Escolar Documentos
Profissional Documentos
Cultura Documentos
FEDERICO II
FACOLTA DI LETTERE E FILOSOFIA
TESI DI LAUREA
IN
TEORIA DELLINTERPRETAZIONE
Relatore
PROF. FABIO CIARAMELLI
Candidato
DE MAIO CARMELO
ANNO ACCADEMICO
2001-2002
INDICE
Prefazione
IX
SEZIONE PRIMA
3
6
18
42
50
57
68
1. GNOSEOLOGIA E ONTOLOGIA
2. IL GODIMENTO
3. IL VIVERE DI...
4. DIPENDENZA E INDIPENDENZA
5. LINTENZIONALITA
6. LA DIMORA
7. LAVORO E RAPPRESENTAZIONE COME CONQUISTA DI SE
8. LATEISMO E POSTERIORITA DELLANTERIORE
9. LA SENSIBILITA
10. LINGUAGGIO E IDENTITA
11. LA FILOSOFIA OCCIDENTALE E LUOMO
SEZIONE SECONDA
LALTRO DELLONTOLOGIA
CAPITOLO PRIMO
CAPITOLO SECONDO
77
81
88
95
102
110
118
123
132
138
145
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
LETICA
CREAZIONE EX NIHILO
LINGUAGGIO ONTOLOGICO E LINGUAGGIO ETICO
IL TERZO
RESPONSABILITA E LIBERTA
LA MORTE E IL TEMPO
DIO
Bibliografia
PREFAZIONE
Il presente lavoro si propone di offrire una lettura della filosofia di Levinas tenendo
presente soprattutto due tematiche che sono tra i punti centrali del pensiero del filosofo:
la filosofia occidentale come filosofia della potenza e la soggettivit non come sostanza
che il fondamento del tutto, bens nel senso di scarto irrecuperabile di s a s,
inquietudine, non-riposo, che si traduce positivamente come responsabilit per laltro
uomo.
Vista la sostanziale unit tematica delle opere edite nel corso della produzione
filosofica del pensatore, si scelto un approccio fondamentalmente sincronico della sua
filosofia, mirante a coglierla, partendo dai due presupposti sopra citati, nella sua essenza.
temporale degli istanti nel presente consiste nello Stesso che ritrova lo Stesso, ovverosia
il riconoscimento del Medesimo come tale.
Visto che cos, sorge inevitabile una domanda: che ne dellaltro? Che ne della
trascendenza? Della trascendenza, dellalterit, del rispetto dellaltro, ne nulla.
Laberrazione della filosofia occidentale stata quella di aver voluto assolutizzare
questo discorso, cadendo nellerrore morale di far violenza allaltro e nellerrore
teoretico di considerare lessere come infinito. Anche questo secondo aspetto stato uno
sbaglio, perch la totalit, o pi precisamente, lEssere, caratterizzato dalla finitezza,
visto che, per potersi riconoscere come tale, deve dispiegarsi ed essere accolto in un
diverso s, bench questultimo non sia altro che la sua presentazione alla coscienza.
Sicuramente lo scarto viene sincronizzato (il tempo dellessere il tempo del suo
dispiegarsi), ma questo non la giustificazione dellinfinito dellessere: Lesse
dellessere attraverso il quale lente ente un affare del pensiero e inerisce
immediatamente allo Stesso. Donde lindifferenza nei confronti del pensiero che si
muove al di fuori dellessere e, nello stesso tempo, una certa indigenza dellessere
costretto ad un diverso s, ad un soggetto chiamato a raccogliere la manifestazione,
essendo questa recettivit necessaria alla sua stessa vita di essere. E in questo senso che
nellessere vi finitezza2.
Ora, se lo stare alla luce dellessere e fare filosofia intorno ad esso comportano il
totalitarismo, o meglio, il dominio sullaltro, occorre un modo di vivere e un modo di
filosofare che siano come un altrimenti che essere, ossia unuscita dallessere. Questo
non un essere altrimenti, perch sempre essere , e non nemmeno il non essere
essere e non-essere sono sempre entro lessenza dellessere , ma laltro dellessere, il
terzo escluso; una cosa impossibile? Senza dubbio, ma se il nostro riferimento la
logica formale, il cui terzo principio enuncia che una cosa o A o non-A, e quindi non
si d terzo. Se invece ci mettiamo in unaltra sfera, nella logica levinassiana, questo
discorso non solo possibile, ma significa anche relazione con lalterit che rimane
sempre tale. E, questo, un tipo di relazione dove il soggetto in rapporto con laltro
senza che annulli laltro, e viceversa; Levinas ha diversi termini e diverse locuzioni per
Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, Jaca Book, pag. 301, corsivo mio
lattenuazione della mia responsabilit assoluta nei confronti di Altri, legittimando, in tal
modo, lesigenza della giustizia universale: Per il fatto che laltro il terzo rispetto ad
un altro anchegli prossimo necessario che io paragoni, che pesi e soppesi. E
necessario che pensi, necessario che io prenda coscienza. Il sapere appare a questo
livello. E necessario che io sia giusto Le istituzioni e lo Stato possono essere ritrovati
a partire dal terzo che interviene nella relazione di prossimit 4. Ci, reso possibile
dalletica, depone limperialismo dello Stesso e introduce il senso nellessere.
Cos come il pensiero levinassiano non condanna lessere tout court, allo stesso
modo la critica alla filosofia occidentale, pur essendo radicale, non la coinvolge nella sua
interezza. Questo accade perch essa, nel corso della sua storia, ha presentato le tracce,
seppur debolmente, dellaltrimenti che essere: tracce visibili soprattutto nellidea
dellInfinito di Cartesio (il pi abitante nel meno senza che luno annulli laltro) e nel
Bene di Platone (come ci che al di l dellEssere, quindi non oggettivabile, non
tematizzabile).
Lintento di questa esposizione quello di fare unanalisi dettagliata di quanto
esposto sopra, al fine di mostrare come si possa porre fine alla filosofia dellingiustizia e
mettersi in contatto con laltro dellessere a partire dal fatto quotidiano delle relazioni
sociali. Laccento particolare posto sulla nozione di soggettivit deriva dallesigenza di
chiarire come sia il soggetto etico (e non il soggetto come sostanza Cartesio o come
Dasein Heidegger) a consentire il discorso sulla sorgente del senso.
Il testo si divide in due sezioni, ciascuna delle quali composta da due capitoli.
La prima La filosofia della potenza legge la filosofia come filosofia della
violenza del medesimo sullaltro (capitolo I) e la mette in relazione con la condizione
ontologica delluomo (capitolo II). Ovvero, dopo aver messo in relazione filosofia,
potenza e soggettivit, ci si chiede se sia possibile eludere lerrore o se, come in
Heidegger a proposito delloblio dellessere, questa erranza non sia tale, ma un qualcosa
di inevitabile, un destino. Quasi tutto il secondo capitolo sembra far capire che valida
la seconda opzione, perch, mettendo in relazione il soggetto e lessere, emerge una
inevitabilit del potere del soggetto trascendentale, il cui scopo quello di uccidere
4
tutto ci che gli si oppone in quanto altro. Ma nelle ultime battute del suddetto, per, si
verifica un cambiamento di direzione, unesplosione che sconvolge tutto ci che era
stato detto in precedenza, pur non rinnegandolo. Difatti, tutto ci che stato detto fino a
quel momento valido, solo che, visto che offriamo una lettura di Levinas, non tutto,
perch il senso non si esaurisce nellessere. In questa parte lintroduzione della
dimensione altra (dimensione etica) rimane solo a livello di accenno, mentre trattata in
maniera sistematica nella seconda sezione LAltro dellontologia , ove ci si occupa
della relazione tra il soggetto, Altri e Dio. In questultima il capitolo primo rivolge
lattenzione particolarmente alla soggettivit etica, strutturata come laltro nel
medesimo fino alla sostituzione (si fa anche una riflessione approfondita sul
cambiamento di tale nozione tra Totalit et Infini e Autrement qutre ou au-del de
lessence, forse unico approccio diacronico di questo lavoro), mentre il capitolo secondo,
pur riprendendo tematiche del precedente, si dirige verso lalterit radicale, non
dimenticando, per, il problema del linguaggio e la nozione del terzo.
La voce di Levinas non un qualcosa di isolato, ma unesigenza (esigenza
dellaltrimenti) che coinvolge anche altre discipline, come dimostra larchitettura, la
quale si sta ripensando nella sua impostazione di fondo. In questo caso il pensiero va
soprattutto a Peter Eisenman, architetto la cui produzione ha un unico fine: proporre
unarchitettura che tenti di distaccarsi dalla tradizione greco-cristiana5. Anchegli, cos
come Levinas, per realizzare il distacco si rivolge alla cultura ebraica, interpretata, dal
filosofo francese, come laltro dellessere. Difatti, uno dei temi ricorrenti che emerge
nella speculazione eisenmaniana la presenza dellassenza, che, come vedremo nel
corso delle pagine successive, laltrove cui diretto Abramo, il non-Luogo per
eccellenza. Renato Rizzi, interprete di Eisenman, sottolinea che il punto di partenza della
riflessione di questo architetto-pensatore la radice ellenica, ovvero la tematizzazione,
lordine, la quiete. Rispetto a questo, lEbreo nella sua differenza dal Greco gli serve per
mettere in questione larchitettura classica: Eisenman linfluenza della radice ellenica
si pone a fondamento della sua riflessione teorica nella contrapposizione e nella
divaricazione culturale delle due radici si colloca il presupposto fondativo della sua
critica alla tradizione dellarchitettura occidentale, classico-antropocentrica lo scopo
5
quella di ri-posizionarla in analogia con i mutamenti spesso radicali avvenuti nelle altre
discipline, quali per esempio la filosofia o le scienze. In altre parole egli cerca di
imprimere allasse portante greco-cristiano una decisa rotazione verso quello giudaico6.
Questa posizione la stessa di Levinas. Cercheremo di chiarirci meglio.
Il filosofo, per ricercare quel Bene che viene prima dellEssere, parte dalla
tematizzazione: linizio del suo filosofare lessere e la sua apparizione. Da qui, egli
effettua una risalita, e in questo movimento trova lInfinito. Non a caso egli ha sempre
sostenuto che il suo filosofare segue il metodo fenomenologico, inteso proprio come
risalita da ci che appare alle sue condizioni di possibilit.
La portata di quanto stiamo dicendo si evidenzia in Autrement qutre ou au-del
de lessence, quando si occupa dettagliatamente della riduzione, intesa come un ridurre
il Detto al Dire, ossia lontologia allaltro da essa: Ma a questa significazione del Dire
responsabilit e sostituzione si pu risalire solo a partire dal Detto e dalla domanda
che ne di? gi interna al Detto in cui tutto si mostra. Vi si pu risalire attraverso la
riduzione solo a partire da ci che si mostra, cio dallessenza e dalleone tematizzato
lunico di cui c tematizzazione Gli enti sono e la loro manifestazione nel Detto la
loro vera essenza. La riduzione non intende assolutamente dissipare, n spiegare alcuna
apparenza trascendentale. Le strutture in cui essa comincia sono ontologiche Ma
ecco la riduzione dal Detto al Dire al di l del Logos dellessere e del non-essere al
di l dellessenza del vero e del non-vero, ecco la riduzione alla significazione
alluno-per-laltro della responsabilit (o pi esattamente della sostituzione), luogo o
non-luogo, luogo e non-luogo, utopia dellumano, la riduzione allinquietudine (nel
senso letterale del termine) o alla sua diacronia che lessere, malgrado tutte le sue forze
raccolte, malgrado tutte le forze simultanee nella sua unione, non pu eternizzare. Il
soggettivo e il suo Bene non potrebbero essere compresi a partire dallontologia. Al
contrario, a partire dalla soggettivit del Dire che la significazione del Detto potr
essere interpretata. Si pu mostrare che c questione del Detto e dellessere solo perch
il Dire o la responsabilit reclamano giustizia. Cos soltanto allessere sar resa
giustizia7.
6
7
Ivi, pp. 17 e 21
Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, Jaca Book, pp. 56-57
Chiamiamo etica una relazione i cui termini non siano uniti da una sintesi
dellintelletto, n dalla relazione tra il soggetto e loggetto e in cui, tuttavia, un termine
pesi, o sia importante, o abbia significato per laltro, i cui termini siano legati da un
intrigo non esauribile n districabile dal sapere11.
Sezione Prima
LA FILOSOFIA DELLA POTENZA
11
Cfr. E. Levinas, Scoprire lesistenza, Raffaello Cortina Editore, pag. 262, nota 3
Capitolo Primo
FILOSOFIA, POTENZA E SOGGETTIVITA
1. LA FILOSOFIA OCCIDENTALE
Buon punto di partenza per la nostra esposizione sulla filosofia della potenza in
Levinas la definizione data dal filosofo francese in De Dieu qui vient lide: la
storia della filosofia occidentale stata una distruzione della trascendenza 12.
In riferimento a quanto citato, occorre innanzitutto osservare cosa stata la filosofia
occidentale fino ad ora.
Aristotele, come sappiamo, divideva le scienze in tre tipologie: scienze teoretiche,
pratiche e poietiche.
Tra le scienze teoretiche era inclusa quella che egli definiva filosofia prima, alla
quale attribuiva la qualit di essere la regina delle scienze, in quanto, a differenza di tutte
le altre scienze le cosiddette filosofie seconde, che studiavano loggetto nella sua
particolarit, essa si occupava della realt in generale, ovvero il suo oggetto non era
lessere particolare, ma lessere in quanto tale, lessere in quanto essere.
A questa filosofia prima fu dato in seguito il nome di ontologia, o metafisica.
La filosofia, in senso stretto, ontologia, dato che il suo scopo quello di
rispondere alla domanda che cosa lessere in quanto essere: ogni filosofo, nellintera
storia della filosofia, non ha fatto altro che inserirsi in questa schema, riempiendolo, di
volta in volta, con il proprio linguaggio.
Dire che la filosofia nasce con la pretesa di interrogarsi circa lessere, significa dire
che essa scienza del fondamento, del principio: prende atto dellesistenza della
molteplicit, e cerca di risalire allunit. La sua vera passione comprendere la totalit
dellente attraverso il raggiungimento della sua essenza. Il metodo usato, per usare una
terminologia kantiana, analitico: da ci che appare la molteplicit, lente alle sue
condizioni di possibilit lunit, lessere.
Linquietudine scaturente dalla molteplicit ci contro cui si batte la filosofia, che
vuole opporre a questa la quiete dellunit. Tale lotta la si pu condurre solo risalendo
dallapparenza allessenza, visto che questultima non immediatamente manifesta.
Il fondamento di cui essa alla ricerca universale e necessario, e quindi la verit
che vuol trovare universale e necessaria: la verit non altro che un rispecchiamento
del fondamento.
12
Tale scienza, nata in Grecia nel V sec. a.C., in tutti questi anni trascorsi ha
attraversato numerose rivoluzioni, ma, bench si dica che il secolo appena passato sia
stato il secolo della fine della metafisica, esercita ancora il suo fascino, per cui ancora
lontana la sua estinzione.
La critica alla metafisica cominciata in maniera consistente con Kant, il quale
afferm che di ci che al di l del fenomeno lapparenza noi nulla possiamo dire, e
di conseguenza non c e non pu esserci una metafisica valida.
Un altro robusto colpo di maglio tale scienza lo subisce con Nietzsche, per il quale
Dio morto. La morte di Dio pone fine a qualsiasi metafisica, in quanto con lo
smascheramento venuta meno la condizione stessa dellesistenza di tale scienza: lo
schema platonico di un mondo dellal di l il fondamento rispetto al quale soltanto
c il mondo dellal di qua lente.
Il culmine di tale critica alla metafisica raggiunto con Heidegger, e la sua
interpretazione risulta, a tuttoggi, quella vincente anche se certo non lunica. Per
questo filosofo la suddetta scienza non stata altro che un oblio dellessere, in quanto,
pur nascendo la metafisica come domanda circa lessere, lo dimentica subito perch tale
essere considerato sulla base della semplice-presenza, o, per dirla pi volgarmente,
sulla base delloggettivit. Visto che, secondo tale filosofo, lessere non un contenitore
allinterno del quale ci sono gli enti, ma un qualcosa che si offre e si ritrae, la
metafisica, basandosi sul modello della semplice presenza, cade nelloblio dellessere
perch non tiene conto di quella dimensione di ritrazione che caratterizza lessere stesso:
ritrazione che non un attributo aggiunto dopo, ma costitutiva dello stesso. Con ci
viene meno la fondamentale differenza ontologica, che quella differenza che non mette
sullo stesso piano lessere e lente, ma mantiene lessere distinto dallente.
Detto questo, ci dobbiamo chiedere se effettivamente questi filosofi, con le loro
critiche, hanno superato tale schema o se non hanno fatto altro che inserirsi in
questunico universo di discorso, tipico dellontologia.
2. FILOSOFIA E POTENZA
Sotto questo aspetto la verit non sarebbe altro che lesibizione dellessere, ove ci
che si cerca in essa la risposta alla domanda che cosa , la quale significa nientaltro
che che cosa lessere.
In questo modo il che cosa? della verit gi avvolto dallessere perch la
domanda circa lessere sempre in rapporto allessere stesso. Non essendo mai, questo,
immediatamente e totalmente manifesto a se stesso, si produce la ricerca della verit che
vuole strappare lessere dallapparire, o meglio, desidera che lessere si dia nella sua
esaustivit.
Anche la domanda chi guarda, in questa verit, a sua volta ontologica, in
quanto essa tende a scoprire il soggetto entro una congiuntura di cose, allinterno di una
relazione, ovverosia allinterno della totalit. Il soggetto del verbo questo chi si
configura come un elemento in rapporto agli altri elementi allinterno di un insieme ben
definito. Difatti, se noi chiediamo chi il signor tale, ci aspettiamo risposte di questo
tipo: E il presidente del consiglio, o E il dottor X, o E limprenditor tal dei tali e
cos via dicendo. Ci accorgiamo, da questi esempi, che in fondo ci che interessa non
precisamente lalterit dellaltro, ma solo la posizione che il chi occupa allinterno di un
contenente dai contorni ben definiti (esempio: la risposta limprenditor tal dei tali
significa che, tra la classe finita degli imprenditori, questo individuo ha un certo posto ed
occupa un certo ruolo), ovvero la localizzazione dellelemento allinterno della totalit.
La domanda chi? si appiattisce dunque sul che cosa?, e la risposta si riferisce ad un
sistema di relazioni; in altri termini, anche la domanda chi? si interroga sullessere, per
cui anchessa altro non se non lesposizione dello stesso.
Il filosofo spinge ancora pi in l la problematica della verit introducendo il
concetto di coscienza, intesa come accoglimento dellessere; un tale discorso permette di
parlare della coscienza come ci che accoglie lessere. Rispetto a questo, la verit
diventa lesposizione dellessere a se stesso, ossia lessere che si presenta nella sua
totalit alla sua coscienza.
Il concetto di totalit suggerisce che lessere in quanto essere altro non se non ci
che non lascia nulla fuori di s; , in altre parole, il Medesimo che ritrova il Medesimo.
Nel ritrovamento di se stesso da parte del Medesimo la verit si realizza come
appropriazione. In questa ottica la filosofia non altro che lo sforzo dellidentico di
coincidere con se stesso attraverso la negazione di qualsiasi alterit; a tal fine il suo
scopo quello di ridurre tutto ci che gli si oppone in quanto altro.
Una tale filosofia, negando la trascendenza, cio ci che al di l dellidentico,
una filosofia della potenza, che, in quanto tale, una filosofia dellingiustizia. In sintesi,
quella ricerca del fondamento di cui parlavamo prima si raggiunge attraverso la violenza
sullaltro.
In tal modo si realizza quellimpostazione espletata nel Timeo secondo la quale il
cerchio del Medesimo ingloba e comprende il cerchio dellAltro 14.
Levinas, nel saggio La philosophie et lide de lInfini, dice che la filosofia la
conquista dellessere da parte delluomo attraverso la storia 15. In base a quanto detto
precedentemente capiamo solo la prima parte della frase, ma non la seconda. Perch
Levinas dice attraverso la storia? Il motivo spiegato in Autrement qutre ou au-del
de lessence.
In questa opera il filosofo mette in evidenza a tal proposito che la manifestazione
dellessere a se stesso implica una separazione dessere, in quanto la manifestazione non
e non pu essere una folgorazione in cui la totalit dellessere si mostra alla totalit
dellessere, perch questo si mostra precisamente uno sfasamento al quale si pu
dare il nome di tempo16. Nello sfasamento il tutto si stacca dal tutto ecco la temporalit
del tempo, ovvero il farsi tale del tempo. Qui listante non coincide pi con se stesso e,
tuttavia, malgrado la scissione di s a s, si verifica a questo livello un recupero in cui
nulla perduto; recupero realizzato dalla sintesi dallappercezione trascendentale. In
questo modo il Medesimo si lancia in un movimento che poi ritorna a s e la verit
diventa il Medesimo che ritrova se stesso, quindi ritrovamento, richiamo, reminiscenza,
raccolta sotto lunificazione dellIo Penso.
Ci che viene realizzato in questo movimento non lallontanamento dal presente,
ma la rappresentazione, la quale afferma il primato del sincronismo della presenza. Il
soggetto, per suo tramite, implicato nel gioco della ritenzione e della protensione che
gli permette di ridurre il tutto alla istantaneit dellistante. Si deve perci ammettere che
se vero come vero che nellontologia c la dimensione temporale, altrettanto vero
14
attraverso la sua negazione. Il dominio del soggetto qui affermato con enfasi nella nota
formula hegeliana ci che razionale reale; e ci che reale razionale. Lidentit
tra pensiero ed essere, tra essere e dover essere, permette quella risoluzione del finito
nellinfinito che il punto centrale del filosofo della dialettica. Ci perch il finito, come
tale, non esiste, in quanto esso nientaltro che unespressione parziale dellinfinito, il
quale, a sua volta, la totalit delle cose finite. Ci significa che il finito, per porre se
stesso, obbligato ad opporsi a qualcosa daltro, cio ad entrare in una trama di relazioni
che forma la realt e che coincide con il tutto infinito di cui esso parte o
manifestazione. In altri termini: il finito, in quanto reale, non tale, ma lo stesso
infinito. In tal modo il reale un organismo unitario di cui tutto ci che esiste parte o
manifestazione, ed una struttura razionale che si dispiega attraverso la storia, tramite
la quale si realizza quella sintesi del molteplice che riduce ogni cosa allordine e alla
perfezione del tutto. Molteplicit, opposizione, conflitto, sono solo dei momenti di
passaggio, essenziali a che il Medesimo possa inglobare tutto ci che gli si oppone in
quanto altro. Alla fine del processo si arriva allo Spirito assoluto, dove la Ragione si
conosce nella sua infinit o assolutezza, ovvero si riconosce nel fatto che tutto spirito e
lo spirito al culmine del processo identificativo totalmente trasparente a se stesso.
Tale auto-sapersi dellassoluto non qualcosa di immediato, ma il risultato di un
processo dialettico in cui, direbbe Levinas, il Medesimo ritrova il Medesimo. La pretesa
dellassolutezza della Ragione apofantica una violenza esercitata sullaltro che nega
qualsiasi strada che porta alla trascendenza, ovverosia a quella dimensione che permette
la realizzazione dello scopo di Levinas: il rispetto dellaltro.
Ci che manca a questo soggetto assoluto la relazione, e precisamente la relazione
con laltro che una relazione sociale. Per Levinas, come vedremo in seguito, la
relazione con il trascendente proprio la relazione sociale.
Con Hegel, ma in fondo con tutta lontologia, perch questo filosofo non altro che
un momento di essa, tale relazione impossibile, dato che cade nel solipsismo, dove ad
esistere solo la monade; e la monade, diceva Leibniz, non ha porte e finestre 18: nulla le
viene dallesterno perch tutto deriva da essa.
18
In Totalit et Infini Levinas recita precisamente cos: Lessere in quanto essere, per
noi, monade19.
Tale affermazione portata avanti dal filosofo sulla base della convinzione che la
filosofia occidentale si fonda sullindissolubile legame tra lUno e lEssere. Lunit
eleatica stata sempre ci che ha dominato la filosofia occidentale cos come stata
finora.
Dallo schema ontologico hegeliano non si allontana di certo Nietzsche, il quale
riprende la macchina speculativa dello stesso, solo che sposta il discorso dal lato della
Ragione al lato della Volont.
Con il concetto di Volont di potenza, che imprime al divenire il carattere
dellessere e punto culminante della filosofia nietzschiana, il filosofo dello Zarathustra
non fa altro che riprendere lo spirito assoluto hegeliano: si tratta di vedere perch!
Lo smascheramento del prospettivismo fa diventare Platone rosso di vergogna, in
quanto dimostra che laddove si vedono cose ideali, esse non sono altro che cose umane,
ahi troppo umane. In altri termini, quel mondo dellal di l mondo vero, intelligibile
, rispetto al quale soltanto c il mondo dellal di qua mondo apparente, sensibile
che stato introdotto da Platone, si rivela una favola perch esso non altro che il
prodotto delluomo, il quale si garantisce cos contro lincertezza dellassenza di
fondamento che costitutiva del nostro esserci, per usare una terminologia
heideggeriana. Per dimenticanza, per, luomo non ricorda che questo mondo lo ha
prodotto egli stesso, e cos lo ritiene vero.
Lo scopo dello smascheramento proprio quello di rammentare a noi stessi che
abbiamo dimenticato questo fatto, cadendo cos nella decadenza della cultura; decadenza
derivante dal fatto che noi ci lasciamo guidare e quindi comandare da un qualcosa che
non esiste e che arbitrariamente abbiamo posto dietro al mondo. Il tutto a svantaggio
del sensibile e della vita, perch la vita il sensibile.
Di fronte a questa situazione, il filosofo ci invita a .. ridivenire buoni amici delle
cose prossime e non distogliere da esse lo sguardo sprezzante come s fatto finora,
mirando alle nuvole di l da esse e ai mali spiriti della notte20.
19
20
Visto ora che si prodotto lo smascheramento, il filosofo, che non solo uno
spirito negatore, ma anche uno che afferma, cerca di essere propositivo: da qui linvito
ad essere fedeli alla terra.
Con ci Nietzsche ritiene di aver superato la metafisica, e cio la filosofia
occidentale.
Ma in realt cos non , in quanto il prospettivismo, producendo lo
smascheramento, porta al nichilismo come stato normale, rispetto al quale la comunit
prospettica chiamata a far fronte; dopo la negazione dellHinterwelt noi non siamo
altro che un quantum di forza plastica che si erge dal nulla e contro il nulla.
Ora, precisamente qui che Nietzsche, nel tentativo di superare il nulla, arretra,
rifluendo in quel vecchio schema ontologico in cui ci che sta alla base il fondamento,
cos tanto criticato finora dal filosofo stesso (questi teorici del fine dellesistenza
vogliono far dimenticare a tutti i costi dessere, in fondo, impulso, istinto, assurdit,
assenza di fondamento, si legge in Die frhliche Wissenschaft21).
Larretramento causato dal fatto che, per il superamento delluomo metafisico,
necessario negare lideale, in modo tale da realizzare la santa affermazione: lavvento del
Superuomo, ovverosia colui il quale si pone come Volont di potenza.
La Volont di potenza non la volont di esistere, ma la volont della dominazione,
la volont di volere, direbbe Heidegger; il suo movimento non il passaggio dal non
essere allessere il volere lesistenza , ma il suo autotrascendimento, il suo continuo
incremento il volere la potenza: Certo singannava colui che proclam la volont di
esistere; una tale volont falsa dacch ci che non esiste non pu volere; ma quello
che gi nellesistenza, come potrebbe ancora volere esistere? Soltanto dov vita
anche volont; ma non gi volont di vivere, bens volont di dominare!22.
La volont, dunque, tende a crescere su se stessa, e in tale continua crescita tende a
porsi come incondizionata: anchessa coinvolta nel processo identificativo che
permette di trovare lunit nella diversit. Ma in tale movimento essa incontra lostacolo
del pesante macigno del cos fu; in altri termini, la volont, per potersi riconoscere
come causa sui, si rende conto che c almeno un attimo che non riesce a padroneggiare:
21
22
listante in cui accaduta, a partire dal quale tutto essa pu, a partire dal quale si svolge,
si incrementa. Il volente, qui, si scopre non volutosi, si sente infondato, ingiustificato.
La teoria delleterno ritorno ci che permette a Nietzsche di superare questo
limite; difatti, con essa quellimpossibilit della volont di volere a ritroso, che era il
suo rovello e la sua inquietudine, superata, in quanto essa si vuole a tal punto da
mettere le mani sulla propria genesi, divenendo cos incondizionata, causa sui, assoluta.
Heidegger spiega bene un tal movimento in Saggi e discorsi: visto che lunico mondo
il mondo dellal di qua, contraddistinto dal tempo, cio dal passare, la volont pu
diventare causa sui soltanto se questo passare permane.
Ma come fa il passare a permanere, si chiede il filosofo delloblio dellessere?
Ci possibile nella misura in cui il passare non solo sempre va, ma anche sempre
torna23.
Anche qui, come in Hegel, la circolarit ci che permette al Medesimo di
riconoscersi come tale esercitando una violenza sullaltro e negando lalterit la
trascendenza , ponendo un fondamento che tutto annette a s.
Il medesimo si trova implicato in un esercizio della potenza per il tramite della
totalit che non ha nulla di esterno.
Il Superuomo quel soggetto che chiude il circolo del medesimo attraverso un
movimento che si presenta come una spirale che annulla ci che esterno al proprio e
che prende il nome, in Totalit et Infini, di esteriorit.
Ci detto, opportuno precisare che, per quanto possa sembrare strano, la filosofia
di Nietzsche meno lontana da quella di Levinas di quanto si pensi.
Per il primo, come affermato prima, Dio morto, e ad ucciderlo sono stati gli
uomini; per quanto le motivazioni siano diverse, questo stesso discorso vale pure per il
filosofo francese. Da ci si potrebbe anche dire che quello del tedesco sia un
insegnamento valido e da tenere sempre presente per non cadere pi in questo errore che
permea di s lintera storia della filosofia occidentale. La morte del dio abitante dietro i
mondi ci che deve far riflettere per proporre un nuovo modo di pensare e di parlare;
un modo che consenta di dire la trascendenza, lalterit.
23
Non forse una forzatura, quella di Levinas, inserire il filosofo tedesco entro la
filosofia occidentale?
Innanzitutto occorre per dire che lopposizione al filosofo tedesco non totale, in
quanto c almeno un punto di contatto tra i due. Tale situazione sottolineata in
Autrement qutre ou au-del de lessence, quando si parla del kantismo come ci che
trova un senso allumano24.
Cosa pu voler dire questo?
E evidente che qui si sta facendo riferimento al Kant della ragion pratica, cio a
quel filosofo che si richiamava allimperativo della legge morale e lo considerava come
categorico, ossia valido indipendentemente dalle dimostrazioni a priori e a posteriori
dellesistenza di Dio fatte dalla metafisica, intendendo, con ci, di evitare di fondare
letica sullontologia.
Questo precisamente lo scopo dichiarato di Levinas, per il quale intendere un
Dio non contaminato dallessere una possibilit umana non meno importante e non
meno precaria di quella di trarre lessere dalloblio in cui sarebbe caduto nella
metafisica e nellontoteologia25.
Il fatto di non voler far derivare letica dallontologia dimostrato anche nel
discorso levinassiano circa lidea dellInfinito in Cartesio, della quale parleremo in
seguito.
Ritorniamo per il momento a Kant ed evidenziamo dove questi consente un
discorso che permetta di parlare ancora una volta della signoria del Medesimo.
Tale discorso si realizza nel Kant della ragion pura teoretica, allinterno della quale
il filosofo individua un potere unificante del soggetto che porta questultimo, in quanto
attivit, ad essere la condizione stessa dellesperienza, visto il principio che regge i
giudizi sintetici a priori: Le condizioni di possibilit dellesperienza sono ad un tempo
condizioni della possibilit degli oggetti dellesperienza, ed hanno perci valore
oggettivo in un giudizio sintetico a priori26.
24
28
29
trascendenza dellesserci rispetto allente; tale trascendenza si riflette nel fatto che,
fin dagli inizi della storia del pensiero occidentale, la filosofia si pone il problema
dellessere dellente, cio di che cosa sia ci che costituisce lente come tale; ma,
ponendosi questo problema, il pensiero tende immediatamente a risolverlo in
maniera errato, cio a pensare lessere solo come il carattere comune di tutti gli
enti, come una specie di concetto generalissimo e astrattissimo, ricavabile da ci che
tutti gli enti hanno in comune. E visto che gli enti vengono pensati come
semplici-presenze, anche lessere, in tutta la storia della filosofia, viene pensato
come semplice-presenza, cio sul modello dellente.
LOccidente sarebbe dunque la terra del tramonto dellessere.
A partire da Cartesio, poi, loblio dellessere si realizza a tutto vantaggio della
soggettivit, la quale diventa fondamento di tutto quello che , raggiungendo il
culmine con la filosofia nietzschiana, allinterno della quale si realizza un
rovesciamento platonico che segna il dominio incondizionato del soggetto, il quale
porta al compimento della metafisica. Il pensiero diventa solo escogitazione tecnica,
avanzando cos la pretesa di manipolare lessere e perdendo qualsiasi residuo della
differenza ontologica, che quella differenza che mantiene lessere distinto
dallente.
A questo punto comincia il terzo momento della filosofia heideggeriana
dopo lanalitica esistenziale e le riflessioni sulla storia della filosofia culminata e
riassunta nellopera su Nietzsche: quello in cui il filosofo propone una nuova
concezione dellessere.
In questa nuova concezione lessere viene considerato come ereignen
accadere, o anche, transitivamente, far accadere, istituire. Ereigner, accadere;
Eregnis, evento.
In altri termini lessere, nel momento in cui getta quel progetto che
luomo, accade esso stesso, in quanto in tale progetto istituisce unapertura in cui
luomo entra in rapporto con se stesso e con gli enti, li ordina in un mondo, li fa
essere, cio apparire alla presenza. Lessere come accadere non un qualcosa che si
limita a sostituire una concezione dellessere come stabile presenzialit con una
nuova concezione che intende lessere come movimento e divenire, ma qualcosa
daltro. Il filosofo approfondisce lanalisi riflettendo sul termine Ereignis, che gli
permette di chiarire il rapporto tra luomo e lessere come reciproca
appropriazione: luomo appropriato allessere, lessere dal canto suo
consegnato
alluomo30.
Levento
questo
rapporto
di
reciproca
appropriazione-espropriazione.
Cos, nel tempo della fine della metafisica lessere non si lascia pensare pi
come semplice presenza, ma appare come evento. Insomma, lessere pu venire
pensato solo come ci che si appropria delluomo consegnandosi a lui: non solo
luomo non mai senza lessere, ma anche lessere non mai senza luomo;
laccadere non un accidente o una propriet dellessere, ma lessere stesso: n
luomo n lessere possono essere pensati come degli in s che poi entrano in
rapporto.
A questo punto lessere non pu essere pensato pi metafisicamente come
presenza, ma deve essere inteso come illuminazione, la quale accade solo nelluomo
e per luomo, il quale non ne dispone, perch lilluminazione che dispone di lui.
Una tal filosofia sarebbe un pensiero che va oltre lente come tale, in direzione
dellalterit radicale, non accessibile secondo il vecchio schema della fondazione
razionale, come ad esempio in Hegel e in Nietzsche, ove il soggetto non incontra
altro che se stesso. Una tal filosofia lascerebbe essere altro laltro e realizzerebbe
cos il vecchio sogno della metafisica, in quanto il pensiero sempre pensiero
dellessere, nel senso che lessere che pensa e che il pensiero non pu pensare che
lessere. Pertanto esso appartiene allessere, non alluomo, e questi, pensando, non
pu far altro che lasciare che lessere sia.
In verit, questo discorso non condiviso affatto da Levinas, per il quale la
filosofia heideggeriana non ha fatto altro che riassumere ed esaltare quello che
sempre stato lo schema ontologico, nonostante la sua grandezza nel mantenere la
differenza ontologica e, di conseguenza, nel far risuonare la verbalit del verbo
essere: Con Heidegger nella parola essere s risvegliata la sua verbalit, ci che in
essa avvenimento, lavvenire dellessere31.
30
31
della
Geworfenheit.
Bisogna
tradurre
Geworfenheit
con
il
34
non il qualche cosa, ma il fatto che c (il y a). Lassenza di tutte le cose ritorna
come una presenza: come il luogo in cui tutto sprofondato, come una densit
datmosfera, come una pienezza del vuoto o come il mormorio del silenzio. Dopo
questa distruzione delle cose e degli esseri, c, impersonale, qualcosa che non
soggetto, n sostantivo. Il fatto che lesistere simpone, quando non c pi nulla. Ed
anonimo: non c nulla e nessuno che prenda questa esistenza su di s. E
impersonale come piove o fa caldo. Esistere che ritorna qualunque sia la
negazione con la quale lo si neghi. C come lirremissibilit dellesistere puro41.
Linterpretazione dellessere distinto dallente in termini di il y a porta alla considerazione che
la filosofia heideggeriana sia la filosofia del Neutro, il quale condiziona il rapporto degli enti perch solo a partire da esso che questi
possono autoschiudersi. E questo il motivo per cui Levinas potr dire che una tale filosofia, subordinando la relazione etica tra
medesimo e Altro alla relazione ontologica tra essere ed ente una filosofia del dominio sullAltro in cui laltro viene dissolto
dallimpersonale presenza dellessere, la quale, bench non abbia sostantivi, e quindi cose e persone, continua ad accadere pur senza pi
soggetti che accadono. Questa presenza dellassenza, questa realt dellirrealt che tutto annulla ma che non annulla se stessa, pu
anche essere definita mormorio del silenzio, o densit del vuoto, senza negare ci che essa veramente: accadere senza soggetti,
indistinto scorrere.
E questo il motivo per cui Levinas sceglie il termine di il y a, il pronome di terza persona. Tale pronome, si badi bene, nella
forma impersonale del verbo essere, non vuol significare il soggetto ignoto di unazione di essere Lindeterminazione di questo
qualcosa accade non quella del soggetto, non si riferisce ad un sostantivo. E come se designasse il pronome di terza persona nella
forma impersonale del verbo, non un autore dellazione che non si conosce bene, ma il carattere di questa azione stessa che, in qualche
modo, non ha un autore, anonima
42
, bens il carattere anonimo dellevento stesso dellessere, che fermenta al fondo stesso del nulla.
Una tale descrizione dellil y a, ossia dellesistere senza esistenti, non per
descritta dal filosofo solo a livello formale, ma detta anche a livello di situazioni
concrete, come ad esempio nel sentimento dellorrore lo sfioramento dellil y a
lorrore che spoglia la coscienza della sua stessa soggettivit, facendola
precipitare in una partecipazione impersonale e senza vie duscita con lessere nella
sua anonimicit; orrore, dunque, come sentimento della spersonalizzazione:
Lorrore sconvolge la soggettivit del soggetto, la sua particolarit di essente. Esso
la partecipazione allil y a43. Lil y a un incatenamento allessere al di fuori
della contraddizione dellessere e del non essere, perch questo essere in generale
ingloba tutto, anche tale contraddizione. In altri termini, la negazione dellessere
non conduce al nulla assoluto, bens allanonimo il y a, che subito riempie il vuoto
lasciato dalla pura e semplice negazione dellessere. Lil y a il difetto di forma per
41
eccellenza, ci che non distinto, non ha tempo, non ha spazio, non ha causalit:
lo si potrebbe definire, per usare una espressione a noi pi familiare, il caos.
Levinas lo definisce come quel Neutro che illumina e comanda il pensiero e che
rende possibile la comprensione.
Fondamentale in questo contesto risulta essere il discorso levinassiano
sullilluminazione, la quale la vera responsabile della negazione della
trascendenza e del trionfo della superbia dellimmanenza.
In Totalit et Infini si effettua una rigorosa critica alla luminosit: Loggetto
che svelato e scoperto, che appare, il fenomeno, loggetto visibile o toccato
Loggettivit, sempre identica a se stessa, si situerebbe nelle prospettive della vista o
dei movimenti della mano che tocca E incontestabile che loggettivazione si
esplica in modo privilegiato nello sguardo44.
Emerge da questa citazione che la vista viene considerata come lorgano della
potenza, per mezzo del quale il soggetto riesce a realizzare loggettivazione di ogni
cosa, esercitando cos un potere su ci che ancora non si offre al potere in quanto
ancora non si presentato allo sguardo. In questo caso il guardare significherebbe
definire il qualche cosa, rendendolo cos sicuro. Ancora nellopera citata il filosofo
continua la sua messa in questione del primato della luce: La vista presuppone,
come ha detto Platone, oltre agli occhi e alla cosa, la luce. Gli occhi non vedono la
luce ma loggetto nella luce. La vista quindi un rapporto con qualcosa che si
instaura allinterno di un rapporto con ci che non qualcosa. Siamo nella luce
nella misura in cui incontriamo la cosa nel nulla. La luce fa apparire la cosa
cacciando le tenebre, essa vuota lo spazio. Fa emergere appunto lo spazio come
vuoto45.
Nella Repubblica Platone dice che lorgano che ci fa vedere le cose visibili la
vista, ma che essa ha come condizione, per poter vedere, la luce 46. Questo discorso
ha ununica conseguenza: quando lanima si rivolge a ci che illuminato coglie e
conosce lessere, la verit. Tale, per Levinas, sarebbe lo schema che sta alla base
della filosofia occidentale.
44
per
poi
ritornare
lautenticit
della
vita,
e che
il rischio dellannientamento
dellassoggettamento.
Lontologia heideggeriana, che si attiene allobbedienza del Neutro,
allanonimo, porta fatalmente al dominio imperialista, alla tirannia, corrisponde
al radicamento nel suolo.
E questa la ragione che induce Levinas a cercare unevasione dallessere, da
quellessere heideggeriano inteso proprio come uno svolgimento impersonale che
preme con tutte le sue forze sullesserci. N nulla, n esserci, lil y a un qualcosa di
estremamente urtante ed estraneo. Il male, pertanto, non si identifica pi come una
mancanza dessere o come lo spaesamento che si prova quando si di fronte al
nulla, ma ci che ci pervade quando ci sentiamo invasi dalloppressione e quando
siamo schiacciati dal peso dessere, inchiodati, in altri termini, allesistenza pura e
semplice.
In tal modo si effettua lestinzione del soggetto, il quale perde la sua singolarit
nella vita impersonale di questo essere insopprimibile a tal punto da vincere
qualsiasi negativit e da colmare qualsiasi vuoto con lindistinto sordo e anonimo
rumorio dellil y a.
Bisogna trovare unuscita da tale orrore, e questo pu accadere solo se non si pone, e nemmeno si impone, il soggetto, ma lo
si depone, ovvero se si espropria lio dalla sua sovranit.
4. SOGGETTO ED ESSERE
Nei paragrafi precedenti abbiamo definito la verit come esposizione dellessere a
se stesso, ed abbiamo parlato della coscienza come accoglimento dellessenza
dellessere. Lessere in verit sarebbe allora lessere che si manifestato nella sua
coscienza.
Posto in questi termini, il rapporto tra essere e coscienza, cio il rapporto
essere-soggetto, risulta essere ambiguo. E infatti: nella temporalizzazione del tempo
ontologico a chi spetta il primato? Allessere o al soggetto?
Questo paragrafo costituir proprio il tentativo di rispondere a tali domande.
Prima di cominciare, per, opportuno chiarire la nozione di soggetto. Il suo
specifico lidentificazione del molteplice realizzato nellistantaneit dellistante, per cui
esso non una semplice identit, ma un identificare. Di conseguenza, lio rimane lo
stesso nei cambiamenti. Difatti, lattivit dellidentificazione permette al soggetto di
alterarsi rimanendo lo stesso attraverso il gioco delle annessioni: Lesistenza di un Io si
svolge come identificazione del diverso. In tutto ci che gli accade, in tutti gli anni che
passano, lIo rimane lo Stesso! LIo, il Se stesso, lipseit, come si dice attualmente, non
rimane immutabile al cambiamento come una roccia invasa dalle onde. La roccia invasa
dalle onde unicamente immutabile. LIo, al contrario, rimane lo Stesso trasformando
gli innumerevoli e disparati eventi in una storia, nella sua storia. E questo levento
originario dellidentificazione dello Stesso, anteriore allidentit della roccia e
condizione di tale identit50. Il soggetto, che non unidentit gi data, ma un
identificare, fa degli eventi disparati e diversi una storia, la sua storia. Lidentificazione
del diverso consente allIo nonostante tutti gli anni che lo invecchiano e tutti gli eventi
che lo coinvolgono di restare lo Stesso. Il Se-stesso non uno stato immutabile, ma un
S che tale solo nel corso del tempo, entro il quale si pone come ipseit che unifica ci
che altro da s.
Detto questo, possiamo ora analizzare il problema che ci siamo posti
precedentemente.
In Autrement qutre ou au-del de lessence il filosofo afferma che lo sfasamento
dellistante rispetto a se stesso la temporalit del tempo provoca una diacronia che
per subito viene ridotta alla sincronia del presente: il tempo dellontologia, sottolinea
ancora Levinas, il tempo del recuperabile, dove, tramite la rappresentazione, tutti gli
elementi vengono resi di nuovo presenti51.
50
51
lunificazione
del
molteplice
compiuto
nellunit
dellappercezione
trascendentale.
Di questo modo lidentit diventa affermazione del primato dessere.
52
Ivi, pag. 34
55
Cfr. E. Levinas A. Peperzak, Etica come filosofia prima, cit. pp. 31-32
orgine, in quanto, non avendo nulla fuori di s, riesce a controllare anche lattimo in cui
accade il fenomeno.
Il fatto di identificarsi per il tramite di identificazioni del molteplice realizza la
verit platonica: dialogo dellanima con se stessa.
Quando Nietzsche si appellava alluomo a che ci si liberasse dallo spirito di
vendetta egli non faceva altro che desiderare il trionfo della libert; infatti, per affermare
il Superuomo gli era essenziale negare la trascendenza: questo stato il motivo di
fondo che ha indotto il filosofo dello smascheramento a mettere in questione quel mondo
dellal di l che era sempre stato il sogno del pensiero occidentale fin dalla sua nascita
e cio da Platone in poi. Quel Sono stato capito? Dioniso contro il Crocifisso
di Ecce homo non era altro che una volont poderosa quella nietzschiana che
violentava la trascendenza e se stessa per far s che si potesse realizzare un Medesimo
libero, ovvero un soggetto che non riconoscesse Altri.
Ridurre laltro al concetto, per Levinas, significa non cogliere lalterit di altri, non
avere rispetto dellaltro. E, quindi, non andare verso quellAssolutamente Altro che il
filosofo trover in Dio. Questo Dio, per, come vedremo nella seconda sezione, non sar
il sommo ente dellontoteologia, e nemmeno lessere nella sua differenza con lente, ma
sar la vera e propria trascendenza, leccedenza rispetto allessere tutto il Bene.
E questo lo scacco dellappercezione trascendentale e, ma le cose non sono
diverse, come abbiamo visto, la messa tra parentesi della mia libert.
La critica a una tale concezione della libert pu essere riassunta in queste poche
parole: Si ragiona in nome della libert dellio, come se io avessi assistito alla creazione
del mondo e come se potessi essere responsabile solo in un mondo uscito dal mio libero
arbitrio. Presunzioni di filosofi. O rinuncia di irresponsabili.
Gi qui capiamo che c un qualche cosa che precede la libert, e che quindi non la
fa diventare assoluta.
E solo in questo modo, cio sostenendo unorigine che poi vedremo non sar
lorigine propriamente detta non controllabile, che si pu evitare la violenza di un
soggetto che vuole diventare a tutti i costi lAtlante che porta sulle sue spalle tutto il peso
del mondo perch esso gli appartiene.
6. RAPPRESENTAZIONE E PRESENZA
Seguendo tale schema, si pu capire appieno il rapporto intimo tra sapere e potere,
che spinger il filosofo francese alla convinzione che il sapere , nella sua intima
essenza, potere.
Nel saggio Etique comme philosophie premire egli afferma che secondo la nostra
tradizione filosofica la correlazione tra conoscenza in quanto contemplazione
disinteressata ed essere il luogo dellintelligibile, il darsi stesso del senso. La
comprensione dellessere la semantica di questo verbo sarebbe cos la possibilit
stessa della saggezza e dei saggi e, a questo titolo, filosofia prima58.
La filosofia prima, dunque, essendo correlazione tra conoscenza ed essere, una
filosofia della libert, in quanto il conosciuto viene compreso dal sapere e quindi non
rispettato nella sua alterit. Laltro del pensiero diventa, in questo modo, propriet del
pensiero-sapere.
Ci si basa su un unico e decisivo presupposto: il tempo dellessere il presente,
rispetto al quale passato e futuro non sono altro che rappresentazioni, ovvero,
ri-presentazioni. Ridurre alla presenza tramite la rappresentazione, tramite il sapere,
unattivit che fa propria e comprende lalterit del conosciuto.
Si tratta di un afferrare! La conoscenza come concetto, come percezione, come
comprensione, rimanda dallalterit allistantaneit dellistante: c un rapporto molto
intimo tra presente e potere.
Di questa cosa era ben consapevole Nietzsche, se vero come vero che la sua
teoria delleterno ritorno dellidentico non era altro che unaffermazione dellattimo
rispetto al prima e rispetto al poi. Il passato solo il rovello della volont, la quale non
pu porsi totalmente identica a s perch ha un non controllo sulla sua origine. Il futuro
(inteso come il luogo verso il quale tende luomo), invece, solo lespressione di cose
umane, ahi troppo umane, che hanno portato lessere vivente a commettere un
mostruoso errore.
Per il filosofo tedesco leterno ritorno non solo laffermazione del tempo
circolare, ma anche qualcosaltro. La circolarit del tempo solo un presupposto
58
essenziale a che la volont possa mettere le mani sulla sua genesi, ma non sufficiente.
Ci dimostrato da Zarathustra, il quale, dopo aver ascoltato il nano che stava sulle sue
spalle Tutte le cose diritte mentono. Ogni verit ricurva cos tuona: Tu, spirito di
gravit! non prendere le cose troppo alla leggera. Guarda questo attimo 59. E
ancora: O Zarathustra dissero le sue bestie le cose stesse tutte danzano per coloro
che pensano come noi: esse vengono e si porgono la mano e ridono e fuggono e
tornano indietro. Tutto va, tutto torna indietro tutto si ripresenta; eternamente gira la
ruota dellessere. Tutto muore, tutto torna a fiorire, eternamente corre lanno
dellessere. O voi, maliziosi voi ne avete gi ricavato una canzone da organetto?
Il pastore morse bene. Non pi pastore, non pi un uomo, un trasformato, un
circonfuso di luce, che rideva! Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise 60,
rispose Zarathustra.
E cos dimostrata la correlazione tra circolarit e attimo della decisione nella teoria
delleterno ritorno delluguale, il cui contenuto, a questo punto, risulta abbastanza
semplice: nellattimo della decisione che la volont si estende su tutto il suo prima e su
tutto il suo poi facendosi identica con il tempo diventando completamente coincidente
con se stessa. Nellattimo della decisione accade allora lessere che chiama lintera storia
del mondo la sua storia. In altri termini: nellattimo della decisione che il tutto, ovvero
il prima e il poi, si ri-presenta, si fa nuovamente presente, cade nella presenza (del
presente).
E questo il motivo per il quale Levinas dir che il pensiero come sapere
pensiero delluguale e delladeguato, pensiero di ci che arreca soddisfazione. La
razionalit degli esseri dipende dalla loro presenza e dalla loro adeguazione al
pensiero Il sapere ri-presentazione, ritorno alla presenza: in esso nulla potr mai
rimanere altro61.
In questo modo potere e sapere si trovano in un rapporto di identit, per cui se dico
sapere di potere dico precisamente una tautologia, ovvero non faccio altro che ripetere
nel predicato ci che gi contenuto nel soggetto: Kant definirebbe una tal cosa
59
Cfr. F. Nietzsche, Cos parl Zarathustra, cit, pp. 129-134 corsivo mio
Ivi, pp. 180-185
61
Cfr. E. Levinas A. Peperzak, Etica come filosofia prima, cit. pag. 48
60
62
una sostanza egoistica incentrata sul conatus essendi che sempre pronto a fare la
guerra contro ci che limita il suo desiderio di libert.
Ma ritorniamo ancora alla rappresentazione, per chiarire la quale necessario fare
un riferimento ad Husserl.
Per il filosofo francese Edmund Husserl stato un grande pensatore in quanto ha
proposto una nuova ontologia, ove per ontologia egli intende il senso heideggeriano di
questo termine, ossia come studio del senso dellessere, gi sempre anticipato quando si
affronta lo studio degli enti allinterno delle ontologie regionali. Questa novit da
ricercarsi nel fatto che per il filosofo della fenomenologia non che gli oggetti esterni si
caratterizzino nel loro esistere perch si oppongono alla coscienza, ma per il loro vario
modo di apparire alla coscienza.
Fondamentale, per questo discorso, il concetto di intenzionalit, la quale non un
attributo di una sostanza gi esistente di per s la coscienza , ma costituisce la
soggettivit stessa del soggetto, la cui essenza consiste nel trascendersi.
Lerrore di Husserl, che non gli permette di uscire dallontologia, stato il concetto
dellintuizione visione o intuizione eidetica che si riferisce alla piena coincidenza tra
linteso e il dato e che si realizza quando lintenzione trova perfetto compimento o
riempimento. Ci permette di dire che anche Husserl cade nel primato della luce, in
quanto la verit si trova nellintuizione o nella visione.
Questo perch egli pone lintuizione come il fenomeno originario che rende
possibile la verit.
Cos, ed ecco la nuova ontologia, si pone fine al naturalismo che concepiva
lessere come materiale e si basava sulla conoscenza fisica e allidealismo che
tematizza la vita cosciente come processualit sempre presente ai suoi atti, laddove
invece essa ora considerata come svolgimento sempre alle prese con lessere
trascendente.
La nozione di intuizione permette ad Husserl di affermare il primato della coscienza
per mezzo del quale anche loggetto, nella sua oggettivit, non altro che un momento
del conferimento di senso della coscienza stessa; esso sarebbe dunque un effetto del
conferimento di senso del pensiero, il quale giunge al principio dellevidenza, cio alla
in
questo
discorso
che
si
spiega
il
primato
della
coscienza
Ivi, pag. 45
Ivi, pag. 185
7. ESSERE E FENOMENO
Nelle pagine precedenti, seguendo Levinas, abbiamo interpretato la filosofia
occidentale come filosofia della potenza, la quale non supera limmanenza del presente
71
72
73
74
dellessere, nella cui radura luminosa dice Peperzak i fenomeni possono apparire e
ricevere la loro verit75.
Lontologizzazione del fenomeno ci che permette al Medesimo di ritrovarsi
nellaltro: ritrovamento compiuto dallunit dellappercezione trascendentale, che la
forma ultima dello spirito come sapere e che coincide con ci che costituisce, facendo
del pensiero un dialogo dellanima con se stessa, come ci aveva insegnato gi Platone.
Una tale filosofia conduce al detto hegeliano ci che reale razionale; ci che
razionale reale dove il vero ci che presente, ci che rappresentato. Gli effetti si
possono vedere empiricamente: siamo in un mondo dove a dominare limmagine,
irretiti nella retorica ingannatrice, nella propaganda e nella pubblicit, il cui scopo
quello di far credere che il senso sia lostensione, ovvero ci che appare, ci che si
mostra con vanto.
Sostenere una tale teoria significa ammettere che lontologia verit dellessere,
uno scoprire, uno svelare, un far vedere.
Pertanto, il senso non pu essere separato, come dicevamo prima, dallapparire:
esso si deve basare esclusivamente sul rappresentato e sul rappresentabile, reso possibile
dallaccoglimento della manifestazione stessa nella coscienza.
Nel momento in cui il fenomenalizzarsi dellessere viene accolto in una coscienza il
tutto viene ri-presentato, consentendo allo spirito come sapere di chiamare anticipazione
il futuro e memoria il passato. In questo modo tutto viene trattenuto nel sistema dal
Medesimo, il quale ha ormai raggiunto il punto finale dellidentificazione raccogliendo il
molteplice e appropriandosene. Lessere, a questo punto, divenuto il fenomeno
universale, o meglio, corrisponde alluniversale fenomenalizzarsi dellil y a che,
inizialmente indistinto scorrere, cade nella forme fenomeniche del tempo, dello spazio e
della causalit, trasfigurandosi in un qualcosa di distinto e di ben definito.
E il sapere che ri-presentando rende possibile un tale movimento, che non altro
che il ritrovamento e la costituzione degli enti. Il passato, rispetto a questo presente,
non altro che un presente che fu, e quindi viene recuperato nella memoria: esso si
ri-presenta.
75
Cfr. A. Peperzak, Introduzione a Altrimenti che essere, in E. Levinas A. Peperzak, Etica come filosofia prima,
cit. pag. 117
lesserci
come
evento
dessere,
recita
precisamente
cos:
Ma
reale. Solo nella predicazione pu intendersi lessenza del rosso, o il rosseggiare come
essenza. Solo nella predicazione laggettivo nominalizzato si intende come essenza e
temporalizzazione propriamente detta77.
Il contenuto di queste frasi abbastanza chiaro: lA A non raddoppia il reale, ma
espone la risonanza silenziosa dellessenza. Il che vuol dire che nella tematizzazione gli
enti significano, seppur ambiguamente, lessere. Anzi, che lessere non pu che
significare negli enti e quindi ambiguamente: solo nella tematizzazione che lessere
acquista significato, ma il prezzo che paga per la significazione lidentificazione con
lente. Viceversa, gli enti non espongono solo se stessi nella tematizzazione, ma fanno
risuonare la verbalit del verbo essere, che la loro essenza.
Quindi, nonostante lo sforzo heideggeriano di mantenere lessere distinto dallente,
lessere si identifica con lente. Certo, la differenza tra essere ed ente sicuramente c,
ma senza il concetto il verbo solo quellil y a anonimo che ha come caratteristica
essenziale il vuoto, e quindi la mancanza di significato: lostensione la fenomenalit
dellessere che permette a tale verbo di avere un senso.
LA A solo il momentaneo scindersi del Medesimo rispetto a se stesso che
Levinas chiama temporalizzazione del tempo, o anche sfasamento del Medesimo
rispetto a se stesso. E, in altre parole, la diacronia che per poi viene recuperata nel
momento in cui il fenomeno raggiunge il suo compimento nellaccoglienza del soggetto.
Il verbo essere campo della diacronia sincronizzabile, della temporalizzazione,
cio campo della memoria e della storiografia si fa quasi struttura e si tematizza e si
mostra come un ente. La fenomenalit lessenza diviene fenomeno si sincronizza,
si presenta78.
Lo sfasamento una necessit per il Medesimo, perch solo grazie ad esso che il
Medesimo stesso pu riconoscersi come tale. Infatti, la diacronia si tramuta in sincronia,
trasformando ci che inizialmente altro da s nel proprio dellintimit della casa,
allinterno della quale, io economo, posso occuparmi e preoccuparmi di ci che mio.
Ma occuparmi di ci che mio significa esercitare un potere di propriet su
qualcosa che pur non essendo mio deve diventare e diventa tale.
77
78
E precisamente questo quello che Levinas intende per filosofia della potenza, la
quale, avendo dominato lintera tradizione filosofica dellOccidente e subordinando
quindi sempre ad un dialogo con laltro il solipsismo della monade chiamata Medesimo,
diventa una filosofia dellingiustizia che perde la relazione con laltro.
La filosofia, in questo senso, nasce come problema dellaltro, ovvero come
problema circa ci che altro da me, ma perde subito tale questione privilegiando il
dialogo dellanima con se stessa essa: essa incapace di dire la trascendenza. In altri
termini, la filosofia della presenza, avendo come base la forza plastica del Medesimo che
a tutto si adegua perch tutto assorbe, si caratterizza per una grave assenza: non riesce ad
uscire dallimmanenza.
Chiudiamo a questo punto tale capitolo ricordando la citazione con la quale
abbiamo aperto lesposizione su Levinas: la storia della filosofia occidentale stata
una distruzione della trascendenza79.
Capitolo Secondo
CONDIZIONE ONTOLOGICA DELLUOMO
1. GNOSEOLOGIA E ONTOLOGIA
Nel primo capitolo, seguendo Levinas, abbiamo interpretato la filosofia occidentale
come filosofia che afferma il primato della totalit, non consentendo cos di dire la
79
trascendenza e la soggettivit perch tutto fa rientrare nel sistema; in questo modo tutto
nellimmanenza perch ogni cosa non altro che parte del tutto. Rispetto a questo, il
soggetto cade in uningenuit profonda, poich, ritrovandosi alla fine della
manifestazione, crede di aver annesso tutto a s e di avere, conseguentemente, ridotto
qualsiasi trascendenza ad elemento (costitutivo) della sua immanenza. In questo somiglia
al lattante di cui parla la psicanalisi, per la quale linfante crede di essere onnipotente non
distinguendo tra ci che interno e ci che esterno.
Si tratta, chiaramente, di una pretesa illusoria, e questo vale tanto per il lattante
quanto per il soggetto della tradizione filosofica.
Ci detto, da rilevare che a quanto esplicitato si potrebbe muovere unobiezione;
si potrebbe dire, cio, che pur accettando quanto esposto in precedenza, ovvero il fatto
che il pensiero finora stato, in Occidente, un pensiero onniglobante, si lascia comunque
scoperta la dimensione del modo dessere concreto delluomo.
In altri termini, si potrebbe affermare che nel capitolo precedente si messo in
rilievo il fatto gnoseologico, dimenticando lontologia del vivente uomo; sotto questa
sfera si potrebbe avere anche un altro registro teorico, in quanto non detto che
allidentit logica debba coincidere necessariamente anche lidentit ontologica.
E proprio per rispondere a questa eventuale critica che nasce il presente capitolo, il
quale sar proprio un tentativo di delucidazione in questo senso.
Cominciamo con il ricordare che alla base dellontologia c lEssere, denominato
dal filosofo francese con il termine di il y a, il quale indica nientaltro che un indistinto
scorrere, ossia un anonimo fluire, senza sostantivi. E ovvio che a questo livello non c,
e non pu esserci, il soggetto, per cui lessere anonimo si configura come dissipazione
dello Stesso, come essere in generale: indicheremo questa consumazione
impersonale, anonima, ma inestinguibile dellessere, che mormora al fondo del nulla
stesso, con il termine di il y a. Nel suo rifiuto di assumere una forma personale, lil y a
lessere in generale80.
Emerge, da quanto detto, che il soggetto non pu essere tale se non si produce
distanziandosi da quel Neutro che non gli consente il principium individuationis.
80
Ivi, pag. 70
Ivi, pag. 75
83
Ivi
82
godimento
in
gioco
lindividuazione,
lauto-personificazione,
la
87
Il presente unignoranza della storia. In esso linfinito del tempo e delleternit viene
interrotto e ricomincia. Il presente quindi una situazione nellessere in cui non c solo
un essere in generale, ma in cui c un essere, un soggetto il presente arresto non
perch viene arrestato, ma perch irrompe e riannoda la durata a cui perviene a partire da
s il presente il compiersi di un soggetto, la possibilit di dare un nome
allistante91.
Non si deve pensare, per, che questa interpretazione dellipostasi come presente
implichi la negazione del passato e del futuro, perch essi si vengono a configurare come
presenti modificati che hanno il loro punto di riferimento nellistante e prendono il nome
di memoria (passato) e immaginazione (futuro).
Dunque, ci si separa dallanonimato dellessere attraverso il godimento, il quale,
essendo trasformazione dellaltro in medesimo, istituisce una propriet privata che
induce a dire che la prima parola non io, ma mio, rispetto al quale lio solo un
effetto.
In tal modo viene fuori un essere separato che si stacca dalleterno fluire del tempo
assumendo il proprio essere e ponendosi su un terreno solido che costituisce quella
quiete verso cui sempre andata alla ricerca la filosofia tradizionale.
Lessere a casa propria un essere che fa dellesterno linterno ponendosi, in questo
modo, come autarchico, autonomo. In questo senso, ovvero a livello di godimento come
venire ad essere dellipostasi, lio non determinato altrimenti che da se stesso
raggiungendo il traguardo del detto posto sul frontone del tempio di Apollo a Delfi:
Conosci te stesso.
La riflessione su di s, per, solo un momento successivo, poich essa non
potrebbe esserci in un soggetto che non si allontanato dal c per mezzo del bisogno; il
godimento, come vedremo pi avanti, non la rappresentazione, in quanto questultima
solo un qualcosa che si produce a partire dal primo.
3. IL VIVERE DI
91
Cfr. E. Levinas, Dall esistenza all esistente, cit., corsivo mio, pp. 66-67
La chiave di volta che permette al filosofo di arrivare alla tematica del godimento
il la nozione del vivere di, grazie alla quale si rende possibile la riflessione fatta nel
secondo paragrafo.
Se per un momento distogliamo lo sguardo da quanto stiamo dicendo e volgiamo
lattenzione al nostro concreto esistere, facile notare che siamo circondati di aria,
lavoro, idee, sonno, sogni, luce ecc Tutte queste cose citate impegnano e preoccupano
la nostra vita, tant vero che se noi provassimo a negarle verrebbe meno la vita stessa
(ci potrebbe essere ancora vita senza luce, acqua e aria?).
Ora, la tesi levinassiana, espletata in Totalit et Infini, consiste nellasserire che
queste cose non sono oggetti di rappresentazione, dato che noi ne viviamo: Noi
viviamo di grana, daria, di luce, di spettacoli, di lavoro, di idee, di sonno, ecc Non si
tratta di oggetti di rappresentazione. Ne viviamo. Ci di cui io vivo non neppure
mezzo di vita, come la penna mezzo rispetto alla lettera che permette di scrivere; n
uno scopo della vita, come la comunicazione scopo della lettera. Le cose di cui
viviamo non sono dei mezzi e neppure degli utilizzabili, nel senso heideggeriano del
termine. La loro esistenza non esaurita dallo schematismo utilitaristico che le mette in
luce, come lesistenza dei martelli, degli aghi o delle macchine. Esse sono sempre, in una
certa misura, e anche i martelli, gli aghi e le macchine lo sono oggetti di godimento,
che si offrono al gusto, gi ornate, abbellite. Inoltre, mentre il ricorso allo strumento
presuppone la finalit e sottolinea quindi una dipendenza nei confronti dellaltro, vivere
di mette in luce proprio lindipendenza del godimento e della sua felicit che il tratto
originale di ogni indipendenza92.
Siamo lontani, come si pu ben vedere, dalla concezione heideggeriana delle cose
come utensili, poich allin vista di viene sostituito il vivere di, caratterizzato
dallassenza di finalit.
Questa mancanza di scopi delle cose di cui il soggetto vive si trasforma in felicit,
ovvero nella gioia di dormire, di lavorare, di guardare ecc.
Levinas utilizza anche un altro termine per descrivere questa situazione:
nutrimento, definito come la trasmutazione dellaltro nel medesimo, che
nellessenza del godimento93.
92
93
94
In altre parole, a livello ontologico il discorso levinassiano non muta, mentre tale
spostamento avr delle conseguenze enormi sul paino etico. La cosa non deve stupire,
perch diversa lottica del filosofo nelle due opere. Infatti, mentre nella prima il
problema che reggeva lanalisi era il sorgere dellesistente sullo sfondo neutro e
impersonale dellil y a, nella seconda lanalisi retta dallintento di mostrare che
lesperienza eccezionale del rapporto con lassolutamente Altro implica un esistere in s
come separato dallaltro.
Ritorniamo, per il momento, al soggetto che si individua a partire da s per mezzo
del godimento.
Sostenere che lio una siffatta identit vuol dire sostenere che esso, nel suo
movimento di identificazione di s come vivere di, afferma una interiorit talmente
forte che capace di svilire qualsiasi estraneit che pur un qualcosa che si trova nella
sfera della verbalit del verbo essere (si deve per fare una urgente precisazione: stiamo
parlando sempre della sfera ontologica, non di quella etica, la quale ultima cosa
totalmente altra rispetto alla prima).
Il godimento, essendo vita di, non fa altro che godere dei contenuti di cui esso
vive. Ora, se prestiamo bene attenzione a quanto detto, ci accorgiamo che sembra esserci
una contraddizione nella riflessione che abbiamo fatto, perch da un lato abbiamo
sottolineato che nel bisogno troviamo un io monadico e quindi solo, dallaltro abbiamo
detto che si vive dei contenuti dai quali dipende la vita.
La presunta contraddizione si esplica nel fatto che se da un lato si manifesta
lindipendenza del godimento da qualsiasi cosa, dallaltro lato entra in gioco una
dipendenza che annulla qualsiasi tipo di indipendenza.
Come stanno effettivamente le cose?
4. DIPENDENZA E INDIPENDENZA
Se dovessimo dar conto alla logica formale, basata sul principio di non
contraddizione, per il quale non possibile che una cosa inerisca e non inerisca ad
unaltra sotto il medesimo aspetto e sotto il medesimo tempo, la contraddizione dovrebbe
101
Resta il fatto, per, che questi elementi non sono stati da me creati, ma solo assunti,
ridotti; essi, perci, bench divengano miei, sono inizialmente esterni. Pertanto, entra in
gioco una dimensione di dipendenza che non si pu n negare n disconoscere.
E perch io ho bisogno di questi contenuti per vivere che c dipendenza, ma
siccome il bisogno non mancanza, bens distanza, esso si trasmuta in godimento, il
quale mi permette di assimilare laltro costituendomi come io, che sono un ente che si
staccato dal tutto.
I bisogni sono in mio potere, mi costituiscono in quanto sostantivo e non in quanto
verbo o alterit. Sicuramente resto dipendente dei contenuti vitali, ma il bisogno,
mettendomi a distanza, genera una sospensione o un aggiornamento della dipendenza
perch mi offre la possibilit di interrompere proprio al nascere lalterit dalla quale
dipendo.
Il soggetto diventa un essere che s bisognoso, ma libero, poich il bisogno,
essendo il primo movimento del Medesimo, non unignoranza dellaltro, ma il suo
sfruttamento. Mettendomi a distanza, esso mi d la possibilit di assimilare laltro
attraverso il lavoro e leconomia.
Siamo di fronte ad una situazione di indipendenza attraverso la dipendenza!
In breve: il bisogno indubbiamente dipendenza nei confronti dellaltro anche se in
esso io assimilo laltro in me; in qualche modo, quindi, ne dipendo, ne ho bisogno. Ma
siccome esso non semplice dipendenza, mancanza, come in Platone, esso mi
caratterizza come un ente che si gi staccato dal tutto, che si posto a distanza da ci di
cui ha bisogno dandomi la possibilit di intervenire su di esso col lavoro, avendo cos del
tempo per il soddisfacimento dei miei bisogni.
Il godere dellelementale quindi una rapporto tra i segni opposti della dipendenza
e della indipendenza che sono costitutivi del mio essere indipendente nella dipendenza.
Certo, lio felicit, presenza a casa propria, ma esso rimane nel non-io: la
sufficienza, qui, nellinsufficienza, perch il godimento sempre godimento di unaltra
cosa, mai di s. In questa situazione esso autoctono, cio radicato in ci che non e, in
questo radicamento, indipendente e separato. Attraverso il non bastare a se stesso dei
bisogni, il godimento basta a se stesso, per cui lio si costituisce a casa sua contro il
non-io dellorrore dellelementale da cui pur sempre proviene.
104
Mediante
tale
sintesi
ogni
vita
spirituale
partecipa
alla
costituisce
donando
senso.
Tale
rappresentazione
alla
base
dellintenzione, anche se questa non teorica (per questa filosofia la prima e ultima
parola spetta allidentificazione, e questo vale anche, ad esempio, per il sentimento e il
desiderio; infatti, ogni sentimento sentimento di un sentito, ogni desiderio desiderio
di un desiderato): Husserl sostiene che ogni intenzione o un atto oggettivante,
oppure supporta da un atto oggettivante. La posizione di un valore, laffermazione di
un voluto, implicano, secondo Ideen, una tesi dossica, la posizione delloggetto, polo
della sintesi di identificazioni in Husserl, dunque, la coscienza teorica
contemporaneamente universale e originaria110.
La rappresentazione si realizza dunque nel filosofo tedesco nellidentificazione che
si compie nellevidenza della coscienza, la qual cosa d la presenza in carne ed ossa
109
110
111
ma solo elementi indeterminati, come laria, il cielo, la luce. Queste sono cose non
possedibili o manipolabili, anche se di esse viviamo perch ne godiamo.
E questa lintenzionalit del godimento che porta a due conclusioni: 1) Le cose
godute sono senza secondi fini autonomia del godimento. 2) Ci di cui godiamo non
dipende da noi insicurezza del godimento.
Pertanto, il godimento, mettendo in relazione il soggetto e il non possedibile, ci
che consente laffermazione di unesteriorit non costituita, eccedente ogni possibile
costituzione.
In
conclusione,
mentre
lintenzionalit
della
rappresentazione
costituisce
lesteriorit, lintenzionalit del godimento trova tale esteriorit allesterno, anche se poi
ma il discorso logico e non cronologico se ne impossessa.
Considerando il fatto che la seconda precede la prima, sotto questo punto di vista
lerrore di Husserl non stato quello di aver teorizzato lintenzionalit rappresentativa,
ma di averla posta alla base di qualsiasi tipo di intenzionalit, dimenticando, cos,
quellaltro tipo di intenzionalit che, concretamente, si attua nella vita come esistenza
corporea.
Esistenza che ci ricorda che il corpo una continua contestazione del privilegio,
attribuito alla coscienza, di dare senso ad ogni cosa. Esso vive in quanto questa
contestazione. Il mondo in cui io vivo non semplicemente il faccia a faccia o ci che
contemporaneo al pensiero e alla sua libert costitutiva, ma condizionamento ed
anteriorit. Il mondo che costituisco mi nutre e mi impregna. E alimento e ambiente114.
Rispetto a questo, le cose rappresentate dal soggetto, e quindi gli oggetti e il
possedibile, non annullano lazione del godimento, poich ogni cosa si propone al
godimento anche se mi impadronisco di un oggetto 115; c quindi una
subordinazione degli oggetti al godimento che permette al soggetto di godere anche di
ci che rappresenta.
Nondimeno, si deve precisare che il vivere di, mettendo il soggetto in una
condizione di dipendenza dallelementale, non genera un contatto dello Stesso con la
trascendenza. Certo, esso libera dalla partecipazione cieca e sorda ad un tutto, ma non si
114
115
117
creandosi un terreno suo dove tutto ci che incontra lesteriorit sempre e solo in
riferimento allinteriorit.
Come sottolineato prima, per, il presente del godimento manifesta il suo limite
nella preoccupazione del domani. Ora, per Levinas, per poter aver ragione del domani
lessere separato deve potersi raccogliere e avere delle rappresentazioni. Il
raccoglimento e la rappresentazione si producono concretamente come abitazione di
una dimora o di una Casa118.
Viene fuori, a questo punto, la coscienza di, che non era stata negata prima, ma
solo sospesa per far capire che essa successiva al godimento, ovvero che io apro gli
occhi solo godendo gi dello spettacolo119. Vedremo adesso questaltro tipo di
intenzionalit e la relazione molto intima, al suo interno, tra dimora e rappresentazione.
Ricordiamo che lessenza del vivere di il presente e il fatto di essere immerso
nellelementale; da qui i due limiti della felicit: 1) La preoccupazione per il domani. 2)
Non assolutezza della separazione del soggetto dallessere.
Per far s che si possano superare queste barriere necessaria unaltra dimensione
che sia capace di generare una messa a distanza dallessere di secondo grado. Ossia: se la
messa a distanza di primo grado il godimento, questa altra sfera deve essere una messa
a distanza dal godimento stesso. Quindi deve verificarsi un altro livello che completi il
processo di separazione di quel sostantivo che diventato tale nel presente del puro
verbo.
Per Levinas una tale situazione superata nel fatto che il soggetto si raccoglie su se
stesso e produce delle rappresentazioni in una dimora.
Ma che cosa la dimora?
Sarebbe sbagliato qualificarla come un oggetto tra oggetti, o come una
rappresentazione tra rappresentazioni, perch in questo caso essa si tramuterebbe in
vivere di. Infatti qualsiasi rappresentazione si tramuta in felicit, perch prima del
fatto di avere un oggetto che serve a qualcosa e quindi in vista di io godo di
questo oggetto, sono felice di esso al di l di qualsiasi finalit. La cosa non deve stupire,
perch se il godimento un principio ontologico allora il fondamento al quale tutto si
riduce: Si vive del proprio lavoro che garantisce la sussistenza; ma si vive anche del
118
119
proprio lavoro, perch esso colma (rallegra o rattrista) la vita. Loggetto visto occupa
la vita in quanto oggetto, ma la visione delloggetto la gioia della vita 120. E normale
quindi che anche la dimora venga riportata al suo solido terreno. Il discorso non muta se
la si considera come un fine ultimo, poich qualsiasi scopo, primario o secondario,
ritorna nel godimento.
Ma se non un oggetto tra oggetti, cosa la dimora?
Il ruolo privilegiato della casa non consiste nellessere il fine dellattivit umana,
ma nellesserne la condizione e, in questo senso, linizio. Il raccoglimento necessario
perch la natura possa essere rappresentata e lavorata, perch essa si delinei soltanto
come mondo, si attua nella casa. Luomo si situa nel mondo come se fosse venuto verso
di esso partendo da una sua propriet, da una casa nella quale pu, in ogni istante,
ritirarsi121.
Essendo la condizione dellattivit umana, la quale ultima si costruisce un mondo
rappresentando e lavorando, la casa non altro che la concretizzazione dellinteriorit. Il
soggetto, potendosi raccogliere, sospende limmediatezza del godimento, sempre
immerso nellambiente. Nellattimo della felicit lio si trova immediatamente in
relazione con lelementale, mentre nella dimora esso si concentra su di s sospendendo
questa istantaneit della relazione.
Il godimento di conseguenza solo il principio ontologico a partire dal quale si
produce lidentit dellio, ma tale identit non si attua in virt del godimento, bens della
dimora. Il processo il seguente: dallarch godimento comincia la condizione
dimora dellattivit umana lavoro e rappresentazione che permette al soggetto di
identificarsi.
Certo, la dimora anche una cosa tra cose, ma questo non annulla la considerazione
che ogni oggetto fossero anche gli edifici si produce a partire da essa. In altri termini,
la casa ha una duplice valenza: oggetto ed la condizione delloggetto. Ne deriva che
non la dimora a situarsi nel mondo oggettivo, ma il mondo oggettivo a situarsi
rispetto alla dimora; la priorit cade dal lato della casa, non del mondo.
Si deve pertanto ammettere che il soggetto, per il tramite della dimora, si ritira a
partire dagli elementi (ossia a partire dal godimento immediato ma incerto del domani)
120
121
casa propria la riduzione dellestraneit alla familiarit della casa. Ribadiamo che il
soggiornare in una dimora non un fatto empirico, ma la condizione del fatto empirico,
per mezzo del quale lavvenire incerto del godimento si sospende.
Lintervento operato nella dimora sullelementale non altro che il lavoro, il quale
rende possibile il possesso.
Prima di inoltrarci in questaltra tematica, per, opportuno fare una precisazione,
senza la quale il nostro discorso potrebbe risultare un tantino ambiguo.
Difatti, nel paragrafo dedicato al godimento, abbiamo affermato che il godimento
una propriet, a tal punto che abbiamo detto che il primo fatto del soggetto non io,
ma mio. Nondimeno, in questo paragrafo, parlando della dimora, stiamo asserendo che
essa rende possibile il possesso. Si tratta forse di una contraddizione di Levinas? O forse
c un nostro difetto interpretativo nellanalizzare una tal filosofia?
Crediamo che non si tratti n delluno n dellaltro caso, in quanto siamo in grado
di superare lapparente contraddizione sostenendo lesistenza di due tipi di propriet:
quella del godimento e quella della dimora.
La prima si verifica a livello dellelementale, ovvero prima dellentrata in gioco
della forma, e si attua nel godere dei contenuti di cui viviamo che ancora non sono stati
oggettivati. Esempio: io godo dellaria, la quale non pu essere rappresentata.
Ciononostante, questo difetto di rappresentazione assimilato da me, ossia ridotto alla
mia propriet in quanto lorganismo, vivendo di aria, la assimila, facendo s che essa
diventi la mia aria: Il nutrirsi, come modo di riacquistare le forze, la trasmutazione
dellaltro in Medesimo, che nellessenza del godimento: unenergia altra da me,
riconosciuta come altra, riconosciuta, lo vedremo, come ci che sostiene latto che si
dirige verso di essa, diventa, nel godimento, la mia energia, la mia forza, me stesso. Ogni
godimento, in questo senso, alimentazione. Ci di cui io vivo sono contenuti vissuti che
alimentano la vita. Si vive la propria vita 123. Lo stesso discorso vale, dunque, per la luce,
per lacqua e per tutti i contenuti di cui io vivo anche per le rappresentazioni, perch
per il filosofo la coscienza di si tramuta continuamente nel vivere di: Il
processo della costituzione che si svolge ovunque ci sia una rappresentazione, si muta
nel vivere di I mezzi e gli utilizzabili che di per s presuppongono il godimento, si
123
offrono, a loro volta, al godimento ogni superamento del godimento rimanda sempre
al godimento124.
La seconda, invece, si verifica a livello delle cose, ovvero nella sfera delle
identificazioni per mezzo delle rappresentazioni. Qui stiamo di fronte agli oggetti, che
sono stati rappresentati e manipolati dalla coscienza di.
Il rapporto tra lintenzionalit del godimento e quella della rappresentazione lo
abbiamo gi visto, per cui inutile ribadirlo; ricordiamo soltanto che la prima precede la
seconda.
Per effetto di ci, bisogna aggiungere invece che il mondo del godimento
lambiente, ovvero la totalit priva di forma e di finalit dove gli elementi che sono al
suo interno non sono n possedibili n manipolabili. Per converso, il mondo della dimora
pu essere descritto per opposizione al precedente.
La validit della nostra interpretazione rafforzata, se non confermata, dal fatto
che, senza di essa, non si spiegherebbero affermazioni del tipo il godimento attua la
separazione atea: deformalizza la nozione di separazione che non una frattura
dellastratto, ma lesistenza a casa propria di un io autoctono 125 e partendo dalla
dimora, lessere separato rompe il legame con lesistenza naturale, immersa in un ambito
nel quale il suo godimento, senza sicurezza, contratto, si muta in preoccupazione il
raccoglimento, opera di separazione, si concretizza come esistenza in una dimora, come
esistenza economica126. Per chiarire questultima citazione, si ricordi che il
raccoglimento non il godimento, in quanto esso indica una sospensione delle reazioni
immediate sollecitate dal mondo, in previsione di una maggiore attenzione rivolta a se
stessi, alle proprie possibilit e alla situazione. Esso coincide gi con un movimento
dellattenzione liberata dal godimento immediato, poich non trae pi la propria libert
dal gradimento degli elementi127.
7. LAVORO E RAPPRESENTAZIONE COME CONQUISTA DI SE
124
Lallontanamento dal gradimento degli elementi si attua, come dicevamo prima, nel
lavoro.
Esso pu essere definito come lintervento operato sullelementale che consente il
possesso, sospendendo cos lavvenire incerto che la preoccupazione del godimento.
Questa azione sugli elementi, che vengono trasformati in cose, un movimento di
identificazione del soggetto che riporta il tutto nelle quattro mura di casa. Trasformando
e riportando a casa si sospende lanonimato dellelementale, si sospende, in altri termini,
il suo essere. La cosa elemento trasformato perch oggettivato, manipolato un
avere in quanto posso disporre di essa a casa mia.
La trasformazione dellessere in avere, dunque, attuata per il tramite del lavoro,
che ha ragione di quellavvenire imprevedibile che si inscrive nellinsondabile profondit
dellelemento, nellapeiron.
E questa lindipendenza dellessere di cui parlavamo prima e di fronte alla quale il
godimento ha segnato il suo scacco perch non riusciva a modificare gli elementi in cose
in quanto non aveva la facolt lavorativa. Solo questa facolt consente il trionfo del
soggetto, perch il caos, con la sua attivit, diventa ordine; ordine costituito dal soggetto
e sul quale lo stesso esercita il diritto della propriet privata.
Risulta abbastanza chiaro che una volta esercitato il possesso sulla cosa, la si pu
anche comprendere. Questo perch il lavoro, che porta al possesso delle cose, e la
rappresentazione, che me le fa comprendere, sono strettamente intrecciati.
Infatti, raccogliendosi nellintimit della casa, luomo sospende il rapporto del
godimento immediato con gli elementi, cessa di esservi semplicemente immerso, e pu
cos farne delle cose, prendendone possesso con il lavoro e fissandoli come sostanze
durevoli nella rappresentazione. Prendere possesso e comprendere sono eventi
strettamente congiunti. La mano organo di comprensione e di presa 128. In entrambi i
casi ci si distanzia dallimmersione gaudente nellelementale, si sospende lavvenire
incerto degli elementi, la loro indipendenza, e se ne fa un mondo di cose che si possono
portare a casa perch siano un avere di cui disporre. Nella sua intenzione prima, il lavoro
non un movimento di trascendenza, ma un movimento di conquista di s. Per questo
esso suppone linteriorit della casa in cui lio ha concretizzato la sua separazione.
128
Rispetto a questo qualsiasi trasformazione del mondo attraverso il lavoro solo una
variazione allinterno della propriet. La scoperta del mondo un aver ragione
dellapeiron della materia a partire dal lavoro, che ha come sua condizione la dimora.
Essa sospende e aggiorna il godimento immediato superando linsicurezza della
vita, la quale ultima, a questo livello, conquista e domina il mondo. Entra in gioco, cos,
una tregua che consente una pausa di quellindistinto scorrere che noi possiamo
percepire nellorrore o nella notte.
Il soggetto senzaltro minacciato dal c, ma dispone delle facolt e dei poteri per
poter prendere tempo, per poter segnalare un trionfo su ci che gli pesa sempre come
limite, come minaccia della dissoluzione della sua identit. Esso, in fondo, si trova
sospeso in un vuoto, emerge dal caos, si identifica rispetto al caos, ma lanonimicit
sempre ci contro cui deve combattere per non correre il rischio della
dis-identificazione. Lavorando e rappresentando in una dimora si conquista mettendo a
tacere, almeno per un po, quellassenza universale che ritorna, per, come una presenza.
La situazione descritta si pu riassumere in poche parole: dallil y a al godimento al
lavoro e alla rappresentazione. E questo il motivo per cui la rappresentazione per
Levinas condizionata. La sua pretesa costitutiva smentita dalla vita, che da sempre
installata nellessere e che essa pretende di costituire. Si potrebbe dire anche che
effettivamente siamo di fronte alla costituzione, ma a patto di aggiungere, come gi
dicevamo prima, che la vita costituita dalla coscienza un qualcosa che accade a cose
fatte. Il teoretico non si confonde con il godimento; inoltre esso pretende di non avere
nessun condizionamento, avanzando in tal modo una pretesa illusoria, perch esso
condizionato dalla vita.
La possibilit di una rappresentazione costitutiva che per si fonda gi sul
godimento di un reale precostituito mette in luce il carattere radicale dello sradicamento
di chi si raccolto in una casa nella quale lio, pur essendo immerso negli elementi, si
situa di fronte ad una natura. Gli elementi di cui e in cui vivo, sono anche ci a cui mi
sono opposto. Il fatto di aver limitato una parte di questo mondo e di averla chiusa, il
fatto di avere accesso agli elementi di cui godo dalla porta e dalla finestra, realizza
lextraterritorialit e la sovranit del pensiero, anteriore al mondo cui posteriore. Per
completa che lessere separato sta assolutamente solo nellesistenza senza partecipare
allEssere dal quale separato La rottura di questa partecipazione implicata in questa
capacit. Si vive al di fuori di Dio, a casa propria, si io, egoismo. Lanima la
dimensione dello psichico attuazione della separazione, naturalmente atea. Con
ateismo intendiamo cos una posizione anteriore sia alla negazione che allaffermazione
del divino, la rottura della partecipazione a partire dalla quale lio si pone come il
medesimo e come io129.
Lateismo un qualcosa che si pone prima della negazione o dellaffermazione di
Dio, perch non un fatto morale, ma un fatto ontologico. Esso viene prima del positivo
e del negativo, dato che la condizione che permette allente di raggiungere la propria
identit.
Ci che Levinas prende di mira la tematica della partecipazione, quale ad esempio
si trova in Tommaso dAquino. Per questo filosofo gli esseri finiti hanno la loro
esistenza per partecipazione. Con questo termine si intende latto in cui le creature,
grazie a Dio, prendono parte allessere. Di conseguenza, tutti i predicati che
appartengono a Dio appartengono anche alle creatura. La sola differenza che
nellEssere supremo i predicati raggiungono il massimo grado di perfezione: non a caso
per questo filosofo Dio una perfezione, e precisamente la perfezione massima.
Lo stesso discorso vale per Leibniz, per il quale la monade non altro che
immagine di Dio, un rispecchiamento della Divinit. In altri termini, essa non altro che
lo specchio del creatore. Lidea della partecipazione il filosofo gi la espletava nel
Discours de mtaphysique, ove si presentava la sostanza individuale come la sostanza
alla quale inerivano tutti i predicati che erano di Dio, solo che, rispetto a questi ultimi,
essi erano imperfetti.
E chiaro che gli esempi nella storia della filosofia abbondano, come chiaro che
lorigine di tale discorso Platone, per il quale le cose di questo mondo non sono altro
che imitazioni volgari delle idee perfette che si trovano nel mondo dellal di l. La
partecipazione ancora pi evidente nel suo concetto di metessi, la quale indica proprio
la partecipazione delle cose alle idee, e nellidea del Bene, lidea delle idee, che
129
Ivi, pag. 53
Ivi
Il concetto di ateismo non vale solo a livello etico, ma anche nella sfera
dellontologia.
E a questo livello che il per s del soggetto diventa un dialogo dellanima con se
stessa: legoismo (o separazione, indipendenza, ateismo, godimento, dimora) lessenza
dellappercezione trascendentale, la cui sintesi del molteplice distrugge lalterit di Dio e
di Altri. Prendendo le mosse da se stesso, e staccandosi dallessere, lio produce
unidentit che obbedisce alla legge dellimmanenza, allinterno della quale non
incontriamo nulla di diverso, ma solo, al limite, delle modificazioni che permettono
comunque allio di rimanere lo stesso. Godendo, lavorando e ripresentando io mi ritrovo
coinvolto in unattivit e in una volont di potenza il cui unico rovello la fatica di ci
che mi fa resistenza per non essere ridotto a me.
La riduzione comincia nel momento in cui si strappano le cose allessere, anche se,
prima della mia attivit, non ci sono cose, ma solo elementi: sono io a formarle.
In questo modo lateismo il modo dellesistenza dellente la cui finitezza fa
riferimento al finito stesso. Difatti, limmanenza in cui ci si trova implicati, non
ammettendo nessuna forma della trascendenza, unimmanenza in cui qualsiasi
estraneit non altro che unalterit interna al soggetto, ossia ci che permette ad esso
di identificarsi esercitando una padronanza su ci che gli si presenta come altro.
Lo scopo dellidentificazione il conatus essendi, ovvero la cura del proprio essere.
Questa preoccupazione a mantenersi nellesistenza ipostatizzata, che come abbiamo visto
si pu realizzare solo con lessere a casa propria, un fatto economico. Lunico impegno
del soggetto quello di gestire ed amministrare ci che fa parte di s, senza tenere in
considerazione ci che altro da s.
I due movimenti di separazione dallessere godimento e dimora sono relativi ad
un ente che abita in una casa e resta chiuso in essa. Infatti, esso non in relazione ad
alcunch, e lo sguardo che volge al di fuori solo un mano che forma prima le cose e poi
le mette dentro. Le porte e le finestre della casa non servono per mettere in relazione il
soggetto con altri, ma solo per far uscire momentaneamente lio al di fuori di s;
movimento, questo, essenziale a che si possa ritornare a s riconoscendosi come volont
cosciente che riesce a porre la stasi a quel divenire anonimo che costituisce la minaccia
della dissoluzione dellipostasi e linquietudine del godimento.
Lateismo precisamente questo avvento del tempo presente che riesce a fermare
ci che ritroso a fermarsi, in quanto un disordine temporale di istanti che, prima
dellipostasi, non hanno nomi e aggettivi. Il presente del tempo domina anche il passato e
il futuro, in quanto essi vengono ripresentati dallio nellattivit del teoretico.
Prima di essa non c il nulla assoluto, ma un io che si gi staccato dallessere
godendo dei suoi bisogni; ma anche in questo caso c qualcosa che precede: lil y a.
Si ricordi che il passaggio il seguente: dallesistenza anonima al godimento alla
dimora.
Ma mano che si effettuano questi passaggi cresce sempre pi la violenza
sullalterit; e questo pu essere dimostrato dal fatto che se il godimento deve fare i conti
con lavvenire, la qual cosa non altro che limpossibilit di dominare ci che ha da
venire, la dimora fa saltare questo timore esercitando una signoria su ci che il limite
del godimento.
Nellattimo in cui il soggetto si fa presente a se stesso fa presa sul reale
formandolo; non si tratta di essere gettato in un mondo di cose gi esistenti, come se lio
giungesse dopo la costituzione del mondo, ma della costituzione del mondo inteso come
totalit di cose sulla quale esso esercita un possesso. Per effetto di ci il mondo il mio
mondo, ci che si offre al mio potere. Il fatto, per, che prima dellintervento del lavoro
e del possesso io sia come godimento dellelementale, fa venire alla luce che la
costituzione del mondo non originaria, in quanto, prima di essa, c gi qualcosa di cui
sono felice e di cui io ho bisogno. A questo proposito la tesi levinassiana molto chiara:
la rappresentazione non condizionata labbaglio e lerrore del pensiero, perch io apro
gli occhi solo godendo gi dello spettacolo. Pertanto, se noi volessimo negare il
teoretico, non emergerebbe lessenzialit del nulla n si dissolverebbe il soggetto, perch
ci troveremmo di fronte comunque ad unipostasi che, pur non essendo in un mondo di
forme, sarebbe sempre tale in quanto vivrebbe degli elementi.
A questo livello di profondit salterebbe la relazione contemplata dalla logica
formale, dove si hanno due termini ben definiti che entrano in relazione. Il riferimento
alla relazione tra Medesimo e Altro, ove abbiamo un medesimo formato dallinsieme
dei predicati che gli ineriscono e un altro anche questo equivalente alla totalit dei
suoi predicati. Rispetto a questo, si produce un nuovo tipo di relazione, dove i due
9. LA SENSIBILITA
133
Ivi, pag. 79
Ivi
135
Ivi
134
senza pensarli. Godo di questo mondo di cose come di elementi puri, come di qualit
senza supporto, senza sostanza140.
La sensibilit ci che mi consente di godere di ci che non ha forma senza
lausilio di un qualche rispecchiamento, o di qualche costruzione, o di qualche
costituzione. La soddisfazione non richiede il pensiero razionale, perch basta a se
stessa. Certo, c un difetto di forma, ma qui il soggetto felice di questo difetto, non
vuole altro, non esige un aiuto.
Questo non vuol dire che la sensibilit, non richiedendo la ragione, sia ragione cieca
o follia; e non vuol dire questo perch essa viene prima della ragione. Sentire significa
accontentarsi di quello che si sentito, godere, essere senza pensiero: la vita, che vita
di, non ha bisogno della ricerca intellettuale dellincondizionato. Questa lesigenza
della Ragione, che si trova nel finito e perci cerca linfinito, non della soddisfazione, la
quale precede la distinzione tra finito ed infinito. Noi godiamo del mondo prima di
pensare come andare dal finito allinfinito; respiriamo, camminiamo, vediamo,
passeggiamo, ecc
Con ci non si sta negando la rappresentazione, ma si sta solo descrivendo la
sensibilit, sottolineando altres ci che abbiamo fatto notare prima, e cio che la
rappresentazione condizionata, viene dopo, perch, prima di essa, luomo respira,
percepisce ecc
Di conseguenza, e questo bisogna ammetterlo, il mondo della stabilit, costituito
dal pensiero razionale, la totalit di cose stabili che, al loro fondo, resta instabile. La
priorit del godimento rispetto alla rappresentazione proprio questo: lidentit delle
cose, pur restando stabile, non impedisce il ritorno delle stesse allelemento. Si ricordi: I
mezzi e gli utilizzabili che di per s presuppongono il godimento, si offrono, a loro volta,
al godimento. Sono dei giocattoli: il bellaccendino, la bella macchina. Si fregiano di
decorazioni, si immergono nel bello in cui ogni superamento del godimento rimanda al
godimento141.
Lattivit estetica, allora, non altro che un ritorno, seppur ad un grado superiore,
al godimento e allelementale. S, ad ogni istante la coscienza di si tramuta in
vivere di, per cui il mondo sensibile il godimento di un mondo.
140
141
Sicuramente, quindi, gli oggetti sensibili di cui godiamo possono gi avere subito
unelaborazione da parte della coscienza che li rappresenta, ma la sensibilit non li
intenziona come tali, anzi li dissolve in quellelemento anonimo in cui il godimento si
immerge.
In altri termini, luomo concreto si rappresenta le cose, facendo diventare la
separazione come coscienza di oggetti il solo fatto che si dia un nome alle cose
significa oggettivarle. Loggettivazione di esse non fa altro che mettere in comune un
mondo, al di sopra di quello conosciuto dal godimento. La rappresentazione e
lappropriazione laggiunta di un fatto nuovo alla sensibilit, il fatto, cio, di dare un
nome ed unidentit alle cose: Il mondo della percezione dunque un mondo in cui le
cose hanno unidentit e si pu vedere che la sussistenza di questo mondo possibile
solo grazie alla memoria. Lidentit delle persone e la continuit dei loro lavori
proiettano sulle cose la griglia in cui si trovano identiche le cose. Una terra abitata da
uomini forniti di linguaggio si popola di cose stabili 142. Per, queste tematizzazioni
ritornano al godimento e al suo mondo indistinto. Per chiarire una volta per tutte questa
situazione si faccia lesempio dellaccendino. Questo senzaltro formato dalluomo per
via del lavoro e della rappresentazione, e senzaltro serve a, in vista di (in questo
caso mezzo del fine di accendere una sigaretta), ma esso non resta assolutamente a
questo livello, perch io godo dellaccendino, sono felice di esso al di l della sua
funzionalit. In questo essere felice delloggetto il soggetto basta a se stesso, non ha
bisogno daltro.
Certo, leccedenza dellelementale rispetto al godimento il limite di questultimo,
la sua preoccupazione, la sua incertezza, ma questo un altro discorso, gi
abbondantemente trattato, del resto, nelle pagine precedenti.
La soggettivit del soggetto, dunque, si raggiunge nel fatto che esso si compiace in
s e si pone per s. Limmediatezza del godimento un tuffo nelle profondit
dellelemento, compiacenza della vita che ama se stessa. Compiacenza della soggettivit
che la sua egoit, la sua sostanzialit.
Siamo in un campo pre-riflessivo: La vita gode della stessa vita, come se si
nutrisse della vita cos come si nutre di ci che fa vivere, o, pi esattamente, come se il
142
nutrirsi avesse questo doppio riferimento. Prima di ogni riflessione, prima di ogni
ritorno su di s, il godimento godimento del godimento, sempre mancante a se stesso,
riempiendosi di queste mancanze promesse alla soddisfazione, soddisfacendosi gi di
questo processo impaziente della soddisfazione, godendo del suo appetito. Godimento
del godimento prima di ogni riflessione, ma senza rivolgersi nel godimento verso il
godimento come la visione si rivolge verso il veduto. Al di l della moltiplicazione del
visibile in immagini, il godimento singolarizzazione di un io nel suo ripiegamento su di
s. Attorcigliamento di una matassa movimento stesso dellegoismo143.
Al di l del pensiero razionale, dunque, la sensibilit e gi luscita del soggetto
dallanonimato insignificante del c, identificazione di un essere che si soddisfa dei
contenuti di cui vive, anche se questi non hanno ancora una forma. E qualsiasi forma che
verr, che sar formata dal soggetto, ritorner sempre nellelemento, perch essa viene
risucchiata dalla felicit, la quale si accontenta del dato senza porsi il problema della sua
condizione, del suo fondamento.
Sensibilit, felicit, soddisfazione, vivere di, godimento, sono tutti sinonimi che
indicano un soggetto che si sospende dal fluire anonimo attuando una separazione che gli
permette di porsi come sostanza sottratta a ci che, in s, non ha nomi e aggettivi. In
questo movimento, non lessere che si allontana dal soggetto, ma lio che si separa
dallessere.
Nellimmediatezza del godimento accade un essere sensibile che, prima ancora del
pensiero razionale, si gi posto come unentit la cui essenza linteriorit, rispetto alla
quale lesteriorit si caratterizza come ci che deve essere superata per riportarla
allimmanenza del proprio essere.
10. LINGUAGGIO E IDENTITA
Nel processo di identificazione del soggetto, mediante il quale esso si fa presente a
se stesso riducendo lesteriorit allinteriorit, un ruolo fondamentale giocato dal
linguaggio.
143
Questa arte sofistica culmina nella propaganda, nelladulazione ecc. perch ci che gli
proprio la corruzione, in quanto essa va incontro allaltro uomo con lo scopo di
sollecitare il suo s, di piegare la sua volont e il suo pensiero a s.
Perci, se noi vogliamo fare un discorso etico a questo proposito, notiamo che il
linguaggio come scienza violenza, ingiustizia.
In Autrement qutre ou au-del de lessence la tematizzazione come opera
fondamentale della parola viene chiamata Detto, nel quale lessenza risuona fino al
punto di farsi nome146, e nel quale si trova il luogo di nascita dellontologia147.
Ci accade perch, nel momento in cui si produce loggettivazione, quellessere
come il y a si scopre, da verbo diventa nome. Nel momento in cui esso compie questo
movimento si raggiunge lesposizione dellessere a se stesso, alla sua coscienza. Per
capire la portata ontologica di questo discorso basta ricordare quanto stato detto nel
capitolo precedente a proposito del rapporto tra essere e coscienza e tra soggetto ed
essere; giusto per rammemorare lessenziale di ci che stato gi esplicitato, ribadiamo
soltanto che nel gioco della dipendenza e della padronanza tra essere ed ente, alla fine,
per quanto riguarda il primo, il registro della padronanza prevale su quello della
dipendenza.
Ci detto, ritorniamo al linguaggio come Detto, la cui essenza la costituzione
dellidentit. La parola ha una funzione identificante, enuncia lidealit del medesimo nel
diverso perch forma oggetti a partire da un fondo anonimo. La sua attivit, e lo
ribadiamo, razionale, non sensibile: Questo in quanto quello non vissuto, quello
detto148; il processo di razionalizzazione la costituzione di un mondo che per il
soggetto: infatti, formare a partire dal caos, significa riferimento delloggetto a me, e non
a s. Lin s solo unillusione trascendentale, direbbe Kant. La forza del soggetto
consiste proprio in questo fissare la quiete allinquietudine del divenire designando
forme che, in s, non sono gi formate.
Applicando questo nostro dire alla societ e alle sue relazione, acquista consistenza
la critica nietzschiana della verit come connotazione vincolante ed uniformemente
valida, ovvero della verit come il mentire secondo uno stile vincolante per tutti: Noi
146
crediamo di sapere qualcosa delle cose stesse, quando parliamo di alberi, colori, neve e
fiori e tuttavia non disponiamo che di metafore delle cose, che non esprimono in nessun
modo le essenze originarie Riflettiamo in particolare sulla formazione dei concetti:
ogni parola diviene senzaltro concetto, dal momento che essa non deve servire come
ricordo per unesperienza originaria del tutto singolare ed individualizzata, cui deve il
suo sorgere, ma piuttosto deve adattarsi a innumerevoli casi pi o meno simili e cio, in
senso stretto, mai identici, quindi a casi puramente diseguali. Ciascun concetto sorge
dalleguagliare il non eguale. Certamente mai una foglia del tutto eguale a unaltra, e
certamente il concetto di foglia formato attraverso il lasciar cadere queste differenze
individuali, ossia attraverso la dimenticanza di ci che distingue, sicch spunta lidea che
nella natura al di l delle foglie ci sia qualcosa come la foglia, una sorta di forma
originaria, sulla base della quale tutte le foglie sarebbero plasmate, disegnate, sfumate,
colorate, graffite, dipinte, ma da mani inesperte, tanto che nessun esemplare possa
riuscire corretto e sicuro come riflesso fedele della forma originaria149.
Ne deriva che se io produco la definizione di animale sicuramente una verit viene
portata alla luce quando vedo un cane e dico guarda, un animale, ma questa verit di
valore limitato, in quanto in riferimento alluomo, non in s: essa solo il prodotto
dellattivit identificativa del medesimo, il quale trasforma la natura in mondo. Il suo
procedimento questo: considerare luomo come misura di tutte le cose, dove per si
incomincia con un errore, che consiste nel ritenere che alluomo queste cose siano date
immediatamente, come puri oggetti. Egli dimentica dunque le metafore intuitive che
stanno alla base in quanto metafore, e le prende per le cose stesse 150.
Levinas e Nietzsche, qui, sono molto vicini.
Nondimeno, si potrebbe obiettare a questa nostra ultima interpretazione che mette
sullo stesso piano i due filosofi sia insostenibile, perch il primo non ha mai parlato della
verit come una menzogna vincolante per tutti, ma lha sempre considerata come
lesposizione dellessere a se stesso.
149
Cfr. F. Nietzsche, La nascita della tragedia, La filosofia nell et die Greci, Verit e menzogna, Grandi Tascabili
Economici Newton, pp. 95-96
150
Ivi, pag. 98
Per rimandare leventuale critica al mittente, noi domandiamo: Cosa significa tutto
questo? Veramente il concetto di verit levinassiano non pu essere avvicinato a quello
nietzschiano?
Niente di tutto questo!
La filosofia nietzschiana e quella levinassiana sono molto vicine, in quanto
entrambe partono da questo presupposto: lordine non un qualcosa di gi dato, ma un
qualcosa che deve essere costituito dal processo identificativo del Medesimo, la cui
essenza quella di riportare qualsiasi esteriorit allinteriorit. Questa mancanza di
ordine originaria viene chiamata dal filosofo tedesco caos, da quello francese
elementale, ma la differenza di termini non sostanziale, in quanto questi sono
sinonimi, anzi, rapportandoli tra loro, hanno lo stesso significato, obbediscono al
principio di identit.
In questo senso la verit come menzogna ci dice che essa non il coglimento della
cosa in s, cos come la verit come coscienza dellessere non lorigine ultima del
senso.
La differenza tra i due non risiede in questo, dunque, ma in unaltra cosa, ossia nel
fatto che il filosofo della Volont di potenza non sia riuscito a cogliere che c unaltra
dimensione al di fuori del caos, al di fuori dellontologia (che sar il tema dominante di
tutta la seconda sezione): si tratta di un al di l dellontologia che ci che d senso
allontologia stessa.
questione, chiaro che essa non scienza, ovvero ancora non riuscita a cogliere ci
che effettivamente si vuole sapere.
Oltre a questo, altrettanto chiaro che, nonostante il suo progetto totalizzante, la
cultura occidentale non riesce a trionfare su un certo nucleo di resistenza che non deriva
dalla forza, perch non ontologico, ma di un altro tipo: etico.
Letica non segue lontologia, ma una dimensione della soggettivit stessa,
struttura, cio, la soggettivit del soggetto, mettendolo nella condizione di
essere-per-altri, smantellando il suo essere-per-s.
Il fatto della comparsa di questaltra dimensione che oltre lontologia, ci obbliga a
ritrattare, costringendoci a rinnegare quella necessit del rapporto che sembrava essere
cos sicura. Infatti, il sostenere che lio non solo ontologia, ma anche etica, anzi,
innanzitutto etica, ci permette di uscire dalla dimensione della violenza che sembrava
inevitabile e che provocava in noi un senso di angoscia per il suo inevitabile risultato:
mondo inumano.
Dunque, lerrore della filosofia occidentale non un errore inevitabile (che poi,
accettando la tesi del rispecchiamento, a ben vedere non sarebbe un errore, ma un crudo
e atroce giudizio retto), ma un qualcosa dal quale si pu e si deve uscire, perch la
cultura dellOccidente deve essere riportata ad una dimensione pi umana, la qual cosa
pu essere raggiunta solo rivolgendoci a questaltra sfera, cos superficialmente
trascurata nel corso di questi secoli e in questo nostro mondo.
Dicendo questo, per, sembra che noi stiamo divagando, che stiamo ad un livello di
separazione dalla filosofia di Levinas, perch, a ben guardare, questa altra ottica non
venuta fuori nelle pagine precedenti, ove abbiamo interpretato la filosofia di questo
pensatore.
Le cose, per, non sono come sembrano, poich noi ci siamo solo limitati a
descrivere la condizione ontologica delluomo, dimenticando ma volutamente quel
residuo che sfugge allontologia e che non pu in alcun modo essere inglobato da essa.
La decisione di dimenticare ci derivata dal fatto che ci premeva analizzare
dettagliatamente lessere nel suo rapporto con luomo, al fine di capire meglio, poi,
quella trascendenza che dominer le nostre considerazioni nei capitoli successivi.
Ammettiamo che le cose non sono state semplici, che pi volte si caduti nella
tentazione di dire ci che era naturale e logico dire (esempio: la dimora accoglienza, la
sensibilit ha anche un altro significato, il linguaggio non solo Detto, ma anche Dire
ecc.), tentazione vinta ma al prezzo di aver irretito il discorso, di averlo fatto muovere in
una prigione entro la quale esso premeva ad ogni istante per uscire, al cui interno era
sempre sul punto di esplodere.
Ma questo non successo, anche se la difficolt incontrata stata come
quellaffanno dello spirito151 (lo spirito che trattiene il suo respiro) che Levinas stesso
dice di aver provato, anche se al livello del pensare e del dire la trascendenza.
Affanno dello spirito che per noi derivato dalla consapevolezza del fatto che era
pi giusto far venir fuori ci che premeva per uscire, al fine di espletare che il soggetto
non si risolve nellontologia, perch questa non lorigine ultima del senso.
Rispetto a questa, letica, al di l della visione e della certezza, delinea la struttura
dellesteriorit come tale. La morale non un ramo della filosofia, ma la filosofia
prima152. Letica come filosofia prima , ad un tempo, la sorgente del senso e la
giustificazione dellEssere.
151
152
Sezione Seconda
LALTRO DELLONTOLOGIA
Capitolo Primo
ESPLOSIONE DELLA SOGGETTIVITA
Allo
stesso
tempo
lantisemitismo
sar
considerato
come
155
Ora, partendo da queste considerazioni, che hanno messo in evidenza come ogni
progettare delluomo sia sempre dentro una dimensione che non ha totalmente scelto,
che ogni conoscenza umana, in quanto tale, storica, e che la filosofia come
cominciamento assoluto (inizio come assenza di presupposti, come pensava Husserl)
insostenibile, si pu capire donde deriva la filosofia levinassiana.
Lebreo Levinas un uomo del XX secolo che ha vissuto i campi di sterminio e che
ha visto Heidegger avvicinarsi al nazismo: da qui, anche, una certa malevolenza nei
confronti del pensatore tedesco e la pretesa della non esaustivit del senso della cultura
greca di cui gli ultimi anni della prima met del secolo scorso sono sue manifestazioni.
Contro tutto questo il filosofo francese propone unaltra cultura, la sua cultura, per
parlare di un mondo che abbia alla sua base lumanit delluomo, sempre messa sotto
scacco, a sua detta, dal Greco.
Limpossibilit di liberarsi di esperienze pre-filosofiche condivisa dallo stesso
filosofo, per cui egli cosciente del rischio che si corre in ogni esperienza conoscitiva:
Il cammino indicato sufficientemente sicuro? Senza dubbio essa limpresa di dire
filosoficamente la trascendenza non si libera completamente dalle esperienze
pre-filosofiche, molti suoi sentieri risulteranno gi noti e molti dei suoi approfondimenti
imprudenti. Ma il bel rischio sempre da correre in filosofia 158. Qui Levinas molto
vicino ad Husserl, a quellultimo Husserl del sempre di nuovo, con la quale frase
questultimo intende dire che la descrizione fenomenologia destinata ogni volta a
ricominciare da capo, visto che il territorio della fenomenologia non pu mai essere
definito in modo compiuto e tanto meno rinchiuso in un sistema di pensiero.
Questo precisamente ci che pensa anche Levinas a proposito della
tematizzazione della trascendenza, per cui anchegli avvertir la necessit di
ricominciare sempre da capo: Pi modestamente Husserl ci avr insegnato che ogni
movimento del pensiero comporta una parte di ingenuit, la quale, nellimpresa
hegeliana stessa, risiede almeno nella sua pretesa di rinchiudere il Reale. Husserl ci avr
insegnato che la riduzione dellingenuit esige immediatamente delle nuove relazioni,
che la grazia dellintuizione comporta idee gratuite e che, se filosofare consiste
nellassicurarsi lorigine assoluta, bisogna che il filosofo cancelli la traccia dei propri
158
Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 26, corsivo mio
Ivi
Citazione in Francesco Donadio, Elogio della storicit, cit., pag. 143
161
Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 76
160
solo le tracce. Una siffatta presenza nellassenza di Dio porta dritto alla considerazione
di un Dio non come essere in s, ma come essere-per-gli-altri.
E solo un essere non egoistico che consente di parlare della trascendenza, la cui
essenza laltro della totalit. N il godimento n il lavoro e la rappresentazione
permettevano di mettere il soggetto in contatto con la trascendenza, in quanto, essendo
egoismo, restavano impigliati allEssere, il quale tutto ingloba in quanto orizzonte a
partire dal quale accadono gli enti, a partire dal quale gli enti si entizzano.
Lebreo Levinas si rivolge dunque a questaltra cultura, la cui realt fa emergere il
fatto che la questione ontologica relazione tra lessere e lente non la questione
ultima, ma preceduta da un altro tipo di relazione (relazione asimmetrica, etica), la
quale costituisce la sorgente del senso.
E a questaltra dimensione che appartengono termini tanto cari al filosofo, come ad
esempio sradicamento, dissoluzione, spaesamento, che non sono invenzioni lessicali, ma
affondano nellesperienza del dolore e della sofferenza epocale e cosmica di un
popolo162. Lo stesso termine ebreo significa, letteralmente, colui che proviene dalla
regione al di l, colui che incarna questo principio daltro 163. Si evidenzia, dunque, in
questa parola, la presenza dellassenza, il sigillo, nel nome, di una mancanza. Essendo
qualche cosa daltro, lEbreo potrebbe essere anche interpretato come il forestiero che
cerca protezione ed ospitato in mezzo ad un altro popolo 164. Il fatto di essere sempre
portato altrove costitutivo della sua natura, per cui ci che gli appartiene non la
stabilit, la quiete, ma il loro opposto linstabilit, linquietudine; la presunta cosa in
s per lebraismo impensabile. Renato Rizzi fa notare che diverso anche il concetto
di verit: per il Greco essa aletheia portare alla luce ci che nascosto , per lEbreo,
invece, emet la verit scende dallalto, dal Dio innominabile ma bisogna notare
come essa contenga anche la radice met, che vuol dire morto , cio irraggiungibile
o indipendente dalle facolt umane165.
2. LIDEA DELLINFINITO
162
166
Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pp. 219-220, sottolineato mio
possono essere classificate come avventizie (che mi sembrano estranee o venute dal di
fuori), fattizie (formate da me stesso) e innate (che sembrano essere innate in me).
Per vedere se a queste idee corrisponde una qualche realt esterna, non mi resta
altro che chiedermi la possibile causa di esse. Mi rendo conto, cos, che tutte queste idee,
ad eccezione di quella dellio e di quella di Dio, sono prodotte da me, in quanto in esse
non c nulla di cos perfetto che non possa essere stato creato da me: Pertanto, non
necessario, sicuramente, che a idee di questa natura io assegni altro autore che me
stessoCos non rimane, a parte lidea dellio, che lidea di Dio, nella quale considerare
se vi sia qualcosa che non possa derivare da me stesso 167. Il filosofo descrive tale idea
come lidea di una sostanza infinita, indipendente, sommamente intelligente,
sommamente potente, e dalla quale siamo creati sia io stesso sia tutto quanto daltro
esista (nel caso che esista anche qualcosaltro)168.
Si tratta, evidentemente, dellidea di Dio della metafisica tradizionale; Levinas non
mira a salvare questa tradizione, ma apprezza il fatto che nel filosofo francese vi sia la
convinzione dellirriducibile originalit di questa idea, espressa nel fatto che in me c
certamente lidea di sostanza, per il fatto stesso che io sono una sostanza; per, dal
momento che sono finito, lidea di una sostanza infinita non sarebbe in me se non mi
venisse da una sostanza che infinita lo sia effettivamente 169. E necessario, quindi, che
lidea di un ente pi perfetto di me proceda da un ente che pi perfetto di me lo sia
effettivamente170. Lidea dellinfinito non potr in nessun modo risultare da una
negazione del finito, cos come invece si percepiscono la quiete e le tenebre come
negazione del movimento e della luce, poich nella sostanza infinita c pi realt che
non nella sostanza finita: E non a credere che io concepisca linfinito, anzich come
una vera idea, soltanto per negazione del finito, al modo in cui percepisco, ad esempio, la
quiete e le tenebre per negazione del movimento e della luce; ch, al contrario, intendo
chiaramente che in una sostanza infinita c pi realt che non in una finita, e che di
conseguenza, anzi, in me la percezione dellinfinito precede in qualche modo quella del
finito, vale a dire la percezione di Dio quella di me stesso 171. Difatti, come potrei
167
Cfr. R. Descartes, Meditazioni metafisiche, Economia Editori Laterza, pag. 73, corsivo mio
Ivi, pp. 73-75
169
Ivi, pag. 75
170
Ivi, pag. 79
171
Ivi, pag. 75
168
conoscere la mia finitudine (che si manifesta nei miei dubbi e nei miei altri difetti), e
cio che mi manca qualcosa, ossia che non sono in tutto perfetto, nel caso che in me non
ci fosse lidea di un ente pi perfetto di me, dal confronto con la quale riconoscere i miei
difetti?172. Di conseguenza, non pu dirsi nemmeno che lidea di Dio sia materialmente
falsa e quindi possa derivare dal nulla lesistenza di Dio quanto mai chiara e distinta
e contiene pi realt oggettiva di qualsiasi altra, per cui nessunaltra di per s pi vera
o meno sospettabile di falsit. E dico che questa idea dellente sommamente perfetto e
infinito massimamente vera, perch, anche se magari si pu fingere che tale ente non
esista, tuttavia non si pu fingere che lidea di esso non mi rappresenti niente di reale.
Dico inoltre che tale idea massimamente chiara e distinta, perch in essa contenuto
tutto quanto io percepisco chiaramente e distintamente come reale e vero e dotato di un
qualche grado di perfezione173.
Pertanto, per Cartesio quel primo principio che aveva trovato per mezzo del dubbio
metodico, lidea dellio (la conoscenza di s), richiede questa relazione con un essere che
al di sopra di me, e che risponde al nome di Dio. La soggettivit intesa
metafisicamente dal filosofo: allorch rivolgo lo sguardo della mente in me stesso,
non soltanto mi rendo conto che io sono un ente incompleto, dipendente da un altro, e
che aspira indefinitamente e sempre di pi e di meglio, ma insieme mi rendo conto che
colui da cui io dipendo ha in s tutto questo di pi, e non indefinitamente e in potenza,
bens infinitamente e in atto, e quindi Dio 174. A questo proposito bisogna aggiungere
che tale interpretazione mette in questione la lettura corrente di Cartesio (che poi quella
proposta da Heidegger), che pensa al filosofo come liniziatore del dominio
incondizionato della soggettivit, processo che culminerebbe con Nietzsche. Tale
comprensione si basa sul fatto che, siccome nel filosofo francese si certi delle cose
perch prima c la certezza di me in quanto essere pensante, allora il soggetto si
definirebbe a partire da se stesso. In questo modo, concependo la verit come certezza,
egli scopre lego cogito come costante presenza. Lego sum diviene allora subjectum,
cio: il soggetto diviene autocoscienza. La soggettivit del soggetto risulta definita in
172
Ivi
Ivi
174
Ivi, pag. 85
173
base alla certezza di questa coscienza 175; il saper-se-stesso diventerebbe cos la verit
intesa come certezza.
Facendo questa parentesi, non stiamo dicendo che tale interpretazione sia errata, ma
vogliamo solo sottolineare che se si accentua troppo il carattere dellautofondazione
della soggettivit, si dimentica il Cartesio che, dopo aver trovato la prima evidenza, va
oltre, trovando in Dio laltro del soggetto, il quale, questultimo, ha certamente dentro di
s una tale idea, per non riesce a mettere il contenuto nel contenente. Dire questo
significa dire che il soggetto non solo puro pensiero, ma una cosa che pensa.
Il discorso coincide con le convinzioni levinassiane: Sebbene Descartes abbia
definito la sostanza esclusivamente attraverso il pensiero e sebbene, a suo avviso,
cessando di pensare, lio cessa di essere, lio non puro e semplice pensiero. Se esistere
e pensare coincidono, in quale modo, infatti, la sostanza pensante pu avere lidea
dellinfinito senza essere a sua volta infinita? Attraverso lidea di perfezione il pensiero
si radica nellassoluto, ma lesistenza di un pensiero radicato nellassoluto qualcosa in
meno dellassoluto, unicamente che un pensiero, nulla pi che un pensiero La
condizione dellesistenza si distingue dallesistenza stessa. Luna infinita, laltra
finita. La cosa importante che in Descartes lesistenza finita non separata dallinfinito
e che il legame assicurato dal pensiero; che il pensiero, il quale costituisce lesistenza
del cogito nella sua interezza, si aggiunge comunque a questa esistenza ricollegandola
allassoluto. In tal modo, lesistenza umana non pensiero, ma una cosa che pensa 176.
Pertanto, lidea dellinfinito che consente una chiave di lettura di questo tipo: Prima
del cogito, lesistenza pu solo sognare di se stessa, come se restasse estranea a s. Solo
perch sospetta pu sognare di s e pu svegliarsi. Il dubbio le fa cercare una certezza.
Ma questo sospetto, questa coscienza del dubbio, presuppone lidea del Perfetto. Il
sapere del cogito rinvia cos ad una relazione con il Maestro allidea dellinfinito o del
Perfetto. Lidea dellinfinito non limmanenza dellio penso, n la trascendenza
delloggetto. Il cogito si fonda in Cartesio sullAltro che Dio e che ha posto nellanima
lidea dellinfinito, che laveva insegnata, senza suscitare semplicemente, come il
maestro platonico, la reminiscenza delle antiche visioni 177 (si noti anche la differenza
175
178
Cfr. E. Levinas A. Peperzak, Etica come filosofia prima, cit., pag. 39, sottolineato mio
Ivi
180
Ivi
179
Levinas apprezza Cartesio per questo motivo, rafforzato dal fatto che questultimo
era un razionalista, il cui scopo era il raggiungimento della chiarezza e della distinzione.
Ciononostante, egli ha saputo capire che la prima verit consiste nel fatto che lio si
rende conto di essere in rapporto con ci che supera la sua comprensione.
Al filosofo non interessano le prove dellesistenza di Dio, ma la rottura dellIo
Penso: Non sono le prove dellesistenza di Dio che qui ci interessano, ma la rottura
della coscienza lidea di Dio, come significante il non-contenuto per eccellenza non
forse questa lassoluzione stessa dellassoluto oltrepassa ogni capacit 181. Tale
rottura si determina proprio perch io ho in me lidea dellinfinito, la quale non altro
che Dio in me182. Lidea dellInfinito, dunque, lInfinito in me, perch lin
dellInfinito significa ad un tempo il non e il dentro183. Il suffisso in ha quindi un
duplice senso: indica la privativo di derivazione greca e lentro di derivazione latina; in
questo modo infinito viene a significare il non finito nel finito.
Il non finito, essendo in me, il non inglobabile, il non tematizzabile, una passivit
del soggetto diversa dalla passivit ontologica, dove viene assunto ci che ci affetta. Qui
no, qui siamo in presenza di un paradosso, perch si tratta di una passivit senza
assunzione, che possiamo definire come passivit pi passiva di ogni passivit184.
Essendo passiva, essa non parte da me che sono un pensatore , ma dal pensato.
Derrida, a proposito della tematica delladdio, fa notare che lad-Dio dice
innanzitutto lidea dellinfinito185. Lad-Dio non deve essere inteso come un a non
rivederci pi, noi che prima ci conoscevamo cos bene, ma come il riferimento del
soggetto alla trascendenza, in una relazione dove n linfinito annulla il finito e n il
finito ingloba linfinito. In questa meravigliosa e paradossale situazione lo Stesso
votato allAltro; , pi precisamente, responsabilit per Altri.
Questo, prosegue il filosofo, anche il punto dellallontanamento tra Cartesio e
Levinas, in quanto il primo non si interessa della dellad-Dio, visto che il suo impegno
quello di cercare la chiarezza e la distinzione, per far s che ogni cosa rientri nel
sistema del sapere. A Levinas, invece, proprio questo interessa, e chiama allora ad-Dio
181
Difatti Levinas non si limita, nel suo filosofare, a mettere in evidenza la struttura formale
di un qualche cosa, ma va oltre, cercando il luogo nel quale essa si pu esperire
concretamente.
Per cui, dopo lanalisi dellidea dellinfinito fatta sopra, non ci resta che chiederci
dove essa si produca empiricamente. La risposta di Levinas, qui, una sola:
Lesperienza, lidea dellinfinito, ha luogo nel rapporto con Altri. Lidea dellinfinito
il rapporto sociale190.
Da questa citazione emerge subito una curiosit: se il luogo Altri, siamo
sicuramente lontani dalla tradizione greco-cristiana, che individua il totalmente Altro nel
Dio unico al di sopra degli esseri finiti. Si tratta allora della soppressione di Dio?
Nientaffatto, solo che dobbiamo capire le relazioni che io e Altri stabiliamo con
lAltissimo.
Cominciamo con il determinare le caratteristiche del rapporto sociale, che pu
essere definito come la molteplicit a dispetto dellunit. La condizione fondamentale a
che si mantenga il multiplo la mancanza della tematizzazione, la quale ontologia,
ovvero riduzione di ci che altro da me allunit dellappercezione trascendentale. La
condizione di possibilit di tale rapporto Altri, il quale si mostra in maniera diversa
rispetto alla manifestazione, e di conseguenza impedisce che lio ne possa fare il suo
tema.
Il filosofo definisce questa invisibilit di Altri, questa impossibilit a ridurlo a tema,
volto. Esso il modo concreto in cui lAltro, linfinitamente altro, si presenta a me, entra
con me in quella eccezionale relazione metafisica che lidea dellinfinito delinea: Ora,
noi chiamiamo volto il modo in cui si presenta lAltro, che supera lidea dellAltro in me.
Questo modo non consiste nellassumere, di fronte al mio sguardo, la figura di un tema,
nel mostrarsi come un insieme di qualit che formano unimmagine. Il volto dAltri
distrugge ad ogni istante, e oltrepassa limmagine plastica che mi lascia, lidea a mia
misura e a misura del suo ideatum lidea adeguata. Non si manifesta in base a queste
qualit, ma kathauto. Si esprime. Il volto, in opposizione allontologia contemporanea,
introduce una nozione di verit che non lo svelamento di un Neutro impersonale, ma
unespressione191. Esso, che impossibile ridurre a concetto, allontana dalla filosofia
190
191
movimento violento che riduce tutto a s). La diversit consiste nel fatto che il volto
continuamente distrugge lidea adeguata che mi faccio di lui, per cui non possibile
dargli degli attributi che mi permetterebbero di rappresentarlo e, di conseguenza, di
renderlo totalmente trasparente a me stesso.
Ci mette in rilievo che Altri non sullo mio stesso piano, come se io e Altri non
avessimo una patria comune. Egli si caratterizza per il fatto che su di lui non posso
potere, perch non interamente nel mio luogo, realizzando cos quella rottura della
totalit derivante dal fatto che, al di fuori dellattivit violenta del medesimo, c un
residuo che sfugge al potere di far rientrare tutto nel sistema, e quindi sfugge allil y a.
Con Altri io stabilisco quella relazione che dal filosofo chiamata metafisica, tipica
dellidea dellinfinito. Difatti, dire che il volto sfugge al potere significa dire che nel
momento in cui si mette in relazione con il Medesimo resta separato da questultimo. La
relazione metafisica, lidea dellinfinito, proprio quel rapporto in cui i due termini di
esso non costituiscono una correlazione qualsiasi che sarebbe reversibile. La
reversibilit di una relazione nella quale i termini si leggono indifferentemente da sinistra
a destra e da destra a sinistra, li accoppierebbe, luno allaltro194. In tal modo si
distruggerebbe lalterit radicale dellAltro, anche se la distruzione comunque
impossibile a causa di questa presenza viva dellaltro uomo. Limpossibilit dipende da
ci che abbiamo detto prima: il volto si sottrae al possesso, al mio potere. Esso mi
oppone una resistenza che per non la resistenza ontologica, che fa leva sulla teoria dei
gradi (esempio sono pi forte di te e perci su di me non puoi potere), e quindi
quantitativa, ma etica, che al di l della forma, la quale non sfida i miei poteri, ma mi
chiama alla responasabilit nel comandamento in cui si raccoglie tutta la Torah: Tu non
ucciderai.
La relazione metafisica, cos, diventa una relazione etica, dove lasimmetria del
rapporto si esprime nella mia responsabilit verso lAltro al di l della sua responsabilit
nei miei confronti. Tale situazione si verifica solo perch Altri in quanto Altri (Autrui
en tant quautrui) non soltanto un alter ego; ci che io non sono. Lo non a causa del
suo carattere, o della sua fisionomia, o della sua psicologia, ma a causa della sua stessa
alterit. E, per esempio, il debole, il povero, la vedova e lorfano, mentre io sono il
194
Ivi, pag. 34
ricco e il potente195. Se Altri fosse soltanto una ripetizione dellidentico non ci sarebbe
nessuna resistenza etica, in quanto il s e la scissione da s sarebbe solo il gioco del
Medesimo, giocato dallo stesso per ritrovarsi.
Se si tiene presente quello che abbiamo detto prima, e cio che lidea dellinfinito
linfinito in me, allora dobbiamo aggiungere, a questo discorso, che la trascendenza di
Altri non un qualcosa che al di fuori di me, ma coinvolge la mia stessa soggettivit,
cosicch si pu anche affermare che laltro in me una tale situazione sar poi definita
da Levinas maternit, intesa come la gestazione dellaltro nel medesimo.
Ci detto, si capiscono chiaramente frasi quali siamo il Medesimo e lAltro 196 e
lidea dellinfinito, linfinitamente di pi contenuto nel meno, si produce concretamente
sotto le specie di una relazione con il volto. E soltanto lidea dellinfinito mantiene
lesteriorit dellAltro rispetto al Medesimo, malgrado questo rapporto Lidea
dellinfinito supera il mio potere non quantitativamente, ma, lo vedremo pi avanti,
mettendolo in questione. Non viene dal nostro fondo a priori e, perci, lesperienza per
eccellenza197.
Con tale idea il soggetto in contatto con lassolutamente altro, che per Levinas
Altri (lassolutamente Altro Altri198), ossia la presenza vivente dellaltro uomo, il
quale mi chiama al comandamento etico: Non uccidere. Questa impossibilit non tale
a livello materiale posso sempre porre fine al mio prossimo con una pistola , ma si
inserisce nella sfera della morale. Lespressione del volto non sfida la mia debolezza di
potere, ma il mio potere di potere; posso essere il pi forte di tutti, posso uccidere, ma
mai eserciter un potere assoluto su ci che mi trascende. Tale discorso vale anche,
paradossalmente, al livello dellomicidio, il quale non altro che un esercitare un potere
su ci che sfugge al potere. Ancora potere, dato che il volto si esprime nel sensibile; ma
gi impotenza, dato che il volto fa a pezzi il sensibile199. La cosa si chiarisce se si pensa
che il volto si manifesta nel sensibile e qui io posso potere , e per continuamente
disfa limmagine plastica che mi faccio di lui, ovvero ad ogni istante disfa la forma,
trascende e qui non posso pi violentare, perch esso non sul mio stesso suolo. La
195
Cfr. E. Levinas, Umanesimo dellaltro uomo, Il menangolo, pag. 76, corsivo mio
Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 73
retorica, ma entra nella dimensione delletica. Questo sguardo che supplica ed esige
appunto lepifania del volto come volto. La nudit del volto indigenza. Riconoscere
non significa portare il nascosto nella luce, ma riconoscere una fame. Riconoscere Altri
significa donare. Ma significa donare al maestro, al signore, a che si avvicina come voi
in una dimensione di maestosit202.
Il volto-nudo, dunque, nella sua estraneit e nella sua miseria come Altri, non fa
altro che manifestarsi come appello etico, il quale trasfigura la miseria altrui
nellAltissimo. Il contatto con questultimo proprio questo mio rispondere al volto che
mi interpella; ci mette in questione la mia libert di soggetto egoistico che tende ad
inglobare tutto ci che mi si presenta in quanto altro chiamandola alla responsabilit.
Lidea dellinfinito, quindi, si concretizza nellepifania del volto, mettendo in
relazione il soggetto con Altri, che, per il suo tramite, mette in relazione il soggetto con
Dio (la cosa si chiarir nel momento in cui si parler della tematica della traccia,
utilizzata dal filosofo per dire che nel volto iscritta la traccia di Dio). In tale idea, e a
livello formale e a livello concreto, io non sono pi in relazione con lessere dellente,
ma con la trascendenza. Volendo poi chiederci cosa venga prima, se la prima o la
seconda, rispondiamo direttamente con Levinas: La relazione con lente che si esprime
preesiste allo svelamento dellessere in generale, come base della conoscenza e come
senso dellessere; il piano etico preesiste al piano ontologico 203; grazie a questa
preesistenza che lontologia acquista un senso.
La preesistenza deriva proprio dalla presentazione del volto (lespressione), la quale
fa s che il volto si presenti come il povero, lo straniero, lorfano, che fa un appello etico
che mette in questione il soggetto, chiamato a rispondere con urgenza. La sua invisibilit,
o la sua assenza, non altro che una manifestazione che eccede la manifestazione, una
sporgenza rispetto ad essa che travalica i limiti dellintenzionalit, rendendosi cos
indipendente al mio potere: La nozione di volto ci porta verso una nozione di senso
anteriore alla mia Sinngebung e, quindi, indipendente dalla mia iniziativa e dal mio
potere204. Da questa eccedenza rispetto alla identificazione che coglie lintenzionalit ne
deriva che pi che essere lio a cogliere il volto il volto a sorprendere lio; esso, dir in
202
seguito Levinas, irrompe nel fenomeno sconvolgendo lordine. Lio non ha scelto o non
ha determinato il volto, ma questo venuto dallal di l, ed venuto con il suo appello
etico che, come il filosofo far capire in Autrement qutre ou au-del de lessence,
mette in questione il tempo del soggetto che noi abbiamo visto essere il presente per
testimoniare un altro tempo, ossia il passato; tuttavia, questo tempo non il passato
dellontologia, considerato come modificazione del presente, ma un passato
pre-originario, immemorabile, irrappresentabile, anarchico.
Inoltre, cos come il volto non ha tempo nel senso che al di fuori del tempo
ontologico, inteso come momentanea separazione del s rispetto a s per ritrovarsi esso
non ha neanche un nome. Infatti, nella prima sezione abbiamo visto che il nome altro non
se non identit riduzione della molteplicit allunit , mentre qui stiamo al di fuori
del gioco che gioca il medesimo per trasformare laltro nel s. Non si deve confondere,
per, la mancanza del nome del volto con lil y a, in quanto mentre in questultimo siamo
di fronte alla verbalit del verbo dove tutto scorre indistintamente, in questo caso siamo
di fronte allunicit di un essere che mi fa appello perch lindigente. In questo senso,
allora, la mancanza di un nome proprio ci che conferma il volto nella sua unicit, al di
l dellessere e della relazione tra lessere e lente, che non la questione fondamentale.
E non lo perch oltre ad essa c la presenza di unassenza del tutto diversa da quella
del caos, la cui peculiarit quella di essere il non sintetizzabile per eccellenza.
Questa incapacit dellappercezione trascendentale a rendere nuovamente presente
ci che restio a subire tale attivit non altro, come abbiamo tentato di far capire nel
corso di questo paragrafo, che lidea dellinfinito, ovvero quellidea in cui il suo ideatum
supera lidea stessa e che si produce concretamente come presenza-assenza di un volto
verso il quale il soggetto deve mettere da parte la sua attivit identificativa per rispondere
urgentemente al suo aiuto. Tale idea che sconvolge lordine fenomenico presentando e
testimoniando lal di l dellontologia viene chiamata anche, dal filosofo, Desiderio.
4. DESIDERIO E IDEA DELLINFINITO
Il passaggio dalla natura formale alla natura empirica dellinfinito in noi stato
fatto per compiere un movimento circolare a livello di metodo da noi usato che,
partendo dalla forma per andare al concreto, ritorna alla prima, la quale, nel ritorno del
movimento, si delucida ulteriormente.
Il metodo usato possibile in virt del Desiderio, il quale la produzione formale
e non empirica, contrariamente a quanto accadeva con lepifania del volto dellidea
dellinfinito: Linfinito nel finito, il pi nel meno che si attua attraverso lidea
dellInfinito, si produce come Desiderio205. Il legame tra desiderio e idea dellinfinito
messo in evidenza da A. Peperzak, il quale, tenendo presente ci che abbiamo detto
prima, e cio che la relazione tra finito e infinito non una relazione teorica, dunque non
riguarda la conoscenza, si chiede, implicitamente, di che tipo possa essere questo
rapporto. Ora, se non la conoscenza a realizzare il rapporto, sar probabilmente
leros206 a costituirlo.
Bisogna, per, intendersi sul significato di eros, perch se lo si considera come un
bisogno allora dovremmo ragionare in termini di mancanza e di appagamento, raggiunto,
questultimo, tramite il possesso del godimento. In questo modo, per, siamo gi sulla
strada sbagliata, perch se il Desiderio ha a che fare con un pensiero che pensa pi di
quanto non pensi, certamente non pu essere messo sullo stesso piano del bisogno, che,
come abbiamo visto, si lega al godimento. Legandosi a questultimo, non riesce a
fuoriuscire dallessere, cos che lincatenamento ad esso non consente di parlare di
Desiderio come ci che si lega intimamente allidea cartesiana. Dicendo questo non
stiamo disconoscendo la necessit del valore del godimento, che come vedremo pi
avanti sar fondamentale a che si costituisca un Ego indipendente che sia in grado di
stabilire una relazione con lalterit, ma stiamo solo facendo notare che, per delineare il
disegno formale della trascendenza in noi, occorre un Desiderio che sia totalmente
diverso dal bisogno, ossia non riducibile allappetito che si placa con il raggiungimento
di ci che gli manca (esempio il cibo estingue la fame), ma che cresce nella misura in cui
si cerca di appagarlo: Non come desiderio che appagato dal possesso del Desiderabile,
ma come il Desiderio dellInfinito che suscitato dal Desiderabile invece di esserne
soddisfatto. Desiderio perfettamente disinteressato bont207.
205
Ivi, pag. 48
Cfr. E. Levinas A. Peperzak, Etica come filosofia prima, cit., pp. 104-105
207
Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 48
206
di fuori di quellarch che principio e fine di tutte le cose (ontologiche). Tale discorso
reso possibile dal Desiderio, o, ma la stessa cosa, dallidea dellInfinito (o dalla
presenza del volto, o dalla particella in dellinfinito).
Non a caso Levinas definisce il desiderio come Desiderio dellinvisibile, che si
configura
immediatamente
come
Desiderio
metafisico,
in
quanto
laltro
metafisicamente desiderato non altro come il pane che mangio, come il paese che
abito, come il paesaggio che contemplo, come, a volte, io posso apparire ai miei occhi:
questo io, questo altro. Con queste realt, posso nutrirmi e, in larghissima misura,
soddisfarmi, come se mi fossero semplicemente mancate. E per questo motivo la loro
alterit si riassorbe nella mia identit di pensante o di possidente. Il Desiderio metafisico
tende verso una cosa totalmente altra, verso lassolutamente altro211. Facendo
riferimento al senso comune, ossia al modo comune di intendere il desiderio, alla sua
base starebbe il bisogno: Alla base del desiderio comunemente interpretato starebbe il
bisogno; il desiderio contrassegnerebbe un essere indigente e incompleto o decaduto
dalla sua grandezza passata. Coinciderebbe con la coscienza di ci che stato perduto.
Sarebbe essenzialmente nostalgia, male del ritorno. Ma cos non potrebbe neppure
sospettare cosa sia lassolutamente altro 212. Ne deriva che se questo il modello
interpretativo, allora dobbiamo ammettere che il desiderio nasce dalla mancanza di una
pienezza perduta: in questo senso esso sarebbe nostalgia, male del ritorno, per cui si
parlerebbe di desideri soddisfatti (desideri sessuali, di fame, di sete ecc.) e si perderebbe
la dimensione dellal di l.
Un tale desiderio non mira allassolutamente altro, cosa che invece fa il Desiderio
metafisico, che non aspira al ritorno, perch il desiderio di un paese nel quale noi non
siamo mai nati. Di un paese straniero ad ogni natura, che non stato la nostra patria e nel
quale non ci trasferiremo mai213. E un Desiderio dellinvisibile perch il suo oggetto
non propriamente un oggetto che io potrei cogliere mediante la conoscenza, ma la
presenza che ad ogni istante disfa la presenza stessa. Esso non fa altro che desiderare
lassolutamente altro al di fuori della fame che pu essere soddisfatta, della sete che pu
211
essere estinta e dei sensi che possono essere appagati 214; al di l delle soddisfazioni e
delle soddisfazioni possibili. E in questo caso che esso diventa irriducibile al bisogno:
Il bisogno si apre su un mondo che per me, ritorna a s. Persino quand sublime,
come il bisogno di salvezza, ancora nostalgia, malattia del ritorno. Il bisogno il
ritorno stesso, lansia dellio per se stesso, forma originaria dellidentificazione che
abbiamo chiamato egoismo. E assimilazione del mondo in funzione della coincidenza
con se stesso o felicit. [] A un soggetto rivolto verso se stesso, o tendenza di
persistere nel suo essere, o per il quale, secondo la formula di Heidegger, nella sua
esistenza ne va sempre della sua esistenza stessa, a un soggetto che dunque definito
dalla cura di s, e che nella felicit realizza il suo per s, noi contrapponiamo il
Desiderio dellAltro che procede da un essere gi appagato e che non desidera per s.
Bisogno di colui che non ha pi bisogni il desiderio dAltri nasce in un essere cui non
manca nulla o, pi esattamente, nasce al di l di tutto ci che pu mancargli o
soddisfarlo. Questo Desiderio dAltri, che la nostra stessa socialit, non una semplice
relazione con lessere in cui, secondo le nostre formulazioni iniziali, lAltro si trasforma
nello Stesso. Nel Desiderio lIo va verso Altri in modo da compromettere la sovrana
identificazione dellIo con se stesso, di cui il bisogno non che la nostalgia e che la
coscienza del bisogno anticipa215.
Nel bisogno opera un essere egoistico il cui scopo lidentificazione della diversit
in cui il suo fuori non altro che un fuori che si riferisce allio. Lappagamento che si
raggiunge nel godimento la prima identificazione dellio attraverso il possesso
delloggetto; a questo livello laltro recuperato dal Medesimo per mezzo di un
movimento che, partendo dallo Stesso, va verso lAltro e ritorna allo Stesso. Ma al mito
di Ulisse che ritorna a Itaca, noi vorremmo contrapporre la storia di Abramo che lascia
per sempre la sua patria per una terra ancora ignota e che interdice al suo servo persino
di ricondurre suo figlio al punto di partenza216.
Animato da questa volont, Levinas propone il Desiderio opposto al bisogno, che,
come risulta dalla citazione fatta pi su, non ha a che fare con la mancanza, ma al di l
della mancanza, si contraddistingue, cio, per la sua insaziabilit, perch non ha un
214
Ivi
Cfr. E. Levinas, Scoprire lesistenza, cit., pp. 221-222
216
Ivi, pag. 219
215
Ivi, pag. 56
Ivi
225
libert che non riesce a raggiungere il suo scopo, che riguarda lo smantellamento del
limite per precipitare nel fondamento.
Per chiarire meglio il concetto di libert come liberum arbitrium e come
adeguazione si tenga presente A. Schopenhauer, il quale si occupa e delluno e dellaltro
senso del termine. Per quanto riguarda il primo modo di intendere la libert, egli la
definisce come assenza di necessit, intesa, questultima, non in senso logico
necessario ci il cui contrario impossibile, oppure ci che non pu essere
altrimenti226 , ma nel senso del suo principio di ragion sufficiente, per cui essa diventa
ci che deriva da una data ragion sufficiente227. La stretta connessione tra
necessit e conseguenza di una data ragion sufficiente cos dimostrata, per cui
assenza di necessit sarebbe identica ad assenza di un determinata ragione
sufficiente228. Traducendo questo in termini pi semplici possiamo dire che il libero
arbitrio la capacit di volere al di l di qualsiasi determinazione.
Senza dilungarci troppo, arriviamo subito al dunque, e diciamo che per il filosofo
questa libert non esiste, perch luomo, essendo un fenomeno nel tempo e nello spazio
come gli altri, sottomesso al principio di causalit, e quindi subisce la determinazione
dei motivi (per Schopenhauer il motivo una forma della legge di causalit e vale per
luomo, mentre per i corpi inorganici si parla di cause e per quelli organici ad
eccezione delluomo, chiaramente si parla di stimoli). Inoltre, si deve anche tener
presente che lessere vivente umano ubbidisce a quello che il suo carattere intelligibile,
il quale una manifestazione noumenica della volont e dal quale deriva la sua
manifestazione fenomenica, ossia il carattere empirico, che, a differenza del primo, nel
tempo e nello spazio e, quindi, quel carattere che ritroviamo nellesperienza
fenomenica. Il filosofo, per, trova nellessere ci che non trova nel fenomeno, e quindi
la libert non si pu incontrare nelloperari deve stare nellesse soltanto nellesse
sta la libert, ma da questo e dai motivi segue necessariamente loperari229. Il principio
delloperari sequitur esse fa emergere la libert come adeguazione: Luomo fa sempre
ci che vuole e pure lo fa necessariamente. Ci dipende dal fatto che egli gi ci che
226
e investita come libert La volont, che nellincontro con Altri viene giudicata, non fa
suo il giudizio che accoglie, perch il volto non sul mio stesso piano. Se cos fosse,
sarebbe ancora il ritorno dellIdentico a decidere in ultima istanza dellAltro;
leteronomia sarebbe cos riassorbita nellautonomia. La struttura della volont che
diventa bont non ha pi alcun rapporto con la spontaneit gloriosa e autosufficiente
dellIo e della felicit intesa come ultimo movimento dellessere, ma ne piuttosto il
rovesciamento Quanto pi divento esigente con me stesso, tanto pi grave si rende il
giudizio che mi riguarda, cio la mia responsabilit. E laggravarsi della mia
responsabilit accresce quelle esigenze.232
Il soggetto esce dalla sua solitudine per mettersi in rapporto con Altri; in esso io
sono il potente, mentre Altri il debole. Ma proprio per questo motivo che devo
prestargli soccorso. Facendo questo, sono in rapporto anche con Dio, perch Dio
comanda solo attraverso gli uomini per i quali necessario agire 233; ed essendo in
rapporto con Dio, sono in rapporto con la trascendenza, ovvero con quellideatum che
supera lidea di cui parlavamo prima: Linfinito il carattere proprio di un essere
trascendente in quanto trascendente, linfinito lassolutamente altro. Il trascendente
lunico ideatum di cui possiamo avere in noi solo unidea; esso infinitamente lontano
dalla sua idea cio esteriore perch infinito234.
Tale discorso possibile solo perch c Altri, il quale mantiene unesteriorit
assoluta rispetto a me e mette in questione la mia libert, facendomi scoprire indegno.
Nella scoperta della mia indegnit nasce la verit, perch questa non il Medesimo che
ritrova il Medesimo verit ontologica , ma rapporto con lassolutamente altro, con
Altri verit etica. Inoltre, in questultima il soggetto, spogliandosi dei suoi poteri
prevaricanti, accoglie Altri, prestandogli aiuto e rispettandolo nel suo essere altro.
Cartesio, a proposito dellidea dellinfinito, direbbe: bisogna avere lidea del Perfetto per
conoscere la propria imperfezione. La cosa, tradotta in termini levinassiani, significa:
bisogna aver accolto Altri per scoprire la mia indegnit.
La buona coscienza della coincidenza del Stesso sorpresa dalla coscienza della
vergogna di tale coscienza, ovvero dalla coscienza morale. Questultima, essendo
232
Cfr. E. Levinas A. Peperzak, Etica come filosofia prima, cit. pag. 44, sottolineato mio
Ivi, pag. 45
234
Cfr. E. Levinas, Totalit e Infinito, cit., pag. 47
233
termini, si pu anche dire che la filosofia deve iniziare dalla coscienza morale, se vero
come vero che essa considerata dal filosofo come esposizione della mia libert al
giudizio di Altri237; ed essendo questo, essa diventa il criterio supremo da cui dipendono
ogni giustizia ed ogni verit.
Altri, si ricordi, ci che sfugge al mio potere, anche se lo uccido, quindi non
diventer mai un oggetto del mio pensiero. Nella citazione della pagina precedente
Levinas parla del volto come rovesciamento della tematizzazione. Dire questo non
significa dire, e il filosofo lo specifica, che adesso sono io loggetto dellaltro, ma
significa rompere con la violenza delloggettivazione per far s che possa entrare in gioco
la morale, la sua coscienza.
Il soggetto ontologico un essere che si conosce, si rappresenta, si possiede,
libero perch unidentit che resta tale anche quando qualcosa vuol contestare il suo io,
ovvero anche quando qualcosa gli si vuole presentare come non-io. Lessenza della
libert, qui, limperialismo del Medesimo, che non indietreggia di fronte a nulla; anzi, il
qualche cosa di esterno diventa, per esso, solo un gioco, attraverso il quale egli continua
il suo processo identificativo crescendo sempre pi su se stesso. Ma quanto pi il
soggetto cresce su se stesso tanto pi il rispetto dellalterit dellaltro negato, tanto pi
aumenta la violenza.
Eppure, questa libert che non arretra davanti a nulla ha pur qualcosa rispetto alla
quale costretta ad indietreggiare: Altri. Ci che non poteva accadere a livello
ontologico accade a livello etico. Nondimeno, questo arretramento non uno scacco per
essa, ma la sua dignit, il suo vero senso, poich Altri la giustifica e la investe. La dignit
deriva dal fatto che Altri non garantisce alluomo dei poteri e un fondamento, ma lo
mette in questione invitandolo alla giustizia. Il processo, per, non avr mai fine, perch
la giustizia non potr mai essere soddisfatta, dato che, essendo in relazione con la
trascendenza, lesigenza della giustizia non altro che Desiderio Desiderio metafisico
, che, in quanto tale, non potr mai essere appagato. Ma precisamente questo, ovvero
limpossibilit di raggiungere la fine, di chiudere il circolo del Medesimo, a costituire la
sporgenza rispetto allessere tutto il Bene, Bont.
237
Ivi
capace di uscire dalle categorie della rappresentazione, e quindi deve essere capace di
parlare della responsabilit non in termini di presente e di dissolvimento del passato. In
altre parole, deve avere la forza di introdurre una responsabilit che sia legata ad un
passato irrecuperabile irrappresentabile che si temporalizza secondo un tempo ad
epoche separate, secondo la sua diacronia240.
Il motivo di questa esigenza deriva dal fatto che se il soggetto fosse colui il quale
decide liberamente la sua condizione di responsabile, allora assumerebbe la
responsabilit facendola diventare elemento costitutivo della sua identit; in questo caso,
e cio nel caso in cui essa soggiace alla sintesi della coscienza riflessiva che tutto riduce
a s perch tutto raccoglie in presenza, saremmo ancora al di fuori delletica, e la mia
azione responsabile non sarebbe altro che il calcolo di un essere preoccupato della cura
di s. Ma le cose non stanno cos, perch essa eccede ogni rappresentazione e quindi
ogni presente, un tempo senza origine. Ci che gli appartiene non larch, ma
lan-archia, ovvero il non inizio: La sua an-archia non potrebbe comprendersi come
semplice risalire da un presente ad un presente anteriore, come unextrapolazione di
presenti secondo un tempo memorabile, cio raggruppabile nel raccoglimento di una
rappresentazione rappresentabile241. La presenza di un passato mai abbastanza passato,
irrappresentabile, la diacronia non sincronizzabile, anteriore ad ogni iniziativa del
soggetto, che rompe con la totalit e con limperialismo del soggetto e lo fa diventare
per altri.
Sostenere, dunque, che la responsabilit prima della libert, un giudizio retto,
ma solo se non si intende questo prima come quel principio assoluto recuperabile nel
presente del cogito, bens come un prima del prima, irrecuperabile, passato sempre
passato, anteriorit pi antica dellapriori Ci fu un tempo irriducibile alla presenza,
passato assoluto, irrappresentabile242.
Limpossibilit di questa caduta del passato nel presente precisamente lal di l di
qualsiasi ontologia che elude qualsiasi tentativo di inglobare, superare, dominare Altri,
facendo di questi un qualcosa di indipendente da noi.
240
243
246
mentre nelle pagine in cui compare la citazione si sta sforzando di far capire anche la
situazione del soggetto che si mette in rapporto con lalterit).
Sostenendo la separazione della soggettivit da Altri, quindi, non la si vuole
annullare a tutto vantaggio di questultimo, ma, cos come accadeva per la libert, le si
vuole dare il giusto senso: Questo libro si presenta allora come una difesa della
soggettivit, ma non la coglier al livello di una protesta puramente egoistica contro la
totalit, n nella sua angoscia di fronte alla morte, ma come fondata nellidea
dellinfinito249; solo se lio in grado di accogliere laltro che possibile fare un
discorso circa la trascendenza. Ma lio che in grado di rispettare lalterit dellaltro un
essere separato dallaltro, che in alcun modo pu unirsi ad esso; e se tale separazione lo
fino allateismo, definito in precedenza come legoismo di un ente che rompe la
partecipazione con il divino. A questo livello, senzaltro un motivo di gloria per il
creatore laver messo al mondo un essere capace di ateismo, un essere che, senza essere
stato causa sui, ha lo sguardo e la parola indipendenti e si sente a casa sua 250; e questo
per la ragione suddetta: in tanto pu esserci rapporto del soggetto con Altri in quanto e il
primo e il secondo non si congiungono.
Certo, un essere ateo un essere che corre il rischio di essere pagano, ma per lidea
dellInfinito lessere separato deve correre il rischio del paganesimo che attesta la sua
separazione e in cui questa separazione si attua, sino al momento in cui la morte di questi
dei lo ricondurr allateismo e alla vera trascendenza 251. E solo lente ateo, ossia il
soggetto egoista e per s, che pu rompere con la partecipazione che unirebbe i due
termini della relazione luno allaltro , mettendosi cos in contatto con lAssoluto
epurandolo dalla violenza del sacro252.
Dunque lindipendenza atea dellessere separato rende possibile la relazione
asimmetrica, dato che rompe con la partecipazione, nella quale un ente, dipendendo da
un altro ente, trae il suo essere da altro, non da s (si pensi ad esempio alle cose concrete
di Platone, le quali, partecipando alle idee, ricevono il loro essere da queste ultime); la
rottura della partecipazione, invece, precisamente lesistenza di un essere che non
249
Ivi, pag. 24
Ivi, pag. 57
251
Ivi, pag. 143
252
Ivi, pag. 75
250
dipende, per cui non riceve il suo essere, ma lo trae da s (si chiarifica ulteriormente, a
questo punto, perch il Desiderio metafisico nasce in un essere che non manca di nulla).
Cos se vero come vero che la separazione atea unignoranza dellAltro da parte
dellIo, altrettanto vero che essa la condizione di possibilit della produzione
dellidea dellinfinito, la quale senzaltro al di sopra dellegoismo, ma richiede tale
egoismo.
Questa situazione delineata spinger Levinas a cambiare la nozione di Essere,
inteso non pi come monade, ossia come lunit della molteplicit, ma come pluralit:
Lessere si produce come multiplo e come scisso in Medesimo e Altro. Questa la sua
struttura ultima. E societ e, quindi, tempo. Cos usciamo dalla filosofia dellessere
parmenideo253. Il cambiamento di prospettiva mette in risalto anche che la separazione,
la quale, come abbiamo visto precedentemente, si attua concretamente come abitazione
ed economia, non deve essere interpretata negativamente, e quindi in termini di
decadenza, ovvero come caduta da un presunto Eden originario (la quale ha causato la
molteplicit), ma in termini positivi, cio come lesistenza di un essere che a casa
propria e che, proprio in virt di questo suo egoismo, in rapporto con la trascendenza.
In esso i termini non si legano perch si completano in quanto mancano luno allaltro,
ma sono termini che bastano a se stessi. La relazione metafisica realizza un essere
multiplo, il pluralismo, inaugura una societ. Ci non potrebbe verificarsi se si parlasse
in termini di svelamento, in quanto la manifestazione sarebbe accolta dalla coscienza; e
laccoglimento della coscienza non altro che il diverso che si raccoglie nellunit
dellappercezione trascendentale, la quale, per essenza, proprio la sintesi di ci che gli
si presenta come non unito.
In questo modo viene meno quella che Levinas definisce la relazione del faccia a
faccia, considerata come quella relazione irriducibile dellidea dellInfinito. In essa un
essere in rapporto con ci che non potrebbe assorbire, con ci che non potrebbe, nel
senso etimologico di questo termine, comprendere accoglimento di fronte e di faccia
dellAltro da parte mia Anche quando avessi legato lAltro a me attraverso la
congiunzione e, Altri continua a starmi di fronte, a rivelarsi nel suo volto lAltro mi
sta di fronte ostile, amico, mio maestro, mio allievo attraverso la mia idea
253
lavorando E proprio la relazione con lAltro che si inscrive nel corpo come sua
elevazione rende possibile la trasformazione del godimento in coscienza e lavoro
Cos lidea dellInfinito, che si rivela nel volto, non esige soltanto un essere separato. La
luce del volto necessaria alla separazione 255.
Ritorna, chiarendosi ulteriormente, quel siamo il medesimo e laltro di cui
parlavamo prima, perch non che ci sia prima lio e poi la messa in questione dellio,
ma lidentit ha come condizione laltro; dunque, lessere separato non si d se non in
virt della relazione metafisica, anche se resta separato da essa (deve assolversi dalla
relazione, dice Levinas), ovvero resta indipendente dal rapporto.
Ma se le cose stanno cos allora si impone una revisione del concetto di dimora di
cui abbiamo parlato nella sezione prima. In questa, dopo aver parlato del godimento (che
ora pure abbiamo scoperto come fondato dallAltro, se vero come vero che il tempo
presupposto dal bisogno mi fornito dal Desiderio 256) e della sua incertezza circa
lavvenire, effettuavamo un passaggio che permetteva al soggetto di vincere
linsicurezza del godimento. Il punto chiave che effettuava tale passaggio era
la-casa-propria: necessario, dicevamo l, che lIo, per poter vincere la preoccupazione,
sia capace di raccogliersi e di avere rappresentazioni; queste cose si producono
concretamente come dimora, la quale mi conferisce unextraterritorialit rispetto agli
elementi di cui gode la vita. Lextraterritorialit non altro che linteriorit di un essere
che esce dagli elementi e li domina attraverso il lavoro e la rappresentazione.
Ci che deve essere sottolineato, per (ed questo quello che ci mancava nel
capitolo precedente), che linteriorit della casa si produce nella dolcezza o nel calore
dellintimit. E questo un delizioso cedimento dellordine ontologico 257. La
dolcezza o il calore dellintimit per il filosofo non altro che il volto femminile, in
cui Altri si rivela. La rivelazione dAltri, per, non pu e non deve essere intesa come
lopposto che nega lio, ma nel senso di una rottura dellontologia entro la quale (rottura)
si produce la dolcezza come accoglienza nellintimit della casa. In altri termini,
laccoglienza del volto si produce originariamente nella dolcezza del volto femminile,
nella quale lente pu raccogliersi ed avere rappresentazioni, attuandosi come essere
255
separato; c bisogno, quindi, di una prima rivelazione dAltri a che si renda possibile la
dimora, nella quale c un essere che esiste separatamente.
A questo punto si impone un approfondimento del paragrafo contenuto nel presente
lavoro: Lateismo e posteriorit dellanteriore (Sez. I, Cap. II, Par. VIII). In esso,
parlando della separazione, mettevamo in evidenza il fatto che la rappresentazione, pur
essendo costitutiva, accadeva nel dopo, perch subiva il condizionamento della vita. Ora,
la tesi levinassiana consiste nel sostenere che precisamente nella preoccupazione del
godimento che si verifica la vera e propria condizione di possibilit della
rappresentazione, ossia di quel qualcosa che ci permette di parlare della rappresentazione
come una condizione condizionata. Infatti, per poter rappresentare c bisogno di un
qualcosa che non sia vissuto, perch il vivere di non mi d il tempo per potermi
raccogliere, essendo relazione immediata e diretta con gli elementi. La preoccupazione
per lavvenire, per, pur essendo il limite del godimento, in qualche modo positiva,
perch apre nellinteriorit una frontiera che non deriva ancora dalla rivelazione dAltri,
ma dal niente dellelementale. Ed proprio in virt dellaprirsi di tale frontiera che
possibile attendere e accogliere la rivelazione della trascendenza: Se linsicurezza del
mondo che, nel godimento, ha il nostro pieno gradimento, turba il godimento,
linsicurezza non potrebbe sopprimere il gradimento fondamentale della vita. Ma questa
insicurezza produce nellinteriorit del godimento una frontiera che non deriva n dalla
rivelazione dAltri, n da un qualsiasi contenuto eterogeneo ma in qualche modo dal
niente Ma cos si apre, nellinteriorit, una dimensione nella quale potr essere attesa e
accolta la rivelazione della trascendenza 258. Lesistenza dellessere separato, quindi,
presume gi una prima rivelazione del volto (che qui la dolcezza del volto femminile),
il quale si presenta come il preoriginario implicato in ogni origine, il passato presupposto
da ogni presente, lanteriorit irriducibile al puro presente della rappresentazione, la
relazione del soggetto gaudente con ci di cui non vive. La vera condizione della
rappresentazione questa presenza dAltri al femminile che mi accoglie nella casa, nella
sua intimit, rendendo cos possibile la-casa-propria del soggetto separato: La libert
totale del Medesimo nella rappresentazione ha una condizione positiva nellAltro che
non un rappresentato ma Altri 259. Ritorna in tutta la sua forza quel paradosso
258
259
anacronistico in cui lorigine tale nel dopo, ove con questa espressione non si intende
che lorigine pu essere conosciuta solo a posteriori, ma che si produce come tale solo
nel dopo.
E questo il motivo per il quale lidea dellInfinito non esige soltanto lateismo, ma
lo provoca anche. Il punto di fondamentale importanza, perch in questo modo si attua
un qualcosa che sembra impossibile (ma per questo meraviglioso, direbbe Levinas),
ovvero il legame tra legoismo e la rivelazione della trascendenza. La logica formale e la
logica dialettica non riuscirebbero a mettere in atto questo paradosso, perch per la prima
Altri (il non-A) lopposto del soggetto (A), la sua negazione, mentre per la seconda il
volto lantitesi che, in quanto tale, verrebbe assorbita dalla tesi (medesimo) tramite la
sintesi (arricchimento della tesi).
Il fatto che entrambe le logiche non riescono a parlare di una presenza dAltri che
si d sottraendosi, che lo specifico dellalterit femminile, ossia della Donna. Con
questo termine non si deve intendere la donna concreta, o linsieme delle donne, o,
addirittura, lessenza della donna, o anche il rapporto medesimo-altro in cui laltro si
mantiene nella sua dimensione di maestosit che mi interpella, ma come accoglienza,
coinvolgimento in un rapporto di familiarit che permette il raccoglimento a casa mia
come essere separato. Lalterit femminile, dunque, una condizione imprescindibile del
mio rapporto etico-metafisico con Altri, perch permette al soggetto di essere
separatamente, consentendo cos quei nuovi rapporti (La separazione si concretizza
attraverso lintimit della dimora, definisce dei nuovi rapporti con gli elementi 260) con il
mondo, derivanti dal lavoro e dalla rappresentazione, che come vedremo pi avanti,
saranno fondamentali per concretizzare tale relazione. La Donna una condizione dalla
quale non si pu prescindere perch il soggetto, per poter aggiornare la preoccupazione
per il domani, ha bisogno di tempo (cosa che non ha limmediatezza del godimento), per
mezzo del quale prende le distanze dallelementale (non pi immerso in esso), potendo
cos agire su di esso mediante la manipolazione e il pensiero. Certo, lazione del soggetto
sugli elementi data dal raccoglimento, ma questo presupposto dal Femminile, che
aggiorna il godimento estatico: La donna la condizione del raccoglimento,
dellinteriorit e della casa Altri che accoglie nellintimit non il voi del volto che si
260
Tale relazione, per, non ha come unica condizione la Donna, perch questa
una condizione, non la condizione. Se, infatti, ammettessimo solo la Femminilit
non ci sarebbe nessuna relazione metafisica, ma solo un ente che, avendo avuto la
possibilit di raccogliersi, si situato nella sua casa preoccupandosi solo di s. Sarebbe,
insomma, un soggetto economico, il cui unico impegno consisterebbe nellamministrare
gli affari della sua abitazione. Perch questo?
Dandomi del tempo per staccarmi dagli elementi, lalterit pre-etica non fa altro
che consentirmi di andare incontro ad essi per mezzo della manipolazione e della
comprensione. In questo modo, certamente io ho sospeso lavvenire incerto
dellavvenire, ma mi trovo un insieme di cose che non sono certo per laltro, bens per
me. Si verifica, cos, quella situazione in cui io sono ancora schiavo di me,
impossibilitato ad uscire dal mio essere. Se prima, nel godimento, ero prigioniero delle
cose di cui vivevo, ora sono inchiodato alle cose che ho lavorato e che ho rappresentato.
Serve, allora, un ulteriore distacco, perch per poter essere in relazione con laltro da me,
non basta solo la messa a distanza dal godimento, ma anche lallontanamento dal
possesso. Altri come Femminilit non riesce a realizzare questa seconda uscita: esso
libera solo dallimmediatezza del godimento, cio strappa solo dallimmersione
nellelementale. E evidente, di conseguenza, che per potermi liberare dal possesso
stesso instaurato dallaccoglienza della Casa per poter rifiutare sia il godimento che il
possesso, necessario che io sappia donare quello che possiedo264; difatti, per mezzo
del dono la cosa che prima era per me, poi diventa per altri.
Ora, visto che il femminile non riesce ad effettuare tale movimento,
indispensabile che ci sia un qualcosa daltro, una nuova energia, che permetta la
realizzazione di questo dono. Questo altro di cui siamo alla ricerca lo troviamo
precisamente nellepifania del volto, il quale contesta il mio potere paralizzando il
possesso. La messa in questione dellidentit cosa che abbiamo gi visto, per cui non ci
ripeteremo, ma aggiungiamo solo una citazione di Levinas: Accolgo Altri che si
presenta nella mia casa aprendogli la mia casa 265. E solo aprendo la porta che le cose
ricevono il giusto senso, perch esse sono donate ad Altri, rompendo cos con il per-s
che caratterizzava il soggetto prima della contestazione. Adesso la relazione metafisica
264
265
ha raggiunto il suo grado di concretizzazione, allinterno del quale lio diventa per altri,
visto che gli ha donato ci che possedeva. I nuovi rapporti stabiliti con lelementale
tramite il raccoglimento sono fondamentali a che il Medesimo non vada verso Altri a
mani vuote, ma con qualcosa da poter donare.
Pertanto, la relazione asimmetrica, che esige lessere separato, lo esige a tal punto
da essere presupposta dalla vita economica, per cui se da un lato la relazione
etico-metafisica con Altri la condizione di possibilit della separazione, dallaltro lato
lessere separato la condizione di possibilit delleffettivo incontro con laltro, ove
Altri non viene contemplato, ma gli viene donato ci che si ha. A questo proposito pu
essere opportuno ricordare quanto dice il filosofo stesso: Ma la trascendenza del volto
non esiste fuori del mondo, come se leconomia, in forza di cui si produce la
separazione, stesse al di sotto di una specie di contemplazione beatifica dAltri La
visione del volto come volto, un certo modo di soggiornare in una casa o, per
esprimersi in modo meno singolare, una certa forma di vita economica. Nessuna
relazione umana o interumana potrebbe esistere al di fuori della vita economica, nessun
volto potrebbe essere incontrato a mani vuote e a porte chiuse: il raccoglimento in una
casa aperta ad Altri lospitalit il fatto concreto e iniziale del raccoglimento umano
e della sua separazione, coincide con il Desiderio dAltri assolutamente trascendente. La
sua scelta tutto il contrario di una radice. Essa indica un disimpegno, unerranza che
lha resa possibile, che non un di meno rispetto allinstallazione, ma un sovrappi della
relazione con Altri o della metafisica, in cui Altri non unaltra libert arbitraria come
la mia, ma linfinito della sua trascendenza che fa saltare il cerchio chiuso della
totalit266.
Ci che salta, donando le mie cose allaltro, la monade leibniziana, identificata
come quel soggetto che non avendo porte e finestre non capace di mettersi in contatto
con ci che lo trascende, vivendo in un mondo in cui il significante messo da parte.
8. LO SPOSTAMENTO DELLA FILOSOFIA LEVINASSIANA
266
Levinas afferma un soggetto che si rende conto dello scacco della conoscenza, visto
che, nonostante tutti i suoi tentativi di sapere, si trova sempre in relazione con qualcosa
che gli rimane sempre e comunque altro da s. Questa alterit non pu essere interpretata
in termini ontologici, in quanto lessere non conosce trascendenza, ma solo immanenza,
perch tutto viene inglobato dalla coscienza che laccoglie. Ma anche facendo saltare la
riflessione non si esce da questa situazione, poich si cade nel fondo anonimo del c, il
quale tutto ingloba persino il non-essere. Difatti la questione dellessere e del
non-essere sempre interna allessenza dellessere, la quale nulla lascia che le sia in
quanto altro. Questultimo punto, per, solo lillusione di mettere da parte quellalterit
che in nessun modo si pu negare alterit radicale e che pu essere interpretata in
termini etici, perch etica un rapporto con qualcosa daltro che resta tale anche di
fronte a tutti i tentativi di tematizzazione. Lontologia, invece, essendo il tentativo della
riduzione della molteplicit allunit, mira ad inglobare la trascendenza, e quindi essa si
presenta come riduzione dellaltro al medesimo, ossia violenza del medesimo sullaltro,
prevaricazione, potenza, ingiustizia.
Nondimeno, non riesce comunque ad aver ragione dellalterit radicale, visto che
Altri non le oppone una resistenza ontologica, ma una resistenza etica, linfinito della sua
trascendenza. Alterit talmente altra dallontologia e fuori dalla portata di essa della
quale non si riesce ad aver ragione anche quando la mia spada penetra nel cuore
dellaltro. S, anche in questo caso non ho ridotto Altri a Me; certo, lho ucciso, ma non
ho esercitato una violenza assoluta, perch, nonostante io abbia posto fine alla sua vita in
quanto esistente in questo mondo, alla fine alla punta della mia spada sfuggito
qualcosa, un residuo che si potrebbe considerare insignificante, ma che, a ben guardare,
il significante stesso, ci che riveste di bont le cose: il movimento ontologico non pu
annientare il movimento etico.
Ne deriva allora che la soggettivit del soggetto non pu essere letta in termini di
essenza, ma in termini di etica, perch se c questo altro irriducibile etica allora io
non sono per me, ma per altri. Ma essere per altri non un qualcosa che funziona solo a
livello formale, bens si concretizza nellesperienza quotidiana, nella quale io dono
allaltro uomo ci che possiedo.
Levinas davvero un filosofo morale; ma per essere tale, egli si rende conto che
bisogna uscire dallontologia, la quale, checch se ne dica, si caratterizzata sempre per
la mancanza di tempo, in quanto ha sempre ridotto tutto al presente, rispetto al quale
passato e futuro sono sempre entro di esso.
Ci rendiamo conto, a questo punto, che laffermazione di un tempo non circolare
implica una uscita dal presente. Ma come pu accadere una situazione del genere? Essa
si afferma nella misura in cui il passato resta sempre, ossia nella misura in cui il passato
irriducibile (al presente). Di conseguenza, il passato sar sempre passato. E solo cos
che ci si pu mettere in contatto con Dio, da non intendersi, per, n come il dio
dellHinterwelt (gi smascherato da Nietzsche), n come lEssere heideggeriano (messo
in crisi da Levinas stesso).
La filosofia levinassiana, dunque, si presenta come un tentativo di dire la
trascendenza. Ora, la nostra domanda : lintento stato raggiunto?
J. Derrida, negli anni sessanta, si poneva lo stesso problema, perci la nostra
risposta sar data sulla base della risposta data da questultimo in tale periodo e cercher
di mettere in evidenza le reazioni di Levinas nei confronti di questa critica, che
senzaltro si presenta come una delle pi acute della concezione levinassiana. Stiamo
parlando dellopera Lcriture et la diffrence, allinterno della quale un saggio
commenta il primo capolavoro del filosofo della trascendenza, ovverosia Totalit et
Infini.
La riflessione comincia mettendo in evidenza il pensiero di Levinas, il quale
vuole essere un pensiero che esce dalla categoria di unit, che stata sempre la
categoria privilegiata della filosofia occidentale, fin dalla sua nascita, ovvero fin dal
tempo e dallo spazio in cui essa nata: la Grecia, cinque secoli prima dellavvento
di Cristo.
Essendo una filosofia al di l dellunit, prosegue il filosofo, essa vuole essere
altra dallessere; ma essere altra dallessere significa essere altra dal logos greco,
ovvero andare verso laltro del Greco 267, lEbreo. Inoltre, essendo questo, cio
una volont poderosa di scavalcare la Grecia e di proporre una nuova metafisica (di
tipo etico), Levinas si impegna nel confronto con quei due Greci che ancora sono
267
Cfr. J. Derrida, La scrittura e la differenza, saggio Violenza e metafisica, Einaudi Paperbacks Filosofia, pag. 104
270
. La non presenza in originale dellaltro, dunque, fa incontrare allio Altri come fenomeno, ossia non in
modo originale, ma derivato: ecco il fenomeno intenzionale dellio. Ci, per Derrida, permette non solo di rispettare lassoluta alterit
dellaltro, ma anche di salvaguardare laltro dalla violenza estrema del silenzio e della riduzione a nulla per me. In altri termini, se
dellaltro non ci sarebbe nemmeno lintenzionalit derivata, la quale mi consente una qualche conoscenza di esso, si cadrebbe nella
riduzione a nulla della trascendenza. Per evitare questo, allio non rimane altro che riconoscere laltro come l alter ego, ossia come
alterit diversa da quella del mondo. Difatti, se laltro non fosse riconosciuto come un altro io trascendentale sarebbe nel mondo, di cui
io sono origine. Questa sarebbe, di conseguenza, la vera violenza, perch la sua alterit svanirebbe. Pertanto, laltro come alter ego,
significa laltro come altro, irriducibile al mio ego, proprio perch ego, ha la forma dellego per cui laltro, dunque, non sarebbe
quello che (il mio prossimo come estraneo), se non fosse un alter ego
271
Per quanto riguarda Heidegger, anche qui Derrida osserva che c un difetto
interpretativo di Levinas su questo filosofo, in quanto la riconduzione di altri alla
precomprensione dellessere, il quale non un ente tra gli altri, proprio ci che
permette di non subordinarlo a qualsiasi altro ente e di rispettarlo per ci che , cio
altro, rendendo cos possibile la relazione etica.
268
Cfr. G. Ferretti, Alterit e trascendenza. La filosofia di Levinas, Rosenberg & Sellier, pag. 107
273
Bench la seconda opera si ponga sulle stesse linee di pensiero della prima, infatti,
essa apporta delle novit che non possono essere trascurate, perch segnano uno
spostamento.
La prima senzaltro relativa al linguaggio, come sottolinea il filosofo stesso:
Altrimenti che essere e al di l dellessenza nel quale il linguaggio ontologico di cui si
serve ancora Totalit e Infinito evitato274. Due sono le considerazioni che
emergono da questa frase. La prima relativa a Derrida stesso, il quale, come detto
pocanzi, aveva osservato che il linguaggio utilizzato da Levinas era essenzialmente
ontologico. Il fatto che questultimo si preoccupi di proporre un nuovo linguaggio
significa che egli aveva, seppur parzialmente, condiviso la critica nei suoi confronti, o
almeno laveva problematizzata. Rispetto a questo, lattuazione di un nuovo linguaggio,
ovvero di un linguaggio etico che sia veramente in grado di realizzare lo scopo
levinassiano: dire la trascendenza. La novit del linguaggio la si pu notare nel fatto che,
come ha sottolineato Peperzak275, molte delle parole chiavi del libro antecedente (es.
totalit, esteriorit, metafisica, investitura ecc.) quasi scompaiono nel successivo, ove
compaiono termini del tutto nuovi o solo accennati in precedenza (es. prossimit,
espiazione, ossessione, ostaggio, traccia, illeit ecc.).
Non si deve pensare, per, che la causa di tale cambiamento sia stato solo Derrida,
come non si deve pensare che questa del linguaggio sia la sola e unica differenza tra le
due opere. Infatti, bench il pensiero fondamentale del filosofo sia lo stesso, in
Autrement qutre ou au-del de lessence, come evidenzia ancora Peperzak, cambiato
il punto di vista; in altri termini, il filosofo ha scelto un altro punto di vista per
avvicinarsi alla trascendenza e allInfinito: il soggetto. La cosa dimostrata dal fatto che
mentre nella prima opera era Altri e il suo volto ad avere il ruolo privilegiato, adesso tale
posizione ricoperta dallIo, ossia da quel soggetto che incontra Altri e che da tale
incontro sradicato dallessere, dal suo egoismo basato sul conatus essendi.
E nostra convinzione che sia precisamente qui, ossia in una maggiore
radicalizzazione del soggetto, che si produce una vera e propria fissione della
soggettivit, la quale nel libro precedente era stata solo accennata.
274
275
276
Come si pu notare, non si tratta di una vera e propria esplosione, perch il soggetto
comunque si ipostatizza, ovvero diventa tale, per mezzo dellidentit raggiunta nel
godimento e nella dimora. La messa in questione di Altri la messa in questione della
sua ipostatizzazione, che rende possibile il dono del mondo in possesso dello Stesso. La
cosa ulteriormente confermata dal fatto che lidea dellInfinito richiede, oltre
allalterit, anche lidentit, ossia lente separato dallessere e da Altri. In sintesi, non si
pu parlare di una vera e propria fissione perch il soggetto mantiene la sua realt di
ipostasi per il tramite dellidentit (che gli permette di emergere dallessere come il y a),
anche se questa viene contestata da una presenza che non appartiene allontologia, ma
altra da essa.
In Autrement qutre ou au-del de lessence, invece, laccentuazione della
riflessione sulla soggettivit etica porta ad una situazione che mette talmente alle strette
lidentit del soggetto fino al punto da provocarne lesplosione. La chiave di volta che
provoca la detonazione va ricercata nel registro delletica, la quale, sotto la forma della
prossimit, diventa lipostasi della relazione in una soggettivit ossessionata, di
unossessione non reversibile280. In questa opera, cio, il principio della costituzione
dellipostasi non ricercato pi a livello ontologico lidentit , ma a livello etico la
prossimit; e questo significa che la mia realt di soggetto non si ipostatizza pi per il
tramite dellontologia, ma in virt delletica. Il soggetto non pi il Medesimo che
emerge dallessere e accoglie lAltro, ma espulsione dallessere, ossia una passivit
radicale che scardina lidentit. La sua unicit diventa, cos, ununicit senza
identit281, la quale non altro che la mia insostituibilit etica: Io sono uno e
insostituibile uno in quanto insostituibile nella responsabilit 282. A rigore, il termine
identit dovrebbe essere abbandonato, per Levinas continua a pronunciarlo anche a
questo nuovo livello; ci accade non perch il filosofo cade in contraddizione, ma perch
non lo intende pi in senso ontologico, ovvero come identificazione del diverso, bens a
livello etico. Egli non fa altro che stravolgere talmente tale termine da farlo uscire dalle
categorie dellessere per fargli acquistare un altro significato, quello etico. In questo
senso, lunit, lunicit, lirriducibilit del soggetto consiste nella sua irrecusabile
280
Ma se la mia unicit tale nella mia uscita fuori di s, allora soltanto laltro pu
rendermi me stesso (Levinas, a questo proposito, parla anche di maternit, intesa come
gestazione dellaltro nel medesimo), per cui la soggettivit viene ad essere strutturata
come laltro nel medesimo messa in questione di ogni affermazione per s, di ogni
egoismo che rinasce in questa ricorrenza stessa. (Messa in questione che non una
messa in scacco)287. Il soggetto cos inteso non altro che il movimento stesso della
ricorrenza, ovvero di quella contrazione esasperata che fa esplodere i limiti dellidentit.
Qui non si tratta di definire un io che in s attraverso gli altri che mi interpellano,
ma laltro nel medesimo in quanto io mi sostituisco allaltro assumendo su di me le
sue stesse responsabilit. In questo senso la parola Io significa eccomi, rispondente di
tutto e di tutti. La responsabilit non un ritorno a s, ma una contrazione esasperata che
i limiti dellidentit non possono trattenere. La ricorrenza diviene identit facendo
esplodere i limiti dellidentit, il principio dellessere in me, lintollerabile quiete in s
della definizione288. Lio, cio, si identifica con se stesso nelloffrirsi senza riserve
allaltro, fino a sostituirsi a lui nella responsabilit delle sue colpe. Anzi, fino a sentirsi
responsabile di tutto e di tutti, diventando cos lAtlante che raccoglie sulle proprie spalle
lintero universo. Questa raccolta altra rispetto a quella dellIo Penso, perch non
avviene nellidentit ontica, bens nella responsabilit etica: Il S sub-jectum: sotto
il peso delluniverso responsabile di tutto. Lunit delluniverso non ci che il mio
sguardo abbraccia nella sua unit dappercezione, ma ci che da tutte le parti mi
incombe, mi riguarda nei due sensi del termine, mi accusa, mio affare 289.
La nozione di sostituzione il punto culminante dellesplosione della soggettivit.
Infatti, nel soggetto responsabile per altri il s tale attraverso gli altri che lo
interpellano o lo perseguitano, mentre nella sostituzione il soggetto raggiunge la sua
soggettivit, e quindi la sua unicit, nel suo sostituirsi allaltro, ossia nel suo essere
Altro-nello-Stesso.
Ora la soggettivit ha veramente trovato un legame diverso da quello che la
costringeva allessere, in cui corrispondeva alluguaglianza di s a s. Ora non si pu
ragionare pi in termini ontologici, ma si deve parlare con un linguaggio etico, per cui il
287
290
291
Capitolo Secondo
ETICA, ONTOLOGIA E TRASCENDENZA
1. LETICA
Lesplosione della soggettivit porta ad un soggetto che altro dallontologia, in
quanto esso si struttura eticamente, ovvero come altro-nello-stesso, facendo s che la
trascendenza, pur interna allautonomia, resti sempre tale, e quindi non si riduca
allimmanenza. Ci troviamo di fronte ad una vera e propria soggettivit etica, la quale,
irriducibile allessenza dellessere, riceve ma senza assumerla lidentit dallalterit,
che la fa essere unica nellinsostituibilit di demandare ad altri la sua responsabilit.
Questalterit radicale, che rimane sempre altra rispetto al soggetto, non qualcosa che,
venendo dal di fuori, trova un soggetto gi costituito (come invece ancora accadeva in
Totalit et Infini, anche se comunque questo stesso soggetto presupponeva a sua volta
una prima rivelazione dAltri), ma essa stessa costitutiva dellidentit.
In questo modo lo strato pi profondo dellumano non pu essere pensato in termini
di coscienza, e neppure essere descritto come lo Stesso, ma deve essere pensato come
lAltro-nello-Stesso. I trattini tra queste tre parole sono fondamentali, perch indicano il
legame irriducibile delle stesse, senza che un termine risucchi laltro. Ma allora si deve
ammettere che la soggettivit non altro che lo Stesso gi da subito aperto allAltro a
quellAltro che non pu n afferrare, n comprendere, n contenere, n anticipare , gi
da subito rivolto verso di lui senza poterlo mai raggiungere.
Questa originaria apertura dellinterno allesterno quella che si definisce, nella
filosofia levinassiana, responsabilit per altri, che rompe i legami con lontologia per
diventare fondamentalmente etica. La morale un qualcosa di diverso dal sapere, il cui
quale era sgorgata; evadere s dallessere, quindi, ma per ritornarvi. Il ritorno ad esso
essenziale perch solo nel movimento del ritorno che finalmente lEssere trova il giusto
senso. Di conseguenza, questo trova il senso nellaltro da s, perch nellal di l
dellessenza il vero senso dellessere, per cui concetti come giustizia, responsabilit,
ecc., possono essere concreti solo nel registro della manifestazione, considerata non pi,
ora, come violenza, ingiustizia, potenza, sovranit; non pi: c stato lintervento etico,
che ha dato traccia di s nel piano dellessenza.
A sua volta, lessere condiziona letica stessa, perch se esso non ci fosse, questa
non potrebbe prodursi, in quanto gli mancherebbe quellorigine a partire dalla quale
significante. Senza lessere laltrimenti che essere non ha senso, perch esso non
qualcosa che si trova al di fuori del mondo (si ricordi quanto detto nella Prefazione di
questa esposizione, ove si metteva in risalto il fatto che era solo a partire dalloriginario
che si poteva risalire al preoriginario). Indubbiamente letica prima dellontologia,
ma si produce a cose fatte, attraverso la riduzione dellontologia. Il mondo pi
umano di cui alla ricerca questa filosofia abbisogna e delletica e dellessere, e in
nessun modo svilisce luno o laltro. Certo, assegna un primato, subordina a livello di
dignit, ma non svaluta la sfera della tematizzazione. Questo pensiero si rende conto che
letica veramente tale non solo quando, formalmente, ci si accorge che noi siamo
pre-originariamente in rapporto con lestraneo, ma anche quando dal formale si passa
alla concretezza della responsabilit, la quale mette in gioco un io che vede il dolore di
altri e lo aiuta ad alleviarne le sofferenze; mette in gioco, in altre parole, un soggetto che
si dedica allaltro e fa di tutto per toglierlo dalle difficolt. Un soggetto che fa questo, e
che addirittura nel fare ci considera laltro pi importante di s, il vero soggetto etico.
Ecco perch lessere fondamentale; esso, se riceve il senso dalletica, permette di
rendere empiricamente pi umano luomo. La critica levinassiana ad esso una
riflessione che mette in questione lassolutizzarsi dellessenza, perch lessere che non
presenta tracce della trascendenza quel Medesimo che vive solo nella piena
soddisfazione di s o almeno questo il suo intento.
Anche la filosofia ha questo compito. Essa deve dire lindicibile, deve vedere
linvisibile, senza, per, assolutizzare la tematizzazione.
Tutto sta, per capire lessenza del discorso levinassaino e, conseguentemente, per
chiarire la situazione appena descritta, nel distinguere loriginario e il pre-originario. Il
primo quellinizio di cui si sempre occupata la filosofia, considerato come ci a
partire dal quale tutto e al quale tutto torna; esso pu essere identificato con il dio
dellHinterwelt criticato da Nietzsche. Il secondo, invece, in quanto prima del prima,
non unessenza che sussisterebbe in un ipotetico iperuranio, ma si produce solo
nellinterminabile riduzione del pensiero che riconduce lorigine alla sua significativit
pre-originaria (risalita dalla manifestazione al suo significato). Proprio in quanto
impossibilit di origine accessibile al pensiero e alla rappresentazione, letica non pu
essere ricordata e afferrata dal presente della rappresentazione, perch essa non stata
mai presente. Ma questo significa che non che ci sia prima letica e poi lessere, bens
che il senza inizio si esprime a partire dallinizio; questo il senso della frase derridiana:
Posteriore di fatto, la metafisica come critica dellontologia di diritto e
filosoficamente prima294. Non tragga in inganno il fatto che questo riferimento a Derrida
sia vecchio, nel senso che, al momento in cui tale filosofo faceva questo tipo di
commento, ancora Autrement qutre ou au-del de lessence non era venuto alla luce.
Sotto questo punto di vista, qui non subentrata nessuna differenza, come invece
accaduto per la soggettivit e per il linguaggio; tuttal pi si dovrebbero cambiare i
termini, e, di conseguenza, la frase potrebbe essere trasformata nel modo seguente:
Posteriore di fatto, letica come messa in questione dellontologia di diritto e
filosoficamente prima. Essa, quindi, esige la riduzione della dimensione ontologica e non
si d senza di essa.
La posteriorit delletica prima perch essa il presupposto dellorigine (le d
senso): perci c anacronismo. Ma essa prima perch si produce a cose fatte, cio
dopo, attraverso la riduzione dellontologia. Non possiamo ragionare in termini
cronologici, perch se lo facessimo salterebbe il discorso levinassiano e negheremmo ci
che il filosofo vuole affermare. Infatti, cronologicamente dovremmo dire che c
innanzitutto unorigine e poi viene la separazione da essa. In questo caso cadremmo
nellessenza dellessere e nellerrore della filosofia occidentale, continuando in una
294
Cfr. J. Derrida, La scrittura e la differenza, saggio Violenza e metafisica, cit., pag. 122
2. CREAZIONE EX NIHILO
296
Cfr. postilla di F. Ciaramelli, Lanacronismo, in E. Levinas A. Peperzak, Etica come filosofia prima, cit., pag.
165
esso ha obbedito prima di intendere lordine. Cos nella creazione ex nihilo a meno che
non sia puro non-senso pensata una passivit che non pu essere capovolta e assunta
e, cos, il s come creatura pensato come in una passivit pi passiva della passivit
della materia, cio al di qua della virtuale coincidenza di un termine con se stesso 297.
Lambito dellontologia, dunque, tende a negare quel soggetto il cui luogo il
non-luogo donde deriva, come dimostra il concetto religioso della creazione ex nihilo.
Questultima ha a che fare con il tempo irrecuperabile, ed la dimostrazione della
soggettivit etica, dato che proprio la situazione di un essere che viene dal nulla,
ovvero da un passato che non mai stato presente e che perci non pu essere fatto
nuovamente tale. Certo, in essa c senza dubbio una passivit del soggetto, ma una
passivit talmente radicale che rende possibile una creatura non pi dipendente da
qualcosa, quindi non partecipante a niente, e perci atea, separata. La sua indipendenza,
per, non soltanto in rapporto allessere, ma anche in rapporto a Dio; ci rende
possibile il fatto che egli sia una novit rispetto al Creatore, un qualcosa di separato. Il
concetto di creazione, dunque, non semplice negazione, ma separazione,
autolimitazione da parte del Creatore affinch laltro abbia luogo. Se cos non fosse, e
quindi nel gioco dei rimandi si potrebbe risalire alla causa prima, verrebbe meno il
discorso appena fatto, perch si arriverebbe a quel principio a partire dal quale il
soggetto nasce, ossia a quellistante che tutto ingloba e tutto rende possibile. Con lidea
di creazione, invece, ci non pu accadere, perch, se volessimo risalire alla nostra
origine, al nostro luogo natio, non potremmo. Limpossibilit viene dal fatto che io sono
nato dal nulla, e questo significa che al mio fondo non c il presente, ma il nulla, il
non-luogo: vengo dal nulla, da non so da dove, e perci rompo con lidea di
partecipazione, la quale mi fa imparentare con quel Medesimo che ritrova se stesso nella
coscienza di s, destrutturando cos quellindividualit che pu essere tale solo se unica
ed insostituibile nella responsabilit, cio solo se la mia origine la mancanza
dellorigine, la relazione originaria con lestraneo: La grande forza dellidea di
creazione, quale la formul il monoteismo, consiste nel fatto che questa creazione ex
nihilo non perch questa costituisca unopera pi miracolosa dellinformazione
demiurgica della materia, ma perch, con essa, lessere separato e creato non
297
semplicemente venuto dal padre, ma gli assolutamente altro. Anche la caratteristica del
figlio potr apparire essenziale per il destino dellio solo se luomo conserva questo
ricordo della creazione ex nihilo, senza di cui il figlio non un vero altro298.
A differenza dellio come superuomo, che, nel momento in cui accade
nellattimo della decisione chiama la storia del mondo la sua storia, lio anarchico
una distanza rispetto al presente che gli permette non di recuperare tutto quello che
sarebbe potuto essere, ma di essere un nuovo inizio in relazione con lestraneit. La
relazione asimmetrica possibile solo perch lidea di creazione rompe lidea della
totalit, instaurando in tal modo la societ, in cui la molteplicit viene prima dellunit.
Per mezzo di questo motivo, allora, i concetti di limitazione dellInfinito e di infinizione
dellInfinito non sono affatto contraddittori, ma indicano proprio la relazione del
soggetto con la trascendenza. Il fatto che questultimo sia creato e non creatore significa
lirrealizzabilit della teoria delleterno ritorno dellidentico, nella quale cera una
volont che si voleva a tal punto da sconfiggere il suo rovello non poter volere a ritroso
fino a mettere le mani sulla sua genesi, diventando assoluta, incondizionata.
Il passato pre-originario che si traduce come elezione, come responsabilit per
laltro rompe con la categoria dellEssere, e perci significante prima di esso.
Precedentemente ad ogni mia scelta, a ogni mio volere, io sono stato eletto: un ordine
nuovo viene a farsi presente; unico prima di essere, io sono ricondotto ad un passato
irrappresentabile ed inavvicinabile, sono ricondotto allesterno di qualsiasi possibile
tematizzazione. Anacronisticamente, prima di essere (presente), io sono in un passato
che non mai stato. Il se stesso viene da un passato che non saprebbe ricordarsi, non
perch lontanissimo, ma perch non fatto per il presente. Di conseguenza, il soggetto
eteronomo, non autonomo, perch si trova allaccusativo prima di avere fatto qualcosa;
soggetto come sub-jectum, dunque, ossia assoggettato allalterit, che mi fa un appello
anteriore al mio udire lappello stesso. Lingenuit consiste, in questo senso, nel
trascurare la nozione di creazione cos come labbiamo descritta, cio consiste nel
credere che sono come lio fichtiano, il quale tutto pone (finanche il non-io).
Ma non bisogna credere che tale tematica miri a smantellare lonnipotenza dellio
per affermare quella di Dio. La cosa che emerge da questo discorso di Levinas che alla
298
Parole di Jonas citate in B. Borsato, Lalterit come etica. Una lettura di Emmanuel Levinas, Edizioni
Dehoniane Bologna, pag. 135
Se non si capisce lorigine a partire dal nulla, non potremmo mai parlare di un
essere morale, perch dovremmo partire dal presupposto che tutti gli enti hanno, al loro
fondo, leternit, in seno alla quale essi si confondono perch in essa non si distingue lio
e laltro ( tutto Medesimo, Totalit). E precisamente da questa nozione del sempre
presente che il pensiero filosofico guidato dallontologia partito, facendo di questo
fondo la matrice comune di tutti gli enti; matrice comune che rimasta anche nella
critica heideggeriana dellobiettivit, visto che quel verbo essere che ha fatto risuonare
non altro che un altro modo per dire dellorizzonte entro il quale tutti gli enti si
racchiudono. Il passato irrecuperabile, invece, mette in atto un essere che non solo non
riesce a recuperare la sua origine, ma anche non riesce a comprendere Dio: Creatura,
ma orfana di nascita o atea, che senza dubbio ignora il suo Creatore, poich se lo
conoscesse recupererebbe ancora il proprio inizio 302. Recupero della propria origine e
conoscenza di dio sono la stessa cosa, perch se il soggetto risalisse alla sua genesi
sarebbe un ente assoluto che ha percorso un movimento circolare al cui ritorno ha
conosciuto anche la divinit, in quanto, non avendo ormai niente fuori di s, sarebbe esso
stesso dio; chiaramente, il discorso non muta nel caso inverso.
Fortunatamente, questo non accade, in quanto c quellanarchia intesa come
passivit pi passiva di ogni passivit che attesta lesistenza di un essere separato che
in relazione con la Trascendenza. La separazione non quindi leggibile come peccato
originale, ossia come caduta da un presunto stato eterno in cui non cera mancanza
(schema ontologico), ma come bont; bont originaria della creazione, della separazione.
Ci che viene smantellato, in questo discorso sulla creazione, la credenza che ci sia una
sostanza irriducibile al nostro fondo che d ordine alle cose (credenza che e i filosofi e la
teologia hanno portato avanti quando hanno ragionato di essa; ci accaduto perch
hanno pensato che questa non era altro che la causa prima, dalla quale tutte le cose la
molteplicit derivano).
Ci rendiamo conto, a questo punto, che la nozione di creazione quale la intende
Levinas un punto fondamentale della sua filosofia, perch mette in scena unanarchia
irriducibile
al
presente
che
precisamente
ci
che
il
filosofo
definisce
dellEssere, viene prima di esso e gli d un senso. Esso non potrebbe farsi presente, n
rappresentarsi, per cui coinvolge la soggettivit prima che essa abbia prodotto la
tematizzazione, ovvero prima che essa lo abbia scelto liberamente. La diacronia che la
sua peculiarit questo rifiuto della sincronia, il non tematizzabile per eccellenza. Tale
eccezionalit effettivamente il soggetto votato allaltro anteriore allascolto del suo
appello, come se io avessi contratto il debito senza averlo contratto. E proprio a questo
livello che lio si identifica, perch lidentit gli viene dal di fuori. Sappiamo gi che non
si tratta della quiddit identica dellontologia, ma del soggetto che si identifica in quanto
lunico nella responsabilit. La vita, cos, si trova votata allaltro; votata, e non
votantesi: il vivente un volente non volutosi che si ritrova gi dedito allaltro malgrado
s: Il malgrado s segna questa vita nel suo stesso vivere 303. Questo concetto serve per
ribadire come la bont del Bene, possibile solo in un essere che venuto dal non-luogo,
dal nulla, sia anteriore a qualsiasi impegno volontario. Difatti, la locuzione suggerisce, a
livello generale, che c una passivit a fare qualcosa, come se io non potessi potere su di
essa, ma che, mio malgrado, io sia in riferimento ad essa.
Se non ci fosse questa anarchia il soggetto responsabile non sarebbe veramente tale,
perch esso presupporrebbe un agire che segue la logica, cio presupporrebbe un essere
che ha raggiunto la conoscenza ed ora si impegna verso ci che il sapere gli suggerisce
essere la cosa pi giusta. Un io di siffatta risma, per, sarebbe ancora autocostituzione
nella sintesi attiva che raccoglie la dispersione temporale, ove il tutto qualsiasi
dispersione e qualsiasi eccezione viene ridotto al presente, in cui vive chi si preoccupa
solo e costantemente di se stesso.
Questa situazione insostenibile, perch dimentica luomo che si approssima ad
altri. Ma che cosa la prossimit?
Il filosofo considera tale termine come la significazione stessa della soggettivit:
Essa la prossimit, ma la prossimit la significazione stessa della significazione,
linstaurarsi stesso delluno-per-laltro, linstaurarsi del senso che ogni significazione
tematizzata riflette lessere La soggettivit non precede la prossimit per poi
impegnarsi successivamente in essa. E, al contrario, nella prossimit, che rapporto e
termine, che si annoda ogni impegno304.
303
304
Ivi, pag. 65
Ivi, pag. 106
305
Cit. in E. Levinas A. Peperzak, Etica come filosofia prima, cit., pag. 149
riferimento
allessere
(si
pensi
quello
che
abbiamo
detto
Lo stesso vale per altre espressioni, quali esposizione sempre da esporre, denudazione
della denudazione, significanza stessa della significazione, infinizione dellinfinito,
finizione della finitezza che finisce, comunicazione della comunicazione, origine
stessa dellorigine, materialit pi materiale di ogni materia, intelligibilit
dellintelligibile ecc. Tramite questo processo di enfasi, allora, quelli che sono concetti
tipici dellontologia diventano tutti di natura etica (esempio da soggettivit a
soggezione ad altri, da sensibilit ad esposizione ad altri, da differenza a
non-indifferenza, da identit a sostituzione).
Bisogna aggiungere, per, che la tecnica del disdire pi fondamentale di quella
dellenfasi, perch essa vale anche per questultima. Infatti, lesasperazione, dicendo
laltro dellessere, non fa altro che oggettivarlo; per evitare che la dimensione etica si
irrigidisca nellontologia necessario disdire ci che si appena detto, seppur
enfaticamente (Levinas, infatti, nellultimo capitolo dellopera Autrement qutre ou
au-del de lessence non fa altro che dire altrimenti ci che ha appena detto).
Le ambiguit di queste novit portano il filosofo ad insistere su queste tematiche: da
qui la distinzione tra Dire e Detto.
Prima di procedere innanzi, per, opportuno sottolineare il metodo della
filosofia levinassiana, poich lesplicazione di esso ci permetter di analizzare pi
approfonditamente questi due vocaboli.
Diciamo subito che il filosofo procede mediante il metodo fenomenologico, inteso,
come accennato nelle pagine precedenti, come analisi intenzionale, nella misura in
cui questa significa la restituzione delle nozioni allorizzonte del loro apparire, orizzonte
misconosciuto, dimenticato o spostato nellostensione delloggetto, nella sua nozione,
nello sguardo assorbito dalla sola nozione309. La prima cosa che viene in mente,
riguarda il fatto che se Levinas usa il metodo fenomenologico, la sua filosofia si rif ad
Husserl; infatti, le nostre analisi rivendicano lo spirito della filosofia husserliana di cui
la lettura stata il richiamo, nella nostra epoca, della fenomenologia permanente come
metodo di ogni filosofia310.
Bisogna precisare, per, che il filosofo husserliano e non-husserliano, in quanto
se vero che il metodo lo stesso (da ci che appare alle loro condizioni di possibilit),
309
310
altrettanto vero che, nelluguaglianza, c una grande differenza, poich mentre nel
pensatore tedesco c unorigine (per cui la riduzione fenomenologia arriva a quella
coscienza donatrice di senso), in quello francese lorigine la mancanza di origine, per
cui mai e poi mai si potrebbe risalire allarch, ma solo al pre-originario. Pi
precisamente, mentre Husserl fa sempre un discorso sullessere, Levinas fa un discorso
sullaltro dellessere, sullal di l. Il fatto che, in un certo senso,
Husserl ha ragione, perch quellorigine di cui alla ricerca e che trova non altro che
lapparire dellessere. Solo che cade in errore perch pensa, una volta trovato larch,
che ci si possa fermare, trascurando il fatto che lintelligibilit dellessenza non
lultima legittimazione della filosofia, il cui ultimo scopo invece la trascendenza,
lanarchia. Questa la vera significazione della significazione, perch essa non altro
che responsabilit-per-laltro, relazione con lalterit, il cui apice la sostituzione, nella
quale lio diventa eccomi per gli altri, rispondente di tutto e di tutti.
Nonostante questa dimenticanza, per, il merito gli deve essere riconosciuto, perch
il filosofo della fenomenologia ha fatto balenare lidea di un oltrepassamento del
pensiero oggettivante attraverso unesperienza dimenticata di cui esso vive. Grazie a ci,
noi abbiamo la possibilit di un nuovo modo di pensare: La fenomenologia, come ogni
filosofia, insegna che la presenza immediata presso le cose non comprende ancora il
senso delle cose e, di conseguenza, non sostituisce la verit. Ma a Husserl, al modo in cui
egli ci invita a superare limmediato, noi dobbiamo delle nuove possibilit di
filosofare La riduzione fenomenologia dunque unoperazione attraverso la quale lo
spirito sospende la validit della tesi naturale dellesistenza per analizzare il senso del
pensiero che lha costituita e che, a sua volta, non pi parte del mondo, ma viene prima
del mondo311.
La positivit, dunque, consiste nel fatto che non nel mondo che possiamo dire del
mondo, mentre la negativit consiste nel ritrovare, allinizio, la coscienza costituente. In
sintesi, la stima di Levinas verso Husserl consiste nel fatto che questultimo si pone il
problema dellorigine del senso (perci lepoch), anche se cade in errore facendo del
soggetto linizio di esso: Per Husserl la coscienza il fenomeno stesso del senso 312. La
differenza fondamentale, perch se vero come vero che la filosofia e per luno e per
311
312
laltro problema del senso, luno risale alloriginario, mentre laltro al pre-originario.
In questultimo caso, la descrizione fenomenologia risalita da qualcosa a qualche cosa
daltro deve andare non allarch, ma al senza-inizio, alla diacronia del medesimo e
dellaltro, e non fare dellaltro un fenomeno dellego. Nella riduzione fenomenologica
non sono valide, di conseguenza, le regole husserliane, perch la fenomenologia non
trasformare i fenomeni in cose in s 313, ossia ricercare il fondamento, il riposo del
Medesimo, ma consiste nel mettere letica prima dellontologia. Solo in questo senso si
pu parlare della filosofia levinassiana come filosofia trascendentale, ove per
trascendentale si intende lanteriorit di qualcosa (letica) rispetto a qualche altra cosa
(lontologia), ma non nel senso di principio da cui tutto deriva e a cui tutto torna:
letica prima dellontologia. Essa pi ontologica dellontologia, pi sublime
dellontologia. E da qui che proviene un certo equivoco secondo il quale essa sembra
applicata sopra, mentre prima. E dunque un trascendentalismo che comincia con
letica314. Lo scopo diventa allora una risalita dallorigine al di qua dellorigine, in cui lo
spirito non resta pi fondato sullessere, sulla sua presenza, come se fosse lavvenimento
stesso di questa presenza.
Concretamente, il metodo fenomenologico non altro, per Levinas, che una risalita
dal Detto al Dire, un ridurre il Detto al Dire: Il Detto in cui tutto si tematizza in cui
tutto si mostra nel tema conviene ridurlo alla sua significazione di Dire, al di l della
semplice correlazione che sinstalla tra il Dire e il Detto; conviene ridurre il Detto alla
significazione del Dire, liberandolo al Detto filosofico sempre ancora da ridurre 315. Solo
in questo modo si pu dire la trascendenza: Il risalire verso il Dire la Riduzione
fenomenologia in cui lindescrivibile si descrive 316. Si capisce chiaramente, ora, che la
risalita non porta allevidenza indubitabile del sapere della coscienza trascendentale, ma
porta a disdire il Detto per risalire dal Detto al Dire, cio dal piano ontologico
313
Cfr. E. Levinas, Di Dio che viene allidea, cit., pag. 113, corsivo mio
steso momento in cui diciamo qualcosa su di esso, questo viene consegnato al Detto
perch tematizzato. Non resta, allora, che rifare il lavoro, continuamente. Solo in questo
modo possiamo risalire alla significazione della significazione, cio a quel Dire che si
configura come dire-qualcosa-a-qualcuno, esposizione allaltro, ove laltro il
prossimo. Qui il discorso non pi maieutica (schema privilegiato della filosofia come
ontologia fin dalla sua nascita), ma relazione con laltro da s, differenza che si traduce
come non-indifferenza nei confronti dellaltro. Si potrebbe pensare, per, che se ogni
dire del Dire si consegna al Detto, allora la tecnica del risalita fenomenologica inutile.
Non cos, in quanto essa non solo fa risalire al pre-originario, ma anche riesce ad
imprimere nel secondo la traccia del primo, provocando cos luscita dalla filosofia come
filosofia della potenza e, conseguentemente, dellingiustizia.
Che ci sia possibile, cio che il Dire non si esaurisca nel Detto, dimostrato
dalleterno ritorno dello scetticismo, il quale, nonostante le accuse di contraddizione,
possibile. Il motivo va ricercato nel fatto che esso pone un intervallo irriducibile tra il
Dire e il Detto, mostrando cos la possibilit di un Dire trascendente, prima del Detto e
senza Detto, non riconducibile allimmanenza ontologica. Certo, come dice Peperzak,
ci che lo scettico dice il suo detto (il detto che nega la verit) contraddice la verit
del suo dire (la verit che implicitamente afferma enunciando il suo detto). Mettendoli a
confronto la contraddizione diventa evidente. Ma si devono proprio mettere a confronto
il Dire e il Detto?318.
Il confronto li sincronizza, li mette in un unico tempo, mentre lo scetticismo
proprio il rifiuto della sincronia, lirriducibile differenza tra le due dimensioni. Esso non
si ritiene confutato dallaccusa di cadere in contraddizione, e infatti rifiuta di
sincronizzare laffermazione implicita contenuta nel dire e la negazione che questa
affermazione enuncia nel Detto319. Insomma, la contraddizione si verifica solo nella
sincronia, ma non nella diacronia; lo scetticismo non si contraddice perch lo specifico
della sua dottrina riguarda la seconda, non la prima. Lo scetticismo il confutabile, ma
318
Cfr. saggio di A. Peperzak, Introduzione a Altrimenti che essere, in E. Levinas A. Peperzak, Etica come
filosofia prima, cit., pag. 133, sottolineato mio
319
Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 209
anche il ritornante: da qui il suo eterno ritorno, che richiama lesplosione dellunit
dellappercezione trascendentale senza la quale non si potrebbe altrimenti che essere320.
Le ragioni che portano a questo tipo di discorso sono da ricercarsi nellesposizione
fatta precedentemente a proposito dellanacronismo delletica, per mezzo della quale se
da un lato la responsabilit per altri precisamente un Dire prima di ogni Detto 321,
dallaltro lato necessario che questo Dire sorprendente si metta in luce deve esporsi
e raccogliersi in essenza, deve porsi, ipostatizzarsi, farsi eone nella coscienza e nel
sapere, lasciarsi vedere, subire linfluenza dellessere. Influenza che lEtica stessa, nel
suo Dire di responsabilit, esige322.
Tuttavia, per non rimanere solo ed esclusivamente nellambito dellontologia,
necessario che il Dire si affidi alla filosofia affinch la luce che si prodotta non
irrigidisca in essenza l al di l dellessenza Lo sforzo del filosofo consiste nel
ridurre immediatamente leone che trionfa nel Detto e nella messa in mostra; e nel
conservare il Detto di cui il Dire , di volta in volta, affermazione e ritrazione, leco
del Detto ridotto323.
Di conseguenza, nel momento in cui si va a parlare dellaltrimenti che essere non si
fa altro che esporlo nel Detto ontologico, che, in quanto tale, fa risuonare lessenza, ma il
metodo fenomenologico permette di conservare la diacronia, in modo da lasciare, in
esso, la traccia del Dire. La filosofia come ontologia non in s malvagia o errata, ma il
suo errore stato quello di aver voluto assolutizzare lessenza dellessere, non
consentendo, in questo modo, allo spirito di udire leco dellanarchia. Se si ode questa
eco, invece, lessere acquista il suo giusto senso, perch in esso sar resa giustizia, e la
filosofia della potenza, unitamente al suo aspetto pratico, sar eliminata. Il vero compito
della filosofia, per effetto di ci, diventa quindi il far risuonare non lessenza del verbo
essere, ma leco del trascendente nel Detto. Bisogna non perdere di vista il Dire, quindi,
perch esso, in quanto pre-originario, in quanto esposizione allaltro, la soggettivit
stessa. Non bisogna trascurare questa dimensione perch lontologia non lorigine del
senso: Il soggettivo e il suo Bene non potrebbero essere compresi a partire
320
Ivi, pag. 57
Ivi, pag. 96
326
Cfr. supra, sez. seconda, cap. 1, nota 43
325
essere con altri per e contro il terzo; con altri ed il terzo contro s. Nella giustizia contro
una filosofia che non vede al di l dellessere, che riduce, abusando del linguaggio, il
Dire al Detto e ogni senso allinteressamento. La Ragione, alla quale si attribuisce la
virt di fermare la violenza per raggiungere lordine della pace, suppone il
disinteressamento, la passivit (pi passiva della passivit) o la pazienza. In questo
disinteressamento, quando la responsabilit per laltro anche responsabilit per il terzo,
si configurano la giustizia che confronta, raccoglie e pensa la sincronia dellessere e
la pace328.
La logica dellequivalenza, basata sulla reciprocit, dunque, per essere veramente
tale deve portare in s la traccia della bont, ossia la traccia di quellal di l dellessenza
che permette non un calcolo ideale dove gli individui sono strumenti di una collettivit
che deve funzionare negando lindividualit, ma un calcolo che, pur essendo tale, investe
di bont gli altri. In tal modo si eleva la giustizia al di sopra della semplice delimitazione
sospettosa del mio e del tuo e si orienta in un altro senso, verso il Bene, nel quale io sono
debitore di tutti. Se non ci fosse tale traccia, la giustizia sarebbe utilitaristica, la cui
regola potrebbe essere io do affinch tu mi dia, e nella quale, ad esempio, gli schiavi
devono rimanere tali perch servono per la produzione, o gli Ebrei devono essere
eliminati perch, a detta di qualcuno, sono esseri inferiori; come se io sia giusto nei
confronti degli uomini, solo che alcuni non sono uomini! Qui siamo nel registro
dellessere come violenza, non dellessere come giustizia, nel quale ultimo il Dire d il
senso, trattando il terzo come un altro prossimo.
A questo punto, per, opportuno fare una giusta precisazione. Visto che il
discorso che stiamo facendo trova la sua condizione di possibilit nella comparsa del
terzo, bisogna chiarire tale manifestazione, perch, bench secondo il filosofo la nascita
della giustizia sia data dalla presenza, accanto ad Altri, del terzo (cosicch la genesi
dellontologia, del Detto, del sapere, ossia il passaggio dal Dire al Detto, non da
considerarsi come una fatalit senza senso o come una degenerazione-limitazione della
prossimit del Dire, ma trova il suo senso nelle esigenze stesse della prossimit) la
comparsa del terzo non un puro fatto empirico. Certo, il terzo introduce una
contraddizione nel Dire la cui significazione dinanzi allaltro andava, fino ad allora, in
328
un unico senso. E, di per s, limite della responsabilit, nascita del problema: che cosa
devo fare con giustizia? Problema di coscienza 329, ma non che il fatto sia cronologico,
dove inizialmente cera la mia assoluta gratuit verso laltro e poi, empiricamente,
comparso laltro. Non , dunque, che la mia responsabilit per altri si trovi in un secondo
momento costretta a fare calcoli; non , e non pu essere, perch il mio prossimo ha gi
sempre altri come suo prossimo: Nella prossimit dellaltro, tutti gli altri dellaltro mi
ossessionano e gi lossessione grida giustizia, reclama misura e sapere, coscienza
Altri di colpo il fratello di tutti gli uomini 330. Questa originariet dellessere fa s che
non solo il volto mi ossessioni, cio si trovi con me in una relazione pre-originaria, ma,
anche, che esso si faccia visibile nella manifestazione. Loriginario e il pre-originario
sono ci che consentono che la sua trascendenza si accompagni sempre al suo
presentarsi: perci esso disfa, come dicevamo nel capitolo precedente, ad ogni istante
limmagine plastica in cui cade inevitabilmente; come se esso assistesse alla sua
manifestazione senza lasciarsi giudicare in contumacia. Levinas definisce questa
situazione espressione: Nellespressione un essere si auto-presenta. Lessere che si
manifesta assiste alla propria manifestazione e quindi fa appello a me Il fatto
essenziale consiste nel portare testimonianza di s garantendo questa testimonianza.
Questa attestazione di s possibile solo come volto Noi chiamiamo volto proprio
questa eccezionale presentazione di s da parte di s, che non ha misura comune con la
presentazione di realt semplicemente date, sempre sospette di qualche inganno, sempre
probabilmente sognate331.
A differenza del mero piano ontologico, il volto si esprime, non si manifesta. Nella
manifestazione lessere giunto alla coscienza, quindi non c la trascendenza laltro
che garantisce ad un essere di disfare la forma che ha. In questo modo non c nessuna
apologia, ma, essendo laltro assente (in quanto solo una modificazione del Medesimo)
lo si giudica in contumacia. Nellespressione, invece, il volto non solo mi ossessiona
(lossessione fa parte dellanarchia), ma anche si mostra (si fa presenza): Il volto
ossessiona e si mostra: tra la trascendenza e la visibilit/invisibilit332.
329
Anarchia e arch sono inseparabili, nel senso che non si pu parlare delluno
trascurando laltro e viceversa. Di conseguenza, la prossimit significa gi sempre nella
giustizia. Solo che la responsabilit come gratuit, che implica disuguaglianza e
asimmetria, pi antica della giustizia, perch, come abbiamo gi spiegato, se
questultima lorigine, la prima prima di essa. Dicendo questo, per, non si deve
dimenticare la circolarit derivante dallanacronismo, che Levinas, a questo proposito, fa
capire bene: La significazione significa nella giustizia, ma anche, pi antica di se stessa
e delluguaglianza da essa implicata, la giustizia supera la giustizia nella mia
responsabilit per laltro, nella mia disuguaglianza rispetto a colui di cui sono
lostaggio333. Pertanto, letica, pur essendo prima dellontologia, significa a partire da
essa (la significazione significa nella giustizia), e la seconda, pur essendo originaria,
riceve il senso dalla prima (la giustizia supera la giustizia nella mia responsabilit per
laltro).
Anacronismo in cui si evidenzia laporia dellorigine, per il tramite della quale il
volto trascende la sua presenza apparendo s sensibilmente in essa dandogli
significazione , ma non esaurendo l il senso. Perci il volto, seppur originario origine
iniziale o ultima del senso precede lorigine, sta prima di essa. Ci che originario non
la trascendenza, ma la manifestazione; per, la prima viene prima della seconda, il
senza-inizio che precede linizio, il pre-originario implicato nelloriginario, il passato
presupposto da ogni presente, lanteriorit dellInfinito rispetto al finito. Ma se lorigine
la manifestazione, allora il fatto primo lapparizione del terzo, se vero come vero
che questo la raccolta nella presenza, ontologia. Ecco perch il mio prossimo ha gi
sempre altri come suo prossimo: loriginario lingresso del terzo, presupposto,
questo, dalla pluralit derivante da quella che potrebbe essere definita origine
dellorigine. La circolarit garantita dalloriginario e dal pre-originario fa s che Altri
non sia solo linvisibile, ma anche il visibile, ossia quel terzo che rappresenta ogni uomo.
E visto che io sono ossessionato da lui, non posso sfuggire alla giustizia verso tutti gli
uomini. Il suo volto, dunque, , ad un tempo, incomparabile e identico a ogni altro volto.
La relazione con il terzo non fa altro che tradire la mia relazione anarchica con
lInfinito, in una incessante correzione di questa asimmetria. Essa legittima lo Stato e la
333
Ivi
Parole di Peperzak (nel saggio Introduzione a Altrimenti che essere), in E. Levinas A. Peperzak, Etica come
filosofia prima, cit., pag. 136, corsivo mio
335
Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 198
336
Cfr. E. Levinas, Altrimenti che essere, cit., pag. 198
337
Si tratta di un vero e proprio accenno, visto che G. Ferretti dedica allargomento solo mezza pagina, corredata da
una nota. Stiamo facendo riferimento allopera ferrettiana Alterit e trascendenza. La filosofia di Levinas, op. cit., e
in particolare alla pagina 294
Si potrebbe dire, allora, che questa strada percorsa da noi sarebbe fondamentalmente una
strada comoda, e che, in fondo, ritorna quella tesi ferrettiana che abbiamo negato. Non
crediamo sia cos, anzi, crediamo che la comodit sarebbe stata quella di sposare ci
che invece abbiamo negato, perch cos avremmo risolto tutti i problemi e avremmo
avuto una risposta per tutto, anche in questo caso. Non ci sarebbero stati problemi,
quindi, perch avremmo risposto che ci sono anche gli altri in relazione anarchica con
Dio, e, conseguentemente, lobiezione non sarebbe proprio nata. Pur ammettendo questo,
per, non rinneghiamo quanto detto; del resto, se c una cosa che si capisce chiaramente
nella filosofia di Levinas non forse il fatto che la tematizzazione non riesce ad essere
esaustiva? Non forse il fatto che il sapere non riesce a chiudere il circolo, perch, dopo
il suo operare, rimane sempre un residuo inspiegabile (che per il filosofo letica stessa),
rispetto al quale la conoscenza non pu far altro che attestare il suo scacco?
Noi possiamo solo dire che il soggetto in relazione immemorabile con Dio, non
laltro, pur essendo consapevoli della contraddizione nella quale siamo caduti, perch
diciamo che il soggetto sono io ed io soltanto, non tutti gli io, altrimenti cadremmo nella
totalit che fa diventare immanenza qualsiasi trascendenza. Si potrebbe allora dire che
lobiezione di Ferretti sia pi valida, considerando anche il fatto che per Levinas laltro
non immanente, ma trascendente, proviene da un al di l, per cui, come abbiamo
visto, la trascendenza qualcosa che appartiene pure allaltro: Lordine personale a cui
ci obbliga il volto al di l dellEssere Lal di l da cui proviene il volto la terza
persona Nel modo in cui penetra il volto questa terza persona tutta lenormit,
tutta la dismisura, tutto lInfinito dellassolutamente altro, che sfugge allontologia 338.
Ci, per, non convalida questa interpretazione, perch la mia relazione con lInfinito
non altro che la relazione asimmetrica tra me ed Altri, il quale ultimo si inscrive nella
traccia di Dio. In Totalit et Infini Levinas proprio questo diceva: Lassolutamente altro
Altri339. Pertanto, sono in relazione con Dio perch mi trovo in una relazione
asimmetrica con Altri, nella quale io mi sostituisco a lui e non viceversa.
Allora, a questo livello di analisi, potremmo dire che preferiamo mantenerci
nellaporia del pensiero piuttosto che cadere nuovamente nella filosofia dellessere come
potenza, nella quale, come pensiamo e come abbiamo spiegato, precipita Ferretti.
338
339
tutte esperienze di questo ritorno incessante del Neutro che rompe con le identificazioni
di questo in quanto quello.
Ci pu voler dire una cosa sola: lessere pu degradare nel non senso e trascinare
con s sia lio trascendentale sia il soggetto responsabile che ne giustifica lorigine:
Brusio del c non senso in cui degrada lessenza e, cos, la giustizia nata dalla
significazione. Ambiguit del senso e del non senso nellessere, senso che si degrada in
non senso. Non si deve prenderla alla leggera 344. Levinas invita a non essere
superficiali, poich il rischio che il non senso risucchi il senso il rischio sempre
presente e al soggetto etico-ontologico e a quello trascendentale. Basta lorrore, il
silenzio, e ci che non vogliamo si verifichi, entra in scena.
Questa minaccia questo il y a, per, pur essendo assurdo, significa; la
significazione deriva proprio, paradossalmente, dalla sua mancanza di senso. C
ununica ragione che pu spiegare ci: lassurdit il non senso , non assumibile in un
senso da parte del soggetto, ci che rende possibile il senso, in quanto ci che rende
possibile la passivit della soggettivit etica, visto che la conoscenza, e con essa la
libert, non possono aver ragione definitivamente di essa: Linsignificanza il
surplus del non-senso sul senso, grazie al quale per il S lespiazione possibile
espiazione che il se-stesso significa. Il c tutto il peso dellalterit sopportata da una
soggettivit che non la fonda Da dietro il brusio anonimo del c la soggettivit
raggiunge la passivit senza assunzione345.
Il fatto che, per il tramite di questa nozione, il filosofo trova in essa quella
condizione di possibilit della passivit pi passiva di qualsiasi passivit, che rende
possibile quella soggettivit etica che d il senso allessere, introducendo in esso la
giustizia. Letica, come sappiamo, non in un ipotetico mondo delliperuranio, e quindi
non pu essere cercata da quel lato, ma da qualche altra parte. La cosa non deve
meravigliare: abbiamo gi spiegato lanacronismo, ove ci sono due dimensioni che si
presuppongono vicendevolmente. Il presupposto del soggetto anarchico trovato dal
filosofo proprio nel c perci parla di sovrappi del non senso sul senso , ossia in
quellimpersonale che, proprio perch tale, rende possibile la significazione stessa.
Infatti, per far s che ci possa essere la soggettivit come responsabilit necessaria una
344
345
esigenze infinite, quelle di servire il povero, lo straniero, la vedova e lorfano. Solo cos,
attraverso la moralit, nelluniverso, si producono lIo e gli Altri. La soggettivit
alienabile del bisogno e della volont che pretende di possedersi da sempre ma di cui la
morte si prende gioco, si trova ad essere trasfigurata dallelezione che la investe
richiamandola alle risorse della sua interiorit350.
Il patire per altri un subire il peso dellaltro uomo, ove lio chiamato allunicit
attraverso la responsabilit. Lio che espia per gli altri non laltro, ma lio stesso; anzi,
io perch per-laltro: letica si insinua in me prima della libert, ossia sono
compromesso con il Bene prima di averlo scelto; mi trovo compromesso nella passivit
del sopportare; ci significa che la questione libero-non libero non la questione
fondamentale, perch, come abbiamo detto pi volte, c qualcosa che anteriore alla
libert (o alla non libert). Questo qualcosa la diacronia del Bene che prima della
presenza, libert finita di un io la cui responsabilit illimitata ci che lo struttura in
quanto tale, in quanto soggetto. La libert finita per il semplice motivo che relazione
con un altro, per-laltro del soggetto, rottura dellessenza dellessere. Essa non
riduzione dellAltro al Medesimo, ma passato immemorabile, che sempre sfugge alla
raccolta della coscienza in presenza.
Questo tempo un tempo irriducibile alla presenza, perci inquietudine del
medesimo e assenza dellaltro visibile che si traduce positivamente come presenza
dellaltro. Esso, dunque, ha a che fare con il non-riposo, con uno stato di non-quiete
provocato dal rapporto con laltro. La cosa non pu essere trascurata, perch letica la
vera e propria filosofia prima, che capovolge il nesso tradizionale tra essere e senso,
perch non pi lessere che contiene e dona il senso, ma il senso giustifica eticamente
nella responsabilit delluomo per laltro uomo lessere stesso, prima che in questo
nasca il problema del fondamento e della coscienza. Se lessere non pi lorigine
ultima del senso, allora questo introdotto in esso dallapprossimarsi al prossimo che
come tale abolisce legoismo della preservazione nel proprio essere.
Quello di Levinas, in fondo, certamente un umanesimo, ma di una stoffa
particolare. Infatti, non lumanesimo che identifica il soggetto con la coscienza
(coscienza di s), ma un umanesimo dellaltro uomo, dellaltro come uomo.
350
Lumanesimo che incentra il suo discorso sulla coscienza non apre la possibilit dellal
di l dellessenza, visto che essa una modalit dellessere che si distanzia in
rapporto a se stesso che, rappresentazione, non influisce pi su di s, anche se si
mantiene alla sua altezza nella trasparenza della verit, trasparenza in cui si dissolvono
gli schermi e si dissipano le ombre che creano contrasti e rinchiudono lessere nelle
contraddizioni; trasparenza in cui lessere si fa in verit351.
Lallontanamento del medesimo rispetto a se stesso, a livello ontologico, solo un
fatto provvisorio, uno scarto necessario allessere per potersi ritrovare nella coscienza. Il
tempo dellessere non il tempo delletica, perch nel primo c sincronia, mentre nel
secondo c diacronia; il tempo dellessere non altro che il tempo del suo dispiegarsi,
mentre quello delletica semplicemente passato irrecuperabile.
Levinas riconosce un grande merito allantiumanesimo moderno, il quale ha saputo
decostruire il soggetto come coscienza e fondamento, aprendo, in questo modo, la strada
ad un altro modo di intendere la soggettivit: Lantiumanesimo moderno, negando il
primato che, per la significazione dellessere, apparterrebbe alla persona umana, libero
scopo di se stessa, vero al di l delle ragioni che si d. Esso ha fatto piazza pulita alla
soggettivit che si pone nellabnegazione, nel sacrificio, nella sostituzione precedente la
volont. La sua intuizione geniale consiste nellaver abbandonato lidea di persona,
scopo e origine di se stessa, in cui lio ancora cosa perch ancora un essere. A rigore
altri fine, io sono ostaggio, responsabilit e sostituzione sopportante il mondo nella
passivit della convocazione che arriva fino alla persecuzione accusatrice, indeclinabile.
Lumanesimo deve essere denunciato solo perch non sufficientemente umano 352.
Solo che anche lantiumanesimo ha una pecca, perch esso non ha fatto altro che far
scomparire la soggettivit umana nelluniversalit della struttura (si pensi allo
strutturalismo) o nellimpersonale essenza dellessere (si pensi ad Heidegger). Cosicch,
n lumanesimo n lantiumanesimo sarebbero sufficientemente umani. Lalternativa
proposta da Levinas, chiaramente, consiste nel concepire lumanit delluomo in
funzione dellaltro, ove il fine non la preservazione del proprio essere, ma Altri, di
cui io non sono che ostaggio: soggetto posto solo come deposto dalla sua sovranit,
soggetto solo in quanto soggezione (ad altri).
351
352
della pazienza in questo caso) non ha laspetto della noesi correlativa al noema, ma
passivit assoluta che, tutto dun colpo, mi espone allaltro. Lesposizione allAltro
limpossibilit stessa del soggetto di ridurre a s il diverso s, ossia il mai (del possesso)
che si rivela come il sempre (del tempo): Questo mai sarebbe il sempre del tempo, la
durata del tempo356. Il mai come sempre la pazienza stessa, la quale la struttura del
tempo: Il mai della pazienza sarebbe il sempre del tempo357. Ne deriva che il mai il
sempre stesso della differenza irriducibile (insopprimibile non-indifferenza) tra il
Medesimo e lAltro come Altro-nello-Stesso.
Lo specifico del soggetto posto allaccusativo proprio questo suo essere subito
aperto al di fuori e al differente che non potrebbe mai raggiungere, trovandosi di
conseguenza in una relazione asimmetrica con lAltro. Laspetto formale di questa
relazione il Desiderio, ossia lidea dellInfinito, paradosso di una relazione in cui
lInfinito, pur non essendo finito, in questultimo. Se non ci fosse la differenza datami
dal tempo come scarto irrecuperabile di s a s, ci sarebbe impossibile. Di conseguenza,
a ben vedere, il tempo dovrebbe essere pensato come il rapporto stesso dellInfinito. La
ricerca o la questione non sarebbe deficienza di un possesso qualsiasi, ma
immediatamente relazione con lal di l del possesso, con linafferrabile in cui il pensiero
si lacererebbe. Sempre, sempre si lacererebbe Infinito nel finito. Fissione o messa in
questione sarebbe questa la temporalit358.
Il tempo, dunque, non pu essere pensato nella sua specificit come eternit, ove
tutto sempre presente, ma come Desiderio, scarto sempre tale dellio con la sua
identit come raccolta della dispersione del diverso. Essendo relazione con lInfinito,
esso non altro che ad-Dio; tempo come ad-Dio, impossibilit di essere
rappresentato, inquietudine, che si traduce positivamente come non-indifferenza,
infinitamente pi nel meno. Lo Stesso non in relazione con lAltro come un altro
Stesso, ma in una maniera totalmente diversa. Esso lo contiene nella forma del
Desiderio, nel quale il S contenente contiene pi di quanto possa contenere: il
contenuto eccede il contenente.
356
Ivi, pag. 64
Ivi, pag. 70
358
Ivi, pag. 161
357
Strettamente legato al concetto del tempo quello della morte, la quale, a livello
generale, non pu essere interpretata nellopposizione tra essere e nulla, perch essa non
il nulla che si oppone allessere. Inoltre, non pu essere intesa come mia morte, ma in
riferimento allaltro, come morte daltri, in quanto lesperienza che faccio di essa
sempre morte dellaltro. Questo, per, non significa che io posso trattare la morte in
termini analogici, ove, vedendo questo fenomeno al di fuori di me, io ricaverei un
concetto universale di essa, per poterlo poi applicare alla mia morte. Da queste prime
battute, gi emergono diverse considerazioni: innanzitutto, il modo di intendere la morte
di Levinas si oppone radicalmente ad Heidegger. In pi, essendo non mia morte, ma
morte daltri, esso un qualche cosa che ha a che fare con la relazione asimmetrica e,
quindi, con il tempo. Prima di andare avanti, per, bisogna fare unulteriore precisazione:
il fatto che la morte non sia la mia morte non significa che non sia affar mio, perch, pur
provenendo dallaltro, mi appartiene.
Nel corso di questo paragrafo chiariremo questi temi appena accennati.
Cominciamo con il ricordare, seppur in maniera sintetica, il concetto di morte per
Heidegger.
Essa, a differenza dellesistenza inautentica, ove lesserci gettato in mezzo alle
sue possibilit, in un certo senso non una possibilit. O meglio: non una qualche
possibilit come partecipazione irriflessa e critica ad un certo mondo storico-sociale, ma
la sua possibilit pi propria, unautentica possibilit. Essendo tale, unitamente al fatto
che fine delle possibilit (infatti con la morte lEsserci non ci pi), essa si caratterizza
come
possibilit
dellimpossibilit
di
ogni
possibilit,
ove
luomo
esiste
altre parole, essendo io strutturato come laltro nel medesimo, la morte daltri non pu
lasciarmi indifferente, perch non qualcosa che accade fuori di me, ma mi riguarda
direttamente: perci non seconda mano: Lesperienza della morte non
esperienza della morte di qualcuno La morte dAltri che muore mi intacca (affecte)
nella mia stessa identit di io responsabile identit non sostanziale, non semplice
coerenza dei diversi atti di identificazione, ma fatta di indicibile responsabilit. E il mio
essere intaccato (affection) dalla morte daltri ad essere la mia relazione con la sua
morte, ad essere, nella mia relazione, la mia deferenza a qualcuno che non risponde pi;
gi una colpevolezza colpevolezza del sopravvissuto. Il morire, come morire
dellaltro, intacca la mia identit di Io, sensato nella rottura dello Stesso, nella rottura
del mio Io, nella sua rottura dello Stesso nel mio Io. In ci la mia relazione con la morte
daltri non affatto un sapere di seconda mano, n unesperienza privilegiata della
morte361.
Esperienza di prima mano perch riguarda lAltro nello Stesso, che noi abbiamo
visto essere lidea dellInfinito. Ora, in quanto tale, la morte non altro che una
relazione con lignoto: La relazione con la morte daltri unemozione, un
movimento, uninquietudine nellignoto362. Opportunamente, Derrida ha messo in
evidenza il fatto che questo termine ha una valenza particolare: Ignoto sottolineato.
Ignoto non rappresenta il limite negativo di una conoscenza. Questo non-sapere
lelemento dellamicizia e dellospitalit per la trascendenza dello straniero, la distanza
infinita dellaltro363. Tale termine, allora, non significa il non noto, il velamento che si
sottrae
allo
svelamento,
ma
lo
specifico
di
Altri,
ossia
una
forma
dellAltro-nello-Stesso. Levinas usa anche altri termini per esprimere questo concetto,
come sono ad esempio mistero ed enigma, i quali indicano proprio un qualche cosa il
non oggetto per eccellenza che non pu essere posseduto, compreso, colto: la relazione
con il mistero o ignoto o enigma una relazione con laltro.
Per effetto di ci, la relazione allaltro come ignoto, a cui la morte rinvia, una
relazione etica, che precede, conseguentemente, la concreta scomparsa dellaltro; per cui,
lio sempre gi in rapporto con la morte di Altri, prima che ne faccia esperienza. La
361
morte, cos, si rivela elemento essenziale della costituzione dellunicit dellio. Essa non
nulla o annichilimento, e nemmeno narcisismo in cui lio solo con se stesso, ma
relazione etica con laltro, quindi ad-Dio: Risveglio in cui lignoto, in cui il non-senso
della morte, limpedimento ad ogni sistemazione in una qualsiasi virt della pazienza e
in cui il temuto sorge come la disproporzione tra me e linfinito come
essere-davanti-a-Dio, come lad-Dio stesso364. Si testimonia, qui, un legame molto
intimo tra ad-Dio e morte.
Ancora una volta Derrida a precisare: Senza dubbio lad-Dio testimonia il
sovrappi di un infinito di senso, il pi-di-senso-allinfinito, ma, se cos posso
esprimermi, nellora della morte. E di una morte che non bisogna pi avvicinare secondo
lalternativa dellessere e del nulla365. Il motivo di questo discorso da ricercarsi in ci
che abbiamo detto prima: la morte daltri elemento costitutivo della mia soggettivit.
Ma se questa relazione tra me ed altri, allora diacronia, e perci in relazione stretta
con il tempo. Pi precisamente, la morte intesa come pazienza del tempo: Nella durata
del tempo la morte un punto in cui il tempo rivela tutta la sua pazienza, questa attesa
che si rifiuta alla propria intenzionalit dattesa: pazienza e lunghezza di tempo dice il
proverbio, pazienza come enfasi della passivit la morte come pazienza del tempo 366.
Senza dubbio Levinas riconosce ad Heidegger di aver saputo cogliere questo
legame (morte-tempo), per, sul suo modo dintenderlo, c una grande differenza tra i
due filosofi; il primo, cos, prender le distanze dal secondo.
Il merito di Heidegger stato senzaltro quello di aver messo in evidenza il fatto
che la filosofia occidentale non riuscita a pensare la nullit, come dimostra la celebre
domanda metafisica di Leibniz (Perch esiste qualcosa piuttosto che nulla?367), il
quale, dopo essersi posto il problema del nulla, lo oblia subito, per dirla con Heidegger,
in quanto passa al qualche cosa concentrandosi sul principio di ragion sufficiente. Il
filosofo, effettivamente, non risponde, perch fa questo ragionamento: ma visto che
esiste il qualche cosa, perch cos e non altrimenti? Heidegger, invece, fa la sua analisi
proprio sul nulla, anche se, ed questo il punto di differenza con Levinas, lo intende
364
concretamente pensata attraverso lanalisi della morte. E grazie alla morte che c il
tempo del Dasein368.
Il tempo, in Heidegger, esattamente avanti-a-s, ad-venire, ed possibile solo
rispetto alla morte, la cui decisione anticipatrice lappropriazione dellimminenza del
nulla, mediante la quale lipseit del Dasein intera. Nichilismo di tale filosofia:
lEsserci, che cura dessere, nel suo essere di cui ha cura votato al nulla369. La sua
possibilit pi propria sta nel venire-alla-fine; la morte un modo dessere, ed a partire
da esso che sorge il non-ancora; lavvenire originariamente limminenza della morte.
La morte un modo dessere di cui il Dasein si fa carico fin dal primo momento in
cui , in modo tale che lespressione aver da essere significa aver da morire. La morte
non deve essere pensata in un futuro incompiuto; al contrario, a partire da questo
da-essere (-etre), che a-morte (-mort), che il tempo deve essere originariamente
pensato370.
Levinas, invece, pensa la morte a partire dal tempo. In altre parole, a partire dal
sempre diacronico del tempo che la morte pensata come responsabilit per altri,
come relazione asimmetrica tra il medesimo e laltro.
Nel rapporto tempo-morte, quindi, linvito levinassiano sarebbe quello di pensare
la morte a partire dal tempo e non pi il tempo a partire dalla morte. Ci non toglie nulla
al carattere ineluttabile della morte ma non le lascia il privilegio di essere la fonte di
ogni senso. In Heidegger, almeno in Sein und Zeit, tutto ci che oblio della morte
inautentico e improprio, e il rifiuto stesso della morte nella distrazione rinvia alla morte.
Qui, al contrario, il senso della morte non ha inizio nella morte 371. Morte, dunque, non
come temporalit del Dasein, fine desserci, annientamento (tempo a partire dalla
morte), ma come apparizione dellignoto, relazione con laltro, pazienza del tempo,
diacronia (morte a partire dal tempo).
In questo senso, la morte non pi il nulla che diventa possibilit, ma lignoto, e il
tempo non pi lorizzonte dellessere, ma intrigo di una soggettivit nel suo rapporto
con gli altri.
368
7. DIO
Nel corso della nostra esposizione ci capitato pi volte di far riferimento a Dio,
ma non lo abbiamo mai trattato in maniera sistematica. Il seguente paragrafo ha lo scopo
di mettere in evidenza tale concetto per Levinas.
Se Heidegger si sforzava di intendere un essere non contaminato dallente, il
filosofo francese si sforza di intendere un Dio non contaminato dallessere. Il termine
Dio, a differenza del Nulla, non stato obliato dalla filosofia occidentale, nel senso che
stato introdotto nel suo discorso, e, in questo linguaggio, gli si sono stati attribuiti gli
aggettivi pi gloriosi. Sostanzialmente, esso stato considerato come il fondamento (la
causa prima) di tutte le cose, lincreato che crea tutto ci che o pu essere. Si pensi ad
esempio a Leibniz, per il quale questo essere un sommo ente, in quanto un essere
perfetto, una somma di perfezioni che fa passare allesistenza il miglior mondo possibile.
Anche chi lo ha criticato e ne ha affermato la sua morte non riuscito a negarlo: che cosa
, infatti, per Nietzsche, il Superuomo? Nientaltro che il dio del pensiero occidentale,
solo con un nome diverso.
Levinas condivide la stessa critica di Heidegger a proposito del sommo ente
dellontoteologia (sapere circa lessere di Dio), perch, cos facendo, non si fatto altro
che mischiare Dio con lEssere. La confusione dei due termini, per, ha svilito Dio o
lEssere? Cio, lerrore dellonto-teo-logia consistito nel considerare lessere come
Dio, o piuttosto Dio come lessere?372. Porre la questione non un puro gioco verbale,
ma di grande importanza. Infatti, se noi pensiamo ad Heidegger, notiamo che questi
non ha dato la priorit a Dio, e cos ha sviluppato un filosofia dellessere che, sebbene
abbia il merito di aver saputo cogliere lessere nella sua differenza con lente, giunge
inevitabilmente allessenza dellessere, la quale, come ormai sappiamo, ingloba tanto
lessere quanto il non-essere e si pone come sorgente del senso, dove Altri in quanto
Altri viene ridotto allo Stesso. Questa, ovviamente, non la posizione di Levinas,
perch, nella confusione tra i due termini, ci che deve essere recuperato veramente
Dio, non lessere. Quindi, mentre nel primo caso si critica lontologia con lo scopo di
372
arrivare allessere nella sua differenza ontologica, nel secondo caso tale critica
condotta sulla base di una elusione del discorso relativo alla trattazione della
trascendenza come immanenza, in quanto Detto.
A questo punto della nostra analisi, possiamo gi abbozzare un tentativo di risposta
alla domanda circa Dio. Per ora sappiamo certamente che la Trascendenza non il
sommo ente dellontoteologia e nemmeno lessere heideggeriano, ma un qualche cosa
(altrimenti che essere) che ha a che fare con lal di l, altro, ossia altro dallessere.
Ripetiamo: Pensare Dio in funzione dellonto-teo-logia significa pensare male
lessere (tesi heideggeriana) o pensare male Dio?. 373 Seguendo Heidegger, si arriva
allessere come fonte del senso; seguendo Levinas si arriva a Dio come sorgente di esso,
dimostrando cos una significazione diversa da quella dellessere, relativa, cio, allal di
l dellessere (il filosofo tedesco, nonostante una lunga tradizione a tal proposito vedi
Platone, Cartesio, Kant , non potrebbe ammettere laltrimenti, perch al di fuori
dellessenza dellessere non c nulla. Essendo totalit, per, non si esce dalla filosofia
occidentale e non si apre la dimensione etica, la quale la dignit delluomo. Quindi,
trattare Dio come un ente e pensare lessere sulla base di questo ente sommo
ontoteologia , significa misconoscere Dio, non lEssere).
Il recuperare tale termine dalla confusione in cui caduto nella filosofia
occidentale, per, non significa dimostrarne lesistenza (cosa che ci farebbe ricadere in
tale cultura), ma mostrarne la sua significazione: il nostro scopo quello di intendere il
termine Dio come un termine significante. Tale ricerca condotta indipendentemente dal
problema dellesistenza o non esistenza di Dio, indipendentemente dalla decisione che
potrebbe essere presa davanti a questa alternativa e indipendentemente anche sul senso o
sul non-senso di questa alternativa stessa. Ci che qui indagato la concretezza
fenomenologica in cui questa significazione potrebbe significare o significa, anche se
rompe con ogni fenomenalit. Poich questo rompere non potrebbe dirsi in modo
puramente negativo e come una negazione apofantica. Si tratta di descrivere le
circostanze fenomenologiche, la loro congiuntura positiva e come la messa in scena
concreta di ci che si dice in forma di astrazione374.
373
374
Nessun Detto potrebbe svilire il Dire della parola Dio, in quanto il primo sempre
in ritardo rispetto al secondo; solo leccomi pu testimoniarla. Ma questo significa che
la significanza della trascendenza la relazione stessa del medesimo e dellaltro, lin
dellinfinito che provoca la fissione della soggettivit, strutturandola in tal modo come
etica, la quale ultima non altro che quella situazione in cui lInfinito in rapporto con il
finito senza che n luno n laltro termine si annullino.
Si noti come la testimonianza sia portata dal soggetto, non dallaltro, come se non
fosse la trascendenza dellaltro a produrla, ma la trascendenza allaltro: il discorso,
insomma, vale dal lato del soggettivo, non di Altri. Certo, la trascendenza appartiene
sempre allAltro, ma ora (vale a dire a partire da Autrement qutre ou au-del de
lessence) essa situata nellimmanenza stessa del soggetto; questultimo per-laltro
prima dellapparire dellaltro. La cosa, dunque, non deve meravigliare, perch
lesplosione della soggettivit proprio a questo che porta, in quanto non c pi, come
in Totalit et Infini (e in gran parte del capitolo precedente del presente lavoro),
unidentit ontologica che si mette in questione per mezzo dellappello rivoltole dal
volto, ma c unidentit che gi etica, innanzitutto morale. Non pi lAltro turba lo
Stesso (trascendenza dellaltro), in un certo senso, ma lAltro nello Stesso
(trascendenza allaltro): il soggetto ha in s la trascendenza, ma in un modo in cui la
prima non viene inglobata dalla seconda.
Dicendo questo, per, non si deve cadere in confusione, perch Dio non il
soggetto, e nemmeno Altri, ma altro e dalluno e dallaltro, e imprime la sua traccia
solo nella testimonianza di un soggetto che in una relazione asimmetrica con Altri.
Proprio per evitare questo fraintendimento, Levinas introduce la tematica dellilleit,
intendendo, con tale vocabolo, la terza persona. Questa non , per, il terzo termine
(anonimato) della filosofia del Neutro di Heidegger, ma il non luogo che si situa al di
l e dellessenza dellessere, e del soggetto etico e di Altri in quanto Altri. Si potrebbe
dire che essa la dimensione personale che in qualche modo connota lal di l da cui
proviene il volto (Lordine personale a cui ci obbliga il volto al di l dellEssere. Lal
di l dellEssere una terza persona Lal di l da cui viene il volto la terza
persona377), cio la trascendenza radicale che imprime la traccia nella relazione del
377
faccia a faccia: E questa torsione a partire dal volto e questa torsione riguardo a
questa torsione nellenigma stesso della traccia, ci che abbiamo chiamato lilleit.
Esclusiva del tu e della tematizzazione delloggetto, lilleit neologismo formato
sulla base di il (egli) o ille indica un modo di riguardarmi che non entra in
congiunzione con me Se la relazione con lilleit fosse una relazione con la coscienza,
il designerebbe il tema Lilleit-dellal-di-l-dellessere il fatto che la sua venuta
verso me unassentarsi che mi permette di compiere un movimento verso il prossimo
Il paradosso di questa responsabilit data dal fatto che io mi trovo obbligato senza che
questo obbligo abbia avuto origine in me378. La terza persona lal di l da cui viene il
volto e, conseguentemente, la condizione dellirreversibilit. La distinzione tra volto
e al di l da cui viene il volto di fondamentale importanza, perch mette in luce la
radicalit della trascendenza di Dio e il fatto che il volto, nel momento in cui in
relazione con il soggetto, non perde la sua trascendenza perch si iscrive nella traccia
dellilleit.
Questo al di l significa in quanto traccia, ove per traccia si deve intendere lo
scompiglio irrimediabile della coscienza dellessere derivante da un passato che ormai
passato (come nelle tracce di colui che ha cancellato le proprie tracce). La traccia non il
segno, perch mentre il secondo indica il significante (facendolo in qualche modo
presente), la prima proprio la rottura della presenza. Di conseguenza, la traccia lo
scompiglio del fenomeno apportato da unassenza che la presenza dellessere non riesce
a recuperare, per cui si configura come la significazione dellilleit. La seguente
citazione forse la pi esplicita al riguardo: L al di l da cui proviene il volto significa
in quanto traccia La traccia autentica scuote lordine del mondo. Si d in sovraimpressione. La sua originaria significazione si delinea, per esempio, nellimpronta
lasciata da colui che desiderava cancellare le proprie tracce affinch il crimine fosse
perfetto. Colui che cancellando le proprie tracce ne ha lasciato alcune, non voleva n dire
n fare nulla con le tracce lasciate. Ha irrimediabilmente sconvolto lordine. E passato
in modo assoluto. Essere in quanto lasciare una traccia significa passare, partire,
assolversi Nella traccia passa un passato assolutamente passato 379. Traccia ed
Illeit portano alla seguente considerazione: Dio non lo si pu cercare sul piano del
378
379
teoretico, coincidente con quello dellontologia, poich esso significa solo a livello etico;
lo si cerca e lo si trova solo rispondendo allappello del volto dAltri, che si situa nella
traccia della sua assoluta trascendenza.
La significazione dellInfinito nel finito e tramite il finito consiste quindi
nellambivalenza di un ordine esteriore ed autorevole, che viene non so da dove e che
mai potrei sincronizzare. In un certo senso, ne sono io lautore, perch esso si dice
tramite lobbedienza assoluta del mio Dire, il quale ultimo rimane sempre Dire, un Dire
dicente il Dire stesso.
Ciononostante, la trascendenza assoluta (Dio) anche detta, entra nellordine del
Detto (quante volte nominiamo Dio o ne parliamo?). Questo vero, ma altrettanto vero
che il Detto che la enuncia ha senso solo se esso conserva la traccia della testimonianza
in cui si radica il suo significato, altrimenti diventerebbe un idolo. Insomma, la parola di
Dio significa positivamente solo nella prossimit, nella responsabilit, nella sostituzione.
Di Dio, si ribadisca, non posso dire che o che non (siamo lontani dalla logica
parmenidea, secondo la quale lessere e il non essere non ), ma posso soltanto
testimoniarlo. Ecco, in tutta la sua forza, quella verit come testimonianza che abbiamo
opposto alla verit come svelamento: essa, in altre parole, vera, ma di una verit
irriducibile alla verit del disvelamento e non narra niente che si mostri 380. E un
nuovo modo di intendere la verit, ossia come veracit prima del vero veracit
dellapprossimarsi, della prossimit, oltre la presenza 381. La trascendenza radicale,
trascendenza assoluta, Dio, non si manifesta, perch non pu in nessun modo divenire
presenza nel piano dellessere, visto che essa anarchia, di fronte alla quale fallisce la
raccolta dellessere, la sua sincronizzazione. Non presenza dellInfinito, dunque, ma non
presenza che si traduce come presenza dello stesso nello forma della traccia e nella
situazione concreta della mia responsabilit per altri, la quale precisamente la
significazione che precede il presente: significazione di un Dio che si glorifica nella
soggettivit umana, ovvero parla di s attraverso il Dire del soggetto responsabile, unico
modo di dare testimonianza della sua gloria.
Questultimo termine, preso a prestito dalla Bibbia, un altro vocabolo per
descrivere lassoluta trascendenza di Dio; per il suo tramite si pu affermare che la gloria
380
381
di Dio non pu in nessun modo essere vista dal soggetto, anche se questo pu
glorificarla: Questa gloria non potrebbe apparire, perch lapparire e la presenza la
smentirebbero circoscrivendola come tema, assegnandole un inizio nel presente della
rappresentazione allorch, infinizione dellinfinito, essa viene da un passato pi lontano
da quello che, alla portata del ricordo, si allinea sul presente. Essa viene da un passato
che non stato mai rappresentato, che non si era mai presentato e che, di conseguenza,
non ha lasciato germogliare un inizio senza principio, senza inizio, anarchia la
gloria, facendo esplodere il tema, significa al di qua del logos, positivamente,
lestradizione del soggetto che riposa su di s, estradizione da ci che esso non ha mai
assunto perch, a partire da un passato irrappresentabile, stato sensibile alla
provocazione che non si mai presentata, ma ha colpito come un trauma La gloria
dellInfinito si glorifica in questa responsabilit, non lasciando al soggetto alcun rifugio
nel suo segreto che lo proteggerebbe contro lossessione per lAltro e coprirebbe la sua
evasione382.
Dunque, il soggetto come Dire dicente il Dire stesso, ovvero come sincerit del
Dire, non altro che la testimonianza della gloria di Dio, sempre assente dalla presenza
dellessere. Sempre assente perch passato che non mai iniziato, e quindi infinito
dellInfinito stesso, senza fine che attesta limpossibilit di esaurire Dio nellordine della
manifestazione dellessere. Essendo tale testimonianza, esso ispirato (ha risposto
allordine prima di udirlo), diventando cos il profeta di Dio. Per descrivere questi due
termini ci rivolgiamo direttamente a Levinas: Possibilit dellispirazione: essere autore
di ci che mi era stato a mia insaputa ispirato aver ricevuto, non si sa da dove, ci di
cui io sono lautore. Nella responsabilit per laltro, eccoci al cuore di questa ambiguit
dellispirazione. Il dire inaudito enigmaticamente nella risposta anarchica, nella mia
responsabilit per laltro. La traccia dellinfinito questa ambiguit del soggetto, di volta
in volta inizio e tramite, ambivalenza diacronica che letica rende possibile. Si pu
chiamare profetismo questa inversione in cui la percezione dellordine coincide con la
significazione di questo ordine istituita da colui che vi obbedisce. E cos, il profetismo
sarebbe lo psichismo stesso dellanima: laltro nel medesimo; e tutta la spiritualit
delluomo profetica. Linfinito non si annuncia nella testimonianza come tema Nel
382
segno fatto allaltro dal fondo della mia oscurit di Dire senza Detto della sincerit,
nel mio eccomi, di colpo presente allaccusativo, io testimonio dellInfinito 383.
Tutto questo non un qualcosa di astratto, e nemmeno accade in un presunto
mondo dellal di l, ma lavvenimento straordinario e quotidiano della mia
responsabilit per gli altri uomini, per ci che non in mio potere. Solo qui, in questa
specialissima relazione, Dio si manifesta. Ecco spiegato il motivo per il quale il
pensiero etico della Trascendenza non consiste nel considerare lessere divino come
causa del mondo, ma mette laccento sulle relazione sociali quotidiane (sul molteplice),
in cui risuona lenigma del Bene. Il soggetto, per il suo tramite, si trova risvegliato nella
responsabilit verso laltro uomo, colpevole prima di nascere, prima di avere un inizio.
Non stiamo parlando di una soggettivit astratta, formale, ma di un io fatto di carne e
sangue, ossia di un corpo il cui fatto primo (ma primo come anteriore allorigine)
lesposizione allaltro, quindi un dare allaltro strappandosi il pane dalla propria bocca. Il
corpo la continua contestazione del conatus essendi, o meglio, esso vive in quanto
questa contestazione. Non lio disincarnato, ma lio incarnato, dunque, ha una valenza
etica. Si deve tenere presente questa nozione di corporeit, perch in questo senso che
la intende Levinas; se diciamo questo perch si potrebbe correre il rischio di intenderla
nella maniera inversa, in quanto il filosofo stesso, a volte, tratta il corpo come ontologia:
il luogo una base. Perci il corpo lavvento stesso della coscienza Esso non si
pone, la posizione384; ma comprendere il corpo in questo modo significa ricondurlo ad
un evento ontologico, e far saltare lintero discorso levinassiano sulla corporeit come
luogo stesso del per-laltro, il luogo della significazione385, letica.
Questa soltanto consente una trascendenza fino allassenza, un Dio invisibile ma
presente proprio in questa impossibilit di rientrare nellordine della presenza del
presente della rappresentazione sincronica dellessere.
Ora il progetto filosofico di Levinas veramente realizzato: laltrimenti che essere
gli ha permesso di dare alluomo un senso diverso da quello dellessere, uscendo cos da
esso. Fatto questo, ritorna allessenza e imprime in essa la traccia del Bene, la quale non
altro che la dignit dellumanit delluomo e, conseguentemente, il rispetto dellaltro. Il
383
filosofo, pur uscendo dalla filosofia occidentale, vi ritorna, ma nel movimento del ritorno
ha portato con s il senso dellaltro del Greco che gli ha permesso, intendendo Dio come
ci che non contaminato dallessere, di smantellare la violenza e la potenza di quella
filosofia, per introdurvi la giustizia. Ora la filosofia non deve pi esaurire il suo senso
nella tematizzazione, ma deve dire lindicibile, in un compito senza fine. Compito senza
fine perch, se finisse, avrebbe oggettivato tutto, e quindi avrebbe messo tutto nel Detto
(la presunta formulazione definitiva sarebbe il punto di arresto che culmina non gi in un
dire ultimo, ma in un detto altrimenti, ove non si trova la dimensione dellal di l
dellessenza), ricadendo, conseguentemente, in quella filosofia dellessere che ha
dominato lOccidente dalla sua nascita ad ora.
Per evitare questo, deve continuamente disdire ci che dice, deve mantenere,
cio, la dimensione della formula platonica che pone il Bene al di l dellessere. Il
tradimento inevitabile del Dire (che si produce quando si va a dire il Dire stesso) non
deve mai essere assoluto, ma deve essere sempre ridotto fenomenologicamente, perch
Dio non una verit universale e necessaria, ma lo incontro testimoniandolo
quotidianamente nella mia relazione etica con laltro in quanto altro; alterit radicale,
alterit assoluta, ma di un assoluto diverso da quello dellessere: Dio altro da altri,
altro altrimenti, altro di unalterit che precede lalterit di altri, lassoggettamento etico
al prossimo. Differente, cos, da ogni prossimo. E trascendente fino allassenza, fino alla
sua possibile confusione con il brusio del c (il y a). Confusione in cui la sostituzione al
prossimo guadagna in disinteressamento, in nobilt e in cui la trascendenza
dellinfinito si eleva in gloria. Trascendenza che pu dirsi vera di una verit diacronica,
senza sintesi, pi alta delle verit che vengono confermate386.
386
Cfr. E. Levinas, Dio, la morte e il tempo, cit., pag. 297, sottolineato mio
BIBLIOGRAFIA
Una bibliografia completa delle opere di e su Levinas si ha in G. Ferretti, La filosofia di
Levinas, Rosenberg & Sellier 1996 e in B. Borsato, Lalterit come etica. Una lettura di
Levinas, Edizioni Dehoniane Bologna, 1995.
Segue lelenco delle opere consultate per la stesura della presente tesi:
Opere di Levinas (tra parentesi lanno della prima pubblicazione dei testi):
Alcune riflessioni sulla filosofia dellhitlerismo (1934), introd. di G. Agamben e con un
saggio di M. Abensour, Quodlibet, Macerata 1996
Dallesistenza allesistente (1947), a cura di F. Sossi, con una premessa di P. A. Rovatti,
Marietti, Casale Monferrato 1997
Il tempo e laltro (1947), a cura di F. P. Ciglia, il menangolo, Genova 2001
Scoprire lesistenza con Husserl e Heidegger (1949), a cura di F. Sossi, Raffaello
Cortina, Milano 1998
Totalit e Infinito. Saggio sullesteriorit (1961), a cura di A. DallAsta, con introd. di S.
Petrosino, Jaca Book, Milano 1996
Umanesimo dellaltro uomo (1972), a cura e con introd. di A. Moscato, il menangolo,
Genova 1998
Altrimenti che essere o al di l dellessenza (1974), a cura di S. Petrosino e di M. T.
Aiello, con introduz. di S. Petrosino, Jaca Book, Milano 1998
Su Blanchot (1975), a cura di A. Ponzio, con introd. di F. Ristetti e A. Ponzio, Palomar,
Bari 1994
Di Dio che viene allidea (1982), a cura di S. Petrosino, trad. di G. Zennaro, Jaca Book,
Milano 1997
Etica e Infinito. Dialoghi con Philippe Nemo (1982), a cura di E. Beccarini e con introd.
di G. Mura, Citt Nuova, Roma 1984
Laldil del versetto. Letture e discorsi talmudici (1982), a cura e con introd. di G. Lissa,
Guida, Napoli 1986
Trascendenza e intelligibilit (1984), a cura di F. Camera, Marietti, Genova 1990
Fuori dal soggetto (1987), a cura di F. P. Ciglia, Marietti, Genova 1992
Dio, la morte e il tempo (1993), a cura di S. Petrosino, con avvertenza e postfazione di J.
Rolland, Jaca Book, Milano 1996
Etica come filosofia prima, con tre testi di A. Peperzak e con postilla di F. Ciaramelli,
Guerini e associati, Napoli 1989
Opere su Levinas:
G. Ferretti, Alterit e trascendenza. La filosofia di Levinas, Rosenberg & Sellier, Torino
1996
G. Ferretti, Soggettivit, intersoggettivit, alterit. In dialogo con Husserl e Levinas. II.
Totalit e infinito di E. Levinas, Universit di Macerata, Macerata 1993
G. Ferretti, Soggettivit, alterit e trascendenza. Introduzione e commento ad Altrimenti
che essere di E. Levinas, Universit di Macerata, Macerata 1994
B. Borsato, Lalterit come etica. Una lettura di Levinas, Edizioni Dehoniane, Bologna
1995
J. Derrida, Addio a Emmanul Levinas, a cura e con introd. di S. Petrosino, Jaca Book,
Milano 1998
J. Derrida, Violenza e metafisica, in La scrittura e la differenza, a cura di G. Pozzi, con
introd. di G. Vattimo, Einaudi, Torino 1990
E. Baccarini, Levinas: soggettivit e Infinito, Studium, Roma 1985
S. Malka, Leggere Levinas, a cura di E. Baccarini, Queriniana, Brescia 1986
S. Petrosino, La verit nomade. Introduzione a Emmanuel Levinas, Jaca Book, Milano
1980
S. Petrosino, Fondamento ed esasperazione. Saggio sul pensare di Levinas, Marietti,
Genova 1992
A. Quadrino, Enigma della prossimit. Tempo e alterit nel pensiero di E. Levinas, pref.
di G. Lorizio, Juana, Roma 1987