha lo sguardo e la parola indipendenti e si sente a casa sua 250; e questo
per la ragione suddetta: in tanto pu esserci rapporto del soggetto con Altri in quanto e il
primo e il secondo non si congiungono.
Certo, un essere ateo un essere che corre il rischio di essere pagano, ma per lidea
dellInfinito lessere separato deve correre il rischio del paganesimo che attesta la sua
separazione e in cui questa separazione si attua, sino al momento in cui la morte di questi
dei lo ricondurr allateismo e alla vera trascendenza 251. E solo lente ateo, ossia il
soggetto egoista e per s, che pu rompere con la partecipazione che unirebbe i due
termini della relazione luno allaltro , mettendosi cos in contatto con lAssoluto
epurandolo dalla violenza del sacro252.
Dunque lindipendenza atea dellessere separato rende possibile la relazione
asimmetrica, dato che rompe con la partecipazione, nella quale un ente, dipendendo da
un altro ente, trae il suo essere da altro, non da s (si pensi ad esempio alle cose concrete
di Platone, le quali, partecipando alle idee, ricevono il loro essere da queste ultime); la
rottura della partecipazione, invece, precisamente lesistenza di un essere che non
249

Ivi, pag. 24
Ivi, pag. 57
251
Ivi, pag. 143
252
Ivi, pag. 75
250

dipende, per cui non riceve il suo essere, ma lo trae da s (si chiarifica ulteriormente, a
questo punto, perch il Desiderio metafisico nasce in un essere che non manca di nulla).
Cos se vero come vero che la separazione atea unignoranza dellAltro da parte
dellIo, altrettanto vero che essa la condizione di possibilit della produzione
dellidea dellinfinito, la quale senzaltro al di sopra dellegoismo, ma richiede tale
egoismo.
Questa situazione delineata spinger Levinas a cambiare la nozione di Essere,
inteso non pi come monade, ossia come lunit della molteplicit, ma come pluralit:
Lessere si produce come multiplo e come scisso in Medesimo e Altro. Questa la sua
struttura ultima. E societ e, quindi, tempo. Cos usciamo dalla filosofia dellessere
parmenideo253. Il cambiamento di prospettiva mette in risalto anche che la separazione,
la quale, come abbiamo visto precedentemente, si attua concretamente come abitazione
ed economia, non deve essere interpretata negativamente, e quindi in termini di
decadenza, ovvero come caduta da un presunto Eden originario (la quale ha causato la
molteplicit), ma in termini positivi, cio come lesistenza di un essere che a casa
propria e che, proprio in virt di questo suo egoismo, in rapporto con la trascendenza.
In esso i termini non si legano perch si completano in quanto mancano luno allaltro,
ma sono termini che bastano a se stessi. La relazione metafisica realizza un essere
multiplo, il pluralismo, inaugura una societ. Ci non potrebbe verificarsi se si parlasse
in termini di svelamento, in quanto la manifestazione sarebbe accolta dalla coscienza; e
laccoglimento della coscienza non altro che il diverso che si raccoglie nellunit
dellappercezione trascendentale, la quale, per essenza, proprio la sintesi di ci che gli
si presenta come non unito.
In questo modo viene meno quella che Levinas definisce la relazione del faccia a
faccia, considerata come quella relazione irriducibile dellidea dellInfinito. In essa un
essere in rapporto con ci che non potrebbe assorbire, con ci che non potrebbe, nel
senso etimologico di questo termine, comprendere accoglimento di fronte e di faccia
dellAltro da parte mia Anche quando avessi legato lAltro a me attraverso la
congiunzione e, Altri continua a starmi di fronte, a rivelarsi nel suo volto lAltro mi
sta di fronte ostile, amico, mio maestro, mio allievo attraverso la mia idea
253

Ivi, pag. 277

dellInfinito. Certo, la riflessione pu prendere coscienza di questo faccia a faccia, ma la


posizione contro natura della riflessione non un caso nella vita della coscienza. Essa
implica una messa in questione di s, un atteggiamento critico che si produce proprio di
fronte allAltro e sotto la sua autorit Il faccia a faccia resta situazione ultima254.
Alla relazione del faccia a faccia si oppone la retorica, la cui essenza incontrare
Altri di lato per sorprenderlo e per ingannarlo. La retorica vuole il comando sullAltro,
desidera ma non metafisicamente annientare Altri in quanto Altri, prova piacere solo
se questi riconosce in me lessere superiore, il superuomo nietzschiano.
Il faccia a faccia, invece, permette al soggetto di avere il volto di fronte per
accoglierlo, non per inglobarlo. Esso rende possibile il pluralismo della societ; , in altri
termini, la relazione sociale, considerata, da Levinas, come quel Bene che sporge rispetto
allEssere, e quindi come la sporgenza della molteplicit sullUnit. Prima che la parola
giunga alla mia coscienza, io ho gi accolto Altri: meraviglia di una relazione ove la
trascendenza mostra tutta la sua gloria. Il faccia a faccia non consiste nel conoscere il
volto, nel metterlo nella forma plastica, ma lessere in rapporto con quella presenza che
ad ogni istante, come abbiamo detto prima, disfa la forma adeguata che io mi faccio di
lui. Insomma, quella comunicazione originaria che presuppone la tematizzazione,
perch prima di parlare allaltro uomo lho gi ospitato. In questo senso nel rapporto con
laltro non prevale la mia faccia, altrimenti si ritornerebbe alla prevaricazione e al
dominio su di esso.
7. LA FEMMINILITA
La cosa pi importante che stiamo mettendo in luce in queste pagine consiste nel
fatto che lesperienza eccezionale del rapporto con lassolutamente altro implica un
esistere in s come separato dallaltro; di conseguenza, lidentit dellio non solo una
separazione dallil y a, ma anche dal volto, il quale rappresenta proprio lultima
condizione di possibilit dellessere che a casa sua. Infatti, lidea dellInfinito non solo
esige un essere separato, ma, anche, lo provoca: Il bisogno umano si fonda da sempre
sul Desiderio. Il bisogno ha cos il tempo di convertire questo altro in medesimo,
254

Ivi, pp. 78-79

lavorando E proprio la relazione con lAltro che si inscrive nel corpo come sua
elevazione rende possibile la trasformazione del godimento in coscienza e lavoro
Cos lidea dellInfinito, che si rivela nel volto, non esige soltanto un essere separato. La
luce del volto necessaria alla separazione 255.
Ritorna, chiarendosi ulteriormente, quel siamo il medesimo e laltro di cui
parlavamo prima, perch non che ci sia prima lio e poi la messa in questione dellio,
ma lidentit ha come condizione laltro; dunque, lessere separato non si d se non in
virt della relazione metafisica, anche se resta separato da essa (deve assolversi dalla
relazione, dice Levinas), ovvero resta indipendente dal rapporto.
Ma se le cose stanno cos allora si impone una revisione del concetto di dimora di
cui abbiamo parlato nella sezione prima. In questa, dopo aver parlato del godimento (che
ora pure abbiamo scoperto come fondato dallAltro, se vero come vero che il tempo
presupposto dal bisogno mi fornito dal Desiderio 256) e della sua incertezza circa
lavvenire, effettuavamo un passaggio che permetteva al soggetto di vincere
linsicurezza del godimento. Il punto chiave che effettuava tale passaggio era
la-casa-propria: necessario, dicevamo l, che lIo, per poter vincere la preoccupazione,
sia capace di raccogliersi e di avere rappresentazioni; queste cose si producono
concretamente come dimora, la quale mi conferisce unextraterritorialit rispetto agli
elementi di cui gode la vita. Lextraterritorialit non altro che linteriorit di un essere
che esce dagli elementi e li domina attraverso il lavoro e la rappresentazione.
Ci che deve essere sottolineato, per (ed questo quello che ci mancava nel
capitolo precedente), che linteriorit della casa si produce nella dolcezza o nel calore
dellintimit. E questo un delizioso cedimento dellordine ontologico 257. La
dolcezza o il calore dellintimit per il filosofo non altro che il volto femminile, in
cui Altri si rivela. La rivelazione dAltri, per, non pu e non deve essere intesa come
lopposto che nega lio, ma nel senso di una rottura dellontologia entro la quale (rottura)
si produce la dolcezza come accoglienza nellintimit della casa. In altri termini,
laccoglienza del volto si produce originariamente nella dolcezza del volto femminile,
nella quale lente pu raccogliersi ed avere rappresentazioni, attuandosi come essere
255

Ivi, pp. 117 e 153


Ivi, pag. 117
257
Ivi, pag. 153
256

separato; c bisogno, quindi, di una prima rivelazione dAltri a che si renda possibile la
dimora, nella quale c un essere che esiste separatamente.
A questo punto si impone un approfondimento del paragrafo contenuto nel presente
lavoro: Lateismo e posteriorit dellanteriore (Sez. I, Cap. II, Par. VIII). In esso,
parlando della separazione, mettevamo in evidenza il fatto che la rappresentazione, pur
essendo costitutiva, accadeva nel dopo, perch subiva il condizionamento della vita. Ora,
la tesi levinassiana consiste nel sostenere che precisamente nella preoccupazione del
godimento che si verifica la vera e propria condizione di possibilit della
rappresentazione, ossia di quel qualcosa che ci permette di parlare della rappresentazione
come una condizione condizionata. Infatti, per poter rappresentare c bisogno di un
qualcosa che non sia vissuto, perch il vivere di non mi d il tempo per potermi
raccogliere, essendo relazione immediata e diretta con gli elementi. La preoccupazione
per lavvenire, per, pur essendo il limite del godimento, in qualche modo positiva,
perch apre nellinteriorit una frontiera che non deriva ancora dalla rivelazione dAltri,
ma dal niente dellelementale. Ed proprio in virt dellaprirsi di tale frontiera che
possibile attendere e accogliere la rivelazione della trascendenza: Se linsicurezza del
mondo che, nel godimento, ha il nostro pieno gradimento, turba il godimento,
linsicurezza non potrebbe sopprimere il gradimento fondamentale della vita. Ma questa
insicurezza produce nellinteriorit del godimento una frontiera che non deriva n dalla
rivelazione dAltri, n da un qualsiasi contenuto eterogeneo ma in qualche modo dal
niente Ma cos si apre, nellinteriorit, una dimensione nella quale potr essere attesa e
accolta la rivelazione della trascendenza 258. Lesistenza dellessere separato, quindi,
presume gi una prima rivelazione del volto (che qui la dolcezza del volto femminile),
il quale si presenta come il preoriginario implicato in ogni origine, il passato presupposto
da ogni presente, lanteriorit irriducibile al puro presente della rappresentazione, la
relazione del soggetto gaudente con ci di cui non vive. La vera condizione della
rappresentazione questa presenza dAltri al femminile che mi accoglie nella casa, nella
sua intimit, rendendo cos possibile la-casa-propria del soggetto separato: La libert
totale del Medesimo nella rappresentazione ha una condizione positiva nellAltro che
non un rappresentato ma Altri 259. Ritorna in tutta la sua forza quel paradosso
258
259

Ivi, pag. 152


Ivi, pag. 127

anacronistico in cui lorigine tale nel dopo, ove con questa espressione non si intende
che lorigine pu essere conosciuta solo a posteriori, ma che si produce come tale solo
nel dopo.
E questo il motivo per il quale lidea dellInfinito non esige soltanto lateismo, ma
lo provoca anche. Il punto di fondamentale importanza, perch in questo modo si attua
un qualcosa che sembra impossibile (ma per questo meraviglioso, direbbe Levinas),
ovvero il legame tra legoismo e la rivelazione della trascendenza. La logica formale e la
logica dialettica non riuscirebbero a mettere in atto questo paradosso, perch per la prima
Altri (il non-A) lopposto del soggetto (A), la sua negazione, mentre per la seconda il
volto lantitesi che, in quanto tale, verrebbe assorbita dalla tesi (medesimo) tramite la
sintesi (arricchimento della tesi).
Il fatto che entrambe le logiche non riescono a parlare di una presenza dAltri che
si d sottraendosi, che lo specifico dellalterit femminile, ossia della Donna. Con
questo termine non si deve intendere la donna concreta, o linsieme delle donne, o,
addirittura, lessenza della donna, o anche il rapporto medesimo-altro in cui laltro si
mantiene nella sua dimensione di maestosit che mi interpella, ma come accoglienza,
coinvolgimento in un rapporto di familiarit che permette il raccoglimento a casa mia
come essere separato. Lalterit femminile, dunque, una condizione imprescindibile del
mio rapporto etico-metafisico con Altri, perch permette al soggetto di essere
separatamente, consentendo cos quei nuovi rapporti (La separazione si concretizza
attraverso lintimit della dimora, definisce dei nuovi rapporti con gli elementi 260) con il
mondo, derivanti dal lavoro e dalla rappresentazione, che come vedremo pi avanti,
saranno fondamentali per concretizzare tale relazione. La Donna una condizione dalla
quale non si pu prescindere perch il soggetto, per poter aggiornare la preoccupazione
per il domani, ha bisogno di tempo (cosa che non ha limmediatezza del godimento), per
mezzo del quale prende le distanze dallelementale (non pi immerso in esso), potendo
cos agire su di esso mediante la manipolazione e il pensiero. Certo, lazione del soggetto
sugli elementi data dal raccoglimento, ma questo presupposto dal Femminile, che
aggiorna il godimento estatico: La donna la condizione del raccoglimento,
dellinteriorit e della casa Altri che accoglie nellintimit non il voi del volto che si
260

Ivi, pag. 159

rivela in una dimensione di maestosit ma appunto il tu della familiarit La


familiarit unattuazione, una en-ergia della separazione Dimorare un
raccoglimento, un venire verso di s, un ritiro a casa propria come in una terra dasilo,
che risponde ad unostilit, ad unattesa, ad unaccoglienza umana261.
Il fatto che Altri al femminile sia la condizione di possibilit del raccoglimento non
significa, per, che c prima luno e poi laltro, in quanto, come abbiamo spiegato in
precedenza, il piano altro dallontologia non ha nulla a che vedere e con la logica e con
la cronologia: semplicemente, al di l e delluna e dellaltra. Fuori da qualsiasi inizio,
Altri al femminile lalterit che consente al soggetto di avere una casa come una terra
dasilo, ove lospitalit della sua dimora non deriva da essa, ma posta in essa. Colui
che accoglie, dunque, esso stesso accolto nella propria casa, e il suo esercizio della
padronanza in essa condizionata dallaccoglienza che lo presuppone: La casa che
fonda il possesso, non possesso nello stesso senso delle cose mobili che pu
raccogliere e custodire. Essa posseduta perch da sempre luogo di ospitalit per il suo
proprietario. Il che ci rinvia alla sua interiorit essenziale e allabitante che la abita prima
di ogni abitante, allaccogliente per eccellenza, allaccogliente in s allessere
femminile262. Chiaramente il discorso levinassiano prescinde dalla presenza o
dallassenza nella dimora dellessere umano concreto femminile, perch la Donna non
lempirico, ma un particolare tipo di relazione che rende possibile il mio rapporto etico
con Altri per via dellextraterritorialit allinterno della quale io sono a casa mia. Per
questa ragione, J. Derrida definir il femminile come lorigine pre-etica delletica263.
Tale origine, dove non c il voi del volto, ma il tu della familiarit, si esprime, per
Levinas, in un linguaggio silenzioso, senza insegnamento, il quale non per un
rapporto monco o imperfetto con lalterit, ma la possibilit della relazione
trascendentale. Pur non avendo trascendenza, e quindi pur essendo spogliato della
maestosit del volto, Altri come il femminile, avendo il linguaggio silenzioso, rende
possibile il rispetto dellalterit, ne la condizione. E questo accade perch fa s che un
essere si ponga come separato e mantenga tale egoismo anche in quella relazione
irriducibile che in precedenza abbiamo definito come il faccia a faccia.
261

Ivi, pp. 158-159


Ivi, pag. 161
263
Cfr. J. Derrida, Addio a Emmanual Levinas, cit., pag. 106
262

Tale relazione, per, non ha come unica condizione la Donna, perch questa
una condizione, non la condizione. Se, infatti, ammettessimo solo la Femminilit
non ci sarebbe nessuna relazione metafisica, ma solo un ente che, avendo avuto la
possibilit di raccogliersi, si situato nella sua casa preoccupandosi solo di s. Sarebbe,
insomma, un soggetto economico, il cui unico impegno consisterebbe nellamministrare
gli affari della sua abitazione. Perch questo?
Dandomi del tempo per staccarmi dagli elementi, lalterit pre-etica non fa altro
che consentirmi di andare incontro ad essi per mezzo della manipolazione e della
comprensione. In questo modo, certamente io ho sospeso lavvenire incerto
dellavvenire, ma mi trovo un insieme di cose che non sono certo per laltro, bens per
me. Si verifica, cos, quella situazione in cui io sono ancora schiavo di me,
impossibilitato ad uscire dal mio essere. Se prima, nel godimento, ero prigioniero delle
cose di cui vivevo, ora sono inchiodato alle cose che ho lavorato e che ho rappresentato.
Serve, allora, un ulteriore distacco, perch per poter essere in relazione con laltro da me,
non basta solo la messa a distanza dal godimento, ma anche lallontanamento dal
possesso. Altri come Femminilit non riesce a realizzare questa seconda uscita: esso
libera solo dallimmediatezza del godimento, cio strappa solo dallimmersione
nellelementale. E evidente, di conseguenza, che per potermi liberare dal possesso
stesso instaurato dallaccoglienza della Casa per poter rifiutare sia il godimento che il
possesso, necessario che io sappia donare quello che possiedo264; difatti, per mezzo
del dono la cosa che prima era per me, poi diventa per altri.
Ora, visto che il femminile non riesce ad effettuare tale movimento,
indispensabile che ci sia un qualcosa daltro, una nuova energia, che permetta la
realizzazione di questo dono. Questo altro di cui siamo alla ricerca lo troviamo
precisamente nellepifania del volto, il quale contesta il mio potere paralizzando il
possesso. La messa in questione dellidentit cosa che abbiamo gi visto, per cui non ci
ripeteremo, ma aggiungiamo solo una citazione di Levinas: Accolgo Altri che si
presenta nella mia casa aprendogli la mia casa 265. E solo aprendo la porta che le cose
ricevono il giusto senso, perch esse sono donate ad Altri, rompendo cos con il per-s
che caratterizzava il soggetto prima della contestazione. Adesso la relazione metafisica
264
265

Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 174


Ivi, pag. 174

ha raggiunto il suo grado di concretizzazione, allinterno del quale lio diventa per altri,
visto che gli ha donato ci che possedeva. I nuovi rapporti stabiliti con lelementale
tramite il raccoglimento sono fondamentali a che il Medesimo non vada verso Altri a
mani vuote, ma con qualcosa da poter donare.
Pertanto, la relazione asimmetrica, che esige lessere separato, lo esige a tal punto
da essere presupposta dalla vita economica, per cui se da un lato la relazione
etico-metafisica con Altri la condizione di possibilit della separazione, dallaltro lato
lessere separato la condizione di possibilit delleffettivo incontro con laltro, ove
Altri non viene contemplato, ma gli viene donato ci che si ha. A questo proposito pu
essere opportuno ricordare quanto dice il filosofo stesso: Ma la trascendenza del volto
non esiste fuori del mondo, come se leconomia, in forza di cui si produce la
separazione, stesse al di sotto di una specie di contemplazione beatifica dAltri La
visione del volto come volto, un certo modo di soggiornare in una casa o, per
esprimersi in modo meno singolare, una certa forma di vita economica. Nessuna
relazione umana o interumana potrebbe esistere al di fuori della vita economica, nessun
volto potrebbe essere incontrato a mani vuote e a porte chiuse: il raccoglimento in una
casa aperta ad Altri lospitalit il fatto concreto e iniziale del raccoglimento umano
e della sua separazione, coincide con il Desiderio dAltri assolutamente trascendente. La
sua scelta tutto il contrario di una radice. Essa indica un disimpegno, unerranza che
lha resa possibile, che non un di meno rispetto allinstallazione, ma un sovrappi della
relazione con Altri o della metafisica, in cui Altri non unaltra libert arbitraria come
la mia, ma linfinito della sua trascendenza che fa saltare il cerchio chiuso della
totalit266.
Ci che salta, donando le mie cose allaltro, la monade leibniziana, identificata
come quel soggetto che non avendo porte e finestre non capace di mettersi in contatto
con ci che lo trascende, vivendo in un mondo in cui il significante messo da parte.
8. LO SPOSTAMENTO DELLA FILOSOFIA LEVINASSIANA

266

Ivi, pag. 176, corsivo mio

Levinas afferma un soggetto che si rende conto dello scacco della conoscenza, visto
che, nonostante tutti i suoi tentativi di sapere, si trova sempre in relazione con qualcosa
che gli rimane sempre e comunque altro da s. Questa alterit non pu essere interpretata
in termini ontologici, in quanto lessere non conosce trascendenza, ma solo immanenza,
perch tutto viene inglobato dalla coscienza che laccoglie. Ma anche facendo saltare la
riflessione non si esce da questa situazione, poich si cade nel fondo anonimo del c, il
quale tutto ingloba persino il non-essere. Difatti la questione dellessere e del
non-essere sempre interna allessenza dellessere, la quale nulla lascia che le sia in
quanto altro. Questultimo punto, per, solo lillusione di mettere da parte quellalterit
che in nessun modo si pu negare alterit radicale e che pu essere interpretata in
termini etici, perch etica un rapporto con qualcosa daltro che resta tale anche di
fronte a tutti i tentativi di tematizzazione. Lontologia, invece, essendo il tentativo della
riduzione della molteplicit allunit, mira ad inglobare la trascendenza, e quindi essa si
presenta come riduzione dellaltro al medesimo, ossia violenza del medesimo sullaltro,
prevaricazione, potenza, ingiustizia.
Nondimeno, non riesce comunque ad aver ragione dellalterit radicale, visto che
Altri non le oppone una resistenza ontologica, ma una resistenza etica, linfinito della sua
trascendenza. Alterit talmente altra dallontologia e fuori dalla portata di essa della
quale non si riesce ad aver ragione anche quando la mia spada penetra nel cuore
dellaltro. S, anche in questo caso non ho ridotto Altri a Me; certo, lho ucciso, ma non
ho esercitato una violenza assoluta, perch, nonostante io abbia posto fine alla sua vita in
quanto esistente in questo mondo, alla fine alla punta della mia spada sfuggito
qualcosa, un residuo che si potrebbe considerare insignificante, ma che, a ben guardare,
il significante stesso, ci che riveste di bont le cose: il movimento ontologico non pu
annientare il movimento etico.
Ne deriva allora che la soggettivit del soggetto non pu essere letta in termini di
essenza, ma in termini di etica, perch se c questo altro irriducibile etica allora io
non sono per me, ma per altri. Ma essere per altri non un qualcosa che funziona solo a
livello formale, bens si concretizza nellesperienza quotidiana, nella quale io dono
allaltro uomo ci che possiedo.

Levinas davvero un filosofo morale; ma per essere tale, egli si rende conto che
bisogna uscire dallontologia, la quale, checch se ne dica, si caratterizzata sempre per
la mancanza di tempo, in quanto ha sempre ridotto tutto al presente, rispetto al quale
passato e futuro sono sempre entro di esso.
Ci rendiamo conto, a questo punto, che laffermazione di un tempo non circolare
implica una uscita dal presente. Ma come pu accadere una situazione del genere? Essa
si afferma nella misura in cui il passato resta sempre, ossia nella misura in cui il passato
irriducibile (al presente). Di conseguenza, il passato sar sempre passato. E solo cos
che ci si pu mettere in contatto con Dio, da non intendersi, per, n come il dio
dellHinterwelt (gi smascherato da Nietzsche), n come lEssere heideggeriano (messo
in crisi da Levinas stesso).
La filosofia levinassiana, dunque, si presenta come un tentativo di dire la
trascendenza. Ora, la nostra domanda : lintento stato raggiunto?
J. Derrida, negli anni sessanta, si poneva lo stesso problema, perci la nostra
risposta sar data sulla base della risposta data da questultimo in tale periodo e cercher
di mettere in evidenza le reazioni di Levinas nei confronti di questa critica, che
senzaltro si presenta come una delle pi acute della concezione levinassiana. Stiamo
parlando dellopera Lcriture et la diffrence, allinterno della quale un saggio
commenta il primo capolavoro del filosofo della trascendenza, ovverosia Totalit et
Infini.
La riflessione comincia mettendo in evidenza il pensiero di Levinas, il quale
vuole essere un pensiero che esce dalla categoria di unit, che stata sempre la
categoria privilegiata della filosofia occidentale, fin dalla sua nascita, ovvero fin dal
tempo e dallo spazio in cui essa nata: la Grecia, cinque secoli prima dellavvento
di Cristo.
Essendo una filosofia al di l dellunit, prosegue il filosofo, essa vuole essere
altra dallessere; ma essere altra dallessere significa essere altra dal logos greco,
ovvero andare verso laltro del Greco 267, lEbreo. Inoltre, essendo questo, cio
una volont poderosa di scavalcare la Grecia e di proporre una nuova metafisica (di
tipo etico), Levinas si impegna nel confronto con quei due Greci che ancora sono
267

Cfr. J. Derrida, La scrittura e la differenza, saggio Violenza e metafisica, Einaudi Paperbacks Filosofia, pag. 104

Husserl e Heidegger268, le cui filosofie sono considerate filosofie della potenza, in


quanto la prima fa dellaltro un fenomeno, ossia una modificazione intenzionale
dellego, mentre la seconda subordina Altri allessere anonimo ed impersonale,
riducendolo cos allorizzonte della precomprensione dellessere nella sua
differenza con lente.
La critica derridiana volta a difendere il logos, e quindi deve per forza
cominciare con il prendere le difese dei due filosofi tedeschi. Sotto questo punto di
vista, allora, Levinas non avrebbe saputo cogliere effettivamente le due filosofie.
In Husserl compare realmente il rispetto dellalterit assoluta, e questo accade
proprio in virt del fatto che coglie laltro come alter ego. Le ragioni di Derrida si
possono trovare in questo passo husserliano: Tutto ci che pu mai rendersi
presente e manifestarsi come originale sono soltanto io stesso o appartiene a me
come mia propriet. Ci che mediante me stesso e la mia appartenenza esperito
nel modo derivato duna esperienza che non pu soddisfarsi primordialmente e non
si d da se in modo originale ma indiziato da conferme conseguenti, estraneo269.
Si nota, in questa citazione, una differenza tra ci che si d in carne e ossa e ci che si sottrae a questo darsi. Poich ci che si
d originariamente lego stesso e ci che gli proprio, ne consegue che si determiner come estraneo ci che sfugge a questa
dimensione, perch proveniente da altrove. In questo modo lestraneo determinabile come il non -autoctono, come ci che non ha
origine nel luogo del proprio

270

. La non presenza in originale dellaltro, dunque, fa incontrare allio Altri come fenomeno, ossia non in

modo originale, ma derivato: ecco il fenomeno intenzionale dellio. Ci, per Derrida, permette non solo di rispettare lassoluta alterit
dellaltro, ma anche di salvaguardare laltro dalla violenza estrema del silenzio e della riduzione a nulla per me. In altri termini, se
dellaltro non ci sarebbe nemmeno lintenzionalit derivata, la quale mi consente una qualche conoscenza di esso, si cadrebbe nella
riduzione a nulla della trascendenza. Per evitare questo, allio non rimane altro che riconoscere laltro come l alter ego, ossia come
alterit diversa da quella del mondo. Difatti, se laltro non fosse riconosciuto come un altro io trascendentale sarebbe nel mondo, di cui
io sono origine. Questa sarebbe, di conseguenza, la vera violenza, perch la sua alterit svanirebbe. Pertanto, laltro come alter ego,
significa laltro come altro, irriducibile al mio ego, proprio perch ego, ha la forma dellego per cui laltro, dunque, non sarebbe
quello che (il mio prossimo come estraneo), se non fosse un alter ego

271

Per quanto riguarda Heidegger, anche qui Derrida osserva che c un difetto
interpretativo di Levinas su questo filosofo, in quanto la riconduzione di altri alla
precomprensione dellessere, il quale non un ente tra gli altri, proprio ci che
permette di non subordinarlo a qualsiasi altro ente e di rispettarlo per ci che , cio
altro, rendendo cos possibile la relazione etica.
268

Ivi, pp. 104-105


Cfr. E. Husserl, Meditazioni cartesiane, Bompiani, seconda edizione, pp. 134-135
270
Cfr. F. Ciaramelli, La distruzione del desiderio, cit., pag. 109
271
Cfr. J. Derrida, La scrittura e la differenza, cit., pp. 159 e 161, sottolineato mio
269

Seguiamo pi da vicino ci che abbiamo solo accennato a proposito di Heidegger.


Prima di cominciare, per, dobbiamo ricordare, seppur succintamente, la critica che
Levinas rivolge al filosofo tedesco. Questi, affermando che per conoscere lente
necessario aver compreso lessere dellente, non ha fatto altro, secondo il filosofo
francese, che subordinare la relazione con qualcuno che un ente (la relazione etica) ad
una relazione con lessere dellente (la relazione ontologica) che, impersonale, fa svanire
Altri in quanto Altri.
Derrida non affatto daccordo su questo, perch, sottolinea, la subordinazione pu
avvenire se e solo se c un rapporto tra due essenti, e visto che Heidegger ha insistito
tanto sulla differenza ontologica, cio ha insistito sul fatto che lessere non lente, se ne
deduce che il discorso levinassiano insostenibile. Inoltre, se vero come vero che il
filosofo tedesco afferma che lessere non nulla senza il suo ente, allora il primo non
pu precedere il secondo, e questo n a livello temporale, n a livello di dignit ecc.
Infine, se lessere non qualcosa al di fuori dellente non pu essere interpretato come
impersonale a partire dal quale ogni cosa diviene ci che . Per cui, allessere non pu
essere legata la nozione di archia. Insomma, la filosofia dellessere heideggeriana non
pu essere violenza, ma, anzi, rende possibile qualsiasi etica. La possibilit delletica,
infatti, trova la sua condizione proprio nel fatto che, se ogni comprensione preceduta
sempre da una precomprensione, questo significa nientaltro che riconoscere lessenza
dellessente, ossia laltro (Derrida sostiene che lessenza dellessente , ad esempio,
laltro come altro, nel suo essere altro s). Di conseguenza, la precomprensione non fa
altro che condizionare il rispetto dellaltro come ci che : altro. Senza questo lasciar
essere lessente (altri), cio senza questo lasciar essere laltro come esistenza al di fuori
di me (alterit), non sarebbe possibile nessuna etica. Lerrore di Levinas, dunque,
sarebbe stato quello di essere stato sordo su ci che Heidegger ha con maggior insistenza
detto: lessere non un essente per eccellenza. E su questo punto che si costruisce
lintera filosofia delloblio dellessere. Questo, per, il filosofo francese non lha
capito, e cos ha attribuito allessere heideggeriano caratteri che in nessun modo gli
possono appartenere, quali ad esempio il legame con il sapere ed il suo essere nientaltro
che totalit. Questi caratteri appartengono allente, ma mai a ci che refrattario alla
categoria, come il caso dellEssere nella sua differenza con lEnte. Questa mancanza di

determinazione precisamente il rispetto dellaltro nella sua essenza ed esistenza di


essere altro. Ecco mostrato, ancora una volta, come la relazione ontologica non pu
prodursi come violenza etica.
La critica di Derrida a Levinas, per, non si ferma qui, ovvero a Husserl e ad
Heidegger, ma va oltre, fino a scorgere una contraddizione interna allo stesso pensiero
levinassiano. Essa si evidenzia nel fatto che il presupposto dal quale parte il filosofo
francese lo stesso verso il quale egli si impegna a criticare; e questo vale e per la
fenomenologia e per lontologia. In termini concreti, il filosofo critica la fenomenologia
mediante il metodo fenomenologico e lontologia per il tramite del linguaggio
ontologico, finendo cos per riaffermare e luna e laltra. Pertanto, a Levinas si pu
muovere la critica che da sempre si rivolta allo scetticismo, la quale consiste nel
sottolineare che esso si autocontraddice nel suo stesso assunto di base, in quanto dopo
aver detto che tutto falso presenta se stesso come vero.
Le accuse di Derrida non sono infondate, visto che il filosofo francese mette in
questione la fenomenologia husserliana utilizzando il metodo fenomenologico, come egli
stesso ammette in Totalit et Infini; tale metodo, sottolinea Ferretti, inteso come il
sottoporre ad analisi le nozioni oggettivamente date, per scoprire quegli orizzonti di
senso, per lo pi inavvertiti o dimenticati nel pensiero ingenuo, che ne condizionano il
senso272.
Lo stesso vale per lontologia; infatti, il filosofo effettua una critica ad essa sulla
base di nozioni che le sono tipiche, come ad esempio quelli di metafisica, di esteriorit
ecc. In fondo una certa ambiguit del discorso palpabile nel filosofo, come dimostra ad
esempio lopera citata pi sopra, ove si fa una differenza tra i concetti di Essere e di
uscita dallEssere e si racchiude poi questultima in frasi quali lessere si produce come
multiplo e scisso in medesimo e altro. Il ragionamento il seguente: se la relazione
etica non rientra nella dimensione dellessenza come si fa a parlare poi in termini di
essere? Non una contraddizione questa?
Concludendo, tutte queste critiche (entro le quali se ne aggiungono altre, come ad
esempio quella di empirismo e quella concernete il fatto che il filosofo, nonostante
abbia precisato che la sua non vuole essere una teologia, ma una filosofia, sia caduto
272

Cfr. G. Ferretti, Alterit e trascendenza. La filosofia di Levinas, Rosenberg & Sellier, pag. 107

almeno in una complicit equivoca tra metafisica e teologia) sarebbero la


dimostrazione che il tentativo levinassiano di rivolgersi allaltro dellessere sia
sostanzialmente fallito, anche se in esso c almeno una positivit; questultima deriva
dal fatto che, secondo Derrida, nulla pi del tuttaltro pu sollecitare il logos greco,
visto che lincontro di queste due differenze, irriducibili tra loro, costituiscono la
caratteristica di fondo della filosofia occidentale: Siamo Ebrei? Siamo Greci? Noi
viviamo della differenza tra lEbreo e il Greco, che forse lunit di quello che si chiama
storia273.
Nei confronti di tutte queste critiche sollevate dal filosofo, Levinas si difende
attaccandolo, sottolineando, in Tout autrement, che sarebbe fin troppo facile girare la
contraddizione propria dello scetticismo a lui. Il motivo deriva dal fatto che Derrida fa
una critica alla presenza mediante un discorso che si colloca nel presente e quindi di fatto
cade in quel logocentrismo che vuole criticare.
Non approfondiremo ulteriormente lanalisi, perch non questo quello che ci
interessa, bens le conseguenze derivanti dallopera derridiana che abbiamo commentato.
A questo proposito, inevitabile registrare un cambiamento della filosofia
levinassiana, al cui interno certamente il filosofo conserva quellunit tematica che lo
aveva contraddistinto fino a Totalit et Infini, ma che non resta comunque immutata; si
tratta, in altri termini, di un mutamento nella continuit del pensiero di Levinas. Per
questo motivo il titolo del paragrafo fa comparire il termine spostamento, non svolta.
Siamo convinti che in questo modo riusciamo a rendere lidea di ci che successo dopo
le critiche derridiane; il termine svolta, insomma, ci sembra inopportuno, perch
indicherebbe una rottura rispetto alla fase precedente; rottura che, in realt, non c stata.
Diciamo questo perch il nostro pensiero corre allopera Autrement qutre ou
au-del de lessence, successiva a Totalit et Infini, la quale rappresenta senzaltro la
vera risposta di Levinas a Derrida, dato che sembra ormai quasi accertato che uno degli
stimoli pi decisivi che hanno accompagnato il filosofo allimpostazione di questo libro
siano state proprio le osservazioni derridiane.

273

Cfr. J. Derrida, La scrittura e la differenza, cit., pag. 197

Bench la seconda opera si ponga sulle stesse linee di pensiero della prima, infatti,
essa apporta delle novit che non possono essere trascurate, perch segnano uno
spostamento.
La prima senzaltro relativa al linguaggio, come sottolinea il filosofo stesso:
Altrimenti che essere e al di l dellessenza nel quale il linguaggio ontologico di cui si
serve ancora Totalit e Infinito evitato274. Due sono le considerazioni che
emergono da questa frase. La prima relativa a Derrida stesso, il quale, come detto
pocanzi, aveva osservato che il linguaggio utilizzato da Levinas era essenzialmente
ontologico. Il fatto che questultimo si preoccupi di proporre un nuovo linguaggio
significa che egli aveva, seppur parzialmente, condiviso la critica nei suoi confronti, o
almeno laveva problematizzata. Rispetto a questo, lattuazione di un nuovo linguaggio,
ovvero di un linguaggio etico che sia veramente in grado di realizzare lo scopo
levinassiano: dire la trascendenza. La novit del linguaggio la si pu notare nel fatto che,
come ha sottolineato Peperzak275, molte delle parole chiavi del libro antecedente (es.
totalit, esteriorit, metafisica, investitura ecc.) quasi scompaiono nel successivo, ove
compaiono termini del tutto nuovi o solo accennati in precedenza (es. prossimit,
espiazione, ossessione, ostaggio, traccia, illeit ecc.).
Non si deve pensare, per, che la causa di tale cambiamento sia stato solo Derrida,
come non si deve pensare che questa del linguaggio sia la sola e unica differenza tra le
due opere. Infatti, bench il pensiero fondamentale del filosofo sia lo stesso, in
Autrement qutre ou au-del de lessence, come evidenzia ancora Peperzak, cambiato
il punto di vista; in altri termini, il filosofo ha scelto un altro punto di vista per
avvicinarsi alla trascendenza e allInfinito: il soggetto. La cosa dimostrata dal fatto che
mentre nella prima opera era Altri e il suo volto ad avere il ruolo privilegiato, adesso tale
posizione ricoperta dallIo, ossia da quel soggetto che incontra Altri e che da tale
incontro sradicato dallessere, dal suo egoismo basato sul conatus essendi.
E nostra convinzione che sia precisamente qui, ossia in una maggiore
radicalizzazione del soggetto, che si produce una vera e propria fissione della
soggettivit, la quale nel libro precedente era stata solo accennata.
274
275

Citazione in E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. XII


Cfr. E. Levinas A. Peperzak, Etica come filosofia prima, cit., pp. 113-119

9. LA FISSIONE DELLA SOGGETTIVITA


Prima di cominciare largomentazione sulla radicalizzazione della soggettivit
bisogna chiarire, a livello generale, il concetto di fissione. Questo vocabolo tipico
della fisica moderna, la quale lha preso a prestito dalla biologia, ove significava il
processo attraverso il quale le cellule si dividono.
La distruzione della concezione meccanicistica avvenuta allinizio del XX secolo
nella scienza fisica, ha reso possibile lintroduzione di questo concetto, altrimenti non
valido nella vecchia scienza.
Infatti, mentre la vecchia fisica considerava latomo come sostanza materiale,
indivisibile e stabile, la grande scoperta del secolo scorso stata quella di evidenziare
come tale teoria fosse fondamentalmente errata, perch nessuna delle caratteristiche
attribuite ad esso era vera ( curioso notare, a questo proposito, che la metafisica
introduceva la vecchia nozione di atomo nel suo linguaggio, come dimostra Leibniz e la
sua monade, definita dallo stesso filosofo come atomo metafisico).
Pur non addentrandoci in questioni tecniche, doveroso sottolineare che il nuovo
modo di concepire latomo non certo quello della teoria tradizionale, in quanto esso
risulta divisibile e, in un certo senso, astratto, visto che al livello subatomico la materia
non esiste con certezza in posti definiti, ma presenta piuttosto tendenze ad esistere, e gli
eventi atomici non si verificano con certezza in tempi determinati e in modi determinati,
ma presentano piuttosto tendenze a verificarsi Al livello subatomico gli oggetti
materiali solidi della fisica classica si dissolvono in modelli di probabilit simili ad
onde276. Il senso di tale considerazioni volto a dimostrare che i singoli eventi non
hanno una causa ben definita. In altri termini, nella fisica atomica i fenomeni osservati
possono essere compresi solo come correlazioni fra vari processi di osservazione e di
misurazione; questo significa che la mia osservazione dei fenomeni dipende dalla
posizione a partire dalla quale mi pongo, perch la particella atomica non ha propriet
obiettive e determinate. Oltre a questo, bisogna aggiungere che latomo non un
qualcosa di statico, ma pullula di attivit.

276

Cfr. F. Capra, Il punto di svolta, Universale Economica Feltrinelli, pag. 69

In questo contesto si rende possibile la nozione di fissione, ossia di quella reazione


fisica provocata dallurto di un neutrone con un nucleo atomico che causa il frantumarsi
del nucleo, la generazione di calore e la liberazioni di altri neutroni, i quali vanno a
colpire altri nuclei, innescando altri processi di fissione. Si attua, in questo modo, la
cosiddetta reazione a catena che, se molto rapida e abbastanza intensa, culmina in
una vera e propria esplosione.
Ci staremo senzaltro chiedendo cosa centri questo con la filosofia e, in particolare,
con Levinas. Ci arriveremo.
Innanzitutto, non bisogna pensare che gli aspetti del reale siano senza relazione tra
loro, in quanto essi risentono del paradigma di pensiero che sta alla base del loro sorgere.
Ad esempio, nel momento in cui prevaleva il paradigma cartesiano, la fisica obbediva al
suo meccanicismo. Ma non era solo questa scienza ad inserirsi in un tale universo di
discorso, in quanto il coinvolgimento riguardava tutte le altre dottrine (si pensi, per
riportare un altro esempio, alla medicina, la quale considerava luomo come una
macchina).
Per quanto riguarda la filosofia, c da sottolineare che questo il tempo della
monade leibniziana, dello spirito assoluto di Hegel, della sintesi dellappercezione
trascendentale di Kant. Tutte queste filosofie, seppur nelle loro enormi differenze,
partono da un unico presupposto: alla base del tutto c unidentit o gi costituita, o da
costituirsi come soggetto che garantisce della necessit e della universalit delle cose.
Tra il XVIII e il XIX secolo, per, le cose cominciano a cambiare, e questo
paradigma comincia a subire robusti colpi di maglio. Appena diciamo questo, ci viene in
mente Nietzsche e la sua morte dellidentit come fondamento che regge tutto lessente
(Soggetto: questa la terminologia del nostro credere in ununit attraverso tutti i
diversi momenti di altissimo sentimento della realt Soggetto la finzione derivante
dallimmaginare che molti stati uguali in noi siano opera di un solo sostrato; ma siamo
noi che abbiamo creato luguaglianza di questi stati; il dato di fatto il nostro farli
uguali e accomodarli, non luguaglianza che anzi da negare277); ma pensiamo anche
a Freud (non c solo lio, ma anche linconscio), o ad Heidegger (il Dasein non ci
che sta sotto, ma un progetto-gettato), o alla nuova fisica.
277

Citazione in E. Mazzarella, Nietzsche e la storia, Guida editori, pag. 79

Il cambiamento del paradigma non fa altro che mettere in questione il soggetto, e


vista la costitutiva storicit delluomo di cui abbiamo parlato allinizio del capitolo,
Levinas, pur essendo animato dalla volont di proporre un linguaggio ed un pensiero
altri, si inserisce in esso. Non difficile confermare ci che siamo andati dicendo;
abbiamo visto, infatti, che lassolutamente altro, che per Levinas Altri, ossia la
concreta presenza dellaltro come uomo, semplicemente la messa in questione
dellidentit dellio. La successiva radicalizzazione della soggettivit sempre interna a
questo registro, in quanto ne solo laccentuazione.
Detto questo, crediamo che adesso siamo in grado di capire del perch il filosofo
francese possa prendere a prestito dalla fisica il termine fissione. Infatti, se
pronunciamo questo vocabolo e lo applichiamo al soggetto levinassiano, pensiamo
subito che questultimo non pu essere certo inteso come sostanza, casomai materiale,
caratterizzata dalla stabilizzazione; e se non pensiamo questo, certamente pensiamo
allora ad un essere che senza quiete in s ( inquietato), non sostanza e quindi non
fondamento assoluto di tutte le cose. Insomma, pensiamo alla fissione del soggetto, che,
tradotta in termini filosofici, non significa altro che esplosione della soggettivit.
Si tratta, ora, di capire perch tale termine pi appropriato in Autrement qutre
ou au-del de lessence che non in Totalit et Infini.
In questultimo il soggetto era considerato come un essere separato fissato nella
sua identit278, anche se non poteva raggiungere la sua assolutezza ove non incontrava
nulla fuori di s, in quanto conteneva in s ci che non pu n contenere n ricevere
in virt della sua sola identit279. Ci accadeva in virt della struttura formale dellidea
dellInfinito, che non una rappresentazione dellInfinito, ma la meraviglia di un essere
che contiene al di l delle proprie capacit. In altri termini, la mia realt di soggetto si
ipostatizzava per il tramite del mio concentrarmi nellintimit del godimento e della
dimora. Le frasi levinassiane quali siamo il medesimo e laltro stavano a significare
certamente la presenza, nel soggetto, della trascendenza che metteva in questione
lidentit , ma il movimento (della trascendenza) non partiva dal soggetto, bens da
Altri; era la presenza concreta dellaltro come uomo che mi faceva essere per altri.
278
279

Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 24


Ivi, pag. 24-25

Come si pu notare, non si tratta di una vera e propria esplosione, perch il soggetto
comunque si ipostatizza, ovvero diventa tale, per mezzo dellidentit raggiunta nel
godimento e nella dimora. La messa in questione di Altri la messa in questione della
sua ipostatizzazione, che rende possibile il dono del mondo in possesso dello Stesso. La
cosa ulteriormente confermata dal fatto che lidea dellInfinito richiede, oltre
allalterit, anche lidentit, ossia lente separato dallessere e da Altri. In sintesi, non si
pu parlare di una vera e propria fissione perch il soggetto mantiene la sua realt di
ipostasi per il tramite dellidentit (che gli permette di emergere dallessere come il y a),
anche se questa viene contestata da una presenza che non appartiene allontologia, ma
altra da essa.
In Autrement qutre ou au-del de lessence, invece, laccentuazione della
riflessione sulla soggettivit etica porta ad una situazione che mette talmente alle strette
lidentit del soggetto fino al punto da provocarne lesplosione. La chiave di volta che
provoca la detonazione va ricercata nel registro delletica, la quale, sotto la forma della
prossimit, diventa lipostasi della relazione in una soggettivit ossessionata, di
unossessione non reversibile280. In questa opera, cio, il principio della costituzione
dellipostasi non ricercato pi a livello ontologico lidentit , ma a livello etico la
prossimit; e questo significa che la mia realt di soggetto non si ipostatizza pi per il
tramite dellontologia, ma in virt delletica. Il soggetto non pi il Medesimo che
emerge dallessere e accoglie lAltro, ma espulsione dallessere, ossia una passivit
radicale che scardina lidentit. La sua unicit diventa, cos, ununicit senza
identit281, la quale non altro che la mia insostituibilit etica: Io sono uno e
insostituibile uno in quanto insostituibile nella responsabilit 282. A rigore, il termine
identit dovrebbe essere abbandonato, per Levinas continua a pronunciarlo anche a
questo nuovo livello; ci accade non perch il filosofo cade in contraddizione, ma perch
non lo intende pi in senso ontologico, ovvero come identificazione del diverso, bens a
livello etico. Egli non fa altro che stravolgere talmente tale termine da farlo uscire dalle
categorie dellessere per fargli acquistare un altro significato, quello etico. In questo
senso, lunit, lunicit, lirriducibilit del soggetto consiste nella sua irrecusabile
280

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 106


Ivi, pag. 72
282
Ivi, pag. 129
281

convocazione alla responsabilit per altri: Il se stesso si ipostatizza altrimenti: esso si


annoda indissolubilmente in una responsabilit per gli altri il se stesso provocato
come insostituibile, come votato, senza dimisioni possibili, agli altri e cos uno e unico
di colpo nella passivit uno, ridotto a s come contratto, come espulso in s fuori
dallessere283.
Il s si ipostatizza quindi altrimenti, ossia in termini etici, come uno e unico. La
responsabilit ci che mi rende me stesso, perch io non la posso trasferire ad altri.
Come dicevamo prima, la mia insostituibilit etica a rendermi soggetto. Certo, resta il
fatto che comunque io vengo designato in qualche modo (sono, ad esempio, un ente, un
io, in soggetto ecc.), ma questi nomi non sono altro che maschere prese a prestito
dallessere per potermi dire. E a livello etico, per, che io sono un atomo; ma non si
tratta dellatomo della vecchia fisica (il cui corrispondente nella metafisica la monade),
bens di quello della teoria quantistica, ove latomo non ha quiete, perch pullula di
attivit: inquietudine fino alla fissione: Il se stesso una torsione irriducibile al battito
della coscienza di s, del rilassamento e dei ritrovamenti del Medesimo Il se stesso,
disuguaglianza a s unit pre-sintetica, pre-logica e in un certo senso atomica cio
individuale In un certo senso atomica, poich senza quiete in s, poich sempre pi
uno fino allesplosione, alla fissione, allapertura Come se lunit atomica del
soggetto si esponesse al di fuori respirando, spogliando la sua sostanza ultima fino alle
mucose del polmone, come se non cessasse di fendersi. Il se stesso non riposa in pace
sotto la sua identit284.
La disuguaglianza a s non il gioco del Medesimo, ma uno scarto temporale
il lasso non sincronizzabile, e quindi sempre diacronico. Di conseguenza, lidentit
del soggetto in termini etici si configura come una contrazione in se stesso e, al
contempo, come una cacciata fuori di s esplosione , ossia esposizione ad altri,
essere-per-altri. La costrizione entro se stesso fondamentale per evitare la dissoluzione
della mia unicit; difatti, se nella fissione essa si distruggesse, io non sarei pi nulla, non
sarei soggetto. E necessario, dunque, che non manchi la contrazione affinch lunicit
non sia mancata. Levinas dice che il Se stesso ad ipostatizzarsi altrimenti, non lAltro.
Cio: sono sempre io che esplodo, non Altri. Ma visto che abbiamo abbandonato la
283
284

Ivi, pag. 132


Ivi, pag. 134

categoria dellontologia, questa costrizione non pu avvenire tramite lidentit


dellessere, bens deve verificarsi al di qua della materialit e della coscienza.
Il filosofo colloca tale situazione nella nozione di ricorrenza, considerata come
quellidentit che ricorre prima di qualsiasi tematizzazione, e quindi prima di ogni atto di
coscienza. Il ricorrere preliminare di me come soggetto una costrizione prima di
cominciare, prima che sia dia inizio al ballo della sintesi dellappercezione
trascendentale. Questa impossibilit delloggettivazione ci che rende possibile la
cacciata fuori di s che fa essere il soggetto per altri, in quanto essa non altro che una
passivit talmente passiva da non poter assumere alcunch (come invece avveniva nella
sensibilit kantiana), trovandosi cos di colpo esposta allaltro: La ricorrenza pi
passata di ogni passato memorabile, di ogni passato convertibile in presente. Creatura,
ma orfana di nascita o atea, che senza dubbio ignora il suo Creatore, poich se lo
conoscesse recupererebbe ancora una volta il proprio inizio La rottura delleterno
riposo suppone il se stesso Il se stesso non nato di propria iniziativa 285. Il passato
anarchico realmente ci che permette alla ricorrenza di non rappresentarsi, ovvero di
non ripresentarsi nuovamente a se stessa, e cos essa non riesce nemmeno a
rappresentarsi ci che lha creata. Nel caso inverso si ritornerebbe al dio
dellontoteologia gi ucciso da Nietzsche.
Ricorrenza ed esplosione, dunque, sono i due concetti che permettono una
soggettivit etica in cui sono sempre io ricorrenza che sono per gli altri fissione. La
distinzione tra i due termini, per, vale solo a livello logico, perch eticamente non sono
distinti, in quanto il provenire da un passato irrappresentabile fa s che io sia me stesso
(come) per altri. La distinzione, per, era necessaria per una maggiore chiarezza
espositiva, poich in questo modo si riusciti a sottolineare che latomo che io sono resta
me stesso nellesplosione, ossia nella mia responsabilit verso Altri; Levinas fa capire
bene ci che abbiamo detto quando pronuncia la frase uno, ridotto a s e come
contratto, come espulso in s fuori dallessere. Questa situazione ha un termine ben
preciso: angoscia. Il vocabolo non indica lheideggeriano essere-per-la-morte, ma
lansiet della contrazione e dellesplosione286. Esso, dunque, sta a significare un
soggetto che tale solo nella sua espropriazione di s.
285
286

Ivi, pag. 131-132


Ivi, pag. 135

Ma se la mia unicit tale nella mia uscita fuori di s, allora soltanto laltro pu
rendermi me stesso (Levinas, a questo proposito, parla anche di maternit, intesa come
gestazione dellaltro nel medesimo), per cui la soggettivit viene ad essere strutturata
come laltro nel medesimo messa in questione di ogni affermazione per s, di ogni
egoismo che rinasce in questa ricorrenza stessa. (Messa in questione che non una
messa in scacco)287. Il soggetto cos inteso non altro che il movimento stesso della
ricorrenza, ovvero di quella contrazione esasperata che fa esplodere i limiti dellidentit.
Qui non si tratta di definire un io che in s attraverso gli altri che mi interpellano,
ma laltro nel medesimo in quanto io mi sostituisco allaltro assumendo su di me le
sue stesse responsabilit. In questo senso la parola Io significa eccomi, rispondente di
tutto e di tutti. La responsabilit non un ritorno a s, ma una contrazione esasperata che
i limiti dellidentit non possono trattenere. La ricorrenza diviene identit facendo
esplodere i limiti dellidentit, il principio dellessere in me, lintollerabile quiete in s
della definizione288. Lio, cio, si identifica con se stesso nelloffrirsi senza riserve
allaltro, fino a sostituirsi a lui nella responsabilit delle sue colpe. Anzi, fino a sentirsi
responsabile di tutto e di tutti, diventando cos lAtlante che raccoglie sulle proprie spalle
lintero universo. Questa raccolta altra rispetto a quella dellIo Penso, perch non
avviene nellidentit ontica, bens nella responsabilit etica: Il S sub-jectum: sotto
il peso delluniverso responsabile di tutto. Lunit delluniverso non ci che il mio
sguardo abbraccia nella sua unit dappercezione, ma ci che da tutte le parti mi
incombe, mi riguarda nei due sensi del termine, mi accusa, mio affare 289.
La nozione di sostituzione il punto culminante dellesplosione della soggettivit.
Infatti, nel soggetto responsabile per altri il s tale attraverso gli altri che lo
interpellano o lo perseguitano, mentre nella sostituzione il soggetto raggiunge la sua
soggettivit, e quindi la sua unicit, nel suo sostituirsi allaltro, ossia nel suo essere
Altro-nello-Stesso.
Ora la soggettivit ha veramente trovato un legame diverso da quello che la
costringeva allessere, in cui corrispondeva alluguaglianza di s a s. Ora non si pu
ragionare pi in termini ontologici, ma si deve parlare con un linguaggio etico, per cui il
287

Ivi, pag. 139


Ivi, pag. 143
289
Ivi, pag. 145
288

soggetto diventa disegueglianza nel se stesso, un s sfasato s, o ancora diseguale


nellidentit, unit di identit e di alterit (ma non nel senso dialettico, in cui la sintesi
avrebbe pur sempre lultima parola). Insomma, lIo un altro: Unicit significa qui
impossibilit di sottrarsi e di farsi sostituire ed con questa sostituzione che io non
sono un altro, ma io nessuno pu sostituirsi a me che mi sostituisco a tutti290. Sono
un altro perch mi sostituisco allAltro, e quindi sono Io. Il passaggio cos completato:
dalla soggettivit alla soggezione (allaltro).
LAltro non pi colto allesterno dellio volto dAltri che inquieta lo Stesso
ma allinterno della struttura stessa della soggettivit. La trascendenza appartiene ancora
allAltro, ma situata nellidentit del soggetto, per cui questultimo si trova votato
allaltro prima ancora dellapparire di Altri. Il nel, in questo senso, un per, e di
conseguenza laltro-nello-stesso semplicemente il per-altri della responsabilit. E
come se non ci fosse pi bisogno della concretezza dellaltro per essere per-laltro, come
se la trascendenza fosse interna allimmanenza: capovolgimento delleteronomia in
unautonomia che eteronomia291. Il soggetto, in quanto altro-nello-stesso,
originariamente per-laltro.

290
291

Ivi, pag. 72, 159, 160


Parole di S. Petrosino, Narcisismo e idolatria, in E. Levinas, Dio, la morte e il tempo, cit., pag. 15

Capitolo Secondo
ETICA, ONTOLOGIA E TRASCENDENZA

1. LETICA
Lesplosione della soggettivit porta ad un soggetto che altro dallontologia, in
quanto esso si struttura eticamente, ovvero come altro-nello-stesso, facendo s che la
trascendenza, pur interna allautonomia, resti sempre tale, e quindi non si riduca
allimmanenza. Ci troviamo di fronte ad una vera e propria soggettivit etica, la quale,
irriducibile allessenza dellessere, riceve ma senza assumerla lidentit dallalterit,
che la fa essere unica nellinsostituibilit di demandare ad altri la sua responsabilit.
Questalterit radicale, che rimane sempre altra rispetto al soggetto, non qualcosa che,
venendo dal di fuori, trova un soggetto gi costituito (come invece ancora accadeva in
Totalit et Infini, anche se comunque questo stesso soggetto presupponeva a sua volta
una prima rivelazione dAltri), ma essa stessa costitutiva dellidentit.
In questo modo lo strato pi profondo dellumano non pu essere pensato in termini
di coscienza, e neppure essere descritto come lo Stesso, ma deve essere pensato come
lAltro-nello-Stesso. I trattini tra queste tre parole sono fondamentali, perch indicano il
legame irriducibile delle stesse, senza che un termine risucchi laltro. Ma allora si deve
ammettere che la soggettivit non altro che lo Stesso gi da subito aperto allAltro a
quellAltro che non pu n afferrare, n comprendere, n contenere, n anticipare , gi
da subito rivolto verso di lui senza poterlo mai raggiungere.
Questa originaria apertura dellinterno allesterno quella che si definisce, nella
filosofia levinassiana, responsabilit per altri, che rompe i legami con lontologia per
diventare fondamentalmente etica. La morale un qualcosa di diverso dal sapere, il cui

unico compito la ri-presentazione ritorno alla presenza di ci che si separato da s


per ritrovarsi. Essa non pu essere confusa con il libero impegno, che comporta gi la
rappresentazione e la scelta (un soggetto che riporta al presente un soggetto che gi sa
cosa si potrebbe fare, e perci, allinterno di queste possibilit, sceglie di fare o di non
fare), ma viene prima, da un certo tipo di passato. Domande: Ma dove sta la differenza?
Questo passato non pu essere rappresentato? Non pu diventare nuovamente presente?
Non pu essere nientaltro che una modificazione del presente, come avviene nella
dimensione dellEssere?
Tutte le risposte a queste interrogazioni sono negative, perch il prima di cui
parlavamo in precedenza fa riferimento ad un particolare trascorso, che non pu essere
ricordato immemorabile , n rappresentato irrappresentabile , ma prima di
qualsiasi coscienza. Scendendo ad un grado pi profondo del discorso, si pu dire che
esso non ri-presentabile perch non mai stato, ossia non stato mai presente.
Letica responsabilit per altri , dunque, non avendo un inizio, anarchica, e
questo significa che convoca il soggetto senza originarsi in un presente, essendo in
questo modo pi antica dellessere, il quale diventa veramente tale nellistante in cui la
coscienza lo accoglie o, ma lo stesso, nel momento in cui esso si espone a se stesso
nella coscienza: per questo il soggetto eticamente inteso non intercambiabile nel
senso di accollare ad altri la sua responsabilit. La dedizione allaltro, essendo la
struttura stessa della soggettivit, mette in atto un soggetto che interpretabile come
sub-jectum, soggetto allaltro, soggezione, investito di una responsabilit senza fine.
Il fatto che ci sia un prima, per cos dire, prima del prima, mette in evidenza che la
questione della relazione ontologica tra essere ed ente non la questione ultima e
fondamentale dellesistente, perch c un altro tipo di rapporto, superiore al precedente,
che ritroviamo proprio in questa originaria apertura allAltro da parte dello Stesso. Qui ci
troviamo fuori dalla filosofia occidentale, la quale ha ridotto Dio, il soggetto e gli altri
uomini a momenti o accadimenti dellEssere; per essa pensare ricordare e il pensiero
ricordo. Il tutto accade perch ci si riferisce sempre allessere il cui ordine non altro
che un eterno ritorno del Medesimo e al cui interno si trovano solo esseri preoccupati
della conservazione nel proprio essere. Contro linteressamento dellessere si afferma,
per mezzo dellalterit radicale, la rottura dellessenza, la quale interpretata da Levinas

come disinteresse, il quale fuoriesce dallirriducibile persistenza nellontologia e mette


in contatto con un qualche cosa che come un altrimenti che essere.
Infatti, letica, come abbiamo avuto modo di vedere nel corso di queste pagine,
altro dallontologia; e visto che lontologia non altro che un riferimento costante
allessere, letica, per forza di cose, deve far riferimento a qualche altra cosa, ad un
altrimenti che permetta di svincolare luomo dalla parentela che lo lega allessere.
Tracce di questaltra dimensione, o meglio, di questa dimensione altra, sono
visibili, come gi notato, nel pensiero dellOccidente, come il caso dellormai famoso
Bene platonico, il quale prima dellessere. Levinas si rif molto a questa formula, e
parecchie volte la ricorda, anche se il termine essere non inteso platonicamente, ossia
come ousa (essere come sostanza delle cose), bens in senso heideggeriano, ovvero
come essere distinto dallente, verbo, avvenimento o accadimento dessere. Il filosofo ha
due locuzioni per esprimere tale situazione: altrimenti che essere e al di l dellessenza
(queste due espressioni danno il titolo a quella che probabilmente la sua maggiore
opera: Autrement qutre ou au-del de lessence).
La seconda parte del titolo significa proprio lal di l dellessere nella sua differenza
con lente. La prima parte, in fondo, intende dire la stessa cosa, ma in altro modo. E solo
una maniera diversa del dire la trascendenza la quale, ricordiamolo, ha senso solo se
passa allaltro dellontologia. L altrimenti che essere non un essere altrimenti
(essere questo o essere quello, essere nel mondo o essere dietro il mondo), e non
neppure il non-essere (la negazione dellessere); in entrambi i casi siamo sempre
allinterno dellessere, per cui la differenza con la trascendenza sarebbe fittizia, un gioco
retorico giocato fino ad ora dai filosofi occidentali. Per quanto riguarda lenunciato
essere altrimenti, facile capire perch con esso non si esce dallontologia; infatti,
possiamo dire che questo, o quello, ma sempre , sempre, cio, Essere. Qualche
difficolt, invece, potrebbe venir fuori nel secondo enunciato, quello relativo alla
negazione dellessere. In questo caso potremmo obiettare che se il non essere non ,
allora siamo fuori da esso. Non cos, e di questo ce ne accorgiamo se leggiamo le
pagine precedenti della nostra esposizione. Abbiamo detto, infatti, che il nulla assoluto
impossibile, perch qualsiasi negazione dellessere, il vuoto che si crea, viene riempita
subito dallessenza dellessere, la quale il sordo e anonimo fruscio dellil y a. Di

conseguenza, la questione della trascendenza non risiede nellalternativa dellessere e del


non-essere, poich lessenza dellessere domina lo stesso non-essere. Di questa
situazione, ne ha piena coscienza Amleto: Amleto sa che il non essere
probabilmente impossibile, e non pi in grado di dominare lassurdo, neppure con il
suicidio292.
Ma se non questo e non quello, cosa significa tale formula? Questa volta,
facciamo rispondere direttamente il filosofo francese: Lenunciato dellaltro
dellessere, dellaltrimenti che essere, pretende enunciare una differenza al di l di quella
che separa lessere dal nulla; precisamente la differenza dellal di l, la differenza della
trascendenza293. Si tratta, in altre parole, di una proposizione in cui lavverbio
(altrimenti) prevale smisuratamente sul verbo (essere).
La differenza possibile solo grazie alletica, la cui relazione sporge sia rispetto
alla logica formale sia rispetto alla logica dialettica. Inoltre, se consideriamo il fatto che
essa non ha nulla a che fare con la ri-presentazione, si deve aggiungere, per forza di
cose, che non pu essere considerata come una disciplina discendente da una qualche
filosofia teoretica. Per questo motivo essa non una propaggine della rappresentazione,
ma una vera e propria filosofia prima.
Il principio levinassiano del senza-principio il pre-originario che, non essendo a
sua volta origine, consente alla morale di essere ci che d senso, o meglio, il
significante stesso.
Limpossibilit del primum porta ad un vero e proprio anacronismo delletica, in
cui la responsabilit immemorabile, che precede la libert, costituisce la stessa
individuazione del soggetto. Non si tratta di negare lessere, perch ad esso appartiene
comunque lorigine, larchia, il principio a partire dal quale si manifestano le cose. Solo
che, ed questo il senso della filosofia di Levinas, il principio non esaurisce il senso, ma,
anzi, esso stesso lo riceve da qualcosa daltro, il quale solo si presenta come lorigine
ultima del senso: il passato pre-originario, il prima anteriore e irriducibile allinizio,
letica. Laffermazione dellAltro-nello-Stesso, per, pur essendo un altrimenti, non
porta automaticamente al disprezzo dellessere, tuttaltro. Luscita che il filosofo effettua
non definitiva, ma tende a ritornare, in un movimento circolare del pensiero, a ci dalla
292
293

Cfr. E. Levinas, Il Tempo e lAltro, cit., pag. 24


Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 6

quale era sgorgata; evadere s dallessere, quindi, ma per ritornarvi. Il ritorno ad esso
essenziale perch solo nel movimento del ritorno che finalmente lEssere trova il giusto
senso. Di conseguenza, questo trova il senso nellaltro da s, perch nellal di l
dellessenza il vero senso dellessere, per cui concetti come giustizia, responsabilit,
ecc., possono essere concreti solo nel registro della manifestazione, considerata non pi,
ora, come violenza, ingiustizia, potenza, sovranit; non pi: c stato lintervento etico,
che ha dato traccia di s nel piano dellessenza.
A sua volta, lessere condiziona letica stessa, perch se esso non ci fosse, questa
non potrebbe prodursi, in quanto gli mancherebbe quellorigine a partire dalla quale
significante. Senza lessere laltrimenti che essere non ha senso, perch esso non
qualcosa che si trova al di fuori del mondo (si ricordi quanto detto nella Prefazione di
questa esposizione, ove si metteva in risalto il fatto che era solo a partire dalloriginario
che si poteva risalire al preoriginario). Indubbiamente letica prima dellontologia,
ma si produce a cose fatte, attraverso la riduzione dellontologia. Il mondo pi
umano di cui alla ricerca questa filosofia abbisogna e delletica e dellessere, e in
nessun modo svilisce luno o laltro. Certo, assegna un primato, subordina a livello di
dignit, ma non svaluta la sfera della tematizzazione. Questo pensiero si rende conto che
letica veramente tale non solo quando, formalmente, ci si accorge che noi siamo
pre-originariamente in rapporto con lestraneo, ma anche quando dal formale si passa
alla concretezza della responsabilit, la quale mette in gioco un io che vede il dolore di
altri e lo aiuta ad alleviarne le sofferenze; mette in gioco, in altre parole, un soggetto che
si dedica allaltro e fa di tutto per toglierlo dalle difficolt. Un soggetto che fa questo, e
che addirittura nel fare ci considera laltro pi importante di s, il vero soggetto etico.
Ecco perch lessere fondamentale; esso, se riceve il senso dalletica, permette di
rendere empiricamente pi umano luomo. La critica levinassiana ad esso una
riflessione che mette in questione lassolutizzarsi dellessenza, perch lessere che non
presenta tracce della trascendenza quel Medesimo che vive solo nella piena
soddisfazione di s o almeno questo il suo intento.
Anche la filosofia ha questo compito. Essa deve dire lindicibile, deve vedere
linvisibile, senza, per, assolutizzare la tematizzazione.

Tutto sta, per capire lessenza del discorso levinassaino e, conseguentemente, per
chiarire la situazione appena descritta, nel distinguere loriginario e il pre-originario. Il
primo quellinizio di cui si sempre occupata la filosofia, considerato come ci a
partire dal quale tutto e al quale tutto torna; esso pu essere identificato con il dio
dellHinterwelt criticato da Nietzsche. Il secondo, invece, in quanto prima del prima,
non unessenza che sussisterebbe in un ipotetico iperuranio, ma si produce solo
nellinterminabile riduzione del pensiero che riconduce lorigine alla sua significativit
pre-originaria (risalita dalla manifestazione al suo significato). Proprio in quanto
impossibilit di origine accessibile al pensiero e alla rappresentazione, letica non pu
essere ricordata e afferrata dal presente della rappresentazione, perch essa non stata
mai presente. Ma questo significa che non che ci sia prima letica e poi lessere, bens
che il senza inizio si esprime a partire dallinizio; questo il senso della frase derridiana:
Posteriore di fatto, la metafisica come critica dellontologia di diritto e
filosoficamente prima294. Non tragga in inganno il fatto che questo riferimento a Derrida
sia vecchio, nel senso che, al momento in cui tale filosofo faceva questo tipo di
commento, ancora Autrement qutre ou au-del de lessence non era venuto alla luce.
Sotto questo punto di vista, qui non subentrata nessuna differenza, come invece
accaduto per la soggettivit e per il linguaggio; tuttal pi si dovrebbero cambiare i
termini, e, di conseguenza, la frase potrebbe essere trasformata nel modo seguente:
Posteriore di fatto, letica come messa in questione dellontologia di diritto e
filosoficamente prima. Essa, quindi, esige la riduzione della dimensione ontologica e non
si d senza di essa.
La posteriorit delletica prima perch essa il presupposto dellorigine (le d
senso): perci c anacronismo. Ma essa prima perch si produce a cose fatte, cio
dopo, attraverso la riduzione dellontologia. Non possiamo ragionare in termini
cronologici, perch se lo facessimo salterebbe il discorso levinassiano e negheremmo ci
che il filosofo vuole affermare. Infatti, cronologicamente dovremmo dire che c
innanzitutto unorigine e poi viene la separazione da essa. In questo caso cadremmo
nellessenza dellessere e nellerrore della filosofia occidentale, continuando in una

294

Cfr. J. Derrida, La scrittura e la differenza, saggio Violenza e metafisica, cit., pag. 122

cultura dove a dominare la Volont di potenza di Nietzsche o lo Spirito assoluto di


Hegel.
Lanacronismo, quindi, porta alla seguente considerazione: proprio per il fatto che
non si pu postulare un inizio, non che il soggetto sia innanzitutto e originariamente
etico, come se ci fosse unoriginaria benevolenza delluomo che poi continua nella
dimensione ontologica. Se le cose stessero cos, infatti, letica sarebbe ancora ontologia,
in quanto avrebbe un inizio, unorigine, un arch, a partire dal quale la benevolenza si
tradurrebbe come tale nel mondo. E precisamente contro questo il senso
dellirriducibilit al presente, perch essa non fa della responsabilit qualcosa che esiste
in un altro mondo, rispetto al quale luomo non dovrebbe far altro che rispecchiare ci
che universale e necessario. Pertanto, la natura come bont e socievolezza delluomo
inesistente, e ci porterebbe ancora nella strategia della rassicurazione che tipica del
pensiero greco, il quale ha voluto sempre trovare, alla fine del suo discorso, la quiete del
Medesimo. Sotto questo punto di vista, letica non sarebbe altro che un altro tentativo di
dire limmanenza, che si collocherebbe, di conseguenza, nello stesso registro delle idee
platoniche, o del dio leibniziano, o di quello spinoziano ecc. Pertanto, letica levinassiana
diventerebbe solo una sfera che riguarderebbe la responsabilit come essenza originaria
della soggettivit.
Il rischio che si potrebbe correre quindi la considerazione di questa struttura; ma
Levinas se ne rende conto, e per questo insiste sul pre-originario, sullanarchia e su tutti i
sinonimi che servono per allontanare questo errore: .. la responsabilit per altri non
potrebbe scaturire da un impegno libero, cio da un presente. Essa eccede ogni presente
attuale o rappresentato. In tal senso in un tempo senza origine: La sua an-archia non
potrebbe comprendersi come semplice risalire da un presente ad un presente anteriore,
come unextrapolazione di presenti secondo un tempo memorabile, cio raggruppabile
nel raccoglimento di una rappresentazione rappresentabile. Questa an-archia, questo
rifiuto di raccogliersi in rappresentazione, ha un proprio modo di concernermi: il lasso;
ma il lasso di tempo irrecuperabile nella temporalizzazione del tempo non ha soltanto la
negativit dellimmemorabile Questa diacronia disgiunzione dellidentit in cui il
medesimo non raggiunge il medesimo: non sintesi, stanchezza295.
295

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 66

Certo, in origine c il presente, laccoglimento dellessere a se stesso, ma questo


non il senso, non tutto; non , in altre parole, lesaustivit, perch prima c una
relazione con laltro relazione etica che non a sua volta originaria, ma presuppone
larch, dandogli un senso quando, come dicevamo prima, si apre la giustizia e la bont
nei confronti dellaltro. Pre-originario, e lo ribadiamo ancora una volta (perch anche noi
corriamo il rischio sopra descritto), che non potr mai essere presente, altrimenti sarebbe
non pi tale, ma origine. Si potrebbe dire, allora, che ci che veramente originario la
mancanza dellorigine, ovvero una relazione tra lio e lestraneo che non stata mai
fusione e che mai sar tale.
La relazione irriducibile prima di ogni impegno, anacronisticamente anteriore ad
ogni impegno, pi antica di ogni a priori, perch il soggetto allaccusativo senza aver
fatto ancora niente. Lanarchia porta un disordine che non lopposto dellordine (il
disordine non altro che un diverso tipo di ordine), ma arresta quel gioco ontologico in
cui il medesimo ci compiace della sua quiete. Trovandosi nellimpossibilit di ricondurre
tutto al presente, il soggetto in ritardo rispetto ad esso, ed incapace di recuperare tale
ritardo. Bisogna insistere sul passato che non mai abbastanza passato, altrimenti si pu
cadere nellerrore di cui parlavamo prima, facendo saltare, in questo modo, ci che
stiamo affermando nel corso di queste pagine. Bisogna insistere, insomma, sul paradosso
dellanacronismo delletica e dellanacronismo dellorigine; paradosso derivante dalla
struttura circolare di due ordini temporali che si condizionano e si presuppongono
vicendevolmente, dando vita ad una confusione inevitabile che se vista dal lato
dellessere diventa anacronismo dellorigine, mentre se vista dal lato delletica, diventa
anacronismo delletica). F. Ciaramelli, a questo proposito, formula due domande che
chiariscono ulteriormente la difficolt inevitabile in cui siamo caduti: Come potrebbe
letica essere la riduzione dellontologia se non presupponendola? Ma come potrebbe
lontologia interrompersi e capovolgersi in etica se letica non fosse gi da sempre il suo
senso?296.

2. CREAZIONE EX NIHILO
296

Cfr. postilla di F. Ciaramelli, Lanacronismo, in E. Levinas A. Peperzak, Etica come filosofia prima, cit., pag.
165

Lirriducibilit etica un anacronismo in cui il soggetto si trova implicato senza


aver scelto o assunto alcunch, dato che esso non originariamente etico, ma preoriginariamente etico. La diacronia del tempo proprio laffermazione di un essere che
viene non so da dove, quindi di un soggetto che si trova ad essere per-laltro prima di
qualsiasi rappresentazione, prima di essere (presente). I famosi a priori kantiani sono
semplicemente inadeguati per descrivere tale situazione, perch lanarchia
anacronisticamente anteriore ad essi; si tratta di unanteriorit pi antica dellapriori, i
quali sono quei modi di unificazioni che raccolgono il molteplice e che hanno, come loro
base, un altro prima, ossia quellIo Penso a partire dal quale si ha il principio
dellesperienza. Nel criticismo c un inizio: lattivit dellunit formale che opera
attraverso le dodici categorie. Nulla cambia se ci volgiamo al sensibile di questa stessa
filosofia; qui tempo e spazio sono ancora sinonimi dellattivit del soggetto che
raccoglie, anche se ordinando e non unificando, il molteplice, assumendo, in questo
modo, tutto ci che lo affetta.
Il senza-inizio del soggetto etico, invece, un qualche cosa che sfugge sempre alla
ri-presentazione della coscienza, e, in quanto tale, una responsabilit che si trova al di
qua della libert, per mezzo della quale egli si trova implicato con il Bene senza avere
scelto se essere buono o malvagio. Gi da sempre imparentato con il Bene, egli si
caratterizza per una mancanza dessere, o un ritardo dessere, che ad un tempo
negativit e positivit: la prima entra in gioco se ci riferiamo allontologia; la seconda, se
ci riferiamo alletica. Il provenire da un passato anarchico quella separazione di cui
abbiamo parlato in precedenza che impedisce la partecipazione allessere, per mezzo
della quale non si apre nessuna etica, in quanto ogni ente viene inglobato in un orizzonte
la cui caratteristica quella di racchiudere tutto. Si potrebbe anche dire che lanarchia
non nientaltro che la continua contestazione della volont di potenza, la quale mira
alla pienezza dessere e, conseguentemente, tende a non incontrare nulla fuori di s,
riducendo lalterit radicale derivante da questo tempo etico: In questo contesto in
questo Detto si cancella gi la dia-cronia assoluta della creazione, refrattaria alla
raccolta in presente e in rappresentazione dal momento che, nella creazione, il chiamato
ad essere risponde ad un appello che non ha potuto raggiungerlo, poich, nato dal nulla,

esso ha obbedito prima di intendere lordine. Cos nella creazione ex nihilo a meno che
non sia puro non-senso pensata una passivit che non pu essere capovolta e assunta
e, cos, il s come creatura pensato come in una passivit pi passiva della passivit
della materia, cio al di qua della virtuale coincidenza di un termine con se stesso 297.
Lambito dellontologia, dunque, tende a negare quel soggetto il cui luogo il
non-luogo donde deriva, come dimostra il concetto religioso della creazione ex nihilo.
Questultima ha a che fare con il tempo irrecuperabile, ed la dimostrazione della
soggettivit etica, dato che proprio la situazione di un essere che viene dal nulla,
ovvero da un passato che non mai stato presente e che perci non pu essere fatto
nuovamente tale. Certo, in essa c senza dubbio una passivit del soggetto, ma una
passivit talmente radicale che rende possibile una creatura non pi dipendente da
qualcosa, quindi non partecipante a niente, e perci atea, separata. La sua indipendenza,
per, non soltanto in rapporto allessere, ma anche in rapporto a Dio; ci rende
possibile il fatto che egli sia una novit rispetto al Creatore, un qualcosa di separato. Il
concetto di creazione, dunque, non semplice negazione, ma separazione,
autolimitazione da parte del Creatore affinch laltro abbia luogo. Se cos non fosse, e
quindi nel gioco dei rimandi si potrebbe risalire alla causa prima, verrebbe meno il
discorso appena fatto, perch si arriverebbe a quel principio a partire dal quale il
soggetto nasce, ossia a quellistante che tutto ingloba e tutto rende possibile. Con lidea
di creazione, invece, ci non pu accadere, perch, se volessimo risalire alla nostra
origine, al nostro luogo natio, non potremmo. Limpossibilit viene dal fatto che io sono
nato dal nulla, e questo significa che al mio fondo non c il presente, ma il nulla, il
non-luogo: vengo dal nulla, da non so da dove, e perci rompo con lidea di
partecipazione, la quale mi fa imparentare con quel Medesimo che ritrova se stesso nella
coscienza di s, destrutturando cos quellindividualit che pu essere tale solo se unica
ed insostituibile nella responsabilit, cio solo se la mia origine la mancanza
dellorigine, la relazione originaria con lestraneo: La grande forza dellidea di
creazione, quale la formul il monoteismo, consiste nel fatto che questa creazione ex
nihilo non perch questa costituisca unopera pi miracolosa dellinformazione
demiurgica della materia, ma perch, con essa, lessere separato e creato non
297

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 142

semplicemente venuto dal padre, ma gli assolutamente altro. Anche la caratteristica del
figlio potr apparire essenziale per il destino dellio solo se luomo conserva questo
ricordo della creazione ex nihilo, senza di cui il figlio non un vero altro298.
A differenza dellio come superuomo, che, nel momento in cui accade
nellattimo della decisione chiama la storia del mondo la sua storia, lio anarchico
una distanza rispetto al presente che gli permette non di recuperare tutto quello che
sarebbe potuto essere, ma di essere un nuovo inizio in relazione con lestraneit. La
relazione asimmetrica possibile solo perch lidea di creazione rompe lidea della
totalit, instaurando in tal modo la societ, in cui la molteplicit viene prima dellunit.
Per mezzo di questo motivo, allora, i concetti di limitazione dellInfinito e di infinizione
dellInfinito non sono affatto contraddittori, ma indicano proprio la relazione del
soggetto con la trascendenza. Il fatto che questultimo sia creato e non creatore significa
lirrealizzabilit della teoria delleterno ritorno dellidentico, nella quale cera una
volont che si voleva a tal punto da sconfiggere il suo rovello non poter volere a ritroso
fino a mettere le mani sulla sua genesi, diventando assoluta, incondizionata.
Il passato pre-originario che si traduce come elezione, come responsabilit per
laltro rompe con la categoria dellEssere, e perci significante prima di esso.
Precedentemente ad ogni mia scelta, a ogni mio volere, io sono stato eletto: un ordine
nuovo viene a farsi presente; unico prima di essere, io sono ricondotto ad un passato
irrappresentabile ed inavvicinabile, sono ricondotto allesterno di qualsiasi possibile
tematizzazione. Anacronisticamente, prima di essere (presente), io sono in un passato
che non mai stato. Il se stesso viene da un passato che non saprebbe ricordarsi, non
perch lontanissimo, ma perch non fatto per il presente. Di conseguenza, il soggetto
eteronomo, non autonomo, perch si trova allaccusativo prima di avere fatto qualcosa;
soggetto come sub-jectum, dunque, ossia assoggettato allalterit, che mi fa un appello
anteriore al mio udire lappello stesso. Lingenuit consiste, in questo senso, nel
trascurare la nozione di creazione cos come labbiamo descritta, cio consiste nel
credere che sono come lio fichtiano, il quale tutto pone (finanche il non-io).
Ma non bisogna credere che tale tematica miri a smantellare lonnipotenza dellio
per affermare quella di Dio. La cosa che emerge da questo discorso di Levinas che alla
298

Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 62

trascendenza non appartiene lonnipotenza, ma la limitazione (come pure abbiamo fatto


notare prima). Ci sarebbe insostenibile per gran parte della teologia, ma non per il
filosofo francese; e questo a causa del concetto di alterit di tale filosofia. Infatti, se
andiamo a rileggere le pagine di questa esposizione, viene fuori che alla domanda che
cosa lalterit nella filosofia levinassiana?, potremmo dare ununica definizione: essa
ci che si sottrae a qualsiasi forma di potere e di possesso, aggiungendo, subito dopo:
ma questa risposta non molto adeguata, perch dando la definizione noi tematizziamo,
ossia riduciamo laltro al medesimo (vedremo meglio, in seguito, la differenza tra Dire
e Detto e la possibilit di dire la trascendenza). In altre parole, sgorga un concetto di
alterit irriducibile a qualsiasi tentativo di riduzione allo Stesso.
Detto questo, possiamo finalmente capire che neanche a Dio pu essere applicata la
nozione di potenza assoluta, altrimenti cadremmo in contraddizione con quanto detto,
visto che essere potente assolutamente significa essere volont di potenza, la quale,
stampando il divenire allessere, non sarebbe limitata da nulla. In questo caso, allora,
parleremmo dellEssere supremo dellontoteologia, in cui esso non sarebbe altro che
quella monade che Levinas si tanto impegnato a decostruire nel corso del suo pensiero.
In altre parole, considerare Dio come onnipotente e onnisciente, varrebbe a dire non
essere riusciti a superare quella parentela che legava luomo allessere prima della
filosofia levinassiana, e cos si resterebbe ancora allinterno dellontologia e del suo
discorso sullessere. Di conseguenza, non si pu parlare di onnipotenza, altrimenti si
distruggerebbe lalterit e, di riflesso, il Bene; il Dio di Levinas non un essere
onnipotente.
Rispetto a questo, come porci nei confronti del Male? Certamente non vale pi la
definizione data nel capitolo primo, dove se ne parlava in termini di orrore per il c,
perch l stavamo parlando ontologicamente e in riferimento allessere. A questo nuovo
livello, invece, esso potrebbe essere interpretato come lesistenza di un qualcosa
derivante dallautolimitazione della trascendenza; autolimitazione che consente alluomo
di essere responsabile. In fondo, la libert delluomo il limite dellonnipotenza divina:
La creazione fu latto di assoluta sovranit, con cui la divinit ha consentito a non
essere pi per lungo tempo assoluta299.
299

Parole di Jonas citate in B. Borsato, Lalterit come etica. Una lettura di Emmanuel Levinas, Edizioni
Dehoniane Bologna, pag. 135

Creando la creatura, Dio ha concesso qualcosa allaltro da s, il quale ultimo si


caratterizza per la sua separazione dallInfinito, dipendente da questo, certo, ma
indipendente nellindipendenza: un ente un ente solo nella misura in cui libero,
cio al di fuori del sistema che presuppone dipendenza. Ogni restrizione imposta alla
libert una restrizione imposta allessere. Per questo motivo la molteplicit sarebbe la
decadenza ontologica di esseri che si limitano vicendevolmente attraverso la loro
vicinanza. Da Parmenide attraverso Plotino, non riusciamo a pensare diversamente.
Infatti la molteplicit ci appare unita in una totalit la cui molteplicit non pu essere che
apparenza, per altro verso inspiegabile. Ma lidea di creazione ex nihilo esprime una
molteplicit non unita in totalit. La creatura unesistenza che, certamente, dipende da
un Altro ma non come una parte che se ne separa. La creazione ex nihilo rompe il
sistema, pone un essere al di l di qualsiasi sistema, cio l dove la sua libert
possibile. La creazione lascia alla creatura una traccia di dipendenza, ma di una
dipendenza senza simili: lessere dipendente trae da questa dipendenza eccezionale, da
questa relazione, la sua indipendenza stessa, la sua esteriorit al sistema. Lessenziale
dellesistenza creata non consiste nel carattere limitato del proprio essere e la struttura
concreta della creatura non si deduce da questa finitudine. Lessenziale dellesistenza
creata consiste nella sua separazione nei confronti dellInfinito. Questa separazione non
semplice negazione. Attuandosi come psichismo si apre appunto allidea dellInfinito 300.
La libert del soggetto consiste nellessere separato rispetto al suo creatore, e non
nellaccoglimento dellessere nella coscienza, come invece sostiene lontologia e, con
essa, la filosofia occidentale. Non si tratta pi di considerarci liberi quando nulla pi ci
limita, ma si tratta di sentirci tali quando siamo in relazione con lestraneit, per mezzo
della quale non siamo altro che esseri morali: La creazione fa meraviglia non soltanto
perch creazione ex nihilo, ma perch porta ad un essere capace di ricevere una
relazione, di apprendere che creato e di mettersi in questione. Il miracolo della
creazione consiste nel creare un essere morale. E ci presuppone, appunto, lateismo,
ma, ad un tempo, lal di l dellateismo, la vergogna dellarbitrariet della libert che lo
costituisce301.
300
301

Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pp. 105-106


Ivi, pag. 88

Se non si capisce lorigine a partire dal nulla, non potremmo mai parlare di un
essere morale, perch dovremmo partire dal presupposto che tutti gli enti hanno, al loro
fondo, leternit, in seno alla quale essi si confondono perch in essa non si distingue lio
e laltro ( tutto Medesimo, Totalit). E precisamente da questa nozione del sempre
presente che il pensiero filosofico guidato dallontologia partito, facendo di questo
fondo la matrice comune di tutti gli enti; matrice comune che rimasta anche nella
critica heideggeriana dellobiettivit, visto che quel verbo essere che ha fatto risuonare
non altro che un altro modo per dire dellorizzonte entro il quale tutti gli enti si
racchiudono. Il passato irrecuperabile, invece, mette in atto un essere che non solo non
riesce a recuperare la sua origine, ma anche non riesce a comprendere Dio: Creatura,
ma orfana di nascita o atea, che senza dubbio ignora il suo Creatore, poich se lo
conoscesse recupererebbe ancora il proprio inizio 302. Recupero della propria origine e
conoscenza di dio sono la stessa cosa, perch se il soggetto risalisse alla sua genesi
sarebbe un ente assoluto che ha percorso un movimento circolare al cui ritorno ha
conosciuto anche la divinit, in quanto, non avendo ormai niente fuori di s, sarebbe esso
stesso dio; chiaramente, il discorso non muta nel caso inverso.
Fortunatamente, questo non accade, in quanto c quellanarchia intesa come
passivit pi passiva di ogni passivit che attesta lesistenza di un essere separato che
in relazione con la Trascendenza. La separazione non quindi leggibile come peccato
originale, ossia come caduta da un presunto stato eterno in cui non cera mancanza
(schema ontologico), ma come bont; bont originaria della creazione, della separazione.
Ci che viene smantellato, in questo discorso sulla creazione, la credenza che ci sia una
sostanza irriducibile al nostro fondo che d ordine alle cose (credenza che e i filosofi e la
teologia hanno portato avanti quando hanno ragionato di essa; ci accaduto perch
hanno pensato che questa non era altro che la causa prima, dalla quale tutte le cose la
molteplicit derivano).
Ci rendiamo conto, a questo punto, che la nozione di creazione quale la intende
Levinas un punto fondamentale della sua filosofia, perch mette in scena unanarchia
irriducibile

al

presente

che

precisamente

ci

che

il

filosofo

definisce

responsabilit-per-altri, o meglio, il Bene. Questultimo effettivamente al di l


302

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 131

dellEssere, viene prima di esso e gli d un senso. Esso non potrebbe farsi presente, n
rappresentarsi, per cui coinvolge la soggettivit prima che essa abbia prodotto la
tematizzazione, ovvero prima che essa lo abbia scelto liberamente. La diacronia che la
sua peculiarit questo rifiuto della sincronia, il non tematizzabile per eccellenza. Tale
eccezionalit effettivamente il soggetto votato allaltro anteriore allascolto del suo
appello, come se io avessi contratto il debito senza averlo contratto. E proprio a questo
livello che lio si identifica, perch lidentit gli viene dal di fuori. Sappiamo gi che non
si tratta della quiddit identica dellontologia, ma del soggetto che si identifica in quanto
lunico nella responsabilit. La vita, cos, si trova votata allaltro; votata, e non
votantesi: il vivente un volente non volutosi che si ritrova gi dedito allaltro malgrado
s: Il malgrado s segna questa vita nel suo stesso vivere 303. Questo concetto serve per
ribadire come la bont del Bene, possibile solo in un essere che venuto dal non-luogo,
dal nulla, sia anteriore a qualsiasi impegno volontario. Difatti, la locuzione suggerisce, a
livello generale, che c una passivit a fare qualcosa, come se io non potessi potere su di
essa, ma che, mio malgrado, io sia in riferimento ad essa.
Se non ci fosse questa anarchia il soggetto responsabile non sarebbe veramente tale,
perch esso presupporrebbe un agire che segue la logica, cio presupporrebbe un essere
che ha raggiunto la conoscenza ed ora si impegna verso ci che il sapere gli suggerisce
essere la cosa pi giusta. Un io di siffatta risma, per, sarebbe ancora autocostituzione
nella sintesi attiva che raccoglie la dispersione temporale, ove il tutto qualsiasi
dispersione e qualsiasi eccezione viene ridotto al presente, in cui vive chi si preoccupa
solo e costantemente di se stesso.
Questa situazione insostenibile, perch dimentica luomo che si approssima ad
altri. Ma che cosa la prossimit?
Il filosofo considera tale termine come la significazione stessa della soggettivit:
Essa la prossimit, ma la prossimit la significazione stessa della significazione,
linstaurarsi stesso delluno-per-laltro, linstaurarsi del senso che ogni significazione
tematizzata riflette lessere La soggettivit non precede la prossimit per poi
impegnarsi successivamente in essa. E, al contrario, nella prossimit, che rapporto e
termine, che si annoda ogni impegno304.
303
304

Ivi, pag. 65
Ivi, pag. 106

Lanalisi di tale vocabolo chiarifica la nozione stessa della soggettivit.


Innanzitutto, necessario dire che la prossimit non un qualcosa che viene prima del
soggetto, e nemmeno qualcosa che viene dopo, poich la soggettivit stessa. In secondo
luogo, se luno-per-laltro allora non pu essere intesa a livello dellessere, ma a
livello della responsabilit. Leffetto pi immediato di questa seconda considerazione
che essa non ha a che fare assolutamente con lo spazio inteso come ordine, nel presente,
dei coesistenti; lo spazio assoluto della geometria euclidea, dove regna la coesistenza e la
sincronia di tutti gli elementi, non riguarda tale nozione.
Il soggetto che si approssima allaltro, e del quale laltro il suo prossimo, non
dunque contiguit, ma relazione trascendente, nella quale il primo non pu impadronirsi
del secondo; certo, il prossimo mi concerne, ma lo fa attraverso la sua singolarit che al
di l dellapparire, ordinandomi prima di essere riconosciuto. La relazione trascendente
perch non reciproca, in quanto la sua peculiarit consiste nellandare verso laltro senza
preoccuparmi dellapprossimarsi dellaltro verso di me. Del resto, il culmine dellaspetto
etico consiste nel fatto che io vengo interpellato e, di fronte a questo appello
anacronistico, non sono altro che un eccomi, rispondente di tutto e di tutti: Ognuno di
noi colpevole [di tutto e di tutti] di fronte a tutti, ed io pi degli altri 305 (questa
espressione di Dostoevskij citata diverse volte da Levinas).
In questo contesto cambia anche la concezione della sensibilit, non considerata
come sfera conoscitiva identificante questo in quanto quello, bens come animazione o
psichismo dellesposizione allaltro. Con ci non si vuol dire, per, che questo senso del
sensibile non esista, ma si vuole solo mettere in evidenza che c un ordine superiore, un
altro significato, che prende le sembianze del significante stesso. Lo stesso valeva a
proposito dello spazio: per Levinas non che non esista come ordine dei coesistenti, ma
presupposto dalla prossimit.
Ritornando alla sensibilit, bisogna dire che la sua vera significazione deriva dal
fatto che, essendo psichismo, essa laltro in me, e perci il medesimo impedito di
coincidere con se stesso, nella cui non coincidenza c la possibilit di dare allaltro. Il
dare non un concetto vuoto (direbbe Kant), ma lesistenza concreta di un corpo che si

305

Cit. in E. Levinas A. Peperzak, Etica come filosofia prima, cit., pag. 149

identifica esponendosi allaltro, di un essere fatto di carne e sangue che, malgrado s,


si strappa il pane dalla propria bocca per darlo allaltro.
Non ci inoltreremo ulteriormente in analisi di questo tipo, perch basta soltanto
ricordare il punto dal quale eravamo partiti allinizio di questo paragrafo: la creazione
dal nulla, ovvero la condizione della diacronia irriducibilmente anarchica del tempo.
Rispetto a questo, concetti quali il corpo, la sensibilit, la prossimit, la vocazione ecc.
non sono altro che sinonimi, in quanto essi non fanno altro che riflettere la situazione
appena descritta. Sicuramente questi termini si richiamano luno allaltro, e in questo
richiamarsi accentuano la dimensione etica (Landamento quindi in qualche modo
sinfonico, con motivi che ritornano in contesti nuovi e con nuove armonizzazioni 306,
nota Ferretti commentando il linguaggio di Autrement qutre ou au-del de lessence),
ma, in fondo, non fanno altro che mettere in evidenza quella soggettivit che viene non
so da dove e che in nessun modo potrebbe raccogliere ci che refrattario
alloggettivazione.
3. LINGUAGGIO ONTOLOGICO E LINGUAGGIO ETICO
Crediamo sia giunto il momento, a questo livello di analisi, di chiarire il problema
del linguaggio, visto che esso si presenta come uno degli aspetti pi difficili con cui ha
avuto a che fare il pensiero levinassiano. Si aggiunga, a questo, che rischiamo di non
capire molto bene ci che siamo andati dicendo in queste pagine se non con una
opportuna delucidazione di tale argomento.
Si ricordi che Levinas, a proposito di Autrement qutre ou au-del de lessence,
diceva che in questo libro il linguaggio ontologico era fondamentalmente evitato. Molto
probabilmente, come notavamo nel capitolo precedente, stato Derrida a far capire al
filosofo la contraddizione in cui era caduto in Totalit et Infini: la proposta dellaltro
dellessere era fatta su base ontologica e, conseguentemente, con un linguaggio
ontologico. Insomma, Levinas si rende conto che se si vuol dire la Trascendenza,
bisogna utilizzare un nuovo tipo di linguaggio, che sia veramente altro rispetto a quello
utilizzato dai filosofi finora. Un nuovo tipo di linguaggio, dunque, non ontologico, ma
etico. Ed proprio questa una delle novit pi rilevanti della prima opera citata, nella
306

Cfr. G. Ferretti, Alterit e trascendenza. La filosofia di Levinas, cit., pag. 198

quale, a differenza dellopera precedente, il pensatore si impegna a dire la trascendenza


con un linguaggio adeguato, il quale evita di far ricadere inevitabilmente in ci da cui si
sta tentando di uscire.
Il compito, per, non dei pi facili, perch lindagine sullaltrimenti che essere
condotta non a partire dalla religione, ma a partire dalla filosofia, la quale, essendo nata
in Grecia, ha un solo ed unico modo di esprimersi: lontologia. Da qui i suoi termini pi
rilevanti: essere, identit, molteplicit, trascendenza, alterit, passivit, attivit,
metafisica, senso, ipseit, necessario, contingente e cos via. Tutti questi vocaboli sono
lessenza della filosofia, per cui se noi volessimo eliminarli non potremmo pi discutere
in termini filosofici, visto che ci mancherebbero le parole per poterlo fare.
Il vero problema quindi il seguente: bisogna dire la trascendenza per il tramite di
vocaboli che sono tipici della filosofia, la quale, ormai lo sappiamo, unontologia
almeno fino alla nuova filosofia del pensatore ebreo. Inoltre c unaltra difficolt: se
vogliamo dire la trascendenza, dobbiamo fare in modo di dire lindicibile; ma nel
momento in cui lo diciamo lo abbiamo detto, ovvero lo abbiamo tematizzato, e quindi
abbiamo perso ci che sfuggiva alloggettivazione. I Greci non avevano questi tipi di
problemi, in quanto il loro scopo era lintelligibilit (coincidenza tra essere e sapere), in
riferimento alla quale essi avevano ci di cui avevano bisogno: un linguaggio ontologico
linguaggio adeguato. I problemi, invece, ce li ha Levinas, il quale deve tematizzare ci
che refrattario alla tematizzazione. Come ci si comporta di fronte a questa situazione?
Il ragionamento del filosofo potrebbe essere riassunto in questo modo: se devo dire
lindicibile devo per forza di cose usare la lingua del Greco. Ma se mi fermo a questo
perdo sicuramente quel residuo che non si lascia racchiudere in un Detto. Di
conseguenza, devo inventarmi qualche cosa che, pur utilizzando i vocaboli del Greco,
mi consenta di dire laltro del Greco.
Come si raggiunge questo scopo? Qual linvenzione di Levinas? Se i termini
che noi usiamo, quelli della filosofia, sono termini dellontologia, e se devo tematizzare
laltrimenti, allora non possibile parlare del dire etico se non in termini che
volontariamente si concretizzano nel detto ontologico: come posso, di conseguenza, dire
la trascendenza?

Sono tutte domande, queste, che sicuramente il filosofo si posto. Ma la sua


grandezza non sta in questo, bens nel fatto che egli riuscito a risolvere quella che
apparentemente appariva come una difficolt insormontabile che faceva cadere nella
contraddizione inevitabile.
Due sono i modi individuati da questo pensatore per risolvere la questione, ossia
per poter veramente introdurre un nuovo tipo di linguaggio, una nuova grammatica, un
linguaggio etico: linguaggio che sa dire la trascendenza, laltro dellessere.
Il primo modo negativo, in quanto fa riferimento alla tecnica del disdire, che
consiste proprio nel disdire continuamente ci che si appena detto, mantenendo cos la
dimensione dellal di l. Un classico esempio che possiamo fare a questo proposito la
formulazione dellaltrimenti che essere. Analizziamo bene questa locuzione: essa dice la
trascendenza con una frase in cui contenuto e al tempo stesso negato quello stesso
termine essere a cui non si dovrebbe pi fare riferimento, neppure in modo negativo.
Linevitabile

riferimento

allessere

(si

pensi

quello

che

abbiamo

detto

sullanacronismo delletica, o al nostro linguaggio intessuto di logos greco) superato


da questespressione perch in essa si disdice altrimenti ci che si appena detto
lessere. In riguardo a questo metodo del dire e del disdire, in cui il linguaggio
dellessere disdetto non appena lo si pronunciato, Levinas dice di avere sentito
quellaffanno dello spirito che come trattenere il respiro perch ci che si dice non
venga consegnato tutto al detto.
Il secondo modo, invece, positivo, nel senso che, per ottenere lo stesso risultato,
si possono anche utilizzare termini ontologici, ma a condizione di esasperarli. Ci
troviamo di fronte al cosiddetto metodo dellenfasi, la cui peculiarit lesagerazione o
la sublimazione di essi. In altre parole, si tratta di esasperare talmente il linguaggio
ontologico fino a che esso non si rompe, trasformandosi cos in linguaggio etico. Tramite
lenfasi si avrebbe, cos, una vera e propria sovradeterminazione delle categorie
ontologiche che le trasforma in termini etici 307. Essa sarebbe quindi un eccesso che
rompe con lontologia spingendo fino allestremo un concetto. Ad esempio, il termine
passivit certamente ontologico; per il tramite dellesagerazione, per, esso diventa
etico, e quindi da passivit si trasforma in passivit pi passiva di ogni passivit 308.
307
308

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 144


Ivi, pp. 63-64 ed altre

Lo stesso vale per altre espressioni, quali esposizione sempre da esporre, denudazione
della denudazione, significanza stessa della significazione, infinizione dellinfinito,
finizione della finitezza che finisce, comunicazione della comunicazione, origine
stessa dellorigine, materialit pi materiale di ogni materia, intelligibilit
dellintelligibile ecc. Tramite questo processo di enfasi, allora, quelli che sono concetti
tipici dellontologia diventano tutti di natura etica (esempio da soggettivit a
soggezione ad altri, da sensibilit ad esposizione ad altri, da differenza a
non-indifferenza, da identit a sostituzione).
Bisogna aggiungere, per, che la tecnica del disdire pi fondamentale di quella
dellenfasi, perch essa vale anche per questultima. Infatti, lesasperazione, dicendo
laltro dellessere, non fa altro che oggettivarlo; per evitare che la dimensione etica si
irrigidisca nellontologia necessario disdire ci che si appena detto, seppur
enfaticamente (Levinas, infatti, nellultimo capitolo dellopera Autrement qutre ou
au-del de lessence non fa altro che dire altrimenti ci che ha appena detto).
Le ambiguit di queste novit portano il filosofo ad insistere su queste tematiche: da
qui la distinzione tra Dire e Detto.
Prima di procedere innanzi, per, opportuno sottolineare il metodo della
filosofia levinassiana, poich lesplicazione di esso ci permetter di analizzare pi
approfonditamente questi due vocaboli.
Diciamo subito che il filosofo procede mediante il metodo fenomenologico, inteso,
come accennato nelle pagine precedenti, come analisi intenzionale, nella misura in
cui questa significa la restituzione delle nozioni allorizzonte del loro apparire, orizzonte
misconosciuto, dimenticato o spostato nellostensione delloggetto, nella sua nozione,
nello sguardo assorbito dalla sola nozione309. La prima cosa che viene in mente,
riguarda il fatto che se Levinas usa il metodo fenomenologico, la sua filosofia si rif ad
Husserl; infatti, le nostre analisi rivendicano lo spirito della filosofia husserliana di cui
la lettura stata il richiamo, nella nostra epoca, della fenomenologia permanente come
metodo di ogni filosofia310.
Bisogna precisare, per, che il filosofo husserliano e non-husserliano, in quanto
se vero che il metodo lo stesso (da ci che appare alle loro condizioni di possibilit),
309
310

Ivi, pag. 226


Ivi

altrettanto vero che, nelluguaglianza, c una grande differenza, poich mentre nel
pensatore tedesco c unorigine (per cui la riduzione fenomenologia arriva a quella
coscienza donatrice di senso), in quello francese lorigine la mancanza di origine, per
cui mai e poi mai si potrebbe risalire allarch, ma solo al pre-originario. Pi
precisamente, mentre Husserl fa sempre un discorso sullessere, Levinas fa un discorso
sullaltro dellessere, sullal di l. Il fatto che, in un certo senso,
Husserl ha ragione, perch quellorigine di cui alla ricerca e che trova non altro che
lapparire dellessere. Solo che cade in errore perch pensa, una volta trovato larch,
che ci si possa fermare, trascurando il fatto che lintelligibilit dellessenza non
lultima legittimazione della filosofia, il cui ultimo scopo invece la trascendenza,
lanarchia. Questa la vera significazione della significazione, perch essa non altro
che responsabilit-per-laltro, relazione con lalterit, il cui apice la sostituzione, nella
quale lio diventa eccomi per gli altri, rispondente di tutto e di tutti.
Nonostante questa dimenticanza, per, il merito gli deve essere riconosciuto, perch
il filosofo della fenomenologia ha fatto balenare lidea di un oltrepassamento del
pensiero oggettivante attraverso unesperienza dimenticata di cui esso vive. Grazie a ci,
noi abbiamo la possibilit di un nuovo modo di pensare: La fenomenologia, come ogni
filosofia, insegna che la presenza immediata presso le cose non comprende ancora il
senso delle cose e, di conseguenza, non sostituisce la verit. Ma a Husserl, al modo in cui
egli ci invita a superare limmediato, noi dobbiamo delle nuove possibilit di
filosofare La riduzione fenomenologia dunque unoperazione attraverso la quale lo
spirito sospende la validit della tesi naturale dellesistenza per analizzare il senso del
pensiero che lha costituita e che, a sua volta, non pi parte del mondo, ma viene prima
del mondo311.
La positivit, dunque, consiste nel fatto che non nel mondo che possiamo dire del
mondo, mentre la negativit consiste nel ritrovare, allinizio, la coscienza costituente. In
sintesi, la stima di Levinas verso Husserl consiste nel fatto che questultimo si pone il
problema dellorigine del senso (perci lepoch), anche se cade in errore facendo del
soggetto linizio di esso: Per Husserl la coscienza il fenomeno stesso del senso 312. La
differenza fondamentale, perch se vero come vero che la filosofia e per luno e per
311
312

Cfr. E. Levinas, Scoprire l esistenza, cit., pp. 144 e 39


Ivi, pag. 32

laltro problema del senso, luno risale alloriginario, mentre laltro al pre-originario.
In questultimo caso, la descrizione fenomenologia risalita da qualcosa a qualche cosa
daltro deve andare non allarch, ma al senza-inizio, alla diacronia del medesimo e
dellaltro, e non fare dellaltro un fenomeno dellego. Nella riduzione fenomenologica
non sono valide, di conseguenza, le regole husserliane, perch la fenomenologia non
trasformare i fenomeni in cose in s 313, ossia ricercare il fondamento, il riposo del
Medesimo, ma consiste nel mettere letica prima dellontologia. Solo in questo senso si
pu parlare della filosofia levinassiana come filosofia trascendentale, ove per
trascendentale si intende lanteriorit di qualcosa (letica) rispetto a qualche altra cosa
(lontologia), ma non nel senso di principio da cui tutto deriva e a cui tutto torna:
letica prima dellontologia. Essa pi ontologica dellontologia, pi sublime
dellontologia. E da qui che proviene un certo equivoco secondo il quale essa sembra
applicata sopra, mentre prima. E dunque un trascendentalismo che comincia con
letica314. Lo scopo diventa allora una risalita dallorigine al di qua dellorigine, in cui lo
spirito non resta pi fondato sullessere, sulla sua presenza, come se fosse lavvenimento
stesso di questa presenza.
Concretamente, il metodo fenomenologico non altro, per Levinas, che una risalita
dal Detto al Dire, un ridurre il Detto al Dire: Il Detto in cui tutto si tematizza in cui
tutto si mostra nel tema conviene ridurlo alla sua significazione di Dire, al di l della
semplice correlazione che sinstalla tra il Dire e il Detto; conviene ridurre il Detto alla
significazione del Dire, liberandolo al Detto filosofico sempre ancora da ridurre 315. Solo
in questo modo si pu dire la trascendenza: Il risalire verso il Dire la Riduzione
fenomenologia in cui lindescrivibile si descrive 316. Si capisce chiaramente, ora, che la
risalita non porta allevidenza indubitabile del sapere della coscienza trascendentale, ma
porta a disdire il Detto per risalire dal Detto al Dire, cio dal piano ontologico

313

Cfr. E. Levinas, Di Dio che viene allidea, cit., pag. 111


Ivi, pag. 114
315
Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 226. G. Ferretti, in Alterit e trascendenza. La filosofia di
Levinas, cit., pag. 200, nota 193, fa notare come era pi opportuno tradurre tout en le livrant au Dit con pur
consegnandolo al Detto, piuttosto che tradurlo con liberandolo al Detto. Difatti, il compito della fenomenologia
consiste nel liberare il Dire dal Detto, anche se, nel momento in cui lo si fa, lo si consegna (e non lo si libera)
ancora una volta al Detto.
316
Ivi, pag. 68
314

dellapparir dellessere (alla coscienza e nella coscienza) alla sua significazione pi


originaria: letica.
I due metodi di cui parlavamo prima, che consentivano il linguaggio etico, sono
nientaltro che due aspetti della stessa medaglia, ossia due tecniche di un unico metodo,
quello fenomenologico. Difatti, la Riduzione Fenomenologica pu essere effettuata in
due modi: o disdicendo il Detto con espressioni quali altrimenti che essere, oppure
mediante il metodo fenomenologico enfatico: Lenfasi il termine buono
descrivere questo mutamento anche fare della fenomenologia. Lesasperazione come
metodo della filosofia! Ecco cosa risponderei per quanto riguarda il metodo Ecco le
riflessioni attraverso le quali sosterrei che il mio metodo comunque unanalisi
intenzionale, che il linguaggio etico mi sembra pi vicino al linguaggio adeguato e che
letica non affatto uno strato che viene a ricoprire lontologia, ma in qualche modo, pi
ontologico dellontologia, unenfasi dellontologia, del Detto317.
Il regno dellontologia posto sullo stesso piano del regno del Detto, in quanto
questultimo viene considerato proprio come identificazione degli essenti e come
verbalizzazione della stessa essenza. Rispetto a questo, il Dire il pre-originario, il quale
si consegna al Detto nella manifestazione. La risalita della fenomenologia deve avere
come compito landare al di l (o al di qua) di questultimo, per mostrare la
significazione del Dire. Dire e Detto sono caratterizzati anche da tempi diversi: il primo
un passato irrappresentabile, mentre il secondo ha come peculiarit il ricordo. Cos, se
nelluno la dispersione diacronica viene ridotta alla sincronia della raccolta in un
presente per mezzo della rappresentazione, laltro ha a che fare con una diacronia
irriducibile, non sintetizzabile. Ora, se consideriamo il fatto che letica prima
dellontologia (anche se anacronisticamente), viene facile capire che in virt
dellanarchia che esiste la sincronia del Detto. Il compito pi importante della filosofia, e
il vero metodo fenomenologico, consiste nel ritornare alla dimensione che precede
lontologia, ossia a quel tempo che precede il tempo recuperabile.
Il lavoro metodologico, per, infinito, perch se vero come vero che criticando
il Detto si risale al Dire (ecco il metodo fenomenologico in tutta la sua portata, come
risalita da ci che appare alle sue condizioni di possibilit), altrettanto vero che, nello
317

Cfr. E. Levinas, Di Dio che viene allidea, cit., pag. 113, corsivo mio

steso momento in cui diciamo qualcosa su di esso, questo viene consegnato al Detto
perch tematizzato. Non resta, allora, che rifare il lavoro, continuamente. Solo in questo
modo possiamo risalire alla significazione della significazione, cio a quel Dire che si
configura come dire-qualcosa-a-qualcuno, esposizione allaltro, ove laltro il
prossimo. Qui il discorso non pi maieutica (schema privilegiato della filosofia come
ontologia fin dalla sua nascita), ma relazione con laltro da s, differenza che si traduce
come non-indifferenza nei confronti dellaltro. Si potrebbe pensare, per, che se ogni
dire del Dire si consegna al Detto, allora la tecnica del risalita fenomenologica inutile.
Non cos, in quanto essa non solo fa risalire al pre-originario, ma anche riesce ad
imprimere nel secondo la traccia del primo, provocando cos luscita dalla filosofia come
filosofia della potenza e, conseguentemente, dellingiustizia.
Che ci sia possibile, cio che il Dire non si esaurisca nel Detto, dimostrato
dalleterno ritorno dello scetticismo, il quale, nonostante le accuse di contraddizione,
possibile. Il motivo va ricercato nel fatto che esso pone un intervallo irriducibile tra il
Dire e il Detto, mostrando cos la possibilit di un Dire trascendente, prima del Detto e
senza Detto, non riconducibile allimmanenza ontologica. Certo, come dice Peperzak,
ci che lo scettico dice il suo detto (il detto che nega la verit) contraddice la verit
del suo dire (la verit che implicitamente afferma enunciando il suo detto). Mettendoli a
confronto la contraddizione diventa evidente. Ma si devono proprio mettere a confronto
il Dire e il Detto?318.
Il confronto li sincronizza, li mette in un unico tempo, mentre lo scetticismo
proprio il rifiuto della sincronia, lirriducibile differenza tra le due dimensioni. Esso non
si ritiene confutato dallaccusa di cadere in contraddizione, e infatti rifiuta di
sincronizzare laffermazione implicita contenuta nel dire e la negazione che questa
affermazione enuncia nel Detto319. Insomma, la contraddizione si verifica solo nella
sincronia, ma non nella diacronia; lo scetticismo non si contraddice perch lo specifico
della sua dottrina riguarda la seconda, non la prima. Lo scetticismo il confutabile, ma

318

Cfr. saggio di A. Peperzak, Introduzione a Altrimenti che essere, in E. Levinas A. Peperzak, Etica come
filosofia prima, cit., pag. 133, sottolineato mio
319
Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 209

anche il ritornante: da qui il suo eterno ritorno, che richiama lesplosione dellunit
dellappercezione trascendentale senza la quale non si potrebbe altrimenti che essere320.
Le ragioni che portano a questo tipo di discorso sono da ricercarsi nellesposizione
fatta precedentemente a proposito dellanacronismo delletica, per mezzo della quale se
da un lato la responsabilit per altri precisamente un Dire prima di ogni Detto 321,
dallaltro lato necessario che questo Dire sorprendente si metta in luce deve esporsi
e raccogliersi in essenza, deve porsi, ipostatizzarsi, farsi eone nella coscienza e nel
sapere, lasciarsi vedere, subire linfluenza dellessere. Influenza che lEtica stessa, nel
suo Dire di responsabilit, esige322.
Tuttavia, per non rimanere solo ed esclusivamente nellambito dellontologia,
necessario che il Dire si affidi alla filosofia affinch la luce che si prodotta non
irrigidisca in essenza l al di l dellessenza Lo sforzo del filosofo consiste nel
ridurre immediatamente leone che trionfa nel Detto e nella messa in mostra; e nel
conservare il Detto di cui il Dire , di volta in volta, affermazione e ritrazione, leco
del Detto ridotto323.
Di conseguenza, nel momento in cui si va a parlare dellaltrimenti che essere non si
fa altro che esporlo nel Detto ontologico, che, in quanto tale, fa risuonare lessenza, ma il
metodo fenomenologico permette di conservare la diacronia, in modo da lasciare, in
esso, la traccia del Dire. La filosofia come ontologia non in s malvagia o errata, ma il
suo errore stato quello di aver voluto assolutizzare lessenza dellessere, non
consentendo, in questo modo, allo spirito di udire leco dellanarchia. Se si ode questa
eco, invece, lessere acquista il suo giusto senso, perch in esso sar resa giustizia, e la
filosofia della potenza, unitamente al suo aspetto pratico, sar eliminata. Il vero compito
della filosofia, per effetto di ci, diventa quindi il far risuonare non lessenza del verbo
essere, ma leco del trascendente nel Detto. Bisogna non perdere di vista il Dire, quindi,
perch esso, in quanto pre-originario, in quanto esposizione allaltro, la soggettivit
stessa. Non bisogna trascurare questa dimensione perch lontologia non lorigine del
senso: Il soggettivo e il suo Bene non potrebbero essere compresi a partire
320

Ivi, pag. 213


Ivi, pag. 55
322
Ivi
323
Ivi, pp. 55-56
321

dallontologia. Al contrario, a partire dalla soggettivit del Dire che la significazione


del Detto potr essere interpretata. Si potr mostrare che c questione del Detto e
dellessere solo perch il Dire o la responsabilit reclamano giustizia. Cos soltanto
allessere sar resa giustizia324.
4. IL TERZO
Il problema della giustizia dellessere trova la sua genesi a causa dellesistenza
degli altri del mio prossimo. Infatti, se ci fossi soltanto io e il mio prossimo non ci
sarebbero problemi, in quanto gli dovrei tutto, in assoluta gratutit. Di conseguenza, non
si esigerebbe la tematizzazione e la riflessione, perch non ci sarebbe nessuna
comparazione e nessun calcolo da effettuare. Ma questa assoluta gratutit viene turbata a
partire dallentrata in scena del terzo, ovvero degli altri di Altri o degli altri prossimi:
Il terzo altro dal prossimo, ma anche un altro prossimo, ma anche un prossimo
dellaltro e non semplicemente il suo simile. Che sono dunque laltro e il terzo,
luno-per-laltro? Che cosa hanno fatto luno allaltro? Chi viene prima dellaltro?325.
Dalla citazione appena fatta emergono diverse considerazioni: innanzitutto, il
terzo non sono io, e non nemmeno il mio prossimo, ma altro; altro non solo da me,
ma anche dal mio prossimo. Ma, nel suo essere altro, il mio prossimo e anche il
prossimo del mio prossimo. Se in Le Temps et lAutre alla implicita domanda chi
Altri Levinas rispondeva che Altri in quanto Altri (Autrui en tant quautrui) non
soltanto un alter ego; ci che io non sono 326, ora, alla domanda chi il terzo, si
potrebbe rispondere che il terzo, in quanto terzo, non un ripetizione del mio prossimo,
ma ci che esso non , e in questo non essere il suo simile, anche un altro
prossimo, il mio prossimo e il prossimo dellaltro. In secondo luogo, si deve osservare
che la sua entrata in scena problematizza il mio soggetto, in quanto, di fronte ad esso, io
sono costretto a fare un po di calcoli, visto che devo sapere cosa devo fare alluno (il
mio prossimo) e allaltro (il terzo), qual la loro relazione, come suddividere la mia
dedizione a loro ecc.: insomma, come essere giusto nei loro confronti.
324

Ivi, pag. 57
Ivi, pag. 96
326
Cfr. supra, sez. seconda, cap. 1, nota 43
325

Da questultima riflessione, come si vede, nasce il problema della giustizia, le cui


esigenze implicano la tematizzazione, e con essa la relativa presenza dellessere, ove ci
che non comparabile il mio prossimo e il prossimo del prossimo diventa
comparabile: E necessaria la giustizia, vale a dire la comparazione, la coesistenza, la
contemporaneit, il raccoglimento, lordine, la tematizzazione, la visibilit dei volti e,
attraverso ci, lintenzionalit e lintelletto e nellintenzionalit e nellintelletto
lintelligibilit del sistema, e, attraverso ci, anche una compresenza su una base di
uguaglianza come davanti a una corte di giustizia. Lessenza come sincronia:
insieme-in-un-luogo327. Ritorna, ritorna lessere in tutta la sua essenza, con tutte le sue
caratteristiche: libert, sincronia, tematizzazione, oggettivazione, presenza, intenzionalit
ecc. Questo il vero motivo che spinge Levinas a dire che dallessere si deve s evadere,
ma solo per ritornarvi. Il filosofo non condanna lessere, ma vuole soltanto introdurre la
giustizia in esso, in modo che la filosofia dellessere possa essere non una filosofia
della potenza, ma una filosofia della giustizia. Ecco perch si rivolge alletica: gli
essenziale risalire fenomenologicamente ad essa, che la significazione della
significazione, lorigine ultima del senso, per poter dare alla raccolta nel presente quella
traccia dellaltrimenti che essere che sa far uscire dalla cura del proprio s, rompendo, di
conseguenza, il conatus essendi. Non una condanna dellessere, quindi, ma addirittura
una sua difesa: Il modo di pensare qui proposto non consiste nel misconoscere lessere e
neppure nel trattarlo, secondo una pretesa ridicola e sdegnosa, come cedimento di un
ordine o di un Disordine superiore. Ma a partire dalla prossimit che lessere assume,
al contrario, il proprio giusto senso. Nei modi indiretti dellilleit, nella provocazione
anarchica che mi ordina allaltro, simpone la via che conduce alla tematizzazione e a
una presa di coscienza: la presa di coscienza motivata da una presenza del terzo
affianco al prossimo avvicinato; anche il terzo avvicinato; la relazione tra il prossimo e
il terzo non pu essere indifferente allio che si approssima. E necessaria una giustizia
fra gli incomparabili. E necessario dunque un paragone tra gli incomparabili ed una
sinossi; messa insieme e contemporaneit:

com- presenza; necessaria una

tematizzazione, un pensiero, una storia ed una scrittura. Ma bisogna capire lessere a


partire dallaltro dellessere. Essere, a partire dalla significazione dellapprossimarsi,
327

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 197

essere con altri per e contro il terzo; con altri ed il terzo contro s. Nella giustizia contro
una filosofia che non vede al di l dellessere, che riduce, abusando del linguaggio, il
Dire al Detto e ogni senso allinteressamento. La Ragione, alla quale si attribuisce la
virt di fermare la violenza per raggiungere lordine della pace, suppone il
disinteressamento, la passivit (pi passiva della passivit) o la pazienza. In questo
disinteressamento, quando la responsabilit per laltro anche responsabilit per il terzo,
si configurano la giustizia che confronta, raccoglie e pensa la sincronia dellessere e
la pace328.
La logica dellequivalenza, basata sulla reciprocit, dunque, per essere veramente
tale deve portare in s la traccia della bont, ossia la traccia di quellal di l dellessenza
che permette non un calcolo ideale dove gli individui sono strumenti di una collettivit
che deve funzionare negando lindividualit, ma un calcolo che, pur essendo tale, investe
di bont gli altri. In tal modo si eleva la giustizia al di sopra della semplice delimitazione
sospettosa del mio e del tuo e si orienta in un altro senso, verso il Bene, nel quale io sono
debitore di tutti. Se non ci fosse tale traccia, la giustizia sarebbe utilitaristica, la cui
regola potrebbe essere io do affinch tu mi dia, e nella quale, ad esempio, gli schiavi
devono rimanere tali perch servono per la produzione, o gli Ebrei devono essere
eliminati perch, a detta di qualcuno, sono esseri inferiori; come se io sia giusto nei
confronti degli uomini, solo che alcuni non sono uomini! Qui siamo nel registro
dellessere come violenza, non dellessere come giustizia, nel quale ultimo il Dire d il
senso, trattando il terzo come un altro prossimo.
A questo punto, per, opportuno fare una giusta precisazione. Visto che il
discorso che stiamo facendo trova la sua condizione di possibilit nella comparsa del
terzo, bisogna chiarire tale manifestazione, perch, bench secondo il filosofo la nascita
della giustizia sia data dalla presenza, accanto ad Altri, del terzo (cosicch la genesi
dellontologia, del Detto, del sapere, ossia il passaggio dal Dire al Detto, non da
considerarsi come una fatalit senza senso o come una degenerazione-limitazione della
prossimit del Dire, ma trova il suo senso nelle esigenze stesse della prossimit) la
comparsa del terzo non un puro fatto empirico. Certo, il terzo introduce una
contraddizione nel Dire la cui significazione dinanzi allaltro andava, fino ad allora, in
328

Ivi, pp. 21-22, sottolineato mio

un unico senso. E, di per s, limite della responsabilit, nascita del problema: che cosa
devo fare con giustizia? Problema di coscienza 329, ma non che il fatto sia cronologico,
dove inizialmente cera la mia assoluta gratuit verso laltro e poi, empiricamente,
comparso laltro. Non , dunque, che la mia responsabilit per altri si trovi in un secondo
momento costretta a fare calcoli; non , e non pu essere, perch il mio prossimo ha gi
sempre altri come suo prossimo: Nella prossimit dellaltro, tutti gli altri dellaltro mi
ossessionano e gi lossessione grida giustizia, reclama misura e sapere, coscienza
Altri di colpo il fratello di tutti gli uomini 330. Questa originariet dellessere fa s che
non solo il volto mi ossessioni, cio si trovi con me in una relazione pre-originaria, ma,
anche, che esso si faccia visibile nella manifestazione. Loriginario e il pre-originario
sono ci che consentono che la sua trascendenza si accompagni sempre al suo
presentarsi: perci esso disfa, come dicevamo nel capitolo precedente, ad ogni istante
limmagine plastica in cui cade inevitabilmente; come se esso assistesse alla sua
manifestazione senza lasciarsi giudicare in contumacia. Levinas definisce questa
situazione espressione: Nellespressione un essere si auto-presenta. Lessere che si
manifesta assiste alla propria manifestazione e quindi fa appello a me Il fatto
essenziale consiste nel portare testimonianza di s garantendo questa testimonianza.
Questa attestazione di s possibile solo come volto Noi chiamiamo volto proprio
questa eccezionale presentazione di s da parte di s, che non ha misura comune con la
presentazione di realt semplicemente date, sempre sospette di qualche inganno, sempre
probabilmente sognate331.
A differenza del mero piano ontologico, il volto si esprime, non si manifesta. Nella
manifestazione lessere giunto alla coscienza, quindi non c la trascendenza laltro
che garantisce ad un essere di disfare la forma che ha. In questo modo non c nessuna
apologia, ma, essendo laltro assente (in quanto solo una modificazione del Medesimo)
lo si giudica in contumacia. Nellespressione, invece, il volto non solo mi ossessiona
(lossessione fa parte dellanarchia), ma anche si mostra (si fa presenza): Il volto
ossessiona e si mostra: tra la trascendenza e la visibilit/invisibilit332.
329

Ivi, pag. 197


Ivi
331
Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pp. 205 e 207
332
Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 197
330

Anarchia e arch sono inseparabili, nel senso che non si pu parlare delluno
trascurando laltro e viceversa. Di conseguenza, la prossimit significa gi sempre nella
giustizia. Solo che la responsabilit come gratuit, che implica disuguaglianza e
asimmetria, pi antica della giustizia, perch, come abbiamo gi spiegato, se
questultima lorigine, la prima prima di essa. Dicendo questo, per, non si deve
dimenticare la circolarit derivante dallanacronismo, che Levinas, a questo proposito, fa
capire bene: La significazione significa nella giustizia, ma anche, pi antica di se stessa
e delluguaglianza da essa implicata, la giustizia supera la giustizia nella mia
responsabilit per laltro, nella mia disuguaglianza rispetto a colui di cui sono
lostaggio333. Pertanto, letica, pur essendo prima dellontologia, significa a partire da
essa (la significazione significa nella giustizia), e la seconda, pur essendo originaria,
riceve il senso dalla prima (la giustizia supera la giustizia nella mia responsabilit per
laltro).
Anacronismo in cui si evidenzia laporia dellorigine, per il tramite della quale il
volto trascende la sua presenza apparendo s sensibilmente in essa dandogli
significazione , ma non esaurendo l il senso. Perci il volto, seppur originario origine
iniziale o ultima del senso precede lorigine, sta prima di essa. Ci che originario non
la trascendenza, ma la manifestazione; per, la prima viene prima della seconda, il
senza-inizio che precede linizio, il pre-originario implicato nelloriginario, il passato
presupposto da ogni presente, lanteriorit dellInfinito rispetto al finito. Ma se lorigine
la manifestazione, allora il fatto primo lapparizione del terzo, se vero come vero
che questo la raccolta nella presenza, ontologia. Ecco perch il mio prossimo ha gi
sempre altri come suo prossimo: loriginario lingresso del terzo, presupposto,
questo, dalla pluralit derivante da quella che potrebbe essere definita origine
dellorigine. La circolarit garantita dalloriginario e dal pre-originario fa s che Altri
non sia solo linvisibile, ma anche il visibile, ossia quel terzo che rappresenta ogni uomo.
E visto che io sono ossessionato da lui, non posso sfuggire alla giustizia verso tutti gli
uomini. Il suo volto, dunque, , ad un tempo, incomparabile e identico a ogni altro volto.
La relazione con il terzo non fa altro che tradire la mia relazione anarchica con
lInfinito, in una incessante correzione di questa asimmetria. Essa legittima lo Stato e la
333

Ivi

politica che si occupano di regolare i rapporti di uguaglianza. Li legittima perch trova


loro una fondazione pre-etica che impedisce la degenerazione in una mera tecnica
dellequilibrio sociale334. Una politica e uno Stato ispirati dal Bene sono ci che
effettivamente garantiscono la giustizia, la quale nasce a partire dal terzo, ovvero a
partire dallaltro in quanto multiplo.
Questo ha una notevole implicazione per il soggetto stesso, in quanto bisogna
ammettere che in questa molteplicit ci sono anchio, perch anchio sono tra gli altri del
mio prossimo. Infatti, se Altri si manifesta anche, esso nellordine dellontologia, dove
c compresenza (tra gli uomini), sincronia, entro la quale deve esserci per forza anche il
mio soggetto: io sono altri per gli altri 335. Quindi, il terzo uomo, interrompendo
lintimit della relazione del faccia a faccia, pone fine alla mia relazione anarchica con
laltro, ma stabilisce un nuovo tipo di rapporto, ove letica stessa acquista significazione.
Il nuovo nellambito di quella giustizia che esige la contemporaneit della
rappresentazione, nella quale ci sono anchio, identit che, ontologicamente, per s. In
questo modo diventa giusta anche la cura di me stesso, la mia salvezza, cosicch la mia
soggettivit etica di sostituzione non solo si capovolge in coscienza intenzionale, ma
anche in soggettivit di cittadino, con tutti i relativi diritti e doveri. Il tradimento della
mia relazione etica con lInfinito un abbandono di tale relazione e, ad un tempo, una
ripresa della stessa ad un nuovo livello livello ontologico, in cui vi unoggettivazione
della mia relazione con Dio nel quale c un mondo dove mi prendo cura degli altri e ci
si prende cura di me.
G. Ferretti, a questo proposito e, particolarmente, rifacendosi alla frase levinassiana
Grazie a Dio io sono altri per gli altri 336, tenta un accenno di interpretazione diversa
della filosofia levinassiana337. Il suo ragionamento il seguente: se grazie a Dio anche
io sono avvicinato dagli altri come altri, allora Levinas apre una nuova possibilit;
possibilit derivante dal fatto che Dio non pu intendersi solo sulla base della mia
relazione asimmetrica con il prossimo, ma anche sulla base della relazione pre-originaria
334

Parole di Peperzak (nel saggio Introduzione a Altrimenti che essere), in E. Levinas A. Peperzak, Etica come
filosofia prima, cit., pag. 136, corsivo mio
335
Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 198
336
Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 198
337
Si tratta di un vero e proprio accenno, visto che G. Ferretti dedica allargomento solo mezza pagina, corredata da
una nota. Stiamo facendo riferimento allopera ferrettiana Alterit e trascendenza. La filosofia di Levinas, op. cit., e
in particolare alla pagina 294

del prossimo con lInfinito. Ammettendo questo, si verificherebbe un clamoroso


ripensamento nellimpianto filosofico che stiamo analizzando. Difatti, le conseguenze di
tale tesi non riguardano solo il fatto che anche per me c giustizia questo Levinas lo
ammette , bens lestrema situazione in cui anche per me, oltre alla gi citata giustizia,
c amore gratuito, responsabilit di altri nei miei confronti. Lessenza del discorso di
Ferretti consiste nel fatto che, visto il presupposto levinassiano della giustizia preceduta
dallasimmetria della relazione con Dio (perch la prima trae il suo senso dalla seconda),
non si vede una buona ragione perch si debba insistere sulla mia relazione e non su
quella del prossimo. In questultimo caso la significazione della significazione non
sarebbe il mio essere eletto o convocato alla responsabilit per altri, ma Altri come
responsabilit gratuita nei miei confronti. Rispetto a questo, la mia soggettivit etica
sarebbe solo un riflesso dellamore di Altri, traccia dellamore di Dio.
In effetti Levinas non approfondisce questo argomento, per cui lobiezione appena
fatta risulta essere non priva di fondamento. Tuttavia, crediamo che questa tesi della
relazione asimmetrica tra il prossimo e lInfinito non possa essere portata avanti. La
chiave di lettura che utilizziamo per sostenere questo relativa al fatto che il filosofo
francese fa una differenza radicale (che abbiamo visto poi tradursi come
non-indifferenza) tra il soggetto e laltro. Pur correndo il rischio di essere ripetitivi,
bisogna ricordare quanto detto sopra: Altri non una ripetizione dellidentico, ma altri.
Ci significa ununica cosa: lo specifico del soggetto (dellio) consiste nellessere
radicalmente diverso da ci che laltro pur strutturandosi come laltro nel medesimo. Si
ricordi che questa una delle critiche maggiori ad Husserl, il quale avrebbe fatto
dellaltro un fenomeno dellego. E si ricordi che questa una delle tesi su cui ha insistito
tanto una tal filosofia.
Se volessimo seguire la possibilit interpretativa di Ferretti, precisamente in
questo errore che cadremmo, e allora il tentativo levinassiano di chiarire questo aspetto
sarebbe sostanzialmente fallito.
Infatti, la sua filosofia incentrata sul fatto che, per far s che ci possa essere
veramente letica, necessario che il soggetto, e non altri, si trovi in una relazione
paradossale con lInfinito; il soggetto, non altri. Ma perch? A nostro avviso, questo
accade in quanto se si sostenesse il caso inverso, laltro non sarebbe pi altro dal

soggetto, ma sarebbe una ripetizione dellidentico, e, perci, ancora ontologia senza


etica. In altre parole, se il prossimo si trovasse in relazione anarchica con lInfinito, esso
sarebbe soggetto, e non pi altri in quanto altri; e ci succederebbe perch, come gi
spiegato, non laltro che si sostituisce al soggetto, ma il soggetto che si sostituisce
allaltro. Se cos non fosse, laltro non sarebbe pi altri, ma soggetto, ossia un altro io, e
quella differenza radicale che tanto si cercati di mantenere in tutte le opere del filosofo
francese verrebbe a cadere. Cos, ci si troverebbe ancora una volta in quella situazione in
cui stata tutta (o quasi) la filosofia occidentale, nella quale trionfa quella filosofia del
Medesimo che non conosce trascendenza perch tutto riduce a s. Lessenza della
filosofia levinassiana, invece, la decostruzione della categoria della reciprocit cosa
che invece riafferma Ferretti nel suo discorso , nella quale lio va verso laltro allo
stesso modo in cui laltro va verso lio, cadendo cos in quella totalit che giammai
potrebbe essere morale. Non ci resta, a questo punto, che ribadire linsegnamento
levinassiano, a partire dal quale si costruisce lintera sua filosofia: c una differenza
radicale tra lio e laltro che si traduce come asimmetria della relazione, nella quale
soltanto possiamo ritrovare quella che Cartesio definiva come lidea dellInfinito e quel
Bene messo in luce da Platone che si configura come un altrimenti che essere, ossia la
bont del pluralismo della societ.
Ci, unito alla comparsa originaria del terzo uomo, introduce la giustizia, in seno
alla quale, grazie a Dio, non sono solo gli altri ad avere diritti e doveri, ma anche io,
poich qui, e solamente qui, io sono altri per gli altri; e lo sono perch la mia relazione
irrappresentabile con Dio si tradotta come traccia del Bene impressa nellaccadimento
originario dellessere.
Dicendo questo, per, ci rendiamo conto della difficolt in cui ci siamo messi,
perch, sostenendo la tesi espletata sopra, forse, non abbiamo chiuso il discorso, ma,
anzi, lo abbiamo reso pi difficile, lo abbiamo lasciato ancora aperto. Infatti, considerato
il fatto che io non sono volont di potenza, e che quindi non posso pormi come
incondizionato perch non posso dominare la mia genesi, che cosa posso dire a tal
proposito quando io non ci sar pi o quando ancora non cero? Di primo acchito,
direbbero i giocatori di biliardo, sembra che non possa dire niente; a questo livello, cos,
si evidenzierebbe unaporia del pensiero, in quanto esso non riuscirebbe ad andare oltre.

Si potrebbe dire, allora, che questa strada percorsa da noi sarebbe fondamentalmente una
strada comoda, e che, in fondo, ritorna quella tesi ferrettiana che abbiamo negato. Non
crediamo sia cos, anzi, crediamo che la comodit sarebbe stata quella di sposare ci
che invece abbiamo negato, perch cos avremmo risolto tutti i problemi e avremmo
avuto una risposta per tutto, anche in questo caso. Non ci sarebbero stati problemi,
quindi, perch avremmo risposto che ci sono anche gli altri in relazione anarchica con
Dio, e, conseguentemente, lobiezione non sarebbe proprio nata. Pur ammettendo questo,
per, non rinneghiamo quanto detto; del resto, se c una cosa che si capisce chiaramente
nella filosofia di Levinas non forse il fatto che la tematizzazione non riesce ad essere
esaustiva? Non forse il fatto che il sapere non riesce a chiudere il circolo, perch, dopo
il suo operare, rimane sempre un residuo inspiegabile (che per il filosofo letica stessa),
rispetto al quale la conoscenza non pu far altro che attestare il suo scacco?
Noi possiamo solo dire che il soggetto in relazione immemorabile con Dio, non
laltro, pur essendo consapevoli della contraddizione nella quale siamo caduti, perch
diciamo che il soggetto sono io ed io soltanto, non tutti gli io, altrimenti cadremmo nella
totalit che fa diventare immanenza qualsiasi trascendenza. Si potrebbe allora dire che
lobiezione di Ferretti sia pi valida, considerando anche il fatto che per Levinas laltro
non immanente, ma trascendente, proviene da un al di l, per cui, come abbiamo
visto, la trascendenza qualcosa che appartiene pure allaltro: Lordine personale a cui
ci obbliga il volto al di l dellEssere Lal di l da cui proviene il volto la terza
persona Nel modo in cui penetra il volto questa terza persona tutta lenormit,
tutta la dismisura, tutto lInfinito dellassolutamente altro, che sfugge allontologia 338.
Ci, per, non convalida questa interpretazione, perch la mia relazione con lInfinito
non altro che la relazione asimmetrica tra me ed Altri, il quale ultimo si inscrive nella
traccia di Dio. In Totalit et Infini Levinas proprio questo diceva: Lassolutamente altro
Altri339. Pertanto, sono in relazione con Dio perch mi trovo in una relazione
asimmetrica con Altri, nella quale io mi sostituisco a lui e non viceversa.
Allora, a questo livello di analisi, potremmo dire che preferiamo mantenerci
nellaporia del pensiero piuttosto che cadere nuovamente nella filosofia dellessere come
potenza, nella quale, come pensiamo e come abbiamo spiegato, precipita Ferretti.
338
339

Cfr. E. Levinas, Scoprire l esistenza, cit., pp. 228-229


Cfr. supra, sezione seconda, cap. I, nota 46

Eppure, nonostante le difficolt in cui siamo caduti, un tentativo di risposta lo


possiamo abbozzare; dobbiamo capire, per, che quando noi abbiamo parlato del non
esserci pi del mio io, facevamo un discorso ontologico, il cui tempo il presente.
Difatti, se ci pensiamo bene, il nostro riferimento era ad un essere come mio essere che
era presente qui ed ora: soggetto ontologico, dunque, rispetto al quale passato e futuro
sono solo modificazioni del presente. Lo scacco nasceva nel momento in cui
avvertivamo linsufficienza dellontologia, in quanto notavamo limpossibilit dello
Spirito assoluto, perch non si riusciva a chiudere il circolo. Ora, considerando che
lontologia non ci viene in soccorso, dobbiamo rivolgerci allaltra dimensione: quella
etica. Del resto, non potrebbe essere altrimenti, perch non il soggetto ontologico ad
essere in relazione asimmetrica con laltro, fino alla sostituzione, ma la soggettivit
etica a fare questo. Conseguentemente, pi che rivolgerci alla sincronia del tempo,
dobbiamo tentare di riaffermare nientaltro che la diacronia. Lo facciamo introducendo il
concetto di paternit, il quale consente di risollevarci da quella prigione in cui eravamo
caduti, perch toglie i limiti che si erano posti precedentemente, visto che, eticamente,
non pu esserci una fine dellio. Dicendo questo, per, non si ricade nellontologia,
perch non si sostiene un soggetto assoluto che non lascia nulla fuori di s, ma qualche
cosa daltro. Quanto stiamo dicendo si chiarisce proprio nella nozione di paternit.
Essa intesa come la continuazione dellio, anche se, in essa, altro: La paternit
la relazione con un estraneo che, pur essendo altri [altrui], me; la relazione dellio con
un me stesso, che tuttavia estraneo a me. Il figlio non semplicemente opera mia,
come un poema o come un oggetto da me costruito; non neppure mia propriet Io
non ho mio figlio; io sono in qualche modo mio figlio... lalterit del figlio non quella
di un alter ego 340.
Lio si libera di s nel figlio, senza smettere di essere un io, visto che lio suo
figlio. Il padre che nel figlio un io che in un altro senza mantenersi in modo
identico: Il figlio riprende lunicit del padre e tuttavia resta esterno al padre 341. In esso
si afferma quella vera temporalit, che precisamente la diacronia irriducibile alla
sincronia: in questa situazione lessere non pi lunit eleatica342.
340

Cfr. E. Levinas, Il Tempo e lAltro, cit., pp. 59-60


Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 288
342
Ivi, pag. 286
341

La paternit non altro che il superamento di quellaporia evidenziata in


precedenza, perch permette allio di essere, diacronicamente, sempre in relazione
asimmetrica con Altri, il quale ultimo si inscrive nella traccia di Dio. Il sempre (del
tempo) non deve essere inteso come istante sempre presente (leternit ontologica),
perch esso di tuttaltro genere. Infatti, lio del padre mai potrebbe raggiungere lio del
figlio, ed in questo mai egli sempre io. La discontinuit nella continuit, perch
mio figlio ad un tempo lestraneo, laltro (quindi in nessun modo un mio possesso, un
oggetto conosciuto) e al tempo stesso la mia continuazione, il mio rinascere sempre di
nuovo. La paternit si lega dunque al tempo diacronico, ossia a quella relazione
particolarissima in cui io sono per-laltro.
5. RESPONSABILITA E LIBERTA
La riflessione sul terzo ha condotto Levinas a considerare con dignit lessere, il
quale stato giustificato dalletica; in tal modo, esso s necessario e originario, ma, in
questa origine, derivato, perch presupposto da una significazione etica pre-originaria:
tutto si mostra per la giustizia. Lessenza dellessere e la coscienza prima di essere
e dopo essere stata, significano. E la giustizia significata attraverso la significazione,
attraverso luno-per-laltro che esige la fenomenalit, cio lequivalenza o la
simultaneit tra la coscienza che accede allessere e lessere aperto alla coscienza. Tutto
si mostra e si dice nellessere per la giustizia 343. La diacronia si mostra nel tempo della
sincronia dellessere.
Tuttavia, oltre allessere come coscienza (essere che giunge a se stesso, ovvero
essere-totalit, essere oggettivo), c unaltra dimensione dellessere, che risponde, come
gi visto, al nome il y a, il brusio senza senso. Il registro della rappresentazione altro non
se non la tematizzazione di questo c orrendo, il quale pervade di s ogni silenzio
dellessere oggettivo. Lessenza, qui, diventa monotonia, anonimato, insignificanza,
brusio incessante, che sempre minaccia lio tematizzante. Questo si ipostatizza grazie
alla raccolta nel presente dellimpersonale, ma non riesce ad avere ragione totalmente di
esso, in quanto sempre dietro e sempre in agguato. Il silenzio, la notte, lorrore, sono
343

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 203

tutte esperienze di questo ritorno incessante del Neutro che rompe con le identificazioni
di questo in quanto quello.
Ci pu voler dire una cosa sola: lessere pu degradare nel non senso e trascinare
con s sia lio trascendentale sia il soggetto responsabile che ne giustifica lorigine:
Brusio del c non senso in cui degrada lessenza e, cos, la giustizia nata dalla
significazione. Ambiguit del senso e del non senso nellessere, senso che si degrada in
non senso. Non si deve prenderla alla leggera 344. Levinas invita a non essere
superficiali, poich il rischio che il non senso risucchi il senso il rischio sempre
presente e al soggetto etico-ontologico e a quello trascendentale. Basta lorrore, il
silenzio, e ci che non vogliamo si verifichi, entra in scena.
Questa minaccia questo il y a, per, pur essendo assurdo, significa; la
significazione deriva proprio, paradossalmente, dalla sua mancanza di senso. C
ununica ragione che pu spiegare ci: lassurdit il non senso , non assumibile in un
senso da parte del soggetto, ci che rende possibile il senso, in quanto ci che rende
possibile la passivit della soggettivit etica, visto che la conoscenza, e con essa la
libert, non possono aver ragione definitivamente di essa: Linsignificanza il
surplus del non-senso sul senso, grazie al quale per il S lespiazione possibile
espiazione che il se-stesso significa. Il c tutto il peso dellalterit sopportata da una
soggettivit che non la fonda Da dietro il brusio anonimo del c la soggettivit
raggiunge la passivit senza assunzione345.
Il fatto che, per il tramite di questa nozione, il filosofo trova in essa quella
condizione di possibilit della passivit pi passiva di qualsiasi passivit, che rende
possibile quella soggettivit etica che d il senso allessere, introducendo in esso la
giustizia. Letica, come sappiamo, non in un ipotetico mondo delliperuranio, e quindi
non pu essere cercata da quel lato, ma da qualche altra parte. La cosa non deve
meravigliare: abbiamo gi spiegato lanacronismo, ove ci sono due dimensioni che si
presuppongono vicendevolmente. Il presupposto del soggetto anarchico trovato dal
filosofo proprio nel c perci parla di sovrappi del non senso sul senso , ossia in
quellimpersonale che, proprio perch tale, rende possibile la significazione stessa.
Infatti, per far s che ci possa essere la soggettivit come responsabilit necessaria una
344
345

Ivi, pag. 204


Ivi, pag. 205

rottura rispetto alla tematizzazione, la quale smantella lattivit del soggetto e la


capovolge in passivit assoluta. Ora, in virt dellesistenza dell il y a che il soggetto
trascendentale non diventa assoluto, lasciando aperta quindi quella sfera che
considerata dal filosofo come ci che d un senso allessere: il brusio incessante del c
urta in modo assurdo lio trascendentale attivo cominciante, presente 346. Lassurdo
attesta la finitezza dellIo penso, attraverso la quale soltanto la soggettivit pu essere
strutturata come responsabilit per altri, fino alla sostituzione. In fondo, dunque, il senso
non c gi nel senso che si trova in un mondo dietro il mondo , ma deve essere
prodotto.
A questo punto, si deve mettere in evidenza la costitutiva ambiguit dellessenza
dellessere: da un lato essa negativa, perch pu far degenerare nellil y a anonimo e
nauseante, che minaccia e penetra tutto ci che viene tematizzato, e dallaltro lato
positiva, perch questa stessa monotonia, questo stesso non senso, la condizione di
possibilit della assoluta gratuit del soggetto responsabile, ci che impedisce di
assumere questa passivit.
Volendo ragionare in termini di libert e responsabilit, si pu dire che il c
limpossibilit della libert assoluta che rende possibile la responsabilit, ossia la
non-indifferenza nei confronti di Altri. Se esso non ci fosse, questultima non potrebbe
essere quellanteriorit pi antica di ogni presente, immemorabile, perch la libert
sarebbe assoluta, e quindi non avrebbe nulla al suo esterno. Certo, cos facendo la libert
sarebbe non infinita, ma finita. Tuttavia, ci non la svilirebbe, perch, vista lanteriorit
del Bene rispetto ad essa, le darebbe il giusto senso, ovvero la investirebbe di bont. In
questo senso, la libert finita non sarebbe altro che una responsabilit infinita, la quale
toglie i limiti al soggetto, dato che lo fa uscire dallimprigionamento a se stesso, dalla
monotonia della tautologia dellidentit. Pi precisamente, la libert finita come
responsabilit infinita non ontologica, ma etica. Questo, per, non vuol dire che
quella dellontologia sia sta negata, anzi: essa, ricevendo la traccia della Bont, rimane
rappresentazione e presenza, ma in modo in cui lalterit di altri rispettata; in un modo
in cui essa diventa prendersi cura, oggettivamente, degli altri, senza che laltro sia ridotto
allo Stesso, a sua modificazione intenzionale.
346

Ivi, pag. 204

In altri termini, la responsabilit infinita, o libert finita, non altro che


lanteriorit della Bont del Bene, ossia la necessit per il Bene di eleggermi per
primo, prima che io sia in grado di eleggerlo, cio di accogliere la sua scelta. E la mia
susceptio pre-originaria. Passivit anteriore ad ogni recettivit. Trascendente. Anteriore
anteriormente ad ogni anteriorit rappresentabile: immemorabile. Il Bene prima
dellessere. Diacronia: differenza insormontabile tra il Bene e me, senza simultaneit dei
termini divisi. Ma anche non-indifferenza in questa differenza Che nella sua bont, il
Bene declini il suo desiderio che suscita inclinandolo verso la responsabilit per il
prossimo, questo preserva la differenza nella non-indifferenza del Bene che mi elegge
prima che io lo accolga 347. E qui che comincia il S, non nellautoposizione sovrana di
una libert illimitata. Esso comincia nel fatto che nessuno pu sostituirsi a me che mi
sostituisco a tutti. Lio della responsabilit io e non un altro348; il soggetto posto in
quanto deposto, in quanto spogliato dei suoi poteri violenti che tendono a ridurre tutto
ci che limita la sua libert: sostituzione che disfa il mio essere mio e non di un
altro, ed in questa sostituzione che io sono non un altro, ma io. Il s nellessere
esattamente il non potersi sottrarre ad unassegnazione che non mira alcuna generalit.
Non c ipseit comune a me e agli altri, io (e non altri) sono la possibilit di esclusione
di questa possibilit di paragone non appena il paragone si pone. Lipseit di
conseguenza un privilegio o unelezione ingiustificabile che mi elegge come io (moi) e
non lIo. Io unico ed eletto. Elezione per soggezione Questa trascendenza, separandosi
dalla considerazione che la concettualizza diacronia della soggettivit il mio
ingresso nella prossimit del prossimo. Soggettivit come ostaggio349.
Non c e non pu esserci coincidenza del Medesimo rispetto a se stesso, perch
essa disfatta dallaltro, come se il soggetto fosse disarcionato dallaccusa persecutrice.
Lavvento della libert ontologica certamente limita la responsabilit infinita, ma
questultima d senso alla prima, perch la fa essere responsabilit per il terzo e anche
nei miei confronti. Insomma, la libert pu avere dignit solo se presupposta dalla
responsabilit. E qui che nasce la moralit, non nelluguaglianza: La moralit non
nasce nelluguaglianza, ma nel fatto che, verso un punto delluniverso, convergono le
347

Ivi, pp. 154-155


Ivi, pag. 159
349
Ivi, pag. 160, sottolineato mio
348

esigenze infinite, quelle di servire il povero, lo straniero, la vedova e lorfano. Solo cos,
attraverso la moralit, nelluniverso, si producono lIo e gli Altri. La soggettivit
alienabile del bisogno e della volont che pretende di possedersi da sempre ma di cui la
morte si prende gioco, si trova ad essere trasfigurata dallelezione che la investe
richiamandola alle risorse della sua interiorit350.
Il patire per altri un subire il peso dellaltro uomo, ove lio chiamato allunicit
attraverso la responsabilit. Lio che espia per gli altri non laltro, ma lio stesso; anzi,
io perch per-laltro: letica si insinua in me prima della libert, ossia sono
compromesso con il Bene prima di averlo scelto; mi trovo compromesso nella passivit
del sopportare; ci significa che la questione libero-non libero non la questione
fondamentale, perch, come abbiamo detto pi volte, c qualcosa che anteriore alla
libert (o alla non libert). Questo qualcosa la diacronia del Bene che prima della
presenza, libert finita di un io la cui responsabilit illimitata ci che lo struttura in
quanto tale, in quanto soggetto. La libert finita per il semplice motivo che relazione
con un altro, per-laltro del soggetto, rottura dellessenza dellessere. Essa non
riduzione dellAltro al Medesimo, ma passato immemorabile, che sempre sfugge alla
raccolta della coscienza in presenza.
Questo tempo un tempo irriducibile alla presenza, perci inquietudine del
medesimo e assenza dellaltro visibile che si traduce positivamente come presenza
dellaltro. Esso, dunque, ha a che fare con il non-riposo, con uno stato di non-quiete
provocato dal rapporto con laltro. La cosa non pu essere trascurata, perch letica la
vera e propria filosofia prima, che capovolge il nesso tradizionale tra essere e senso,
perch non pi lessere che contiene e dona il senso, ma il senso giustifica eticamente
nella responsabilit delluomo per laltro uomo lessere stesso, prima che in questo
nasca il problema del fondamento e della coscienza. Se lessere non pi lorigine
ultima del senso, allora questo introdotto in esso dallapprossimarsi al prossimo che
come tale abolisce legoismo della preservazione nel proprio essere.
Quello di Levinas, in fondo, certamente un umanesimo, ma di una stoffa
particolare. Infatti, non lumanesimo che identifica il soggetto con la coscienza
(coscienza di s), ma un umanesimo dellaltro uomo, dellaltro come uomo.
350

Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 251

Lumanesimo che incentra il suo discorso sulla coscienza non apre la possibilit dellal
di l dellessenza, visto che essa una modalit dellessere che si distanzia in
rapporto a se stesso che, rappresentazione, non influisce pi su di s, anche se si
mantiene alla sua altezza nella trasparenza della verit, trasparenza in cui si dissolvono
gli schermi e si dissipano le ombre che creano contrasti e rinchiudono lessere nelle
contraddizioni; trasparenza in cui lessere si fa in verit351.
Lallontanamento del medesimo rispetto a se stesso, a livello ontologico, solo un
fatto provvisorio, uno scarto necessario allessere per potersi ritrovare nella coscienza. Il
tempo dellessere non il tempo delletica, perch nel primo c sincronia, mentre nel
secondo c diacronia; il tempo dellessere non altro che il tempo del suo dispiegarsi,
mentre quello delletica semplicemente passato irrecuperabile.
Levinas riconosce un grande merito allantiumanesimo moderno, il quale ha saputo
decostruire il soggetto come coscienza e fondamento, aprendo, in questo modo, la strada
ad un altro modo di intendere la soggettivit: Lantiumanesimo moderno, negando il
primato che, per la significazione dellessere, apparterrebbe alla persona umana, libero
scopo di se stessa, vero al di l delle ragioni che si d. Esso ha fatto piazza pulita alla
soggettivit che si pone nellabnegazione, nel sacrificio, nella sostituzione precedente la
volont. La sua intuizione geniale consiste nellaver abbandonato lidea di persona,
scopo e origine di se stessa, in cui lio ancora cosa perch ancora un essere. A rigore
altri fine, io sono ostaggio, responsabilit e sostituzione sopportante il mondo nella
passivit della convocazione che arriva fino alla persecuzione accusatrice, indeclinabile.
Lumanesimo deve essere denunciato solo perch non sufficientemente umano 352.
Solo che anche lantiumanesimo ha una pecca, perch esso non ha fatto altro che far
scomparire la soggettivit umana nelluniversalit della struttura (si pensi allo
strutturalismo) o nellimpersonale essenza dellessere (si pensi ad Heidegger). Cosicch,
n lumanesimo n lantiumanesimo sarebbero sufficientemente umani. Lalternativa
proposta da Levinas, chiaramente, consiste nel concepire lumanit delluomo in
funzione dellaltro, ove il fine non la preservazione del proprio essere, ma Altri, di
cui io non sono che ostaggio: soggetto posto solo come deposto dalla sua sovranit,
soggetto solo in quanto soggezione (ad altri).
351
352

Cfr. E. Levinas, Su Blanchot, Palomar dia-loghi, pp. 90-91


Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 161

Dunque, ci che propone il filosofo un umanesimo dellaltro uomo, contro le


due alternative finora esistenti; un umanesimo che sappia cogliere la dignit e lumanit
delluomo, realizzabili, queste, solo nella capacit di mantenere altri in quanto altri, ossia
rispettare lalterit dellaltro (come) uomo. Solo qui possiamo trovare il senso, dato che
il senso non si misura con lessere o il non-essere perch lessere, al contrario, si
determina a partire dal senso353.
6. LA MORTE E IL TEMPO
Lumanit delluomo pu essere colta solo a livello della soggettivit etica, la
quale, a differenza della coscienza intenzionale soggettivit tematizzante non fa
ritorno a se stessa, non ritorna al proprio centro, ove c il luogo del riposo assoluto.
Essendo inquietudine, non-riposo, non ha nulla a che fare con il tempo ontologico, il
quale la raccolta nel presente degli istanti passati, presenti e futuri. Il suo tempo un
lasso di tempo che si configura come un evento situato in un passato pre-originario,
irraggiungibile, che non permette alla tematizzazione di essere assoluta, e quindi
consente la relazione con lalterit.
La relazione tra il soggetto e laltro quindi una relazione inversa a quella descritta,
ad esempio, da Hegel, per il quale il rapporto era incentrato sulla lotta tra le diverse
coscienze, dove alla fine cerano i vincitori e i vinti. Pi precisamente, questo tipo di
rapporto etico definito da Levinas faccia a faccia, che determina la crisi irrimediabile
del potere oggettivante dellunit dellappercezione trascendentale. Questa particolare
relazione (asimmetrica) fa scorgere quello che pu essere chiamato tempo etico,
considerato come la differenza dello Stesso e dellAltro. Tale differenza
non-indifferenza dello Stesso allAltro e, in qualche modo, lAltro nello Stesso354. Il
nel, per, non la distruzione dellalterit, poich non inteso secondo la logica formale,
per la quale se qualcosa contiene qualche altra cosa allora luna (lo Stesso) ingloba laltra
(lAltro). Il termine indica solo una differenza assoluta tra il Medesimo e lAltro, ove
non lontologia a dare identit al soggetto, ma letica, ossia laltro come Altro nello
Stesso.
353
354

Ivi, pag. 163


Cfr. E. Levinas, Dio, la morte e il tempo, cit., pag. 197

La condizione di possibilit di questo discorso deve essere ricercata nella diacronia,


la quale si oppone alla sincronia del tempo dellessere perch, a differenza di
questultima, essa quello scarto del s a s irrecuperabile dalla coscienza tematizzante.
La non-coincidenza non pu essere intesa come venir meno della sincronia, come se
venisse dopo interrompendo uno stato che veniva prima, ma il presupposto della
sincronia stessa, in quanto il pre-originario delloriginario. La sintesi non riesce a
recuperare nel presente tale differenza, per cui lo scarto di s a s, contrariamente a
quanto avviene nellontologia, non pu diventare coincidenza. Di conseguenza, la
diacronia potrebbe essere definita come limpossibilit della sintesi dello Stesso e
dellAltro. Il tempo circolare sarebbe inadeguato a descrivere questa meraviglia, in
quanto esso ontologico, e quindi lo specifico della sua essenza la presenza. Nel caso
precedente, invece, le cose non stanno in questi termini, perch la presenza del volto
data proprio dalla sua assenza. Non essendoci circolarit, non c nemmeno il dominio
del presente, rispetto al quale passato e futuro sono solo modificazioni. Il tempo
diacronico, quindi, se impossibilit di qualsiasi attivit del soggetto, si configura come
passivit pi passiva di ogni passivit, come pazienza, esposizione allAltro: A
questa esposizione, lIo (Je), il mio Io (Moi), si sottrae, fino a cercare la sua condizione
al di l dellincondizione, nel tempo composto da istanti in cui ogni io (je) sembra
individuarsi, farsi individuo di un genere. Si potrebbe dire: lIo (Je) si sottrae ma resta
io (je) il tempo composto di istanti colpito dallinquietudine del tutto dun colpo.
Attraverso la subitaneit, il traumatismo che agita ogni riposo, larresto del tempo In
questa subitaneit vi una pazienza pazienza che lunghezza di tempo e unattesa di
questa pazienza in cui la sua intenzione di attesa rimossa. Poich lattesa mira, mentre
la pazienza attende senza attendere, attesa senza atteso, senza intenzione dattesa. Tutto
ci che intenzionalit sempre a misura del pensiero (c unaffinit tra noesi e noema)
e ogni intenzione intenzione di, altrimenti detto volere. Non avviene cos nella
pazienza, che ha come ingoiato la propria intenzione355.
Ancora una volta Levinas fa notare la differenza tra intenzionalit e inquietudine
dello Stesso, affermando che mentre la prima (qui sotto forma dellattesa) unidentit
ontologica ove il soggetto si ipostatizza a partire dal presente, la seconda (nella forma
355

Ivi, pag. 192

della pazienza in questo caso) non ha laspetto della noesi correlativa al noema, ma
passivit assoluta che, tutto dun colpo, mi espone allaltro. Lesposizione allAltro
limpossibilit stessa del soggetto di ridurre a s il diverso s, ossia il mai (del possesso)
che si rivela come il sempre (del tempo): Questo mai sarebbe il sempre del tempo, la
durata del tempo356. Il mai come sempre la pazienza stessa, la quale la struttura del
tempo: Il mai della pazienza sarebbe il sempre del tempo357. Ne deriva che il mai il
sempre stesso della differenza irriducibile (insopprimibile non-indifferenza) tra il
Medesimo e lAltro come Altro-nello-Stesso.
Lo specifico del soggetto posto allaccusativo proprio questo suo essere subito
aperto al di fuori e al differente che non potrebbe mai raggiungere, trovandosi di
conseguenza in una relazione asimmetrica con lAltro. Laspetto formale di questa
relazione il Desiderio, ossia lidea dellInfinito, paradosso di una relazione in cui
lInfinito, pur non essendo finito, in questultimo. Se non ci fosse la differenza datami
dal tempo come scarto irrecuperabile di s a s, ci sarebbe impossibile. Di conseguenza,
a ben vedere, il tempo dovrebbe essere pensato come il rapporto stesso dellInfinito. La
ricerca o la questione non sarebbe deficienza di un possesso qualsiasi, ma
immediatamente relazione con lal di l del possesso, con linafferrabile in cui il pensiero
si lacererebbe. Sempre, sempre si lacererebbe Infinito nel finito. Fissione o messa in
questione sarebbe questa la temporalit358.
Il tempo, dunque, non pu essere pensato nella sua specificit come eternit, ove
tutto sempre presente, ma come Desiderio, scarto sempre tale dellio con la sua
identit come raccolta della dispersione del diverso. Essendo relazione con lInfinito,
esso non altro che ad-Dio; tempo come ad-Dio, impossibilit di essere
rappresentato, inquietudine, che si traduce positivamente come non-indifferenza,
infinitamente pi nel meno. Lo Stesso non in relazione con lAltro come un altro
Stesso, ma in una maniera totalmente diversa. Esso lo contiene nella forma del
Desiderio, nel quale il S contenente contiene pi di quanto possa contenere: il
contenuto eccede il contenente.

356

Ivi, pag. 64
Ivi, pag. 70
358
Ivi, pag. 161
357

Strettamente legato al concetto del tempo quello della morte, la quale, a livello
generale, non pu essere interpretata nellopposizione tra essere e nulla, perch essa non
il nulla che si oppone allessere. Inoltre, non pu essere intesa come mia morte, ma in
riferimento allaltro, come morte daltri, in quanto lesperienza che faccio di essa
sempre morte dellaltro. Questo, per, non significa che io posso trattare la morte in
termini analogici, ove, vedendo questo fenomeno al di fuori di me, io ricaverei un
concetto universale di essa, per poterlo poi applicare alla mia morte. Da queste prime
battute, gi emergono diverse considerazioni: innanzitutto, il modo di intendere la morte
di Levinas si oppone radicalmente ad Heidegger. In pi, essendo non mia morte, ma
morte daltri, esso un qualche cosa che ha a che fare con la relazione asimmetrica e,
quindi, con il tempo. Prima di andare avanti, per, bisogna fare unulteriore precisazione:
il fatto che la morte non sia la mia morte non significa che non sia affar mio, perch, pur
provenendo dallaltro, mi appartiene.
Nel corso di questo paragrafo chiariremo questi temi appena accennati.
Cominciamo con il ricordare, seppur in maniera sintetica, il concetto di morte per
Heidegger.
Essa, a differenza dellesistenza inautentica, ove lesserci gettato in mezzo alle
sue possibilit, in un certo senso non una possibilit. O meglio: non una qualche
possibilit come partecipazione irriflessa e critica ad un certo mondo storico-sociale, ma
la sua possibilit pi propria, unautentica possibilit. Essendo tale, unitamente al fatto
che fine delle possibilit (infatti con la morte lEsserci non ci pi), essa si caratterizza
come

possibilit

dellimpossibilit

di

ogni

possibilit,

ove

luomo

esiste

autenticamente; di conseguenza, lassunzione della morte lassunzione della possibilit


pi propria del Dasein. Il filosofo trova questassunzione nellanticipazione della morte,
la quale non intesa come un pensare alla morte, nel senso di tenere presente che
dovremo morire, ma come il riconoscimento della non definitivit delle possibilit in cui
ci troviamo sempre gi gettati. In altre parole, anticipare la morte significa non
rinunciare alle possibilit effettive, ma nel coglierle nella loro vera natura di pure
possibilit: la decisione anticipatrice della morte progetta lesistenza autentica come un
essere-per-la-morte. Ma se la mia possibilit autentica la morte, allora lo specifico
dellEsserci la temporalit (storicit), e quindi esso non il fondamento di se stesso: da

ci la nullit di base che lo costituisce. Il nulla non un accidente capitato alluomo, ma


un suo modo dessere, per cui luomo, in quanto progetto-gettato, costituito da una
nullit essenziale.
Per Levinas questo modo di intendere la morte conduce inevitabilmente al
nichilismo (luomo, autenticamente, in rapporto al nulla), alla solitudine (la morte
la mia possibilit pi propria, quindi qui io non sono in relazione con lalterit) e
allEssere (essendo il nulla carattere costitutivo dellessere non si trova lo sbocco
dellaltrimenti).
Egli non vuol negare, per, tale concetto, solo che vuole intenderlo in altro modo,
in una maniera tale in cui la morte dellaltro sia affar mio, mi riguardi; morte, dunque,
come relazione (responsabilit) con laltro.
Innanzitutto, bisogna dire che, bench la morte sia di altri e non mia, essa non di
seconda mano, ma unesperienza di prima mano: Tutto ci che possiamo dire e
pensare della morte e del morire, e della loro inevitabile scadenza, ci sembra essere di
primo acchito di seconda mano. Lo sappiamo per sentito dire o sulla base di un sapere
empirico Questo sapere ci viene dallesperienza e dallosservazione degli altri uomini,
dal loro comportamento di morenti e di mortali che conoscono e dimenticano la loro
morte La mia relazione con la morte non si limita a questo sapere di seconda mano
La mia relazione con la morte fatta anche della ripercussione emozionale ed
intellettuale del sapere della morte degli altri. Ma tale relazione sproporzionata rispetto
ad ogni esperienza di seconda mano359.
Il passaggio dalla seconda mano alla prima mano permette al filosofo francese
di individuare quel nesso originario tra la morte dellaltro ed il costituirsi del proprio.
Infatti, la morte daltri non fa altro che intaccare la mia identit di io responsabile. A.
Peperzak, a questo proposito, nota: Ma in questo stare di fronte del volto, in questa
mortalit convocazione e richiesta che riguardano lio, che mi riguardano. Come se la
morte invisibile cui fa fronte il volto dellaltro fosse affar mio, come se questa morte mi
riguardasse. La morte dellaltro uomo mi chiama in causa e mi mette in discussione,
come se di questa morte lio per la propria indifferenza diventasse il complice e
dovesse rispondere di questa morte dellaltro e dovesse non lasciarlo morire solo 360. In
359
360

Ivi, pp. 49-50


Cfr. E. Levinas A. Peperzak, Etica come filosofia prima, cit., pag. 71

altre parole, essendo io strutturato come laltro nel medesimo, la morte daltri non pu
lasciarmi indifferente, perch non qualcosa che accade fuori di me, ma mi riguarda
direttamente: perci non seconda mano: Lesperienza della morte non
esperienza della morte di qualcuno La morte dAltri che muore mi intacca (affecte)
nella mia stessa identit di io responsabile identit non sostanziale, non semplice
coerenza dei diversi atti di identificazione, ma fatta di indicibile responsabilit. E il mio
essere intaccato (affection) dalla morte daltri ad essere la mia relazione con la sua
morte, ad essere, nella mia relazione, la mia deferenza a qualcuno che non risponde pi;
gi una colpevolezza colpevolezza del sopravvissuto. Il morire, come morire
dellaltro, intacca la mia identit di Io, sensato nella rottura dello Stesso, nella rottura
del mio Io, nella sua rottura dello Stesso nel mio Io. In ci la mia relazione con la morte
daltri non affatto un sapere di seconda mano, n unesperienza privilegiata della
morte361.
Esperienza di prima mano perch riguarda lAltro nello Stesso, che noi abbiamo
visto essere lidea dellInfinito. Ora, in quanto tale, la morte non altro che una
relazione con lignoto: La relazione con la morte daltri unemozione, un
movimento, uninquietudine nellignoto362. Opportunamente, Derrida ha messo in
evidenza il fatto che questo termine ha una valenza particolare: Ignoto sottolineato.
Ignoto non rappresenta il limite negativo di una conoscenza. Questo non-sapere
lelemento dellamicizia e dellospitalit per la trascendenza dello straniero, la distanza
infinita dellaltro363. Tale termine, allora, non significa il non noto, il velamento che si
sottrae

allo

svelamento,

ma

lo

specifico

di

Altri,

ossia

una

forma

dellAltro-nello-Stesso. Levinas usa anche altri termini per esprimere questo concetto,
come sono ad esempio mistero ed enigma, i quali indicano proprio un qualche cosa il
non oggetto per eccellenza che non pu essere posseduto, compreso, colto: la relazione
con il mistero o ignoto o enigma una relazione con laltro.
Per effetto di ci, la relazione allaltro come ignoto, a cui la morte rinvia, una
relazione etica, che precede, conseguentemente, la concreta scomparsa dellaltro; per cui,
lio sempre gi in rapporto con la morte di Altri, prima che ne faccia esperienza. La
361

Cfr. E. Levinas, Dio, la morte e il tempo, cit., pp. 54-55


Ivi, pag. 57
363
Cfr. J. Derrida, Addio a Emmanuel Levinas, cit., pag. 63
362

morte, cos, si rivela elemento essenziale della costituzione dellunicit dellio. Essa non
nulla o annichilimento, e nemmeno narcisismo in cui lio solo con se stesso, ma
relazione etica con laltro, quindi ad-Dio: Risveglio in cui lignoto, in cui il non-senso
della morte, limpedimento ad ogni sistemazione in una qualsiasi virt della pazienza e
in cui il temuto sorge come la disproporzione tra me e linfinito come
essere-davanti-a-Dio, come lad-Dio stesso364. Si testimonia, qui, un legame molto
intimo tra ad-Dio e morte.
Ancora una volta Derrida a precisare: Senza dubbio lad-Dio testimonia il
sovrappi di un infinito di senso, il pi-di-senso-allinfinito, ma, se cos posso
esprimermi, nellora della morte. E di una morte che non bisogna pi avvicinare secondo
lalternativa dellessere e del nulla365. Il motivo di questo discorso da ricercarsi in ci
che abbiamo detto prima: la morte daltri elemento costitutivo della mia soggettivit.
Ma se questa relazione tra me ed altri, allora diacronia, e perci in relazione stretta
con il tempo. Pi precisamente, la morte intesa come pazienza del tempo: Nella durata
del tempo la morte un punto in cui il tempo rivela tutta la sua pazienza, questa attesa
che si rifiuta alla propria intenzionalit dattesa: pazienza e lunghezza di tempo dice il
proverbio, pazienza come enfasi della passivit la morte come pazienza del tempo 366.
Senza dubbio Levinas riconosce ad Heidegger di aver saputo cogliere questo
legame (morte-tempo), per, sul suo modo dintenderlo, c una grande differenza tra i
due filosofi; il primo, cos, prender le distanze dal secondo.
Il merito di Heidegger stato senzaltro quello di aver messo in evidenza il fatto
che la filosofia occidentale non riuscita a pensare la nullit, come dimostra la celebre
domanda metafisica di Leibniz (Perch esiste qualcosa piuttosto che nulla?367), il
quale, dopo essersi posto il problema del nulla, lo oblia subito, per dirla con Heidegger,
in quanto passa al qualche cosa concentrandosi sul principio di ragion sufficiente. Il
filosofo, effettivamente, non risponde, perch fa questo ragionamento: ma visto che
esiste il qualche cosa, perch cos e non altrimenti? Heidegger, invece, fa la sua analisi
proprio sul nulla, anche se, ed questo il punto di differenza con Levinas, lo intende
364

Cfr. E. Levinas, Dio, la morte e il tempo, cit., pag. 64


Cfr. J. Derrida, Addio a Emmanuel Levinas, cit., pp. 190-191
366
Cfr. E. Levinas, Dio, la morte e il tempo, cit., pag. 48
367
Cfr. G. W. Leibniz, Principi della filosofia o la monadologia, cit., pag. 47
365

come annichilimento, ovvero come fine dellEsserci. La morte trattata da questo


filosofo proprio come il nulla, in quanto essa il nulla. Ma chi ci garantisce, pensa
Levinas, che la morte sia nientaltro che nulla? Perch non si prende in considerazione
ci che vi di ignoto nel nulla della morte (lignoto non il nulla, ma un tratto del
carattere che rinvia al modo stesso dessere dellaltro)?
Il filosofo tedesco non pu essere condiviso perch il suo pensiero sulla morte e sul
tempo non fa altro che trovare alluomo un modo autentico di rapportarsi allessere; cos
facendo, per, si resta sempre entro lessenza dellessere, ossia nella categoria dello
Stesso. Infatti, considerando la morte come mia morte, lesserci solo con se stesso,
taglia la relazione con altri, e si coglie nella sua totalit; la morte non un puro accidente
che capita allessere, ma lautentico essere dellente. Per uscire da questa situazione,
necessario introdurre un concetto adeguato, altrimenti non potr mai essere mostrato quel
Bene che prima dellessere. Ora, proprio per questo motivo che Levinas introduce la
nozione di ignoto, dando cos un senso diverso e alla morte e al tempo, che non si
riferiscono pi allessere. Senso diverso che consente di intendere in un altro modo la
soggettivit, ovvero come passivit assoluta, responsabilit per altri, realizzando lo scopo
di trovare alluomo una parentela diversa da quella che lo lega allessere.
In questo modo viene rovesciato il legame tra morte e tempo. Infatti, Heidegger
pensa il tempo a partire dalla morte, ove luomo padroneggia tutte le sue possibilit:
Lavvenire originariamente limminenza della morte. Il rapporto alla morte pensato
a partire dalla struttura formale Con la morte, il Dasein si pro-tende verso
limminenza della sua possibilit pi propria Se essere da-essere, allora essere
essere-per-la-morte. Esser-avanti-a-s precisamente questo essere per la morte (se si
sopprime lessere-per-la-morte, allora si sopprimere simultaneamente lavanti a s, e il
Dasein non pi una totalit). Ecco come luomo pensato nella sua totalit, come il
Dasein in ogni istante del tutto: nel suo rapporto con la morte. Si pu notare come nel
corso di questa descrizione, lungo queste analisi, il tempo sia dedotto dalla sua lunghezza
di tempo al di qua del tempo misurabile e misurato. Si pu notare come il tempo
misurabile non sia il tempo originario, come vi sia una priorit della relazione con
lavvenire in quanto relazione con una possibilit e non come una realt: tale idea

concretamente pensata attraverso lanalisi della morte. E grazie alla morte che c il
tempo del Dasein368.
Il tempo, in Heidegger, esattamente avanti-a-s, ad-venire, ed possibile solo
rispetto alla morte, la cui decisione anticipatrice lappropriazione dellimminenza del
nulla, mediante la quale lipseit del Dasein intera. Nichilismo di tale filosofia:
lEsserci, che cura dessere, nel suo essere di cui ha cura votato al nulla369. La sua
possibilit pi propria sta nel venire-alla-fine; la morte un modo dessere, ed a partire
da esso che sorge il non-ancora; lavvenire originariamente limminenza della morte.
La morte un modo dessere di cui il Dasein si fa carico fin dal primo momento in
cui , in modo tale che lespressione aver da essere significa aver da morire. La morte
non deve essere pensata in un futuro incompiuto; al contrario, a partire da questo
da-essere (-etre), che a-morte (-mort), che il tempo deve essere originariamente
pensato370.
Levinas, invece, pensa la morte a partire dal tempo. In altre parole, a partire dal
sempre diacronico del tempo che la morte pensata come responsabilit per altri,
come relazione asimmetrica tra il medesimo e laltro.
Nel rapporto tempo-morte, quindi, linvito levinassiano sarebbe quello di pensare
la morte a partire dal tempo e non pi il tempo a partire dalla morte. Ci non toglie nulla
al carattere ineluttabile della morte ma non le lascia il privilegio di essere la fonte di
ogni senso. In Heidegger, almeno in Sein und Zeit, tutto ci che oblio della morte
inautentico e improprio, e il rifiuto stesso della morte nella distrazione rinvia alla morte.
Qui, al contrario, il senso della morte non ha inizio nella morte 371. Morte, dunque, non
come temporalit del Dasein, fine desserci, annientamento (tempo a partire dalla
morte), ma come apparizione dellignoto, relazione con laltro, pazienza del tempo,
diacronia (morte a partire dal tempo).
In questo senso, la morte non pi il nulla che diventa possibilit, ma lignoto, e il
tempo non pi lorizzonte dellessere, ma intrigo di una soggettivit nel suo rapporto
con gli altri.
368

Cfr. E. Levinas, Dio, la morte e il tempo, cit., pp. 87 e 96


Ivi, pag. 78
370
Ivi, pag. 86
371
Ivi, pp. 153-154
369

7. DIO
Nel corso della nostra esposizione ci capitato pi volte di far riferimento a Dio,
ma non lo abbiamo mai trattato in maniera sistematica. Il seguente paragrafo ha lo scopo
di mettere in evidenza tale concetto per Levinas.
Se Heidegger si sforzava di intendere un essere non contaminato dallente, il
filosofo francese si sforza di intendere un Dio non contaminato dallessere. Il termine
Dio, a differenza del Nulla, non stato obliato dalla filosofia occidentale, nel senso che
stato introdotto nel suo discorso, e, in questo linguaggio, gli si sono stati attribuiti gli
aggettivi pi gloriosi. Sostanzialmente, esso stato considerato come il fondamento (la
causa prima) di tutte le cose, lincreato che crea tutto ci che o pu essere. Si pensi ad
esempio a Leibniz, per il quale questo essere un sommo ente, in quanto un essere
perfetto, una somma di perfezioni che fa passare allesistenza il miglior mondo possibile.
Anche chi lo ha criticato e ne ha affermato la sua morte non riuscito a negarlo: che cosa
, infatti, per Nietzsche, il Superuomo? Nientaltro che il dio del pensiero occidentale,
solo con un nome diverso.
Levinas condivide la stessa critica di Heidegger a proposito del sommo ente
dellontoteologia (sapere circa lessere di Dio), perch, cos facendo, non si fatto altro
che mischiare Dio con lEssere. La confusione dei due termini, per, ha svilito Dio o
lEssere? Cio, lerrore dellonto-teo-logia consistito nel considerare lessere come
Dio, o piuttosto Dio come lessere?372. Porre la questione non un puro gioco verbale,
ma di grande importanza. Infatti, se noi pensiamo ad Heidegger, notiamo che questi
non ha dato la priorit a Dio, e cos ha sviluppato un filosofia dellessere che, sebbene
abbia il merito di aver saputo cogliere lessere nella sua differenza con lente, giunge
inevitabilmente allessenza dellessere, la quale, come ormai sappiamo, ingloba tanto
lessere quanto il non-essere e si pone come sorgente del senso, dove Altri in quanto
Altri viene ridotto allo Stesso. Questa, ovviamente, non la posizione di Levinas,
perch, nella confusione tra i due termini, ci che deve essere recuperato veramente
Dio, non lessere. Quindi, mentre nel primo caso si critica lontologia con lo scopo di
372

Ivi, pag. 174

arrivare allessere nella sua differenza ontologica, nel secondo caso tale critica
condotta sulla base di una elusione del discorso relativo alla trattazione della
trascendenza come immanenza, in quanto Detto.
A questo punto della nostra analisi, possiamo gi abbozzare un tentativo di risposta
alla domanda circa Dio. Per ora sappiamo certamente che la Trascendenza non il
sommo ente dellontoteologia e nemmeno lessere heideggeriano, ma un qualche cosa
(altrimenti che essere) che ha a che fare con lal di l, altro, ossia altro dallessere.
Ripetiamo: Pensare Dio in funzione dellonto-teo-logia significa pensare male
lessere (tesi heideggeriana) o pensare male Dio?. 373 Seguendo Heidegger, si arriva
allessere come fonte del senso; seguendo Levinas si arriva a Dio come sorgente di esso,
dimostrando cos una significazione diversa da quella dellessere, relativa, cio, allal di
l dellessere (il filosofo tedesco, nonostante una lunga tradizione a tal proposito vedi
Platone, Cartesio, Kant , non potrebbe ammettere laltrimenti, perch al di fuori
dellessenza dellessere non c nulla. Essendo totalit, per, non si esce dalla filosofia
occidentale e non si apre la dimensione etica, la quale la dignit delluomo. Quindi,
trattare Dio come un ente e pensare lessere sulla base di questo ente sommo
ontoteologia , significa misconoscere Dio, non lEssere).
Il recuperare tale termine dalla confusione in cui caduto nella filosofia
occidentale, per, non significa dimostrarne lesistenza (cosa che ci farebbe ricadere in
tale cultura), ma mostrarne la sua significazione: il nostro scopo quello di intendere il
termine Dio come un termine significante. Tale ricerca condotta indipendentemente dal
problema dellesistenza o non esistenza di Dio, indipendentemente dalla decisione che
potrebbe essere presa davanti a questa alternativa e indipendentemente anche sul senso o
sul non-senso di questa alternativa stessa. Ci che qui indagato la concretezza
fenomenologica in cui questa significazione potrebbe significare o significa, anche se
rompe con ogni fenomenalit. Poich questo rompere non potrebbe dirsi in modo
puramente negativo e come una negazione apofantica. Si tratta di descrivere le
circostanze fenomenologiche, la loro congiuntura positiva e come la messa in scena
concreta di ci che si dice in forma di astrazione374.
373
374

Ivi, pag. 178


Cfr. E. Levinas, Di Dio che viene allidea, cit., pag. 9, sottolineato mio

Si tratta, cio, di vedere le circostanze fenomenologiche concrete, senza racchiudere


tale vocabolo nel Detto, nellimmanenza. Pertanto, il fine del discorso levinassiano
quello di vedere dove, concretamente, Dio viene allidea, secondo la struttura dellidea
dellInfinito, tematica gi ampiamente trattata nel corso delle nostre analisi. Tale idea
viene al pensiero non a partire dallimmanenza, ma a partire dalla stessa trascendenza,
realizzando in questo modo il paradosso dellinfinito nel finito ove nel secondo c la
traccia del primo. Il contributo di Descartes non pu essere negato, perch, nonostante il
suo disinteresse per la fenomenologia dellidea dellinfinito e, per converso, il suo
interesse per la chiarezza e la distinzione, egli ci ha insegnato la meraviglia di una
relazione inconcepibile sia per la logica formale che per quella dialettica, ove il mio
pensiero dellinfinito anteriore al mio pensiero del finito. Lidea dellinfinito non
altro che Dio-che-viene-allidea, ad-Dio, Trascendenza, Dio.
Egli non pu essere dimostrato, oggettivato, ma pu solo essere testimoniato:
Nella prima fase in cui Dio testimoniato nelleccomi Dio non nominato. Non si
potrebbe neanche dire Io credo in Dio. Testimoniare Dio non nominare questa parola,
come se la gloria potesse porsi come tema, o come tesi, o come essanza dellessere375. Il
soggetto come ostaggio dellaltro, dicente eccomi allaltro, rispondente di tutto e di tutti,
non altro che la testimonianza dellInfinito. Di conseguenza, Dio parla o significa solo
attraverso le parole del soggetto etico, mediante il suo Dire (senza Detto), e non nella
frase io credo in Dio. Questo accade perch questultima gi nellordine del Detto,
mentre il testimone non ha n conoscenza n, ma la stessa cosa, esperienza della
trascendenza: LInfinito non davanti al suo testimone, ma come al di fuori o
allinverso della presenza, gi passato, fuori presa: secondo fine troppo alto per
spingersi in prima fila. Eccomi, in nome di Dio, senza riferirmi direttamente alla sua
presenza -. Eccomi tout court! Nella frase in cui la parola Dio viene per la prima volta
a mescolarsi con le parole, la parola Dio ancora assente. Essa non si enuncia in alcun
io credo in Dio Segno dato allaltro di questa significazione stessa, leccomi mi
significa in nome di Dio al servizio degli uomini che mi riguardano, senza avere niente
con cui identificarmi, se non con il suono della mia voce o con la figura del mio gesto
con il dire stesso376.
375
376

Cfr. E. Levinas, Dio, la morte e il tempo, cit., pag. 271


Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 187

Nessun Detto potrebbe svilire il Dire della parola Dio, in quanto il primo sempre
in ritardo rispetto al secondo; solo leccomi pu testimoniarla. Ma questo significa che
la significanza della trascendenza la relazione stessa del medesimo e dellaltro, lin
dellinfinito che provoca la fissione della soggettivit, strutturandola in tal modo come
etica, la quale ultima non altro che quella situazione in cui lInfinito in rapporto con il
finito senza che n luno n laltro termine si annullino.
Si noti come la testimonianza sia portata dal soggetto, non dallaltro, come se non
fosse la trascendenza dellaltro a produrla, ma la trascendenza allaltro: il discorso,
insomma, vale dal lato del soggettivo, non di Altri. Certo, la trascendenza appartiene
sempre allAltro, ma ora (vale a dire a partire da Autrement qutre ou au-del de
lessence) essa situata nellimmanenza stessa del soggetto; questultimo per-laltro
prima dellapparire dellaltro. La cosa, dunque, non deve meravigliare, perch
lesplosione della soggettivit proprio a questo che porta, in quanto non c pi, come
in Totalit et Infini (e in gran parte del capitolo precedente del presente lavoro),
unidentit ontologica che si mette in questione per mezzo dellappello rivoltole dal
volto, ma c unidentit che gi etica, innanzitutto morale. Non pi lAltro turba lo
Stesso (trascendenza dellaltro), in un certo senso, ma lAltro nello Stesso
(trascendenza allaltro): il soggetto ha in s la trascendenza, ma in un modo in cui la
prima non viene inglobata dalla seconda.
Dicendo questo, per, non si deve cadere in confusione, perch Dio non il
soggetto, e nemmeno Altri, ma altro e dalluno e dallaltro, e imprime la sua traccia
solo nella testimonianza di un soggetto che in una relazione asimmetrica con Altri.
Proprio per evitare questo fraintendimento, Levinas introduce la tematica dellilleit,
intendendo, con tale vocabolo, la terza persona. Questa non , per, il terzo termine
(anonimato) della filosofia del Neutro di Heidegger, ma il non luogo che si situa al di
l e dellessenza dellessere, e del soggetto etico e di Altri in quanto Altri. Si potrebbe
dire che essa la dimensione personale che in qualche modo connota lal di l da cui
proviene il volto (Lordine personale a cui ci obbliga il volto al di l dellEssere. Lal
di l dellEssere una terza persona Lal di l da cui viene il volto la terza
persona377), cio la trascendenza radicale che imprime la traccia nella relazione del
377

Cfr. E. Levinas, Scoprire l esistenza, cit., pp. 228-229

faccia a faccia: E questa torsione a partire dal volto e questa torsione riguardo a
questa torsione nellenigma stesso della traccia, ci che abbiamo chiamato lilleit.
Esclusiva del tu e della tematizzazione delloggetto, lilleit neologismo formato
sulla base di il (egli) o ille indica un modo di riguardarmi che non entra in
congiunzione con me Se la relazione con lilleit fosse una relazione con la coscienza,
il designerebbe il tema Lilleit-dellal-di-l-dellessere il fatto che la sua venuta
verso me unassentarsi che mi permette di compiere un movimento verso il prossimo
Il paradosso di questa responsabilit data dal fatto che io mi trovo obbligato senza che
questo obbligo abbia avuto origine in me378. La terza persona lal di l da cui viene il
volto e, conseguentemente, la condizione dellirreversibilit. La distinzione tra volto
e al di l da cui viene il volto di fondamentale importanza, perch mette in luce la
radicalit della trascendenza di Dio e il fatto che il volto, nel momento in cui in
relazione con il soggetto, non perde la sua trascendenza perch si iscrive nella traccia
dellilleit.
Questo al di l significa in quanto traccia, ove per traccia si deve intendere lo
scompiglio irrimediabile della coscienza dellessere derivante da un passato che ormai
passato (come nelle tracce di colui che ha cancellato le proprie tracce). La traccia non il
segno, perch mentre il secondo indica il significante (facendolo in qualche modo
presente), la prima proprio la rottura della presenza. Di conseguenza, la traccia lo
scompiglio del fenomeno apportato da unassenza che la presenza dellessere non riesce
a recuperare, per cui si configura come la significazione dellilleit. La seguente
citazione forse la pi esplicita al riguardo: L al di l da cui proviene il volto significa
in quanto traccia La traccia autentica scuote lordine del mondo. Si d in sovraimpressione. La sua originaria significazione si delinea, per esempio, nellimpronta
lasciata da colui che desiderava cancellare le proprie tracce affinch il crimine fosse
perfetto. Colui che cancellando le proprie tracce ne ha lasciato alcune, non voleva n dire
n fare nulla con le tracce lasciate. Ha irrimediabilmente sconvolto lordine. E passato
in modo assoluto. Essere in quanto lasciare una traccia significa passare, partire,
assolversi Nella traccia passa un passato assolutamente passato 379. Traccia ed
Illeit portano alla seguente considerazione: Dio non lo si pu cercare sul piano del
378
379

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 17


Cfr. E. Levinas, Scoprire l esistenza, cit., pp. 228 e 230

teoretico, coincidente con quello dellontologia, poich esso significa solo a livello etico;
lo si cerca e lo si trova solo rispondendo allappello del volto dAltri, che si situa nella
traccia della sua assoluta trascendenza.
La significazione dellInfinito nel finito e tramite il finito consiste quindi
nellambivalenza di un ordine esteriore ed autorevole, che viene non so da dove e che
mai potrei sincronizzare. In un certo senso, ne sono io lautore, perch esso si dice
tramite lobbedienza assoluta del mio Dire, il quale ultimo rimane sempre Dire, un Dire
dicente il Dire stesso.
Ciononostante, la trascendenza assoluta (Dio) anche detta, entra nellordine del
Detto (quante volte nominiamo Dio o ne parliamo?). Questo vero, ma altrettanto vero
che il Detto che la enuncia ha senso solo se esso conserva la traccia della testimonianza
in cui si radica il suo significato, altrimenti diventerebbe un idolo. Insomma, la parola di
Dio significa positivamente solo nella prossimit, nella responsabilit, nella sostituzione.
Di Dio, si ribadisca, non posso dire che o che non (siamo lontani dalla logica
parmenidea, secondo la quale lessere e il non essere non ), ma posso soltanto
testimoniarlo. Ecco, in tutta la sua forza, quella verit come testimonianza che abbiamo
opposto alla verit come svelamento: essa, in altre parole, vera, ma di una verit
irriducibile alla verit del disvelamento e non narra niente che si mostri 380. E un
nuovo modo di intendere la verit, ossia come veracit prima del vero veracit
dellapprossimarsi, della prossimit, oltre la presenza 381. La trascendenza radicale,
trascendenza assoluta, Dio, non si manifesta, perch non pu in nessun modo divenire
presenza nel piano dellessere, visto che essa anarchia, di fronte alla quale fallisce la
raccolta dellessere, la sua sincronizzazione. Non presenza dellInfinito, dunque, ma non
presenza che si traduce come presenza dello stesso nello forma della traccia e nella
situazione concreta della mia responsabilit per altri, la quale precisamente la
significazione che precede il presente: significazione di un Dio che si glorifica nella
soggettivit umana, ovvero parla di s attraverso il Dire del soggetto responsabile, unico
modo di dare testimonianza della sua gloria.
Questultimo termine, preso a prestito dalla Bibbia, un altro vocabolo per
descrivere lassoluta trascendenza di Dio; per il suo tramite si pu affermare che la gloria
380

Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 182


Ivi, pag. 180

381

di Dio non pu in nessun modo essere vista dal soggetto, anche se questo pu
glorificarla: Questa gloria non potrebbe apparire, perch lapparire e la presenza la
smentirebbero circoscrivendola come tema, assegnandole un inizio nel presente della
rappresentazione allorch, infinizione dellinfinito, essa viene da un passato pi lontano
da quello che, alla portata del ricordo, si allinea sul presente. Essa viene da un passato
che non stato mai rappresentato, che non si era mai presentato e che, di conseguenza,
non ha lasciato germogliare un inizio senza principio, senza inizio, anarchia la
gloria, facendo esplodere il tema, significa al di qua del logos, positivamente,
lestradizione del soggetto che riposa su di s, estradizione da ci che esso non ha mai
assunto perch, a partire da un passato irrappresentabile, stato sensibile alla
provocazione che non si mai presentata, ma ha colpito come un trauma La gloria
dellInfinito si glorifica in questa responsabilit, non lasciando al soggetto alcun rifugio
nel suo segreto che lo proteggerebbe contro lossessione per lAltro e coprirebbe la sua
evasione382.
Dunque, il soggetto come Dire dicente il Dire stesso, ovvero come sincerit del
Dire, non altro che la testimonianza della gloria di Dio, sempre assente dalla presenza
dellessere. Sempre assente perch passato che non mai iniziato, e quindi infinito
dellInfinito stesso, senza fine che attesta limpossibilit di esaurire Dio nellordine della
manifestazione dellessere. Essendo tale testimonianza, esso ispirato (ha risposto
allordine prima di udirlo), diventando cos il profeta di Dio. Per descrivere questi due
termini ci rivolgiamo direttamente a Levinas: Possibilit dellispirazione: essere autore
di ci che mi era stato a mia insaputa ispirato aver ricevuto, non si sa da dove, ci di
cui io sono lautore. Nella responsabilit per laltro, eccoci al cuore di questa ambiguit
dellispirazione. Il dire inaudito enigmaticamente nella risposta anarchica, nella mia
responsabilit per laltro. La traccia dellinfinito questa ambiguit del soggetto, di volta
in volta inizio e tramite, ambivalenza diacronica che letica rende possibile. Si pu
chiamare profetismo questa inversione in cui la percezione dellordine coincide con la
significazione di questo ordine istituita da colui che vi obbedisce. E cos, il profetismo
sarebbe lo psichismo stesso dellanima: laltro nel medesimo; e tutta la spiritualit
delluomo profetica. Linfinito non si annuncia nella testimonianza come tema Nel
382

Ivi, pag. 181

segno fatto allaltro dal fondo della mia oscurit di Dire senza Detto della sincerit,
nel mio eccomi, di colpo presente allaccusativo, io testimonio dellInfinito 383.
Tutto questo non un qualcosa di astratto, e nemmeno accade in un presunto
mondo dellal di l, ma lavvenimento straordinario e quotidiano della mia
responsabilit per gli altri uomini, per ci che non in mio potere. Solo qui, in questa
specialissima relazione, Dio si manifesta. Ecco spiegato il motivo per il quale il
pensiero etico della Trascendenza non consiste nel considerare lessere divino come
causa del mondo, ma mette laccento sulle relazione sociali quotidiane (sul molteplice),
in cui risuona lenigma del Bene. Il soggetto, per il suo tramite, si trova risvegliato nella
responsabilit verso laltro uomo, colpevole prima di nascere, prima di avere un inizio.
Non stiamo parlando di una soggettivit astratta, formale, ma di un io fatto di carne e
sangue, ossia di un corpo il cui fatto primo (ma primo come anteriore allorigine)
lesposizione allaltro, quindi un dare allaltro strappandosi il pane dalla propria bocca. Il
corpo la continua contestazione del conatus essendi, o meglio, esso vive in quanto
questa contestazione. Non lio disincarnato, ma lio incarnato, dunque, ha una valenza
etica. Si deve tenere presente questa nozione di corporeit, perch in questo senso che
la intende Levinas; se diciamo questo perch si potrebbe correre il rischio di intenderla
nella maniera inversa, in quanto il filosofo stesso, a volte, tratta il corpo come ontologia:
il luogo una base. Perci il corpo lavvento stesso della coscienza Esso non si
pone, la posizione384; ma comprendere il corpo in questo modo significa ricondurlo ad
un evento ontologico, e far saltare lintero discorso levinassiano sulla corporeit come
luogo stesso del per-laltro, il luogo della significazione385, letica.
Questa soltanto consente una trascendenza fino allassenza, un Dio invisibile ma
presente proprio in questa impossibilit di rientrare nellordine della presenza del
presente della rappresentazione sincronica dellessere.
Ora il progetto filosofico di Levinas veramente realizzato: laltrimenti che essere
gli ha permesso di dare alluomo un senso diverso da quello dellessere, uscendo cos da
esso. Fatto questo, ritorna allessenza e imprime in essa la traccia del Bene, la quale non
altro che la dignit dellumanit delluomo e, conseguentemente, il rispetto dellaltro. Il
383

Ivi, pp. 186-187


Cfr. E. Levinas, Dall esistenza all esistente, cit., pag. 65
385
Espressione di G. Ferretti, nella sua opera Alterit e trascendenza. La filosofia di Levinas, cit., pag. 230
384

filosofo, pur uscendo dalla filosofia occidentale, vi ritorna, ma nel movimento del ritorno
ha portato con s il senso dellaltro del Greco che gli ha permesso, intendendo Dio come
ci che non contaminato dallessere, di smantellare la violenza e la potenza di quella
filosofia, per introdurvi la giustizia. Ora la filosofia non deve pi esaurire il suo senso
nella tematizzazione, ma deve dire lindicibile, in un compito senza fine. Compito senza
fine perch, se finisse, avrebbe oggettivato tutto, e quindi avrebbe messo tutto nel Detto
(la presunta formulazione definitiva sarebbe il punto di arresto che culmina non gi in un
dire ultimo, ma in un detto altrimenti, ove non si trova la dimensione dellal di l
dellessenza), ricadendo, conseguentemente, in quella filosofia dellessere che ha
dominato lOccidente dalla sua nascita ad ora.
Per evitare questo, deve continuamente disdire ci che dice, deve mantenere,
cio, la dimensione della formula platonica che pone il Bene al di l dellessere. Il
tradimento inevitabile del Dire (che si produce quando si va a dire il Dire stesso) non
deve mai essere assoluto, ma deve essere sempre ridotto fenomenologicamente, perch
Dio non una verit universale e necessaria, ma lo incontro testimoniandolo
quotidianamente nella mia relazione etica con laltro in quanto altro; alterit radicale,
alterit assoluta, ma di un assoluto diverso da quello dellessere: Dio altro da altri,
altro altrimenti, altro di unalterit che precede lalterit di altri, lassoggettamento etico
al prossimo. Differente, cos, da ogni prossimo. E trascendente fino allassenza, fino alla
sua possibile confusione con il brusio del c (il y a). Confusione in cui la sostituzione al
prossimo guadagna in disinteressamento, in nobilt e in cui la trascendenza
dellinfinito si eleva in gloria. Trascendenza che pu dirsi vera di una verit diacronica,
senza sintesi, pi alta delle verit che vengono confermate386.

386

Cfr. E. Levinas, Dio, la morte e il tempo, cit., pag. 297, sottolineato mio

BIBLIOGRAFIA
Una bibliografia completa delle opere di e su Levinas si ha in G. Ferretti, La filosofia di
Levinas, Rosenberg & Sellier 1996 e in B. Borsato, Lalterit come etica. Una lettura di
Levinas, Edizioni Dehoniane Bologna, 1995.
Segue lelenco delle opere consultate per la stesura della presente tesi:
Opere di Levinas (tra parentesi lanno della prima pubblicazione dei testi):
Alcune riflessioni sulla filosofia dellhitlerismo (1934), introd. di G. Agamben e con un
saggio di M. Abensour, Quodlibet, Macerata 1996
Dallesistenza allesistente (1947), a cura di F. Sossi, con una premessa di P. A. Rovatti,
Marietti, Casale Monferrato 1997
Il tempo e laltro (1947), a cura di F. P. Ciglia, il menangolo, Genova 2001
Scoprire lesistenza con Husserl e Heidegger (1949), a cura di F. Sossi, Raffaello
Cortina, Milano 1998
Totalit e Infinito. Saggio sullesteriorit (1961), a cura di A. DallAsta, con introd. di S.
Petrosino, Jaca Book, Milano 1996
Umanesimo dellaltro uomo (1972), a cura e con introd. di A. Moscato, il menangolo,
Genova 1998
Altrimenti che essere o al di l dellessenza (1974), a cura di S. Petrosino e di M. T.
Aiello, con introduz. di S. Petrosino, Jaca Book, Milano 1998
Su Blanchot (1975), a cura di A. Ponzio, con introd. di F. Ristetti e A. Ponzio, Palomar,
Bari 1994
Di Dio che viene allidea (1982), a cura di S. Petrosino, trad. di G. Zennaro, Jaca Book,
Milano 1997
Etica e Infinito. Dialoghi con Philippe Nemo (1982), a cura di E. Beccarini e con introd.
di G. Mura, Citt Nuova, Roma 1984

Laldil del versetto. Letture e discorsi talmudici (1982), a cura e con introd. di G. Lissa,
Guida, Napoli 1986
Trascendenza e intelligibilit (1984), a cura di F. Camera, Marietti, Genova 1990
Fuori dal soggetto (1987), a cura di F. P. Ciglia, Marietti, Genova 1992
Dio, la morte e il tempo (1993), a cura di S. Petrosino, con avvertenza e postfazione di J.
Rolland, Jaca Book, Milano 1996
Etica come filosofia prima, con tre testi di A. Peperzak e con postilla di F. Ciaramelli,
Guerini e associati, Napoli 1989
Opere su Levinas:
G. Ferretti, Alterit e trascendenza. La filosofia di Levinas, Rosenberg & Sellier, Torino
1996
G. Ferretti, Soggettivit, intersoggettivit, alterit. In dialogo con Husserl e Levinas. II.
Totalit e infinito di E. Levinas, Universit di Macerata, Macerata 1993
G. Ferretti, Soggettivit, alterit e trascendenza. Introduzione e commento ad Altrimenti
che essere di E. Levinas, Universit di Macerata, Macerata 1994
B. Borsato, Lalterit come etica. Una lettura di Levinas, Edizioni Dehoniane, Bologna
1995
J. Derrida, Addio a Emmanul Levinas, a cura e con introd. di S. Petrosino, Jaca Book,
Milano 1998
J. Derrida, Violenza e metafisica, in La scrittura e la differenza, a cura di G. Pozzi, con
introd. di G. Vattimo, Einaudi, Torino 1990
E. Baccarini, Levinas: soggettivit e Infinito, Studium, Roma 1985
S. Malka, Leggere Levinas, a cura di E. Baccarini, Queriniana, Brescia 1986
S. Petrosino, La verit nomade. Introduzione a Emmanuel Levinas, Jaca Book, Milano
1980
S. Petrosino, Fondamento ed esasperazione. Saggio sul pensare di Levinas, Marietti,
Genova 1992
A. Quadrino, Enigma della prossimit. Tempo e alterit nel pensiero di E. Levinas, pref.
di G. Lorizio, Juana, Roma 1987

G. C. Bruno, Levinas. Etica o metafisica della fede? Appunti di etica e di teologia,


Euroma-La goliardica, Roma 1988
F. P. Ciglia, Un passo fuori dalluomo. La genesi del pensiero di Levinas, Cedam,
Padova 1988
L. Ghidini, Dialogo con E. Levinas, Morcelliana, Brescia 1987
F. Marcolungo, Etica e metafisica in Emmanuel Levinas, Istituto di Propaganda Libraria,
Milano 1995
G. Mura, E. Levinas: ermeneutica e separazione, Citt Nuova, Roma 1982
A. Ponzio, Soggetto e alterit. Da Levinas a Levinas, Adriatica, Bari 1983; rielaborato
con il titolo Responsabilit e alterit in E. Levinas, Jaca Book, Milano 1995
G. Sansonetti, Laltro e il tempo. La temporalit nel pensiero di E. Levinas, pres. di T.
Tilliette, Cappelli, Bologna 1985
A. Signorini, Percorsi della singolarit: scritti sulla filosofia morale di E. Levinas,
Novene, Napoli 1989
P. L. Cabri, La lettura infinita. Interpretazioni talmudiche di E. Levinas, Garamond,
Roma 1993

Altre opere consultate:


F. Ciaramelli, La distruzione del desiderio, Dedalo, Bari 2000
D. Jervolino, Ricoeur, Edizioni Studium, Roma 1995
F. Capra, Il punto di svolta, trad. di Libero Sosio, Universale economica Feltrinelli,
Milano 2000
F. Donadio, Elogio della storicit, Paoline, Milano 1999
F. Nietzsche, La Gaia Scienza e idilli di Messina, trad. e nota introduttiva di G. Colli e
versione di F. Masini, Adelphi, Milano 1999
F. Nietzsche, Cos parl Zarathistra, introd. di A. Banfi, Luigi Reverdito editore, Varese
1995

F. Nietzsche, La nascita della tragedia, La filosofia nellet dei Greci, Verit e


menzogna, introduzioni di S. Givone, F. Jesi e O. Longo, Grandi tascabili economici
Newton, Roma 1995
F. Nietzsche, Sullutilit e il danno della storia, trad. di S. Giametta e nota introduttiva
di G. Colli, Adelphi, Milano 1999
E. Mazzarella, Nietzsche e la storia, Guida, Napoli 1983
H. Jonas, Tecnica, medicina ed etica, a cura e con introd. di P. Becchi, Einaudi, Torino
1997
G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger, Laterza, Roma-Bari 1998
G. W. Leibniz, Principi della filosofia o Monadologia. Principi razionali della natura e
della grazia, trad. e introduz. di S. Cariati, Rusconi, Milano 1997
G. W. Leibniz, Discorso di metafisica, a cura e con introd. di S. Cariati, Rusconi, Milano
1999
M. Heidegger, Saggi e discorsi, a cura e con introd. di G. Vattimo, Mursia, Milano 1998
M. Heidegger, Sentieri interrotti, a cura e con presentazione di P. Chiodi, La Nuova
Italia, Scandicci (Firenze) 1997
I. Kant, Critica della Ragion pura, trad. di G. Gentile e di G. Lombardo-Radice con
introd. di V. Mathieu, Laterza, Roma-Bari 2000
A. Schopenhauer, La libert del volere umano, trad. di E. Pocar e introd. di C. Vasoli,
Universale Laterza, Roma-Bari 1997
R. Descartes, Meditazioni metafisiche, traduz. e introd. di S. Landucci, Laterza (collana
Economia), Roma-Bari 1997
Platone, La Repubblica, a cura di F. Sartori e con introd, di M. Vegetti, Laterza (collana
Economia), Roma-Bari 2000
R. Rizzi, Peter Eisenman, Motta Architettura, Milano 1996
G. Giannetto, Pensiero e disegno. Leibniz e Kant, Loffredo Editore, 1990

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